Azienda Di Chiller Industriali Con Debiti: Cosa Fare Per Difendersi E Come

Se la tua azienda produce, installa o distribuisce chiller industriali, gruppi frigo, pompe, scambiatori, condensatori, unità ad acqua refrigerata, componenti HVAC, controlli elettronici e ricambi per impianti industriali, alimentari, farmaceutici, chimici o data center, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, è fondamentale intervenire subito per evitare blocchi operativi e la perdita di clienti chiave.

Nel settore dei chiller, anche un fermo minimo può compromettere produzioni alimentari, processi industriali, server farm o linee produttive sensibili: le penali e i danni economici possono essere enormi.

Perché le aziende di chiller industriali accumulano debiti

  • aumento dei costi di compressori, scambiatori, valvole, pompe e componenti speciali
  • rincari delle materie prime e dei componenti importati
  • pagamenti lenti da parte di industrie, impiantisti e contractor
  • ritardi nei versamenti IVA, imposte e contributi
  • magazzini complessi con ricambi costosi e materiali tecnici
  • difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati ai cicli produttivi
  • elevati investimenti in collaudi, certificazioni e attrezzature

Cosa fare subito

  • far analizzare da un professionista l’intera esposizione debitoria
  • identificare i debiti che possono essere contestati, ridotti o rateizzati
  • evitare piani di rientro troppo pesanti che soffocano la liquidità
  • chiedere la sospensione immediata di eventuali pignoramenti
  • proteggere i rapporti con fornitori strategici e componenti essenziali
  • usare strumenti legali per ristrutturare o rinegoziare i debiti in modo efficace

I rischi se non intervieni tempestivamente

  • pignoramento del conto corrente aziendale
  • blocco delle forniture di compressori, valvole, pompe, schede elettroniche
  • impossibilità di completare installazioni o manutenzioni critiche
  • perdita di clienti industriali, contractor, data center e OEM
  • rischio concreto di chiusura dell’attività

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Introduzione

Hai un’azienda che produce o installa chiller industriali (sistemi di refrigerazione su larga scala) e stai affrontando gravi difficoltà finanziarie? I debiti si stanno accumulando, gli ordini rallentano, e ti trovi schiacciato tra fornitori che reclamano pagamenti, rate di mutui e leasing su macchinari costosi, tasse arretrate e banche che iniziano a revocare gli affidamenti? È una situazione purtroppo comune nel settore dei chiller e degli impianti di raffreddamento industriale. Questo comparto è altamente esposto a oscillazioni di mercato e costi operativi elevati: l’aumento dei prezzi energetici, la concorrenza internazionale sul costo delle macchine, i lunghi tempi di incasso su commesse complesse e il calo di investimenti industriali nei periodi di crisi sono tutti fattori che possono mettere in ginocchio anche imprese prima solide. Inoltre, i chiller e le apparecchiature frigorifere richiedono costante manutenzione e aggiornamenti tecnologici: il capitale immobilizzato in magazzino (ricambi, compressori, refrigeranti speciali) e in impianti produttivi è ingente, e una flessione nelle vendite può rapidamente erodere la liquidità aziendale.

Tuttavia, anche quando la situazione sembra compromessa, esistono strumenti legali per affrontare la crisi e proteggere l’impresa, evitando per quanto possibile il collasso definitivo. Il punto di vista del debitore sarà il focus di questa guida: vedremo come un imprenditore di chiller industriali indebitato può difendersi dalle azioni dei creditori e, soprattutto, come può ristrutturare o regolare i debiti in modo sostenibile. Esamineremo sia le soluzioni stragiudiziali (negoziate privatamente o con l’assistenza di esperti) sia quelle concorsuali (procedure formali previste dalla legge fallimentare, ora Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza ), includendo anche riferimenti alle ultime novità normative aggiornate a ottobre 2025. Adotteremo un linguaggio giuridico ma chiaro, adatto sia a professionisti del diritto sia a imprenditori e privati che si trovano ad affrontare queste problematiche.

Nota: Questa guida è organizzata in modo sistematico: prima analizziamo il contesto e i segnali di allarme nel settore chiller industriali, poi passiamo in rassegna le possibili strategie di intervento (dalla negoziazione privata fino al concordato preventivo o alla liquidazione giudiziale), quindi approfondiamo il trattamento dei diversi tipi di debito (verso banche, Fisco, fornitori, ecc.) nei vari scenari. Sono incluse domande frequenti (FAQ) con risposte a dubbi comuni, tabelle riepilogative per confrontare opzioni e procedure, nonché riferimenti normativi e giurisprudenziali recenti per un approfondimento avanzato. Tutte le fonti (leggi, sentenze, circolari) citate sono riportate in fondo alla guida, nella sezione Fonti e Riferimenti.

Contesto e cause della crisi nel settore dei chiller industriali

Il settore dei chiller industriali (grandi apparecchi per la refrigerazione di processi produttivi, climatizzazione industriale, impianti frigoriferi per data center, ecc.) presenta alcune caratteristiche che lo rendono vulnerabile a crisi finanziarie cicliche:

  • Intensità di capitale e costi fissi elevati: produrre o installare chiller richiede importanti investimenti in macchinari, componenti specializzati (compressori, scambiatori di calore, gas refrigeranti ad alta efficienza), personale tecnico qualificato e infrastrutture per test/collaudo. Di conseguenza, i costi fissi mensili dell’azienda sono molto alti. Basta un calo nel volume di affari perché i costi fissi superino i ricavi, generando perdite operative.
  • Ciclicità della domanda e dipendenza da investimenti industriali: i chiller sono tipicamente beni strumentali il cui mercato segue i cicli economici. Nei periodi di espansione, le industrie investono in nuovi impianti di raffreddamento (per aumentare capacità produttiva o migliorare l’efficienza energetica); nei periodi di crisi o incertezza, questi investimenti vengono rinviati o cancellati. Così, l’azienda può passare da anni di boom a anni di forte contrazione degli ordini. Una contrazione prolungata del portafoglio ordini porta a sotto-utilizzare gli impianti produttivi e può lasciare a magazzino molti prodotti invenduti o in corso di lavorazione.
  • Ritardi di pagamento e problemi di cash flow*: spesso i clienti dei chiller industriali sono altre aziende medio-grandi (impiantisti, integratori, industrie manifatturiere) che contrattano termini di pagamento dilazionati (60-90 giorni o più) e a volte ritardano i pagamenti. Ciò significa che il produttore di chiller finanzia di fatto i clienti in attesa degli incassi, mentre nel frattempo deve pagare i propri fornitori (per componenti elettronici, pompe, valvole, gas refrigerante, carpenterie) e le proprie spese operative. *Insoluti e ritardi nei pagamenti dei clienti generano tensione di liquidità: l’azienda potrebbe dover ricorrere a affidamenti bancari per anticipare fatture o coprire scoperti di conto, esponendosi a costi finanziari e al rischio di vedersi revocare i fidi se gli indicatori peggiorano.
  • Aumento dei costi energetici e delle materie prime: i chiller, essendo macchine termiche, subiscono molto il costo dell’energia (sia nel collaudo che nei consumi garantiti ai clienti) e l’aumento del prezzo delle materie prime (rame per gli scambiatori, alluminio, acciai speciali, componentistica elettronica). Negli ultimi anni i forti aumenti di costo dell’energia e dei materiali hanno compresso i margini di profitto. Se l’azienda non riesce a ribaltare l’aumento sui prezzi di vendita (magari a causa di contratti già firmati o concorrenza agguerrita), i margini si riducono o diventano negativi, contribuendo alla crisi.
  • Concorrenza internazionale e innovazione tecnologica: il mercato dei chiller vede competitor globali, talvolta sostenuti da politiche industriali aggressive (prezzi di dumping, finanziamenti all’export). Inoltre, la rapidità del progresso tecnologico (ad es. nuovi refrigeranti ecologici, soluzioni più efficienti) richiede investimenti continui in R&D. Un’azienda indebitata potrebbe non avere le risorse per innovare, perdendo competitività. La perdita di competitività può tradursi in calo di fatturato e ulteriori difficoltà finanziarie.
  • Vincoli normativi e costi di conformità: i settori della refrigerazione e del condizionamento sono regolati da normative stringenti (ambientali, sicurezza sul lavoro, certificazioni energetiche, regolamenti sui gas fluorurati, etc.). Mantenere le certificazioni e adeguarsi alle norme comporta costi non trascurabili. In momenti di crisi, l’azienda rischia di trascurare alcuni adempimenti (ad esempio, ritardando manutenzioni obbligatorie, corsi di aggiornamento, rinnovo di brevetti) nel tentativo di risparmiare, ma ciò può peggiorare la situazione (sanzioni, perdita di reputazione, divieto di accesso ad appalti pubblici per mancanza di DURC regolare, ecc.).

Riassumendo, le cause di una crisi d’impresa nel settore dei chiller industriali sono spesso multifattoriali: mix di cause esogene (crisi economiche generali, aumenti costi, concorrenza) e cause endogene (scelte manageriali errate, eccessivo indebitamento per investimenti, controllo finanziario carente). È importante che l’imprenditore sappia riconoscere tempestivamente i segnali di allarme di una crisi incipiente. Vediamone alcuni.

Quando un’azienda di chiller si può considerare “in crisi”?

Non sempre è chiaro il confine tra una difficoltà temporanea e uno stato di crisi conclamata. Nel contesto dei chiller industriali, alcuni segnali tipici di allerta sono:

  • Ritardi nei pagamenti obbligatori: quando l’azienda inizia sistematicamente a non rispettare le scadenze fiscali (IVA, imposte) o contributive (INPS), o accumula arretrati con i fornitori strategici, significa che la liquidità generata non è sufficiente a coprire il fabbisogno finanziario. Ad esempio, l’IVA non versata per vari trimestri, o le rate di leasing di macchinari saltate, indicano una tensione di cassa cronica.
  • Perdite di esercizio ricorrenti: se il bilancio aziendale mostra perdite su base annuale o margini lordi talmente ridotti da non coprire i costi fissi, la struttura economica non è sostenibile. Nel settore chiller, commesse sotto-costo, inefficienze produttive o un carico eccessivo di debiti (che genera alti interessi passivi) possono portare a erosione del capitale. Se il patrimonio netto inizia a diventare negativo (perdite > capitale sociale), si entra in zona di allerta (artt. 2446-2447 c.c. per S.p.A. e 2482-bis c.c. per S.r.l.).
  • Insoluti verso fornitori chiave e tensioni con i partner: quando fornitori fondamentali (es. fornitori di compressori, schede elettroniche, gas refrigerante) iniziano a non essere pagati regolarmente, possono reagire interrompendo le forniture. Se l’azienda accumula insoluti verso questi partner critici, rischia di non poter completare le commesse in corso (mancanza di componenti) aggravando ancor di più la situazione. Anche i clienti possono percepire la crisi (es. ritardi nelle consegne, assistenza tecnica carente per mancanza di pezzi di ricambio) e rivolgersi altrove, innescando un circolo vizioso.
  • Fidi bancari sempre tirati al massimo o revocati: un altro segnale è quando l’azienda dipende totalmente dalle linee di credito in conto corrente per pagare spese correnti, risultando costantemente “sconfinata” o al limite dei fidi. Le banche potrebbero classificare l’esposizione a “sofferenza” o revocare gli affidamenti se vedono peggiorare gli indicatori (fatturato in calo, perdite, ritardi nei pagamenti ad altre banche segnalati in Centrale Rischi). Un blocco dei fidi bancari può provocare un collasso immediato della liquidità.
  • Riduzione strutturale della domanda e sotto-utilizzo impianti: se per diversi trimestri il portafoglio ordini rimane esiguo e la capacità produttiva resta inutilizzata (stabilimenti fermi o a regime ridotto), l’azienda potrebbe trovarsi con costi fissi non coperti e scorte invendute. Nel settore dei chiller, questo può avvenire ad esempio a causa di innovazioni dirompenti (i clienti preferiscono tecnologie più nuove che l’azienda non produce) o perdita di un importante cliente/commessa senza essere riusciti a sostituirli.

In tutti questi casi è essenziale intervenire subito, prima che la crisi evolva in insolvenza conclamata, ossia l’incapacità definitiva di pagare i debiti alle scadenze. Ricordiamo che il nuovo Codice della Crisi d’Impresa definisce lo “stato di crisi” come il probabile futuro stato di insolvenza, introducendo strumenti di allerta precoce. Dal momento in cui si può prevedere che, senza interventi correttivi, l’impresa non sarà più in grado di soddisfare regolarmente le obbligazioni, bisogna attivarsi. Ignorare i segnali e continuare come nulla fosse espone gli amministratori a responsabilità (vedremo più avanti il tema della responsabilità degli amministratori e i rischi penali in caso di aggravamento doloso della situazione).

Cosa fare subito: prime mosse per arginare la crisi

Di fronte alla presa di coscienza che la propria azienda di chiller industriali è in crisi o fortemente indebitata, l’imprenditore deve agire con lucidità e tempestività. Ecco alcune azioni immediate consigliabili:

  • Analizzare con precisione la situazione debitoria: occorre fare una due diligence interna dei debiti: quanti sono, verso chi, di che natura (bancari, fiscali, fornitori, leasing, etc.), con che scadenze e se ci sono garanzie. È fondamentale affidarsi a consulenti esperti (commercialisti specializzati in crisi d’impresa, avvocati fallimentaristi) per redigere un quadro chiaro. Capire se si è in crisi temporanea (problema di liquidità momentaneo) o già in insolvenza (insostenibilità strutturale) determinerà la strategia.
  • Verificare possibili contestazioni o soluzioni semplici: non tutti i debiti possono essere dovuti in toto. Ad esempio, alcune cartelle esattoriali potrebbero essere annullabili (vizi formali, prescrizione), o sanzioni fiscali riducibili con acquiescenza. Oppure un fornitore potrebbe aver addebitato penali non dovute. Prima di pagare o accordarsi, verificare cosa può essere contestato o ridotto. Inoltre, alcuni debiti possono essere rateizzati facilmente (lo vedremo per Fisco e INPS). Un consulente può individuare opportunità di riduzione del carico.
  • Evitare piani di rientro affrettati e insostenibili: un errore frequente è, presi dal panico, firmare accordi con singoli creditori promettendo rate mensili troppo elevate pur di guadagnare tempo. Purtroppo piani di rientro troppo onerosi peggiorano la liquidità e spesso saltano, facendo perdere credibilità all’azienda. Meglio negoziare dilazioni realistiche. Se un creditore (es. una banca) chiede rientri impossibili, può essere preferibile cercare subito una procedura concorsuale di tutela piuttosto che dissanguare la cassa inutilmente.
  • Richiedere la sospensione immediata di esecuzioni in corso: se sono già partite azioni esecutive (pignoramenti del conto, pignoramenti dei crediti verso clienti, atti di sequestro), valutare con l’avvocato la possibilità di ottenere una sospensione. In alcuni casi si può negoziare col creditore procedente una moratoria temporanea (se vede la volontà di trovare un accordo). Oppure, attivando una procedura come il concordato “in bianco” o chiedendo misure protettive in composizione negoziata, si può ottenere dal tribunale un blocco temporaneo dei pignoramenti (lo vedremo in dettaglio).
  • Preservare i rapporti con i fornitori strategici: identificare quali fornitori o partner non si possono perdere senza fermare l’attività (es. fornitori di refrigeranti specifici, di componenti unici, o il proprietario del capannone in locazione, etc.). Con questi soggetti occorre comunicare tempestivamente e cercare soluzioni condivise: magari garantire pagamenti minimi regolari per tenere aperta la fornitura, offrire garanzie collaterali o contratti di fornitura futura in cambio di pazienza sui crediti arretrati. In poche parole, non rompere la catena di fornitura: un chiller è un prodotto complesso, se anche un solo componente critico viene a mancare, la produzione e l’assistenza si bloccano.
  • Considerare subito gli strumenti legali di ristrutturazione: come vedremo, l’ordinamento offre vari strumenti per rinegoziare o ristrutturare i debiti in modo ordinato (piani attestati di risanamento, accordi di ristrutturazione, concordati preventivi, ecc.). Appena la crisi appare seria, è bene valutare l’accesso a questi strumenti invece di aspettare che i creditori agiscano individualmente. Ad esempio, attivare per tempo una Composizione negoziata della crisi con un esperto indipendente può congelare la situazione e aprire negoziati protetti con tutti i creditori.

Se l’imprenditore si muove in modo proattivo, ha molte più chance di salvare l’azienda o quantomeno di evitare conseguenze distruttive. Purtroppo, molte imprese non falliscono per i debiti in sé, ma perché reagiscono troppo tardi. Vediamo adesso quali sono i rischi se non si interviene tempestivamente, per capire la posta in gioco.

I rischi se non intervieni tempestivamente

Cosa succede se un’azienda fortemente indebitata non fa nulla o continua a trascinarsi senza affrontare la crisi? Questi sono i possibili scenari negativi (purtroppo concreti):

  • Aggressione ai conti e ai beni aziendali: i creditori (banche, fornitori, Agenzia Entrate-Riscossione per il Fisco, ecc.) non vedendo volontà di soluzione inizieranno ad agire legalmente. Si rischia il pignoramento del conto corrente aziendale, rendendo impossibile pagare stipendi e fornitori correnti. I fornitori strategici potrebbero ottenere decreti ingiuntivi e far pignorare i crediti che l’azienda vanta verso i suoi clienti (bloccando incassi futuri). I creditori pubblici (Agenzia Riscossione) possono iscrivere ipoteche sugli immobili aziendali o fermi amministrativi sui veicoli e macchinari mobili registrati, impedendone l’uso o la vendita.
  • Blocco delle forniture e delle attività: se i principali fornitori non vengono pagati, potranno sospendere le consegne di componenti, refrigeranti, parti elettroniche. Questo porterà al fermo della produzione in fabbrica. Anche l’attività di assistenza tecnica e manutenzione presso i clienti rischierà lo stop per mancanza di pezzi di ricambio. Inoltre, senza materie prime né possibilità di collaudare gli impianti (ad esempio, se ENEL stacca la luce per bollette non pagate, o il fornitore di gas refrigerante non consegna più), l’azienda non potrà rispettare le consegne concordate e nemmeno eseguire le manutenzioni programmate ai clienti. Il risultato è la perdita di credibilità sul mercato e la rottura di rapporti con impiantisti e partner che portavano commesse.
  • Erosione definitiva del portafoglio clienti: un’azienda di chiller ferma o inaffidabile vede rapidamente i clienti rivolgersi altrove. Le industrie e gli impiantisti, se percepiscono che non consegnerai in tempo o che la tua azienda potrebbe chiudere (lasciandoli senza assistenza e garanzia), tenderanno a cancellare gli ordini e passare a un concorrente più solido. I clienti esistenti potrebbero invocare penali contrattuali per ritardi, peggiorando ulteriormente la situazione debitoria. Si instaura quindi un circolo vizioso: meno lavoro, meno incassi, più incapacità di pagare i debiti pregressi.
  • Provvedimenti giudiziari di insolvenza: i creditori più grandi o organizzati, vedendo il peggiorare della situazione, possono decidere di depositare istanza di fallimento (oggi liquidazione giudiziale) presso il Tribunale. Se l’insolvenza risulta conclamata, il Tribunale aprirà la procedura e l’imprenditore perderà il controllo dell’azienda, che passerà a un curatore per la liquidazione forzata dei beni. Anche il pubblico ministero potrebbe attivarsi d’ufficio se l’impresa abbandona l’attività accumulando debiti verso Erario e dipendenti. Insomma, non agire significa rischiare di subire passivamente la più severa delle procedure (liquidazione giudiziale, l’ex fallimento).
  • Chiusura caotica e senza salvaguardie: senza una gestione pianificata della crisi, la chiusura dell’attività avverrà nel modo peggiore: beni pignorati e venduti all’asta distruggendo valore, dipendenti licenziati senza preavviso (con costi per TFR ed eventuali cause), contratti risolti bruscamente, e l’imprenditore stesso travolto da possibili azioni di responsabilità (se emergono distrazioni di beni o pagamento preferenziale ad alcuni creditori a scapito di altri). In sintesi, si brucerà ogni residua risorsa e nessuno ne avrà beneficio, né i creditori (che in un fallimento “subìto” di fretta recuperano di solito pochissimo) né l’imprenditore (che vede azzerato il valore aziendale e la propria reputazione).
  • Responsabilità personali e sanzioni: ricordiamo infine che, in caso di fallimento, tutte le operazioni compiute negli ultimi anni dall’amministratore verranno scrutinati. Se emergono irregolarità gravi (patrimonio sociale distratto, preferenze a taluni creditori, frodi, false comunicazioni sociali), scatteranno accuse di bancarotta con rischi penali seri. Anche senza frodi, l’amministratore può subire un’azione di responsabilità civile promossa dal curatore, se la sua inerzia o mala gestio ha aggravato il dissesto (ad esempio continuando a fare debiti quando la società era già decotta, in violazione dei doveri di conservazione del patrimonio sociale). In altre parole, lasciar andare l’azienda a fondo senza far nulla espone l’organo amministrativo a rischi personali ben maggiori di quelli che si correrebbero attivandosi in modo ordinato.

In sintesi, i rischi del “non intervento” sono la perdita totale dell’azienda e del lavoro costruito negli anni, con danni per tutti gli stakeholder (creditori, dipendenti, clienti, fornitori) e possibili guai aggiuntivi per l’imprenditore stesso. Al contrario, gestire attivamente la crisi permette di guidare gli eventi e spesso di ottenere esiti più positivi (o meno distruttivi). Approfondiamo ora quali sono gli strumenti di gestione della crisi a disposizione del debitore.

Strumenti per gestire e risolvere la crisi d’impresa

Il nostro ordinamento (in particolare dopo l’introduzione del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza con D.Lgs. 14/2019 e correttivi successivi ) mette a disposizione una gamma di strumenti per affrontare la situazione di insolvenza o crisi. Questi strumenti spaziano da soluzioni stragiudiziali e volontarie (piani e accordi negoziati con i creditori, senza o con limitato intervento del tribunale) fino a procedure concorsuali giudiziali vere e proprie (concordati preventivi, liquidazione giudiziale, ecc., in cui l’Autorità Giudiziaria ha un ruolo centrale). La scelta dello strumento dipende dalla gravità della crisi, dalla composizione del debito e dalla perseguibilità di un risanamento.

Vediamo in linea generale le opzioni principali. In seguito, dedicheremo sezioni specifiche al trattamento di particolari tipologie di debito in ciascuna opzione.

Soluzioni stragiudiziali e pre-concorsuali

1. Negoziazioni private e accordi transattivi mirati: Nella fase iniziale di una crisi non ancora conclamata, l’imprenditore può tentare di negoziare individualmente con i creditori più rilevanti. Ad esempio, ottenere dalla banca una moratoria sulle rate del mutuo (pochi mesi di sospensione o di pagamento soli interessi), oppure accordarsi con alcuni fornitori per un piano di rientro dilazionato o uno saldo e stralcio (pagamento di una parte del dovuto a titolo definitivo). Queste soluzioni sono totalmente volontarie e contrattuali: richiedono l’accordo di ciascun creditore coinvolto. Possono funzionare se i creditori chiave sono pochi e collaborativi. Spesso però, nell’azienda con decine o centinaia di creditori, non è possibile raggiungere tutti privatamente; inoltre restano fuori i creditori che non aderiscono, i quali potrebbero agire in giudizio. Dunque, le negoziazioni private funzionano soprattutto in crisi leggere o allo stadio iniziale.

2. Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII): È uno strumento di origine privatistica ma con un certo grado di formalità. Il piano attestato di risanamento consiste in un piano industriale-finanziario di risanamento dell’azienda, asseverato da un professionista indipendente (attestatore) che certifica la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano stesso. Il piano può prevedere accordi con taluni creditori, ristrutturazioni del debito, aumento di capitale, cessioni di asset, ecc., il tutto finalizzato a risanare l’impresa e riacquistare l’equilibrio. Non richiede omologazione del tribunale né coinvolge automaticamente tutti i creditori: è in sostanza un ombrello protettivo limitato, ma ha un beneficio importante – se viene eseguito correttamente, protegge da azioni revocatorie eventuali pagamenti o garanzie concessi in attuazione del piano stesso (art. 56 CCII, ex art. 67 l.f.). Ciò significa che, se poi l’azienda comunque fallisse, le operazioni compiute in base al piano di risanamento non verrebbero annullate. Quando usarlo? Il piano attestato è indicato se si riesce a trovare un accordo volontario con la maggior parte dei creditori rilevanti e si vuole evitare di “pubblicizzare” la crisi. Ad esempio, l’azienda di chiller potrebbe convincere banche e fornitori principali a sostenere un piano di rientro e rilancio, farlo attestare da un esperto e depositarlo (facoltativamente) presso il registro delle imprese. Questo dà maggior fiducia ai creditori che il piano è serio, e tutela l’azienda da eventuali azioni revocatorie se poi le cose andassero male.

3. Accordi di ristrutturazione dei debiti (ARD) ex artt. 57-64 CCII: Sono accordi formalizzati con una parte significativa dei creditori, omologati dal Tribunale. A differenza del piano attestato (dove il tribunale non interviene), qui c’è un ricorso al Tribunale per l’omologazione, ma non è una procedura concorsuale completa come il concordato. L’azienda deve raggiungere un accordo scritto con una certa percentuale di creditori (normalmente almeno il 60% dei crediti totali; la soglia era 75% nel vecchio regime, abbassata al 60% col correttivo 2022/2023) . Se raggiunge quell’adesione, può chiedere al tribunale di omologare l’accordo, rendendolo vincolante anche per i creditori che non hanno aderito. Attenzione: i creditori non aderenti devono comunque essere pagati integralmente (fuori accordo) oppure l’accordo deve prevedere il loro integrale soddisfacimento altrove – salvo alcuni casi speciali introdotti di recente, come gli accordi ad efficacia estesa: ad esempio, se l’accordo è con il 75% delle banche, il tribunale può estendere le condizioni anche al restante 25% dissenziente (c.d. cram-down finanziario) . Gli ARD sono quindi molto utili quando c’è larga ma non unanime adesione: evitano che pochi creditori isolati facciano saltare tutto. Vantaggi: rispetto al concordato, la procedura è più rapida e meno invasiva (non c’è commissario giudiziale di regola, l’azienda rimane “in bonis” cioè tecnicamente non insolvente pubblicamente), e il piano rimane riservato (l’omologa è pubblica ma non ha lo stigma del fallimento). Svantaggi: bisogna comunque convincere privatamente una quota qualificata di creditori. Tipicamente le banche e i grandi creditori istituzionali sono i candidati per ARD, perché sono pochi soggetti con cui trattare. Nell’ARD è possibile includere una transazione fiscale e contributiva per trattare anche i debiti col Fisco/INPS (serve il loro assenso salvo particolari condizioni di cram-down fiscale introdotte nel 2020, di cui diremo) .

4. Composizione negoziata della crisi d’impresa: Introdotta nel 2021 e ora parte del Codice della Crisi (artt. 17-25 CCII e segg.), la composizione negoziata (CNC) è un percorso volontario e stragiudiziale assistito da un esperto indipendente. In pratica, l’imprenditore in crisi, purché ritenga la sua azienda ancora risanabile, chiede tramite la piattaforma telematica dedicata (istituita presso le Camere di Commercio) la nomina di un Esperto Negoziatore. L’esperto (tipicamente un commercialista o professionista con specifiche competenze, formato e iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia) affianca l’imprenditore per un periodo (in genere 3+3 mesi) con l’obiettivo di facilitare le trattative con tutti i creditori . La composizione negoziata non è una procedura concorsuale: l’imprenditore resta in carica e mantiene l’amministrazione, non c’è “spossessamento” dei beni . Tuttavia, su richiesta, si possono ottenere dal Tribunale alcune misure protettive temporanee: ad esempio il blocco delle azioni esecutive dei creditori individuali (una sorta di “automatic stay” come nel concordato) durante le trattative . Questo consente di negoziare con più calma. Inoltre, durante la CNC l’azienda può ottenere finanziamenti ponte che avranno privilegio di rimborso (prededucibilità) se poi si passa a procedura concorsuale , e altre agevolazioni soprattutto di natura fiscale (le cosiddette misure premiali per chi tenta la CNC, come riduzione di sanzioni e interessi) . Novità importante: col Terzo Decreto Correttivo del 2024, è stato introdotto nell’ambito della CNC uno strumento di transazione fiscale ad hoc . Ora, l’imprenditore in composizione negoziata può proporre all’Agenzia delle Entrate un accordo di pagamento parziale o dilazionato dei debiti fiscali, con attestazione di un professionista che ciò sia migliorativo rispetto al fallimento, e ottenere un’autorizzazione dal tribunale che rende tale accordo vincolante . Questa è una svolta (prima la regola di “indisponibilità del tributo” impediva nella CNC di tagliare i debiti fiscali, costringendo a passare per forza per un concordato) . La composizione negoziata, quindi, è un ottimo strumento preventivo: permette di esplorare un risanamento con l’aiuto di un mediatore neutrale, senza dichiarare l’insolvenza, mantenendo riservatezza (la notizia non è pubblica a meno di misure protettive richieste) e beneficiando di alcune protezioni. Se funziona, si può concludere con vari esiti: un semplice contratto di ristrutturazione con alcuni creditori, un accordo esteso e omologato dal giudice, un piano attestato, o infine l’accesso ad una procedura concorsuale (concordato) se le trattative non raggiungono soluzioni soddisfacenti . In ultima analisi, la CNC è un tentativo “soft” che precede le manovre più drastiche.

5. Strumenti per le piccole imprese non fallibili (sovraindebitamento): Non tutte le imprese possono accedere a concordato o fallimento. Le micro-imprese sotto soglia (attività minori che non superano certi parametri: attivo < €300k, ricavi < €200k, debiti < €500k ) e gli imprenditori individuali molto piccoli rientrano nella disciplina del sovraindebitamento. Anche una ditta individuale artigiana di impianti frigoriferi, o una S.r.l. molto piccola, potrebbe essere non fallibile. In questi casi, il Codice prevede procedure dedicate: il concordato minore (simile al concordato preventivo ma semplificato e senza voto, pensato per piccoli debitori non fallibili) e la liquidazione controllata (analoga alla liquidazione giudiziale, ma per il sovraindebitato). Inoltre esistono l’accordo di composizione dei debiti (specie di mini-ARD per il debitore civile) e il piano del consumatore (per chi non ha debiti da attività d’impresa). Nel contesto della nostra guida (azienda di chiller industriali) è più probabile si tratti di una PMI fallibile; tuttavia, se l’azienda rientra sotto le soglie di fallibilità confermate dalla legge , potrà utilizzare questi strumenti. In particolare, il concordato minore consente di proporre un piano con pagamento parziale dei debiti anche senza raggiungere maggioranze, ma deve garantire ai creditori almeno quello che otterrebbero altrimenti e prevedere una qualche utilità anche per i chirografari (orientativamente almeno il 20-30% spesso, pur non essendo fissato per legge come quota minima se non per il liquidatorio puro 10%). La liquidazione controllata è invece la procedura liquidatoria per il sovraindebitato: porta alla vendita dei beni con nomina di un liquidatore, ma consente poi al debitore persona fisica di chiedere l’esdebitazione (liberazione dai debiti residui) una volta chiusa. Approfondiremo meno questi strumenti in quanto la guida è focalizzata su PMI probabilmente sopra soglia, ma era importante citarli per completezza.

Procedure concorsuali giudiziali

Se la situazione è più grave o se le soluzioni negoziali falliscono, si entra nel campo delle procedure regolate strettamente dalla legge e sotto controllo giudiziario. Quelle che interessano un’impresa commerciale in crisi sono principalmente:

1. Concordato preventivo (artt. 84-120 CCII): È la procedura regina per tentare di evitare il fallimento salvando l’azienda o parte di essa. Il concordato preventivo è un accordo collettivo con i creditori proposto dall’imprenditore e approvato dal tribunale. Ce ne sono di vari tipi: concordato in continuità aziendale (se l’azienda prosegue l’attività, direttamente o tramite un terzo, e i creditori vengono pagati col ricavato della gestione futura) oppure concordato liquidatorio (se si prevede la cessazione dell’attività e la liquidazione del patrimonio per pagare i creditori). Il concordato preventivo comporta la formale apertura di una procedura concorsuale: l’azienda è dichiarata in stato di crisi/insolvenza, il tribunale nomina un Commissario Giudiziale che vigila durante la procedura, e i creditori vengono raggruppati per classi e votano sulla proposta. Se la maggioranza (oltre il 50% dei crediti votanti, calcolata in valore) approva, il tribunale può omologare l’accordo rendendolo vincolante per tutti i creditori, anche dissenzienti . Il concordato offre molti vantaggi: appena si deposita la domanda (anche concordato “in bianco” o prenotativo, cioè riservandosi di presentare il piano entro x mesi), tutte le azioni esecutive individuali sono sospese per legge . L’azienda mantiene la continuità operativa sotto la gestione dell’imprenditore (salvo casi di frode, di regola l’imprenditore rimane al timone “in possesso” con il commissario che supervisiona) e può compiere atti di gestione ordinaria; per quelli straordinari serve autorizzazione del giudice delegato. Nel concordato l’imprenditore può ridurre (“falcidiare”) i debiti: ad esempio pagare i chirografari solo in parte (purché almeno il 20% se concordato liquidatorio ex art. 84 co.6 CCII, salvo eccezioni), e persino i debiti fiscali e contributivi possono essere parzialmente non pagati tramite la transazione fiscale e contributiva inserita nel piano (art. 88 CCII) . In passato c’erano divieti su IVA, ma oggi anche l’IVA può essere falcidiata purché si offra al Fisco almeno quanto otterrebbe in una liquidazione fallimentare . Il tribunale può omologare il concordato anche senza il voto favorevole del Fisco/INPS se ritiene rispettate le condizioni di legge (sostanzialmente convenienza del piano rispetto all’alternativa liquidatoria) . Il concordato in continuità ha l’obiettivo di salvaguardare l’azienda come going concern: nel piano si potrà prevedere che i creditori vengano pagati gradualmente con i flussi di cassa generati dall’attività, magari vendendo asset non strategici o con l’apporto di nuovi finanziatori. Il concordato liquidatorio invece mira a vendere tutto, però con l’imprenditore che gestisce la vendita sotto controllo (spesso si trova un investitore che compra l’azienda senza debiti a prezzo concordato, più conveniente rispetto a un’asta fallimentare). Da notare che esiste una forma speciale detta concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio: introdotta nel 2021, è un concordato liquidatorio senza voto dei creditori, attivabile però solo se l’azienda ha tentato prima la composizione negoziata e non ha trovato accordo (strumento di “chiusura” veloce post-CNC). In tal caso è il tribunale che valuta e omologa se il piano è comunque soddisfacente, bypassando il voto. È pensato per evitare la procedura fallimentare quando già c’è stata una fase di negoziazione fallita ma con un possibile acquirente degli asset.

In un concordato, il debitore può proporre trattamenti differenziati tra diverse classi di creditori (ad esempio: Banche soddisfatte al 80% con nuove garanzie, Fisco 30% in 5 anni, fornitori chirografari 15% in 2 anni, ecc.), rispettando però certi vincoli di legge sul rispetto delle cause di prelazione e sul trattamento equo dei creditori di pari grado. Il tribunale verifica legalità e fattibilità, ma non impone d’ufficio modifiche: sta ai creditori accettare o meno (tranne i casi di cram-down giudiziale su erario come detto). Effetto finale: se il concordato va a buon fine (omologazione e poi esecuzione del piano), l’azienda può proseguire pur alleggerita dai debiti (la società resta in piedi e paga quanto promesso, e i debiti residui vengono cancellati all’esito per la società). Se invece non va a buon fine (manca la maggioranza dei voti o il tribunale non omologa per convenienza mancante, o il piano non viene eseguito successivamente), allora si aprirà la strada della liquidazione giudiziale.

2. Liquidazione giudiziale (ex Fallimento, artt. 121-270 CCII): È la procedura concorsuale liquidatoria per eccellenza, che interviene quando la continuità aziendale non è più possibile o non è stata perseguita. Si avvia tipicamente su istanza di uno o più creditori, o dell’imprenditore stesso se riconosce l’insolvenza irrimediabile, oppure d’ufficio dal tribunale. La liquidazione giudiziale comporta la dichiarazione di insolvenza dell’imprenditore e la spossessione: l’imprenditore perde la gestione e amministrazione dei beni dell’azienda, che passano nelle mani di un Curatore nominato dal Tribunale. Il curatore chiude l’attività salvo esercizio provvisorio in rari casi (se vendere l’azienda come operativa conviene, il tribunale può autorizzare il curatore a continuare temporaneamente l’esercizio). Viene formato lo stato passivo: un elenco dei crediti ammessi, secondo grado (privilegi, ipoteche, chirografi). Dopodiché il curatore procede a liquidare tutti i beni (vendere immobili, macchinari, magazzino, incassare crediti, ecc.) e a distribuire il ricavato ai creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione. Alla fine, l’azienda (se società) viene cancellata; se è un imprenditore individuale o soci illimitatamente responsabili, rimangono eventualmente i debiti insoddisfatti a loro carico personali, ma essi possono chiedere l’esdebitazione (liberazione) se hanno cooperato lealmente e non c’è riparto sufficiente – oggi l’esdebitazione può essere concessa anche entro 3 anni dalla chiusura, per dare una seconda chance all’ex fallito . La liquidazione giudiziale è quindi la “fine” dell’impresa: distrugge la continuità, ma assicura che quel poco valore residuo sia ripartito equamente. Ha anche finalità punitive e di indagine: in sede di liquidazione giudiziale si indaga sul comportamento degli amministratori, come accennato, con possibili azioni di responsabilità e bancarotta.

In passato “fallimento” era quasi una parola tabù. Oggi si cerca di usarla come extrema ratio. La legge favorisce prima le soluzioni concordatarie, tant’è vero che se pende un’istanza di fallimento l’imprenditore può proporre un concordato preventivo fino all’ultimo (purché prima dell’udienza di apertura liquida. giud.) e ottenere la priorità. Anche durante la liquidazione, se emerge un’opportunità di concordato tardivo, si può presentare. Questo perché il sistema privilegia salvare quello che si può (continuità aziendale dove possibile), poiché è interesse generale (preservare posti di lavoro, indotto, valore economico). La liquidazione giudiziale resta però necessaria quando l’azienda è decotta e nessuno strumento di risanamento è praticabile.

3. Amministrazione Straordinaria delle Grandi Imprese in Crisi: Solo per cenno, esiste una procedura speciale per grandissime imprese (D.Lgs. 270/1999 e D.L. 347/2003 cosiddetto “Prodi bis”): l’Amministrazione Straordinaria. Si applica ad aziende con almeno 200 dipendenti e debiti oltre certe soglie (indicativamente >50 milioni) che abbiano prospettive di recupero attraverso una ristrutturazione o cessione. È una procedura concorsuale volta principalmente a salvaguardare la continuità produttiva e occupazionale di imprese di interesse strategico nazionale. Nel settore chiller industriali ciò potrebbe essere ipotizzabile solo per aziende molto grandi leader di mercato. L’A.S. prevede l’intervento del Ministero dello Sviluppo Economico e la nomina di uno o più Commissari Straordinari con poteri molto ampi, con piani di ristrutturazione triennali. Poiché la guida è orientata su PMI e scenario generale, non entriamo nel dettaglio; basti sapere che per le grandi imprese vi è questo ulteriore strumento, che però è raro e di competenza governativa.

4. Concordato semplificato post-composizione negoziata: Già citato sopra, lo ricordiamo qui perché è una via di fuga concorsuale specifica: se hai avviato una composizione negoziata ma non hai trovato accordo con i creditori, entro 60 giorni dalla relazione finale dell’esperto puoi proporre al tribunale un concordato per liquidare i beni senza attendere il voto dei creditori (art. 25-sexies CCII). Il tribunale sentirà i creditori ma decide di omologare se il piano rispetta i requisiti (il pagamento di almeno il 20% ai chirografari salvo deroghe, etc.). È un modo per chiudere rapidamente la crisi in tribunale evitando il prolungarsi di un fallimento, ma ovviamente implica che l’azienda cessa e liquida tutto. Può essere utile in certe situazioni per evitare il caos, specie se c’è già un acquirente pronto a rilevare l’azienda “pulita” dai debiti.

Abbiamo elencato gli strumenti. La scelta concreta dipende dal caso: ad esempio, se l’azienda ha chance concrete di rilancio (ordini in ripresa, un investitore interessato), vale la pena tentare un concordato in continuità o un accordo di ristrutturazione, magari preceduti da composizione negoziata. Se invece la situazione è irreversibile (mercato assente, impianti obsoleti, nessuno interessato a investire), può essere più onorevole e conveniente procedere ad una liquidazione ordinata (concordato liquidatorio se si vuole gestirla internamente, oppure lasciar fare al curatore chiedendo la liquidazione giudiziale).

Per aiutare l’imprenditore a orientarsi, presentiamo di seguito una tabella riepilogativa che collega le diverse fasi/condizioni dell’azienda con lo strumento consigliato e qualche nota esplicativa.

Tabella 1 – Percorso decisionale e strumenti per il debitore

Fase/Condizione dell’aziendaOpzione consigliataNote
Crisi iniziale, tensione di liquidità ma impresa ancora vitale (insolvenza non conclamata)Negoziazione privata con creditori chiave; valutare Composizione negoziata se difficoltà più serieMantenere riservatezza, evitare allarmismi. Se sono pochi creditori importanti: tentare accordi bilaterali (es. allungamento pagamenti, piccoli stralci in cambio di pronto pagamento). Se già emergono segnali multipli di crisi: attivare la Composizione negoziata per ottenere protezione (stay) e assistenza di un esperto indipendente nel rinegoziare in modo coordinato.
Crisi conclamata ma con prospettive di risanamento (ordini in ripresa, interesse di investitori)Accordo di ristrutturazione dei debiti (ARD) oppure Concordato in continuitàSe si riesce a coinvolgere la maggioranza qualificata dei creditori in modo consensuale: ARD è più rapido e “discreto”. Se invece serve ristrutturare in profondità e coinvolgere tutti, o imporre sacrifici anche ai dissenzienti: concordato preventivo con continuità (diretta o tramite un investitore che subentra). La Composizione negoziata può essere un preludio utile in entrambi i casi per preparare il terreno.
Insolvenza grave, attività ferma o non più sostenibile in futuroConcordato liquidatorio (se il debitore vuole gestire la chiusura) oppure direttamente Liquidazione giudiziale (fallimento)Se c’è qualche attivo da valorizzare e si vuole chiudere ordinatamente evitando iniziative aggressive dei creditori: concordato liquidatorio con proposta di cedere beni e ripartire il ricavato (il vantaggio è che il debitore può scegliere modalità e tempi delle vendite, magari trovando acquirenti mirati). Se invece la situazione è fuori controllo o l’imprenditore preferisce farsi da parte: non opporsi alla liquidazione giudiziale; collaborare col curatore può portare anche all’esdebitazione personale più veloce.
Piccola impresa sotto soglie di fallibilità, debiti insostenibiliConcordato minore (se si vuole tentare un accordo con pagamento parziale) oppure Liquidazione controllata (se non c’è nulla da offrire ai creditori)Le procedure da sovraindebitamento permettono anche al “non fallibile” di trovare soluzioni. Il concordato minore è simile al concordato preventivo ma senza voto: utile se si può pagare almeno una parte non irrisoria ai creditori (indicativamente >20-30%). Se invece non c’è prospettiva di pagare, la liquidazione controllata chiude l’impresa, liquidando i beni (come un mini-fallimento) e consente al debitore di essere liberato dai debiti residui (esdebitazione).
Minaccia di singoli creditori (pignoramenti imminenti, decreti ingiuntivi) e necessità di tempo per definire un pianoConcordato “in bianco” (prenotativo) oppure richiesta di Misure protettive in Composizione negoziataEntrambi gli strumenti congelano temporaneamente le azioni esecutive dei creditori (stay). Il concordato in bianco, appena depositata la domanda, blocca tutto automaticamente (automatic stay ex art. 54 CCII). La composizione negoziata richiede un decreto del tribunale per confermare le misure protettive, ma può ottenersi in tempi brevi. La scelta dipende dalla strategia: il concordato in bianco impegna a presentare poi un piano concordatario; la composizione negoziata si adatta se si vuole prima tentare un accordo senza entrare in procedura. In alcuni casi si può iniziare con CNC + misure protettive, e passare a concordato se l’accordo non si trova.
Elevato debito fiscale/previdenziale (es. il debito verso Erario/INPS supera il 50% del totale debiti)Concordato preventivo (con transazione fiscale) oppure ARD con transazione fiscale (e eventuale cram-down pubblico)Fuori dalle procedure, il Fisco non accetta stralci sul capitale (al massimo concede dilazioni e toglie sanzioni con le “rottamazioni”). Quindi, se la posizione fiscale/INPS è molto pesante, servono strumenti concorsuali per ridurre/dilazionare questi debiti: tipicamente un concordato preventivo con transazione fiscale (meglio se in continuità aziendale, così da poter rateizzare nel piano) ; in alternativa un Accordo di ristrutturazione con transazione fiscale (se riesci ad avere l’adesione dell’Erario) – tra l’altro dal 2020 la legge consente l’omologazione dell’accordo anche senza il voto favorevole di Agenzia Entrate o Inps, purché gli sia assicurato almeno il valore di liquidazione (cram-down fiscale) . Nota: se il debito fiscale è preponderante (tipo 80% del debito totale) e dovuto ad anni di omissioni, può essere difficile ottenere l’ok dell’Erario o comunque gestire il risanamento (l’Erario ha vincoli stringenti per aderire). In questi casi estremi spesso l’esito è la liquidazione, magari preceduta da un tentativo di concordato per gestire alcuni aspetti.
Molti debiti garantiti (leasing, mutui ipotecari) e garanzie personali dei sociNegoziazione mirata + piano attestato/ARD, oppure, se non basta, Concordato preventivo con trattativa parallela sulle garanzieQuando buona parte del debito è verso banche/leasing con garanzie specifiche (pegni, ipoteche) o personali dei soci, serve una strategia ad hoc. Idealmente: negoziare prima con queste parti per ottenere moratorie o rimodulazioni (ad esempio un accordo ex art. 62 CCII di moratoria con le banche, o includere nel piano attestato la continuazione dei leasing). Se ciò fallisce, in un concordato si dovranno trattare questi creditori in modo da non perdere i beni: es. prevedere di pagare i leasing per continuare ad usare i macchinari indispensabili, magari vendere asset non strategici per soddisfare i creditori garantiti. Le garanzie personali (fideiussioni dei soci): il concordato non le estingue di default , quindi va considerato un accordo extra-piano: spesso le banche, se il concordato della società gli paga una buona percentuale, possono rinunciare ad escutere il socio garante (ma va negoziato a parte e messo per iscritto). I soci, d’altro canto, potrebbero essere chiamati a mettere nuova finanza nel piano proprio per migliorare il recupero delle banche e farsi liberare dalla garanzia. Insomma, questa situazione richiede finezza: evitare che la banca escuta subito il socio (magari portandolo al fallimento personale), coinvolgendo i garanti nel piano di soluzione.
Interessamento di terzi a rilevare l’azienda (investitori esterni interessati all’acquisto)Composizione negoziata per trattare la vendita, poi Concordato in continuità indiretta (o Amministrazione Straordinaria se requisiti)Se c’è un potenziale acquirente disposto a investire nell’azienda (es. un concorrente o un fondo interessato alla tecnologia e mercato del debitore), la strada ottimale è quella concordataria: vendere l’azienda “pulita” dai debiti attraverso un concordato in continuità indiretta (cessione d’azienda o di ramo a un terzo come mezzo attuativo del piano). Si può sfruttare la Composizione negoziata all’inizio per discutere i termini della cessione con l’acquirente e i creditori principali, poi passare a un concordato dove l’acquirente paga un prezzo che va a costituire l’attivo per soddisfare i creditori. Il vantaggio del concordato è che il tribunale può autorizzare la vendita dell’azienda senza accolli di debiti (si trasferisce libera dai debiti ex art. 2560 c.c., grazie all’art. 91 CCII) e anche al di fuori di procedure competitive se c’è un’offerta vantaggiosa . Questo spesso massimizza il valore di realizzo rispetto a una vendita fallimentare. Nota: se l’azienda è grandissima con valenza pubblica (oltre 200 dipendenti, ecc.), si può valutare l’Amministrazione Straordinaria, che è anch’essa focalizzata su cessione e continuità, ma come detto è applicabile a pochi casi.

Legenda: ARD = accordo di ristrutturazione dei debiti; CNC = composizione negoziata della crisi; prededuzione = spesa o credito pagabile con priorità perché funzionale alla procedura; privilegio = diritto di prelazione di un credito su determinati beni o in generale; cram-down = imposizione coattiva ai dissenzienti di un accordo o piano, su decisione giudiziaria.

Come mostra la tabella, ogni situazione ha uno “strumento” più adatto. Il bravo consulente saprà identificare la via migliore o la combinazione di vie (spesso si procede per gradi: ad esempio, Composizione negoziata → se fallisce, Concordato preventivo → e solo se anch’esso fallisce, Liquidazione). È importante essere flessibili: tenere aperte più opzioni e adeguare la strategia all’evolversi dei fatti e delle reazioni dei creditori.

Nei prossimi capitoli analizzeremo in dettaglio come vengono trattati i diversi tipi di debito (verso banche, Erario, fornitori, ecc.) all’interno di questi strumenti. Prima però, è utile spendere qualche parola su vantaggi e principi generali di una gestione “guidata” della crisi rispetto al lasciare che siano i creditori a fare il primo passo.

Vantaggi di una gestione attiva e “guidata” della crisi

Affrontare la crisi tramite un percorso strutturato (piano, accordo o procedura concorsuale) offre vari benefici rispetto al subire passivamente le azioni scoordinate dei creditori. Dal punto di vista del debitore, i vantaggi sono:

  • Continuità operativa: scegliendo strumenti come la composizione negoziata o il concordato in continuità, l’azienda può continuare ad operare durante la soluzione della crisi. Ciò permette, ad esempio, di completare le commesse in corso, mantenere i contratti con clienti importanti e preservare il valore dell’avviamento. Al contrario, se più creditori agiscono con pignoramenti, l’attività potrebbe bloccarsi immediatamente. Le procedure concorsuali moderne mirano a evitare l’interruzione brusca dell’attività, perché un’azienda “viva” produce più valore utile anche ai creditori.
  • Coordinamento e blocco delle azioni esecutive: quando si attiva una soluzione di natura concorsuale o quasi-concorsuale, si impone una disciplina collettiva: i creditori non possono più correre ognuno per conto proprio (il codice lo chiama principio della par condicio creditorum, parità di trattamento). Ad esempio, nel concordato preventivo nessun creditore individualmente può pignorare o ipotecare beni dopo la domanda ; nella composizione negoziata, ottenute le misure protettive, c’è un analogo blocco . Questo evita il caos del “far west” in cui chi arriva primo prende tutto e gli altri rimangono a bocca asciutta. Anche gli accordi omologati hanno effetto di impedire azioni individuali per i crediti ristrutturati. In sostanza, si crea una sorta di “tregua” durante la quale si negozia e si attua il piano senza l’assillo di nuovi pignoramenti.
  • Riduzione o dilazione dei debiti in modo sostenibile: usando gli strumenti legali, il debitore può ridurre il monte debiti a un livello sostenibile e/o ottenere dilazioni di pagamento adeguate alle sue capacità. Esempio: un’azienda può proporre in concordato di pagare solo il 50% ai chirografari in 5 anni, oppure in un accordo transattivo con le banche di allungare i mutui da 5 a 15 anni con interessi minori. Queste cose non si ottengono se non col consenso dei creditori, ma la cornice concorsuale spesso mette i creditori di fronte al fatto compiuto: o accettano una soluzione ragionevole, o rischiano di meno (o nulla) in caso di fallimento. Ad esempio, i creditori pubblici sanno che in fallimento spesso recupererebbero zero euro, quindi sono incentivati ad accettare un concordato dove magari prendono il 20%. Stralci di debito, falcidie di interessi e sanzioni, taglio di parte del capitale: tutto ciò è fattibile con piani omologati – mentre fuori da tali strumenti, il creditore potrebbe pretendere il 100%. Anche piani di rientro lunghi (dilazioni decennali) sono possibili, quando in una causa esecutiva un creditore monetizzerebbe in un unico evento (spesso con forti perdite perché l’asta deprezza i beni).
  • Tutela dei beni aziendali e spesso anche personali: avviare una procedura come il concordato attiva automaticamente protezioni su beni fondamentali dell’azienda. Ad esempio, durante il concordato o la composizione negoziata con misure protettive, i macchinari e impianti non possono essere pignorati né le scorte sequestrate . Questo consente all’impresa di continuare ad usare i mezzi di produzione per generare valore. Inoltre, se l’imprenditore (o i soci) hanno dato fideiussioni personali, c’è la possibilità di negoziare nel contesto di un accordo complessivo che tali garanzie non vengano escusse. È chiaro: la legge non può impedire al creditore di agire contro il garante, però nella pratica quando si imposta un concordato o accordo, si cerca di coinvolgere anche le banche sul tema garanzie (spesso la banca, come detto, rinuncia a colpire il socio se il piano concordatario è soddisfacente). Di certo, se non c’è una procedura e la banca vede l’azienda andare male, quasi sicuramente attaccherà i garanti per tempo. In un contesto concordatario, c’è spazio per trattare anche questa dimensione (magari offrendo al garante di contribuire al piano in cambio di liberazione).
  • Scongiurare la Liquidazione Giudiziale e i suoi effetti dirompenti: riuscire a evitare il fallimento significa anche evitare le pesanti conseguenze ad esso legate. Un concordato preventivo approvato e omologato impedisce successivamente ai creditori di chiedere il fallimento per quei debiti (finché il piano è eseguito). Inoltre, previene le azioni revocatorie su pagamenti fatti in coerenza col piano e altre cause risarcitorie: l’art. 120 CCII (già art. 184 l.fall.) stabilisce che dopo l’omologa del concordato i creditori sono vincolati e non possono pretendere altro , e atti autorizzati in concordato non sono soggetti a revocatoria. Dunque, dal punto di vista dell’imprenditore, chiudere i debiti in concordato offre una liberatoria che il fallimento non offre (nel fallimento la società viene dissolta e i creditori insoddisfatti, pur senza più azione contro la società estinta, potrebbero rivalersi su coobbligati; nel concordato c’è continuità e certezza sui crediti definiti). Anche a livello di reputazione e opportunità future: un concordato concluso permette all’azienda (o all’imprenditore) di conservare un po’ di credibilità sul mercato. Un fallimento è percepito molto peggio da clienti e fornitori rispetto ad un concordato andato a buon fine (in cui l’azienda ha pagato almeno una parte dei debiti e continua magari l’attività). Da non trascurare: gli aspetti penali – in un concordato trasparente e approvato dal tribunale, di solito gli organi valutano le cause della crisi e se l’imprenditore ha agito correttamente non si hanno strascichi penali, a differenza del fallimento in cui l’indagine penale scatta quasi automaticamente.

In conclusione, gestire attivamente la crisi conviene: consente di minimizzare le perdite, talvolta di salvare l’impresa, e in ogni caso di avere un controllo (seppur parziale) sul destino proprio e dell’azienda, anziché subire passivamente la disgregazione. Naturalmente, non è una panacea: richiede impegno, costi (ci sono professionisti da pagare, eventuali spese di procedura), e sacrifici (nessun concordato toglie i debiti senza sforzi). Ma è un approccio razionale e spesso premiante.

Nei prossimi paragrafi ci concentreremo sul trattamento dei principali tipi di debito nell’ambito di queste strategie. Capire come vengono considerati i vari creditori (banche, fisco, fornitori, dipendenti, ecc.) è cruciale per pianificare un piano fattibile.

Analisi delle diverse tipologie di debito e strategie di gestione

Ogni categoria di debito ha caratteristiche giuridiche ed effetti propri, che condizionano il modo in cui può essere gestita nella crisi. Un buon piano di ristrutturazione deve tener conto di queste differenze: ad esempio, un debito con garanzia ipotecaria va trattato diversamente da un debito chirografario; un debito verso il Fisco ha limiti legali di trattamento diversi da quelli verso un fornitore ordinario; i debiti verso i lavoratori godono di tutele particolari, e così via.

In questa sezione esamineremo le principali categorie di debiti che tipicamente gravano su un’azienda di chiller industriali indebitata, evidenziando:

  • le loro caratteristiche (garanzie, privilegi, conseguenze del mancato pagamento),
  • le opzioni di soluzione (sia esterne alle procedure, come rateizzazioni amministrative, sia interne alle procedure concorsuali, come transazioni fiscali, classi di concordato, ecc.),
  • eventuali particolarità normative e aggiornamenti giurisprudenziali recenti relativi a ciascuna categoria.

Le categorie che tratteremo sono: debiti bancari e finanziari, debiti fiscali (verso l’Erario), debiti verso enti previdenziali (INPS, INAIL), debiti verso fornitori e altri creditori chirografari, debiti verso dipendenti.

Per ciascuna categoria forniremo una descrizione e successivamente, nella Tabella 2 al termine del capitolo, un confronto sintetico di come tali debiti vengono trattati nei diversi strumenti (fuori procedura, in un accordo, in concordato, in liquidazione). Questo aiuterà a capire “cosa aspettarsi” per ogni tipo di creditore nelle varie soluzioni.

Debiti bancari e finanziari (mutui, leasing, scoperti di conto)

Le banche e gli intermediari finanziari sono spesso tra i principali creditori di un’azienda manifatturiera. Nel settore dei chiller industriali, è comune avere mutui ipotecari (ad esempio per capannoni o impianti), leasing finanziari su macchinari di produzione, finanziamenti a medio termine contratti per investimenti, e affidamenti a breve termine per cassa (fidi di conto corrente, anticipo fatture, castelletti per Riba). Il debito bancario ha diverse peculiarità:

  • Presenza di garanzie (reali e personali): Molti debiti verso banche sono garantiti. Le garanzie reali tipiche sono ipoteche su immobili aziendali, pegni su macchinari o su titoli/azioni, privilegi speciali su beni d’impresa (ad es. beni mobili registrati finanziati con mutui agevolati). Inoltre, spesso i soci o terzi hanno prestato fideiussioni personali. Ciò significa che, in caso di insolvenza, la banca ha una posizione di forza: può rivalersi su quei beni specifici o sul patrimonio dei garanti. Nelle procedure concorsuali, i crediti bancari garantiti da pegno/ipoteca vengono classificati come privilegiati, con diritto di prelazione fino al valore del bene (l’eventuale eccedenza non coperta da garanzia va in chirografo). Esempio: se c’è un mutuo da €500k garantito da ipoteca su un immobile che ne vale €300k, la banca ha €300k di credito privilegiato ipotecario e €200k di credito chirografario residuo.
  • Clausole contrattuali risolutive e covenants: Il rapporto banca-impresa è regolato da contratti che spesso prevedono condizioni risolutive automatiche (decadenza dal beneficio del termine) se l’impresa ritarda i pagamenti o viola determinati indici finanziari (c.d. covenant, come rapporto finanziario, indice di liquidità, ecc.). Ad esempio, poche rate non pagate di un mutuo permettono alla banca di dichiarare il debito immediatamente esigibile per intero. Analogamente, se il bilancio dell’azienda presenta indicatori fuori dai parametri pattuiti, la banca può revocare gli affidamenti di conto. Questo crea un pericolo di effetto domino: un leggero default può portare la banca a “tirare il freno” e richiedere rientro immediato, generando una crisi di liquidità improvvisa (il classico effetto “pull the plug”, staccare la spina).
  • Segnalazioni in Centrale Rischi e reputazione creditizia: Quando un debitore è in sofferenza o ritarda i pagamenti oltre certi limiti, la banca lo segnala alla Centrale dei Rischi di Banca d’Italia. Tale segnalazione, soprattutto la classificazione a “sofferenza”, compromette la reputazione creditizia sia dell’azienda sia degli eventuali garanti. Tutto il sistema bancario viene a sapere che quell’azienda è problematica, quindi diventa difficile ottenere nuovi crediti o mantenere quelli esistenti. Insomma, il rapporto con le banche ha una dimensione sistemica: il default con una banca può propagarsi al credit crunch da parte di tutte le altre.
  • Responsabilità delle banche (merito creditizio): Da qualche anno si discute anche della concessione abusiva di credito: se la banca continua a prestare soldi a un’azienda decotta prolungandone l’agonia, potrebbe essere accusata di aver aggravato il dissesto. In sede di sovraindebitamento del debitore civile, il Codice della Crisi all’art. 65 prevede che la banca negligente possa vedersi respinta l’opposizione a un piano di ristrutturazione del debitore sovraindebitato, come forma di sanzione . Questo principio di derivazione europea (direttiva sul ristrutturazione) mira a responsabilizzare gli enti finanziatori. Per le PMI commerciali non è ancora emersa una giurisprudenza forte su concessione abusiva, ma è un tema da tenere presente: in caso di fallimento, il curatore talvolta valuta se chiamare in causa la banca che ha finanziato oltre il dovuto. Ciò detto, nella pratica immediata, l’azienda in crisi deve considerare che anche le banche fanno i propri calcoli: se vedono che continuare a sostenere l’impresa peggiorerebbe il loro recupero, taglieranno i fidi; se invece credono nel risanamento, possono essere flessibili.

Conseguenze del default bancario: Se l’azienda smette di pagare regolarmente le rate o va oltre i limiti dei fidi, la banca in genere:

  • invia una messa in mora e solleciti formali;
  • trascorso un breve periodo (anche 1-3 mesi a seconda dei casi), può risolvere il contratto di finanziamento per inadempimento;
  • conseguentemente, avvia le procedure esecutive: per un mutuo ipotecario, pignoramento immobiliare sul bene ipotecato (con successiva vendita giudiziaria all’asta); per scoperti di conto o fidi non garantiti, decreto ingiuntivo e poi pignoramento di conti, beni mobili o crediti verso terzi;
  • escussione delle fideiussioni: la banca contemporaneamente (o anche prima di colpire l’azienda) può chiedere ai garanti personali (soci o terzi che hanno firmato) il pagamento integrale. I garanti, se pagano, subentrano nel credito verso l’azienda, ma intanto subiscono loro l’esborso e possibili azioni sul patrimonio personale (ipoteca sulla casa del socio, ecc.).

Oltre a ciò, come detto, la banca classificherà l’esposizione a sofferenza e lo comunicherà: l’azienda troverà chiusi i rubinetti del credito in generale. Nei concordati preventivi, la legge prevede anche che se il debitore ha esposizioni bancarie, queste vanno cristallizzate: la banca deve presentare domanda di ammissione al passivo per il saldo dovuto e non può proseguire autonomamente se non secondo le regole concorsuali.

Possibilità di ristrutturazione del debito bancario: Le banche, a differenza del Fisco, sono in genere più disponibili a negoziare soluzioni volontarie se ritengono di recuperare di più dilazionando o riducendo il credito anziché forzando l’escussione immediata. Strumenti tipici di ristrutturazione bancaria in via stragiudiziale:

  • Moratorie e riscadenzamento: allungare i piani di ammortamento dei mutui (riducendo la rata), concedere periodi di pre-ammortamento (pagamento dei soli interessi per 6-12 mesi), unire più esposizioni in un unico finanziamento consolidato più lungo. Ad esempio, un mutuo residuo 5 anni può essere spalmato su 10 anni per abbassare la rata.
  • Saldo e stralcio: talvolta la banca accetta di chiudere la posizione a fronte di un pagamento immediato inferiore al dovuto (es. il 70% del totale) – specie se il credito è deteriorato e la banca preferisce incassare subito piuttosto che attendere esiti incerti. Ciò richiede però che il debitore procuri quella somma (spesso grazie a un nuovo investitore o mediante liquidazione di asset non dati a garanzia della stessa banca).
  • Conversione di fidi a breve in prestiti a medio termine: per imprese che utilizzano linee a breve (scoperti, anticipo fatture) senza riuscire a rientrare, si può negoziare di trasformare lo scoperto in un mutuo term loan da rimborsare a rate. Questo normalizza la posizione evitando il continuo sconfinamento.

Molti di questi accordi possono essere fatti in via privata. Tuttavia, se la crisi è avanzata, le banche di solito richiedono un piano di risanamento ben congegnato (magari attestato da un professionista) per fidarsi. Spesso infatti la ristrutturazione bancaria viene inquadrata in un piano attestato o – meglio ancora – in un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato o in un concordato. In quest’ottica:

  • Nel piano attestato, le banche partecipanti ottengono la protezione del piano contro revocatorie, come detto, e confidano nell’attestazione di fattibilità.
  • Negli accordi di ristrutturazione (ARD), le banche generalmente sono determinanti: il CCII prevede anche accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa per intermediari finanziari. Se almeno il 75% delle banche (per valore di credito) aderisce, l’accordo può essere esteso dal giudice alle eventuali banche dissenzienti rimaste fuori (art. 61 CCII, che recepisce l’ex art. 182-septies l.f.). Ciò tutela dal rischio che una singola banca “tenga in ostaggio” la ristrutturazione.
  • Nel concordato preventivo, i crediti bancari verranno suddivisi in classi (di solito separate da altri creditori) e possono subire falcidia per la parte chirografaria. I crediti garantiti da ipoteca o pegno devono essere soddisfatti almeno fino a concorrenza del valore del bene (valore di stima o di realizzo); se il piano prevede di mantenerli (ad es. continuare a pagare un leasing), dovrà rispettare certe condizioni. Le banche voteranno nel concordato in base alla convenienza rispetto all’alternativa fallimentare.
  • Nuova finanza: se per salvare l’azienda serve nuovo credito, la legge incentiva le banche a erogarlo in contesto protetto: ad esempio, nel concordato (o accordo) si può chiedere al tribunale di dichiarare prededucibili i nuovi finanziamenti (art. 99 CCII), così le banche sanno che quei nuovi prestiti verranno rimborsati con precedenza assoluta . Anche nella composizione negoziata, i finanziamenti autorizzati dall’esperto godono di esenzione da revocatoria e prededuzione .

In pratica, i debiti bancari richiedono un approccio calibrato: l’imprenditore deve evitare reazioni impulsive (come coprire un buco togliendo liquidità ad altri obblighi, o firmare cambiali che poi non riesce a onorare). Bisogna negoziare per tempo, con trasparenza, magari mettendo le banche attorno a un tavolo unico con l’aiuto di un esperto. E se qualche banca resta irragionevolmente ostile, ricordare che gli strumenti concorsuali permettono di imporre una soluzione anche al dissenziente (concordato, o accordo con cram-down finanziario).

Debiti verso il Fisco (Erario: imposte e tributi)

I debiti tributari verso lo Stato e gli enti locali sono una componente spesso cruciale della crisi d’impresa in Italia. Comprendono imposte non versate (IVA, ritenute IRPEF su dipendenti e fornitori, IRES, IRAP, accise, imposta di registro, tributi locali come IMU/TARI, etc.) e relativi accessori (sanzioni e interessi moratori). Per un’azienda in difficoltà, i debiti fiscali tendono ad accumularsi rapidamente perché, in situazioni di carenza di liquidità, si finisce per “tirare il collo” soprattutto al Fisco: molti imprenditori, di fronte al dilemma se pagare l’IVA o pagare i fornitori (o gli stipendi), scelgono di pagare questi ultimi e rimandare il versamento fiscale, sperando di recuperare in seguito. Questo è comprensibile ma pericoloso, perché genera esposizione con l’Erario, che ha i poteri di riscossione coattiva più incisivi.

Vediamo le caratteristiche dei debiti fiscali:

  • Creditori e natura del credito: Il creditore è lo Stato, rappresentato dall’Agenzia delle Entrate (per la fase di accertamento) e dall’Agenzia Entrate-Riscossione (AER, ex Equitalia, per la riscossione coattiva delle somme iscritte a ruolo). In caso di tributi locali, i creditori sono i Comuni/Enti locali ma il meccanismo di riscossione spesso è sempre tramite AER o concessionari analoghi. I debiti tributari possono essere privilegiati: ad esempio, l’IVA, le ritenute e alcuni contributi godono di privilegio generale mobiliare (ex art. 2752 e 2753 c.c.) sui beni mobili del debitore, entro determinati limiti temporali (per IVA e ritenute dell’ultimo anno) . Inoltre, se vanno a ruolo, su importi sopra €20.000, l’Agenzia Riscossione può iscrivere ipoteca sugli immobili del debitore , che dà privilegio speciale su quei beni. Le sanzioni tributarie invece sono sempre chirografarie (non privilegiate) nelle procedure concorsuali . Questo significa che in un fallimento o concordato le imposte hanno una prelazione (concorrendo con i privilegiati) mentre sanzioni e interessi di mora sono degradati a chirografo (il che implica che spesso vengono stralciati per primi in sede di trattativa o concordato, perché non protetti) .
  • Conseguenze del mancato pagamento fiscale: Il meccanismo standard è: l’impresa non versa un tributo (es. IVA di un trimestre), l’Agenzia Entrate registra il debito e, dopo la scadenza, questo viene iscritto a ruolo; quindi AER notifica una cartella esattoriale. Da lì, se entro 60 giorni la cartella non viene pagata né rateizzata, la Riscossione può avviare azioni esecutive: pignoramenti (conto corrente, crediti verso clienti), fermo amministrativo su veicoli aziendali, ipoteca su immobili come detto, e altri atti cautelari. Inoltre, l’impresa con debiti fiscali perde il DURC fiscale (documento di regolarità, analogo a quello contributivo) e non può ottenere certificazioni fiscali di regolarità, impedendo ad esempio partecipazione a gare pubbliche. Insomma, il Fisco può colpire duramente. In più, si accumulano sanzioni amministrative (in genere il 30% dell’importo non versato, rateabile) e interessi di mora (circa 4% annuo recentemente, variabile) che fanno lievitare il debito. Va però detto che in procedure concorsuali sanzioni e interessi, pur aumentando l’importo dovuto, come detto sono chirografari e spesso condonabili (ad es. nelle transazioni fiscali vengono spesso azzerati per favorire il risanamento) .
  • Profili penali per omessi versamenti: Sul piano penale, il diritto italiano prevede specifici reati tributari per i casi più gravi di omesso versamento. In particolare:
  • L’omesso versamento di IVA superiore a una certa soglia (attualmente €250.000 annui) è reato punito con la reclusione da 6 mesi a 2 anni (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000) .
  • L’omesso versamento di ritenute certificate (es. ritenute IRPEF su stipendi o compensi) oltre €150.000 annui è parimenti reato (art. 10-bis D.Lgs. 74/2000) .

Importante: nel 2020 è stata modificata la norma aggiungendo che il reato si perfeziona solo se il contribuente non versa entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello di scadenza . Ciò concede, di fatto, qualche mese in più per regolarizzare ed evitare il penale (prima il termine era il 16 marzo anno successivo per IVA, ora di fatto fine anno). Ad esempio, l’IVA 2024 non versata a marzo 2025 non genera reato se viene comunque pagata entro il 31/12/2025 . Inoltre, importi modesti sotto soglia non integrano reato (es. se ometti €100k di IVA non è punibile penalmente perché sotto €250k). E l’ordinamento ha previsto che omessi versamenti di minore entità possano costituire solo illecito amministrativo: ad esempio per contributi previdenziali, omessi versamenti fino a €10.000 annui sono depenalizzati (sanzione amministrativa pecuniaria) mentre oltre è reato (art. 2 comma 1-bis D.L. 463/1983 conv. da L. 638/1983).

Tuttavia, non bisogna illudersi: la crisi di liquidità non è di per sé un’esimente penale. La Cassazione penale ha ripetutamente affermato che la difficoltà finanziaria dell’impresa non esime dagli obblighi tributari, specie se nel frattempo l’imprenditore ha impiegato risorse per altri fini (pagare altri creditori) invece di versare il dovuto allo Stato . In sostanza, utilizzare la “crisi” come giustificazione per non pagare le imposte è un terreno scivoloso. La legge semmai si aspetta che ci si attivi per tempo con strumenti legali (dilazioni, accordi, procedure) anziché lasciare che i debiti fiscali lievitino nell’illegalità . Detto ciò, la recente normativa è leggermente più flessibile: come visto, ha esteso i termini per ravvedersi e ha alzato le soglie. Questo riflette una volontà di punire solo gli omissivi incalliti e dare chance a chi cerca di rimediare. Ad esempio, se entro fine anno versi almeno una parte e rateizzi il resto, il reato può non perfezionarsi . In più, nel caso dell’omesso versamento contributi INPS per i dipendenti, pagare entro 3 mesi dalla contestazione estingue il reato (se oltre €10k).

In ogni caso: sul piano penale tributario è fondamentale che l’imprenditore documenti la propria situazione di crisi e le ragioni dei mancati versamenti, e soprattutto che faccia il possibile per porvi rimedio (anche attraverso il concordato). Il concordato preventivo in sé non estingue i reati di omesso versamento pregressi (perché quelli si estinguono solo con il pagamento integrale del dovuto prima del giudizio, cosa che raramente avviene in crisi) . Ma portare i libri in tribunale e trattare il debito fiscale in modo trasparente può costituire un elemento a favore, sul piano dell’attenuante di aver riparato parzialmente il danno (se si paga qualcosa nel piano) o della non colpevolezza se il giudice ravvisa che il mancato versamento non fu dovuto a colpa grave o dolo (ipotesi per ora teorica, visto l’orientamento restrittivo). Resta il fatto che chi ignora il debito IVA sperando di farla franca rischia grosso: conviene invece affrontarlo con gli strumenti a disposizione.

Possibilità di gestione e tutela dei debiti fiscali: Quali sono le opzioni per un debitore che ha accumulato un debito fiscale elevato, per evitare di essere travolto da cartelle e pignoramenti?

  • Dilazione amministrativa (rateizzazione): È la prima cosa da valutare. L’Agenzia Entrate-Riscossione consente di rateizzare le cartelle esattoriali. Ci sono varie soglie: per debiti fino a €120.000 circa, la rateazione è concessa quasi automaticamente su semplice istanza (piano ordinario fino a 72 rate, cioè 6 anni) . Per importi superiori, bisogna dimostrare uno stato di temporanea difficoltà e si può chiedere un piano straordinario fino a 120 rate (10 anni). Durante la rateazione, AER sospende le azioni esecutive, purché si paghino regolarmente le rate. Questa è una soluzione amministrativa fuori dal tribunale. Attenzione: la rateazione non riduce l’importo (salvo sanzioni già ridotte per adesione), ma lo spalma. Se l’azienda può sostenere le rate, è un buon strumento di respiro.
  • Definizioni agevolate (“rottamazioni”): Negli ultimi anni, per ragioni politiche, sono state introdotte varie misure di pace fiscale. Ad esempio la rottamazione-quater 2023/24 (Dl 197/2022) ha permesso di pagare i ruoli fiscali eliminando sanzioni e interessi di mora, in forma rateale fino a 18 rate . Queste misure sono estemporanee e richiedono un intervento legislativo (non è detto ce ne siano altre in futuro, ma negli ultimi 5-6 anni ce ne sono state diverse). Sfruttarle quando ci sono è importante: possono ridurre significativamente il carico (le sanzioni amministrative in certi casi sono il 30-50% del debito di cartella). Quindi l’azienda indebitata col Fisco deve stare attenta a eventuali sanatorie e coglierle. Ad esempio, se è aperta una finestra per rottamare le cartelle, aderire può abbattere il debito ed eventualmente inserire poi solo la parte residua in un piano di concordato.
  • Strumenti concorsuali con transazione fiscale: Se il debito fiscale è enorme (tale da non essere pagabile integralmente neppure in 10 anni) o se comunque l’azienda è insolvente anche al netto del Fisco, occorre passare agli strumenti del Codice della Crisi. Concordato preventivo e Accordi di ristrutturazione consentono di includere nel piano una transazione fiscale (art. 88 CCII, ex art. 182-ter l.f.), ossia un accordo con l’Erario per il pagamento parziale delle imposte e contributi. Nel piano di concordato si deve offrire al Fisco almeno il valore che otterrebbe in caso di liquidazione fallimentare . Se l’Agenzia vota sì, perfetto; se vota no o si astiene, il tribunale può comunque omologare (cram-down fiscale introdotto prima dal DL 125/2020 e ora a regime ) a condizione che un attestatore indipendente certifichi che la proposta è più conveniente del fallimento per il Fisco e che non ci siano comportamenti frodatori. In altre parole, oggi anche senza il consenso formale del Fisco si può avere un concordato omologato che taglia l’IVA e altre imposte , purché si rispetti la regola di offrire almeno quel che il Fisco vedrebbe in liquidazione (spesso in liquidazione non prenderebbe nulla perché è postergato dopo dipendenti e garanti reali). Ad esempio, se l’azienda ha principalmente macchinari dati in garanzia alle banche e magazzino, il Fisco in fallimento potrebbe prendere 0; quindi offrire 20% in concordato all’Erario può essere considerato accettabile e il giudice può omologare anche se l’Erario non fosse d’accordo . Ovviamente la speranza è di avere l’adesione del Fisco (oggi c’è una commissione apposita che valuta caso per caso in AE) ma non è più un veto assoluto.
  • Composizione negoziata con accordo fiscale: come menzionato, dal 2024 anche senza andare in concordato si può concludere nella composizione negoziata un accordo transattivo fiscale con l’Erario . Se l’Agenzia Entrate accetta, basterà il deposito di tale accordo in Tribunale per ottenere un decreto di efficacia . Questo è un strumento nuovissimo, per ora riservato al contesto CNC, e non copre i contributi INPS (solo tributi erariali, esclusi quelli UE, quindi IVA inclusa però). È una ulteriore opportunità quando l’unico grosso ostacolo è il Fisco: in pratica è una transazione fiscale anticipata senza dover aprire un concordato.

In ogni caso, prima di fare pagamenti parziali “fai da te” al Fisco o a qualunque creditore, occorre vedere il quadro intero. Cioè, non bisogna – per esempio – utilizzare le poche risorse disponibili per pagare solo il Fisco e lasciare indietro gli altri, né viceversa pagare solo fornitori e ignorare l’Erario, senza un disegno. Il principio chiave delle procedure concorsuali è la parità di trattamento dei creditori di pari grado (salvo accordi differenziati con consenso) . Pagamenti preferenziali fatti quando l’impresa era insolvente possono essere revocati successivamente dal curatore (azione revocatoria fallimentare). Quindi muoversi al di fuori di un piano può portare a risultati inutili (il curatore può farsi restituire quei soldi dal Fisco se li hai pagati preferenzialmente mentre lasciavi a secco i fornitori). Meglio agire nell’alveo di un piano complessivo.

Riassumiamo i punti salienti relativi ai debiti fiscali in una tabella.

Tabella 2 – Debiti fiscali: caratteristiche e gestione

AspettoDescrizione
CreditoriStato (Erario), rappresentato da Agenzia delle Entrate (accertamento) e Agenzia Entrate-Riscossione (ex Equitalia, riscossione coattiva). Possono includere imposte dirette (IRES, IRPEF), indirette (IVA, registro), ritenute non versate, accise, tributi locali (IMU, TARI, etc.).
Ranghi e garanzieMolte imposte hanno privilegio generale mobiliare sui beni mobili del debitore (es. IVA, ritenute per l’anno antecedente l’apertura procedura ). AER può iscrivere ipoteca su beni immobili se il debito iscritto a ruolo ≥ €20.000 (in tal caso l’Erario diventa creditore ipotecario fino a concorrenza). Sanzioni e interessi moratori sono chirografari (nessuna prelazione) in caso di procedura.
Conseguenze mancato pagamentoEmissione di avvisi bonari e cartelle esattoriali; maturazione di interessi e sanzioni (fino al 30% + interessi). Dopo 60 giorni dalla notifica cartella, se non pagata/rateizzata: partono azioni esecutive e cautelari (pignoramenti di conti e crediti, ipoteche, fermi amministrativi su veicoli) . Inoltre, l’azienda risulta irregolare sul piano fiscale (niente DURC fiscale, potenziali blocchi in appalti pubblici). In caso di importi rilevanti non versati (IVA > €250k, ritenute > €150k), scatta anche il reato tributario se entro il 31 dicembre dell’anno successivo non si è rimediato .
Strumenti di soluzioneFuori dalle procedure: Rateizzazione amministrativa delle cartelle (piani fino a 6 anni ordinari o 10 anni straordinari) ; eventuali rottamazioni/definizioni agevolate (condono di sanzioni e interessi, pagamento solo del capitale in forma dilazionata) se previste dalla legge .<br>– Procedure concorsuali: Transazione fiscale nell’ambito di concordato preventivo o accordo di ristrutturazione : possibilità di proporre il pagamento parziale e/o dilazionato di imposte, sanzioni e interessi (lo stralcio del capitale di IVA e ritenute è ammesso per legge dal 2017 in poi). Omologabile anche senza voto favorevole del Fisco se gli si offre almeno quanto la liquidazione e c’è attestazione indipendente (cram-down) .<br>– Composizione negoziata: possibile accordo transattivo con il Fisco dal 2024 , con autorizzazione giudiziale, per pagare in parte o a rate i debiti tributari, escludendo le risorse UE. Questo accordo “salta” solo se poi si apre liquidazione giudiziale o se l’azienda non rispetta le rate . In ogni caso, l’entrata in una procedura concorsuale blocca le azioni esecutive (automatic stay) e consente di disciplinare i pagamenti secondo un piano, evitando l’aggressione disordinata da parte del Fisco.

(Approfondimento penal-tributario): come nota finale, ricordiamo che nemmeno il fallimento cancella i reati tributari eventualmente commessi. Se l’amministratore è imputato per omesso versamento IVA, dovrà affrontare il processo penale anche se la società fa concordato e paga parzialmente il debito – l’estinzione del reato richiede il pagamento integrale, che solitamente non avviene . Tuttavia, il tribunale penale potrebbe valutare positivamente il fatto che tramite il concordato si è pagata una parte e l’azienda ha collaborato, ai fini della sospensione condizionale o attenuanti. Sottolineiamo qui che è vitale evitare che i debiti fiscali vadano fuori controllo: attivarsi con un piano prima che trascorra troppo tempo può fare la differenza tra incorrere o meno in responsabilità penali.

Debiti verso enti previdenziali (INPS, INAIL)

Accanto ai tributi fiscali, un capitolo fondamentale per un’azienda è quello dei debiti contributivi verso gli enti previdenziali e assistenziali, principalmente l’INPS (che gestisce pensioni e contributi obbligatori dei lavoratori dipendenti, artigiani, commercianti, gestione separata, ecc.) e l’INAIL (assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro). Questi debiti derivano dal mancato versamento di contributi dovuti sui salari dei dipendenti o sui redditi del titolare (per le gestioni autonome). Rientrano anche eventuali somme dovute a Casse professionali (se, ad esempio, l’azienda non ha versato contributi a casse di categoria per i professionisti convenzionati).

Perché sono cruciali? Perché garantiscono diritti dei lavoratori (pensionistici e assicurativi). Il DURC – Documento Unico di Regolarità Contributiva – attesta l’assenza di debiti verso INPS/INAIL e altre casse, ed è necessario per partecipare ad appalti pubblici e in certi settori per evitare sospensioni amministrative. Un’azienda non in regola con i contributi non può ottenere il DURC, con rischio di esclusione da cantieri pubblici e sospensione dell’attività in edilizia, ad esempio. Quindi, i debiti previdenziali minano anche la legalità operativa dell’impresa.

Caratteristiche dei debiti INPS/INAIL:

  • Privilegi e prededucibilità: I contributi previdenziali non versati ai lavoratori hanno un trattamento simile ai tributi. In particolare, l’art. 2753 c.c. dà privilegio generale sui mobili per “i contributi dovuti per legge ai dipendenti per la previdenza e assistenza” , equiparandoli ai tributi. Significa che in una procedura concorsuale, l’INPS è creditore privilegiato per i contributi dovuti (di solito degli ultimi 2 anni prima della procedura, se analogamente a tributi) – c’è un complesso intreccio normativo, ma semplificando: i contributi non pagati ai dipendenti godono di prelazione. Le sanzioni civili che INPS applica (interessi di mora e somme aggiuntive per ritardato pagamento) sono invece declassate a chirografo, analogamente alle sanzioni fiscali . Inoltre, contributi maturati durante una procedura di concordato in continuità sono prededucibili (vanno pagati con priorità, perché servono a garantire che i lavoratori in costanza di concordato vengano tutelati) . Se l’azienda non li paga, il concordato non può essere omologato o rischia di saltare.
  • Meccanismo di riscossione: L’INPS ha ottenuto dal 2011 procedure simili al Fisco. Emette Avvisi di Addebito immediatamente esecutivi (equivalgono a cartelle) e li affida anch’essi ad Agenzia Entrate-Riscossione per la riscossione coattiva . Dunque, per il debitore cambia poco: riceverà un avviso per contributi non pagati e, se non paga entro 60 giorni, partiranno fermi, ipoteche, pignoramenti come per i tributi. L’INPS inoltre può insinuarsi al passivo in fallimento con il suo credito privilegiato.
  • Conseguenze per i lavoratori: Se l’azienda non versa contributi per i dipendenti e poi fallisce, fortunatamente i lavoratori non perdono la pensione di quei periodi: interviene il Fondo di Garanzia INPS che copre TFR e ultime 3 mensilità, e (se previsto) i contributi non versati ai fondi pensione complementari, surrogandosi poi come creditore . Però sul lungo termine, contributi INPS scoperti possono richiedere macchinosi interventi per accreditarli.
  • Profili penali: Anche per contributi esiste un reato specifico: l’omesso versamento delle ritenute previdenziali dei dipendenti (cioè la quota a carico del dipendente trattenuta in busta paga) sopra una soglia (oggi €10.000 annui) è reato contravvenzionale (arresto o ammenda) se non viene regolarizzato entro termini. Se l’importo annuo omesso è entro €10.000 è sanzione amministrativa pecuniaria (depenalizzato). Quindi, un po’ come per l’IVA, c’è una soglia e un termine. Per i contributi, il termine di ravvedimento è più breve: tipicamente entro 3 mesi dall’ingiunzione o notifica. Inoltre, l’art. 13 D.Lgs. 74/2000 ora prevede come esimente generale l’assenza di colpevolezza se si prova che l’omesso versamento dipende da causa non imputabile (ma è teoria, difficile invocarla).

Strumenti di soluzione per debiti previdenziali:

  • Rateazione amministrativa INPS: L’INPS (o meglio AER per INPS) concede rateazioni analoghe a quelle fiscali: fino a 24 rate mensili normalmente, estensibili a 72/120 in alcuni casi. Bisogna presentare domanda e spesso garantire il versamento corrente dei contributi per mantenere la rateazione. Non sono generose come quelle fiscali, ma ci sono (le regole sono in parte comuni via AER).
  • Riduzione sanzioni civili: La legge prevede che in alcuni casi di ritardato pagamento per crisi, le enormi sanzioni civili INPS (che sono del 9% annuo circa, cumulative) possono essere ridotte a misura degli interessi legali. Questo avviene, ad esempio, se i contributi vengono pagati tutti prima di una certa fase processuale o se aderendo a procedure concorsuali.
  • Transazione contributiva nelle procedure: Di norma, il trattamento dei debiti INPS/INAIL nel concordato è parallelo a quello fiscale. Si parla spesso di transazione fiscale e contributiva congiuntamente. L’INPS tende ad aderire se l’Agenzia Entrate aderisce (hanno linee guida coordinate) . Anche qui, con la riforma, è previsto il cram-down contributivo: il tribunale può omologare il concordato nonostante il no di INPS, se al pari dell’erario è soddisfatto almeno come in liquidazione . Un aspetto: l’INPS ha privilegio per i contributi dei lavoratori, ma solo sulla parte del biennio pre-procedura per i dipendenti (per contributi più vecchi diventano chirografari). In concordato, spesso si propone di pagare integralmente i contributi dovuti ai dipendenti (per ragioni sociali e perché i lavoratori altrimenti ostacolerebbero il piano) e di falcidiare magari le sanzioni.
  • INPS Circolare 19/2023: è una fonte importante . L’INPS ha chiarito che nelle procedure il proprio credito va inserito in transazione contributiva se si vuole falcidiare la parte privilegiata; se il piano presentato non prevede la transazione e taglia contributi privilegiati, l’INPS farà opposizione all’omologazione. Questo per dire che è essenziale coinvolgere l’INPS nelle trattative al pari del Fisco.

In definitiva, debiti INPS e debiti Erario viaggiano spesso insieme. In un concordato ben fatto, ci sarà una sezione di transazione fiscale e contributiva, con un piano di pagamento per questi enti. Ad esempio, l’azienda può proporre: “Pago il 100% dei contributi dovuti ai dipendenti (privilegiati) e il 30% di IVA e il 30% di contributi eccedenti in 5 anni; stralcio sanzioni; chiedo esenzione di interessi”. L’attestatore certificherà che comunque in fallimento avrebbero preso magari 5%, e quindi la proposta è conveniente. Se INPS e AE aderiscono, bene; se non aderiscono ma è soddisfatto il test di convenienza, il giudice potrebbe ugualmente omologare .

Nella liquidazione giudiziale, invece, l’INPS concorrerà come creditore privilegiato di grado non elevatissimo (è dopo i dipendenti e equiparato al Fisco). Spesso in fallimento recupera poco (qualche percento, dipende dall’attivo). Le sanzioni INPS come detto verranno quasi certamente azzerate (il curatore paga prima i privilegi di grado superiore, e raramente arriva a pagare i chirografari INPS). I dipendenti comunque recuperano tramite il Fondo di Garanzia per TFR e ultime paghe, e i contributi figurativi dovuti per quelle ultime mensilità li versa il Fondo a surroga. I contributi arretrati non pagati, se la società è estinta, restano inesigibili, salvo responsabilità personali di amministratori se hanno commesso illeciti (es. mancato versamento previdenziale potrebbe portare a cartelle intestate anche a loro in certi casi, ma in generale il debito muore con la società, a meno che non sia comminata un’azione per danno erariale o simili). Per la persona fisica (imprenditore individuale) c’è l’esdebitazione che libera anche dai contributi residui, tranne quelli derivanti da illecito.

Debiti verso fornitori e creditori chirografari

La maggior parte delle imprese manifatturiere accumula debiti verso i fornitori di beni e servizi. Questi debiti commerciali (trade payables) tipicamente sono chirografari, cioè non assistiti da garanzie reali o privilegi legali, e hanno importi spesso frammentati su molti creditori (decine o centinaia di fornitori, ciascuno con fatture a 30-60-90 giorni). In una crisi di liquidità, la prima valvola di sfogo è spesso ritardare i pagamenti ai fornitori: l’azienda paga oltre la scadenza, chiede proroghe, lascia insoluti. Tuttavia, questa prassi, se protratta, può innescare reazioni a catena:

  • I fornitori non pagati, se essenziali, sospendono le forniture (ad es. il fornitore di componenti smette di spedire pezzi finché non vede i pagamenti arretrati). Ciò blocca la produzione e aggrava la crisi.
  • Alcuni fornitori, specie quelli meno legati all’azienda, agiscono legalmente: inviano diffide, poi ottengono decreti ingiuntivi e li notificano. Con un decreto ingiuntivo definitivo in mano, un fornitore può tentare il pignoramento di merci, di conti, o addirittura presentare istanza di fallimento se il credito supera €30k e può provare l’insolvenza.
  • La notizia di mancati pagamenti si diffonde nel mercato: altri fornitori potrebbero ridurre il fido commerciale (spedire solo previo pagamento, o pretendere contrassegno), peggiorando la stretta di liquidità.

In sintesi, i fornitori chirografari sono quelli che soffrono di più in caso di crisi e spesso reagiscono disordinatamente, a scapito anche della par condicio.

Caratteristiche di questi debiti:

  • Sono chirografari (nessuna prelazione) salvo che il fornitore abbia ottenuto nel frattempo un decreto ingiuntivo e iscrizione ipoteca giudiziale prima dell’apertura di un’eventuale procedura – ma è raro.
  • Spesso sono diffusi e di importo variabile: piccoli fornitori di poche migliaia di euro e grandi fornitori con centinaia di migliaia.
  • Hanno scadenze brevi (fatture a pochi mesi). Quindi già 3-4 mesi di ritardo sono vissuti come allarme.

Nella gestione della crisi:

  • Fuori dalle procedure, l’azienda può provare soluzioni private: piani di rientro dilazionati (pagare un po’ ogni mese), oppure se ha liquidità limitata, proporre saldo e stralcio a taluni fornitori (es. “ti pago subito il 50% se mi abbuoni il resto”). Queste trattative sono empiriche e discrezionali. Fornitori piccoli spesso accettano anche forti stralci pur di incassare qualcosa subito (per loro un decreto ingiuntivo e attesa fallimento sono costosi e incerti). Fornitori strategici, se confidano in future commesse, possono essere accomodanti (preferiscono mantenere il cliente, magari accettando di essere pagati per ultimi, ma intanto continuano a fornire). L’esito dipende dal potere contrattuale.
  • L’accordo di ristrutturazione può includere fornitori: essendo contratti privati, l’azienda può decidere quali creditori far firmare. Tuttavia, convincere decine di fornitori a firmare un accordo è complicato, a meno che siano concentrati (ad es. 5 principali fornitori che insieme fanno 60% del debito merci). Esiste uno strumento peculiare: la convenzione di moratoria ex art. 61 CCII (già art. 182-octies l.f.), che permette di estendere a tutti i fornitori l’effetto di un accordo di moratoria se almeno il 75% di una certa categoria di essi aderisce. È una forma di cram-down contrattuale rara, usata soprattutto con fornitori di filiera. Potrebbe applicarsi se, ad esempio, l’azienda convince il 75% dei fornitori chiave a concedere 6 mesi di moratoria sulle azioni legali, e il tribunale estende la moratoria anche al 25% dissenziente . Onestamente è poco usato in PMI.
  • Nel concordato preventivo, i fornitori chirografari saranno probabilmente la classe più numerosa e quella che subisce il taglio maggiore. La legge consente di classificare i chirografari in più classi con trattamenti differenziati se giustificato da posizione omogenea (es. si può fare una classe di “fornitori strategici” cui si offre il 30%, e una di “fornitori generici” cui si offre il 10%, motivando che i primi sono essenziali per proseguire l’attività) . Nel concordato liquidatorio puro, c’è la regola che deve essere assicurato un pagamento minimo del 10% ai chirografari (art. 84, co.6 CCII), salvo che tutti i chirografari concordino di prendere meno. Quindi 10% è un floor legale . Nel concordato in continuità, non c’è una percentuale minima fissa: in teoria potrebbe essere anche inferiore al 10% se il piano lo giustifica, perché l’importante è che i creditori non ricevano meno di quanto avrebbero in liquidazione e che almeno una classe di creditori chirografari voti favorevolmente (test di meritevolezza del piano) . In pratica però, offrire troppo poco ai fornitori rischia di far bocciare il piano in voto (servono >50% consensi). Una volta omologato, i fornitori incassano quanto previsto e perdono ogni diritto sul resto del credito . Se il concordato poi fallisse (risoluzione), riacquisirebbero il diritto al credito originario detratto quanto ricevuto, ma quell’ipotesi esula (speriamo il piano riesca).
  • Recupero in fallimento: purtroppo, storicamente i fornitori chirografari recuperano percentuali bassissime nelle liquidazioni giudiziali – spesso sotto 5-10%. Questo perché vengono dopo i privilegiati e spesso l’attivo basta a malapena per quelli. In molti casi, i chirografari restano a zero (soprattutto se ci sono banche ipotecarie che assorbono tutto). I fornitori possono insinuarsi al passivo con l’intero credito, ma ricevono solo l’eventuale riparto finale dopo anni . Se la procedura incassa qualcosa, fanno un riparto pro-quota. Ma di norma, i fornitori non contano su molto. Il curatore può, in alcuni casi, pagare in prededuzione quei fornitori che, su autorizzazione, hanno continuato a fornire beni/servizi in esercizio provvisorio della ditta fallita – ma questo è un dettaglio: se la fallita prosegue momentaneamente, chi fornisce dopo il fallimento viene pagato come costo della procedura.

In sintesi, i fornitori sono la categoria più esposta a perdite e perciò in un piano l’imprenditore deve valutare bene come trattarli: se l’azienda necessita di continuità, occorre incentivare i fornitori essenziali offrendo magari qualcosa in più (o pagamento integrale dei nuovi forniti post-domanda) per tenerli a bordo; se l’azienda chiude, i fornitori sanno di essere ultimi in fila e possono accettare percentuali modeste, consapevoli che il fallimento gli darebbe zero.

Contratti in corso e fornitori di servizi essenziali: Un capitolo particolare riguarda i contratti pendenti (locazione dell’immobile, utenze di energia, telefonia, manutenzioni in outsourcing, etc.). Qui le norme prevedono tutele: durante il concordato, i contratti in corso non si risolvono automaticamente solo perché si fa la procedura (le cosiddette clausole di “risoluzione in caso di fallimento” non operano nel concordato) . Il piano può decidere se proseguirli o scioglierli con autorizzazione del tribunale (pagando eventualmente un indennizzo come credito chirografario per il danno al contraente) . Fornitori di utenze (luce, gas) non possono staccare le forniture per i debiti pregressi se il debitore sta rispettando il piano o le condizioni stabilite (devono continuare a fornire, con pagamento regolare del corrente in prededuzione) . Il locatore dell’immobile vede i canoni pre-concordato considerati credito (privilegiato per l’anno corrente e l’anno precedente, il resto chirografo), ma i canoni post-domanda vanno pagati regolarmente (prededucibili) se il contratto prosegue . Se il curatore o commissario vuole, può chiedere scioglimento del contratto di affitto se l’immobile non serve più, pagando penale come credito chirografo. In fallimento, invece, i contratti si risolvono entro poco (60 giorni il locatore può riprendersi l’immobile, ecc.), a meno che il curatore opti per esercizio provvisorio.

Tutto questo per dire: i fornitori di servizi essenziali in concordato hanno anche normative di salvaguardia (non possono interrompere servizi indispensabili solo per i debiti pregressi, ma possono pretendere il pagamento dei consumi correnti in prededuzione) .

Dopo aver analizzato tutte le categorie, e prima di passare alle FAQ, presentiamo la Tabella 3 che sintetizza il trattamento dei vari tipi di debito nei diversi scenari: fuori procedura, in un accordo/piano, nel concordato e nel fallimento. Questo schema permette un confronto immediato e aiuta a comprendere come cambiano le regole del gioco a seconda dello strumento adottato.

Tabella 3 – Trattamento dei vari tipi di debito nei diversi strumenti

Tipo di debitoFuori da procedure (negoziazioni private)Accordo di ristrutturazione / Piano attestatoConcordato preventivoLiquidazione giudiziale
Bancario (mutui, fidi, leasing)Moratorie bilaterali possibili (es. proroga scadenze, periodo “solo interessi”); se garantiti da soci, rischio escussione immediata sul patrimonio personale. Banca può rinegoziare se convinta di recuperare meglio così anziché con esecuzione.Può prevedere riscadenzamento concordato nelle intese; se in accordo ex CCII, possibili clausole di estensione ai dissenzienti (cram-down finanziario se ≥75% banche aderisce) . Nuovi finanziamenti possibili con accordo/piano (prededucibili se omologato). Di solito i garanti soci devono essere gestiti fuori accordo (non sono vincolati dall’omologa).Falcidia sulla parte chirografaria se le garanzie reali sono insufficienti (es. mutuo ipotecario: banca privilegiata fino al ricavato del bene, l’eventuale eccedenza credito è chirografa e può essere tagliata) . Possibile finanza interinale o nuova finanza prededucibile autorizzata dal tribunale per la continuità . Le fideiussioni dei soci rimangono valide (creditore può chiedere ai garanti il resto non pagato) , salvo accordo liberatorio individuale.Crediti chirografari recuperano in percentuale bassa o nulla (dipende dall’attivo). Crediti ipotecari/pegno recuperano dal ricavato del bene specifico (spesso non integrale). I garanti personali vengono escussi parallelamente (i soci garanti possono fallire a loro volta se insolventi). Nuovi finanziamenti durante il fallimento sono rari (solo se è autorizzato esercizio provvisorio e servono per quello; comunque il curatore tende a non far debiti, e se li fa sono prededucibili). Centrale Rischi segnalata, reputazione creditizia compromessa.
Fisco (IVA, imposte)Rateizzazione fino a ~6 anni (72 rate) ordinaria, fino a 10 anni (120 rate) straordinaria, se ammessa . Possibili definizioni agevolate (“rottamazioni”) se previste da legge, che condonano sanzioni/interessi e permettono pagamento solo del capitale (dilazionato). Fuori procedure, nessuno stralcio sul capitale IVA/ritenute: vanno versate integralmente (lo Stato non può rinunciare al tributo in via ordinaria). Reati se superate soglie e non sanato entro termini .Transazione fiscale possibile integrarla nell’accordo omologato: può prevedere pagamento parziale/dilazionato delle imposte . Se l’Erario non aderisce, l’accordo può essere omologato ugualmente solo nei casi previsti (cram-down fiscale, introdotto dal 2020, ora art. 63 CCII): serve attestare che l’accordo offre almeno il 20% (o 30% in alcuni casi) e comunque ≥ scenario liquidatorio, e che l’ente non ha rifiutato arbitrariamente. Se invece manca l’adesione e non si soddisfano condizioni cram-down, i debiti fiscali non aderenti vanno pagati per intero entro 120 gg dall’omologa – pena la risoluzione dell’accordo. (Norma per evitare che l’accordo omologato lasci scoperto il Fisco dissenziente).Transazione fiscale interna al piano (art. 88 CCII): consente falcidia e dilazione anche dei tributi privilegiati (IVA, ritenute) . Serve offrire almeno quanto l’Erario otterrebbe da liquidazione. Omologabile anche senza voto AE/INPS (cram-down in concordato) se rispetto requisiti formali e sostanziali . Tipicamente, in continuità si propone di pagare IVA e imposte in percentuale (es. 20-30%) se in fallimento stima zero per l’Erario; sanzioni tributarie (chirografarie) spesso stralciate 100% . L’Erario ha privilegio generale: in concordato liquidatorio prenderà qualcosa solo se resta attivo dopo i privilegiati più alti (es. dipendenti, crediti ipotecari su quei beni). Se l’Erario ha ipoteche (ruoli >20k su immobili liberi pre-domanda), diventa creditore ipotecario e va soddisfatto come tale. Dopo l’omologa, la parte di debito fiscale non pagata è cancellata per la società (ma se soci garanti, attenzione: l’azione contro di loro rimane, salvo transazione liberatoria). Nota: il concordato non estingue reati tributari di omesso versamento, che restano perseguibili (salvo integrale pagamento, raramente possibile) .Crediti fiscali privilegiati soddisfatti solo se rimane attivo dopo aver pagato privilegiati di grado superiore (dipendenti, procedurali, ecc.): spesso ricevono una percentuale modesta (<10%) . Crediti chirografari (sanzioni, interessi) di solito 0% (sono tra gli ultimi in graduatoria). L’Erario può migliorare la sua posizione iscrivendo ipoteche prima del fallimento su beni liberi: se lo fa per tempo, entra come creditore ipotecario e può recuperare di più dal ricavato di quel bene . In fallimento chiuso, se la società è estinta, i debiti fiscali residui non riscossi restano inesigibili (lo Stato non li riscuote più). Se il debitore è persona fisica, può ottenere esdebitazione includendo anche i tributi (purché non dovuti per reati tributari dolosi). Tuttavia, l’esdebitazione non copre le sanzioni penali né le multe, ma solo i debiti civili.
Contributi (INPS, INAIL)Rateizzazione amministrativa fino a 6 anni (72 rate). Sanzioni civili per ritardato pagamento possono essere ridotte se si paga il dovuto volontariamente (alcune normative prevedono riduzione al tasso legale in caso di regolarizzazioni spontanee). Nessun stralcio del capitale contributivo fuori da procedure: i contributi vanno versati integralmente per legge, salvo prescrizione o condoni specifici (rari). Possibili condoni su sanzioni in passato (es. condono 2006).Transazione contributiva va di pari passo con quella fiscale: si include nell’accordo con il Fisco, proponendo pagamento parziale/dilazionato dei contributi dovuti. L’ambito soggettivo: imprenditore commerciale/agricolo. L’INPS generalmente aderisce se aderisce l’AE. Dal 2020 anche qui ammesso cram-down: l’accordo può essere omologato senza adesione INPS se è attestato conveniente e non c’è frode . (Analogo all’erario). Se l’INPS non aderente e niente cram-down, contributi privilegiati vanno pagati entro termini brevi dall’omologa come condizione (simile ai tributi).Trattamento: il credito INPS per contributi ha privilegio generale di grado medio (insieme a tributi). In concordato può essere falcidiato a condizione di offrire almeno quanto la liquidazione (principio di parità di trattamento come tributi). Spesso nel piano si propone: pagamento integrale dei contributi relativi ai dipendenti (TFR e ultimi mesi, anche perché spesso già anticipati dal Fondo di Garanzia), e stralcio delle sanzioni civili (chirografe) magari al 0-10%. I contributi possono essere dilazionati anch’essi. Debiti verso Casse professionali private similmente trattati come INPS. Attenzione: da prassi, se non si include la transazione contributiva e si cerca di tagliare contributi privilegiati unilateralmente, l’INPS si opporrà (circolare INPS 19/2023 ). Dunque bisogna prevedere nel piano il loro soddisfacimento almeno parziale concordato. Fondo di Garanzia INPS: in continuità, se si prosegue attività, bisogna pagare regolarmente i contributi correnti; se c’è cessione d’azienda in concordato, l’art. 2112 c.c. protegge i lavoratori (passano al cessionario con tutti i diritti) .INPS privilegiato concorre con l’Erario (stesso grado): di solito recupera qualche % dal realizzo dei beni se resta capienza dopo i creditori ipotecari e privilegiati di grado superiore (dipendenti). Le sanzioni INPS (chirografe) di solito 0%. Il Fondo di Garanzia interviene a tutela dei lavoratori: paga ai dipendenti eventuali contributi non versati ai fondi pensione complementari (e poi subentra al loro posto nel passivo come chirografo, raramente recuperando). Dopo chiusura fallimento, i debiti contributivi residui di una società estinta sono inesigibili (INPS li elimina, salvo responsabilità personali). Se persona fisica esdebitata, vengono cancellati anche per lui (tranne eventuali multe penali).
Fornitori chirografari (trade payables, altri debiti non garantiti)Piani di rientro privati, soluzioni individuali: l’azienda può proporre a ciascun fornitore dilazioni o saldo e stralcio (es. “ti pago 50% subito, rinunci al resto”). Nessun obbligo di legge: è contrattazione pura. Molto dipende dal rapporto di fornitura futuro: fornitori essenziali possono accettare dilazioni se vogliono mantenere il cliente; fornitori occasionali spesso agiscono legale se vedono ritardi senza comunicazioni. Fuori procedure, il creditore singolo può tentare di soddisfarsi per intero (pignoramento), quindi chi ha forza contrattuale la usa. Possibili moratorie di gruppo se fornitori organizzati (es. accordo di standstill temporaneo).Fornitori possono aderire a un accordo sottoscrivendolo: se lo fanno, accettano il pagamento parziale/dilazionato previsto. L’accordo vincola solo gli aderenti. C’è la possibilità (rara) della convenzione di moratoria ex art. 62 CCII: se fornitori strategici rappresentanti ≥75% crediti aderiscono a una moratoria, il giudice può estenderla ai non aderenti – strumento poco usato. Nel piano attestato, i fornitori se credono nel rilancio possono continuare a fornire e attendere i pagamenti secondo il piano, ma quelli non collaborativi possono comunque agire a meno che il piano non sia depositato e usato come difesa ex post (non impedisce azioni, ma eventuale revocatoria).Classi e falcidie: I fornitori chirografari saranno generalmente falcidiati (subiscono lo “stralcio” maggiore). Si possono suddividere in classi differenti con trattamenti diversificati a seconda della loro natura/ruolo (es. fornitori critici vs fornitori generici) . Percentuale minima: se concordato liquidatorio, almeno 10% ai chirografari ; se in continuità, può essere anche meno del 10% purché il piano sia conveniente e una classe di creditori chirografari approvi (non c’è soglia rigida) . Possono prevedersi pagamenti dilazionati negli anni a venire (in continuità, con i flussi). Dopo l’omologa, il fornitore riceve i pagamenti secondo piano e perde il diritto al credito eccedente (viene tagliato definitivamente) . Se la procedura di concordato poi fallisce, i creditori tornano al valore originario meno acconti presi (ma scenario indesiderato). Clausole contrattuali: Clausole di rescissione dei contratti per il concordato non hanno effetto (non si possono interrompere forniture per il solo fatto che il debitore ha chiesto concordato, art. 91 CCII tutela la continuità dei contratti) . Fornitori essenziali di forniture (utenze) devono continuare a fornire se il debitore paga il corrente: i crediti pregressi vanno in chirografo come gli altri .I fornitori chirografari di solito sono gli ultimi a essere pagati, quindi spesso non prendono nulla. Se rimane qualcosa dopo aver soddisfatto privilegiati e prededucibili, ricevono un dividendo proporzionale (es. 5% del loro credito, magari dopo anni) . Devono insinuarsi al passivo per l’intero importo; il curatore li soddisfa solo in coda. Statisticamente, il recupero medio chirografi è molto basso (<10%). Se i beni sono tutti ipotecati e privilegiati, i fornitori restano a zero. Tempi: l’eventuale riparto finale ai fornitori avviene alla fine della procedura, che può richiedere 5-10 anni. Eccezioni: se un fornitore ha continuato a fornire durante un eventuale esercizio provvisorio autorizzato dal tribunale, quelle forniture post-fallimento sono costi della procedura e vengono pagate in prededuzione (quindi integralmente) . Ma i crediti anteriori restano in coda. Molti contratti vengono sciolti in fallimento (affitto, forniture in corso) a meno che il curatore li mantenga per esercizio provvisorio; i fornitori hanno un credito per danni da scioglimento da insinuare (di solito chirografo).

| Locatore, utilities, altri contratti in corso | Soluzioni informali: il locatore può accordarsi per ridurre temporaneamente l’affitto o posticipare canoni in cambio di non perdere il conduttore; i fornitori di utenze possono concedere piani di rientro su bollette arretrate o non sospendere il servizio se intravedono prospettive (spesso richiedono garanzie o cauzioni aggiuntive). Tutto dipende dal rapporto: molti fornitori essenziali chiedono pagamento anticipato se fiutano rischio, altrimenti interrompono subito (possono farlo contrattualmente se ci sono clausole di inadempimento). | Possibile includere anche questi creditori nell’accordo: ad esempio, prevedere nel piano che il locatore rinunci a parte canoni arretrati e prosegua il contratto a condizioni riviste. Se aderiscono formalmente, sono vincolati. L’accordo omologato inoltre ha un effetto protettivo: la legge prevede (art. 10 CCII) che la sola presentazione della domanda di omologa di un accordo impedisce ai fornitori essenziali di risolvere i contratti per i ritardi pregressi, analogamente al concordato (norma ispirata all’art. 91 CCII) . Quindi, durante le trattative di accordo, i fornitori di utilities dovrebbero astenersi dal distacco se vedono un piano serio (questo in teoria; in pratica serve chiedere misure cautelari se serve). | Continuità contrattuale tutelata: per legge, i contratti pendenti non si risolvono automaticamente per il concordato (clausole risolutive legate a procedura non hanno effetto). I crediti pregressi di locatori e utilities rientrano nel passivo chirografario (affitti hanno privilegio limitato: 1 anno affitto ha privilegio sul bene locato, il resto chirografo) . I pagamenti dei canoni e utenze durante il concordato sono prededucibili (vanno pagati regolarmente per continuare a fruire del bene/servizio, sennò il fornitore può sospendere la prestazione corrente su autorizzazione). Il debitore può anche sciogliersi dai contratti inutili con autorizzazione tribunale (art. 97 CCII): ad es. può recedere da un contratto di leasing o affitto se non servono più, pagando l’eventuale penale come credito chirografo del fornitore . Se c’è cessione d’azienda in concordato, vige l’art. 2112 c.c.: i dipendenti passano al compratore con stessi contratti , mentre i contratti commerciali possono passare senza debiti su consenso o essere lasciati indietro. | Fallimento: I contratti in corso si risolvono ex lege (salvo esercizio provvisorio). Il locatore può riottenere l’immobile entro 60 giorni dalla dichiarazione di fallimento ; i canoni non pagati pre-fallimento: 1 anno anteriore e corrente privilegiati, il resto chirografo . I canoni per l’uso durante l’eventuale esercizio provvisorio sono prededucibili (vengono pagati). Le forniture di utilities: se il curatore non assicura pagamento corrente, possono sospendere subito. In esercizio provvisorio, i costi di corrente, gas, ecc. maturati sono prededucibili (quindi pagati con priorità) . Molti contratti vengono chiusi: es. contratti di manutenzione, leasing (il bene torna al lessor, che si insinua per il credito residuo detratto il valore del bene ripreso), assicurazioni, telefonia – cessano per cessazione attività. Eventuali cause legali pendenti contro l’azienda sono sospese e poi possono confluire nel passivo (se erano risarcimenti, etc.). |

Legenda: Cram-down fiscale/finanziario = forzatura dell’accordo su creditori pubblici o banche dissenzienti alle condizioni di legge; falcidia = pagamento parziale di un credito; moratoria = differimento dei pagamenti; prededuzione = credito da pagare in via prioritaria perché sorto per la procedura; classi = suddivisione dei creditori in categorie ai fini di voto e trattamento.

Come si vede da questa tabella riepilogativa, ogni tipo di debito ha un proprio “trattamento di favore” o di rigidità nelle varie soluzioni. Un piano di ristrutturazione ben fatto sfrutta queste leve normative: ad esempio, sapendo che in fallimento l’Erario probabilmente non incasserebbe nulla, si può proporre in concordato un pagamento ridotto ma ragionevole delle imposte, confidando nell’omologa anche senza il sì formale del Fisco . Oppure, sapendo che i fornitori rischiano di non vedere un euro, si può decidere di offrire un po’ di più a quelli strategici per convincerli a continuare a fornire durante la procedura, preservando la continuità produttiva (magari classificandoli in una classe ad hoc e dando loro una percentuale maggiore). Viceversa, si può “osare” uno stralcio significativo sui fornitori generici, spiegando loro che comunque sarebbe il massimo ottenibile.

In definitiva, il debitore e i suoi consulenti devono conoscere a fondo queste regole per negoziare efficacemente con ciascuna categoria di creditori. Ed è qui che l’assistenza di professionisti esperti fa la differenza: sapersi muovere nel labirinto di privilegi, percentuali, soglie, e recenti riforme normative.

Responsabilità degli amministratori e profili penal-tributari

(Abbiamo accennato più volte a questi temi lungo la guida, ma li riassumiamo qui per completezza, dal punto di vista del debitore amministratore della società.)

Un aspetto spesso trascurato dall’imprenditore in difficoltà è la propria responsabilità personale per come gestisce la crisi. La legge impone agli amministratori di società di capitali (S.r.l., S.p.A.) di agire con diligenza e professionalità; ciò include il dovere di attivarsi tempestivamente in presenza di sintomi di crisi. Con il nuovo Codice della Crisi (art. 3), è stato accentuato l’obbligo di predisporre assetti organizzativi adeguati a rilevare la crisi e attuare strumenti idonei a superarla. Se l’organo amministrativo ignora la situazione e lascia che i debiti aumentino senza fare nulla, può incorrere in responsabilità verso la società e i creditori.

Responsabilità civile verso la società e verso i creditori:

  • Gli amministratori possono essere chiamati a rispondere con il proprio patrimonio se la loro condotta ha danneggiato la società (azione di responsabilità ex art. 2393 c.c. in S.p.A./art. 2476 c.c. in S.r.l.) o direttamente i creditori sociali (azione ex art. 2394 c.c., quando il patrimonio sociale risulta insufficiente a soddisfarli per colpa di atti di mala gestio). Un classico caso: aver continuato ad operare in perdita aggravando il buco, invece di prendere misure o liquidare prima. Se in fallimento emerge che i creditori hanno ricevuto meno perché l’amministratore ha tardivamente depositato istanza, il curatore può esercitare l’azione di responsabilità per “violazione del dovere di conservazione del patrimonio sociale”. Le Sezioni Unite della Cassazione (sent. 6 maggio 2015 n. 9100) hanno chiarito che questa azione spetta al curatore per il pregiudizio ai creditori. Dunque, il rischio concreto è che, in caso di fallimento, il curatore faccia causa all’ex amministratore chiedendo risarcimento (che finisce nel patrimonio fallimentare a beneficio dei creditori).
  • Nel concordato preventivo, se va a buon fine, di solito queste azioni risarcitorie non vengono esercitate: l’omologazione e l’esecuzione del piano pone una pietra sopra (anche perché l’azienda continua, non c’è curatore che subentra). Tuttavia, se durante il concordato emerga che l’insolvenza è stata cagionata da atti di mala fede o colpa grave degli amministratori, nulla vieta ai creditori (dopo l’omologa) di agire verso costoro per la parte di danno non coperta dal concordato. Ma è raro: se il concordato paga parzialmente i creditori, difficilmente questi poi faranno ulteriori cause, avendo accettato il piano.

Responsabilità penale – reati fallimentari e tributari:

  • In caso di fallimento (liquidazione giudiziale), l’amministratore finisce sotto lente per possibili reati di bancarotta. I reati di bancarotta (disciplinati dal RD 267/42 ancora applicabile per la parte penale, sebbene in futuro verranno integrati nel CCII) puniscono varie condotte: bancarotta fraudolenta patrimoniale (distrazione di beni aziendali a sé stesso o altri, prima del fallimento), bancarotta fraudolenta documentale (falsificazione o sottrazione delle scritture contabili per ostacolare i creditori), preferenze fraudolente (pagamento preferenziale di alcuni creditori a danno di altri in prossimità del fallimento, con dolo), bancarotta semplice (colpe meno gravi, come aver aggravato la crisi per spese personali eccessive o inerzia). Le pene possono essere severe (fino a 6-10 anni per bancarotta fraudolenta). Esempi concreti: se l’amministratore ha trasferito a titolo gratuito un macchinario a un’altra società amica quando già era insolvente, è bancarotta; se ha tenuto la contabilità talmente caotica da non far capire nulla, può essere bancarotta semplice/documentale; se ha pagato interamente un fornitore “amico” poco prima del fallimento lasciando altri a zero, può configurarsi bancarotta preferenziale. Quindi è fondamentale evitare comportamenti opachi o favoritismi in crisi.
  • Nel concordato preventivo, la bancarotta fraudolenta non si applica perché non c’è dichiarazione di fallimento. Tuttavia, fatti fraudolenti commessi prima potrebbero venire a galla: ad esempio, se successivamente la società dovesse comunque fallire (magari il concordato fallisce e si tramuta in fallimento), allora tali atti sarebbero giudicati. Ci sono anche reati specifici, tipo reati di false attestazioni se l’attestatore del piano concordatario è stato corrotto e dichiara il falso (ma questo riguarda l’attestatore, anche se l’admin può concorrere). Diciamo che un concordato trasparente e approvato tende a immunizzare da accuse penali, salvo che si scopra che l’imprenditore abbia nascosto beni o dolosamente gonfiato passività per frodare i creditori (esiste il reato di ricorso abusivo al concordato – molto raro – se l’imprenditore presenta un concordato con atti in frode, art. 236 L.Fall, punito come bancarotta).
  • Reati tributari: ne abbiamo parlato sopra per IVA e contributi. L’amministratore rischia imputazioni per omesso versamento IVA/ritenute se ne ricorrono i presupposti. Inoltre, se nella crisi l’azienda emette fatture false o occulta ricavi, scattano i reati di dichiarazione fraudolenta o occultamento di scritture (D.Lgs. 74/2000). Insomma, il periodo di crisi è fertile di tentazioni illecite (es. “sposto merci in magazzino X così non me le pignorano” → se arriva fallimento: bancarotta per distrazione; oppure “vendo impianto a prezzo vile a società di mio cugino” → bancarotta; “non registro vendite per non pagare IVA” → reato tributario).

Doveri e attenuanti:

  • L’amministratore diligente, in una crisi, deve documentare tutte le sue scelte. Se decide di pagare alcuni fornitori e non altri, deve poter dimostrare che era necessario (es. ha pagato quelli senza cui la produzione si fermava, in buona fede). Se assume rischi (tipo contrarre un prestito oneroso per tentare il salvataggio) deve poter dire che all’epoca c’era ragionevolezza. Far emergere che ha tentato tutte le vie lecite per ridurre il danno è la miglior difesa: attivare la composizione negoziata, informare i creditori, presentare concordato prima di aggravare troppo il passivo, sono tutte mosse che poi vengono valutate positivamente . Ad esempio, Cass. penale ha considerato come scriminante (in alcuni casi) il fatto che l’imprenditore abbia privilegiato il pagamento di stipendi o forniture vitali rispetto al fisco in situazione di emergenza: in alcuni processi per omesso versamento è stata valutata l’assenza di dolo se l’alternativa era far chiudere l’azienda immediatamente (ma è raro ottenere assoluzione per “forza maggiore”).
  • Se poi l’esito è comunque la liquidazione, ricordiamo che oggi c’è la possibilità di ottenere l’esdebitazione personale per l’imprenditore fallito meritevole (che non abbia commesso atti di frode e abbia cooperato). L’esdebitazione è concessa di norma 3 anni dopo la chiusura del fallimento, ma può essere anche immediata per il “debitore incapiente” (nel sovraindebitamento, L. 3/2012, hanno introdotto la liberazione dei debiti anche se non si paga nulla, in certi casi). Questo per dire: l’ordinamento, pur punendo gli abusi, tende a dare una seconda chance a chi ha agito senza malafede.

In conclusione sul punto, l’amministratore dovrebbe:

  • Intervenire presto e attivare le soluzioni legali (evitando di accumulare ritardi e aggravare la posizione dei creditori).
  • Tenere una contabilità ordinata e trasparente: niente buchi o omissioni, anzi se possibile consegnare i libri contabili in Tribunale se si deposita concordato, in modo da dimostrare massima trasparenza.
  • Non distrarre beni: il patrimonio sociale, anche se insolvente, non va toccato per fini personali o di terzi – se si deve vendere qualcosa, farlo a valore di mercato e destinare ai creditori o al piano.
  • Evitare favoritismi non giustificati: se proprio paga qualche creditore in più, che sia in forza di un accordo generale o perché strettamente funzionale alla continuità (altrimenti, in fallimento, quelle somme potrebbero dover essere restituite).
  • Collaborare con le autorità e gli organi: se si apre una procedura, collaborare col commissario o curatore, fornire informazioni complete, non nascondere nulla. La collaborazione è spesso la discriminante tra un trattamento indulgente o severo verso l’imprenditore.

Di fatto, chi prende in mano la situazione e la conduce in modo trasparente (es. presentando un concordato ben documentato), anche se poi l’azienda non si salva, rischia molto meno in termini penali e di responsabilità di chi, invece, lascia incancrenire la crisi e porta i libri in tribunale all’ultimo con un buco enorme inspiegabile. Quindi, anche da un punto di vista egoistico, per proteggere sé stessi, è meglio agire proattivamente: chi lascia semplicemente fallire la società accumulando passività rischia di più di chi la conduce in una procedura ordinata cercando di limitare i danni .

Domande frequenti (FAQ)

Passiamo ora a una serie di domande e risposte per chiarire i dubbi più comuni da parte di imprenditori (o loro consulenti) che si trovano ad affrontare una situazione di debiti aziendali rilevanti. Questo formato Q&A consente di focalizzare rapidamente alcuni punti chiave.

D: Quando conviene tentare un accordo stragiudiziale e quando invece è meglio andare subito in concordato preventivo?
R: In generale, vale la pena provare prima la via stragiudiziale se l’azienda ha ancora sufficiente credibilità presso i principali creditori e se la crisi appare gestibile con interventi mirati. Ad esempio, se ci sono poche banche e fornitori da convincere, e la continuità aziendale è fattibile, un piano attestato o un accordo di ristrutturazione può convenire: è più rapido, meno costoso e l’azienda rimane tecnicamente “in bonis” (non viene dichiarata insolvente pubblicamente). Si passa invece al concordato preventivo quando: (i) bisogna imporre sacrifici a un numero ampio di creditori e non è realistico ottenere il consenso unanime (es. decine di fornitori); (ii) serve il blocco immediato delle azioni esecutive perché i creditori sono aggressivi (“decreti ingiuntivi alle porte”); (iii) l’indebitamento è talmente elevato che solo con strumenti concorsuali si possono tagliare abbastanza debiti – ad esempio se serve falcidiare anche debiti erariali importanti, cosa possibile solo con transazione fiscale in concordato o accordo omologato . Anche la presenza di molti creditori piccoli e dispersi spinge verso il concordato (perché negli accordi ti serve almeno il 60% di tutti i crediti: difficile se sono centinaia di fornitori) . In sintesi: se c’è margine di trattativa e tempo, prova prima un accordo stragiudiziale (magari assistito da composizione negoziata); se il tempo è scaduto e vuoi congelare subito il quadro, vai col concordato. Spesso, comunque, si procede a step: prima composizione negoziata, e se non basta, si passa a concordato .

D: La mia azienda ha debiti IVA molto alti: è vero che l’IVA non si può tagliare e va pagata per forza al 100%?
R: Non più. Fino a qualche anno fa (prima del 2016-2017) c’era un divieto di falcidia dell’IVA nel concordato: la Cassazione a Sezioni Unite nel 2016 (sent. 22552/2016) l’aveva affermato, considerandola risorsa UE intangibile . Ma la normativa è cambiata e si è adeguata a indicazioni UE: ora anche l’IVA può essere parzialmente non pagata in una procedura concorsuale, attraverso la transazione fiscale . L’importante è che al Fisco venga offerto almeno quello che otterrebbe se l’azienda fosse liquidata . Se il piano prevede una percentuale inferiore al 100% ma giustificata (ad es. perché stimando la liquidazione fallimentare l’Erario prenderebbe zero, allora anche offrire zero in concordato può andare, purché lo si dimostri con perizia), il tribunale può comunque omologare il concordato anche senza il consenso formale dell’Erario (applicando il cram-down fiscale introdotto nel 2020) . Quindi non è vero che l’IVA vada pagata per forza al 100% sempre. Fuori dalle procedure, però, l’IVA va sempre versata integralmente – le uniche eccezioni sono le definizioni agevolate di legge che condonano sanzioni e interessi ma non il capitale IVA. Attenzione: se l’imprenditore ha commesso reato di omesso versamento IVA, il concordato non estingue il penale anche se paga parzialmente: il reato resta, a meno che prima del giudizio non versi comunque tutto il dovuto (cosa molto difficile se sta facendo un concordato) . Ma da un punto di vista civilistico, l’IVA oggi può essere falcidiata eccome.

D: Ho dato fideiussioni personali per i debiti bancari della mia S.r.l.: se faccio il concordato della società, le mie garanzie vengono liberate?
R: Di regola, no. Il concordato preventivo ha effetto esdebitatorio solo per il debitore che lo propone (la società) . I fideiussori e coobbligati restano obbligati a pagare l’eventuale differenza. Ciò significa che, ad esempio, se la società paga col concordato il 50% del debito verso Banca X e tu avevi garantito come fideiussore, la banca potrebbe rivalersi su di te per il restante 50% . Non è ammessa una proposta di concordato che imponga la liberazione dei garanti (art. 120 CCII, ex art. 184 L.F., tutela i creditori nel conservare le azioni verso coobbligati) . Tuttavia, ci sono modi per gestire la cosa: spesso, nel negoziare il piano col ceto bancario, si cerca di ottenere una rinuncia alla fideiussione in caso di esecuzione regolare del concordato. In pratica, la banca volontariamente accetta il 50% dalla società e in cambio libera te garante dalla restante esposizione. Ma è un accordo privato, non imposto dalla legge: va negoziato caso per caso e messo per iscritto con la banca. In mancanza di tale accordo, sì, potresti dover rispondere tu del residuo non pagato dalla società. Se poi tu stesso (garante) non sei in grado di far fronte e ti ritrovi sovraindebitato personalmente, potrai valutare una procedura di esdebitazione personale (ad esempio un concordato minore o liquidazione del sovraindebitato ex L.3/2012) per liberarti dei tuoi debiti personali, ma quella è una procedura a parte, non avviene automaticamente col concordato della società .

D: Quali sono i tempi di un concordato preventivo? L’azienda rischia di stare anni in sospeso?
R: I tempi variano molto in base alla complessità del caso e al carico del tribunale competente. Indicativamente, per una S.r.l. medio-piccola: dalla domanda di concordato (se “in bianco”, ossia prenotativa, c’è un termine fino a 120 giorni per presentare il piano) all’ammissione formale passano circa 2-4 mesi. Poi il commissario giudiziale deve predisporre la relazione e convocare i creditori all’adunanza: questo stadio (dall’ammissione al voto) porta via altri ~4-6 mesi. Dopo la votazione, se c’è la maggioranza, si va all’udienza di omologazione: altri 2-3 mesi (dipende se ci sono opposizioni). Quindi, in tutto, circa 12 mesi per arrivare all’omologa in molti casi standard . Nei concordati in continuità, l’azienda nel frattempo continua a operare, quindi non è “paralizzata” per un anno: certo, deve sottostare al controllo del commissario e alle autorizzazioni del giudice per atti straordinari, ma può proseguire la produzione/vendite. Dopo l’omologa, c’è l’esecuzione del piano: quella può durare anni (anche 3-5 o più, a seconda di quanto tempo serve a pagare i creditori secondo le scadenze concordate) . Durante questo periodo post-omologa la procedura rimane aperta finché il tribunale (o il commissario/giudice delegato) dichiara eseguito il concordato. Quindi sì, la fine formale arriva solo a esecuzione completata, però l’attività può procedere normalmente già dopo l’omologa – anzi, anche prima, in continuità come detto . In pratica l’azienda vive la fase più intensa della procedura nel primo anno (preparazione piano, voto, omologa); nei successivi anni si limita a rispettare il piano sotto monitoraggio, ma è di fatto tornata in bonis (dopo l’omologa, salvo revoca, non è più considerata insolvente pubblicamente). Invece una liquidazione giudiziale (fallimento) spesso dura più a lungo per chiudersi definitivamente – mediamente 5-7 anni, a volte 10 se ci sono immobili difficili da vendere o cause pendenti – però l’imprenditore è “fuori dai giochi” già all’inizio (non deve attendere la chiusura per potersi dedicare ad altro, anche se formalmente ci sono interdizioni che durano finché non ottiene l’esdebitazione, ecc.). Quindi: il concordato impegna intensamente circa 1 anno per la procedura deliberativa, poi l’azienda rimane sotto regime concordatario finché paga i creditori (possono essere altri 3-5 anni di adempimento del piano, ma con operatività normale).

D: Che differenza c’è tra concordato preventivo e accordo di ristrutturazione? Sembrano simili, cosa scelgo?
R: La differenza principale sta nel quorum di consenso e nel grado di intervento del giudice. Nel concordato tu proponi un piano a tutti i creditori e devi ottenere il voto favorevole della maggioranza (in valore) per procedere; c’è un coinvolgimento pesante del tribunale (commissario, giudice delegato, omologa). È una procedura collettiva vera e propria, con pubblicità. L’accordo di ristrutturazione (ARD) invece è più simile a un contratto: devi convincere individualmente un certo numero di creditori (almeno il 60%) a firmare un accordo. Il giudice interviene solo per omologare e dare efficacia, ma non c’è un voto di tutti né un commissario che gestisce. I creditori non aderenti all’accordo devono essere pagati fuori dall’accordo, integralmente (salvo il caso particolare di accordo esteso ad alcune categorie tipo banche dissenzienti come visto). Quindi, pro ARD: è più rapido, l’azienda non viene “etichettata” insolvente pubblicamente, non ci sono organi estranei che affiancano l’amministrazione (continui tu a gestire senza commissari). Contro: devi assicurarti di avere quell’adesione qualificata (60% crediti) e devi comunque avere le risorse per pagare i dissenzienti fuori dall’accordo (il che spesso è una limitazione: se il 40% non firma e devo comunque pagarli full, l’impresa deve avere liquidità o asset sufficienti). Spesso la scelta dipende dal numero di creditori e dalla loro natura: se sono pochi e disposti a negoziare, l’ARD è preferibile; se sono troppi per coordinarli o serve comunque tagliare anche chi non sarà mai d’accordo, meglio il concordato . Una via di mezzo è l’accordo ad efficacia estesa (menzionato prima) dove anche chi non firma, purché appartenga a certe categorie, viene trascinato se c’è il 75% (ora 60% post-CNC correttivo) di adesioni: è un mini-cramdown utile ad esempio per coinvolgere banche dissenzienti minoritarie . Ma è applicabile solo a creditori finanziari o a fornitori strategici per moratoria come detto. In pratica, l’ARD è come un concordato “light” per situazioni dove hai già dalla tua una larga parte di creditori; il concordato serve quando devi proprio imporre la soluzione dall’alto perché i creditori sono troppi/disorganizzati o con conflitti tra loro che impedirebbero un consenso informato.

D: L’azienda è molto indebitata ed è praticamente ferma. Non sarebbe meglio fare subito fallimento e magari aprire una nuova società dopo?
R: Dipende. Se veramente non ci sono prospettive – nessun investitore interessato, mercato morto, zero patrimonio – allora probabilmente sì: conviene accettare la liquidazione. In tal caso, l’imprenditore potrebbe persino valutare la liquidazione volontaria della società (scioglimento anticipato e messa in liquidazione ordinaria) se i creditori non hanno ancora agito, liquidando bonariamente il possibile; ma se l’impresa è già insolvente conclamata, servirà comunque il concorso formale (non si può liquidare privatamente dando preferenze senza rischi, meglio farlo sotto egida di un concordato o fallimento). A volte però “far fallire e riaprire” non è così semplice né privo di rischi: il curatore potrebbe accusare di bancarotta se trasferisci asset dalla vecchia alla nuova società per salvarteli (sottraendo ai creditori), i fornitori potrebbero fare cause se vedono che apri nuova società con lo stesso business (ad es. provando a dimostrare un abuso di personalità giuridica o chiedendo di estendere il fallimento) . Non è illegale ripartire con una nuova azienda dopo un fallimento (dopo l’esdebitazione, ad esempio), ma va fatto con estrema attenzione a non confondere i patrimoni: se la nuova società è solo la continuazione della vecchia sotto altro nome e i creditori lo provano, ci possono essere conseguenze (azione revocatoria su cessione d’azienda sotto valore, ecc.). Inoltre, considera che nel fallimento puro i creditori prendono poco e rimangono con l’amaro in bocca; se invece li coinvolgi in un concordato o accordo, magari recuperano di più e tu imprenditore mantieni un po’ di reputazione. Far fallire la ditta e aprirne un’altra subito spesso compromette la fiducia di fornitori e banche, a meno di un cambio totale di scenario o di settore . Dunque, meglio valutare bene le alternative concorsuali: in alcuni casi, con un concordato liquidatorio “controllato”, l’imprenditore può anche inserirsi come acquirente di qualche asset tramite un prestanome e far ripartire l’attività “pulita” – ma deve avvenire alla luce del sole e a condizioni di mercato, altrimenti è visto (giustamente) come un sotterfugio. Insomma: se davvero non c’è nulla da fare, la liquidazione giudiziale chiude onorevolmente la storia (e tu, persona fisica esdebitata, puoi ripartire in altra forma dopo) ; ma se c’è un lumicino di valore aziendale, tentare un concordato, magari in continuità indiretta (cedendo l’azienda a un altro soggetto, forse anche collegato) potrebbe salvare l’avviamento e i posti di lavoro, ed evitarti accuse di aver fatto il “phoenix” (risorto dalle ceneri lasciando i debiti al fuoco). In altre parole: valutazione caso per caso, anche etica/professionale. Spesso un imprenditore preferisce dire di aver chiuso con un concordato pagato al X% che di essere “fallito”, per quanto il secondo termine non sia più uno stigma legale, lo è ancora in percezione.

D: Cosa rischia l’amministratore se l’azienda fallisce?
R: Se l’amministratore ha agito correttamente durante la crisi, potrebbe anche non rischiare nulla penalmente. Ma in sede di fallimento il curatore e la magistratura esamineranno a fondo la condotta degli amministratori negli anni precedenti. Se emergono fatti di possibile bancarotta – ad esempio distrazione di beni aziendali (aver portato via soldi o risorse a proprio vantaggio), falsificazione dei bilanci per nascondere perdite, pagamenti preferenziali a qualche creditore a danno di altri nelle ultime fasi – allora l’ex amministratore può essere imputato penalmente di bancarotta, con rischi di condanna che vanno anche a vari anni di reclusione a seconda della gravità . Inoltre, come detto, il curatore può promuovere un’azione di responsabilità civile se ritiene che la gestione abbia arrecato danni ai creditori (ad es. continuando l’attività in perdita e aumentando il buco patrimoniale). Questo può portare l’ex amministratore a dover risarcire, con patrimonio personale, parte del deficit fallimentare . Dunque, il rischio concreto in caso di fallimento è: sotto la lente finiscono tutti gli atti degli ultimi anni. Per mitigare: l’amministratore dovrebbe documentare ogni scelta fatta, dimostrare di aver provato a ridurre il danno (es. attivando strumenti di crisi per tempo), evitare “buchi neri” di cassa e uscite ingiustificate. In un concordato, invece, l’amministratore non viene esautorato (fino all’omologa mantiene la gestione, sotto controllo) e se l’esito è positivo di solito non ci sono strascichi: anzi, il concordato omologato preclude poi molte azioni revocatorie o risarcitorie per atti coerenti col piano. Quindi, anche per proteggere sé stessi, è meglio agire in modo proattivo e trasparente. Chi invece lascia incancrenire e poi fallire la società accumulando passività ingenti rischia decisamente di più di chi prende in mano la situazione e la conduce in modo ordinato in un concordato, collaborando con le autorità .

D: I dipendenti che tutela hanno nella crisi d’impresa?
R: I dipendenti godono di varie tutele, sia come creditori che come soggetti protetti dal legislatore. Sul piano creditorio, i loro stipendi non pagati e il TFR maturato hanno un privilegio generale di legge sul patrimonio del datore di lavoro (art. 2751-bis c.c.): significa che in fallimento devono essere pagati prima degli altri creditori chirografari, attingendo a qualsiasi attivo disponibile . Inoltre, esiste il Fondo di Garanzia INPS che – in caso di insolvenza del datore – anticipa ai lavoratori il TFR e le ultime 3 mensilità dovute, per poi surrogarsi nel passivo al loro posto . Quindi, i lavoratori spesso recuperano quasi tutto il dovuto anche se l’azienda chiude: il Fondo paga (entro massimali) e poi diventa esso stesso creditore. Nelle procedure di concordato in continuità, in genere il piano prevede il pagamento integrale degli stipendi arretrati e del TFR (sia per ragioni legali che pragmatiche: altrimenti i dipendenti potrebbero ostacolare il piano o andarsene altrove, e il tribunale potrebbe non omologare se li vede sacrificati) . In un concordato liquidatorio, comunque ai lavoratori va garantito almeno il trattamento di legge: di solito il 100% sulle voci privilegiate (magari rateizzato, ma tendenzialmente tutelato) . Inoltre, se c’è una cessione d’azienda in continuità (es. a un investitore che rileva l’attività in esercizio), l’art. 2112 c.c. tutela il mantenimento dei rapporti di lavoro: i dipendenti passano al cessionario conservando gli stessi contratti e anzianità . Questa norma è inderogabile; il correttivo ter 2024 l’ha ribadita anche in caso di cessioni pre-omologa autorizzate dal tribunale: il giudice può far vendere l’azienda senza debiti (non trasferendo i debiti ex art. 2560 c.c.), ma non può cancellare i diritti dei dipendenti, che seguiranno l’azienda presso il nuovo proprietario . Quindi i lavoratori sono relativamente i creditori più protetti. Ci sono anche ammortizzatori sociali: ad esempio la Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (CIGS) per aziende in concordato o in amministrazione straordinaria, che consente di alleggerire il costo del personale durante la crisi (lo Stato paga una parte degli stipendi per evitare licenziamenti immediati mentre si cerca di ristrutturare) . In sintesi: i dipendenti hanno prelazioni sui crediti e strumenti di garanzia pubblica; in caso di continuazione dell’attività, la legge punta a far sì che non perdano né posti né retribuzioni maturate.

D: Dopo un fallimento o un concordato, posso aprire un’altra società o fare impresa di nuovo?
R: Sì, a certe condizioni. Dopo un fallimento, l’imprenditore individuale (o il socio illimitatamente responsabile) deve ottenere l’esdebitazione per essere libero dai debiti residui. Oggi è concessa nella maggior parte dei casi se il fallito ha cooperato e non ha commesso irregolarità gravi . Una volta ottenuta l’esdebitazione, può legalmente intraprendere di nuovo: non c’è più l’interdizione perpetua dai pubblici uffici come un tempo (quella fu abolita nel 2006). Ci sono tuttavia restrizioni se è stato condannato per bancarotta fraudolenta: le pene accessorie possono includere il divieto di esercitare un’impresa commerciale o di ricoprire cariche societarie per un certo periodo (fino a 10 anni per le bancarotte più gravi) . Ma tolto quel caso estremo, non c’è impedimento legale a rifare impresa. Dopo un concordato preventivo eseguito con successo, non c’è alcun divieto: anzi, la società concordataria può proseguire la sua attività ed eventualmente i soci possono aprire nuove iniziative. Dal punto di vista legale, la seconda chance è pienamente riconosciuta nel nostro ordinamento: non esiste un “casellario dei falliti irreversibili”. Però c’è un discorso di reputazione: banche e fornitori potrebbero essere diffidenti a dare credito a chi ha un fallimento alle spalle, almeno nel breve termine (è come avere una “storia creditizia” macchiata) . Tuttavia, esempi di imprenditori caduti e poi risorti ce ne sono; l’importante è ripartire avendo imparato lezioni e magari con forme societarie diverse (es. se prima eri ditta individuale, forse conviene una S.r.l. per limitare i rischi personali, o viceversa avere soci e governance più strutturata). E come detto, niente furbate: aprire società intestate a prestanome mentre la vecchia è in concordato/fallimento e continuare sostanzialmente la stessa attività può configurare abusi (i creditori possono agire se scoprono che è la “stessa minestra con altro nome”) . Se invece è tutto regolare – vecchia azienda liquidata e debiti cancellati, nuova azienda indipendente – nulla osta, anzi è economicamente auspicabile che l’imprenditore onesto possa rialzarsi. Alcuni dei più noti capitani d’industria hanno avuto insuccessi prima di successi. L’importante è, se riparti, farlo con trasparenza e magari con un business plan migliore.

D: Nella composizione negoziata l’esperto può obbligare i creditori ad accettare le proposte del debitore?
R: No, l’esperto non ha poteri coercitivi. È un facilitatore, un mediatore: il suo compito è aiutare le parti a dialogare e a individuare soluzioni, ma non può imporre accordi. Può però esercitare moral suasion: ad esempio, può far presente ai creditori che se non accettano un certo accordo ragionevole, si andrà probabilmente a un esito peggiore (come il fallimento) dove quei creditori recupereranno meno. E può suggerire soluzioni creative (es. proporre di concedere garanzie, o tempistiche diverse) . Tuttavia, se un creditore – poniamo una banca – è fermamente contrario, l’esperto non può costringerlo ad aderire. L’unica “coercizione” indiretta nella composizione negoziata è che, se le trattative falliscono, il debitore potrà poi ricorrere al concordato semplificato o ad accordi omologati dove quei creditori dissenzienti vengono travolti con cram-down . Ma quella è fase successiva, giudiziale. Durante la negoziazione pura, tutto dipende dal buon senso e dalla convenienza che l’esperto riesce a far vedere. C’è da dire che i creditori finanziari (banche) nella composizione negoziata ora hanno alcuni vincoli di comportamento: ad esempio, non possono revocare fidi immotivatamente solo perché l’impresa ha attivato la procedura (lo prevede l’art. 18 CCII come modificato) e devono giustificare eventuali dinieghi a proposte se contrastano con i canoni di correttezza (norme ispirate al “Dovere di rinegoziazione in buona fede”) . Non è un obbligo di accordo, ma se una banca rifiuta irragionevolmente un piano vantaggioso, potrebbe incorrere in problemi di immagine e si spinge il debitore al concordato dove quella banca magari prenderà ancora meno. Insomma, l’esperto cerca di far leva su: “accettate questo accordo volontario perché sennò poi finisce peggio per tutti”. Se non funziona, amen: si chiude la procedura e il debitore intraprenderà la via giudiziale. Ma in CNC non c’è imposizione. (Va aggiunto: con il correttivo 2024, è stato introdotto un meccanismo di transazione fiscale in CNC – ne abbiamo parlato – che è un unicum in cui l’esperto aiuta a formulare una proposta al Fisco e il giudice può autorizzare l’accordo, quindi quasi un potere di imporre al Fisco l’accordo se l’Agenzia aderisce. Ma sempre su adesione dell’ente, non contro volontà).

D: Durante la composizione negoziata o il concordato posso continuare a utilizzare il fido bancario e gli affidamenti?
R: Sì, entro certi limiti. Grazie alle nuove norme, in composizione negoziata se ottieni dal tribunale la conferma delle misure protettive, le banche non possono revocare gli affidamenti esistenti solo per il fatto dell’apertura della procedura . In pratica, se avevi uno scoperto di conto o un castelletto per anticipi, puoi continuare a usarli entro il limite già concesso, e la banca non può ridurlo d’autorità (salvo emergano ragioni oggettive di rischio, che deve però comunicare e motivare) . Ciò è fondamentale per la liquidità di esercizio: impedisce che la banca “stacchi la spina” solo perché stai negoziando la ristrutturazione. Anche nel concordato, di solito con l’autorizzazione del giudice, il debitore può utilizzare le linee di fido esistenti per finanziare la gestione corrente (non per pagare debiti pregressi). Ad esempio, può emettere Ri.Ba. su clienti e scontarle in banca, se ciò era prassi prima, purché il commissario giudiziale lo autorizzi e la banca acconsenta . Ovviamente, ottenere nuovi crediti non è facile: le banche saranno restie a incrementare l’esposizione. Per questo spesso serve il tribunale che dichiari quei nuovi crediti in prededuzione, così la banca è tranquilla di riaverli al 100% con priorità . In sintesi: sì, l’operatività bancaria può continuare durante una crisi “regolata”. Anzi, è interesse di tutti che continui, per preservare la continuità aziendale. È importante però coordinarsi col commissario o esperto: qualsiasi utilizzo anomalo del fido (es. usarlo per pagare di nascosto un vecchio debito invece che per la spesa corrente) sarebbe violazione della par condicio e può generare guai (revoca delle misure protettive, ecc.) . Ma se usi le linee in modo regolare per la gestione corrente, puoi farlo. Nella pratica, a volte le banche riducono comunque gli affidamenti se vedono peggiorare i numeri, ma la norma ora glielo vieta espressamente durante la composizione negoziata protetta e limita i casi nel concordato.

D: Se la società viene liquidata o fallisce, i soci di una S.r.l. o S.p.A. devono coprire i debiti sociali rimasti?
R: No, i soci di società di capitali non rispondono personalmente dei debiti sociali residui, salvo casi eccezionali. Se hanno interamente versato le quote di capitale sottoscritto, non devono mettere altri soldi. I creditori insoddisfatti rimangono tali e, chiusa la procedura, non possono pretendere nulla dai soci (a meno che i soci avessero prestato garanzie personali, come appunto fideiussioni: quelle operano a parte). L’unica eccezione è se si riesce a dimostrare un abuso della personalità giuridica, ad esempio che i soci abbiano sostanzialmente usato la S.r.l. come schermo per frodi o l’abbiano sottocapitalizzata fittiziamente per poi non pagare i creditori: in casi del genere, rari, i giudici possono “penetrare il velo societario” e far rispondere i soci (ma servono prove di frode grave) . Oppure, se parliamo di soci di società di persone (S.n.c. o accomandatari di S.a.s.), quelli sì rispondono illimitatamente. Ma per S.r.l. e S.p.A., la regola generale resta la limitazione del rischio al capitale investito: i soci perdono il capitale e gli utili futuri, ma non pagano di tasca propria i debiti sociali. Ciò non toglie che possano, per ragioni di onorabilità o convenienza commerciale, decidere volontariamente di soddisfare certi creditori post-chiusura: ad esempio, la S.r.l. fallisce ma il socio, aprendo una nuova ditta, per mantenere buon rapporto paga di tasca sua quel vecchio fornitore – ma è una scelta volontaria, nessun creditore potrà esigerlo per legge . In sintesi: in condizioni normali, no, i soci non rispondono. Questo vale anche per i debiti erariali o contributivi della società (salvo rarissimi casi in cui Agenzia Entrate contesti responsabilità solidale per violazioni tributarie tipo frodi IVA, ma parliamo di casi di reati). Dunque, il socio di S.r.l. che vede la sua azienda liquidata con debiti non soddisfatti, per legge non deve ripianarli col patrimonio personale – a meno di appunto garanzie firmate o scenari di abuso.

Conclusione

Per un imprenditore nel settore dei chiller industriali, trovarsi sommerso dai debiti è una situazione estremamente sfidante. Tuttavia, come abbiamo visto, l’ordinamento italiano offre numerosi strumenti per gestire la crisi in modo ordinato, minimizzando le perdite e spesso consentendo di salvare l’azienda o quantomeno di chiudere senza trascinarsi debiti a vita. La chiave di tutto è tempestività e pianificazione: prima si affronta il problema, maggiori saranno le opzioni disponibili .

Un’azienda in crisi che si muove in anticipo può sfruttare le soluzioni negoziali (piani di risanamento, accordi) con buone chance di successo. Se invece si arriva all’insolvenza conclamata senza preparazione, restano comunque le procedure concorsuali per evitare il far west delle esecuzioni: meglio un concordato preventivo ben congegnato che un collasso improvviso e incontrollato .

Dal punto di vista del debitore, è fondamentale affidarsi a professionisti esperti (commercialisti specializzati in crisi d’impresa, avvocati fallimentaristi) che sappiano guidare nel labirinto normativo e trattare con i creditori con la necessaria credibilità . Un buon advisor saprà anche dire all’imprenditore quando è il caso di staccare la spina e liquidare, anziché accanirsi inutilmente in un’impresa senza speranza. Allo stesso modo, saprà individuare eventuali investitori interessati a rilevare l’azienda: spesso competitor o realtà complementari possono essere interessate ad acquisire un’impresa in difficoltà tramite un concordato, ottenendo l’azienda ripulita dai debiti .

Abbiamo anche visto come la legislazione sia in evoluzione: l’ultimo “Correttivo” del 2024 ha introdotto aggiustamenti importanti (soglie di consenso abbassate per alcuni accordi, maggior protezione per chi attiva la composizione negoziata – es. divieto di revoca fidi, chiarimenti sulla transazione fiscale in CNC) . Ciò denota l’attenzione del legislatore nel rendere le procedure di crisi più efficaci e al passo con la Direttiva UE. Ad esempio, oggi l’imprenditore onesto non è più marchiato a vita dal fallimento: può essere esdebitato in tempi relativamente brevi, favorendo così una mentalità meno punitiva e più rivolta al recupero .

In definitiva, un’azienda di chiller industriali indebitata può certamente “difendersi” dai debiti e dai creditori, purché utilizzi consapevolmente gli strumenti legali a disposizione. Questo significa non restare isolati nel problema, ma coinvolgere consulenti e creditori in una discussione franca, sotto l’ombrello protettivo delle norme, per trovare una soluzione equa. A volte si riuscirà a ristrutturare il debito e continuare l’attività, altre volte si dovrà liquidare l’azienda: ma anche in quest’ultimo caso, farlo attraverso una procedura concorsuale è preferibile perché consente di azzerare i debiti residui (grazie all’esdebitazione) e ripartire su basi nuove senza ombre legali.

Il messaggio finale per l’imprenditore debitore è quindi: non arrendersi né procrastinare, ma prendere in mano la situazione, informarsi (come spero abbia aiutato questa guida) e agire con coraggio e trasparenza. I debiti, per quanto opprimenti, possono essere gestiti e ridotti; l’importante è non lasciarsene schiacciare passivamente. Come recita un vecchio detto: “Un fallimento è solo l’opportunità di ricominciare in modo più intelligente” (Henry Ford). E la legge oggi fornisce gli strumenti per ricominciare davvero, se si è disposti a usarli con intelligenza e correttezza.

Fonti e Riferimenti

  • Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza – D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, come modificato dai decreti correttivi D.Lgs. 147/2020, 83/2022 e 136/2024 (c.d. “Correttivo ter”) – pubblicato in G.U. n.227 del 27/09/2024. (Normativa fondamentale sulle procedure di allerta e insolvenza). In particolare, si segnalano: artt. 56 (piano attestato di risanamento), 57-64 (accordi di ristrutturazione dei debiti), 64-bis (Piani di ristrutturazione soggetti a omologazione – “PRO”), 84-120 (concordato preventivo), 121-270 (liquidazione giudiziale), 88 (transazione fiscale), 18-25 (composizione negoziata) e 25-sexies (concordato semplificato).
  • Relazione Illustrativa al D.Lgs. 14/2019 – Relazione ministeriale di accompagnamento al Codice della Crisi, che spiega la ratio di varie scelte legislative (es. l’eliminazione del termine “fallimento” per ridurre lo stigma, l’enfasi sulla continuità aziendale, i meccanismi di allerta precoce). Utile per comprendere gli obiettivi della riforma e l’interpretazione sistematica dei nuovi istituti.
  • Corte di Cassazione, Sez. Unite civili, sentenza 6 settembre 2016 n. 22552 – (Tema: falcidiabilità dell’IVA in concordato preventivo). Le Sezioni Unite affermarono che l’IVA era infalcidiabile perché tributo costituente risorsa UE (interpretazione basata sul diritto eurounitario). Pronuncia poi superata dalle nuove norme e dalle sentenze successive. (Storicamente rilevante per capire la situazione pre-2017). Successivamente, la possibilità di stralcio IVA è stata confermata per via normativa e giurisprudenziale (v. Cass. Sez. Unite 27/12/2019 n. 34447).
  • Corte di Cassazione, Sez. Unite civili, sentenza 27 dicembre 2019 n. 34447 – (Tema: transazione fiscale e IVA). Le S.U. del 2019, recependo anche la sentenza CGUE 7 aprile 2016 (causa C-546/14), hanno sancito che nel concordato preventivo è ammissibile il pagamento parziale dell’IVA tramite transazione fiscale, superando l’indirizzo del 2016. Questa sentenza ha di fatto allineato la giurisprudenza italiana al quadro UE, ponendo fine al divieto assoluto di falcidia IVA, poco prima che intervenisse la modifica legislativa definitiva (L. 159/2020 di conv. DL 125/2020). Conferma la legittimità del cram-down IVA poi codificato.
  • Corte di Cassazione, Sez. I, sentenza 10 luglio 2024 n. 18826 – (Tema: proposta concorrente nel concordato preventivo). Ha chiarito che il provvedimento che dichiara inammissibile una proposta concorrente presentata dal terzo ex art. 163 l.fall. (oggi art. 90 CCII) non è ricorribile in Cassazione, in quanto atto di natura temporanea e non definitiva, modificabile nel prosieguo. Il proponente terzo potrà far valere eventuali illegittimità solo proponendo opposizione all’omologazione della proposta del debitore. Ribadisce la natura endoprocedimentale (non decisoria in via definitiva) del decreto su proposta concorrente .
  • Corte di Cassazione, Sez. I, sentenza 6 agosto 2024 n. 22169 – (Tema: concordato in continuità e utilizzo dei flussi di cassa). Ha stabilito che il surplus generato dalla continuità aziendale (cioè l’eccedenza di valore prodotta dalla prosecuzione dell’attività rispetto al valore di liquidazione dei beni) non è finanza esterna liberamente distribuibile, ma rientra nell’attivo da destinare ai creditori secondo le cause di prelazione. In altre parole, non lo si può trattare come fosse denaro di terzi non soggetto ad ordine di priorità. Riferimento normativo: art. 84 co.6 CCII e la modifica del correttivo 2024 all’art. 87 co.1 lett. c CCII, che hanno rafforzato questo principio . (Conforme a Cass. 22474/2024 e Cass. 22169/2024 principi di diritto) .
  • Corte di Cassazione, Sez. I, sentenza 6 settembre 2019 n. 22382 – (Tema: concordato preventivo ed effetti per i fideiussori). Ha sancito che il concordato omologato non estingue le fideiussioni dei soci o di terzi a garanzia dei debiti sociali, e che non è ammessa una proposta che preveda l’esdebitazione dei garanti (clausola di liberazione dei coobbligati). Conferma il disposto dell’art. 184 legge fall. (ora art. 120 CCII) secondo cui i creditori conservano i diritti verso i coobbligati e garanti per la parte non soddisfatta . Sentenza importante per chiarire ai debitori che serve accordo separato per liberare i garanti.
  • Corte di Cassazione, Sez. Unite civili, sentenza 29 gennaio 2024 n. 2607 – (Tema: azioni esecutive individuali e concordato). Ha ribadito il principio che, dopo il deposito di una domanda di concordato preventivo, vige il divieto per i creditori chirografari di iniziare o proseguire azioni esecutive individuali sul patrimonio del debitore, ex art. 168 l.fall. (ora art. 54 CCII), salvo specifiche autorizzazioni (moratoria concordataria ex art. 54 co.2 CCII). Ha sottolineato che tale divieto opera anche nel caso di domanda di concordato “in bianco”. (Massima ricavata da note di dottrina, conferma prassi sul automatic stay).
  • Corte Costituzionale, sentenza 13 luglio 2022 n. 149 – Ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale sulle soglie di fallibilità dell’art. 1 l.fall. (ora art. 2 CCII), mantenendo dunque in vigore i limiti dimensionali per l’assoggettabilità a liquidazione giudiziale: attivo superiore a €300.000, ricavi lordi > €200.000, debiti > €500.000 (basta superare uno di questi) . La Consulta ha ritenuto che tali soglie non violino il principio di uguaglianza, essendo il legislatore libero di predisporre procedure diverse per i piccoli debitori (sovraindebitamento). Conferma quindi l’esclusione dei “sotto soglia” dalle procedure maggiori, spingendoli verso concordato minore e liquidazione controllata.
  • Tribunale di Forlì, 15 luglio 2023 – Decreto di omologa di concordato preventivo che ammette la falcidia dei tributi locali (IMU, TARI) senza una formale transazione fiscale su di essi, ritenendo illogico escluderli dal trattamento falcidiabile in mancanza di esplicito divieto normativo. (Menzionato in Il Sole 24 Ore – NT+ Enti Locali, 28/08/2025.) Rilievo: il giudice ha esteso l’applicabilità del cram-down anche a tributi locali (non nominati espressamente dall’art. 88 CCII), colmando un vuoto normativo.
  • Decreto Dirigenziale Ministero Giustizia 28 settembre 2021 – Istituzione della piattaforma telematica e regole procedurali per la composizione negoziata della crisi d’impresa (ex D.L. 118/2021). Prevede, tra l’altro, l’obbligo per l’esperto di segnalare se le banche non rispettano il divieto di peggiorare le condizioni dei fidi a causa dell’accesso alla composizione (divieto poi recepito esplicitamente nel correttivo 2024, art. 18 co.5 CCII) . Cornice regolamentare tecnica per l’implementazione della CNC.
  • Latham & Watkins (Studio legale), Approfondimento ottobre 2024 – “Terzo correttivo al CCII in vigore dal 28/9/2024”. Articolo di rassegna delle novità introdotte dal D.Lgs. 136/2024. Riepiloga in particolare: l’abbassamento al 60% (da 75%) della soglia di consensi per il cram-down negli accordi di ristrutturazione finanziari successivi a composizione negoziata; il divieto di revoca degli affidamenti bancari durante la composizione negoziata (a meno di giustificati motivi); chiarimenti sul concordato semplificato (richiamo all’art.84 co.5 CCII per il pagamento almeno parziale dei privilegiati). Fonte specialistica utile per chi vuole un commento tecnico sulle modifiche normative del 2024.
  • Consiglio Nazionale del Notariato – Studio n. 71-2024/PC (maggio 2025) sugli accordi di ristrutturazione dei debiti. Analizza le modifiche apportate dal D.Lgs. 136/2024: distinzione tra accordi “ordinari” e accordi speciali, procedura di omologazione semplificata per accordi ad efficacia estesa, estensione dell’ambito soggettivo anche a gruppi di imprese, e rapporti con la composizione negoziata. Utile per un approfondimento dottrinale avanzato sulla nuova disciplina degli ARD dopo il correttivo-ter.
  • Massimario Cassazione civile 2020-2023 (Crisi d’impresa): raccolta di massime di legittimità in tema di concordato preventivo e affini. Contiene principi come: divieto di voto al creditore-fideiussore (Cass. 22382/2019) ; divieto di estensione dell’esdebitazione ai coobbligati (Cass. 11695/2018); trattamento dei creditori privilegiati parzialmente garantiti (Cass. 755/2021 – su pegno eccedente e soddisfo parziale). Utile per orientarsi nelle linee interpretative degli ultimi anni.
  • Normativa secondaria e prassi:
  • Circolare Agenzia delle Entrate 34/E del 29 dicembre 2020 sulla transazione fiscale post DL 125/2020. Chiarisce l’applicazione dell’art. 48 DL 34/2020 che ha introdotto la possibilità di omologa forzata (cram-down) degli accordi di ristrutturazione e concordati anche senza voto favorevole dell’erario, al ricorrere di determinate condizioni. Fornisce istruzioni agli uffici AE su come valutare le proposte di transazione e quando ritenere soddisfatto il test di convenienza. (Rilevante per comprendere la posizione dell’Agenzia nelle trattative fiscali).
  • Circolare INPS n. 19 del 1° febbraio 2023 sulla gestione dei crediti contributivi nelle procedure concorsuali dopo il CCII. Conferma l’obbligo di inserire sempre il trattamento del credito INPS in una transazione contributiva formalizzata; in mancanza, l’INPS si opporrà alla falcidia. Ribadisce che l’INPS aderirà alle proposte che rispettino la convenienza rispetto al fallimento e fornisce i criteri interni di valutazione. (Rilevante per aziende con debiti previdenziali: spiega come interfacciarsi con l’INPS nel piano).

La tua azienda che progetta, produce, installa o manutiene chiller industriali, refrigeratori d’acqua, unità di raffreddamento ad aria o ad acqua, free cooling, unità monoblocco, impianti di refrigerazione per processi industriali, raffreddatori per stampaggio plastica, scambiatori, pompe, valvole ed elettroniche di controllo, è oggi in difficoltà a causa dei debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo

La tua azienda che progetta, produce, installa o manutiene chiller industriali, refrigeratori d’acqua, unità di raffreddamento ad aria o ad acqua, free cooling, unità monoblocco, impianti di refrigerazione per processi industriali, raffreddatori per stampaggio plastica, scambiatori, pompe, valvole ed elettroniche di controllo, è oggi in difficoltà a causa dei debiti?
Ricevi solleciti, richieste di rientro, decreti ingiuntivi, blocchi delle forniture o minacce di pignoramento da parte di banche, Fisco, INPS, fornitori tecnici o Agenzia Entrate-Riscossione?

Il settore dei chiller industriali è uno dei più costosi: compressori, scambiatori, tubazioni, gas refrigeranti, centraline elettroniche, collaudi, personale specializzato e interventi di manutenzione programmata. Basta poco — un ritardo nei pagamenti o il blocco dei fidi — per far esplodere una crisi finanziaria.

La buona notizia? La tua azienda può essere salvata, se intervieni subito e con un piano strutturato.


Perché un’Azienda di Chiller Industriali va in Debito

  • aumento dei costi di compressori scroll o vite, gas refrigeranti, pompe, valvole, materiale inox
  • pagamenti lenti da parte di industrie, stampaggio plastica, data center e impianti produttivi
  • magazzino immobilizzato tra componenti critici, ricambi, refrigeranti e unità incomplete
  • costi elevati di installazione, collaudi, assistenze in campo e normative F-GAS
  • consumi energetici elevati anticipati dall’azienda
  • riduzione o revoca delle linee di credito bancarie
  • commesse complesse con incassi dilazionati

Il vero problema non è la mancanza di ordini, ma la mancanza di liquidità immediata.


I Rischi se Non Intervieni Subito

  • pignoramento del conto corrente aziendale
  • blocco dei fidi
  • sospensione delle forniture di componenti essenziali (compressori, gas, valvole)
  • atti esecutivi, precetti, decreti ingiuntivi
  • sequestro di chiller, ricambi e materiali tecnici
  • impossibilità di completare installazioni o garantire manutenzioni
  • perdita di clienti strategici e contratti ricorrenti

Cosa Fare Subito per Difendersi

1. Bloccare immediatamente i creditori

Un avvocato specializzato può:

  • sospendere pignoramenti e atti esecutivi
  • fermare richieste urgenti di rientro
  • proteggere conti correnti e liquidità
  • bloccare iniziative dell’Agenzia Riscossione

Prima si mette in sicurezza l’azienda, poi si affrontano i debiti.


2. Analizzare i debiti ed eliminare quelli non dovuti

Spesso nei debiti si scoprono irregolarità:

  • interessi non dovuti
  • sanzioni sbagliate o gonfiate
  • importi duplicati
  • debiti prescritti
  • errori della Riscossione
  • commissioni bancarie anomale

Una parte significativa dell’esposizione può essere ridotta o cancellata.


3. Ristrutturare i debiti con piani sostenibili

Soluzioni disponibili:

  • rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
  • accordi con fornitori strategici (gas, pompe, compressori, valvole)
  • rinegoziazione dei fidi bancari
  • sospensione temporanea dei pagamenti
  • accesso alle definizioni agevolate

4. Usare strumenti legali potentissimi che bloccano TUTTI i creditori

Quando la crisi è più profonda, la legge permette di attivare:

  • PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
  • Accordi di ristrutturazione
  • Concordato minore
  • (nei casi estremi) Liquidazione controllata

Questi strumenti consentono all’azienda di continuare a lavorare pagando solo una parte dei debiti, sospendendo completamente tutte le azioni esecutive.


Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo

Per salvare un’azienda tecnica come la tua servono competenze specifiche e avanzate.
L’Avv. Monardo è:

  • Avvocato Cassazionista
  • Coordinatore nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012) – negli elenchi del Ministero della Giustizia
  • Professionista fiduciario di un OCC
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)

Un profilo ideale per bloccare creditori, ridurre debiti e salvare aziende specializzate in chiller industriali e impianti di refrigerazione avanzata.


Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo

  • analisi completa e immediata della tua esposizione debitoria
  • blocco urgente di pignoramenti e decreti ingiuntivi
  • riduzione dei debiti non dovuti
  • ristrutturazione del debito con un piano sostenibile
  • protezione di chiller, ricambi, componentistica e cantieri
  • trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
  • tutela completa dell’azienda e dell’amministratore

Conclusione

Avere debiti nella tua azienda di chiller industriali non significa dover chiudere.
Con una strategia rapida, tecnica e totalmente legale, puoi:

  • fermare immediatamente i creditori,
  • ridurre seriamente i debiti,
  • salvare continuità produttiva e manutenzioni,
  • proteggere il futuro della tua impresa.

Agisci ora.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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