Se la tua azienda produce, installa o distribuisce impianti di lavaggio industriale, lavatrici a cestello, ultrasuoni, tunnel di lavaggio, solventi, detergenti, sistemi di asciugatura, ricambi e soluzioni per il trattamento superfici, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, è fondamentale intervenire subito per evitare il blocco delle forniture e delle lavorazioni.
Nel settore del lavaggio industriale, ritardi o fermi macchina impattano direttamente sulle produzioni dei clienti, generano penali e possono far perdere commesse importanti.
Perché le aziende di impianti di lavaggio industriale accumulano debiti
- aumento dei costi di acciaio, pompe, elettronica, sensori e materiali tecnici
- rincari di solventi, detergenti e componenti importati
- pagamenti lenti da parte di officine meccaniche, automotive, galvaniche e industrie
- ritardi nei versamenti IVA, imposte e contributi
- magazzini complessi con ricambi, motori, schede e materiali per manutenzioni
- difficoltà ad ottenere fidi bancari adeguati ai cicli produttivi
Cosa fare subito
- far analizzare la situazione debitoria da un professionista esperto
- individuare debiti riducibili, contestabili o rateizzabili
- evitare piani di rientro non sostenibili
- richiedere la sospensione immediata di eventuali pignoramenti
- proteggere rapporti con fornitori strategici e componenti critici
- utilizzare strumenti legali specifici per ristrutturare o rinegoziare i debiti
I rischi se non intervieni tempestivamente
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco delle forniture di pompe, motori, solventi, ricambi e materiali essenziali
- impossibilità di completare installazioni o interventi tecnici
- perdita di clienti industriali, officine, galvaniche e integratori
- rischio concreto di chiusura dell’attività
Come può aiutarti l’Avvocato Monardo
Detto questo, l’avvocato Monardo, cassazionista, coordina in tutta Italia un team di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario.
È inoltre:
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
- iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
- professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
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Introduzione
Un’azienda che opera nel settore degli impianti di lavaggio industriale e che si trova gravata da debiti significativi affronta una situazione complessa ma non insolubile. In Italia, la normativa offre diversi strumenti – sia stragiudiziali (fuori dai tribunali) che giudiziali (procedure concorsuali) – per gestire e ristrutturare l’indebitamento, preservando ove possibile la continuità aziendale e difendendo i diritti del debitore. Dal punto di vista dell’imprenditore-debitore, è fondamentale conoscere queste opzioni per difendersi dalle azioni dei creditori e tentare il risanamento dell’impresa.
Nel corso di questa guida esamineremo in dettaglio cosa prevede la normativa italiana (aggiornata a ottobre 2025) in materia di crisi d’impresa e insolvenza, con un taglio avanzato ma dal linguaggio chiaro, adatto sia a professionisti legali sia a imprenditori e privati coinvolti. Analizzeremo i vari tipi di debiti (fiscali, bancari, verso fornitori, verso enti previdenziali come l’INPS, ecc.) e le possibili strategie per gestirli o ristrutturarli. Verranno illustrati sia gli strumenti stragiudiziali (ad esempio piani di rientro, accordi con i creditori, composizione negoziata) sia le procedure concorsuali previste dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (come il concordato preventivo – in continuità o liquidatorio – e la liquidazione giudiziale). Il tutto sarà arricchito da riferimenti normativi puntuali, dalle più recenti sentenze dei tribunali e della Corte di Cassazione, da tabelle riepilogative e da sezioni di domande e risposte per chiarire i dubbi più comuni. Si proporranno inoltre simulazioni pratiche di come un’azienda indebitata può affrontare la crisi nelle diverse ipotesi, sempre e solo nell’ambito del diritto italiano.
Contesto e quadro normativo attuale: va ricordato che il diritto fallimentare italiano è stato oggetto di una riforma organica con il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14), entrato in vigore definitivamente nel 2022, che ha sostituito la vecchia Legge Fallimentare. Tale Codice è stato successivamente integrato e corretto dal D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83 (attuativo della Direttiva UE 2019/1023) e dal più recente D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (terzo correttivo) , che hanno introdotto importanti novità e chiarimenti procedurali. La disciplina odierna enfatizza la necessità di intervenire precocemente nella crisi e fornisce strumenti per il risanamento quando l’azienda è ancora in uno stato di “crisi” (difficoltà finanziaria reversibile) prima di scivolare nella vera e propria “insolvenza” (incapacità definitiva di pagare i debiti). Anche gli obblighi degli amministratori sono stati rafforzati per prevenire l’aggravarsi del dissesto, imponendo assetti organizzativi adeguati (art. 2086 c.c.) e prevedendo responsabilità in caso di inerzia colpevole. Su questo punto, giova segnalare che l’art. 2486 c.c., come modificato dall’art. 378 del Codice della Crisi, fornisce criteri presuntivi per quantificare il danno causato dagli amministratori che continuino l’attività imprudente dopo il verificarsi di una causa di scioglimento: il danno può essere stimato equitativamente nella differenza tra il patrimonio netto al momento in cui avrebbero dovuto intervenire e quello al momento dell’apertura della procedura, ovvero nella differenza tra attivo e passivo accertati . La Cassazione ha confermato nel 2024 che tali criteri si applicano anche ai giudizi in corso, salvo prova di un diverso criterio più adatto al caso concreto .
In questo scenario normativo aggiornato, vediamo ora cosa può fare un’azienda di impianti di lavaggio industriale indebitata per difendersi: dalle iniziative immediate per tamponare la crisi, fino alla scelta dello strumento più idoneo per ristrutturare i debiti o liquidare l’impresa limitando le conseguenze negative. Ricordiamo che ci poniamo nell’ottica del debitore imprenditore, che vuole massimizzare le chances di sopravvivenza della propria azienda o, nel peggiore dei casi, chiudere in modo ordinato senza incorrere in ulteriori responsabilità.
Riconoscere la crisi: segnali d’allarme e obblighi dell’imprenditore
Il primo passo per “difendersi” dai debiti è riconoscere tempestivamente lo stato di crisi dell’azienda. Ma cosa si intende per crisi e come distinguerla dalla insolvenza? Nel linguaggio giuridico attuale, la crisi è definita come “lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza” (art. 2, comma 1, lett. a) CCII). In termini più semplici, è una situazione in cui l’azienda fatica a generare liquidità sufficiente a far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni, pur non essendo ancora in default definitivo. L’insolvenza vera e propria è invece lo stato di incapacità conclamata di adempiere alle obbligazioni scadute, non transitoria ma irreversibile (concetto ripreso dall’art. 5 della vecchia legge fallimentare e sostanzialmente mantenuto nel nuovo Codice).
Segnali d’allarme di una crisi d’impresa includono: calo significativo del fatturato e delle commesse, perdite di esercizio rilevanti che erodono il capitale, tensioni di liquidità (es. difficoltà a pagare fornitori e rate di mutui alle scadenze), esposizione bancaria fuori fido o sconfinamenti, dilazioni nei pagamenti di imposte e contributi, incremento dei protesti o delle azioni legali dei creditori, magazzino in eccesso per invenduto, ecc. Un’azienda di impianti di lavaggio industriale potrebbe ad esempio risentire di investimenti in macchinari non ripagati dalle vendite attese, di contratti persi o ritardi nei pagamenti dei clienti, ritrovandosi con debiti accumulati verso banche, fornitori e Fisco.
Va sottolineato che l’imprenditore ha l’obbligo di attivarsi senza indugio di fronte a tali segnali di crisi. La legge impone all’organo amministrativo di adottare assetti organizzativi adeguati a rilevare la crisi tempestivamente (art. 2086 c.c.) e – una volta emersa – di scegliere una delle soluzioni previste (ristrutturazione o, se necessario, l’accesso a una procedura concorsuale) per evitare un aggravamento del dissesto. Se l’amministratore ignora la situazione e continua la gestione “come nulla fosse”, potrebbe essere ritenuto responsabile per aggravamento del passivo verso la società e i creditori. Ad esempio, la Cassazione ha affermato che dopo il manifestarsi di una causa di scioglimento, gli amministratori devono perseguire la conservazione del patrimonio sociale; se compiono atti non conservativi che peggiorano il deficit, rispondono dei danni secondo i criteri di cui sopra . Inoltre, continuare ad indebitarsi quando si è consapevoli dell’insolvenza può configurare reati quali la bancarotta semplice o preferenziale se poi si arriva al fallimento.
Cosa fare ai primi sintomi di crisi? Dal punto di vista pratico, il debitore dovrebbe:
- Valutare la situazione finanziaria in modo approfondito, magari con l’aiuto di un commercialista esperto in crisi d’impresa. Occorre redigere un quadro dei debiti (ammontare, tipologia, scadenze, eventuali garanzie) e delle attività (liquidità disponibile, crediti da incassare, beni cedibili), per capire l’entità del problema.
- Comunicare con i creditori chiave: spesso la trasparenza e il dialogo precoce possono evitare reazioni aggressive dei creditori. Se ad esempio la banca o i fornitori strategici sono informati delle difficoltà e di un piano per superarle, potrebbero essere disponibili a dare respiro (proroghe, rinegoziazione dei termini di pagamento) anziché agire immediatamente per vie legali.
- Evitare di aggravare l’esposizione: non contrarre nuovi debiti se non strettamente necessari al proseguimento dell’attività, evitare di pagare solo alcuni creditori a discapito di altri incorrendo in possibili pagamenti preferenziali contestabili, non disperdere risorse in operazioni azzardate. È preferibile cercare di congelare la situazione mentre si studia una soluzione, eventualmente sospendendo investimenti non urgenti e riducendo i costi operativi dove possibile.
- Consultare professionisti specializzati: rivolgersi tempestivamente a un avvocato esperto di diritto fallimentare o a un consulente in crisi d’impresa può fare la differenza. Oltre a consigliare le mosse immediate, tali esperti possono delineare le opzioni di risanamento praticabili e aiutare a predisporre un piano credibile . La credibilità del piano di risanamento è fondamentale sia per convincere i creditori ad accordare fiducia, sia per ottenere l’eventuale omologazione del tribunale .
In sintesi, la difesa migliore è la prevenzione e l’azione tempestiva. Il nostro ordinamento, specialmente con la riforma del Codice della Crisi, punta a far emergere la crisi nelle fasi iniziali, quando l’azienda ha ancora margini per ristrutturarsi, piuttosto che arrivare all’insolvenza irreversibile. Se i sintomi di difficoltà sono ignorati, si rischia di dover poi operare in stato di emergenza, con meno strumenti disponibili e maggiori danni per tutte le parti coinvolte.
Nei paragrafi successivi esamineremo come affrontare le principali categorie di debiti che affliggono l’azienda (fiscali, bancari, commerciali, previdenziali, ecc.) e quali soluzioni si possono applicare in concreto. Successivamente, passeremo in rassegna gli strumenti giuridici utilizzabili, dai piani stragiudiziali alle procedure concorsuali vere e proprie.
Tipologie di debiti dell’azienda e implicazioni (Fisco, banche, fornitori, INPS, ecc.)
Un’azienda indebitata normalmente presenta un insieme eterogeneo di esposizioni verso diverse classi di creditori. Ognuna di esse ha caratteristiche giuridiche diverse (in termini di privilegi, rimedi disponibili ai creditori, possibilità di transigere il debito, ecc.), per cui è utile esaminarle separatamente. Di seguito le principali categorie di debiti che tipicamente gravano su una società:
- Debiti fiscali e tributari (verso l’Erario): comprendono imposte dirette (IRES o IRPEF per ditte individuali, addizionali), imposte indirette come l’IVA, IRAP, eventuali accertamenti dell’Agenzia delle Entrate, nonché cartelle esattoriali derivate da tributi non pagati (imposte, tasse locali) e relative sanzioni. Questi debiti sono particolarmente sensibili perché lo Stato gode di privilegi sui beni del debitore (i crediti per tributi, soprattutto IVA e ritenute, sono spesso assistiti da privilegio generale sui mobili o da privilegi speciali) e dispone di un apparato di riscossione efficiente (Agenzia delle Entrate-Riscossione, ex Equitalia) che può attivare procedure esecutive (fermi amministrativi su veicoli, ipoteche sugli immobili, pignoramenti) senza dover passare per un giudice, tramite la notifica della cartella e del successivo avviso di intimazione. Inoltre, alcune inadempienze fiscali possono far scattare sanzioni penali a carico degli amministratori: ad esempio, l’omesso versamento IVA oltre la soglia di €250.000 per periodo d’imposta (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000) o l’omesso versamento di ritenute dovute (oltre €150.000, art. 10-bis D.Lgs. 74/2000) configurano reati. Su quest’ultimo punto, una recente sentenza della Corte di Cassazione penale (Sez. III, n. 35938 del 4 novembre 2025) ha ribadito che la presentazione di una domanda di concordato preventivo non basta, di per sé, a evitare la punibilità per il reato di omesso versamento IVA: se il termine per versare l’imposta è scaduto prima che intervenisse un provvedimento del tribunale che vieta i pagamenti, il reato si perfeziona comunque . In altre parole, la crisi di liquidità o l’avvio di trattative non esonerano dagli obblighi tributari: solo un provvedimento formale (es. l’ammissione al concordato con il conseguente divieto di soddisfare i crediti anteriori) emanato prima della scadenza fiscale potrebbe costituire causa di giustificazione . È dunque essenziale porre particolare attenzione ai debiti IVA e similari, perché possono generare rischi penali personali per l’imprenditore.
Come gestire i debiti fiscali? Fortunatamente, l’ordinamento offre alcune possibilità di sollievo per le imprese con pesanti esposizioni tributarie: – Rateizzazioni e piani di rientro: È possibile chiedere all’Agente della Riscossione la dilazione delle cartelle esattoriali. Le regole sono state recentemente modificate dalla riforma fiscale del 2023-2024. Dal 1° gennaio 2025, per importi fino a €120.000 per singola richiesta, si può ottenere una rateazione automatica fino a 84 rate mensili (7 anni) senza dover provare una particolare difficoltà finanziaria, per le richieste presentate negli anni 2025-2026 . Se invece si documenta lo stato di difficoltà economico-finanziaria, la dilazione può estendersi fino a 120 rate mensili (10 anni) anche per debiti superiori a €120.000 . Di fatto, il legislatore ha reso più accessibile la rateizzazione dei carichi esattoriali: ad esempio, un’azienda che abbia cartelle esattoriali per €100.000 può ora spalmarle in 7 anni con una semplice istanza, mentre per importi maggiori o per ottenere il massimo delle rate occorre produrre documentazione sulla crisi di liquidità. Nota: Le nuove regole prevedono un numero di rate massimo decrescente per le richieste fatte negli anni successivi (84 rate se richiesta entro il 2026, 96 rate se nel 2027-28, 108 rate dal 2029) , segno che il beneficio è più generoso nell’immediato post-crisi pandemica e poi viene leggermente ridotto. È importante rispettare rigorosamente i piani di rateazione concessi: il mancato pagamento di alcune rate può comportare la decadenza dal beneficio e la ripresa immediata delle azioni esecutive.
– Definizioni agevolate (rottamazione): Negli ultimi anni il legislatore ha introdotto varie edizioni della cosiddetta “rottamazione delle cartelle”, ovvero procedure straordinarie di definizione agevolata dei debiti iscritti a ruolo. Tali misure permettono di estinguere i carichi pagando solo l’imposta e gli interessi legali, con sconto integrale su sanzioni e interessi di mora e aggio. Ad esempio, la Rottamazione-quater 2023 (prevista dalla Legge di Bilancio 2023) ha consentito di definire i debiti affidati alla riscossione dal 2000 al 30 giugno 2022 pagando il dovuto senza sanzioni e interessi, in unica soluzione (entro 31 ottobre 2023) o fino a 18 rate . Per chi non avesse rispettato le prime scadenze, la normativa ha offerto una “seconda opportunità” entro il 30 aprile 2025 per chiedere la riammissione . Al momento (fine 2025) è in discussione una possibile “Rottamazione-quinquies” 2025, con ulteriore diluizione fino a 120 rate (10 anni) per i debiti affidati nel 2023, ma occorre verificare l’eventuale approvazione definitiva . Le definizioni agevolate sono interventi legislativi una tantum: se disponibili, rappresentano un’ottima opportunità per ridurre il carico fiscale pendente. L’azienda debitrice deve però presentare domanda nei termini previsti e poi rispettare scrupolosamente il piano di pagamenti.
– Transazione fiscale nell’ambito di procedure concorsuali: Se l’impresa intraprende un concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione, può proporre il pagamento parziale dei debiti tributari e contributivi – la cosiddetta transazione fiscale e contributiva (già art. 182-ter L.Fall., ora disciplinata negli artt. 63 e 88 CCII). La regola generale impone che l’erario non possa ricevere, in percentuale, meno di quanto riceverebbe in caso di liquidazione giudiziale dell’azienda. Inoltre, per alcuni tributi qualificati (IVA e ritenute fiscali) la legge prevede soglie minime di pagamento, salvo il caso in cui si dimostri che nemmeno in liquidazione vi sarebbe capienza. Le più recenti modifiche normative (D.Lgs. 136/2024) hanno introdotto un meccanismo di cram-down fiscale negli accordi di ristrutturazione: se il debito fiscale/previdenziale è preponderante, il tribunale può omologare l’accordo anche senza adesione dell’Agenzia delle Entrate o dell’INPS, purché la proposta offra almeno il 60% del debito in linea capitale da transigere e comunque non meno del 50% delle imposte non versate , oltre a rispettare altre condizioni formali. Ciò risolve un problema applicativo: in passato il veto del Fisco poteva pregiudicare l’intera ristrutturazione, ora invece se l’offerta è congrua (non troppo inferiore al 100%), l’azienda ha maggiore speranza di vedere omologato l’accordo anche contro il parere negativo del Fisco. Va evidenziato che le soglie 50-60% si applicano per gli accordi di ristrutturazione, mentre nel concordato preventivo il Fisco e l’INPS partecipano al voto come gli altri creditori (sebbene spesso in classe separata) e anche lì un’offerta inferiore al 100% su IVA/ritenute è ammessa solo se giustificata dall’effettiva capienza su liquidazione.
– Sospensione delle azioni esecutive: In determinate condizioni, l’imprenditore può beneficiare di sospensioni temporanee delle azioni di recupero del Fisco. Ad esempio, presentando un’istanza di concordato “in bianco” o una domanda di accordo di ristrutturazione con riserva, il tribunale può vietare o sospendere i pignoramenti in corso, compresi quelli dell’Agente Riscossore, per il tempo necessario a predisporre il piano (tipicamente 120 giorni prorogabili). Anche la composizione negoziata (di cui diremo più avanti) consente di ottenere misure protettive per congelare le azioni dei creditori – e quindi anche nuove iscrizioni di ipoteche o fermi da parte del Fisco – mentre si negozia una soluzione.
Oltre a queste misure, è importante ricordare che certi debiti fiscali non sono “negoziabili” fuori dalle procedure previste: l’IVA, ad esempio, è un’imposta comunitaria che non può essere oggetto di remissione o sconto al di fuori di un quadro legale come la transazione fiscale. L’Agenzia delle Entrate non può spontaneamente rinunciare a parte del credito se non attraverso gli strumenti di legge (rateazione ordinaria o definizioni agevolate decise dal Parlamento). Dunque, un accordo stragiudiziale con il Fisco è impossibile: o si paga il dovuto (magari a rate) o si sfrutta uno dei meccanismi sopra descritti. Pertanto, quando il debito fiscale costituisce una fetta importante dell’indebitamento totale, l’azienda dovrà quasi certamente passare per un procedimento di ristrutturazione formale (accordo ex art. 63 CCII o concordato preventivo) per ridurre significativamente la propria esposizione verso l’Erario.
- Debiti bancari e finanziari: includono mutui, finanziamenti a medio-lungo termine ottenuti da banche o società di leasing, aperture di credito in conto corrente, anticipazioni su fatture (castelletto), prestiti obbligazionari (se l’azienda ha emesso bond) e altre forme di debito verso il sistema finanziario. Le banche sono spesso creditori garantiti – ad esempio da ipoteche su immobili dell’azienda, da pegni su macchinari o su crediti, o da fideiussioni personali fornite dall’imprenditore o da terzi. Ciò significa che hanno strumenti più efficaci per recuperare i propri crediti: in caso di insolvenza, un creditore ipotecario potrà aggredire l’immobile oggetto di garanzia con priorità sugli altri creditori. Inoltre, il contratto di finanziamento generalmente prevede covenants e clausole di decadenza dal beneficio del termine: se l’azienda non paga le rate o viola certe condizioni di bilancio, la banca può risolvere il contratto e richiedere immediatamente l’intero capitale residuo, attivandosi per il recupero. Questo può precipitare la crisi, perché l’azienda si ritrova di colpo a dover restituire tutto il debito bancario.
Come gestire i debiti bancari in una situazione di crisi?
– Rinegoziazione e moratorie: Spesso la prima strada è il dialogo con gli istituti di credito. Le banche, in quanto creditori qualificati, potrebbero accettare di ristrutturare il debito concedendo nuove dilazioni, periodi di pre-ammortamento (sospensione temporanea del pagamento della quota capitale delle rate), o anche rinunce parziali al credito (stralcio di interessi moratori, riduzione del tasso). Molto dipende dalle prospettive dell’azienda: se la crisi è temporanea e c’è un piano industriale solido di ripresa, la banca potrebbe preferire rinegoziare piuttosto che avviare un contenzioso lungo e costoso che potrebbe portare a incassare solo una frazione del dovuto. Dal 2020 in poi, a fronte dell’emergenza Covid-19, varie moratorie ex lege e accordi ABI hanno sospeso le rate dei mutui per le PMI; oggi queste misure straordinarie sono terminate, ma nulla vieta che singolarmente la banca accordi una moratoria su richiesta motivata dell’impresa.
– Consolidamento del debito: Una possibile soluzione è ottenere un nuovo finanziamento (magari garantito dallo Stato, se ci sono bandi o misure di supporto) destinato a ripagare i debiti a breve termine trasformandoli in un debito a medio-lungo termine più sostenibile. Ciò richiede che la banca o un nuovo finanziatore abbia fiducia nella continuità aziendale. Per esempio, un’azienda potrebbe contrarre un finanziamento quinquennale che estingue lo scoperto di conto corrente e i debiti leasing arretrati, ottenendo rate mensili sostenibili al posto di esposizioni esigibili immediatamente. Chiaramente, questo approccio funziona se il problema è di liquidità temporanea; se invece l’azienda è strutturalmente incapace di generare utili, aumentare il debito aggrava solo la situazione (e potrebbe configurare una concessione abusiva di credito da parte della banca, tema su cui la giurisprudenza è attenta a evitare che le banche alimentino artificiosamente imprese decotte).
– Accordo di ristrutturazione o concordato con le banche: I crediti bancari rientrano pienamente nei piani di ristrutturazione del debito ex art. 57 e ss. CCII . Le banche tendono ad essere organizzate e spesso agiscono in modo coordinato se sono più d’una (pool di banche). L’azienda può proporre formalmente un accordo di ristrutturazione dei debiti in cui, ad esempio, si paghi alle banche una percentuale del credito con nuova finanza, oppure si convertano parte dei crediti in partecipazioni societarie (debt-equity swap), o ancora si paghi integralmente ma in un periodo più lungo e con garanzie aggiuntive. L’accordo di ristrutturazione richiede l’adesione di almeno il 60% dei creditori in valore (su base volontaria) , e può poi essere omologato dal tribunale rendendolo efficace anche per eventuali dissenzienti della stessa categoria. La legge prevede anche particolari accordi agevolati con soglia ridotta al 30% se tutti i crediti coinvolti sono di banche e finanziatori (ciò per favorire intese rapide con il ceto bancario). L’omologazione giudiziale garantisce la cristallizzazione del debito e la protezione dalle azioni esecutive dei creditori estranei per 120 giorni (estendibili) per permettere di raccogliere le adesioni.
– Escussione delle garanzie e rimedi legali: Se la ristrutturazione non riesce o non è praticabile e la banca passa alle vie di fatto (ad esempio iscrivendo ipoteca e pignorando un capannone dato in garanzia), l’azienda può tentare di prendere tempo tramite opposizioni legali (verificando vizi formali del precetto o del titolo esecutivo, oppure chiedendo una sospensione in via d’urgenza, se ci sono trattative in corso). Tuttavia, questi sono palliativi: se il debito è certo e scaduto, l’azione della banca è difficilmente arrestabile se non attraverso una procedura concorsuale. Va anche considerato che l’escussione di garanzie può mettere in pericolo la sopravvivenza stessa dell’impresa: ad esempio, la vendita all’asta del macchinario industriale principale in forza di un leasing non pagato può di fatto paralizzare la produzione. Ecco perché spesso, in situazioni del genere, è opportuno ricorrere a misure concorsuali che bloccano temporaneamente le esecuzioni, come il concordato preventivo o la composizione negoziata con misure protettive. In sede di concordato, i creditori ipotecari o pignoratizi possono essere soddisfatti non integralmente purché ricevano almeno quanto otterrebbero dalla vendita forzata del bene su cui hanno garanzia . Se il piano prevede la continuità aziendale, la soddisfazione dei creditori garantiti può anche avvenire dilazionata, mantenendo le garanzie. In caso di liquidazione, invece, la regola è che i creditori privilegiati vengano pagati con preferenza fino a capienza sul ricavato dei beni vincolati, e solo l’eventuale incapienza residua diviene credito chirografario (cioè non garantito).
– Fideiussioni personali e rischi per l’imprenditore: Molto spesso le banche a fronte di finanziamenti a società di capitali richiedono una fideiussione personale dei soci o degli amministratori. Ciò significa che, se la società non paga, la banca potrà agire anche sul patrimonio personale del garante (la casa, conti personali, etc.), ampliando la pressione debitoria. È importante sapere che l’eventuale concordato o procedura concorsuale della società non libera il fideiussore (salvo che il creditore vi rinunci esplicitamente in sede di accordo). Quindi, un imprenditore che abbia dato garanzia personale rischia l’escussione indipendentemente dalla sorte della società. Per difendersi, l’imprenditore può valutare a sua volta gli strumenti di composizione della crisi da sovraindebitamento (se persona fisica non fallibile) o un concordato personale se imprenditore individuale, oppure negoziare direttamente con la banca un accordo sul debito personale (ad esempio, includendo una liberatoria per il garante all’interno del piano di ristrutturazione globale, cosa che alcune banche accettano in cambio magari di un pagamento più rapido). In ogni caso, la presenza di fideiussioni rende ancora più delicata la gestione della crisi: non basta “salvare” l’azienda, occorre tutelare anche chi ha garantito, altrimenti gli effetti rovinosi si propagano sul privato.
- Debiti verso fornitori e altri creditori commerciali: sono i debiti contratti nell’attività corrente per l’acquisto di beni, materie prime, componenti di impianti, servizi, bollette di utenze, consulenze, ecc. Questi creditori sono generalmente chirografari (cioè non hanno garanzie reali né cause legittime di prelazione, a meno che abbiano stipulato particolari patti di riserva di proprietà sulla merce venduta). Un’azienda di impianti di lavaggio industriale potrebbe avere numerosi fornitori di materiali (acciaio, componentistica, prodotti chimici) o subfornitori specializzati: il loro mancato pagamento può comportare l’interruzione delle forniture e quindi bloccare la produzione. Inoltre, i fornitori insoluti possono agire velocemente tramite decreto ingiuntivo e pignoramento, anche se spesso gli importi singolarmente non sono elevatissimi (ma il problema è cumulativo).
Come affrontare i debiti verso fornitori?
– Negoziare dilazioni o saldo e stralcio: I fornitori, specie se di lunga data, hanno interesse a mantenere il rapporto commerciale. In caso di difficoltà, l’impresa può contattarli spiegando la situazione e proponendo ad esempio un piano di rientro (pagamento del dovuto in più tranche) oppure un saldo e stralcio (pagamento immediato di una percentuale a fronte dello stralcio del resto). Molti fornitori preferiranno incassare, ad esempio, il 50% subito piuttosto che affrontare un’incertezza di recupero totale. Naturalmente, il potere contrattuale dell’azienda qui dipende dalla credibilità del piano futuro: se il fornitore ritiene che l’azienda sia destinata comunque al fallimento, sarà meno propenso a concedere sconti se può insinuarsi come creditore e forse recuperare tramite garanzie del Fondo di garanzia (per le PMI fornitrici di aziende poi fallite esistono strumenti come assicurazioni del credito, o nei casi di amministrazioni straordinarie di grandi imprese talvolta interventi statali). Viceversa, se vede prospettive di proseguimento, potrebbe accettare un compromesso.
– Assicurarsi le forniture essenziali: Alcuni fornitori possono essere critici per l’operatività (es. il fornitore di pezzi indispensabili per completare gli impianti di lavaggio). In fase di concordato preventivo in continuità, la legge consente al debitore di richiedere l’autorizzazione a pagare anticipatamente alcuni fornitori strategici per assicurarsi la continuità produttiva (pagamento di forniture già avvenute, nonostante il blocco dei debiti anteriori, se il giudice autorizza perché funzionale alla continuità). Inoltre, i contratti pendenti possono essere mantenuti anche in concordato: il debitore in concordato con continuità può decidere di continuare ad eseguire i contratti in essere, pagando le forniture correnti in prededuzione (ossia con priorità assoluta) così che il fornitore è garantito per i nuovi ordini. Questo dovrebbe convincerlo a non interrompere il rapporto.
– Azioni legali e difese: Se i fornitori hanno già avviato decreti ingiuntivi, l’azienda può proporre opposizione (ad esempio eccependo eventuali contestazioni sulla merce o sui servizi forniti, o chiedendo una dilazione al giudice) ma deve avere motivazioni concrete; altrimenti rischia solo di prendere tempo con ulteriori spese legali. Un’opposizione pretestuosa può far perdere credibilità. Piuttosto, potrebbe essere utile coinvolgere i fornitori in una trattativa collettiva: ad esempio, nell’ambito di una composizione negoziata della crisi, invitare i fornitori principali attorno a un tavolo e prospettare loro che, se collaborano rinunciando a una parte del credito o aspettando i tempi del piano, l’azienda potrà sopravvivere e continuare a dare loro commesse in futuro, mentre se agiscono in modo aggressivo si rischia la chiusura e loro recupereranno forse molto meno in fallimento. Questo appello alla convenienza reciproca è spesso efficace nelle soluzioni concordate.
– Privilegi speciali di alcuni creditori commerciali: Attenzione che alcuni fornitori potrebbero avere delle tutele speciali. Ad esempio, il fornitore che ha venduto un macchinario con riserva di proprietà rimane proprietario del bene finché non è pagato integralmente: se l’azienda non paga le rate, quel fornitore può rivendicare la proprietà e riprendersi il bene. Oppure, i professionisti e consulenti potrebbero avere diritto al privilegio previsto dall’art. 2751-bis n.2 c.c. (per le retribuzioni dei professionisti entro un certo limite di tempo). Questi crediti privilegiati saranno trattati con precedenza in caso di procedura concorsuale. Sapere se ci sono tali privilegi aiuta a capire chi ha più leva nelle trattative.
– Effetti della procedura concorsuale: In un concordato preventivo liquidatorio, i fornitori, essendo chirografari, spesso subiscono un taglio (es: 20% di soddisfazione). In un concordato in continuità, invece, potrebbero avere offerte migliori perché necessari per la prosecuzione. In ogni caso, dal momento dell’ammissione al concordato o dell’omologazione dell’accordo di ristrutturazione, i creditori chirografari non possono più agire individualmente: ciò protegge l’azienda dal rischio di pignoramenti disordinati.
- Debiti verso i dipendenti: riguardano retribuzioni non pagate, TFR (trattamento di fine rapporto) maturato, ferie non godute, straordinari, ecc. Questa categoria di crediti gode di una tutela fortissima nell’ordinamento: i lavoratori subordinati hanno privilegio generale sui mobili dell’azienda per gli ultimi 2 anni di retribuzioni e per il TFR (art. 2751-bis n.1 c.c.) e addirittura super-privilegio (collocazione privilegiata di grado anteriore anche ai crediti ipotecari su determinati beni mobili, come merci e impianti) per gli ultimi 3 mesi di retribuzioni e indennità di fine rapporto. Inoltre, se l’azienda viene dichiarata insolvente, interviene il Fondo di Garanzia INPS che anticipa ai lavoratori il TFR e le ultime tre mensilità impagate, surrogandosi poi nel credito verso l’azienda. Oltre agli aspetti giuridici, v’è un fattore sociale: i dipendenti senza stipendio possono legittimamente incrociare le braccia o dimettersi per giusta causa, e talvolta segnalare la situazione alle autorità (ispettorato del lavoro). Per l’imprenditore, non pagare i dipendenti mina il capitale umano e la prosecuzione stessa dell’attività, oltre a potenzialmente esporlo a sanzioni amministrative o penali (ad esempio, l’omesso versamento di ritenute previdenziali operate sulle buste paga sopra una certa soglia – €10.000 annui – costituisce reato ai sensi dell’art. 2, comma 1-bis, D.L. 463/1983, conv. in L. 638/1983, salvo poi estinguersi se il pagamento avviene entro determinati termini).
Come gestire i debiti verso dipendenti?
– Ricerca di liquidità dedicata: La priorità dovrebbe essere pagare almeno parzialmente gli arretrati ai lavoratori. In situazioni di crisi, può essere opportuno trovare risorse ad hoc (ad esempio incassare velocemente crediti verso clienti, vendere scorte) per corrispondere almeno le mensilità più recenti, sia per ragioni morali che giuridiche. Tali pagamenti, se effettuati in buona fede nell’esercizio dell’attività, non costituiscono pericolo di revocatoria fallimentare (i pagamenti di lavoro dipendente sono difficilmente revocabili perché considerati fisiologici).
– Cassa integrazione o riduzione del personale: Se la crisi è congiunturale, attivare ammortizzatori sociali (CIGO, CIGS, Fondi di solidarietà) può alleggerire il costo del lavoro e allo stesso tempo garantire un reddito ai dipendenti, riducendo l’accumulo di debiti verso di essi. Nei casi estremi, una ristrutturazione può comportare esuberi: i dipendenti licenziati avranno diritto al TFR e alle indennità di legge, che però – se l’azienda non riesce a pagare – saranno poi a carico del Fondo di Garanzia in caso di fallimento. L’imprenditore deve valutare anche l’impatto di eventuali cause di lavoro (che hanno corsie preferenziali e possono portare a pignoramenti rapidi).
– Trattamento dei lavoratori nelle procedure concorsuali: In un concordato preventivo con continuità, la legge impone il rispetto delle retribuzioni dovute ai lavoratori: i crediti per stipendi hanno priorità assoluta e vanno pagati preferibilmente in prededuzione se legati alla continuazione dell’attività . Non si potrebbe proporre un concordato che faccia un taglio agli stipendi dovuti (sarebbe inammissibile). Quindi, qualsiasi piano di risanamento deve prevedere il saldo dei lavoratori (quantomeno nei limiti della privilegio) al 100%, magari dilazionato ma garantito. Se ciò non fosse possibile, è segno che la situazione è gravissima e probabilmente si andrà verso la liquidazione. Nel caso di liquidazione giudiziale, come detto, i lavoratori vengono soddisfatti dal Fondo INPS (entro i massimali) e poi il Fondo subentra nel passivo. Gli eventuali crediti dei dipendenti superiori ai limiti coperti dal Fondo restano nel passivo privilegiato e vengono pagati con prelazione sulle vendite (ma spesso sono interamente soddisfatti perché i privilegi sui mobili vengono prima di quasi tutto).
– DURC e continuità aziendale: L’azienda in crisi potrebbe avere il DURC irregolare (Documento Unico di Regolarità Contributiva) a causa di contributi INPS non versati o premi INAIL arretrati, il che le impedisce di partecipare ad appalti pubblici o di incassare pagamenti di lavori in corso con la PA. Durante una procedura concorsuale, come il concordato in continuità, la normativa consente in taluni casi il rilascio di un DURC provvisorio per permettere all’impresa di non perdere commesse pubbliche essenziali. Nella composizione negoziata, invece, la questione è dibattuta in giurisprudenza: alcuni tribunali hanno ritenuto di poter ordinare il rilascio del DURC nonostante i debiti contributivi nell’ambito delle misure protettive, altri no . In ogni caso, l’impresa deve tener presente anche questo aspetto: un piano di risanamento serio dovrebbe considerare come regolarizzare i contributi (ad esempio tramite una dilazione con l’INPS, anch’essa prevista dall’art. 13 D.Lgs. 110/2024 in parallelo a quella fiscale, con possibili 24 rate o più se autorizzate).
- Debiti verso l’INPS e altri enti previdenziali: In parte questi sono già stati toccati (contributi su retribuzioni). Va aggiunto che i contributi previdenziali dovuti per i lavoratori o per il titolare (in caso di ditta individuale) sono paragonabili ai debiti fiscali: l’INPS ha privilegi sui beni aziendali per i suoi crediti e si avvale dell’Agente della Riscossione per la loro esazione coattiva. Esistono meccanismi di rateazione specifici anche presso l’INPS per contributi non ancora iscritti a ruolo (generalmente, dilazioni fino a 24 mesi con domanda diretta all’ente, prorogabili in casi eccezionali). Inoltre, analogamente alle definizioni fiscali, negli ultimi anni vi sono state rottamazioni cartelle che includevano i contributi previdenziali (con lo sgravio delle sanzioni civili e somme aggiuntive) . È importante considerare che per un imprenditore individuale, i contributi personali (gestione commercianti/artigiani) non versati possono anch’essi essere oggetto di definizioni agevolate.
Un elemento specifico: l’omesso versamento dei contributi previdenziali trattenuti ai dipendenti (le trattenute INPS in busta paga) oltre una certa soglia costituisce reato, come accennato. Tuttavia, la causa di non punibilità scatta se i versamenti vengono effettuati entro il termine di pagamento delle somme dovute a seguito di contestazione (in sostanza, c’è uno spazio temporale per ravvedersi). L’imprenditore dovrebbe quindi, se possibile, dare priorità a sanare queste posizioni critiche magari approfittando di una rateazione prima che scattino denunce penali.
Tabella riepilogativa delle principali categorie di debiti e relative caratteristiche:
| Tipo di debito | Creditori (esempi) | Privilegi o garanzie | Rischi per l’azienda | Strumenti di gestione (esempi) |
|---|---|---|---|---|
| Fiscale/Tributario | Agenzia Entrate, Agenzia Riscossione, Comuni (IMU, TARI) | Privilegi generali (es. IVA, ritenute), ipoteche su immobili (da Equitalia) | Cartelle esattoriali, fermi auto, ipoteche, pignoramenti; sanzioni e interessi elevati; possibili responsabilità penali per omessi versamenti | Rateizzazioni fino 7-10 anni ; rottamazione (condono sanzioni) se prevista; transazione fiscale in concordato ; misure protettive nelle procedure |
| Bancario/Finanziario | Banche (mutui, fidi), leasing, factor | Ipoteca (mutui), pegno (pegno crediti, pegno su beni), riserva proprietà (leasing), fideiussioni personali | Revoca fidi, risoluzione contratti e richiesta immediata di saldo; escussione garanzie (es. esproprio immobiliare); azioni legali rapide | Moratorie e rinegoziazioni private; consolidamento debiti; accordo ristrutturazione (60% consensi) ; concordato preventivo (stop azioni esecutive, pagamento parziale garantito) |
| Commerciale (Fornitori) | Fornitori materie prime, servizi, utenze | Generalmente chirografari (nessuna garanzia), salvo patti di riservato dominio o privilegio ex art. 2751-bis c.c. per taluni crediti (es. artigiani) | Interruzione forniture essenziali; decreti ingiuntivi e pignoramenti; rischio effetto domino su produzione | Piani di rientro bonari; accordi saldo e stralcio; composizione negoziata coinvolgendo fornitori; nel concordato: pagamento parziale (≥20% se liquidatorio) , possibilità di classi separate per fornitori strategici |
| Dipendenti (retribuzioni) | Lavoratori dipendenti (stipendi, TFR) | Privilegi super privilegiati e privilegi generali (ultimi 3 mesi salari superprivilegio, TFR e 2 anni salari privilegio generale) | Scioperi, dimissioni, vertenze lavoro; blocco attività; intervento Ispettorato; Fondo di Garanzia INPS surroga il pagamento TFR e ultime mensilità; possibile reato se omesse ritenute > soglia | Ammortizzatori sociali (CIG); pagamento prioritario di alcune mensilità; in concordato: pagamento integralmente richiesto (prededuzione se continuano); in liquidazione: Fondo INPS paga TFR/salari dovuti |
| Previdenziale (INPS, INAIL) | INPS (contributi lavoratori, gestione IVS), INAIL (premi) | Privilegi generali sui mobili azienda; procedura esattoriale tramite Agenzia Riscossione | Certificato DURC irregolare (esclusione appalti); cartelle esattoriali, interessi di mora; reati per omessi versamenti contributivi dipendenti | Rateazione diretta con INPS (max 24 mesi ordinari); inclusione in rottamazione cartelle; transazione contributiva in concordato (stesse regole del Fisco) ; DURC regolarizzabile a valle di accordi o con ordine giudice (caso concordato) |
| Altri debiti (varie) | Ad es. debiti verso soci (finanziamenti soci), debiti verso enti o sanzioni amministrative | Finanziamenti soci spesso postergati per legge (art. 2467 c.c. in SRL) – rimborsabili solo dopo gli altri creditori; sanzioni senza privilegio (di solito chirografarie) | I soci potrebbero rivalersi ma la legge li pone ultimi; le sanzioni non pagate in concorsuale talvolta non sono falcidiabili (es. sanzioni penali) | Finanziamenti soci possono essere convertiti in capitale per rafforzare patrimonio; sanzioni amministrative possono essere oggetto di definizione agevolata se iscritte a ruolo (alcune rottamazioni hanno incluso multe stradali con solo interessi da pagare) |
(Legenda: “privilegio generale” = diritto di essere soddisfatti con precedenza sul ricavato di tutti i beni mobili rispetto ai chirografari; “prededuzione” = debito sorto durante la procedura concorsuale o autorizzato dal giudice, che verrà pagato prima di ogni altro debito concorsuale.)
Questa panoramica evidenzia che non tutti i debiti sono uguali. Ad esempio, il Fisco e l’INPS hanno il coltello dalla parte del manico con privilegi e poteri di riscossione, e vanno affrontati con strumenti normativi appropriati; le banche hanno garanzie e un ruolo cruciale (possono determinare la tenuta o il default dell’azienda a seconda delle loro azioni); i fornitori, pur senza garanzie, possono mettere in crisi la continuità operativa se sospendono le forniture; i dipendenti hanno tutele superiori e non si possono sacrificare oltre un certo limite senza far collassare l’impresa.
Un principio guida nelle soluzioni della crisi è il par condicio creditorum, ossia la parità di trattamento dei creditori della stessa classe. Ciò significa che – al di fuori di accordi stragiudiziali volontari – non si possono soddisfare alcuni creditori a scapito di altri, salvo le differenze giustificate da diverse cause di prelazione o dall’uso di strumenti legali che lo consentano (ad esempio, in un piano concordatario si possono classificare i creditori in classi omogenee e proporre percentuali differenziate, ma con criteri). Quando l’azienda è in grave difficoltà, dunque, occorre pensare a soluzioni globali per l’indebitamento, anziché tamponare a macchia di leopardo: pagare un singolo creditore “forte” (come la banca o il fornitore che fa più rumore) lasciando indietro tutti gli altri può condurre a una situazione insostenibile e a responsabilità per atti di favore.
Nei prossimi capitoli analizzeremo proprio queste soluzioni globali: prima gli strumenti stragiudiziali (fuori dal tribunale) per la ristrutturazione del debito, poi le procedure concorsuali vere e proprie (concordato preventivo, liquidazione giudiziale, ecc.), con i rispettivi vantaggi, svantaggi e requisiti.
Strumenti stragiudiziali per gestire e ristrutturare i debiti
Quando un’azienda indebitata vuole evitare, se possibile, di ricorrere subito ai tribunali, può tentare una ristrutturazione del debito in via stragiudiziale, ossia attraverso accordi privati o percorsi “protetti” ma non ancora sfociati in una procedura concorsuale formale. Questi strumenti puntano a trovare un accordo con i creditori per rinegoziare le condizioni di pagamento del debito, ridurne l’ammontare o dilazionarlo, in modo da rendere sostenibile la posizione finanziaria dell’impresa . Vediamo i principali:
Accordi bonari e piani di risanamento autodiretti
Accordi bonari individuali: L’approccio più immediato è negoziare informalmente con ciascun creditore (o con i principali) nuove condizioni. Questo può includere: – Proroghe delle scadenze (es. ottenere 60-90 giorni in più per pagare una fornitura). – Rateizzazioni private: impegnarsi a pagare un certo importo mensile fino a estinzione del debito. – Riduzioni concordate (saldo e stralcio): il creditore accetta di chiudere la posizione a fronte di un pagamento parziale immediato (es. “ti pago il 30% entro 10 giorni e ci consideriamo pari”). – Conversioni del debito: in rari casi, un creditore potrebbe accettare una conversione del proprio credito in capitale sociale o in strumenti partecipativi (così da scommettere sulla ripresa dell’impresa); questo avviene soprattutto con creditori legati all’azienda (es. fornitori-partner o i soci stessi per crediti da finanziamenti soci).
Questi accordi hanno il vantaggio della flessibilità e della riservatezza (non diventano pubblici), ma presentano due grossi limiti: (i) servono il consenso di ogni singolo creditore coinvolto, e basta che uno importante si rifiuti per vanificare lo sforzo; (ii) non offrono protezione verso i creditori non aderenti, i quali potrebbero comunque agire esecutivamente. Dunque, gli accordi individuali funzionano bene se i creditori sono pochi o se la maggior parte è accomodante. Se invece si ha una platea ampia di creditori e qualcuno resta fuori dall’accordo, si rischia l’azione del “franco tiratore” che precipita la situazione (es.: 9 fornitori su 10 accettano di aspettare 6 mesi, ma il decimo, non vincolato da nulla, ottiene un decreto ingiuntivo immediato e pignora il conto corrente bloccando tutti i pagamenti, frustrando anche l’accordo con gli altri).
Piano di risanamento “semplice” asseverato (art. 56 CCII): L’ordinamento riconosce uno strumento chiamato piano attestato di risanamento, erede del vecchio art. 67 L.Fall. Consiste in un piano industriale e finanziario, redatto dall’imprenditore con l’ausilio di professionisti, avente lo scopo di risanare l’impresa, sul quale un professionista indipendente (attestatore) rilascia una relazione di attestazione circa la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano. Questo piano può prevedere qualsiasi misura (ristrutturazione debiti, aumento di capitale, cessione di asset non strategici, riduzione costi, ecc.) e implica di norma che l’impresa abbia raggiunto accordi con i creditori chiave per dare esecuzione al piano. Il vantaggio del piano attestato è che, se concretamente eseguito, protegge da azioni revocatorie eventuali atti compiuti in sua esecuzione: ad esempio, i pagamenti fatti ai creditori o le cessioni di beni effettuate secondo il piano non potranno essere successivamente revocati in caso di fallimento, purché il piano fosse idoneo al risanamento (art. 166, co.3, lett. d) CCII). Inoltre, le banche che aderiscano a un piano attestato hanno benefici prudenziali nel classificare l’esposizione (possono non doverla considerare incagliata se il piano è credibile).
Tuttavia, il piano attestato resta un accordo privatistico: non vincola i dissenzienti, non sospende le azioni esecutive e non richiede omologazione in tribunale. È quindi utilizzabile quando la crisi non è troppo grave e c’è l’accordo di massima con tutti (o quasi) i creditori principali. Spesso è un passo preliminare: molte imprese tentano prima il piano attestato e, se la situazione degenera o emergono nuovi dissensi, passano a strumenti più incisivi.
L’importanza della trasparenza: Qualunque piano stragiudiziale, per funzionare, deve convincere i creditori. È fondamentale predisporre un documento chiaro che illustri: – l’entità del debito e la classificazione dei creditori (chi sono i privilegiati, i chirografari, etc.); – le cause della crisi (per mostrare che si ha consapevolezza degli errori o dei fattori esterni che hanno portato al dissesto); – le azioni correttive intraprese (taglio costi, nuovi contratti, ingresso di soci o finanziatori, dismissioni di beni non strategici, ecc.); – proiezioni finanziarie realistiche, con numeri che dimostrino come l’azienda potrà generare i flussi di cassa necessari a pagare i creditori alle nuove condizioni proposte.
Un piano vago o basato su assunzioni irrealistiche non convincerà i creditori. La credibilità è la chiave , come sottolineano gli esperti: è preferibile promettere meno e poi magari fare meglio, piuttosto che prospettare percentuali di pagamento ottimistiche e poi tradire le attese. Spesso i creditori apprezzano avere un attestatore terzo che certifichi la bontà del piano, anche se non obbligatorio fuori dalle procedure.
Composizione negoziata della crisi
Tra gli strumenti introdotti di recente spicca la composizione negoziata della crisi, prevista dal D.L. 118/2021 (convertito in L. 147/2021) e confluita nel Codice della Crisi (artt. 17-25 CCII). Si tratta di una procedura volontaria e riservata che l’imprenditore (anche agricolo o “sotto soglia” di fallibilità) può attivare quando si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da rendere probabile la crisi o l’insolvenza, ma ritiene che esistano concrete possibilità di risanare l’azienda. In parole povere, è un percorso assistito di negoziazione con i creditori, guidato da un Esperto indipendente nominato dalla Camera di Commercio, che aiuta le parti a trovare un accordo.
Caratteristiche principali della composizione negoziata:
– Accesso: Si accede tramite una piattaforma telematica nazionale (gestita da Unioncamere) presentando un’istanza corredata di informazioni sullo stato dell’azienda. Non è richiesto che l’impresa sia già insolvente; anzi, è pensata come misura preventiva.
– Nomina dell’Esperto: Un commissione nomina un Esperto terzo (tipicamente un commercialista, avvocato o consulente del lavoro con specifica formazione) che, dopo aver esaminato la situazione, convoca l’imprenditore per il primo incontro e poi contatta i creditori principali per avviare le trattative.
– Riservatezza: La procedura è confidenziale e non viene pubblicata (albo pretorio, registro imprese) a meno che l’imprenditore non richieda misure protettive. Ciò significa che si può tentare la negoziazione senza danneggiare la reputazione dell’azienda – un aspetto molto importante per evitare allarmismi tra clienti e fornitori.
– Misure protettive e cautelari: L’imprenditore, se necessario, può chiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive che bloccano temporaneamente le azioni esecutive e cautelari dei creditori (inclusi i privilegiati) sul patrimonio dell’impresa. Questa protezione dura inizialmente fino a 4 mesi, prorogabili di altri 4, e consente di negoziare “in pace” senza il fiato sul collo di pignoramenti o sequestri . Attenzione: le misure protettive vengono iscritte al Registro delle Imprese e quindi rendono pubblica la situazione, e il tribunale può revocarle se emergono atti in frode (es. distrazione di beni).
– Condotta delle trattative: L’Esperto non ha poteri impositivi, ma redige un calendario degli incontri, facilita lo scambio di proposte e monitora che l’imprenditore non compia atti lesivi per i creditori. Egli può suggerire soluzioni come la rinegoziazione dei contratti (anche potendo indicare alle parti di ridurre i canoni o modificare termini per aiutare il risanamento). L’Esperto scrive relazioni periodiche sullo stato delle trattative.
– Esito: La composizione negoziata non è finalizzata necessariamente a un unico tipo di accordo; l’esito dipende da cosa si riesce a concordare. Possibili esiti positivi: (a) un contratto di ristrutturazione bilaterale con uno o più creditori, (b) un accordo plurilaterale sottoscritto da tutti o la maggior parte dei creditori (che però resta stragiudiziale), (c) un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 CCII da omologare in tribunale (convertendo la negoziazione in un accordo formale), (d) un piano attestato di risanamento come visto prima, (e) la presentazione di una domanda di concordato preventivo (in continuità o liquidatorio) se serve l’ombrello concorsuale. In alternativa, se l’azienda non è più risanabile, l’Esperto può consigliare di accedere direttamente alla liquidazione (giudiziale o controllata se micro-impresa). La composizione negoziata quindi è un contenitore flessibile: non c’è un voto dei creditori o un’omologazione conclusiva (a meno di usare accordi o concordato come sbocco). Se si raggiunge un semplice accordo stragiudiziale con alcuni creditori, lo si formalizza e la procedura si chiude.
– Concordato semplificato per la liquidazione: Introdotto in via transitoria nel 2021 e stabilizzato nel Codice, è una possibilità riservata al caso in cui la composizione negoziata fallisca nel trovare un accordo ma l’impresa sia insolvente. L’imprenditore può proporre al tribunale un piano di liquidazione dei beni con assegnazione del ricavato ai creditori (senza dover passare per il voto dei creditori), ottenendo – se il tribunale valuta che il piano è vantaggioso rispetto al fallimento – l’omologazione di un concordato semplificato (art. 25-sexies CCII). In sostanza è una scorciatoia per liquidare l’azienda evitando il fallimento “tradizionale”, utile quando non c’è accordo ma c’è comunque un’attività da liquidare ordinatamente. Il correttivo 2024 ha precisato che anche a questo concordato semplificato si possono estendere le misure protettive e cautelari durante il procedimento . Va però chiarito che nel concordato semplificato i creditori possono presentare osservazioni e il tribunale approverà solo se ritiene che la soluzione offra ai creditori non meno di quanto otterrebbero dalla liquidazione giudiziale, e che le trattative precedenti siano state condotte in buona fede. Non è uno strumento per aggirare i creditori, ma per accelerare la chiusura quando la situazione è compromessa.
Efficacia e diffusione della composizione negoziata: Nei primi anni di applicazione, questo strumento ha mostrato un crescente utilizzo da parte delle imprese. Secondo i dati Unioncamere, dal lancio a fine 2021 fino a maggio 2025 circa 3.000 imprese hanno presentato istanza di composizione negoziata , con un tasso di successo in aumento al 22,5% nel primo trimestre 2025 . Ciò significa che quasi un quarto delle procedure avviate si conclude con un risanamento concordato dell’azienda. Le imprese di dimensioni medio-grandi sembrano beneficiare maggiormente dello strumento, mentre per le piccole c’è ancora minor utilizzo, probabilmente per scarsa conoscenza o timore dei costi. In ogni caso, la composizione negoziata si sta affermando come ponte prezioso: consente all’imprenditore di provare ogni strada per evitare l’insolvenza, con l’aiuto di un mediatore qualificato e sotto l’ombrello protettivo del tribunale (se richiesto). Dal punto di vista del debitore, è attraente perché mantiene il controllo dell’impresa durante le trattative (l’Esperto non gestisce l’azienda, affianca soltanto) e può evitare lo stigma del fallimento se si trova un’intesa.
Va però segnalato che la composizione negoziata richiede cooperazione e trasparenza: l’imprenditore deve essere sincero sullo stato delle cose e l’Esperto può segnalare situazioni di abuso (ha il dovere di abbandonare la procedura se il debitore agisce in mala fede). Se i creditori percepiscono scarsa fiducia, difficilmente daranno ulteriore tempo o concessioni.
Caso pratico di composizione negoziata: Immaginiamo la Lavaggi Industriali Alfa Srl con debiti totali di 2 milioni (500k banca, 500k fornitori, 300k fisco, 200k leasing, 500k altri). L’azienda vede un calo ordini e teme di non pagare prossime scadenze. Attiva la composizione negoziata a ottobre: un Esperto viene nominato a novembre. L’azienda richiede subito misure protettive, ottenendo d’urgenza dal tribunale il blocco dei pignoramenti (ad esempio, evita che la banca escuta l’ipoteca sul capannone). Con l’Esperto prepara un piano sommario e convoca la banca, i principali fornitori e l’Agenzia Entrate. Dopo due mesi di incontri, si delinea un accordo: la banca accetta di ristrutturare il mutuo portandolo da scadenza 2026 a 2030 con interessi ridotti, i fornitori che rappresentano il 70% del debito commerciale accettano un taglio del 20% pagabile in 12 mesi, gli altri fornitori verranno pagati integralmente ma in 24 mesi, l’Erario concede la rateazione massima (10 anni) con transazione fiscale per ridurre sanzioni. Il tutto è possibile grazie anche a un nuovo investitore (un cliente strategico) che apporta 300k di liquidità per pagare le prime quote del piano. L’Esperto valuta che l’accordo è equilibrato, e a marzo l’azienda esce dalla composizione negoziata formalizzando i contratti con i creditori. Nessuna omologazione è necessaria perché tutti i principali attori sono d’accordo. L’azienda evita il fallimento e prosegue l’attività, con l’imprenditore che ha mantenuto la guida durante il processo.
Se invece i creditori fossero rimasti distanti nelle posizioni, la Alfa Srl avrebbe potuto optare per un concordato preventivo (magari in continuità, offrendo ai dissenzienti poco meno di quanto proposto in trattativa) oppure, se proprio incapace di risanarsi, per un concordato semplificato liquidatorio con cessione del magazzino e dei beni ai creditori.
In conclusione, la composizione negoziata è oggi uno strumento cardine per chi vuole difendersi dai debiti tentando prima la via consensuale. Non è detto che risolva sempre (non tutti i creditori possono essere ragionevoli), ma dà al debitore un tempo e un luogo per giocare le sue carte.
Accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 CCII)
Salendo di grado verso strumenti più formalizzati, troviamo gli accordi di ristrutturazione dei debiti, spesso abbreviati in “182-bis” dal vecchio articolo di legge. Si tratta di accordi tra l’impresa debitrice e una parte rilevante dei suoi creditori, che vengono poi “omologati” dal tribunale, acquisendo efficacia anche verso eventuali creditori non aderenti (in certi limiti). È un procedimento che sta a metà strada tra il piano stragiudiziale puro e il concordato preventivo: non coinvolge necessariamente tutti i creditori, ma ha bisogno di un passaggio giudiziario per diventare definitivo.
Caratteristiche chiave: – Consenso richiesto: L’accordo deve essere sottoscritto da creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti totali dell’impresa . Questa soglia può includere anche creditori privilegiati (conta il valore nominale del credito). I creditori non aderenti restano estranei – il che significa che conservano i loro diritti per intero – però l’impresa può chiedere, una volta presentato l’accordo per omologa, che il tribunale sospenda le azioni esecutive anche dei non aderenti per max. 120 giorni, per evitare che pregiudichino l’accordo (art. 54 CCII). Una volta omologato, l’accordo non è di per sé vincolante per i creditori estranei, ma vi sono eccezioni:
– Accordi ad efficacia estesa: se l’accordo raggiunge determinate maggioranze più elevate, gli effetti si estendono anche ai dissenzienti di quella categoria. Ad esempio, la legge prevede che se almeno il 75% dei creditori finanziari (banche) aderisce, l’accordo può essere esteso alle banche dissenzienti (cram down settoriale), purché siano soddisfatti non meno di un certo importo . Similmente, il nuovo art. 63 CCII come modificato nel 2024 prevede il cram down fiscale: se il Fisco/INPS rifiuta ma la proposta rispetta i parametri (≥50% imposte, etc. come visto sopra), il giudice può omologare l’accordo comunque . Questi meccanismi permettono di superare resistenze minoritarie.
– Forma e contenuto: L’accordo di ristrutturazione è in pratica un contratto tra debitore e creditori aderenti che stabilisce come verranno soddisfatti i crediti (quanto paga, quando paga, eventuali garanzie nuove, conversioni in equity, ecc.). Deve essere accompagnato da un piano che illustri la situazione e da una relazione di un professionista indipendente che attesti che l’accordo è idoneo ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei entro 120 giorni dalle scadenze, o entro 180 giorni se sono crediti di natura fiscale . Questa attestazione serve a tutelare i creditori non firmatari: il loro credito non può essere ridotto dall’accordo, ma dev’essere almeno pagato regolarmente a breve termine.
– Procedimento: L’impresa deposita l’accordo presso il tribunale competente e chiede l’omologazione. Il tribunale verifica documenti e attestazione, e – se non ci sono opposizioni di creditori estranei o queste vengono superate – omologa l’accordo rendendolo efficace. Il decreto di omologazione viene pubblicato al Registro Imprese. Da quel momento, l’accordo è vincolante per i sottoscrittori secondo i termini previsti. I creditori estranei invece rimangono liberi di agire (a meno che rientrino in un’estensione ex lege come detto). Tuttavia, di solito in questi accordi i creditori estranei sono pochi e/o di importo trascurabile, oppure sono pagati subito (spesso con nuova finanza prededucibile) così da chiudere ogni pendenza.
– Vantaggi per l’imprenditore: rispetto a un concordato, l’accordo di ristrutturazione è più snello e riservato (non c’è una fase di voto assembleare, né nomina di commissario giudiziale salvo richiesta di misure protettive, e la pubblicità è limitata). Può essere uno strumento efficace quando l’impresa ha già ottenuto il sì di banche e grandi creditori e vuole consolidare l’intesa rapidamente. Inoltre, come già evidenziato, è possibile depositare l’accordo anche solo con adesioni iniziali e poi raccogliere altre adesioni entro un certo termine (il tribunale può concedere fino a 4 mesi per perfezionare le adesioni necessarie). Durante questo periodo, può proteggere l’impresa con il stay delle azioni esecutive.
– Svantaggi e limiti: se i creditori sono tantissimi (es. migliaia di consumatori, o centinaia di fornitori) l’accordo di ristrutturazione è poco pratico perché ottenere il 60% di adesioni è arduo. In quei casi è preferibile il concordato, dove i consensi si raccolgono con il voto in assemblea. Inoltre, i creditori estranei non vedono falcidiato il proprio credito: l’azienda deve comunque pagarli integralmente, altrimenti costoro possono istigare il fallimento. Dunque l’accordo è fattibile se c’è liquidità sufficiente a saldare i dissenzienti in tempi brevi o se comunque essi non rappresentano una parte rilevante del passivo (o se hanno natura tale che non possono fallire l’impresa, ad es. il fisco rientra nel cram down come detto).
Esempio di accordo di ristrutturazione: La nostra Alfa Srl potrebbe optare per un accordo se, ad esempio, ha 5 banche esposte e 3 di esse (che detengono il 70% del debito finanziario) concordano su un piano di rientro e su nuova finanza, e magari anche i fornitori più grandi firmano. Gli altri fornitori minori, che sommano il restante 30% dei crediti, non aderiscono ma l’azienda prevede di pagarli cash con un prestito soci. Si deposita l’accordo con le firme ottenute (supponiamo rappresentino il 65% di tutto il passivo) e l’attestazione che i creditori non aderenti saranno pagati regolarmente. Il tribunale omologa. Da quel momento, le banche aderenti sono vincolate a non agire esecutivamente e a rispettare le scadenze concordate (per es., un piano di rientro a 5 anni con interessi ridotti), i fornitori firmatari accettano il 80% in 6 mesi, etc. I fornitori non firmatari ricevono il loro dovuto subito (come da piano) e comunque, anche se non fossero pagati, non potrebbero chiedere il fallimento perché l’azienda ora è “protetta” dall’accordo che di fatto la risana (salvo inadempimenti futuri). Questo strumento quindi risulta efficace quando si ha l’appoggio della maggior parte del ceto creditorio, ma rimane qualche outlier da soddisfare per conto proprio.
Nel 2024, le modifiche normative hanno reso gli accordi di ristrutturazione più flessibili e attraenti, recependo la Direttiva UE su ristrutturazioni: – È stato introdotto il Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO), che consente di omologare un piano anche senza il 60% di adesioni, purché approvato da una certa percentuale di classi di creditori e con possibilità di cram-down interclassi – una sorta di mini-concordato semplificato. Tuttavia, questo strumento ibrido è riservato a casi specifici e richiede valutazioni complesse, quindi rimane meno utilizzato nella prassi attuale.
– Sono state riviste le tempistiche e procedure per l’adesione del Fisco e degli enti previdenziali alle proposte di transazione, con l’introduzione di termini di silenzio-assenso/rigetto: ad esempio, dopo la presentazione della proposta di transazione all’ente, se non c’è risposta entro 90 giorni, l’imprenditore può procedere comunque chiedendo l’omologazione (il silenzio dell’ente viene considerato come rifiuto ai fini della percentuale, ma ora l’omologa può superarlo se le condizioni di cram-down fiscale sono rispettate) . Questo sprona le Agenzie a sedersi al tavolo in tempi certi.
In sintesi, l’accordo di ristrutturazione è un ottimo strumento per “blindare” un workout negoziale già raggiunto con i creditori principali, conferendogli efficacia esecutiva e protezione giudiziaria. Dal punto di vista del debitore, può essere visto come una soluzione modulare: si negozia tanto quanto possibile in via privata, e si utilizza l’omologazione solo per quelle parti che servono (ad es. per evitare che un 10% di creditori vanifichi tutto). Il tutto senza la complessità di un concordato che coinvolgerebbe tutti i creditori e richiederebbe soglie di soddisfo minimo e maggiori formalità.
Confronto strumenti stragiudiziali e scelta della strategia
A questo punto, può essere utile uno schema riassuntivo dei principali strumenti non liquidativi a disposizione di un’azienda debitrice, con le loro caratteristiche:
| Strumento | Natura | Condizioni e maggioranze | Effetti sui creditori | Vantaggi | Svantaggi / Limiti |
|---|---|---|---|---|---|
| Accordi informali individuali (piani di rientro, saldo e stralcio) | Privato, nessun intervento giudiziale | Consenso di ciascun creditore coinvolto (anche solo verbale/scritto privato) | Vincola solo i firmatari; creditori fuori accordo possono agire liberamente | Molto flessibile nei contenuti; costi bassi; nessuna formalità o pubblicità | Stabilità precaria (basta 1 creditore ostile per compromettere il piano); non sospende azioni esecutive; nessuna certezza fino a pagamento integrale |
| Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII) | Privato con perizia di attestatore | Nessuna maggioranza legale; serve adesione sufficiente a fattibilità. Attestazione indipendente richiesta (veridicità dati e fattibilità) | Non vincola i non aderenti; ma gli atti esecutivi del piano sono esentati da revocatoria fallimentare | Riservato (non pubblicato); tutela giuridica su atti esecutivi (evita revocatoria); segnale positivo per banche | Non offre protezione legale immediata contro esecuzioni; valore dipende dalla fiducia dei creditori nel piano; costo per attestatore |
| Composizione negoziata (D.Lgs. 118/2021 e CCII) | Procedura volontaria e riservata, con possibile intervento del tribunale per misure protettive | Istanza libera se c’è probabilità di crisi/insolvenza reversibile; nomina Esperto; nessuna maggioranza prestabilita – l’accordo finale dipende dalle parti | Durante trattative: possibili stay su azioni esecutive (tutti i creditori, per max ~8 mesi). Esito: accordi raggiunti vincolano solo chi li sottoscrive, salvo sbocco in procedura | Molto flessibile nell’approccio; tutor indipendente facilita accordo; possibilità di sospendere azioni dei creditori in fase negoziale; non comporta perdita di controllo per l’imprenditore | Non garantisce esito (nessun accordo imposto); protezione temporanea; resa pubblica se si attivano le protezioni; costo dell’Esperto a carico impresa (parzialmente) |
| Accordo di ristrutturazione (art. 57 CCII, ex 182-bis) | Accordo privato omologato dal tribunale | ≥60% dei creditori (in valore) aderenti. Attestazione di un professionista su fattibilità e pagamento integrale dei non aderenti <br>Varianti: accordo agevolato (solo finanziari, ≥30%); accordo ad efficacia estesa (possibile cram-down su categorie dissenzienti al 75%); transazione fiscale possibile | Omologa tribunale rende l’accordo esecutivo. Creditori aderenti vincolati ai nuovi termini. Creditori non aderenti: devono essere pagati regolarmente (per legge); possono agire se non pagati, ma azioni sospese durante omologa. Nessun effetto ablativo diretto su dissenzienti (salvo cram-down settoriali) | Procedura relativamente rapida e meno costosa di un concordato; pubblicità limitata a post-omologa; nessun commissario; possibilità di congelare esecuzioni in corso durante trattativa di adesione; riduzione debito concordata con 60% può essere applicata | Necessita alto grado di consenso preventivo; i creditori minoritari vanno comunque soddisfatti per intero (difficile se la coperta è corta); non adatto a situazioni con molti piccoli creditori; rischi di opposizioni in omologa da creditori estranei (che però il giudice rigetta se loro tutela è assicurata) |
| Concordato preventivo in continuità o liquidatorio (analisi in dettaglio nella prossima sezione) | Procedura giudiziale concorsuale | Accesso libero se crisi/insolvenza. Richiede piano e proposta con determinate soglie (in liquidatorio: ≥20% chirografari + ≥10% attivo apporti esterni) . Voto dei creditori per classi: concordato approvato se maggioranza >50% dei crediti ammessi al voto (o maggioranza per classi + eventuale cram-down interclassi se previsto). Omologazione da parte del tribunale. | Tutti i creditori anteriori (anche dissenzienti) sono vincolati dall’esito se omologato: i loro crediti sono ridotti o ristrutturati secondo il piano. Durante la procedura: automatic stay di diritto (nessuna esecuzione individuale ammessa). Possibilità di stralciare quota debito chirografario, differenziare classi. | Stay immediato e generale contro i creditori; soluzione definitiva (cram-down su tutti i dissenzienti una volta omologato); possibilità di esdebitazione finale (per l’imprenditore individuale). Continuità aziendale possibile sotto vigilanza (debtor in possession se in continuità) | Procedura formale, complessa e costosa; tempi più lunghi; pubblicità (iscrizione RI); amministrazione sotto controllo (commissario nominato e autorizzazioni per atti straordinari); esito incerto (serve approvazione creditori); se non omologato porta spesso a liquidazione giudiziale |
(Nota: approfondiremo il Concordato preventivo dettagliatamente nella prossima sezione sulle procedure concorsuali.)
Dalla tabella si evince che la scelta dello strumento dipende molto dal grado di deterioramento della situazione aziendale e dal livello di consenso che l’imprenditore ritiene di poter ottenere dai creditori: – Se la crisi è gestibile e i creditori sono collaborativi, meglio soluzioni leggere (accordi diretti, piano attestato). – Se occorre assistenza o si vuole un ombrello di protezione temporanea, la composizione negoziata è un ottimo passo. – Se c’è già un’intesa di massima con molti creditori chiave, l’accordo di ristrutturazione permette di formalizzarla legalmente senza passare dal voto di tutti. – Se infine la situazione richiede di coinvolgere e vincolare tutti i creditori, soprattutto falcidiandone i crediti in modo rilevante o liquidando beni, allora il concordato preventivo diventa lo strumento necessario.
È importante sottolineare che questi strumenti non si escludono a vicenda in modo netto: spesso sono usati in sequenza. Ad esempio, un’impresa può cominciare con la composizione negoziata e, se a metà strada capisce che serve un concordato, chiudere la negoziazione e depositare un concordato (magari semplificato); oppure durante la composizione negoziata predisporre un accordo ex 182-bis e poi farlo omologare; oppure ancora, tentare un piano attestato e, se fallisce, ripiegare su un concordato. Il Codice della Crisi ha cercato di favorire questa progressività: meglio provare prima soluzioni meno invasive (che preservano valore) e riservare il fallimento tradizionale come ultima ratio.
Nei paragrafi successivi, ci concentreremo sulle procedure concorsuali giudiziali vere e proprie, con particolare riguardo al concordato preventivo e alla liquidazione giudiziale (nuova denominazione del fallimento). Queste rappresentano l’ultima linea di difesa (o di soluzione) per l’impresa indebitata: sono più strutturate e vincolanti, ma anche più drastiche nei loro effetti.
Procedure concorsuali (giudiziali): Concordato preventivo e Liquidazione giudiziale
Le procedure concorsuali sono processi legali gestiti dal tribunale che intervengono sull’intero complesso dei rapporti debitori dell’azienda, sostituendo all’azione individuale dei creditori un’azione collettiva regolamentata. Le principali procedure previste dal Codice della Crisi per un’impresa commerciale insolvente o in crisi sono: – Concordato preventivo, nelle sue varianti: – Concordato in continuità aziendale (quando è prevista la prosecuzione, diretta o indiretta, dell’attività d’impresa, totale o parziale) – Concordato liquidatorio (quando l’impresa propone il solo realizzo dei beni e la distribuzione del ricavato ai creditori, cessando l’attività) – Liquidazione giudiziale, che è la procedura di insolvenza per eccellenza, successore della “dichiarazione di fallimento”, volta alla liquidazione integrale del patrimonio e alla ripartizione ai creditori secondo le cause di prelazione.
Vi sono poi procedure concorsuali minori per soggetti non fallibili (il concordato minore e la liquidazione controllata per i piccoli debitori sovraindebitati, ex legge 3/2012), ma nel contesto di un’azienda di impianti industriali presumiamo si applichino le ordinarie (l’azienda rientra tra i soggetti fallibili, avendo dimensioni non microscopiche).
Di seguito, analizziamo i due istituti principali dal punto di vista dell’imprenditore-debitore: come funzionano, cosa comportano e come difendersi efficacemente durante tali procedure.
Concordato preventivo
Il concordato preventivo è uno strumento giudiziale che permette all’imprenditore insolvente (o in stato di crisi) di proporre ai creditori un piano per il soddisfacimento in misura parziale o differita dei loro crediti, evitando la più drastica liquidazione giudiziale e possibilmente conservando l’impresa come ente economico. È un procedimento concorsuale caratterizzato dal fatto che l’iniziativa è del debitore (solo l’imprenditore può proporre il concordato, a differenza del fallimento che può essere chiesto anche dai creditori) e che si basa su un accordo (concordato, appunto) tra debitore e creditori, sia pure mediato e reso vincolante dall’autorità giudiziaria.
Tipologie di concordato:
– Concordato in continuità aziendale: il piano prevede che l’attività dell’impresa prosegua, per generare valore con cui pagare i creditori, seppur in parte. La continuità può essere “diretta” (la stessa società continua a operare sotto la gestione attuale o di un nuovo organo, utilizzando il patrimonio attuale) oppure “indiretta” (l’azienda viene ceduta o conferita a un soggetto terzo che la proseguirà, e il ricavato della cessione va ai creditori). Un concordato in continuità ha regole leggermente diverse: ad esempio, la legge non richiede una soglia minima di pagamento ai chirografari (non deve più essere prevalente il soddisfo da continuità, dopo la riforma del 2022, è ammesso anche che la maggior parte del pagamento derivi da liquidazione di asset secondari) , ed è obbligatoria la suddivisione in classi di creditori omogenei. Inoltre, si può prevedere che i creditori ricevano utilità anche “non monetarie” (come la prosecuzione di rapporti commerciali: es. un fornitore potrà continuare a fornire e guadagnare nel futuro, e ciò viene considerato parte del soddisfacimento) . La presenza di un business plan di continuità implica la necessità di proteggere l’attività in corso: il debitore in continuità rimane in possesso (salvo casi eccezionali) e può compiere atti di ordinaria amministrazione liberamente, mentre per gli atti straordinari ha bisogno di autorizzazione del tribunale e parere del commissario giudiziale.
– Concordato liquidatorio: il piano invece prevede la cessazione dell’attività e la liquidazione dei beni dell’impresa, magari anche tramite cessione dell’intera azienda a terzi che però la smembreranno o la useranno diversamente. In questo caso l’obiettivo è massimizzare il ricavato dalla vendita di asset (immobili, macchinari, magazzino, crediti) e distribuirlo ai creditori in percentuale. Il Codice della Crisi ha cercato di limitare l’uso abusivo di concordati liquidatori troppo penalizzanti per i creditori, imponendo due condizioni di ammissibilità: (i) che vi sia un apporto di risorse esterne al patrimonio destinato ai creditori pari ad almeno il 10% dell’attivo (cioè qualcosa in più di quanto ci sarebbe in un fallimento “normale”) ; (ii) che i creditori chirografari (e i privilegiati degradati per incapienza) ricevano almeno il 20% del loro credito . In altre parole, se il debitore vuole semplicemente liquidare e offrire, poniamo, il 5% ai chirografari, il concordato non è ammissibile per legge (salvo trattasi di concordato minore per piccoli imprenditori dove la soglia è ridotta al 10%). Questo per scoraggiare proposte meramente dilatorie. Nel concordato liquidatorio di solito l’impresa viene spossessata e nominato un liquidatore (che può essere lo stesso debitore se offre garanzie di correttezza, ma spesso no); tuttavia, esiste la possibilità che l’imprenditore chieda di gestire la liquidazione egli stesso sotto sorveglianza, specialmente se presenta una offerta concorrente di acquisto dell’azienda o di beni prima dell’omologa per massimizzare il valore.
Procedura e fasi principali del concordato preventivo: 1. Domanda di concordato: può essere presentata con riserva (“concordato in bianco”) oppure completa di piano e proposta. La domanda si deposita presso il tribunale del luogo della sede dell’impresa e deve contenere: la proposta ai creditori (percentuali di pagamento, tempi, eventuali garanzie), il piano dettagliato (analisi azienda, cause crisi, modalità attuative, eventuali classi di creditori, ecc.), i documenti contabili obbligatori (bilanci ultimi anni, elenco creditori e beni, ecc.) e la relazione di un attestatore indipendente sulla fattibilità del piano e la veridicità dei dati. Se si deposita una domanda “in bianco” (art. 44 CCII, ex art. 161, co.6 L.Fall), occorre almeno presentare i bilanci e un elenco sommario creditori, ottenendo dal tribunale un termine (tra 30 e 60 giorni, prorogabile) per presentare il piano e la proposta definitivi . Il vantaggio della domanda in bianco è che si accede subito alle protezioni (stoppando le esecuzioni) e si guadagna tempo per perfezionare il piano o cercare investitori, ma va usata in buona fede: se poi non si presenta il piano o è chiaramente inammissibile, si rischiano sanzioni e l’iniziativa passa ai creditori per la liquidazione giudiziale. 2. Apertura della procedura: Il tribunale verifica la documentazione e, se la ritiene completa e i requisiti formali rispettati, emette un decreto di ammissione (apertura del concordato preventivo). Con questo decreto: – Nomina un Commissario Giudiziale (professionista terzo, di solito un commercialista o avvocato esperto in fallimenti) che vigilerà sull’operato del debitore durante la procedura. – Ordina le misure protettive: dal giorno della pubblicazione del decreto, nessuna azione esecutiva individuale può proseguire o iniziarne di nuova contro il debitore per crediti anteriori, e le eventuali ipoteche giudiziali iscritte nei 90 giorni precedenti sono inefficaci. Questo è uno scudo fondamentale per il debitore. – Fissa la data di adunanza dei creditori (per il voto) e i termini per le eventuali offerte concorrenti o depositi (in caso di concordato con apporto di terzi). – Nel caso di concordato in continuità, può autorizzare l’impresa a pagare fornitori strategici per la continuità o a contrarre finanziamenti interinali in prededuzione, etc. 3. Gestione durante la procedura: Il debitore nel concordato rimane in possesso dei beni (“debtor in possession”), ma la sua gestione è sotto osservazione. Per gli atti di ordinaria amministrazione può operare, per quelli di straordinaria (es. vendere un immobile, rinunciare a un credito, assumere mutui) deve chiedere autorizzazione al tribunale, sentito il Commissario. L’impresa quindi continua a funzionare (soprattutto se in continuità: produce, vende, paga dipendenti per competenze correnti etc.) ma i debiti anteriori sono congelati. Il Commissario esamina le scritture, redige una relazione iniziale sulle cause del dissesto e l’analisi della proposta (da inviare ai creditori prima del voto), e sorveglia che il debitore non compia atti lesivi. 4. Adunanza e voto dei creditori: Nella data stabilita (tipicamente 4-6 mesi dall’apertura, a seconda della complessità) si tiene l’adunanza dei creditori. Qui, dopo aver discusso il piano e la relazione del Commissario, i creditori aventi diritto al voto esprimono il loro voto (che può avvenire anche per corrispondenza/PEC entro 20 giorni seguenti). Hanno diritto di voto i creditori chirografari e i privilegiati per la parte non coperta da garanzia (la parte “degradata” perché incapiente). I privilegiati integralmente coperti di solito non votano perché non toccati (devono essere pagati per intero per legge, salvo consenso contrario). Per l’approvazione serve la maggioranza della metà del totale dei crediti ammessi al voto. Se ci sono classi, occorre il voto favorevole della maggioranza delle classi (in valore) e almeno il 50% dei crediti in ogni caso, con possibili meccanismi di cram-down interclasse se una classe dissenziente è soddisfatta al almeno il 20% e riceve quanto le spetterebbe in liquidazione (dettagli tecnici introdotti dal 2022). In pratica, il debitore vuole convincere quanti più creditori possibile a votare sì: questo accade se percepiscono che col concordato ottengono più di quanto otterrebbero dal fallimento e magari in meno tempo. Infatti il confronto di convenienza si fa rispetto alla liquidazione giudiziale: il Commissario deve attestare che il piano dà un utile “migliore” o almeno non inferiore rispetto a un’alternativa liquidatoria (in continuità questo include valutare anche azioni di recupero crediti e responsabilità potenziali). 5. Omologazione: Se i creditori approvano, il tribunale passa alla fase di omologazione. Verifica il rispetto delle norme (soddisfo percentuali minime, eventuali opposizioni di creditori dissenzienti – possono eccepire ad es. che non è rispettato il trattamento di legge o che ci sono frodi), e se tutto ok, emette decreto di omologa. Da quel momento il concordato diventa vincolante erga omnes: tutti i creditori anteriori sono obbligati dai suoi termini, anche chi ha votato no o non ha partecipato. Se invece i creditori respingono la proposta (mancanza maggioranza) o il tribunale non la omologa per qualche motivo grave (es. frode), di norma il tribunale dichiara l’improcedibilità e apre d’ufficio la liquidazione giudiziale (salvo che venga richiesto un concordato diverso o altra procedura se i presupposti ci sono, ma generalmente il destino è il fallimento). 6. Esecuzione: Dopo l’omologa, si passa all’esecuzione del piano. Se è in continuità, la società continua sotto la guida dell’imprenditore (o di un assuntore, se l’azienda è stata ceduta) e il Commissario diventa Liquidatore Giudiziale se deve sovraintendere ai pagamenti ai creditori secondo le tempistiche del piano, oppure cessa il suo incarico se non serve (dipende dal piano, talora rimane un Commissario vigilante). Se è liquidatorio, spesso c’è un Liquidatore nominato che si occupa di vendere i beni e distribuire. Nel concordato in continuità, l’esecuzione può durare anni (il piano può prevedere pagamenti dilazionati anche 4-5 anni o più, salvo che i creditori accettino), e il tribunale mantiene la vigilanza (può essere informato dal Commissario su eventuali inadempimenti rilevanti). L’importante è che il debitore rispetti gli impegni: se non paga secondo le scadenze, i creditori possono chiedere la risoluzione del concordato e a quel punto si aprirebbe la liquidazione giudiziale, con perdita dei benefici (e i crediti tornano all’importo originario dedotti acconti ricevuti).
Concordato preventivo dal lato del debitore (vantaggi e svantaggi):
Per un imprenditore oppresso dai debiti, il concordato è a volte l’unica via per evitare il fallimento mantenendo un certo controllo. I principali vantaggi: – Protezione immediata dall’aggressione dei creditori: dal momento del deposito della domanda di concordato (già con riserva) scatta il divieto di azioni esecutive e cautelari. Questo consente di interrompere un circolo vizioso (pignoramenti, sequestri) che paralizzerebbe l’azienda. Anche il solo preavviso di presentazione di domanda può convincere i creditori ad aspettare, sapendo che comunque se la depositi li blocchi. – Possibilità di ridurre l’ammontare dei debiti: Attraverso il concordato, i crediti chirografari vengono tipicamente falcidiati (es. pago 30% in 2 anni) e anche i crediti privilegiati, se incapienti sui beni, vengono parzialmente degradati a chirografari e possono subire falcidia per la parte degradata. Si possono stralciare quindi interessi, sanzioni, e quote di capitale. Ad esempio, un fornitore chirografario che ha 100.000 euro di credito potrebbe accontentarsi di 30.000 se il piano dimostra che in fallimento ne prenderebbe forse 10.000. Questa esdebitazione “indiretta” è il maggiore sollievo per il debitore societario (per la persona fisica c’è anche l’esdebitazione diretta post-fallimento, ma la società in sé si estingue e i debiti non pagati restano insoddisfatti senza ulteriori pretese). – Conservazione dell’impresa come going concern: Soprattutto col concordato in continuità, l’azienda può continuare la sua attività, salvando posti di lavoro e il valore avviamento. Dal punto di vista del debitore ciò significa poter tentare il rilancio invece di assistere alla spoliazione fallimentare. Nella continuità diretta, l’imprenditore può rimanere alla guida (se dimostra affidabilità); in quella indiretta, magari cede l’azienda a un investitore che la porta avanti. In ogni caso si evita la disgregazione immediata. – Sospensione di alcuni obblighi contrattuali onerosi: Con il concordato il debitore può chiedere di sciogliere o sospendere contratti pendenti che siano sfavorevoli (previa autorizzazione tribunale), ad esclusione dei rapporti di lavoro. Ad esempio, se l’azienda aveva in affitto un capannone troppo costoso, può chiedere di sciogliere il contratto di affitto: il locatore avrà un credito da danno emergente, ma come chirografario concorsuale. Questo consente di alleggerire la struttura dei costi. – Trattamento fiscale agevolato: I “ricavi” figurativi derivanti dallo stralcio dei debiti in concordato non sono tassati come sopravvenienze attive (a differenza di un accordo stragiudiziale dove invece il condono di un debito sarebbe tassato, salvo procedure di crisi ex art. 88 TUIR). Dunque, se condoni 1 milione di debiti, non paghi IRES su quel milione. – Responsabilità personali: L’apertura del concordato sospende le azioni di responsabilità verso gli amministratori? In linea di massima no, però spesso nel concordato vengono congelate anche le pretese risarcitorie dell’azienda verso i suoi amministratori (se gli amministratori restano al comando). Tuttavia, i creditori potrebbero richiedere che l’azienda/promotore del concordato intraprenda o ceda le azioni di responsabilità in sede di proposta comparativa (talvolta nei concordati liquidatori si offre ai chirografari l’eventuale ricavato da cause contro amministratori o sindaci per mala gestio, incrementando così il realizzo). In continuità invece i creditori rinunciano implicitamente a tali azioni se votano sì, confidando nel piano. In ogni caso, l’ammissione al concordato non estingue reati eventualmente commessi (ad es. bancarotta, se vi fosse distrazione, prosegue come procedimento penale a parte). Ma la correttezza nel concordato può evitare di aggravare posizioni penali (mostrando collaborazione).
Gli svantaggi o rischi del concordato per il debitore: – Perdita di gestione libera: Pur restando in possesso, il debitore è sotto stretta sorveglianza e con atti vincolati. Ogni spesa straordinaria necessita permessi. C’è anche il rischio di revoca della gestione: se il debitore viola i doveri (ad es. dissipa beni, non collabora, falsifica dati) il tribunale può revocare la procedura di concordato e dichiarare il fallimento, oppure nominare un amministratore giudiziario (nel concordato con continuità è possibile nominare un ausiliario per affiancare o sostituire l’organo amministrativo se necessario). – Esposizione a possibili proposte concorrenti: Nel Codice attuale, in caso di concordato liquidatorio puro, i creditori rappresentanti almeno il 10% dei debiti possono presentare proposte concorrenti di concordato (art. 90 CCII). Questo significa che un terzo (spesso banche o fondi) può offrire ai creditori una soluzione migliore rispetto a quella del debitore, mettendolo “in minoranza”. Il debitore rischia di perdere l’iniziativa. (Per fortuna del debitore, se lui propone continuità, le proposte concorrenti sono ammesse solo se offrono continuità anch’esse, e comunque c’è un termine per presentarle). Comunque, questo meccanismo serve ad evitare concordati al ribasso: dal lato del debitore è una pressione a offrire il massimo possibile ai creditori per evitare che arrivi un altro a farlo. – Difficoltà di consenso: Convincere la maggioranza dei creditori non è scontato. Il debitore deve gestire la comunicazione e la fiducia. Se i creditori votano no, il concordato fallisce e con tutta probabilità segue il fallimento, spesso con l’aggravante del tempo perso. Quindi è un all-in: l’imprenditore deve essere consapevole di proporre qualcosa di realmente convincente e di comportarsi in modo trasparente con i creditori (in assemblea i creditori scrutano l’onestà del debitore – se scoprono ad esempio che ha tenuto nascosto un attivo o favorito un creditore fuori piano, votano contro). – Durata e costi: La procedura richiede il pagamento delle spese di giustizia e dei compensi degli organi (commissario, eventuale liquidatore), che sono a carico dell’impresa in prededuzione. Tali costi possono essere importanti. Inoltre la procedura, tra deposito, voto e omologazione, può durare facilmente 8-12 mesi o più. In quell’arco, l’azienda è in una sorta di limbo: protetta ma anche limitata, e con reputazione incerta (clienti e fornitori sanno del concordato, qualche partner potrebbe ridurre le relazioni per timore di inadempienze future, anche se la legge prevede il divieto di esecuzione di clausole contrattuali risolutive basate sul concordato – art. 94 CCII per evitare il “ipso facto clause”). – Apporto di finanza esterna obbligatorio (se liquidatorio): Come visto, in concordati liquidatori è obbligatorio aggiungere risorse nuove di almeno il 10% dell’attivo . Ciò significa che il debitore o un terzo (spesso i soci) devono mettere soldi freschi. Questo è uno “svantaggio” nel senso che costringe i soci a tirare fuori denaro per rendere la proposta ammissibile. Però, se vogliono salvare qualcosa dell’azienda, è un pedaggio necessario e va considerato sin dall’inizio (ad es. vendendo un bene personale per fare cassa e offrirla nel piano come finanza esterna, che per giunta può essere destinata preferenzialmente ai creditori chirografari fino a quel 20% e oltre in deroga alla par condicio ). – Mancato esonero penale: Diversi imprenditori sperano che il concordato “li protegga” anche da eventuali reati (es. fiscali come l’omesso versamento IVA, o penali fallimentari per atti distrattivi pregressi). Come già ricordato, non è così: il concordato non estingue reati tributari già consumati (Cassazione 2025 citata) , al più evita che se ne consumino altri (perché dal decreto di ammissione l’imprenditore non può pagare alcuni creditori e quindi non viola più la par condicio, e non può aggravare il dissesto senza controllo). Se vi sono fatti di bancarotta anteriori, il concordato non li cancella, benché è percepito meglio da un giudice penale un imprenditore che è riuscito a ristrutturare e pagare parzialmente i creditori rispetto a uno che ha portato tutti al fallimento totale – umanamente può incidere sulla pena, ma formalmente il reato rimane.
Domanda: un imprenditore di un’azienda in concordato può aprire una nuova società e proseguire l’attività altrove per aggirare i vincoli?
Risposta: Teoricamente nulla impedisce a un imprenditore (specie se ditta individuale) di aprire una nuova società, ma se lo fa spostando beni o clienti senza autorizzazione configura frode ai creditori, con rischio immediato di revoca del concordato e denuncia penale. E se la nuova società è solo una prosecuzione fittizia, i creditori potrebbero aggredire quella (azione revocatoria o di simulazione). Dunque, chiariamo che il concordato non va eluso, va onorato. La cosiddetta operazione “phoenix” (far risorgere l’attività in altra società senza debiti, lasciando i debiti in quella vecchia) è percorribile solo attraverso una continuità indiretta lecita: vendere l’azienda a una NewCo a valori di mercato nel contesto del concordato (approvato dai creditori), cosicché la NewCo continui il business senza i debiti e la OldCo li paghi col ricavato della cessione. Questo è possibile se l’offerta per l’azienda è congrua. In pratica, i soci potrebbero costituire una NewCo e proporre di rilevare l’azienda dal concordato pagando X ai creditori: se nessuno offre di più e i creditori approvano, l’azienda passa pulita alla NewCo e i debiti restano in procedura. Non è un illecito, è anzi uno degli schemi di concordato più usati.
Liquidazione giudiziale (ex fallimento)
Se l’azienda non riesce a sostenere un concordato, o non trova accordi con i creditori, o se i creditori stessi perdono fiducia, l’esito è la liquidazione giudiziale. Questa è la procedura concorsuale di carattere liquidativo e satisfattivo, il cui scopo è raccogliere tutto il patrimonio del debitore, trasformarlo in denaro e distribuirlo ai creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione, chiudendo infine la partita debitoria.
La liquidazione giudiziale può derivare da: – istanza di uno o più creditori (o del pubblico ministero in certi casi) quando l’impresa è insolvente; – istanza volontaria dello stesso debitore (a volte l’imprenditore può egli stesso chiedere il fallimento, magari per evitare il protrarsi di una crisi ingestibile); – conversione di altra procedura (un concordato non ammesso o non omologato può portare alla dichiarazione di liquidazione d’ufficio).
Effetti e svolgimento: – Viene nominato un Curatore (figura ora rinominata Liquidatore Giudiziale, ma nel linguaggio comune si parla ancora di curatore fallimentare) che assume la gestione della società al posto degli amministratori. L’imprenditore perde totalmente la disponibilità dei beni e la capacità di amministrarli. – Si forma il Passivo: i creditori devono insinuarsi (presentare domanda di ammissione al passivo) entro una data. Il curatore esamina le domande, predispone uno stato passivo, e il giudice delegato tiene un’udienza di verifica. Viene così cristallizzato l’elenco dei crediti ammessi, con l’indicazione di importo e privilegio. – Il curatore ha il compito di liquidare i beni aziendali: vende gli immobili (di solito tramite procedure competitive), realizza il magazzino, cede eventualmente l’azienda in blocco o i suoi rami (se c’è convenienza), recupera crediti verso clienti, ecc. Può proseguire temporaneamente l’esercizio d’impresa se conviene per non disperdere valore (art. 211 CCII), ma di rado una liquidazione giudiziale permette una prosecuzione prolungata (salvo casi di esercizio provvisorio in grandi imprese). Nel caso di un’azienda di impianti industriali, il curatore potrebbe completare qualche commessa in corso per venderla meglio, ma in generale la mission è liquidatoria. – Il curatore inoltre valuta possibili azioni recuperatorie: azioni revocatorie per riprendersi pagamenti o beni usciti prima del fallimento in frode, azioni di responsabilità contro gli amministratori precedenti per mala gestio, cause contro terzi (es. per crediti risarcitori). Queste azioni possono riportare risorse nel patrimonio fallimentare. – Periodicamente il curatore distribuisce ai creditori ciò che ricava, secondo il piano di riparto approvato dal giudice: prima vanno le spese della procedura e i crediti prededucibili, poi i privilegiati (per grado, e se insufficiente il bene su cui insiste il privilegio, vanno in chirografo per il resto), e infine gli eventuali chirografari con quanto rimane. – La procedura si chiude con un decreto di chiusura quando tutte le operazioni sono ultimate o non ci sono più attivo da liquidare.
Dal punto di vista del debitore persona fisica, la chiusura della liquidazione giudiziale (fallimento) può condurre alla esdebitazione: l’imprenditore individuale (o i soci illimitatamente responsabili di società di persone) possono essere liberati dai debiti residui non soddisfatti, se hanno cooperato lealmente nella procedura e non hanno commesso irregolarità gravi (art. 282 CCII). Questa esdebitazione è una sorta di “perdono” legale che permette al fallito onesto di ripartire da zero senza più quei debiti (restano esclusi dall’esdebitazione solo debiti specifici come quelli da obblighi alimentari, risarcimenti per danni da fatto illecito e sanzioni penali/amm.ve pecuniarie, che comunque raramente sono rilevanti per l’impresa). Per la società fallita, invece, l’esdebitazione non ha senso: la società, dopo la chiusura del fallimento, viene cancellata e cessa di esistere, e i debiti insoddisfatti restano inesigibili per assenza del soggetto debitore.
Difendersi nel fallimento: Una volta avviata la liquidazione giudiziale, l’imprenditore ha perso la gestione. In questa sede “difendersi” significa soprattutto: – Collaborare col curatore: evitare di intralciare, fornire tutti i documenti e le informazioni richieste. L’imprenditore che ostacola o sottrae beni commette reato di bancarotta. Al contrario, la collaborazione può facilitare una chiusura più rapida e ordinata (e aumentare le chance di esdebitazione personale). – Verificare lo stato passivo: L’imprenditore può segnalare al curatore eventuali crediti insussistenti o contestati, così da ridurre pretese indebite di creditori. Se un creditore produce documenti scorretti, l’ex imprenditore può portare elementi al curatore per escluderlo o ridimensionarlo. Questo non “salva” l’azienda (che comunque liquida) ma tutela l’equità distributiva. – Ridurre le proprie responsabilità personali: se ci sono atti compiuti dal management che potrebbero essere oggetto di azione di responsabilità o addirittura penale, l’ex amministratore può valutare di risarcire in parte, transigere con il curatore su quell’azione, per evitare cause lunghe o denunce. È una difesa ex post, ma a volte conveniente. Ad esempio, gli amministratori potrebbero concordare col curatore di versare una somma alla massa ed evitare una causa di responsabilità per aver ritardato il fallimento aggravando il buco. – Seguire la procedura per chiedere l’esdebitazione (se persona fisica): entro 1 anno dalla chiusura, presentare istanza al tribunale dimostrando di aver cooperato, di non aver nascosto beni, di non aver goduto di altra esdebitazione nei 5 anni precedenti, ecc. Se tutto a posto, il tribunale cancella i debiti rimasti.
Per un imprenditore onesto ma sfortunato, la liquidazione giudiziale è dolorosa (perde l’azienda, i beni, e subisce uno stigma e limitazioni come l’incapacità ad assumere cariche in futuro per qualche tempo), ma grazie all’esdebitazione può comunque tornare a vita economica normale senza debiti. Per i soci di società di capitali, invece, il fallimento della società non tocca il loro patrimonio personale (a meno di fideiussioni, che comunque operano fuori dal fallimento), ma potrebbero vedersi imputare fatti di cattiva gestione.
Durata e costi: Un fallimento può durare anni. I creditori chirografari spesso ricevono percentuali basse (a differenza di molti concordati che negli ultimi anni, paradossalmente, hanno pagato percentuali ai chirografari spesso vicine zero, i fallimenti possono arrivare a zero proprio per costi procedurali e tempi lunghi). Tuttavia, la tendenza con il Codice della Crisi è di velocizzare: si parla di chiusure anche in 2-3 anni se il patrimonio non è complesso, grazie a strumenti di vendita telematica e semplificazioni.
Confronto finale concordato vs liquidazione giudiziale: dal punto di vista del debitore, il concordato è preferibile se c’è una chance di risanamento o comunque se si vuole avere un ruolo attivo e tentare di salvare il salvabile. La liquidazione giudiziale è in pratica subita, salvo decidere volontariamente di andarvi perché si valuta che non c’è nulla da fare (es. i debiti superano di gran lunga gli asset e non ci sono prospettive di inversione). A volte, arrendersi subito al fallimento può essere onorevole: limita l’aggravio, chiude prima i conti, e consente agli stakeholder di guardare avanti (i creditori incassano il possibile e stop, i lavoratori accedono al Fondo di Garanzia e trovano altro impiego, l’imprenditore magari ricomincia altrove). In altre situazioni invece c’è un nucleo sano nell’azienda e vale la pena combattere per salvarla con un concordato. Ogni caso è a sé.
Importante: con la riforma, anche durante la liquidazione giudiziale esiste la possibilità di trovare un accordo con i creditori: ad esempio, il debitore può presentare ai creditori un concordato semplificato liquidatorio anche dopo il fallimento (in verità, questo è stato previsto per il sovraindebitamento, ma per le imprese fallibili l’analogo è proporre un accordo di ristrutturazione in corso di fallimento o un concordato fallimentare ex art. 240 L.Fall, istituto che però il CCII ha eliminato, preferendo che l’accordo arrivi prima). Oggi, una volta aperta la liquidazione giudiziale, c’è poco spazio per soluzioni concordate nell’ambito del fallimento stesso (a parte la possibilità di cessione di azienda a terzi, ma è gestione del curatore). Quindi il vero bivio per l’imprenditore è prima: concordato preventivo oppure fallimento.
In conclusione su questo punto, se l’imprenditore vuole difendersi attivamente, deve agire prima che i creditori lo trascinino in liquidazione coatta. Se è ormai troppo tardi e si finisce in liquidazione giudiziale, “difendersi” significa soprattutto assicurarsi di avere una seconda opportunità (esdebitazione) e di minimizzare danni collaterali (penali e civili personali).
Esempi pratici di gestione della crisi debitoria
Vediamo ora tre scenari ipotetici per comprendere in pratica l’applicazione degli strumenti sopra discussi dal punto di vista del debitore:
Caso 1: Ristrutturazione extragiudiziale riuscita – “Salvataggio informale di Beta Srl”
Beta Srl è un’azienda manifatturiera di impianti di lavaggio industriale con 20 dipendenti. A causa di investimenti errati e del fallimento di un importante cliente, accumula €800.000 di debiti (200k banca, 100k leasing macchinari, 300k fornitori, 100k Agenzia Entrate per IVA e 100k vari). L’azienda è ancora in bonis (nessun protesto o insolvenza conclamata), ma prevede che a breve non riuscirà a pagare fornitori e banche. L’imprenditore, consigliato dal proprio commercialista, convoca una riunione con la banca, la società di leasing e i 5 fornitori principali che rappresentano 250k del debito commerciale (gli altri piccoli fornitori saranno pagati a breve con incassi in arrivo). Presenta loro un piano: spiega che l’azienda ha ottenuto nuovi ordini e può riprendersi, ma ha bisogno di respiro. Offre di rimborsare integralmente la banca e il leasing, ma spostando le scadenze delle rate di 1 anno (moratoria di 12 mesi); chiede ai fornitori di rinunciare al 30% dei loro crediti e accettare il restante 70% in 12 rate mensili. Propone anche di cedere ai fornitori una vecchia macchina utensile non più utilizzata, valutata 50k, come pagamento in natura parziale. La banca, vedendo la proattività e avendo garanzie (ipoteca su capannone), accetta la moratoria. I fornitori, pur riluttanti, constatano che se Beta Srl chiudesse incasserebbero forse il 20% dopo anni, e inoltre perderebbero un cliente; dunque 4 su 5 accettano la proposta. Uno inizialmente dice no, ma poi, saputo che gli altri aderiscono e rischia di rimanere l’unico a fare causa, si allinea. Viene redatto un accordo transattivo firmato da tutti: Beta Srl vi si impegna ai pagamenti dilazionati convenuti, prevedendo che se ritarda oltre 30 giorni una rata, i fornitori potranno chiedere l’intero importo originario (clausola risolutiva). Beta Srl poi ottiene anche dall’Agenzia Entrate-Riscossione un piano di rateazione in 5 anni per l’IVA (i 100k). Con questi accorgimenti, Beta Srl riesce a rientrare in carreggiata. Dopo un anno, grazie anche alla fiducia recuperata, ottiene nuovi contratti e paga regolarmente le rate secondo l’accordo. L’azienda è salva senza passare dal tribunale, e i creditori hanno ottenuto soddisfazione migliore e più rapida che in un fallimento. Questo scenario mostra come un accordo stragiudiziale volontario possa funzionare se il numero di creditori è contenuto e se c’è una prospettiva reale di continuità che li incentiva.
Caso 2: Concordato preventivo in continuità – “Gamma Srl e il concordato col 40% ai creditori”
Gamma Srl produce grandi impianti di lavaggio per industrie chimiche. Ha un indebitamento di 5 milioni € (banche 2M, fornitori 1,5M, debiti fiscali 0,5M, altro 1M). Un calo di mercato e problemi di collaudo su alcuni impianti l’ha portata in profonda crisi di liquidità: è insolvente verso quasi tutti i fornitori e ha già rate scadute con le banche. Due fornitori hanno iniziato decreti ingiuntivi e uno ha pignorato un conto. Gamma Srl vede però all’orizzonte un importante contratto estero che potrebbe rilanciarla. Decide di prendere in mano la situazione e a giugno 2025 deposita domanda di concordato preventivo con riserva presso il tribunale, bloccando immediatamente i pignoramenti. Nei mesi successivi, con l’aiuto di un advisor finanziario, prepara un piano di concordato in continuità: prevede che l’azienda continui l’attività, rifocalizzandosi su impianti di una sola categoria per ridurre i costi, e includendo l’ingresso di un socio investitore disposto a mettere 1 milione di equity fresco. Il piano propone: pagamento dei debiti privilegiati (banche con ipoteca) al 80% in 5 anni, pagamento dei debiti chirografari (fornitori e altri) al 40% in 4 anni, con un 10% iniziale entro 6 mesi dall’omologa e il resto in rate annuali, e il pagamento integrale dei debiti fiscali dilazionato in 2 anni (IVA e ritenute al 100% perché privilegiate). Quel 40% per i chirografari è reso possibile in parte dall’apporto del nuovo socio (il milione sarà destinato interamente a loro in prededuzione) e in parte dai flussi di cassa operativi attesi dal nuovo maxi-contratto estero, al netto di investimenti e costi. Un professionista indipendente attesta che il piano è realistico e che, in caso di liquidazione giudiziale, i chirografari prenderebbero solo circa 15%, quindi il concordato è molto più conveniente per loro. Ad ottobre 2025 Gamma Srl deposita il piano e la proposta in tribunale; viene aperto il concordato e nominato un commissario. Durante la procedura, Gamma Srl – autorizzata dal giudice – ottiene un finanziamento interinale di 300k per avere la liquidità necessaria a portare avanti la produzione del grande contratto (finanziamento garantito e prededucibile). A gennaio 2026, all’adunanza dei creditori, la stragrande maggioranza vota sì: le banche ipotecarie lo fanno perché preferiscono incassare 80% in 5 anni che forse il 60% in caso di fallimento dopo aste lunghe; i fornitori votano sì perché 40% è molto meglio di 15%. Alcuni piccoli creditori magari non votano affatto, ma si raggiunge il 75% di consensi. Ad aprile 2026 il tribunale omologa il concordato. Gamma Srl, ora alleggerita dai debiti (ne pagherà in totale circa 2 milioni su 5), prosegue l’attività: l’investitore immette i suoi fondi, il commissario diventa un supervisore per il rispetto del piano. Nei due anni seguenti l’azienda rispetta le scadenze: paga immediatamente il 10% ai chirografari (anche grazie al milione investito), inizia a pagare rate semestrali alle banche, e regola il debito fiscale con l’Agenzia Entrate come previsto. A fine piano, nel 2030, i creditori hanno ottenuto quanto promesso, l’azienda è risanata e prosegue ora senza zavorre. L’imprenditore ha mantenuto la guida aziendale e salvato la società, pur cedendo una quota al nuovo socio e impegnandosi in un rigoroso piano di rimborso. Questo esempio illustra un concordato in continuità ben riuscito, dove tutti escono relativamente soddisfatti: i creditori hanno evitato il peggio, l’azienda non è morta, i dipendenti hanno conservato il lavoro (anzi, sono stati pagati regolarmente durante il concordato, visto che era condizione per proseguire). Naturalmente il tutto è frutto di un compromesso: l’imprenditore ha dovuto sacrificare una parte dell’impresa (coinvolgendo un nuovo socio e accettando controlli stringenti), e i creditori hanno rinunciato a una quota significativa dei loro crediti.
Caso 3: Liquidazione giudiziale e chiusura – “Delta Srl verso il fallimento”
Delta Srl, anch’essa nel settore degli impianti, purtroppo non ce la fa. Ha 10 milioni di debiti, macchinari obsoleti, mercato in calo e nessun piano di rilancio credibile. Le banche hanno revocato i fidi e avviato esecuzioni, l’azienda è di fatto ferma. L’imprenditore valuta che non ci siano prospettive di concordato praticabile (servirebbe almeno il 20% per i creditori ma nemmeno vendendo tutto si arriva a tanto). In questa situazione di insolvenza irreversibile, Delta Srl subisce l’iniziativa di un creditore: un fornitore presenta ricorso per la liquidazione giudiziale (fallimento). Il tribunale accerta che i debiti scaduti sono enormi e che non c’è alcuna iniziativa di risanamento in corso, quindi nel luglio 2025 dichiara la liquidazione giudiziale di Delta Srl. Da quel momento l’azienda cessa l’attività, i dipendenti vengono licenziati (per loro interverrà il Fondo di Garanzia INPS per TFR e ultime mensilità), e un curatore prende in mano la società. Vengono liquidati i beni: lo stabilimento e i macchinari all’asta, i crediti verso clienti incassati (quel poco possibile), gli inventari venduti in stock. Ci vogliono 2 anni per vendere tutto; il ricavato copre a malapena i creditori privilegiati (banche e Fisco). I chirografari ricevono una percentuale simbolica, diciamo il 5%. La società viene cancellata nel 2027. L’imprenditore, una volta chiusa la procedura, chiede l’esdebitazione e nel 2028 ottiene dal tribunale la liberazione dai debiti residui (aveva cooperato e non aveva colpe di rilievo). Così, pur avendo perso la sua azienda, può ricominciare come persona fisica senza essere inseguito da quei debiti (che formalmente esistono ancora ma la sua obbligazione è estinta). Tuttavia, se emergono condotte fraudolente, l’imprenditore potrebbe trovarsi in guai giudiziari (nel caso Delta, supponiamo di no, era solo sfortuna e mercato sfavorevole, quindi niente bancarotte fraudolente). Questo scenario, il più triste, mostra cosa accade se non si riesce a trovare accordi: l’impresa viene dissolta. Dal punto di vista dei creditori, è il peggior esito (hanno preso 5 su 100, molto meno di quanto a volte concordati o accordi avrebbero potuto dare). Dal punto di vista del sistema economico, si ha la distruzione di valore (un impianto industriale che forse, con un investitore, avrebbe potuto essere riconvertito, ora è stato venduto a pezzi e smantellato). Ecco perché oggi si cerca di utilizzare il fallimento solo quando non ci sono alternative valide.
Questi esempi pratici evidenziano l’importanza per l’imprenditore indebitato di muoversi per tempo: i casi 1 e 2 hanno finali decenti perché l’azione è stata tempestiva e organizzata; il caso 3, dove si attende troppo, finisce male.
Domande frequenti (FAQ) su debiti aziendali e difesa del debitore
D: Quali sono i segnali più comuni che indicano che la mia azienda è in crisi finanziaria?
R: I campanelli d’allarme includono: cronico ritardo nei pagamenti a fornitori e banche, necessità di usare costantemente fidi al massimo, aumento anomalo dell’indebitamento, utilizzo di liquidità straordinaria (es. vendere asset) per coprire costi correnti, richieste di pagamento anticipate dai fornitori (perché percepiscono rischio), difficoltà a ottenere credito aggiuntivo dalle banche, bilanci con perdite significative e riduzione del patrimonio netto, indici di liquidità e di solvibilità sotto i parametri di normalità. Anche segnali esterni come protesti, decreti ingiuntivi notificati, ipoteche legali iscritte da Agenzia Entrate Riscossione su immobili per cartelle non pagate, sono sintomi di crisi. La presenza di uno solo di questi fattori non significa insolvenza, ma se vari indicatori si presentano insieme, l’imprenditore deve riconoscere che l’azienda è in difficoltà e attivarsi subito per analizzare la situazione ed evitare il peggioramento.
D: Sono amministratore di una SRL indebitata: posso essere ritenuto personalmente responsabile dei debiti della società?
R: In generale no, i debiti sociali restano a carico della società e il patrimonio personale dell’amministratore (o dei soci) è protetto dal principio della responsabilità limitata. Fanno eccezione casi specifici: ad esempio, se l’amministratore ha garantito personalmente un debito (fideiussione alla banca), allora ne risponde come garante. Inoltre, l’amministratore può essere chiamato a rispondere di danni verso la società o i creditori se ha violato i doveri gestionali (azione di responsabilità ex art. 2476 c.c. o art. 255 CCII da parte del curatore in caso di fallimento). In particolare, la legge prevede che se l’amministratore non adotta misure adeguate una volta che la società è in crisi o scioglimento, e così aggrava il dissesto, i creditori possono aver sofferto un danno pari alla perdita di patrimonio nell’ultimo periodo di attività abusiva . Questa responsabilità però è risarcitoria, non di pagamento diretto dei debiti sociali: in pratica, se la società fallisce, il curatore può citare l’amministratore per farsi dare soldi a titolo di risarcimento, da distribuire ai creditori, ma i creditori non possono aggredire direttamente i suoi beni per i crediti contratti dalla società (salvo i casi di reati tributari con obbligazioni civili derivanti, ma è un discorso diverso). Quindi, normalmente l’amministratore non “ci mette casa propria” per pagare i fornitori, ma rischia sul piano patrimoniale se ha gestito male e sul piano penale se ha commesso reati (es. bancarotta fraudolenta). I soci non amministratori rispondono dei debiti solo se hanno prestato garanzie o conferimenti non liberati, o se la società è di persone (snc/sas).
D: Se non riesco a pagare le rate IVA o i contributi INPS, mi conviene chiedere subito il concordato preventivo per evitare guai penali?
R: Dipende dalle tempistiche. Per i reati di omesso versamento IVA e contributi, la legge punisce il mancato pagamento entro certe scadenze (ad esempio, per l’IVA il termine è il 27 dicembre dell’anno successivo). Se prevedi di non poter pagare e non hai modo di racimolare i fondi, attivarti con una procedura concorsuale prima di quella scadenza potrebbe aiutare, ma solo se consegue un provvedimento che ti vieti di pagare quei debiti prima della scadenza stessa. La Cassazione ha chiarito che la sola domanda di concordato non basta ad evitare il reato ; servirebbe che il tribunale emettesse un provvedimento di sospensione dei pagamenti prima che scada il termine fiscale (cosa fattibile se depositi un concordato con riserva e ottieni le misure protettive). Tuttavia, non è una strategia garantita: anzi, i giudici penali guardano con sospetto eventuali concordati presentati solo per rinviare un obbligo fiscale. Un’altra strada è cercare di ottenere un’rateazione con l’Erario: se ottieni un piano di dilazione prima della scadenza penalmente rilevante e paghi la prima rata, eviti il reato (perché l’omesso versamento si perfeziona solo se non hai pagato né integralmente né in forma rateale secondo le norme). Quindi, prima di correre a chiedere un concordato solo per l’IVA, valuta la rateazione amministrativa. Se invece il termine è passato e non hai pagato, il reato è già integrato e il concordato successivo non lo estingue. Potrai semmai sfruttare l’esimente di cui all’art. 13 D.Lgs. 74/2000: se paghi tutto (magari grazie alla procedura che genera liquidità) prima che si apra il dibattimento penale, avrai la non punibilità. In sintesi: il concordato non è una bacchetta magica per sfuggire ai reati tributari, meglio prevenire con comportamenti diligenti (pagare o rateizzare per tempo) che provare “trucchi” processuali.
D: Quanto tempo ho a disposizione per cercare di risanare l’azienda prima che i creditori possano provocare il fallimento?
R: Non esiste un termine fisso, dipende dall’atteggiamento dei creditori e dai tempi tecnici delle loro azioni. Un creditore può chiedere la liquidazione giudiziale non appena il debitore è insolvente (incapace di pagare i debiti a scadenza). In pratica, spesso succede dopo diversi solleciti e magari decreti ingiuntivi non onorati. Alcuni indicatori: se hai debiti verso banche, queste di solito aspettano qualche rata, eventualmente revocano fidi, e poi intraprendono esecuzioni ipotecarie; non partono subito col chiedere il fallimento a meno di situazioni di scoperto grave non rientrato. I fornitori raramente chiedono il fallimento al primo ritardo, provano prima a riscuotere giudizialmente il singolo credito. Il Fisco (Agenzia Entrate Riscossione) può fare istanza di fallimento se hai cartelle esattoriali scadute per oltre €500.000 e non ci sono beni aggredibili: anche lì di solito tentano prima pignoramenti. Quindi c’è una finestra nella quale l’imprenditore, pur essendo in crisi, può autonomamente attivare soluzioni prima di subire l’istanza di terzi. Questa finestra varia: potrebbe essere mesi, a volte anni, a seconda di quanta pazienza o fiducia hanno i creditori. Tuttavia, non bisogna abusare: se tardi troppo, aumentano i debiti (interessi, more, spese legali) e peggiora la fiducia. Inoltre, c’è un aspetto legale: se poi finisci fallito, il tribunale valuterà la data di insolvenza retrospettivamente. Se hai continuato ad operare in perdita aggravando il buco per un anno, l’azione di responsabilità è dietro l’angolo. Quindi, di fatto, hai tempo finché i creditori te ne lasciano, ma non considerarlo un tempo “vuoto”: usa ogni giorno di quel tempo per predisporre il piano di difesa. Meglio attivarsi prima e magari anticipare i creditori con una domanda di concordato (così blocchi tu la situazione in modo ordinato) piuttosto che attendere la loro mossa.
D: Che differenza c’è tra concordato preventivo e accordo di ristrutturazione dei debiti?
R: In sintesi, il concordato preventivo è una procedura concorsuale vera e propria, coinvolge tutti i creditori, richiede il voto (maggioranza) e l’intervento attivo del tribunale (dalla nomina di un commissario fino all’omologa), e consente di imporre ai creditori riduzioni e dilazioni dei crediti anche senza il loro consenso individuale (basta la maggioranza). L’accordo di ristrutturazione, invece, è più simile a un contratto privatistico tra debitore e una parte consistente (minimo 60%) dei creditori, che viene poi “ratificato” dal tribunale. Non c’è voto di tutti i creditori: firmano solo quelli che vogliono. I non firmatari non subiscono riduzioni forzate di legge (devono essere pagati per intero fuori accordo, altrimenti l’accordo non si può omologare ), salvo alcune eccezioni di estensione a intere categorie omogenee se certe super-maggioranze sono raggiunte . Inoltre, nell’accordo non c’è un commissario di solito, l’azienda non è in procedura concorsuale aperta (quindi può restare riservato fino all’omologa). In pratica: – Se hai bisogno di falcidiare in modo significativo i crediti di tutti e non hai la quasi unanimità di consensi, devi andare in concordato. Esempio: hai 100 fornitori e puoi offrire solo 30%; è impensabile farsi firmare da 60% di loro un accordo che lasci il 40% fuori non pagato – quelli farebbero fallire la ditta. Meglio un concordato dove anche il dissenziente subisce il 30%. – Se invece hai pochi creditori e sei in grado di pagarne integralmente qualcuno e ridurne altri ma con il loro accordo, magari l’accordo 182-bis è più rapido e comporta meno formalità. Esempio: 5 banche detengono l’80% dei debiti, tutte d’accordo a un piano; i restanti piccoli creditori (20%) li paghi integrali a scadenza. Qui un accordo è fattibilissimo. C’è poi una differenza di soglie: nel concordato liquidatorio devi assicurare almeno 20% ai chirografari , nell’accordo potresti anche prevedere che i chirografari estranei prendano meno, ma devi allora comunque pagarli full entro 120 giorni dall’omologa (per legge) – dunque nei fatti non puoi lasciarli con percentuali misere perché se no non li paghi entro 120 gg. In conclusione: il concordato è più potente ma più complesso; l’accordo è più consensuale e leggero, ma richiede già a monte più consenso (non crea esso il consenso tramite voto, lo presuppone tramite firme).
D: Durante un concordato preventivo, posso continuare a firmare contratti con nuovi clienti e fornitori? I partner commerciali si fidano poco appena sanno che siamo “in concordato”…
R: Sì, l’azienda può e deve continuare ad operare (specie se la proposta è in continuità). I nuovi contratti stipulati durante il concordato sono validi e i crediti dei nuovi fornitori hanno lo status di crediti prededucibili (saranno pagati prima degli altri, perché nascono per effetto dell’autorizzazione a continuare l’attività). È comprensibile che qualche partner sia diffidente. Qui conta molto la comunicazione e, se possibile, il supporto del tribunale in certe autorizzazioni. Ad esempio, per rassicurare un fornitore chiave, il debitore può chiedere al giudice di autorizzare il pagamento anticipato di quel fornitore per le forniture correnti (questo è possibile se il commissario attesta che la fornitura è essenziale e il fornitore non accetterebbe altrimenti). Oppure può offrire a un nuovo fornitore un pagamento per cassa (sul momento) o garanzie particolari per le forniture post-concordato. In genere, la legge vieta le clausole di rescissione automatica dei contratti soltanto perché si è in concordato (le cosiddette ipso facto clauses sono nulle ex art. 94 CCII): quindi un fornitore non può risolvere il contratto in essere solo perché sei entrato in concordato. Tuttavia, può rifiutarsi di prolungarlo o di accettare nuovi ordini. Sta a te trovare magari fornitori alternativi o rassicurarli. Spesso pubblicare sui media o comunicare direttamente che l’azienda ha presentato un serio piano di ristrutturazione con nuovi investitori aiuta a non far percepire il concordato come “il canto del cigno”, ma come un rilancio. Ricorda che i crediti dei partner sorti dopo l’apertura del concordato sono super-prioritari: se anche il concordato malauguratamente non andasse a buon fine e si finisse in fallimento, quei creditori verrebbero comunque soddisfatti prima di tutti gli altri sul patrimonio residuo. Questo li tutela e puoi farglielo presente.
D: Ho dato fideiussioni personali su mutui e leasing della società: se faccio il concordato per la società, la banca potrà rivalersi su di me?
R: Sì. La banca (o altro creditore garantito personalmente) manterrà il suo diritto contro di te come garante. Il concordato riguarda solo la società debitrice: non coinvolge i coobbligati o garanti (salvo un caso particolare: se il garante è una società del gruppo in concordato congiuntamente, ma parliamo di situazioni diverse). Ciò significa che, ad esempio, se la società propone di pagare il mutuo al 50% in concordato, la banca per l’altro 50% insoluto potrà escutere la tua fideiussione. È prassi che le banche lo facciano. Per cui, attenzione: il concordato non ti libera dai debiti personali di garanzia. Ci sono un paio di possibili mitigazioni: – Puoi cercare di negoziare con la banca a livello personale: magari offrire, se hai risorse, un saldo e stralcio per la tua posizione di garante contestualmente al concordato. Alcune banche se vedono che il concordato aziendale è decente e tu non hai molto patrimonio, potrebbero accettare di non perseguirti per il residuo, specie se la garanzia era aggiuntiva e non fondamentale. – Se anche tu come persona sei sovraindebitato a causa di queste garanzie, potresti valutare la procedura da sovraindebitamento personale (il “concordato minore” o “liquidazione controllata del sovraindebitato”) per gestire i tuoi debiti personali. Ad esempio, se sei pieno di fideiussioni e debiti privati, puoi parallelamente – o successivamente – attivare quella procedura e ottenere l’esdebitazione come persona. In ogni caso, preparati: se la banca ha ipoteca anche su un tuo immobile dato a garanzia personale, e nel concordato societario non viene soddisfatta integralmente, quasi certamente agirà su quell’ipoteca. Insomma, la fideiussione rompe lo schermo della responsabilità limitata. L’unico scenario in cui la fideiussione non verrà escussa è se la banca viene pagata integralmente o quasi. Tieni presente inoltre che la banca, incassando (dalla società + dal garante) più del 100% del dovuto, deve restituire l’eccedenza (ma non succede, perché in concordato di solito non prendono 100% dalla società).
D: La mia azienda è molto piccola (ditta individuale), posso accedere al concordato preventivo?
R: Le ditte individuali commerciali e le società di persone possono accedere a concordato preventivo se sono “fallibili”, ossia se superano i parametri di legge (attivi > €300k, ricavi > €200k, debiti > €500k circa, su due anni). Se sei sotto questi limiti, sei considerato un piccolo imprenditore non fallibile: in tal caso non puoi fare un concordato preventivo ordinario, ma puoi utilizzare le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento previste per i soggetti minori (il Codice le chiama concordato minore, ristrutturazione dei debiti del consumatore o liquidazione controllata). Funzionano in modo simile ma con regole semplificate (ad esempio, il concordato minore non richiede il 20% minimo ai chirografari ma solo 10%, e non c’è voto per categorie). Se la tua attività è stata cessata, potresti accedere come persona sovraindebitata a un piano del consumatore se i debiti sono personali o misti. Diciamo che per micro imprese le tutele ci sono ma in forma diversa. Nel nostro discorso, per un’azienda di impianti industriali di solito si è sopra soglia, quindi procedure maggiori. Se però fosse una piccola ditta artigiana sottosoglia, potresti fare un concordato minore in tribunale (simile al preventivo come concetto). In ogni caso, la logica è la stessa: offrire un piano ai creditori e farlo omologare da un giudice.
D: In caso di fallimento (liquidazione giudiziale), cosa succede ai soci della società?
R: Se parliamo di SRL o SPA, i soci di regola perdono il valore delle loro quote (perché il patrimonio societario viene tutto assorbito dai creditori; alla chiusura del fallimento la società è azzerata e cancellata). I soci non hanno ulteriori obblighi di ripianare i debiti (a meno che non fossero anche garanti come detto, o abbiano altri doveri residui, tipo versamenti in conto capitale promessi e non ancora effettuati). Quindi il socio non subisce procedimenti esecutivi sui propri beni solo perché la società fallisce. Tuttavia, se parliamo di società di persone (SNC, SAS), i soci illimitatamente responsabili vengono dichiarati falliti in estensione per legge assieme alla società, e rispondono con il loro patrimonio personale dei debiti sociali. Per i soci di capitali, l’unico riflesso è che se il fallimento evidenzia reati o irregolarità (es. distrazioni di beni a favore di soci), il curatore o il pubblico ministero potranno agire contro di loro (azioni revocatorie di dividendi illegittimi, o denunce per bancarotta preferenziale se hanno ricevuto pagamenti prima del fallimento, etc.). Inoltre, i soci che abbiano prestato finanziamenti alla società negli ultimi anni spesso vedono i loro crediti postergati (pagati dopo tutti gli altri creditori) e quasi certamente non riceveranno nulla. Quindi il socio perde l’investimento e non recupera eventuali crediti verso la società. Se il socio era un dipendente o fornitore, potrà insinuare come tale e partecipare come creditore privilegiato/chirografo per quella parte, ma il capitale conferito è perso. Un altro effetto: gli amministratori soci possono subire l’azione di responsabilità come visto. Infine, durante la procedura i soci non hanno più alcun potere sulla società – l’assemblea dei soci è spossessata delle decisioni, qualunque atto societario (anche vendere partecipazioni residue in altre imprese se la fallita ne ha) lo fa il curatore.
D: Dopo un concordato o un fallimento, potrò avviare una nuova attività?
R: Sì, ma con qualche distinzione. Se hai fatto un concordato preventivo con successo, non ci sono preclusioni legali a iniziare subito un’altra attività o costituire un’altra società. Anzi, il concordato non intacca i tuoi diritti civili (a differenza del fallimento). L’unica cosa: se nel concordato hai assunto obblighi (es. come garanzia hai messo beni personali, o devi fare apporti di denaro), devi adempiere a quelli; ma a parte questo, non esistono “interdizioni” nel concordato.
Nel caso di fallimento, la legge prevede alcune incapacità temporanee per il fallito: ad esempio non può ricoprire la carica di amministratore di società durante la procedura, né esercitare imprese commerciali se non autorizzato dal giudice. Dopo la chiusura, queste incapacità cessano (se c’è esdebitazione, cessano tutte). Quindi dopo la chiusura del fallimento sei libero. Anche se non ottenessi l’esdebitazione, comunque sei libero di avviare un business, ma con i debiti pregressi personali ancora esigibili (il che può complicarti la vita se hai ancora creditori personali). Se sei stato condannato per reati fallimentari, ci possono essere pene accessorie (tipo l’interdizione dagli uffici direttivi di imprese per 10 anni). Quello sì che ti vieterebbe di amministrare società per quel periodo. Ma dando per scontato che non ci siano condanne penali, nulla ti impedisce di ricominciare. Molti imprenditori falliscono e poi, fatta tabula rasa, aprono una nuova società e hanno anche successo la seconda volta – la legge incoraggia questo tramite l’esdebitazione, per dare il fresh start all’imprenditore onesto. Attenzione però: se vuoi avviare una nuova attività mentre la vecchia è ancora in concordato (quindi non chiusa la procedura) o fallimento in corso, potresti incontrare diffidenze e problemi pratici (ad esempio, ottenere credito sarà difficile con una procedura concorsuale personale alle spalle recente). Ma legalmente, in concordato puoi farlo (non c’è divieto di legge), in fallimento no (fino alla chiusura, il fallito non può iniziare nuova impresa se non con permesso del giudice, cosa rara).
D: Cosa succede ai contratti in essere (affitti, leasing, contratti con clienti) se la mia azienda va in concordato o fallisce?
R: Nel concordato: i contratti pendenti (non ancora eseguiti completamente da entrambe le parti) non si risolvono automaticamente. Il debitore ha la facoltà, previa autorizzazione del tribunale, di sciogliersi da essi o di sospenderli fino a 60 giorni (rinnovabili una volta) se ciò è utile per la procedura. Ad esempio, può sciogliersi da un contratto di leasing costoso: la società di leasing avrà un indennizzo (danno emergente) da insinuare come credito. Oppure può sospendere un contratto di fornitura in attesa di decidere se mantenere quel fornitore. Se il debitore non esercita lo scioglimento, il contratto continua: la controparte però può chiedere garanzie per continuare l’esecuzione, se è un contratto di durata, oppure se è un contratto di appalto come cliente, potrà temere inadempimento. Ma la legge cerca di mantenere i contratti utili. Un contratto di affitto d’azienda, per dire, continua ma la controparte può subire la sospensione di eventuali clausole risolutive legate all’insolvenza. Nei contratti con la PA, serve a volte un nulla osta per proseguirli in concordato (ad es. appalti pubblici: oggi con il Codice, l’ammissione al concordato con continuità non impedisce la partecipazione ad appalti, se c’è il via libera del tribunale attestando che l’impresa ha chance di adempiere). In fallimento: i contratti pendenti sono gestiti dal curatore, che decide se subentrare o sciogliersi. Tipicamente, se l’attività cessa, quasi tutti i contratti vengono sciolti (il curatore comunica alla controparte che non subentra). La controparte allora può insinuare il danno in fallimento. Se però il curatore ritiene un contratto utile per l’esercizio provvisorio o per vendere meglio l’azienda, può subentrarvi: in tal caso il fallimento deve adempiere regolarmente (il credito della controparte per prestazioni dopo la dichiarazione di fallimento è prededucibile). Ad esempio, se c’è un contratto di appalto in corso dove la commessa ha valore ed è quasi finita, il curatore può eseguirla incassando il corrispettivo (in esercizio provvisorio), quindi subentra e paga i subfornitori contrattuali con soldi prededucibili. Finito il lavoro, chiude. Questo però avviene di rado, solo se c’è convenienza chiara e cassa disponibile. Contratti come locazioni di immobili: in fallimento di solito il curatore si scioglie dal contratto di affitto di un capannone perché non serve più, rilascia l’immobile, e il locatore si insinua per eventuali canoni a scadere a titolo di danno (limitati ad un massimo di un’annualità futuri in privilegio). I leasing: il curatore di solito li scioglie e restituisce il bene, la società di leasing insinua il suo credito residuo al netto del valore del bene. Comunque, in tutte queste situazioni contrattuali, un imprenditore in crisi dovrebbe anticipare le mosse: ad esempio, se sai che stai per chiedere un concordato, valuta già quali contratti ti servono e quali no, per pianificare eventuali scioglimenti (perché se ti liberi di un contratto oneroso, il debito conseguente diventa un normale credito concorsuale falcidiabile – in concordato – oppure un credito chirografario in fallimento spesso non pagato interamente). Questo è uno strumento di difesa del debitore: liberarsi di contratti sfavorevoli col cappello della procedura (cosa che altrimenti non potresti fare unilateralmente senza penali pesanti).
D: Quali sono i costi di una procedura di concordato? Vale la pena affrontarli?
R: I costi includono: le spese di giustizia (contributo unificato ~€1000, eventuale marca per pre-deduzione), il compenso del commissario giudiziale e liquidatore (stabilito a percentuale sul passivo e sull’attivo realizzato, può essere diverse migliaia di euro a seconda della dimensione), i compensi dell’attestatore e dei consulenti che devi pagare tu per predisporre il piano (attestatore può chiedere €10-30k o più a seconda del lavoro), eventuali spese legali. In un concordato medio, i costi totali possono essere dal 3% al 8-10% dell’attivo aziendale. Sono alti rispetto a una gestione stragiudiziale, ma la domanda cruciale è: il concordato mi consente di risparmiare più di quel costo sul fronte debiti? Ad esempio, se pagando quei costi ottengo uno stralcio del 60% dei debiti, chiaramente conviene. E poi talvolta è l’unica via per non chiudere. Bisogna valutare caso per caso. Dal punto di vista emotivo, molti imprenditori sono spaventati dal “fallimento” e vedono il concordato come soluzione. Ma un concordato mal preparato può sprecare soldi e comunque finire in fallimento. Quindi, se i numeri non danno speranza, meglio evitare di buttare soldi in procedure e considerare direttamente la liquidazione. Se invece c’è fattibilità, i costi di procedura sono parte del prezzo da pagare per il risanamento. Notare che nel piano di concordato devi prevedere di pagare integralmente le spese di procedura in prededuzione, quindi quei costi vanno finanziati (o con cassa azienda se ce l’ha, o con apporti esterni). Quindi la convenienza economica va calcolata. Ad ogni modo, le tariffe dei commissari & co. sono stabilite per decreto e sono controllate dal giudice, quindi non c’è arbitrarietà. Spesso i creditori in assemblea chiedono all’attestatore una stima di quanto incideranno le spese di concordato – e se vedono che vanno oltre il beneficio, potrebbero non votare. Fortunatamente, di solito conviene comunque rispetto a un fallimento in cui i costi sono analoghi o maggiori e recuperano meno.
Conclusione: Affrontare una situazione di sovraindebitamento aziendale richiede lucidità, conoscenza degli strumenti legali e spesso l’assistenza di professionisti specializzati. Dal punto di vista del debitore (imprenditore o amministratore), “difendersi” non significa evitare di pagare i debiti a tutti i costi, bensì gestire l’insolvenza in modo ordinato per minimizzare le conseguenze negative e, se possibile, salvare l’impresa. La legge italiana, aggiornata alle ultime riforme del 2022-2024, offre un ventaglio di opportunità: dalla composizione negoziata, che consente una soluzione negoziale assistita, ai concordati preventivi che possono ridurre i debiti e rilanciare l’attività, fino alla liquidazione giudiziale con esdebitazione finale che dà al debitore onesto la possibilità di ripartire senza debiti. Ogni strumento ha le sue condizioni di ammissibilità e le sue implicazioni: per questo è essenziale pianificare con attenzione e adottare la soluzione più adatta al caso concreto. In ogni circostanza, la trasparenza verso i creditori e la rapidità di intervento rappresentano i migliori alleati dell’imprenditore: chi ammette la crisi e la affronta di petto, magari anticipando le mosse dei creditori, ha più probabilità di negoziare outcome favorevoli (o quantomeno dignitosi) rispetto a chi subisce passivamente fino all’ultimo. In altre parole, la difesa di un’azienda indebitata sta soprattutto nella sua capacità di reagire strategicamente, utilizzando le difese che l’ordinamento le mette a disposizione – un po’ come un abile giocatore che sa utilizzare tutte le carte del mazzo. E quando la partita, nonostante tutto, è persa, la legge comunque offre all’imprenditore una seconda chance attraverso la liberazione dai debiti residui, incoraggiando così l’assunzione controllata del rischio che è il motore di ogni attività d’impresa.
Fonti normative e giurisprudenziali (aggiornate a Ottobre 2025)
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14), come modificato dal D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 e dal D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136 – art. 84 CCII (soglie concordato liquidatorio 10% attivo esterno e 20% chirografi) ; art. 63 CCII (transazione fiscale e condizioni cram-down fiscale) ; art. 2486 c.c. come mod. da art. 378 CCII (criteri liquidazione danno amministratori per continuazione abusiva) ; art. 54 CCII (misure protettive in accordi) ; art. 57 CCII (accordi ristrutturazione requisiti 60%) ; art. 94 CCII (nullità clausole ipso facto); art. 25-sexies CCII (concordato semplificato post composizione negoziata) .
- Decreto Legislativo 13 settembre 2024, n. 136 (Terzo correttivo al CCII) – G.U. n.227 del 27-09-2024 . Introduce modifiche agli accordi di ristrutturazione (riscrittura art. 63 CCII) in tema di transazione fiscale e misure protettive estese al concordato semplificato .
- Codice Civile – art. 2086 (dovere assetti adeguati per rilevare crisi); art. 2476 e 2486 (responsabilità amministratori SRL, criteri danno) ; art. 2751-bis c.c. (privilegi lavoratori e professionisti).
- Legge Fallimentare (R.D. 16 marzo 1942 n. 267) – Abrogata nel 2022, ma principi generali e giurisprudenza pregressa ancora rilevanti (es. art. 67 su piani attestati, art. 160 su concordato preventivo, art. 182-bis su accordi).
- D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 – art. 19 (Rateizzazione cartelle esattoriali, modificato da D.Lgs. 29 luglio 2024, n. 110): nuove soglie 2025 per rate semplici fino 84 rate < €120k, fino 120 rate con difficoltà .
- D.Lgs. 74/2000 (Reati tributari) – art. 10-bis (omesso versamento ritenute > €150k), art. 10-ter (omesso versamento IVA > €250k), art. 13 (causa di non punibilità per pagamento integrale prima del dibattimento).
- L. 3/2012 (composizione crisi da sovraindebitamento) – abrogata e integrata nel CCII per procedure minori (artt. 65-73 CCII concordato minore, art. 268-277 CCII liquidazione controllata, ecc.).
- Sentenze della Corte di Cassazione:
- Cass. civile, Sez. I, 25/03/2024 n. 8069 – Responsabilità degli amministratori per atti non conservativi e criteri di liquidazione del danno ex art. 2486 c.c.: conferma applicabilità criteri differenza netti patrimoniali e deficit patrimoniale anche a giudizi in corso .
- Cass. penale, Sez. III, 4/11/2025 n. 35938 – Omesso versamento IVA e concordato preventivo: la presentazione/ammissione al concordato non esclude il reato se l’obbligo fiscale era scaduto prima; il provvedimento di divieto pagamenti deve intervenire prima della scadenza per costituire causa di giustificazione ex art. 51 c.p. . Decisione che riafferma orientamento restrittivo a tutela del Fisco .
- Cass. civile, Sez. I, 29/12/2023 n. 36401 – Concordato preventivo: responsabilità dell’attestatore per omessa rilevazione di atti in frode (ha stabilito criteri di responsabilità del professionista attestatore, evidenziando obblighi di verifica accurata dei dati del piano) .
- Cass. civile, Sez. II, 20/09/2024 n. 25260 – Business judgment rule e limiti di sindacabilità delle scelte gestionali: ribadisce che l’amministratore non risponde delle scelte imprenditoriali in sé, ma solo di negligenza grave nel valutarne i rischi ; onere della prova a carico società su violazione doveri e dell’amministratore di provare la diligenza . (Questa sentenza rileva per le azioni di responsabilità).
- Cass. Sez. Un. 06/05/2015 n. 9100 – (precedente fondamentale) criteri di quantificazione del danno da prosecuzione abusiva: permise il calcolo equitativo differenziale poi codificato nell’art. 2486 c.c. .
- Tribunale di Milano, Tribunale di Venezia (giurisprudenza di merito): varie pronunce 2025 in tema di DURC e composizione negoziata (es. Trib. Milano 18/04/2025 su misure cautelari concedibili: no ordine diretto a INPS di rilasciare DURC in comp. negoziata ; Trib. Catanzaro 26/03/2025 su ruolo amministratori in strumenti di regolazione crisi).
- Unioncamere – Osservatorio composizione negoziata: Dati statistici aggiornati al maggio 2025: ~3000 istanze presentate dal 2021, incremento successi al 22,5%, soprattutto imprese medio-grandi, uso in crescita (Comunicato stampa Unioncamere 05/06/2025).
- Documenti di prassi e dottrina:
- Linee Guida del CNDCEC (Consiglio Naz. Dottori Comm.) sulla composizione negoziata (2021) – forniscono indicazioni operative per l’Esperto e l’imprenditore.
- Relazione Illustrativa al D.Lgs. 83/2022 – chiarisce ratio novità come classi obbligatorie in continuità, piani in prevalenza non da continuità ecc.
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Stai ricevendo solleciti, richieste di rientro, blocchi delle forniture, decreti ingiuntivi o minacce di pignoramento da banche, Fisco, INPS, fornitori tecnici o Agenzia Entrate-Riscossione?
Il settore del lavaggio industriale è complesso e costoso: componenti speciali, elettroniche evolute, pompe, vasche in acciaio inox, solventi e detergenti certificati, collaudi severi, magazzino ricco di ricambi e assistenza tecnica continua. Basta un ritardo nei pagamenti o una riduzione dei fidi per mettere in crisi l’intera operatività.
La buona notizia è che la tua azienda può essere salvata, se intervieni subito e con la strategia giusta.
Perché un’Azienda di Impianti di Lavaggio Industriale va in Debito
- aumento dei costi di acciaio inox, elettriche, pompe, ultrasuoni, PLC, valvole e componenti specifici
- pagamenti lenti da parte di aziende meccaniche, automotive e contractor
- magazzino immobilizzato tra vasche, ricambi, detergenti, filtri e moduli
- costi elevati di installazione, collaudi, assistenze e trasferta tecnica
- normative ambientali stringenti e investimenti continui
- riduzione o revoca delle linee di credito bancarie
Il problema principale non è la mancanza di ordini, ma la mancanza di liquidità immediata.
I Rischi se Non Intervieni Subito
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco dei fidi
- sospensione delle forniture di componenti indispensabili
- atti esecutivi, decreti ingiuntivi e precetti
- sequestro di vasche, pompe, ricambi e attrezzature
- impossibilità di completare impianti e assistenze programmate
- perdita di clienti strategici e appalti importanti
Cosa Fare Subito per Difendersi
1. Bloccare immediatamente i creditori
Un avvocato specializzato può:
- sospendere pignoramenti e richieste di rientro
- proteggere conti correnti e liquidità aziendale
- fermare le azioni di Agenzia Riscossione
Prima si mette al sicuro l’azienda, poi si interviene sui debiti.
2. Analizzare i debiti ed eliminare ciò che non è dovuto
Spesso emergono irregolarità come:
- interessi non dovuti
- sanzioni calcolate male
- importi duplicati
- debiti prescritti
- errori di Agenzia Riscossione
- commissioni bancarie anomale
Una parte significativa dell’esposizione può essere cancellata o ridotta.
3. Ristrutturare i debiti con soluzioni sostenibili
Tra le principali:
- rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
- accordi di rientro con fornitori strategici
- rinegoziazione dei fidi bancari
- sospensione temporanea dei pagamenti
- accesso alle definizioni agevolate
4. Usare strumenti legali che bloccano TUTTI i creditori
Nei casi di crisi più importanti:
- PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
- Accordi di ristrutturazione
- Concordato minore
- (solo in ultima istanza) Liquidazione controllata
Questi strumenti consentono di continuare a lavorare pagando solo una parte del debito, sospendendo tutte le azioni esecutive.
Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo
Per salvare aziende tecniche come la tua servono competenze specialistiche.
L’Avv. Monardo è:
- Avvocato Cassazionista
- Coordinatore nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012) – presente negli elenchi del Ministero della Giustizia
- Professionista fiduciario di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi)
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Un profilo altamente qualificato per bloccare i creditori, ristrutturare debiti e salvare aziende che realizzano impianti di lavaggio industriale.
Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo
- analisi immediata della tua esposizione debitoria
- blocco urgente di pignoramenti e atti esecutivi
- ristrutturazione del debito su misura
- protezione di vasche, ricambi, componenti e linee produttive
- trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
- tutela completa dell’azienda e dell’amministratore
Conclusione
Avere debiti nella tua azienda di impianti di lavaggio industriale non significa essere destinato alla chiusura.
Con una strategia rapida, tecnica e totalmente legale, puoi:
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