Azienda Di Produttori Plc Con Debiti: Cosa Fare Per Difendersi E Come

Se la tua azienda produce, importa o distribuisce PLC, moduli I/O, controllori logici programmabili, pannelli HMI, sistemi di automazione, schede elettroniche, firmware e componenti per macchine industriali, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, è fondamentale intervenire subito per evitare il blocco dell’attività e la perdita di clienti strategici.

Nel settore dell’automazione industriale, anche un breve fermo può mettere in difficoltà intere linee produttive dei clienti, generare penali e causare la perdita di forniture continuative.

Perché le aziende produttrici di PLC accumulano debiti

  • aumento dei costi di chip, microprocessori, PCB e componenti elettronici
  • rincari dei semiconduttori e dei materiali importati
  • pagamenti lenti da parte di integratori, OEM e industrie
  • ritardi nei versamenti di IVA, imposte e contributi
  • magazzini complessi con molte varianti tecniche, firmware e configurazioni
  • investimenti continui in R&D, test, certificazioni e sviluppo software
  • difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati ai cicli produttivi

Cosa fare subito

  • far analizzare da un professionista l’intera esposizione debitoria
  • verificare quali debiti possono essere contestati, ridotti o rateizzati
  • evitare piani di rientro troppo pesanti per la liquidità aziendale
  • richiedere la sospensione immediata di eventuali pignoramenti
  • proteggere componenti critici (schede, moduli, processori) e rapporti con i fornitori
  • utilizzare strumenti legali specifici per ristrutturare o rinegoziare i debiti

I rischi se non intervieni tempestivamente

  • pignoramento del conto corrente aziendale
  • blocco delle forniture elettroniche fondamentali per la produzione
  • fermo della linea di assemblaggio, test e collaudo dei PLC
  • impossibilità di rispettare consegne, assistenze e contratti
  • perdita di integratori, industrie e clienti strategici
  • rischio concreto di chiusura dell’attività

Come può aiutarti l’Avvocato Monardo

Detto questo, l’avvocato Monardo, cassazionista, coordina un team nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario.
Inoltre è:

  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
  • iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
  • professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)

Può supportarti concretamente nel:

  • bloccare subito pignoramenti e azioni esecutive
  • ridurre o ristrutturare i debiti con gli strumenti legali più efficaci
  • ottenere rateizzazioni realmente sostenibili
  • proteggere componenti elettronici, magazzino, attrezzature e continuità produttiva
  • evitare la chiusura e guidare l’azienda verso un vero risanamento

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Introduzione

Un’azienda specializzata nella produzione di Programmable Logic Controllers (PLC) può trovarsi ad affrontare una situazione di sovraindebitamento nei confronti di diversi soggetti: fornitori di componenti, istituti di credito, Erario (fisco), enti previdenziali come l’INPS, e persino i propri dipendenti. Di fronte all’accumularsi di debiti scaduti, l’imprenditore si domanda quali strumenti giuridici abbia a disposizione per difendersi, salvaguardare la continuità aziendale e, possibilmente, ristrutturare l’esposizione debitoria evitando la liquidazione giudiziale (il nuovo termine per il fallimento). In Italia, la disciplina della crisi d’impresa è stata profondamente rinnovata con l’introduzione del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, in vigore a regime dal 2022), aggiornato da successivi interventi normativi fino al 2024. Tale normativa, insieme alla più recente giurisprudenza, offre una serie di strumenti sia stragiudiziali che giudiziali per gestire la crisi, proteggere il patrimonio dell’azienda debitrice e trovare soluzioni equilibrate tra gli interessi dell’imprenditore e quelli dei creditori.

Nella presente guida affronteremo in dettaglio cosa fare per difendersi quando un’azienda produttrice di PLC (o qualsiasi PMI manifatturiera) si trova oppressa dai debiti. Adotteremo il punto di vista del debitore, illustrando le strategie legali di difesa in ambito civile e concorsuale più efficaci e aggiornate al 2025. Il taglio sarà avanzato, adatto a professionisti del diritto (avvocati, commercialisti), ma scritto in modo chiaro e divulgativo per essere utile anche a imprenditori e privati coinvolti nella crisi d’impresa. Vedremo quali sono gli strumenti di allerta e ristrutturazione introdotti dalla normativa italiana (piani di risanamento attestati, accordi di ristrutturazione, composizione negoziata, concordato preventivo, ecc.), come affrontare i debiti verso fornitori, banche, fisco, INPS e dipendenti, e come utilizzare le procedure concorsuali per evitare conseguenze peggiori. Inoltre, includeremo tabelle riepilogative, sessioni di domande e risposte e casi pratici simulati, per sintetizzare i concetti chiave e mostrare l’applicazione concreta delle soluzioni. Al termine, verranno elencate le principali fonti normative e le sentenze più recenti della giurisprudenza (soprattutto di Corte di Cassazione) citate nel testo, a conferma delle informazioni fornite.

Quadro Normativo e principi generali sulla crisi d’impresa

Negli ultimi anni il legislatore italiano ha posto grande attenzione alla prevenzione e gestione tempestiva della crisi d’impresa. Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) definisce lo stato di crisi come “lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza” (art. 2, c.1, lett. a, D.Lgs. 14/2019) e distingue tale fase dall’insolvenza conclamata, in cui l’impresa non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Gli amministratori hanno il dovere di dotare la società di adeguati assetti organizzativi (art. 2086 c.c.) per rilevare segnali di squilibrio e intervenire per tempo, pena incorrere in responsabilità per gestione non diligente. Il nuovo impianto normativo favorisce l’emersione anticipata della crisi tramite segnalazioni d’allerta da parte degli organi di controllo interni e dei cosiddetti creditori pubblici qualificati (Agenzia Entrate, INPS, INAIL). Ad esempio, l’INPS deve segnalare un ritardo nei versamenti contributivi oltre 90 giorni se di importo rilevante, e l’Agenzia delle Entrate invia un avviso se il debitore accumula debiti IVA superiori a determinate soglie (20.000 €). Queste misure di allerta mirano a coinvolgere l’imprenditore in difficoltà in procedure di composizione assistita prima che la situazione degeneri in insolvenza irreversibile.

Nel quadro normativo attuale, l’obiettivo dichiarato è privilegiare, ove possibile, la continuità aziendale e il risanamento, evitando la dispersione dei valori aziendali. Il CCII, aggiornato dai decreti correttivi del 2022 e del 2024, ha introdotto strumenti flessibili e graduali per affrontare la crisi. Tra questi vi è la composizione negoziata della crisi, procedura stragiudiziale introdotta nel 2021 (ora Titolo II CCII) che permette all’imprenditore di avvalersi di un esperto indipendente per condurre trattative protette con i creditori. Durante la composizione negoziata, l’imprenditore può chiedere al tribunale misure protettive e cautelari per bloccare azioni esecutive o cautelari dei creditori mentre si cerca un accordo. Se il tentativo stragiudiziale fallisce nonostante la correttezza delle trattative, la legge consente di accedere a un “concordato semplificato” per la liquidazione del patrimonio senza voto dei creditori, come ultima possibilità per evitare la liquidazione giudiziale.

Tipologie di debiti aziendali e criticità per il debitore

Le imprese manifatturiere come quelle produttrici di PLC possono accumulare debiti di natura diversa, ciascuno con profili di rischio e strumenti di tutela specifici. Analizziamo le principali categorie di debito e le relative criticità dal punto di vista del debitore.

Debiti verso fornitori

I fornitori commerciali sono spesso i primi creditori a risentire della crisi di un’azienda. I mancati pagamenti delle fatture alle scadenze pattuite comportano l’accumulo di fatture scadute e possono spingere i fornitori ad agire rapidamente. Essi potrebbero interrompere le forniture essenziali (mettendo a rischio la produzione) e intraprendere azioni legali come il decreto ingiuntivo per ottenere il pagamento. In Italia, il decreto ingiuntivo può essere emesso dal giudice in tempi brevi e dichiarato provvisoriamente esecutivo per crediti fondati su fatture non pagate, consentendo al fornitore di procedere a pignoramenti di beni aziendali o conti correnti. Dal punto di vista del debitore, una criticità è evitare che un singolo fornitore ottenga misure esecutive che compromettano la continuità aziendale: ad esempio, il pignoramento di macchinari o merci può paralizzare l’attività. Inoltre, un gruppo di fornitori insoddisfatti potrebbe presentare istanza di liquidazione giudiziale (fallimento) qualora ritengano l’impresa insolvente (è sufficiente che sussistano debiti scaduti non pagati per oltre 30 mila euro e stato d’insolvenza). La giurisprudenza di Cassazione ha chiarito che l’insolvenza si manifesta come incapacità strutturale di adempiere, valutata globalmente, e non basta un singolo inadempimento occasionale; tuttavia, la pluralità di debiti commerciali scaduti da tempo è un sintomo tipico di insolvenza. Pertanto, i debiti verso fornitori vanno attentamente monitorati: ignorare i solleciti può innescare un effetto domino tra creditori, mentre comunicare tempestivamente con i fornitori e magari strappare dilazioni informali può guadagnare tempo prezioso. Strumenti come i piani di rientro dilazionati o accordi transattivi (ad esempio offrendo pagamenti parziali immediati “a saldo e stralcio”) possono alleviare la pressione, anche se vanno gestiti con prudenza per evitare profili di pagamenti preferenziali.

Debiti verso le banche

Le banche e gli istituti di credito sono creditori peculiari: i debiti bancari includono mutui, finanziamenti, anticipazioni su fatture e fidi di conto corrente. In caso di crisi, l’azienda potrebbe saltare rate di mutuo o sforare i fidi, portando la banca a revocare gli affidamenti e a classificare l’esposizione come “crediti deteriorati”. Le banche tendono ad agire in modo strutturato: ad esempio, dopo mancati pagamenti, possono decadere dal beneficio del termine (richiedendo il rimborso immediato dell’intero debito residuo) e attivare le garanzie a loro disposizione, come l’escussione di fideiussioni o l’avvio di esecuzioni immobiliari se vi sono ipoteche su beni dell’azienda. Queste azioni possono mettere in seria difficoltà l’impresa: la revoca di linee di credito toglie liquidità circolante necessaria per pagare fornitori e dipendenti, innescando un circolo vizioso di insolvenze a catena. Dal punto di vista del debitore, è fondamentale anticipare le mosse delle banche. Appena emergono segnali di tensione finanziaria (es. difficoltà a rispettare i covenant finanziari del mutuo o ritardi nei pagamenti), l’imprenditore dovrebbe attivarsi per negoziare con la banca una moratoria o una rinegoziazione del debito. In Italia esistono protocolli (es. Accordi ABI per moratorie sui mutui alle PMI in tempi di crisi) che consentono di sospendere temporaneamente la quota capitale delle rate, o ristrutturare il piano di ammortamento. Una volta che la banca avvia un procedimento esecutivo (ad esempio pignorando un capannone dato in ipoteca), le possibilità di trattativa diminuiscono: tuttavia, il debitore può ricorrere alle tutele concorsuali (come il concordato preventivo o l’accordo di ristrutturazione) per ottenere la sospensione delle azioni esecutive in corso. È bene ricordare che i crediti bancari sono spesso assistiti da privilegi o garanzie reali; in una eventuale procedura concorsuale questi crediti privilegiati dovranno essere soddisfatti almeno nei limiti del valore delle garanzie. Ciò significa che, ad esempio, se una banca ha un’ipoteca su un immobile aziendale, dovrà ricevere nel concordato un trattamento non inferiore al presumibile ricavato di vendita di quell’immobile, altrimenti potrebbe opporsi con ragione. In generale, mantenere un dialogo aperto con gli istituti di credito e magari coinvolgerli in un piano di risanamento più ampio (spesso le banche, essendo creditori maggiormente strutturati, aderiscono a accordi di ristrutturazione se vedono prospettive di recupero parziale del credito) può evitare le azioni più aggressive.

Debiti verso il Fisco (Erario)

I debiti tributari verso l’Erario (Agenzia delle Entrate e Agenzia delle Entrate-Riscossione, ex Equitalia) derivano tipicamente da IVA non versata, ritenute non pagate, imposte sui redditi o IRAP. Questi debiti presentano criticità specifiche: innanzitutto, il Fisco gode di poteri speciali di riscossione. In caso di mancato pagamento dopo la notifica delle cartelle esattoriali, l’Agente della Riscossione può procedere senza bisogno di un giudice ad iscrivere ipoteca sui beni immobili dell’azienda, disporre il fermo amministrativo dei veicoli e attivare pignoramenti presso terzi (ad esempio bloccando i conti correnti aziendali). Inoltre, molti debiti fiscali sono assistiti da privilegio generale sui mobili o sui beni specifici (ad esempio l’IVA e le ritenute non versate hanno privilegio sui mobili, l’IMU ha privilegio sull’immobile). Ciò significa che, in caso di insolvenza, il Fisco è un creditore privilegiato che va soddisfatto con precedenza rispetto ai creditori chirografari. Un’azienda produttrice di PLC in crisi potrebbe accumulare debiti IVA se, ad esempio, incassa fatture dai clienti ma utilizza la liquidità per far fronte ad altre spese, rinviando il versamento dell’imposta. Questo però genera presto un circolo vizioso: il debito IVA cresce con sanzioni e interessi, e una volta che l’Erario avvia le procedure di recupero, l’azienda si vede sottrarre risorse vitali. Per difendersi rispetto ai debiti fiscali, esistono diverse strategie civilistiche (oltre agli strumenti concorsuali di cui diremo oltre). Innanzitutto, la normativa consente di chiedere una rateizzazione delle cartelle esattoriali: se il debito è sotto una certa soglia (attualmente 120 mila euro per singola richiesta) si può ottenere un piano fino a 72 rate mensili (6 anni) automaticamente, mentre per importi superiori serve dimostrare una temporanea situazione di obiettiva difficoltà. Il rispetto di un piano di rateizzo evita azioni esecutive da parte dell’Agente della Riscossione e sospende eventuali misure in corso. In anni recenti, il legislatore ha introdotto definizioni agevolate (cosiddette “rottamazioni” delle cartelle) che permettono di pagare il solo tributo (stralciando sanzioni e interessi); il debitore in crisi farebbe bene a valutare l’adesione a tali misure straordinarie se disponibili. Tuttavia, quando l’esposizione fiscale è troppo grande per essere risolta con rate ordinarie, bisogna ricorrere a soluzioni concorsuali. Nel concordato preventivo o nell’accordo di ristrutturazione, il debitore può proporre una transazione fiscale, ovvero l’accordo con l’Erario per pagare in modo parziale e/o dilazionato i debiti tributari. Storicamente, un grave ostacolo era il potere di veto del Fisco: bastava il voto contrario dell’Agenzia delle Entrate perché il concordato fallisse, anche se la proposta avrebbe dato al Fisco più di quanto avrebbe ottenuto dal fallimento. Questo approccio rigido è stato superato di recente: la Corte di Cassazione, con una pronuncia dell’ottobre 2024, ha confermato che il tribunale può omologare il concordato preventivo anche senza il voto favorevole dell’Erario, purché la proposta garantisca al Fisco un trattamento non inferiore a quello ricavabile nella liquidazione giudiziale. In sostanza, si è aperta la strada al cram-down fiscale: se il piano è conveniente per il Fisco in termini comparativi, il suo dissenso non è più determinante. Questa evoluzione, recepita anche dal terzo correttivo 2024 del CCII, riduce il potere di veto del Fisco e incoraggia soluzioni negoziali in cui il debito tributario viene falcidiato in misura sostenibile. Da notare però che la transazione fiscale richiede trasparenza totale sui beni e sulle disponibilità** del debitore e comporta l’obbligo di pagamento integrale dell’IVA salvo eccezioni autorizzate (l’IVA ha trattamento peculiare in sede UE, ma è comunque falcidiabile nel concordato secondo la giurisprudenza consolidata quando il Fisco è soddisfatto almeno rispetto all’alternativa liquidatoria). Infine, bisogna considerare gli aspetti penali: talora il mancato versamento di ritenute o IVA oltre soglie di punibilità integra reati tributari. Sebbene ciò esuli dall’ambito civile/fallimentare, è un ulteriore elemento di pressione sul debitore; percorrere la via concordataria può aiutare a dimostrare la volontà di rimediare e talora a evitare la configurazione di dolo, ma occorre la massima attenzione e consulenza specialistica.

Debiti verso enti previdenziali (INPS e INAIL)

Analogamente al Fisco, anche gli enti previdenziali come INPS (previdenza e assistenza per i lavoratori) e INAIL (assicurazione infortuni) vantano crediti di natura privilegiata, derivanti dal mancato versamento di contributi pensionistici e premi assicurativi. Un’azienda in difficoltà talvolta sospende il versamento dei contributi trattenuti ai dipendenti o della quota datoriale per far fronte ad altre spese immediate, ma questo comportamento genera debiti verso INPS che hanno conseguenze serie. In primo luogo, l’INPS emette avvisi di addebito che, come le cartelle esattoriali fiscali, sono titoli esecutivi e vengono affidati all’Agente della Riscossione per il recupero coattivo (con le stesse modalità: ipoteche, fermi, pignoramenti). In secondo luogo, l’omesso versamento delle ritenute previdenziali oltre una certa soglia (attualmente circa 10.000 € annui) costituisce reato ai sensi dell’art. 2 comma 1-bis D.L. 463/1983 (convertito in L.638/1983), se non viene sanato entro il termine di legge. Questo può esporre l’imprenditore a responsabilità penale personale, indipendentemente dalla società. Dal punto di vista civilistico, i debiti INPS seguono logiche analoghe a quelli fiscali: l’INPS è un creditore pubblico qualificato che dal 2022 è tenuto a segnalare alle imprese accumuli di debiti contributivi significativi, per stimolare un intervento tempestivo. Le possibilità di definizione agevolata includono la rateazione anche dei contributi (di norma fino a 24 rate mensili con l’INPS stesso, o piani più lunghi se passati ad Agenzia Riscossione). In ambito concorsuale, è prevista la transazione previdenziale, parallela alla transazione fiscale: nel concordato preventivo o negli accordi di ristrutturazione si può proporre il pagamento parziale/dilazionato dei contributi dovuti. Analogamente a quanto detto per il Fisco, oggi è ammessa l’omologazione anche senza l’assenso dell’ente previdenziale, se il piano offre all’INPS un soddisfacimento non inferiore rispetto alla liquidazione. Questo è stato chiarito dalla giurisprudenza e poi dal correttivo 2024, che ha eliminato l’anomalia per cui un voto contrario dell’INPS paralizzava soluzioni vantaggiose. Tuttavia, il trattamento dei contributi è delicato: certi contributi trattenuti ai dipendenti non possono essere falcidiati neppure nel concordato (in passato la Cassazione escludeva la falcidia delle ritenute previdenziali, considerandole peculiari, ma con la nuova normativa la regola generale è il confronto con la liquidazione). Una criticità rilevante è il DURC (Documento Unico Regolarità Contributiva): un’azienda con debiti contributivi perde la regolarità e non può partecipare ad appalti pubblici né beneficiare di alcune agevolazioni. Pertanto, risolvere o congelare il debito INPS è cruciale anche per continuare l’attività. La presentazione di domanda di concordato o l’ammissione a una procedura di ristrutturazione consente il rilascio di un DURC provvisorio in attesa dell’esito, evitando l’immediata esclusione da commesse pubbliche (come previsto dalla normativa sugli appalti). In sintesi, come per il Fisco, il debitore dovrebbe sfruttare ogni strumento di rateizzazione o transazione offerto e, in parallelo, includere i crediti previdenziali in un piano di ristrutturazione complessivo, considerando che l’INPS, se lasciato insoddisfatto, è spesso tra i creditori più attivi nel promuovere istanze di fallimento.

Debiti verso i dipendenti

I dipendenti dell’azienda sono creditori particolari, poiché i loro crediti (stipendi non pagati, tredicesime, trattamento di fine rapporto – TFR) sono considerati di natura privilegiata e, soprattutto, toccano la sfera dei mezzi di sussistenza delle persone. Il mancato pagamento degli stipendi genera immediato malcontento e può portare i dipendenti ad azioni legali rapide: un lavoratore può ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo per le retribuzioni non corrisposte e procedere al pignoramento dei conti aziendali quasi senza preavviso. Inoltre, un ritardo sistematico nei pagamenti può spingere i dipendenti (anche tramite i sindacati) a depositare un’istanza di fallimento, soprattutto se l’impresa appare in stato di abbandono. Dal canto suo, il diritto del lavoro prevede tutele come la possibilità per il dipendente di dimettersi per giusta causa (se non pagato) con diritto all’indennità di disoccupazione, e in caso di insolvenza del datore di lavoro interviene il Fondo di Garanzia INPS che, dopo l’apertura di una procedura concorsuale, copre gli ultimi tre mesi di retribuzioni e il TFR non pagato. Dunque i dipendenti, se non pagati, hanno interesse all’apertura di una procedura liquidatoria per attivare il Fondo di Garanzia. L’imprenditore che vuole evitare la dispersione dell’azienda deve considerare prioritario gestire i debiti verso i lavoratori. In genere, nelle crisi aziendali si cerca di mantenere corrente il pagamento degli stipendi maturandi, posticipando altri esborsi, proprio per scongiurare reazioni immediate. Qualora la situazione renda impossibile pagare tutti gli arretrati, è possibile coinvolgere i dipendenti in un accordo: ad esempio, in un concordato con continuità, si può prevedere che i crediti da lavoro vengano soddisfatti entro un certo termine dall’omologazione. La normativa vigente non consente di posticipare oltre sei mesi dall’omologazione il pagamento dei crediti da lavoro privilegiati nell’ambito di un concordato in continuità. In un concordato liquidatorio, invece, i dipendenti sono creditori privilegiati e dovrebbero essere pagati con precedenza sul ricavato della liquidazione, ma con il rischio di non essere soddisfatti integralmente se l’attivo è insufficiente. In fase stragiudiziale, il datore di lavoro può proporre ai dipendenti accordi transattivi individuali (ad esempio pagamento parziale subito e saldo del restante quando ci sarà liquidità), ma questi accordi non legano l’INPS per il Fondo di garanzia se non c’è una procedura concorsuale. Un’altra soluzione temporanea per alleggerire il costo del lavoro in fase di crisi è l’accesso ad ammortizzatori sociali come la Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (CIGS) per crisi, che consente di sospendere o ridurre l’attività lavorativa con parte della retribuzione a carico dell’INPS. Tale strumento richiede accordi sindacali e autorizzazione ministeriale, ma può essere vitale per guadagnare tempo e ridurre l’emorragia finanziaria senza perdere il personale chiave. In ogni caso, l’aspetto cruciale è comunicare con i lavoratori, spiegare la situazione e magari coinvolgerli nel piano di risanamento: dipendenti informati e collaborativi, se vedono prospettiva di salvare l’azienda, potrebbero accettare di attendere parte delle loro spettanze nel quadro di un accordo, piuttosto che spingere subito per la liquidazione giudiziale.

Strumenti stragiudiziali di difesa e ristrutturazione

Passiamo ora in rassegna gli strumenti extragiudiziali a disposizione del debitore per affrontare la crisi debitoria. Si tratta di misure che evitano o precedono le procedure concorsuali vere e proprie, puntando su accordi volontari con i creditori o su procedure di negoziazione assistita.

Negoziazione diretta e piani di rientro informali

Il primo livello di difesa per un’azienda indebitata consiste spesso in soluzioni stragiudiziali informali, senza attivare procedure legali complesse. Queste includono la negoziazione diretta con i creditori per ottenere dilazioni, attese nei pagamenti o riduzioni del debito. Ad esempio, l’impresa può proporre a un fornitore un piano di rientro in cui si impegna a pagare gradualmente il dovuto (magari con un piccolo interesse compensativo) entro un certo periodo, evitando che il fornitore agisca giudizialmente. Tali accordi hanno natura privatistica e contrattuale: è consigliabile formalizzarli per iscritto, eventualmente riconoscendo il debito (riconoscimento di debito ex art. 1988 c.c.) ma ottenendo dal creditore un impegno a non procedere esecutivamente finché il piano è rispettato. In alcuni casi, soprattutto con banche e locatori, si può puntare a rimodulare i contratti esistenti (es. allungare la durata di un mutuo riducendo la rata periodica) o a ottenere periodi di grazia (moratorie) durante i quali si paga solo una parte (es. interessi) rinviando il resto. La negoziazione diretta richiede abilità diplomatiche e trasparenza: i creditori saranno più disponibili a collaborare se l’imprenditore fornisce un quadro chiaro della situazione e un piano realistico di risanamento. Tuttavia, questi accordi non vincolano i creditori dissenzienti né offrono protezione automatica dalle azioni esecutive: se un creditore decide di chiamarsi fuori e agire, l’accordo privato con altri non lo ferma. Inoltre, va prestata attenzione al rischio di compiere pagamenti preferenziali: se si soddisfano alcuni creditori in difficoltà e poi l’azienda fallisce entro 6 mesi, quei pagamenti potrebbero essere revocati dal curatore se pregiudizievoli per la par condicio. Ecco perché conviene, se la crisi è grave, inquadrare anche i pagamenti preferenziali eventualmente necessari all’interno di un piano attestato di risanamento, per usufruire delle esenzioni dalla revocatoria. La soluzione stragiudiziale pura è indicata nelle fasi iniziali di crisi, quando i debiti non sono ancora incontrollabili e si può confidare nel recupero dell’azienda senza pubblicità. Se però il numero dei creditori è elevato o gli importi ingenti, diventa difficile ottenere l’accordo di tutti: in queste situazioni si passa a strumenti di composizione della crisi più strutturati.

Piano attestato di risanamento

Il piano attestato di risanamento è uno strumento previsto dall’art. 56 CCII (già art. 67, co. 3, lett. d, legge fallimentare) che consente al debitore di predisporre un piano di risanamento dell’impresa e di eseguirlo al riparo da alcune azioni sfavorevoli. Si tratta di un accordo stragiudiziale con i creditori, supportato però da una relazione di un professionista indipendente (l’attestatore) che deve dichiarare la veridicità dei dati aziendali e l’attuabilità del piano dal punto di vista economico e giuridico. Il piano attestato è utilizzabile solo se è prospettata la continuazione dell’attività (non è uno strumento pensato per liquidare l’azienda, bensì per risanarla). Esso di solito prevede interventi come la ristrutturazione dei debiti (scadenze allungate, tagli del debito mediante accordo, conversione di crediti in capitale), la dismissione di asset non strategici, nuovi finanziamenti dai soci o da terzi, e in generale misure volte a ripristinare l’equilibrio finanziario. I creditori coinvolti sono in numero limitato e in genere selezionati: non serve il consenso di tutti i creditori dell’impresa, ma ovviamente il piano funziona solo con chi vi aderisce (gli estranei non sono vincolati e possono agire liberamente). Il vantaggio principale di un piano attestato risiede nelle esenzioni da revocatoria fallimentare: gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del piano non sono soggetti all’azione revocatoria in caso di successivo fallimento, a condizione che il piano sia stato formalizzato e che il creditore che ha ricevuto il pagamento non fosse a conoscenza dello stato d’insolvenza. Inoltre, i pagamenti effettuati secondo il piano non configurano reato di bancarotta preferenziale o semplice per l’imprenditore. Questa protezione legale incentiva i creditori a fidarsi del piano: sanno che se l’azienda malauguratamente fallisse dopo, i soldi incassati secondo il piano non verrebbero richiesti indietro dal curatore. Va sottolineato che il piano attestato, pur beneficiando di una relazione di attestazione, non richiede l’omologazione di un tribunale: è un accordo privatistico. È prassi però depositare il piano attestato presso il registro delle imprese per dare pubblicità (specialmente se si vogliono opporre i suoi effetti nella successiva procedura concorsuale). Il D.Lgs. 136/2024 (terzo correttivo) ha ulteriormente rafforzato i requisiti del piano attestato, richiedendo un contenuto minimo dettagliato e aumentando l’attenzione sull’indipendenza e professionalità dell’attestatore. L’attestatore deve essere scelto tra esperti che non abbiano conflitti d’interesse e deve svolgere una verifica rigorosa sulla sostenibilità del piano. In sintesi, il piano attestato è indicato quando la crisi è ancora gestibile con un accordo volontario e l’imprenditore vuole evitare la pubblicità e la rigidità delle procedure concorsuali. Tuttavia, poiché non offre protezione giudiziaria (nessuna sospensione automatica delle azioni esecutive dei creditori non aderenti) e richiede comunque un consenso individuale, è adeguato in situazioni in cui c’è limitata conflittualità e i creditori chiave sono cooperativi.

Accordi di ristrutturazione dei debiti

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (disciplinati dagli artt. 57 e ss. CCII) rappresentano un passo ulteriore verso forme di composizione della crisi formalizzate ma ancora prevalentemente negoziali. A differenza del piano attestato, l’accordo di ristrutturazione coinvolge in modo più ampio la platea dei creditori e prevede una omologazione da parte del tribunale, che gli conferisce efficacia anche in presenza di creditori non aderenti in certi casi. L’azienda debitrice deve raggiungere un accordo con una parte consistente dei creditori (almeno il 60% dei crediti totali in linea capitale per la forma ordinaria). I creditori che aderiscono sottoscrivono l’accordo, che è basato su un piano di ristrutturazione asseverato da un professionista indipendente (analogamente al piano attestato). Una volta raccolte le adesioni necessarie, il debitore chiede al tribunale l’omologazione dell’accordo: se tutto è regolare (verifica di legalità e fattibilità), il tribunale omologa e l’accordo diventa vincolante per le parti aderenti. Di regola, i creditori estranei all’accordo conservano i loro diritti e possono agire separatamente; tuttavia, l’accordo di ristrutturazione omologato produce alcuni effetti protettivi: ad esempio, i creditori non aderenti non possono chiedere il fallimento del debitore finché l’accordo è in esecuzione. Inoltre, il debitore già dal momento del deposito della domanda di omologazione può chiedere al tribunale misure protettive, analoghe a quelle del concordato preventivo, per sospendere temporaneamente le azioni esecutive di tutti i creditori (aderenti e non) nelle more dell’omologa. Esistono poi varianti speciali degli accordi di ristrutturazione introdotte per ampliare la flessibilità di questo strumento:

  • Accordo di ristrutturazione agevolato: introdotto dal CCII, consente l’omologazione di un accordo anche se sottoscritto da creditori rappresentanti solo il 30% dei crediti (invece del 60% ordinario), a condizione che il debitore non richieda misure protettive e non estenda gli effetti ai creditori estranei. Questo strumento, rinunciando alle protezioni della moratoria, facilita l’accordo quando solo una minoranza qualificata di creditori è disponibile, ma occorre cautela perché i creditori non coinvolti potranno agire liberamente.
  • Accordo ad efficacia estesa: permette di estendere gli effetti dell’accordo anche ad alcuni creditori non aderenti, purché appartengano a categorie omogenee di creditori e sia raggiunta una soglia qualificata di adesioni in quella categoria (ad esempio, se il 75% degli istituti finanziari aderisce, l’accordo può essere reso efficace anche verso le banche dissenzienti sulla base di quanto previsto oggi dagli artt. 61-64 CCII, recependo in parte l’impianto del vecchio art. 182-septies l.fall.). Questo consente di superare l’opposizione di pochi creditori istituzionali dissenzienti, garantendo però loro un trattamento non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria.
  • Convenzione di moratoria: è un ulteriore strumento (già previsto dall’art. 182-octies l.fall. e ora dall’art. 62 CCII) con cui uno o più creditori, tipicamente banche, accordano una moratoria (sospensione o dilazione) dei pagamenti all’impresa in difficoltà, con efficacia estesa anche alle banche che non aderiscono purché rappresentino una minoranza. Questa convenzione è utile per congelare nell’immediato le pretese dei creditori finanziari mentre si negozia un più ampio accordo di ristrutturazione o concordato preventivo.

Nel contesto degli accordi di ristrutturazione, è importante sottolineare che con il correttivo 2024 il legislatore ha previsto espressamente la possibilità del cram-down fiscale e contributivo anche negli accordi: il tribunale può omologare l’accordo di ristrutturazione anche senza l’adesione formale dell’Agenzia Entrate o dell’INPS, purché il trattamento proposto a questi creditori pubblici sia conveniente rispetto alla liquidazione. Questo allineamento alla disciplina del concordato (dove il cram-down pubblico è ora ammesso) aumenta l’efficacia degli accordi, che in passato rischiavano di fallire per il veto del Fisco. In definitiva, l’accordo di ristrutturazione è uno strumento potente quando l’impresa riesce a coinvolgere un numero qualificato di creditori in una soluzione concordata. Rispetto al concordato preventivo è più rapido e riservato (c’è minor pubblicità sulla situazione dell’impresa), ma richiede il consenso attivo di una maggioranza di crediti e tipicamente viene usato da imprese con struttura di debito concentrata (ad esempio poche banche e fornitori principali). Se vi sono migliaia di piccoli creditori, infatti, è difficile raggiungere le percentuali richieste; in tal caso si valuta il concordato preventivo.

Composizione negoziata della crisi

La composizione negoziata è una procedura introdotta di recente (prima con il D.L. 118/2021, poi assorbita nel CCII) per offrire all’imprenditore in crisi uno strumento assistito ma volontario di gestione della crisi. Si attiva su base volontaria: l’imprenditore in stato di crisi o insolvenza reversibile presenta istanza tramite una piattaforma telematica gestita dalle Camere di Commercio. Viene nominato un esperto indipendente (spesso un commercialista esperto in crisi) che ha il compito di agevolare le trattative tra il debitore e i creditori. La composizione negoziata non è una procedura concorsuale, ma un percorso riservato: la sua apertura non è pubblicata sui registri ufficiali (a meno che non si chiedano misure protettive). Questo consente all’azienda di tentare il risanamento senza lo stigma del “fallimento” o del concordato. Durante la negoziazione, l’imprenditore rimane in carica e non c’è spossessamento, ma l’esperto supervisiona e guida gli incontri con i creditori, verificando la prospettiva di risanamento. Uno strumento fondamentale collegato alla composizione negoziata è la possibilità di ottenere dal tribunale delle misure protettive temporanee: su richiesta dell’imprenditore, il tribunale può impedire ai creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive e sospendere le istanze di fallimento durante le trattative. Questo “scudo” può durare inizialmente fino a 4 mesi, prorogabili di altri 4, ed è essenziale per lavorare a un accordo senza la pressione delle esecuzioni. Nel corso della composizione negoziata, l’impresa può anche accedere ad alcune agevolazioni: ad esempio, può essere autorizzata a contrarre finanziamenti prededucibili, i quali, se l’azienda poi approda a un concordato o liquidazione, verranno rimborsati con priorità (ciò incoraggia finanziatori a sostenere il risanamento sapendo di avere privilegio). La procedura è flessibile: può concludersi con esiti vari, a seconda di cosa si riesce a concordare. Può sfociare in un contratto con taluni creditori (ad esempio una moratoria generale, un accordo di ristrutturazione dei debiti che poi viene omologato), oppure in un nulla di fatto. Se la composizione negoziata fallisce, l’esperto nell’ultima relazione darà conto delle ragioni. In tal caso, una strada aperta dalla normativa è il cosiddetto concordato semplificato per la liquidazione: entro 60 giorni dal termine delle trattative fallite, il debitore può proporre al tribunale un concordato liquidatorio “senza voto dei creditori”, basato sull’offerta di liquidare il patrimonio e ripartire il ricavato. Sarà il tribunale, sentiti i creditori, a decidere se omologare questo concordato semplificato. Esso rappresenta un’opportunità di chiudere la crisi ordinatamente anche quando le trattative non hanno portato a un accordo formale con le maggioranze richieste. Va detto che la composizione negoziata è uno strumento che presuppone una certa collaborazione dei creditori: l’esperto non ha poteri coercitivi, ma può solo formulare proposte e mediare. Tuttavia, l’esperienza applicativa sta mostrando che molte imprese utilizzano la composizione negoziata per preparare un concordato preventivo o un accordo, sfruttando il periodo protetto per elaborare un piano con l’aiuto dell’esperto. In ogni caso, il vantaggio principale di questo istituto è l’approccio tempestivo e preventivo: coinvolge i creditori prima che la situazione precipiti e consente soluzioni personalizzate (anche extra-giudiziali) con la supervisione neutrale di un esperto.

Strumenti giudiziali: concordato preventivo e altre procedure concorsuali

Quando la ristrutturazione stragiudiziale non è percorribile o sufficiente, l’ordinamento mette a disposizione del debitore una serie di procedure concorsuali giudiziali, volte a gestire la crisi con l’intervento del tribunale. Esamineremo il concordato preventivo (nelle sue varianti in continuità e liquidatorio) e, come ultima ratio, la liquidazione giudiziale (ex fallimento), senza trascurare alcune procedure minori.

Concordato preventivo

Il concordato preventivo è la procedura regina per affrontare la crisi d’impresa in sede giudiziale evitando il fallimento. Consente al debitore di proporre ai creditori un piano, sotto controllo del tribunale, finalizzato a soddisfare i crediti in modo ordinato e in misura almeno pari a quella che i creditori otterrebbero dalla liquidazione fallimentare. In cambio, se il piano viene approvato ed omologato, l’imprenditore ottiene l’esdebitazione dell’azienda (la liberazione dai debiti residui secondo il piano) e può proseguire l’attività se prevista. Esistono due tipologie fondamentali di concordato:

  • Concordato in continuità aziendale: il piano prevede che l’attività dell’impresa prosegua, sia direttamente dal debitore sia tramite il trasferimento a un assuntore (un terzo che continua l’azienda). L’obiettivo è mantenere in vita l’azienda come fonte di reddito, per pagare i creditori nel tempo. Nel concordato in continuità non vige una soglia minima di soddisfacimento per i creditori chirografari (a differenza di quello liquidatorio), ma il piano deve comunque garantire loro una utilità non irrisoria e, come visto, i crediti dei lavoratori non possono essere postergati oltre sei mesi. I fornitori strategici possono essere pagati in prededuzione se funzionali alla continuità e se autorizzati (es. pagare un fornitore essenziale per ottenere materie prime, anche se relativo a debito pregresso, con autorizzazione ex art. 100 CCII). Il concordato in continuità richiede un’attestazione sulla veridicità dei dati e sulla fattibilità del piano, con particolare riguardo alla capacità dell’azienda di generare flussi di cassa per pagare i creditori.
  • Concordato liquidatorio: il piano prevede la cessazione dell’attività e la liquidazione dei beni, con distribuzione del ricavato ai creditori. È di fatto una liquidazione giudiziale contrattata: il debitore offre ai creditori una certa percentuale di soddisfacimento, spesso grazie anche all’apporto di risorse esterne (nuove risorse da soci o terzi che vengono messe a disposizione per aumentare il valore da distribuire). La legge impone che nel concordato liquidatorio i creditori chirografari ricevano almeno il 20% del loro credito, a meno che l’apporto di risorse esterne non consenta comunque di superare tale soglia. Questa regola mira a evitare concordati “abusivi” in cui ai chirografari andrebbe troppo poco. Se il piano liquidatorio non garantisce il 20%, il tribunale non ammette la proposta e si finisce in liquidazione giudiziale (salvo soluzioni alternative). Nel concordato liquidatorio, diversamente da quello in continuità, il debitore non garantisce la prosecuzione dei contratti e l’azienda generalmente viene spenta: ciò comporta la perdita dei posti di lavoro (salvo vendita a un assuntore) e la cessazione dell’attività sul mercato.

Una caratteristica fondamentale del concordato preventivo è la protezione immediata che offre al debitore: sin dal deposito del ricorso di concordato (sia esso completo di piano o “con riserva” ai sensi dell’art. 44 CCII), scatta il divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive e di acquisire titoli di prelazione sul patrimonio del debitore (cosiddetto automatic stay, già art. 168 l.fall.). Ciò dà respiro all’azienda e congela la situazione, impedendo il pignoramento di beni vitali. Durante la procedura, la gestione dell’impresa passa sotto la supervisione di un commissario giudiziale nominato dal tribunale, che vigila sull’operato degli amministratori e raccoglie le manifestazioni di voto dei creditori. I creditori votano sulla proposta secondo le regole: se non sono previste classi, serve il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Se ci sono classi di creditori, la maggioranza si calcola in ciascuna classe (maggioranza dei crediti per classe) ; è comunque richiesta l’approvazione di almeno la maggioranza delle classi se ve ne sono più di una. Anche i creditori privilegiati votano se la proposta ne prevede la soddisfazione non integrale (liquidazione parziale del loro credito) o alterazioni nei diritti, altrimenti sono considerati soddisfatti e fuori dal voto. Una volta ottenuto il voto favorevole, il tribunale procede all’omologazione del concordato. In questa fase, eventuali creditori dissenzienti possono proporre opposizione, ma se il concordato rispetta i requisiti di legge, il giudice lo omologa e diventa vincolante per tutti i creditori anteriori. Come visto, grazie alle riforme recenti, il tribunale può omologare anche in caso di voto contrario dell’Erario o di altri creditori pubblici qualificati, purché siano soddisfatti i criteri di convenienza comparativa (il cosiddetto cram-down fiscale/contributivo). Dopo l’omologazione, il piano concordatario viene eseguito sotto la sorveglianza di un commissario o liquidatore (a seconda che vi sia continuità o liquidazione dei beni). Se il debitore adempie regolarmente, la procedura si chiude e l’impresa risanata prosegue l’attività; in caso di inadempimenti gravi, i creditori possono chiedere la risoluzione del concordato e la conseguente apertura della liquidazione giudiziale.

Da notare che per le imprese più piccole (“non fallibili” in passato), il CCII prevede un concordato minore, nell’ambito delle procedure di sovraindebitamento, con regole simili ma semplificate (ad esempio, soglie di consenso diverse). Questo strumento riguarda tipicamente imprenditori sotto soglia o enti non commerciali, quindi esula dal caso di una società produttrice di PLC di dimensioni rilevanti; comunque, è bene sapere che anche le piccole imprese e i garanti personali possono trovare sollievo attraverso procedure ad hoc di sovraindebitamento.

Liquidazione giudiziale (ex Fallimento)

Se nessuno degli strumenti di risanamento o composizione ha esito positivo e l’insolvenza dell’azienda appare irreversibile, si giunge alla liquidazione giudiziale, ossia la procedura concorsuale che ha preso il posto del vecchio “fallimento”. La liquidazione giudiziale viene aperta dal tribunale su ricorso di uno o più creditori, su istanza del debitore stesso (che può anche farlo in modo “pilotato” per ottenere poi dei benefici) o su iniziativa del Pubblico Ministero in casi particolari. Una volta dichiarata, gli organi nominati (giudice delegato, curatore fallimentare e comitato dei creditori) gestiscono l’intero patrimonio dell’impresa: l’imprenditore perde l’amministrazione dei beni e ogni atto spetta al curatore. Scopo della procedura è liquidare i cespiti (vendita dell’azienda intera se possibile, oppure dei singoli beni) e distribuire il ricavato ai creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione. I crediti privilegiati (lavoratori, fisco, banche garantite da pegno/ipoteca, etc.) vengono soddisfatti prioritariamente, mentre ai chirografari va solo l’eventuale residuo. La liquidazione giudiziale è di solito l’esito meno desiderabile per l’imprenditore: l’attività cessa (a meno di esercizio provvisorio autorizzato per vendere meglio l’azienda), i dipendenti vengono licenziati (attivando però gli ammortizzatori e il Fondo di garanzia per TFR e stipendi) e spesso i creditori chirografari recuperano ben poco. Dal punto di vista del debitore, difendersi nella liquidazione giudiziale significa essenzialmente collaborare con il curatore per massimizzare l’attivo ed evitare conseguenze personali. Gli amministratori possono essere chiamati a rispondere di eventuali azioni di responsabilità se hanno aggravato il dissesto o distratto beni. Inoltre, il fallimento comporta per l’imprenditore individuale (o i soci illimitatamente responsabili) effetti personali come l’interdizione all’esercizio di attività commerciali, la perdita di alcune capacità civili, ecc., anche se temporanei. Tuttavia, la legge fallimentare e ora il CCII prevedono la possibilità per la persona fisica fallita di ottenere l’esdebitazione: dopo la chiusura della procedura, se ha cooperato ed è meritevole, il tribunale può dichiarare la liberazione dai debiti residui non soddisfatti. Questo consente all’ex imprenditore di ripartire senza il peso dei vecchi debiti (salva la persistenza di debiti verso fideiussori, eventualmente). Nel CCII vi è anche la figura dell’esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII) che permette, a certe condizioni, di esdebitare anche chi non ha nulla da offrire ai creditori, una tantum nella vita. Va segnalato, infine, che durante la liquidazione giudiziale può sempre emergere la possibilità di un concordato fallimentare: un terzo (ad esempio un nuovo investitore, o lo stesso fallito con denaro di provenienza lecita) può offrire ai creditori un pagamento in percentuale, come proposta concordataria da votare nella procedura fallimentare, per chiuderla anticipatamente. In tal caso, se i creditori approvano e il tribunale omologa, la liquidazione termina con questo accordo. In ogni caso, giungere alla liquidazione giudiziale comporta la perdita del controllo per l’imprenditore: ecco perché tutte le misure precedentemente illustrate mirano ad evitare questo epilogo, se l’azienda ha prospettive di salvataggio. Solo quando risulta chiaro che la continuità non è più praticabile e non vi sono soluzioni di mercato, la liquidazione giudiziale diventa la scelta obbligata, a tutela residuale dei creditori e per sancire la fine dell’impresa in crisi.

Esempi pratici

Di seguito si propongono due casi ipotetici che illustrano come un’azienda produttrice di PLC potrebbe affrontare la crisi debitoria in Italia, adottando gli strumenti descritti.

Caso 1: Concordato in continuità per salvare l’azienda

Scenario: Alpha PLC S.r.l. è una PMI che produce logiche programmabili. A causa di un calo di commesse nel 2024 e di investimenti sbagliati, si trova con 2 milioni di euro di debiti: 800.000 € verso fornitori, 500.000 € verso banche (mutuo e scoperto di conto), 300.000 € di debiti fiscali (IVA e IRES) e 100.000 € di contributi INPS, oltre a 5 mensilità arretrate dei 30 dipendenti (circa 300.000 €). L’azienda è in crisi di liquidità ma ha ancora un portafoglio ordini promettente per l’anno successivo (nuovi contratti per 1,5 milioni). Gli amministratori, assistiti da un advisor finanziario e da un legale, decidono di attivarsi subito. Anzitutto provano una composizione negoziata: tramite la piattaforma nominano un esperto e ottengono misure protettive dal tribunale. Durante i 4 mesi di trattative, riescono a trovare un investitore disposto ad apportare nuovi capitali per 500.000 €, a condizione di una ristrutturazione del debito. Con l’aiuto dell’esperto, Alpha PLC raggiunge un accordo con le banche: accettano di convertire 200.000 € di debito in quote societarie (diventando socie al 20%) e di dilazionare il resto su 5 anni. I fornitori critici (che rappresentano 600.000 €) accettano un piano di pagamento al 80% del valore in 24 mesi, se l’azienda conferma i contratti futuri con loro. L’Agenzia delle Entrate e l’INPS, inizialmente contrarie a qualsiasi taglio, vengono affrontate proponendo una transazione fiscale: pagamento integrale dei 100.000 € di IVA, pagamento al 40% delle restanti imposte e contributi, il tutto grazie al nuovo apporto di capitale e in 4 anni. Grazie anche al recente orientamento favorevole (cram-down), l’azienda confida che il tribunale possa omologare il concordato anche se il Fisco votasse contro. Si predispone dunque un piano di concordato in continuità: l’azienda continuerà l’attività, l’investitore immette 500.000 € a titolo di finanza esterna (destinata in parte a pagare debiti e in parte a investimenti per innovare i prodotti PLC), 5 dipendenti prossimi alla pensione vengono incentivati all’esodo per ridurre i costi, gli altri 25 sono mantenuti. Il piano prevede: pagamento dei debiti verso lavoratori (5 mensilità arretrate) entro 3 mesi dall’omologazione (usando parte dei nuovi fondi); pagamento integrale dei fornitori strategici (200.000 €) e l’80% agli altri fornitori in 24 mesi; pagamento al 100% dei debiti finanziari ma con nuova scadenza a 5 anni; pagamento del 50% al Fisco (IVA 100%, altre imposte 40%) e 40% all’INPS in 4 anni (parzialmente con soldi dell’investitore). Il professionista attestatore conferma che il piano è fattibile e che i creditori riceveranno il 50% in media, mentre in caso di liquidazione prenderebbero forse il 20%. I creditori votano: banche e fornitori approvano (80% dei crediti favorevoli), l’INPS vota a favore (essendo soddisfatta più che in fallimento), l’Agenzia delle Entrate vota contro chiedendo più garanzie. Il tribunale, verificato il rispetto dei requisiti e la convenienza per il Fisco rispetto alla liquidazione (50% vs 15% stima in fallimento), omologa comunque il concordato. Esito: Alpha PLC esce dalla procedura risanata: con i debiti ridotti e dilazionati, l’ingresso del nuovo socio-finanziatore e la fiducia ristabilita con fornitori e banche, nel 2026 torna in utile e rispetta il piano di pagamenti. I dipendenti mantengono il posto. L’Agenzia Entrate, pur contraria inizialmente, incassa nei 4 anni concordati più di quanto avrebbe ottenuto dalla vendita spezzatino della società.

Caso 2: Liquidazione giudiziale evitata tramite concordato fallimentare

Scenario: Beta PLC S.p.A. è un’azienda più grande, ma la crisi globale dei semiconduttori nel 2023 la colpisce duramente. Si indebita per 5 milioni € (tra banche, fornitori e fisco). Prova tardivamente a vendere un ramo d’azienda per fare cassa, ma l’operazione non si concretizza. I fornitori iniziano pignoramenti e due di essi depositano istanza di fallimento. Beta PLC inizialmente deposita un ricorso di concordato con riserva per guadagnare tempo (automatic stay) e cerca investitori. Tuttavia, non riesce a trovare accordi soddisfacenti entro i 120 giorni concessi; i debiti fiscali sono altissimi e l’Erario non accetta falcidie significative. Il concordato preventivo proposto (in continuità indiretta con affitto d’azienda a un terzo) non ottiene le maggioranze perché troppi creditori lo ritengono poco conveniente. Il tribunale quindi dichiara l’azienda in liquidazione giudiziale. Viene nominato un curatore, l’attività cessa e i dipendenti (120 persone) vengono posti in CIGS e poi licenziati, attivando il Fondo di garanzia per TFR e stipendi arretrati. Durante la liquidazione, però, un concorrente di Beta PLC vede l’opportunità di acquisire i macchinari e i brevetti. Questo investitore presenta al comitato dei creditori una proposta di concordato fallimentare: offre 2 milioni € da ripartire subito tra i creditori, a fronte di rilevare in blocco i beni e alcuni dipendenti chiave. La proposta viene posta ai voti dei creditori nella procedura fallimentare: la maggioranza approva, attirati dal fatto che prenderebbero il 40% immediato invece di attendere anni di liquidazione con un recupero incerto forse del 20%. Il tribunale omologa il concordato fallimentare e la liquidazione si chiude anticipatamente. Esito: Beta PLC viene liquidata, ma in forma concordataria: il nuovo investitore acquisisce gli asset e fa ripartire la produzione sotto una nuova società, riassorbendo 50 dei 120 dipendenti. I creditori ricevono in tempi brevi una percentuale dignitosa (40%) e rinunciano alle ulteriori pretese. L’ex imprenditore, essendo una società per azioni, esce di scena; tuttavia, i garanti personali (due soci che avevano firmato fideiussioni) ricorrono alla procedura di esdebitazione personale dopo la chiusura, ottenendo dal tribunale la liberazione dai debiti rimasti insoddisfatti, avendo cooperato lealmente durante il fallimento. Questo secondo caso mostra che, anche in condizioni disperate, un approccio attivo (tentare un concordato, e poi utilizzare il concordato fallimentare) può migliorare l’esito per creditori e parti coinvolte rispetto a una liquidazione pura e semplice.

Domande frequenti

Di seguito alcune domande comuni (FAQ) sulla gestione dei debiti aziendali e le relative risposte.

D: Cosa rischio se ignoro i solleciti dei creditori e non faccio nulla?
R: Ignorare la situazione è la scelta peggiore. Se l’azienda smette di pagare i debiti senza cercare soluzioni, i creditori possono agire individualmente (pignoramenti, decreti ingiuntivi) e/o collettivamente (richiesta di fallimento). In base alla legge, lo stato di insolvenza può essere dichiarato su istanza dei creditori quando l’impresa non adempie alle obbligazioni in modo regolare. Inoltre, gli amministratori rischiano conseguenze per mala gestio se aggravano il dissesto. È dunque fondamentale attivarsi tempestivamente, mediante negoziazione o procedure, per evitare l’escalation incontrollata delle azioni dei creditori.

D: Qual è la differenza tra un piano attestato di risanamento e un concordato preventivo?
R: Il piano attestato è un accordo privato con alcuni creditori, accompagnato da una relazione di un esperto ma senza coinvolgimento diretto del tribunale (non c’è omologa). Serve il consenso individuale dei creditori coinvolti e non blocca di per sé le azioni dei creditori estranei. Offre però vantaggi come la protezione da revocatorie sui pagamenti eseguiti secondo piano. Il concordato preventivo invece è una procedura concorsuale vera e propria, coinvolge tutti i creditori, prevede il voto a maggioranza e l’omologazione giudiziale che lo rende vincolante anche per dissenzienti. Inoltre, il concordato fornisce protezione generale (stay delle azioni esecutive) e può imporre sacrifici anche ai creditori che non consentirebbero volontariamente (es. taglio dei debiti fiscali col cram-down). In sintesi, il piano attestato è più snello e riservato ma richiede consenso volontario; il concordato è più strutturato e pubblicizzato ma consente soluzioni coattive nell’interesse collettivo.

D: L’apertura di un concordato preventivo viene resa pubblica? Che effetti ha sulla reputazione dell’azienda?
R: Sì, la domanda di concordato è pubblicata nel Registro delle Imprese e comporta una procedura giudiziaria pubblica. Fornitori, clienti e banche potranno venirne a conoscenza. Ciò può creare preoccupazione nei partner commerciali e difficoltà di reputazione (ad esempio, fornitori potrebbero richiedere pagamento anticipato per future forniture). Tuttavia, a volte l’alternativa (fallimento) è ben peggiore. Una comunicazione trasparente può mitigare i danni: molte aziende in concordato in continuità riescono comunque a operare spiegando a clienti e fornitori che è un percorso di risanamento con l’avallo del tribunale. Va anche detto che la composizione negoziata, essendo riservata, può precedere il concordato per sondare soluzioni senza clamore.

D: I soci dell’azienda devono pagare i debiti sociali?
R: Se l’azienda è una società di capitali (S.r.l., S.p.A.), per legge i soci non rispondono con il patrimonio personale dei debiti sociali, salvo abbiano prestato garanzie personali (fideiussioni) o in caso di gravi irregolarità gestionali. Dunque, i creditori non possono aggredire direttamente i beni dei soci per soddisfare i debiti della società. Fanno eccezione i soci di società di persone (snc, sas) che invece rispondono illimitatamente. Tuttavia, va notato che molte PMI ottengono finanziamenti bancari con fideiussioni dei soci: in tal caso, se la società non paga, la banca può escutere il socio garante sul suo patrimonio personale. Se poi la società fallisce, un socio che ha pagato debiti sociali garantiti potrà insinuarsi al passivo come creditore di regresso. In ogni caso, i soci di S.r.l./S.p.A. rischiano indirettamente di perdere il valore della loro partecipazione se l’azienda finisce insolvente, e gli amministratori-soci possono avere responsabilità per mala gestione.

D: Se presento una domanda di concordato, posso continuare a gestire l’azienda?
R: In concordato preventivo l’imprenditore rimane alla guida dell’azienda (cosiddetta gestione in proprio), sotto la supervisione del commissario giudiziale. Solo in casi eccezionali di atti di frode o gravi irregolarità il tribunale può togliere la gestione al debitore (nomina di un amministratore giudiziario). Quindi, durante il concordato l’organo amministrativo continua l’attività quotidiana, ma deve ottenere autorizzazione del giudice per atti straordinari e deve gestire secondo il piano proposto, con trasparenza e correttezza. In liquidazione giudiziale invece la gestione passa interamente al curatore e l’imprenditore perde l’amministrazione.

D: Cosa succede se l’azienda non rispetta il piano di concordato?
R: Se, dopo l’omologazione, il debitore non esegue regolarmente gli obblighi previsti (ad esempio non paga le percentuali promesse ai creditori nei tempi stabiliti), i creditori o il commissario possono chiedere al tribunale la risoluzione del concordato. La risoluzione fa venir meno gli effetti esdebitativi del concordato e tipicamente conduce all’apertura della liquidazione giudiziale (fallimento). I pagamenti già ricevuti dai creditori restano acquisiti, ma per i crediti residui si riapre la possibilità di azione. È quindi essenziale che il piano concordatario sia realistico e che l’azienda post-concordato lo rispetti. In alcuni casi, se le inadempienze non sono gravi, i creditori possono scegliere di modificare gli accordi (concordato modificativo) anziché farlo risolvere, ma è una loro decisione. Per questo è importante non promettere più di quanto si possa mantenere.

D: In caso di crisi, è meglio tentare un accordo stragiudiziale o andare subito in concordato?
R: Dipende dalla situazione. Se la crisi è affrontabile coinvolgendo pochi creditori chiave e c’è fiducia reciproca, un accordo stragiudiziale (magari formalizzato in un piano attestato) può risolvere senza pubblicità e costi di procedura. Tuttavia, se i creditori sono tanti o se alcuni non collaborano, il concordato offre strumenti coercitivi (stay, voto a maggioranza, cram-down) che permettono di superare i dissensi. Spesso si tenta prima la via negoziale privata; se fallisce, si ricorre al concordato. La composizione negoziata della crisi è stata pensata proprio come passo intermedio: si cerca un accordo con l’aiuto di un esperto, ma ci si tiene pronti a usare il concordato se necessario. In generale: tentare la via stragiudiziale è preferibile se c’è tempo e consenso sufficiente, perché evita i costi e i tempi del tribunale; se però il tempo è poco o alcuni creditori minacciano azioni, conviene il concordato per congelare la situazione. Ogni caso va valutato con esperti, considerando costi, tempistiche e impatti delle diverse opzioni.

Tabella riepilogativa degli strumenti di gestione della crisi

Per una visione d’insieme, si riportano le caratteristiche essenziali dei principali strumenti di gestione della crisi d’impresa menzionati:

StrumentoTipoCoinvolgimento del tribunaleConsenso richiestoEffetti
Piano attestato di risanamentoStragiudizialeNon previsto (solo deposito eventuale)Accordo individuale con creditori coinvoltiNessuna moratoria legale; protezione da revocatoria per atti eseguiti
Accordo di ristrutturazioneStragiudiziale con omologaOmologa del tribunale (dopo accordo)Adesione di ≥60% crediti (30% se “agevolato”)Moratoria possibile su richiesta durante omologa; vincola solo aderenti (salvo estensioni)
Composizione negoziataStragiudiziale assistitoNomina esperto da commissione, misure protettive dal tribunaleVolontaria, nessun quorum (accordi eventuali separati)Sospensione azioni esecutive se concessa; nessun accordo imposto, esito flessibile
Concordato preventivo (continuità/ liquidatorio)GiudizialeProcedura concorsuale sotto controllo del tribunaleVoto favorevole maggioranza crediti (dissenzienti vincolati se omologato)Stay automatico dei creditori; possibile cram-down su Fisco/INPS; esdebitazione a fine procedura
Liquidazione giudizialeGiudizialeProcedura concorsuale liquidatoriaN/A (imposta dal tribunale per insolvenza)Spossessamento del debitore; liquidazione asset e pagamento secondo garanzie; possibile esdebitazione persona fisica

Fonti normative e giurisprudenziali

  1. Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) – D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, e successive modifiche (D.Lgs. 147/2020, D.Lgs. 83/2022, D.Lgs. 136/2024).
  2. Codice Civile, art. 2086 comma 2 (dovere di adeguati assetti organizzativi) introdotto dal D.Lgs. 14/2019.
  3. Legge Fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267) – Normativa previgente, per riferimenti storici su concordato preventivo e fallimento.
  4. Cassazione Civile, Sez. I, 28 ottobre 2024, n. 27782 – Sentenza che ha ammesso l’omologazione del concordato preventivo nonostante il voto contrario del Fisco (cram-down fiscale).
  5. Cassazione Civile, Sez. I, 24 dicembre 2024, n. 34372 – Pronuncia in tema di concordato preventivo, sulle modalità di contestazione del diritto di voto di un creditore e relative implicazioni .
  6. Cassazione Civile, Sez. I, 3 marzo 2023, ordinanza n. 6508 – Sentenza sulla revocabilità degli atti esecutivi di un piano attestato di risanamento (confermato che l’esenzione da revocatoria non opera in caso di palese inadeguatezza del piano) .
  7. Cassazione Civile, Sez. Unite, 15 maggio 2015, n. 9935 – Principio generale sullo stato di insolvenza: va valutato come incapacità complessiva di far fronte alle obbligazioni, non su singoli inadempimenti isolati.
  8. Circolare INPS n. 70 del 26/07/2023 – Sintesi delle disposizioni aggiornate dopo l’entrata in vigore del Codice della Crisi riguardo la segnalazione dei debiti contributivi e certificato unico dei debiti (INPS).

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Stai ricevendo solleciti, richieste di rientro, decreti ingiuntivi, sospensioni delle forniture o minacce di pignoramento da parte di banche, Fisco, INPS, fornitori elettronici o Agenzia Entrate-Riscossione?

Il settore dei PLC è uno dei più costosi e delicati dell’automazione industriale: microprocessori, componenti elettronici complessi, supply chain fragile, lunghi tempi di approvvigionamento, firmware da sviluppare, magazzini impegnativi e clienti che spesso pagano a 60–120 giorni. Basta poco per far saltare la liquidità.

La buona notizia è che la tua azienda può essere salvata, se intervieni subito e in modo efficace.


Perché un’Azienda di PLC va in Debito

  • aumento dei costi di chip, moduli elettronici, PCB, componentistica avanzata
  • ritardi nei pagamenti da parte di OEM, integratori di sistemi, EPC e industrie
  • magazzino immobilizzato tra PLC, HMI, moduli I/O, bus, alimentatori e ricambi
  • investimenti elevati in R&D, firmware, sicurezza e certificazioni
  • assistenza tecnica anticipata rispetto agli incassi
  • riduzione o revoca delle linee di credito bancarie
  • progetti complessi con incassi dilazionati

Il vero problema non è la mancanza di ordini, ma la mancanza di liquidità immediata.


I Rischi se Non Intervieni Subito

  • pignoramento dei conti correnti aziendali
  • blocco dei fidi bancari
  • sospensione delle forniture elettroniche critiche
  • atti esecutivi, decreti ingiuntivi e precetti
  • sequestro di PLC, moduli, componenti e strumenti di test
  • impossibilità di completare integrazioni, avviamenti e aggiornamenti software
  • perdita di clienti strategici e commesse importanti

Cosa Fare Subito per Difendersi

1. Bloccare immediatamente i creditori

Un avvocato specializzato può:

  • sospendere pignoramenti in corso
  • bloccare richieste di rientro
  • proteggere conto corrente e liquidità
  • fermare le azioni dell’Agenzia Riscossione

Prima si salva l’azienda, poi si affrontano i debiti.


2. Analizzare i debiti ed eliminare ciò che non è dovuto

Spesso emergono irregolarità come:

  • interessi non dovuti
  • sanzioni calcolate male
  • importi duplicati
  • debiti prescritti
  • errori dell’Agenzia Riscossione
  • commissioni bancarie anomale

Una parte significativa del debito può essere tagliata o cancellata.


3. Ristrutturare i debiti con piani sostenibili

Tra le soluzioni più efficaci:

  • rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
  • accordi con fornitori strategici (chip, elettroniche, PCB)
  • rinegoziazione dei fidi bancari
  • sospensioni temporanee dei pagamenti
  • utilizzo delle definizioni agevolate

4. Usare strumenti legali potenti che bloccano TUTTI i creditori

Nelle situazioni più complesse:

  • PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
  • Accordi di ristrutturazione
  • Concordato minore
  • (nei casi estremi) Liquidazione controllata

Questi strumenti permettono di continuare a operare pagando solo una parte dei debiti, bloccando completamente ogni azione esecutiva.


Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo

Per salvare davvero un’azienda tech servono competenze tecniche e giuridiche elevate.
L’Avv. Monardo è:

  • Avvocato Cassazionista
  • Coordinatore nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012) – negli elenchi del Ministero della Giustizia
  • Professionista fiduciario di un OCC
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)

Un profilo ideale per bloccare i creditori, ristrutturare i debiti e salvare aziende del settore automazione e PLC, dove continuità e affidabilità sono fondamentali.


Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo

  • analisi immediata della tua esposizione debitoria
  • blocco urgente di pignoramenti e decreti ingiuntivi
  • ristrutturazione dei debiti su misura
  • protezione di PLC, moduli, magazzino e infrastruttura tecnica
  • trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
  • tutela completa dell’azienda e dell’amministratore

Conclusione

Avere debiti nella tua azienda produttrice di PLC non significa dover chiudere.
Con una strategia rapida, mirata e totalmente legale, puoi:

  • fermare subito i creditori,
  • ridurre realmente i debiti,
  • proteggere produzione, R&D, assistenza e continuità operativa,
  • salvare il futuro della tua azienda.

Agisci ora.

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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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