Se la tua azienda produce, importa o distribuisce segatrici a nastro, macchine da taglio per metallo, legno o plastica, lame bimetalliche e in metallo duro, ricambi, motori, pulegge, guide, sistemi di lubrificazione e accessori tecnici, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, è necessario agire subito per evitare il blocco dell’attività.
Nel settore delle segatrici a nastro, ritardi nelle forniture o assistenza possono fermare linee produttive dei clienti, generare penali e far perdere contratti importanti.
Perché le aziende di segatrici a nastro accumulano debiti
- aumento dei costi di acciaio, motori, lame, elettronica e componenti meccanici
- rincari delle materie prime e delle importazioni
- pagamenti lenti da parte di officine, carpenterie e industrie metalmeccaniche
- ritardi nei versamenti di IVA, imposte e contributi
- magazzini complessi con molte varianti di lame, pulegge e ricambi
- difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati ai cicli di produzione
Cosa fare subito
- far analizzare professionalmente l’intera esposizione debitoria
- individuare debiti che possono essere ridotti, contestati o rateizzati
- evitare piani di rientro non sostenibili che peggiorano la liquidità
- richiedere subito la sospensione di eventuali pignoramenti
- proteggere fornitori strategici e componenti critici per la produzione
- utilizzare strumenti legali per ristrutturare, ridurre o rinegoziare i debiti
I rischi se non intervieni tempestivamente
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco delle forniture di lame, motori, guide e componenti essenziali
- fermo della produzione e dell’assistenza tecnica
- perdita di clienti industriali, officine e rivenditori tecnici
- rischio concreto di chiusura dell’attività
Come può aiutarti l’Avvocato Monardo
Detto questo, l’avvocato Monardo, cassazionista, coordina in tutta Italia un team di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario.
È inoltre:
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
- iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
- professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Può supportarti concretamente nel:
- bloccare immediatamente pignoramenti e atti esecutivi
- ridurre o ristrutturare i debiti con gli strumenti più efficaci previsti dalla legge
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- proteggere macchinari, ricambi, linee produttive e continuità aziendale
- evitare la chiusura e guidare la tua impresa verso un vero risanamento
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Introduzione
Un’azienda italiana produttrice di segatrici a nastro in difficoltà finanziaria si trova ad affrontare molteplici tipi di debiti: fiscali, bancari, verso fornitori, contributivi (INPS) e cartelle esattoriali. Dal punto di vista del debitore, è fondamentale conoscere gli strumenti giuridici per difendersi dai creditori e gestire la crisi, nonché capire le responsabilità legali di amministratori e soci. Questa guida avanzata – aggiornata a ottobre 2025 – fornirà un quadro completo della normativa italiana sulla crisi d’impresa, con linguaggio tecnico ma dal taglio divulgativo, rivolto a avvocati, imprenditori e privati coinvolti in situazioni debitorie complesse.
Affronteremo le varie tipologie di debito e le relative conseguenze giuridiche, esaminando strumenti di risanamento (come piani attestati, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo, transazione fiscale, composizione negoziata) e procedure liquidatorie (come la liquidazione giudiziale, ex fallimento). Saranno inoltre trattate le responsabilità personali degli amministratori e dei soci (sia di società di persone sia di capitali), strategie per evitare la crisi o gestirla nelle fasi iniziali, e le azioni da intraprendere in caso di insolvenza conclamata. Troverete anche tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione Domande & Risposte per chiarire i dubbi più comuni. In conclusione, un elenco di fonti normative e giurisprudenziali aggiornate aiuterà ad approfondire ulteriormente gli aspetti trattati.
Esempio pratico: La Alfa Srl, azienda toscana di segatrici a nastro con 30 dipendenti, ha accumulato debiti per 500.000 € con banche (mutui e fidi), 200.000 € con fornitori, 150.000 € di IVA e ritenute non versate, oltre a cartelle esattoriali per contributi INPS arretrati. Di fronte ai decreti ingiuntivi dei fornitori e alle intimazioni di pagamento del Fisco, gli amministratori di Alfa Srl devono decidere rapidamente come agire per salvare l’impresa ed evitare conseguenze personali. Questa guida consentirà a realtà come Alfa Srl di orientarsi tra le soluzioni offerte dall’ordinamento italiano per difendersi dai creditori e tentare il risanamento, oppure gestire al meglio un’eventuale liquidazione, nella legalità e trasparenza.
Tipologie di debiti e conseguenze immediate
Un’azienda in crisi tipicamente presenta diverse tipologie di debiti, ciascuna con proprie caratteristiche legali e conseguenze per il debitore:
- Debiti fiscali (Erario): comprendono IVA, IRES/IRPEF, IRAP e altre imposte statali. Il mancato pagamento genera interessi di mora e sanzioni amministrative. L’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione, ex Equitalia) può emettere cartelle esattoriali e attivare procedure esecutive (pignoramenti, fermi amministrativi, ipoteche) sui beni dell’azienda. Alcuni debiti fiscali, come l’IVA e le ritenute operate e non versate, non possono essere liberamente “cancellati” neppure in procedure concorsuali se non attraverso la transazione fiscale prevista dalla legge . Inoltre, gli amministratori rischiano responsabilità personali: omessi versamenti IVA o ritenute oltre soglie di legge possono integrare reati tributari, e l’ordinamento prevede la possibilità di una “omologazione forzata” degli accordi di ristrutturazione o dei concordati contenenti una transazione col Fisco anche senza il consenso dell’Agenzia delle Entrate, purché il piano offra al Fisco un trattamento non deteriore rispetto alla liquidazione . In caso di liquidazione della società, i soci potrebbero dover rispondere dei debiti fiscali residui nei limiti di quanto incassato in sede di liquidazione (come vedremo, recenti pronunce ne hanno esteso la portata anche alle sanzioni) .
- Debiti contributivi e previdenziali (INPS, INAIL): derivano da mancato versamento di contributi obbligatori per i dipendenti o i soci lavoratori. Anch’essi sono riscossi tramite cartelle esattoriali ed è prevista la possibilità di includerli in una transazione contributiva analoga a quella fiscale . Il mancato versamento delle ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni, oltre una certa soglia, comporta responsabilità penale per il datore di lavoro. L’INPS può inoltre agire contro gli amministratori in alcuni casi: ad esempio, se la società è cancellata con debiti contributivi, l’ente può tentare di richiedere agli amministratori o ai liquidatori il pagamento delle somme dovute se hanno violato obblighi di legge (come il rispetto dell’ordine dei pagamenti). Le sanzioni civili (more e pene pecuniarie) per omesso versamento di contributi possono essere anche molto onerose; tuttavia, in alcuni piani di risanamento o definizioni agevolate, è possibile ottenere la riduzione di sanzioni e interessi. In ogni caso, i debiti contributivi possono essere rateizzati dall’INPS (solitamente fino a 24 rate mensili, estensibili in casi eccezionali) per evitare azioni immediate.
- Debiti bancari e finanziari: comprendono esposizioni per mutui, finanziamenti, scoperti di conto, leasing. Le banche in genere vantano garanzie reali o personali: ad esempio ipoteche su immobili aziendali, pegni su macchinari, o fideiussioni personali degli imprenditori/soci. In caso di insolvenza, la banca può escutere queste garanzie: pignorare i beni ipotecati o chiedere il pagamento ai fideiussori (sovente gli stessi amministratori o soci). Un aspetto critico è che molte PMI hanno i debiti bancari garantiti personalmente dai soci o dagli amministratori: ciò significa che, se l’azienda non paga, la banca può aggredire il patrimonio personale dei garanti. Pertanto, in una strategia di difesa, occorre valutare anche il rischio sul patrimonio personale dovuto a queste garanzie. Sul piano negoziale, le banche possono essere disponibili a ristrutturare il debito, ad esempio estendendo le scadenze o prevedendo una moratoria temporanea, specie se intravedono la possibilità di recuperare più crediti mantenendo in vita l’azienda. In procedure concorsuali, i crediti bancari privilegiati (p.e. assistiti da ipoteca) godono di prelazione sui beni oggetto di garanzia; eventuali eccedenze chirografarie (non garantite) saranno trattate al pari degli altri crediti chirografari. Un rischio importante è il revirement delle linee di credito: quando la crisi diventa nota, le banche potrebbero revocare affidamenti e fidi a revoca, aggravando ulteriormente la situazione di liquidità.
- Debiti verso fornitori e altri creditori chirografari: riguardano fatture non pagate per materie prime, merci, servizi, professionisti, affitti, ecc. Questi creditori non hanno garanzie specifiche, ma possono agire in via giudiziale per ottenere decreti ingiuntivi e pignoramenti sui conti o sui beni aziendali. Il singolo fornitore ha interesse a recuperare il proprio credito, ma quando l’impresa ha molti debiti commerciali scaduti, vi è il rischio concreto che uno o più creditori presentino istanza di fallimento (liquidazione giudiziale). La legge, infatti, consente ai creditori di chiedere al Tribunale l’apertura di una procedura concorsuale se l’impresa è insolvente e i debiti scaduti superano una certa soglia (attualmente €30.000 di esposizione debitoria, condizione minima per dichiarare il fallimento/liquidazione giudiziale) . I creditori fornitori, spesso chirografari, in caso di procedure di concordato possono essere chiamati a votare il piano e in caso di liquidazione concorsuale raramente recuperano interamente il dovuto (di qui l’interesse comune a soluzioni concordate che evitino la liquidazione). Nell’immediato, l’azienda debitrice può tentare accordi stragiudiziali con i fornitori (dilazioni di pagamento, saldo a stralcio su singoli crediti), ma ciò deve essere fatto con cautela: privilegiare alcuni fornitori con pagamenti integrali a discapito di altri potrebbe esporre a azioni revocatorie in caso di successivo fallimento, se effettuati nei tempi sospetti e se lesivi della par condicio creditorum.
- Cartelle esattoriali: sono lo strumento con cui Agenzia delle Entrate-Riscossione riscuote coattivamente vari tipi di crediti pubblici, tra cui imposte, contributi e sanzioni amministrative. La notifica di una cartella ingiunge il pagamento entro 60 giorni; decorso tale termine senza adempimento né accordi, il concessionario può procedere ad esecuzione forzata (pignoramenti di conti correnti, macchinari, immobili) o ad misure cautelari (fermo di veicoli, ipoteche). Per difendersi, il debitore può presentare istanza di rateizzazione della cartella (normalmente fino a 72 rate mensili, cioè 6 anni, o piani straordinari fino a 120 rate in casi di grave e comprovata difficoltà), ottenendo la sospensione delle azioni esecutive una volta concesso il piano. In alternativa, può valutare se rientrare in eventuali procedure di definizione agevolata previste dalla legge. Ad esempio, la “rottamazione-quater” introdotta con la Legge di Bilancio 2023 (L. 197/2022) ha consentito ai debitori di estinguere i carichi affidati agli agenti della riscossione dal 2000 al 2017, pagando solo l’imposta capitale e gli interessi legali (con stralcio di sanzioni e interessi di mora) . Queste finestre di definizione agevolata sono misure straordinarie: se disponibili, conviene aderire per ridurre il peso delle cartelle. Va però evidenziato che la definizione agevolata non è una soluzione strutturale alla crisi, ma un beneficio una tantum; inoltre, non copre l’IVA e i contributi non versati se non pagando comunque il capitale dovuto. Durante una procedura di concordato preventivo o accordo di ristrutturazione in corso di omologazione, la legge prevede la sospensione delle azioni esecutive individuali, incluse quelle dell’Agente della Riscossione, a tutela del patrimonio del debitore (cosiddetto automatic stay). In sede concorsuale, i carichi esattoriali sono trattati secondo la loro natura: le imposte tributarie e i contributi privilegiati (perché riferiti a periodi recenti) vanno soddisfatti almeno in parte secondo il grado di privilegio, salvo falcidia tramite transazione fiscale, mentre le sanzioni puramente amministrative sono crediti chirografari falcidiabili liberamente (possono essere anche azzerate, in quanto non godono di privilegio).
- Debiti verso i dipendenti: includono stipendi arretrati, trattamento di fine rapporto (TFR), ferie non godute, ecc. Questi crediti sono privilegiati per legge sul patrimonio dell’impresa. I dipendenti possono agire rapidamente (ingiunzioni di pagamento, dimissioni per giusta causa se stipendi non pagati, ecc.). Tuttavia, l’ordinamento prevede un fondo di garanzia gestito dall’INPS che, in caso di insolvenza conclamata (fallimento o anche concordato liquidatorio), interviene per pagare ai lavoratori i TFR e gli ultimi stipendi arretrati entro certi limiti, surrogandosi poi nelle pretese dei dipendenti. Ciò tutela i lavoratori ma trasforma quei crediti in un debito verso l’INPS nella procedura. Per l’imprenditore è cruciale valutare l’impatto sociale del debito salariale: la perdita di personale chiave potrebbe compromettere ogni tentativo di risanamento. Nelle trattative di ristrutturazione, spesso i dipendenti accettano soluzioni quali la Cassa Integrazione Straordinaria (se attivabile) o accordi sindacali per dilazionare il pagamento di arretrati, in un’ottica di salvaguardia dell’occupazione.
Come si nota, ogni categoria di debito presenta rischi specifici e margini di manovra diversi. La Tabella 1 riassume le caratteristiche principali e le possibili azioni difensive immediate per ciascun tipo di debito:
Tabella 1 – Tipologie di debiti aziendali, caratteristiche e difese immediate
| Tipo di debito | Esempi | Conseguenze immediate | Azioni difensive |
|---|---|---|---|
| Fiscale (Erario) | IVA, imposte dirette, IRAP, accise | Cartelle esattoriali; sanzioni e interessi; ipoteche e pignoramenti; possibile respons. penale (IVA/ritenute) | – Rateizzazione cartella (72-120 rate) <br> – Transazione fiscale (in concordato/accordo) <br> – Adesione a rottamazione se prevista <br> – Pagamento prioritario di IVA/ritenute per evitare reati |
| Contributivo (INPS/INAIL) | Contributi pensionistici e assicurativi su retribuzioni | Cartelle esattoriali; sanzioni civili (mora elevata); possibile denuncia penale per omesse ritenute; ipoteche/pignoramenti | – Rateizzazione contributi <br> – Transazione contributiva (simile a fiscale) <br> – Verifica possibilità esoneri o compensazioni <br> – Pagare ritenute previdenziali per evitare reato |
| Bancario/Finanziario | Mutui, leasing, fidi, scoperti | Revoca fidi e richiesta rientro; escussione garanzie reali (esecuzioni immobiliari) o personali (fideiussioni); segnalazioni in Centrale Rischi | – Moratorie o rinegoziazione del debito <br> – Ricorso al Fondo di Garanzia PMI (se attivabile) <br> – Stralcio su interessi e spese in piano di ristrutturazione <br> – Valutare concordato per congelare azioni e trattare in classi separate |
| Fornitori/Commerciali | Fatture materie prime, affitti, servizi | Decreti ingiuntivi; pignoramenti su beni e conti; possibile istanza di fallimento (se insolvenza conclamata) | – Accordi stragiudiziali individuali (dilazioni, saldo e stralcio) <br> – Attenzione alla par condicio: evitare pagamenti preferenziali ingiustificati <br> – Concordato preventivo per trattare collettivamente i crediti chirografari, con eventuale percentuale concordataria |
| Cartelle esattoriali | Ruoli per imposte, contributi, multe | Intimazioni di pagamento; dopo 60 gg misure cautelari (fermo, ipoteca) e poi esecutive; aggravio di interessi di mora | – Richiesta di rateazione (con sospensione esecuzione) <br> – Definizione agevolata se prevista (es. rottamazione) <br> – Inizio procedura concorsuale (concordato/accordo) per sospendere azioni esecutive <br> – Verifica eventuali vizi formali per ricorsi tributari |
| Dipendenti | Stipendi, TFR, straordinari | Dimissioni per giusta causa; decreti ingiuntivi; proteste sindacali; privilegio su attivi; (in concorso, intervento Fondo di Garanzia INPS su TFR e ultime 3 mensilità) | – Accordi sindacali (dilazione pagamento arretrati, cassa integrazione) <br> – Ricorso agli ammortizzatori sociali straordinari <br> – Inserimento di un pagamento parziale privilegiato dei crediti lavoro in un piano concordatario (per ottenere consenso lavoratori) |
Nota: I debiti erariali e contributivi, se inclusi in un concordato preventivo o accordo di ristrutturazione, richiedono la presentazione di una transazione fiscale e contributiva per poter essere falcidiati (ridotti) o dilazionati legalmente. La mancata adesione del Fisco/ente previdenziale può essere superata dal Tribunale tramite omologazione forzata (cram down) se il piano è più conveniente della liquidazione.
Come evidenziato, di fronte ai creditori l’azienda può intraprendere azioni difensive immediate (dilazioni, ricorsi, accordi brevi) per prendere tempo e preservare la continuità aziendale, ma queste misure spesso non risolvono strutturalmente l’eccesso di indebitamento. Diviene quindi essenziale conoscere e valutare gli strumenti giuridici di regolazione della crisi predisposti dall’ordinamento, che consentono di ristrutturare il debito in modo organico o, se ciò non è possibile, liquidare l’azienda limitando le conseguenze negative.
Nel prossimo capitolo analizzeremo le differenze tra forme societarie (società di persone vs di capitali) in termini di responsabilità sui debiti, per poi passare agli strumenti di risanamento e alle procedure concorsuali disponibili.
Forma giuridica dell’impresa e responsabilità per i debiti
Le strategie di difesa di un’azienda indebitata dipendono anche dalla forma giuridica dell’impresa, poiché la legge distingue nettamente la responsabilità patrimoniale di soci e amministratori a seconda che si tratti di società di persone o di società di capitali (o impresa individuale). Dal punto di vista del debitore, è fondamentale capire fin dove si estende la propria responsabilità per i debiti sociali:
- Società di persone (S.n.c., S.a.s., Società semplici): i soci rispondono illimitatamente e solidalmente delle obbligazioni sociali (art. 2267 c.c. e art. 2291 c.c. per le snc; per le s.a.s., i soli soci accomandatari hanno responsabilità illimitata, mentre gli accomandanti limitata alla quota conferita, salvo perdano il beneficio d limitazione interferendo nella gestione). In pratica, se il patrimonio della società non basta a pagare i debiti, i creditori possono aggredire il patrimonio personale dei soci illimitatamente responsabili. Questo comporta che, in caso di insolvenza grave, anche i soci persone fisiche possono essere dichiarati falliti (in estensione) insieme alla società . Ad esempio, in una SNC manifatturiera indebitata, il fallimento della società comporterà per legge anche il fallimento dei soci, a meno che questi dimostrino che i creditori sociali sono già stati soddisfatti o rinuncianti (cosa rara). Il socio illimitatamente responsabile, dunque, rischia tutto il suo patrimonio personale: case, conti bancari, ecc., eccetto i beni eventualmente impignorabili per legge (es. beni di minimo sostentamento). Va detto che i soci illimitatamente responsabili restano obbligati anche dopo l’uscita dalla società per i debiti contratti fino alla data di uscita (salvo beneficio di escussione del patrimonio sociale se previsto). Pertanto, per società di persone con problemi di debiti, la difesa del patrimonio personale dei soci è prioritaria: strumenti come il concordato preventivo o accordi possono includere previsioni sul soddisfacimento dei crediti sociali in modo da liberare anche i soci, ma comunque il rischio personale è alto. Al contrario, la composizione negoziata può essere attivata anche da società di persone, ma se il piano non va a buon fine, i soci potrebbero trovarsi esposti.
- Società di capitali (S.r.l., S.p.A., S.a.p.a.): hanno personalità giuridica e patrimonio autonomo. Vige la regola della responsabilità limitata dei soci: ciascun socio rischia al massimo il capitale conferito (quote o azioni sottoscritte) e gli utili eventualmente lasciati in società. I creditori sociali non possono escutere direttamente i soci per i debiti della società (art. 2462 c.c. per srl; art. 2325 c.c. per spa). Dunque, se un’azienda di segatrici a nastro è una S.r.l. o S.p.A., i suoi soci di norma non rischiano il proprio patrimonio personale per i debiti aziendali. Tuttavia, vi sono importanti eccezioni e situazioni pratiche in cui i soci (o l’unico socio) possono trovarsi a pagare:
- Se hanno prestato garanzie personali (fideiussioni) a favore di creditori della società, ad esempio a banche o fornitori strategici, tali garanzie restano valide. Il creditore garantito, in caso di insolvenza della società, agirà contro il garante socio, indipendentemente dal fatto che la società sia di capitali.
- In caso di illeciti nella gestione della liquidazione della società: se, dopo lo scioglimento, i liquidatori distribuiscono attivi ai soci lasciando insoluti i debiti sociali, i creditori possono agire contro i soci fino a concorrenza di quanto questi hanno ricevuto in sede di liquidazione (art. 2495 c.c.). Su questo punto, una recente ordinanza della Cassazione (n. 23341/29.08.2024) ha stabilito che tale responsabilità dei soci si estende anche alle sanzioni tributarie della società estinta: i soci di una s.r.l. cancellata rispondono in via “succedanea” delle sanzioni fiscali della società, nei limiti dell’attivo di liquidazione riscosso . Ciò rappresenta un’evoluzione della giurisprudenza: prima tali sanzioni si consideravano personali alla società e non trasmissibili, ma la Cassazione ora le assimila ai debiti civilistici entro i limiti del beneficio.
- Finanziamenti soci postergati: se i soci hanno erogato finanziamenti alla società in fase di sottocapitalizzazione, tali crediti dei soci sono postergati (devono essere rimborsati dopo gli altri creditori) e, se già rimborsati in violazione della postergazione, i soci potrebbero dover restituire le somme in caso di fallimento, per ricostituire l’attivo a favore dei creditori.
- Socio unico non dichiarato: in passato, l’unico socio di S.r.l. che non avesse depositato al Registro Imprese la dichiarazione di unicità poteva rispondere illimitatamente dei debiti sociali contratti nel periodo di inosservanza (art. 2362 c.c. per spa, esteso a srl). Tuttavia oggi, con la riforma del diritto societario, questo aspetto è meno rilevante perché l’unico socio deve risultare da atto pubblico (e l’omissione della pubblicità non incide più sulla responsabilità illimitata, ma resta un’irregolarità formale).
- Abuso della personalità giuridica: se la società di capitali è usata in modo fraudolento o per eludere norme (es. per confondere il patrimonio personale e sociale, o creare una società filtro “teste di legno” per delinquere), la giurisprudenza può “superare lo schermo sociale” (c.d. piercing the corporate veil) e ritenere i soci (o l’amministratore di fatto) responsabili coi propri beni. È una fattispecie estrema, ammessa solo in presenza di abuso evidente della personalità giuridica o confusione patrimoniale tra socio e società, ma va menzionata. Ad esempio, un socio che svuoti sistematicamente la società trasferendone gli asset a sé stesso per sottrarli ai creditori potrà essere chiamato a rispondere direttamente (anche per bancarotta fraudolenta, in sede penale).
- Successione nei debiti tributari dopo estinzione: come già accennato, la Cassazione ha ravvisato una continuità sui generis per cui, ad esempio, in materia fiscale, i soci succedono nei debiti tributari della società estinta, comprese le sanzioni, entro il limite di quanto riscosso in liquidazione . Questo implica che chiudere una s.r.l. lasciando debiti fiscali irrisolti non mette necessariamente al riparo i soci da pretese del Fisco, se questi hanno recuperato attivi (anche solo come rimborso di capitale).
In sintesi, nelle società di capitali i soci hanno una forte tutela di legge (responsabilità limitata), ma amministratori e liquidatori possono incorrere in responsabilità per mala gestione che li obblighi a risarcire i creditori (vedremo oltre). Inoltre, decisioni come la distribuzione di utili o attivi in presenza di insolvenza possono far ricadere sui soci richieste di creditori insoddisfatti.
- Impresa individuale: vale la pena citare anche il caso dell’imprenditore individuale (ditta individuale), sebbene non sia una “società”. In tal caso non vi è distinzione tra patrimonio dell’impresa e quello dell’imprenditore: questi risponde illimitatamente con tutti i suoi beni. Non essendovi personalità giuridica distinta, l’unica difesa patrimoniale possibile è costituire un fondo patrimoniale o trust per alcuni beni (con efficacia però limitata e non opponibile ai creditori pregressi) oppure adottare forme assicurative. Ai fini concorsuali, l’imprenditore individuale commerciale insolvente sopra le soglie di legge è soggetto a fallimento (liquidazione giudiziale), mentre se sotto soglia può accedere alle procedure di sovraindebitamento (concordato minore o liquidazione controllata).
Ecco di seguito una tabella che riassume le differenze principali in termini di responsabilità patrimoniale e conseguenze dell’insolvenza per varie forme giuridiche:
Tabella 2 – Forma societaria vs responsabilità e procedure in caso di insolvenza
| Forma giuridica | Responsabilità per i debiti | Conseguenze in caso di insolvenza | Note |
|---|---|---|---|
| Società di persone <br> (S.n.c., S.a.s.) | Illimitata e solidale per soci (tutti i soci nella snc; solo accomandatari nella sas) sui debiti sociali. <br> Soci rispondono con tutto il patrimonio personale. | – Fallimento esteso ai soci illimitatamente responsabili automaticamente (art. 147 L. Fall., oggi assorbito nel CCII) salvo pagamento integrale dei debiti sociali . <br> – Creditori possono escutere i soci per la parte non soddisfatta dalla società. <br> – Soci eventualmente ammessi a esdebitazione personale a fine procedura (possibile liberazione residui debiti personali, ma non garantita se mala fede). | Soci accomandanti (S.a.s.) perdono la limitazione se ingeriscono nella gestione. <br> Socio di fatto: se emerge, trattato come illimitatamente responsabile. |
| Società di capitali <br> (S.r.l., S.p.A., S.a.p.a.) | Limitata al capitale conferito. <br> Soci non responsabili con patrimonio personale, salvo casi particolari (fideiussioni prestate, attivi distribuiti indebitamente, abuso forma societaria). | – Liquidazione giudiziale solo sulla società; i soci non falliscono (a meno che siano garanti o abbiano altre qualità imprenditoriali). <br> – Creditori sociali non possono agire sui soci (a meno di escutere garanzie personali date). <br> – Possibile azione di responsabilità del curatore contro amministratori/sindaci per danni ai creditori (art. 2476 c.c. e 2394 c.c.). <br> – Soci possono perdere l’intero investimento (quote/azioni azzerate) e versare eventuali residui di capitale sottoscritto non liberato. <br> – Se soci hanno ricevuto attivo in liquidazione pre-fallimentare, possono doverlo restituire ai creditori insoddisfatti . | Unico socio: pubblicità nel registro, altrimenti in passato rischi di confusione patrimoniale (oggi attenuati). <br> Eccezione: se società cancellata con debiti, soci succedono nei debiti entro attivo distribuito (anche sanzioni tributarie) . |
| Impresa individuale <br> (imprenditore commerciale) | Illimitata su titolare (nessuna separazione tra beni personali e aziendali). | – Liquidazione giudiziale (fallimento) dell’imprenditore se insolvente e dimensioni sopra soglie (attivo > €300k, ricavi > €200k, debiti > €500k) . <br> – Se sotto soglie (c.d. piccolo imprenditore), escluso da fallimento: può accedere al concordato minore o liquidazione controllata (procedure da sovraindebitamento). <br> – Tutto il patrimonio personale è coinvolto nella procedura concorsuale. <br> – Possibilità di esdebitazione finale del sovraindebitato/fallito per liberarsi dai debiti residui, se meritevole. | Soglie attualmente: attivo €300k, ricavi €200k, debiti €500k (valori 3 anni precedenti) . <br> Imprenditore agricolo escluso da fallimento salvo grandi dimensioni (può però accedere a sovraindebitamento). |
| Società pubblica/Ente | (Fuori campo in questo contesto: enti pubblici non fallibili, hanno procedure proprie di dissesto) | – | – |
Nota: Le imprese minori (sotto soglia) non sono soggette a liquidazione giudiziale ordinaria: il Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019) le definisce “impresa minore” escludendole dal fallimento, salvo procedure di sovraindebitamento. I valori soglia dal 2022 sono rimasti €300k attivo, €200k ricavi, €500k debiti. Un’azienda di segatrici a nastro di piccole dimensioni (es. artigiana con pochi dipendenti sotto tali parametri) potrà quindi accedere a procedure come il concordato minore o la liquidazione controllata, che funzionano in modo simile alle corrispondenti di maggiori dimensioni ma con iter semplificati e senza il requisito del voto dei creditori nel concordato minore.
In pratica, per un debitore è essenziale sapere se i creditori potranno rivalersi sul patrimonio personale dei soci o degli amministratori. Questa consapevolezza condiziona le mosse difensive: ad esempio, i soci di una SNC in crisi potrebbero valutare di trasformare la società in Srl o conferire l’azienda in una nuova società di capitali per limitare la loro esposizione (operazione da fare prima che l’insolvenza sia conclamata, altrimenti potrebbe essere impugnata come atto in frode ai creditori). Al contrario, i soci di una Srl indebitata saranno interessati a evitare condotte che possano farli diventare personalmente responsabili, come distribuire utili occulti o confondere finanze personali e aziendali.
Caso pratico: Beta SNC, azienda familiare di produzione macchinari, ha debiti rilevanti. I soci temono per la casa di proprietà data l’illimitata responsabilità. Valutano la trasformazione in SRL per proteggersi, ma ormai i fornitori hanno avviato azioni legali. Se Beta SNC fosse dichiarata fallita, i soci sarebbero coinvolti nel fallimento personale. Una trasformazione last-minute potrebbe essere considerata inopponibile ai creditori se fatta in frode. Meglio sarebbe stato pianificare una trasformazione quando i segnali di difficoltà iniziavano, accompagnandola con un serio piano di risanamento. Questo esempio evidenzia come la forma societaria incida sulle strategie: la protezione offerta dalla responsabilità limitata è efficace solo se non si è già in stato di insolvenza conclamata e se non vi sono condotte irregolari.
Passiamo ora ad esaminare le responsabilità specifiche degli amministratori e degli altri organi sociali nella gestione della crisi, prima di addentrarci negli strumenti di risanamento.
Doveri degli amministratori nella crisi e responsabilità personali
Gli amministratori di società (sia di persone che di capitali) hanno obblighi legali precisi di corretta gestione e, a seguito della riforma sulla crisi d’impresa, anche di predisporre assetti organizzativi idonei a rilevare tempestivamente la crisi e attuare interventi per salvaguardare la continuità aziendale. Il mancato rispetto di questi doveri può comportare la loro responsabilità civile (verso la società e verso i creditori) e in taluni casi penale.
Obbligo di assetti adeguati e rilevazione tempestiva della crisi
Dal marzo 2019, con l’introduzione del Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019), è stato modificato l’art. 2086 del Codice Civile imponendo all’imprenditore che operi in forma societaria o collettiva di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e della continuità aziendale . Ciò significa che gli amministratori devono dotare la società di strumenti di controllo di gestione, sistemi contabili accurati, indicatori finanziari e procedure interne tali da far emergere per tempo squilibri economico-finanziari. Ad esempio, un flusso di cassa periodico, l’analisi dei debiti scaduti, gli indici di allerta (come quelli elaborati dal CNDCEC) sono elementi che l’organo amministrativo deve monitorare. Inoltre l’art. 2475 c.c. assegna agli amministratori (nelle srl) la responsabilità esclusiva di istituire tali assetti , mentre gli organi di controllo (collegio sindacale o revisore) hanno il dovere di vigilare e segnalare eventuali carenze (art. 2403 c.c.) .
Se gli amministratori omettono di predisporre assetti adeguati e quindi non percepiscono (o ignorano) i segnali di crisi, possono andare incontro a gravi conseguenze: – Revoca giudiziale degli amministratori: alcune pronunce dei tribunali hanno considerato la mancata istituzione di assetti adeguati come “grave irregolarità gestionale” ex art. 2409 c.c., sufficiente a giustificare l’intervento del tribunale su denuncia di soci o sindaci, con sospensione e sostituzione degli amministratori. Ad esempio, il Tribunale di Milano (decr. 29/02/2024) ha ritenuto che la mancata adozione di assetti costituisce grave irregolarità e ha nominato un amministratore giudiziario in una società in cui ciò era avvenuto . Analogamente, Trib. Catania (8/02/2023) ha disposto la revoca degli amministratori ritenendo sufficiente, come presupposto, la mancata predisposizione degli assetti . Ciò mostra che i giudici iniziano a usare l’art. 2409 c.c. (ispezione giudiziaria e provvedimenti sostitutivi) per colpire la gestione che non si è dotata di strumenti di prevenzione della crisi. – Azione di responsabilità per mala gestio: la business judgment rule (regola che esenta da sindacato le scelte imprenditoriali se compiute con diligenza e buona fede) non copre l’inerzia organizzativa. La giurisprudenza ha chiarito che non predisporre assetti adeguati è di per sé una violazione di legge e di doveri gestori, non giustificabile come scelta imprenditoriale discrezionale . Questo può dar luogo ad azioni di responsabilità promosse dalla società (art. 2476 c.c. per srl, 2393 c.c. per spa) o dai creditori sociali (art. 2476 co. 6 c.c. e 2394 c.c.) se l’omissione ha causato un aggravamento del dissesto. Ad esempio, se l’amministratore ha ignorato segnali di crisi che un adeguato assetto avrebbe rivelato, permettendo ai debiti di crescere, i creditori potrebbero lamentare che tale ritardo ha ridotto la capacità di recupero dei loro crediti e chiedere un risarcimento. – Responsabilità penale: l’art. 330 del Codice della Crisi prevede la bancarotta semplice impropria per gli amministratori che, violando obblighi di legge, abbiano causato o aggravato il dissesto . Non adottare assetti potrebbe rientrare tra tali violazioni se si dimostra che l’omissione ha aggravato il fallimento (ad esempio protraendo attività manifestamente imprudente). Inoltre, se l’amministratore non ha convocato i soci per gli adeguati provvedimenti ai sensi degli artt. 2446, 2447 o 2482-bis c.c. in presenza di perdite rilevanti, potrebbe essere accusato di bancarotta semplice per omissione di richieste di fallimento o ritardo colposo nell’agire. – Segnalazione obbligatoria degli organi di controllo: con il CCII era stata introdotta (anche se poi sospesa e modificata) una disciplina di allerta che prevedeva che l’organo di controllo segnalasse formalmente agli amministratori i sintomi di crisi. Anche se l’allerta “esterna” (segnalazioni di Credito, INPS, Agenzia Entrate) è stata posticipata, resta il dovere interno: i sindaci devono attivarsi e, in difetto, possono concorrere nella responsabilità se omettono di segnalare gravi irregolarità (vedi Trib. Venezia appello 29/11/2022 e Trib. Cagliari 19/01/2022, dove la mancanza di assetti è stata considerata motivo sufficiente per attivare l’art. 2409 ).
Nel complesso, oggi l’amministratore diligente deve considerare l’adeguatezza degli assetti come parte integrante dei suoi obblighi fiduciari. La Cassazione (ord. n. 36365/2021) ha affermato che l’imprenditore – anche collettivo – è tenuto a predisporre i mezzi adeguati per il raggiungimento del profitto e la continuità aziendale, in coerenza col dovere di cui all’art. 2086 c.c. . Dunque, il monitoraggio continuo della salute aziendale è richiesto per legge.
Condotte degli amministratori in crisi: divieti e best practices
Quando la società entra effettivamente in uno stato di crisi (stato di difficoltà economico-finanziaria reversibile) o peggio di insolvenza (incapacità non più reversibile di pagare regolarmente i debiti), agli amministratori si applicano ulteriori regole di condotta. Essi devono: – Evitare di aggravare il dissesto: proseguire l’attività in perdita sistematica, accumulare ulteriori debiti quando è evidente che non si potrà farvi fronte, può costituire mala gestio. In caso di fallimento successivo, il curatore spesso cita gli amministratori per aver ritardato la dichiarazione di insolvenza (ritardo nel deposito dell’istanza di fallimento). Ad esempio, se un amministratore ha continuato ad acquistare merci a credito sapendo che l’azienda era insolvente, ha peggiorato la posizione dei creditori e potrà rispondere di quei nuovi debiti ingiustificati. – Astenersi da atti in frode ai creditori: qualunque operazione che sottragga attivo a discapito dei creditori è vietata e in sede fallimentare verrà quasi certamente qualificata come bancarotta fraudolenta. Esempi: distrarre beni aziendali (venderli sotto prezzo a compiacenti, trasferirli a familiari o altre società collegate), falsificare i libri contabili, pagare preferenzialmente alcuni creditori a scapito di altri in prossimità del fallimento. In caso di concordato preventivo, la legge richiede espressamente che nella domanda l’imprenditore dichiari eventuali atti di straordinaria amministrazione compiuti di recente e nomina un commissario che vigila su atti di frode ai creditori . Se l’amministratore compie atti di frode durante una procedura (ad esempio nasconde beni, o crea crediti fittizi), il concordato può essere revocato e si aprirà la strada alla bancarotta. – Rispetto della par condicio creditorum: quando la società è in stato d’insolvenza, tutti i creditori chirografari dovrebbero essere trattati paritariamente. Pagare “sottobanco” un creditore (magari perché amico o perché minaccia un’azione immediata) e lasciare altri all’asciutto configura il pagamento preferenziale. Nel fallimento, tali pagamenti possono essere revocati (se fatti entro l’anno prima del fallimento con conoscenza dello stato d’insolvenza) e l’amministratore può incorrere in responsabilità. La Cassazione ha recentemente ribadito che il pagamento di debiti sociali in conflitto d’interessi può far sorgere responsabilità risarcitoria: l’ordinanza n. 23963 del 27/08/2025 ha confermato la condanna di un amministratore che aveva compensato e pagato preferenzialmente debiti verso società estere a lui riconducibili, in danno degli altri creditori . L’amministratore deve agire senza conflitto d’interessi: se fa prevalere interessi extra-sociali incompatibili con quelli della società e pregiudizievoli, commette atto illecito . In pratica, favorire sé stesso o parti correlate (es. società di famiglia, creditori di cui è garante personalmente, ecc.) con atti che danneggiano la società o gli altri creditori è vietato e fonte di responsabilità. – Obblighi in caso di perdite rilevanti del capitale: se le perdite erodono il capitale oltre un certo livello (oltre 1/3 del capitale per spa/srl, art. 2446, 2482-bis c.c., o riduzione sotto il minimo legale, art. 2447, 2482-ter c.c.), gli amministratori devono convocare senza indugio l’assemblea per i provvedimenti del caso (riduzione e aumento del capitale, trasformazione o liquidazione). In pendenza di procedura concorsuale prenotativa, queste norme sono temporaneamente disapplicate , ma al di fuori di esse l’amministratore che omette di attivarsi viola un preciso obbligo. Il Codice della Crisi, art. 20, ha inoltre imposto che, se la continuità è a rischio, l’organo amministrativo ne dia notizia agli organi di controllo e proponga soluzioni (introducendo anche i c.d. strumenti di allerta interna). – Dovere di ricorrere a strumenti di regolazione della crisi: non è codificato espressamente come obbligo sanzionato, ma è implicito. Se esiste una ragionevole prospettiva di risanamento, l’amministratore dovrebbe attivarsi per negoziare coi creditori o accedere ad una procedura (concordato, accordo) invece di lasciare incancrenire la situazione. Viceversa, se il risanamento è impossibile, l’amministratore diligente dovrebbe valutare di proporre egli stesso l’istanza di liquidazione giudiziale (fallimento) tempestivamente, per evitare ulteriori pregiudizi. In passato l’omessa richiesta di fallimento da parte degli amministratori di società poi fallita è stata inquadrata come colpa grave rilevante nella bancarotta semplice.
Riassumendo, oggi gli amministratori devono muoversi su un crinale stretto in caso di crisi: da un lato attivarsi prontamente per trovare soluzioni (perseguire in buona fede un risanamento, documentando i tentativi compiuti), dall’altro evitare operazioni spregiudicate che li espongano a censure. La loro responsabilità civile potrà essere fatta valere: – Dalla società (anche per il tramite di un nuovo CDA o di un liquidatore) per danni arrecati al patrimonio sociale. – Dai creditori sociali quando il patrimonio sociale risulta insufficiente e si dimostra che ciò è dipeso da atti od omissioni degli amministratori (azione ex art. 2394 c.c. o, nel caso di srl, estensione della responsabilità ex art. 2476 ult. co. c.c. per danno ai creditori). – Dal curatore fallimentare dopo la dichiarazione di fallimento: questi può esercitare sia l’azione sociale di responsabilità sia quella verso i creditori, cumulativamente, per conto di tutti i danneggiati. Ad esempio, nel caso dell’ordinanza Cass. 23963/2025 citata, il curatore aveva convenuto in giudizio l’ex amministratore chiedendo risarcimento per pagamenti preferenziali e conflitto d’interessi, vincendo in tribunale e in appello .
Responsabilità degli organi di controllo e dei soci amministratori di fatto
Accanto agli amministratori ufficiali, anche altri soggetti possono incorrere in responsabilità se contribuiscono alla mala gestio: – Amministratore di fatto: se una persona, pur senza carica formale, esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici dell’amministratore (detta amministratore di fatto), costei risponde in solido degli obblighi e dei doveri degli amministratori. Ad esempio, un socio che di fatto dirige l’impresa “dall’ombra” sarà responsabile dei debiti tributari anche se la società viene cancellata, come ha evidenziato la Cassazione in varie pronunce (es. Cass. 1274/2025 in tema di estensione di accertamenti tributari all’amministratore di fatto) . In particolare, la giurisprudenza ha chiarito che l’amministratore di fatto risponde illimitatamente dei debiti fiscali anche a società estinta, non potendo schermarsi dietro la personalità giuridica altrui . Quindi, chi dirige senza titolo formale non ha neppure i benefici della responsabilità limitata e può essere destinatario di sanzioni e cartelle (come coobbligato). – Collegio sindacale/Revisori: se presenti, hanno il dovere di vigilanza e denuncia. Un collegio sindacale inerte di fronte a evidenti segnali di dissesto può essere chiamato a rispondere in solido con gli amministratori per i danni causati dalla mancata tempestiva reazione. La legge (art. 2407 c.c.) prevede la responsabilità solidale dei sindaci se il danno non si sarebbe prodotto senza la loro omissione di vigilanza. Pertanto, in situazioni di crisi ignorate, i creditori potrebbero trascinare in causa anche i sindaci. Ad oggi ci sono già state condanne di sindaci per aver omesso di attivare l’autorità giudiziaria in caso di gravi irregolarità (il già citato art. 2409 c.c.). Nel 2025, i riflettori sono puntati anche sul ruolo dei revisori legali: anch’essi devono segnalare tempestivamente eventuali dubbi sulla continuità aziendale nei loro report; se certificano bilanci non veritieri occultando una crisi, potrebbero essere corresponsabili di danni verso terzi. – Soci ingerenti: se un socio (non amministratore) interferisce pesantemente nella gestione, impartendo ordini agli amministratori ufficiali o dettando strategie che portano al dissesto, potrebbe emergere una sua corresponsabilità da “amministratore di fatto” o quantomeno un concorso in eventuali atti distrattivi (specie nelle PMI familiari, dove spesso il confine di ruoli è labile). Il Tribunale di Venezia (decreto 26/08/2025) ha persino sancito che anche il socio non amministratore può attivarsi (se nota carenze organizzative gravi) chiedendo al tribunale la nomina di un ispettore ex art. 2409 c.c. . Questo aneddoto sottolinea come pure ai soci minoritari convenga la correttezza gestionale per tutelare il proprio investimento e evitare di subire passivamente la mala gestio altrui.
In conclusione, per difendersi efficacemente dai debiti, l’azienda (e chi la guida) deve prima di tutto prevenire e limitare la crisi con una gestione oculata e trasparente. Se la crisi si manifesta, gli amministratori devono muoversi entro il perimetro legale: attivare gli strumenti offerti dalla legge, e non innescare manovre elusive o dilatorie che quasi sempre si ritorcono contro di loro (sotto forma di revocatorie, azioni di responsabilità o addirittura accuse penali). Nel capitolo seguente esamineremo proprio questi strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, utili all’imprenditore indebitato per trovare vie d’uscita.
Strumenti per la regolazione della crisi d’impresa
Il diritto italiano mette a disposizione una serie di strumenti giuridici rivolti alle imprese in crisi o insolventi, finalizzati alternativamente a risanare l’azienda (ristrutturandone il debito e permettendo la continuità) oppure a liquidare ordinatamente il patrimonio a favore dei creditori, evitando soluzioni caotiche. La scelta dello strumento dipende dal grado di crisi, dalla possibilità di recupero dell’equilibrio economico-finanziario e dalla volontà dell’imprenditore di proseguire l’attività. Analizziamo i principali strumenti, in ordine crescente di coinvolgimento dell’autorità giudiziaria, dal più “interno” e volontario al più “pubblico” e coattivo:
Piano attestato di risanamento (strumento stragiudiziale)
Cos’è: Il piano attestato di risanamento è un piano di risanamento dell’impresa redatto dall’imprenditore in crisi/insolvenza e asseverato (attestato) da un professionista indipendente (revisore o esperto) circa la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità economica del piano . È disciplinato dall’art. 56 del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) e rappresenta la formalizzazione legislativa di quanto già previsto dall’art. 67, co.3, lett. d) della vecchia Legge Fallimentare. Si tratta di uno strumento stragiudiziale: non richiede l’intervento diretto del tribunale (se non eventuale successiva attestazione di data certa, in pratica la pubblicazione al Registro Imprese). Il piano ha l’obiettivo di risanare l’esposizione debitoria e riequilibrare la situazione finanziaria ed economica dell’impresa , consentendo la continuità aziendale ove possibile.
Caratteristiche principali: – Deve essere dettagliato e documentato. La norma elenca gli elementi minimi: descrizione della situazione aziendale, cause della crisi, strategia di risanamento, tempi di attuazione, mezzi finanziari apportati, e cruciali i “rimedi correttivi” con soluzioni alternative qualora i risultati del piano differissero da quelli attesi . Insomma, un piano B in caso di scostamenti è ora richiesto dal comma 2, lett. f) dell’art. 56 CCII, introdotto dal correttivo 2020 . – Deve avere data certa (timbro, PEC o registrazione) e tutti gli atti compiuti in sua esecuzione devono essere provati per iscritto e anch’essi datati in modo certo . Questo serve a delimitare chiaramente il “perimetro” del piano e degli effetti protettivi di legge (vedi seguito). – L’imprenditore può predisporlo sia se è in stato di crisi (difficoltà reversibile) sia se già insolvente (purché conti di risanare): il CCII ha esteso l’istituto a qualunque imprenditore in crisi o insolvenza . – L’esperto attestatore deve essere un professionista indipendente, iscritto a un albo, che redige una relazione allegata al piano in cui attesta: (a) la veridicità dei dati aziendali (conti economici, patrimoniali, esposizioni, ecc.), e (b) la fattibilità economica del piano . “Fattibilità economica” significa che, secondo le analisi condotte, il piano è realistico e può con ragionevole probabilità riportare l’impresa in bonis, evitando l’insolvenza o superandola. Non serve un’attestazione di fattibilità giuridica (diversamente dal concordato), poiché il piano è un negozio privatistico; tuttavia l’esperto valuterà anche rischi legali (es. possibili revocatorie) perché incidono sulla fattibilità economica complessiva . – Nessun voto dei creditori né omologazione: a differenza di concordato o accordo di ristrutturazione, il piano attestato non vincola i creditori dissenzienti. È, in sostanza, un accordo di natura privata tra il debitore e ciascuno dei creditori che aderiscono spontaneamente. Tipicamente, l’imprenditore redige il piano, ottiene l’attestazione, poi cerca l’adesione dei principali creditori alle rinegoziazioni proposte (es: allungamento scadenze, rinunce parziali, conversione di crediti in quote, ecc.). I creditori che accettano la proposta saranno poi vincolati dai nuovi accordi contrattuali presi. I creditori che non aderiscono conservano i loro diritti per intero e potrebbero anche agire per il recupero (non c’è protezione automatica salvo eventuali moratorie individuali concordate). Ciò segna un limite dello strumento: funziona bene se si ottiene l’adesione spontanea della quasi totalità dei creditori rilevanti, altrimenti i “dissenzienti” potrebbero far fallire il debitore vanificando lo sforzo. – Protezione dagli effetti fallimentari (claw-back): Il vantaggio principale del piano attestato è quello riconosciuto dalla legge in termini di esenzione da revocatoria fallimentare per gli atti posti in essere in esecuzione del piano. L’art. 56 CCII richiama infatti gli effetti già previsti dall’art. 67 L.F.: se poi la società fallisce (o viene liquidata) non potranno essere revocati i pagamenti e le garanzie concesse ai creditori in attuazione del piano stesso, purché il piano fosse idoneo a risanare e attestato regolarmente. In altre parole, il piano funge da “ombrello protettivo” per gli accordi eseguiti: i creditori aderenti possono accettare dilazioni o ristrutturazioni senza temere che, se il debitore fallisce in seguito, il curatore gli revochi quanto incassato. Questo incentiva i creditori ad aderire, perché riduce il rischio giuridico di una successiva azione restitutoria . – Riserbo e flessibilità: Non essendo richiesta pubblicità giudiziaria (se non, facoltativamente, l’iscrizione al registro imprese per dare data certa), il piano attestato può rimanere riservato, limitando l’impatto reputazionale negativo sull’azienda. La gestione rimane all’imprenditore, senza commissari o giudici coinvolti direttamente. Questo aspetto è spesso apprezzato da imprenditori che vogliono evitare lo stigma di un concorso pubblico. In compenso, proprio l’assenza di un procedimento formale implica che il debitore non gode di protezioni automatiche verso azioni esecutive dei creditori dissenzienti (diversamente dal concordato dove scatta il divieto di azioni esecutive). Tuttavia, nulla vieta di combinare il piano attestato con un’istanza al tribunale per ottenere misure protettive temporanee (ad es. si può presentare un ricorso per concordato in bianco – art. 44 CCII – e poi depositare un piano attestato come soluzione). – Esempio pratico: Gamma Srl, manifatturiera, accumula debiti ma ha commesse in crescita che potrebbero salvarla. Prepara con un advisor un piano a 5 anni: i fornitori strategici accettano 70% del credito in 36 mesi, la banca proroga il mutuo di 2 anni senza nuovi fondi, i soci apportano €100k fresh cash. Un professionista indipendente attesta che i numeri sono realistici e che il piano può risanare (riequilibrio economico-finanziario assicurato entro 3 anni). Gamma Srl riesce a far aderire l’80% dei creditori (quelli principali). Alcuni piccoli creditori dissenzienti vengono pagati per evitare problemi. Il piano viene eseguito, Gamma ritorna solvibile. Questo caso ipotetico mostra il piano attestato in azione: è flessibile, adattato su misura, e non passa dal voto formale dei creditori ma da negoziazioni individuali supportate da un documento attestato che dà credibilità.
Novità 2022-2024: Il Codice della Crisi ha integrato la disciplina prevedendo che il piano deve assicurare il riequilibrio anche economico, non solo finanziario , e semplificando gli allegati documentali (il correttivo 2020 ha eliminato l’obbligo di allegare l’elenco dettagliato di atti di straordinaria amministrazione degli ultimi 5 anni, prima previsto, per non appesantire eccessivamente il piano ). Inoltre, il D.Lgs. 83/2022 e il D.Lgs. 136/2024 hanno introdotto alcune novità: in particolare il D.Lgs. 136/2024 (c.d. “correttivo-ter”) ha previsto la possibilità di includere una transazione fiscale anche nei piani attestati collegati a una composizione negoziata (inserendo l’art. 23 CCII che consente di estendere ai piani di risanamento esito di composizione negoziata il trattamento dei debiti tributari) . Ciò significa che, se il piano attestato è sviluppato all’interno di una composizione negoziata, il debitore può proporre il pagamento parziale/dilazionato di IVA, ritenute e contributi, con l’assenso dell’Agenzia Entrate/INPS che può essere omologato dal tribunale anche in caso di loro dissenso (equiparando di fatto il piano attestato in sede negoziata a un accordo sul fisco omologabile) . Questa innovazione colma una lacuna: prima i debiti IVA/INPS potevano essere solo dilazionati ma non ridotti in un piano stragiudiziale; ora, grazie al correttivo 2024, anche all’interno di un piano attestato supportato da composizione negoziata, si può ottenere un trattamento agevolato del Fisco analogamente al concordato.
Quando usarlo: Il piano attestato è indicato se l’impresa ha buone prospettive di risanamento e pochi creditori principali relativamente “collaborativi”. Funziona bene se la crisi non è troppo grave e c’è fiducia reciproca: tipico nelle ristrutturazioni “private” in cui banche e fornitori chiave preferiscono non passare dal tribunale. Se invece il debito è polverizzato tra centinaia di creditori, o se servono effetti coercitivi (cram-down) verso dissenzienti, il piano attestato potrebbe non bastare.
Vantaggi: riservato, rapido, flessibile, evita stigma concorsuale, protegge da revocatorie , nessuna perdita di controllo per l’imprenditore. Svantaggi: non vincola i creditori non firmatari, nessun automatic stay (protezione dalle azioni legali) salvo accordi, richiede adesione volontaria (difficile in situazioni conflittuali), necessita comunque di un professionista attestatore (costo e preparazione documentale).
Accordi di ristrutturazione dei debiti (ex art. 57 CCII)
Cos’è: L’accordo di ristrutturazione dei debiti è uno strumento che si colloca a metà tra il piano attestato e il concordato preventivo. Previsto originariamente dall’art. 182-bis L.F. e ora ripreso dagli artt. 57-64 CCII, consiste in un accordo giuridicamente vincolante tra il debitore e una maggioranza qualificata di creditori, omologato dal Tribunale. Si tratta di una procedura semi-concorsuale: il debitore deve raggiungere accordi con creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti (salvo forme particolari con soglie diverse) e poi chiedere l’omologazione dell’accordo al Tribunale, che lo rende efficace anche verso eventuali creditori dissenzienti (limitatamente, perché i dissenzienti che non aderiscono devono comunque essere pagati integralmente entro i 120 giorni dall’omologazione o dalla scadenza, quindi di fatto non subiscono stralci forzati se non in varianti normative introdotte di recente per categorie omogenee). In pratica, l’accordo di ristrutturazione è uno strumento che richiede consenso più elevato del concordato ma consente di evitare il voto formale di tutti i creditori.
Caratteristiche: – Contenuto libero: il debitore e i creditori negoziano un accordo in cui stabiliscono come saranno trattati i crediti. Ad esempio: banche prorogano e riducono tassi, fornitori prendono il 70% del dovuto in tot anni, il Fisco aderisce a una transazione fiscale (che può essere inclusa nell’accordo ex art. 63 CCII) . L’accordo deve prevedere che i creditori estranei (quelli fuori dall’accordo) siano pagati entro 120 giorni dall’omologazione o dal loro termine di scadenza naturale (per tutelarli). Possono essere previste moratorie sui creditori estranei, con omologazione, ma dovranno essere soddisfatti integralmente. – Percentuale di adesione: serve almeno il 60% dei crediti in termini di valore. Se c’è pluralità di creditori, ciò implica spesso convincere le banche e qualche grande fornitore (che magari insieme superano il 60%). I creditori che aderiscono restano vincolati ai nuovi termini; quelli che non aderiscono restano con i diritti originari ma – come detto – devono essere soddisfatti entro certi limiti di tempo integralmente. Il vantaggio rispetto al piano attestato è che l’accordo viene comunque formalizzato e omologato, proteggendo da eventuali iniziative individuali durante il periodo di omologazione e offrendo alcune tutele extra. – Procedimento: il debitore deposita l’accordo sottoscritto dai creditori aderenti in tribunale, allegando documentazione simile a quella del concordato (stato patrimoniale, elenco creditori, relazione attestatore). Un professionista indipendente deve attestare che l’accordo assicura il pagamento integrale dei creditori non aderenti nei 120 giorni e che l’accordo è idoneo a ristrutturare i debiti e riequilibrare la situazione finanziaria. Il tribunale, se tutto regolare, omologa l’accordo con decreto. Da deposito a omologa, il debitore può chiedere misure protettive (stay) simili a quelle del concordato per congelare le azioni esecutive. – Efficacia esdebitativa: una volta omologato, l’accordo produce un effetto simile a una novazione per i creditori aderenti. Se il debitore esegue l’accordo, la parte di debiti eventualmente falcidiata si considera definitivamente stralciata (con efficacia liberatoria analoga a un concordato, sebbene limitata ai consenzienti). I creditori estranei, come detto, devono essere soddisfatti fuori dall’accordo ma grazie all’accordo gli altri (che magari sono la maggioranza qualificata) hanno scongiurato il fallimento e accettato un sacrificio definito. – Varianti introdotte dal CCII: Il Codice ha arricchito l’istituto degli accordi di ristrutturazione con alcune varianti: – Accordi agevolati (art. 60 CCII): soglia di adesione ridotta al 30% dei crediti a condizione che l’accordo non preveda moratorie oltre 120 giorni per i non aderenti e il professionista attestatore confermi che anche senza il loro consenso quei creditori saranno pagati integralmente. Questa è una novità per incentivare i debitori ad usare l’accordo anche con minoranze: se il debitore ha liquidità o risorse per pagare integralmente i dissenzienti (magari perché i consenzienti accettano un forte sacrificio), non occorre convincere il 60% ma basta il 30%. È utile in casi dove pochi creditori grandi (30+%) sostengono il piano e vogliono “comprarsi” l’uscita degli altri. – Accordi ad efficacia estesa (art. 61 CCII): prevedono la possibilità di estendere gli effetti dell’accordo anche ai creditori dissenzienti appartenenti a una categoria omogenea di crediti finanziari, se aderisce almeno il 75% di quella categoria. Questa è mutuata dalle norme precedenti (c.d. accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari) e consente, ad esempio, se l’80% delle banche aderisce all’accordo, di estenderlo al 20% che non firma, con autorizzazione del tribunale. Un meccanismo simile a un cram down settoriale per evitare che poche banche dissenzienti blocchino l’operazione. – Accordi misti o con transazione fiscale: l’art. 63 CCII chiarisce che l’accordo può includere la proposta di transazione su debiti fiscali e contributivi, assimilando il trattamento previsto per il concordato . In base alle norme attuali, l’accordo con transazione fiscale segue per l’omologa le stesse regole di cram down fiscale del concordato (dopo le modifiche del 2021-2024): quindi se Agenzia Entrate o INPS non aderiscono, il tribunale può comunque omologare l’accordo (cosiddetto cram down fiscale negli accordi) qualora ritenga la proposta conveniente per il Fisco rispetto alla liquidazione . Già la L.159/2020 lo consentiva, il CCII e i successivi correttivi (D.Lgs 83/2022) lo hanno formalizzato . – Protezioni e benefici: depositata la domanda di omologazione, il debitore può chiedere al tribunale le stesse misure cautelari del concordato (sospensione delle azioni esecutive dei creditori). Durante le trattative, se pubblico l’avvio (ma spesso resta riservato), può chiedere di bloccare singoli atti esecutivi per arrivare alla soglia di adesioni. L’omologazione, inoltre, cristallizza le posizioni: eventuali ipoteche giudiziali iscritte dopo il deposito non hanno effetto se l’accordo viene omologato. Gli atti esecutivi compiuti in attuazione dell’accordo omologato sono protetti da revocatoria (analogamente al piano attestato). – Quando usarlo: l’accordo è indicato quando l’impresa è in crisi seria ma ancora recuperabile, e c’è accordo almeno con la maggioranza dei creditori. È preferibile al concordato quando si vuole evitare il voto assembleare di tutti i creditori (che in concordato può essere più imprevedibile) e quando si confida di poter pagare integralmente i piccoli creditori estranei (così da non doverli coinvolgere attivamente). Ad esempio, aziende con pochi grandi creditori (banche principalmente) fanno spesso uso dell’accordo di ristrutturazione: convincendo le banche e magari l’erario, e pagando i fornitori minori per intero subito dopo, risolvono la crisi senza passare per la procedura concorsuale completa. – Esempio pratico: Delta S.p.A. (costruttrice di macchinari) ha 10 banche finanziatrici. 8 di esse (rappresentanti il 85% dell’esposizione bancaria) concordano su un piano di rientro decennale rinunciando a interessi di mora; 2 banche minori non aderiscono. Delta raggiunge anche un accordo con i fornitori (60% taglio, ma molti di essi saranno poi pagati in parte con nuova finanza dei soci). Presenta un accordo ex art. 57 CCII con adesioni del 65% totale dei crediti. Il tribunale, verificato che i dissenzienti verranno pagati come da impegni (le 2 banche dissenzienti riceveranno comunque i pagamenti secondo contratto entro 120 giorni dall’omologa grazie a un nuovo finanziamento ponte), omologa l’accordo. Delta esegue i pagamenti pianificati e ritorna solvibile. In questo scenario, l’accordo ha consentito di evitare il fallimento con il consenso delle parti principali e la protezione del tribunale per spingere le minoranze ad accettare i pagamenti come da piano. Senza omologazione, quelle 2 banche avrebbero forse agito individualmente; con l’accordo, invece, hanno ricevuto il dovuto e la maggioranza ha accettato sacrifici garantiti dall’esecuzione integrale.
Vantaggi: soglia di consenso (60%) più bassa dell’unanimità richiesta di fatto dal piano attestato; omologazione giudiziaria che dà forza legale e protezione (sospensione azioni, esenzione revocatorie); possibilità di cram down fiscale e di estensione a minoranze finanziarie ; mantenimento di maggiore riservatezza rispetto a un concordato (non c’è convocazione di tutti i creditori in voto, ed è percepito come segnale di crisi meno forte). Svantaggi: richiede comunque un accordo sostanziale (non è imposta una ristrutturazione contro la volontà di grosse fette di creditori, tranne i piccoli estranei che però vanno pagati per intero); se la crisi è molto grave e serve abbattere drasticamente il debito chirografario, spesso conviene il concordato; costi di attestatore e procedura comunque presenti; un creditore strategico rilevante può paralizzare l’operazione non aderendo (a meno di meccanismi di efficacia estesa applicabili).
Nota sulle soglie dimensionali: solo imprenditori fallibili (non piccoli) possono usare l’accordo di ristrutturazione ex CCII, mentre i non fallibili hanno uno strumento analogo, l’“accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento” (ora integrato come accordo di ristrutturazione dei debiti del consumatore o dell’imprenditore minore), che segue regole un po’ diverse come percentuali di adesione (serve il 60% ma su base volontaria, con omologa giudiziale simile).
Composizione negoziata della crisi (strumento assistito, volontario)
Cos’è: La composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa (spesso abbreviata in CNC) è un procedimento introdotto nel 2021 (D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021) e ora disciplinato nel CCII, pensato per aiutare le imprese in condizioni di squilibrio a trovare un accordo di ristrutturazione in modo volontario, riservato e assistito da un esperto indipendente. Non è una procedura concorsuale, ma un percorso di negoziazione che l’imprenditore può attivare su base volontaria, richiedendo la nomina di un esperto terzo (iscritto in apposito elenco tenuto dalle Camere di Commercio) che lo affianchi nelle trattative con i creditori. La composizione negoziata è uno strumento peculiare del nuovo ordinamento italiano, nato in attuazione della direttiva UE 2019/1023 sul framework di ristrutturazione preventiva.
Caratteristiche: – Accesso: può richiederlo qualsiasi imprenditore commerciale o agricolo, di qualunque dimensione, quando si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da far presagire la crisi o l’insolvenza, ma esistono concrete prospettive di risanamento . Non serve essere già insolventi; anzi lo strumento è concepito per intervenire prima che l’insolvenza diventi irreversibile, però può essere usato anche da chi è già insolvente se ritiene di poter risanare (in quest’ultimo caso l’esperto valuterà con più rigore la perseguibilità). – Nomina dell’esperto: L’imprenditore presenta istanza tramite la piattaforma telematica (gestita dalle Camere di Commercio) fornendo dati aziendali, bilanci, una prospettiva di piano ecc. Un’apposita commissione nomina un esperto indipendente (spesso un commercialista o un manager con esperienza in risanamenti) che guiderà la composizione negoziata. L’esperto studia la situazione e convoca l’imprenditore per pianificare le trattative. Egli non ha poteri decisori, ma funge da facilitatore e garante di buona fede delle trattative. – Svolgimento riservato: Le trattative sono riservate e confidenziali. La composizione negoziata non viene iscritta nel registro imprese (salvo che l’imprenditore richieda misure protettive). Ciò permette di evitare il panico di mercato e mantenere rapporti con clienti e fornitori nel frattempo. L’esperto, l’imprenditore e i creditori principali si siedono a tavolo (fisico o virtuale) e valutano possibili soluzioni: ristrutturazione del debito, nuovi finanziamenti, cessione di rami d’azienda, modifiche organizzative, ecc. L’esperto può proporre incontri, chiedere ai creditori di formulare proposte o di astenersi da azioni che pregiudichino le trattative. – Durata: La legge prevede una durata di 180 giorni, prorogabili di ulteriori 180 se c’è prospettiva concreta di accordo (per un totale massimo di 1 anno). L’esperto, a intervalli regolari, valuta se ci sono possibilità di risanamento. Se capisce che non c’è intesa possibile o che l’impresa è destinata al fallimento, può interrompere la procedura. – Vantaggi legali: Pur essendo volontaria, la composizione negoziata offre alcuni benefici normativi all’imprenditore che la avvia: – Può chiedere al Tribunale (in via d’urgenza) misure protettive del patrimonio, ossia un blocco delle azioni esecutive dei creditori per la durata delle trattative (di regola 120 giorni prorogabili di altri 120). Il tribunale concede queste misure se le trattative appaiono giustificate e non pregiudicano ingiustamente i creditori. Durante tali misure, i creditori non possono iniziare o proseguire pignoramenti e non maturano cause di scioglimento societario per perdite (analogamente al concordato in bianco, gli articoli 2446, 2447, 2482-bis e ter c.c. sono sospesi) . – Gli amministratori conservano la gestione ordinaria; per gli atti straordinari durante le trattative è richiesta l’autorizzazione del Tribunale se ci sono misure protettive, altrimenti è sufficiente il confronto con l’esperto. – Eventuali finanziamenti nuovi ottenuti durante la composizione negoziata, se il piano di risanamento va avanti, godono di un favor in caso di fallimento successivo: possono essere prededucibili (se dichiarati tali dal tribunale) e non revocabili, per incentivare banche o soci a finanziare il salvataggio. – Se l’imprenditore rispetta le indicazioni dell’esperto e agisce in buona fede, difficilmente potrà essergli contestata una colpa grave per il ritardo di un eventuale successivo fallimento: in pratica, la composizione negoziata funge anche da ombrello protettivo sulla responsabilità dell’organo amministrativo che ha tentato seriamente il risanamento (il che è in linea con il dovere di esperire strumenti di regolazione). – Esito: La composizione negoziata può concludersi in vari modi: 1. Risanamento contrattuale: l’imprenditore e i creditori trovano un accordo stragiudiziale (che può essere formalizzato in contratti, quali piani attestati, accordi transattivi bilaterali). L’esperto redige una relazione finale positiva. A questo punto l’imprenditore può uscire dalla composizione negoziata e proseguire l’attività secondo i nuovi accordi. Ad esempio, possono sottoscriversi nuovi piani di rientro col supporto dell’esperto ma senza passare per l’omologa giudiziale. 2. Accesso a una procedura concorsuale “semi-pubblica”: se le trattative producono un progetto di accordo ma c’è bisogno di vincolarlo erga omnes, l’imprenditore può decidere di utilizzare l’esito della negoziazione per accedere ad un accordo di ristrutturazione ex art. 57 CCII o a un concordato preventivo. La legge facilita un passaggio agile: l’esperto, se lo ritiene, lo segnala e l’imprenditore può depositare una domanda di concordato o accordo (anche in continuità) basata sul lavoro già svolto. In particolare, se la composizione negoziata ha successo solo parziale, la normativa (D.Lgs 83/2022 e D.Lgs 136/2024) consente ora di proporre un piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO) ex art. 64-bis CCII come alternativa (questo è un nuovo strumento dove, analogamente ad un concordato, il tribunale omologa un piano anche senza votarlo, con adesione di 75% per classi di crediti, pensato proprio per dare uno sbocco concorsuale alle negoziazioni precedenti) . Inoltre, come già citato, dal 2024 è possibile inserire la transazione fiscale negli accordi raggiunti in composizione negoziata e chiedere l’omologa limitata di quella parte se serve (in pratica l’art.23 CCII nuovo). 3. Concordato semplificato per la liquidazione: se le trattative falliscono (l’esperto conclude che non c’è modo di risanare, ma l’azienda è insolvente), l’imprenditore ha la possibilità – entro 60 giorni dalla chiusura negativadel tavolo negoziale – di presentare un ricorso per concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio. Questo istituto, introdotto dall’art. 18 D.L. 118/2021 e ora recepito nel CCII transitoriamente, consente un concordato senza il voto dei creditori, con sola fase di omologazione, finalizzato a liquidare i beni sotto il controllo del tribunale e del commissario . È una sorta di “paracadute” finale per evitare il fallimento: l’imprenditore propone al giudice un piano di liquidazione dove magari individua già un acquirente dell’azienda o di asset a un certo prezzo, e ripartisce il ricavato tra i creditori secondo le priorità di legge. I creditori possono opporsi ma non votano; decide il tribunale se omologare in base all’equità e convenienza rispetto al fallimento. Il concordato semplificato è definito extrema ratio: come ha sottolineato la prassi, esso non è accessibile direttamente senza aver percorso la composizione negoziata . È un esito non fisiologico della composizione negoziata, da usarsi se proprio non c’è altra via . Questa procedura è stata utilizzata raramente finora, ma esiste e può proteggere l’imprenditore onesto che ha tentato invano le trattative: in tal caso, invece di attendere passivamente il fallimento, può lui stesso pilotare la liquidazione ottenendo magari qualche vantaggio (ad esempio una minor esposizione a responsabilità penale se collabora attivamente). 4. Archiviazione: se l’esperto valuta che non si arriverà a nulla (ad es. creditori indisponibili, debitore senza prospettive, ecc.), dichiara conclusa la composizione negoziata senza accordo. A quel punto l’imprenditore è libero di agire diversamente (può comunque scegliere di portare i libri in tribunale e chiedere la liquidazione giudiziale spontaneamente, oppure può cercare soluzioni informali rimaste).
Vantaggi della composizione negoziata: – Stragiudizialità assistita: l’impresa rimane padrona delle sue decisioni (non c’è spossessamento né commissario), l’esperto è lì per consigliare e mediare. Il carattere volontario e riservato fa sì che molte imprese preferiscano tentare prima questa strada piuttosto che finire sui giornali con un concordato. – Rapidità e flessibilità: non ci sono formalità rigide come piani votati, classi, ecc. Ogni trattativa può essere adattata. Si possono coinvolgere soggetti ulteriori (soci, nuovi investitori, banche) sotto la supervisione dell’esperto. Il tempo è relativamente breve (6 mesi prorogabili) il che aiuta a mantenere alta l’attenzione e non trascinare le negoziazioni all’infinito. – Misure protettive e incentivi: la possibilità di congelare i creditori (seppur con autorizzazione giudice) dà respiro per negoziare. Inoltre, la legge ha previsto incentivi: ad esempio, durante le trattative l’imprenditore può ottenere la sospensione delle obbligazioni contrattuali per eccessiva onerosità derivante da COVID (norma transitoria 2021, oggi non più attuale), o può accedere al fondo centrale per la ristrutturazione (uno speciale fondo ministeriale di garanzia). – Risoluzione efficace o dati di bilancio risanati: la Composizione negoziata, benché introdotta da pochi anni, sta avendo un certo successo. Dati aggiornati al novembre 2025 mostrano che è diventato uno strumento di riferimento: oltre 3.600 istanze presentate, di cui 423 imprese risanate con successo coinvolgendo 23.000 dipendenti . Gli esiti positivi sono in crescita: nel 2025 risultavano raddoppiati rispetto all’anno precedente . Questo significa che sempre più aziende trovano un accordo, salvandosi e salvando posti di lavoro, grazie a trattative facilitate. L’attrattività dello strumento risiede nei suoi vantaggi: volontarietà, tempistiche brevi per legge, trattative riservate, costi contenuti, salvaguardia della continuità, gestione diretta dell’impresa e possibilità di misure protettive . – Focus sulle PMI grandi e medie: i dati Unioncamere evidenziano che soprattutto le imprese medio-grandi ne fanno ricorso, e auspicano di estenderlo efficacemente anche alle piccole (magari semplificando ulteriormente procedure) .
Limiti: Non è una bacchetta magica – se l’impresa non ha proprio chance (es. modello di business obsoleto, passività enormi in confronto agli asset), difficilmente la CNC potrà cavare un ragno dal buco. Inoltre, alcuni creditori potrebbero ignorare le trattative, confidando di ottenere di più con azioni individuali: se costoro hanno un peso rilevante, la negoziazione può naufragare. In quei casi, l’esperto lo segnala e forse conviene ripiegare su un concordato, dove tutti sono costretti nel medesimo calderone. Altro limite è la mancanza di binding per i dissenzienti: la CNC in sé non produce un accordo vincolante per tutti a meno che non la si faccia sfociare in un accordo ex art.57 o in un concordato.
Quando usarla: è consigliabile attivarla presto, ai primi segnali seri di squilibrio, quando però l’impresa è ancora in piedi e persuadere i creditori che risanarla conviene a tutti. Ad esempio, un’azienda con tecnologie valide e portafoglio ordini buono ma sovraindebitata per investimenti sbagliati potrebbe, con la CNC, convincere un investitore ad entrare o le banche a rinegoziare, mostrando piani di rilancio. Se invece la crisi è già pubblica e la fiducia crollata, i creditori potrebbero essere meno propensi a sedersi al tavolo.
Concordato preventivo (procedura concorsuale con continuità o liquidazione)
Cos’è: Il concordato preventivo è la procedura concorsuale giudiziale che consente al debitore insolvente o in crisi di proporre ai creditori un piano di ristrutturazione o liquidazione con diverse modalità, soggetto all’approvazione (voto) dei creditori stessi e all’omologazione del tribunale. È uno strumento storico (introdotto nel 1942, rivisto più volte, da ultimo dal CCII Titolo III) e rappresenta, nell’immaginario, l’alternativa alla dichiarazione di fallimento: “mi metto in concordato” per evitare il fallimento. Il concordato può mirare o a rilanciare l’impresa in continuità oppure a liquidare l’attivo in modo controllato, a seconda dei casi.
Caratteristiche principali: – Presupposti soggettivi: possono chiederlo gli imprenditori commerciali (escluse micro-imprese sotto soglia, per le quali c’è il concordato minore) che si trovino in stato di crisi o insolvenza. Dunque anche qui vige l’estensione ai casi di semplice “crisi” (difficoltà prospettica) per favorire l’accesso anticipato. – Domanda “prenotativa”: la legge consente di presentare un ricorso di concordato con riserva (il c.d. concordato in bianco, ora art. 44 CCII) depositando pochi documenti essenziali e chiedendo tempo (30-60 giorni prorogabili fino a 120) per presentare il piano dettagliato . Il tribunale, accogliendo la domanda, nomina un commissario giudiziale e impone obblighi informativi periodici all’imprenditore, oltre a fissare il termine per il deposito del piano . In questo periodo, l’impresa gode delle protezioni del concordato (stop azioni esecutive, sospensione cause di scioglimento per perdite , ecc.) e può lavorare al piano con i suoi consulenti. Questa fase “prenotativa” è molto usata per congelare la situazione e guadagnare tempo, ad esempio per condurre trattative (spesso parallelamente a una composizione negoziata, se quella non ha concluso in tempo). – Formulazione del piano e classi: Al deposito, l’imprenditore presenta la proposta di concordato, il piano, la documentazione (elenco creditori, attivo, relazioni). Il piano può essere con continuità aziendale (cioè prevede che l’attività dell’impresa continui, direttamente o indirettamente tramite un assuntore) oppure liquidatorio (cessazione attività e liquidazione beni). Nel concordato in continuità, l’obiettivo è mantenere viva l’impresa – eventualmente vendendola o conferendola a un terzo – al fine di soddisfare i creditori con i proventi generati dalla prosecuzione dell’attività (in tutto o in parte). Nel concordato liquidatorio, invece, l’imprenditore si limita a proporre di vendere tutti i beni e distribuire il ricavato ai creditori (con eventualmente un assuntore esterno che apporta una somma per rilevare l’azienda o parti di essa). – In ogni caso, la proposta deve garantire ai creditori un soddisfacimento non inferiore a quello che otterrebbero in caso di liquidazione giudiziale (principio di convenienza). Un professionista attestatore deve dichiarare la fattibilità del piano e la sua convenienza rispetto all’alternativa fallimentare. – I creditori vengono suddivisi in classi se opportuno: raggruppamenti omogenei per posizione giuridica o interessi economici (es: una classe banche ipotecarie, una classe fornitori chirografari, una classe fideiussori, ecc.). La formazione di classi è obbligatoria se creditori con cause legittime di prelazione di grado diverso vengono alterati nei loro diritti, o se vi sono creditori con interessi economici disomogenei nel piano. Ad esempio, se al qualche creditore chirografo offro il 80% e ad altri solo 20%, dovrò separarli in classi. I crediti privilegiati (es. ipoteche) possono essere soddisfatti non integralmente solo se ne viene stimato incapiente in parte il valore (la parte incapiente va in classe chirografi). – Nella proposta, l’imprenditore può prevedere stralci (falcidie) e dilazioni sui crediti chirografari e (in continuità) anche su alcuni privilegiati col consenso del creditore o tramite transazione fiscale. Può anche includere capitali di terzi (nuova finanza, soci) o l’intervento di un assuntore (un soggetto che assume l’onere di eseguire il concordato in cambio di rilevare l’azienda pulita dai debiti residui). – Votazione dei creditori: Una volta ammessa la procedura e depositato il piano, il tribunale convoca i creditori in adunanza. Ogni classe di creditori vota la proposta. Per l’approvazione serve il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto (il 50%+1 in valore). Se ci sono classi, occorre la maggioranza in ciascuna classe, oppure – se una classe vota contro – esiste la possibilità di cram down transclassario: il tribunale può ugualmente omologare il concordato se ritiene che i creditori dissenzienti siano trattati non peggio della liquidazione (best interest test) e che almeno una classe abbia approvato e sia soddisfatta in misura adeguata (absolute priority rule rispettata per classi inferiori). Questo meccanismo, introdotto col CCII, consente di superare l’opposizione di una classe minoritaria di creditori se il piano nel complesso è equo. – Creditori privilegiati: se non soddisfatti integralmente, votano anch’essi per la parte di credito degradata a chirografo. Creditori con privilegio che vengono invece soddisfatti al 100% (capitale + interessi legali per ipoteche, e nei limiti di legge per altri privilegi) non votano e si considerano tacitamente favorevoli. – Transazione fiscale e voto Erario/INPS: nei concordati con debiti tributari o contributivi falcidiati, l’Agenzia delle Entrate e gli enti previdenziali partecipano al voto come creditori privilegiati o chirografari a seconda del caso. In passato il loro dissenso bloccava il concordato se non c’era la loro adesione formale alla transazione fiscale. Oggi, dopo varie evoluzioni normative e giurisprudenziali, il loro voto negativo non è più un veto insuperabile: grazie al D.L. 118/2021 e al D.Lgs. 136/2024, il tribunale può omologare il concordato anche in presenza di voto contrario del Fisco/INPS, se ritiene rispettato il requisito che l’erario riceva dal piano non meno di quanto avrebbe in un fallimento . Questo è stato confermato definitivamente anche dalla Cassazione (ord. 27782/2024) : il cram down fiscale vale sia in caso di silenzio che di espressa opposizione del Fisco. Tale orientamento ha risolto un precedente contrasto, adottando la tesi estensiva che consente l’omologa forzosa anche se l’Erario vota no , come spiegato nella Relazione Illustrativa del CCII e in pronunce di Cassazione 2021 (nn. 8504 e 35954) . L’ultima riforma del 2024 lo ha esplicitato nell’art. 88 CCII: per “mancanza di adesione” si intende anche il voto contrario , mettendo fine alle incertezze.
- Omologazione: se i creditori approvano (o anche senza approvazione unanime, ma con cram down nelle condizioni di legge), il tribunale esamina il piano e le eventuali opposizioni dei creditori dissenzienti e omologa il concordato con decreto motivato. Da quel momento il piano diventa vincolante per tutti i creditori anteriori. L’impresa prosegue sotto la sorveglianza degli organi nominati (commissario/giudice delegato) per l’esecuzione, se in continuità, oppure il liquidatore giudiziale procede a liquidare i beni se liquidatorio.
- Esecuzione e effetti finali: se l’imprenditore esegue correttamente il piano (pagando le percentuali promesse, nei tempi promessi), otterrà l’esdebitazione per la parte residua dei debiti chirografari falcidiati: questi debiti si intendono definitivamente cancellati. Se invece non adempie il piano, su istanza di un creditore o d’ufficio il tribunale può dichiarare il fallimento (liquidazione giudiziale) convertendo la procedura, e a quel punto si torna allo scenario liquidatorio tradizionale, con in più le spese e il tempo perduto.
- Concordato in continuità vs liquidatorio: le regole differiscono:
- Nel concordato in continuità, la legge richiede, oltre al rispetto del principio di convenienza, che i creditori ricevano almeno quanto otterrebbero dalla liquidazione tenendo conto del valore di impresa in continuità. C’è la possibilità di pagare parzialmente anche i creditori privilegiati se ciò è necessario per il risanamento e se comunque ricevono non meno del valore di realizzo in liquidazione (valutato al valore di mercato o valore di garanzia). Inoltre il piano in continuità può prevedere classi di trattamenti differenziati e può essere condizionato alla finanza esterna (che nel liquidatorio puro serve per garantire almeno il 20% ai chirografari, soglia obbligatoria).
- Nel concordato liquidatorio puro, il CCII (art. 84) impone, per l’ammissibilità, che sia garantito il pagamento di almeno il 20% dell’ammontare dei crediti chirografari. Questo per evitare concordati “troppo al ribasso”. Se però nel concordato liquidatorio c’è un apporto di risorse esterne (denaro nuovo) che incrementa significativamente l’attivo di almeno il 10%, la percentuale minima per i chirografari può scendere al 10%. Sono vincoli posti per legge come garanzia minima (sotto, si andrebbe comunque a fallimento). Nel concordato in continuità, queste soglie non si applicano (si presume che la continuità offra di per sé più valore, quindi anche se ai chirografari arriva meno del 20% ma comunque più che in fallimento, potrebbe essere ammissibile).
- Concordato con assuntore: una figura particolare è il concordato in cui un terzo (assuntore) assume l’onere di pagare i creditori concordatari (solitamente verso un corrispettivo, ad esempio gli vengono cedute le azioni/quote dell’azienda ristrutturata o gli vengono assegnati beni). L’assuntore è comune nelle strutture in cui un investitore rileva l’azienda e in cambio si fa carico di pagare la percentuale concordataria ai creditori. Ad esempio, un concorrente interessato potrebbe dire: prendo la società Alfa Srl, ne continuo l’attività, e pago io il 30% ai vecchi creditori. In tal caso i creditori voteranno il piano sapendo che c’è un soggetto (più solvibile) che garantirà il pagamento. Fiscalmente, tra l’altro, il CCII ha chiarito che nel concordato con assunzione il riferimento per calcolare l’IVA sulle cessioni beni è il valore netto e non l’ammontare lordo dei debiti (questo dettaglio è stato discusso in giurisprudenza nel 2025) .
- Novità correttivo 2024: Oltre al già citato chiarimento sul cram-down fiscale (art. 88 CCII come modificato) , il D.Lgs. 136/2024 ha introdotto migliorie al concordato preventivo:
- Maggiore flessibilità nell’accesso: ad esempio, la domanda prenotativa (art. 44 CCII) è stata modificata per prevedere che la proroga del termine per presentare il piano può essere concessa se risultano giustificati motivi comprovati dall’avanzamento di un progetto di piano . Questo per evitare proroghe facili: serve dimostrare di star lavorando seriamente al risanamento.
- Migliore coordinamento con il nuovo piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO): ora nell’istanza prenotativa si può anche dire che si opterà per un piano ex art. 64-bis, e i termini variano di conseguenza .
- Semplificazioni procedurali: ad esempio, l’art. 46 CCII è stato riformulato per chiarire gli effetti protettivi e alcune norme di coordinamento (anche col codice civile su perdite) .
- Nel concordato in continuità è stato chiarito il perimetro delle esenzioni da revocatoria per pagamenti di fornitori essenziali o per atti compiuti in esecuzione del piano autorizzati dal giudice.
Quando usare il concordato preventivo: – Quando la crisi/insolvenza è di entità tale che solo una procedura concorsuale può gestire tutti i creditori efficacemente (ad esempio troppi creditori perché un accordo privato regga, o necessità di falcidiare crediti erariali significativi con cram down). – Quando serve ristrutturare il debito forzosamente imponendo sacrifici anche ai non consenzienti, in modo equo. – Se l’obiettivo è salvare l’impresa ancora vitale ma liberarla da parte dei debiti, un concordato in continuità (specie con assuntore/investitore) è la strada tipica. Invece, se l’impresa non è più competitiva e si vuole solo liquidare evitando la dichiarazione di fallimento, il concordato liquidatorio può essere un modo (anche se con quei minimi del 20% come ostacolo da superare). – Da notare: il concordato richiede costi e tempi maggiori rispetto agli strumenti stragiudiziali; inoltre l’impresa viene “etichettata” come in procedura, con pubblicità legale e perdita di reputazione, e soggetta a scrutinio pubblico. Quindi va utilizzato quando necessario e con serie chance di esecuzione, non come semplice tattica dilatoria (queste ultime oggi trovano sbarramento nei tribunali più attenti, che revocano misure o inammissibilità quando vedono abuso).
Esempio sintetico: Azienda Epsilon Srl (100 dipendenti, settore metalmeccanico) ha 10 milioni debiti, attivi per 6 milioni. Ordini futuri buoni ma schiacciata dai debiti. Avvia un concordato in continuità: propone di pagare integralmente banche ipotecarie (5 milioni) in 5 anni, pagare debiti privilegiati erariali al 40% in 4 anni (transazione fiscale proposta) e chirografari (fornitori) al 25% in 5 anni. Un investitore esterno apporta 2 milioni cash per liquidità iniziale (finanza esterna). I dipendenti mantengono il posto. Il 75% dei crediti vota sì (banche favorevoli perché meglio che escutere garanzie e affossare l’azienda; fornitori convinti dalla prosecuzione dell’attività loro cliente). L’Agenzia Entrate vota no alla falcidia del 60%, ma il tribunale omologa lo stesso perché il piano offre al Fisco più di quanto otterrebbe dalla liquidazione (dove avrebbe preso forse 20%). Concordato omologato e, dopo 5 anni di vigilanza, Epsilon esce dal concordato risanata. – Questo scenario ipotetico mostra il concordato come strumento di salvataggio con sacrifici condivisi, reso possibile anche contro il parere iniziale del Fisco grazie alle norme sul cram down fiscale.
Vantaggi: coinvolge e vincola tutti i creditori (soluzione globale); consente falcidie importanti del debito; offre protezione immediata (stay) per continuare operatività; permette vari strumenti (continuità, vendite, finanza nuova, classi differenziate) modulabili sul caso concreto; prevede un controllo giudiziario che spesso dà fiducia ai creditori (c’è un commissario che vigila sull’impresa durante la procedura). Svantaggi: procedura complessa, lunga e costosa (onorari commissario, legali, attestatore, spese di giustizia); pubblicità negativa; perdita parziale di gestione (ogni atto straordinario deve essere autorizzato dal giudice); esito incerto (serve maggioranza voti; può darsi che i creditori rifiutino il piano); se fallisce il tentativo, il fallimento successivo è quasi inevitabile e aggravato dal tempo perso.
Liquidazione giudiziale (ex fallimento) e liquidazione controllata
Cos’è: La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale giudiziaria che ha preso il posto del “fallimento” dal 15 luglio 2022 con l’entrata in vigore del CCII. In sostanza, è la procedura con cui l’impresa insolvente viene spossessata del proprio patrimonio, che viene liquidato (venduto) sotto la direzione di un curatore nominato dal tribunale, per soddisfare in modo ordinato i creditori secondo le cause di prelazione. È l’extrema ratio quando non ci sono prospettive di risanamento. Per le imprese non fallibili (piccole o soggetti non fallibili) esiste una procedura analoga nel sovraindebitamento chiamata liquidazione controllata (disciplinata nel CCII per ex imprenditori minori, consumatori, professionisti insolventi).
Caratteristiche liquidazione giudiziale: – Presupposti: lo stato di insolvenza attuale (incapacità di soddisfare regolarmente le obbligazioni) di un imprenditore commerciale “non minore” (cioè che superi almeno uno dei parametri di fallibilità) . La domanda può provenire dal debitore stesso (istanza di autoliquidazione), da un creditore, o d’ufficio dal tribunale se in altra procedura emergono presupposti. Serve il requisito dimensionale: l’art. 121 CCII esclude la liquidazione giudiziale se il debitore dimostra di avere i requisiti di impresa minore (sotto soglie) . Inoltre resta l’esenzione per gli imprenditori non commerciali (professionisti, enti non profit, etc.) e per lo Stato ed enti pubblici . Le start-up innovative godono di una temporanea non fallibilità per i primi anni di vita (norme speciali prorogate di anno in anno). – Effetti: con sentenza dichiarativa di liquidazione giudiziale, l’imprenditore perde la gestione dell’impresa e l’amministrazione dei beni (lo spossessamento): subentra il curatore nominato dal tribunale, mentre il giudice delegato sovrintende la procedura. I debiti pregressi vengono cristallizzati; i creditori non possono più agire individualmente ma solo insinuarsi al passivo. L’impresa può continuare temporaneamente l’attività solo se il curatore ottiene autorizzazione all’esercizio provvisorio (ad es. per completare commesse vantaggiose, preservare valore dell’azienda in vista di cessione). – Procedimento: i creditori presentano domanda di insinuazione al passivo (entro termini fissati, di regola 30-60 giorni dalla sentenza) indicando i propri crediti e titoli di prelazione. Il curatore redige lo stato passivo, che viene verificato in udienza dal giudice delegato (eventuali esclusioni di crediti possono essere impugnate dai creditori esclusi). Il curatore nel frattempo raccoglie i beni, fa inventario e li mette in vendita (secondo un programma di liquidazione approvato dal comitato creditori). Le vendite si svolgono di solito tramite procedure competitive (aste) per massimizzare il ricavato. Il ricavato, dedotte le spese, viene ripartito tra i creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione: prima quelli con privilegio speciale sui singoli beni venduti (fino a concorrenza del ricavato di quei beni), poi eventuali privilegi generali (sul ricavato globale) e infine i chirografari pro-quota. Spesso i chirografari ricevono poco o nulla. A fine, il curatore presenta il rendiconto e si chiude la procedura. – Durata: varia moltissimo (da 1-2 anni per aziende piccole, fino a 5-10 anni per casi complessi con contenziosi). Uno degli scopi del CCII era velocizzare la chiusura: introdotto l’istituto della chiusura anticipata se la prosecuzione appare inutile per insufficienza attivo, e spinta alla vendita unitaria dell’azienda per salvaguardare la continuità (ad es. vendere l’impresa in esercizio a un acquirente è spesso preferibile che smembrarla; ricordiamo la possibilità del concordato fallimentare infra). – Esdebitazione dell’ex imprenditore: Novità rilevante degli ultimi anni (presente in LB dal 2012 e confermata nel CCII): l’imprenditore persona fisica dichiarato fallito può, a fine procedura, ottenere dal Tribunale la esdebitazione ossia la liberazione dai debiti residui non soddisfatti, purché abbia cooperato lealmente e non sia stato condannato per bancarotta fraudolenta o altri reati gravi . Questo è il cosiddetto “fresh start” per il fallito onesto e sfortunato. Ovviamente non vale per le società, che una volta liquidate e cancellate cessano di esistere (non c’è un “fresh start” per l’entità societaria). Ma per gli imprenditori individuali e per i soci illimitatamente responsabili (dopo il fallimento esteso) è un istituto importante: consente di ripartire senza la zavorra dei debiti insoddisfatti (che sarebbero altrimenti inesigibili comunque, ma formalmente elimina l’obbligo). – Concordato fallimentare (concordato nella liquidazione giudiziale): Anche dopo l’apertura di un fallimento/liquidazione giudiziale, può intervenire un accordo: un terzo o gli stessi creditori possono proporre un concordato che eviti la prosecuzione della liquidazione. Ad esempio un terzo può offrire una somma da distribuire se si chiude anticipatamente il fallimento e l’azienda gli viene ceduta. I creditori votano su questa proposta, e se approvata e omologata, la procedura concorsuale si chiude prima. Questo strumento esiste (ex art. 48-50 CCII) ed è un’altra opportunità per soluzioni in extremis. Perfino senza l’ok del Fisco si può fare, come notato anche di recente (c.d. “sì al concordato fallimentare senza ok del Fisco”).
Liquidazione controllata (ex procedura di sovraindebitamento): – È analoga alla liquidazione giudiziale ma per soggetti che non potrebbero essere assoggettati al fallimento (consumatori, professionisti, imprenditori minori). Viene nominato un liquidatore e si liquidano i beni con criteri simili. La grande differenza è che la liquidazione controllata può essere attivata anche volontariamente dal debitore sovraindebitato, ed è spesso finalizzata anch’essa all’esdebitazione finale. Ad esempio un piccolo imprenditore sovraindebitato può chiedere la propria liquidazione controllata, mettere a disposizione il suo patrimonio e dopo la liquidazione chiedere la liberazione dai debiti. I creditori qui non votano (è una procedura di legge, l’alternativa sarebbe l’esecuzione individuale scomposta).
In qualunque caso di liquidazione giudiziale/controllata, per i debitori è più che mai importante la trasparenza: condotte fraudolente o poco collaborative durante la procedura possono comportare sanzioni penali (bancarotta) e far perdere benefici come l’esdebitazione.
Quando la liquidazione giudiziale è inevitabile? Quando l’impresa è chiaramente insolvente e nessun piano fattibile di risanamento è all’orizzonte. Oppure quando gli stessi creditori perdono fiducia e preferiscono chiedere il fallimento per vedere nominato un curatore che faccia cassa e distribuisca quanto possibile. Molte volte la si cerca di evitare, ma ci sono situazioni in cui il concordato non passerebbe, gli accordi non si trovano, e proseguire l’attività sarebbe aggravare il danno: in tali casi anche l’imprenditore corretto dovrebbe egli stesso presentare istanza di fallimento, per interrompere l’emorragia e avviare la procedura liquidatoria ordinata (questo può ridurre anche i rischi penali per bancarotta semplice da aggravamento).
Esempio: Zeta Srl è insolvente, nessun investitore all’orizzonte, macchinari obsoleti, i fornitori non consegnano più nulla. Tentare un concordato non avrebbe senso perché non c’è flusso per pagare neppure un 10%. In questi casi, la liquidazione giudiziale è la conclusione necessaria. I creditori (banche e fornitori) la richiedono; il tribunale la dichiara; un curatore vende l’immobile aziendale e pochi macchinari, ricavando un 30% per soddisfare le banche ipotecarie, nulla ai fornitori. – Come si vede, qui non c’era altra via.
Vantaggi: dall’ottica del sistema, la liquidazione giudiziale garantisce parità di trattamento (par condicio) e ordine nel pagamento dei creditori, evitando la corsa disordinata alle esecuzioni. Inoltre può portare a emersione di responsabilità (il curatore indaga su cause del dissesto, possibili azioni di responsabilità contro amministratori, sindaci o altri, e su atti revocabili). Dal punto di vista del debitore imprenditore onesto, il vantaggio (unico) è la prospettiva di esdebitazione personale a fine procedura, e la chiusura definitiva di una situazione divenuta insostenibile. Svantaggi: il controllo dell’impresa è perso; l’attività spesso cessa o viene venduta a pezzi (a meno di esercizio provvisorio mirato a vendita unitaria); i soci perdono il capitale e probabilmente l’intero valore economico del loro investimento; se soci illimitatamente responsabili, come visto, subiscono il fallimento personale. Inoltre, i tempi e costi sono alti, e i creditori chirografari in media recuperano percentuali minime (talora zero). Per la collettività, c’è la perdita di un’impresa, posti di lavoro, gettito fiscale futuro. Per questo motivo le procedure di risanamento descritte prima vengono incentivate: la liquidazione giudiziale è un po’ il fallimento del sistema, a cui si ricorre solo se il salvataggio non è possibile.
Abbiamo così passato in rassegna tutti i principali strumenti: dal piano attestato e dagli accordi stragiudiziali completamente volontari, alla composizione negoziata assistita, poi alle procedure giudiziali come il concordato preventivo (in varie forme), e infine la liquidazione giudiziale. Nella Tabella 3 offriamo un colpo d’occhio comparativo fra questi strumenti:
Tabella 3 – Confronto sintetico tra strumenti di regolazione della crisi d’impresa
| Strumento | Normativa | Natura | Soglia consenso | Ruolo tribunale | Obiettivo | Vincolo per creditori |
|---|---|---|---|---|---|---|
| Piano attestato di risanamento | Art. 56 CCII (ex art. 67 L.F.) | Stragiudiziale puro; accordo privatistico con attestazione indipendente | Adesione volontaria di ciascun creditore (nessuna soglia fissa; efficacia solo tra aderenti) | Tribunale non coinvolto (se non per data certa) | Risanare l’impresa evitando insolvenza; dare esecuzione a un piano concordato con principali creditori | Solo creditori aderenti sono vincolati (dissenzienti restano fuori con diritti intatti) |
| Accordo di ristrutturazione dei debiti | Artt. 57-64 CCII (ex 182-bis L.F.) | Stragiudiziale con omologazione; procedura negoziata con giudice | ≥ 60% crediti (o 30% in forma agevolata) devono aderire; poss. estensione a finanziari dissenzienti con 75% categoria | Tribunale omologa l’accordo; può concedere misure protettive su richiesta | Risanamento o ristrutturazione del debito, eventualmente proseguendo attività | Vincola i creditori aderenti; i non aderenti vanno pagati regolarmente (no stralcio forzato, salvo categorie finanziarie con efficacia estesa) |
| Composizione negoziata | D.L. 118/2021 conv. L.147/21; artt. 12-25 CCII | Procedura volontaria e riservata di negoziazione assistita da esperto | Nessuna soglia; basata su consenso individuale nelle trattative | Tribunale solo se richieste misure protettive o autorizzazioni atti; no omologazione finale salvo sbocco in concordato/accordo | Trovare accordi (stragiud. o preludio a accordo/concordato); evitare la crisi o preparare soluzione concordataria | Non impone accordi se non raggiunti; creditori liberi di aderire o no. Se accordo trovato, formalizzarlo via contratto o procedura concorsuale per vincolare dissenzienti |
| Concordato preventivo | Artt. 40-120 CCII (ex L.Fall. Capo V) | Procedura concorsuale giudiziale con voto creditori e omologa | > 50% crediti ammessi al voto (maggioranza semplice delle somme; se classi, maggioranza in ogni classe o cram down su classe dissenz.) | Tribunale ammette, nomina commissario, omologa previo voto; controllo giudiziario stringente | Due tipi: Continuità (salvataggio azienda) o Liquidatorio (vendita beni); in ogni caso, soluzione concorsuale dell’insolvenza con pagamento parziale debiti | Vincola tutti i creditori anteriori (anche dissenzienti) all’esito omologa; creditori privilegiati vincolati se soddisfatti come da piano/ legge; Fisco e enti pubblici vincolati anche se votano contro (cram-down) |
| Concordato semplificato (liquidazione) | Art. 25-sexies CCII (transitorio) | Procedura concorsuale senza voto (solo omologa) successiva a composizione negoziata fallita | Non previsto voto; è proposta unilaterale del debitore; creditori possono solo fare osservazioni/opposizioni | Tribunale valuta ed eventualmente omologa (se piano liquidazione equo e non pregiudizievole rispetto a fallimento) | Liquidazione ordinata del patrimonio sotto controllo giudice, evitando fallimento | Vincola tutti i creditori (come fallimento) secondo quanto previsto nel piano omologato (che di solito prevede vendita beni e riparto); creditori non possono opporsi se non con osservazioni; no voto deliberativo |
| Liquidazione giudiziale (Fallimento) | Artt. 121-270 CCII (ex L.Fall.) | Procedura concorsuale pubblica, office-driven (curatore) | Nessun consenso richiesto: è provvedimento giudiziario su insolvenza | Tribunale dichiara con sentenza; organi concorsuali (giudice delegato, curatore) amministrano e liquidano; giudice sovrintende, poi chiude | Liquidare tutto l’attivo e distribuire ai creditori secondo prelazioni; chiudere attività | Coinvolge tutti i creditori automatic. (divieto azioni individuali); i creditori ricevono % secondo rango; procedura esecutiva collettiva coattiva |
| Liquidazione controllata (sovraindebitamento) | Artt. 268-277 CCII (ex L.3/2012) | Procedura concorsuale per non fallibili, simile a fallimento ma su richiesta volontaria o istanza creditori limitati | Nessun voto; decisione giudice su insolvenza sovraindebitato | Tribunale/giudice nomina liquidatore e controlla; provvedimento di apertura e chiusura | Liquidare i beni del debitore sovraindebitato e poi esdebitazione (persone fisiche) | Coinvolge tutti i creditori, che partecipano al riparto; stop azioni individuali; creditori insoddisfatti poi inesigibili (dopo esdebitazione) |
(Legenda: CCII = Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, D.Lgs. 14/2019; L.Fall. = Legge Fallimentare 1942, abrogata dal CCII; sovraindebitamento = procedure per soggetti non fallibili.)
Come si evince, la scelta dello strumento dipende dalla situazione specifica: gravità della crisi, composizione del ceto creditorio, possibilità di continuità aziendale, fabbisogno di finanziamenti, tempi disponibili e volontà dell’imprenditore di mantenere il controllo. In generale: – Se l’azienda è ancora valida e basta ristrutturare il debito con l’accordo dei maggiori creditori: meglio soluzioni stragiudiziali (piano attestato, accordo 182-bis) o composizione negoziata. – Se occorre coinvolgere forzosamente tutti i creditori in un piano di risanamento: concordato preventivo in continuità. – Se l’azienda non è salvabile ma si vuole evitare il disordine: concordato liquidatorio (magari con assuntore) oppure concordato semplificato dopo comp. negoziata. – Se ormai non c’è nessuna speranza né proposta concreta: liquidazione giudiziale.
Nel capitolo successivo, dal punto di vista pratico del debitore, affronteremo come prepararsi e muoversi in queste diverse situazioni, con consigli operativi, possibili domande frequenti (FAQ) e risposte, e infine esamineremo alcune simulazioni di scenari tipici di difesa dell’imprenditore indebitato.
Strategie pratiche del debitore: prevenire, gestire o affrontare l’insolvenza
Dal punto di vista del debitore (imprenditore o società), le strategie per difendersi dai debiti e dai creditori si articolano in tre fasi temporali: prevenzione della crisi (evitare di arrivare a una situazione insostenibile), gestione della crisi se questa insorge (adottare rimedi tempestivi per salvare l’impresa), e affrontare l’insolvenza conclamata (qualora il risanamento non sia più possibile, gestire la liquidazione in modo ordinato e limitando i danni).
Prevenire la crisi: buone prassi e early warning
La migliore difesa contro i debiti fuori controllo è non accumularli oltre la capacità dell’impresa. Ciò richiede: – Assetti organizzativi adeguati: come discusso, avere strumenti di pianificazione finanziaria e controllo di gestione (budget, cash flow forecast, sistemi di allerta interni). Ad esempio, monitorare costantemente DSO (giorni incasso crediti), DPO (giorni pagamento fornitori), scaduti fiscali, ecc. permette di individuare trend negativi (clienti che pagano in ritardo, magazzino che cresce invenduto, ecc.) e agire prima. Un amministratore prudente stabilisce indicatori chiave (KPI) e li verifica mensilmente, e allerta i soci e i consulenti se nota un deterioramento. – Capitalizzazione congrua: evitare di operare con mezzi propri risicati e leva eccessiva. Molte PMI italiane sono sotto-capitalizzate e vivono di fidi bancari: basta un calo di fatturato o un ritardo incassi per innescare crisi di liquidità. L’imprenditore dovrebbe reinvestire utili in azienda nei periodi buoni, per creare buffer. Inoltre, se si affrontano investimenti grandi, valutare aumenti di capitale (anche con nuovi soci) invece di solo debito. Una regola empirica è mantenere un rapporto Debt/Equity sostenibile per il settore. – Diversificazione fonti e gestione scadenze: non dipendere da un solo fornitore (rischio blocco produzione in crisi) né da un solo cliente (rischio insolvenza di quest’ultimo). Stipulare contratti di fornitura e di credito opportunamente scaglionati: ad esempio, se possibile negoziare con la banca linee a medio termine invece di eccesso di fido a revoca. Allungare il profilo del debito riduce il rischio di crisi di liquidità. – Cauto ricorso al credito “facile”: strumenti come il factoring o l’anticipo fatture aiutano il cash flow, ma creano anche impegni rigidi. Evitare pratiche come pagare fornitori stabilmente in ritardo e coprire con nuovi debiti, o indebitarsi per versare dividendi (purtroppo accade). Queste scelte portano a crescite artificiose seguite da crolli. – Assicurazioni e garanzie: valutare polizze crediti commerciali (per proteggersi da insolvenza clienti), nonché cauzioni assicurative invece di fideiussioni personali verso terzi ove possibile. Ciò sposta il rischio e preserva il patrimonio personale dell’imprenditore in caso di inadempienze. – Relazione trasparente con i finanziatori: se si hanno rapporti di fiducia con la banca principale o investitori, condividerle informazioni ed eventuali difficoltà incipienti può portare ad azioni congiunte (moratorie, nuovi apporti) prima che la situazione degeneri. Molte crisi irreversibili sono tali perché l’imprenditore ha nascosto i problemi troppo a lungo finché sono esplosi all’improvviso. – Monitorare indicatori di allerta esterna: il CNDCEC ha elaborato specifici indici di allerta (es. indice di sostenibilità oneri finanziari, indice di liquidità, ecc.). Pur non essendo obbligatori in questo momento (l’entrata in vigore formale degli strumenti di allerta esterni è stata più volte rinviata), l’imprenditore può calcolarli periodicamente. Ad esempio: Patrimonio Netto negativo è segnale grave; Oneri finanziari/ricavi > 5% e Liquidità corrente/Passivo corrente < 1 sono altri campanelli. Se si superano certi parametri, è ora di correre ai ripari con misure di risanamento o ristrutturazione del debito volontaria.
Se, nonostante tutte le cautele, la crisi inizia a manifestarsi (p.es. tensione di cassa costante, ritardi nei pagamenti non più episodici, banche che riducono fidi, fornitori che spingono), allora bisogna agire tempestivamente: – Coinvolgere subito un professionista esperto in ristrutturazioni (es. un advisor finanziario o legale specializzato) per avere un check-up esterno e impostare un piano di azione. – Tagliare i costi e preservare la cassa: intervenire su spese discrezionali, dis### Gestire la crisi incipiente: interventi tempestivi Se, nonostante le cautele, l’azienda entra in fase di crisi (tensione di cassa persistente, ritardi sistematici nei pagamenti, banche che riducono gli affidamenti, fornitori in allarme), l’imprenditore deve agire rapidamente per contenere i danni e tentare il risanamento. Alcune mosse pratiche:
- Coinvolgere professionisti esperti: appena i segnali di crisi diventano chiari, è saggio consultare un advisor finanziario e un legale specializzati in ristrutturazioni. Un occhio esterno aiuterà a valutare se la crisi è gestibile e con quali strumenti (piano interno, accordi, procedure). Inoltre, consulenti esperti conoscono le ultime normative e prassi (come la composizione negoziata) e potranno assistere nei rapporti con i creditori e con il tribunale se necessario.
- Monitorare il cash flow e tagliare costi non essenziali: va elaborato immediatamente un piano di cassa a breve termine (13 settimane, ad esempio) per stimare entrate/uscite e individuare il punto di rottura. Bisogna ridurre o sospendere le spese non indispensabili alla continuità: marketing non strategico, consulenze non critiche, straordinari del personale, investimenti espandibili. È importante preservare la liquidità per pagare ciò che tiene in vita l’impresa (materie prime, stipendi, fornitori strategici, utenze) e le posizioni che, se lasciate insolute, generano conseguenze legali gravi (es. IVA, ritenute fiscali e contributive). Ad esempio, potrebbe convenire pagare entro i termini l’IVA corrente e posticipare invece il pagamento di fornitori disponibili ad aspettare, per evitare debiti fiscali “pericolosi”. Oppure, se l’azienda occupa stabilimenti in affitto molto onerosi non utilizzati a pieno, valutare la riduzione di spazi o la rinegoziazione del canone col locatore.
- Disinvestire asset non core e razionalizzare: vendere beni non strategici per fare cassa (immobili non utilizzati, veicoli eccedentari, macchinari obsoleti). Occorre però fare attenzione: le vendite a terzi devono avvenire a valore di mercato, con corrispettivo che entri in azienda, per non essere contestate più tardi come distrazioni o operazioni in frode. Meglio se autorizzate dall’esperto (in composizione negoziata) o dal tribunale (in caso di concordato prenotativo) se la situazione è già in procedura. Altro aspetto: concentrare l’attività sul core business più redditizio, tagliando linee di prodotto o filiali in perdita, anche tramite cessione se possibile. Questo “dimagrimento” aziendale spesso è necessario per salvare il resto.
- Coinvolgere soci e nuovi investitori: i soci attuali dovrebbero, se ne hanno la possibilità, valutare immissioni di finanza fresca nella società (equity o finanziamenti postergati) per tamponare la crisi. Un loro contributo è visto positivamente anche dai creditori, come segnale di fiducia e assunzione di responsabilità. Se i soci non possono o non vogliono, l’imprenditore può cercare investitori terzi interessati: un concorrente, un fondo di rilancio, un partner industriale. Ciò può avvenire vendendo quote/azioni (equity) o cedendo rami d’azienda. La composizione negoziata e il concordato in continuità permettono accordi con investitori – ad esempio il terzo investitore potrebbe fungere da assuntore nel concordato, o da finanziatore prededucibile.
- Dialogo con le banche e i creditori chiave: non bisogna sparire o tacere. È opportuno incontrare i principali creditori (banche, factor, fornitori maggiori) per spiegare la situazione e illustrare un piano di ristrutturazione, chiedendo respiro. Le banche, in particolare, preferiscono spesso rinegoziare (allungare i piani di ammortamento, concedere periodi di pre-ammortamento) piuttosto che trovarsi con un sofferenza a bilancio. Molte banche dispongono di unità interne specializzate in “clienti in ristrutturazione” con cui trattare. Anche i fornitori, se vedono serietà e prospettive di continuità, possono accettare di dilazionare i pagamenti o applicare sconti a saldo e stralcio. Trasparenza e credibilità sono essenziali: presentare dati realistici e magari l’attestazione di un esperto sul piano proposto aumenta le chance di ottenere accordi stragiudiziali.
- Gestire i rapporti di lavoro: se la crisi incide sul pagamento degli stipendi o richiede riduzione di personale, coinvolgere presto i lavoratori e i sindacati (se presenti) in modo costruttivo. Strumenti come la Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria per crisi aziendale possono alleviare il costo del lavoro temporaneamente, preservando l’occupazione mentre si ristruttura. In un concordato in continuità, il trattamento dei crediti dei dipendenti (che sono privilegiati) dev’essere attentamente pianificato: spesso conviene pagarli integralmente, magari in più tranche, per mantenere la forza lavoro motivata e per ragioni morali oltre che legali. I dipendenti, informati della crisi, vanno rassicurati sulla volontà di salvaguardare l’impresa: la fuga di personale chiave potrebbe far naufragare qualunque piano di risanamento.
- Considerare gli strumenti di regolazione formalizzati: se la crisi supera una certa soglia di gravità, non aspettare oltre a utilizzare gli strumenti giuridici disponibili. Ad esempio, se l’accordo con i creditori non è raggiungibile spontaneamente entro pochi mesi, valutare la composizione negoziata con la nomina di un esperto indipendente (può essere attivata senza pregiudizio, e anzi, come visto, con diversi vantaggi ). Oppure, se serve immediatamente proteggersi dai pignoramenti di creditori aggressivi, considerare il concordato “in bianco” (deposito art. 44 CCII) per congelare tutto e guadagnare tempo sotto l’egida del tribunale. L’errore più comune è l’inerzia: sperare che “qualcosa accadrà” e intanto i debiti lievitano, i creditori perdono pazienza, e si bruciano risorse che potevano essere meglio impiegate in un piano. Molto meglio agire quando l’impresa ha ancora un po’ di cuscinetto finanziario e di credibilità negoziale, che non alla vigilia del tracollo totale.
Affrontare l’insolvenza conclamata: scelte finali e condotta
Se tutte le misure di gestione della crisi non riescono a invertire la rotta e l’insolvenza diviene conclamata (l’impresa non paga più sistematicamente i debiti ed è sommersa dalle azioni esecutive), occorre prendere atto della situazione ed evitare ulteriori danni. Dal punto di vista del debitore, “affrontare” l’insolvenza in modo corretto significa: – Optare per la procedura concorsuale appropriata: In caso di insolvenza irreversibile, il debitore può comunque scegliere come uscirne. Se esistono ancora margini per un accordo con i creditori su una liquidazione ordinata, il debitore potrebbe proporre un concordato preventivo liquidatorio (magari con l’intervento di un assuntore che apporti risorse per rilevare quel poco di buono rimasto). Questo può offrire percentuali leggermente migliori ai chirografari e chiudere la vicenda più rapidamente rispetto a un fallimento. Se invece non c’è nulla da negoziare, presentare istanza di liquidazione giudiziale volontaria (il “vecchio” autofallimento) può dimostrare buona fede e far partire prima la procedura di liquidazione, evitando accumulo di ulteriori debiti. Ricordiamo che un concordato semplificato post-composizione negoziata può essere un’opzione se si era seguita quella via: esso consente di evitare il voto dei creditori ma richiede comunque l’omologazione del tribunale e un piano di liquidazione credibile . – Cooperare con gli organi della procedura: Una volta nominato un commissario giudiziale (in concordato) o un curatore (in fallimento), l’organo amministrativo/soci devono collaborare lealmente: consegnare documenti, fare dichiarazioni veritiere, segnalare beni e creditori omessi. Questa cooperazione è fondamentale per beneficiare di possibili esdebitazioni future e per evitare guai peggiori. Ad esempio, consegnare scritture contabili ordinate evita l’accusa di bancarotta semplice per irregolare tenuta dei libri. Fornire spiegazioni su atti compiuti riduce il sospetto di intenti fraudolenti. Se emerge che l’amministratore ha occultato beni o falsificato documenti, sarà quasi certa un’incriminazione per bancarotta fraudolenta, con pene molto gravi e interdizioni. – Valutare l’azione di sovraindebitamento personale: Se il fallimento della società lascia l’imprenditore (persona fisica) oberato di debiti personali (ad es. per fideiussioni escusse, o per debiti personali di altra natura), può essere opportuno valutare dopo la chiusura della procedura anche un percorso di esdebitazione personale. Nel fallimento (liquidazione giudiziale) l’esdebitazione del fallito non è automatica: va richiesta e il tribunale la concede se il fallito ha collaborato e non ha frodi a suo carico . Nel sovraindebitamento, esiste la possibilità di esdebitazione del debitore incapiente anche senza attivo, purché meritevole. Ciò significa che, superata la crisi dell’impresa, l’individuo può trovare un proprio “fresh start” normativo liberandosi dai debiti residui e potendo ripartire da zero . – Ricominciare evitando gli errori passati: Dopo un fallimento o concordato liquidatorio, l’imprenditore (se non interdetto da procedure penali) può tornare a fare impresa. Sarà però fondamentale fare tesoro degli errori che hanno portato alla crisi: dotarsi sin da subito di un assetto contabile adeguato, non abusare del credito, coinvolgere partner finanziari solidi, e magari scegliere forme societarie che proteggano il patrimonio personale (se prima operava come ditta individuale o snc, valutare l’uso di una srl, ecc.). Il legislatore non vuole distruggere l’iniziativa economica dell’imprenditore sfortunato: anzi, tramite l’esdebitazione incoraggia la seconda chance. Le statistiche mostrano che molti imprenditori imparano e hanno successo al secondo tentativo, a patto di non reiterare comportamenti azzardati.
In tutti i casi, affrontare con dignità e legalità la fine dell’impresa è preferibile a tentare colpi di coda illeciti. Un imprenditore che riconosce la sconfitta e collabora potrà un domani risollevarsi; uno che fugge o froda rischia invece pene e preclusioni di lungo termine (come l’inabilitazione all’esercizio di impresa per diversi anni, ex art. 340 CCII, in caso di bancarotta fraudolenta). Inoltre, ricordiamo che i creditori non spariscono: un comportamento fraudolento potrebbe far sì che quei debiti non vengano mai perdonati (ad es. l’esdebitazione può essere negata se il debitore ha tenuto comportamenti dolosi verso i creditori).
Simulazione pratica finale: Omega Srl, indebitata, tenta la composizione negoziata ma l’esperto constata che nessun piano è sostenibile; l’azienda non ha ordini da mesi. Omega e i suoi soci decidono di non proseguire l’attività. Con l’aiuto del professionista, presentano ricorso per liquidazione giudiziale in proprio. Il tribunale dichiara il fallimento; i soci consegnano documenti e chiavi al curatore il giorno stesso, indicando persino un magazzino dimenticato. Il curatore, terminata la liquidazione, rileva la correttezza del loro operato. I soci persone fisiche otterranno l’esdebitazione dei debiti a loro carico e potranno dedicarsi ad altre iniziative, avendo chiuso con onore la vicenda. – In questo scenario, affrontare l’insolvenza di petto, senza sotterfugi, ha permesso una chiusura rapida e la possibilità di ripartire.
Domande frequenti (FAQ)
D. Cos’è esattamente una transazione fiscale e come può aiutarmi con i debiti verso il Fisco?
R. La transazione fiscale è uno strumento che consente di ristrutturare i debiti tributari e contributivi all’interno di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione. In pratica, il debitore propone all’Agenzia delle Entrate (e/o all’INPS) di pagare in parte e/o in forma dilazionata i tributi dovuti, includendo anche imposte normalmente “inderogabili” come l’IVA e le ritenute fiscali. Ad esempio, può offrire di pagare solo il 50% dell’IVA dovuta, oppure di pagare le ritenute in 5 anni senza sanzioni. Questo è possibile solo presentando un piano attestato che dimostri che il Fisco riceve almeno quanto otterrebbe in un fallimento. In passato (prima del 2020) l’IVA e le ritenute non potevano essere falcidiate (ridotte nell’importo capitale) ma solo dilazionate; la legge di fine 2020 ha rimosso questo divieto, purché la convenienza per il Fisco sia attestata. Dunque oggi si può proporre un taglio anche dell’IVA. Se il Fisco (o l’INPS) non accetta la proposta, il tribunale può comunque omologare il concordato o l’accordo se ritiene che la proposta sia equa (cosiddetto “cram down fiscale”) . Ad esempio, una recente ordinanza della Cassazione (27782/2024) ha confermato che il giudice può approvare un concordato con transazione fiscale anche se l’Agenzia Entrate ha votato no, a condizione che il piano dia al Fisco almeno ciò che recupererebbe liquidando i beni . In sostanza, la transazione fiscale è uno strumento cruciale per ridurre il peso di debiti erariali e contributivi in sede di procedura concorsuale, laddove un tempo essi dovevano essere pagati per intero o la procedura non andava in porto. Fuori dalle procedure (in via amministrativa ordinaria) l’unica via per alleggerire i debiti fiscali sono le definizioni agevolate/rottamazioni periodiche decise per legge (ad esempio la rottamazione-quater 2023 ha condonato sanzioni e interessi su ruoli fiscali fino al 2017 ), ma se non c’è una legge speciale attiva, il Fisco non può da sé accordare sconti sul capitale dovuto.
D. Quali debiti posso “tagliare” in un concordato e quali devo pagare obbligatoriamente?
R. In un concordato preventivo, i debiti si distinguono in base alle cause di prelazione: – I debiti con privilegio, pegno o ipoteca devono essere in linea di massima pagati integralmente, almeno fino a concorrenza del valore di realizzo dei beni su cui hanno garanzia. Se il piano prevede di sacrificarli (pagandoli meno del 100%), occorre rispettare condizioni stringenti: ad esempio, si può pagare un ipotecario al 80% solo se si dimostra che, vendendo il bene ipotecato, quel creditore otterrebbe solo l’80% (quindi il restante 20% è credito “in chirografo”). Diverso è se il creditore privilegiato acconsente volontariamente a una falcidia maggiore (cosa che può avvenire, ad esempio, con banche che accettano di ridurre il credito garantito per favorire il risanamento). Senza consenso, non si può imporre una falcidia sul capitale ai creditori privilegiati oltre la capienza del loro pegno/ipoteca: la parte capiente è intoccabile, la parte eccedente (che diventerebbe chirografa) può essere falcidiata anche totalmente come un qualunque credito chirografario. – I debiti chirografari (non garantiti) possono essere ristrutturati liberamente: il piano può prevedere che ricevano solo una percentuale (10%, 30% ecc.) e anche con un pagamento dilazionato negli anni. La legge fissa per il concordato liquidatorio una soglia minima del 20% , ma nei concordati in continuità non c’è soglia legale (in teoria anche meno del 20%, se giustificato dalla convenienza rispetto al fallimento). In ogni caso, se la percentuale offerta è troppo bassa, c’è il rischio che i creditori votino contro, quindi deve essere frutto di un equilibrio. Le sanzioni e interessi di mora sono considerati chirografari puri e spesso vengono azzerati: ad esempio, in una transazione fiscale si paga una parte del tributo e degli interessi legali, ma le sanzioni vengono usualmente annullate (la legge le mette all’ultimo posto). – Ci sono poi debiti che vanno sempre pagati integralmente, a prescindere, perché così prevede la legge: rientrano in questa categoria i debiti per ritenute previdenziali dei lavoratori (contributi trattenuti dalle buste paga dei dipendenti), i quali in transazione contributiva si possono solo dilazionare ma non ridurre nel capitale. Anche il TFR dei dipendenti va riconosciuto integralmente (è privilegio sul 100% del suo importo). I debiti di massa (cioè contratti e spese della procedura stessa, come forniture durante il concordato in bianco autorizzate dal giudice, compensi dell’esperto, ecc.) vanno onorati per primi e integralmente. – In generale, i creditori estranei (che non partecipano al voto, tipicamente perché sono garantiti e soddisfatti al 100%) restano da pagare secondo i termini. Se però il piano li tocca (es: chiede una dilazione nel pagamento di un ipotecario oltre la scadenza originaria), allora partecipano al voto e vanno in classe.
Riassumendo, il concordato permette di tagliare soprattutto la parte chirografaria dei debiti. Una regola aurea è che nessun creditore può ricevere meno di quanto otterrebbe in caso di fallimento: quindi se un creditore ha garanzia su un bene che in liquidazione gli darebbe il 50%, nel concordato non posso dargli meno del 50% di quel valore. I creditori senza garanzie invece dipendono dal valore creato dal piano e dalla finanza aggiuntiva: può essere un 5%, un 30%, ecc., ma deve comunque convincerli a votare sì (o almeno convincere il tribunale che è giustificato).
D. Sono amministratore di una S.r.l. indebitata: rischio di dover pagare io i debiti?
R. In linea di principio, no: se parliamo dei debiti sociali verso fornitori, banche, Fisco, ecc., in una S.r.l. questi gravano solo sulla società. Tu come amministratore (che magari sei anche socio) non ne sei responsabile con il tuo patrimonio, a meno che tu non abbia firmato garanzie personali (fideiussioni) o abbia commesso illeciti nella gestione. Le situazioni in cui rischi di pagare tu sono: – Se hai dato fideiussioni: ad esempio, spesso la banca chiede la garanzia personale dell’amministratore/socio. In caso di insolvenza, la banca escuterà te per il 100% dell’esposizione garantita (e tu poi sarai credito verso la società fallita). – Se hai commesso irregolarità gravi: i creditori (o il curatore fallimentare) potrebbero fare azione di responsabilità contro di te. Per esempio, se hai aggravato il dissesto continuando ad operare in perdita (violando l’art. 2486 c.c. che impone di conservare il patrimonio sociale in caso di causa di scioglimento), oppure se hai distratto beni sociali a tuo favore. In questi casi il tribunale può condannarti a risarcire i creditori per il danno arrecato . Un caso tipico è l’omesso versamento di IVA/ritenute pur disponendo della liquidità: se hai scelto di pagare altri e non il Fisco per prolungare l’attività, potresti essere chiamato a rispondere, oltre che penalmente, anche patrimonialmente verso l’Erario per violazione dei doveri (lo Stato potrebbe sostenere che hai abusato della personalità giuridica). – Se la società viene cancellata con debiti residui e tu o i soci avete preso attivo in liquidazione: allora i creditori possono chiedere a voi il pagamento fino alla concorrenza di quanto avete riscosso nella liquidazione finale . Esempio: chiudi la S.r.l., restano €50mila debiti e distribuisci €30mila di cassa ai soci; i creditori potranno farsi dare quei €30mila dai soci. – Se sei colpevole di illecito grave (es. frode): in sede penale, oltre alla pena, potrebbero condannarti a risarcire i danni o confiscarti beni. Ma questo esula dalla responsabilità “civile” classica.
In sintesi, la carica di amministratore di per sé non ti rende debitore dei creditori sociali. Tuttavia, hai responsabilità gestionali che, se violate, possono portare a conseguenze economiche personali. La miglior tutela è gestire con correttezza: adottare assetti adeguati, non aggravare il dissesto, non fare pagamenti preferenziali in conflitto d’interessi , informare i soci tempestivamente della crisi, attivare strumenti di regolazione. Così, anche se l’azienda dovesse fallire, difficilmente dovrai pagare tu (e potrai eventualmente continuare l’attività in altra forma). Discorso diverso è per i soci di società di persone: lì, come detto, la responsabilità è personale e inevitabile.
D. La mia società è piccola (sotto le soglie di fallibilità): i creditori possono comunque “farmela fallire”?
R. Tecnicamente, no, almeno non con la liquidazione giudiziale ordinaria (ex fallimento). Se sei davvero sotto tutti i tre parametri (attivo ≤ 300k, ricavi ≤ 200k, debiti ≤ 500k) e lo dimostri, il tribunale non aprirà la liquidazione giudiziale . Tuttavia, i creditori non resteranno senza strumenti: potranno agire con esecuzioni individuali (pignoramenti) sui beni, oppure potranno chiedere l’apertura di una procedura di liquidazione controllata (ex sovraindebitamento) se sei un imprenditore minore. La liquidazione controllata è grosso modo un fallimento semplificato: nomina un liquidatore che vende i beni e ripartisce, ma è riservata a chi è “non fallibile”. Anche tu volontariamente, se sei sommerso dai debiti, puoi richiederla per liberartene poi con esdebitazione. Per le piccolissime imprese esiste anche il concordato minore, analogo al concordato preventivo ma per debitori sotto soglia: in quel caso serve l’adesione del 50% dei crediti chirografari e l’omologa del giudice, e vincola tutti. Il concordato minore è pensato per artigiani, start-up, professionisti ecc., e consente di proporre un piano di ristrutturazione sul modello del concordato (anche qui si può falcidiare IVA, ecc., previa transazione fiscale, e vale l’omologazione cram-down). Quindi, se sei piccolo, non fallirai in senso tecnico, ma potresti comunque subire procedure di regolazione del debito. Va detto che i creditori istituzionali (banche, Erario) ormai conoscono queste vie e se l’azienda è micro spesso preferiscono gli strumenti stragiudiziali (pignoramenti mirati, accordi) perché le procedure sovraindebitamento possono essere poco fruttuose. Il consiglio è di non abusare del “privilegio” della non fallibilità pensando di farla franca: ad esempio, non pagare tasse perché “tanto sono non fallibile” sarebbe un errore, perché l’Agenzia Riscossione userà pignoramenti e potrà coinvolgere personalmente l’imprenditore (specie se ditta individuale). Meglio eventualmente attivarsi tu stesso, utilizzando la composizione negoziata o un concordato minore, per risolvere la situazione in modo ordinato.
D. Conviene provare a salvare alcuni beni personali prima di una possibile procedura? Ad esempio, posso vendere la casa di mia proprietà a un familiare per non farla prendere dai creditori?
R. Questa strada è altamente sconsigliata e potenzialmente disastrosa. Qualunque atto dispositivo del tuo patrimonio personale o di quello sociale fatto in prossimità della crisi/insolvenza rischia di essere impugnato dai creditori o dal curatore: – Se vendi la casa sottoprezzo a un parente, il curatore in caso di fallimento potrà fare un’azione revocatoria fallimentare (entro 2 anni dall’atto, se avvenuto a titolo gratuito addirittura 2 anni senza discussioni, se a titolo oneroso entro 1 anno se c’era consapevolezza dello stato d’insolvenza ). Far annullare la vendita significherà che la casa torna aggredibile dai creditori. Inoltre, se eri già insolvente, vendere beni per sottrarli ai creditori costituisce bancarotta fraudolenta patrimoniale, reato grave. – Se costituisci un fondo patrimoniale o trust all’ultimo momento, isolando beni personali, questi atti possono essere revocati se fatti “in frode ai creditori”. Anche qui, oltre all’azione civile, in sede penale il tentativo di sottrazione di beni può configurare reato. In generale, non spogliare il patrimonio quando sei in difficoltà: i creditori vigilano e gli organi concorsuali hanno strumenti potenti di revoca. Meglio, invece, affrontare la questione in modo trasparente: se ci sono beni personali non indispensabili, valuta semmai di venderli a valori di mercato e usare il ricavato per ridurre i debiti (magari negoziando saldo a stralcio). In alcuni casi, mettere sul piatto asset personali per fare una proposta ai creditori può evitare il fallimento e farti conservare altri beni. Ad esempio, offrire la vendita della seconda casa per pagare i creditori potrebbe convincerli a un accordo su tutta la posizione debitoria, lasciandoti la prima casa. Se invece provi a nascondere la seconda casa, rischi di perderla comunque e in più di compromettere l’intera trattativa e incorrere in sanzioni.
Unica eccezione: se quando stai bene vuoi pianificare per tempo la protezione di parte del patrimonio (asset protection lecita), devi farlo quando non esiste alcun creditore in difficoltà e l’impresa è florida. Ad esempio, anni prima di qualunque problema, costituire un trust per i figli con una quota dei beni – ma si tratta di pianificazione preventiva. Quando già i debiti sono sorti ed evidenti, è troppo tardi per simili manovre.
D. Quanto dura un concordato preventivo? E la composizione negoziata?
R. La composizione negoziata ha durata breve per legge: l’esperto ha 180 giorni, prorogabili fino a massimo 360 giorni, per condurre le trattative. In pratica quindi dura tra 6 mesi e 1 anno al massimo, spesso meno (se dopo 3-4 mesi capisce che non c’è accordo, può chiudere prima). È relativamente poco costosa: l’esperto ha diritto a un compenso (pagato dall’impresa, ma calmierato da linee guida ministeriali in base alle dimensioni) e i consulenti che tu eventualmente ingaggi (commercialista, legale) hanno i loro onorari negoziati. Non ci sono spese di giustizia se non richiedi misure protettive (in quel caso c’è un contributo unificato ridotto). Molti considerano la composizione negoziata un investimento di tempo contenuto per provare a evitare la ben più pesante strada del tribunale.
Il concordato preventivo, invece, è più lungo e complesso. I tempi: – Dalla presentazione del concordato “in bianco” all’ammissione possono passare 2-3 mesi (si deposita la domanda, poi entro 60-120 giorni presenti il piano definitivo). – Dall’ammissione al voto dei creditori tipicamente 4-6 mesi: c’è tempo per depositare il piano, farlo valutare dal commissario, poi il GD convoca l’adunanza creditori (di solito 120 giorni dopo). – Se i creditori approvano, l’omologa dal tribunale richiede altri 1-2 mesi (salvo opposizioni, che se ci sono allungano di 2-3 mesi). – Poi c’è la fase di esecuzione del piano: se prevede pagamenti dilazionati ad esempio in 5 anni, la procedura rimane aperta fino a esecuzione completata (il commissario vigila, o un liquidatore per 5 anni). Solo al termine c’è il decreto di cessazione della procedura. Quindi un concordato può restare “pendente” per diversi anni.
In sintesi, per un concordato in continuità con pagamenti a 4-5 anni, l’intero iter dall’inizio all’esecuzione finale può durare anche 6-7 anni. Se è liquidatorio e i beni si vendono subito, può chiudersi prima (diciamo 2-3 anni compresi i riparti).
Costi: si aggiungono le spese di giustizia (compenso del commissario/LIquidatore giudiziale stabilito dal tribunale, spese di procedura) e quelle professionali (attestatore, legali). Questi costi di norma sono fatti rientrare nel piano e sono prededucibili, ossia hanno priorità di pagamento. Proporzionalmente, per piccole aziende il costo del concordato può risultare elevato (per questo per loro esiste il concordato minore, con formalità ridotte e organi meno costosi).
Va valutato che la procedura concorsuale è un impegno anche gestionale: bisogna fare report periodici, chiedere autorizzazioni. È come avere addosso un audit continuo. Però se è l’unica via per la salvezza, bisogna essere disposti.
D. Se i creditori non approvano il mio piano di concordato o l’accordo, che succede?
R. Se i creditori bocciano il concordato (manca la maggioranza richiesta), il tribunale dichiara il fallimento (liquidazione giudiziale) quasi automaticamente, su istanza di un creditore o anche d’ufficio. La presentazione del concordato in bianco spesso sospende le istanze di fallimento pendenti, ma se poi non si arriva a omologa, quelle riprendono vigore. È quindi fondamentale, quando si deposita un concordato, avere ragionevole sicurezza di ottenere il consenso dei creditori. Esiste una possibilità residua: se c’è una o più classi dissenzienti ma il tribunale può fare cram-down (come spiegato prima), potrebbe omologare lo stesso. Ma se proprio la maggioranza non ci sta, la procedura finisce in fallimento.
Se i creditori non aderiscono a un accordo di ristrutturazione (non raggiungi il 60% necessario), puoi provare a convertire tutto in un concordato preventivo, coinvolgendo anche i dissenzienti nel voto. Spesso infatti l’accordo 182-bis fallisce perché magari un 40% non aderisce; in tal caso la soluzione può essere passare al concordato (dove quel 40% subisce la decisione del 60% se approvano). L’ordinamento incoraggia queste “mutazioni”: ad esempio, un imprenditore che ha il 50% di adesioni per un accordo può depositare comunque un concordato preventivo, sapendo che con un piccolo sforzo può arrivare al voto favorevole necessario. Se la composizione negoziata non porta ad accordo, l’esperto chiude le trattative con esito negativo. A quel punto, l’imprenditore può: – presentare un concordato semplificato (entro 60 giorni) per liquidare, come ultima chance di evitare il fallimento; – oppure attendere le mosse dei creditori. Di solito, se i creditori sanno del tentativo fallito, ne conseguono azioni legali. È prudente che l’imprenditore, se vede che non c’è soluzione, prenda lui iniziativa depositando istanza di liquidazione giudiziale o concordato, in modo da gestire attivamente la crisi residua.
Quindi, purtroppo, se non c’è accordo né maggioranze, l’esito è la liquidazione forzosa dell’impresa. Non vengono concessi infiniti tentativi: c’è un principio di unicità della procedura concorsuale, per cui non puoi continuare a presentare concordati su concordati sperando che alla fine qualcuno passi (salvo casi di miglioramento sostanziale del piano). È meglio presentare un piano solo quando hai negoziato sufficienza di consensi prima, non al buio. Un rifiuto dei creditori spesso segnala che la proposta era inadeguata o che la fiducia è troppo compromessa.
Fonti e riferimenti normativi e giurisprudenziali
- Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14) – Articoli 56 (Piano attestato di risanamento), 57-64 (Accordi di ristrutturazione dei debiti), 12-25 (Composizione negoziata della crisi), 40-88 (Concordato preventivo, incl. transazione fiscale art.88), 90-118 (Liquidazione giudiziale), 268-277 (Liquidazione controllata), e successive modifiche (D.Lgs. 83/2022, D.Lgs. 136/2024) .
(Il Codice della Crisi ha sostituito la vecchia Legge Fallimentare dal 15/07/2022, introducendo strumenti come la composizione negoziata e disciplinando transazione fiscale, cram down etc.) - D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021 – Introduzione della Composizione Negoziata e del Concordato semplificato post-negoziazione .
(Norma emergenziale poi confluita nel Codice; consente all’imprenditore di attivare volontariamente un esperto per il risanamento e prevede, all’art. 18, il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio come via d’uscita.) - Corte di Cassazione, ordinanza 28 ottobre 2024 n. 27782 – Omologazione forzata della transazione fiscale e contributiva nei concordati preventivi e ADR.
(Ha chiarito definitivamente che il tribunale può omologare un concordato o un accordo di ristrutturazione con transazione fiscale anche se l’Erario/ente previdenziale ha espresso voto contrario, purché il trattamento offerto non sia inferiore a quello ricavabile dalla liquidazione fallimentare.) - Cassazione civile, sezione I, ordinanza 29 agosto 2024 n. 23341 – Successione dei soci nei debiti tributari (sanzioni) di società estinta.
(Ha stabilito che i soci di una società di capitali estinta rispondono anche delle sanzioni tributarie non pagate dalla società, entro il limite di quanto ricevuto in sede di liquidazione, qualificando tale fenomeno come successione sui generis e superando il principio di intrasmissibilità delle sanzioni.) - Cassazione civile, sezione I, ordinanza 27 agosto 2025 n. 23963 – Responsabilità dell’amministratore per atti in conflitto di interessi e pagamenti preferenziali.
(Ha confermato la condanna di un amministratore che, in danno della società poi fallita, aveva fatto prevalere interessi extrasociali effettuando compensazioni e pagamenti preferenziali verso creditori a lui riconducibili. La Suprema Corte ribadisce che l’amministratore di S.r.l. deve agire con diligenza e lealtà, e risponde ai sensi dell’art. 2476 c.c. e 2394 c.c. se arreca danno ai creditori sociali mediante atti in conflitto di interessi.) - Cassazione civile, sezione I, ordinanza 10 novembre 2021 n. 36365 – Obbligo degli amministratori di predisporre assetti adeguati ex art. 2086 c.c. .
(Ribadisce – in coerenza con l’art. 375 CCII – che grava sull’imprenditore collettivo il dovere di adottare assetti organizzativi idonei a rilevare la crisi tempestivamente e a perseguire la continuità aziendale, trattandosi di obbligo di legge la cui violazione può integrare responsabilità per mala gestio.) - Tribunale di Milano, decreto 29 febbraio 2024 – Gravi irregolarità ex art. 2409 c.c. per mancata adozione di assetti organizzativi.
(Ha riscontrato che la mancanza di assetti adeguati costituisce di per sé grave irregolarità nella gestione e ha disposto la revoca degli amministratori, nominando un amministratore giudiziario. Provvedimento analogo a decreti di Trib. Catania 8/2/23, Trib. Venezia 29/11/22 etc., segno di un orientamento a considerare l’obbligo ex 2086 c.c. cogente e la sua violazione come motivo di intervento giudiziario.) - Unioncamere – Comunicato stampa 13/11/2025: “Crisi d’impresa: la composizione negoziata diventa lo strumento preferito” .
(Dati statistici aggiornati sulla composizione negoziata: oltre 3.600 istanze avviate, 423 aziende risanate con successo coinvolgendo 23mila lavoratori, raddoppio degli esiti positivi rispetto all’anno precedente. Evidenzia i vantaggi dello strumento – volontarietà, riservatezza, tempi brevi, costi contenuti, continuità aziendale preservata – e nota l’uso crescente specialmente tra le imprese medio-grandi.) - Agenzia Entrate-Riscossione – avviso su Rottamazione-quater (Legge 197/2022) .
(Conferma l’introduzione della definizione agevolata 2023 dei ruoli affidati dal 2000 al 2017, ex L. 197/2022, con stralcio sanzioni e interessi. Riferimento utile per contestualizzare strumenti di sollievo fiscale straordinari.)
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Stai ricevendo solleciti, richieste di rientro, decreti ingiuntivi, blocchi di fornitura o addirittura minacce di pignoramento da parte di banche, Fisco, INPS, fornitori meccanici o Agenzia Entrate-Riscossione?
Il settore delle segatrici a nastro è impegnativo e costoso: motori, riduttori, elettroniche CNC, lame bimetalliche o in metallo duro, componenti di precisione, manutenzioni complesse, installazioni in campo e un magazzino ricco di ricambi. Basta un calo di liquidità o un ritardo negli incassi per far emergere una crisi seria.
La buona notizia è che la tua azienda può essere salvata, se intervieni rapidamente con la strategia giusta.
Perché un’Azienda di Segatrici a Nastro va in Debito
- aumento dei costi di motori, riduttori, guide, elettroniche e lame bimetalliche
- pagamenti lenti da parte di officine, carpenterie e industrie meccaniche
- magazzino immobilizzato tra lame, componenti CNC, nastri e ricambi costosi
- alti costi di assistenza, installazioni, trasporti e tarature
- investimenti in automazione, revamping e sicurezza CE
- riduzione o revoca delle linee di credito
Il vero problema, nella maggior parte dei casi, è la mancanza di liquidità immediata, non la mancanza di lavoro.
I Rischi se Non Intervieni Subito
- pignoramento dei conti correnti aziendali
- blocco dei fidi
- sospensione delle forniture di parti meccaniche ed elettroniche
- decreti ingiuntivi, precetti e atti esecutivi
- sequestro di segatrici, lame e attrezzature
- impossibilità di completare ordini, riparazioni e consegne
- perdita di clienti strategici e commesse ricorrenti
Cosa Fare Subito per Difendersi
1. Bloccare immediatamente i creditori
Con l’aiuto di un avvocato specializzato puoi:
- fermare pignoramenti
- sospendere richieste di rientro
- proteggere i conti correnti
- bloccare le azioni di Agenzia Riscossione
Prima si mette al sicuro l’azienda, poi si interviene sui debiti.
2. Analizzare i debiti ed eliminare ciò che non è dovuto
Quasi sempre emergono errori importanti:
- interessi non dovuti
- sanzioni irregolari
- importi duplicati
- debiti prescritti
- errori della Riscossione
- commissioni bancarie anomale
Una parte rilevante del debito può essere tagliata o cancellata.
3. Ristrutturare i debiti con piani sostenibili
Le soluzioni più efficaci:
- rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
- accordi di rientro con fornitori strategici
- rinegoziazione dei fidi bancari
- sospensione temporanea dei pagamenti
- utilizzo delle definizioni agevolate disponibili
4. Usare strumenti legali che bloccano TUTTI i creditori
Nelle crisi più serie è possibile usare:
- PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
- Accordi di ristrutturazione
- Concordato minore
- (nei casi estremi) Liquidazione controllata
Queste procedure permettono all’impresa di continuare a lavorare pagando solo una parte dei debiti, con protezione completa da pignoramenti e azioni esecutive.
Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo
Per salvare un’azienda meccanica servono competenze specifiche.
L’Avv. Monardo è:
- Avvocato Cassazionista
- Coordinatore nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012), iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
- Professionista fiduciario di un OCC
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Un profilo ideale per bloccare i creditori, ridurre i debiti e salvare aziende del settore meccanico e delle macchine utensili.
Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo
- analisi immediata della tua esposizione debitoria
- stop urgente a pignoramenti e decreti ingiuntivi
- eliminazione dei debiti non dovuti
- ristrutturazione del debito con piani personalizzati
- protezione delle segatrici, magazzino, ricambi e attività tecniche
- trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
- tutela completa dell’azienda e dell’amministratore
Conclusione
Avere debiti nella tua azienda di segatrici a nastro non significa essere destinato alla chiusura.
Con una strategia rapida, tecnica e completamente legale, puoi:
- bloccare subito i creditori,
- ridurre seriamente i debiti,
- salvare produzione, assistenza e continuità operativa,
- proteggere il futuro della tua impresa.
Agisci ora.
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