Se la tua azienda produce, importa o distribuisce strumenti di misura elettrica, multimetri, pinze amperometriche, tester digitali, calibratori, wattmetri, analizzatori di rete, sonde, accessori e componenti elettronici, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, è essenziale intervenire subito per evitare blocchi operativi e perdita di clienti.
Nel settore degli strumenti di misura, ritardi nelle consegne o nell’assistenza tecnica possono compromettere manutenzioni, collaudi, certificazioni e attività produttive dei clienti, con conseguenti penali e danni alla reputazione.
Perché le aziende di strumenti di misura elettrica accumulano debiti
- aumento dei costi di sensori, microchip, circuiti e componenti elettronici
- rincari delle importazioni e shortage di semiconduttori
- pagamenti lenti da parte di elettricisti, manutentori, industrie e laboratori
- ritardi nei versamenti IVA, imposte e contributi
- magazzini complessi con numerose varianti tecniche e strumenti certificati
- difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati ai cicli di acquisto
Cosa fare subito
- far analizzare l’intera esposizione debitoria da un professionista esperto
- identificare quali debiti possono essere ridotti, contestati o rateizzati
- evitare piani di rientro insostenibili
- chiedere subito la sospensione di eventuali pignoramenti
- proteggere fornitori strategici e componenti critici (chip, schede, sensori)
- utilizzare strumenti legali per ristrutturare e rinegoziare i debiti
I rischi se non intervieni tempestivamente
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco delle forniture di componenti elettronici e strumenti certificati
- impossibilità di gestire assistenze tecniche e consegne
- perdita di manutentori, impiantisti, industrie e laboratori
- rischio concreto di chiusura dell’attività
Come può aiutarti l’Avvocato Monardo
Detto questo, l’avvocato Monardo, cassazionista, coordina su scala nazionale un team di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario.
Inoltre è:
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
- iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
- professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Può aiutarti concretamente a:
- bloccare pignoramenti e procedure esecutive
- ridurre o ristrutturare i debiti con gli strumenti più efficaci previsti dalla legge
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- proteggere strumentazione, magazzino, assistenza tecnica e continuità operativa
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Introduzione
Un’azienda produttrice o distributrice di strumenti di misura elettrica può trovarsi esposta a debiti di varia natura – bancari, fiscali, previdenziali, commerciali – che mettono a rischio la sua attività. Dal punto di vista del debitore (l’imprenditore o la società indebitata), è fondamentale conoscere gli strumenti giuridici disponibili per difendersi dalle azioni dei creditori e per gestire la crisi in modo strategico e conforme alla normativa italiana più recente (aggiornata a ottobre 2025).
Questa guida, rivolta a avvocati, imprenditori e privati con un livello avanzato di conoscenze giuridiche, illustra in linguaggio tecnico ma divulgativo come affrontare i debiti aziendali. Verranno analizzate le diverse tipologie di debiti (verso banche, Fisco – Agenzia Entrate, enti previdenziali come INPS, fornitori e altri creditori commerciali), i rimedi difensivi e le soluzioni offerte dalla normativa italiana (Codice civile, Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza – D.Lgs. 14/2019 e s.m.i.), comprese le più recenti riforme e sentenze fino al 2025. Si tratteranno strumenti quali la rinegoziazione del debito, i piani di ristrutturazione e risanamento, il concordato preventivo, le procedure di sovraindebitamento, l’opposizione a decreti ingiuntivi, le transazioni fiscali, l’esdebitazione, nonché i possibili profili penali (ad es. reati di bancarotta). Saranno evidenziate le differenze tra forme societarie (SRL, SRLS, società di persone) in termini di responsabilità patrimoniale e soluzioni applicabili.
All’interno troverete esempi pratici, schemi riassuntivi, tabelle comparative e una sezione di Domande & Risposte per chiarire i dubbi più frequenti. In coda, è presente una raccolta di fonti normative e giurisprudenziali aggiornate citate nel testo, incluse pronunce giurisprudenziali recentissime, per approfondire ogni aspetto e garantire l’assenza di plagio. L’obiettivo è fornire al debitore una visione completa di “cosa fare per difendersi e come” di fronte a una situazione debitoria complessa, evitando passi falsi e cogliendo tutte le opportunità offerte dalla legge per salvaguardare l’impresa o, quantomeno, limitare i danni.
Tipologie di debiti aziendali e conseguenze
Una prima distinzione va fatta tra le varie tipologie di debiti che un’azienda può accumulare, poiché ciascuna tipologia prevede creditori diversi e differenti procedure di recupero. Conoscere le specificità di ogni categoria di debito è il primo passo per approntare una strategia difensiva efficace. Esaminiamo i principali tipi di esposizioni debitorie:
Debiti bancari e finanziari
I debiti bancari includono esposizioni verso istituti di credito o finanziarie, come mutui, finanziamenti, fidi di conto corrente e leasing. Quando un’azienda di strumenti di misura elettrica non riesce a rispettare le rate o le condizioni di questi prestiti, la banca può avviare misure di tutela dei propri crediti. Cosa può fare la banca? In genere, dopo reiterati insoluti, la banca può revocare gli affidamenti (ad esempio chiudere uno scoperto di conto), dichiarare la decadenza dal beneficio del termine su un mutuo (richiedendo l’immediato pagamento del capitale residuo) e successivamente procedere al recupero forzoso.
Le banche di norma dispongono di garanzie a supporto del credito: possono esserci ipoteche su immobili aziendali o dei soci, pegni su macchinari, fideiussioni personali dei titolari, etc. In caso di insolvenza, la banca escuterà tali garanzie. Ad esempio, se l’azienda ha dato un capannone in garanzia ipotecaria, la banca potrà promuovere esecuzione forzata immobiliare sul capannone; se un socio ha firmato una fideiussione, potrà agire direttamente sul patrimonio personale del garante.
Tutele per il debitore: prima di arrivare all’azione esecutiva, l’azienda debitrice può tentare una rinegoziazione o un piano di rientro concordato con la banca. Spesso le banche, per evitare lunghe procedure esecutive, accettano di riscadenzare il debito (allungando i termini di pagamento) o di concordare stralci (riduzione del debito, ad esempio accettando il pagamento parziale a saldo e stralcio). È fondamentale presentare alla banca un piano credibile di risanamento, magari corredato da garanzie aggiuntive o dall’impegno di nuovi investitori, per convincerla a desistere da azioni legali immediate. In alcuni casi l’azienda può valutare di contestare il debito bancario sul piano legale – ad esempio eccependo l’applicazione di tassi usurari o la nullità di clausole contrattuali – ma queste difese vanno supportate da perizie contabili e hanno efficacia solo in presenza di violazioni normative (p.es. usura ex art. 644 c.p. o anatocismo non conforme all’art. 120 TUB).
Se il debito bancario è ormai esigibile e certo, uno strumento di difesa dal punto di vista del debitore è ricorrere a procedure concorsuali (illustrate più avanti) che possano bloccare le azioni esecutive. Ad esempio, il deposito di un ricorso per concordato preventivo comporta la sospensione delle azioni individuali dei creditori chirografari e privilegiati non concordatari, impedendo alla banca di procedere autonomamente (salvo specifiche eccezioni) . Anche la domanda di composizione negoziata con misure protettive o la pubblicazione di un accordo di ristrutturazione in corso di omologa può ottenere una moratoria temporanea sulle esecuzioni (come dettagliato infra, le misure protettive possono inibire provvisoriamente iniziative esecutive dei creditori).
Va ricordato che garanzie personali come le fideiussioni restano in linea di massima attivabili anche se l’azienda avvia procedure concorsuali: la banca, in virtù dell’accessorietà della fideiussione, potrebbe agire contro il fideiussore nonostante il concordato dell’azienda, a meno che quest’ultimo non preveda esplicitamente un trattamento anche dei garanti o la banca acconsenta a non agire contro di essi. Dunque, se i soci hanno garantito personalmente i debiti bancari, una difesa integrale deve considerare azioni parallele (es. procedure di sovraindebitamento personali o accordi transattivi tra socio e banca).
Conseguenze del mancato pagamento dei debiti bancari: oltre all’esecuzione forzata sui beni, la persistenza dell’insoluto comporta la segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d’Italia (pregiudicando l’accesso al credito futuro) e, sul piano contabile, l’esposizione debitoria va comunque trattata nel bilancio, evidenziando possibili perdite. Nei casi estremi, il perdurare dell’insolvenza verso banche può portare all’istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) da parte della banca stessa, se il credito è significativo e scaduto. Tuttavia, spesso le banche preferiscono partecipare a procedure concordatarie (dove magari ottengono percentuali migliori rispetto alla liquidazione giudiziale) piuttosto che attivare direttamente il fallimento.
Debiti fiscali (Erario e Agenzia delle Entrate Riscossione)
I debiti fiscali riguardano imposte e tasse dovute all’Erario: IVA, imposte sui redditi (IRES/IRPEF), IRAP, ritenute non versate, tributi locali, ecc. In Italia, la riscossione coattiva di gran parte di questi debiti è affidata all’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AER), che succede a Equitalia. Il processo tipico è il seguente: se l’azienda non versa quanto dichiarato (ad es. IVA a debito in dichiarazione) o non paga un avviso di accertamento divenuto definitivo, l’Agente della Riscossione notifica una cartella esattoriale (cartella di pagamento) che ingiunge il versamento entro 60 giorni. Decorso tale termine senza pagamento, la cartella costituisce titolo esecutivo e l’Agenzia può procedere con misure cautelari ed esecutive senza bisogno di passare dal giudice (salvo opposizioni specifiche).
Le principali azioni che il Fisco può intraprendere sono: iscrizione di ipoteca sui beni immobili del debitore, emissione del fermo amministrativo sui veicoli aziendali, e avvio di pignoramenti mobiliari, immobiliari o presso terzi (ad esempio pignoramento dei conti correnti). Tali azioni possono essere intraprese a seguito della notifica della cartella e del mancato pagamento nei termini, oppure di un avviso di intimazione (atto che precede l’esecuzione se la cartella ha più di 1 anno dalla notifica).
Va segnalato che dal 2022-2023, in attuazione del Codice della crisi d’impresa, l’Agenzia delle Entrate adotta anche un ruolo di “segnalazione precoce” ai debitori: se un’azienda accumula debiti fiscali e contributivi scaduti da oltre 90 giorni oltre certe soglie, l’Agenzia invia una lettera di allerta che evidenzia la situazione e invita a porvi rimedio . Ad esempio, l’Agenzia Entrate ha iniziato (nell’autunno 2025) a inviare sistematicamente comunicazioni alle imprese con debiti IVA o ritenute scaduti > 90 giorni e superiori a determinate soglie, in attuazione dell’art. 25-novies CCII . Ricevere tale lettera non apre automaticamente una procedura, ma costituisce un serio campanello d’allarme che l’imprenditore non può ignorare: è obbligatorio valutare la propria situazione di liquidità e, se necessario, attivare subito strumenti di composizione della crisi . Questa strategia anticipatoria mira a prevenire l’aggravarsi della crisi e le relative conseguenze civili e penali.
Difese e soluzioni per i debiti fiscali: il debitore può seguire diverse strade:
- Rateizzazione ordinaria: prima che si avvii l’esecuzione, la normativa consente di chiedere all’Agenzia Entrate-Riscossione una dilazione del pagamento della cartella. Di regola, per debiti fino a 120.000 € la rateizzazione (fino a 72 rate mensili) è concessa a semplice richiesta; per importi superiori serve provare temporanea difficoltà finanziaria. Esiste anche la rateizzazione straordinaria fino a 120 rate (10 anni) per debiti molto elevati o aziende in comprovata grave crisi (dati della Commissione Finanze 2025). La domanda di rateazione, se accolta, blocca le azioni esecutive purché le rate vengano poi pagate regolarmente. Questo strumento non riduce l’importo dovuto ma lo frammenta nel tempo.
- Definizioni agevolate (rottamazione): il legislatore negli ultimi anni ha emanato diverse misure di “pace fiscale”. Ad esempio, la “Rottamazione-quater” (prevista dalla legge di Bilancio 2023) ha permesso di pagare le cartelle affidate entro il 2017 senza sanzioni né interessi di mora, in rate fino al 2027. Aggiornata a ottobre 2025, non risulta ancora una rottamazione-quinqies, ma è bene monitorare eventuali nuovi condoni nel 2025-2026. Se l’azienda rientra in una finestra di definizione agevolata, aderire consente un taglio significativo del debito fiscale. L’adesione alla rottamazione inoltre sospende le azioni esecutive in corso su quei debiti (ad es. blocca pignoramenti in atto in attesa del pagamento delle rate dovute).
- Contestazione del debito tributario: se si ritiene che il debito non sia dovuto (ad esempio per un accertamento infondato), la difesa appropriata è presentare ricorso alle Commissioni Tributarie (d’ora in poi Corti di Giustizia Tributaria, secondo la riforma 2022) nei termini di legge. Un ricorso accolto annulla il debito. Tuttavia, spesso l’azienda di strumenti elettrici accumula debiti “certi” (IVA dichiarata e non versata, ritenute non versate, etc.) su cui non c’è margine di contestazione legale, ma solo inadempienza per mancanza di liquidità. In questi casi, contestare non è possibile: occorre puntare su dilazioni o procedure concorsuali.
- Transazione fiscale nell’ambito di procedure concorsuali: quando l’impresa accede a un concordato preventivo o conclude un accordo di ristrutturazione con omologa giudiziale, può proporre il cosiddetto trattamento dei crediti tributari e contributivi, noto come transazione fiscale. In pratica, all’interno del piano l’imprenditore può offrire al Fisco un pagamento parziale e/o dilazionato delle imposte dovute, anche dell’IVA e dei contributi, purché un esperto indipendente attesti che quel trattamento non è deteriore rispetto a quanto il Fisco otterrebbe in caso di liquidazione giudiziale . Ad esempio, se in fallimento l’erario recupererebbe solo il 5% del proprio credito, una proposta concordataria potrebbe offrire il pagamento del 10% in 5 anni: l’attestazione dimostrerebbe che il 10% è migliore del 5% e dunque la proposta non lede la par condicio dei crediti erariali. La transazione fiscale richiede l’assenso della Agenzia Entrate (nelle votazioni del concordato, il Fisco vota come gli altri creditori; nell’accordo di ristrutturazione, deve aderire espressamente). La novità importante introdotta dal D.Lgs. 83/2022 (attuativo della Direttiva UE 2019/1023) e dal correttivo 2024 è che oggi anche l’IVA e le ritenute possono essere falcidiate (tagliate) nella transazione fiscale, superando i vecchi limiti che le ritenevano intangibili. Infatti, il nuovo art. 88 CCII ammette la proposta di pagamento parziale anche di IVA e contributi , a condizione del rispetto dell’attestazione suddetta. In passato la Cassazione aveva posizioni oscillanti sul se il tribunale potesse omologare il concordato anche senza voto favorevole del Fisco (cd. cram-down fiscale); la Corte Costituzionale nel 2022 (sent. 245/2022) ha infine aperto alla possibilità di omologa anche senza voto erariale, se il trattamento è conveniente. Nel 2025, tuttavia, è intervenuta un’ulteriore pronuncia (Corte Cost. n. 132/2025) che – stando alle notizie – avrebbe negato l’ammissibilità di una transazione fiscale imposta senza accordo dell’Erario in certi casi【29†】 (dettaglio oltre lo scopo di questa guida, ma indica che la materia è in evoluzione). In pratica, il debitore deve sapere che oggi può proporre uno sconto al Fisco dentro un procedimento concorsuale, con buone chance di ottenerlo se la proposta è ragionevole e supportata da perizia.
- Sovraindebitamento e stralcio fiscale: se l’azienda non è soggetta a fallimento (es. ditta individuale sotto soglia o professionista), nelle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (vd. oltre) è parimenti possibile trattare i debiti fiscali. Il Codice della crisi prevede che anche in concordato minore o nel piano del consumatore il giudice possa omologare il piano con pagamento parziale di imposte, purché sia garantito il pagamento di almeno il 5% dei crediti IVA e ritenute (limite introdotto dal D.Lgs. 83/2022) – soglia ridotta rispetto al passato per favorire il risanamento.
Conseguenze del mancato pagamento di debiti fiscali: oltre all’azione esecutiva di AER, ci sono seri profili penali da considerare. L’ordinamento punisce infatti l’omesso versamento di imposte oltre determinate soglie. I due casi tipici: l’omesso versamento di IVA ex art. 10-ter D.Lgs. 74/2000 è reato se l’importo non versato supera €250.000 per periodo d’imposta; l’omesso versamento di ritenute certificate (ad es. ritenute IRPEF su stipendi) ex art. 10-bis è reato sopra €150.000 annui . Soglie inferiori comportano sanzioni amministrative ma non penali. Per contributi previdenziali omessi (INPS, vedi infra) la soglia di rilevanza penale è molto più bassa (€10.000). Attenzione: il ricorso a un concordato o altra procedura concorsuale non estingue il reato di omesso versamento se questo era già perfezionato alla scadenza legale. La Cassazione penale ha chiarito nel 2025 che il concordato preventivo presentato dopo la scadenza del termine di versamento non salva l’imprenditore dall’accusa penale di omesso versamento IVA . In altri termini, se l’IVA è scaduta e non pagata, il reato si consuma e non può essere “neutralizzato” successivamente aderendo a una procedura concorsuale . L’unico modo per evitare la punibilità sarebbe pagare integralmente il debito prima che il procedimento penale entri nel vivo (l’art. 13 D.Lgs. 74/2000 prevede cause di non punibilità se si salda il dovuto prima della dichiarazione di apertura del dibattimento). Ciò però raramente è possibile in contesto di crisi. Dunque, l’imprenditore deve essere consapevole che l’insolvenza fiscale può avere conseguenze penali personali: l’adozione di un piano concordatario aiuta a sistemare il debito ma non cancella eventuali reati già commessi.
Riassumendo, per i debiti tributari l’azienda debitrice ha interesse a interlocuire tempestivamente con l’Erario: chiedere rateazioni per guadagnare tempo, sfruttare definizioni agevolate se disponibili, oppure inglobare il debito in un piano concorsuale dove proporre un taglio sostenibile. Ignorare le cartelle è la scelta peggiore: oltre agli interessi e alle sanzioni che maturano, ci si espone a esecuzioni (es. pignoramenti su conti e fatturato) che aggravano la crisi di liquidità.
Debiti previdenziali (INPS e altri enti)
I debiti previdenziali riguardano i contributi obbligatori dovuti agli enti come INPS (pensionistici e assistenziali) o eventualmente casse professionali. Nel contesto di un’azienda di strumenti di misura elettrica, i principali debiti previdenziali possono essere: contributi INPS dovuti sui dipendenti (quota a carico azienda e quota trattenuta al lavoratore), contributi dovuti dai soci lavoratori (per es. gestione commercianti o artigiani, se applicabile), o contributi alla gestione separata per collaboratori. Anche tali debiti, se non versati, vengono riscosso tramite Agenzia Entrate-Riscossione, con avvisi di addebito immediatamente esecutivi (l’INPS notifica un avviso che vale come cartella). Dunque le azioni esecutive e difensive sono per molti versi analoghe a quelle viste per i debiti fiscali.
Profili di rischio specifici: il mancato pagamento dei contributi presenta una peculiarità: se l’azienda omette di versare le ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti (cioè la quota trattenuta al lavoratore), commette reato ai sensi dell’art. 2 co.1-bis D.L. 463/1983 (conv. in L. 638/1983) quando l’importo non versato supera €10.000 annui . Sotto tale soglia scatta solo una sanzione amministrativa, ma oltre scatta un reato punibile con la reclusione fino a 3 anni . Questo reato è distinto da quelli tributari, e non ha la soglia alta di €150k/250k: bastano 10.000 € di contributi dipendenti non pagati in un anno perché si configuri. È prevista una causa di non punibilità qualora il datore versi integralmente i contributi dovuti (anche tardivamente) prima dell’apertura del giudizio. Ma un’azienda in crisi difficilmente riuscirà a colmare il gap se non attraverso un concordato o altro strumento che però, come detto, non estingue il reato automaticamente. Quindi, non pagare i contributi dei dipendenti è estremamente rischioso per l’organo amministrativo: si accumula debito verso INPS e al contempo si rischia il procedimento penale.
Un altro aspetto: se l’azienda poi fallisce (liquidazione giudiziale), i lavoratori dipendenti verranno pagati in prededuzione o con privilegio per retribuzioni arretrate e TFR tramite il Fondo di garanzia INPS, dopodiché l’INPS si surroga nei loro crediti. Quindi i debiti verso lavoratori in gran parte diventano debiti verso INPS. Ciò rende l’INPS un creditore cruciale nelle crisi d’impresa, al pari del Fisco.
Difese e soluzioni: sostanzialmente coincidenti con quelle dei debiti fiscali:
- Dilazione contributiva: l’INPS (via AER) concede rateazioni analoghe a quelle fiscali per i contributi dovuti. Spesso la domanda di rateazione di contributi segue gli stessi criteri (72 rate ordinarie, 120 straordinarie). Una differenza: per i contributi non trattenuti (quota datore) c’è più flessibilità, mentre per quelli trattenuti ai lavoratori l’INPS è più rigorosa. In ogni caso, presentare un piano di rientro dei contributi può evitare il verificarsi di ulteriori reati se si onorano le rate.
- Transazione dei crediti contributivi: come per il Fisco, anche per i debiti verso gli enti previdenziali (INPS, casse) la legge prevede la possibilità di un trattamento falcidiato/dilazionato nei piani di concordato preventivo o accordi di ristrutturazione (si parla di transazione previdenziale, compresa nella transazione fiscale ex art. 88 CCII). Si applicano criteri analoghi: proposta almeno pari al realizzo in caso di fallimento e voto favorevole dell’ente previdenziale. L’art. 63 CCII come modificato consente espressamente di proporre il pagamento parziale anche dei contributi amministrati dagli enti previdenziali obbligatori , sempre con attestazione di non peggioramento. È importante includere INPS nel piano concordatario perché l’ente ha crediti privilegiati per contributi (che sarebbero da pagare al 100% fuori transazione) e crediti di natura chirografaria per sanzioni e interessi: una transazione può permettere di ridurre queste componenti.
- Procedure concorsuali e blocco delle azioni: l’ammissione al concordato o l’omologa di un accordo impedisce anche all’INPS/AER di proseguire pignoramenti in corso. Inoltre, la legge vieta espressamente durante il concordato di iniziare o proseguire azioni esecutive individuali (il che copre i contributi) e consente, su istanza, di sospendere i procedimenti penali per omesso versamento contributivo in attesa dell’esito della procedura (il tribunale penale può rinviare se c’è prospettiva di pagamento nel concordato).
- Sovraindebitamento per contributi: se l’imprenditore è non fallibile, potrà proporre nel concordato minore o piano del consumatore anche il pagamento parziale dei contributi, con criteri analoghi alla transazione fiscale. In tali procedure l’INPS non ha diritto di voto (se privilegiato), ma il giudice può omologare ugualmente se ritiene soddisfatto il requisito del miglior soddisfo rispetto alla liquidazione.
Conclusione sui debiti previdenziali: il debitore deve considerare i contributi alla stregua delle imposte: prioritari. La difesa principale è non farli accumulare e se succede, intervenire subito con un piano di rientro (per evitare lo sforamento della soglia penale) o includerli in un piano concorsuale. L’aggravio di interessi INPS è pesante (sanzioni civili per ritardato pagamento pari al tasso ufficiale + 5,5% circa annuo), per cui anche economicamente conviene chiudere l’esposizione prima possibile, ad esempio sfruttando una falcidia in concordato (dove spesso le sanzioni/aggi vengono degradate a chirografarie e possono essere tagliate).
Debiti commerciali verso fornitori e altri creditori privati
Tra i debiti di un’azienda rientrano quelli verso fornitori di merci o servizi, verso il locatore (affitto del capannone), verso eventuali società di leasing per macchinari, verso consulenti e professionisti, e via dicendo. Questi creditori, detti chirografari (se privi di garanzie), sono spesso i primi a risentire dell’insolvenza dell’impresa, poiché il pagamento delle loro fatture viene posticipato nel tentativo di fronteggiare altre uscite (stipendi, banche, Fisco).
I fornitori e creditori commerciali hanno a disposizione gli strumenti ordinari di tutela civilistica: innanzitutto, se vantano un credito liquido ed esigibile, possono ottenere un decreto ingiuntivo dal tribunale (ingiunzione di pagamento ex art. 633 c.p.c.) e, trascorsi 40 giorni senza opposizione, renderlo esecutivo per procedere a pignoramenti. Alcune volte i creditori con titolo possono anche chiedere il fallimento dell’azienda debitrice (se l’insolvenza appare conclamata e superano la soglia di legge). Vi è da notare che, tra i crediti commerciali, alcuni godono per legge di privilegio generale mobiliare ex art. 2751-bis c.c.: ad esempio i crediti dei dipendenti per retribuzioni, i crediti dell’agente di commercio per provvigioni, o i crediti dell’avvocato dell’azienda per spese di giustizia. Questi creditori privilegiati in caso di concorso hanno priorità rispetto ai fornitori ordinari.
Cosa fare se un fornitore ottiene un decreto ingiuntivo? Dal punto di vista del debitore, è fondamentale non ignorare la notifica del decreto. Entro 40 giorni va proposta opposizione se vi sono motivi validi per contestare il credito . L’opposizione si propone con atto di citazione in tribunale chiedendo la revoca del decreto e instaurando un ordinario giudizio di cognizione. Attenzione: i 40 giorni sono un termine perentorio di legge (art. 641 c.p.c.) . In mancanza di opposizione, allo spirare del termine il decreto diviene definitivo. Anche dopo, tuttavia, vi è un ultimo spiraglio: l’opposizione tardiva entro 10 giorni dal primo atto di esecuzione, ma solo se il decreto non fu notificato regolarmente o in caso di forza maggiore (art. 650 c.p.c.) . In ogni caso, agire tempestivamente entro i 40 giorni dà migliori chance di difesa.
I motivi di opposizione tipici possono essere di merito (es.: contestare la fornitura – merce difettosa o non consegnata; eccepire l’estinzione del debito per avvenuto pagamento, compensazione, prescrizione) o formali (es.: difetti del decreto o della notifica) . È importante articolare chiaramente nell’atto di opposizione tutte le contestazioni, perché l’opponente ha l’onere di dedurre i motivi specifici, pena preclusione . Se si tratta di fatture effettivamente non pagate e non vi sono eccezioni sostanziali, l’opposizione servirà soprattutto a prendere tempo e magari tentare una transazione; ma opporsi senza basi solide espone poi alla condanna a interessi e spese legali ulteriori, quindi va ponderato. In alternativa, il debitore può evitare il decreto ingiuntivo a monte comunicando col fornitore: riconoscere il debito e proporre un piano di rientro volontario (magari rilasciando cambiali o effetti) può convincere molti fornitori ad attendere senza passare per vie giudiziarie. La fiducia e la comunicazione con i partner commerciali è spesso la prima linea difensiva di un imprenditore in difficoltà: nascondersi o fare promesse di pagamento non mantenute spinge il creditore all’azione giudiziaria immediata.
Se il decreto ingiuntivo viene ottenuto e notificato, l’opposizione va presentata con l’atto di citazione formale. Un esempio semplificato di come si struttura un atto di citazione in opposizione a D.I. è il seguente:
TRIBUNALE DI [città]
ATTO DI CITAZIONE
IN OPPOSIZIONE A DECRETO INGIUNTIVO
(ex art. 645 c.p.c.)
Promosso da:
[XYZ S.r.l.], con sede in [indirizzo], C.F./P.IVA [___], in persona del legale rappresentante pro tempore Sig. [___], elettivamente domiciliata in [___] presso lo studio dell’Avv. [___] che la rappresenta e difende per mandato a margine,
– OPPONENTE –
Contro:
[ABC Forniture S.p.A.], con sede in [___], C.F. [___], in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in [___] presso lo studio dell’Avv. [___],
– OPPOSTA –
**Premesso che**:
– In data ___ è stato notificato a XYZ S.r.l. il decreto ingiuntivo n. ___/____ emesso in data ___ dal Tribunale di ___, avente ad oggetto il pagamento di € ___ oltre interessi e spese in favore di ABC S.p.A.;
– Tale decreto si fonda su fatture per forniture asseritamente consegnate, che l’opponente ritiene **inesatte e non dovute** per i motivi esposti in seguito;
**Tutto ciò premesso**, XYZ S.r.l., come sopra rappresentata, propone opposizione avverso il decreto ingiuntivo indicato, chiedendo che il Tribunale adito voglia:
1. revocare detto decreto ingiuntivo;
2. accertare e dichiarare l’inesistenza del credito di ABC S.p.A. o, in subordine, rideterminarne l’importo;
3. con vittoria di spese di lite.
**MOTIVI DELL’OPPOSIZIONE**:
1. **Inesistenza della fornitura** – Il credito ingiunto è insussistente in quanto la fornitura di cui alle fatture nn. [__] non è mai stata consegnata all’opponente, come risulta dai DDT che si allegano in copia (doc. 1) […].
2. **Eccepita compensazione** – In via subordinata, si eccepisce che l’eventuale credito di ABC S.p.A. andrebbe comunque compensato fino a concorrenza con il controcredito di € ___ che XYZ S.r.l. vanta verso la stessa ABC per penali contrattuali (doc. 2) […].
…
Esempio di struttura di un atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo (fac-simile generico).
Come si nota dall’esempio, l’atto di opposizione contiene una parte in fatto (“premesso che…”) e una in diritto (“motivi dell’opposizione”), dove si dettagliano le ragioni per cui il decreto sarebbe erroneo. L’opponente cita in giudizio il creditore davanti al tribunale, ottenendo così di trasformare l’ingiunzione in un processo ordinario. Nel frattempo, se l’azienda ha seri problemi di liquidità, può anche chiedere al giudice un’istanza di sospensione della provvisoria esecutività del decreto (se il decreto non era già esecutivo inaudita altera parte). Il giudice, se riconosce fumus nei motivi di opposizione, può sospendere l’esecutorietà fino all’esito del giudizio (art. 649 c.p.c.). Ciò evita, ad esempio, che il fornitore pignori i conti aziendali durante la pendenza della causa.
Fornitori e merito creditizio: un’azienda indebitata deve anche considerare l’aspetto reputazionale. Ritardi sistematici nei pagamenti possono portare i fornitori a ridurre o revocare le forniture (stop supply), peggiorando la crisi (es. mancanza di materie prime). Perciò “difendersi” dai debiti commerciali significa anche negoziare attivamente: riconoscere i problemi, proporre pagamenti parziali immediati e piani per il saldo, magari offrire garanzie (cambiali, pegno su beni futuri). Formalizzare accordi di dilazione con i fornitori può evitare decreti ingiuntivi. Si può anche ricorrere all’aiuto di professionisti per stipulare accordi stragiudiziali di ristrutturazione dei debiti commerciali (ad es. un accordo collettivo con più fornitori, dove tutti accettano una percentuale di taglio del credito). Questi accordi privati, se coinvolgono una quota rilevante di creditori e vengono omologati in tribunale, possono diventare Accordi di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 57 CCII (vedi oltre la sezione dedicata).
In sintesi, verso i creditori commerciali la difesa del debitore passa per: – Prevenzione: comunicare e negoziare piani di pagamento prima che il creditore si attivi legalmente. – Opposizione giudiziale: se il creditore agisce, valutare un’opposizione al decreto ingiuntivo entro 40 giorni , con motivi concreti. – Integrazione in un piano concorsuale: includere i debiti fornitori in un eventuale concordato preventivo o accordo omologato, così da congelarli e soddisfarli in modo ordinato e proporzionale. In un concordato, i fornitori chirografari spesso ricevono una percentuale (es. 20% del credito) invece di nulla che otterrebbero in un fallimento, e ciò può essere un buon argomento per ottenere il loro voto favorevole al piano.
Altri debiti particolari
Sebbene meno comuni, l’azienda potrebbe avere debiti verso soci o finanziatori personali, debiti verso enti pubblici (diversi da Fisco/INPS, es. sanzioni amministrative, oppure finanziamenti regionali da restituire), oppure esposizioni derivanti da cause di risarcimento danni. In generale, tali debiti rientrano nelle categorie già viste (o chirografari o assistiti da privilegio speciale, ad esempio i crediti per risarcimento da fatto illecito hanno privilegio generale ex art. 2767 c.c.). La loro gestione rientra nell’ambito delle stesse procedure di risanamento o concorsuali. Ad esempio, un ingente debito per una causa persa con un cliente (risarcimento) può portare a un pignoramento come qualunque creditore munito di sentenza. Se l’importo è insostenibile, andrà affrontato con una trattativa (transazione sulla sentenza) o inserito in un concordato preventivo per evitare il collasso immediato dell’azienda.
Un cenno va fatto ai debiti verso le banche estere o fornitori esteri: se l’azienda opera internazionalmente, anche creditori non italiani possono chiedere ingiunzioni europee o fare azioni in Italia (o all’estero sui beni esteri). Il punto di vista del debitore deve dunque estendersi anche a eventuali giurisdizioni diverse. Ad esempio, una società tedesca creditrice potrà far valere in Italia un decreto ingiuntivo europeo o una sentenza tedesca con procedura di exequatur. Le procedure concorsuali italiane (concordato, fallimento) se aperte producono effetti anche verso questi creditori esteri, bloccandone le azioni individuali sugli asset del debitore situati in Italia, in forza del principio di universalità territoriale (per l’estero si applicano regolamenti UE o convenzioni per il riconoscimento della procedura). È un dettaglio avanzato, ma importante per un avvocato: difendere un’azienda debitrice significa considerare tutti i fronti su cui i creditori potrebbero attaccare.
Strumenti di gestione della crisi d’impresa (soluzioni prima o in alternativa alla liquidazione)
Quando i debiti diventano insostenibili, oltre alle singole azioni difensive verso i creditori, l’ordinamento prevede una serie di strumenti organici per gestire la crisi o l’insolvenza in modo unificato. Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) – D.Lgs. 14/2019, entrato in vigore definitivamente dal luglio 2022 – raccoglie tutte queste procedure, che possiamo distinguere in due famiglie:
- Soluzioni stragiudiziali o para-giudiziali (negoziali): accordi o piani costruiti dal debitore con i creditori, con intervento limitato o assente del tribunale.
- Procedure concorsuali vere e proprie (giudiziali): procedure aperte presso il tribunale che regolano in modo collettivo i rapporti col ceto creditorio, sotto supervisione giudiziaria, finalizzate al risanamento o alla liquidazione dell’impresa.
Il punto di vista del debitore deve essere proattivo: se l’azienda vede avvicinarsi lo stato di insolvenza, attivarsi volontariamente con uno di questi strumenti può fare la differenza tra il salvataggio e il fallimento disordinato. Inoltre dal 2022 gli amministratori di società hanno per legge il dovere di monitorare la crisi (art. 2086 c.c., obbligo di assetto organizzativo adeguato) e attivarsi tempestivamente: l’inazione colpevole può tradursi in responsabilità personali. Vediamo i principali strumenti oggi disponibili (aggiornati alle modifiche introdotte nel 2022-2024) per un’azienda indebitata.
Piani attestati di risanamento (strumento stragiudiziale ex art. 56 CCII)
Il piano attestato di risanamento è un accordo privatistico tra il debitore e uno o più creditori, fondato su un piano industriale di risanamento dell’impresa, che viene asseverato da un esperto indipendente. In pratica, l’imprenditore elabora un piano economico-finanziario per superare la crisi (ad esempio: ristrutturare il debito, alienare asset non strategici, ricapitalizzare la società, etc.), e un professionista indipendente (ad es. un commercialista o revisore) redige una relazione che attesta la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano. Questo piano, se pubblicato presso il registro delle imprese, consente di ottenere specifici benefici di legge, primo fra tutti la protezione dalle azioni revocatorie fallimentari (art. 56 co.3 CCII, già art. 67 l.fall.). Ad esempio, se in attuazione di un piano attestato l’azienda paga un vecchio debito a un fornitore, e poi dopo qualche anno fallisce, quel pagamento non potrà essere revocato dal curatore se era nei limiti e nei tempi del piano attestato pubblicato . Ciò dà fiducia ai partner nel seguire il piano, perché riduce il rischio di azioni future.
Caratteristiche chiave del piano attestato ex art. 56 CCII: – Natura extragiudiziale: non richiede omologazione o intervento del tribunale. Il giudice non valuta né approva il piano. Il piano è efficace tra le parti che vi aderiscono. – Partecipazione volontaria: il piano vincola solo chi lo sottoscrive. Può essere bilaterale (es. con la banca) o plurilaterale. Non esistono “maggioranze” che impongano ai dissenzienti: i creditori che non aderiscono restano fuori e possono agire a tutela dei loro crediti. – Scopo: evitare l’insolvenza e riequilibrare la situazione finanziaria, mantenendo l’attività in bonis. Il piano attestato presuppone che l’impresa sia risanabile. Può essere utilizzato anche in stato di insolvenza (il CCII consente l’accesso pure all’insolvente, art. 56 parla di imprenditore in crisi o insolvenza), ma in tal caso bisogna stare attenti perché se il risanamento non riesce, si sarà solo ritardato il fallimento. È uno strumento di soluzione anticipata. – Attestazione indipendente: è il cuore del meccanismo. L’esperto deve essere terzo e indipendente, e la sua relazione deve confermare che le misure proposte sono idonee a risanare l’esposizione debitoria e a assicurare l’equilibrio finanziario . L’attestazione serve a dare credibilità al piano e a proteggere poi le parti (anche in sede penale: l’imprenditore che segue un piano attestato raramente potrà essere accusato di bancarotta preferenziale per i pagamenti fatti, vista la copertura del piano). – Nessun effetto automatico sulle azioni esecutive: diversamente dalle procedure concorsuali, il piano attestato non blocca automaticamente i creditori estranei. Non c’è una moratoria legale. Tuttavia, in pratica, se i creditori principali aderiscono, spesso quelli minori vengono pagati regolarmente o comunque si allineano, quindi le azioni individuali possono essere scongiurate di fatto. Non esiste comunque alcun “ombrello” giudiziario: se un creditore non aderente volesse aggredire il debitore, potrebbe farlo (il debitore in tal caso potrebbe valutare di convertire il piano attestato in un accordo giudiziale o concordato per bloccarlo).
Esempio: la nostra azienda di strumenti elettrici ha banche esposte per 500.000 € e fornitori per 200.000 €. Prevede di risollevarsi ottenendo nuovi ordini e con un apporto di capitale di un investitore di 100.000 €. Purtroppo, ha alcune fatture scadute. Elabora un piano a 3 anni dove le banche si impegnano a posticipare le rate (standstill) e i fornitori a rinunciare al 20% dei crediti accettando il rimanente a rate. Fa attestare il piano da un esperto che conferma che con i nuovi ordini e l’apporto il piano sta in piedi. Pubblica il piano attestato nel registro imprese. Così facendo, i pagamenti che farà ai fornitori secondo l’accordo e le eventuali nuove garanzie concesse alle banche nel contesto del piano non potranno essere revocati se qualcosa va storto . I fornitori e banche aderenti sono dunque più tranquilli e cooperano. Se invece un fornitore non aderisce e avvia un decreto ingiuntivo, l’azienda dovrà pagare quel fornitore a parte o eventualmente decidere di passare a una procedura più incisiva (accordo o concordato) per bloccare quell’azione.
In conclusione, il piano attestato è uno strumento snello e riservato, adatto quando: – L’impresa ha crisi non irreversibile e pochi creditori chiave, disponibili a negoziare volontariamente. – Si vuole evitare la pubblicità e i costi di un processo concorsuale. – Si è in fase ancora iniziale di difficoltà (il piano attestato non offre protezione attiva contro creditori ostili; funziona meglio se c’è consenso).
Per contro, se i creditori sono tanti o qualcuno minaccia azioni, può non bastare.
Dal punto di vista normativo, il CCII ha reso il piano attestato più flessibile rispetto al passato: non occorre allegare tutti i documenti di legge previsti per il concordato (basta l’attestazione e il piano) , ed è stata estesa la esenzione fiscale sulle eventuali sopravvenienze attive derivanti dal piano (cioè la riduzione dei debiti concordata non genera tassazione ai fini IRES/IRAP, analogamente ai concordati, come chiarito dal DL 73/2021).
Accordi di ristrutturazione dei debiti (ADR) – art. 57 e ss. CCII
L’accordo di ristrutturazione dei debiti è un’evoluzione più formalizzata del piano attestato: consiste in un accordo tra il debitore e una maggioranza qualificata di creditori, che viene poi omologato dal tribunale, diventando vincolante anche per eventuali creditori dissenzienti (in certi limiti). È una procedura concorsuale in senso ampio (anche se non prevede il coinvolgimento di tutti i creditori come il concordato).
Elementi fondamentali: – Deve partecipare all’accordo un numero di creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti totali (nel tipo standard). Questa è la soglia ordinaria. Il CCII ha però introdotto il nuovo accordo “agevolato” con soglia ridotta al 30% , di cui diremo fra poco. – I creditori estranei (che non aderiscono) devono essere pagati integralmente entro 120 giorni dall’omologazione (se i loro crediti sono già scaduti) o entro 120 giorni dalla scadenza se successiva . Ciò tutela i non aderenti e spiega perché serve una larga maggioranza: chi aderisce accetta magari un pagamento parziale o dilazionato, mentre a chi resta fuori la legge garantisce il 100% in tempi brevi. – L’accordo dev’essere accompagnato anche qui da una relazione di un esperto indipendente che attesta la veridicità dei dati e l’idoneità dell’accordo ad assicurare il pagamento dei creditori estranei nei termini suddetti . – L’accordo viene pubblicato nel registro delle imprese. Da quel momento scatta una moratoria: per 60 giorni i creditori per crediti anteriori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive né cautelari . È un vantaggio importante: diversamente dal piano attestato, qui c’è un effetto sospensivo automatico per due mesi, che può dare respiro durante la fase di raccolta delle adesioni finali e omologazione. – Il debitore poi chiede l’omologazione al tribunale. Il tribunale verifica il rispetto delle condizioni (percentuali, attestazione, ecc.) e omologa l’accordo, rendendolo efficace erga omnes. Eventuali opposizioni di creditori dissenzienti possono essere proposte entro 30 giorni dalla pubblicazione, ma una volta superate, l’omologa rende definitivo l’accordo . Dopo l’omologa, l’accordo vincola i creditori aderenti secondo i termini pattuiti; i non aderenti devono essere soddisfatti come da impegno (di solito subito o con minima dilazione). – Durante le trattative, l’imprenditore può anche chiedere al tribunale misure protettive temporanee (simili al concordato con riserva) per bloccare azioni, se teme aggressioni prima di aver finalizzato l’accordo .
Nuove tipologie di ADR introdotte dal Codice della crisi: il CCII, per recepire l’idea europea di flessibilità, ha previsto tre varianti : 1. Accordo standard (ordinario) – art. 57: come descritto sopra, richieste adesioni ≥ 60%. 2. Accordo agevolato – art. 60: novità assoluta. Richiede adesioni di soli 30% dei crediti , ma in cambio rinuncia a alcuni benefici: ad es. niente moratoria per i creditori estranei (quindi vanno pagati immediatamente per intero) e niente misure protettive preventive (non si può chiedere lo stay anticipato) . Serve per situazioni in cui magari pochi creditori principali (es. banche) decidono di aderire e gli altri sono marginali e verranno pagati integralmente. 3. Accordo ad efficacia estesa – art. 61: consente di estendere gli effetti dell’accordo anche ai creditori dissenzienti appartenenti alla stessa categoria di quelli aderenti, a certe condizioni stringenti . In pratica, è un cram down settoriale: se ad esempio l’accordo riguarda tutte le banche (categoria creditori finanziari) e il 75% del credito bancario ha aderito, il tribunale può estendere l’accordo anche alle banche dissenzienti, purché siano state invitate alle trattative, l’accordo non sia liquidatorio e preveda continuità aziendale, e garantisca ai dissenzienti almeno quanto avrebbero in fallimento . Questa possibilità di forzare la minoranza è nuova e prima limitata solo alle banche (vecchio art. 182-septies l.f.). Ora è ampliata a tutte le categorie omogenee, incluse fornitori, fisco (in teoria, ma fisco di solito è privilegiato quindi sta fuori da categorie chirografarie) . Serve per evitare che pochissimi creditori irragionevoli blocchino un accordo sostenuto dalla maggioranza qualificata.
Vantaggi per il debitore nell’usare un ADR: – Si evita la procedura più complessa del concordato (meno pubblicità negativa, gestione aziendale rimane in mano al debitore senza organi concorsuali come commissario). – Si può selezionare con chi accordarsi. Ad esempio, si può fare un accordo solo con le banche, assicurandosi della loro adesione (≥60%) e pagare tutti i fornitori minori integralmente entro 120 giorni. In effetti, l’ADR è molto flessibile nel perimetro. – Le misure protettive (divieto di azioni esecutive per 60 gg) e la possiblità di ottenerle anche prima con ricorso proteggono l’azienda mentre definisce l’accordo . – L’omologa giudiziaria dà certezza e rende l’accordo inoppugnabile (salvo gravame in appello). – Come il concordato, anche l’accordo omologato gode delle esenzioni fiscali sulle riduzioni di debito, e consente l’accesso al fondo centrale di garanzia a certe condizioni (aiuti post crisi). – In caso di successivo fallimento, i pagamenti e le garanzie effettuate in esecuzione dell’accordo non sono revocabili (art. 67 co.3 lett. e l.f. trasfuso in CCII), simile al piano attestato.
Limiti e svantaggi: – Occorre raggiungere la soglia di adesioni: se i creditori sono molto frammentati, non è semplice. – I creditori privilegiati non possono subire falcidia in un ADR, a differenza del concordato, poiché i non aderenti vanno pagati al 100% (il che di fatto include tutti i privilegiati che non firmano). Quindi se si vuole ridurre legalmente un debito privilegiato (es. ipotecario), il creditore garantito deve aderire all’accordo, altrimenti va soddisfatto integralmente. – Non c’è voto dei creditori: c’è negoziazione libera. Questo può essere uno svantaggio se hai tanti piccoli creditori impossibili da contattare: in concordato li metti a votare e se la maggioranza approva, vincola tutti; nell’accordo, se un piccolo non aderisce, va comunque pagato a parte. Dunque ADR conviene se il grosso del debito è concentrato in pochi soggetti con cui si può negoziare.
In pratica, l’accordo di ristrutturazione è stato negli ultimi anni molto usato soprattutto per banche e bond (ristrutturazioni finanziarie di aziende medio-grandi), mentre per imprese più piccole spesso si passa direttamente al concordato (perché non si raggiungeva 60%). Con le nuove soglie (30% per accordo agevolato) l’ADR può diventare più accessibile anche alle PMI, benché rimanga un costo di attestazione e procedura non trascurabile.
Concordato preventivo (artt. 84 e ss. CCII)
Il concordato preventivo è la più nota procedura concorsuale di risoluzione della crisi, con un elevato grado di coinvolgimento giudiziale. In estrema sintesi, l’imprenditore in stato di crisi o insolvenza propone ai creditori un piano per il soddisfacimento parziale dei loro crediti (o totale ma dilazionato), in alternativa alla liquidazione fallimentare. Se i creditori approvano (mediante voto per classi) e il tribunale omologa, il concordato si perfeziona e consente all’impresa di evitare il fallimento, pagando i creditori secondo quanto promesso nel piano.
Requisiti d’accesso: può chiedere il concordato qualsiasi imprenditore commerciale non piccolo (“non sotto soglia”) . Quindi società di capitali sempre ammesse; imprenditori individuali se superano i limiti dimensionali dell’art. 2 lett. d CCII (ricavi sopra €200k, debiti sopra €500k, etc., limiti per la fallibilità). Imprenditori sotto soglia, consumatori e non commerciali invece non accedono al concordato ma alle procedure di sovraindebitamento (v. infra) . L’azienda di strumenti di misura elettrica in forma di SRL rientra certamente, mentre se fosse un artigiano individuale va valutato rispetto alle soglie.
Finalità e forme: il concordato preventivo può avere due anime: – Concordato in continuità aziendale: l’azienda prosegue l’attività (direttamente o tramite un terzo) durante e dopo il concordato, e i creditori vengono soddisfatti con i proventi generati dalla continuità (anche se parzialmente) . La continuità può essere diretta (il debitore stesso continua a operare) o indiretta (il complesso aziendale viene affittato o ceduto a un assuntore che lo porta avanti). La legge incentiva la continuità perché tutela il valore dell’impresa e i posti di lavoro . Nel concordato in continuità, i creditori chirografari possono anche essere soddisfatti in misura ridotta, purché il piano offra loro più di quanto avrebbero in una liquidazione (principio di convenienza) . Si può anche prevedere una moratoria di pagamento dei creditori muniti di privilegio per il tempo necessario al risanamento (nel CCII, persino senza limite di tempo per ipotecari/pledge, e fino a 6 mesi dall’omologa per i privilegiati del lavoro) . – Concordato liquidatorio: l’azienda non prosegue l’attività, ma i beni vengono liquidati (venduti) in modo ordinato e il ricavato distribuito ai creditori. È simile a un fallimento negoziato: il debitore offre ai creditori di liquidare tutto e dare loro il ricavato (magari integrato da risorse di terzi o rinuncia di soci). Per lungo tempo, la legge ha richiesto che il concordato liquidatorio assicurasse un minimum ai chirografari (prima il 40%, poi ridotto a 20% nella L.Fall). Il CCII ha eliminato la percentuale fissa , ma resta l’obbligo di offrire ai chirografari qualcosa in più rispetto alla liquidazione giudiziale (anche fosse 5% vs 0% in fallimento, concettualmente potrebbe bastare) . Tuttavia, di prassi i tribunali valutano con rigore la fattibilità: un concordato liquidatorio puramente simbolico verrebbe respinto se non c’è una utilità concreta per i creditori. Spesso i concordati liquidatori includono l’apporto di finanza esterna (ad es. i soci mettono dei soldi nuovi per far avere un tot ai chirografari), poiché la legge li incentiva in quanto tali apporti godono di privilegio in prededuzione.
Procedura in sintesi: 1. L’imprenditore (con l’assistenza di legali e professionisti) prepara il ricorso contenente la proposta di concordato e il piano, corredato dei documenti contabili e della relazione di un attestatore indipendente che certifica la veridicità dei dati e la fattibilità del piano (art. 87 CCII). 2. Può anche presentare una domanda di concordato con riserva (detto anche concordato in bianco), annunciando di voler accedere alla procedura e depositando solo i bilanci e l’elenco creditori, ottenendo dal tribunale un termine (fino a 120 + proroga 60 gg) per presentare il piano definitivo. In tal periodo gode già delle protezioni dalle azioni esecutive (art. 54 CCII per misure protettive). 3. All’atto del deposito completo, il tribunale verifica i requisiti di ammissibilità (completezza documenti, prospettiva non manifestamente inidonea a soddisfare creditori …) ed emette un decreto di apertura del concordato preventivo. Nomina un Commissario Giudiziale (figura di controllo, di solito un commercialista) e convoca l’assemblea dei creditori per il voto. 4. Nel periodo pendente, l’azienda continua ad operare ma sotto la vigilanza del Commissario. Gli atti di straordinaria amministrazione richiedono autorizzazione del tribunale. I creditori pregressi non possono iniziare o proseguire azioni esecutive né cautelari (lo stay automatico). 5. I creditori vengono classificati per categorie omogenee (ad es.: bancari chirografari, fornitori chirografari, subordinati, privilegiati se falcidiati devono formare classe a sé, ecc.). Votano per classe: serve la maggioranza dei crediti ammessi al voto in ciascuna classe perché la classe approvi. Se tutte o la maggioranza delle classi approvano, il concordato è approvato. Alcune classi di privilegiati integralmente soddisfatti sono non votanti per legge. 6. In caso di approvazione, il tribunale passa alla fase di omologa: verifica legalità e merito (convenienza del concordato rispetto alla liquidazione). Se un creditore dissenziente lamenta che avrebbe di più in fallimento, il tribunale deve verificare che comunque la proposta gli dà almeno pari valore (test di convenienza). Se tutto ok, omologa con decreto. Da quel momento, il concordato è efficace e vincolante per tutti i creditori anteriori. 7. Segue la fase di esecuzione del piano sotto monitoraggio: il Commissario può diventare Liquidatore se previsto, altrimenti l’imprenditore esegue gli atti previsti (pagamenti, dismissioni, etc.) e riferisce. A fine esecuzione, il tribunale chiude la procedura. L’azienda risanata prosegue (se continuità) o viene cancellata (se tutto liquidato).
Trattamento dei crediti nel concordato: – I privilegiati: in continuità possono essere pagati non interamente purché almeno quanto loro spetterebbe liquidando il bene sottostante . Ciò consente di “cramdownare” i garantiti con perizia: se un ipotecario ha credito €500k ma il cespite ne vale €300k, posso proporgli €300k (valore di stima) e trattare i restanti €200k come chirografo . L’esperto attesta questa stima. Questo è un aspetto tecnico fondamentale: il concordato consente di degradare la parte ipersollecitata dei crediti privilegiati al rango chirografario, migliorando le chance di risanamento. Inoltre, il CCII consente, come detto, moratorie sul pagamento dei privilegiati: se l’azienda continua, può pagare certi privilegiati anche parecchio dopo l’omologa (purché li soddisfi almeno nel valore attuale). – I chirografari: ricevono di norma una percentuale. Devono essere trattati in modo non discriminatorio tra loro se in posizione equivalente, salvo dividere in classi con trattamenti differenti ma giustificati (es. fornitori strategici magari classe a parte con percentuale leggermente migliore per mantenerli come partner; creditori postergati in classe con 0%; ecc.). Non c’è più un minimo legale, ma c’è il controllo di convenienza: se offri 5% e un creditore prova che in fallimento prenderebbe il 10%, il piano non passa. Quindi di fatto l’attestatore e il tribunale calibrano la percentuale su stime di realizzo in fallimento. – Debiti fiscali e contributivi: come detto sopra, possono essere falcidiati attraverso la transazione fiscale (che in concordato è in parte obbligatoria – devi proporre un certo trattamento). Oggi persino l’IVA può essere falcidiata, a patto di offrire almeno il valore di liquidazione e ottenere il voto favorevole o la cramdown di omologa forzata in base alle norme speciali . – Debiti verso dipendenti: questi godono di super-privilegio sui beni mobili e di privilegio generale, inoltre c’è l’intervento del Fondo di Garanzia. Di solito vengono pagati al 100% anche in concordato, anche perché spesso il tribunale lo pretende come indice di fattibilità, specie in continuità (non sarebbe ben visto un piano che preveda un haircut sugli stipendi arretrati dei dipendenti). – Soci: se i soci sono anche creditori (finanziamenti soci), i loro crediti sono postergati e di norma non prendono nulla finché tutti gli altri non abbiano avuto il dovuto.
Benefici del concordato per il debitore: – Sospende tutte le azioni esecutive e gli interessi sui debiti chirografari smettono di maturare. – Permette di gestire in un unico contenitore tutti i debiti, anche quelli litigiosi (se ci sono cause pendenti, si possono trattare come crediti condizionati). – Salva l’impresa come entità (specie nella continuità), evitando la dispersone del know-how che avverrebbe in fallimento. – Al termine, il debitore è liberato dai debiti residui come la società: l’omologazione del concordato fa sì che i creditori possano pretendere solo quanto stabilito nel piano e nient’altro (salvo che il concordato venga risolto per inadempimento grave). Quindi, un successo del concordato equivale a una “esdebitazione” per l’azienda debitrice – condizione essenziale se vuole ripartire. – Gli amministratori conservano la gestione (nel concordato debtor in possession, diversamente dal fallimento), sebbene sotto vigilanza del Commissario e con restrizioni sugli atti straordinari. Ciò mantiene l’esperienza gestionale al timone, utile soprattutto se la continuità è l’obiettivo.
Costi e impegni: di contro, il concordato richiede: – Costi professionali notevoli (perizie, attestatore, spese di giustizia, compenso del commissario). – Tempi non brevi (tra preparazione, deposito, voto, omologa passano facilmente 6-12 mesi). – Pubblicità: la notizia del concordato è pubblica e i fornitori/fiduciari potrebbero reagire negativamente (anche se oggi è prassi più comune e socialmente accettata rispetto al passato). – Rigidità: una volta presentato il piano, le possibilità di modificarlo in corsa sono limitate (solo piccoli correttivi, se emerge che il piano è irrealizzabile, si rischia il non omologa e il fallimento diretto). – Rischio penale: dichiarare cose false nel piano o occultare attivo configura reati (ad es. bancarotta per attestazioni false in concordato). Ma d’altronde, in situazioni regolari non ci sono problemi: basta operare con trasparenza.
Evoluzioni normative recenti: – Con il D.Lgs. 83/2022 è stato specificato che il concordato preventivo deve garantire ai creditori una soddisfazione non inferiore a quella della liquidazione giudiziale – recependo in pieno il test di convenienza come criterio di ammissibilità. Non c’è più soglia fissa (20%) per il liquidatorio , ma di fatto se il piano offre 1% e dall’inventario risulta che in fallimento si otterrebbe il 30%, il tribunale non ammetterà il piano (manifestamente inidoneo). – Introdotto il concordato semplificato (vedi infra, sezione composizione negoziata) per certi casi, ma è un istituto diverso destinato ad aziende più piccole post-negotiation. – Rafforzato il ruolo della continuità: oggi la legge pone l’obiettivo del risanamento aziendale allo stesso livello della soddisfazione dei creditori . Questo significa che si può ammettere un concordato in continuità anche se offre ai creditori una soddisfazione modesta, purché sia comunque il meglio possibile e salvi l’impresa e i posti di lavoro . Non c’è più la vecchia regola che in caso di affitto d’azienda l’affittuario doveva riassumere metà dei dipendenti: il CCII ha tolto questi vincoli rigidi per facilitare soluzioni flessibili. – Classi obbligatorie: il CCII rende obbligatoria la formazione di classi se ci sono creditori con differenze significative di posizione giuridica ed economica. Dunque, addio a concordati con tutti i chirografari in un’unica classe quando magari ci sono banche non garantite e piccoli fornitori: vanno separati per garantire voto distinto (perché i loro interessi divergono). – Possibilità di cram-down giudiziale su classi dissenzienti: se una o più classi votano contro, il tribunale può comunque omologare (“cram down”) se ritiene che il trattamento di quelle classi sia equo e non peggiorativo rispetto alle alternative (questo è l’effetto di recepimento della direttiva UE 2019/1023). Quindi anche con qualche classe contraria il concordato può andare avanti, a discrezione del giudice, se c’è il voto favorevole di almeno un’altra classe rilevante.
Concordato preventivo – Tabella riepilogativa
| Caratteristica | Concordato in Continuità | Concordato Liquidatorio |
|---|---|---|
| Obiettivo principale | Risanare l’impresa e proseguire l’attività, preservando valore e occupazione . | Liquidare l’intero patrimonio per pagare i creditori e cessare l’attività. |
| Soddisfacimento creditori | In prevalenza attraverso i ricavi futuri della continuità (anche parziale) . I chirografari devono ricevere almeno quanto otterrebbero liquidando, ma non c’è % minima . | Attraverso la vendita dei beni. Spesso integrato da apporti esterni per aumentare la percentuale. Nessuna % minima per legge, ma serve superare il realizzo fallimentare previsto . |
| Trattamento dei privilegiati | Possono essere soddisfatti dilazionati e anche non integralmente, purché ≥ valore di realizzo su bene collaterale, con perizia indipendente . Possibile moratoria pagamento fino a esecuzione del piano (oltre omologa) . | Devono tendenzialmente essere soddisfatti col ricavato dei beni su cui hanno prelazione. Se prelazione insufficiente, la parte residua è chirografa. Di solito i beni sono liquidati sotto controllo del liquidatore nominato. |
| Gestione dell’azienda | Rimane in capo al debitore (DIP) sotto sorveglianza del Commissario; nel caso di continuità indiretta, l’azienda può essere affittata a terzi già durante la procedura. Il tribunale verifica che la gestione in continuità non pregiudichi i creditori (no aumento indebito delle passività). | In genere l’azienda cessa l’attività corrente (salvo esercizio provvisorio breve se utile per vendere meglio). Può essere prevista la cessione dell’azienda in blocco a un assuntore che la gestirà dopo (concordato con assuntore). |
| Vantaggi | Preserva valore dell’avviamento e contratti in essere; chance di recupero superiore se l’impresa risana; tutela posti di lavoro (elemento considerato di pari rilievo) . | Procedura ordinata di liquidazione invece del fallimento; i creditori possono ottenere percentuali leggermente migliori se ci sono contributi terzi o minori costi rispetto al fallimento; tempi potenzialmente più rapidi per incassare (se beni già individuati per la vendita). |
| Svantaggi/Rischi | Rischio di fallimento successivo se la continuità non produce i flussi attesi; necessita di finanza durante la procedura (debito prededucibile) per andare avanti; più complesso da strutturare (piano industriale credibile). | Percentuali spesso basse per chirografari (liquidazione pura dà poco); l’impresa viene di fatto smantellata; i soci usualmente perdono la proprietà dell’azienda; se la liquidazione non va come previsto, il piano potrebbe fallire e sfociare comunque in liquidazione giudiziale (anche post omologa se non eseguito). |
In un caso pratico, la nostra azienda potrebbe tentare un concordato in continuità se ha un prodotto valido e un mercato, ma è oppressa dai debiti: il piano potrebbe prevedere che continui a produrre strumenti elettrici, con nuovi investimenti, pagando i creditori in parte col fatturato futuro. Oppure, se ormai l’azienda non è più competitiva, si opterà per un concordato liquidatorio: vendere macchinari, brevetti, magazzino, incassare crediti, e distribuire il ricavato. La scelta dipende dalle prospettive di risanabilità dell’impresa (principio guida evidenziato anche dal legislatore nel favorire la continuità) .
Composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa (D.L. 118/2021 e art. 12 CCII)
La composizione negoziata è uno strumento introdotto nel 2021, divenuto parte integrante del CCII, finalizzato a favorire l’emersione tempestiva della crisi e la ricerca di soluzioni concordate con l’assistenza di un esperto terzo, prima di ricorrere a procedure concorsuali formali. Non è una procedura concorsuale, ma un percorso volontario e confidenziale.
Funziona così: l’imprenditore in crisi presenta istanza sulla piattaforma telematica nominata da Unioncamere, ottenendo la nomina di un Esperto indipendente (un professionista iscritto in apposito elenco) che lo aiuterà a gestire le trattative con i creditori. L’esperto analizza la situazione aziendale e convoca i creditori principali per avviare trattative mirate a una soluzione (accordo di ristrutturazione, aumento di capitale, cessione dell’azienda, ecc.).
Caratteristiche: – Volontarietà e riservatezza: l’accesso è su iniziativa del debitore. La procedura è riservata (non viene pubblicata inizialmente, salvo poi se si chiedono misure protettive in tribunale). – Durata limitata: la composizione negoziata dura in principio 180 giorni, prorogabili di altri 180 se necessario. L’esperto conduce incontri e redige progress reports. – Misure protettive: l’imprenditore può chiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive durante le trattative (simili all’automatic stay): con un decreto, il tribunale può sospendere o vietare azioni esecutive dei creditori e sospendere gli obblighi contrattuali di pagamento, per esempio evitando che vengano revocate linee di credito o contratti essenziali. Le misure protettive devono essere confermate entro 30 giorni dal tribunale dopo aver sentito le parti . Durante tali misure, i creditori non possono iniziare o proseguire esecuzioni (e il termine di 60 giorni di cui sopra per ADR viene sospeso) . – Esito: se le trattative hanno successo, possono sfociare in uno dei seguenti esiti: un accordo stragiudiziale privato con alcuni creditori, un accordo di ristrutturazione da omologare, un concordato preventivo vero e proprio (spesso l’imprenditore, se vede che i creditori non trovano accordo spontaneo, deposita un concordato come soluzione), oppure una convenzione di moratoria o un piano attestato. La composizione negoziata è quindi un incubatore di soluzioni: non produce essa stessa effetti sui creditori, ma è un percorso per arrivare a un esito concordato. – Concordato semplificato: se le trattative falliscono e non è possibile alcuna soluzione concordata, il legislatore ha previsto un’uscita specifica: l’imprenditore può chiedere al tribunale l’omologazione di un concordato “semplificato” per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII) . Questo concordato semplificato è particolare: non prevede il voto dei creditori, perché arriva dopo che i creditori sono stati già consultati senza successo. Il debitore presenta un piano di liquidazione di tutti i beni, con una certa proposta di riparto; il tribunale, sentiti i creditori (possono far osservazioni), può omologarlo se lo ritiene equo. È uno strumento dell’ultima spiaggia, per evitare che un imprenditore che ha provato le trattative debba necessariamente fallire. Una peculiarità: non è ammessa la continuità nel concordato semplificato, deve essere solo liquidatorio . Dunque l’impresa comunque verrà liquidata, ma in modo controllato e magari più celere di un fallimento. È un istituto nuovo del 2021, applicato finora in pochissimi casi. – Protezione di nuovo tipo: nella composizione negoziata, l’esperto può segnalare al tribunale eventuali condotte dei creditori che possano pregiudicare le trattative (ad es. un creditore che vuole incamerare un bene in garanzia ignorando la negoziazione). Il tribunale può sanzionare atti contrari alla buona fede nelle trattative. È un meccanismo che incoraggia i creditori a partecipare seriamente.
Per la nostra azienda di strumenti elettrici, la composizione negoziata potrebbe essere l’ideale se la crisi è ancora gestibile e l’imprenditore vuole evitare la pubblicità di un concordato e provare prima a trovare un accordo amichevole con banche e fornitori, con la regia di un esperto super partes. Ad esempio, grazie all’esperto potrebbe convincere la banca a prorogare i finanziamenti, i fornitori a riprendere le consegne in cambio di garanzie su pagamenti futuri, e magari attrarre un investitore. Se tutte le tessere si incastrano, il risultato potrebbe essere un contratto di risanamento fuori dalle aule giudiziarie (o un ADR omologato se serve). Se invece i creditori rimangono troppo distanti, l’esperto potrà consigliare il concordato o, se proprio tutto fallisce, al termine il debitore potrà fare il concordato semplificato e chiudere l’azienda senza passare per la procedura fallimentare ordinaria.
Dal luglio 2022 la composizione negoziata è entrata a regime col CCII e nel 2024 è stata ulteriormente perfezionata dal Correttivo ter. Ad esempio, è stato chiarito che durante la composizione negoziata l’imprenditore può accedere a finanziamenti prededucibili (c.d. finanza interinale) per portare avanti l’attività, con autorizzazione del tribunale. E nel 2025 si nota un crescente utilizzo, specie dopo che le camere di commercio hanno promosso la conoscenza di questo strumento.
Quando usare la composizione negoziata (vantaggi per il debitore): – Inizio di crisi con margini di recupero e credenza di buona fede dei creditori: se i rapporti sono ancora collaborativi, l’esperto può facilitare soluzioni win-win. – Evitare stigma e allarme: all’inizio la procedura è riservata, il mercato potrebbe non accorgersi subito della crisi aziendale (a differenza di un concordato che è pubblico e di solito comporta notizie negative). – Flessibilità: la soluzione che ne emerge può essere creativa e su misura (non deve rispettare stretti formalismi come classi e percentuali). Ad esempio, i creditori possono concordare un periodo di moratoria di 6 mesi per dare tempo all’azienda di risollevarsi senza incassare subito. – Salvaguardia della continuità: è intrinsecamente pensata per evitare l’interruzione dell’attività. – Nessuna cristallizzazione della situazione patrimoniale: a differenza del concordato, qui se arriva un nuovo debito, può essere pagato senza problemi. L’impresa è in bonis durante la negoziazione (purché rispetti misure di non peggiorare la posizione dei creditori). Solo eventuali misure protettive imposte dal tribunale possono limitare pagamenti di crediti antecedenti (per evitare favoritismi).
Svantaggi o limiti: – Non è garantito un esito: se i creditori non collaborano, c’è solo perdita di tempo (si arriva comunque all’insolvenza conclamata dopo qualche mese). – Alcuni creditori potrebbero sfruttare la negoziazione per capire le intenzioni dell’impresa e poi comunque agire duramente. Tuttavia, la presenza dell’esperto e la supervisione del tribunale su comportamenti scorretti dovrebbe mitigare questo rischio (ad esempio, un creditore che durante la negoziazione stia alle trattative e intanto di nascosto esegue un pignoramento potrebbe essere malvisto dal giudice e rischiare di vedersi revocare quell’atto se ottiene misure protettive). – Ci vuole trasparenza totale da parte dell’imprenditore: deve fornire all’esperto e ai creditori tutte le informazioni veritiere. Se nasconde qualche “scheletro nell’armadio”, la negoziazione fallirà e in più quell’informazione prima o poi emergerà in una successiva procedura peggiorando la fiducia. – Costi: benché la procedura in sé sia meno costosa di un concordato (non c’è tribunale per molti aspetti, niente commissario, ecc.), l’esperto va remunerato (tariffe fissate per legge, in parte a carico dello Stato se la società è piccola), e comunque l’imprenditore dovrà pagare i consulenti che lo assistono nel predisporre piani, business plan, etc. Non è esente costi, ma di solito inferiori ad un concordato.
Possiamo dire che la composizione negoziata è una chance che la legge dà al debitore diligente per anticipare la crisi: è bene sfruttarla perché, come recita la relazione, è meglio salvare un’azienda quando è ancora salvabile, piuttosto che curarne i resti. Se il nostro imprenditore attende troppo a lungo (magari finché i debiti esplodono in decreti ingiuntivi multipli), la composizione negoziata potrebbe arrivare troppo tardi.
Procedure di sovraindebitamento (Crisi da sovraindebitamento) – concordato minore, piano del consumatore, liquidazione controllata
Accenniamo ora alle procedure destinate a quei debitori non soggetti al fallimento (liquidazione giudiziale) né ad altre procedure concorsuali maggiori. Si tratta di piccole imprese sotto soglia, professionisti, consumatori, imprenditori agricoli, start-up innovative, e in generale ogni debitore civile insolvente escluso dal fallimento . Il quadro normativo è cambiato: la vecchia legge 3/2012 sul sovraindebitamento è stata assorbita nel CCII Parte V, con nuove denominazioni e qualche novità: – Ristrutturazione dei debiti del consumatore: è l’equivalente del vecchio “piano del consumatore”. Riservato alle persone fisiche che hanno debiti da consumo (non derivanti da attività imprenditoriale). Consente di proporre un piano di pagamento parziale dei debiti, senza necessità di accordo con i creditori, ma con omologa giudiziale basata su equità e merito (il giudice valuta la meritevolezza del consumatore e che il piano sia conveniente per i creditori rispetto alla liquidazione) . – Concordato minore: sostituisce il vecchio “accordo di composizione della crisi” per debitori diversi dal consumatore (es. piccoli imprenditori, professionisti) . È simile a un concordato preventivo ma semplificato: il debitore propone un accordo ai creditori (serve il voto favorevole del 60% dei crediti chirografari, se non erro, o forse maggioranze simili al concordato preventivo – in realtà nel concordato minore c’è il voto e approvazione a maggioranza dei crediti, con esclusione del consumatore). Permette di includere tutti i debiti e anche qui i creditori privilegiati devono avere almeno quanto prenderebbero liquidando i beni, ecc. È destinato a piccoli imprenditori sotto soglia che volontariamente vogliono evitare la liquidazione e hanno prospettive di offrire un pagamento parziale. – Liquidazione controllata del sovraindebitato: analoga al vecchio istituto della liquidazione dei beni (fallimento del debitore civile) . Si liquida tutto il patrimonio sotto la guida di un liquidatore nominato dal tribunale; al termine il debitore (persona fisica) può ottenere l’esdebitazione. Può accedervi sia il debitore stesso volontariamente, sia i creditori (possono chiedere la liquidazione controllata di un debitore sovraindebitato, analogamente a come chiederebbero il fallimento di un fallibile). Questo strumento è l’ultima ratio se non si riesce a fare un piano o accordo. – Esdebitazione del debitore incapiente: novità introdotta col CCII (art. 283 e ss). È una sorta di fresh start per il debitore persona fisica meritevole che non ha alcun patrimonio liquidabile né capacità di rimborso. Invece di fare una liquidazione inutile (a zero), la legge permette al debitore di chiedere l’esdebitazione immediata di tutti i debiti, senza pagamento, a patto di dimostrare di non aver frodato i creditori e di non essere in grado oggettivo di offrire nulla . È una soluzione radicale ma soggetta a condizioni stringenti: ad esempio, se nei 4 anni successivi sopravvengono utilità (redditi extra, vincite), il debitore deve pagarle ai vecchi creditori fino a concorrenza del 10% dei debiti esdebitati, pena revoca. Questa procedura è pensata per i casi socialmente drammatici (nullatenenti onesti). Non si applica alle società, solo alle persone fisiche.
Nel contesto della nostra azienda: se fosse una ditta individuale di piccole dimensioni non fallibile, questi strumenti diventano cruciali. Ad esempio, l’imprenditore individuale può proporre un concordato minore ai creditori invece del concordato preventivo (meno formalismi e costi ridotti, con l’ausilio di un OCC – Organismo di Composizione della Crisi – come da art. 68 CCII). Oppure, se non ha alcuna prospettiva di pagare, può chiedere la liquidazione controllata dei beni residui e ottenere l’esdebitazione. Attenzione: se la ditta individuale aveva dipendenti, la procedura è comunque di sovraindebitamento (non fallisce per definizione di soglia), ma i dipendenti possono attivare il Fondo di Garanzia INPS e poi l’INPS agirà nella procedura. Similmente, l’Agenzia Entrate Riscossione partecipa come creditore.
Dal punto di vista del debitore sovraindebitato, vale la pena segnalare: – Queste procedure richiedono di passare tramite un OCC (Organismo di Composizione della Crisi), spesso istituito presso gli Ordini professionali o le Camere di Commercio. L’OCC nomina un gestore che assiste il debitore, prepara la relazione e lo affianca come farebbe un Commissario. Ad esempio, per presentare un concordato minore o un piano del consumatore, ci si rivolge all’OCC locale . – La meritevolezza è un concetto chiave: specialmente per il piano del consumatore e l’esdebitazione “a zero”, serve dimostrare di non aver colposamente causato la propria insolvenza con dolo o colpa grave (ad es. aver fatto spese spropositate). Se il giudice ravvisa comportamenti in mala fede, può rigettare il piano del consumatore o negare l’esdebitazione. – Anche per il piccolo imprenditore sovraindebitato, il Codice penalizza chi ha commesso atti in frode ai creditori (es. distratto beni prima della procedura): questo può portare all’inammissibilità delle soluzioni concordate e lasciare solo la liquidazione. – I vantaggi comunque sono grandi: blocco delle azioni esecutive (il tribunale appena accetta l’istanza di concordato minore o apre la liquidazione controllata, sospende i pignoramenti in corso), possibilità di falcidiare anche debiti fiscali e contributivi come visto (nel concordato minore col voto, nel piano del consumatore col giudice se fattibile). – L’esdebitazione finale è prevista espressamente: il debitore, persona fisica, ottiene la liberazione dei debiti residui a fine liquidazione (salvo debiti esclusi come alimenti, risarcimenti da illecito con condanna penale, ecc.). Già con la L.3/2012 era così, il CCII conferma che dopo la chiusura della liquidazione controllata, il debitore sovraindebitato persona fisica è esdebitato di diritto se ha cooperato. Perfino se la liquidazione paga zero ai creditori (incapienza totale), è possibile avere l’esdebitazione, come espressamente affermato per l’incapiente integrale (questo tema è stato oggetto anche di discussioni giurisprudenziali: e.g. Trib. Ivrea 15/07/2025 sull’esdebitazione dell’incapiente ha stabilito presupposti e compatibilità con l’assenza di patrimonio ).
Differenze principali rispetto al concordato “grande”: – Non c’è un voto per classi (tranne nel concordato minore, dove c’è un meccanismo di adesione più semplificato). – Il ruolo dell’OCC/gestore è centrale: aiuta a formulare il piano e vigila. – La procedura è meno costosa e più snella, tarata su realtà minori. – I crediti futuri per finanziamenti per spese di procedura hanno comunque prededuzione e privilegio. Lo Stato ha predisposto anche un Fondo di solidarietà per sovraindebitamento per coprire spese delle procedure di consumatori nullatenenti.
Dal 2012 a oggi, migliaia di persone e piccole imprese si sono liberate dei debiti con queste procedure. Nel 2025, la giurisprudenza è ormai consolidata su molti punti. Ad esempio, Cassazione 18517/2025 ha ribadito che chi è condannato per bancarotta fraudolenta non può ottenere l’esdebitazione: la condanna, anche se a seguito di patteggiamento, è causa ostativa (come da art. 142 L.Fall, vecchia disciplina) . Questo principio continua a valere (anche se la “riforma Cartabia” del 2022 in ambito penale ha previsto che il patteggiamento non abbia effetti extra-penali, la Cassazione ha chiarito che per i casi ante 2022 valeva l’equiparazione a condanna) . Quindi, se un piccolo imprenditore ha commesso reati fallimentari, difficilmente avrà accesso alla clean slate. Ciò evidenzia ancora una volta: la meritevolezza e la legalità del comportamento sono pre-condizioni per accedere ai benefici di perdono del debito.
In conclusione, dal punto di vista del debitore, l’esistenza di queste procedure di sovraindebitamento significa non esiste più un debito senza via d’uscita, anche per chi non è fallibile. Il nostro imprenditore (o garante) persona fisica, se resta con debiti personali dopo che la società è liquidata, potrà cercare sollievo tramite esdebitazione personale. Il legislatore ha disegnato un sistema completo in cui, a fronte di un comportamento trasparente e collaborativo, il debitore onesto ma sfortunato può aspirare a ripartire da zero.
Aspetti penali della crisi d’impresa e responsabilità personali
Un’azienda che scivola nell’insolvenza trascina con sé non solo conseguenze economiche, ma potenzialmente anche responsabilità legali personali per gli amministratori e gli imprenditori coinvolti. Occorre quindi, dal punto di vista del debitore, conoscere quali comportamenti vanno assolutamente evitati per non incorrere in reati fallimentari o altri illeciti penali connessi ai debiti. Inoltre, è importante distinguere i casi in cui anche il patrimonio personale di amministratori o soci può essere aggredito, nonostante la responsabilità limitata.
Reati fallimentari (bancarotta e affini)
I reati fallimentari (ora detti “reati della crisi d’impresa”) entrano in gioco se e quando l’impresa viene dichiarata in liquidazione giudiziale (ex fallimento) o avvia un concordato con condotte fraudolente. Il Codice della crisi dedica il Titolo IX alle disposizioni penali , riprendendo sostanzialmente le vecchie norme della legge fallimentare. Il reato principe è la bancarotta fraudolenta (art. 322 CCII) , che punisce con la reclusione da 3 a 10 anni l’imprenditore dichiarato in liquidazione giudiziale (ex sentenza di fallimento) che abbia posto in essere condotte di distrazione, occultamento, dissimulazione, distruzione o dissipazione di propri beni, oppure abbia esposto passività fittizie allo scopo di frodare i creditori . La norma punisce anche chi falsifica o tiene in modo tale da non rendere intellegibili le scritture contabili . Sono le due forme di bancarotta fraudolenta: quella patrimoniale (depauperamento o aggravamento del passivo) e quella documentale (irregolarità contabili gravi), entrambe finalizzate a pregiudicare i creditori .
Vi è poi la bancarotta semplice (art. 323 CCII, ex art. 217 l.fall.), a carattere colposo, punita più lievemente (fino a 2 anni di reclusione). Questa scatta per comportamenti di grave imprudenza o negligenza da parte dell’imprenditore, quali: aver aggravato il dissesto con spese personali eccessive, operazioni manifestamente imprudenti, aver ritardato la richiesta di procedura concorsuale aggravando il buco, oppure non aver tenuto i libri e le scritture contabili senza dolo (quindi non fraudolento, ma disordinato) . Per esempio, l’amministratore che ha continuato a ordinare materiali di magazzino non necessari sperperando liquidità mentre la società era già insolvente potrebbe rispondere di bancarotta semplice per grave imprudenza.
Esistono poi fattispecie di bancarotta impropria rivolte agli amministratori di società (artt. 329-330 CCII, ex art. 223-224 l.fall.): se il fallimento (liquidazione giudiziale) è di una società, oltre alla bancarotta dell’imprenditore (che qui è la società stessa, ente), rispondono personalmente per bancarotta impropria gli amministratori, direttori generali, liquidatori che con dolo o colpa hanno causato o aggravato il dissesto. Ad esempio, l’amministratore che ha falsificato i bilanci nascondendo perdite può rispondere di bancarotta impropria fraudolenta a norma dell’art. 329 CCII. Oppure, se non c’è dolo ma gestione estremamente avventata che porta al crack, può configurarsi bancarotta impropria semplice (art. 330 CCII). Un caso ricorrente: società fallita con amministratori che non avevano versato i contributi, non avevano tenuto contabilità, ecc. – costoro tipicamente vengono imputati per bancarotta semplice documentale (mancata tenuta dei libri) e/o preferenziale.
Bancarotta preferenziale: merita attenzione perché è un reato in cui è facile incorrere se non si conosce la norma. Consiste nell’aver pagato o soddisfatto un creditore a preferenza di altri in periodo di dissesto, favorendo intenzionalmente un creditore a danno degli altri (art. 322 co.3 CCII, ex art. 216 co.3 l.fall.) . Anche qui pena da 1 a 5 anni. Esempio: a ridosso del fallimento, l’imprenditore paga integralmente un fornitore “amico” lasciando gli altri a bocca asciutta, oppure costituisce una garanzia a favore di una banca quando era già insolvente. Queste operazioni (pagamenti preferenziali, garanzie contestuali al debito o posteriori) se fatte in malafede comportano responsabilità penale. Difendersi: in situazione di insolvenza imminente, è prudente non fare preferenze arbitrarie. Meglio optare per strumenti concorsuali dove il trattamento è paritario, o se si fanno pagamenti isolati, che siano giustificabili come atti in bonis (es. pagamenti per servizi essenziali che servono a continuare l’attività – possono non essere considerati preferenziali, soprattutto se avvengono prima della dichiarazione di insolvenza e non in frode).
Quando si concretizzano questi reati? Occorre la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale (sentenza di fallimento) come presupposto perché si parli di bancarotta . Prima, certi atti possono costituire altri reati (ad es. la sottrazione di beni ai creditori senza fallimento può essere “ricorso abusivo al credito” o reati tributari se vendi beni occultando ricavi). Ma la vera bancarotta c’è se la crisi sfocia in procedura concorsuale liquidativa. Infatti, storicamente la Cassazione diceva: la sentenza di fallimento è elemento costitutivo del reato di bancarotta . Oggi, con il CCII, è la sentenza che dichiara aperta la liquidazione giudiziale a fungere da presupposto . In concordato preventivo, invece, non c’è bancarotta (perché l’impresa non viene spossessata totalmente dei beni, c’è continuità di gestione o liquidazione concordataria). Però attenzione: se nel concordato emergono fatti di frode, il concordato può essere revocato e tramutarsi in liquidazione giudiziale e su quei fatti si innesterà l’acc(continua dal paragrafo precedente) …questo significa che anche un atto distrattivo compiuto prima del fallimento ma senza influire direttamente sul dissesto è comunque punibile. In altre parole, non serve che la frode “causi” il fallimento: basta che avvenga in presenza di insolvenza ed è già reato. Questo principio, affermato dalla Cassazione nel 2025 (sent. n. 34809/2025), mette in guardia l’imprenditore dal pensare di giustificarsi col dire “l’azienda sarebbe fallita comunque, anche se ho tolto quei beni”. Non regge.
Come evitare di incorrere in reati fallimentari? Dal punto di vista del debitore onesto, alcuni comportamenti prudenziali sono fondamentali:
- Tenere una contabilità regolare: l’assenza o irregolarità grave delle scritture porta quasi automaticamente a contestazioni di bancarotta documentale. Anche in crisi, l’impresa deve continuare a registrare tutto. Se le scritture vanno perdute (incendio, furto), denunciare l’accaduto subito e ricostruire il possibile.
- Non occultare o distrarre beni aziendali: vendere macchinari sottoprezzo a parenti, trasferire liquidi su conti esteri personali, prelevare indebitamente cassa per sé quando l’azienda è in dissesto – sono tutte distrazioni tipiche che configurano bancarotta fraudolenta patrimoniale. In vista di un possibile fallimento, non “svuotare” la società! È preferibile utilizzare i beni per pagare tutti i creditori o farli stimare in un concordato. Cassazione ha anche chiarito che il fatto di usare risorse aziendali per fini estranei (es. pagare debiti personali coi soldi della società) è distrazione punibile.
- Evitare il “favoritismo” verso alcuni creditori: come detto, pagare selettivamente qualcuno a discapito di altri in prossimità del fallimento può sfociare nella bancarotta preferenziale. Se ad esempio l’imprenditore paga integralmente il fornitore amico il giorno prima di depositare il concordato (lasciando gli altri al 30%), rischia guai penali. Meglio includere quel fornitore nel piano come gli altri o, se il pagamento è indispensabile (es. fornitore essenziale per continuare l’attività), farlo approvare dal giudice nell’ambito di misure protettive o pre-deducibilità in concordato, per conferire legittimità.
- Non aggravare il dissesto con azioni imprudenti: continuare ad accumulare debiti quando si è ormai in decozione, nella speranza vana di “raddrizzare la barca”, può far scivolare dall’ambito civile (responsabilità verso creditori) al penale (bancarotta semplice). Non tutte le scelte errate sono reato – la Cassazione ha ribadito che il diritto penale non sanziona il semplice errore gestionale, se non quando le operazioni sono manifestamente imprudenti o azzardate oltre ogni ragionevolezza. Dunque l’imprenditore deve riconoscere quando la situazione è irreversibile e attivare le procedure del caso invece di giocare d’azzardo con i creditori come posta. Ad esempio, contrarre nuovi debiti sapendo di non poterli onorare può integrare il reato di insolvenza fraudolenta o profili di truffa.
- Collaborare con gli organi della procedura: se si arriva al fallimento, l’atteggiamento collaborativo (consegna documenti, informazioni veritiere al curatore) è importante. Mentire al curatore o sottrargli documenti potrebbe configurare ulteriori reati (es. art. 343 CCII – mancata consegna di beni o scritture).
In definitiva, fallire non è di per sé un reato. Diventa reato il come ci si comporta prima e durante la procedura. Un imprenditore sfortunato ma corretto, che tiene i libri in ordine e non compie atti dolosi, non verrà punito penalmente per il solo fatto che la sua azienda è andata male. Il legislatore colpisce invece l’imprenditore che, all’ombra della crisi, tradisce la fiducia dei creditori dissipando beni, falsificando conti o privilegiando qualcuno indebitamente. Ecco perché, in questa guida “dal lato del debitore”, insistiamo sulla trasparenza e tempestività: attivarsi con strumenti legali di regolazione della crisi non è solo la via migliore economicamente, ma è anche la strada per sottrarsi ad ogni accusa penale, poiché si opera sotto controllo giudiziale e in buona fede.
Responsabilità personali e patrimoniali degli amministratori e dei soci
Quando un’azienda è indebitata, occorre valutare in che misura gli amministratori e i soci possano essere chiamati a risponderne in proprio. Ciò varia molto a seconda della forma giuridica dell’impresa:
- Società di capitali (es. S.r.l., S.p.A., S.r.l.s.): queste hanno personalità giuridica distinta e patrimonio separato. I soci non rispondono con i propri beni dei debiti sociali (art. 2462 c.c. per S.r.l.), salvo obblighi di versamento delle quote sottoscritte. Tuttavia, se i soci hanno rilasciato garanzie personali (fideiussioni, pegni su beni personali) a favore di creditori dell’azienda – cosa frequente con le banche – allora il creditore potrà escutere il socio garante indipendentemente dalla limitazione di responsabilità. La procedura concorsuale della società non libera i soci garanti: ad esempio, una banca, pur se parte di un concordato preventivo con stralcio del credito, potrà richiedere al fideiussore (socio) l’integrale pagamento residuo, a meno che quel garante non ottenga egli stesso un accordo o una propria esdebitazione. Dunque, il socio garante deve eventualmente attivarsi in parallelo (accordo transattivo personale col creditore, o procedura di sovraindebitamento personale).
Gli amministratori di società di capitali non sono responsabili personalmente dei debiti sociali verso terzi in condizioni normali. Essi però possono incorrere in responsabilità civile verso la società (azione di responsabilità per mala gestio, ex art. 2476 c.c.) e in certi casi verso i creditori sociali (quando il patrimonio sociale risulta insufficiente per loro a causa di violazioni degli amministratori, ex art. 2476 co.6 c.c. per S.r.l.). In pratica, se gli amministratori violano i loro doveri (ad esempio non convocano i soci per ricapitalizzare a fronte di perdite, continuando attività in perdita e peggiorando il buco), i creditori insoddisfatti potranno – tramite il curatore fallimentare o liquidadore giudiziale – agire contro di loro per il danno provocato (azione di responsabilità per deficit fallimentare). Un caso tipico: a fallimento avvenuto, il curatore esercita l’azione ex art. 2486 c.c. contestando agli ex amministratori di aver ritardato il ricorso a procedure concorsuali, aggravando il passivo; se prova ciò, gli amministratori devono risarcire quel maggior danno, e il ricavato va a beneficio dei creditori . Anche senza arrivare a ciò, va ricordato che se gli amministratori compiono atti distrattivi, come visto, ne rispondono penalmente e il curatore può chiederne la restituzione (azione revocatoria fallimentare o risarcitoria).
Un caso particolare di responsabilità personale riguarda il pagamento preferenziale di debiti fiscali e contributivi durante la liquidazione societaria. La legge prevede (art. 2495 c.c. e norme tributarie) che se i liquidatori di una società di capitali distribuiscono attivi ai soci lasciando impagati debiti erariali privilegiati, essi ne rispondono personalmente verso il Fisco fino alla concorrenza delle somme indebitamente distratte. In altre parole, i liquidatori devono prima pagare i creditori privilegiati (Erario, dipendenti…) e solo se avanza qualcosa possono dare ai soci; se violano questa regola, l’Agenzia Entrate può escutere direttamente il liquidatore per il dovuto . Analogamente, l’art. 2495 c.c. consente ai creditori sociali non soddisfatti di agire contro i soci che hanno ricevuto distribuzioni nell’ultimo bilancio di liquidazione, nei limiti di quanto percepito. Dunque amministratori e liquidatori devono stare attenti a non “favorire” i soci a scapito dei creditori: ne risponderebbero di tasca propria.
- Società di persone (S.n.c., S.a.s.): qui i soci illimitatamente responsabili (tutti i soci di S.n.c. e i soli accomandatari nelle S.a.s.) rispondono illimitatamente e solidalmente con il loro patrimonio personale per i debiti sociali (artt. 2291, 2313 c.c.). Un creditore di una S.n.c. può escutere i soci, pur se deve prima escutere il patrimonio sociale (beneficio di escussione art. 2268 c.c.): in pratica se la società non paga, il socio è obbligato a pagare. Questo significa che per un’azienda di persone indebitata non c’è vera separazione patrimoniale – i creditori possono rifarsi sugli averi personali dei soci. Ne consegue che i soci di S.n.c./S.a.s., in caso di dissesto, rischiano il proprio fallimento personale: infatti, la legge prevede che la sentenza di liquidazione giudiziale di una società personale produce anche la liquidazione giudiziale dei soci illimitatamente responsabili (salvo che si siano già “tirati fuori” tempo prima con regolare estraneità). Questo comporta che i soci si troveranno coinvolti nella procedura concorsuale, con tutto il corollario di esdebitazione personale possibile solo a fine procedura. Soci accomandanti di S.a.s.: costoro hanno responsabilità limitata al capitale conferito, purché non ingeriscano nella gestione. Se però l’accomandante si immischia nell’amministrazione, perde il beneficio e può essere ritenuto illimitatamente responsabile verso i terzi (art. 2320 c.c.).
In sintesi, in società di persone non esiste difesa patrimoniale personale: i soci devono considerare i debiti aziendali come propri. L’unica “ancora” per il socio persona fisica è, post-fallimento, l’esdebitazione (ottenibile a certe condizioni una volta chiusa la procedura, come per qualunque fallito persona fisica). Nel frattempo, però, i creditori possono attaccare i beni personali (case, conti) dei soci, eventualmente coordinandosi con il curatore.
- Impresa individuale: non essendoci distinzione tra imprenditore e impresa, l’imprenditore risponde sempre con tutti i suoi beni. La differenza è solo nella procedura applicabile: se è piccolo (sotto soglia), i suoi debiti li gestirà con le procedure di sovraindebitamento (piano del consumatore, concordato minore, ecc.); se sopra soglia e fallibile, può essere dichiarato fallito e allora i suoi beni saranno gestiti dal curatore. In ogni caso, dopo la liquidazione, la persona fisica può liberarsi dei debiti residui con l’esdebitazione (ottenibile dal tribunale su richiesta, se ha cooperato e non ci sono ragioni ostative come atti in frode o condanne per bancarotta) .
Inoltre, a prescindere dalla forma, ci sono situazioni particolari di responsabilità personale: – Soci che abbiano percepito utili fittizi o patrimoni sociali indebitamente: se, violando i doveri di conservazione del capitale, gli amministratori hanno distribuito utili inesistenti ai soci, o ridotto il patrimonio a danno creditori, i soci possono doverli restituire (azione revocatoria su dividendi fittizi entro un anno, art. 292 CCII). Ad esempio, se prima del fallimento i soci si sono fatti restituire finanziamenti soci o hanno prelevato dividendi sproporzionati, il curatore può chiedere indietro quelle somme. – Soci garanti o coobbligati: come detto, la procedura concorsuale non copre i coobbligati (art. 1239 c.c.). Se un socio ha garantito un debito bancario, la banca escuterà lui per intero mentre magari in concordato prende il 40% dal debitore principale. Il socio potrà insinuarsi in prededuzione per quanto pagato in surroga, ma comunque esce liquidità dal suo patrimonio. Dunque la difesa qui consiste nel cercare, ove possibile, di inserire nei piani di risanamento clausole a tutela dei garanti (ad es. prevedere che, in caso di esito positivo del piano, il creditore rinunci ad azioni di regresso verso i garanti) oppure che i garanti contribuiscano al piano e vengano liberati. Ciò richiede negoziazione ad hoc. – Responsabilità penale degli amministratori e soci: di questo abbiamo già detto – atti illeciti possono portare a sanzioni personali (bancarotta, reati tributari, ecc.). Inoltre, reati come l’emissione di fatture false per creare crediti IVA, o le false comunicazioni sociali (bilanci falsi per occultare perdite) possono portare a condanne penali (artt. 2621 e 2622 c.c. per false comunicazioni, se rilevanti per i soci o creditori). Un bilancio falso che nasconde la reale situazione debitoria può costituire reato societario e aggravare la posizione degli amministratori in caso di dissesto.
Conclusione sulla responsabilità personale: uno dei vantaggi di avviare per tempo un percorso di risanamento è anche limitare l’esposizione personale di chi guida l’impresa. Un amministratore che adempie ai doveri (convoca i soci per copertura perdite, instaura gli assetti adeguati previsti dall’art. 2086 c.c., attiva la composizione negoziata o la procedura concorsuale in tempo utile) difficilmente sarà ritenuto civilmente o penalmente responsabile degli esiti negativi. Al contrario, chi resta inerte o, peggio, compie atti distrattivi rischia di trasformare la crisi aziendale in un suo dramma personale. In particolare, la riforma 2019-2022 pone l’accento sull’“adeguatezza degli assetti” e gli obblighi di segnalazione: l’amministratore diligente deve saper cogliere i segnali di allerta e intervenire. Se lo fa, protegge sé stesso oltre che l’impresa.
Domande frequenti (FAQ)
D: La mia azienda non riesce a pagare i debiti: cosa devo fare come prima mossa?
R: Non restare inerte! Fai immediatamente un’analisi della situazione con il tuo commercialista e un legale. Predisponi un piano di cassa per capire quali debiti sono più urgenti (stipendi, fornitori strategici, ecc.). Contatta le banche e i creditori principali per informarli che stai preparando un piano di ristrutturazione – questo spesso evita azioni impulsive dei creditori. Valuta di rivolgerti ad un Organismo di Composizione della Crisi o di attivare la Composizione Negoziata se ricorrono i presupposti: avere l’affiancamento di un esperto e la protezione del tribunale ti darà respiro . In ogni caso, privilegia la trasparenza e la buona fede: nascondere il problema peggiora solo le cose.
D: È possibile evitare il fallimento della mia azienda indebitata?
R: Sì, l’ordinamento offre vari strumenti per evitare la liquidazione giudiziale (ex fallimento) se c’è possibilità di risanamento o anche solo di liquidazione ordinata. Puoi ad esempio proporre un concordato preventivo, che se approvato dai creditori ed omologato dal tribunale ti consente di evitare il fallimento e proseguire l’attività (nel concordato in continuità) . Oppure puoi concludere un accordo di ristrutturazione dei debiti con i creditori principali (ad es. banche) e farlo omologare: anche questo impedisce il fallimento perché risolve la crisi in modo concordato . Se la tua impresa è molto piccola o sei un consumatore, puoi accedere alle procedure di sovraindebitamento (piano del consumatore, concordato minore) invece del fallimento . In sintesi, il fallimento oggi è davvero l’extrema ratio – viene dichiarato solo se nessuno degli strumenti di composizione della crisi ha funzionato o è praticabile.
D: Che differenza c’è tra un accordo di ristrutturazione e un concordato preventivo?
R: Entrambi mirano a regolare i debiti, ma con procedure diverse. Un accordo di ristrutturazione (ADR) è essenzialmente un contratto tra te e almeno il 60% (o 30% nell’accordo agevolato) dei tuoi creditori, omologato dal tribunale . Non coinvolge necessariamente tutti i creditori: i dissenzienti vanno pagati integralmente entro 120 giorni dall’omologa . Non c’è votazione formale di tutti i creditori, conta l’adesione negoziata. Il concordato preventivo, invece, è una procedura concorsuale in senso pieno: coinvolge tutti i creditori, che vengono raggruppati in classi e votano la tua proposta a maggioranza . Il concordato può prevedere la continuità aziendale o la liquidazione del patrimonio. Nel concordato puoi anche imporre perdite ai privilegiati (nei limiti del valore di realizzo dei beni dati in garanzia) , mentre nell’accordo devi comunque pagare per intero i creditori privilegiati non aderenti. In pratica: l’accordo è più flessibile e rapido, ma richiede consenso negoziale; il concordato è più strutturato e sotto controllo giudiziario, impone la soluzione anche ai dissenzienti una volta approvato e omologato. Spesso si tenta prima un accordo e, se non riesce, si ripiega sul concordato.
D: I debiti con il Fisco e l’INPS si possono ridurre o dilazionare?
R: Sì, ci sono diversi modi. Fuori dalle procedure concorsuali, puoi chiedere una rateizzazione fino a 6 anni (72 rate) o straordinaria fino a 10 anni se in grave crisi : questo non riduce l’importo ma lo spalma. Periodicamente il legislatore introduce rottamazioni o condoni: ad esempio, fino al 30 aprile 2023 si poteva aderire alla Definizione Agevolata 2023 (rottamazione-quater) e pagare le cartelle senza sanzioni né interessi di mora. In ambito concorsuale, puoi proporre una transazione fiscale dentro un concordato preventivo o ADR, offrendo il pagamento parziale di imposte e contributi . Oggi è ammesso falcidiare anche l’IVA e le ritenute, cosa prima vietata, purché tu offra almeno quanto l’Erario otterrebbe in un fallimento e un esperto lo attesti. Ad esempio, se devi €100 di IVA e in caso di fallimento l’Erario prenderebbe €20, nel concordato puoi proporre di pagare €25, ottenendo uno “sconto” di 75 (il tutto dev’essere approvato dall’Agenzia Entrate) . Anche l’INPS può accettare parziali pagamenti dei contributi in concorso. Fuori dal concordato, ricorda che i debiti fiscali privilegiati restano intoccabili (salvo condoni), mentre nelle procedure li puoi gestire meglio.
D: Se non pago tasse o contributi, rischio sanzioni penali?
R: Potenzialmente sì, in presenza di determinate soglie di importo omesso. Per l’IVA, il reato scatta se in un anno solare non versi più di €250.000 di IVA dovuta (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000). Per le ritenute certificate (le trattenute sulle buste paga dei dipendenti, ad esempio), la soglia è €150.000 annui (art. 10-bis). Per i contributi INPS trattenuti ai dipendenti, bastano €10.000 omessi in un anno per la rilevanza penale . Sotto tali soglie, c’è solo sanzione amministrativa. Quindi, se la tua azienda non versa l’IVA o le ritenute di importi considerevoli, l’amministratore può essere imputato di reato tributario. Attenzione: entrare in concordato non ti immunizza da questi reati – la Cassazione ha chiarito che chiedere il concordato dopo la scadenza del versamento non evita il processo penale . L’unico modo per evitare la condanna, una volta superata la soglia, è pagare tutto il dovuto prima che inizi il dibattimento penale (causa di non punibilità ex art. 13 D.Lgs. 74/2000) – ma ciò raramente è fattibile se sei in crisi. In sintesi: meglio prevenire. Se vedi che non riesci a pagare l’IVA, considera seriamente di chiedere una rateazione o un intervento urgente (finanziamento soci, ecc.) per non sforare la soglia criminale. Per i contributi dipendenti vale lo stesso: versa almeno parzialmente per tenere l’omesso sotto €10.000, magari privilegia quei pagamenti rispetto ad altri (questo è un caso in cui “fare preferenze” può essere giustificato, perché eviti un reato). In ogni caso, documenta sempre la crisi di liquidità: nei reati omissivi tributari la causa di forza maggiore (es. mancanza assoluta di fondi per pagare dopo aver pagato i dipendenti) talvolta può essere valutata a tuo favore, ma va provata.
D: Cosa rischio se la mia società viene dichiarata fallita?
R: La procedura in sé comporta la perdita dell’amministrazione dei beni aziendali e la liquidazione del patrimonio per pagare i creditori. Se la società è di capitali, dopo la chiusura verrà cancellata. Tu personalmente come amministratore potresti subire: (a) un’azione di responsabilità da parte del curatore, se ti vengono contestati errori gestionali gravi che hanno danneggiato i creditori; (b) se hai commesso qualcuno degli atti descritti prima (distrazioni, irregolarità contabili, favoritismi indebiti), potresti essere imputato di bancarotta (fraudolenta o semplice) e affrontare un procedimento penale ; (c) se sei anche socio illimitatamente responsabile (S.n.c.), verrai dichiarato fallito personalmente e i creditori potranno aggredire anche i tuoi beni; (d) potresti subire limitazioni come l’interdizione dagli uffici direttivi di imprese se condannato per bancarotta fraudolenta (10 anni di inabilitazione). Se però hai agito correttamente e la tua azienda è fallita per sfortuna o con causa esterna (mercato, insolvenza di un cliente grosso, pandemia, etc.), non subirai conseguenze personali punitive: anzi, potrai chiedere di essere esdebitato dai debiti residui a fine procedura , ottenendo una sorta di “perdono” economico e la possibilità di ripartire senza strascichi di debiti (restano comunque esclusi dall’esdebitazione eventuali debiti per sanzioni penali, alimenti, etc.). Quindi il fallimento è soprattutto un problema economico e gestionale; diventa un problema personale/penale solo se c’è stata mala fede o colpa grave da parte tua.
D: Ho una S.r.l.: devo temere per la mia casa e i miei risparmi se l’azienda fallisce?
R: In linea di principio no, i creditori possono rifarsi solo sul patrimonio della S.r.l. e non sul tuo personale. Il fallimento della società non coinvolge i soci (a differenza delle società di persone). Tuttavia, verifica se hai firmato fideiussioni o garanzie personali per debiti sociali: in tal caso, il creditore (banca, locatore, fornitore) potrà escutere te come garante. Spesso gli imprenditori scambiano la responsabilità limitata con la protezione assoluta, ma poi hanno dato garanzie dappertutto… Se così fosse, dovrai eventualmente affrontare i debiti come sovraindebitato personale (puoi ricorrere al concordato minore o alla liquidazione del tuo patrimonio per liberartene). Inoltre, ricorda che se hai confuso i tuoi beni con quelli sociali (conto corrente promiscuo, proprietà discutibili su immobili tra te e la società), i creditori o il curatore potrebbero rivendicare che certi beni in realtà sono della società e aggredirli. Ma queste sono situazioni patologiche (es. esterovestizione di patrimoni personali dentro l’azienda). In generale, se hai rispettato la distinzione tra persona e società, il fallimento della S.r.l. non tocca i tuoi beni personali. Attenzione però a eventuali responsabilità personali come amministratore: se ti vengono contestati illeciti e il curatore ottiene un risarcimento contro di te, indirettamente il tuo patrimonio verrebbe intaccato (dovresti risarcire i danni). Ad esempio, se hai continuato l’attività aggravando il passivo di 500.000 €, il curatore potrebbe farti condannare a pagare quella somma alla massa dei creditori. Anche per questo conviene attivarsi per tempo nella crisi: per non aggravare il deficit ed evitare tali azioni.
D: La mia società è molto piccola (una ditta individuale sotto soglia). Posso lo stesso accedere a una procedura per liberarmi dei debiti?
R: Assolutamente sì. Come spiegato, esistono le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento proprio per i debitori non fallibili. Se sei una ditta individuale o un professionista, puoi presentare un concordato minore al tribunale : in pratica un concordato “light” dove proponi ai creditori una percentuale di rimborso e paghi in base alle tue disponibilità (serve l’accordo della maggioranza dei crediti e l’intervento di un OCC). Se invece sei un consumatore (debiti personali, non d’impresa), puoi fare un piano del consumatore (ora “ristrutturazione dei debiti del consumatore”), dove non serve neanche il voto dei creditori: deciderà il giudice se omologarlo in base alla tua buona fede e sostenibilità del piano. Se non hai alcuna prospettiva di pagare (purtroppo capita), puoi optare per la liquidazione controllata: metti a disposizione quei pochi beni che hai (o anche nessuno) e dopo la procedura chiedi l’esdebitazione integrale. Addirittura, se sei persona fisica nullatenente e davvero non hai nulla da liquidare, puoi chiedere direttamente l’esdebitazione del debitore incapiente senza passare dalla liquidazione : il tribunale in pratica ti cancella i debiti a fronte della tua totale indigenza, dandoti la cosiddetta “esdebitazione a zero”. Questa è una misura di favore eccezionale, concessa solo ai debitori meritevoli che non hanno colpa (ad esempio, un ex piccolo imprenditore che ha perso tutto e vive solo del minimo vitale). Dunque, anche il più piccolo dei debitori può trovare sollievo: nessuno è condannato a vita dai debiti in Italia, a patto di seguire le procedure giuste.
D: Dopo un concordato o un fallimento, cosa succede ai debiti che non sono stati pagati?
R: Dipende. Se la tua azienda ha concluso con successo un concordato preventivo, i debiti vengono soddisfatti nella percentuale prevista e si intendono estinti per la parte residua. L’omologazione del concordato fa sì che i creditori non possano più reclamare oltre quanto ricevuto; eventuali garanzie personali di terzi però rimangono (come detto, i fideiussori restano obbligati per il residuo, salvo diversa pattuizione). In caso di fallimento (liquidazione giudiziale) di una società, al termine la società viene cancellata dal registro imprese e cessa di esistere: i debiti insoddisfatti rimangono senza un soggetto debitore (non “resuscitano” in capo ai soci se era società di capitali, né agli amministratori, salvo siano garanti). In sostanza, i crediti insoddisfatti si cancellano con la cancellazione della società debitrice. Se invece parliamo di persona fisica (imprenditore individuale o socio illimitato fallito), questi, una volta chiusa la procedura, può chiedere l’esdebitazione al tribunale: è un provvedimento che cancella tutti i debiti rimasti non pagati nel fallimento . Oggi l’esdebitazione del fallito persona fisica è quasi un diritto: il giudice la concede se il fallito ha cooperato, non ha commesso irregolarità gravi o frodi, e non è un recidivo. Con l’esdebitazione, torni libero da quei debiti (fanno eccezione solo i debiti per obblighi di mantenimento, per risarcimenti da fatto illecito o sanzioni penali/amministrative: quelli restano). Nelle procedure di sovraindebitamento, analogamente, l’omologazione di un piano cancella le somme eccedenti pagate e, nella liquidazione controllata, l’esdebitazione finale libera il debitore onesto. In sintesi: sì, c’è vita dopo i debiti! La legge prevede la tua “ripulitura” economica, premesso che tu abbia agito correttamente. Solo chi ha frodato i creditori potrebbe vedersi negare l’esdebitazione (es. un condannato per bancarotta fraudolenta non può essere esdebitato ).
D: Conviene tentare un accordo stragiudiziale con i creditori o passare subito per il tribunale col concordato?
R: Dipende dalla situazione. Se pensi di poter ottenere il consenso dei principali creditori in tempi rapidi e senza bisogno di bloccare aggressioni (pignoramenti) – ad esempio hai poche banche e fornitori e sono disponibili a discutere – vale la pena tentare un accordo stragiudiziale o un accordo di ristrutturazione. I costi sono minori e la gestione più snella. Puoi magari iniziare con la composizione negoziata: è riservata e provi a trovare un’intesa con l’aiuto dell’esperto. Il concordato preventivo è invece indicato se: i creditori sono moltissimi o molto conflittuali (e quindi vuoi imporre la soluzione per via giudiziaria), oppure se hai urgente bisogno di protezione dalle azioni esecutive (il concordato “in bianco” blocca subito i creditori) , o ancora se devi trattare categorie di crediti che richiedono il tribunale (es. riduzione di debiti fiscali rilevanti). Spesso si segue questo percorso: prima trattativa informale → poi magari accordo di ristrutturazione omologato (se raggiungi adesioni 60%) → se non si riesce, come ultima risorsa concordato preventivo. Tieni presente che il concordato è pubblico e un po’ macchinoso, quindi se c’è una chance ragionevole di sistemare privatamente, sfruttala. Viceversa, se la situazione è già precipitata (ingiunzioni, pignoramenti in corso), non aspettare oltre e ricorri subito al tribunale con una domanda di concordato o di misure protettive in composizione negoziata, per congelare il caos e gestire tutto in sede concorsuale.
D: Cosa devo fare per non incorrere personalmente in problemi legali durante la crisi della mia impresa?
R: In sintesi: comportati da amministratore accorto e leale. Ciò significa: – Assicurati di avere una contabilità regolare e aggiornata anche nei momenti peggiori: servirà a te per capire la situazione e ti metterà al riparo da accuse di bancarotta documentale. – Non “saccheggiare” l’azienda per mettere al sicuro qualcosa per te: qualunque atto del genere (prelievi ingiustificati, vendite a parenti, cessioni simulate) verrà annullato e probabilmente ti porterà un’incriminazione . Piuttosto, se vuoi salvare parte dell’attività, concorda una cessione a terzi al giusto valore di mercato e usa il corrispettivo per pagare i debiti in procedura (così potresti magari riacquistare tu quell’attività tramite una newco libera dai debiti, il tutto in modo legale). – Non fare il pagamento del disperato a favore del creditore più minaccioso trascurando gli altri. Se un creditore ti mette troppa pressione, considera di portarlo nel perimetro di un accordo generale o di ottenere dal tribunale la sospensione provvisoria di quella pretesa (es. chiedendo al giudice di sospendere un pignoramento perché stai per depositare concordato). Pagare “fuori sacco” crea disparità e può configurare reato , oltre a poter essere revocato poi. – Comunica con i creditori: il silenzio e le bugie generano solo sfiducia e litigiosità. Meglio spiegare la situazione e magari ammettere di non poter pagare subito ma proporre qualcosa. Questo rientra nei doveri di buona fede negoziale e oggi anche nelle logiche di allerta: per esempio, se ricevi la famosa lettera di allerta dall’Erario , non ignorarla! Convoca il tuo consulente e studiate il da farsi (piano di rientro o accesso a composizione assistita). – Rispettare i doveri legali dell’amministratore: se sei in S.r.l. e le perdite superano il capitale, convoca l’assemblea e ricapitalizza o metti in liquidazione (artt. 2482-bis e ter c.c.). Se non lo fai, i creditori potranno accusarti di aver aggravato il buco in violazione di legge. Analogamente, adotta gli “assetti adeguati” (controllo di gestione, indicatori) come chiede l’art. 2086 c.c.: questo ti aiuterà a intercettare per tempo la crisi e ti metterà al riparo da censure di negligenza grave. – Documenta ogni scelta: se continui l’attività in crisi, fallo sulla base di un piano e di consulenze professionali che dicano che c’è margine di recupero. Così, se le cose andranno male, potrai dimostrare che non stavi giocando d’azzardo ma agendo in modo ponderato (a volte l’azzardo è punito, la scelta ponderata no, anche se ex post fallisce).
In pratica, devi poter un domani, davanti a un giudice, mostrare di aver fatto tutto il possibile per salvare il salvabile nel rispetto della legge e dei creditori. Se lo fai, difficilmente incorrerai in condanne o responsabilità pesanti. Il diritto fallimentare moderno premia il debitore onesto ma sfortunato, offrendo vie d’uscita; punisce invece chi approfitta della crisi per comportamenti opportunistici o sleali.
Tabelle riepilogative
Di seguito, proponiamo due tabelle sintetiche che riassumono alcuni concetti chiave esposti:
Tabella 1 – Strumenti di regolazione della crisi: caratteristiche principali
| Strumento | Accesso | Coinvolgimento creditori | Omologazione tribunale | Vantaggi | Svantaggi |
|---|---|---|---|---|---|
| Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII) | Imprese in crisi o insolvenza. Volontario, extragiudiziale. | Solo i creditori che aderiscono all’accordo sul piano. Estranei non vincolati. | No omologa; viene solo pubblicato il piano con attestazione. | Rapido, riservato; evita revocatorie su pagamenti in esso previsti . Flessibile nei contenuti. | Non blocca azioni dei creditori estranei; richiede consenso individuale di ciascun aderente. |
| Accordo di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-61 CCII) | Imprese (anche non fallibili) in crisi/insolvenza. | Devono aderire creditori ≥ 60% dei crediti (30% se accordo agevolato) . I non aderenti restano estranei ma vanno pagati al 100% entro 120 gg . | Sì, omologa dal tribunale. Possibile opposizione dissenzienti prima dell’omologa . | Procedura più breve del concordato; moratoria 60 gg dalle esecuzioni dopo pubblicazione ; flessibilità: si può limitare ad alcune categorie di creditori; meno costoso del concordato. | Richiede accordo effettivo con la maggioranza (trattative complesse); creditori estranei da soddisfare interamente in breve (serve liquidità); no falcidia unilaterale di creditori privilegiati senza il loro consenso. |
| Concordato preventivo (artt. 84-120 CCII) | Imprenditori commerciali non sotto soglia in stato di crisi o insolvenza . | Tutti i creditori pregressi, suddivisi in classi. Approvazione per voto (maggioranza per classi) . Dissentienti vincolati se concordato omologato. | Sì, omologa necessaria. Il tribunale valuta legittimità e convenienza . | Potente “ombrello”: sospende azioni esecutive ; permette falcidia di crediti privilegiati (entro limiti) e chirografari ; può includere transazione fiscale ; consente continuità aziendale protetta. | Procedura lunga, pubblica e costosa; richiede il voto favorevole dei creditori (salvo cram-down giudiziale in casi particolari); gestione azienda limitata durante la procedura (controlli, atti autorizzati). |
| Composizione negoziata (art. 12 e segg. CCII) | Imprese in situazione di squilibrio (anche non insolvenza conclamata). Volontaria. | Coinvolgimento informale dei creditori principali nelle trattative, guidate da esperto. Nessun vincolo per i dissenzienti salvo accordi presi. | No omologa (salvo eventuali accordi conclusi come ADR). Il tribunale interviene solo per misure protettive o autorizzazioni. | Riservata (nessun pregiudizio reputazionale iniziale); possibilità di misure protettive mirate ; grande flessibilità di soluzioni (accordi personalizzati, moratorie, intervento nuovo socio, ecc.). | Non dà certezza di risultato (è solo negoziazione); creditori liberi di tirarsi indietro; durata limitata (180+180 gg); se fallisce, si va comunque in procedura (event. concordato semplificato). |
| Concordato semplificato (art. 25-sexies CCII) | Solo in esito negativo di composizione negoziata . Debitore deve aver tentato invano soluzioni negoziali. | Coinvolge tutti i creditori in liquidazione, ma senza voto. Creditori possono fare osservazioni al tribunale. | Sì, omologa giudiziale senza voto creditori. Tribunale verifica requisiti e correttezza del piano. | Consente di chiudere la crisi liquidando i beni senza passare per fallimento e senza attendere consenso creditori; più rapido e snello. | Solo liquidatorio (niente continuità ammessa) ; applicabile in poche situazioni (dopo composizione negoziata fallita); i creditori possono opporsi in sede di omologa (il giudice può anche rigettare se il piano li danneggia troppo). |
| Procedura sovraindebitamento (concordato minore, piano consumatore) | Debitori non fallibili (consumatori, piccoli imprenditori, professionisti) , in stato di sovraindebitamento. | Tutti i creditori noti. Nel concordato minore c’è voto dei creditori chirografari (maggioranza del 50% crediti); nel piano del consumatore nessun voto, decide il giudice. | Sì, omologa da parte del tribunale (sentito l’OCC). | Procedure cucite su misura di piccoli debitori; costi bassi; possibile forte falcidia debiti, incluse cartelle esattoriali; dopo esecuzione del piano, esdebitazione totale dei residui. | Necessaria meritevolezza del debitore (no frodi, no colpe gravi); tempi medio-lunghi per l’omologa; durante la procedura, misure protettive simili al concordato ma con margini più stretti; controllo rigoroso da parte dell’OCC e del giudice. |
Tabella 2 – Forme giuridiche dell’impresa e conseguenze sui debiti
| Forma giuridica | Responsabilità per debiti | Procedura concorsuale | Note aggiuntive |
|---|---|---|---|
| Ditta individuale (imprenditore persona fisica) | Illimitata: il titolare risponde con tutti i suoi beni personali. | Fallimento (liquidazione giud.) se “non piccolo”; altrimenti sovraindebitamento. | Nessuna distinzione tra patrimonio d’impresa e personale. Possibile esdebitazione finale del debitore . |
| Società di persone (S.n.c., S.a.s. per i soci accomandatari) | Illimitata e solidale per i soci (salvo accomandanti). Soci obbligati in proprio dopo escussione patrimonio sociale. | Liquidazione giudiziale della società estesa di diritto ai soci illimitatamente responsabili . | Soci accomandanti rispondono solo nei limiti del conferimento, purché non ingeriscano. I soci falliti possono ottenere esdebitazione come persone fisiche. |
| Società di capitali (S.r.l., S.p.A., S.r.l.s.) | Limitata al patrimonio sociale. Soci non rispondono dei debiti sociali (ex art. 2462 c.c.). | Fallimento/liquidazione giudiziale della società. Soci e amministratori rimangono estranei (salvo garanzie personali). | Amministratori possono essere chiamati a rispondere per danni se violano obblighi (azione di responsabilità). Soci garanti rimangono obbligati verso i creditori garantiti anche dopo il concordato della società. Liquidatori responsabili se pagano soci preferendo loro al Fisco . |
| Professionista o consumatore (non imprenditore) | Illimitata per i debiti personali (es. debiti da carte di credito, mutui, fornitori personali). | Procedure di sovraindebitamento: piano del consumatore o liquidazione controllata. | Se imprenditore solo civile (es. agricolo) o sotto soglia, trattato come consumatore ai fini delle procedure. Debiti di origine privata ristrutturabili col piano del consumatore (senza voto creditori). |
Fonti e riferimenti normativi
- D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza) – come modificato dai Decreti correttivi (D.Lgs. 147/2020, 118/2021, 83/2022, 136/2024). Contiene la disciplina unitaria di concordato preventivo, accordi di ristrutturazione, sovraindebitamento e illeciti penali concorsuali.
- Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Vecchia Legge Fallimentare) – abrogato dal 15 luglio 2022, rileva per i principi consolidati e la giurisprudenza formatasi fino alle recenti riforme.
- Codice Civile – Artt. 2086 (obbligo di assetti adeguati), 2447, 2482-bis/ter (riduzione capitale per perdite), 2476 (responsabilità organi sociali verso creditori), 2495 (responsabilità post-liquidazione), 1216 e 2740 (patrimonio del debitore garanzia generica).
- Codice Penale e leggi speciali penali – Artt. 216-223 L. Fall. (reati di bancarotta, ora trasfusi negli artt. 322-330 CCII) ; D.Lgs. 74/2000 artt. 10-bis, 10-ter (omesso versamento tributi) ; L. 638/1983 art. 2 (omesso versamento contributi > €10.000) .
Giurisprudenza e prassi aggiornata:
- Cass., Sez. I civ., 07/07/2025 n. 18517: il patteggiamento per bancarotta fraudolenta è equiparato a condanna ai fini ostativi dell’esdebitazione ex art. 142 l.fall (ante riforma Cartabia) . Conferma che chi è riconosciuto colpevole di reati fallimentari dolosi non può ottenere il beneficio di liberazione dai debiti residui.
- Cass., Sez. III pen., 04/11/2025 n. 35938: la presentazione di un concordato preventivo non esclude la punibilità per omesso versamento IVA (art. 10-ter). Il reato si configura alla scadenza del termine di versamento e non viene meno se poi interviene un concordato .
- Cass., Sez. V pen., 07/04/2025 n. 13299: in tema di bancarotta semplice, viene ribadito che la valutazione delle scelte imprenditoriali ha limiti: solo le operazioni manifestamente imprudenti o contrarie a ogni logica possono integrare il reato per “grave imprudenza” ex art. 323 CCII. La mera gestione inefficiente non è punibile penalmente.
- Cass., Sez. V pen., 16/09/2025 n. 34809: in materia di bancarotta fraudolenta, non è richiesto il nesso causale tra la condotta distrattiva e il fallimento. Anche atti di frode che non abbiano provocato il dissesto sono punibili, se compiuti in periodo di insolvenza.
- Cass., Sez. Un. civ., 15/11/2016 n. 24214: (precedente) ha statuito che nel concordato preventivo con continuità l’attestazione di fattibilità deve considerare anche la salvaguardia dell’occupazione (principio poi recepito dal CCII) – rilevante per comprendere l’evoluzione che ha portato a dare pari dignità alla continuità aziendale rispetto alla soddisfazione dei creditori .
- Corte Costituzionale, 22/11/2022 n. 245: ha aperto alla possibilità di omologa del concordato preventivo anche senza il voto favorevole del Fisco per i crediti tributari, purché il trattamento proposto sia conveniente (c.d. cram-down fiscale). Tale pronuncia – anticipatrice della normativa introdotta dal D.Lgs. 83/2022 – è citata come sfondo della transazione fiscale.
- Tribunale di Milano, decreto 10/10/2022: (prassi) ammette un accordo di ristrutturazione “agevolato” ex art. 60 CCII con percentuale di adesione del 35%, ritenendo soddisfatte le condizioni di legge. È uno dei primi provvedimenti sul nuovo accordo a soglia ridotta .
- Tribunale di Palermo, 15/03/2023: (prassi) ha omologato un “concordato minore” proposto da un imprenditore agricolo sovraindebitato, con falcidia dell’80% dei crediti chirografari. Significativo perché mostra l’applicazione concreta del concordato minore post-riforma.
- Linee guida del Tribunale di Livorno 2025 su composizione negoziata e concordato semplificato – forniscono indicazioni operative su come formulare le proposte e gestire le misure protettive, ribadendo che il concordato semplificato non può prevedere continuità (solo liquidazione) .
- Agenzia Entrate – Circolare n. 34/E del 2020: (in tema di transazione fiscale) chiarisce la documentazione e i criteri perché l’Agenzia dia parere favorevole nelle trattative di transazione fiscale. Menziona l’obbligo dell’attestazione sulla convenienza della proposta rispetto al fallimento .
- Relazione illustrativa al D.L. 118/2021: illustra ratio e funzionamento della composizione negoziata, incoraggiando l’imprenditore ad attivarsi tempestivamente e spiegando il ruolo dell’esperto. Utile per interpretare in buona fede gli obblighi di lealtà durante le trattative .
La tua azienda che produce, importa, distribuisce o ripara strumenti di misura elettrica, multimetri, pinze amperometriche, tester digitali, analizzatori di rete, misuratori d’isolamento, megger, oscilloscopi, calibratori, sonde, data logger e strumenti professionali per impiantisti, elettricisti, industrie, laboratori e manutentori si trova oggi in difficoltà a causa dei debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo
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Ricevi solleciti, richieste di rientro, sospensioni delle forniture, decreti ingiuntivi o persino minacce di pignoramento da parte di banche, Fisco, INPS, fornitori elettronici o Agenzia Entrate-Riscossione?
Il settore della strumentazione elettrica è impegnativo: componenti costosi, strumenti ad alta precisione, normative severe, tarature periodiche, magazzini delicati e clienti che spesso pagano a 60–120 giorni. Bastano pochi ritardi o un calo dei fidi per scatenare una crisi di liquidità.
La buona notizia? La tua azienda può essere salvata, se intervieni subito e in modo mirato.
Perché un’Azienda di Strumenti di Misura Elettrica va in Debito
- aumento dei costi di sensori, PCB, moduli elettronici, display, batterie e componenti avanzati
- ritardi nei pagamenti da parte di installatori, industrie e rivenditori
- magazzino immobilizzato tra multimetri, analizzatori, sonde, ricambi e strumenti delicati
- costi elevati di assistenza tecnica, tarature, certificazioni e manutenzioni
- investimenti continui in R&D, firmware e conformità normativa
- riduzione o revoca dei fidi bancari
In quasi tutti i casi, il problema non è la mancanza di lavoro, ma la mancanza di liquidità immediata.
I Rischi se Non Agisci Subito
- pignoramento dei conti correnti aziendali
- blocco dei fidi
- stop di forniture elettroniche critiche
- atti esecutivi, decreti ingiuntivi e precetti
- sequestro di strumenti, magazzino e apparecchiature da laboratorio
- impossibilità di completare riparazioni, tarature e commesse
- perdita di clienti strategici e distributori importanti
Cosa Fare Subito per Difendersi
1. Bloccare immediatamente i creditori
Un avvocato specializzato può:
- sospendere pignoramenti e atti esecutivi
- bloccare richieste di rientro urgenti
- proteggere i conti correnti
- fermare le azioni dell’Agenzia Riscossione
Prima si mette in sicurezza l’azienda, poi si interviene sui debiti.
2. Analizzare i debiti ed eliminare ciò che non è dovuto
Spesso si trovano irregolarità importanti:
- interessi non dovuti
- sanzioni calcolate male
- importi duplicati
- debiti prescritti
- errori nelle cartelle esattoriali
- commissioni bancarie anomale
Una percentuale significativa del debito può essere tagliata o cancellata.
3. Ristrutturare i debiti con piani sostenibili
Le soluzioni principali:
- rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
- accordi con fornitori tecnici
- rinegoziazione dei fidi bancari
- sospensione temporanea dei pagamenti
- accesso a definizioni agevolate
4. Usare strumenti legali potentissimi che bloccano TUTTI i creditori
Nei casi più complessi la legge consente di attivare:
- PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
- Accordi di ristrutturazione
- Concordato minore
- (solo nei casi estremi) Liquidazione controllata
Questi strumenti permettono all’azienda di continuare a lavorare pagando solo una parte dei debiti, mentre i creditori vengono bloccati.
Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo
Per salvare davvero un’azienda del settore elettronico serve un professionista altamente qualificato.
L’Avv. Monardo è:
- Avvocato Cassazionista
- Coordinatore nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012) – negli elenchi ufficiali del Ministero della Giustizia
- Professionista fiduciario di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi)
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Un profilo ideale per bloccare creditori, ristrutturare debiti e proteggere aziende tecnologiche, come la tua.
Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo
- analisi immediata della tua esposizione debitoria
- blocco urgente di pignoramenti e decreti ingiuntivi
- riduzione o cancellazione dei debiti non dovuti
- ristrutturazione completa del debito
- protezione di strumenti, ricambi, laboratorio e magazzino
- trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
- tutela totale dell’azienda e dell’amministratore
Conclusione
Avere debiti nella tua azienda di strumenti di misura elettrica non significa essere destinati alla chiusura.
Con una strategia rapida, mirata e legalmente solida, puoi:
- bloccare subito i creditori,
- ridurre davvero i debiti,
- proteggere strumenti, ordini e continuità operativa,
- salvare il futuro della tua azienda.
Agisci ora.
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il percorso di salvataggio può iniziare oggi stesso.