Se la tua azienda produce, importa o distribuisce oli lubrificanti industriali, oli motore, fluidi idraulici, grassi, additivi, lubrorefrigeranti, emulsioni e prodotti tecnici per officine, industrie, manutenzione e automotive, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, è fondamentale intervenire subito per evitare blocchi operativi e perdita di clienti strategici.
Nel settore dei lubrificanti, ritardi nelle consegne possono fermare linee produttive, officine e impianti industriali, causando penali, contenziosi e danni elevati ai rapporti commerciali.
Perché le aziende di oli lubrificanti accumulano debiti
- aumento dei costi di basi lubrificanti, additivi e prodotti chimici
- rincari nei trasporti e nelle forniture importate
- pagamenti lenti da parte di officine, industrie e rivenditori
- ritardi nei versamenti di IVA, imposte e contributi
- magazzini complessi con molte formulazioni, contenitori e formati
- difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati ai volumi di acquisto
Cosa fare subito
- far analizzare accuratamente l’intera esposizione debitoria
- identificare debiti che possono essere contestati, ridotti o rateizzati
- evitare piani di rientro non sostenibili per la liquidità
- richiedere la sospensione immediata di eventuali pignoramenti
- proteggere i rapporti con fornitori strategici e prodotti critici
- utilizzare strumenti legali per ristrutturare o rinegoziare i debiti
I rischi se non intervieni tempestivamente
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco delle forniture di oli, additivi e prodotti chimici essenziali
- impossibilità di rispettare gli ordini per industrie e officine
- perdita di clienti fidelizzati e rivenditori
- rischio concreto di chiusura dell’attività
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Detto questo, l’avvocato Monardo, cassazionista, coordina in tutta Italia un team di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario.
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Introduzione
Un’azienda attiva nel settore degli oli lubrificanti può trovarsi esposta a debiti significativi verso fornitori di materie prime, banche finanziatrici e il fisco. Quando l’indebitamento diventa critico, l’imprenditore e gli amministratori devono reagire tempestivamente per difendere l’impresa ed evitare conseguenze irreparabili. In Italia esistono strumenti giuridici avanzati per la gestione della crisi d’impresa, dai piani di risanamento stragiudiziali alle procedure concorsuali come il concordato preventivo, fino alla composizione negoziata della crisi recentemente introdotta . Questa guida – aggiornata a ottobre 2025 – offre un’analisi dettagliata di tali strumenti dal punto di vista del debitore, esaminando anche la responsabilità degli amministratori e le più recenti sentenze in materia. Il taglio è tecnico-giuridico ma divulgativo, adatto sia a professionisti legali sia a imprenditori. Troverai tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione domande e risposte per chiarire i dubbi più comuni.
Scenario tipico: Si consideri una PMI del settore oli lubrificanti in difficoltà finanziaria. L’azienda è organizzata in forma di S.r.l., ha debiti scaduti verso fornitori di additivi chimici e imballaggi, rate di mutuo e leasing non pagate verso banche, e arretrati fiscali (IVA e contributi) verso lo Stato. I creditori iniziano a fare pressione: alcuni fornitori hanno ottenuto decreti ingiuntivi, la banca minaccia di revocare gli affidamenti, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione notifica intimazioni di pagamento. Gli amministratori temono azioni legali o istanze di fallimento. Cosa può fare l’azienda per difendersi? Occorre valutare strumenti come la negoziazione con i creditori, piani di ristrutturazione del debito, procedure concorsuali minori per evitare il fallimento (oggi liquidazione giudiziale), il tutto bilanciando la continuità aziendale con la tutela del patrimonio. Inoltre, i doveri legali degli amministratori impongono di non aggravare il dissesto: una reazione tardiva o inadeguata potrebbe esporli a responsabilità civili e penali . Nei paragrafi seguenti analizzeremo in dettaglio le tipologie di debiti e i rischi correlati, gli strumenti di composizione della crisi d’impresa previsti dalla normativa italiana (inclusi gli aggiornamenti del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, CCII, sino alle modifiche del 2024), le strategie difensive per il debitore, le possibili responsabilità personali degli amministratori e, infine, alcuni casi pratici ed un’ampia FAQ.
I debiti dell’azienda: tipologie e rischi
Quando un’azienda accumula debiti, è fondamentale distinguere la natura dei crediti e i rischi specifici associati a ciascuna categoria. Nel nostro caso, un’azienda di oli lubrificanti può avere debiti principalmente verso fornitori, banche e Erario/Enti pubblici. Ciascuna tipologia presenta implicazioni giuridiche diverse in termini di azioni esecutive possibili, priorità di pagamento e tutele legali per il debitore.
Debiti verso fornitori e altri creditori commerciali
I debiti commerciali verso fornitori, subappaltatori o altri partner contrattuali nascono tipicamente da forniture non pagate di merci e servizi. Questi creditori chirografari (non garantiti da prelazioni) possono intraprendere varie azioni per recuperare il dovuto, tra cui: (a) richiedere un decreto ingiuntivo e, se non si paga, avviare pignoramenti sui conti o sui beni aziendali; (b) sospendere ulteriori forniture (mettendo a rischio la continuità produttiva); (c) in casi estremi, presentare un’istanza di fallimento se ritengono l’azienda insolvente. Dal punto di vista del debitore, alcune possibili difese sono: negoziare piani di rientro (dilazioni, saldo e stralcio), contestare legalmente gli importi non dovuti (se ci sono vizi nelle forniture) oppure attivare strumenti concorsuali che congelano le azioni esecutive individuali. Ad esempio, l’accesso a una procedura di concordato preventivo sospende automaticamente (previa conferma del tribunale su richiesta del debitore) le azioni esecutive e cautelari dei creditori anteriori . Ciò significa che, una volta depositata la domanda di concordato e ottenute le misure protettive ex art. 54 CCII, i fornitori non potranno proseguire pignoramenti o cause fino all’esito della procedura . Tale “respiro” consente all’azienda di elaborare un piano di soluzione senza l’assillo immediato delle esecuzioni.
Tuttavia, il blocco delle azioni non è automatico in tutte le procedure: nel concordato preventivo attuale deve essere richiesto e autorizzato (a differenza della vecchia legge fallimentare in cui scattava ex lege) . Se l’azienda opta invece per un percorso stragiudiziale (ad esempio un piano attestato di risanamento), i creditori non firmatari non sono formalmente vincolati e potrebbero comunque attivarsi individualmente. È quindi cruciale coinvolgere attivamente i fornitori critici in qualsiasi accordo di ristrutturazione, per evitare che uno di essi – magari strategico per la produzione – prosegua azioni aggressive vanificando gli sforzi di risanamento. Dal punto di vista prioritario, i fornitori sono generalmente creditori chirografari (senza garanzie reali o privilegi) e quindi, in caso di procedura concorsuale, il loro soddisfacimento dipende dalle risorse residue dopo aver pagato i creditori privilegiati (ad esempio dipendenti, erario, banche garantite da pegni/ipoteche, ecc.). Proprio perché rischiano di subire forti decurtazioni, i fornitori hanno interesse a soluzioni concordate che magari offrano continuità commerciale o pagamenti parziali ma più rapidi rispetto a un’incerta liquidazione giudiziale.
Rischio di istanza di fallimento: Va sottolineato che anche un singolo fornitore insoluto può chiedere al tribunale l’apertura della liquidazione giudiziale (fallimento) dell’azienda debitrice, qualora ricorra lo stato d’insolvenza. Per legge, bastano debiti scaduti > €30.000 complessivi perché una società “fallibile” sia esposta a tale rischio . Se l’impresa di oli lubrificanti supera le soglie dimensionali previste (vedi tabella più avanti), non è tutelata dall’essere “non fallibile” e dunque i creditori commerciali possono attivare la procedura concorsuale. Una difesa tipica per il debitore, in questo caso, è presentare un’opposizione all’istanza di fallimento (se si contesta lo stato di insolvenza) oppure depositare, entro la camera di consiglio, una domanda di concordato preventivo “in bianco”. Quest’ultima mossa – prevista dall’art. 44 CCII – consente di sospendere la dichiarazione di fallimento concedendo tempo all’azienda per presentare un piano concordatario dettagliato. Il tribunale di regola preferisce una soluzione concordataria proposta dal debitore piuttosto che aprire la liquidazione, se c’è prospettiva di miglior soddisfacimento dei creditori. In sintesi, coinvolgere proattivamente i fornitori chiave in un piano di ristrutturazione e utilizzare tempestivamente gli strumenti legali disponibili sono le chiavi per difendersi dalla pressione di questa categoria di creditori.
Debiti verso banche e istituti finanziari
I debiti bancari assumono di solito la forma di mutui, finanziamenti a medio termine, scoperti di conto o anticipo fatture, leasing su macchinari, ecc. Le banche sono creditori spesso privilegiati: se il debito è assistito da garanzie reali (es. ipoteca su immobili, pegno su beni o su crediti) o da garanzie personali (fideiussioni dei soci o di terzi), la banca può escutere tali garanzie in caso di insolvenza. Dal punto di vista del debitore, i rischi principali includono: (a) la revoca degli affidamenti e la richiesta di rientro immediato delle esposizioni (il che può generare immediata carenza di liquidità); (b) l’escussione di pegni e ipoteche tramite esecuzioni forzate (es. espropriazione di un immobile ipotecato); (c) l’escussione di eventuali garanti personali, con conseguente estensione della crisi dal patrimonio aziendale a quello familiare dell’imprenditore o dei fideiussori.
Le banche, a differenza dei fornitori, tendono ad agire con modalità codificate: spesso il primo segnale è la comunicazione di decadenza dal beneficio del termine (DBT) su un mutuo o l’iscrizione a sofferenza del credito in Centrale Rischi, seguite dall’avvio di azioni legali (ingiunzione e pignoramento dei beni dati in garanzia). Per il debitore, difendersi in questo contesto significa, se possibile, rinegoziare il debito o attivare strumenti di ristrutturazione del credito bancario. Ad esempio, nell’ambito di un accordo di ristrutturazione o di un concordato con continuità, si può proporre alle banche una moratoria o il consolidamento dei debiti (allungamento delle scadenze, riduzione tassi, ecc.) spesso con l’intervento di un nuovo finanziatore. Gli istituti di credito sono generalmente disponibili a piani concordati se intravedono la convenienza rispetto alla procedura esecutiva: ad esempio, possono accettare un haircut (stralcio parziale) sul credito chirografario in cambio di pagamento integrale di quello garantito, oppure concordare nuova finanza prededucibile (super-senior) se l’azienda ha prospettive di ripresa.
Un aspetto critico è la gestione delle garanzie personali. Se il titolare o i soci hanno prestato fideiussioni, la banca può aggredire il loro patrimonio indipendentemente dalle sorti della società. Neanche il concordato preventivo dell’azienda blocca, di per sé, le azioni verso i garanti (che sono soggetti terzi): il blocco opera solo sul patrimonio del debitore ammesso alla procedura . È però possibile inserire nel piano concordatario clausole di soddisfacimento parziale dei creditori bancari, prevedendo che la liberazione (anche parziale) dell’obbligazione sociale valga anche come liberazione del fideiussore per la medesima quota pagata – benché la liberazione completa del garante richiederebbe l’integrale pagamento del debito o un accordo ad hoc con la banca. In alcuni casi, i garanti co-obbligati decidono di far accedere al concordato anche il loro patrimonio (ad esempio attraverso un concordato preventivo “esteso” o un accordo di ristrutturazione con adesione dei garanti), ma ciò esula dalla procedura tipica, essendo i garanti soggetti distinti (nel caso di persone fisiche, potrebbero valutare le procedure da sovraindebitamento).
Dal punto di vista prioritario, i crediti bancari ipotecari godono di privilegio speciale sui beni dati in garanzia, quindi in caso di liquidazione forzata verranno soddisfatti preferenzialmente col ricavato di quei beni (fino a capienza del valore). Questo significa che in un piano concordatario bisognerà assicurare ai creditori con pegno/ipoteca almeno il valore di realizzo dei beni su cui vantano prelazione (salvo consenso a diversamente). I crediti bancari chirografari (es. la parte di mutuo non coperta da ipoteca per incapienza) rientrano tra i chirografari comuni e potrebbero subire decurtazioni analogamente ai fornitori.
Strumenti specifici: Negli ultimi anni, per aiutare le imprese indebitate verso il sistema finanziario, l’ordinamento ha introdotto alcune agevolazioni mirate. Ad esempio, l’accordo di ristrutturazione dei debiti ad efficacia estesa (ex art. 61 CCII, già art. 182-septies L.F.) consente, in presenza di adesione del 75% degli istituti finanziari, di estendere gli effetti ai dissenzienti della stessa categoria . Questo strumento è utile se si hanno molte banche: raggiunto un accordo con la maggioranza qualificata, la minoranza viene cramd-down (cioè costretta ad accettare le medesime condizioni, purché non riceva un trattamento deteriore). Inoltre, nei piani di ristrutturazione è prevista la possibilità di cram-down sui creditori pubblici: a seguito delle riforme 2022-2023, il tribunale può omologare accordi di ristrutturazione anche senza l’adesione dell’Erario o enti previdenziali, purché il trattamento proposto non sia inferiore a quello ottenibile in liquidazione e vi sia l’apporto del debitore nella misura minima di legge . Per la banca ciò significa che, se il piano è equo, non potrà opporsi nemmeno se coinvolge debiti fiscali: l’assenza di adesione del Fisco non blocca più l’omologa come un tempo. In pratica, l’azienda può ristrutturare contestualmente i debiti bancari e fiscali in un unico accordo omologato.
In sintesi, di fronte a debiti bancari il debitore deve mantenere il dialogo con gli istituti, eventualmente attivando moratorie temporanee (in passato supportate anche da protocolli ABI, ad esempio la moratoria COVID-19, anche se oggi scadute) e soprattutto includere le banche in un piano di risanamento credibile. Ignorare le richieste di rientro può portare rapidamente alle escussioni forzate delle garanzie e all’azione diretta sui beni aziendali e personali. Al contrario, presentare un piano (anche attraverso la composizione negoziata con l’ausilio di un esperto) può indurre le banche ad attendere l’esito negoziale invece di agire immediatamente.
Debiti verso il Fisco e gli enti previdenziali
I debiti verso lo Stato comprendono tasse non versate (IVA, imposte sui redditi), ritenute non pagate, contributi previdenziali dei dipendenti e premi assicurativi (INAIL), oltre a eventuali cartelle esattoriali per tributi locali o sanzioni. Questi debiti sono particolarmente delicati sia perché godono spesso di privilegi (ad esempio l’IVA e le ritenute non versate sono crediti privilegiati nel concorso) sia perché il loro mancato pagamento può integrare illeciti amministrativi o penali. Ad esempio, l’omesso versamento di IVA oltre una certa soglia (attualmente €250.000 per periodo d’imposta) o di ritenute oltre €150.000 è sanzionato penalmente (reato di omesso versamento) se non si provvede al pagamento entro la scadenza di legge differita . Dal punto di vista degli amministratori, dunque, l’accumulo di debiti fiscali comporta anche rischio di responsabilità penale personale, oltre che una responsabilità civile verso l’Erario in alcuni casi (ad es. il sostituto d’imposta che non versa le ritenute può essere escusso anche personalmente).
Come agisce il Fisco in caso di debiti? L’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione, ex Equitalia) può iscrivere ipoteche legali sugli immobili della società, iscrivere fermi amministrativi su veicoli aziendali e avviare pignoramenti su conti correnti o beni mobili registrati, trascorsi i termini di notifica delle cartelle e degli avvisi di mora. Nel caso di una società di oli lubrificanti, ad esempio, il fisco potrebbe pignorare i saldi attivi di conto corrente o i crediti commerciali verso terzi (es. pignoramento presso cliente). Inoltre, alcuni debiti tributari possono comportare il blocco di rimborsi fiscali o la preclusione a ottenere il DURC regolare (documento di regolarità contributiva), con riflessi sulla possibilità di partecipare a gare o ricevere pagamenti dalla PA.
Fortunatamente, negli ultimi anni il legislatore ha previsto varie misure agevolative per la definizione dei debiti fiscali, cui l’azienda debitrice può aderire per “difendersi” dal peso e dalle sanzioni. Ad esempio, la “rottamazione” delle cartelle esattoriali consente, periodicamente, di pagare i carichi iscritti a ruolo senza sanzioni e interessi di mora: l’ultima definizione agevolata (rottamazione-quater 2023) ha permesso di estinguere cartelle 2000-2017 versando solo imposte e interessi legali, rateizzando fino a 18 rate (con prima scadenza 31 ottobre 2023) . Per il 2025-2026 si prospetta una rottamazione-quinquies estesa ai tributi locali, secondo gli schemi di legge di bilancio . Queste misure straordinarie vanno colte entro i termini previsti, ma possono ridurre notevolmente l’esposizione. In aggiunta, l’azienda può sempre richiedere una rateizzazione ordinaria dei debiti fiscali: l’Agenzia Riscossione concede piani fino a 6 anni (72 rate mensili) per importi sotto €120.000, e fino a 10 anni (120 rate) per importi superiori, con semplice istanza motivata e a patto di rispettare le rate . Un piano di rateizzo con AdER sospende le azioni esecutive su quei debiti, a condizione che si versino regolarmente le rate.
Attenzione però: ai fini della soglia di fallibilità (€30.000 di debiti scaduti), la Cassazione ha chiarito che l’ottenimento di una rateizzazione non cancella lo status di debito scaduto se al momento dell’istruttoria pre-fallimentare il debito era già esigibile e non pagato . In altre parole, stipulare un piano a rate con il Fisco dopo che i debiti sono scaduti non impedisce al tribunale di conteggiare quegli importi ai fini della soglia dei €30.000 (salvo che le prime rate siano già state pagate, riducendo così l’arretrato effettivamente scaduto). La Suprema Corte (Cass. civ. n. 4201/2025) ha espressamente statuito che la concessione di una dilazione di pagamento non fa venir meno lo stato di insolvenza né abbassa il debito scaduto sotto soglia, e che il debitore non ha diritto a un rinvio dell’udienza fallimentare in attesa di perfezionare la rateazione . Dunque, dal punto di vista difensivo, la rateazione è utile per evitare pignoramenti, ma non rappresenta di per sé una scappatoia per sottrarsi a una possibile dichiarazione di insolvenza se il debito complessivo è grave.
Un altro strumento fondamentale è la “transazione fiscale” nell’ambito di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione. Consente di includere i debiti tributari e contributivi in una proposta di pagamento parziale (falcidia) o dilazionato, previa adesione delle Agenzie o oggi anche in cram-down. Il Codice della Crisi (artt. 63 e 88 CCII) prevede che anche senza voto favorevole del Fisco il tribunale possa omologare il concordato/accordo se la proposta assicura almeno il valore di liquidazione su quei crediti . Ciò ha superato il precedente ostacolo dell’art. 182-ter L.F. che subordinava tutto al placet dell’Erario. Ad esempio, se l’azienda di oli lubrificanti deve €500.000 di IVA, in un concordato potrebbe proporre di pagarne il 30% dilazionato, dimostrando che in caso di fallimento il Fisco prenderebbe ancor meno; se l’Agenzia Entrate rifiuta l’offerta, il tribunale può comunque omologare imponendo il trattamento proposto.
Segnalazioni d’allerta: Da segnare è l’introduzione, a regime dal 2022-2023, degli obblighi di segnalazione precoce da parte dei creditori pubblici qualificati. Se un’azienda accumula debiti fiscali o contributivi sopra certe soglie, gli enti come Agenzia Entrate, INPS e AdER sono tenuti a inviare una comunicazione di allerta al debitore, invitandolo a valutare la composizione negoziata della crisi . Ad esempio, l’INPS segnala se vi è un ritardo >90 giorni nel pagamento di contributi per oltre il 30% dei dovuti annui e almeno €15.000 (imprese con dipendenti) o €5.000 (senza dipendenti) . L’Agenzia Entrate segnala se dall’ultimo trimestre IVA risulta un debito IVA > €5.000 . L’Agente della Riscossione segnala se vi sono carichi affidati scaduti da >90 giorni sopra €100.000 (imprenditori individuali), €200.000 (società di persone) o €500.000 (altre società) . Queste segnalazioni, inviate via PEC, non sono pubbliche ma servono a sollecitare l’imprenditore ad attivarsi. Ignorare l’avviso potrebbe pesare in seguito: ad esempio, l’inerzia può essere valutata negativamente sulla meritevolezza per l’accesso a soluzioni concordatarie . Dunque, se la nostra azienda riceve tali comunicazioni, dovrebbe immediatamente consultare un professionista e magari attivare la composizione negoziata o altra procedura, mostrando di reagire in modo diligente.
In sintesi, i debiti verso lo Stato richiedono un duplice approccio: adempimenti e regolarizzazioni (rateazioni, rottamazioni) per ridurre l’esposizione e sanare eventuali profili illeciti, e inclusione nei piani di crisi (transazioni fiscali) per gestire la parte rimanente in modo sostenibile. Mai trascurare queste posizioni, perché l’Erario ha poteri forti (privilegi, azioni esecutive su larga scala) e la presenza di debiti fiscali rilevanti è spesso il “tallone d’Achille” di molti concordati. Un buon piano di risanamento dovrà prevedere un trattamento equo per il Fisco, magari con l’apporto di risorse esterne per alzare la percentuale destinata a tali crediti. Dal punto di vista del debitore, difendersi significa anche evitare comportamenti che aggravino la posizione: ad esempio, non distrarre somme invece di pagare l’IVA dovuta, perché questo costituirebbe bancarotta preferenziale o fraudolenta in caso di fallimento. Meglio attivare subito le leve lecite per ridurre il debito fiscale, onde evitare anche la responsabilità personale degli amministratori per sanzioni o reati tributari.
Le soglie di fallibilità e le imprese minori (PMI vs grandi imprese)
Prima di passare agli strumenti di gestione della crisi, è importante capire quali imprese rischiano effettivamente il fallimento (ora liquidazione giudiziale) e quali no. In Italia, le procedure concorsuali “maggiori” (concordato preventivo, liquidazione giudiziale) si applicano solo agli imprenditori commerciali non piccoli, secondo parametri dimensionali fissati dalla legge. Un’impresa di dimensioni sotto soglia non viene dichiarata fallita, ma può al più accedere alle procedure di sovraindebitamento (oggi concordato minore o liquidazione controllata). Le soglie vigenti (rimaste inalterate anche col Codice della Crisi) sono le seguenti :
- Attivo patrimoniale annuo > €300.000, in almeno uno degli ultimi tre esercizi (o da inizio attività se meno di 3 anni).
- Ricavi lordi annui > €200.000, in almeno uno degli ultimi tre esercizi.
- Debiti anche non scaduti > €500.000, al momento della domanda di liquidazione.
Se l’impresa non supera nessuno di questi limiti (cioè attivo ≤ 300k e ricavi ≤ 200k e debiti ≤ 500k), è considerata “piccolo imprenditore” non assoggettabile a fallimento . Tali imprese minori rientrano nella categoria delle PMI non fallibili e in caso di insolvenza potranno usare strumenti come il concordato minore o la liquidazione controllata (procedure semplificate previste per i soggetti minori, eredi della legge sul sovraindebitamento) . Anche imprenditori agricoli, professionisti e consumatori, pur potendo avere debiti ingenti, non sono soggetti al fallimento per definizione normativa – ma anch’essi hanno a disposizione procedure ad hoc.
Oltre ai tre parametri di cui sopra, esiste una soglia assoluta di indebitamento minimo di €30.000 di debiti scaduti: se il totale dei debiti scaduti non pagati è inferiore a €30.000, nessuna procedura di liquidazione giudiziale può essere aperta . Questa soglia (introdotta per evitare fallimenti per importi bagatellari) è una condizione di procedibilità: il tribunale, nel verificare l’istanza, deve accertare che l’impresa abbia almeno €30.000 di esposizioni scadute impagate al momento . Importante: si sommano tutti i debiti scaduti verso tutti i creditori; non serve che un singolo creditore vantì €30k . Ad esempio, 5 fornitori da €10k l’uno fanno €50k, quindi soglia superata; viceversa €20k totali (anche verso più creditori) non consentono la dichiarazione di liquidazione . Questa soglia è aggiornabile con decreto ministeriale ma ad oggi (2025) è rimasta €30.000 . Si noti che è irrilevante ai fini della soglia l’eventuale rateizzazione in corso di un debito: finché non è pagato, resta scaduto (Cass. 4201/2025, citata sopra). La soglia opera solo per la liquidazione giudiziale (fallimento) avviata su istanza di creditori o d’ufficio; per le procedure avviate dal debitore stesso (es. concordato) non c’è un importo minimo di debito previsto per legge – tuttavia è raro che un’azienda con meno di 30k debiti attivi un concordato, potendo risolvere stragiudizialmente .
TABELLA 1 – Soglie di fallibilità (imprese commerciali)
| Parametro | Soglia (almeno uno ecceduto) | Impresa fallibile? |
|---|---|---|
| Attivo patrimoniale annuo | > €300.000 (in uno degli ultimi 3 anni) | Sì, se superata questa o altra soglia |
| Ricavi lordi annui | > €200.000 (in uno degli ultimi 3 anni) | Sì, se superata questa o altra soglia |
| Debiti totali (anche non scaduti) | > €500.000 (al momento dell’istanza) | Sì, se superata questa o altra soglia |
| Debiti scaduti e non pagati | ≥ €30.000 (condizione aggiuntiva per procedere) | Liquidazione giudiziale ammissibile solo se almeno €30k scaduti impagati . |
Le imprese che restano sotto tutte le soglie dimensionali sono “non fallibili” . Questo non significa che siano “al riparo dai debiti” : i creditori possono comunque agire individualmente (pignoramenti, decreti ingiuntivi) , ma non si potrà aprire una procedura concorsuale collettiva di liquidazione giudiziale. Tali debitori possono accedere alle procedure di sovraindebitamento (rinominate nel CCII): il concordato minore (ex concordato dei sovraindebitati) e la liquidazione controllata (ex liquidazione del patrimonio). Nella pratica, se la nostra azienda di oli lubrificanti fosse una piccola impresa artigiana sotto soglia, non potrebbe essere dichiarata fallita, ma qualora insolvente potrebbe proporre ai creditori un concordato minore davanti all’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) o subire comunque i pignoramenti. Il fatto di essere sotto soglia non evita dunque le aggressioni dei singoli creditori, ma evita il concorso formale e offre procedure diverse (meno pervasive) per la soluzione della crisi .
Per le grandi imprese, invece, oltre alle normali procedure concorsuali, esistono strumenti particolari come l’Amministrazione Straordinaria delle grandi imprese in crisi (riservata ad aziende con almeno 200 dipendenti e debiti oltre determinate soglie, secondo le leggi Prodi-bis e Marzano). Queste procedure, tuttavia, esulano dall’ambito comune e intervengono in casi eccezionali di rilevante interesse pubblico (si pensi ai casi di Alitalia, ILVA, etc.). In questa guida ci concentriamo sulle procedure ordinarie previste dal Codice della Crisi applicabili alla generalità delle imprese commerciali.
Conclusione su soglie: La nostra ipotetica azienda di oli lubrificanti – se strutturata come S.r.l. con un volume d’affari superiore a qualche centinaio di migliaia di euro – probabilmente sarà fallibile, quindi deve considerare seriamente il rischio di istanze di fallimento da parte di creditori e l’opportunità di attivare per tempo strumenti come il concordato preventivo. Se invece fosse una micro-impresa sotto soglia, dovrà comunque gestire i debiti (per evitare pignoramenti o istanze di liquidazione controllata da parte di creditori, possibile ai sensi dell’ex L.3/2012) ma avrà uno scenario procedurale diverso, con soluzioni dedicate ai sovraindebitati (che implicano l’intervento di un OCC e l’omologazione di un piano dal tribunale, ma non il fallimento con curatore). È dunque fondamentale verificare le dimensioni dell’impresa e il totale dei debiti scaduti per sapere quali opzioni legali sono effettivamente percorribili.
Strumenti di gestione e composizione della crisi d’impresa
Una volta compresa la posizione debitoria dell’azienda e il suo status (fallibile o meno), occorre valutare gli strumenti operativi per gestire e superare la crisi. La normativa italiana, specialmente con l’introduzione del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII, D.Lgs. 14/2019, in vigore dal 15 luglio 2022 ), mette a disposizione diverse procedure, che spaziano da soluzioni negoziali extragiudiziali a procedure concorsuali giudiziali vere e proprie. L’approccio dal punto di vista del debitore è quello di scegliere lo strumento più adatto al caso concreto, massimizzando le chance di risanamento e minimizzando i rischi di responsabilità per gli organi sociali.
Di seguito analizzeremo i principali strumenti, in ordine tendenziale dal meno invasivo (e precoce) al più strutturato: allerta e composizione negoziata, piano attestato di risanamento, accordo di ristrutturazione dei debiti, concordato preventivo (nelle sue varianti, incluso il concordato semplificato post-negoziazione) e, in caso estremo, la liquidazione giudiziale. Ognuno ha presupposti, vantaggi e limiti diversi, riassunti nella Tabella 2 a fine sezione.
Adeguati assetti e obbligo di rilevare tempestivamente la crisi
Prima ancora di attivare uno strumento formale, la legge impone agli amministratori di dotare la società di assetti organizzativi adeguati per prevenire e gestire la crisi (art. 2086 co.2 c.c., modificato dal Codice della Crisi) . Ciò significa strutture contabili, amministrative e di controllo interne idonee a monitorare costantemente l’andamento aziendale e a far emergere segnali di difficoltà. L’amministratore ha il dovere di attivarsi senza indugio appena i segnali di crisi vengono rilevati, valutando le possibili misure correttive o l’accesso agli strumenti di regolazione previsti . Il mancato adempimento a questo dovere può costituire di per sé una grave irregolarità gestionale, che può portare a conseguenze serie: i soci o il collegio sindacale possono denunciarlo al tribunale ex art. 2409 c.c. (con rischio di revoca degli amministratori e nomina di un amministratore giudiziario) , e in caso di insolvenza conclamata la condotta omissiva può integrare responsabilità civile verso società e creditori nonché ipotesi di bancarotta semplice impropria (art. 330 CCII) per aver aggravato il dissesto violando obblighi di legge .
Dal 2023 in avanti, come visto, anche i creditori pubblici qualificati contribuiscono a questo sistema di allerta con le loro segnalazioni (c.d. allerta esterna). Inoltre, le società di maggiori dimensioni o con particolari assetti hanno organi di controllo interni (sindaci, revisori) che a loro volta sono obbligati a vigilare e a sollecitare interventi. Il combinato disposto di queste norme crea un contesto in cui il far finta di nulla da parte degli amministratori di fronte a perdite e tensioni di liquidità non è più tollerato. La giurisprudenza ha chiarito che l’omessa adozione di adeguati assetti non è una mera irregolarità formale, ma un indice di negligenza che può costituire in sé fonte di responsabilità . Ad esempio, il Tribunale di Milano (decreto 29 febbraio 2024) ha qualificato la mancanza di assetti adeguati come grave irregolarità tale da giustificare la revoca degli amministratori ; analogamente altri tribunali (Catania, Venezia, Cagliari) hanno disposto misure invasive per aziende prive di controlli organizzativi .
Pertanto, prima mossa difensiva per un amministratore debitore è assicurarsi di aver messo in piedi un sistema di rilevazione dei segnali di crisi (indicatori finanziari, business plan, monitoraggio dei flussi di cassa). Se questi segnali si attivano – ad esempio perdite significative, cash flow negativo, indicatori di allerta in rosso – occorre tempestivamente valutare le soluzioni disponibili qui di seguito descritte. La tempestività è fondamentale: molti strumenti funzionano solo se attivati prima che l’insolvenza diventi irreversibile. È proprio in virtù di questo obbligo di tempestiva emersione che nascono istituti come la composizione negoziata della crisi.
Composizione negoziata della crisi d’impresa (CNC)
La Composizione Negoziata per la Crisi è uno strumento introdotto col D.L. 118/2021 (convertito in L.147/2021) e ora stabilizzato nel Codice della Crisi, finalizzato ad aiutare l’imprenditore in difficoltà a trovare accordi con i creditori in modo volontario, con l’assistenza di un esperto indipendente nominato dalla Camera di Commercio. Si tratta di una procedura riservata e stragiudiziale, attivabile su istanza del debitore tramite una piattaforma telematica nazionale. Una volta accolta l’istanza, un esperto negoziatore (tipicamente un commercialista o altro professionista qualificato) viene incaricato di affiancare l’imprenditore nel valutare la situazione e nel condurre trattative con i creditori.
Caratteristiche principali:
- Volontarietà e riservatezza: L’accesso è volontario da parte dell’imprenditore (anche le imprese sotto soglia vi possono accedere, su base volontaria ), e l’intera procedura si svolge confidenzialmente. Solo se il debitore lo richiede, possono essere pubblicate sul Registro Imprese le cosiddette misure protettive o cautelari richieste.
- Assistenza dell’esperto: L’esperto non ha poteri sostitutivi ma guida e facilita il dialogo con i creditori, cercando soluzioni di comune accordo (es. rinegoziazioni di debiti, accordi transattivi, ricerca di investitori). Egli redige relazioni periodiche sullo stato delle trattative. Deve operare secondo i principi di imparzialità e riservatezza.
- Durata: La composizione negoziata ha durata iniziale di 3 mesi, prorogabile di altri 3 (fino a 6 mesi totali). Entro tale termine, o si raggiungono accordi o l’esperto constata l’impossibilità di soluzione.
- Misure protettive: Su istanza del debitore, il tribunale può concedere misure protettive del patrimonio per la durata delle trattative (di norma 120 giorni rinnovabili) . Ciò comporta il blocco di azioni esecutive e cautelari da parte dei creditori anteriori e il divieto per i creditori di acquisire titoli di prelazione su beni del debitore. Diversamente dal concordato, qui il blocco non è automatico: va richiesto e ottenuto con decreto. Il nuovo CCII ha collocato queste misure negli artt. da 18 a 20. Il debitore può anche chiedere al tribunale di autorizzarlo a contrarre finanziamenti prededucibili durante la negoziazione o a trasferire azienda/rami, se funzionali a miglior esito (previa perizia).
- Esito: Se le trattative hanno successo, il debitore può concludere uno o più accordi stragiudiziali con i creditori (che restano di natura privata), oppure può decidere di utilizzare uno degli strumenti successivi (piano attestato, accordo di ristrutturazione, concordato). La composizione negoziata infatti può fungere da “antcamera” per preparare un concordato preventivo o un accordo da omologare. Se non si trova soluzione, l’esperto chiude la procedura comunicando l’esito negativo. In tal caso l’imprenditore può comunque ripiegare su altre soluzioni, oppure – se oramai insolvente – dovrà valutare l’accesso diretto alla liquidazione giudiziale.
- Concordato semplificato: Una particolarità introdotta nel 2021 è la possibilità, all’esito infruttuoso della negoziazione, di proporre entro 60 giorni un concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio. Questo è un tipo di concordato senza voto dei creditori, in cui il tribunale omologa o rigetta sulla base del miglior interesse dei creditori (art. 25-sexies D.L. 118/2021, ora art. 64-bis CCII). Il concordato semplificato è riservato solo a chi ha tentato invano la composizione negoziata . In sostanza permette al debitore di proporre la cessione integrale dei beni ai creditori secondo un piano liquidatorio, evitando però il fallimento e mantenendo maggiore controllo (i creditori vengono sentiti ma non votano). È una soluzione residuale e non fisiologica – da usare solo se fallisce la via negoziale . Ad esempio, la società in crisi che non raggiunge accordo in CNC può offrire ai creditori un concordato semplificato dove vende i cespiti e distribuisce il ricavato: il tribunale nomina comunque un commissario e verifica la correttezza del piano, ma non serve il voto delle classi. In un caso del 2024 il Tribunale ha però rigettato l’omologa di un concordato semplificato ritenendo non soddisfatte le condizioni di legge , segno che i controlli sono stringenti.
Quando utilizzarla: La composizione negoziata è indicata nelle situazioni in cui l’azienda non è ancora insolvente in modo irreversibile, ma è in crisi incipiente o tensione finanziaria, e c’è spazio per una trattativa che eviti il tribunale. Nel caso della nostra azienda di oli lubrificanti, se si intravede la possibilità di rinegoziare con banche e fornitori (magari perché il mercato di riferimento ha prospettive di ripresa o c’è un investitore interessato a entrare), la CNC consente di farlo con la regia di un esperto e con la protezione del tribunale (blocco delle azioni esecutive su richiesta). Il tutto senza lo “stigma” immediato di una procedura concorsuale pubblica, poiché la fase di negoziazione è riservata (salvo appunto l’eventuale pubblicazione delle misure protettive, che però è un’informazione accessibile ai soli creditori, non diffusamente pubblicizzata).
Vantaggi per il debitore: riservatezza, flessibilità (non ci sono rigidi requisiti di percentuali di pagamento, poiché non c’è un’omologazione se non nel caso eventuale di passaggio ad altro strumento), mantenimento della gestione in capo all’imprenditore, eventuale blocco delle azioni su misura. Inoltre vi sono incentivi pubblici: ad esempio, le imprese in composizione negoziata possono ottenere la sospensione temporanea di alcune cause di scioglimento societario e beneficiano di esenzioni da certa fiscalità per atti posti in essere (per favorire la ristrutturazione).
Limiti: Non vincola i dissenzienti – se un creditore non vuole trattare, nulla lo obbliga (se non il fatto compiuto che altri magari aderiranno e troverà la cassa vuota in caso di esito positivo per il debitore). Inoltre, la presenza di un elevato numero di creditori eterogenei può rendere complessa la CNC; in tali casi meglio procedere con un concordato che impone un trattamento uniforme per classi. La CNC è principalmente mirata ad evitare l’aggravarsi della crisi e a cercare soluzioni di mercato (nuovi soci, ristrutturazioni del debito accordate). Se l’azienda è già insolvente conclamata, la CNC potrebbe essere fuori tempo massimo: la legge richiede comunque che l’impresa abbia prospettive di risanabilità, altrimenti l’esperto chiuderà le trattative. Infine, la CNC non cancella i debiti: serve per negoziare, ma se i creditori non aderiscono ad accordi transattivi, i debiti rimangono. Dunque spesso va combinata con uno degli strumenti successivi che formalizzano l’esdebitazione.
Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII)
Il Piano Attestato di Risanamento è un percorso stragiudiziale volto a risanare l’impresa attraverso un accordo volontario con (tutti o parte) dei creditori, che ottiene però un beneficio legale importante: gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del piano non sono soggetti ad azione revocatoria in caso di successivo fallimento . In altre parole, il legislatore “premia” l’imprenditore che tenta seriamente di risanare l’azienda con un piano credibile attestato da un esperto, proteggendolo dal rischio che, se il piano poi fallisse e si aprisse un fallimento, tutte le operazioni fatte durante il piano vengano annullate dal curatore. Questo incentivo spinge i creditori a fidarsi del piano e ad eseguire ad esempio nuovi finanziamenti o ristrutturazioni, sapendo che non verranno travolti da revocatoria.
Caratteristiche principali:
- Natura stragiudiziale: Il piano attestato non richiede alcun intervento del tribunale né omologazione. È un accordo di natura privata tra il debitore e taluni creditori (non necessariamente tutti). Ad esempio, l’imprenditore potrebbe accordarsi solo con le banche per rifinanziare il debito e pagare integralmente i fornitori man mano: il piano sarebbe comunque valido ai fini della protezione revocatoria, pur non coinvolgendo formalmente tutti i creditori.
- Contenuto del piano: Deve essere un piano industriale e finanziario idoneo a riequilibrare la situazione dell’impresa. Tipicamente includerà analisi delle cause della crisi, misure di ristrutturazione (taglio costi, dismissione asset non strategici), apporto di nuova finanza o capitali dei soci, e soprattutto la gestione del debito (dilazioni, stralci, conversione debiti in capitale, ecc.) in accordo con i creditori essenziali. L’obiettivo è evitare l’insolvenza e assicurare la continuità aziendale. Se il piano prevede la dismissione di alcuni cespiti non strategici, l’impresa può comunque proseguire l’attività core (è ammesso che alcune parti siano liquidate, purché il tutto porti al risanamento).
- Attestazione indipendente: Elemento cardine è la relazione di un professionista indipendente (iscritto in apposito albo) che attesta la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano . L’attestatore esamina i bilanci, la situazione di fatto e le previsioni, e certifica che il piano ha concrete possibilità di riuscita e che i numeri riportati sono attendibili. Senza questa attestazione, il piano non gode delle tutele legali. L’attestatore deve essere scelto senza conflitti di interesse e con competenze in materia di crisi.
- Beneficio legale: Come accennato, l’art. 56 CCII (e prima l’art. 67 L.F.) prevede che gli atti compiuti in esecuzione del piano attestato non possono essere revocati in un successivo fallimento del debitore . Ciò significa che, ad esempio, se la banca accorda una dilazione o rinuncia a parte del credito, e poi l’impresa fallisce, il curatore non potrà “far rivivere” la parte condonata; oppure se un fornitore viene pagato secondo piano, quel pagamento non sarà revocabile come preferenziale. Questo scudo legale rassicura i contraenti. Inoltre, l’attuazione di un piano attestato in buona fede potrebbe esonerare l’imprenditore da alcuni profili di bancarotta semplice (ad es. il ricorso al credito durante la crisi potrebbe non essere punibile se fatto in esecuzione di un piano ragionevole).
- Formalità: Il piano attestato va pubblicato facoltativamente nel Registro delle Imprese (soprattutto se coinvolge crediti fiscali per ottenere esenzione sanzioni). La pubblicazione non è obbligatoria per la validità, ma viene spesso fatta per pubblicizzare l’accordo e perché taluni effetti (come la non punibilità di alcuni reati fallimentari minori) sono subordinati alla pubblicazione.
- Aggiornamenti 2020-2022: Il CCII ha formalizzato all’art. 56 i requisiti di contenuto del piano e la figura dell’attestatore. Ha anche chiarito che la protezione revocatoria si estende sia alla revocatoria fallimentare sia a quella ordinaria . Inoltre ha previsto che l’attestazione copra sia la veridicità dei dati aziendali sia la fattibilità del piano, allineandosi alla prassi consolidata. Con i correttivi 2022 e 2024 sono state introdotte piccole modifiche di coordinamento, ma la sostanza dello strumento è rimasta la stessa delineata originariamente nel 2005 e affinata negli anni .
Quando utilizzarlo: Il piano attestato è ideale quando la crisi è relativamente compartimentata e risolvibile con il consenso di alcuni creditori chiave, senza dover coinvolgere l’intero parterre in una procedura pubblica. Ad esempio, se l’azienda di oli lubrificanti ha essenzialmente debiti bancari e pochi fornitori strategici, può raggiungere con loro un accordo di ristrutturazione del debito e di sostegno finanziario, elaborare un piano industriale di rilancio (es. puntando su lubrificanti speciali ad alto margine) e farlo attestare. In tal modo evita di dichiarare una procedura concorsuale, mantiene intatti i rapporti commerciali verso l’esterno (i clienti magari non vengono nemmeno a sapere formalmente della crisi in atto, se non comunicato), ed esegue il risanamento sotto traccia.
Esempio pratico: La società Alfa Srl ha debiti totali per €5 milioni, di cui 3 milioni verso banche (mutui/leasing) e 2 milioni verso fornitori vari. Dopo un calo di fatturato, Alfa predispone un piano per riportare l’EBITDA in positivo, prevede la cessione di un immobile non strumentale ricavando €800k da destinare ai debiti, e chiede alle banche di allungare le scadenze dei mutui di 5 anni, abbassando la rata, e ai fornitori di accettare un saldo al 80% dei loro crediti dilazionato in 24 mesi. Le banche, valutato che in un fallimento incasserebbero forse il 50%, aderiscono; i fornitori principali pure, attratti dall’idea di mantenere il cliente in attività. Un professionista esamina il piano e lo attesta come fattibile (grazie anche all’apporto degli immobili venduti e di un aumento di capitale dei soci). Alfa firma accordi individuali con ciascuna controparte secondo i termini pattuiti. Questo complesso di accordi costituisce l’ossatura del piano attestato. Poniamo che tra due anni il piano fallisca comunque e Alfa venga dichiarata fallita: i fornitori che hanno preso l’80% non dovranno restituire nulla, e le banche non vedranno le nuove ipoteche concesse revocate, perché erano atti esecutivi del piano attestato protetto. Se invece il piano riesce, Alfa avrà evitato il fallimento e continuato l’attività con una struttura finanziaria più leggera.
Differenze rispetto ad altre procedure: A differenza del concordato, il piano attestato non consente di imporre sacrifici ai creditori dissenzienti. Chi non aderisce resta libero di agire. Inoltre, non c’è una “cram down” generale: ogni creditore coinvolto deve firmare il proprio accordo. Non c’è nemmeno l’intervento del giudice a omologare, quindi il successo dipende esclusivamente dal consenso e dall’effettiva fattibilità economica. D’altro canto, il piano attestato evita le rigidità delle procedure giudiziali: non servono voti, non ci sono percentuali minime di legge da rispettare (tranne il vincolo sostanziale che il piano deve puntare al risanamento, non può essere una presa in giro con pagamenti irrilevanti – altrimenti l’attestatore non darebbe parere positivo). Il piano attestato non prevede automatismi protettivi: se serve bloccare un’azione esecutiva di un credito non aderente, il debitore dovrà chiedere misure urgenti caso per caso (es. magari un provvedimento d’urgenza, ma non c’è uno stay generale come nel concordato).
In termini di responsabilità degli amministratori, adottare un piano attestato serio e farlo attestare può dimostrare l’adempimento del dovere di diligente gestione della crisi. Se poi malgrado gli sforzi la società fallisce, gli amministratori potranno difendersi mostrando di aver tentato il risanamento in modo conforme alla legge. Viceversa, non attivarsi affatto sarebbe difficilmente giustificabile. Va ricordato che la legge non impone di riuscire a salvare l’impresa, ma impone di non restare inerti: predisporre un piano attestato è una delle possibili azioni virtuose.
Accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 CCII)
Gli Accordi di Ristrutturazione dei Debiti (ADR) sono accordi negoziali con valenza mista, in quanto vengono stipulati tra debitore e una parte dei creditori, ma acquistano efficacia generale attraverso l’omologazione da parte del tribunale. Si collocano a metà strada tra il piano attestato (tutto privato) e il concordato (tutto pubblico e collettivo). La versione base di questo strumento, introdotta nel 2005 (art. 182-bis L.F.), richiede che il debitore concluda un accordo con creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti totali, e poi lo sottoponga al tribunale per l’omologazione. I creditori non aderenti restano estranei (devono essere pagati integralmente fuori dall’accordo), ma l’omologazione consente di cristallizzare la situazione: sospendere eventuali azioni esecutive durante l’omologa e rendere l’accordo vincolante tra le parti aderenti con efficacia esdebitatoria.
Caratteristiche principali:
- Soglia di adesione: Almeno il 60% dei crediti (in valore) deve aver sottoscritto l’accordo . Questa percentuale è calcolata sul totale debiti dell’impresa. Ad esempio, se l’azienda deve 10 milioni, servono creditori per almeno 6 milioni firmatari. La ratio è che oltre una certa maggioranza, l’accordo acquisisce credibilità tale da meritare protezione giudiziaria.
- Contenuto flessibile: L’accordo può prevedere qualsiasi ristrutturazione del debito concordata: dilazioni, stralci parziali, conversione di crediti in quote di capitale, ecc. Spesso viene accompagnato da un piano industriale di rilancio. Simile a un concordato come misure, ma qui non c’è un voto per classi: c’è negoziazione diretta e adesione individuale.
- Omologazione giudiziale: Il tribunale, ricevuta la domanda di omologa con l’accordo firmato e la documentazione (relazione attestatore che assevera che l’accordo assicura l’integrale pagamento dei non aderenti nei termini di legge e che sia fattibile), convoca eventuali creditori dissenzienti per le opposizioni. Se tutto è regolare, omologa il patto. L’omologazione rende l’accordo efficace erga partes e attribuisce alcuni effetti simil-concordatari (es. esenzione da revocatoria per gli atti eseguiti come previsto dall’accordo, come da art. 59 CCII).
- Creditori non aderenti: Devono essere soddisfatti integralmente entro 120 giorni dall’omologa (se già scaduti) o dalla scadenza originaria (se successiva) . In pratica, chi non firma deve essere o pagato per intero fuori dall’accordo (quindi l’accordo è fattibile solo se i creditori cruciali, che magari non potrebbero essere pagati per intero, aderiscono). Questo era il limite principale: la necessità di pagare cash i dissenzienti per ottenere omologa. Tuttavia, a mitigare ciò, sono state introdotte varianti:
- Accordo di ristrutturazione agevolato (o ad efficacia estesa): Introdotto col D.Lgs 83/2022, consente di abbassare la soglia al 30% in casi particolari (ad es. debiti finanziari) o di estendere gli effetti ai dissenzienti della stessa categoria omogenea quando certe maggioranze sono raggiunte . Ad esempio, come citato, se il 75% delle banche aderisce, l’accordo può essere esteso anche alle banche dissenzienti (purché non trattate peggio delle altre). Questo strumento è pensato per le classi di creditori finanziari.
- Transazione fiscale e contributiva negli ADR: Come già detto, dal 2022 il tribunale può omologare l’accordo anche senza adesione degli enti fiscali/previdenziali se ritiene soddisfatte le condizioni (miglior soddisfacimento rispetto al fallimento) . Quindi l’assenza della firma di Agenzia Entrate o INPS non è più ostativa, viene “neutralizzata” dal giudice (cram-down pubblico).
- Misure protettive: Quando il debitore deposita l’accordo per l’omologa, può chiedere al tribunale di sospendere le azioni esecutive dei creditori per max 120 giorni (simile al concordato) per evitare che qualcuno pregiudichi l’esecuzione dell’accordo. Dal momento dell’omologazione, inoltre, i creditori in esso coinvolti non possono agire fuori dai termini pattuiti.
- Attestazione: Serve la relazione di un professionista indipendente che attesta la veridicità dei dati e l’idoneità dell’accordo a assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei e un risultato migliore per i creditori aderenti rispetto all’alternativa liquidatoria.
- Procedimento unitario: Con le ultime riforme, il processo di omologazione è stato integrato nel procedimento unitario del Codice della Crisi. Significa che c’è un iter standardizzato con eventuale comparizione delle parti e decreto di omologa (impugnabile in Corte d’Appello). Durante la pendenza, il debitore rimane in gestione ma sotto vigilanza leggera.
Quando utilizzarlo: L’ADR è utile quando l’impresa ha un consenso elevato tra i principali creditori, tale che mettere in piedi un concordato (che coinvolge anche piccoli creditori magari disinteressati) sarebbe eccessivo. Ad esempio, se 4 banche detengono l’80% del debito e tutte concordano su un piano di ristrutturazione, può essere preferibile fare un accordo di ristrutturazione invece che un concordato. Ciò consente di evitare la votazione di altri creditori minori e di mantenere il negoziato più snello. È anche preferibile quando si vuole evitare la complessità di classi, percentuali minime ecc., e si è in grado di garantire che i pochi estranei verranno pagati. Spesso l’ADR si usa in combinazione con un finanziatore terzo: ad esempio, un investitore apporta soldi freschi con cui pagare i piccoli creditori al 100%, mentre le banche maggiori accettano un 70% spalmato negli anni e il nuovo investitore entra nel capitale. Con l’accordo omologato, il piano diventa vincolante e l’impresa può proseguire senza l’assillo del fallimento.
Vantaggi: L’ADR è più rapido e meno costoso di un concordato (non c’è tutta la fase di voto e adunanza dei creditori). È riservato negli accordi (anche se l’omologa è pubblica, i dettagli restano noti solo alle parti). Mantiene una certa discrezionalità contrattuale: potresti trattare in modo diverso creditori diversi, cosa che in concordato è più vincolata al principio di parità entro le classi. Inoltre, l’ADR può essere usato dopo una composizione negoziata, come soluzione finale delle trattative.
Limiti: Richiede già un’ampia base di consenso. Se i creditori sono molto frammentati o litigiosi, è complicato. Non consente di ridurre i crediti dei dissenzienti se non pagando integralmente (salvo il caso di categorie finanziarie con efficacia estesa, che però è settoriale). Se l’azienda ha molti debiti trade non pagabili per intero, il concordato preventivo potrebbe essere più indicato, perché lì puoi imporre stralci a tutti con la maggioranza. Infine, se durante la trattativa emergesse opposizione di alcuni creditori che impedisce di raggiungere il 60%, sarebbe opportuno virare verso un concordato, piuttosto che forzare un ADR non eleggibile.
In conclusione, l’accordo di ristrutturazione è uno strumento di compromesso: tutela il debitore dal fallimento (una volta omologato, l’impresa può anche richiedere l’esdebitazione finale se poi liquiderà il patrimonio residuo) e consente un approccio negoziale tailor-made con i creditori più importanti. Nel nostro caso aziendale, se l’impresa di oli lubrificanti ottiene l’adesione delle banche e di qualche fornitore chiave superando il 60% del passivo, può scegliere un ADR: ad es. accordo firmato dall’80% dei crediti, pagamento integrale del 20% dissenziente entro un anno (magari usando linee di credito nuove), e stralcio/rimodulazione per gli aderenti. Il tribunale omologa e l’accordo diventa operativo con efficacia esdebitativa su quella fetta di debiti.
Concordato preventivo (artt. 84 e ss. CCII)
Il Concordato Preventivo è la più nota procedura concorsuale che consente all’imprenditore insolvente o in crisi di evitare la liquidazione giudiziale proponendo un accordo collettivo ai creditori, sotto la supervisione e con l’omologazione del tribunale. Si tratta di una procedura pubblica e giudiziaria, con nomina di organi (Commissario giudiziale) e coinvolgimento di tutti i creditori attraverso un meccanismo di voto a maggioranza. È uno strumento di ampio respiro, adatto alle situazioni in cui occorre vincolare anche i creditori dissenzienti e ristrutturare i debiti in modo profondo, eventualmente anche con la continuità aziendale.
Tipologie di concordato: Il CCII distingue principalmente tra concordato in continuità aziendale e concordato liquidatorio (oltre a forme miste). Nel concordato in continuità, l’azienda prosegue l’attività, direttamente o indirettamente, e i creditori vengono soddisfatti in prevalenza col ricavato della gestione futura (oltre che con dismissioni di beni non strategici) . Nel concordato liquidatorio, invece, l’impresa cessa l’attività e l’obiettivo è liquidare il patrimonio distribuendone il ricavato ai creditori. La distinzione è importante perché la legge fissa requisiti diversi:
- Continuità: Il piano deve assicurare che la gestione in continuità migliora la soddisfazione dei creditori rispetto alla liquidazione immediata . Non esistono soglie quantitative prefissate di soddisfo (non c’è un minimo 20%), ma vige il principio del miglior interesse dei creditori e del rispetto delle cause di prelazione (principio di priorità relativa, dopo il correttivo 2024) . È consentito cedere beni non essenziali o rami d’azienda purché l’impresa principale prosegua . Il tribunale può autorizzare, persino prima dell’omologa, la cessione dell’azienda o di suoi rami se funzionale alla continuità, senza far gravare sull’acquirente i debiti pregressi (eccetto quelli di lavoro) – questo per favorire soluzioni come il concordato in continuità indiretta (dove l’azienda viene trasferita a un soggetto terzo durante la procedura).
- Liquidatorio: Oltre a dover garantire ai creditori almeno l’equivalente di quanto otterrebbero dalla liquidazione giudiziale (principio generale di capienza), è richiesto per legge un soddisfacimento minimo dei creditori chirografari pari al 20% dei loro crediti . Ciò significa che, a meno di apporti esterni straordinari, il piano deve prevedere che i chirografari non prendano meno del 20% (1/5) del dovuto . Questo vincolo serve a evitare concordati “liquidatori” troppo penalizzanti. È comunque possibile abbattere i debiti privilegiati degradandone la parte incapiente (il privilegio opera fino al valore dei beni sottostanti). Il 20% minimo può includere l’apporto di risorse esterne: se il patrimonio da liquidare pagherebbe solo il 5%, ma i soci o terzi mettono denaro fresco portando il dividendo al 20%, il requisito è soddisfatto . Una recentissima Cassazione (Sez. I, n. 21336/31.7.2024) ha confermato che nel concordato liquidatorio va garantito almeno il 20% ai chirografari . Dunque questo parametro è solido. Inoltre, nel concordato liquidatorio il tribunale nomina obbligatoriamente un liquidatore giudiziale che, dopo l’omologa, si occupa di vendere i beni , affiancandosi al commissario.
- Misto: Un piano può avere elementi di continuità e di liquidazione (es. proseguo attività ma vendo un ramo): in tal caso, si applicano i requisiti in modo composto, verificando che la parte liquidatoria rispetti il 20% sui crediti che vengono soddisfatti con la liquidazione di quei beni, mentre la parte in continuità deve dare valore aggiunto sufficiente sui restanti crediti . Se la continuazione è parziale, la legge considera comunque il piano in continuità (basta che una parte non trascurabile di soddisfacimento provenga dalla continuità) e quindi il 20% obbligatorio si applica solo sulla porzione di debito che viene soddisfatta tramite liquidazione pura.
Procedura (fasi essenziali):
- Domanda di concordato: Può essere diretta (con piano e proposta allegati) oppure “con riserva” (cosiddetto concordato in bianco ex art. 44 CCII), in cui il debitore deposita la sola domanda chiedendo un termine (da 60 a 120 giorni prorogabili) per presentare il piano definitivo. La domanda va depositata al tribunale competente (sede dell’impresa) e iscritta al Registro Imprese, diventando pubblica.
- Apertura della procedura: Il tribunale verifica le condizioni formali e, con decreto, ammette l’azienda al concordato, nomina il Giudice Delegato e il Commissario Giudiziale (figura di controllo) . Contestualmente, emette le misure protettive (che in caso di domanda “diretta” operano automaticamente dalla data di pubblicazione dell’istanza , mentre in caso di domanda “in bianco” vanno chieste con ricorso separato e concesse dal giudice). Da quel momento, per tutta la procedura: i creditori anteriori sono bloccati nei pignoramenti, i contratti proseguono (salvo facoltà del debitore di scioglierli se onerosi, con autorizzazione), gli interessi sui chirografari restano sospesi .
- Deposito del piano e attestazione: Se non già allegato, il debitore deposita il piano concordatario dettagliato e la relazione di un attestatore indipendente che certifica la veridicità dei dati e la fattibilità del piano (in particolare che i creditori riceveranno almeno quanto in liquidazione coatta) . Per i concordati in bianco, questa è la fase cruciale entro il termine concesso.
- Adunanza dei creditori e voto: Il commissario giudiziale esamina il piano e redige a sua volta una relazione per i creditori. Viene indetta l’adunanza dei creditori (o viene avviato il voto per via telematica, come spesso ora). I creditori sono suddivisi in classi secondo posizione giuridica e interessi omogenei. Ad esempio, classe banche ipotecarie, classe fornitori chirografari, ecc. Ogni classe vota per approvare o meno la proposta concordataria. Per l’approvazione occorre il voto favorevole dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto (maggioranza semplice > 50% in valore) complessivamente, oltre ad almeno il 50% in ciascuna classe votante, oppure in alternativa il 2/3 nelle classi favorevoli e non più di 1/2 in quelle contrari (meccanismo di cram down interclassi dopo il correttivo 2024, che ha recepito la direttiva UE sul relative priority mantenendo una certa flessibilità). Per semplicità: servono in genere le maggioranze in ogni classe, salvo eccezioni tecniche. Se ci sono creditori privilegiati a cui si intende degradare il credito, anch’essi votano per la parte falcidiata.
- Omologazione: Se i creditori approvano il concordato, il tribunale procede all’omologazione con sentenza (oggi decreto motivato) che rende vincolante il piano per tutti i creditori anteriori, compresi i dissenzienti e non votanti. I creditori eventualmente contrari possono proporre opposizione all’omologa se ritengono lesi diritti (es. trattamento non conforme alle norme). Il tribunale valuta la regolarità della procedura, il rispetto delle norme (es. il minimo 20% se liquidatorio, il migliore interesse dei creditori, l’assenza di violazioni di legge) e, se tutto è a posto, omologa. Dal momento dell’omologa, il concordato è efficace.
- Esecuzione del piano: Si apre la fase esecutiva sotto la vigilanza del Commissario (che ora spesso assume il ruolo di liquidatore nelle parti liquidative). L’azienda deve attuare le misure promesse: se era in continuità, proseguirà l’attività sotto monitoraggio, effettuando pagamenti secondo le scadenze del piano; se liquidatorio, il liquidatore nominato vende i beni (seguendo le regole competitive simili a quelle fallimentari, vedi art. 216 CCII) e ripartisce il ricavato secondo il piano. I creditori ricevono i loro dividendi nelle percentuali stabilite. A fine esecuzione, il tribunale dichiara chiuso il concordato. La società ne esce sollevata dai debiti residui (esdebitazione dell’ente, anche se va detto: l’esdebitazione per le società di capitali è di fatto “indiretta” perché la società inadempiente sarebbe comunque soggetta a fallimento; per le persone fisiche c’è uno specifico istituto di esdebitazione).
Vantaggi del concordato (per il debitore): consente di affrontare la crisi in modo organico e definitivo, coinvolgendo tutti i creditori e potendo imporre sacrifici anche ai non consenzienti, una volta ottenuta la maggioranza. Offre la protezione più ampia (stay delle azioni di tutti, non solo di alcuni). Permette soluzioni variegate: dall’ingresso di nuovi soci, alla ristrutturazione industriale, alla liquidazione ordinata dell’azienda con maggiore controllo rispetto al fallimento. Il debitore conserva l’amministrazione dei beni sotto vigilanza del commissario (salvo atti di straordinaria amministrazione, che richiedono autorizzazione del giudice delegato) , quindi non perde subito la governance come nel fallimento. Se il concordato è in continuità, l’impresa può preservare il valore aziendale e i posti di lavoro; se è liquidatorio, può comunque beneficiare di uno scenario meno traumatico della liquidazione giudiziale (ad esempio, il management può cooperare vendendo i beni in modo più vantaggioso, anche se affiancato da un liquidatore nominato). Inoltre, dopo l’omologa del concordato, i creditori rimasti insoddisfatti non possono pretendere altro oltre a quanto previsto: la società ottiene l’effetto esdebitatorio (simile a un fresh start). Un esempio: se i fornitori prendono 30% e la società post-concordato continua, non potranno in futuro chiedere il restante 70% (è un debito perdonato per legge).
Va segnalato che c’è un effetto di “blindatura”: dopo la pubblicazione della domanda di concordato, non si possono iniziare o proseguire azioni esecutive . Anche dopo l’omologa, per i crediti anteriori si è soggetti solo alle regole concordatarie. Ad esempio, come riportato da un caso del Tribunale di Milano nel 2025, un creditore pubblico non può, dopo l’omologa, pretendere il pagamento integrale di sanzioni per violazioni stradali in misura eccedente quanto previsto dal concordato : l’ente pubblico, al pari degli altri creditori, deve rispettare gli effetti obbligatori ed esdebitatori dell’omologa . Ciò evidenzia la forza vincolante del concordato: tutti i creditori anteriori sono tenuti al rispetto.
Svantaggi/limitazioni: Il concordato è una procedura complessa, costosa, e che diventa pubblica, con possibili danni reputazionali e perdita di fiducia da parte di clienti/fornitori. La sua approvazione è incerta (c’è il rischio che i creditori votino contro, portando eventualmente al fallimento se l’insolvenza permane). Richiede la capacità di predisporre un piano sostenibile e documentazione dettagliata: i costi di attestatori, commissari, ecc., non sono trascurabili. In caso di abuso (ad esempio concordato presentato solo per prendere tempo senza vera volontà di risanamento) il tribunale può dichiarare inammissibile la domanda e a quel punto aprire la liquidazione giudiziale d’ufficio. Infatti, presentare un concordato “fasullo” è pericoloso: si ottiene solo una breve dilazione ma si rischia il fallimento aggravato. Anche successivamente, se la società non rispetta il piano omologato, si potrà arrivare alla risoluzione del concordato e al fallimento. Quindi è uno strumento da maneggiare con serietà.
Concordato e amministratori: Per gli amministratori, scegliere il concordato al momento giusto può significare adempiere al dovere di minimizzare le perdite per i creditori. Ritardare e finire in fallimento con un patrimonio eroso sarebbe molto peggio (espone a responsabilità ex art. 2486 c.c.). Inoltre, la giurisprudenza ormai considera che la domanda di concordato preventivo, se motivata da reale tentativo di risanamento, non costituisce atto di mala gestio ma anzi espressione dell’obbligo di gestire in funzione della continuità aziendale dove possibile . Naturalmente, se invece il concordato viene usato in malafede solo per dilatare le procedure (ad esempio per guadagnare tempo e frodare i creditori), ciò può portare a responsabilità penali (bancarotta per aggravamento del passivo). Infatti, abusare del concordato è sanzionato: per esempio se un imprenditore presenta domanda di concordato solo per fermare le esecuzioni e poi non presenta il piano, la sospensione dei termini può essere revocata e il comportamento valutato negativamente .
In conclusione, il concordato preventivo è spesso l’ultima risorsa prima del fallimento, ma anche la più potente in termini di effetti. La scelta tra concordato e altri strumenti va ponderata: se bastano soluzioni negoziali, meglio evitare di andare in concordato; se il debito è troppo grande e frammentato, il concordato può essere l’unica via per gestirlo. Nel contesto della nostra azienda di oli lubrificanti, se essa non riesce a ottenere adesioni sufficienti per un accordo stragiudiziale e i debiti superano la soglia critica, potrebbe dover predisporre un concordato preventivo – ad esempio in continuità aziendale, così da poter continuare la produzione e onorare parzialmente i crediti nel tempo. Il piano potrebbe prevedere che la società, ristrutturata, pagherà il 40% ai chirografari in 4 anni grazie ai flussi di cassa operativi, e integralmente i debiti privilegiati dilazionati. I creditori voterebbero se accettare questo esito invece del fallimento (dove, supponiamo, prenderebbero solo 20%). Se approvato, l’azienda continua a operare e si salva gran parte del valore aziendale.
Liquidazione giudiziale (ex fallimento)
Se tutte le misure di risanamento falliscono o risultano non praticabili e l’impresa è insolvente in modo irreversibile, si apre la strada della Liquidazione Giudiziale, che è il nuovo nome del fallimento nel Codice della Crisi . È la procedura concorsuale “di chiusura”, in cui l’obiettivo principale è liquidare il patrimonio residuo dell’impresa per distribuire il ricavato ai creditori secondo le regole legali (priorità dei privilegi, ecc.), sotto la direzione di un Curatore nominato dal tribunale. La liquidazione giudiziale comporta la spoliazione dell’imprenditore della gestione: l’organo amministrativo viene sostituito dal Curatore, i beni confluiscono nella massa attiva da liquidare, e l’impresa di norma cessa l’attività (salvo esercizio provvisorio in rari casi per conservare valore). Nel contesto di una società di oli lubrificanti, la liquidazione giudiziale potrebbe significare la chiusura dello stabilimento, il licenziamento dei dipendenti (che diventano creditori per TFR e ultime mensilità, privilegiati), la vendita dei macchinari e delle scorte (magari all’asta), con ogni probabilità la perdita di avviamento.
Effetti principali della liquidazione giudiziale:
- Spossessamento: Il debitore perde la disponibilità e l’amministrazione dei suoi beni, che passano sotto il controllo della procedura (il Curatore li amministra). Gli atti dispositivi del debitore dopo l’apertura sono nulli.
- Interruzione attività: Salvo autorizzazione del tribunale per un esercizio provvisorio se utile a evitare danni (es. completare ordini in corso per vendere a miglior prezzo stock di prodotti), l’attività cessa. Nel nostro esempio, si interromperebbe la produzione di lubrificanti.
- Scioglimento dei contratti pendenti: I rapporti contrattuali vengono gestiti dal Curatore, che può decidere di sciogliere i contratti in essere o subentrarvi (nel CCII vi è disciplina dettagliata sugli effetti sui contratti in corso).
- Formazione del passivo: Si apre lo stato passivo, ossia l’elenco dei debiti della società, redatto dal Curatore e approvato dal Giudice Delegato, in cui i creditori insinuano i propri crediti divisi per grado (ipotecari, privilegiati, chirografari). I creditori presentano domanda di insinuazione e vengono ammessi (o esclusi) con apposito provvedimento.
- Liquidazione dell’attivo: Il Curatore procede a vendere i beni aziendali secondo le regole competitive (aste, vendite private autorizzate, ecc.). Nel caso di un’azienda industriale, potrebbe cercare di vendere l’intero complesso (macchinari, marchio, etc.) se genera più valore, altrimenti smembrerà i beni.
- Ripartizione e chiusura: Una volta realizzato il patrimonio, si effettuano i piani di riparto distribuendo le somme: prima si pagano le spese della procedura e i crediti prededucibili (es. compensi del curatore, finanziamenti prededucibili eventualmente concessi), poi i creditori privilegiati in ordine di grado (ipotecari, privilegi generali sui mobili, ecc.), infine gli eventuali chirografari con il residuo pro quota. Spesso per i chirografari rimane ben poco (percentuali molto basse o zero). Chiusa la ripartizione finale, la procedura termina e la società viene cancellata dal registro imprese.
- Esdebitazione: Solo per l’imprenditore persona fisica è prevista (a determinate condizioni) l’esdebitazione di diritto (liberazione dai debiti residui non soddisfatti) dopo la chiusura della liquidazione giudiziale. Le società di capitali invece, cessando di esistere con la cancellazione, di fatto non hanno più soggettività per essere perseguite dai creditori residui (il fenomeno è l’estinzione del debito con l’estinzione della società, salvo debiti verso soci per distribuzione anticipate etc.).
Conseguenze per gli amministratori e soci: L’apertura della liquidazione giudiziale espone gli amministratori a possibili azioni di responsabilità promosse dal Curatore per conto della massa dei creditori. Ad esempio, il Curatore può esercitare l’azione di responsabilità verso gli amministratori ex art. 2394 c.c. (per violazione dei doveri di conservazione del patrimonio sociale a danno dei creditori) se rileva che l’insolvenza è stata aggravata da atti o omissioni colpose o dolose. Abbiamo visto che il nuovo art. 2486 c.c. introduce criteri presuntivi di quantificazione del danno: il danno risarcibile in caso di gestione non conservativa dopo l’emersione di causa di scioglimento si presume pari alla differenza dei patrimoni netti tra il momento in cui avrebbero dovuto cessare e la data di apertura della procedura (o, se i conti non lo permettono, alla differenza tra attivo e passivo accertati al fallimento ). Ciò significa che se gli amministratori hanno tardato a fermare l’attività e la società è fallita con un passivo di molto aumentato, potrebbero essere condannati a risarcire un importo anche pari all’intero deficit fallimentare , salvo prova contraria. Ad esempio, Cass. civ. n. 24006/2025 ha ribadito l’applicabilità retroattiva di questi criteri presuntivi di liquidazione del danno agli amministratori, evidenziando la volontà del legislatore di rendere effettivo il risarcimento a favore dei creditori sociali . Dunque il fallimento porta con sé il redde rationem per gli ex amministratori: il Curatore scruterà la gestione degli ultimi anni e, se emergono irregolarità (mancata tenuta delle scritture, pagamenti preferenziali, aumento dell’esposizione indebita), attiverà cause legali contro di loro.
Inoltre, il fallimento (liquidazione giud.) comporta la possibile instaurazione di procedimenti penali concorsuali: ad esempio la bancarotta semplice (per imprudenza o negligenza che abbiano aggravato il dissesto) o la bancarotta fraudolenta (per distrazione di beni, documenti contabili falsificati, pagamenti preferenziali dolosi). Gli amministratori di una società fallita sono soggetti al fallimento in estensione se soci illimitatamente responsabili, oppure a procedimento penale se vengono ravvisati reati. Nel nostro scenario, se gli amministratori avessero venduto sottocosto uno stock di olio a una ditta correlata prima del fallimento, verrebbe contestata bancarotta fraudolenta patrimoniale; se avessero omesso di tenere la contabilità, bancarotta semplice; se avessero pagato un fornitore amico a scapito degli altri in periodo di insolvenza, bancarotta preferenziale.
Difendersi nel fallimento: Dal lato del debitore, una volta aperta la liquidazione giudiziale, restano poche difese. Il procedimento è principalmente nei mano degli organi concorsuali. Il debitore (nel caso di persona fisica o di legale rappresentante della società fallita) deve collaborare, fornire documenti, e può presentare osservazioni ai progetti di stato passivo o di riparto, ma ha perso la gestione dell’impresa. Una “difesa” possibile, se emergono prospettive tardive di recupero, è chiedere la chiusura anticipata del fallimento per concordato fallimentare (transazione con i creditori in corso di fallimento, ex art. 240 CCII) o per mancanza di attivo sufficiente (ma in tal caso i debiti rimangono e i creditori potrebbero proseguire su obbligati in solido, ad es. fideiussori). Tuttavia, queste situazioni sono eccezioni. In generale, una volta in liquidazione giudiziale, l’imprenditore può solo cercare di limitare i danni personali – cooperando per evitare accuse di bancarotta per distruzione documenti o altro – e prepararsi a eventuali azioni di responsabilità.
Conclusione sulla liquidazione giudiziale: È l’epilogo da evitare se vi è speranza di risanamento. Per questo tutta la normativa recente spinge ad attivare prima possibili soluzioni alternative. Se però l’insolvenza è conclamata e nessun concordato è fattibile (ad esempio, perché non ci sono proposte sostenibili né adesioni di creditori), allora affrontare il fallimento in modo trasparente e ordinato può essere la scelta meno peggiore. Perlomeno, la rapida emersione può permettere di salvare parti dell’azienda (tramite esercizio provvisorio e affitto d’azienda durante il fallimento) e ridurre l’esposizione ad accuse di aggravamento. Dal punto di vista dei creditori, a volte il fallimento è preferito quando ritengono che il concordato offra troppo poco: infatti, se un concordato propone percentuali esigue e tempi lunghi, i creditori possono votare contro e “far fallire” l’azienda sperando magari in azioni di responsabilità e revocatorie che aumentino l’attivo. Dunque, il fallimento rimane sullo sfondo come minaccia e come punto di paragone (baseline) per valutare l’accettabilità degli altri piani.
Tabella 2 – Confronto sintetico degli strumenti di risanamento/insolvenza
| Strumento | Natura | Presupposti chiave | Effetti e Vantaggi | Svantaggi |
|---|---|---|---|---|
| Composizione negoziata (CNC) | Stragiudiziale assistito da esperto (volontario) | Impresa in crisi o insolvenza reversibile. Nomina esperto CCIAA. | – Trattative riservate con creditori; <br>– Possibili misure protettive su richiesta (stop azioni esecutive) ; <br>– Nessuna pubblicità salvo protezioni; <br>– Flessibilità nelle soluzioni (accordi ad hoc, ricerca investitori). | – Non vincola i dissenzienti (accordi solo con chi aderisce); <br>– Durata limitata (max 6 mesi); <br>– Se fallisce, si rischia concordato semplificato o fallimento; <br>– Necessita collaborazione dei creditori. |
| Piano attestato di risanamento | Stragiudiziale contrattuale con esperto attestatore | Crisi o rischio insolvenza superabile con accordi privati. Attestazione indipendente della fattibilità . | – Niente tribunale, massima discrezione; <br>– Protezione da revocatorie per atti in esecuzione del piano ; <br>– Grande flessibilità di contenuti; <br>– Dimostra diligente tentativo di risanamento (utile per evitare responsabilità). | – Nessun blocco automatico dei creditori (dissenzienti possono agire); <br>– Richiede consenso individuale dei principali creditori; <br>– Successo legato alla credibilità del piano e all’attestatore; <br>– Se il piano fallisce, si torna a rischio insolvenza (nessuna esdebitazione garantita). |
| Accordo di ristrutturazione | Misto (contratto + omologa tribunale) | Adesione ≥60% crediti ; Pagamento integrale dei non aderenti (salvo cram-down Fisco) ; Attestazione equità + convenienza. | – Coinvolge solo parte dei creditori (flessibilità nei termini per aderenti); <br>– Omologazione congela azioni (moratoria) e rende vincolante per firmatari; <br>– Possibile estensione effetti a finanziatori dissenzienti se 75% aderisce ; <br>– Transazione fiscale possibile anche senza adesione Fisco (tribunale supplisce) . | – Richiede già un ampio consenso (60%); <br>– I creditori estranei vanno soddisfatti per intero (costo elevato, a meno che pochi); <br>– Procedura di omologa, se opposizioni può allungarsi; <br>– Comunque pubblicità (registro imprese) e percezione di pre-insolvenza. |
| Concordato preventivo (continuità o liquidatorio) | Giudiziale concorsuale | Stato di crisi o insolvenza; <br>Piano con soddisfacimento > scenario fallimento; <br>Se liquidatorio, almeno 20% ai chirografari ; <br>Attestazione indipendente; <br>Voto maggioranze classi creditori. | – Sospende tutte le azioni esecutive su patrimonio da deposito domanda ; <br>– Stralcia debiti secondo piano omologato (vincola anche dissenzienti) ; <br>– Possibilità di continuare attività (concordato in continuità) salvando valore e posti di lavoro; <br>– Esdebitazione dell’ente a fine procedura; <br>– Nomina commissario ma gestione resta al debitore (controllata). | – Procedura complessa, pubblica e costosa (ruolo di tribunale, commissario, voto creditori); <br>– Richiede convincere i creditori (rischio bocciatura e fallimento); <br>– Tempistiche medio-lunghe; <br>– Dopo omologa, necessità di rigorosa esecuzione (pena risoluzione e possibile fallimento). |
| Concordato semplificato (post-CNC) | Giudiziale concorsuale senza voto creditori | Fallimento composizione negoziata (trattative non riuscite); <br>Proposta concordataria solo liquidatoria; <br>Attestazione valore di liquidazione. | – Non richiede voto dei creditori (decisione del tribunale) ; <br>– Permette soluzione rapida dopo CNC, evitando fallimento tradizionale; <br>– Debiti stralciati secondo piano omologato. | – Applicabile solo se CNC non ha esito positivo (non accessibile direttamente) ; <br>– Solo liquidatorio (impresa cessata); <br>– Tribunale molto rigoroso nel valutare proposta (tutela dei creditori ex officio); <br>– Meno garanzie di consenso, potenziali opposizioni forti dei creditori. |
| Liquidazione giudiziale (Fallimento) | Giudiziale concorsuale liquidatoria | Insolvenza conclamata; <br>No soluzioni alternative praticabili; <br>Superamento soglie fallibilità (se impresa piccola non soggetta). | – Gestione affidata a Curatore esperto; <br>– Possibilità di azioni revocatorie per recuperare pagamenti indebiti pre-fallimento; <br>– Possibile esercizio provvisorio per cedere azienda unitaria; <br>– Spesso risolve situazioni irrecuperabili distribuendo quel che c’è secondo legge. | – Cessazione attività e dissoluzione impresa; <br>– Creditori chirografari generalmente soddisfatti in minima parte; <br>– Tempistica lunga (anni); <br>– Per amministratori: rischio azioni responsabilità (danni) e sanzioni penali (bancarotta) ; <br>– Perdita totale di controllo per imprenditore. |
(Legenda: preded.=prededucibile; CNC=composizione negoziata crisi; ADR=accordo di ristrutturazione)
La responsabilità degli amministratori nella crisi d’impresa
Dal punto di vista del debitore, una delle preoccupazioni maggiori (soprattutto se la società è una S.r.l. o S.p.A.) è capire in quali casi gli amministratori o i soci possano essere chiamati a rispondere personalmente dei debiti sociali o di danni verso la società/creditori. La regola generale nel diritto societario italiano è che la società di capitali risponde con il proprio patrimonio delle obbligazioni, e soci e amministratori non ne rispondono personalmente. Tuttavia, in situazioni di crisi e insolvenza, emergono diversi profili di responsabilità specifica a carico degli amministratori (e talora dei sindaci o revisori), sia in sede civile (risarcimento danni, obblighi verso creditori) che penale (reati fallimentari, tributari).
Vediamo i principali ambiti:
Doveri legali degli amministratori in prossimità della crisi
Già menzionato in precedenza, l’art. 2086 c.c. impone agli amministratori di attivarsi tempestivamente in presenza di segnali di crisi . Questo si collega anche all’art. 2486 c.c.: in caso di perdita rilevante del capitale sociale (oltre il terzo) o di altre cause di scioglimento (es. impossibilità di conseguire l’oggetto sociale), l’amministratore deve limitarsi a compiere atti di gestione conservativa e convocare senza indugio l’assemblea per i provvedimenti (riduzione capitale, liquidazione volontaria, ecc.). Continuare l’attività d’impresa come se nulla fosse, in presenza di cause di scioglimento o insolvenza, costituisce violazione dei doveri.
Responsabilità verso la società (azione sociale): Se la società subisce un danno da cattiva gestione, l’assemblea o il curatore fallimentare (ex art. 146 L.F., ora art. 255 CCII) possono esercitare l’azione di responsabilità contro gli amministratori per mala gestio. In caso di insolvenza, è tipica l’accusa di aver aggravato il dissesto protraendo l’attività invece di prendere misure conservative. La riforma ha reso questa azione più efficace con la presunzione di cui al novellato art. 2486 c.c.: il danno risarcibile è presunto pari al peggioramento del deficit patrimoniale causato dalla prosecuzione indebita . In concreto: se quando la società aveva capitale azzerato i debiti erano 1 milione e al fallimento sono 2 milioni, il danno presunto è la differenza (1 milione) salvo prova contraria dell’amministratore che quell’aggravio non sia imputabile a lui o sia minore. Questa è una forte presunzione relativa introdotta dall’art. 378 CCII, per cui spetta all’amministratore l’onere di dimostrare che il danno effettivo è diverso (ad es. perché anche fermando prima l’impresa avrebbe comunque accumulato quei debiti) . Nei casi peggiori, se le scritture contabili mancano o sono inservibili, scatta addirittura la quantificazione pari all’intero passivo eccedente l’attivo (presunzione assoluta iuris et de iure senza possibilità di prova contraria) . Ciò punisce severamente chi ha tenuto conti irregolari, impedendo loro di sottrarsi invocando l’incertezza: in tali casi il deficit fallimentare diventa il danno risarcibile ex lege.
Responsabilità verso i creditori sociali: L’art. 2394 c.c. prevede un’azione specifica se il patrimonio sociale diventa insufficiente a soddisfare i creditori a causa di atti di mala gestio. Questa azione può essere esercitata dai creditori (individualmente) prima del fallimento, o dal curatore in rappresentanza di tutti dopo il fallimento (in tal caso si cumula con l’azione sociale). Ad esempio, se gli amministratori hanno dissipato risorse che avrebbero dovuto garantire i creditori, questi possono chiedere il risarcimento del danno limitatamente all’insufficienza patrimoniale aggravata. In pratica però, questa confluisce di solito nell’azione del curatore post-fallimento.
Violazione di obblighi specifici: Ci sono poi norme puntuali: ad esempio l’art. 2485 c.c. impone di accertare senza indugio la causa di scioglimento e di iscriverne la notizia al Registro, altrimenti l’amministratore risponde dei danni; l’art. 2486 c.c. stesso dice che da quando sorge una causa di scioglimento gli amministratori in carica o nominati in liquidazione rispondono per i danni causati dall’inosservanza dell’obbligo di conservazione del patrimonio sociale. Inoltre, i sindaci possono essere corresponsabili se hanno omesso di vigilare (nuovo art. 2407 c.c.: la riforma 2019 ha chiarito che il collegio sindacale risponde in solido con gli amministratori per omessa vigilanza su gestione e assetti) .
Denuncia ex art. 2409 c.c.: Come visto, prima ancora di un fallimento, se i soci o il tribunale (su segnalazione di soci di minoranza o autorità) rilevano gravi irregolarità nella gestione (es. mancanza di assetti, come in Trib. Milano 2024 cit. sopra), possono chiedere al tribunale di intervenire. Il tribunale può rimuovere gli amministratori e nominare un amministratore giudiziario. Questa misura, benché civilistica, è estremamente incisiva: di fatto esautora l’organo amministrativo per tutelare la società. Più tribunali hanno ritenuto che non adottare assetti adeguati sia di per sé grave irregolarità sufficiente per la revoca , perché mette a repentaglio la continuità aziendale inconsapevolmente. Ciò sprona gli amministratori a predisporre strumenti di controllo e ad agire sulla crisi prima che qualche socio insoddisfatto li porti in tribunale.
Eventuale responsabilità dei soci o di altre figure
Per completezza, segnaliamo che i soci di S.r.l. potrebbero rispondere in casi eccezionali: ad esempio, se hanno deciso distribuzioni di utili fittizi o riduzioni di patrimonio a loro vantaggio pregiudizievoli per i creditori, il curatore può chieder loro di restituire quanto avuto indebitamente (azione di responsabilità verso i soci ex art. 2476 co.7 c.c.). In generale però i soci di capitali non rispondono dei debiti sociali (salvo abbiano prestato garanzie personali).
Diverso il caso di soci illimitatamente responsabili (S.n.c., S.a.s.): questi rispondono col proprio patrimonio dei debiti sociali e nel fallimento della società sono coinvolti col proprio fallimento personale (cd. fallimento in estensione). Nel nostro scenario ipotetico, se l’azienda fosse stata una S.n.c. fra persone, i soci sarebbero falliti insieme alla società e i creditori avrebbero potuto aggredire i loro beni personali a soddisfacimento del residuo.
Gli organi di controllo (sindaci, revisori) rispondono se non hanno vigilato e ciò ha permesso che la situazione degenerasse. Cass. civ. n. 6887/2025 ad esempio ha suonato l’allarme sulla responsabilità dei sindaci “passivi”: non possono più permettersi di ignorare i segnali di crisi, pena rispondere con gli amministratori per i danni subiti dai creditori (si cita la sentenza in contesti professionali, segno di indirizzo severo). Dunque, anche i controllori possono essere chiamati in causa nelle azioni di responsabilità (ecco perché spesso hanno polizze assicurative specifiche).
Profili penali nella crisi d’impresa
Dal punto di vista del debitore/amministratore, l’incubo peggiore è incorrere in sanzioni penali. Purtroppo la crisi d’impresa tocca molte norme penali:
- Reati fallimentari: Se l’azienda finisce in liquidazione giudiziale, gli amministratori passati possono essere incriminati per bancarotta fraudolenta se hanno compiuto atti distrattivi (es. sottratto beni della società prima del fallimento, venduto sottocosto a terzi compiacenti, falsificato libri contabili, preferito alcuni creditori scientemente) oppure per bancarotta semplice se hanno aggravato il dissesto per imprudenza (es. continuando a fare operazioni gravemente azzardate, o non tenendo i libri). L’art. 322 e seguenti del CCII riprendono sostanzialmente i vecchi artt. 216-217 L.F. con qualche modifica terminologica. L’art. 330 CCII specificamente punisce gli amministratori che con violazione degli obblighi legali (es. non adottare assetti, non convocare assemblea su perdite) hanno cagionato o aggravato il dissesto con la reclusione prevista per la bancarotta semplice impropria . Esempio: l’inerzia di fronte alla perdita del capitale, se porta a fallimento, costituisce reato.
- Reati tributari: Come menzionato, omessi versamenti IVA e ritenute configurano reati se superano soglie (artt. 10-bis e 10-ter D.Lgs. 74/2000). Anche l’emissione di fatture false o altre frodi per sfuggire al fisco durante la crisi configurano reati (dichiarazione fraudolenta, occultamento di documenti contabili). In caso di concordato preventivo, la legge prevede la non punibilità per alcuni reati di omesso versamento se il debito tributario viene integralmente soddisfatto secondo il concordato omologato – incentivo a includere i tributi nel piano.
- Altri reati societari: False comunicazioni sociali (bilanci falsi) potrebbero emergere se gli amministratori hanno nascosto lo stato di crisi con artifici contabili. La Cassazione 2025 in una pronuncia ha ribadito che la falsità di bilancio è fonte autonoma di responsabilità civile verso la società e i creditori , e ovviamente è rilevante penalmente se “socialmente pericolosa” (anche se la riforma dei reati societari del 2015 richiede soglie di punibilità).
- Reati di insolvenza fraudolenta, usura, ecc.: Se l’amministratore ha ottenuto credito da banche omettendo dolosamente di dire che era insolvente, potrebbe configurarsi truffa o insolvenza fraudolenta. Oppure se per finanziarsi ha commesso altre illegalità, ne risponde.
Difendersi penalmente: Il miglior consiglio è prevenire. Agire con trasparenza e correttezza anche in crisi: non occultare scritture, non distrarre beni (anzi, ogni atto rilevante dovrebbe essere fatto a valori di mercato e con documentazione), non favorire arbitrariamente qualcuno. Nel concordato, l’amministratore deve astenersi da pagamenti preferenziali extra-piano (che potrebbero costituire reato e portare a revoca del concordato). Seguire le regole procedurali (ad esempio non aggravare passivo nel concordato in bianco acquistando beni non autorizzati – sarebbe reato e causa di inammissibilità).
Il CCII offre qualche esimente: ad esempio, se l’imprenditore causa un piccolo ritardo nei pagamenti contributivi per tentare il risanamento, l’art. 324 CCII esclude la punibilità per bancarotta semplice in certi casi di crisi gestita in modo virtuoso. Inoltre, l’omologazione di un concordato con percentuale significativa può far ritenere cessata la materialità di alcuni reati (questioni interpretative).
In ogni caso, collaborare con gli organi (commissario, curatore) di solito attenua il giudizio su eventuali condotte. Al contrario, sottrarsi o ostacolare la procedura concorsuale aggrava la posizione.
Come proteggersi: il punto di vista del debitore responsabile
Un amministratore-debitore che vuole difendersi da future accuse e azioni deve:
- Adottare assetti adeguati e documentare ogni passaggio. Se emergono segnali di crisi, far verbalizzare le decisioni (es. convocare CDA o assemblea, consultare esperti). Questo crea un record di comportamento diligente.
- Attivare gli strumenti di composizione tempestivamente: ad esempio, se i creditori pubblici segnalano allerta, non ignorarla ma avviare la composizione negoziata o almeno predisporre un piano attestato. Poi, se necessario, virare su concordato. L’importante è non restare fermi a far accumulare debiti.
- Evitare atti lesivi per i creditori: niente pagamenti preferenziali fuori dalle ipotesi consentite (nel dubbio, in concordato ad esempio i pagamenti anteriori richiedono autorizzazione del giudice per atti urgenti). Non sottrarre disponibilità (classico: non far sparire la cassa o il magazzino prima del fallimento – sono condotte ovviamente fraudolente).
- Comunicare in modo onesto con i creditori: se si negozia, non dare informazioni false o fuorvianti (questo potrebbe creare anche pretese di dolo contrattuale in futuro).
- Regolarizzare dove possibile: ad esempio, se vi sono violazioni fiscali minori o formali, approfittare di ravvedimenti operosi, sistemare i libri sociali (tenere aggiornati libri contabili: libri mancanti sono preludio a guai seri).
- Verificare coperture assicurative: Molti amministratori hanno polizze D&O (directors & officers) che coprono i danni civili verso terzi. Questo non li esime dal dover pagare eventualmente, ma può offrire un paracadute patrimoniale. Avere una polizza e attivarla in caso di azioni del curatore è prassi.
- Consulenza legale continua: ingaggiare professionisti esperti in crisi (avvocati, commercialisti) fin dai primi sintomi consente di evitare passi falsi e magari ottenere pareri pro-veritate su scelte delicate. Un parere di un esperto su una certa operazione può aiutare a difendersi dall’accusa di imprudenza grave.
Un istituto di grande interesse introdotto dal CCII è l’esdebitazione dell’imprenditore insolvente onesto (art. 282 CCII e segg.), ora applicabile anche all’imprenditore collettivo di fatto. In particolare, gli imprenditori individuali o i soci illimitatamente responsabili possono essere liberati dai debiti residui se hanno cooperato durante la procedura e non vi sono stati atti di frode. Questo però attiene più alle persone fisiche.
Infine, occorre citare che persino in costanza di procedure di risanamento, gli amministratori potrebbero incorrere in responsabilità se violano le regole di quelle procedure: es. finanza interinale non autorizzata in concordato può essere considerata grave irregolarità.
In sintesi, il punto di vista del debitore prudente è: gestire la crisi con trasparenza, tempestività e rispetto delle norme, perché così facendo non solo massimizza le chance di salvare l’impresa, ma tutela se stesso dal venire coinvolto in interminabili strascichi giudiziari personali. La differenza tra un’azienda in crisi ben gestita e una malgestita si vede anche a posteriori: nel primo caso, i creditori potrebbero essere insoddisfatti economicamente ma riconoscere la correttezza dell’operato (non promuovendo cause temerarie); nel secondo, oltre al danno c’è la beffa delle responsabilità personali.
Esempi pratici di gestione della crisi (casi simulati)
Per concretizzare quanto detto, esaminiamo due scenari pratici relativi ad un’azienda di oli lubrificanti, illustrando le azioni possibili e gli esiti.
Esempio 1: PMI di oli lubrificanti in crisi reversibile (concordato in continuità)
Scenario: LubriCo S.r.l. è un’impresa toscana con 25 dipendenti che produce oli lubrificanti industriali. Nel 2024 subisce il fallimento di un importante cliente e l’aumento del costo delle materie prime, accumulando debiti: €300k verso fornitori di additivi, €200k verso la banca (scoperto di conto e leasing per i silos), €150k di IVA non versata e ritenute. Il fatturato è calato ma l’azienda ha ancora un portafoglio clienti valido e know-how. Il patrimonio attivo consiste in un capannone (valore €400k ipotecato dalla banca per €200k residuo mutuo) e macchinari (valore €150k). LubriCo è fallibile (supera attivo 300k e debiti 500k), e presenta segnali di crisi (tensione di cassa, alcuni fornitori iniziano a pretendere pagamento anticipato).
Azioni intraprese: Gli amministratori di LubriCo non aspettano il punto di non ritorno: a fine 2024, vedendo che non riescono a pagare IVA e fornitori, contattano un advisor. Per prima cosa, implementano adeguati assetti interni: attivano un controllo di gestione mensile e uno strumento di allerta sugli indici di liquidità. I segnali confermano la crisi. All’inizio 2025, LubriCo deposita istanza di Composizione Negoziata presso la CCIAA. Viene nominato un esperto, il dott. Rossi. Nel frattempo, LubriCo chiede e ottiene dal tribunale misure protettive: un decreto inibisce ai creditori di iniziare o proseguire esecuzioni (i fornitori e il fisco sono temporaneamente bloccati dal pignorare il conto) . Ciò dà respiro (anche se uno dei fornitori aveva appena ottenuto decreto ingiuntivo, non può procedere al pignoramento).
L’esperto aiuta LubriCo a elaborare un piano: riduzione di alcuni costi (energia, ottimizzando i processi di miscelazione), cessione di un vecchio impianto non produttivo per €50k, proposta di accordo: fornitori trade, pagare 50% del dovuto in 12 mesi; banca, proroga del leasing di 2 anni e conversione scoperto in mutuo a 5 anni; Agenzia Entrate, transazione fiscale con pagamento 30% del debito IVA in 6 rate semestrali. Mentre tratta, LubriCo trova un investitore locale disposto a immettere €100k a fronte di quote societarie e di partecipare al rilancio commerciale.
Esito possibile A (positivo): I creditori accettano la proposta in linea di massima: la maggior parte dei fornitori (rappresentanti il 70% del totale dovuto) concordano con il 50%, la banca è d’accordo (preferisce allungare che svalutare il credito), l’AdER è disponibile a transazione fiscale al 30% perché l’IVA in caso di fallimento avrebbe rango chirografario per buona parte. A questo punto, LubriCo decide di formalizzare un Accordo di ristrutturazione su base negoziata con omologa. Raccoglie le firme: aderisce il 80% dei crediti (tutti i principali). I pochi fornitori dissenzienti (20%) saranno pagati integralmente con parte dei €100k dell’investitore (questo consente l’omologazione). Un attestatore certifica che i non aderenti sono pagati 100% e che per gli aderenti l’accordo è vantaggioso rispetto al fallimento (nel quale avrebbero preso forse 30%). LubriCo deposita l’accordo in tribunale a metà 2025 chiedendo l’omologa e contestualmente l’esperto chiude la composizione negoziata con esito positivo. Il tribunale omologa senza opposizioni (perché i dissenzienti vengono soddisfatti comunque). LubriCo esce dall’accordo: ottiene nuova finanza dall’investitore, paga i piccoli creditori fuori dall’accordo, e per i prossimi anni esegue l’accordo con gli altri (fornitori prendono 50% a stralcio in tranches, il fisco incassa le sue 6 rate). L’azienda continua l’attività, l’occupazione è salva, la reputazione verso i clienti non è troppo danneggiata (ufficialmente c’è stato un accordo omologato, ma non un concordato; molti clienti forse neanche lo percepiscono). Gli amministratori hanno gestito tutto con diligenza, l’impresa è risanata. Nessuna azione di responsabilità o penale: i debiti fiscali sono regolati, quindi niente omesso versamento punibile; i creditori soddisfatti non hanno motivo di lamentare danni. L’adeguatezza degli assetti è stata rispettata.
Esito possibile B (negativo): Poniamo invece che le trattative in composizione negoziata non vadano a buon fine – ad esempio due banche detentrici del 40% del debito complessivo rifiutano accordi (vogliono rientro totale subito). L’esperto, trascorsi 4 mesi, conclude che non c’è accordo. A questo punto LubriCo, per evitare i pignoramenti (che riprenderebbero terminata la protezione) e la possibile istanza di fallimento, deposita entro 60 giorni un ricorso per Concordato Preventivo con continuità aziendale diretta. Il piano di concordato riprende la falsariga delle proposte fatte: prevede la continuità produttiva per 5 anni, con pagamento integrale delle banche ipotecarie (grazie ai flussi operativi futuri, agevolati dalla crescita prevista di mercato), pagamento al 40% dei chirografari (fornitori e fisco su parte chirografaria) in 4 anni, e l’apporto di €100k dall’investitore destinato in parte a liquidità immediata per iniziare a pagare i creditori. Il piano indica che in liquidazione fallimentare i chirografari prenderebbero solo il 15%, quindi l’offerta 40% è nettamente migliorativa. Il tribunale ammette al concordato (i debiti scaduti superano €30k, soglie fallibilità superate, insomma c’erano i requisiti). Durante la procedura, con l’autorizzazione del giudice delegato, LubriCo cede il vecchio impianto da €50k e usa i fondi per finanziare l’attività corrente (ciò è permesso perché pianificato nel piano come cessione di bene non strategico in continuità). I creditori votano: le banche (privilegiate ipotecarie) votano sì perché prendono 100% anche se dilazionato; i fornitori per la maggior parte votano sì (preferiscono 40% a rischiare il fallimento); lo Stato (Agenzia Entrate) formalmente non vota per i tributi privilegiati se sono pagati integralmente (dunque l’IVA privilegiata 100% in 4 anni, ok), per la parte chirografaria dell’IVA e sanzioni si considera una classe chirografaria e il MEF nel 2025 ha emanato linee guida per cui se il trattamento è pari al migliore interesse, spesso non si oppone. Si raggiunge la maggioranza in tutte le classi: concordato approvato. Un creditore finanziario dissenziente fa opposizione lamentando che la sua classe (banche chirografarie, supponiamo una banca senza garanzie) riceve 40% troppo poco; ma il tribunale verifica che comunque è più di quanto avrebbe in fallimento e rigetta l’opposizione. A fine 2025, il concordato viene omologato. LubriCo da allora paga regolarmente le percentuali concordatarie semestralmente ai fornitori e altri chirografari. Il commissario giudiziale vigila fino a esecuzione completata. Dopo 4 anni, LubriCo adempie tutto: esdebitata dal restante 60% chirografario, torna un’azienda “pulita”. Gli amministratori, avendo diligentemente seguito la procedura e rispettato la par condicio, evitano azioni di responsabilità: anzi il concordato è prova che non hanno aggravato il dissesto ma l’hanno risolto. Non vi sono strascichi penali: i creditori han visto soddisfazione concordataria, il fisco ha recuperato in parte e per la parte falcidiata c’è transazione fiscale omologata che funge da causa di non punibilità.
Commento: L’esempio 1 mostra l’importanza di adattare la strategia allo scenario: prima si prova la via negoziale leggera (CNC), se va bene ottimo, se no si passa alla procedura concorsuale. Il punto focale è che l’azienda aveva prospettive di risanamento essendo la crisi dovuta a fattori esterni (fallimento cliente, rincari) e non a un business non profittevole. Quindi c’era base per continuità. Gli strumenti (accordo o concordato in continuità) servono proprio a guadagnare tempo e struttura per recuperare. Dal punto di vista del debitore, una scelta del genere ha comportato sacrifici (perdita di parte dei beni, diluizione soci con ingresso investitore, rinuncia al 60% di debiti chirografari nel concordato), ma ha salvato l’impresa come going concern. Gli amministratori non solo hanno evitato guai, ma hanno conservato l’azienda e probabilmente anche il loro ruolo (se l’investitore ha fiducia, li terrà magari in dirigenza).
Esempio 2: Grande impresa di lubrificanti in insolvenza irreversibile (liquidazione)
Scenario: OilItalia S.p.A. è una storica azienda con 300 dipendenti, impianti in varie regioni, specializzata in lubrificanti per automotive e industria. Negli ultimi anni ha perso commesse per il passaggio ai veicoli elettrici (calo domanda oli motore). Ha debiti enormi: €20 milioni con banche (mutui impianti e bond emessi), €5 milioni fornitori petrolchimici, €3 milioni di debiti tributari, ecc. Ha tuttavia uno stabilimento di grande valore (terreno industriale pregiato) e tecnologie brevettate. Nel 2024 le perdite si accumulano erodendo il capitale: la società segna patrimonio netto negativo per €10 milioni. Nonostante vari tentativi di trovare un partner, nessuno vuole assumersi questo peso. I flussi di cassa sono nettamente negativi, l’azienda è insolvente (non paga fornitori da 6 mesi, le banche hanno revocato fidi). OilItalia supera di molto le soglie dimensionali ed è soggetta a procedure maggiori.
Azioni possibili: L’organo amministrativo, conscio della situazione disperata, potrebbe percorrere due vie: (a) tentare comunque un concordato preventivo liquidatorio mettendo in vendita gli asset per evitare la frammentazione fallimentare; (b) oppure arrendersi alla liquidazione giudiziale, confidando magari nell’Amministrazione Straordinaria (leggi Marzano) se rientra nei criteri (grandi imprese insolventi con >200 dipendenti: OilItalia li ha, quindi è candidata alla procedura di amministrazione straordinaria se il governo la ritiene di interesse).
Percorso A (concordato liquidatorio): OilItalia deposita un concordato preventivo con proposta di cessione dei complessi aziendali. Il piano prevede di vendere lo stabilimento principale a un concorrente che si è detto interessato (valore offerta €15 milioni) e liquidare gli altri beni, mantenendo l’azienda in esercizio provvisorio durante la procedura per evitare deperimento (concordato in continuità indiretta: continuità solo fino alla cessione). I lavoratori verrebbero riassorbiti in parte dall’acquirente. Il ricavato totale stimato per i creditori è €20 milioni, con cui OilItalia propone di pagare: 100% dei creditori privilegiati (tra cui banche ipotecarie per €10M, dipendenti TFR, ecc.), e circa 30% ai chirografari. Il piano di fatto liquida l’impresa, ma tramite concordato invece che fallimento. I creditori votano: le banche ipotecarie (che prendono 100% dall’offerta sullo stabilimento) sono favorevoli; i fornitori chirografari anche, sebbene prendano 30%, perché temono che in fallimento magari l’offerta del concorrente sfumi o valga meno (anche se 30% è comunque sopra la soglia del 20% legale). Il Fisco con i €3M di crediti tra privilegi e chirografi viene soddisfatto in parte ma l’Agenzia Entrate vota a favore perché ottiene 100% su IVA privilegiata e il 30% su resto – scenario fallimento prenderebbe forse 10%. Concordato approvato e omologato. Un liquidatore giudiziale nominato dal tribunale conclude la vendita dello stabilimento al concorrente come da piano. I creditori vengono pagati secondo il riparto: banche e privilegiati interi, fornitori 30%. L’azienda OilItalia poi si scioglie (cessa esistenza). I dipendenti sono in gran parte transitati al compratore.
Gli amministratori, avendo scelto questa via, dimostrano di aver agito per massimizzare il valore: la vendita in continuità ha fruttato €15M, mentre in un’asta fallimentare chissà. Quindi difficilmente saranno accusati di danni – anzi il curatore (che qui non c’è perché non c’è fallimento) non agirà. Anzi, se qualche creditore insoddisfatto volesse accusarli di ritardo, loro replicherebbero che proprio grazie al ritardo hanno potuto vendere meglio in concordato e dare il 30% invece di, ipotizziamo, 10%. Penalmente, se non emergono distrazioni (andrebbe visto il passato, ma supponiamo siano stati corretti), non avrebbero imputazioni. In particolare il concordato liquidatorio spesso mette in luce se c’erano condotte fraudolente (il commissario controlla). Non emergendo, e col concordato eseguito, i libri contabili in ordine e depositati, gli ex amministratori di OilItalia potrebbero evitare incriminazioni. Magari qualche azione di minoranze in borsa (se fosse quotata) per danni? Non menzionato, supponiamo non quotata.
Percorso B (fallimento / amministrazione straordinaria): In alternativa, supponiamo che la situazione fosse troppo deteriorata per anche tentare un concordato (es. il concorrente si è tirato indietro). OilItalia subisce allora l’istanza di fallimento da parte di banche e fornitori. Il tribunale, vista l’insolvenza conclamata, dichiara la liquidazione giudiziale. Tuttavia, data la dimensione (>200 dipendenti), il Ministero dello Sviluppo Economico potrebbe attivare la procedura di Amministrazione Straordinaria (L. 270/99), che è finalizzata a un risanamento o cessione dell’impresa con tutela dell’occupazione. Nel migliore dei casi, OilItalia entra in A.S.: un Commissario Straordinario la gestisce, tenta di vendere rami in blocco e non liquida subito. L’effetto per creditori è analogo a un fallimento ma con tempi diversi e finalità di continuità su scala grande. Se anche questo non avviene, si prosegue con fallimento ordinario: il Curatore vende i beni (lo stabilimento, sperando che il concorrente partecipi all’asta; spesso in fallimento il prezzo d’asta potrebbe essere minore dei 15M offerti in trattativa privata – magari il competitor attende il fallimento per spuntare affare migliore). I creditori privilegiati vengono pagati col ricavato, i chirografari forse ricevono una percentuale minore (es. 10-15%). I dipendenti non assorbiti perdono il lavoro anche se prendono TFR dal fondo di garanzia.
Per gli amministratori, il fallimento di OilItalia scatena come detto l’azione del Curatore: questi esamina e nota che già dal 2023 la società era in perdita grave ma gli amministratori hanno continuato a erogare dividendi ai soci (ipotesi di colpa grave) e a fare investimenti spropositati sperando di invertire la tendenza. Inoltre, rileva che nel 2024, pur in crisi, hanno pagato integralmente alcuni fornitori critici lasciando altri a zero (configurando possibili profili di bancarotta preferenziale). Il Curatore quindi li cita in giudizio chiedendo €X milioni di danni per aggravamento del passivo. Applica l’art. 2486 c.c. presumendo come danno la differenza di patrimonio netto tra quando avrebbero dovuto attivarsi (metà 2023, diciamo, quando perdita >1/3 capitale) e il passivo finale al 2025 . Gli amministratori in tribunale tentano di difendersi dicendo che speravano in un risanamento con nuovi prodotti bio-lubrificanti; ma senza documenti che lo provino, la presunzione di danno rimane. Finiscono con una condanna al risarcimento parziale (magari transano con la Curatela attingendo alle loro polizze D&O). Sul fronte penale, la Procura contesta a uno di loro la bancarotta semplice (per aver procrastinato la richiesta di concordato o fallimento e peggiorato il buco, reato ex art. 330 CCII) e a un altro la bancarotta preferenziale (per quei pagamenti selettivi ai fornitori preferiti): entrambi rischiano condanne. Si difendono dicendo di aver agito in buona fede per salvare la società, ma quelle condotte oggettivamente integrano gli elementi dei reati (preferenze e ritardo colposo). Ottengono forse attenuanti, patteggiano a pene sospese se incensurati, ma subiscono lo stigma del processo.
Commento: L’esempio 2 mostra un caso in cui la crisi è troppo avanzata. Gli amministratori hanno comunque il dovere di tentare di contenere il danno: se riescono a fare un concordato liquidatorio, per quanto doloroso (l’azienda si dissolve), fanno comunque meglio per i creditori e per se stessi. Se invece lasciano correre, il fallimento travolge non solo la società ma anche loro. L’Amministrazione Straordinaria è un’àncora di salvezza solo per grandi imprese di rilevanza nazionale e dipende da decisioni ministeriali (non è a iniziativa libera dell’imprenditore). Quindi non è garantita.
Dal punto di vista del debitore, a volte riconoscere che non c’è nulla da fare e non peggiorare la situazione è la scelta più saggia: aprirsi al controllo di un commissario o curatore, evitare di incorrere in responsabilità per ritardi ulteriori, e magari cooperare per vendere gli asset al meglio (nel fallimento, la cooperazione con il curatore può aiutare a valorizzare i beni e i rapporti). Il caso evidenzia anche come, per grandi imprese, possano entrare in gioco interessi pubblici (tutela occupazione): strumenti speciali come l’A.S. possono difendere l’impresa in senso pubblicistico, ma non garantiscono di per sé i creditori (che spesso in A.S. prendono meno che in concordati, perché l’obiettivo è salvare l’attività).
Domande frequenti (FAQ)
D: La mia azienda non paga più i fornitori da 4 mesi. Possono subito portarmi in tribunale per il fallimento?
R: Sì, un fornitore non pagato (o altro creditore) può presentare istanza di fallimento se l’azienda è in stato d’insolvenza (incapace di soddisfare regolarmente le obbligazioni). Tuttavia, il tribunale dichiarerà la liquidazione giudiziale solo se l’impresa è fallibile (supera le soglie dimensionali) e se i debiti scaduti complessivi superano €30.000 . Nel tuo caso, 4 mesi di mancati pagamenti indicano insolvenza probabile. Puoi difenderti presentando opposizione (se ritieni di non essere insolvente) o, meglio, proponendo tu stesso un rimedio come un concordato preventivo prima o durante l’udienza pre-fallimentare. La presentazione di una domanda di concordato in bianco sospende la decisione di fallimento e ti dà tempo per un piano . In sintesi: i fornitori possono agire e non serve che aspettino molto; la difesa sta nel giocare d’anticipo con uno strumento concorsuale o accordo.
D: La banca ha revocato il fido e chiesto rientro immediato. Se non pago, può far fallire l’azienda?
R: Una banca è un creditore come un altro ai fini del fallimento, quindi sì, può presentare istanza di fallimento se il credito non viene soddisfatto e l’impresa è insolvente. In pratica spesso le banche agiscono prima con decreto ingiuntivo ed esecuzione su pegni/ipoteche. Se però la posizione è grave e non vedono vie d’uscita, possono chiedere il fallimento (le banche lo fanno soprattutto se il debitore non collabora a soluzioni concordate). Anche qui, la soglia dei debiti scaduti (€30k) dev’essere superata e la banca deve provare lo stato d’insolvenza (ad esempio vari protesti, inadempimenti generalizzati). Per difenderti, oltre a negoziare con la banca (chiedendo una moratoria o portando un nuovo investitore), puoi ricorrere al tribunale con un concordato. L’apertura di un concordato preventivo blocca anche le azioni esecutive della banca sul patrimonio aziendale (dovrai richiederlo espressamente come misura protettiva). Considera anche gli effetti sulle garanzie personali: la banca, se hai dato fideiussioni, potrebbe agire sul tuo patrimonio personale indipendentemente dal concordato societario.
D: Ho debiti con il fisco molto alti. Posso includerli in un concordato o accordo? Il Fisco deve accettare?
R: Sì, i debiti tributari e contributivi possono essere inclusi in concordati preventivi e accordi di ristrutturazione tramite la cosiddetta transazione fiscale. Puoi proporre il pagamento parziale (falcidia) o dilazionato delle imposte e contributi. Fino a qualche anno fa, era necessario il voto favorevole/adesione degli enti (Agenzia Entrate, INPS) per poter omologare la proposta che riduce i tributi. Oggi invece, grazie alle modifiche recepite dal CCII, il tribunale può omologare anche senza l’adesione del Fisco, purché il trattamento offerto sia almeno pari a quello che il Fisco otterrebbe nella liquidazione fallimentare . In altre parole, non hai più il veto totale del Fisco. Devi però predisporre una proposta seria: di solito occorre pagare l’IVA privilegiata e le ritenute per una certa quota, mentre su interessi e sanzioni c’è più margine di falcidia. Negli accordi di ristrutturazione, simile: il giudice può omologare l’accordo anche se l’Erario non firma, se ritiene rispettato quel criterio di convenienza . Naturalmente, se riesci a ottenere l’adesione formale dell’Agenzia Entrate (magari su un piano di pagamento 30-40%), meglio: avrai meno ostacoli. Ricorda infine che alcuni tributi non possono essere ridotti sotto certe soglie percentuali (si applicano le linee guida ministeriali). Ma il concetto chiave è: sì, i debiti fiscali si possono “trattare” in concordato/accordo e l’omologa può avvenire anche se il Fisco non è d’accordo, a condizione di non discriminarlo e rispettare il suo rango.
D: In un concordato devo dare almeno il 20% ai chirografari?
R: Solo se il concordato è liquidatorio (cioè senza continuità aziendale). La legge impone che nel concordato che prevede la cessazione dell’attività e la liquidazione dei beni, i creditori chirografari ricevano almeno il 20% . Questo vincolo di solito non si applica al concordato in continuità aziendale, dove però bisogna dimostrare che i creditori non sono trattati peggio della liquidazione (principio di soddisfazione non inferiore al valore di liquidazione) . In continuità potresti anche offrire meno del 20% se quello è comunque meglio di quanto otterrebbero dallo spezzatino fallimentare. Ma in pratica, per ottenere il voto favorevole, raramente si scende molto sotto. Dunque: 20% è soglia legale per concordato liquidatorio. Se non riesci a garantirla coi beni interni, puoi integrare con risorse esterne (denaro di soci/terzi) . Ad esempio, se i beni pagherebbero 10%, devi portare nuova finanza per arrivare al 20%. Ci sono eccezioni storiche (concordati con continuità o misti, dove la soglia era dibattuta), ma dopo il CCII il 20% è confermato per i liquidatori e i tribunali sono rigorosi nel farlo rispettare .
D: Se l’azienda va in fallimento, io come amministratore vado incontro a conseguenze personali?
R: Potenzialmente sì, su due fronti: civile e penale. In sede civile, il Curatore fallimentare può citarvi in giudizio (te e eventualmente il CDA, direttori generali, sindaci) per ottenere il risarcimento dei danni causati ai creditori o alla società dalla vostra gestione. Tipicamente l’accusa è di aver aggravato il dissesto continuando l’attività quando avreste dovuto fermarvi. La legge ti presume responsabile del peggioramento del deficit se hai violato i doveri dopo lo scioglimento di diritto della società (es. capitale azzerato) . Quindi rischi di dover risarcire milioni se il buco si è allargato per colpa tua. In sede penale, al fallimento segue quasi sempre un’indagine per bancarotta: se hai avuto una gestione anche solo negligente potresti rispondere di bancarotta semplice (pena fino a 2 anni), se hai fatto atti dolosi (es. distratto beni, frodato creditori) bancarotta fraudolenta (pena fino a 6-10 anni). Anche non tenere la contabilità è reato di bancarotta. Quindi la risposta è: sì, il fallimento dell’azienda può trascinare l’amministratore in tribunale personalmente. Non è automatico: se hai agito correttamente e la causa del fallimento è sfortuna o mercato, potresti anche non essere accusato di nulla. Ma è raro che un fallimento di dimensioni rilevanti non abbia almeno un’accusa di bancarotta semplice (perché la legge penalizza anche solo l’aver aggravato il dissesto) . Ci si può in parte tutelare avendo polizze assicurative per la responsabilità civile, ma per il penale ovviamente no (e l’assicurazione non paga in caso di dolo). Meglio quindi fare il possibile per evitare il fallimento o entrarci con la coscienza pulita (aver fatto di tutto per evitarlo e aver conservato le scritture, non aver toccato nulla a proprio vantaggio).
D: Ma se la società è di capitali (SRL, SPA), non doveva essere a “responsabilità limitata”?
R: La responsabilità limitata significa che i soci non rischiano in proprio oltre il capitale investito, salvo eccezioni (fideiussioni, etc.). Gli amministratori però possono essere chiamati a rispondere per violazione dei doveri di gestione: questa è una responsabilità di natura risarcitoria (contrattuale verso la società o aquiliana verso i creditori). Non è una “responsabilità illimitata per i debiti sociali” nel senso generale, ma nei fatti se condannati per mala gestio devono ripianare i danni, che in caso di fallimento coincidono spesso con la massa debiti non pagati . In parole povere, la SRL protegge i soci estranei e gli amministratori onesti nelle vicende ordinarie; però se l’insolvenza è frutto di colpe gestionali, la responsabilità “limitata” salta per gli amministratori, che ne rispondono col patrimonio personale. Questo è un principio del diritto societario da sempre, rafforzato ora dalle presunzioni di cui s’è detto. Quindi la “limitazione” non copre la cattiva gestione. I soci non amministratori invece in genere non rispondono dei debiti (salvo abbiano prelevato attivi societari in danno dei creditori, caso in cui anche i soci potrebbero dover restituire somme).
D: L’azienda è piccola (di fatto sono io come persona). Posso fallire?
R: Se sei una ditta individuale commerciale, teoricamente sì se superi le soglie di fallibilità. Ma se sei davvero piccolo (sotto attivo 300k, ricavi 200k, debiti 500k), allora sei non fallibile . Attenzione: “non fallibile” non significa “non pago i debiti e non succede nulla”. Significa che non ti possono portare in tribunale per la liquidazione giudiziale, ma i creditori possono perseguitarti a vita con decreti ingiuntivi, pignoramenti di beni personali, etc. . Per uscire dalla morsa, hai le procedure di sovraindebitamento (ora denominate concordato minore, ristrutturazione dei debiti del consumatore, ecc., a seconda che tu sia imprenditore minore o persona non fallibile). Queste procedure sono simili al concordato preventivo, ma tarate su piccole realtà e passano per l’Organismo di Composizione della Crisi (OCC). Quindi, se la tua è un’impresa individuale di oli lubrificanti su scala artigianale e sei sommerso dai debiti, potresti proporre un concordato minore: anche qui serve un piano e l’omologazione, ma le regole sono un po’ semplificate e non ci sono classi obbligatorie. In ogni caso, il concetto è: o paghi spontaneamente, o negozi un accordo (stragiudiziale o sovraindebitamento) o i creditori ti pignorano. Il vantaggio del “non fallibile” è che non arriva un curatore a liquidare tutto e dissolvere l’impresa senza il tuo controllo; lo svantaggio è che i creditori agiscono individualmente e la pressione può essere anche peggiore. Valuta quindi il concordato minore se vuoi una soluzione ordinata: ad esempio pagare il 50% in 4 anni omologato dal giudice, che vincola anche eventuali dissenzienti (questo è possibile se i creditori rappresentanti 80% dei crediti approvano, nel sovraindebitamento).
D: Se faccio un concordato e poi non riesco a rispettare il piano, cosa succede?
R: Purtroppo, se dopo l’omologazione del concordato l’azienda non esegue gli impegni presi (ad es. non paga le rate ai creditori, non vende un bene nei tempi stabiliti, ecc.), i creditori o il commissario possono chiedere al tribunale la risoluzione del concordato. Una volta dichiarata la risoluzione (per inadempimento grave), i creditori riacquistano i loro diritti per intero (al netto di quanto eventualmente già incassato) e, se c’è insolvenza, il tribunale dichiara il fallimento (liquidazione giudiziale) dell’azienda . Insomma, si ritorna al punto di partenza, anzi peggio: si è perso tempo e magari il patrimonio residuo si è ulteriormente depauperato. Inoltre, l’inadempimento post-concordato potrebbe far perdere ai gestori quel poco di credibilità rimasta, esponendoli anche a possibili azioni (anche se formalmente per il periodo successivo all’omologa non si applica più art. 2486 c.c., resta la responsabilità generica di aver proposto un piano irrealistico). In alcuni casi, se l’inadempimento è dovuto a cause di forza maggiore, si può tentare di modificare il concordato (concordato preventivo in continuità: la legge consente modestissime modifiche, ma non è semplice). Dunque, è vitale che il piano concordatario sia realistico e fattibile: meglio promettere il 30% e riuscire a pagarlo, che promettere il 60% e poi fallire. Nell’accordo di ristrutturazione, se non rispetti, i creditori possono agire ciascuno (l’accordo risolvendosi per inadempimento ti espone a azioni esecutive, e se ormai insolvente, al fallimento). Nel piano attestato, se non funziona, torna lo spettro dei creditori liberi di attaccarti. Quindi qualunque soluzione scegli, devi poi rispettarla.
D: Ho dato garanzie personali (fideiussione) per i debiti dell’azienda. Il concordato libera anche me personalmente dai debiti?
R: No, attenzione. Il concordato preventivo (o l’accordo di ristrutturazione) riguarda la società debitrice e i suoi creditori. Un garante (fideiussore) è un terzo rispetto a quella procedura. La regola generale (art. 184 L.F., ora art. 117 CCII) è che l’omologazione del concordato libera il debitore e non pregiudica i coobbligati e i fideiussori . Cioè, se la società paga il 40% ai creditori chirografari, il creditore può richiedere a te fideiussore il restante 60%. Il fideiussore che paga poi subentra surrogandosi nel credito (ma quel credito verso la società è in effetti stralciato dal concordato, quindi la surroga è pressoché inutile). Dunque il garante rischia di pagare la parte non pagata dall’azienda concordataria. Come proteggersi? Si può tentare in sede di negoziazione di includere una liberatoria per i garanti: alcuni creditori se vogliono agevolare il concordato, accettano di non escutere i garanti (magari gli fai un pagamento leggermente maggiore in cambio di liberare il garante). Oppure, se sei tu stesso garante di debiti bancari, potresti dover valutare un piano del consumatore (se li hai garantiti come privato) per regolare i tuoi debiti di regresso. Questa è un’area delicata: ad esempio nei concordati spesso si inserisce una clausola secondo cui il pagamento parziale ai creditori estingue proporzionalmente anche la garanzia. Ma i creditori non sono obbligati a tale rinuncia: potrebbero rifiutare la clausola e avvalersi dei garanti. Insomma, devi negoziare caso per caso. Se la garanzia è reale concessa da terzi (es. ipoteca su casa del socio), il creditore potrebbe comunque escuterla per il resto. In conclusione: il concordato di per sé non libera i fideiussori, a meno che il creditore volontariamente, in sede di adesione, non rinunci a rivalersi su di essi. È un aspetto spesso trascurato, ma fondamentale nelle crisi delle PMI familiari.
D: Ho sentito parlare di “piano di risanamento soggetto ad omologazione (PRO)”. Cos’è, è diverso dal piano attestato?
R: Il “PRO” (piano di ristrutturazione omologato) è una novità introdotta dal Codice della Crisi su impulso della direttiva UE 2019/1023. In pratica, è un piano proposto dal debitore che coinvolge i creditori, simile a un accordo ma con meccanismi di voto per classi semplificati e possibilità di cram-down senza raggiungere il 60% di adesioni come nell’ADR. Si potrebbe dire che è un concordato “blando”: viene omologato dal tribunale ma non è una procedura concorsuale piena, e serve soprattutto per implementare ristrutturazioni su iniziativa esclusiva del debitore in tempi rapidi. Ad esempio, nel PRO non sono ammesse proposte concorrenti di terzi e non serve la maggioranza di tutte le classi (basta la “golden class” favorevole che assicura un trattamento equo). Tuttavia, il PRO è poco utilizzato per ora e la sua disciplina è complessa. Nel tuo caso pratico di PMI, è più probabile usare uno strumento tradizionale (piano attestato, ADR, concordato). Il PRO è ancora in attesa di vedere ampia applicazione pratica in Italia. È in sostanza un ulteriore strumento di regolazione negoziale, pensato per accelerare talune ristrutturazioni con intervento del giudice a tutela delle minoranze, ma senza le formalità complete di un concordato preventivo. Per un approfondimento specialistico, nota che il D.Lgs 83/2022 lo ha introdotto e il correttivo 2024 lo ha rifinito su aspetti come la cristallizzazione della massa passiva al deposito e la possibilità di esecuzione anticipata di parti di piano (trasferimento d’azienda pre-omologa autorizzabile) . Se ti trovi in una situazione in cui hai bisogno di omologa ma con flessibilità massima (es. pochi creditori da ristrutturare e vuoi evitare il 60% ADR), potresti valutare con un legale l’opzione PRO.
D: Se la mia azienda è già di fatto insolvente, ha senso fare la composizione negoziata o il piano attestato?
R: Dipende dal grado di insolvenza. Se sei tecnicamente insolvente (non paghi sistematicamente, debiti scaduti rilevanti) ma credi ci sia un margine per evitare il default grazie a nuove risorse o accordi, puoi comunque attivare la composizione negoziata: l’accesso non richiede di non essere insolvente, basta non essere già in liquidazione giudiziale . Molte imprese insolventi hanno usato la CNC per tentare soluzioni pre-fallimentari. L’importante è che vi sia una prospettiva di risanamento. Se invece sei insolvente e non ci sono credibili soluzioni (nessun investitore, attività in perdita strutturale), la CNC rischia solo di posticipare l’inevitabile. In quel caso, alcuni esperti consigliano di evitare di “tirarla in lungo” e di optare per un concordato liquidatorio subito o addirittura di non osteggiare il fallimento, onde evitare aggravamenti. Il piano attestato richiede che l’esperto possa attestare la ragionevole fattibilità: se sei profondamente insolvente senza prospettiva, difficilmente qualcuno attesterà un piano fantasioso. Anzi, un’attestazione infedele esporrebbe quell’esperto a responsabilità. Quindi direi: ha senso tentare CNC o piano attestato finché c’è uno spiraglio di risanamento – es. attendi fondi dal socio, vendi un asset per fare cassa – mentre se sei a un passo dal baratro e nulla può salvarti, forse meglio destinare le residue risorse a un concordato o direttamente collaborare col curatore. Ricorda comunque che, anche in fallimento, la legge premia l’imprenditore che ha cooperato e punisce chi dissipa fino all’ultimo (ci sono pene minori per chi ha chiesto tempestivamente concordato o per insolvenza non fraudolenta). Quindi valuta onestamente: se non c’è recovery, non usare strumenti di risanamento impropriamente (sarebbe considerato abuso e potrebbe configurare ad es. ritardo doloso del fallimento).
D: Quanto durano queste procedure? Perché ho paura che un concordato duri anni e nel frattempo l’azienda muore.
R: I tempi sono un fattore critico. Indicativamente: un concordato preventivo oggi può durare 6-9 mesi per arrivare all’omologa (se non ci sono intoppi e opposizioni). L’esecuzione poi dipende dal piano (può durare anni, ma l’importante è che l’omologa arrivi in tempi ragionevoli così i creditori stanno fermi e l’azienda lavora senza assilli). Un accordo di ristrutturazione può essere un po’ più rapido: se hai già il 60% di adesioni, l’omologa potrebbe arrivare in 3-4 mesi. Un piano attestato è il più veloce: dipende solo dal tempo di preparare piano e attestazione – in teoria pochi mesi o anche settimane se la situazione lo consente (non c’è giudice né voto). La composizione negoziata ha durata massima 6 mesi; se trovi accordi prima, puoi chiuderla in 2-3 mesi. La liquidazione giudiziale (fallimento) è la più lunga in assoluto: può durare diversi anni (2-5 anni mediamente per chiudere). Ci sono fallimenti che si trascinano per decenni se ci sono contenziosi. L’Amministrazione Straordinaria pure può durare tantissimo (vedi casi famosi). Quindi, dal punto di vista del debitore che vuole salvare l’azienda, i percorsi negoziali sono relativamente più brevi e sotto il suo controllo, mentre il fallimento è lungo e fuori controllo. Ovviamente, accelerare troppo non va bene: serve un bilanciamento. Un concordato presentato in fretta e furia magari viene bocciato; uno ben preparato in 3-4 mesi ha più chance e comunque ferma i creditori dal giorno del deposito . Dunque anche se l’omologa impiega 8 mesi, l’azienda può respirare perché le azioni esecutive sono sospese. L’importante è utilizzare bene quel tempo di respiro per ristrutturare e ripartire. In conclusione: procedure diverse hanno durate diverse, ma tutte offrono un periodo di sospensione iniziale per mettere in pratica la strategia. Sta all’imprenditore sfruttarlo.
D: Quali sono le fonti normative e le sentenze più rilevanti da conoscere su questi temi?
R: In fondo a questa guida trovi una sezione con l’elenco delle principali fonti normative italiane (codici, decreti) e delle sentenze più aggiornate e autorevoli citate. In particolare, è utile consultare il Codice Civile (artt. 2086, 2394, 2475-2486 c.c. etc.), il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, articoli su composizione negoziata, concordato, accordi, liquidazione giudiziale, allerta), nonché le sentenze di Cassazione recentissime che abbiamo menzionato, ad es.: Cass. 4201/2025 sull’irrilevanza della rateazione fiscale per la soglia di fallibilità , Cass. 21336/2024 sul minimo 20% in concordato , Cass. 36365/2021 sui doveri ex art.2086 , Cass. Sez. Un. 9100/2015 e successive su criteri di quantificazione del danno agli amministratori , nonché alcuni decreti di tribunali di merito (Milano 2024 su assetti adeguati , Milano 2025 post-concordato ) ecc. Queste fonti chiariscono come la teoria si applica in pratica.
Di seguito, nella sezione Fonti, troverai riferimenti puntuali per approfondire ciascun aspetto.
Fonti normative e giurisprudenziali (elenco)
- Codice Civile: artt. 2086 c.c. (Obbligo di assetti organizzativi adeguati) ; artt. 2392-2394 c.c. (Responsabilità amministratori verso società e creditori); art. 2407 c.c. (Responsabilità dei sindaci, come modif. dal D.Lgs 14/2019) ; artt. 2475-2476 c.c. (Gestione SRL e azione responsabilità soci); artt. 2484-2487 c.c. (Cause di scioglimento e doveri degli amministratori nelle società di capitali); art. 2486 c.c. (Poteri degli amministratori dopo scioglimento – novellato dal D.Lgs 14/2019 art. 378, con presunzioni sul danno) .
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII, D.Lgs. 14/2019):
- Composizione Negoziata: artt. 12-25-quinquies (disciplina CNC e concordato semplificato) .
- Adeguati assetti e allerta: art. 3 (obbligo assetti), art. 15 (soglia €30.000 debiti scaduti) , artt. 25-sexies e seg. (segnalazioni creditori pubblici) .
- Piano attestato: art. 56 (riconosce il piano attestato di risanamento e protezione atti esecutivi) .
- Accordi ristrutturazione: artt. 57-64 (accordo standard 60%, accordi agevolati ed estesi) .
- Concordato preventivo: artt. 84-120 (requisiti concordato; continuità vs liquidatorio; classi e voto; omologa) .
- In particolare art. 84 CCII impone ≥20% ai chirografari in caso di liquidatorio ; art. 54 CCII prevede le misure protettive (sospensione azioni) su istanza ; art. 94 CCII (atti di straordinaria amm. autorizzati dal GD) .
- Liquidazione Giudiziale: artt. 121-270 (ex fallimento). Soglie fallibilità art. 2 CCII rimanda a art. 1 L.F. (finché non attuato nuovo parametro).
- Esdebitazione: artt. 278-282 (esdebitazione dell’imprenditore insolvente).
- Reati: artt. 322-341 (bancarotta semplice, fraudolenta; art. 330 CCII bancarotta impropria da violazione obblighi ex lege) .
- Legge Fallimentare (R.D. 267/1942) – abrogata dal 15/7/2022, ma rilevante per concetti: art. 160 L.F. (20% minimo concordato liquidatorio, introdotto D.L. 83/2015) ; art. 182-bis/ter L.F. (accordi ristr. e transazione fiscale); art. 67 L.F. comma 3 lett. d) (piano attestato esenzione revocatoria) ; art. 216-217 L.F. (reati di bancarotta, ora rifusi nel CCII); art. 239-240 L.F. (concordato fallimentare). NB: Normativa storica, sostituita dal CCII, ma alcune procedure aperte prima seguono quella.
- Decreto Legge 118/2021 conv. L. 147/2021 – Introduzione Composizione Negoziata e Concordato Semplificato (art. 2 D.L. 118/21 → art. 25-sexies CCII) .
- D.Lgs. 83/2022 (primo correttivo CCII) e D.Lgs. 136/2024 (secondo correttivo-ter) – integrazioni al CCII. Es: D.Lgs. 83/22 ha introdotto il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO) e accordi ad efficacia estesa; D.Lgs. 136/24 ha migliorato coordinamento (misure su classi concordato, etc.) . Fonte: Relazione Confindustria 9/10/2024 , vedi anche PDF confindustria aggiornamento .
- Codice Penale Tributario (D.Lgs. 74/2000): art. 10-bis (omesso versamento ritenute > €150k), art. 10-ter (omesso versamento IVA > €250k) .
- Casi giurisprudenziali rilevanti:
- Cassazione Civile:
- Cass. civ. Sez. I, 18/02/2025 n. 4201: Soglia fallibilità €30.000 – la rateizzazione del debito tributario non rileva per escludere lo stato di insolvenza né per abbassare il conteggio dei debiti scaduti . Conclude che l’istanza di fallimento è procedibile anche se il debitore ha ottenuto dilazioni, se al momento dell’istruttoria i debiti scaduti superavano €30k.
- Cass. civ. Sez. I, 31/07/2024 n. 21336: Concordato preventivo liquidatorio – conferma l’obbligo di garantire almeno il 20% ai creditori chirografari . Ribadisce natura di condizione di ammissibilità della proposta concordataria liquidatoria.
- Cass. civ. Sez. I, 30/07/2025 n. 22002: Responsabilità ex amministratori – (cfr. Quotidianopiu) ha affrontato la responsabilità di amministratori dimissionari per aggravamento danni successivi alle dimissioni, chiarendo condizioni per esonero. [Caso indicativo del 2025].
- Cass. civ. Sez. I, 08/08/2025 n. 24006: Azione di responsabilità in fallimento – conferma applicazione retroattiva art. 2486 co.3 c.c. ai giudizi pendenti , e chiarisce che la presunzione sui “netti patrimoniali” è norma sostanziale ma applicabile a situazioni in corso se il fatto generatore è anteriore ma effetti non esauriti . Insiste sul fatto che i criteri presuntivi (differenza patrimonio netto o deficit attivo/passivo) vanno utilizzati salvo prova diversa dedotta.
- Cass. civ. Sez. I, 20/04/2017 n. 9983: (richiamata in Lexat Advisory) – legittimità del criterio differenza netti patrimoniali come liquidazione equitativa del danno da prosecuzione abusiva attività . Base giurisprudenziale poi codificata nel 2019.
- Cass. civ. Sez. Unite, 06/05/2015 n. 9100: Sentenza quadro sulla quantificazione del danno degli amministratori in caso di continuazione attività in perdita. Ammessa la liquidazione equitativa in base al deficit fallimentare a certe condizioni (incompletezza dati contabili, ecc.) . Ha influenzato l’art. 2486 novellato.
- Cass. civ. Sez. V, 22/12/2021 n. 36365: Conferma obbligo ex art. 2086 c.c. per imprenditore collettivo di dotarsi di assetti adeguati, quale esplicazione dell’art. 41 Cost. (libertà iniziativa ≠ libertà di distruggere valore) . Riconosce la responsabilità in caso di omissione di predisposizione mezzi per continuità.
- Cass. civ. Sez. I, 30/10/2018 n. 24103: (citata in dottrina) – ammonisce sull’uso automatico del criterio attivo/passivo in mancanza scritture: va usato con cautela, come extrema ratio equitativa.
- Cassazione Penale:
- Cass. pen. Sez. V, 24/11/2021 n. 4175 (dep. 2022): Ha configurato bancarotta semplice impropria per omessa attivazione assetti e omessa dichiarazione di fallimento tempestiva, evidenziando che l’inerzia di fronte a causa di scioglimento integra violazione penalmente rilevante (con rif. art. 217 L.F. e ora 330 CCII) .
- (Altre Cass. Pen. su bancarotta preferenziale, distrattiva, ecc., rilevanti in generale.)
- Tribunale di Milano:
- Trib. Milano, decreto 29/02/2024: Grave irregolarità ex art. 2409 c.c. – revoca amministratori per omessa istituzione assetti adeguati . Afferma che la mancanza di assetti giustifica provvedimenti di rigore (revoca, amministrazione giudiziaria).
- Trib. Milano, provvedimento 16/09/2025: Post-concordato – ha inibito a un creditore pubblico di procedere esecutivamente contro società concordataria omologata per pretese anteriori al concordato . Riconosce pieno effetto esdebitatorio ed obbligatorio del concordato omologato anche verso enti pubblici.
- Trib. Milano, 10/09/2013 (storica): Liquidazione danno amministratori = interessi passivi maturati su debiti per tardiva dichiarazione fallimento (cfr. nota in ).
- Tribunale di Catania, 08/02/2023: Mancata predisposizione assetti = grave irregolarità; disposta revoca organi e nomina giudiziale .
- Tribunale di Venezia, Appello 29/11/2022: Conferma che omissione assetti giustifica ispezione ex 2409 .
- Tribunale di Catanzaro, 06/02/2024: Sottolinea che la mancanza di assetti è ancor più grave in società non ancora in crisi, perché impedisce di accorgersi tempestivamente della crisi .
- Tribunale di Roma, 15/09/2020: Qualifica l’omessa predisposizione di assetti come mala gestio ex ante (violazione business judgment rule solo se totale mancanza misure) .
- Tribunale di Venezia, decreto 26/08/2025: Innovativo – su istanza socio, nominato ispettore per carenze organizzative serie, a tutela società e creditori .
(Le sentenze di merito offrono indicazioni sull’atteggiamento dei tribunali: sempre più rigorosi nel richiedere condotte attive agli amministratori in crisi.)
- Prassi e documenti istituzionali:
- Relazione Illustrativa al Codice della Crisi (2018): chiarisce ratio di molte norme (es. presunzione danno art. 2486 per deflazionare contenzioso e facilitare prova danno) .
- Linee guida CNDCEC sulla crisi (2022-2023): criteri per indicatori allerta; modalità redazione piani; principi di attestazione aggiornati al CCII .
- Circolare INAIL n.28/2023, Circolare INPS 2/2023: implementano obblighi segnalazione creditori pubblici (INPS, INAIL) con soglie definite .
- Protocollo Bankitalia-ABI su ristrutturazioni (MORATORIE COVID): scaduto ma rilevante storico su disponibilità banche in emergenze.
- Direttiva UE 2019/1023 (Insolvency Directive): recepita in Italia, ha ispirato composizione negoziata e PRO, cross-class cram down ecc. (spiegazione di cross-class cram down e golden class in dottrina: Jorio 2025 cit. su priorità relativa ).
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Stai ricevendo solleciti, richieste di rientro, blocco delle forniture, decreti ingiuntivi o minacce di pignoramento da parte di banche, Fisco, INPS, fornitori di basi e additivi, trasportatori o Agenzia Entrate-Riscossione?
Il settore degli oli lubrificanti è complesso e oneroso:
– prezzi delle materie prime (basi, additivi) in continua oscillazione,
– lotti minimi importanti,
– costi di stoccaggio e trasporto elevati,
– competizione alta,
– clienti che spesso pagano a 60–90 giorni.
Basta un ritardo negli incassi o un taglio dei fidi bancari per generare una crisi immediata.
La buona notizia? La tua azienda può essere salvata, se intervieni con la strategia giusta e senza perdere tempo.
Perché un’Azienda di Lubrificanti va in Debito
- aumento dei costi di basi minerali, additivi, contenitori, etichette e trasporti
- ritardi nei pagamenti da parte di officine, industrie, grossisti e rivenditori
- magazzino immobilizzato tra fusti, IBC, latte, additivi e semilavorati
- costi elevati di logistica, spedizioni e gestione rifiuti
- investimenti in certificazioni, test di qualità e normative
- riduzione o revoca delle linee di credito bancarie
- esposizioni verso trasportatori e fornitori di packaging
Il problema principale non è la mancanza di clienti, ma la mancanza di liquidità immediata.
I Rischi se Non Intervieni Subito
- pignoramento del conto aziendale
- blocco dei fidi
- sospensione delle forniture di basi, additivi e imballaggi
- atti esecutivi, decreti ingiuntivi e precetti
- sequestro di magazzino, fusti e semilavorati
- impossibilità di evadere ordini e rifornire clienti
- perdita di rapporti strategici con grossisti e officine
Cosa Fare Subito per Difendersi
1. Bloccare immediatamente i creditori
Un avvocato specializzato può:
- sospendere pignoramenti e atti esecutivi
- bloccare richieste improvvise di rientro
- proteggere il conto corrente aziendale
- fermare le azioni della Riscossione
La priorità è mettere l’azienda in sicurezza, poi intervenire sui debiti.
2. Analizzare i debiti e cancellare ciò che non è dovuto
Nella maggior parte dei casi emergono:
- interessi non dovuti
- sanzioni errate o gonfiate
- importi duplicati
- debiti prescritti
- errori nelle cartelle dell’Agenzia Riscossione
- commissioni bancarie anomale
Una parte importante del debito può essere ridotta o eliminata.
3. Ristrutturare i debiti con piani sostenibili
Soluzioni disponibili:
- rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
- accordi con fornitori (basi, additivi, imballaggi)
- rinegoziazione di fidi e finanziamenti
- sospensione temporanea dei pagamenti
- utilizzo delle definizioni agevolate
4. Usare gli strumenti legali più potenti per bloccare TUTTI i creditori
Per crisi più profonde si possono attivare:
- PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
- Accordi di ristrutturazione dei debiti
- Concordato minore
- (nei casi estremi) Liquidazione controllata del sovraindebitato
Questi strumenti permettono di continuare a lavorare pagando solo una parte dei debiti, sospendendo totalmente le azioni esecutive.
Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo
Per salvare un’azienda del settore lubrificanti serve una competenza elevata.
L’Avv. Giuseppe Monardo è:
- Avvocato Cassazionista
- Coordinatore nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012) – iscritto negli elenchi ufficiali del Ministero della Giustizia
- Professionista fiduciario di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi)
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Un profilo perfetto per bloccare creditori, ristrutturare debiti e salvare attività industriali e commerciali come la tua.
Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo
- analisi immediata della tua esposizione debitoria
- blocco urgente di pignoramenti e decreti ingiuntivi
- ristrutturazione del debito con piani sostenibili
- protezione del magazzino, fusti, imballaggi e scorte
- trattative con banche, fornitori e Agenzia Entrate-Riscossione
- tutela completa dell’azienda e dell’amministratore
Conclusione
Avere debiti nella tua azienda di oli lubrificanti non significa essere destinato alla chiusura.
Con una strategia rapida, efficace e totalmente legale, puoi:
- fermare subito i creditori,
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