Se la tua azienda produce, importa o distribuisce sigillanti, siliconi, MS polymer, adesivi tecnici, schiume poliuretaniche, resine, cartucce e prodotti per edilizia, industria e serramentistica, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, è fondamentale agire subito per evitare blocchi alle forniture e perdita di clienti.
Nel settore dei sigillanti e siliconi, ritardi negli approvvigionamenti possono fermare lavori edili, linee produttive, manutenzioni industriali e cantieri, generando penali e danni commerciali importanti.
Perché le aziende di sigillanti e siliconi accumulano debiti
- aumento dei costi di polimeri, resine, solventi e materiali chimici
- rincari dei trasporti e delle materie prime importate
- pagamenti lenti da parte di imprese edili, serramentisti e industrie
- ritardi nei versamenti di IVA, imposte e contributi
- magazzini complessi con lotti, scadenze e molte varianti di prodotto
- difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati
Cosa fare subito
- far analizzare da un professionista la tua esposizione debitoria
- individuare debiti che possono essere ridotti, contestati o rateizzati
- evitare piani di rientro insostenibili
- richiedere la sospensione immediata di pignoramenti o atti esecutivi
- proteggere rapporti con fornitori strategici e materiali chimici essenziali
- utilizzare strumenti legali per ristrutturare e rinegoziare i debiti
I rischi se non intervieni tempestivamente
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco delle forniture di siliconi, sigillanti e materiali tecnici
- impossibilità di completare ordini per cantieri e industrie
- perdita di clienti storici, serramentisti e imprese
- rischio concreto di chiusura dell’attività
Come può aiutarti l’Avvocato Monardo
Detto questo, l’avvocato Monardo, cassazionista, coordina un team nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario.
Inoltre è:
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
- iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
- professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
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- bloccare subito pignoramenti e procedure esecutive
- ridurre o ristrutturare i debiti con gli strumenti normativi più efficaci
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Introduzione
Un’azienda produttrice di sigillanti e siliconi, come molte piccole e medie imprese italiane, può trovarsi in difficoltà finanziarie con debiti significativi (anche superiori al milione di euro) verso Fisco, banche, fornitori e enti previdenziali. In questi casi è fondamentale conoscere come difendersi dalle azioni dei creditori e quali strumenti legali adottare per affrontare la crisi. Negli ultimi anni il quadro normativo italiano è profondamente cambiato: l’introduzione del nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, entrato pienamente in vigore nel 2022 e aggiornato al 2024) ha portato un approccio moderno e preventivo alla gestione delle crisi aziendali . Oggi si privilegia il risanamento dell’impresa in difficoltà, quando possibile, attraverso strumenti negoziali e giudiziali, con obblighi precisi per imprenditori e amministratori di attivarsi tempestivamente .
In questa guida avanzata – rivolta ad avvocati, imprenditori e anche privati interessati – esamineremo dal punto di vista del debitore tutte le opzioni per gestire una situazione di grave indebitamento di una S.r.l. operante nel settore dei siliconi e sigillanti. Adotteremo un linguaggio giuridico accurato ma con intento divulgativo, spiegando:
- Le diverse tipologie di debiti aziendali (fiscali, bancari, verso fornitori, previdenziali, ecc.) e i relativi rischi.
- I doveri legali degli amministratori di fronte allo stato di crisi e le possibili responsabilità civili e penali in caso di inerzia o comportamenti scorretti.
- Gli strumenti di composizione della crisi previsti dalla normativa italiana: dalla composizione negoziata ai piani attestati di risanamento, dagli accordi di ristrutturazione al concordato preventivo (in continuità o liquidatorio) sino alla eventuale liquidazione giudiziale (il “fallimento” nella nuova terminologia). Analizzeremo anche istituti introdotti di recente, come il concordato semplificato e il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione.
- Strategie di difesa contro le azioni dei creditori: come ottenere moratorie, trattative, quali procedure sospendono pignoramenti e altre esecuzioni, come gestire debiti fiscali e bancari in modo da evitare conseguenze irreversibili.
- Simulazioni pratiche con esempi di aziende indebitate: come un’azienda ancora operativa può salvarsi con un piano di risanamento negoziato, e cosa accade invece se l’impresa è destinata alla liquidazione.
- Una sezione di domande e risposte frequenti, per chiarire i dubbi più comuni (ad es. “Cosa rischia personalmente l’imprenditore?”, “Conviene attivare la composizione negoziata?”, “Come vengono trattati i debiti fiscali in un concordato?”, ecc.).
- Tabelle riepilogative che confrontano le diverse soluzioni di crisi d’impresa e i loro pro/contro, offrendo una panoramica immediata delle opzioni disponibili.
Aggiornamento normativo: la guida include riferimenti alle modifiche normative più recenti (ad esempio il D.Lgs. 83/2022 attuativo della direttiva UE 2019/1023 e il D.Lgs. 136/2024 “Correttivo-ter” al Codice della crisi) e alle sentenze aggiornate di Tribunali e Corte di Cassazione fino all’ottobre 2025. Tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate saranno elencate in fondo alla guida, per garantire autorevolezza e consentire approfondimenti .
Nel prossimo capitolo inizieremo esaminando i vari debiti aziendali e le conseguenze che ciascuna tipologia di debito comporta per l’azienda debitrice.
Tipologie di debiti aziendali e loro conseguenze
Una società manifatturiera può accumulare debiti di natura diversa. È importante distinguere le varie categorie di creditori perché ognuna gode di tutele e rimedi specifici. Analizziamo i principali tipi di debito che un’azienda di sigillanti e siliconi può avere: fiscali, previdenziali, bancari/finanziari e commerciali (fornitori), evidenziando per ciascuno i rischi in caso di mancato pagamento.
Debiti fiscali (Erario) e contributivi (INPS/INAIL)
I debiti verso il Fisco includono imposte non versate (IVA, IRES/IRPEF, IRAP) e altri tributi, mentre quelli verso enti previdenziali riguardano contributi INPS per i dipendenti e premi assicurativi INAIL. Questi debiti sono particolarmente delicati per vari motivi:
- Poteri di riscossione potenziati: L’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia) può iscrivere a ruolo le somme dovute e procedere a misure cautelari ed esecutive senza passare da un giudice ordinario. Ad esempio, può iscrivere ipoteche su immobili aziendali o dei garanti, oppure disporre il fermo amministrativo di macchinari o veicoli aziendali, se il debito supera certe soglie. Può inoltre pignorare conti correnti aziendali con procedure semplificate. Queste azioni di recupero forzato possono mettere in ginocchio l’operatività dell’impresa.
- Interessi e sanzioni: I debiti fiscali e contributivi crescono nel tempo a causa di interessi di mora e sanzioni amministrative. Un debito IVA non pagato, ad esempio, accumula interessi giornalieri e può essere gravato da sanzioni fino al 30%. Questo significa che ritardare il pagamento peggiora la situazione debitoria in modo esponenziale.
- Privilegi nel recupero: In caso di insolvenza conclamata, lo Stato e gli enti previdenziali vantano privilegi sul patrimonio del debitore. Ciò significa che, se l’azienda viene sottoposta a procedura concorsuale (concordato o liquidazione giudiziale), i crediti tributari e contributivi (almeno per la parte di imposte e contributi dovuti negli ultimi anni) verranno soddisfatti con precedenza rispetto ai crediti chirografari (non garantiti). Questo obbliga il debitore, nei piani di ristrutturazione, a prevedere trattamenti specifici per il Fisco/INPS, spesso con pagamento in percentuale concordata (la cosiddetta transazione fiscale e contributiva).
- Possibili conseguenze penali: Alcuni omessi pagamenti al Fisco oltre determinate soglie integrano reati tributari. Ad esempio, l’omesso versamento IVA per importi superiori a una soglia (attualmente €250.000 per periodo d’imposta) è punito penalmente ai sensi dell’art. 10-ter D.Lgs. 74/2000. Analogamente, l’omesso versamento di ritenute certificate oltre €150.000 (art. 10-bis D.Lgs. 74/2000) è reato. Per i contributi INPS, l’omesso versamento di ritenute previdenziali configurava reato se sopra una soglia (reato parzialmente depenalizzato negli anni recenti, ora punito amministrativamente se l’omissione non supera determinati importi). In sostanza, accumulare grossi debiti fiscali può esporre l’imprenditore (legale rappresentante) a procedimenti penali per reati tributari, aggravando ulteriormente la crisi d’impresa.
- Rimedi specifici: Il legislatore periodicamente offre strumenti di sollievo per debiti fiscali, come le “definizioni agevolate” (es. rottamazione delle cartelle esattoriali, saldo e stralcio di interessi e sanzioni). Ad ottobre 2025, ad esempio, è in fase attuativa la “rottamazione-quater” introdotta dalla Legge di Bilancio 2023, che consente di estinguere i debiti a ruolo 2000-2017 senza sanzioni né interessi di mora, pagando il solo importo capitale e interessi legali. Tali misure però hanno scadenze e requisiti stringenti e non risolvono situazioni di insolvenza grave in assenza di liquidità per aderirvi. Inoltre, nelle procedure concorsuali è possibile proporre al Fisco una transazione fiscale (art. 63 Codice della crisi, ex art. 182-ter l.fall.) per pagare solo una parte del dovuto: se l’Erario rifiuta la proposta, il tribunale può comunque omologarla forzosamente se ritiene che la proposta sia più vantaggiosa per il Fisco rispetto alla liquidazione fallimentare . La Cassazione ha chiarito nel 2024 che il giudice può approvare la transazione fiscale anche in caso di voto contrario dell’Agenzia delle Entrate, non solo se essa resta silente . Ciò è ora espressamente previsto dall’art. 88, co.4, Codice della crisi come modificato dal D.Lgs. 136/2024. Questo “cram-down fiscale” offre al debitore uno strumento per superare eventuali rigidità del Fisco, purché la proposta assicuri un recupero non inferiore a quello ipotizzabile in caso di fallimento.
In sintesi, i debiti fiscali e previdenziali, specie se di importo rilevante, rappresentano una priorità da gestire con attenzione: possono paralizzare l’azienda tramite azioni esecutive rapide, aumentare rapidamente per interessi/sanzioni, e condurre persino a responsabilità penali. Nel prosieguo vedremo come gli strumenti di crisi consentono di negoziare con il Fisco e l’INPS soluzioni sostenibili, evitando il collasso dell’impresa.
Debiti bancari e finanziari
Le aziende industriali spesso ricorrono al credito bancario per finanziarsi. I debiti verso banche e istituti finanziari (mutui, leasing, scoperti di conto, anticipi fatture, finanziamenti vari) presentano le seguenti criticità:
- Garanzie e ipoteche: Molti debiti bancari sono assistiti da garanzie reali (es. ipoteca su immobili aziendali o pegno su macchinari, fideiussioni personali dei soci o garanti) o privilegi speciali. Se l’azienda è inadempiente, la banca può avviare l’esecuzione forzata sul bene dato in garanzia senza attendere altre procedure: ad esempio, con un mutuo ipotecario non pagato, la banca può pignorare e far vendere all’asta il capannone o terreno ipotecato. Le garanzie personali significano che, in caso di insolvenza della S.r.l., la banca potrà escutere il patrimonio personale di soci garanti o amministratori che abbiano firmato fideiussioni, estendendo la crisi all’ambito personale.
- Decadenza dal beneficio del termine: I contratti di finanziamento spesso prevedono che, al mancato pagamento anche di una sola rata o al deteriorarsi della situazione finanziaria dell’azienda, la banca possa dichiarare la decadenza dal termine e richiedere immediatamente l’intero importo residuo del debito. Ciò significa che un modesto arretrato può rendere tutto il debito immediatamente esigibile, aggravando la tensione di liquidità. Inoltre, la segnalazione alla Centrale Rischi di Bankitalia come “sofferenza” compromette la reputazione creditizia dell’impresa.
- Procedimenti monitori rapidi: In assenza di garanzie reali da escutere, la banca può comunque ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo grazie all’estratto conto certificato (titolo di credito ex art. 50 TUB). Ottenuto il titolo, procede con pignoramenti di conti correnti, crediti verso clienti, beni mobili o immobili aziendali. Ciò può paralizzare l’operatività (ad esempio, il pignoramento dei conti blocca la liquidità per pagare fornitori e stipendi).
- Clausole finanziarie e covenant: Alcuni finanziamenti prevedono obblighi contrattuali (“covenant”) come il mantenimento di determinati indicatori di bilancio. Se l’azienda scende sotto certi parametri (ad es. eccessivo indebitamento rispetto al patrimonio), la banca può revocare i fidi o chiedere rientri. Dunque, una crisi economica può portare alla revoca delle linee di credito, accentuando la mancanza di liquidità proprio nel momento peggiore.
- Privilegi e ranghi: In una procedura concorsuale, le banche con garanzie (creditori privilegiati o ipotecari) sono pagate con precedenza fino a concorrenza del valore del bene in garanzia. Ciò comporta che in un concordato o fallimento, a meno che non acconsentano a condizioni diverse, hanno diritto a ricevere l’equivalente del valore di realizzo della garanzia (o l’intero credito se il valore copre tutto). I debiti bancari chirografari (senza garanzie) rientrano invece tra i crediti chirografari comuni, concorrendo con fornitori e altri. Spesso nelle ristrutturazioni le banche svolgono il ruolo di creditori chiave, perché magari detengono gran parte del debito finanziario: serve il loro consenso per accordi di ristrutturazione o il loro voto favorevole in un concordato per raggiungere le maggioranze richieste.
- Rimedi e dialogo: Una banca può essere paradossalmente più “flessibile” di altri creditori se vede concrete prospettive di recuperare il credito nel lungo termine. Le banche preferiscono spesso evitare di portare l’azienda a fallimento (dove il recupero è incerto e ritardato) se c’è un piano di risanamento credibile. Per questo, già in via stragiudiziale si possono negoziare moratorie (sospensione temporanea delle rate), rischedulazioni del debito (allungamento piani di ammortamento), taglio di interessi, o conversione del debito (ad es. parte del debito trasformato in quota di capitale, se i soci accettano l’ingresso della banca nel capitale). In sede concorsuale, strumenti come l’accordo di ristrutturazione permettono di vincolare tutte le banche se almeno il 60-75% di esse (per valore del credito) aderisce, persino forzando la minoranza dissenziente (accordo ad efficacia estesa, applicabile ai creditori finanziari omogenei) . Inoltre, nel concordato preventivo si possono classare i creditori finanziari separatamente e proporre soddisfazioni differenti.
Riassumendo, i debiti bancari vanno affrontati proattivamente: contattare i referenti bancari appena emergono segnali di stress finanziario, presentare un piano (anche informale) di rientro o ristrutturazione, e se necessario ricorrere agli strumenti offerti dal Codice della crisi per imporre una moratoria generale (ad esempio attraverso misure protettive in composizione negoziata o nel concordato, che sospendono le azioni esecutive delle banche) . Le banche tendenzialmente valutano pragmaticamente i piani: se risanare l’azienda offre loro maggior recupero che liquidarla, sosterranno la ristrutturazione, magari richiedendo garanzie aggiuntive o la cessione di asset non strategici per ridurre il debito.
Debiti verso fornitori e altri creditori non garantiti
I debiti commerciali verso fornitori di materie prime, servizi e altri creditori chirografari (non privilegiati) costituiscono spesso una parte consistente del passivo di un’azienda manifatturiera. Le problematiche principali qui sono:
- Azioni legali individuali: I fornitori insoddisfatti possono rapidamente attivarsi per recuperare i propri crediti. Tipicamente, ottengono un decreto ingiuntivo per le fatture non pagate e, trascorsi 40 giorni senza opposizione o se l’opposizione del debitore è respinta, possono procedere con il pignoramento di beni aziendali o crediti. Ad esempio, un fornitore di materie prime potrebbe far pignorare il conto corrente aziendale o i crediti che l’azienda vanta verso i propri clienti (es. bloccando incassi futuri). La notifica di numerosi decreti ingiuntivi è spesso il preludio all’istanza di fallimento se l’azienda non paga.
- Interruzione delle forniture: Un effetto indiretto ma devastante è la perdita di fiducia dei fornitori strategici. Se un’azienda accumula ritardi, i fornitori possono passare a vendite solo previo pagamento anticipato o blocco delle consegne. Una fabbrica di sigillanti, ad esempio, se non riceve più silicone base, catalizzatori o materiali di confezionamento perché i fornitori temono di non essere pagati, rischia di fermare la produzione. Si innesca così un circolo vizioso: senza forniture l’azienda non produce né fattura, quindi non genera cassa per pagare i debiti, aggravando la crisi.
- Nessuna garanzia, alto rischio: I fornitori usualmente non hanno garanzie reali. Pertanto, in caso di insolvenza concorsuale, essi sono creditori chirografari puri. Storicamente nei fallimenti questi creditori recuperano solo una piccola percentuale (talora zero) del loro credito. I fornitori lo sanno: quindi quando percepiscono segnali di insolvenza cercano di anticipare gli altri aggredendo per primi il patrimonio dell’azienda (principio “first come, first served” delle esecuzioni individuali). Ciò spiega perché, non appena trapela una crisi, i fornitori tendono a muoversi rapidamente con ingiunzioni e pignoramenti: ognuno teme di arrivare tardi quando l’azienda non avrà più nulla.
- Rischio di azioni revocatorie: Se il debitore paga alcuni fornitori a scapito di altri in fase di dissesto, tali pagamenti possono essere successivamente contestati dal curatore fallimentare come atti in frode alla par condicio. Ad esempio, saldare integralmente un fornitore “amico” mentre gli altri rimangono impagati, se fatto nell’anno antecedente il fallimento, può essere revocato (il fornitore dovrà restituire quanto incassato al fallimento) a meno che rientri nei pagamenti “ordinari”. Questo crea incertezza: anche i fornitori che ricevono pagamenti a ridosso di una procedura concorsuale potrebbero in futuro dover restituire le somme, specie se erano pagamenti anomali (importi ingenti o fuori termine). Tuttavia, se il pagamento avviene in esecuzione di un piano di risanamento omologato (es. concordato o accordo), esso non è soggetto a revocatoria – un vantaggio rilevante nell’aderire a soluzioni concordate.
- Possibili soluzioni: Con i fornitori è spesso possibile negoziare dilazioni o stralci del debito in via stragiudiziale, soprattutto se l’azienda rappresenta un cliente importante che il fornitore non vuole perdere definitivamente. Ad esempio, un fornitore potrebbe accettare un piano di rientro in 12 mesi sul pregresso, purché l’azienda riprenda i pagamenti correnti. Alcuni fornitori potrebbero anche accettare un taglio del credito (saldo a stralcio) se questo è l’unico modo per evitare un fallimento che azzererebbe il recupero. È fondamentale, però, fare attenzione a non preferire indebitamente alcuni creditori: i pagamenti selettivi potrebbero esporre a responsabilità gli amministratori se aggravano il dissesto (favorendo alcuni e lasciando altri al rischio fallimento). Nelle procedure formali (concordato, accordi) la distribuzione ai chirografari avviene secondo percentuali eque stabilite dal piano e approvate dalla maggioranza: questo garantisce un trattamento paritario e trasparente, e le eventuali rinunce di credito dei fornitori sono inquadrate in un contesto legale sicuro.
In pratica, gestire i debiti verso fornitori richiede comunicazione e trasparenza: meglio coinvolgerli in un piano di risanamento, spiegando che una soluzione concordataria potrebbe dare loro (ad esempio) il 40% in 2 anni, piuttosto che lasciarli agire individualmente col rischio di ottenere forse qualcosa subito ma provocare il tracollo dell’impresa. Gli strumenti negoziali come la composizione negoziata prevedono espressamente il coinvolgimento dei principali creditori – spesso fornitori strategici – per trovare accordi che consentano all’azienda di proseguire l’attività salvaguardando, per quanto possibile, i loro crediti.
Altre passività da considerare
Oltre ai gruppi principali sopra esaminati, un’azienda può avere altre categorie di debiti rilevanti:
- Debiti verso dipendenti: Stipendi arretrati, TFR non versati. I lavoratori godono di privilegi di legge molto forti (stipendi ultimi 12 mesi e TFR sono crediti privilegiati di primo grado) e, in caso di insolvenza, interviene anche il Fondo di garanzia INPS a tutela del TFR e ultime mensilità. Un ritardo nei pagamenti salariali è spesso un segnale di crisi conclamata e può spingere i dipendenti a dimettersi o ad agire legalmente (ingiunzioni, vertenze in DTL). Nelle procedure concorsuali, i lavoratori vengono soddisfatti con priorità; in un concordato, vanno pagati integralmente se il piano prevede la continuazione dell’attività (salvo consenso diverso, ma il nuovo Codice ha limitato a 6 mesi la possibilità di dilazionare i crediti di lavoro in continuità ). Inoltre, situazioni di insolvenza retributiva possono configurare reati (es. omesso versamento di ritenute previdenziali per stipendi pagati ma contributi non versati).
- Debiti fiscali locali: Tasse comunali, regionali, che seguono logiche simili ai debiti erariali (possono essere iscritti a ruolo). Anche questi enti spesso aderiscono alle definizioni agevolate statali.
- Debiti verso soci o parti correlate: Se i soci hanno finanziato la società (finanziamenti soci) o l’imprenditore ha crediti verso la società, in caso di crisi questi sono subordinati (i finanziamenti soci in S.r.l. sono postergati per legge ai sensi dell’art. 2467 c.c. se fatti in momento di sottocapitalizzazione). Ciò significa che verranno rimborsati solo dopo aver soddisfatto tutti gli altri creditori, e di solito nei piani di risanamento i soci accettano di rinunciare o convertire tali crediti in capitale.
- Debiti verso locatori o leasing: il mancato pagamento di canoni di affitto di immobili o di leasing di macchinari consente al locatore di risolvere il contratto e richiedere la restituzione immediata del bene (capannone, macchinario). Questo può fermare la produzione. Nelle procedure concorsuali, i creditori da leasing possono vantare diritti particolari (restituzione beni e credito per canoni scaduti e differenza tra valore del bene e credito residuo). Un piano di ristrutturazione dovrà prevedere se mantenere in essere i leasing (continuando i pagamenti) o risolverli restituendo i beni non più sostenibili.
Ogni tipologia di debito, quindi, ha implicazioni diverse sulla tenuta dell’impresa e richiede contromisure specifiche. Nel complesso, un’azienda fortemente indebitata corre il rischio di essere aggredita su più fronti contemporaneamente (Equitalia pignora conti, fornitori bloccano consegne e fanno decreti ingiuntivi, la banca revoca i fidi, i dipendenti protestano per gli stipendi…). È evidente che, senza un intervento coordinato, la frammentazione delle azioni dei singoli creditori conduce rapidamente all’insolvenza irreversibile.
Nel prossimo capitolo vedremo cosa l’imprenditore e gli amministratori devono fare, per legge, quando l’azienda si trova in questo stato di crisi, e quali sono le conseguenze se non agiscono correttamente e tempestivamente.
Doveri degli amministratori in caso di crisi e responsabilità in caso di inerzia
La legge italiana impone agli amministratori di società (come S.r.l. o S.p.A.) obblighi stringenti per la gestione prudente dell’impresa e la tutela dei creditori, specialmente quando emergono segnali di crisi. Questi doveri sono stati rafforzati dalla riforma della crisi d’impresa:
- Adeguati assetti e obbligo di intervento: L’art. 2086 c.c., comma 2, introdotto dal D.Lgs. 14/2019, stabilisce che l’imprenditore che operi in forma societaria o collettiva “ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato […] anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi […] nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti […] per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale” . In parole semplici, l’organo amministrativo deve dotarsi di sistemi di controllo che permettano di cogliere subito i sintomi del dissesto (indici di bilancio, flussi di cassa prospettici, ecc.) e, se tali segnali compaiono, deve attivarsi senza indugio, cioè rapidamente, per prendere le misure opportune (come contattare i creditori, nominare consulenti, avviare una composizione negoziata o predisporre un piano di risanamento). L’inazione o il ritardo, di per sé, può costituire violazione dei doveri amministrativi.
- Obblighi in caso di perdita del capitale sociale: Il Codice Civile (artt. 2482-bis e 2482-ter c.c. per le S.r.l./S.p.A.) impone agli amministratori di convocare senza indugio l’assemblea se il capitale sociale subisce perdite rilevanti (oltre 1/3) o se scende sotto il minimo legale, per adottare provvedimenti (ricapitalizzazione o trasformazione/liquidazione). Ignorare questa situazione e proseguire l’attività con patrimonio netto azzerato espone gli amministratori a responsabilità verso i creditori: si considera gestione non conservativa del patrimonio sociale.
- Divieto di aggravare il dissesto: Un principio cardine affermato dalla giurisprudenza è che, una volta che l’azienda è in dissesto conclamato (incapace strutturalmente di pagare i propri debiti), l’amministratore deve astenersi dal compiere nuove operazioni che aggravino il passivo. Continuare l’attività in perdita, accumulando ulteriori debiti quando non ci sono prospettive di risanamento, viene definito talvolta “wrongful trading” (gestione scorretta in stato di insolvenza) e può costituire violazione del dovere di diligenza. La Corte d’Appello di Milano ha ribadito nel 2023 che fa parte dei doveri dell’amministratore, appena si rende palese una situazione di dissesto, adottare tutte le misure necessarie ad evitare un ingiustificato aggravamento del passivo . Se non lo fa, può essere chiamato a rispondere dei maggiori danni causati ai creditori.
- Azione di responsabilità verso gli amministratori: In sede concorsuale (fallimento o liquidazione giudiziale), il curatore o i creditori possono promuovere l’azione di responsabilità contro gli amministratori per atti di mala gestione. L’art. 2486 c.c., come modificato dal Codice della crisi (art. 378 D.Lgs. 14/2019), prevede criteri di quantificazione del danno basati sulle differenze patrimoniali. In pratica, se le scritture contabili mancano o sono inattendibili, il danno da mala gestio può essere liquidato dal giudice pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura , presumendo che tutta la perdita per i creditori derivi dall’operato negligente. Questo incentivo normativo serve a spingere gli amministratori a non trascinare l’agonia dell’azienda: più tempo passa, più aumenta il buco, e più loro rischiano di doverne rispondere personalmente. Tuttavia, la Cassazione (sent. n. 25631/2023) ha chiarito che la responsabilità degli amministratori verso la società ha natura contrattuale e che, una volta allegata la violazione dei doveri e il danno, spetta all’amministratore provare di aver agito con diligenza e che le perdite non sono a lui imputabili . In altre parole, invertendo l’onere della prova, si chiede all’organo gestorio di giustificare le proprie scelte in crisi. Se non riesce a dimostrare di aver operato correttamente (es. provando che ha tentato soluzioni idonee, che il peggioramento non era evitabile), sarà ritenuto responsabile.
- Responsabilità penale: Quando la crisi degenera in fallimento (ora liquidazione giudiziale), entrano in gioco anche possibili reati fallimentari a carico degli amministratori. I reati tipici sono:
- Bancarotta semplice (artt. 217 e 217-bis l.fall., ora trasfusi nel Codice della crisi) per aver aggravato il dissesto con spese imprudenti, aver ritardato l’istanza di fallimento, o non aver tenuto i libri contabili. Ad esempio, l’art. 217 l.fall. puniva l’amministratore che non chiede il fallimento e aggrava il buco .
- Bancarotta fraudolenta (art. 216 l.fall.) per condotte dolose: distrazione di beni aziendali (far sparire attivi, vendere sottocosto beni ai danni dei creditori), frode documentale (falsificazione o sottrazione di libri contabili), pagamenti preferenziali a taluni creditori a danno di altri in prossimità del fallimento ecc. Queste condotte sono reati molto gravi, con pene detentive pesanti. Un esempio: l’amministratore che, sapendo che l’azienda andrà in default, dirotta attività redditizie su un’altra società lasciando i debiti nella vecchia, compie distrazione punibile.
- Reati tributari connessi: come detto, l’omesso versamento di IVA o ritenute può portare a condanne penali. Anche in caso di concordato o accordo di ristrutturazione, tali reati non vengono automaticamente cancellati, ma è chiaro che aver intrapreso un percorso legale di rientro può aiutare a ottenere attenuanti. La Cassazione penale nel 2024 (sent. n. 44519/2024) ha stabilito inoltre un principio importante: se viene omologato un accordo di ristrutturazione con transazione fiscale che riduce l’ammontare dell’IVA dovuta, ai fini penali la confisca del profitto del reato di omesso versamento IVA deve essere parametrata al debito residuo dopo la transazione, non all’IVA inizialmente dovuta . In sostanza, la composizione con il Fisco incide anche sul piano penale riducendo il “profitto illecito” considerato confiscabile.
- Segnalazioni dei controllori (allerta): Oltre agli amministratori, anche gli organi di controllo interni (collegio sindacale, sindaco unico, revisore) hanno obblighi di attivarsi in caso di crisi. Il Codice della crisi prevedeva un sistema di “allerta” (artt. 25-octies e ss. CCII) in cui i sindaci dovevano segnalare tempestivamente agli amministratori gli indizi di crisi e, se questi non reagivano, coinvolgere un organismo pubblico (OCRI). Tali norme di allerta sono state in parte riviste: l’OCRI è stato soppresso e sostituito dalla composizione negoziata volontaria . Tuttavia, i sindaci e revisori restano tenuti a vigilare e sollecitare l’organo di gestione ad agire. Se non lo fanno, possono anch’essi incorrere in responsabilità civili (verso i creditori e la società) per omessa vigilanza.
In conclusione, il management di un’azienda indebitata ha il dovere giuridico di reagire prontamente alla crisi. Questo significa: attivare consulenti esperti, valutare la ristrutturazione o l’insolvenza come opzioni, non intraprendere operazioni che peggiorino la situazione (niente nuovo debito se non sostenibile, niente vendite sottoprezzo a favore di parti correlate, ecc.), e preferibilmente coinvolgere i creditori in trattative. L’amministratore diligente, di fronte a debiti > €1 milione e flussi di cassa incapienti, documenterà ogni tentativo fatto (piani abbozzati, contatti con banche e fornitori per moratorie, convocazione di assemblee per informare i soci, ecc.). Questo non solo aumenta le chance di salvataggio dell’azienda, ma tutela anche lui stesso da future contestazioni. Al contrario, restare inerti nella speranza di “un miracolo” espone a quasi certe azioni di responsabilità (civili o penali) quando poi l’insolvenza diverrà ufficiale. I tribunali sono severi nel giudicare l’inerzia: continuare a fare impresa in perdita bruciando cassa altrui viene visto come comportamento gravemente negligente o doloso a danno dei creditori .
Nei prossimi paragrafi passeremo in rassegna gli strumenti concreti che l’ordinamento mette a disposizione per fronteggiare la crisi, strumenti che l’amministratore deve conoscere e utilizzare “senza indugio” (richiamando le parole della legge) appena se ne ravvisa l’utilità. Dalla composizione negoziata ai piani di concordato, vedremo come funzionano e come vanno scelti in base alla situazione dell’impresa.
Strumenti legali per la gestione della crisi d’impresa
Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) definisce una serie di strumenti di regolazione della crisi che le aziende in difficoltà possono attivare. Tali strumenti vanno da soluzioni stragiudiziali negoziate a vere e proprie procedure concorsuali innanzi al Tribunale. L’obiettivo comune è gestire in modo ordinato il risanamento o, se necessario, la liquidazione dell’impresa, evitando il “far west” delle esecuzioni individuali e massimizzando la soddisfazione dei creditori in equilibrio con la conservazione dell’attività d’impresa quando possibile.
Di seguito esaminiamo i principali strumenti, distinguendo quelli orientati al risanamento in continuità da quelli liquidatori, e evidenziando per ciascuno caratteristiche, condizioni e opportunità di difesa per l’imprenditore debitore.
Composizione negoziata della crisi
La composizione negoziata della crisi (CNC) è uno strumento introdotto nel 2021 (D.L. 118/2021) e ora disciplinato nel Codice della crisi (artt. 17-25 novies CCII) come procedura volontaria e stragiudiziale per favorire il risanamento di imprese in difficoltà prima che diventino insolventi. Si tratta di un percorso riservato e non giudiziale in cui l’imprenditore, tramite una piattaforma gestita dalle Camere di Commercio, richiede la nomina di un esperto indipendente che lo assista nel condurre trattative con i creditori .
Caratteristiche chiave della Composizione Negoziata:
- Accesso volontario: Può richiederla qualsiasi imprenditore commerciale o agricolo che si trovi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario (non serve essere già insolventi conclamati; anzi è pensata per anticipare la crisi). La domanda si presenta tramite una piattaforma telematica nazionale (gestita da Unioncamere) caricando una serie di documenti: situazione patrimoniale e finanziaria aggiornata, un piano industriale/progetto di risanamento provvisorio, l’elenco dei creditori, i bilanci e flussi di cassa previsionali a 12 mesi . Occorre cioè fare un primo check-up dell’azienda e delineare ipotesi di ristrutturazione.
- Nomina dell’esperto: Entro 5 giorni dalla domanda, una Commissione presso la Camera di Commercio nomina un esperto indipendente, scelto tra professionisti qualificati (dottori commercialisti, avvocati o consulenti del lavoro con esperienza in risanamenti) iscritti in un apposito elenco . L’esperto accetta l’incarico e ha il compito di facilitare le trattative: analizza la situazione aziendale, sente debitore e creditori, e cerca soluzioni concordate per il risanamento. La procedura dura inizialmente 180 giorni, prorogabili se necessario di comune accordo.
- Nessuno spossessamento: Durante la composizione negoziata l’imprenditore rimane alla guida della sua impresa. Non c’è una procedura concorsuale aperta né un commissario che sostituisce l’organo amministrativo. L’esperto non ha poteri gestori, ma solo di facilitazione/monitoraggio e di relazione finale. Questo è fondamentale: l’azienda continua ad operare (non è stigmatizzata come “fallita”) e infatti la CNC è pensata per salvare la continuità aziendale, non per liquidare . L’esperto può però suggerire atti o comportamenti, e se riscontra irregolarità gravi può dimettersi segnalando la situazione al tribunale.
- Riservatezza: L’avvio della CNC non è pubblicamente divulgato, a meno che il debitore non chieda misure protettive (vedi oltre). Questo consente di evitare il panico tra creditori e stakeholder. Per molti versi la CNC non “etichetta” l’azienda come insolvente, ed è per questo che è divenuta molto gettonata: è vista come un percorso quasi di consulenza, di natura confidenziale . Secondo i dati Unioncamere, nel quadriennio 2021-2025 la CNC è stata attivata da 3.600 imprese e sta diventando lo strumento principale di soluzione delle crisi, con 423 aziende effettivamente risanate salvando 23.000 posti di lavoro . Ciò mostra come, quando usata per tempo, questa procedura possa evitare chiusure aziendali e perdite occupazionali massicce.
- Misure protettive e cautelari: Un potente vantaggio per difendersi dai creditori è la possibilità per l’imprenditore, una volta avviata la CNC, di richiedere al Tribunale misure protettive del patrimonio: in pratica un provvedimento che sospende o impedisce temporaneamente azioni esecutive e cautelari dei creditori durante le trattative . Ad esempio, pignoramenti in corso vengono sospesi, nuovi pignoramenti non possono iniziare, non si possono iscrivere ipoteche giudiziali, e i creditori non possono presentare istanza di fallimento. Tali misure di solito durano 120 giorni (prorogabili di altri 120). Esse non toccano però i diritti dei lavoratori: i crediti da lavoro non sono soggetti a sospensione , per tutelare i dipendenti. Le misure protettive sono concesse dal giudice se c’è una prospettiva di risanamento in corso seriamente (non vengono date automaticamente: serve dimostrare che l’azienda sta trattando in buona fede e che bloccare i creditori è funzionale al buon esito). Inoltre il giudice può nominare un ausiliario per vigilare durante la protezione. Le sentenze recenti di vari tribunali (Mantova, Como 2025) hanno infatti precisato che le misure protettive non sono un modo per prendere tempo se non c’è un piano credibile: vengono revocate o negate se manca una concreta prospettiva di continuità aziendale e di accordo . Ciò evita abusi della CNC come strumento dilatorio.
- Esito delle trattative: Entro la fine del periodo (o anche prima se si trova un accordo) l’esperto redige una relazione finale sull’andamento delle trattative. Possibili esiti:
- Le parti trovano un accordo stragiudiziale di ristrutturazione (ad esempio, l’azienda firma accordi a saldo e stralcio con vari creditori, ottiene nuova finanza dai soci, ecc.). In tal caso la CNC si chiude con successo e l’impresa esce dalla crisi senza bisogno di procedure concorsuali.
- Oppure, il debitore, grazie al lavoro dell’esperto, predispone uno dei “piani” previsti dalla legge: un piano attestato di risanamento o un accordo di ristrutturazione da omologare o un concordato preventivo da presentare. In altre parole, la CNC può fungere da preludio per imbastire una soluzione che poi viene formalizzata in sede giudiziale. Ad esempio, durante la CNC l’imprenditore raggiunge il consenso del 70% dei creditori a un taglio del 30% dei debiti: formalizzerà ciò in un accordo di ristrutturazione omologato. Oppure individua un investitore disposto a rilevare l’azienda: formalizzerà la proposta in un concordato in continuità con assuntore.
- Se invece non si trova alcuna soluzione e l’impresa è insolvente, l’esperto lo certificherà nella relazione. A quel punto il debitore può trovarsi costretto a chiedere l’apertura di una procedura di liquidazione giudiziale (fallimento) per evitare ulteriori guai. Per evitare che il fallimento sia l’unica via quando la CNC fallisce, il legislatore ha previsto un mezzo straordinario: il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII). Ne parleremo più avanti: è un tipo di concordato senza voto dei creditori, riservato al caso di esito negativo della CNC, in cui l’imprenditore può proporre al tribunale la liquidazione dei beni sotto controllo giudiziario, evitando il fallimento. È però uno strumento “di ultima istanza”, usato raramente e da maneggiare con cura, poiché i tribunali lo ammettono solo se effettivamente la continuità non era praticabile e la proposta liquidatoria offre comunque qualcosa ai creditori.
Vantaggi per il debitore: la Composizione Negoziata consente all’imprenditore di prendere l’iniziativa nella crisi, con un approccio flessibile e poco formalistico. Egli mantiene il controllo della sua impresa, ottiene un aiuto professionale terzo, e soprattutto può bloccare le azioni aggressive dei creditori mentre negozia. I dati mostrano che la percezione di questo strumento è sempre migliore: nel 2024 le nuove istanze in Lombardia sono cresciute dell’87% rispetto al 2023, segno che sempre più imprenditori la vedono come una reale alternativa al fallimento e non più come uno stigma . Il 70,7% delle imprese che vi hanno fatto ricorso sono S.r.l., confermando che è soprattutto la platea delle PMI di capitali ad usufruirne . E i risultati sono incoraggianti: in Lombardia, solo nel 2024, la CNC ha permesso il risanamento di 38 imprese salvaguardando 2.100 posti di lavoro .
Limiti: va ricordato che la CNC non impone soluzioni ai creditori. È un negoziato: se i creditori rifiutano le proposte, l’esperto non può obbligarli. Dunque funziona quando c’è uno spazio di trattativa ragionevole e l’azienda ha prospettive concrete di continuità. Come affermato dai tribunali, la CNC non è adatta per imprese decotte destinate solo a liquidare . In tali casi, tenere in piedi l’azienda altri mesi serve solo a erodere valore e a ritardare l’inevitabile. Meglio allora saltare direttamente alla liquidazione giudiziale o a un concordato liquidatorio. Inoltre, la CNC richiede collaborazione leale: l’imprenditore deve fornire all’esperto e ai creditori informazioni veritiere e complete. Se nasconde elementi (ad esempio debiti occulti, sofferenze legali in arrivo) la trattativa difficilmente andrà a buon fine e si rischiano anche sanzioni (fino a reati di falso). Infine, la CNC ha un costo (l’esperto ha diritto a un compenso, seppur calmierato e spesso parte a carico della Camera di Commercio) e richiede impegno professionale: l’imprenditore dovrebbe farsi affiancare dal proprio commercialista o advisor finanziario per predisporre il piano di risanamento da sottoporre ai creditori. Non è dunque un semplice rinvio, ma un percorso attivo di risanamento.
Quando conviene usarla: in generale, la composizione negoziata è ideale nelle fasi iniziali della crisi, quando: – l’impresa è ancora in bonis o solo in lieve insolvenza tecnica, – esiste un core business valido e prospettive di mercato (la crisi è finanziaria più che industriale), – servono accordi con molti creditori per risistemare debito e magari nuova finanza, – si vuole evitare la pubblicità di una procedura concorsuale e mantenere le redini dell’azienda.
Per la nostra azienda di sigillanti e siliconi, se i prodotti sono ancora richiesti dal mercato e la crisi deriva magari da un eccesso di debito accumulato per investimenti o calo temporaneo delle vendite, la CNC può offrire una chance di ristrutturazione preservando la continuità produttiva. Ad esempio, potrebbe condurre a un accordo con le banche di haircut del debito bancario, a uno stralcio parziale dei debiti fiscali mediante transazione, e a dilazioni con fornitori strategici, il tutto coordinato e certificato dall’esperto. Se invece l’azienda ha perso i suoi mercati o è tecnicamente fallita da tempo, sarebbe solo un inutile palliativo.
(Vedremo più avanti un esempio pratico di come una CNC può salvare un’azienda operativa.)
Piano attestato di risanamento
Il piano attestato di risanamento (disciplinato dall’art. 56 CCII, ex art. 67 l.fall.) è uno strumento stragiudiziale di risanamento con una particolarità: viene asseverato (“attestato”) da un professionista indipendente circa la sua idoneità a risanare l’impresa e garantisce al debitore alcuni benefici, in particolare la protezione da azioni revocatorie sui pagamenti e atti eseguiti in attuazione del piano.
Caratteristiche del piano attestato: – È un piano volontario predisposto dall’impresa, consistente in un insieme di operazioni (finanziarie, industriali, patrimoniali) che dovrebbero consentire il riequilibrio della situazione finanziaria e il superamento dell’indebitamento. Può includere accordi con creditori (es. proroga scadenze, riduzione importi), dismissione di asset per fare cassa, ricapitalizzazione da parte dei soci, ristrutturazione organizzativa, ecc. – Deve avere contenuto dettagliato e sostenibile: indicare costi, ricavi attesi, nuova finanza, scadenze, e mostrare che l’azienda può tornare solvibile entro un ragionevole periodo. Non c’è una percentuale di creditori richiesta: a differenza dell’accordo ex art. 57 o del concordato, il piano attestato non vincola i creditori dissenzienti di per sé. È un contratto di natura privata fra il debitore e i singoli creditori che aderiscono. – L’elemento chiave è l’attestazione di un esperto indipendente (un professionista iscritto in apposito albo, di solito un commercialista o revisore esperto in crisi) il quale esamina il piano e certifica che è fattibile e che le assunzioni sono realistiche. Questa relazione di attestazione conferisce credibilità al piano e serve a ottenerne i benefici legali. – Il piano, corredato dall’attestazione, viene pubblicato nel Registro delle Imprese (facoltativamente, ma serve pubblicarlo se si vogliono gli effetti protettivi sulle revocatorie). La pubblicità rende il piano conoscibile ai terzi e segna l’inizio del periodo protetto. – Beneficio principale: gli atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione del piano attestato non possono essere soggetti a revocatoria fallimentare in caso poi la società fallisca. Ad esempio, se in esecuzione del piano l’azienda paga un fornitore con sconto del 20% e poi un anno dopo fallisce, quel pagamento non sarà revocabile (mentre normalmente un pagamento non a termine, fatto nell’anno prima del fallimento, potrebbe esserlo). Ciò incentiva i creditori ad accettare il piano perché riduce il rischio di doversi restituire le somme incassate. Anche eventuali finanziamenti o garanzie nuove ottenute col piano hanno protezione (importante per chi apporta finanza fresca in azienda). – Nessun coinvolgimento del Tribunale: il piano attestato è tutto fuori dalle aule giudiziarie. Non serve omologa dal tribunale. Quindi è rapido e confidenziale. L’unico “giudice” è il mercato e l’esperto attestatore. Tuttavia, proprio per l’assenza di controllo giudiziario, non vincola i creditori che non aderiscono: quindi se un creditore non firmatario volesse comunque agire per conto suo (pignorare, ad esempio), potrebbe farlo, e il piano non offre uno scudo come invece avviene in concordato. – Il piano attestato spesso si rivela utile quando c’è un numero limitato di creditori critici e c’è consenso di massima. Ad esempio, se l’azienda ha principalmente debiti verso due banche e due fornitori importanti, si può trovare un accordo con loro e strutturarlo in un piano attestato, invece di imbarcarsi in procedure più complesse. È anche usato come esito della composizione negoziata in casi semplificati: la CNC può agevolare l’accordo e poi lo si formalizza in un piano attestato pubblicato, per blindarlo dalle revocatorie.
Vantaggi per il debitore: massima flessibilità, minima pubblicità, tempi brevi (dipende solo dalle negoziazioni e dal tempo che impiega l’attestatore). Nessuna votazione o maggioranze da rispettare per legge. Mantenimento dei rapporti contrattuali in essere senza bisogno di ingerenza esterna. Ottimo quando l’impresa è ancora sostanzialmente solvibile o con marginale insolvenza e vuole evitare di attivare procedure concorsuali formali.
Svantaggi: non offre di per sé alcun automatic stay (blocco) delle azioni esecutive: se ho 100 fornitori e 10 non ci stanno, quei 10 possono rovinare il piano agendo aggressivamente. Inoltre, non consente di imporre tagli o dilazioni ai creditori non consenzienti. In pratica funziona se c’è già accordo con tutti o quasi tutti i creditori rilevanti. Se le divergenze sono più marcate, allora serve un accordo di ristrutturazione o concordato.
Caso pratico: La nostra azienda di siliconi potrebbe usare un piano attestato se, per esempio, ha 3 banche che insieme rappresentano il 70% dei debiti e tutte e 3 sono disponibili a rinegoziare (allungando i mutui, rinunciando a parte degli interessi, ecc.), e magari i fornitori minori verranno pagati integralmente col tempo. Si fa certificare da un esperto che col nuovo piano finanziario (minori esborsi annuali alle banche e forse iniezione di denaro fresco dai soci) l’azienda tornerà in equilibrio e potrà pagare tutti i fornitori regolarmente. Si siglano accordi privati con ogni banca, si allega l’attestazione e si pubblica il tutto. Da quel momento l’azienda esegue il piano; se malauguratamente qualcosa va storto e dopo due anni fallisce, i pagamenti fatti alle banche e le garanzie date nel frattempo non saranno revocabili – quindi le banche li conserveranno. Questo rassicura le banche nel concedere dilazioni e mantenere fidi.
Accordo di ristrutturazione dei debiti
L’accordo di ristrutturazione dei debiti (ARD) è un istituto introdotto già dalla vecchia legge fallimentare (art. 182-bis l.f.) e ora regolato dagli artt. 57-64 CCII. Si tratta di un accordo tra l’imprenditore e una parte qualificata dei creditori, che viene poi omologato dal Tribunale, acquisendo efficacia vincolante anche per alcuni non aderenti. È dunque un ibrido tra negoziazione privata e procedura concorsuale giudiziale.
Principali caratteristiche: – Soglia di adesione: Per proporre l’omologazione di un ARD, il debitore deve aver ottenuto l’accordo di creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti (in valore). Si calcola sul totale dei crediti dell’impresa. Questo implica che l’imprenditore deve negoziare e farsi firmare un accordo da un numero sufficiente di creditori (tipicamente i più grandi) prima di rivolgersi al tribunale. I creditori possono prevedere nel patto qualunque ristrutturazione: riduzioni del credito, dilazioni, conversioni in capitale, ecc., su base consensuale. Per i crediti fiscali e previdenziali, l’accordo può includere una transazione fiscale/contributiva (ai sensi dell’art. 63 CCII) con il Fisco/INPS, che richiede il rispetto di certe percentuali minime di pagamento (di solito non meno del 20% dei crediti privilegiati, salvo eccezioni) e la valutazione che offrirebbe all’Erario almeno quanto un fallimento. – Omologazione giudiziale: Una volta raccolte le adesioni ≥60%, il debitore deposita il ricorso in tribunale per ottenere l’omologazione. Il tribunale verifica essenzialmente due cose: legalità e fattibilità. Controlla che l’accordo rispetti le norme (ad esempio, che i creditori estranei vengano pagati integralmente se la legge lo richiede, o che eventuali classi di creditori abbiano pari trattamento) e che il piano allegato sia fattibile (di solito serve la relazione di un esperto che attesti la veridicità dei dati e l’attuabilità dell’accordo). Se tutto è a posto, omologa l’accordo rendendolo efficace erga omnes, ossia vincolante tra le parti e opponibile anche ai terzi. – Effetti sugli estranei: I creditori che non hanno aderito all’accordo non sono formalmente vincolati a riduzioni di credito, però: – Devono subire una moratoria delle azioni esecutive: dal momento in cui si deposita l’accordo per l’omologa e il tribunale emette i provvedimenti ex art. 54 CCII, i creditori estranei non possono iniziare o proseguire azioni esecutive individuali né acquisire preferenze. Vige una protezione simile a quella del concordato, per evitare che pochi estranei facciano saltare l’accordo. – Se l’accordo omologato prevede che i creditori estranei vengano comunque pagati integralmente entro 120 giorni dall’omologa (o dalla scadenza del loro credito), allora l’accordo è perfettamente valido e costoro verranno soddisfatti fuori accordo. Se invece l’accordo prevede che anche i non aderenti subiscano effetti (ad es. vengano pagati parzialmente), ciò di regola non è consentito se non in casi particolari introdotti dalla riforma. In linea generale, un accordo di ristrutturazione standard non può imporre sacrifici ai dissenzienti: essi devono essere lasciati fuori o soddisfatti al 100%. Questo è un limite dell’istituto (superato solo in parte dalle varianti sotto). – Varianti introdotte dalla riforma: Per ampliare l’uso degli ARD, la normativa ha previsto: – Accordi ad efficacia estesa: se i creditori aderenti superano particolari soglie in una certa categoria, l’efficacia dell’accordo può essere estesa anche ai creditori dissenzienti appartenenti a quella stessa categoria. Questo è pensato soprattutto per banche e finanziari: se almeno il 75% degli istituti finanziari (per ammontare di credito) accorda la ristrutturazione, il tribunale su richiesta può estendere gli effetti anche al 25% che non ha firmato (purché siano stati informati e invitati a trattare alle stesse condizioni) . Simile meccanismo può valere per altri creditori omogenei, ma la legge è stata prudente a non danneggiare i piccoli dissenzienti. – Accordo agevolato: la direttiva UE e il correttivo hanno abbassato la soglia al 30% in taluni casi, come quando si tratta di ottenere solo una moratoria temporanea sui creditori finanziari (c.d. accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari). Questo consente di presentare accordi con meno consenso, ma con effetti limitati. – Accordo misto con concordato preventivo: è possibile presentare congiuntamente un’istanza di concordato preventivo riservata ad alcuni creditori e un accordo per altri, a seconda delle situazioni, nel cosiddetto concordato parziale o accordo di ristrutturazione parziale, ma qui entriamo in tecnicismi avanzati.
- Transazione fiscale e omologazione forzata: Come già evidenziato, l’accordo di ristrutturazione può includere il taglio dei debiti fiscali. Se l’Agenzia delle Entrate (o INPS) non aderiscono, il tribunale può comunque omologare forzosamente l’accordo (cram-down) se ritiene che la proposta fiscale sia conveniente e l’Erario abbia rifiutato irragionevolmente . Cassazione e ora il D.Lgs. 136/2024 hanno confermato che tale omologa forzosa vale anche in caso di voto negativo del Fisco, non solo silenzio .
Quando preferire l’accordo di ristrutturazione? Questo strumento è particolarmente utile se: – L’azienda ha un parterre di creditori concentrato (es. poche banche e pochi fornitori grossi) con cui può raggiungere intese, ma ha anche qualche creditore minore con cui non è necessario contrattare (li paga per intero). – Si vuole evitare la procedura di voto complessa del concordato e avere maggiore agilità nelle trattative (nell’accordo ogni creditore negozia singolarmente il suo trattamento). – È già stata raggiunta una massa critica di consenso extragiudiziale (≥60%), magari grazie alla composizione negoziata o iniziative informali, e serve il timbro del tribunale per bloccare azioni dei non aderenti e dare stabilità giuridica (anche esecutività forzata, se un aderente non rispettasse). – Ad esempio, se la nostra azienda di sigillanti ha 5 banche e 10 fornitori rilevanti, e l’imprenditore è riuscito a farsi firmare un accordo di ristrutturazione debiti da 4 banche su 5 (che detengono l’80% del credito bancario) e da 8 fornitori su 10 (70% del credito fornitori), può formalizzare il tutto in un ARD da omologare. I 2 fornitori e la banca rimasti fuori verranno pagati integralmente a scadenza, ma intanto l’omologa impedisce loro di far saltare il banco nel frattempo. Le banche aderenti magari accettano un rimborso dilazionato e la conversione di una quota di credito in partecipazione societaria; i fornitori aderenti accettano un 20% di taglio con pagamento del residuo a 12 mesi; il Fisco accetta un pagamento parziale dei debiti con un 30% di stralcio. Tutto ciò viene cristallizzato nell’accordo. Una volta omologato, l’azienda dovrà eseguire esattamente quelle pattuizioni e uscirà dalla crisi.
Vantaggi: rispetto al piano attestato, l’ARD offre maggiore sicurezza, perché ha efficacia legale più forte: sospende le azioni di tutti, consente cram-down del Fisco e dei finanziatori dissenzienti, e se l’accordo va a buon fine il debitore esce pulito (gli obblighi rispettati dell’accordo lo liberano dai debiti concordati). Non prevede la liquidazione dell’azienda né un intervento esterno nella gestione (l’impresa continua con i suoi organi, salvo accordare eventuali controlli concordati con i creditori).
Svantaggi: richiede di negoziare individualmente con vari creditori e convincerne almeno il 60% in valore, il che può essere complesso e lungo. Manca un meccanismo di voto unitario come nel concordato; ogni trattativa è a sé. Ciò può portare a trattamenti eterogenei che il tribunale valuterà con attenzione (ad esempio, se do a una banca il 100% in 5 anni e a un’altra il 80% in 2 anni, devo giustificare perché differenzio: magari la prima ha garanzie minori, etc.). Inoltre, i creditori non aderenti conservano la pretesa per intero e vanno soddisfatti come detto, salvo efficacia estesa. Infine, finché non si raggiunge la soglia 60%, non c’è protezione automatica: durante le trattative pre-firma alcuni creditori impazienti potrebbero agire (motivo per cui spesso l’ARD viene preparato “in segreto” e depositato solo quando pronto).
Va notato che esiste anche l’accordo di ristrutturazione soggetto a omologazione “agevolato” (art. 61 CCII) che permette di depositare l’accordo anche senza aver raggiunto il 60%, chiedendo al tribunale di fissare un termine (fino a 180 giorni) per raccogliere le adesioni mancanti. Durante quel termine il giudice può sospendere le azioni dei creditori. Questa è una novità per aiutare il debitore a perfezionare l’accordo sotto l’ombrello protettivo del tribunale, simile al vecchio pre-concordato.
In sintesi, l’accordo di ristrutturazione è una soluzione versatile per crisi in cui c’è consenso frammentato ma raggiungibile, e spesso viene preferito al concordato se l’insolvenza non è troppo complessa, perché è più rapido e meno costoso in termini di procedura (non c’è voto di tutti i creditori né commissario giudiziale obbligatorio). È spesso usato per ristrutturazioni finanziarie delle società medio-grandi.
Concordato preventivo
Il concordato preventivo è la procedura concorsuale per eccellenza, storicamente prevista per evitare il fallimento tramite un accordo con i creditori sotto l’egida del tribunale. Nel nuovo Codice della crisi, il concordato preventivo è disciplinato dagli artt. 84-120 CCII e può assumere due forme principali: – Concordato in continuità aziendale: quando prevede la prosecuzione dell’attività d’impresa (in gestione diretta o tramite un terzo acquirente dell’azienda) . – Concordato liquidatorio: quando prevede solo la liquidazione del patrimonio del debitore per pagare i creditori, senza proseguire l’attività (se non per il tempo strettamente necessario alla cessione dei beni).
Fasi e meccanismo del concordato: – Domanda di concordato: L’imprenditore, tramite avvocato, deposita un ricorso al tribunale competente chiedendo l’ammissione al concordato. Può presentare fin da subito un piano dettagliato e una proposta ai creditori, oppure presentare una domanda “in bianco” (concordato con riserva, ex art. 44 CCII) con minima documentazione e ottenere un termine (fino a 120 giorni + proroga 60) per depositare piano e proposta definitiva. Quest’ultima modalità è usata per guadagnare tempo e bloccare i creditori mentre si finalizza il piano – ma il correttivo 2024 l’ha resa meno necessaria grazie agli strumenti come la composizione negoziata e pre-accordi, sebbene resti un’opzione di emergenza. – Ammissione e fase commissariale: Il tribunale, esaminata la domanda e verificata la presenza dei requisiti di legge (impresa in crisi o insolvente ma non già in liquidazione giudiziale, proposta non manifestamente impossibile, ecc.), ammette il debitore al concordato e nomina un commissario giudiziale (professionista terzo) che supervisiona la gestione durante la procedura. Da quel momento, scattano gli effetti protettivi: divieto di azioni esecutive individuali, impossibilità di iscrivere ipoteche su beni del debitore per crediti anteriori, e sospensione delle prescrizioni. L’azienda continua a operare, ma sotto la vigilanza del commissario e con atti di straordinaria amministrazione soggetti ad autorizzazione del giudice delegato. È quindi una procedura pubblica (l’ammissione è iscritta nel registro imprese) e che inevitabilmente crea apprensione in partner commerciali e banche – è il prezzo della protezione legale. – Classi di creditori e proposta: Nel piano di concordato, il debitore deve elencare tutti i creditori e proporre come intende soddisfarli. È obbligatoria la creazione di classi se i creditori hanno differenze di posizione giuridica o interessi economici differenziati (ad esempio, spesso si fanno classi separate per: banche garantite, fornitori chirografari, Fisco se non integralmente pagato, lavoratori se trattati diversamente dagli altri privilegiati, ecc.). Il correttivo ha chiarito che la suddivisione in classi è facoltativa salvo necessaria in presenza di posizioni non omogenee . La proposta può prevedere stralci (pagamento parziale) per i chirografari, mentre i creditori privilegiati vanno soddisfatti integralmente salvo che rinuncino a parte (o salvo il caso di concordato liquidatorio dove è permesso ridurli nella misura in cui non siano integralmente coperti dal valore dei beni su cui vantano prelazione). Ad esempio, se una banca ha ipoteca su un immobile stimato 500 e credito 700, deve ricevere almeno 500 (valore di stima) per legge; il resto 200 può essere degradato a chirografo e pagato pro quota come gli altri creditori chirografari. – Nel concordato in continuità, la legge consente che i creditori privilegiati possano essere pagati dilazionando fino a 2 anni dall’omologa (moratoria), tranne i crediti di lavoro che possono essere dilazionati al massimo 6 mesi . – Nel concordato liquidatorio, per essere ammissibile, deve assicurare ai creditori chirografari una soglia minima di soddisfazione: almeno il 20% del loro credito (questa era regola già nel vecchio ordinamento, confermata salvo eccezioni). – Votazione dei creditori: Una volta depositato il piano e completata l’istruttoria, i creditori vengono chiamati a votare sulla proposta di concordato. Ogni classe vota separatamente (se non ci sono classi, si vota per categorie legali: privilegiati, chirografari, ecc.). Per l’approvazione, serve il voto favorevole della maggioranza dei crediti ammessi al voto. La maggioranza si calcola in percentuale di credito: serve >50% dei crediti votanti (esclusi i non votanti per legge). Se ci sono più classi, serve che la maggioranza delle classi approvi (e almeno una classe di crediti non garanzia reale approvi, se i chirografari subiscono un taglio). Se tutte le classi approvano, il concordato è approvato . Se una o più classi dissentono, c’è la possibilità dell’omologazione anche in caso di dissenso di classi: è il meccanismo di cross-class cram down introdotto dalla direttiva UE e recepito nel Codice . In sostanza, il tribunale può ugualmente omologare il concordato se ritiene il trattamento dei dissenzienti equo e conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria, a condizione che: – il concordato abbia avuto l’approvazione di almeno una classe di creditori non inferiore al 51% e
– i creditori dissenzienti non ricevano meno di quanto otterrebbero nella liquidazione giudiziale e non subiscano discriminazioni ingiustificate. Questo consente di “forzare” l’accordo sui creditori contrari, bilanciando interessi. Ad esempio, se la classe dei fornitori (che prenderebbero 30% nel concordato) vota no, ma dal piano e dalle valutazioni risulta che in caso di fallimento avrebbero solo 10%, il tribunale può comunque omologare il concordato contro il loro voto, applicando la ristrutturazione trasversale prevista dalla legge . – Omologazione: Se la votazione va a buon fine (o se c’è cram down riuscito), il tribunale passa alla fase di omologazione. Controlla di nuovo la legalità (ad esempio che eventuali contestazioni dei creditori dissenzienti sul rispetto delle priorità siano infondate) e la fattibilità. Se tutto è regolare, emette decreto di omologazione. Da quel momento, il concordato è efficace e vincola tutti i creditori anteriori, anche quelli che non hanno votato o hanno votato contro. I creditori privilegiati degradati o chirografari riceveranno quanto stabilito (es: 40% in 2 anni) e la società dovrà eseguire il piano sotto la sorveglianza del commissario o di un liquidatore (a seconda dei casi). L’omologazione comporta che nessun creditore può più agire individualmente per pretese anteriori: eventuali ipoteche giudiziali iscritte decadono, i pignoramenti pendenti si chiudono. L’azienda prosegue l’attività se concordato in continuità, oppure i beni vengono liquidati secondo il piano se concordato liquidatorio. – Esecuzione e chiusura: Se il debitore adempie a quanto promesso (pagamenti effettuati, operazioni compiute), ottiene la fulfilling del concordato e la procedura si chiude definitivamente liberandolo dai debiti pregressi residui non pagati (salvo eccezioni come debiti erariali per i quali la liberazione piena richiede integrale pagamento di quanto concordato). Se invece non adempie, si rischia la risoluzione del concordato su istanza dei creditori e a quel punto di solito si apre la liquidazione giudiziale (i creditori riacquisiscono i loro diritti per intero, detratto quanto eventualmente incassato in concordato).
Concordato in continuità vs liquidatorio: La legge incoraggia la continuità aziendale perché preserva valore e posti di lavoro. Infatti, un concordato in continuità può anche non raggiungere il 20% per i chirografari se dimostra che la continuità offre ai creditori non garantiti almeno il 10% in più rispetto alla liquidazione pura (principio di maggior soddisfazione). Il correttivo 2024 ha anche sottolineato la prevalenza dell’opzione continuità per i gruppi, dove se la continuità di una società del gruppo dà vantaggi compensativi alle altre, si può limitare l’opposizione dei creditori dissenzienti e omologare comunque . Nel concordato liquidatorio puro, invece, le regole sono più stringenti perché è simile a un fallimento concordato: bisogna offrire almeno il 20% ai chirografari e normalmente c’è un apporto di finanza esterna minimo del 10% (quest’ultimo requisito pare abolito nel nuovo codice, ma il concetto che il liquidatorio deve offrire qualcosa in più di un fallimento rimane).
Concordato con assuntore: Una forma particolare è quando un soggetto terzo (assuntore) si impegna ad acquisire l’azienda o i beni e a farsi carico di eseguire il concordato pagando i creditori. Questo spesso avviene in continuità indiretta: un investitore compra l’azienda funzionante e con il ricavato si pagano i creditori in percentuale. È utile se l’imprenditore attuale non può o non vuole proseguire, ma c’è un acquirente interessato a rilevare il business senza i debiti.
Vantaggi: Il concordato è l’unico strumento che consente di imporre una ristrutturazione a tutti i creditori con il voto di una maggioranza qualificata. Offre la protezione più robusta (nessuno può tirarsi fuori e agire diversamente, una volta ammessi). Permette soluzioni creative pur nel rispetto di regole di priorità. Inoltre, una volta omologato e adempiuto, libera definitivamente l’azienda dai debiti residui (si può dire che l’azienda rinasce pulita dai debiti pregressi, se ha rispettato il piano). Dal punto di vista del debitore è un percorso duro ma che porta, se ha successo, a una reale “fresh start” dell’impresa senza il marchio del fallimento e con la possibilità di proseguire l’attività.
Svantaggi: È una procedura complessa, lunga e costosa. Richiede l’intervento di diversi professionisti (avvocati, attestatori, commissari) e le fasi di voto e omologa possono durare molti mesi (un concordato dura tipicamente 1-2 anni tra presentazione e omologa). L’azienda subisce inevitabilmente uno stress reputazionale: clienti e fornitori vengono a conoscenza della procedura, alcuni potrebbero recedere o ridurre i rapporti. La gestione sotto commissario e giudice implica formalità (ogni atto straordinario va autorizzato) e perdita di flessibilità. Non ultimo, se la procedura fallisce (ad esempio non si raggiunge la maggioranza o il tribunale non omologa), l’impresa finisce quasi certamente in liquidazione giudiziale aggravando il dissesto. Quindi il concordato è un’arma che va usata quando si è abbastanza sicuri di poter soddisfare i requisiti e di avere l’appoggio di larga parte dei creditori, oppure quando non vi sono altre alternative praticabili.
Quando ricorrervi: Di solito il concordato si attiva quando: – La crisi è avanzata e diffusa, tale che non si riesce a raggiungere accordi individuali sufficienti (o troppi piccoli creditori per fare un accordo stragiudiziale). – Servono poteri speciali come sciogliersi da contratti pendenti onerosi o cedere l’azienda senza dover accollarsi tutti i debiti (il concordato consente di vendere asset “liberi” dai debiti, che restano in procedura). – L’impresa vuole/può continuare ma ha bisogno di abbattere drasticamente il debito, cosa possibile solo costringendo i creditori a un hair-cut per votazione. – Oppure l’impresa deve essere liquidata ma in modo ordinato, magari vendendo l’attività a qualcuno invece di finire all’asta fallimentare.
Nel caso della nostra ipotetica società di sigillanti, il concordato preventivo sarebbe indicato se la situazione debitoria è ingestibile fuori da una procedura: ad esempio, troppi creditori litigiosi, oppure alcune banche o il fisco non si accordano spontaneamente. Con un concordato, l’azienda potrebbe proporre di pagare, poniamo, il 40% ai chirografari in 4 anni, mantenendo aperta l’attività per produrre utili con cui pagare, e vendendo magari un ramo d’azienda non strategico per fare cassa iniziale. I creditori voterebbero e – se convincente – approverebbero perché l’alternativa (fallimento) darebbe loro magari il 20%. L’azienda in questo modo continua la sua attività produttiva, magari sotto il controllo di un commissario ma salva, e alla fine del concordato torna normale.
Viceversa, se proprio non c’è prospettiva di salvezza, il concordato potrebbe essere liquidatorio (vedi dopo concordato semplificato) e fungere da modo per liquidare i beni distribuendo qualcosa e chiudere la società senza macchia di bancarotta per l’organo amministrativo (a patto di eseguire il concordato correttamente).
Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio
Si tratta di una particolare procedura introdotta in via sperimentale col D.L. 118/2021 e ora codificata (art. 25-sexies CCII), pensata come via d’uscita nel caso in cui la composizione negoziata non riesca a salvare l’azienda. Il concordato semplificato ha queste peculiarità: – Può proporlo solo un imprenditore che abbia svolto la composizione negoziata della crisi senza riuscire a trovare un accordo con i creditori . Quindi è una soluzione riservata a chi ha tentato di negoziare ma ha dovuto constatare, insieme all’esperto, che non c’è possibilità di risanamento in continuità. – È un concordato liquidatorio puro, ovvero prevede la cessione o liquidazione di tutto il patrimonio dell’imprenditore a beneficio dei creditori, però con una differenza fondamentale rispetto al concordato ordinario: non c’è votazione dei creditori. Il debitore presenta un piano di liquidazione con una proposta di riparto ai creditori e direttamente chiede al tribunale l’omologazione, senza passare per l’adunanza dei creditori e la raccolta dei voti . – Il tribunale valuta la proposta; i creditori possono opporsi in sede di omologa se la ritengono iniqua. Ma la decisione finale spetta al giudice, che omologa il concordato semplificato se ritiene che il piano liquidatorio è vantaggioso per i creditori (più di quanto otterrebbero dal fallimento) e che sono rispettate le norme di legge. In pratica, il tribunale svolge un controllo di convenienza sostituendosi al voto dei creditori. – Questa procedura snellita è giustificata dal fatto che, essendo già passati per la CNC, si è accertato che non c’è consenso attivo dei creditori a un risanamento. Per evitare di andare comunque in liquidazione giudiziale (fallimento) e perdere tempo, si offre al debitore corretto la chance di chiudere la partita con un concordato rapido. – Naturalmente, l’asticella per l’omologa è alta: il piano deve garantire trasparenza e il massimo ricavo possibile per i creditori. Ad esempio, il debitore non può proporre di tenersi qualcosa: deve destinare ai creditori tutto l’attivo, salvo eventuali minimi per spese. Inoltre, di solito c’è un controllo sulla meritevolezza del debitore: se l’insuccesso della CNC è dovuto a inerzia o malafede del debitore, il tribunale potrebbe rigettare il semplificato. Una pronuncia (Tribunale di Roma, 2024) ha definito il concordato semplificato “equivalente alla liquidazione giudiziale ma su base volontaria” – cioè di fatto una liquidazione fallimentare accelerata e concordata. – Per gli amministratori, il vantaggio è di evitare il fallimento e i relativi stigma e conseguenze (ad esempio evitare una dichiarazione di insolvenza che potrebbe portare a indagini di bancarotta, ecc.). Inoltre, la legge prevede che l’apertura di un concordato semplificato esonera dall’istruttoria fallimentare e consente di soddisfare rapidamente i creditori con minori costi procedurali.
In pratica, il concordato semplificato è stato poco utilizzato sinora, perché molti tribunali erano restii a privare i creditori del diritto di voto. Le recenti sentenze citate in dottrina sottolineano che deve essere usato come extrema ratio: non va considerato un modo per saltare il voto se invece c’era margine di accordo (le pronunce di Mantova e Como 2025 ribadiscono di non usare la CNC per poi approdare a un semplificato se c’era la possibilità di un concordato votato – in altre parole, non abusare della sequenza) . Tuttavia, rimane uno strumento previsto: se la nostra azienda, dopo mesi di CNC, conclude con l’esperto che non c’è investitore né accordo e l’unica via è vendere i macchinari e cessare, potrebbe proporre di liquidare tutto e dare, ad esempio, il 30% ai chirografari. Il tribunale sentirà eventuali creditori contrari, ma se quel 30% è comunque meglio del 10% stimato in caso di fallimento, potrebbe omologare il concordato semplificato e nominare un liquidatore per distribuire i fondi. La società verrebbe poi cancellata.
Strumenti per la sovraindebitamento e liquidazione controllata (imprese minori e persone)
Sebbene la nostra trattazione sia focalizzata su una S.r.l. (dunque un’impresa soggetta alle procedure fin qui descritte), è utile menzionare che esistono procedure specifiche per imprese minori non fallibili e persone fisiche sovraindebitate. Il Codice della crisi riunisce queste procedure – prima disciplinate dalla L.3/2012 – sotto la categoria di “soluzioni della crisi da sovraindebitamento”. Sono: – Il Piano di ristrutturazione del debitore (per consumatori o piccoli imprenditori, ex piano del consumatore e accordo del debitore): simile a un mini-concordato senza voto per persone fisiche o imprese sotto soglia, omologato dal giudice se equo. – Il Concordato minore: una specie di concordato preventivo semplificato riservato a imprenditori minori (non oltre certi limiti di attivo/debiti). Prevede il voto dei creditori ma con maggioranze ridotte e formalità minime. – La Liquidazione controllata: l’equivalente del fallimento per chi non è soggetto a liquidazione giudiziale, ad esempio un imprenditore agricolo o una start-up sotto soglia. Permette la liberazione dai debiti (esdebitazione) a fine procedura.
Nel contesto di una S.r.l. con oltre 1 milione di debiti, queste procedure minori non si applicano – la società è abbondantemente fallibile. Ma è rilevante sapere che se l’azienda fosse stata individuale, l’imprenditore avrebbe potuto accedere a tali istituti, tra cui l’esdebitazione del debitore incapiente (rimessione dei debiti residui a certe condizioni) dopo la liquidazione controllata.
Esdebitazione dell’imprenditore e responsabilità residuali
Infine, toccando l’aspetto delle conseguenze sui soci/amministratori, ricordiamo che: – Se la società viene liquidata fallimentarmente, la società in sé cessa di esistere dopo la chiusura della procedura, ma i debiti insoddisfatti non “passano” ai soci (nelle S.r.l. vige la responsabilità limitata, salvo fideiussioni personali date). L’imprenditore persona fisica invece, dopo il fallimento, può chiedere l’esdebitazione personale, ossia la cancellazione dei debiti residui non pagati, ottenendo un fresh start (art. 278 CCII). Per le società questo concetto non esiste: se qualcosa resta non pagato, la società è estinta comunque. – Se invece si è concluso con successo un concordato o un accordo di ristrutturazione, l’adempimento di quell’accordo libera il debitore da tutte le ulteriori pretese dei creditori anteriori (a meno che nel concordato non fosse previsto diversamente). In pratica, è come se il concordato fungesse da esdebitazione: i creditori prendono il 30-40% concordato e non possono più reclamare il resto. – Per i soci garanti o amministratori fideiussori, attenzione: le procedure concorsuali della società non li proteggono automaticamente. Se Tizio, socio al 100% della S.r.l., aveva garantito personalmente un debito bancario, e la S.r.l. fa concordato pagando il 50% al banco, la banca potrà rivalersi su Tizio per l’altro 50% (salvo Tizio ottenga di negoziare anche lui una liberatoria). Quindi, dal punto di vista pratico, i soci garanti dovrebbero affiancare alla soluzione per la società anche un accordo personale con le banche per non restare esposti.
Abbiamo così panoramicamente descritto tutti i principali strumenti e procedure. È evidente che la scelta dello strumento giusto è cruciale e dipende dallo stato dell’azienda: c’è speranza di salvataggio? c’è coesione tra i creditori principali? qual è la urgenza dettata dalle azioni dei creditori? quanta fiducia rimane verso l’imprenditore?
Nel prossimo capitolo forniremo alcune strategie pratiche e linee guida su come decidere il percorso migliore (“negoziare o procedura?”) e presenteremo alcune simulazioni esemplificative di casi concreti (azienda risanabile vs azienda da liquidare). Seguirà infine una sezione di domande e risposte frequenti e tabelle riassuntive.
Strategie pratiche per difendersi dai creditori e scegliere la soluzione adatta
Di fronte a debiti ingenti e creditori pressanti, l’imprenditore si trova dinanzi a un bivio: tentare di salvare l’azienda ristrutturando il debito (in toto o parzialmente) oppure arrendersi e liquidare il patrimonio per chiudere la posizione debitoria. Questa scelta dipende da molte variabili, ma in ogni caso dev’essere guidata dalla logica di massimizzare il valore residuo e minimizzare i danni per sé e per i creditori (oltre che per dipendenti e altri stakeholder).
Ecco alcune linee guida generali e considerazioni strategiche:
- Valutare la continuità aziendale: Prima domanda: l’azienda ha ancora un core business profittevole o potenzialmente tale? Ad esempio, la nostra azienda di sigillanti ha ordini, un mercato attivo, prodotti competitivi? Oppure ha perso clienti chiave e non riesce più a generare margini? Se esiste una base industriale valida, vale la pena tentare la continuità, magari ridimensionando l’attività. In tal caso strumenti come composizione negoziata, concordato in continuità o accordi di ristrutturazione sono indicati. Se invece la crisi è irreversibile (prodotto obsoleto, mercato saturo, impianti fermi) accanirsi a tenerla in vita può solo aggravare i debiti: meglio optare per una liquidazione ordinata (concordato liquidatorio, concordato semplificato post-CNC, o persino liquidazione giudiziale volontaria).
- Agire presto (timing): Prima si interviene, maggiori sono le opzioni. In uno stadio iniziale di difficoltà finanziaria, magari basta un piano attestato o una rinegoziazione bancaria. Se si aspetta che i debiti esplodano e i creditori perdano fiducia, si finirà per dover ricorrere a procedure concorsuali più drastiche. Abbiamo visto come l’obbligo di attivarsi senza indugio sia scolpito nella legge . Non solo: anche in termini pratici, un imprenditore che chiama i creditori attorno a un tavolo quando è ancora in bonis avrà ascolto; se li chiama quando ha già 5 decreti ingiuntivi in mano, troverà ostilità e pretese massimaliste.
- Analisi dei creditori e approccio differenziato: Mappare i creditori per tipologia e importanza:
- Pochi creditori principali (es. banche): si può tentare prima una soluzione stragiudiziale privata. Spesso le banche preferiscono un piano di rientro concordato (magari con attestazione) piuttosto che un concordato, perché mantengono un rapporto diretto e riservato.
- Molti creditori frammentati: più adatto un concordato, dove con una singola procedura si gestiscono centinaia di posizioni senza dover convincere ogni singolo.
- Creditori molto ostili o intransigenti: se ce ne sono alcuni che si oppongono a qualunque proposta (es. un ex socio divenuto creditore, o un fisco rigido su certe imposte), può convenire la via giudiziale (concordato) in modo da poterli obbligare col cram-down se la maggioranza è d’accordo.
- Crediti garantiti vs chirografi: se il problema principale è con creditori garantiti (banche con ipoteche) serve valutare se i beni in garanzia coprono i loro crediti. Se sì, non avranno incentivo a transare a meno che la vendita volontaria dell’attivo non acceleri i tempi. Se le garanzie non coprono tutto, allora avremo una parte chirografa da trattare nel piano.
- Utilizzare la composizione negoziata come test: Avviare una CNC può essere utile anche per capire le reali intenzioni dei creditori e la fattibilità del risanamento. È un percorso relativamente breve (entro 6 mesi si sa l’esito) e a costi contenuti. Se in CNC già i creditori chiave dicono un no secco a ogni proposta, si capisce che l’unica è il concordato (imponendo la soluzione). Se invece mostrano apertura, magari si evita proprio il concordato con un accordo. Inoltre, la CNC consente di nominare un esperto che fornirà un parere terzo: se persino l’esperto conclude che l’azienda non è risanabile, l’imprenditore dovrebbe prenderne atto e non intestardirsi.
- Proteggere l’azienda dalle azioni immediate: Se qualche creditore sta per compiere mosse irreversibili (pignoramento di conti, istanza di fallimento, escussione di pegni su scorte vitali), potrebbe essere necessario attivare subito uno strumento protettivo. Ad esempio, depositare una domanda di concordato con riserva blocca istantaneamente le azioni esecutive e le istanze di fallimento. Allo stesso modo, l’istanza di misure protettive in CNC ottiene un effetto simile in tempi brevi. Bisogna però fare attenzione a non abusare di queste tutele senza poi avere un piano credibile: i tribunali revocano facilmente le protezioni se vedono che il debitore le usa solo per guadagnare tempo e “svuotare” la società. Mai usare la protezione per fare atti occulti: esempio classico, mettere al riparo beni personali nel periodo di sospensione – verrebbe scoperto e qualificato come atto in frode, con revoca del beneficio e possibili guai.
- Considerare il coinvolgimento di nuovi investitori o soci: Un’opzione di difesa è portare nuova linfa finanziaria tramite un terzo. A volte una crisi si risolve vendendo l’azienda (o parte di essa) a un concorrente o a un investitore, che contestualmente paga i debiti (o parte). Ciò può avvenire in vari modi: nella CNC l’esperto può aiutare a individuare investitori; nel concordato si può prevedere un assuntore; negli accordi si può far entrare un fondo. L’imprenditore non deve scartare a priori di perdere il controllo: meglio cedere l’azienda e salvare il valore (magari mantenendo un ruolo direttivo) che vederla fallire e perdere tutto. Dal lato creditori, spesso vedono di buon occhio l’ingresso di finanza fresca perché aumenta le chance di soddisfo.
- Attenzione alle operazioni su crediti specifici: Può capitare di pensare: “paghiamo subito quel fornitore fondamentale così continua a darci materiale, gli altri aspetteranno”. Questo può essere fatto se è indispensabile alla continuità (in concordato in continuità, con autorizzazione del giudice, si possono anche pagare crediti anteriori se funzionali a proseguire l’attività). Ma fuori dalle procedure, pagare preferenzialmente qualcuno può scatenare malumori e rischi di revocatoria. Quindi meglio sempre inquadrarlo in un contesto (es. accordo scritto di fornitura continua in cambio di pagamento arretrati a condizioni eque).
Esempio pratico 1 – Risanamento in continuità (Alfa S.r.l.):
Alfa S.r.l. produce sigillanti siliconici, ha 50 dipendenti e un prodotto innovativo con buona domanda, ma a causa di investimenti mal calcolati e del rincaro delle materie prime si trova con €2 milioni di debiti (banche €0,8M, fornitori €0,7M, fisco €0,3M, altri €0,2M). La crisi è recente, i ricavi ci sono ma i margini attuali non coprono le rate di mutuo e i piani di rientro con i fornitori. Alfa vuole salvarsi. Strategia: – Attiva subito una Composizione Negoziata per congelare la situazione e avere un esperto. Chiede misure protettive: il tribunale le concede per 4 mesi, bloccando un paio di decreti ingiuntivi. – Con l’aiuto dell’esperto, Alfa convoca banche e fornitori principali: propone di convertire metà dei debiti bancari in strumenti partecipativi (oppure rimodulare mutui a 8 anni) e offrire ai fornitori un saldo 60% del dovuto in 18 mesi. Offre all’Agenzia Entrate il pagamento integrale del debito fiscale ma dilazionato in 5 anni (sfruttando la transazione fiscale per abbattere interessi). – I creditori sono scettici ma vedono che Alfa ha ordini e presenta un piano credibile di riduzione costi e aumento prezzi. Le banche accettano di rollare il debito (magari dietro impegno dei soci a ricapitalizzare €100k come segnale di buona volontà). I fornitori chiave (che vogliono continuare a vendere ad Alfa) accettano il 60% perché temono che in un fallimento prenderebbero forse 20%. – Si formalizza il tutto in un Accordo di ristrutturazione dei debiti al 70% di adesioni. Uno sparuto 30% di piccoli fornitori non aderisce ma verrà comunque pagato in percentuale minima entro i termini di legge, mentre l’accordo omologato blocca eventuali loro azioni nel frattempo. – Alfa esce dall’accordo con un debito ridotto e spalmato. Riprende fiato, la competitività non è inficiata (ha ancora i suoi fornitori, nessun curatore subentrato). Dopo 2 anni è di nuovo solvibile e mantiene i posti di lavoro.
Esempio pratico 2 – Liquidazione ordinata (Beta S.r.l.):
Beta S.r.l. è nel medesimo settore ma la sua tecnologia è superata, ha perso commesse chiave e i soci non intendono investire oltre. Debiti €1,5M, l’azienda è di fatto ferma. Nessun risanamento appare realistico. Strategia: – Beta informa subito i creditori principali che intende liquidare l’attività in modo controllato per massimizzare il ricavato da distribuire. Per proteggersi da azioni disordinate (pignoramenti sui macchinari che distruggerebbero valore di realizzo), Beta ricorre alla Composizione Negoziata più per beneficiare delle protezioni che per negoziare (tenta magari di vendere l’intera azienda come compendio durante la CNC). – L’esperto constata che non c’è ripresa possibile. Beta allora elabora, con i dati raccolti, una proposta di concordato semplificato liquidatorio: un piano in cui entro 6 mesi venderà l’immobile e le attrezzature (stima ricavo €500k), incasserà crediti residui (€100k) e il totale €600k sarà ripartito ai creditori (che sono €1,5M) dando circa il 40%. I soci non prendono nulla, l’azienda poi chiuderà. – Presenta la domanda al tribunale. I creditori potranno opporsi se credono che in fallimento avrebbero più del 40%. Ma Beta documenta che in fallimento i beni si svaluterebbero (aste giudiziarie lente, etc.) e forse si ricaverebbe solo €400k (27%). Il tribunale, vista la correttezza e trasparenza, omologa il concordato semplificato. Viene nominato un liquidatore giudiziale che supervisiona la vendita (per assicurare che avvenga a valori di mercato) e poi paga il 40% ai creditori. – Beta S.r.l. viene cancellata, gli amministratori evitano la dichiarazione di fallimento e relative conseguenze, i creditori prendono più che in fallimento e senza lungaggini, e la vicenda si chiude in pochi mesi anziché trascinarsi per anni.
Ovviamente ogni caso reale è più complesso di un esempio su carta; tuttavia questi scenari illustrano come ragionare: nel primo caso c’erano fondamenta per salvare l’impresa ed è stato giusto insistere sul risanamento; nel secondo no, e si è scelta la difesa consistente nel massimizzare il ricavato e distribuire qualcosa in tempi brevi, limitando gli attriti.
Prima di passare alle domande e risposte, presentiamo due tabelle riepilogative che aiutano a confrontare i vari strumenti e le loro caratteristiche, e a ricordare le possibili azioni dei creditori e relative contromisure.
Tabella 1: Confronto tra gli strumenti di gestione della crisi d’impresa
| Strumento | Natura | Adesione Creditori | Ruolo del Tribunale | Effetti Principali |
|---|---|---|---|---|
| Composizione negoziata | Stragiudiziale volontaria, riservata. | Nessuna adesione formale richiesta: si punta a accordi consensuali con i creditori (non vincola dissenzienti). | Nessun giudice per accordarsi; intervento del tribunale solo su richiesta per misure protettive (sospensione azioni) . Nessun commissario: l’imprenditore resta alla guida. | Protezione temporanea dalle azioni esecutive (se concessa). Nomina di un esperto facilitatore. Possibilità di concludere accordi stragiudiziali o preparare il terreno per procedure successive. Nessuno spossessamento. Nessun voto dei creditori. |
| Piano attestato di risanamento | Stragiudiziale con perizia di esperto indipendente (attestazione). | Accordi individuali con i creditori principali, ma nessuna percentuale minima di legge. Funziona solo se c’è larghissimo consenso (idealmente tutti i maggiori creditori). | Il tribunale non interviene (se non per eventuale pubblicazione nel Registro Imprese, atto meramente formale). | Nessuna sospensione legale delle azioni (i creditori non aderenti possono agire). Tuttavia, i pagamenti e atti eseguiti secondo il piano non saranno revocabili in futuro . Il piano resta riservato salvo volontaria pubblicazione. Grande flessibilità nel contenuto. |
| Accordo di ristrutturazione | Misto: fase negoziale privata + omologazione giudiziale. | Richiede adesione di ≥ 60% dei crediti (in valore). Possibili estensioni a dissenzienti (es. banche) se aderenti ≥75% in quella categoria . Creditori non aderenti: vanno pagati integralmente fuori accordo (salvo transazione fiscale cram-down). | Il tribunale omologa l’accordo, dopo aver verificato requisiti e convenienza per i creditori estranei. Può concedere misure protettive già prima dell’omologa (blocca azioni se richiesto). | Sospende e impedisce azioni esecutive dopo il deposito (simile a concordato). Una volta omologato, l’accordo è vincolante per gli aderenti; i non aderenti restano creditori per intero ma normalmente vengono soddisfatti a parte. Possibile cram-down del Fisco e enti previdenziali (il giudice può approvare l’accordo anche se tali enti hanno negato l’adesione) . Procedura più rapida del concordato, niente voto ma serve accordo preventivo tra le parti. |
| Concordato preventivo <br> (continuità o liquidatorio) | Procedura concorsuale giudiziale. Pubblica, con controllo del tribunale. | Approvazione tramite voto dei creditori in classi: serve >50% dei crediti votanti (e maggioranza classi se pluriclassi). Dissentienti comunque vincolati se omologa (possibile cram-down interclassi con giudizio di convenienza) . | Forte ruolo del tribunale: ammette alla procedura, nomina commissario giudiziale, omologa il piano se approvato. Il giudice autorizza atti di gestione straordinaria durante la procedura. | Sospende tutte le azioni dei creditori (automatic stay) dalla data di ammissione. L’azienda opera sotto vigilanza. Una volta omologato, il piano vincola tutti i creditori anteriori , anche chi ha votato contro. Possibilità di sciogliersi da contratti in essere se autorizzato. Dopo esecuzione, l’impresa è liberata dai debiti residui. Se inadempimento, si passa a liquidazione giudiziale. Richiede tempi e costi rilevanti ma offre soluzione definitiva e ordinata. |
| Concordato semplificato (post-CNC) | Procedura concorsuale liquidatoria senza voto dei creditori. | Nessun voto: i creditori non approvano, possono solo presentare opposizione all’omologa. | Il tribunale valuta ed omologa se il piano liquidatorio è più vantaggioso per i creditori rispetto al fallimento. Nomina un liquidatore per eseguire il piano. | Sospende azioni esecutive una volta aperta la procedura (come concordato normale). Liquidazione dei beni sotto controllo giudiziale. Creditori soddisfatti secondo il piano omologato (ad es. percentuale su ogni credito). Niente voto accelera i tempi, ma l’uso è riservato a casi particolari (esito negativo composizione negoziata) . |
| Liquidazione giudiziale (ex fallimento) | Procedura concorsuale giudiziale liquidatoria. | Non c’è adesione: i creditori subiscono la procedura e possono solo insinuarsi al passivo. | Tribunale dichiara l’insolvenza, nomina curatore che gestisce e liquida i beni. Giudice delegato e comitato creditori vigilano. | L’imprenditore perde la gestione; i beni sono venduti e ricavato distribuito secondo i privilegi. Le azioni dei creditori sono tutte convogliate nel fallimento. Possibili azioni revocatorie per atti precedenti. Al termine, l’imprenditore persona fisica può ottenere esdebitazione (liberazione debiti) se meritevole. Procedura lunga e spesso con recuperi molto bassi per chirografari. È la soluzione di ultima istanza se falliscono le precedenti. |
Nota: Esistono anche il Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO), strumento introdotto nel 2022, che consente al debitore in stato di crisi o insolvenza di proporre un piano di ristrutturazione con suddivisione in classi e chiederne l’omologazione giudiziale anche senza passare per il voto (o con voto semplificato). È una sorta di concordato “fast-track” in cui il tribunale può omologare con regole di cram-down se ritiene equo il trattamento dei creditori . Tuttavia, trattandosi di istituto nuovo e avanzato, nel contesto di questa guida lo citiamo per completezza ma senza entrare nei dettagli, stante la già ampia gamma di soluzioni principali sopra descritte.
Tabella 2: Creditori e azioni esecutive – rischi e difese
| Credito | Azioni tipiche del creditore | Conseguenze per l’azienda | Strumenti di difesa |
|---|---|---|---|
| Fisco (Agenzia Entrate Riscossione) | – Iscrizione a ruolo e notifica cartelle.<br>- Fermo amministrativo su beni mobili registrati (veicoli, macchinari se targati).<br>- Ipoteca esattoriale su immobili aziendali (per debiti ≥ €20k).<br>- Pignoramento presso terzi: blocco conti correnti, crediti verso clienti.<br>- Azione esecutiva immobiliare (asta) se debito rilevante.<br>- Segnalazione a Procura per reati tributari se soglie superate. | – Paralisi operatività se conti bloccati o beni vincolati (es. automezzi fermati).<br>- Degrado reputazionale (iscrizione a ruolo può emergere da DURC irregolare, ecc.).<br>- Rischio aggravio debito per aggi e interessi.<br>- Potenziali responsabilità penali in capo all’amministratore per omessi versamenti rilevanti. | – Richiedere rateizzazione amministrativa del debito (fino 72-120 rate) per ottenere sospensione azioni esecutive.<br>- Definizioni agevolate (rottamazioni) se disponibili, per ridurre sanzioni e bloccare ipoteche a saldo.<br>- In procedure concorsuali: proporre Transazione fiscale con pagamento parziale ; utilizzare cram-down fiscale se Fisco rifiuta ma proposta è migliorativa .<br>- Misure protettive in concordato/CNC per sospendere ipoteche e pignoramenti durante trattative . |
| Banche / Leasing | – Decadenza dal termine: richiesta immediata dell’intero credito residuo.<br>- Segnalazione Centrale Rischi come sofferenza (danneggia rating).<br>- Escussione garanzie: es. vendita bene in leasing, escussione pegno su titoli, richiesta escussione fideiussione socio.<br>- Decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo e successivo pignoramento conti, crediti, ecc.<br>- Azione ipotecaria su immobili dati in garanzia (es. mutuo ipotecario). | – Sblalzo debitorio immediato: l’azienda si trova a dover pagare tutto subito, aggravando l’insolvenza.<br>- Perdita disponibilità di beni essenziali (es. un macchinario in leasing ripreso dalla società di leasing).<br>- Riduzione liquidità (pignoramento conti/incassi).<br>- Escussione garanti personali: i soci o amministratori diventano debitori escussi, con possibili pignoramenti personali (casa, stipendio).<br>- Revoca fidi e castelletto: crollo della liquidità circolante. | – Moratorie ABI o accordi di ristrutturazione del debito bancario (spesso coordinate da associazioni di categoria) per sospendere rate e allungare piani.<br>- Composizione negoziata: coinvolgere banche con l’aiuto dell’esperto per rinegoziare (banche spesso più collaborative in CNC vedendo un piano serio).<br>- Accordo di ristrutturazione: ottenere adesione ≥60% banche e omologa per vincolare tutte, con eventuale efficacia estesa al resto .<br>- Concordato: congelare le pretese bancarie e trattarle nel piano (eventuale cram-down su parte ipotecaria ecc.). Nel concordato in continuità, possibilità di continuare rapporti bancari essenziali con autorizzazione.<br>- Trattative extra-giudiziali rapide offrendo garanzie alternative o parziali pagamenti per evitare segnalazioni. |
| Fornitori / trade | – Sospensione forniture per insoluto, passaggio a pagamento anticipato.<br>- Decreto ingiuntivo (anche provvisoriamente esecutivo se fatture riconosciute) e successivo pignoramento di conti, merci in magazzino, crediti.<br>- Azione di recupero di beni forniti con riserva di proprietà (se prevista nei contratti).<br>- Istanza di fallimento (specie se credito significativo e dissesto palese). | – Blocco produzione per mancanza materie prime => calo fatturato, peggioramento crisi.<br>- Pignoramento c/c: impossibilità a pagare altri (effetto domino).<br>- Aggressione a beni aziendali (pignoramento attrezzature mobili, magazzino) => possibile fermo attività.<br>- Procedura fallimentare avviata: costi legali e rischio perdita controllo se il tribunale dichiara fallimento. | – Accordi di fornitura in continuità: convincere fornitori chiave a continuare consegne (magari con pagamento alla consegna per nuovo, e piano di rientro per arretrati).<br>- Transazioni a saldo e stralcio: offrire pagamento parziale immediato (se si trovano risorse) in cambio di rinuncia al resto – alcuni fornitori preferiscono poco subito che rischiare niente in fallimento.<br>- Concordato preventivo: includere i fornitori come classe e offrire percentuale ragionevole: se la maggioranza approva, anche i contrari sono vincolati e non possono agire individualmente.<br>- Moratoria concordataria: dal decreto di ammissione al concordato, fornitori non possono più iniziare o proseguire esecuzioni, né risolvere contratti per precedenti debiti senza autorizzazione del GD.<br>- Composizione negoziata: durante la CNC, spesso l’esperto dialoga con i fornitori per assicurare continuità forniture in cambio di impegni di pagamento protetti dall’accordo complessivo.<br>- Se un singolo fornitore minaccia fallimento: valutare pagamento mirato (concordato con curatore eventuale per escludere revocatoria) o anticipare deposito di propria procedura concorsuale (es. concordato) per bloccare l’istanza. |
| Dipendenti | – Vertenze di lavoro per stipendi non pagati, ingiunzioni con riconoscimento di privilegio.<br>- Dimissioni in massa se saltano più mensilità, con eventuali cause per differenze TFR.<br>- Segnalazioni a sindacati, ispezioni ITL (ispettorato) per mancati pagamenti contributi.<br>- Anche i dipendenti possono chiedere fallimento (se creditore > soglia). | – Perdita di forza lavoro qualificata; calo produzione/qualità.<br>- Intervento sindacale e danno reputazionale pubblico (proteste, media) che può allontanare clienti.<br>- Aumenti del debito: more su contributi, cause lavoro spesso esitate in decreti ingiuntivi rapidi.<br>- Ambiente interno deteriorato, motivazione zero => impatta anche su continuità aziendale. | – Cassa integrazione guadagni straordinaria per crisi: alleggerire costo del lavoro e far percepire parte stipendio ai dipendenti.<br>- Accordi sindacali: spiegare la situazione, concordare eventuali dilazioni pagamenti (es. pagamento TFR in ritardo) in cambio di mantenimento posti dopo ristrutturazione.<br>- Procedure concorsuali: i dipendenti sono protetti: in concordato, garantire pagamento integralmente o per privilegio entro termini brevi (max 6 mesi da omologa per arretrati) .<br>- Attivare il Fondo di Garanzia INPS post-fallimento (come ultima risorsa) per saldare TFR e ultime mensilità se l’azienda chiude: comunicare ai lavoratori che, se inevitabile liquidazione, avranno comunque quel paracadute.<br>- Retrenchment: se possibile, ridurre personale in esubero prima che la crisi peggiori ulteriormente, per contenere il debito maturando. |
Le difese sopra elencate vanno calibrate: per esempio, la scelta tra comporre con un fornitore individualmente o bloccare tutti con un concordato dipende dal numero di fornitori e dall’urgenza. Analogamente, con le banche si può tentare una moratoria “privata” ma se una non ci sta e minaccia azioni, forse conviene il paracadute concorsuale che le blocca tutte insieme.
L’imprenditore, guidato dal proprio legale e consulente, deve mettere in fila le priorità e capire quali fuochi spegnere per primi: se c’è da pagare stipendi per non perdere i lavoratori fondamentali, magari va fatto anche indebitandosi con un fornitore che aspetterà; se c’è da placare Equitalia per scongiurare il pignoramento del conto, si valuta la rateazione fiscale come primo passo, e così via.
Passiamo ora alle domande frequenti, che chiariranno ulteriormente dubbi specifici, e successivamente troverete la lista delle fonti normative e giurisprudenziali utilizzate in questa guida, per eventuali approfondimenti.
Domande frequenti (FAQ)
D: Cosa rischio personalmente come amministratore/socio se la mia azienda non paga i debiti?
R: Se la tua azienda è una S.r.l., per definizione i soci non rispondono con il loro patrimonio personale dei debiti sociali. Tuttavia, ci sono eccezioni e responsabilità indirette da considerare. Se hai firmato fideiussioni personali a garanzia di debiti aziendali (tipicamente verso banche o fornitori di leasing), quei creditori possono escutere te in caso di insolvenza della società, facendoti trovare con beni personali pignorati. Inoltre, gli amministratori possono essere chiamati a rispondere con il proprio patrimonio dei danni causati ai creditori per mala gestione: se hai aggravato il dissesto continuando ad accumulare debiti quando l’azienda era decotta, il curatore fallimentare (o i creditori in concordato) possono promuovere un’azione di responsabilità contro di te, chiedendo i danni. Il Codice della crisi ha introdotto presunzioni che facilitano tale azione (possono chiederti la differenza tra attivo e passivo fallimentare come danno se hai tenuto male i conti) . Inoltre, sul piano penale, se la società fallisce potresti essere imputato per reati fallimentari (bancarotta) soprattutto se hai distratto beni, tenuto contabilità irregolare o favorito alcuni creditori. Anche il mancato pagamento di IVA e ritenute oltre soglia comporta rischio di condanne penali personali. Quindi, pur non dovendo in teoria ripagare tu i debiti aziendali, puoi subirne conseguenze economiche e legali personali rilevanti. Seguire le regole (attivarsi tempestivamente, non aggravare la situazione, non fare atti fraudolenti) è la miglior difesa per limitare queste conseguenze. Va aggiunto che se la società viene liquidata in fallimento, come ex amministratore potrai chiedere l’esdebitazione per essere liberato dai debiti residui non soddisfatti, ma solo se sei un piccolo imprenditore in proprio; per la S.r.l. in sé questa non si applica. In sintesi: responsabilità limitata non significa irresponsabilità assoluta. Occorre agire correttamente per non mettere a rischio il proprio patrimonio e la propria libertà in casi estremi.
D: Ho debiti fiscali molto alti: il Fisco può rifiutare un mio piano di ristrutturazione?
R: L’Amministrazione Finanziaria è uno dei creditori più difficili da accontentare, perché soggetta a regole pubblicistiche. Nei piani di concordato preventivo la legge impone che non si possano falcidiare l’IVA e le ritenute operate (devono essere pagate almeno al valore di liquidazione dei beni su cui insistono i privilegi, e comunque l’IVA essendo imposta armonizzata UE richiede in linea di massima integrale pagamento, salvo disposizioni di legge) . Tuttavia, è possibile proporre al Fisco una transazione fiscale: una sorta di accordo all’interno del concordato o accordo di ristrutturazione in cui prometti di pagare, ad esempio, il 50% delle imposte e contributi, spiegando che è il massimo che i creditori possono ottenere. Il Fisco valuterà la proposta; in passato, se diceva no, saltava l’intero piano, perché non si poteva omologare senza adesione. Ma oggi, come spiegato, il tribunale può procedere con l’omologazione forzata della transazione fiscale anche in caso di voto contrario dell’Erario . Ciò significa che, se dimostri che la tua offerta (es. 50%) è più vantaggiosa di quanto il Fisco prenderebbe in un fallimento (es. 20%), il giudice può rendere efficace il piano anche senza l’accordo dell’Agenzia Entrate. Questo vale sia nell’accordo di ristrutturazione che nel concordato (specie dopo il correttivo 2024). Quindi il Fisco non ha potere di veto assoluto: di certo devi offrirgli il meglio possibile, ma se burocraticamente ti ostacolasse, c’è la via giudiziaria per superare il diniego. Attenzione però: devi comunque rispettare i requisiti minimi di legge (ad esempio versare almeno il 20% del loro credito privilegiato, salvo casi eccezionali). In pratica, conviene avere un dialogo con l’ufficio fiscale: presentare una perizia sul valore dei beni, far vedere che la tua offerta è seria. Spesso l’Agenzia, se percepisce trasparenza e vede che altre classi di creditori accettano, aderisce o non si oppone (anche perché hanno direttive interne che li spingono ad accettare se la proposta è conveniente). Ricorda infine che se ristrutturi il debito fiscale via concordato/accordo e poi rispetti il piano, i debiti fiscali residui vengono annullati per legge – e come chiarito da Cassazione, ciò riduce anche eventuali sanzioni penali (il profitto del reato di omesso versamento IVA si riduce all’importo effettivamente non versato dopo l’accordo ). Quindi è doppiamente utile includere il Fisco in un piano omologato.
D: La mia azienda è già in liquidazione volontaria, posso comunque accedere a queste procedure di crisi?
R: Sì, in molti casi è possibile. Se hai messo la società in liquidazione volontaria (ovvero i soci hanno nominato un liquidatore e cessato l’attività corrente), questo non preclude di utilizzare strumenti concorsuali, ma li orienta ovviamente alla liquidazione. Ad esempio, una società in liquidazione può presentare un concordato preventivo liquidatorio oppure un accordo di ristrutturazione per pagare i creditori mentre liquida i beni. Può anche accedere alla composizione negoziata, ancorché sia raro (la CNC è pensata per continuare l’attività, ma nulla vieta di usarla per vendere al meglio gli asset in liquidazione assistiti dall’esperto). L’importante è che la società non sia già stata dichiarata fallita dal tribunale: se sei in liquidazione volontaria ma emergono insolvenze, i creditori possono comunque chiederne il fallimento. Perciò, se noti che la liquidazione volontaria non riesce a pagare tutti, è prudente “convertire” la procedura in un concordato (più gestibile e con esdebitazione finale) piuttosto che attendere un’istanza di fallimento esterna. Tieni presente che il Codice della crisi oggi prevede l’autofallimento (liquidazione giudiziale su richiesta del debitore) come evenienza: il liquidatore volontario, se capisce che non può soddisfare i creditori, dovrebbe egli stesso poter richiedere al tribunale l’apertura della liquidazione giudiziale. Ma spesso, in alternativa, propone un concordato liquidatorio: ad esempio offre ai creditori di vendere gli ultimi beni e chiudere pagando un tot, magari con l’aiuto di un terzo (assuntore) che mette soldi freschi in cambio dell’acquisto di un ramo o bene. In sintesi, essere in liquidazione volontaria non blocca l’accesso agli strumenti di crisi; anzi, i liquidatori dovrebbero valutarli per adempiere al dovere di massimizzare la soddisfazione dei creditori. Va aggiunto che, se la liquidazione volontaria dura troppo e non paga i creditori, questi ultimi possono comunque cercare di far dichiarare lo stato di insolvenza entro un anno dalla cancellazione finale della società. Meglio allora gestire tutto in trasparenza con un procedura concordataria che formalizzi la chiusura.
D: Qual è la soglia di debito sopra la quale la mia azienda può essere dichiarata fallita (liquidazione giudiziale)?
R: La legge prevede dei parametri dimensionali per escludere dall’area “fallibile” le imprese minori. Con la riforma, l’imprenditore minore è colui che negli ultimi esercizi non ha superato determinati limiti (attivi, ricavi, debiti) e rientra nelle procedure di sovraindebitamento invece che nel fallimento classico. I limiti attuali (dopo le modifiche) prevedono che sei soggetto a liquidazione giudiziale se hai superato anche solo uno di questi: attivo patrimoniale annuo > €300.000, ricavi lordi annui > €200.000, debiti anche non scaduti > €500.000 (riferiti ai 3 esercizi antecedenti). Nel nostro caso, con debiti > €1 milione, sicuramente la soglia è superata, dunque l’azienda è fallibile. Quindi legalmente anche solo un creditore con poche migliaia di euro di credito potrebbe chiederne il fallimento se prova lo stato di insolvenza. Non c’è un importo minimo di debito per dichiarare insolvente una società fallibile, se non un parametro di non trascurabilità (in passato era circa €30.000 di debiti scaduti; oggi il Codice non fissa una somma precisa ma esige che l’insolvenza sia non transitoria e “di entità rilevante”). Un debito di €1 milione scaduto è ovviamente rilevante. In sintesi: al di sopra dei limiti da piccolo imprenditore, qualunque importo significativo non pagato può esporre a istanza di liquidazione giudiziale. Attenzione, per completezza: esiste una soglia nell’ambito sovraindebitamento – la liquidazione controllata delle persone non fallibili richiede almeno €50.000 di debiti scaduti . Ma per le società fallibili come la tua, quell’asticella non vale. Quindi, se arriva un’istanza di fallimento, conta più dimostrare di non essere insolventi (ad esempio contestando il credito o mostrando di poterlo pagare magari con un piano) che non la cifra in sé.
D: Quanto costano e quanto durano queste procedure?
R: I costi variano molto in base alla complessità e dimensione del caso. Indicativamente: – Una composizione negoziata ha costi relativamente bassi: pagherai l’eventuale esperto nominato (con compenso stabilito secondo tariffe ministeriali proporzionato alla dimensione azienda e durata incarico; per PMI può essere qualche migliaio di euro) e i tuoi consulenti (es. il commercialista che prepara il piano). La CNC dura al massimo 6 mesi (prorogabile solo con consenso e motivo). Quindi è veloce e poco costosa rispetto ad altre procedure. – Un piano attestato costa l’onorario del professionista che redige l’attestazione (anche qui, qualche migliaio di euro per PMI, ma salendo con la complessità) e le consulenze legali per redigere accordi con creditori. La durata dipende da quanto impieghi a farti dare le firme: potrebbe richiedere 2-3 mesi di trattative, ma come strumento in sé non ha fasi obbligate. – Un accordo di ristrutturazione comporta costi di: attestatore (serve relazione di un esperto sulla fattibilità), legale per predisporre la pratica in tribunale, contributo unificato per il ricorso, ed eventualmente compenso di un ausiliario se il tribunale lo nomina. In genere meno di un concordato, ma non trascurabile: per un debito da 1 milione, potresti spendere diverse decine di migliaia di euro tra tutto. La durata media di un ARD dalla presentazione all’omologa può essere 4-6 mesi (c’è la fase di omologa in tribunale che può prendere 2-3 mesi se tutto va liscio). – Un concordato preventivo è la più costosa e lunga: devi pagare il commissario giudiziale (liquidato a fine procedura, ma incide sul patrimonio), il tuo attestatore (relazione ex art. 87 CCII), i tuoi avvocati, e i vari costi di procedura (contributi unificati, eventuali periti per stime richieste dal tribunale, ecc.). Per fare un esempio, in un concordato con 2 milioni di attivo, il commissario potrebbe percepire compensi dell’ordine di 20-30 mila euro (dipende da percentuale su attivo realizzato). L’attestatore altri 5-15 mila. Legali parcelle anch’esse di quell’ordine o più. Si cerca di includere questi costi nel piano come crediti prededucibili (pagati prima degli altri). Come tempistiche: dal deposito della domanda alla omologa spesso passano 12 mesi o più (di cui 2-3 per ammissione e relazione iniziale commissario, 3-4 per il voto e adunanza, 2-3 per omologa). Poi c’è la fase di esecuzione: se il piano dura 5 anni, la procedura rimane “aperta” fino a esecuzione conclusa. Dunque è un impegno pluriennale. – Un concordato semplificato potrebbe ridurre i tempi (niente voto) e forse costi commissario (viene nominato direttamente un liquidatore a fine, evitando spese di tutta la fase di voto). In tal caso, potrebbe concludersi in meno di 6-8 mesi. I costi restano però quelli di una liquidazione concorsuale: compenso del liquidatore, spese di vendita, etc., comparabili a un fallimento. – La liquidazione giudiziale (fallimento) in sé ha costi che però vengono pagati sul realizzo dei beni: il curatore prende una percentuale sui beni venduti (spesso 5-10% a scaglioni), ci sono le spese di giustizia etc. Spesso i creditori chirografari non prendono nulla anche perché i realizzi vanno in gran parte a coprire spese e crediti prededucibili. La durata media di un fallimento può essere 2-3 anni (ma se ci sono immobili complessi in vendita anche 5-6 anni). Il vantaggio per l’imprenditore è che non deve anticipare nulla (ci pensa il curatore col patrimonio), ma lo svantaggio è che perde ogni controllo e spesso i creditori attendono tantissimo e incassano briciole.
In generale, più la procedura è complessa e coinvolge organi terzi, più costa e dura. Il suggerimento è: se c’è possibilità di risolvere con accordi semplici (CNC, piano attestato), meglio percorrere quella via. Se l’unica è il concordato, cercare di prepararlo bene per evitare stop o aggravamenti (ogni modifica del piano allunga tempi). E cercare di mantenere il business attivo, perché se l’azienda continua a operare genera cassa che aiuta a pagare anche i costi procedurali.
D: In caso di concordato o accordo, i fornitori continueranno a fornirmi? I clienti lo sapranno?
R: Questo è un aspetto delicato. Nelle procedure pubbliche (concordato in particolare, ma anche l’accordo di ristrutturazione quando viene omologato) c’è pubblicità legale: l’iscrizione al Registro Imprese, possibili notizie stampa locale, e la voce si sparge. Molto dipende dal rapporto di fiducia e convenienza economica: – I fornitori strategici, se vedono che l’azienda rimane in piedi (specie in un concordato in continuità) e che hanno prospettiva di guadagnare su future forniture, tenderanno a continuare, magari aggiustando i termini (chiederanno pagamento anticipato per il nuovo, mentre per i crediti pregressi accettano la percentuale concordataria). A volte il tribunale può autorizzare il pagamento integrale dei nuovi fornitori in prededucibilità, il che li rassicura. Certo alcuni potrebbero ridurre l’esposizione: forniranno meno quantità o con più garanzie. Ma in generale, se credono nel rilancio, restano. Se invece reputano che l’azienda anche col concordato non ce la farà, potrebbero cessare i rapporti per evitare nuovi rischi. – I clienti in genere non sono direttamente coinvolti (a meno che abbiano crediti verso di te, es. anticipi versati). Però la notizia di un concordato può far sorgere dubbi sulla tua capacità di rispettare contratti futuri. Alcuni clienti potrebbero spostare ordini verso competitor “più solidi”. Anche qui, molto dipende: se fornisci un prodotto unico o di qualità, probabilmente i clienti restano purché tu garantisca continuità. Puoi rassicurarli spiegando che la procedura serve proprio a mettere in sicurezza l’azienda. Certi tipi di contratti (es. appalti pubblici) possono avere clausole di risoluzione in caso di concordato, ma la legge oggi impedisce la risoluzione automatica di contratti solo perché sei in concordato, salvo contratti intuitu personae. Quindi i clienti non possono legalmente rescindere solo perché sei in concordato, se tu continui a eseguire (l’art. 120 CCII tutela la continuità dei contratti pendenti). – Nella composizione negoziata invece c’è riservatezza totale finché non chiedi misure protettive; anche in quel caso, la comunicazione ai creditori avviene in modo controllato e molti fornitori/clienti magari nemmeno lo vengono a sapere ufficialmente. L’esperto lavora per ridurre l’impatto reputazionale, perché uno dei vantaggi della CNC è evitare la percezione di “azienda decotta”. E i dati mostrano che le PMI non subiscono stigma eccessivo: la fine dello stigma del fallimento è un obiettivo culturale del Codice . Insomma, si cerca di comunicare che sei in “risanamento autorizzato dallo Stato”, non in dismissione.
In pratica: aspettati qualche contraccolpo, ma se sei onesto con i partner commerciali e hai un piano serio, molti continueranno a lavorare con te. Magari su base più cautelativa, ma continueranno. Sarà tuo compito gestire la comunicazione della crisi: spiegare perché lo fai, come garantisci gli impegni futuri (ad es. pagando in anticipo materiali vitali per non penalizzare il fornitore). Spesso, chi esce da un concordato ben riuscito recupera affidabilità. Inoltre, una volta omologato il piano, sei “protetto” da eventuali vecchi debiti: paradossalmente sei un cliente migliore perché sei ripulito dal debito passato e vigilato (se in continuità, il commissario supervisiona). Un aneddoto: banche a volte concedono affidamenti a società in concordato in continuità perché sanno che quelle somme sono prededucibili e quindi sicure. Quindi la fiducia può anche rimbalzare in positivo.
D: Posso aprire una nuova società e spostare lì l’attività, lasciando i debiti nella vecchia?
R: Questa è una manovra molto rischiosa legalmente. Se “spogli” la vecchia società dei beni buoni (clienti, magazzino, macchinari) trasferendoli a una nuova società pulita, lasciando i debiti nella vecchia che poi fallisce, commetti verosimilmente bancarotta fraudolenta per distrazione (hai sottratto attivi ai creditori) e illegittimità civilistica (i creditori potrebbero chiedere revocatoria dell’atto di cessione d’azienda, vedendolo come fraudolento). Ci sono modi legittimi di fare passaggi di questo tipo, ma devono coinvolgere i creditori: – Ad esempio, in un concordato con assuntore, un terzo (che potrebbe essere una newco dei soci) acquista dall’interno della procedura l’azienda, pagando un prezzo che va ai creditori. In tal modo trasferisci l’attività a una “società nuova” ma con l’approvazione del tribunale e dei creditori, e pagando un corrispettivo equo. Questo è lecito. – Fuori dalle procedure, vendere l’azienda (o i beni) a prezzo di mercato e usare i proventi per pagare i debiti può essere lecito, ma devi appunto usare i soldi per i creditori. Se i creditori restano insoddisfatti e percepiscono che hai solo spostato ricchezza, ti attaccheranno. Spesso serve l’accordo dei creditori maggiori per fare “traslochi” di attività: puoi proporre “vendo il ramo d’azienda a Tizio, incasso X e ve li distribuisco, poi la vecchia chiude”.
In sostanza, fare la cosiddetta “bad company” (vecchia società coi debiti) e “good company” (nuova coi beni) senza un accordo concorsuale è quasi sempre una frode ai creditori. Si salva solo se i beni della vecchia vengono ceduti a valore congruo e quel valore viene interamente destinato ai creditori della vecchia – ma a quel punto tanto vale farlo dentro un piano concordato per avere certezza di liberazione dai debiti.
Quindi, no, non è consigliabile aprire una nuova società sperando di lasciare i debiti al loro destino. I creditori (e i curatori) ti inseguirebbero, chiedendo al giudice di dichiarare nulli o revocare i trasferimenti e di coinvolgere anche la nuova società (ad esempio in azioni revocatorie o di estensione del fallimento se c’è continuità). Molti amministratori nella tua situazione considerano questa mossa, ma è una scorciatoia illegale che porta a conseguenze peggiori. Meglio utilizzare gli strumenti leciti per liberarsi dei debiti (concordato, accordi, ecc.) piuttosto che tentare stratagemmi.
D: La mia S.r.l. è molto piccola (solo 3 dipendenti, meno di 200k fatturato) ma ha debiti enormi per investimenti sbagliati; cambia qualcosa?
R: Se la società non supera i parametri di fallibilità, formalmente sarebbe un “imprenditore minore” e quindi non soggetta a concordato preventivo o fallimento, ma alle procedure di sovraindebitamento (concordato minore, liquidazione controllata). Tuttavia, dal tuo racconto pare abbia debiti enormi: il parametro discriminante è avere debiti inferiori a €500k e attivo <300k, ricavi <200k. Se i debiti sono “enormi” (diciamo oltre 500k), probabilmente rientra comunque tra i soggetti fallibili indipendentemente dal fatturato. In ogni caso, le soluzioni concettuali non cambiano molto: se anche fosse non fallibile, potresti accedere a un concordato minore o un piano del consumatore se persona fisica, che sono simili in logica al concordato tradizionale (con voto però semplificato e requisiti di meritevolezza). Quindi, più che la dimensione, contano i principi generali: debitore piccolo o grande, se non può pagare i debiti, c’è una procedura di composizione. Nel tuo caso di S.r.l. micro, se davvero fattura così poco ma ha accumulato debiti milionari, probabilmente i creditori chiederanno comunque un fallimento (perché il limite debiti >500k fa perdere lo status di piccolo). Inoltre, se la società è inattiva o quasi, non potrai fare un concordato in continuità convincente (dove trovi ricavi futuri?), quindi si andrebbe comunque verso la liquidazione. In soldoni: le regole discusse valgono anche per le piccole realtà, eventualmente con qualche semplificazione procedurale. Ad esempio, nel concordato minore la maggioranza per approvazione è 50% come nel grande ma c’è più flessibilità su classi, e il tribunale può omologare anche con dissensi se ritiene la proposta equa e meritevole (concetto di meritevolezza del debitore sovraindebitato). Dovresti consultare un esperto per capire se formalmente sei fallibile: se no, allora valuterete un concordato minore o liquidazione controllata. Ma i concetti di base restano: presentare un piano, coinvolgere i creditori, ecc.
D: Se faccio un concordato o accordo, poi la mia azienda come sarà vista dalle banche? Posso ottenere credito in futuro?
R: All’inizio, durante e subito dopo la procedura, ci sarà sicuramente cautela da parte degli istituti di credito. La segnalazione a Centrale Rischi di “concordato preventivo” rimane per un po’ e incide sul rating. Tuttavia, bisogna distinguere: – Se il concordato fallisce (cioè la società viene liquidata), la reputazione creditizia è compromessa e difficilmente la società – che magari neppure esisterà più – otterrà credito (a meno di un rilancio sotto nuova forma societaria con garanzie fresche). – Se il concordato riesce, la società esce più leggera di debiti. Paradossalmente, alcune banche vedono con favore aziende risanate: sanno che non hanno più debiti pregressi e che, avendo passato una procedura, hanno imparato a dotarsi di assetti più solidi (es. un controller, bilanci mensili, ecc.). Certo, non ti faranno credito senza garanzie subito il giorno dopo. Ma se mostri risultati positivi e un piano di business post-concordato, puoi ripresentarti al sistema finanziario, magari iniziando con linee a breve (anticipo fatture) più che prestiti a lungo. – Durante il concordato, è possibile ottenere finanza interinale o esterna: la legge consente di contrarre nuovi finanziamenti prededucibili con autorizzazione del tribunale, proprio per favorire la continuità. Alcune banche o investitori specializzati concedono tali finanziamenti (ovviamente garantiti dalla prededuzione e talvolta da pegni su asset) perché sanno di avere la priorità di rimborso. Quindi non è escluso ottenere credito, ma sarà finalizzato a portare a termine il piano.
In generale, il track record negativo resterà per qualche anno (diciamo 2-3 anni di “purgatorio” in cui dovrai mostrare bilanci in utile e niente nuovi intoppi). Importante è anche chi resta alla guida: se l’impresa continua con lo stesso management che l’ha portata alla crisi, le banche potrebbero essere più fredde. Se c’è stato un cambio di governance (es. ingresso di un socio investitore, o affiancamento di manager esperti) la credibilità aumenta. Molto dipende anche dal settore e concorrenza: se vedono che sei comunque leader di mercato nel tuo niche, non vorranno lasciarti scoperto perché hanno interesse a finanziarti per far affari. Alcune banche poi partecipano attivamente ai concordati (diventano proponenti, prestano soldi per pagare creditori come super-senior loan); queste, avendo già scommesso su di te in procedura, poi ti sostengono anche dopo.
Quindi, la risposta è: a breve termine è dura ottenere nuovo credito tradizionale; a medio termine, se dimostri di aver invertito la rotta, potrai riavere accesso graduale. L’onestà e la trasparenza nel periodo di crisi contano: banche e fornitori che han visto che li hai coinvolti lealmente e pagati almeno in parte, saranno più propensi a fidarsi di nuovo, rispetto a chi scappa o fa giochetti. In più, normative come Basel per le banche considerano che dopo un concordato eseguito con successo l’impresa ha un profilo di rischio migliorato (perché il debt equity ratio è normalmente ridotto, etc.).
D’altro canto, se la domanda sottintendeva: “posso poi far finta di niente e chiedere altri prestiti altrove senza che sappiano del passato?”, la risposta è no, lo storico ormai rimane. Ma va anche detto che in Italia molte imprese passano da situazioni concorsuali e poi continuano ad operare (ci sono casi famosi di aziende risanate via concordato o 182-bis che poi sono tornate profittevoli e finanziate). Potresti considerare di cambiare ragione sociale a valle della procedura (ad esempio, fusione in una newco pulita, trasferimento sede, rebranding) per “segnare” la discontinuità: non per nascondere, ma per far percepire che è una nuova fase.
D: Se un creditore ha ipoteca su un nostro immobile, possiamo comunque venderlo durante la crisi?
R: Non liberamente. Se c’è un’ipoteca iscritta, quel creditore (es. banca) ha diritto di essere soddisfatto sul ricavato prima di altri. In situazioni di difficoltà, vendere un immobile ipotecato senza accordo con la banca è difficile, perché l’acquirente lo vuole libero da ipoteche (quindi bisogna cancellarle pagando il debito o avendo liberatoria). Quello che si può fare: – Concordato preventivo: Puoi chiedere al giudice l’autorizzazione a vendere un immobile ipotecato prima dell’omologa, ma devi comunque riconoscere al creditore ipotecario il suo valore. Spesso avviene che si vende l’immobile e il ricavato viene accantonato per quel creditore. Oppure nel piano si prevede la vendita a prezzo X e la banca ipotecaria accetta di ricevere X (magari non copre tutto il credito, ma allora la parte scoperta va in chirografo e segue la falcidia come gli altri). La vendita sarà comunque supervisionata (di solito serve perizia e procedure competitive per massimizzare il prezzo). – Accordo di ristrutturazione: Puoi contrattare con la banca ipotecaria di vendere l’immobile ipotecato e darle il ricavato concordato. L’accordo omologato farà sì che l’ipoteca venga cancellata contestualmente alla vendita (il tribunale nel decreto ordina la cancellazione una volta pagata la quota accordata). Senza omologa, la banca non è obbligata a cancellare se non ha soddisfazione integrale. – Fuori procedura: l’unico modo è vendere a un prezzo sufficiente a coprire il debito ipotecario e con quei soldi estinguere il debito al closing, cosicché la banca rilascia consenso a cancellazione ipoteca. Se l’ipoteca è “in eccesso” (cioè il debito è maggiore del valore di mercato), nessun acquirente prenderà il bene con ipoteca sopra, a meno di fare uno stralcio con la banca (pagarle meno per liberare il bene). Ma lo stralcio la banca lo concede se convinta che vendendo lei stessa in asta otterrebbe ancora meno, e spesso preferisce comunque gestire tramite procedure per trasparenza.
Nelle misure protettive (CNC o pre-concordato) non è che l’ipoteca sparisce, semplicemente la banca non può eseguire l’asta ma la garanzia rimane. Quindi durante quelle fasi puoi provare a vendere tu privatamente a condizioni migliori dell’asta, ma dovrai offrire alla banca ipotecaria il ricavato come avrebbe in caso di esecuzione.
In conclusione: sì, puoi vendere beni ipotecati, ma devi coinvolgere il creditore garantito nel piano. Non puoi “scavalcarlo”. Un vantaggio però delle procedure di crisi è che puoi vendere anche se il creditore è contrario, purché gli riconosci legalmente il suo diritto sul prezzo. Ad esempio, nel concordato il giudice può autorizzare la vendita all’asta di un immobile ipotecato anche se la banca ipotecaria non fosse d’accordo, perché prevale l’interesse della massa, ma poi la banca prende dal ricavato quanto dovuto in base alla prelazione. Questo può velocizzare la liquidazione di asset rispetto a lunghe esecuzioni. Se invece il tuo scopo era vendere di nascosto e non pagare la banca, torniamo al discorso di prima: impossibile farlo legalmente, e farlo illegalmente è reato (oltre che l’acquirente non ottiene titolo pulito).
D: Dopo il concordato, i debiti residui vengono cancellati automaticamente?
R: Sì, uno degli effetti principali di un concordato preventivo (o accordo omologato) adempiuto è l’esdebitazione del debitore per la parte di debiti non soddisfatta. Se tu paghi ai chirografari il 30% come da piano, il restante 70% è per legge inesigibile: i creditori non possono più reclamartelo. Non serve un provvedimento ad hoc (diversamente dal fallimento dove la persona fisica deve chiedere l’esdebitazione). Il concordato stesso fa da “remissione parziale” del debito una volta che hai fatto quanto promesso. Infatti, il decreto di omologa di solito lo specifica: i crediti anteriori sono falcidiati secondo la percentuale prevista e i creditori non possono agire per la differenza. Un’eccezione: se il concordato non viene poi eseguito e viene risolto, allora tornano esigibili i debiti originari meno quanto eventualmente incassato. Ma se tutto va bene, hai chiuso con il passato. Negli accordi di ristrutturazione, formalmente i creditori firmano contratti transattivi di riduzione del credito, e l’omologa li rende irrevocabili: quindi anche lì, rispettato l’accordo, non ti chiederanno più nulla oltre.
Attenzione però a due cose: – L’esdebitazione non si applica ai co-obbligati e fideiussori: esempio, se la società fa concordato e paga 50% a un creditore, un eventuale garante personale può essere richiesto del restante 50%. Quindi per la società sì, per il garante no (a meno che nel concordato non sia previsto espressamente liberare anche i garanti e il creditore accetti – succede, spesso i creditori chiedono però uno “sweetener” se liberano il garante). – Ci sono alcuni debiti che il concordato non estingue se non pagati integralmente, ad esempio le sanzioni penali e amministrative pecuniarie (multhe etc.): su quelle i creditori (lo Stato) spesso mantengono il diritto per la parte non pagata, anche se in pratica in concordato spesso le considerano chirografarie e vengono falcidiate anch’esse. Anche i debiti erariali per IVA formalmente dovrebbero essere pagati integralmente (o comunque non sono mai esdebitabili completamente, perché considerati tributi armonizzati).
Ma per le normali esposizioni verso fornitori, banche, etc., sì, dopo la procedura non dovrai più nulla di quello stralciato.
D: Se la mia azienda viene dichiarata fallita (liquidazione giudiziale), i creditori possono rivalersi su di me (persona fisica)?
R: In generale no, se parliamo dei debiti sociali di una S.r.l., i creditori devono insinuarsi nel fallimento della società e prendere parte alla distribuzione concorsuale. Non possono, solo per il fatto che la società fallisce, aggredire direttamente il patrimonio dei soci o amministratori. Però, come detto, se tu come amministratore hai commesso irregolarità gravi, il curatore può fare causa a te per risarcimento, e quello è un debito tuo verso la massa fallimentare. Allo stesso modo, se avevi garanzie personali, il fallimento della società fa scattare la richiesta al garante (perché la banca vedendo che dal fallimento recupererà solo X, ti chiederà la differenza in base alla fideiussione). Quindi il fallimento in sé non si estende alle persone, ma genera delle situazioni collaterali: – Azione revocatoria: se prima del fallimento hai ricevuto pagamenti o beni dalla società, o la società ne ha dati a te, il curatore potrebbe revocarli e richiederti indietro i soldi/beni. Non è responsabilità in senso stretto, ma devi restituire quanto eventualmente ricevuto entro i periodi sospetti (solitamente 6 mesi – 2 anni a seconda dell’atto). – Azioni di responsabilità: come amministratore o direttore, il curatore può chiederti i danni. Se eri socio di controllo e hai di fatto diretto male la società, potresti rispondere in solido. – Reati fallimentari: se condannato, oltre a possibili pene detentive potrebbero essere confiscati tuoi beni equivalenti all’ammanco per la bancarotta fraudolenta (ma qui siamo in ambito penale).
Se invece intendevi: l’azienda fallisce, io come persona fisica fornitore o creditore della società, cosa posso fare? In quel caso devi insinuarti al passivo come tutti gli altri creditori e subire la procedura; non hai scorciatoie.
Ricorda anche che in una S.r.l. i soci potrebbero dover versare ancora i finanziamenti soci postergati o i decimali di capitale sociale non versato, se ce ne sono: il curatore li escuterà. E i soci che hanno goduto di utili distribuiti in mala fede negli ultimi anni possono essere chiamati a restituirli (utili fittizi su bilanci non veritieri, ad esempio).
Riassumendo: in un fallimento, i creditori della società non possono trasformarsi automaticamente in creditori tuoi, salvo tu abbia firmato per loro (garante) o salvo procedure particolari. Ma il fallimento apre la porta a varie azioni indirette sul tuo patrimonio come amministratore/socio. Pertanto, dal tuo punto di vista di debitore, se temi la tua azienda sia destinata al fallimento, è meglio valutare un concordato: con esso regoli i debiti nella società e riduci la probabilità che attacchino te (in concordato di solito le azioni di responsabilità sono meno frequenti perché se il piano va in porto, i creditori rinunciano a rivalse ulteriori). Inoltre, se sei anche debitore personale di alcune delle stesse banche (garanzie personali), potresti contestualmente valutare la tua situazione personale (a volte i garanti fanno propri accordi di saldo stralcio personali paralleli al concordato della società).
Conclusioni
Affrontare una situazione di pesante indebitamento aziendale è un compito complesso, ma il diritto mette a disposizione una “cassetta degli attrezzi” ben fornita per evitare esiti distruttivi. Il denominatore comune di tutte le soluzioni è la tempestività e trasparenza: l’imprenditore debitore deve prendere in mano la situazione prima che siano i creditori o il tribunale a farlo al posto suo. Come abbiamo visto: – Ci sono vie negoziali (composizione negoziata, accordi) che, se percorse con sincerità e competenza, permettono spesso di ristrutturare il debito salvando l’impresa. I numeri recenti confermano che sempre più aziende scelgono queste strade e ottengono esiti positivi . – Qualora l’impresa non sia salvabile, le procedure concorsuali offrono comunque un quadro ordinato per liquidare e chiudere, spesso ottenendo comunque per il debitore una liberazione dai debiti residui e per i creditori una soddisfazione migliore che in uno scenario di caos e pignoramenti scollegati.
Questa guida ha fornito un quadro avanzato e aggiornato a ottobre 2025, con riferimenti normativi puntuali e pronunce recenti, al fine di orientare imprenditori, professionisti e privati interessati. Ogni crisi ha le sue peculiarità: rivolgersi a consulenti specializzati (avvocati d’affari, commercialisti esperti in crisi) è fondamentale per adattare gli strumenti al caso concreto e condurre le trattative con creditori in modo efficace. Il ruolo dei professionisti è cambiato: non sono più solo notai del disastro, ma partner proattivi nel prevenire e gestire la crisi . Gli imprenditori non devono vedere queste soluzioni come la fine di tutto, bensì come mezzi per proteggere il valore creato negli anni e dare eventualmente una seconda vita alla propria azienda, oppure per chiudere dignitosamente senza trascinarsi strascichi infiniti.
In Italia, superare il vecchio stigma del fallimento è una sfida culturale in corso, ma la normativa spinge chiaramente verso l’idea che la crisi d’impresa è una fase gestibile e risolvibile, non una colpa morale . Conoscere i propri diritti e doveri come debitore è il primo passo per difendersi in modo lecito e intelligente: difendersi non vuol dire sfuggire alle responsabilità, ma governare il processo di risanamento o liquidazione nell’interesse proprio e dei propri creditori, piuttosto che subire passivamente eventi e decisioni altrui.
Fonti normative e giurisprudenziali (agg. 2025)
- Codice Civile, art. 2086 comma 2 (dovere di assetti adeguati e attivazione tempestiva) .
- Codice Civile, artt. 2484-2486 (scioglimento della società per perdite, doveri degli amministratori dopo scioglimento e criteri di responsabilità) – modificati dal D.Lgs. 14/2019. La riforma ha introdotto presunzioni di danno da differenza patrimonio netto negativo .
- D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), come modificato dal D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83 (attuativo direttiva UE 2019/1023) e dal D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (terzo correttivo) . In particolare:
- Artt. 17-25 septies CCII: Composizione negoziata della crisi (procedura, nomina esperto, misure protettive) .
- Art. 25-sexies CCII: Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (requisiti: esito negativo composizione negoziata) .
- Art. 56 CCII: Piani attestati di risanamento (non assoggettabilità a revocatoria degli atti eseguiti in adempimento) .
- Artt. 57-64 CCII: Accordi di ristrutturazione dei debiti (requisiti 60%, estensione effetti, omologazione forzata crediti erariali/previdenziali) .
- Art. 63 CCII: Trattamento dei crediti tributari e contributivi (transazione fiscale e contributiva nel concordato/accordo).
- Artt. 84-120 CCII: Concordato preventivo (definizioni continuità vs liquidatorio, classi, maggioranze, cram-down interclassi) .
- Art. 88, co.4 CCII: definizione di “mancanza di adesione” dei creditori pubblici includente il voto negativo (confermato da D.Lgs. 136/2024) .
- Art. 120 CCII: Contratti pendenti nel concordato (divieto di risoluzione per concordato, continuità contrattuale).
- Artt. 268-277 CCII: Concordato minore (procedure per imprenditore minore).
- Art. 282 CCII: Liquidazione controllata del sovraindebitato (soglia €50.000 debiti scaduti per apertura) .
- Regio Decreto 16 marzo 1942 n. 267, Legge Fallimentare (abrogata nel 2022, ma rilevante per reati fallimentari ancora vigenti nel Codice penale e per giurisprudenza pregressa). Articoli importanti:
- Art. 10 (esclusione piccole imprese), art. 160 e 163 (concordato preventivo condizioni e ammissione), art. 182-bis/ter (accordi ristrutturazione e transazione fiscale) – ora trasfusi nel CCII.
- Artt. 216-217 l.fall.: Bancarotta fraudolenta e semplice (doveri penali degli amministratori) .
- Decreto Legge 118/2021 conv. L. 147/2021: introduttivo della composizione negoziata e concordato semplificato (norme ora integrate nel CCII).
- Legge 3/2012 (vecchia normativa sovraindebitamento) – abrogata nel 2022 ma concetti ripresi nel CCII Titolo IV.
Giurisprudenza recente:
- Corte d’Appello di Milano, 16 giugno 2023: dovere dell’amministratore di evitare aggravamento del dissesto e responsabilità per ritardo nell’istanza di fallimento .
- Cassazione Civile, Sez. I, n. 25631/2023 (ord. 1 settembre 2023): azione di responsabilità verso amministratori S.r.l., onere della prova invertito – l’amministratore deve provare di aver adempiuto ai doveri, una volta allegata la violazione e il danno .
- Tribunale di Mantova, 30 giugno 2025 e Tribunale di Como, 10 luglio 2025: orientamento su composizione negoziata – negazione misure protettive in assenza di prospettive di continuità; composizione negoziata da usare solo per risanamento non per liquidazione dilatoria .
- Cassazione Penale, Sez. III, n. 44519/2024 (dep. 5 dicembre 2024): omesso versamento IVA e accordo di ristrutturazione con transazione fiscale – la confisca per equivalente nel procedimento penale va commisurata al debito tributario residuo dopo l’accordo omologato .
- Cassazione Civile, Sez. I, n. 27782/2024 (ord. 28 ottobre 2024): omologazione forzata della transazione fiscale – confermato orientamento estensivo: possibile sia in caso di silenzio che di diniego del Fisco (richiamo a Cass. 8504/2021, 35954/2021) .
- Cassazione Civile, Sez. I, n. 5157/2025 (4 aprile 2025): (implicitamente citata in fonti) presumibilmente su temi concordato/accordi (v. Notizia professionistidellacrisi).
- Tribunale di Roma, decreto 28/06/2024: (citato in dottrina) rigetto omologa concordato semplificato per mancanza requisiti (concordato semplificato equiparato a fallimento volontario) .
- Unioncamere – Dati Composizione Negoziata (Report 2025): 3.600 istanze presentate dal 2021, 423 imprese risanate con 23mila posti di lavoro salvati; durata media 320 giorni; Lombardia case study (+87% istanze 2024) .
- Studio CNDCEC – Nota 2025 su correttivo ter: (ad esempio, Fondazione Commercialisti) novità su transazione fiscale e concordato preventivo. In particolare, D.Lgs. 136/2024 ha chiarito equiparazione voto contrario/silenzio PA e limiti su omologazione cram-down.
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Stai ricevendo solleciti, richieste di rientro, decreti ingiuntivi, sospensioni delle forniture o minacce di pignoramento da parte di banche, Fisco, INPS, fornitori chimici o Agenzia Entrate-Riscossione?
Il settore dei sigillanti e siliconi è tra i più complessi del comparto chimico: oscillazione dei prezzi delle materie prime, obbligo di grandi lotti, costi di importazione elevati, stoccaggio controllato, magazzini impegnativi e pagamenti lenti dai clienti. Basta un calo dei fidi o un ritardo negli incassi per attivare una crisi gravissima.
La buona notizia? La tua azienda può essere salvata, se intervieni tempestivamente con la strategia corretta.
Perché un’Azienda di Sigillanti e Siliconi va in Debito
- aumento dei costi di polimeri, additivi, solventi, cartucce e imballaggi
- pagamenti a 60–120 giorni da parte di rivenditori, grossisti e cantieri
- magazzino immobilizzato tra cartucce, sacche, fusti, primer e materiali chimici
- costi elevati di trasporto, logistica e sicurezza chimica
- investimenti necessari in laboratori, certificazioni e conformità tecnica
- riduzione o revoca delle linee di credito bancarie
Il vero problema non è la mancanza di clienti, ma la mancanza di liquidità immediata.
I Rischi se Non Intervieni Subito
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco dei fidi
- sospensione delle forniture di siliconi, cartucce e chimici
- atti esecutivi, decreti ingiuntivi e precetti
- sequestro di magazzino, materiali e semilavorati
- impossibilità di evadere ordini e rifornire i clienti
- perdita irrimediabile di distributori, rivenditori e grossisti
Cosa Fare Subito per Difendersi
1. Bloccare immediatamente i creditori
Un avvocato specializzato può:
- sospendere pignoramenti e bloccare le azioni esecutive
- fermare richieste urgenti di rientro
- proteggere conti correnti e flussi finanziari
- bloccare le iniziative dell’Agenzia Riscossione
Prima si mette al sicuro l’impresa, poi si ristrutturano i debiti.
2. Analizzare i debiti ed eliminare ciò che non è dovuto
Nella maggior parte dei casi emergono:
- interessi non dovuti
- sanzioni errate o gonfiate
- importi duplicati
- debiti prescritti
- errori e calcoli errati nelle cartelle esattoriali
- commissioni bancarie anomale o illegittime
Una parte importante del debito può essere tagliata o cancellata.
3. Ristrutturare i debiti con piani sostenibili
Soluzioni disponibili:
- rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
- accordi di rientro con fornitori strategici
- rinegoziazione dei fidi e dei finanziamenti
- sospensioni temporanee dei pagamenti
- utilizzo delle definizioni agevolate
4. Usare gli strumenti legali più forti per bloccare TUTTI i creditori
Quando la crisi è seria, la legge mette a disposizione procedure estremamente efficaci:
- PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
- Accordi di ristrutturazione dei debiti
- Concordato minore
- (solo nei casi estremi) Liquidazione controllata del sovraindebitato
Questi strumenti consentono di continuare a lavorare pagando solo una parte dei debiti, con protezione totale dai creditori.
Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo
Per salvare un’azienda del settore chimico serve un professionista altamente qualificato.
L’Avv. Giuseppe Monardo è:
- Avvocato Cassazionista
- Coordinatore nazionale di un team di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012) – iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
- Professionista fiduciario di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi)
- Certificato come Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Il profilo ideale per bloccare creditori, ristrutturare debiti e salvare aziende che operano nel mondo dei sigillanti e dei siliconi.
Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo
- analisi immediata della tua esposizione debitoria
- stop urgente a pignoramenti e decreti ingiuntivi
- riduzione dei debiti non dovuti
- creazione di un piano di ristrutturazione sostenibile
- protezione di magazzino, materiali chimici e cicli produttivi
- trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
- tutela completa dell’azienda e dell’imprenditore
Conclusione
Avere debiti nella tua azienda di sigillanti e siliconi non significa essere destinati alla chiusura.
Con una strategia rapida, precisa e completamente legale, puoi:
- fermare immediatamente i creditori,
- ridurre davvero i debiti,
- salvare magazzino, ordini e continuità operativa,
- proteggere il futuro della tua attività.
Agisci ora.
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