Azienda Di Raccordi Ad Aria Compressa Con Debiti: Cosa Fare Per Difendersi E Come

Se la tua azienda produce, importa o distribuisce raccordi per aria compressa, giunzioni rapide, tubi, valvole, innesti, riduzioni, componenti pneumatici e accessori per impianti industriali, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, è importante intervenire subito per evitare il blocco dell’attività.

Nel settore della pneumatica, un fermo può interrompere linee produttive dei clienti, generare ritardi critici, penali e perdita di contratti importanti.

Perché le aziende di raccordi ad aria compressa accumulano debiti

  • aumento dei costi di ottone, acciaio, alluminio e materiali tecnici
  • rincari delle materie prime e dei componenti importati
  • pagamenti lenti da parte di impiantisti, integratori e industrie
  • ritardi nei versamenti di IVA, imposte e contributi
  • necessità di mantenere magazzini con molte varianti e misure
  • difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati ai flussi di cassa

Cosa fare subito

  • far analizzare la situazione debitoria da un professionista esperto
  • individuare debiti contestabili, riducibili o rateizzabili
  • evitare piani di rientro troppo pesanti che peggiorano la liquidità
  • richiedere la sospensione immediata dei pignoramenti
  • proteggere rapporti con fornitori strategici
  • usare strumenti legali per rinegoziare o ristrutturare i debiti

I rischi se non intervieni rapidamente

  • pignoramento del conto corrente aziendale
  • blocco delle forniture di raccordi, valvole e materiale pneumatico
  • impossibilità di evadere ordini e assistere i clienti
  • perdita di integratori, industrie e rivenditori tecnici
  • rischio concreto di chiusura dell’attività

Come può aiutarti l’avvocato Monardo

Detto questo, l’avvocato Monardo, cassazionista, coordina a livello nazionale un team di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario.
Inoltre:

  • è Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
  • è iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
  • è professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
  • è Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)

Può aiutarti concretamente a:

  • bloccare pignoramenti e procedure esecutive
  • ridurre o ristrutturare i debiti con gli strumenti normativi più efficaci
  • ottenere rateizzazioni sostenibili
  • proteggere magazzino, attrezzature, componenti e continuità operativa
  • evitare la chiusura e salvare davvero la tua azienda

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Introduzione
Gestire un’azienda che produce o distribuisce raccordi per aria compressa può esporre a diverse forme di indebitamento. Quando i debiti diventano ingenti – verso banche, fornitori, Fisco, enti previdenziali o altri creditori – l’imprenditore si trova di fronte a scelte difficili. Come difendersi dai creditori e salvaguardare l’attività? Questa guida fornisce un quadro avanzato e aggiornato a ottobre 2025 sulle strategie legali disponibili in Italia per un’azienda indebitata, dal punto di vista del debitore. Adotteremo un linguaggio giuridico ma accessibile, rivolgendoci sia a professionisti legali sia a imprenditori e privati. Affronteremo:

  • Le diverse categorie di debiti aziendali (debiti bancari, fiscali, previdenziali, verso fornitori, dipendenti, ecc.) evidenziandone le criticità e i rischi specifici per l’azienda debitrice.
  • Gli strumenti di soluzione della crisi previsti dall’ordinamento italiano, sia stragiudiziali (accordi privati, piani attestati di risanamento, composizione negoziata della crisi) sia giudiziali (accordi di ristrutturazione omologati, concordato preventivo – in continuità o liquidatorio – e liquidazione giudiziale, cioè l’ex fallimento). Illustreremo anche novità recenti come il concordato semplificato introdotto nel 2021 e confermato dal nuovo Codice della Crisi.
  • Gli obblighi e responsabilità di amministratori e soci quando la società è in crisi o insolvenza: doveri di attivazione tempestiva, obblighi di ricapitalizzazione in caso di perdite significative, responsabilità civili verso società e creditori (ad esempio per aver aggravato il dissesto continuando l’attività senza prospettive) e possibili responsabilità penali (bancarotta, omessi versamenti fiscali/previdenziali, ecc.). Vedremo in quali casi gli amministratori – e in certe situazioni anche i soci – possono essere chiamati a rispondere con il proprio patrimonio o subire sanzioni personali.
  • La gestione dei rapporti con i creditori durante la crisi: come comportarsi con il Fisco e gli enti di riscossione (Agenzia Entrate, Agenzia Entrate-Riscossione, INPS), quali strumenti di rateizzazione o definizione agevolata dei debiti si possono ottenere; come affrontare le banche (ad es. rischio di revoca degli affidamenti e segnalazioni in Centrale Rischi); come trattare con fornitori strategici per evitare blocchi nelle forniture; come tutelare i dipendenti in caso di ritardi negli stipendi; infine come reagire a pignoramenti e decreti ingiuntivi mantenendo aperta, se possibile, la trattativa con i creditori.
  • Tabelle riepilogative per confrontare le caratteristiche delle varie procedure e le responsabilità nelle diverse forme societarie.
  • Esempi pratici simulati basati su scenari reali di aziende indebitate, per illustrare l’applicazione concreta degli strumenti di difesa del debitore.
  • Una sezione finale di Domande & Risposte (FAQ) con i dubbi più frequenti e le relative soluzioni.

Chiudiamo la guida con un elenco di tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate (articoli di legge, decreti, sentenze recenti fino al 2025) per chi desiderasse approfondire .

Nota normativa: Il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, “CCII”) è entrato in vigore il 15 luglio 2022, sostituendo la vecchia legge fallimentare . Esso ha introdotto una diversa filosofia nella gestione delle difficoltà aziendali, privilegiando interventi tempestivi per prevenire l’insolvenza mediante procedure di risanamento anticipato, ove possibile, invece di arrivare direttamente al fallimento (ora liquidazione giudiziale). Sono stati rafforzati i doveri degli organi societari nel monitorare la crisi e nell’attivarsi proattivamente per salvaguardare la continuità aziendale . Questa guida tiene conto delle ultime novità normative – incluso il Decreto Legislativo 83/2022 (che recepisce la direttiva UE 2019/1023 sull’insolvency) e il “terzo correttivo” D.Lgs. 136/2024 – nonché dei più recenti orientamenti giurisprudenziali in materia . Ciò garantisce un livello di approfondimento aggiornato, adatto a professionisti, ma anche comprensibile per imprenditori e privati interessati.

Prima di addentrarci nei dettagli, chiariamo due concetti chiave introdotti dalla riforma:

  • Stato di crisi vs. stato di insolvenza: Il CCII distingue lo stato di crisi – definito come “lo squilibrio economico-finanziario che rende probabile l’insolvenza futura” – dallo stato di insolvenza vero e proprio . In termini semplici, un’impresa è in crisi se oggi paga ancora i propri debiti ma gli indicatori finanziari lasciano prevedere che in un prossimo futuro non sarà più in grado di farvi fronte regolarmente. Ad esempio, perdite significative che erodono il capitale, liquidità insufficiente o un accumulo crescente di debiti scaduti sono segnali di crisi. L’insolvenza invece è la fase conclamata in cui l’impresa non è più in grado di soddisfare stabilmente le proprie obbligazioni esigibili ed è inadempiente in modo generalizzato (cessazione dei pagamenti). La crisi è dunque uno stadio anteriore all’insolvenza: durante la crisi l’azienda è ancora recuperabile con misure di risanamento, mentre l’insolvenza conclamata impone l’avvio di una procedura concorsuale formale (concordato preventivo o liquidazione giudiziale) .
  • Adeguatezza degli assetti organizzativi: Dal 2019 l’art. 2086 c.c., comma 2, impone agli amministratori di società l’obbligo di istituire assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati alla natura e dimensione dell’impresa, funzionali a rilevare tempestivamente lo stato di crisi . Ciò significa che anche una piccola S.r.l. deve dotarsi di sistemi di controllo di gestione e indicatori (ad es. indici di liquidità, indici di indebitamento, Debt Service Coverage Ratio – DSCR, ecc.) per monitorare la propria salute finanziaria. Tali assetti servono a intercettare per tempo i segnali di difficoltà (perdite ripetute, cash-flow negativo, difficoltà crescenti a pagare fornitori e tasse) e consentono agli amministratori di adottare subito misure correttive (riduzione costi, ricerca capitali, rinegoziazione debiti, ecc.) . La mancata adozione di assetti adeguati è una violazione di legge: in caso di insolvenza, tribunali e curatori valuteranno se gli amministratori hanno colpevolmente omesso di attivarsi per tempo, con possibili responsabilità per mala gestio (si pensi all’art. 2486 c.c., sul dovere di limitare le perdite una volta sciolta la società) . Agire tempestivamente è quindi fondamentale: come vedremo, muoversi prima che la crisi degeneri in insolvenza conclamata permette di sfruttare strumenti più efficaci e di evitare conseguenze peggiori (il tracollo dell’attività o responsabilità personali degli organi sociali) .

Nei paragrafi seguenti esamineremo in dettaglio:

  1. Tipologie di debiti aziendali e rischi correlati: debiti bancari, fiscali/erariali, contributivi/previdenziali, debiti verso fornitori e altri creditori privati, debiti verso dipendenti, etc. Per ciascuna categoria indicheremo i poteri o le tutele speciali di cui godono quei creditori (privilegi, ipoteche, possibilità di azioni esecutive rapide, ecc.) e i rischi che l’azienda debitrice corre.
  2. Strumenti per la gestione della crisi o insolvenza d’impresa: soluzioni stragiudiziali (composizione negoziata, piani attestati di risanamento, accordi privati) e procedimenti giudiziali concorsuali (accordi di ristrutturazione omologati, concordato preventivo in continuità o liquidatorio, liquidazione giudiziale). Approfondiremo le caratteristiche di ciascuno – evidenziando le novità del Codice della Crisi – con tabelle comparative per un confronto immediato.
  3. Obblighi e responsabilità di amministratori e soci in caso di crisi: cosa impone la legge agli amministratori quando emergono perdite rilevanti o segnali di insolvenza (ad es. obbligo di convocare l’assemblea per ricapitalizzazione o liquidazione ex artt. 2447, 2482-bis c.c.), quali sono le responsabilità civili verso la società e verso i creditori (ad es. azione per aver aggravato il dissesto proseguendo l’attività senza prospettive) e quali le possibili responsabilità penali (bancarotta fraudolenta o semplice, sottrazione fraudolenta al Fisco, omesso versamento di IVA o contributi, etc.). Vedremo in quali casi gli amministratori, e nel caso di società di persone anche i soci, rischiano di rispondere con il proprio patrimonio personale o subire sanzioni.
  4. Come gestire i rapporti con i creditori durante la crisi: linee guida pratiche su come trattare con il Fisco e gli enti di riscossione (richiedere rateizzazioni, accedere a eventuali sanatorie), come rapportarsi con le banche (cosa fare in caso di revoca degli affidamenti e di richiesta di rientro immediato, come contestare addebiti illegittimi), come comportarsi con i fornitori strategici (evitare interruzioni nelle forniture essenziali magari concordando piani di rientro), come gestire i dipendenti se si accumulano ritardi nel pagamento degli stipendi (trasparenza nelle comunicazioni, utilizzo di ammortizzatori sociali, ecc.), come affrontare eventuali azioni esecutive individuali (pignoramenti, decreti ingiuntivi) senza perdere il controllo, tenendo aperta la possibilità di soluzioni negoziali.
  5. Casi pratici simulati: presenteremo scenari realistici di piccole medie imprese del settore metalmeccanico (come un’azienda di raccordi per aria compressa) alle prese con diverse combinazioni di debiti, mostrando le strategie messe in atto per difendersi – dalla negoziazione stragiudiziale con le banche fino all’accesso a procedure concorsuali – e i relativi esiti.
  6. Domande frequenti (FAQ): infine, risponderemo brevemente a una serie di quesiti comuni che imprenditori e professionisti si pongono in questi frangenti (ad es. “Un singolo creditore può provocare il fallimento della mia azienda?”, “È possibile ridurre i debiti fiscali attraverso un accordo col Fisco?”, “Gli amministratori rischiano conseguenze penali se l’azienda fallisce?” etc.). Le FAQ forniranno un recap pratico delle soluzioni discusse.

Passiamo dunque ad esaminare in dettaglio le categorie di debiti di un’azienda indebitata e le rispettive problematiche, per poi vedere quali strumenti sono a disposizione del debitore per gestire o risolvere ciascuna situazione.

Tipologie di debiti aziendali e relativi rischi

Non tutti i debiti sono uguali. A seconda della natura del creditore e del titolo del debito, cambiano sia le tutele a cui il creditore può attingere, sia le conseguenze per l’azienda debitrice. In questa sezione analizziamo le principali tipologie di debiti che un’azienda manifatturiera o commerciale (come un’azienda di raccordi ad aria compressa) può accumulare, evidenziando per ciascuna: i poteri dei creditori (ad esempio privilegi, garanzie, potere di iniziare esecuzioni forzate) e i rischi per il debitore (ad esempio sanzioni, blocco dell’operatività, escalation in procedure concorsuali). Conoscere queste caratteristiche è fondamentale per capire come difendersi efficacemente caso per caso.

Debiti bancari e finanziari

Caratteristiche: I debiti bancari tipicamente derivano da finanziamenti, prestiti, aperture di credito in conto corrente (fidi bancari) o sconfinamenti su conto, leasing finanziari o altri strumenti concessi da banche e società finanziarie. Spesso sono garantiti: la banca può aver acquisito garanzie reali (ipoteche su immobili aziendali o dei garanti, pegno su macchinari o su merci, ecc.) oppure personali (fideiussioni di soci o amministratori). I contratti bancari prevedono di norma clausole di salvaguardia per la banca: ad esempio la possibilità di revocare con preavviso un fido “a revoca” o di risolvere anticipatamente un mutuo in caso di grave inadempimento o di deterioramento della situazione finanziaria del cliente.

Poteri del creditore (banca): Le banche, in caso di mancato pagamento, possono agire in via esecutiva in maniera relativamente rapida. Se il debito è fondato su un contratto o cambiale con clausola di esecutorietà, la banca può ottenere un titolo esecutivo in tempi brevi (ad esempio un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo) e procedere al pignoramento dei beni del debitore. In presenza di garanzie reali, la banca può avvalersi delle procedure esecutive speciali: ad esempio, con un’ipoteca iscritta può promuovere un’esecuzione immobiliare sull’immobile ipotecato; con un pegno su beni mobili può escutere il pegno (vendita forzata del bene). Inoltre, il sistema bancario dispone della Centrale Rischi (gestita da Banca d’Italia) e di sistemi di informazione creditizia: un grave inadempimento o la revoca di affidamenti viene segnalata e ciò compromette il rating creditizio dell’azienda, rendendo più difficile ottenere nuovo credito. La semplice revoca degli affidamenti – se la banca decide di “tagliare” gli scoperti di conto o le linee di credito – può mettere in seria difficoltà l’operatività quotidiana dell’impresa, causando carenze di liquidità immediata.

Rischi per l’azienda debitrice: Oltre al rischio esecutivo (pignoramenti) e reputazionale (segnalazione come “cattivo pagatore”), vi è il pericolo concreto che la revoca dei fidi inneschi un effetto domino: l’azienda con conti bloccati non paga fornitori e tasse, aggravando la crisi. Inoltre, se soci o amministratori hanno prestato fideiussioni personali, la banca potrebbe aggredire direttamente il patrimonio personale di costoro in caso di inadempimento dell’azienda. Questo espone i garanti a esecuzioni sui propri beni (es. ipoteca sulla casa del socio garante, pignoramento dello stipendio personale, ecc.).

Come difendersi: Innanzitutto, è consigliabile dialogare tempestivamente con la banca appena si manifestano difficoltà finanziarie. In molti casi la banca può accettare una rinegoziazione del debito: ad esempio, una moratoria temporanea (sospensione dei pagamenti per alcuni mesi), un piano di rientro rateale più lungo, o la conversione di affidamenti a breve termine in finanziamenti a medio termine. Già durante la pandemia COVID furono attivate moratorie generalizzate; oggi, l’azienda può negoziare accordi ad hoc supportati magari da garanzie pubbliche (es. Fondo PMI) se la crisi è temporanea. Spiegare alla banca un piano di rilancio credibile e dimostrare trasparenza può incentivarla a evitare soluzioni drastiche immediate.

Dal punto di vista legale, è essenziale verificare la legittimità del credito bancario vantato: talvolta da un’analisi tecnica dei conti correnti o dei contratti di mutuo emergono addebiti illegittimi (anatocismo, usura, commissioni non dovute). Se ad esempio la banca ha applicato interessi di mora o tassi eccedenti la soglia d’usura, la parte di debito corrispondente può essere contestata e sottratta dal saldo dovuto . Oppure, nei conti affidati, verificare se vi è stato anatocismo (capitalizzazione illegittima degli interessi passivi): la giurisprudenza ha riconosciuto il diritto del correntista a ricalcolare il saldo senza anatocismo per il periodo precedente al 2000 (quando fu vietata tale pratica). Una perizia contabile può quantificare l’eventuale riduzione del debito reclamato dalla banca, offrendo così all’azienda margine per una trattativa (o per una causa, se necessario).

Se la banca revoca il fido o chiede rientro immediato di somme elevate, l’azienda può valersi di alcune tutele: ad esempio, se l’azienda avvia una composizione negoziata (vedi più avanti), può chiedere al tribunale misure protettive che inibiscano ai creditori (banche incluse) di iniziare o proseguire azioni esecutive per la durata delle trattative . Inoltre, benché non vi sia un obbligo per la banca di mantenere “a tutti i costi” le linee di credito durante una trattativa, il nuovo Codice della Crisi prevede incentivi e “moral suasion” affinché le banche collaborino in buona fede: il recente D.Lgs. 136/2024 ha sottolineato i doveri degli istituti di credito nel processo di composizione negoziata, ad esempio prevedendo che essi forniscano riscontri alle richieste dell’esperto e valutino seriamente proposte di rinegoziazione, senza considerare automaticamente “in default” l’impresa che accede alla procedura . In altre parole, se l’impresa attiva strumenti di composizione della crisi, la banca è chiamata ad evitare atteggiamenti ostruzionistici (come chiudere i rubinetti del credito senza motivo concreto) e ad esaminare soluzioni che possano portare a un recupero parziale ma concordato del proprio credito.

Infine, va ricordato che contestare giudizialmente una richiesta di pagamento della banca è possibile in alcuni casi: ad esempio, se la banca notifica un decreto ingiuntivo, l’azienda può fare opposizione entro 40 giorni eccependo l’errata quantificazione del credito (interessi non dovuti, calcoli sbagliati). Oppure, se la banca agisce in esecuzione, si possono verificare i requisiti formali (ad es. la regolare notifica del precetto e del titolo, la legittimità della garanzia escussa, ecc.) per eventualmente proporre opposizioni esecutive. Queste sono misure difensive temporanee che però, se supportate da valide ragioni, possono dare respiro e magari stimolare la banca a trattare un accordo.

Attenzione: La segnalazione negativa in Centrale Rischi in caso di insolvenza bancaria è un problema serio. Tuttavia, esistono ipotesi in cui un provvedimento d’urgenza del tribunale può inibirla. La giurisprudenza di merito e di legittimità si è interrogata sulla possibilità che, in pendenza di una procedura di composizione o concordato, si possa ordinare alle banche di non segnalare a Centrale Rischi eventi pregiudizievoli, per non compromettere le chance di risanamento. Ad esempio, un recente intervento delle Sezioni Unite (sent. Sez. Un. 8500/2021) ha escluso la possibilità di un provvedimento che imponga alla banca di continuare a concedere credito o mantenere affidamenti contro la propria volontà, ma ha aperto alla possibilità di misure di carattere cautelare volte a preservare la situazione durante le trattative . In ogni caso, l’imprenditore deve essere consapevole che la banca, come qualsiasi creditore, può anche assumere iniziative drastiche (es. chiedere il fallimento dell’azienda, se il credito è significativo e l’insolvenza conclamata). Pertanto, la parola d’ordine è proattività: anticipare le mosse, instaurare un dialogo con gli istituti finanziari e avvalersi dei professionisti (legali, consulenti finanziari) per gestire il debito bancario prima che degeneri.

Debiti fiscali e verso l’erario (Agenzia delle Entrate)

Caratteristiche: I debiti fiscali comprendono imposte e tasse dovute all’Erario. Per un’azienda, le principali voci sono IVA (imposta sul valore aggiunto), imposte sui redditi (IRES per le società, IRPEF per ditte individuali e soci di società di persone per la loro quota, addizionali), IRAP (imposta regionale sulle attività produttive), eventuali ritenute operate su redditi di lavoro (ritenute d’acconto su compensi, su stipendi – da versare all’Erario), oltre a tributi locali se dovuti (es. IMU su immobili aziendali, TARI, ecc.). Il debito fiscale può sorgere perché l’azienda non è riuscita a versare imposte autoliquidate (es. IVA periodica, acconti d’imposta) alle scadenze, oppure a seguito di controlli e accertamenti del Fisco che hanno rettificato le dichiarazioni fiscali richiedendo imposte aggiuntive, sanzioni e interessi.

Poteri del creditore (Fisco/Agenzia Entrate): L’Agenzia delle Entrate, in quanto ente impositore, notifica inizialmente avvisi di accertamento o avvisi bonari per contestare imposte non versate o indebite compensazioni, ecc. Se l’azienda non paga né impugna l’accertamento, questo diventa definitivo ed è affidato all’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AER) per la riscossione coattiva. In altri casi, per imposte dichiarate ma non versate (come l’IVA periodica), il debito viene direttamente iscritto a ruolo e si genera una cartella esattoriale emessa da AER. Dunque, è l’ente di riscossione (ex Equitalia, ora AER) che attua materialmente l’esecuzione forzata, ma i titoli su cui si basa provengono dall’Agenzia Entrate (o da altri enti creditori).

L’Agenzia Entrate, peraltro, ha poteri amministrativi importanti: può iscrivere ipoteca fiscale su immobili del debitore (anche senza passare dal giudice) se il debito supera certe soglie (oggi ~€20.000) e dopo il mancato pagamento della cartella . Può disporre il fermo amministrativo sui beni mobili registrati (veicoli) per debiti oltre €1.000. Inoltre, l’Agenzia Entrate (o meglio l’Agenzia Riscossione per essa) può effettuare pignoramenti in via amministrativa, ad esempio il pignoramento presso terzi di crediti: tipico è il pignoramento dei conti correnti bancari dell’azienda debitrice o dei crediti verso clienti. In base all’art. 72-bis DPR 602/1973, l’Agente della riscossione può pignorare crediti del contribuente senza autorizzazione giudiziaria, con notifica al terzo debitore e al debitore fiscale stesso, rendendo immediatamente indisponibili le somme (è un procedimento semplificato rispetto al pignoramento ordinario).

Un ulteriore potere è dato dalla compensazione legale tra crediti d’imposta e debiti: se l’azienda vanta crediti fiscali (rimborsi IVA, crediti da 770, ecc.), l’Erario può trattenerli per compensarli con i debiti a ruolo. Infine, va ricordato che il credito fiscale erariale gode di privilegio generale mobiliare sui beni dell’azienda, seppur con grado inferiore rispetto a salari e pochissimi altri crediti (art. 2752 c.c. – i tributi come IVA, ritenute e imposte dirette hanno privilegio generale sui mobili aziendali dopo i crediti di lavoro e alcune spese di giustizia). Nei fallimenti, quindi, il Fisco è un creditore privilegiato (anche se spesso parzialmente chirografario, specie per interessi e sanzioni che godono di grado minore o nessun privilegio, secondo la disciplina del privilegio ex art. 2752 c.c.).

Rischi per il debitore: I debiti tributari presentano rischi su più piani. In primo luogo, sanzioni e interessi possono far lievitare rapidamente l’importo dovuto. Ad esempio, il mancato versamento IVA è sanzionato di regola col 30% dell’imposta non versata (ridotto in caso di lieve ritardo), oltre interessi moratori. In caso di accertamenti, si applicano sanzioni per infedele dichiarazione (dal 90% al 180% dell’imposta evasa) più interessi, salvo definizioni agevolate.

In secondo luogo, esistono possibili conseguenze penali per omessi versamenti di talune imposte oltre soglie di importo. In particolare, l’art. 10-ter D.Lgs. 74/2000 punisce l’omesso versamento IVA per importi superiori a €250.000 per anno d’imposta (soglia confermata anche dopo la riforma 2023) ; la pena attuale è la reclusione 6 mesi–2 anni. Analogamente, l’art. 10-bis D.Lgs. 74/2000 punisce l’omesso versamento di ritenute dovute o certificate (ad es. ritenute su stipendi o compensi) per importi superiori a €150.000 annui. Tali reati si consumano se alla data di scadenza (di solito: 16 settembre dell’anno successivo per IVA, 30 settembre per le ritenute) il contribuente non ha effettuato il versamento dovuto eccedente soglia. Una recente modifica (D.Lgs. 87/2024, attuativo della riforma fiscale) ha confermato queste soglie e sospende la punibilità se nel frattempo il debito tributario viene integralmene estinto tramite rateizzazione in corso di pagamento . Ciò significa che, ad esempio, se l’azienda accumula un debito IVA di €300.000 per un anno e non lo versa, può evitare il reato chiedendo e ottenendo un piano di rateizzo prima che scadano i termini penal-tributari (solitamente entro l’anno successivo) e pagando regolarmente le rate. In ogni caso, superare tali soglie senza porvi rimedio espone l’amministratore (quale legale rappresentante) a indagini per reati tributari – e non è una difesa valida il dire “non avevo liquidità”: il dolo del reato in questi casi è generico e si realizza con la semplice consapevolezza di non aver versato.

Oltre ai profili penali, i debiti fiscali possono bloccare la vita dell’azienda: ad esempio, niente DURC regolare se vi sono contributi/tributi non pagati né rateizzati, il che impedisce di ottenere certi lavori o beneficiare di incentivi pubblici. Inoltre, l’Agenzia Riscossione può aggredire i conti aziendali – bloccandoli – o mettere all’asta beni aziendali (macchinari, immobili) con relativi pubblicità, con danno reputazionale.

Da ultimo, se i debiti tributari diventano molto elevati, l’Agenzia Entrate-Riscossione può valutare di presentare istanza di liquidazione giudiziale (fallimento) dell’azienda. Infatti, l’art. 121 CCII consente ai creditori di chiedere la dichiarazione di insolvenza di un’impresa commerciale se sussiste uno stato d’insolvenza (cessazione pagamenti) e il credito supera una certa soglia (attualmente €30.000 circa). Non di rado, è proprio l’ex Equitalia a depositare istanze di fallimento quando un contribuente imprenditore accumula cartelle per importi ingenti e non mostra volontà/possibilità di soluzione.

Come difendersi: Fortunatamente il nostro ordinamento prevede diversi strumenti per gestire e ridurre il carico dei debiti fiscali, purché il debitore sia proattivo e rispetti le procedure. Ecco le principali strategie:

  • Rateizzazione ordinaria delle cartelle esattoriali: È il metodo più immediato. Quando un debito è affidato all’Agenzia Entrate-Riscossione (AER), il debitore può chiedere un piano di dilazione. Le regole dal 1° gennaio 2025 sono state rese più flessibili . In sintesi: per importi fino a €120.000 è possibile ottenere una dilazione senza dover provare lo stato di difficoltà – basta una semplice richiesta dichiarando di essere in temporanea difficoltà – con un massimo di 84 rate mensili (7 anni) se la richiesta è presentata nel 2025-2026 (per richieste nel 2027-28 si sale a 96 rate, 2029 in poi 108 rate, in un meccanismo graduale). Se però anche sotto €120.000 si vuole allungare oltre 84 rate, o se il debito supera €120.000, bisogna documentare la situazione di crisi finanziaria. In tal caso, AER può concedere piani fino a 120 rate mensili (10 anni) . Per debiti sopra €120.000 la documentazione della difficoltà è sempre necessaria, ma ottenuta quella, si può avere comunque fino a 120 rate indipendentemente dagli anni di richiesta . Documentare la difficoltà significa presentare indici finanziari: per società si guarda ad esempio all’indice di liquidità (rapporto tra attività liquide/differite e passivo corrente) che deve essere <1, e altri indici (alfa e beta) indicati nel decreto attuativo, come da Decreto MEF 27/12/2024 . La possibilità di diluire il debito fiscale su 7–10 anni può dare ossigeno all’azienda. Importante: durante la rateizzazione, le azioni esecutive restano sospese e il DURC torna regolare (in presenza di un piano attivo l’INPS considera “regolarizzato” il debito ai fini contributivi). Bisogna però rispettare le rate: se si saltano più di 5 rate, anche non consecutive, la rateizzazione decade e il debito residuo torna immediatamente esigibile in unica soluzione, con riattivazione delle procedure esecutive.
  • Definizioni agevolate (rottamazioni): Negli ultimi anni sono state introdotte varie rottamazioni delle cartelle esattoriali (2016, 2017, 2018, la “rottamazione-ter” nel 2019 e la “rottamazione-quater” nel 2023). Queste misure straordinarie hanno permesso ai debitori di pagare solo il capitale e gli interessi legali, stralciando sanzioni e interessi di mora . Ad esempio, la rottamazione-quater (Legge di Bilancio 2023) consentiva di definire i ruoli dal 2000 al 30/6/2022 pagando il dovuto senza sanzioni né interessi di mora, anche in 18 rate in 5 anni. Al momento (ottobre 2025) non sono aperti nuovi termini per rottamazione – l’ultima scadeva il 30 giugno 2023 per la domanda. È possibile che in futuro nuove misure di definizione agevolata vengano varate (la storia recente mostra interventi quasi biennali su questo fronte). Il debitore deve stare attento a eventuali nuovi provvedimenti normativi: approfittare di un condono o rottamazione quando disponibile può ridurre drasticamente il debito fiscale. In mancanza, resta la via ordinaria della rateazione e delle procedure concorsuali.
  • Transazione fiscale nelle procedure concorsuali: Se l’azienda accede a un concordato preventivo o conclude un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato dal tribunale, può ottenere il cram-down sui crediti tributari. In altre parole, la legge consente di proporre al Fisco un pagamento parziale dei suoi crediti (anche privilegiati) nell’ambito di un piano concorsuale, purché la proposta sia conveniente rispetto alla liquidazione . Questa è la cosiddetta transazione fiscale, regolata (nel CCII) dagli artt. 63 e 88 per gli accordi e il concordato rispettivamente. In passato l’Erario era restio ad accettare meno del 100% sui tributi privilegiati, ma oggi la norma consente espressamente di trattare anche su IVA e ritenute (che prima erano “intangibili”) purché l’alternativa – la liquidazione fallimentare – darebbe loro un soddisfacimento inferiore. Ad esempio, se in caso di fallimento il Fisco recupererebbe solo il 20%, nel concordato può accettare il 30% proposto. Dal 2021 inoltre il voto del Fisco in concordato può essere superato dal tribunale se si raggiungono certe maggioranze (omologazione anche con voto contrario dell’Erario, il cosiddetto cram-down fiscale, introdotto col DL 125/2020 e ora a regime). Dunque, la soluzione concorsuale giudiziale permette di ridurre l’ammontare effettivamente pagato sui debiti fiscali, all’interno di un piano di ristrutturazione completo, ma richiede ovviamente di intraprendere la procedura formale (costi, tempi e perdita di riservatezza sono i contrappesi).
  • Impugnare accertamenti ingiusti: Qualora il debito fiscale derivi da un accertamento che si ritiene infondato (es: l’Agenzia contesta ricavi non dichiarati che in realtà non esistevano, o nega deduzioni spettanti, ecc.), difendersi significa presentare ricorso tributario dinanzi alla Giustizia Tributaria (Commissione Tributaria Provinciale in primo grado). Il ricorso sospende l’esecutività oltre il 50% dell’imposta: generalmente, dopo un accertamento esecutivo, bisogna pagare un terzo dell’imposta entro 60 giorni, salvo chiederne la sospensione al giudice. Se si ha ragione, l’accertamento viene annullato o ridotto e il debito fiscale conseguentemente cala. Questa è una tutela giurisdizionale essenziale per non subire passivamente pretese fiscali sbagliate. I termini per impugnare sono di 60 giorni dalla notifica dell’atto (accertamento/cartella); in casi di merito complessi conviene farsi assistere da un tributarista o avvocato specializzato. NB: Se la controversia è pendente, è più facile anche ottenere dall’AER una sospensione delle azioni di recupero in attesa della sentenza.
  • Alert e segnalazioni precoci: Da luglio 2022 (con effetti pratici dal 2023-24) è in vigore un sistema di segnalazioni obbligatorie da parte dei creditori pubblici qualificati (Agenzia Entrate, INPS, INAIL, AER) quando i debiti di un’impresa superano certe soglie. Ad esempio, l’Agenzia Entrate deve segnalare all’impresa e all’organo di controllo se l’IVA non versata supera €5.000 ed è pari ad almeno il 10% del fatturato, o in ogni caso se supera €20.000 ; l’INPS segnala se i contributi arretrati superano il 30% di quelli dovuti in un anno e almeno €15.000 (aziende con dipendenti) o se >€5.000 per ditte senza dipendenti . L’Agenzia Riscossione segnala se i debiti a ruolo scaduti >90 giorni superano €100.000 per ditte individuali, €200.000 per società di persone, €500.000 per S.r.l. e altre società di capitali . Queste segnalazioni avvengono via PEC e invitano formalmente l’azienda a “valutare di presentare istanza di composizione negoziata” . Perché ciò rileva? Perché se un’azienda riceve tali alert e non fa nulla, gli organi pubblici (anche tramite l’OCRI – Organismo di Composizione della Crisi) possono successivamente attivarsi per avviare procedure o informare il Tribunale. Al contrario, se l’imprenditore reagisce attivando una composizione negoziata o risolvendo il debito segnalato, può beneficiare di misure premiali (ad esempio, il Codice prevede che i sindaci e revisori che hanno segnalato tempestivamente la crisi sono esentati da certe responsabilità, e l’imprenditore che si attiva spontaneamente prima dell’insolvenza può ottenere attenuanti importanti) . In pratica, la segnalazione su debiti fiscali è un’opportunità per mettersi in regola con una rateazione o per entrare in una procedura assistita: ignorarla espone il debitore a rischi maggiori (come l’intervento del tribunale d’ufficio).

Riassumendo, per i debiti fiscali le parole chiave sono rateizzare (per gestire il flusso di cassa ed evitare sanzioni penali), definire agevolmente (se e quando possibile), e includere il Fisco in eventuali piani di ristrutturazione. Il tutto senza dimenticare di prevenire: accantonare per tempo le somme dovute (specie IVA e ritenute, che sono somme “fiduciarie” incassate per conto dello Stato) ed evitare di utilizzare liquidità dovuta al Fisco per altre finalità aziendali, se non in situazioni veramente eccezionali. L’utilizzo sistematico dell’IVA come fonte di finanziamento a breve (non pagandola alle scadenze) è pericolosissimo: come indicato, oltre una certa soglia si sconfina nel penale, e comunque l’accumulo di cartelle IVA porta rapidamente all’insolvenza finanziaria e reputazionale dell’azienda.

Debiti contributivi e previdenziali (INPS, INAIL, casse)

Caratteristiche: Sono i debiti verso gli enti previdenziali e assicurativi, principalmente INPS (contributi pensionistici obbligatori) e INAIL (premi assicurativi contro gli infortuni sul lavoro), oltre a eventuali casse professionali se l’azienda ha professionisti iscritti a casse (meno comune in contesto aziendale). Rientrano qui sia i contributi dovuti per i dipendenti (quota a carico datore e quota a carico lavoratore trattenuta in busta paga) sia i contributi dei titolari stessi (es. gestione IVS artigiani/commercianti per il titolare di ditta individuale o i soci lavoratori di S.n.c./S.a.s., contributi gestione separata per gli amministratori di S.r.l., etc.). Debiti verso INPS possono anche derivare da avvisi di addebito emessi per omissioni contributive accertate in seguito a ispezioni (ad es. lavoro nero, etc.).

Poteri del creditore (enti previdenziali): INPS e INAIL hanno poteri analoghi al Fisco in termini di riscossione, in quanto si avvalgono anch’essi dell’Agenzia Entrate-Riscossione per la fase coattiva. In particolare, l’INPS emette un avviso di addebito (titolo esecutivo) per i contributi non versati, che viene direttamente trasmesso all’AER: non serve un decreto ingiuntivo né altro. L’INAIL fa analogamente per i premi non pagati. Dunque, trascorsi i termini di pagamento volontario, anche i contributi sfociano in cartelle esattoriali o avvisi immediatamente esecutivi. I privilegi a tutela di questi crediti sono ancora maggiori: i contributi INPS hanno privilegio generale sui mobili (art. 2753 c.c.) sopra anche ai crediti tributari (vengono subito dopo i crediti di lavoro); alcuni contributi hanno privilegio anche su immobili (es. contributi fondi di previdenza ex art. 2778 c.c., ma dettagli tecnici a parte, contano come crediti molto “protetti”). Inoltre esiste un Fondo di Garanzia INPS che interviene, in caso di insolvenza del datore di lavoro, a pagare ai dipendenti gli ultimi stipendi e il TFR: tuttavia il Fondo si surroga poi nei loro crediti nel fallimento. In pratica, l’INPS (che gestisce il Fondo) può insinuarsi al posto del dipendente dopo aver pagato, e gode dello stesso privilegio del dipendente. Quindi l’INPS può presentarsi come creditore sia per i contributi non pagati, sia per le somme anticipate al posto dell’azienda ai dipendenti.

Rischi per il debitore: Innanzitutto, l’omesso versamento dei contributi trattenuti ai lavoratori (le ritenute previdenziali) oltre una certa soglia costituisce reato. Nello specifico, omesso versamento di ritenute INPS per importi > €10.000 annui è fattispecie penale (art. 2 comma 1-bis D.L. 463/1983 conv. in L. 638/1983): prevede la reclusione fino a 3 anni o la multa fino a €1.032 . Sotto €10.000 annui invece è depenalizzato (sanzione amministrativa pecuniaria €10.000–50.000). Questa soglia di €10.000 si calcola sommando tutte le ritenute non versate nell’anno. È una soglia bassa – basta non pagare pochi stipendi medi – quindi attenzione: un ritardo prolungato nel versare i contributi dipendenti porta l’amministratore verso un potenziale procedimento penale. Anche qui, vi è una chance di “ravvedimento”: se entro il termine di pagamento dei contributi dell’anno successivo il datore versa il dovuto (o ottiene una dilazione e poi paga), il reato è escluso. Ma se trascorre l’anno successivo senza pagamento, il reato si perfeziona. È dunque imperativo non accumulare troppi mesi di contributi dipendenti non pagati, e comunque rimediare entro l’anno seguente.

Un altro rischio: DURC irregolare. Il Documento Unico di Regolarità Contributiva attesta il pagamento di contributi e premi; se l’azienda ha debiti verso INPS/INAIL non regolarizzati, il DURC risulterà “negativo”, impedendole di partecipare a gare pubbliche, di ricevere pagamenti da appalti pubblici in corso, di beneficiare di bonus fiscali e contributivi. Un DURC irregolare può dunque precludere opportunità di lavoro e finanziamenti. Anche i rapporti con clienti privati possono essere condizionati: diversi contratti commerciali prevedono l’obbligo di DURC regolare (specie se l’azienda lavora in subappalto per grandi imprese che richiedono filiera regolare).

In termini di riscossione coattiva, AER può fare le stesse azioni viste per il Fisco: pignoramenti, fermi, ipoteche. Ulteriore problema: i crediti INPS per contributi non versati dei dipendenti possono comportare per i dipendenti stessi la mancata maturazione di benefici pensionistici se non sanati (anche se in parte il periodo è coperto figurativamente in caso di fallimento, e i dipendenti possono chiedere al fondo di garanzia TFR e ultime 3 mensilità).

Come difendersi: Anche qui la rateizzazione è la prima linea di difesa. I debiti contributivi confluiscono nelle stesse procedure di dilazione con AER descritte sopra per i tributi (spesso cartelle miste contengono entrambi). Quindi, un piano di rate di 6–10 anni con l’Agenzia Riscossione coprirà anche gli importi INPS/INAIL. Durante la rateizzazione, l’INPS rilascia il DURC regolare (la normativa prevede che se c’è un piano in corso e si è in regola con le rate, l’azienda è considerata adempiente). Questo è cruciale per evitare il blocco attività su cantieri o forniture pubbliche.

Se le somme sono notevolmente elevate e non sostenibili, il debitore può includerle in un piano di ristrutturazione come per il Fisco: la transazione contributiva consente, analogamente a quella fiscale, di proporre un pagamento parziale di contributi e premi in concordato preventivo o accordo, con il vincolo di rispettare la priorità dei crediti dei lavoratori. In pratica, contributi e premi Inail hanno privilegio come i tributi, quindi possono essere falcidiati in concordato se la proposta è migliorativa rispetto alla liquidazione. L’INPS di solito aderisce se vede che il concordato offre di più di quanto recupererebbe dalla liquidazione giudiziale.

Per quanto riguarda le sanzioni civili (interessi e sanzioni INPS per ritardato pagamento), l’INPS applica sanzioni che possono essere parzialmente ridotte se i contributi vengono poi versati spontaneamente (esiste l’istituto del ravvedimento operoso contributivo con sanzioni ridotte). Se la situazione è di crisi conclamata, l’azienda può chiedere all’INPS anche una dilazione amministrativa per i contributi correnti (se ancora non sono a ruolo): l’INPS concede piani di rate (fino a 24 rate, estensibili a 36 in casi eccezionali) su richiesta prima che il debito passi ad AER. Tuttavia, spesso ormai i contributi vanno veloci in carico ad AER (30 giorni dopo la scadenza non pagata, l’INPS emette avviso di addebito esecutivo).

Una difesa peculiare è quella contro avvisi di addebito non dovuti o errati: se l’INPS richiede contributi per periodi prescritti o per importi non corretti (es. in una verifica accredita compensazioni già effettuate), l’azienda può presentare ricorso amministrativo all’INPS o direttamente ricorso giudiziario al Tribunale (sezione lavoro, competente sulle controversie contributive) entro 40 giorni dall’avviso. Questo può sospendere la riscossione e portare all’annullamento in tutto o in parte del debito contributivo, se l’azienda ha ragione.

Un consiglio importante è comunicare con i dipendenti in caso di ritardi nei versamenti. Spesso i dipendenti percepiscono subito se i contributi non vengono versati (possono controllare l’estratto contributivo INPS). Una comunicazione onesta sullo stato di crisi e sulle misure che l’azienda sta prendendo (ad es. “abbiamo chiesto una rateizzazione e pagheremo con un po’ di ritardo ma garantiamo il versamento dovuto”) può evitare allarmismi e fughe di personale chiave. Ricordiamo che se gli stipendi non vengono pagati e i contributi neppure, il dipendente può dimettersi per giusta causa (come visto nella fonte Moscarini: la sospensione/mancato pagamento è grave inadempimento e legittima dimissioni con diritto alla NASpI) . Il che per l’imprenditore significa perdere lavoratori e dover magari pagare il TFR immediatamente (che se non pagato, verrà chiesto al Fondo di Garanzia, che poi si rivarrà). Dunque, la gestione “umana” del problema debiti contributivi è anche essa parte del “difendersi”: mantenere, dove possibile, un buon rapporto con i dipendenti, eventualmente concordando soluzioni temporanee (ferie forzate, cassa integrazione se attivabile, riduzione orario condivisa) per superare il momento difficile.

In conclusione, i debiti previdenziali vanno affrontati con la stessa serietà dei debiti fiscali: mai considerarli di second’ordine. Anzi, come visto, le conseguenze penali scattano a soglie ben più basse (€10k) e l’impatto su DURC e rapporti di lavoro può mettere in ginocchio l’azienda. Rateizzare immediatamente, pagare correntemente il nuovo maturando (per non aggravare il buco), e considerare l’inserimento in un piano di ristrutturazione complessivo sono le armi principali di difesa.

Debiti verso fornitori e altri creditori privati

Caratteristiche: I debiti verso fornitori (altri imprenditori o professionisti) nascono dalla fornitura di beni e servizi necessari all’attività aziendale (materie prime, componenti come i raccordi stessi se l’azienda li rivende, servizi di logistica, consulenze, ecc.). Sono normalmente debiti chirografari (non garantiti da privilegi speciali, salvo eventuali patti di riservato dominio o similari, ma di solito si tratta di merce consegnata e fatturata). Oltre ai fornitori commerciali, qui consideriamo anche debiti verso fornitori di servizi essenziali (utenze: energia, gas, telefono) e locatori (affitto del capannone o uffici) – anch’essi creditori chirografari, sebbene i canoni di locazione impagati possano portare a risoluzione del contratto e sfratto. Includiamo in questa categoria anche debiti verso eventuali finanziatori privati non bancari (es. società di leasing o di factoring che non sono banche, soci finanziatori per prestiti infruttiferi, ecc.), che non rientrano nelle categorie protette discusse prima.

Poteri del creditore (fornitori e altri): Un fornitore commerciale ha strumenti più limitati rispetto a Fisco e banche, ma comunque efficaci: se la fattura non viene pagata, può innanzitutto sospendere ulteriori forniture (il che può creare problemi operativi all’azienda debitrice, specie se si tratta di fornitori strategici o con poco mercato alternativo). Può inoltre agire giudizialmente per il recupero: tipicamente mediante decreto ingiuntivo per le fatture non saldate. Essendo l’azienda debitrice un soggetto commerciale, il fornitore può ottenere un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo se dimostra che il credito si fonda su fatture accompagnate da estratto notarile delle scritture contabili (art. 642 c.p.c.), oppure trascorsi 40 giorni senza opposizione il decreto diventa definitivo ed esecutivo. Ottenuto il titolo, il fornitore può procedere a pignoramenti di beni aziendali, crediti ecc., in concorrenza con altri eventuali creditori. Non avendo privilegi, il fornitore chirografario si soddisfa su ciò che resta dopo i crediti privilegiati, se va a esecuzione concorsuale (ad esempio in un fallimento, i fornitori sono ultimi nella graduatoria – spesso prendono poco o nulla ). Proprio per questo, i fornitori hanno però una leva: essi possono, se il debitore è insolvente verso più creditori, promuovere un’istanza di fallimento (liquidazione giudiziale). In Italia è sufficiente un creditore non pagato (anche di importo relativamente contenuto ma non bagatellare) per aprire una procedura concorsuale, purché l’insolvenza sia accertabile. Anche se la soglia formale per legittimare l’istanza è €30.000 di credito, in passato istanze per importi minori sono state ammesse se rivelavano uno stato di insolvenza più ampio. Il fornitore, quindi, quando vede il debitore in forte difficoltà, ha l’arma di minacciare o avviare la procedura concorsuale: questo spesso spinge l’azienda debitrice a cercare un accordo per evitare il peggio.

Altri creditori privati come locatori possono, come detto, risolvere il contratto per morosità (dopo tot giorni di ritardo) e agire con sfratto e decreto per canoni arretrati. Le società di leasing possono revocare il possesso dei beni in leasing se le rate non vengono pagate (in base alla clausola risolutiva espressa nei contratti di leasing); recuperano il bene e chiedono saldo delle somme dovute. Tutte queste azioni peggiorano la situazione aziendale.

Rischi per l’azienda debitrice: Il rischio primario è la perdita dei rapporti commerciali e quindi la difficoltà nel proseguire l’attività: se i fornitori bloccano le consegne per insoluto, l’azienda potrebbe non avere più materie prime o merci da vendere, portandola a fermare la produzione. Ciò può far perdere clienti e quote di mercato. Alcuni fornitori chiave potrebbero essere insostituibili in tempi brevi (pezzi speciali, know-how): un’interruzione può portare l’azienda vicina al collasso operativo. Secondariamente, come detto, c’è il rischio di azioni legali multiple: decreti ingiuntivi, pignoramenti di conti e beni mobili (magari i furgoni pignorati, le merci in magazzino sequestrate da un Ufficiale Giudiziario su istanza di un creditore, ecc.) – il tutto genera disordine e peggiora la crisi perché la gestione quotidiana viene intralciata.

Inoltre, attenzione: pagare solo alcuni fornitori e non altri, in situazione di insolvenza conclamata, può esporre a azioni revocatorie fallimentari qualora poi l’azienda fallisca. Cioè, se l’imprenditore – cercando di tenere aperta l’attività – decide di pagare il fornitore A (perché strategico) e non pagare B e C, e poi dopo pochi mesi fallisce, il curatore potrebbe agire per revocare il pagamento fatto ad A (se avvenuto entro 6 mesi dall’inizio procedure e fuori dall’ordinaria amministrazione, come spesso è un pagamento insolito). Quindi la gestione dei debiti fornitori in crisi deve essere attenta per non incorrere in preferenze perseguibili successivamente.

Come difendersi: La prima regola è comunicare anche con i fornitori, soprattutto quelli più importanti. Molti fornitori preferiscono piani di rientro concordati piuttosto che perdere per sempre un cliente o portarlo a fallimento (rischiando di incassare molto meno). Si può proporre al fornitore un pagamento dilazionato del dovuto arretrato (ad esempio: “ti pago il 50% ora e il resto in 6 mesi a rate”) magari accompagnato da impegni per proseguire la collaborazione. In alcuni casi, per fornitori di lunga data, si può arrivare a un saldo e stralcio: il fornitore accetta di ridurre il credito (es. togliere interessi di mora o una parte di capitale) in cambio di un pagamento immediato di una certa percentuale. Queste trattative vanno condotte con tatto e trasparenza: fornire al creditore elementi sul piano di rilancio, far capire che tutti i creditori stanno facendo sacrifici (nessuno è trattato molto meglio degli altri), può aiutarne l’accettazione.

Una tecnica possibile, se l’azienda ha molti debiti verso fornitori, è tentare un accordo multiparte: ad esempio convocare i principali fornitori e proporre un accordo collettivo di ristrutturazione dei debiti (una sorta di “workout” extra-giudiziale). Questo è di fatto un contratto privato sottoscritto da più creditori e dal debitore, in cui tutti accettano una certa dilazione o riduzione. Ha il pregio di dare una soluzione unitaria, ma il difetto è che vincola solo i firmatari: se restano fuori alcuni creditori, potrebbero agire per conto proprio vanificando lo sforzo. Comunque, accordi di moratoria di categoria (es. con tutti i fornitori di materia prima X) possono stabilizzare temporaneamente la situazione.

Dal lato difensivo/legale, se un fornitore ottiene un decreto ingiuntivo, l’azienda può fare opposizione se ha contestazioni da sollevare (merce difettosa? ritardi nella consegna? differenze nei conteggi?). In mancanza di contestazioni reali, però, l’opposizione serve solo a prendere tempo e rischia di aggravare i costi (interessi e spese legali). Può essere utile invece cercare di guadagnare tempo in altro modo: ad esempio pagando parzialmente un creditore in cambio che sospenda l’azione legale (una “moratoria individuale”). Oppure, se l’azienda ha i requisiti, valutare di attivare una procedura concorsuale che generi un “automatic stay” sulle azioni esecutive: quando si deposita una domanda di concordato preventivo con riserva, il tribunale può emettere provvedimenti per sospendere le esecuzioni in corso e vietare nuovi atti esecutivi (art. 54 CCII). Similmente, la composizione negoziata consente di chiedere misure protettive contro i creditori per la durata delle trattative . Ciò può bloccare i pignoramenti dei fornitori, dando respiro mentre si cerca un accordo strutturato.

In concreto, conviene individuare i fornitori critici – quelli senza i quali l’attività si ferma – e assicurarsi di tenerli motivati: magari continuando a pagarli regolarmente per le forniture correnti (cash on delivery, pagamento anticipato sulle nuove consegne) e negoziando a parte il pregresso. Questo li invoglia a proseguire gli ordini. I fornitori meno strategici, se lamentano mancati pagamenti, potrebbero essere sostituiti cercando altri fornitori (ove possibile) per evitare che anch’essi abbiano leva su di noi; ma attenzione al rischio reputazionale nel mercato.

Quando i debiti fornitori diventano ingestibili, è segnale che l’azienda è in insolvenza o quasi. A quel punto entrare in una procedura formale può essere inevitabile. Ad esempio, un concordato preventivo può essere usato per congelare tutti i debiti chirografari verso fornitori e poi pagargli una percentuale concordata (es: 40%) in un certo periodo, se la maggioranza accetta il piano. I fornitori di solito costituiscono la massa dei creditori chirografari e avranno voce nel votare il concordato. Se vedono che è l’unico modo per ottenere qualcosa (contro il nulla in caso di fallimento), molti votano a favore. Quindi, l’utilizzo di concordato con continuità aziendale può permettere di continuare l’attività ottenendo dai fornitori la fornitura continua (magari pagando i nuovi acquisti in prededuzione) e trattando il loro vecchio credito in percentuale.

Caso particolare – utenze e affitti: Le utenze essenziali (luce, acqua, gas, telecomunicazioni) godono di una tutela speciale in procedure concorsuali: non possono essere sospese dal fornitore per morosità pregressa se il debitore ne chiede la continuazione e paga il nuovo consumo corrente (art. 116 CCII, “beni e servizi essenziali”). Quindi, se si avvia un concordato o una liquidazione giudiziale, le utenze non possono staccare il servizio per bollette vecchie non pagate, a certe condizioni. Questo principio, pur non applicabile fuori dalle procedure, evidenzia come in situazioni di crisi anche i fornitori di servizi pubblici debbano garantire un minimo vitale di operatività al debitore in concordato. Prima di arrivare a tanto, però, l’azienda può sempre cercare di negoziare con il locatore (es. ottenere una riduzione temporanea del canone o un posticipo) e con i gestori di servizi (piani di rientro bollette). Spesso, soprattutto dopo emergenze (tipo Covid), molti locatori hanno preferito ridurre l’affitto per qualche mese piuttosto che perdere il conduttore. Il tutto va messo nero su bianco per evitare fraintendimenti (accordo scritto di dilazione/perdono parziale canoni).

In sintesi, verso i creditori privati la difesa è in primis negoziale: trovare accordi volontari e prevenire azioni legali. Se queste partono, valutare opposizioni solo se fondate, altrimenti puntare su soluzioni di più ampio respiro (accordo collettivo, composizione assistita, concordato) per inglobare e regolare tutti i debiti in una volta. La frammentazione di azioni esecutive è pericolosa: meglio una strategia globale che fermi il “tiro alla fune” di ogni creditore per conto proprio.

Debiti verso dipendenti

Caratteristiche: Includiamo qui i debiti per retribuzioni non pagate ai dipendenti, per trattamento di fine rapporto (TFR) non accantonato o liquidato, e per eventuali indennità varie (ferie non godute, straordinari, rimborsi). È una categoria spesso trascurata quando si parla di indebitamento, ma fondamentale sia sul piano giuridico sia umano: i dipendenti credono nel puntuale pagamento degli stipendi, e un ritardo può gettarli in difficoltà economica personale e minare la fiducia nell’azienda.

Poteri dei creditori (lavoratori): Il lavoratore dipendente ha a disposizione procedure giudiziarie molto rapide ed efficaci. Può presentare ricorso al tribunale del lavoro per decreto ingiuntivo relativo alle retribuzioni dovute (generalmente l’ingiunzione per crediti di lavoro è immediatamente esecutiva ex lege). Può altresì ricorrere al giudice per ottenere un’ingiunzione di pagamento delle ultime mensilità e TFR, allegando buste paga e contratto. La tutela dei lavoratori è rinforzata anche dal fatto che, in caso di insolvenza conclamata (fallimento), interviene il Fondo di Garanzia INPS che paga al dipendente il TFR e le ultime tre mensilità impagate . Tuttavia, per attivare il Fondo occorre che vi sia una procedura concorsuale oppure che il lavoratore abbia tentato invano l’esecuzione individuale (ci vuole l’attestazione di inesigibilità). Quindi, se l’azienda non è fallita, il dipendente può comunque pignorare i conti o altri beni (macchinari, auto aziendali) per soddisfarsi. E i crediti di lavoro hanno privilegio generale mobiliare molto elevato: le ultime sei mensilità di retribuzione e il TFR di tutto il rapporto godono del privilegio di cui all’art. 2751-bis n.1 c.c., che è secondo solo ai crediti prededucibili (costituisce un privilegio di rango primario in concorso ). Ciò significa che in caso di pignoramento mobiliare concorrente, il lavoratore avrà precedenza su quasi tutti gli altri crediti chirografari o privilegiati di grado inferiore (ad es. batte il Fisco, che come visto viene dopo i lavoratori). Anche sugli immobili ci sono privilegi per alcune mensilità se il lavoratore è addetto all’immobile (caso specifico di custodi, agricoli, non comune in altri contesti).

Rischi per l’azienda debitrice: Il primo rischio è la perdita del personale. Se gli stipendi saltano per uno-due mesi, è verosimile che i dipendenti inizino a cercare un altro posto. Quelli con qualifiche più appetibili se ne andranno per primi, lasciando l’azienda magari sguarnita di figure chiave (tecnici specializzati, commerciali con contatti). Inoltre c’è il rischio di un conflitto sindacale o di scioperi: i dipendenti possono proclamare lo sciopero per i mancati pagamenti, paralizzando l’attività produttiva e peggiorando la crisi. In secondo luogo, come già accennato, c’è il rischio legale: dimissioni per giusta causa (senza preavviso) di massa – scenario in cui l’azienda si ritrova scoperta e comunque deve pagare il TFR immediatamente, pena cause. E se l’azienda entra in procedura concorsuale, i dipendenti saranno tra i primi ad essere soddisfatti sul ricavato (e se quell’attivo non basta, subentrerà il Fondo di Garanzia a pagare loro e poi insinuerà il credito surrogandosi). Da notare: se la crisi porta a licenziamenti o riduzioni di personale, possono insorgere ulteriori costi come l’indennità di mancato preavviso, eventuali oneri di NASpI per licenziamento (contributo di licenziamento a carico del datore), oltre ovviamente alle eventuali vertenze per licenziamento illegittimo se le procedure non sono seguite correttamente.

Come difendersi: La prima difesa è coinvolgere i lavoratori nel salvataggio. Se l’azienda sta affrontando difficoltà, spesso la sincerità paga: spiegare la situazione e magari elaborare insieme soluzioni temporanee (ad esempio: “Proviamo a usare il contratto di solidarietà / cassa integrazione straordinaria per crisi, così voi prendete un assegno dall’INPS e l’azienda riduce i costi mentre ristruttura”). Esistono strumenti come la Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria/Straordinaria (CIG) per crisi aziendale, riorganizzazione o in caso di concordato preventivo in continuità. Attivare ammortizzatori sociali permette di far pagare allo Stato in parte le retribuzioni per un periodo, alleggerendo l’onere e dando un respiro all’impresa. Naturalmente servono i requisiti e accordi sindacali, ma è un’àncora importante.

Se non c’è cassa integrazione, un’altra strada è contrattare con i dipendenti delle dilazioni negli stipendi: ad esempio, pagare con qualche settimana di ritardo ma fornendo magari un bonus futuro se la situazione migliora. Ci vuole molta buona volontà da parte loro, che si ottiene solo se c’è fiducia nell’imprenditore. Promettere e non mantenere distrugge questa fiducia.

Legalmente, se l’azienda decide di avviare un concordato preventivo, i contratti di lavoro possono proseguire o essere sospesi entro certi limiti (nel nuovo CCII, il commissario/azienda può chiedere l’autorizzazione a interrompere contratti non essenziali, ma il lavoro subordinato di solito continua). Il curatore di una liquidazione giudiziale ha la facoltà entro 4 mesi di continuare o recedere dai rapporti di lavoro ; ma se recede (licenzia), i lavoratori come detto hanno tutela del Fondo e prelazione. In un concordato in continuità, l’azienda può anche prevedere la riduzione del personale come parte del piano (col pagamento dei TFR e crediti lavoro in prededuzione o privilegio).

Dal punto di vista del difendersi dai lavoratori, c’è poco da fare in verità: hanno ragione da vendere quando reclamano il loro salario, e i giudici del lavoro agiscono celermente a loro favore. Quindi più che “difendersi” giuridicamente, si deve evitare di arrivare al contenzioso. A differenza di banche e fornitori, con i dipendenti si gioca sul capitale umano e fiduciario: se ancora possibile, l’imprenditore può motivarli magari prospettando partecipazioni future agli utili o un piano di rilancio che li veda coinvolti (a volte accordi di ristrutturazione prevedono anche conversione di parte dei crediti dei dipendenti in strumenti partecipativi). In contesti estremi, si può considerare la procedura di concordato preventivo con continuità indiretta: vendere o affittare l’azienda a un soggetto terzo che ne garantisca la prosecuzione (assorbendo i dipendenti) e usare il ricavato per pagare anche i crediti del personale. Questo garantisce continuità occupazionale, il che spesso è supportato anche dai sindacati e porta i dipendenti a essere collaborativi.

In definitiva, difendersi dai debiti verso i dipendenti equivale a prendersi cura dei dipendenti nella crisi. Non pagarli è l’ultima spiaggia e va sanata quanto prima: i costi sociali e d’impresa di una forza lavoro demotivata o perduta sono altissimi. Dunque, l’azienda con debiti di questo tipo deve integrarli nel piano di salvataggio con priorità, anche perché – giuridicamente parlando – quei debiti sono prioritari su quasi tutti gli altri nella graduatoria del concorso .

Dopo questa disamina delle tipologie di debito e delle relative strategie difensive specifiche, passiamo a presentare una panoramica degli strumenti generali di risanamento o liquidazione previsti dalla normativa italiana. Molte delle soluzioni accennate (come la composizione negoziata, il concordato preventivo, ecc.) verranno ora trattate più sistematicamente, per capire come un imprenditore può attivarle e in quali situazioni risultano più adatte.

Soluzioni stragiudiziali per la gestione della crisi d’impresa

Quando un’azienda è sovraindebitata ma vuole evitare – o almeno rinviare – un intervento del tribunale, può percorrere varie strade stragiudiziali, ossia basate su accordi volontari e strumenti negoziali. Tali percorsi, se funzionano, consentono di ristrutturare i debiti e risanare l’impresa senza le formalità e la pubblicità di una procedura concorsuale vera e propria. La normativa italiana prevede anche alcuni istituti ibridi, che pur restando nell’ambito negoziale privato godono di alcuni effetti legali (come la protezione da revocatorie). Vediamo i principali strumenti extra-giudiziali a disposizione del debitore.

Trattative private e accordi con i creditori (soluzioni “fai da te”)

Cosa sono: Si tratta della via più naturale: l’imprenditore, da solo o assistito da un consulente finanziario-legale, contatta i propri creditori e cerca di trovare accordi bilaterali o multilaterali per ristrutturare il debito. Può assumere forme diverse: un piano di rientro informale (dove l’azienda si impegna a pagare tot al mese e il creditore aspetta), un saldo e stralcio (pagamento di una percentuale ridotta a fronte di cancellazione del residuo debito), oppure una moratoria temporanea (sospensione per X mesi delle scadenze, poi ripresa normale). Queste intese possono essere formalizzate per iscritto ma rimangono contratti privati, non soggetti ad omologazione o intervento di autorità pubbliche.

Vantaggi: La riservatezza – si evita la pubblicità negativa di un “concordato” o “fallimento” sul nome dell’azienda, e spesso i partner commerciali o le banche neanche vengono a sapere dei problemi se gli accordi sono limitati ad alcuni creditori. Flessibilità e velocità – le parti possono costruire soluzioni su misura, senza dover rispettare i formalismi di legge (ad esempio, possono scegliere di pagare un creditore al 100% e un altro al 50% senza incorrere immediatamente in illegalità, cosa che invece in un concordato formale sarebbe sottoposta a regole di par condicio; attenzione però che ciò presenta rischi di revocatoria successiva, come visto). Inoltre, non ci sono costi di procedura, né si nomina alcun commissario: l’imprenditore resta completamente al comando.

Svantaggi: Il principale limite è l’assenza di vincolatività generale. Un accordo stragiudiziale vincola solo i creditori che lo sottoscrivono. Se un creditore (anche uno solo) decide di non aderire e di procedere legalmente, può farlo e mettere in crisi l’intero castello. Non esiste un meccanismo di “maggioranza vincolante la minoranza” come nelle procedure omologate. Dunque, la riuscita di questi workout privati richiede tipicamente che vi sia un numero limitato di creditori e possibilmente omogenei negli interessi (ad esempio, solo banche, oppure un piccolo pool di fornitori principali). Se i creditori sono tanti e di categorie diverse, difficilmente si otterrà il consenso unanime necessario a una ristrutturazione completa fuori dal tribunale. Un altro svantaggio è che non c’è uno stay automatico: se oggi concordo un piano di rientro con il 90% dei creditori ma domani uno di essi cambia idea o un estraneo avvia un pignoramento, devo gestirlo senza la protezione di una procedura. Gli accordi privati quindi hanno sempre un fattore di incertezza. Inoltre, non godono di benefici legali come l’inibitoria di interessi o la sterilizzazione delle transazioni: le revocatorie fallimentari possono colpire i pagamenti fatti in esecuzione di un accordo privato, se poi l’azienda fallisce entro 2 anni (i pagamenti a creditori chirografari nei 6 mesi precedenti il fallimento sono revocabili, anche se derivavano da un piano concordato con loro). Ciò può scoraggiare i creditori dall’aderire: temono di dover restituire i soldi al curatore se la ristrutturazione fallisce lo stesso.

Quando adottarle: Gli accordi informali funzionano meglio in situazioni di crisi non gravissima, dove magari l’azienda ha un problema di liquidità temporaneo ma è sostanzialmente solvibile nel medio termine. Ad esempio, un’azienda attende incassi sicuri tra qualche mese e chiede ai fornitori di attendere, oppure un’impresa familiare chiede alla banca di spostare a fine piano le quote capitale del mutuo per 6 mesi. Queste situazioni transitorie spesso si risolvono privatamente. Anche se i creditori principali sono pochi (ad es. due banche e un paio di fornitori grossi), si può tentare un accordo ad hoc: radunare tutti intorno a un tavolo e proporre: “Vi pago il 70% del dovuto in 2 anni, oppure potete portarmi a fallimento e probabilmente incassare molto meno”. Molte volte, facendo leva sul principio del maggior vantaggio rispetto al fallimento, i creditori preferiscono negoziare.

Consigli pratici: In un workout privato è opportuno farsi assistere da consulenti che preparino un piano finanziario credibile, da presentare ai creditori. Questo piano dovrebbe mostrare come l’azienda genererà cassa per pagare le nuove rate concordate (es. taglio costi, aumento di capitale dei soci, cessione di un ramo d’azienda per fare cassa, ecc.). Più il piano appare fondato, più i creditori daranno fiducia. È bene anche stipulare gli accordi per iscritto e prevedere cosa succede se l’azienda non rispetta un pagamento (ad esempio: un periodo di tolleranza, oppure la decadenza automatica dal beneficio del termine e la possibilità per il creditore di agire subito). Tali clausole responsabilizzano il debitore. Ovviamente, bisogna poi mantenere i patti: se ci si impegna a versare 5.000 euro al mese a un fornitore e si salta la prima rata, la credibilità crolla e l’accordo salta. Quindi, promettere solo ciò che realisticamente si potrà mantenere – meglio piani prudenti che troppo ottimistici.

In conclusione, gli accordi stragiudiziali sono la soluzione migliore se è possibile coinvolgere tutti i creditori chiave e ottenere un consenso sostanzialmente unanime. Quando questo non è fattibile o la massa debitoria è troppo estesa, occorre considerare gli strumenti semi-formali offerti dalla legge, come i piani attestati e gli accordi di ristrutturazione omologati, di cui parliamo nei prossimi paragrafi.

Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII, ex art. 67 LF)

Cos’è: Il piano attestato di risanamento è uno strumento introdotto dalla legge già prima della riforma (art. 67 co.3 lett. d) legge fallimentare) e ora disciplinato dall’art. 56 del Codice della Crisi. Si tratta, in sostanza, di un piano di risanamento aziendale, redatto dall’imprenditore e attestato da un professionista indipendente (un esperto iscritto in appositi elenchi), finalizzato a riequilibrare la situazione finanziaria dell’impresa. Non è soggetto ad omologazione o pubblicità (salvo il deposito facoltativo presso il Registro delle Imprese di una dichiarazione di attestazione, se il debitore vuole rendere pubblici gli effetti). Il suo beneficio principale consiste nel fatto che gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del piano sono esenti da revocatoria fallimentare qualora poi la società fallisca (art. 166 CCII). Questo protegge i creditori che aderiscano al piano, poiché se poi malauguratamente l’azienda dovesse fallire, i pagamenti ricevuti durante il piano non potranno essere richiesti indietro dal curatore, a condizione che erano previsti dal piano attestato.

Come funziona: L’imprenditore deve predisporre un piano dettagliato con la descrizione dell’impresa, le cause della crisi, le azioni da intraprendere (ristrutturazione del debito, cessioni di asset, aumento di capitale, nuovi finanziamenti, ecc.) e i flussi economico-finanziari previsti per almeno i prossimi 2-3 anni, dimostrando che l’azienda tornerà in equilibrio e sarà in grado di sostenere l’indebitamento residuo. Un professionista indipendente (tipicamente un commercialista o revisore esperto in crisi d’impresa, non legato al debitore né ai creditori) deve esaminare il piano e rilasciare un’attestazione scritta sulla veridicità dei dati aziendali e sulla fattibilità del piano stesso (cioè dichiara che, a suo giudizio, se il piano viene eseguito ha concrete possibilità di riuscita nel risanare l’impresa). Una volta ottenuta l’attestazione, il piano viene formalmente adottato dall’impresa e comunicato ai creditori interessati. Spesso i creditori chiave sottoscrivono accordi bilaterali attuativi del piano (es. nuova dilazione conforme al piano attestato). Non c’è bisogno di voto né di omologa giudiziale: il piano è un’attività negoziale privata certificata da un esperto.

Vantaggi: La rapidità e la riservatezza. Il piano attestato può essere messo in atto senza che ne siano a conoscenza altri oltre ai creditori coinvolti e al professionista attestatore. Non appare sul Registro Imprese (se non volontariamente) e certamente non comporta nomina di organi o simili. In più, come detto, il scudo dalle revocatorie: questo dà conforto ai creditori che, aderendo al piano e incassando pagamenti o accettando garanzie, non vedranno quelle azioni annullate in futuro se la cosa va male. Inoltre, a differenza del concordato, non c’è l’obbligo di rispettare rigidi criteri di trattamento dei crediti: si può pagare diversamente creditori dello stesso grado, si può decidere quali coinvolgere nell’accordo e quali no (es. si può escludere un piccolo creditore pagandolo a scadenza normale e includere solo i grossi). Ciò consente flessibilità strategica.

Svantaggi: Il rovescio della medaglia è che il piano attestato non vincola i creditori dissenzienti. Quindi, bisogna comunque ottenere il consenso di ciascun creditore a quello che il piano prevede per lui (se il piano prevede di pagare un creditore tra 6 mesi, bisogna che quel creditore sia d’accordo ad aspettare; se prevede una rinuncia del 20%, quel creditore deve accettarla volontariamente). Non c’è un meccanismo di forzatura. Il piano attestato non offre protezione immediata dalle azioni esecutive: se nel frattempo un creditore vuol pignorare, può farlo (non c’è la “automatic stay” come nel concordato). Inoltre, pur esentando dalla revocatoria, non esonera da possibili contestazioni penali in caso di fallimento: ad esempio, se il piano era basato su dati in realtà falsi e la società fallisce, gli amministratori potrebbero comunque essere accusati di bancarotta fraudolenta per aver distratto risorse (aver pagato questo e non quello, ecc.), soprattutto se il professionista attestatore è stato tratto in errore o peggio colluso – casi rari ma accaduti negli scandali (si pensi al caso Parmalat, uno dei primi con piani attestati poi rivelatisi fasulli). Quindi serve assoluta correttezza. C’è inoltre un limite di campo di applicazione: il piano attestato è indicato per situazioni in cui non occorre coinvolgere tutti i creditori ma solo alcuni. Se invece l’insolvenza è generalizzata verso decine di creditori, un semplice piano attestato potrebbe non bastare.

Quando adottarlo: Il piano attestato è spesso utilizzato per ristrutturazioni del debito bancario. Ad esempio, se un’azienda ha 5 banche finanziatrici, può negoziare con loro una riscadenzazione o un refinancing, formalizzato in un accordo quadro, e farlo attestare. Così le banche si sentono tutelate e l’azienda evita la procedura concorsuale. Oppure, viene usato quando c’è un nuovo investitore che immette soldi: si costruisce il piano di risanamento con l’ingresso di capitale fresco, l’attestatore certifica che con quei fondi e la ristrutturazione il risanamento è fattibile, e magari i creditori finanziari convertono parte dei loro crediti in quote di capitale o li postergano. In generale, se la crisi è in fase iniziale e recuperabile con un mix di rinegoziazione debiti + nuovi mezzi, il piano attestato è uno strumento efficiente.

Procedura pratica: Non c’è una procedura fissa, ma per prassi si fa così: l’azienda incarica un advisor finanziario a predisporre il piano e parallelamente individua un professionista indipendente per la futura attestazione (spesso un commercialista esperto di concordati, iscritto all’albo dei gestori della crisi). Mentre il piano è quasi definitivo, si intavolano discussioni con i principali creditori per assicurarsi che le linee generali siano accettabili (non serve la firma di tutti anticipata, ma è inutile attestare un piano che poi i creditori rifiuteranno). Ottenuto l’assenso di massima, il professionista verifica i dati di bilancio, la posizione debitoria, le ipotesi del piano (facendo magari stress test e controlli di plausibilità) e infine emette un’attestazione formale in calce al piano. Il piano attestato e la relazione vengono poi conservati dall’azienda e comunicati ai creditori coinvolti chiedendo loro di aderire. Alcune imprese, per massima trasparenza, depositano il piano e l’attestazione presso il registro delle imprese (non obbligatorio), cosa che ne cristallizza la data ed estende gli effetti protettivi sulle operazioni compiute.

In conclusione, il piano attestato di risanamento rappresenta una soluzione discreta ma efficace per imprese in crisi reversibile, che vogliono tutelare i creditori cooperativi (offrendo garanzia di non incorrere in revocatorie) e non vogliono passare dal tribunale. Va però usato avendo cura di assicurarsi un adeguato consenso e con l’ausilio di professionisti seri, perché l’attestazione è un atto di grande responsabilità sia per chi la rilascia che per l’organo amministrativo che la utilizza.

Composizione negoziata della crisi d’impresa

Cos’è: La composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa è una procedura nuova, introdotta prima in via d’urgenza col D.L. 118/2021 e poi integrata nel Codice della Crisi (artt. 17-25 CCII). È operativa dal novembre 2021 e ulteriormente modificata dal correttivo 2022 e dal D.Lgs. 136/2024 . Si tratta di un percorso volontario e riservato in cui l’imprenditore in situazione di squilibrio o crisi può chiedere la nomina di un esperto indipendente incaricato di facilitare le trattative con i creditori per il risanamento dell’impresa. La composizione negoziata è sostanzialmente stragiudiziale, nel senso che non apre una procedura concorsuale pubblica: l’impresa rimane in mano all’imprenditore (nessuno spossessamento) e le trattative sono confidenziali . Tuttavia, l’azienda può chiedere al tribunale alcune misure a supporto (come vedremo). È un tentativo guidato di trovare un accordo con i creditori prima che sia troppo tardi, con l’aiuto di un soggetto terzo competente e imparziale.

Come funziona: L’imprenditore (sia società che ditta individuale, commerciale o agricola, di qualsiasi dimensione – la procedura è aperta anche alle “piccole sotto soglia”) presenta istanza di composizione negoziata tramite una piattaforma telematica gestita dalle Camere di Commercio . Deve allegare informazioni economico-patrimoniali (bilanci, situazione debitoria, elenco creditori, business plan prospettico, ecc.). Un’apposita commissione nomina un esperto (iscritto in un albo speciale, tipicamente un commercialista o avvocato esperto in crisi) . L’esperto, dopo aver esaminato la situazione, convoca l’imprenditore per un primo incontro in cui valuta se sussistono concrete possibilità di risanamento. Se sì, si entra nel vivo delle trattative: l’esperto convoca i principali creditori e cerca di agevolare un accordo tra loro e l’impresa. Il ruolo dell’esperto è di mediatore e consulente: assiste nel redigere proposte, nel far emergere soluzioni (dilazioni, conversioni di debito in capitale, cessioni di asset per pagare debiti, ricerca di nuovi finanziatori). Importante: durante la composizione negoziata, l’imprenditore rimane alla guida dell’azienda, ma deve operare in buona fede e nell’ottica del risanamento, sotto la vigilanza “morbida” dell’esperto. Può compiere atti di gestione ordinaria liberamente; per quelli straordinari di una certa rilevanza può essere richiesta un’autorizzazione del tribunale su parere dell’esperto (ad esempio vendere un immobile aziendale nel corso delle trattative può richiedere un nulla osta per evitare future contestazioni).

L’imprenditore può chiedere al Tribunale misure protettive a tutela delle trattative: in pratica può richiedere che sia imposto ai creditori di non iniziare o sospendere le azioni esecutive nei suoi confronti durante la composizione (inizialmente fino a 4 mesi, prorogabili) . Il tribunale concede queste misure se la situazione non è palesemente irrisolvibile e se ritiene che proteggere l’azienda per un po’ sia nell’interesse della negoziazione. Tali misure, una volta pubblicate, bloccano i pignoramenti e anche le istanze di fallimento (non possono dichiarare il fallimento intanto). Inoltre l’imprenditore può chiedere al giudice di autorizzarlo a contrarre finanziamenti prededucibili (facendo entrare liquidità fresca con priorità di rimborso) o a cedere beni aziendali non strategici, per gestire la crisi .

La composizione negoziata può concludersi in vari modi : – Con un accordo stragiudiziale tra l’impresa e uno/alcuni creditori (ad esempio, un accordo di ristrutturazione del debito con le banche, oppure singoli accordi transattivi con creditori, magari facilitati dall’esperto). In tal caso la procedura termina e l’accordo resta privato, ma beneficia di essere stato raggiunto sotto l’egida dell’esperto (può essere depositato al registro imprese se si vuole dare pubblicità, oppure mantenuto riservato). – Con l’accesso a una procedura concorsuale: se le trattative evidenziano che serve una soluzione più vincolante, l’imprenditore può “convertire” la composizione in un concordato preventivo o in un accordo di ristrutturazione dei debiti da omologare. In taluni casi può proporre un concordato semplificato per la liquidazione se non c’è stata fattibilità di accordo (istituto introdotto dal DL 118, art. 25-sexies CCII). – Con la rinuncia o l’esito negativo: se non si trova nessuna soluzione e la situazione è insolvente, l’esperto ne prende atto e l’imprenditore dovrà valutare altre strade (come la liquidazione giudiziale). L’esperto redige una relazione finale. La negoziazione fallita non comporta automaticamente il fallimento, ma se lo stato d’insolvenza c’è e l’impresa non reagisce, i creditori potranno poi attivarsi.

Vantaggi: La composizione negoziata è pensata per essere tempestiva, confidenziale e flessibile. Rispetto al passato “procedura di allerta”, qui l’approccio è volontario e non punitivo: l’imprenditore che vi accede può ottenere incentivi. Ad esempio, durante la negoziazione sono sospese alcune cause di scioglimento della società per perdite (per evitare che debba andare in liquidazione mentre tratta), e gli eventuali finanziamenti fatti all’impresa in questo periodo sono protetti (non sono postergati, e se l’impresa poi fallisce, chi li ha concessi ha un trattamento di prededuzione) . Ci sono anche premialità fiscali: la legge prevede la possibilità di diluire debiti fiscali fino a 120 rate con l’adesione dell’Agenzia Entrate in composizione , e un’esenzione da sanzioni per omessi versamenti IVA/ritenute se colmate entro la composizione (norma anti-penale). Inoltre l’imprenditore che attiva la composizione negoziata prima dell’insolvenza conclamata può usufruire di un trattamento di maggior favore in caso di successivo fallimento quanto a eventuali profili di responsabilità civile (questo perché ha dimostrato di aver tentato di evitare il peggio).

Il vantaggio grosso è che, grazie all’esperto, si ha un confronto strutturato con i creditori: questi vedono che l’azienda sta affrontando seriamente la crisi con un terzo neutrale che controlla i dati, per cui sono più disponibili a fare sacrifici. Inoltre, le misure protettive danno respiro immediato: bloccano i pignoramenti e impediscono ai singoli creditori di far saltare il banco mentre si cerca l’accordo. È come una “zona franca” temporanea.

Svantaggi: La composizione negoziata non impone soluzioni: se un creditore vuole fare il duro e non partecipare, è libero di farlo (salvo non possa nel frattempo fare esecuzioni se c’è la protezione). Non c’è voto a maggioranza: se poi servirà vincolare la minoranza, si dovrà passare a concordato o accordo ex post. Quindi può succedere che dopo mesi di trattative magari con l’80% dei creditori d’accordo, salti tutto perché un 20% non ci sta e l’azienda non è in grado di proseguire (in quei casi si dovrebbe convertire in concordato preventivo per forzare anche i dissenzienti, ma non sempre l’imprenditore è preparato a questo passaggio). Un altro limite è il costo: sebbene l’esperto sia pagato con parametri ministeriali, e lo Stato abbia previsto un voucher per PMI a copertura parziale, c’è comunque da sostenere i costi dell’esperto e degli advisor che inevitabilmente l’impresa deve avere (un piano industriale credibile va redatto magari dal CFO o da un consulente). Questi costi però sono di molto inferiori a quelli di un concordato pieno.

Inoltre, non tutte le imprese trovano benefico l’intervento dell’esperto: in pratica, la qualità della composizione dipende molto dalle capacità dell’esperto nominato. Se è persona competente, mediatore e creativa, può davvero sbloccare situazioni. Se è troppo burocrate o inesperto del settore specifico, le trattative potrebbero non decollare. Il legislatore ha cercato di qualificare la figura con corsi obbligatori e selezione in elenchi, ma c’è variabilità.

Infine, c’è il rischio di abuso: un imprenditore potrebbe attivare la composizione negoziata solo per prendere tempo e alla fine non concludere nulla, peggiorando il dissesto. La legge mitiga ciò prevedendo che l’esperto, se vede comportamenti ostruzionistici o di mala fede, chiuda anticipatamente il procedimento. E i creditori possono segnalare eventuali scorrettezze.

Quando adottarla: La composizione negoziata è adatta a situazioni di pre-crisi o crisi iniziale, dove si intravede una soluzione ma serve tempo e coordinamento. Ad esempio, un’azienda che ha perso un grosso cliente e avrà un anno difficile di cassa, ma poi con nuovi ordini si risolleva: la composizione può aiutarla a congelare i debiti quell’anno e magari ottenere nuovi finanziamenti ponte. È anche utile quando ci sono molti creditori eterogenei e si vuole evitare di partire subito col concordato: l’esperto prova a trovare consenso spontaneo; se non ci riesce, però intanto l’azienda ha potuto analizzare bene la situazione ed eventualmente preparare un concordato. In effetti, la composizione negoziata può anche fungere da anticamera del concordato: i dati raccolti e le trattative fatte spesso confluiscono poi in un piano di concordato se serve.

Novità 2024: Le modifiche del D.Lgs. 136/2024 mirano a incentivare l’uso di questo strumento, che nei primi due anni è stato sotto-utilizzato. Ad esempio, sono state alleggerite le condizioni di accesso (basta che ci sia squilibrio che rende probabile la crisi o insolvenza, quindi soglia bassa) , e si è previsto che anche imprese sotto-soglia possano pienamente utilizzarla con alcune semplificazioni . Inoltre si cerca di coinvolgere di più il sistema bancario – a riguardo, l’ABI e le banche sono state invitate a definire protocolli per rispondere celermente alle proposte dell’impresa in composizione negoziata. Il correttivo 2024 ha introdotto “misure premiali fiscali” per le imprese che chiudono con successo la composizione: ad esempio, bonus in termini di riduzione interessi e sanzioni se raggiungono un accordo (riduzione delle sanzioni tributarie del 50% e dilazione straordinaria) . Tutto ciò rende la composizione negoziata un’opzione sempre più interessante.

In conclusione, la composizione negoziata è uno strumento innovativo che cerca di unire i vantaggi della negoziazione privata (flessibilità, confidenzialità) con alcuni benefici delle procedure concorsuali (stay delle azioni, coinvolgimento di un terzo super partes, eventuale omologazione di accordi difficili). Per l’imprenditore di un’azienda di medie dimensioni con debiti multi-categoria, può rappresentare la migliore chance di risanamento senza perdere la proprietà né subire l’onta del fallimento. Va intrapresa con serietà e preferibilmente presto: quando si percepisce che la crisi sta arrivando ma prima che i creditori perdano del tutto la fiducia. Dal punto di vista del debitore, è un’ancora di salvezza da afferrare tempestivamente, perché se si aspetta troppo (quando ormai i conti sono bloccati e la sfiducia è totale) potrebbe essere tardi anche per l’esperto.

Soluzioni giudiziali di ristrutturazione o liquidazione

Se le vie stragiudiziali o ibride non sono praticabili o risultano insufficienti, l’ordinamento italiano prevede una serie di procedure concorsuali giudiziali per affrontare la crisi o l’insolvenza. “Giudiziali” significa che coinvolgono l’autorità giudiziaria (Tribunale) e producono effetti legali che vincolano tutti i creditori, anche senza il loro consenso individuale, secondo le regole stabilite. Queste procedure possono essere suddivise in due grandi categorie: quelle mirate al risanamento/ristrutturazione dell’impresa (evitando la sua cessazione) e quelle che invece ne determinano la liquidazione dei beni per soddisfare i creditori e la cessazione dell’attività. In questa sezione esamineremo i principali strumenti concorsuali: l’accordo di ristrutturazione dei debiti omologato, il concordato preventivo (nelle sue varianti in continuità e liquidatorio), e la liquidazione giudiziale (il fallimento in senso proprio, secondo la nuova terminologia). Vedremo inoltre qualche cenno a istituti particolari come il concordato semplificato post-composizione negoziata e l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese (anche se quest’ultima è un caso speciale). Per ogni strumento, evidenzieremo i presupposti, i meccanismi e le conseguenze, con attenzione agli ultimi aggiornamenti normativi.

Accordi di ristrutturazione dei debiti (ex art. 182-bis LF, artt. 57-64 CCII)

Cosa sono: Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (ARD) sono accordi tra il debitore e una parte significativa dei creditori, che vengono però omologati dal Tribunale e grazie a ciò acquistano efficacia vincolante ed alcuni effetti protettivi. In sostanza, l’impresa debitrice può negoziare privatamente un accordo con i creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti (quota prevista dalla legge) e poi chiederne l’omologazione; una volta omologato, l’accordo produce taluni effetti anche verso i creditori non aderenti (pur senza coinvolgerli totalmente come un concordato). È uno strumento intermedio tra il piano attestato (tutto privato) e il concordato (tutto pubblico e collettivo). Nel nuovo Codice della Crisi sono stati introdotti anche tipi particolari di accordi: l’accordo di ristrutturazione agevolato (con soglia abbassata al 30% di consenso, in certi casi) e l’accordo ad efficacia estesa (che permette di estendere gli effetti anche ai creditori dissenzienti di una certa categoria, come banche, se una maggioranza qualificata ha aderito) . Queste novità recepiscono la direttiva UE 2019/1023 e rendono gli ARD più flessibili.

Procedura: L’azienda predispone un piano di risanamento simile a quello di un concordato, ma anziché sottoporlo al voto di tutti i creditori, raggiunge l’accordo con singoli creditori (di solito quelli principali) tramite negoziazione privata. Occorre il consenso formale di creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali (questo è l’ARD “ordinario”). Il piano deve assicurare che i creditori estranei (che non firmano) saranno pagati per intero entro 120 giorni dall’omologa o dalla scadenza (quindi non possono subire decurtazioni senza il loro consenso; sebbene c’è l’eccezione di poter chiedere al tribunale la cram-down fiscale per fisco/enti previdenza dissenzienti in alcuni casi). L’accordo dev’essere corredato da una relazione di un esperto indipendente che attesta la fattibilità del piano e il fatto che i creditori estranei non riceveranno meno di quanto avrebbero altrimenti (in un’ipotetica liquidazione). Una volta raccolte le firme necessarie e predisposti gli atti, il debitore presenta ricorso al tribunale per l’omologazione. Il tribunale controlla la regolarità e convenienza dell’accordo (rispetto ai creditori estranei) e, se tutto è in ordine, omologa l’accordo con decreto. Da quel momento l’accordo è efficace e vincolante tra le parti. I creditori che hanno aderito sono obbligati a rispettare la ristrutturazione prevista (ad es. prendere il 70% a saldo o aspettare tot anni per il pagamento). I creditori non aderenti restano estranei formalmente: essi conservano i loro diritti per intero, ma sono favoriti dal fatto che l’impresa con l’accordo dovrebbe risanarsi e poterli pagare regolarmente. Non subiscono quitanze forzate, salvo nei tipi speciali di accordo ad efficacia estesa dove, ad esempio, una banca dissenziente può vedersi imporre l’accordo se il 75% delle banche ha aderito (questo meccanismo nuovo però richiede autorizzazione del tribunale e tutela comunque i piccoli creditori estranei).

Durante la fase di omologazione, su richiesta del debitore il tribunale può sospendere azioni esecutive individuali (simile alle misure protettive del concordato). Una volta omologato, l’accordo viene pubblicato nel registro imprese e comunicato. Se il debitore non adempie poi i termini dell’accordo, i creditori tornano liberi di agire (e potrebbero chiedere la risoluzione giudiziale dell’accordo per inadempimento).

Vantaggi: Rispetto al concordato, l’ARD è più snello e riservato: non c’è un voto aperto a tutti i creditori, non c’è il commissario giudiziale (di regola, salvo che il tribunale lo voglia nominare per cautela), e i creditori che non partecipano spesso nemmeno sanno formalmente dell’accordo finché non è omologato. I tempi di solito sono più rapidi – la legge prevede un termine massimo di 4-6 mesi per l’omologazione. Per i creditori aderenti c’è il vantaggio di negoziare attivamente i termini (a differenza del concordato dove subiscono la proposta del debitore e al più votano sì/no). Il debitore può “cristallizzare” il consenso di una maggioranza e dare esecuzione all’accordo senza dover coinvolgere quelli minoritari (purché li soddisfi regolarmente). Altro plus: come per i piani attestati, i pagamenti e le garanzie concessi in esecuzione dell’accordo omologato sono protetti da revocatoria (art. 166 CCII). Inoltre, nel nuovo CCII, le azioni esecutive e cautelari sono sospese automaticamente per 90 giorni dalla pubblicazione della domanda di omologa, e possono essere prorogate.

Gli ARD sono modulabili: col correttivo 2022, si può avere un accordo agevolato se i creditori sono pochi (max 3) dove non serve la soglia 60% e l’esperto attesta solo la convenienza per estranei (questo per PMI); oppure accordo esteso come detto per categorie omogenee (utile soprattutto se c’è un pool di banche con poche dissenzienti: se 3 banche su 4 firmano, il tribunale può estendere l’efficacia alla quarta banca dissenziente, a certe condizioni).

Svantaggi: È comunque una procedura concorsuale pubblica (anche se limitatamente): quindi c’è un decreto di omologa, un momento in cui viene reso noto sul registro imprese e sebbene non diffonda come un fallimento, i soggetti del settore potrebbero venirne a conoscenza. Inoltre richiede di raggiungere prima del deposito il consenso di soglie importanti di creditori: questo può essere arduo se l’azienda non è proattiva o i creditori sono molto numerosi. Se manca poco al 60%, non c’è omologa possibile (a differenza del concordato dove basta la maggioranza dei votanti). I creditori estranei restano con diritto al 100%: il che può essere un problema se quell’estraneo rappresenta ad esempio il 30% e non vuole attendere oltre – rischia di vanificare l’accordo se ad esempio pignora qualcosa di critico. Per questo spesso al debitore viene richiesto di pagare integralmente i piccoli creditori estranei subito (per toglierli di mezzo) o comunque di accantonare somme per loro.

Altro svantaggio: se vi sono molti creditori minori, il 60% può essere facile da raggiungere con i pochi grandi, ma poi l’impresa dovrà comunque gestire il pagamento integrale di tutti i piccoli, il che magari non è sostenibile. In quel caso conviene invece un concordato dove anche i piccoli prendono una percentuale.

Quando adottarlo: Tipicamente gli ARD sono stati usati da aziende con pochi grandi creditori finanziari. Ad esempio, società con un pool di banche: si fa accordo con le banche (che spesso totalizzano >60% dei crediti) e si escludono i fornitori pagandoli regolarmente. Oppure società indebitata quasi solo con l’Erario: un accordo con l’Agenzia Entrate e Riscossione (che ora è possibile includere grazie alla transazione fiscale) può risolvere se gli altri debiti sono pochi. Con la riforma, l’accordo agevolato al 30% di consensi è pensato per situazioni in cui il 30% di creditori – magari le banche – garantiscono nuova finanza: se quell’accordo prevede nuova finanza per pagare anche gli altri almeno al 10% in più di quanto avrebbero in liquidazione, il tribunale può omologare anche col 30% (questo è uno strumento del CCII poco testato ancora).

In generale, se l’impresa è in esercizio ma insolvente verso troppi creditori, forse è meglio il concordato. Se invece l’insolvenza è focalizzata su alcuni creditori chiave, l’ARD va benissimo. Dal punto di vista del debitore, l’accordo di ristrutturazione è come dire: “Mi metto d’accordo con chi davvero può farmi fallire, e agli altri pago il dovuto a scadenza”. È quindi particolarmente adatto se c’è una banca molto esposta o un fornitore strategico molto grande, e se quell’attore è disposto a ristrutturare il credito (taglio o dilazione). Poi, ottenuto ciò, l’impresa può tranquillizzare i rimanenti dicendo che i big hanno accettato un piano e quindi l’azienda tornerà in bonis.

Esempio: Immaginiamo la nostra azienda di raccordi ad aria compressa: ha debiti per 1 milione, di cui €600k con banche (mutui e fidi), €200k con Agenzia Entrate, €200k con vari fornitori. Potrebbe negoziare un accordo con la banca (dilazione e remissione interessi su €600k) e includere una transazione fiscale su €200k (pagandone ad es. €120k in 5 anni). Questi due insiemi fanno l’80% del debito. Firma l’accordo con banche e fisco (ottenendo l’attestazione di fattibilità). Lo deposita per omologa. I fornitori (20%) sono estranei ma li pagherà per come da piano (magari 100% in 2 anni, come fosse un concordato di fatto, ma extragiudiziale per loro). Il tribunale omologa; la banca e il fisco stanno alle nuove condizioni; i fornitori ottengono i loro soldi nei termini concordati privatamente. L’azienda risparmia qualcosa e soprattutto evita il default.

In definitiva, gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono uno strumento molto utile quando c’è un nocciolo duro di creditori con cui si può ragionare e raggiungere un’intesa. Offrono un compromesso tra la pura privatistica (che richiederebbe unanimità) e il concorsuale (che coinvolge tutti): qui serve solo “gran parte” dei creditori. Aggiornati alle norme 2022-2024, sono destinati a essere sempre più usati, soprattutto in combinazione con la composizione negoziata (spesso la conclusione positiva di una composizione è proprio far firmare un accordo del 60% e omologarlo).

Concordato preventivo (in continuità o liquidatorio)

Cos’è: Il concordato preventivo è la procedura concorsuale classica con cui un’impresa insolvente (o in crisi irreversibile) propone ai creditori un piano per evitare la liquidazione giudiziale, offrendo il soddisfacimento in misura parziale o differita dei loro crediti, secondo determinate regole e sotto il controllo del tribunale. In sostanza, l’imprenditore ammette di non poter pagare integralmente tutti i debiti, ma propone una soluzione ordinata: o proseguire l’attività (concordato in continuità aziendale) pagando i creditori col tempo grazie ai proventi futuri, oppure liquidare il patrimonio in modo controllato (concordato liquidatorio) offrendo ai creditori quel che si ricava, eventualmente con l’apporto di risorse esterne. I creditori votano la proposta e, se approvata a maggioranza e ritenuta conforme alla legge, il tribunale la omologa, rendendola vincolante per tutti – anche per i dissenzienti o astenuti. È uno strumento potente, perché consente di ristrutturare l’indebitamento contro la volontà di una minoranza di creditori e con effetti liberatori per l’impresa (che adempie al concordato ed è esdebitata). Tuttavia, è anche la procedura più complessa e onerosa in termini di tempo, costi e formalità.

Tipologie: Il CCII distingue essenzialmente due grandi categorie: il concordato in continuità aziendale, dove l’impresa (o una parte di essa) continua la sua attività durante e dopo il concordato, generando ricavi che contribuiscono a pagare i creditori (può essere diretta – l’azienda resta al debitore – o indiretta se l’azienda viene affittata o venduta e i creditori sono pagati col ricavato della cessione ma l’attività prosegue con altro soggetto); e il concordato liquidatorio, dove invece l’azienda cessa e si vendono tutti i beni per ripartirne il valore tra i creditori . Tradizionalmente, la legge è più rigida col concordato liquidatorio (richiede un soddisfacimento minimo per i chirografari e talvolta l’apporto di risorse esterne), mentre incoraggia i concordati in continuità (per salvare posti di lavoro e avviamenti). Esiste anche il concordato semplificato per la liquidazione, che è un caso particolare senza voto, attivabile solo se la composizione negoziata fallisce e l’esperto attesta che non ci sono alternative (art. 25-sexies CCII): il debitore può chiedere al tribunale di approvare un piano di liquidazione senza passare per il voto dei creditori. È una novità dal 2021, per evitare che imprese senza possibilità di risanamento ma con beni da liquidare debbano comunque passare dal fallimento se i creditori fanno ostracismo (viene deciso dal tribunale direttamente).

Procedura: In breve: l’impresa presenta ricorso di concordato con un piano dettagliato e una proposta di pagamento per ciascuna classe di creditori, accompagnati dalla relazione di un attestatore indipendente sulla veridicità dei dati e la fattibilità del piano. Il tribunale verifica i presupposti di ammissibilità (requisiti soggettivi, documentazione completa, percentuali minime offerte se liquidatorio) e ammette la procedura, nominando un commissario giudiziale (figura di controllo). Da quel momento, i creditori non possono più iniziare o proseguire azioni esecutive (automatic stay) e ogni atto di straordinaria gestione dell’azienda dev’essere autorizzato (lo spossessamento è solo attenuato: l’imprenditore resta gestore ma sotto vigilanza). Il commissario raccoglie le adesioni: convoca l’adunanza dei creditori e questi votano (possono anche esprimersi per iscritto). Se i creditori approvano il piano con le maggioranze richieste (maggioranza dei crediti ammessi al voto, calcolata nel complesso o per classi a seconda dei casi), si passa all’omologazione: il tribunale, valutato che il piano rispetta la legge e che eventuali opposizioni dei creditori dissenzienti non evidenziano illegalità o irragionevolezza, omologa il concordato con sentenza. Da quel momento il concordato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori (anche per chi ha votato contro o non ha partecipato) e i crediti restano “cristallizzati” secondo quanto previsto dal piano. L’impresa (o un liquidatore nominato, se liquidatorio) esegue il piano nei tempi stabiliti (di solito alcuni anni). Al termine, l’impresa viene liberata dai debiti residui anche se i creditori hanno ricevuto solo una percentuale.

Condizioni legali: La legge impone alcune tutele: ad esempio, i creditori privilegiati non possono subire decurtazioni salvo rinuncino al privilegio o se il piano dimostra che il valore dei beni sottostanti il privilegio è inferiore al credito (bisogna pagare almeno il valore di stima del pegno/ipoteca). I creditori chirografari, nel concordato liquidatorio, devono ricevere almeno il 20% dei loro crediti (anche se il CCII in bozza iniziale lo ridusse al 10%, poi in conversione tornò 20% e sembra tuttora 20%; però è possibile ridurlo a 10% se c’è apporto esterno almeno 10% attivo – lo suggerisce Assonime ). Nel concordato con continuità non c’è soglia minima percentuale di legge, ma deve assicurare che il soddisfacimento non sia inferiore a quello liquidatorio di una alternativa liquidazione (principio di convenienza). Inoltre, se il concordato è liquidatorio puro, la legge chiede un apporto di risorse esterne pari ad almeno il 10% dell’attivo liquidatorio (per evitare concordati “finti fallimenti” senza sacrifici dell’imprenditore). Queste condizioni sono state modulate e confermate dal correttivo 2024.

Vantaggi: Il concordato preventivo è l’unico strumento che consente di affrontare situazioni di insolvenza generalizzata e vincolare tutti i creditori con esito esdebitativo. È molto potente perché, se approvato, il debitore esce dalla procedura “pulito” dai debiti residui (salvo quelli espressamente esclusi dalla legge, come debiti per alimenti, o fiscali per sanzioni pecuniarie, ma in generale li estingue tutti secondo il piano). Permette anche soluzioni creative: ad esempio, può prevedere la soddisfazione in natura (dare beni ai creditori al posto di denaro), può suddividere i creditori in classi secondo posizione giuridica ed interessi omogenei e offrire trattamenti differenziati, può anche prevedere (in continuità) la modifica di contratti pendenti, la riduzione di personale con alcune protezioni, etc. Dà poi immediatamente uno scudo al debitore: dal momento in cui deposita la domanda (anche concordato “in bianco” o “con riserva”, ossia un ricorso che anticipa la volontà di fare concordato e poi fornisce il piano entro termini, ex art. 44 CCII), ottiene la sospensione di pignoramenti, l’impossibilità di iniziare nuove cause esecutive, e blocca l’aggressione del patrimonio aziendale, il che consente di salvaguardare la continuità operativa (ad es. forniture di utenze protette come già menzionato, affitti non sciolti d’ufficio, ecc.). Insomma, congela la situazione e dà respiro per implementare il piano.

Nel concordato in continuità, l’azienda può continuare a lavorare anche durante la procedura, sotto la vigilanza del commissario, e i contratti pendenti (forniture, appalti) continuano, salvo l’azienda chieda di scioglierne alcuni previa autorizzazione se onerosi (pagando eventuale indennizzo come credito pre-deduttivo). Ciò è fondamentale per preservare il valore aziendale e massimizzare il recupero per i creditori (l’azienda “viva” di solito vale più che liquidata a pezzi). Molte grandi crisi (es. Alitalia, Parmalat ecc.) passarono per concordati con cessione a nuove società (continuità indiretta).

Svantaggi: Il concordato è una procedura complessa e costosa. Va predisposto un piano dettagliatissimo, con stime di realizzo per beni, piani industriali se continuità, classamento creditori, ecc. Serve la relazione di un attestatore indipendente. Durante la procedura, c’è la figura del commissario (che l’azienda deve retribuire secondo tariffe), ci sono spese legali, il tribunale trattiene un contributo. La procedura può durare parecchi mesi (spesso 6-12 mesi per arrivare a omologa, se non di più nei casi contestati), e durante questo tempo l’azienda è in una sorta di “parcheggio” vigilato dove deve riguadagnarsi fiducia di fornitori e clienti pur essendo noto pubblicamente che è “in concordato” (questo è un marchio un po’ infamante, benché oggi molto diffuso). I soci possono perdere il controllo: in alcuni concordati, specialmente se c’è un contributo di terzi, i soci originari vengono diluiti o estromessi (ad esempio in concordati che prevedono la conversione di crediti in capitale, i creditori possono diventare i nuovi proprietari). Inoltre, il concordato non sempre porta al salvataggio dell’impresa: se è liquidatorio, l’impresa cessa comunque, solo evita il fallimento vero e proprio e permette una liquidazione più ordinata e con maggiore ritorno ai creditori (e l’esdebitazione del debitore persona fisica). Se è in continuità, c’è speranza di prosecuzione, ma deve essere ben congegnato perché non è scontato che l’azienda regga comunque.

Va detto poi che la maggioranza dei creditori è padrona del destino: se la proposta non è abbastanza allettante, potrebbero bocciarla e allora il concordato salta (e quasi certamente l’alternativa è la liquidazione giudiziale). Dunque il debitore deve convincere i creditori, trovare un equilibrio tra quello che può dare e quello che è sufficiente per avere i voti. Alcuni creditori, come banche o fisco, hanno loro policy e vincoli nel votare concordati (spesso chiedono percentuali minime e garanzie). Quindi c’è incertezza fino all’ultimo sul risultato.

Quando adottarlo: Il concordato preventivo è di solito l’extrema ratio per evitare il fallimento quando la situazione è troppo compromessa per soluzioni solo negoziali. Se i debiti sono diffusissimi e non c’è tempo o modo di negoziare con tutti, il concordato permette di imporre una soluzione. Spesso viene utilizzato dopo un periodo di composizione negoziata fallito o se l’azienda è stata messa all’angolo con istanze di fallimento (si presenta un concordato per bloccarle e proporre un piano). È opportuno quando l’azienda ha ancora valore come attività in esercizio e c’è interesse a conservarla (in tal caso si propende per un concordato in continuità: ad esempio, l’azienda ha commesse, know-how, dipendenti validi, e magari un investitore disposto a metterci soldi a patto di non rispondere dei debiti pregressi). Oppure quando l’attivo dell’azienda è sufficiente a pagare una buona percentuale ai creditori (minimo 20%), tale che essi possono essere favorevoli, ma l’attivo va realizzato con ordine: il concordato liquidatorio consente di vendere i beni magari in lotto unico o con procedure competitive vigilate, spesso ottenendo prezzi migliori che in un fallimento dove i beni si vendono al ribasso.

Se l’impresa è piccola e i debiti non giganteschi, il concordato potrebbe essere sproporzionato (per costi e tempi) rispetto a un semplice accordo con i pochi creditori: ma se questi non collaborano, non c’è scelta.

Per il nostro scenario: un’azienda manifatturiera di medie dimensioni, indebitata verso banche, fisco, fornitori… Se il totale debiti è molto alto e la crisi conclamata, il concordato preventivo può essere l’unica via per ristrutturare l’esposizione salvando l’azienda. Ad esempio, se l’azienda è comunque redditizia al netto dei debiti finanziari, un concordato in continuità potrebbe ridurre il debito a una dimensione sostenibile e farla proseguire. Se invece la crisi è irreversibile e si vuole solo evitare la liquidazione giudiziale “disordinata”, un concordato liquidatorio con apporto di soci potrebbe far incassare qualcosa in più ai creditori e chiudere dignitosamente la storia societaria.

Esempio pratico di concordato in continuità: Immaginiamo che la nostra azienda di raccordi abbia un core business valido ma troppo debito accumulato. Nel piano di concordato propone: i creditori privilegiati (es. banca con ipoteca su capannone) saranno soddisfatti vendendo quel capannone (stimato x euro) – se non copre il 100%, rinunceranno al privilegio residuo e concorreranno come chirografari per la parte non coperta. I creditori chirografari riceveranno, poniamo, il 30% del loro credito in 4 anni, pagato con i futuri utili generati dall’azienda (che continua a operare in affitto d’azienda a una newco eventualmente). I soci si impegnano a far entrare un nuovo socio investitore che apporta liquidità per €Y destinata interamente ai creditori (costituendo la famosa “risorsa esterna” che migliora la percentuale). I dipendenti restano al lavoro (nessuna interruzione) e i fornitori saranno pagati regolarmente per forniture post-concordato (in prededuzione). Il piano mostra che a regime l’azienda, sgravata dai debiti, produce utili e cassa sufficiente a pagare quel 30%. Se i creditori accettano (magari perché in fallimento prenderebbero solo 10%), il concordato viene omologato e l’azienda è salva, i creditori ottengono più del fallimento. Questo è l’ideale win-win che la procedura concorsuale cerca.

Chiudiamo segnalando che il concordato preventivo, pur essendo storicamente il più importante strumento di “crisis management”, è stato affiancato da queste nuove soluzioni più snelle proprio perché non sempre accessibile alle piccole imprese. Ma rimane fondamentale: ad es. se la composizione negoziata non sblocca un accordo, spesso il debitore, su consiglio dell’esperto, opterà per un concordato per risolvere in via giudiziale la situazione.

Liquidazione giudiziale (ex fallimento)

Cos’è: La liquidazione giudiziale è la nuova denominazione (dal 15 luglio 2022) per la procedura di fallimento, disciplinata dal CCII. È la procedura concorsuale destinata all’impresa insolvente quando non vi sono prospettive di risanamento: un organo pubblico (il Tribunale) accerta l’insolvenza e apre la liquidazione, nominando un curatore che si occupa di raccogliere e vendere tutti i beni dell’impresa e distribuire il ricavato ai creditori secondo la graduatoria legale (par condicio creditorum e privilegi) . La differenza principale rispetto a un concordato liquidatorio è che qui l’imprenditore perde completamente la gestione (c’è il spossessamento: i beni dell’impresa passano in custodia del curatore) e la procedura ha carattere coattivo, senza bisogno di consenso dei creditori (anzi spesso i creditori stessi l’hanno richiesta). È, in pratica, la dissoluzione controllata dell’impresa insolvente, con eventuale chiusura definitiva della stessa.

Come si avvia: Può essere richiesta dagli stessi imprenditori (ricorso di fallimento in proprio), da un creditore, o d’ufficio dal tribunale (in caso di insolvenza palese). Ci sono soglie di non fallibilità solo per imprenditori molto piccoli (se nei tre esercizi antecedenti hanno avuto un attivo annuo ≤ €300k, ricavi ≤ €200k, debiti ≤ €500k – criteri che derivano dall’art. 2 LF e transitori, ma pare siano rimasti come parametri per escludere procedure ordinarie e rimandare i piccoli debitori alle procedure di sovraindebitamento). Società di capitali sono sempre soggette, indipendentemente da soglie. Per dichiarare la liquidazione giudiziale, il tribunale valuta lo stato d’insolvenza, definito come l’incapacità di soddisfare regolarmente le obbligazioni. La sentenza di apertura di liquidazione giudiziale (ex sentenza dichiarativa di fallimento) nomina un Curatore (professionista delegato a gestire) e un Giudice Delegato (magistrato supervisore). Da quel momento, l’imprenditore è spossessato dei beni (non li può più gestire né disporre) e perde ogni potere sull’azienda; se l’attività prosegue temporaneamente, la gestisce il curatore solo se funzionale alla liquidazione. Si apre lo scenario tipico: i creditori presentano entro termini le domande di insinuazione al passivo per essere riconosciuti ; il curatore prepara lo stato passivo e il giudice lo verifica e ammette i crediti, con eventuali cause di opposizione per quelli esclusi. Poi il curatore procede a liquidare l’attivo: vendere i beni mobili, immobili, crediti, eventuali rami d’azienda se opportuno. Le vendite devono seguire procedure competitive (aste, etc.), con autorizzazione del comitato creditori e giudice. Realizzata cassa, il curatore effettua i riparti: paga prima i crediti prededucibili (costi procedura, crediti sorti per continuazione attività), poi i crediti privilegiati in ordine di grado, poi con l’eventuale residuo paga i creditori chirografari in percentuale uguale (di solito bassa). Al termine, presenta un conto finale e se non c’è più attivo né cause pendenti, si chiede la chiusura della procedura. La società fallita viene cancellata, l’imprenditore individuale ottiene (se richiesto e meritevole) l’esdebitazione dei debiti non soddisfatti, cioè la liberazione.

Effetti per il debitore (azienda e persone): L’apertura di liquidazione giudiziale comporta tra l’altro la cessazione di interesse e maturazione di sanzioni su debiti concorsuali, l’inefficacia relativa degli atti di disposizione compiuti nei periodi sospetti (grazie alle azioni revocatorie fallimentari, il curatore può far annullare pagamenti preferenziali fatti negli ultimi 6 mesi o atti dispositivi a titolo gratuito 2 anni, ecc., riportando beni e valori nella massa) . Comporta anche l’apertura di eventuali procedure penali: l’imprenditore fallito è soggetto a indagini su reati concorsuali come bancarotta fraudolenta (se ha distratto beni o falsificato scritture) o bancarotta semplice (se con malagestione aggravò il dissesto). Quindi per gli amministratori scatta il serio rischio di essere chiamati a rispondere penalmente (non accade in concordato omologato, salvo reati fiscali pregressi). Per i soci di società di persone, la liquidazione giudiziale si estende ai loro patrimoni (art. 256 CCII): nel fallimento di una SNC, anche i soci illimitatamente responsabili sono dichiarati in liquidazione giudiziale personale automaticamente e i loro beni personali concorrono. I soci di S.r.l. invece no, a meno che abbiano garanzie personali (in quel caso saranno escussi separatamente dai creditori garantiti). I garanti (ad es. socio che ha garantito un mutuo) pur non fallendo con l’impresa, subiscono la rivalsa della banca se questa non è pagata integralmente in procedura (e non possono più opporre eccezioni relative al debito principale, in quanto il debito è stato accertato nello stato passivo; tuttavia beneficiano in teoria della riduzione del debito se il creditore concorsuale prende un dividendo: il creditore garantito può agire per il residuo).

Fine della procedura: Per la persona fisica imprenditore (o socio fallito), il CCII prevede un esdebitazione di diritto: se ha cooperato e non ci sono condotte fraudolente gravi, ottiene la cancellazione dei debiti residui non pagati dal fallimento, passati 3 anni dalla chiusura (o prima in alcuni casi) . Questo è il principio del “fresh start”. Le società invece, essendo entità giuridiche, cessano di esistere e quindi il problema debiti residui non si pone (si dissolvono con la chiusura del fallimento).

Vantaggi (se così vogliamo chiamarli) e svantaggi: Per i creditori, la liquidazione giudiziale garantisce la par condicio e un organo terzo che massimizza il ricavato vendendo i beni (si spera) al miglior prezzo di mercato tramite aste. Elimina di mezzo l’imprenditore, percepito come inaffidabile a quel punto. Dà anche la possibilità al creditore di far valere responsabilità degli amministratori, revocare atti pregiudizievoli e persino far partire cause di responsabilità verso banche o revisori che abbiano colpe (il curatore ha legittimazione a farle). Lo svantaggio è che i tempi sono lunghi e spesso i ricavi bassi (i beni venduti in asta dopo vari tentativi vanno a saldo), tanto che per creditori chirografari medi e piccoli fallimenti portano a percentuali di recupero modestissime o zero.

Per il debitore, il fallimento è traumatico: perde l’impresa, spesso perde anche beni personali (specie se è una ditta o socio illimitato), subisce lo stigma (ancorché oggi attenuato rispetto al passato), e l’ombra di possibili azioni penali e civili (il curatore può citarlo per responsabilità se ha aggravato il dissesto). Un tempo c’erano pene accessorie (interdizioni) che oggi sono state mitigate e limitate (alcune permangono, tipo divieto di ricoprire cariche se condannato per bancarotta). Il lato positivo per l’onesto ma sfortunato imprenditore è l’esdebitazione: egli può ripartire da capo senza il fardello dei debiti passati . Questo istituto, introdotto nel 2012 e ampliato di recente, è importante: a patto di essersi comportato correttamente (non aver violato la legge, cooperato con curatore), dopo la chiusura l’imprenditore persona fisica chiede al tribunale l’esdebitazione e ottiene la cancellazione di tutti i debiti concorsuali rimasti, tranne obblighi alimentari e poche eccezioni. In pratica, l’equivalente di un fresh start anglosassone. Dunque per un imprenditore individuale, a volte fallire e farsi esdebitare è la strada per togliersi di dosso una montagna di debiti e poter svolgere altra attività in futuro.

Quando (non) evitarla: Dal punto di vista del debitore, la liquidazione giudiziale è l’ultima spiaggia, da evitare se c’è minima chance di soluzioni alternative perché, come detto, comporta perdita del controllo e gravi conseguenze. Tuttavia, se l’impresa è oggettivamente decotta e non c’è modo di risollevarla, a volte anticipare volontariamente il fallimento può essere saggio: il tribunale considera positivamente il fallimento in proprio (evita accuse di ritardo), il curatore potrà iniziare prima a liquidare evitando ulteriori perdite, e l’imprenditore mostratosi cooperativo avrà l’esdebitazione e meno rischi penali (la bancarotta semplice punisce proprio chi aggrava il dissesto con ritardo, mentre chi dichiara il fallimento tempestivamente può evitare certe censure). Quindi paradossalmente, dire “basta, chiedo il mio fallimento” può essere l’azione migliore rimasta se ogni piano di salvataggio è impraticabile. Almeno chiude la vicenda e dopo qualche anno si potrà riprovarci con un’altra attività (a mente degli errori fatti magari).

Nel contesto della nostra guida: l’imprenditore di un’azienda di raccordi con debiti cercherà di tutto per non arrivare al fallimento – userà accordi, comp. negoziata, concordati. Ma se comunque la situazione precipita (creditori fanno istanza, niente piani fattibili), l’atteggiamento giusto è cooperare con il curatore e salvare il salvabile (ad esempio, aiutare il curatore a vendere l’azienda in blocco a un concorrente, magari i dipendenti manterranno il posto col nuovo proprietario – a volte il curatore cede l’intera azienda e questo è meglio per tutti). In fondo, la liquidazione giudiziale non deve essere vista come la fine di tutto in assoluto: può essere la fine di quella società, ma i beni possono continuare a vivere in altre mani, i lavoratori possono essere assorbiti, e l’imprenditore stesso può imparare e tornare in campo (la legge fallimentare non preclude di aprire una nuova impresa dopo l’esdebitazione, anzi vuole proprio reintegrare l’ex fallito). Quindi, come difesa finale del debitore, se nulla funziona, almeno sfruttare gli aspetti positivi del fallimento: la liberazione dai debiti futuri e la possibilità di chiudere col passato.

Abbiamo così completato l’analisi dei principali strumenti, dal meno invasivo (accordi stragiudiziali) al più drastico (liquidazione giudiziale). Nel fare questo percorso, si sarà notato come l’ordinamento offra un ventaglio di opportunità per il debitore onesto ma sfortunato: la legge, specialmente con le riforme recenti, tende a favorire il risanamento quando possibile e solo quando inevitabile arriva a liquidare. Un avvocato o consulente esperto potrà consigliare, caso per caso, quale combinazione di strumenti adottare e in che tempistiche, spesso integrando più soluzioni (es: comp. negoziata → accordo ristrutturazione; oppure piano attestato e in subordine concordato). Fondamentale è la tempestività e buona fede del debitore: un imprenditore che affronti di petto la crisi, usando gli strumenti giusti, può massimizzare le chance di salvare la propria azienda o quantomeno di minimizzare i danni personali.

Responsabilità personali di amministratori e soci nella crisi d’impresa

Dal punto di vista del debitore, difendersi dai creditori non significa solo gestire i debiti: significa anche tutelarsi da eventuali responsabilità personali che possono sorgere per chi ha amministrato l’azienda o per i soci in certe situazioni. Infatti, la legge italiana – pur riconoscendo l’autonomia patrimoniale delle società di capitali – prevede varie ipotesi in cui gli amministratori (di S.r.l., S.p.A. etc.) possano essere chiamati a rispondere con il proprio patrimonio, e in cui i soci (specie nelle società di persone, ma talora anche nelle S.r.l.) possano perdere la protezione della responsabilità limitata. Inoltre, vi sono le responsabilità penali degli amministratori nel caso di condotte illecite in danno dei creditori (soprattutto in ambito fallimentare e tributario). In questa sezione esamineremo dunque:

  • Le responsabilità civili degli amministratori verso la società e verso i creditori sociali per mala gestione;
  • Le responsabilità dei sindaci e revisori nel controllo della crisi;
  • Le possibili responsabilità dei soci (distinguendo società di persone e di capitali, includendo la figura del socio unico di S.r.l.);
  • Le principali responsabilità penali connesse all’insolvenza (reati fallimentari come bancarotta, altri reati finanziari e fiscali correlati).

L’obiettivo è far comprendere all’imprenditore debitore quali rischi personali corre – e come prevenirli o mitigarli adottando i comportamenti corretti durante la crisi.

Responsabilità civile degli amministratori verso società e creditori

Gli amministratori di società di capitali (S.r.l., S.p.A.) hanno per legge obblighi fiduciari di corretta gestione nei confronti della società e dei soci, e anche obblighi indiretti verso i creditori sociali di conservazione del patrimonio. Quando una società entra in crisi, questi obblighi si fanno ancor più stringenti: i casi di dissesto spesso portano alla luce condotte degli amministratori che possono costituire inadempimento ai doveri e causare danni. Vediamo le principali linee di responsabilità:

1. Azione sociale di responsabilità (verso la società): È la classica azione prevista dall’art. 2393 c.c. (per S.p.A.) e art. 2476 c.c. (per S.r.l.) per cui gli amministratori rispondono dei danni causati al patrimonio sociale da violazioni dei loro doveri (di legge o statuto). Nel contesto di crisi, esempi tipici possono essere: aver compiuto atti imprudenti che aggravano la situazione (es. investimenti avventati, progetti espansivi insostenibili) oppure aver violato gli obblighi di legge in caso di perdite rilevanti (ad es. non aver convocato l’assemblea per riduzione capitale ex art. 2447/2482-bis c.c., lasciando erodere il patrimonio sotto zero). Se da tali condotte deriva un danno al patrimonio sociale – ad esempio perdita di capitale che si sarebbe potuta evitare, depauperamento di liquidità in operazioni sconvenienti – la società (tramite liquidatore o curatore fallimentare) può agire contro gli amministratori chiedendo il risarcimento. Nella liquidazione giudiziale, il curatore esercita questa azione “sociale” in via esclusiva . In caso di concordato o risanamento, può essere la società stessa (sotto nuova gestione) o i soci a promuoverla. La prescrizione dell’azione sociale è 5 anni dal fatto o dalla scoperta, e spetta provare la violazione di doveri e il nesso col danno.

2. Azione dei creditori sociali (art. 2394 c.c.): Questa è specifica: gli amministratori rispondono verso i creditori della società se, per inosservanza degli obblighi di conservazione del patrimonio aziendale, il patrimonio risulta insufficiente a soddisfare i creditori . In pratica, se gli amministratori hanno aggravato il dissesto o eroso il patrimonio negligentemente o dolosamente, cosicché i creditori non trovano più risorse per essere pagati, questi ultimi hanno un’azione risarcitoria. Attenzione però: durante il fallimento, l’azione dei creditori confluisce in quella del curatore per il principio di massa (il curatore esercita quella che prima era ex art. 146 LF, ora rifusa negli artt. 255-256 CCII). La Cassazione ha chiarito che l’azione ex art. 2394 c.c., anche se esercitata dal curatore, mantiene natura di responsabilità extracontrattuale verso i creditori e ha prescrizione quinquennale decorrente dal momento in cui i creditori hanno percezione dell’insufficienza patrimoniale (spesso coincidente con la dichiarazione di fallimento). Dunque, i creditori (o il curatore per essi) possono ottenere dai responsabili un risarcimento pari al deficit lasciato da mala gestio.

In concreto, quali sono i doveri violati che generano queste responsabilità? Nel contesto del Codice della Crisi, spicca il dovere di istituire assetti adeguati e attivarsi tempestivamente in caso di crisi (art. 2086 c.c., art. 3 CCII) . Se un amministratore ignora deliberatamente i segnali di crisi, continua ad accumulare debiti (ad es. ordina forniture senza poterne pagare, omette di pagare imposte e contributi per finanziare l’attività), potrebbe essere accusato di aver aggravato il passivo e quindi chiamato a risponderne. Un dovere specifico è quello di non aggravare il dissesto dopo scioglimento della società: l’art. 2486 c.c. dispone che dopo causa di scioglimento (es. perdita capitale oltre il terzo), gli amministratori sono limitati alla conservazione del patrimonio e se violano ciò, sono responsabili verso la società per la differenza del patrimonio netto tra l’inizio e la fine della gestione irregolare. Giurisprudenza su ciò abbonda: ad es. Cass. 6 febbraio 2023 n. 3552 ha ribadito il principio unitario dell’azione del curatore che cumula quella sociale e quella dei creditori , e dunque i pagamenti preferenziali o le dissipazioni fatte in extremis vanno sanzionate, ed eventuali clausole compromissorie statutarie non impediscono al curatore di agire in tribunale ordinario . In un caso reale, gli amministratori furono condannati per aver proseguito l’attività nonostante l’erosione totale del capitale e aver distratto beni aziendali – comportamento che generò danni per creditori.

Azione processuale: Nel fallimento, il curatore spesso promuove l’azione di responsabilità contro amministratori, sindaci o direttori generali (artt. 255-257 CCII). Si tratta di cause civili anche lunghe, ma che in caso di successo portano risarcimenti che entrano nella massa e poi distribuiti ai creditori. Da notare, la Cassazione ha stabilito che tali azioni non possono essere separate in arbitrato se lo statuto prevedeva arbitrato: l’azione del curatore è unitaria e inscindibile (sociale+creditori) e non soggiace all’arbitrato statutario . Ciò per tutela di creditori terzi estranei allo statuto.

3. Responsabilità verso soci o terzi ex art. 2395 c.c.: Oltre a società e creditori, l’amministratore può rispondere anche verso singoli soci o terzi che siano stati danneggiati direttamente da atti dolosi degli amministratori. Questa è un’azione residuale, ammessa solo se il danno è proprio del terzo e non riflesso del danno al patrimonio sociale. Esempio: un socio cui è stato fatto perdere un diritto particolare, o un terzo che ha subito un torto da false informazioni (in ipotesi, se l’amministratore fornendo false assicurazioni porta un creditore a fare credito quando la società era in malafede insolvente – questo potrebbe configurare anche truffa, ma civilmente il terzo potrebbe chiedere danno extra contrattuale). Tuttavia, in situazioni di crisi, questa è meno praticata: di solito o si rientra nell’azione dei creditori di cui sopra o in vicende contrattuali.

4. Responsabilità dei sindaci e revisori: Occorre menzionare che gli organi di controllo societari (collegio sindacale, revisore legale) anch’essi possono incorrere in responsabilità civili se omettono di vigilare e segnalare la crisi. L’art. 2407 c.c. per i sindaci prevede responsabilità per culpa in vigilando, e ora il CCII (art. 15 D.Lgs. 14/2019 come modif.) impone espressamente ai sindaci e ai revisori di segnalare per iscritto agli amministratori i fondati indizi di crisi . Se non lo fanno e la crisi peggiora, i sindaci possono essere ritenuti corresponsabili del danno ai creditori. Ad esempio, Cass. 3 agosto 2023 n. 23200 ha affermato la responsabilità dei sindaci per non aver vigilato su condotte distrattive dell’amministrazione . Quindi anche l’organo di controllo, in fallimento, viene spesso chiamato in causa dal curatore insieme agli amministratori, specie se c’era falso in bilancio non rilevato, o omessa reazione a perdite di esercizio.

Limitazione di responsabilità: Gli amministratori non rispondono se provano di essere esenti da colpa (ad esempio, dissenzienti da una decisione dannosa, purché abbiano fatto constare il dissenso a verbale). La business judgment rule li tutela sulle scelte imprenditoriali se prese in modo informato e senza conflitto d’interessi: non basta un esito negativo, serve imprudenza o violazione di legge per imputare responsabilità. Tuttavia, in situazione di insolvenza, l’asticella si abbassa: operazioni che in bonis sarebbero giudicate scelte discrezionali, in prossimità del fallimento possono considerarsi azzardate e quindi colpose. Ad esempio, contrarre nuovi debiti sapendo di non poterli onorare è certamente colposo/doloso verso i creditori futuri.

Consequenzialità col penale: Se vi è condotta distrattiva grave (es. amministratore che sposta beni a sé o ad altri prima di fallire), oltre al risarcimento civile, ci sarà l’aspetto penale (bancarotta fraudolenta patrimoniale). Il curatore in sede penale si costituisce parte civile per recuperare danni.

Difendersi come amministratore: Un amministratore che vuole evitare guai deve: – Monitorare la situazione e attivarsi tempestivamente (convocare assemblee su perdite, adottare misure, ecc.);
Documentare di aver gestito con diligenza (verbali di CDA accurati con motivazioni delle scelte, per provare di aver agito con criterio anche se poi è andata male);
Non attendere troppo a chiedere aiuto o procedura concorsuale se necessario (il ritardo ingiustificato è una delle colpe principali);
Non “favorire” alcuni creditori a scapito di altri nell’imminenza del fallimento (questo genera sia revocatoria sia bancarotta preferenziale sul piano penale).
Collaborare con eventuale curatore o esperto: un atteggiamento trasparente può evitare anche atteggiamenti punitivi dei creditori/giudice.

Caso giurisprudenziale esemplare: Cass. Sez. Un. n. 9100/2015 (ricordata spesso) stabilì che gli amministratori rispondono verso i creditori per il ritardato adempimento degli obblighi legati alla perdita del capitale: se il capitale sociale è azzerato e si continua ad operare, ogni fornitura presa in quel periodo senza esigere ricapitalizzazione peggiora il buco, costituendo danno ai creditori.

In somma, la crisi d’impresa sposta il focus dei doveri degli amministratori: da massimizzare profitto per i soci a proteggere la consistenza del patrimonio a garanzia dei creditori. La riforma lo riconosce: uno degli indici anticipatori di crisi è l’indice di liquidità <1 e l’obbligo di segnalarlo. Se i vertici ignorano e divorano cassa residua, sono facilmente attaccabili.

Responsabilità dei soci

La responsabilità dei soci per i debiti sociali dipende dal tipo di società e da eventuali comportamenti extra.

Soci di società di persone: Nelle S.n.c. e nelle S.a.s. (accomandatari) i soci hanno responsabilità illimitata e solidale per le obbligazioni sociali (art. 2291 c.c. per S.n.c., art. 2313 c.c. per accomandatari di S.a.s.). Ciò significa che se la società non paga un debito, il creditore può agire sul patrimonio personale di qualsiasi socio, fermo restando il beneficio di escussione: deve prima escutere il patrimonio sociale e, se insufficiente, escutere i soci (ma tale beneficio opera solo se il socio lo eccepisce e solo per S.n.c.: in S.a.s., l’accomandante ha responsabilità limitata e l’accomandatario illimitata simile a S.n.c.). In sede concorsuale, la liquidazione giudiziale di una S.n.c. comporta automaticamente la liquidazione giudiziale di tutti i soci illimitatamente responsabili . Quindi i loro beni personali vengono gestiti dal curatore insieme a quelli sociali. I soci poi tra loro hanno diritto di regresso in proporzione alle quote (se un socio ha pagato più del suo, può chiedere agli altri la differenza), ma agli occhi del creditore esterno ciascuno risponde per l’intero.

Difesa per soci S.n.c.: Di fronte ai creditori, c’è poco: l’obbligo legale è chiaro. L’unica difesa è pagare o negoziare. Se uno dei soci è benestante, spesso i creditori puntano direttamente a lui. I soci, quindi, in situazione di insolvenza, dovrebbero considerare che se la società fallisce, loro falliscono. Forse potrebbero evitare il fallimento (ad es. usando strumenti come la composizione negoziata) per cercare di arrivare a un concordato anche per i soci (nel CCII esiste la possibilità di presentare un concordato esteso ai soci illimitatamente responsabili, trattandoli come coobbligati). Ma questo è complesso.

Soci accomandanti (S.a.s.): L’accomandante gode di responsabilità limitata al capitale conferito, a patto di non immischiarsi nell’amministrazione. Se lo fa (immistione vietata), perde il beneficio e diventa illimitatamente responsabile verso i terzi (art. 2320 c.c.). Quindi, per gli accomandanti: non partecipare attivamente alla gestione (se l’azienda è in crisi e l’accomandatario è inerte, l’accomandante che interviene si espone – paradosso ma è la legge).

Soci di società di capitali (es. S.r.l., S.p.A.): Di norma non rispondono dei debiti sociali oltre la quota conferita (art. 2462 c.c. per S.r.l., art. 2325 c.c. per S.p.A.). Tuttavia, ecco le eccezioni:

  • Socio unico di S.r.l. o S.p.A.: Se non vengono rispettati gli obblighi pubblicitari relativi alla unipersonalità (iscrizione nel registro imprese della condizione di socio unico e dei suoi eventuali cambiamenti) e/o se non è stato interamente versato il capitale sociale, il socio unico perde il beneficio di escussione: risponde illimitatamente per le obbligazioni sorte nel periodo di omissione . L’art. 2462 c.c. lo specifica per S.r.l.: il socio unico è illimitatamente responsabile per i debiti contratti quando era tale se non è stata fatta la pubblicità al registro e se non ha versato integralmente i conferimenti dovuti . Quindi, per un socio unico, prima regola: assicurarsi che la propria qualità di unico risulti da visura camerale e che il capitale sia interamente versato.
  • Obblighi accessori non eseguiti: In S.r.l., i soci possono essere obbligati a eseguire determinati conferimenti o versamenti su richiesta (richiamo dei decimi non versati, finanziamenti soci promessi in statuto, ecc.). Se non li eseguono e la società fallisce, il curatore li chiamerà a rispondere quantomeno per quella parte dovuta (questo non è propriamente “rispondere dei debiti altrui”, ma un dovere verso la società poi riflesso sui creditori).
  • Responsabilità per atti in conflitto col patrimonio sociale: Un’innovazione è l’art. 2476 comma 7 c.c. che prevede che i soci di S.r.l. che abbiano intenzionalmente deciso o autorizzato atti dannosi degli amministratori rispondono solidalmente con essi . Significa che se i soci (magari in assemblea) approvano operazioni pregiudizievoli – es. deliberano di distribuire utili inesistenti o di indirizzare la gestione verso atti che favoriscono i soci a scapito dei creditori – possono essere chiamati a risponderne al pari degli amministratori. Questo è pensato per S.r.l. “padronali” dove soci e amministratori spesso coincidono: non importa la carica formale, se un socio di fatto fa compiere atti dannosi, ne risponde.
  • Finzione di personalità giuridica / abuso di forma: Anche se non codificato esplicitamente, la giurisprudenza in passato (raramente) ha ammesso forme di “disregard of legal entity” in casi estremi: es., se una S.r.l. è usata come schermo per frodare creditori (patrimonio nullo, soci che trasferiscono asset altrove mantenendo debiti qui), i creditori possono tentare azioni per far dichiarare i soci responsabili (ad esempio, facendo causa per simulazione di persona giuridica o utilizzando la figura dell’amministratore di fatto e concorso in bancarotta). Non è una norma, ma di fatto se c’è abuso di personalità giuridica (società sottocapitalizzata ad arte, confusione di patrimoni socio-società), i giudici possono ravvisare una responsabilità diretta del socio per abuso del diritto. Ad esempio, quando una società viene svuotata dai soci prima del fallimento, il curatore può agire contro di essi con azione di responsabilità e revocatorie, puntando al fatto che i soci hanno agito da amministratori di fatto.
  • Garanzie personali e coobbligazioni: Spesso i soci (o amministratori) firmano fideiussioni per far ottenere prestiti bancari alla società. In tal caso, anche se la legge non li obbliga per il debito sociale, contrattualmente essi si sono obbligati. Dunque la banca potrà escutere il socio/garante una volta che la società è inadempiente. Queste garanzie di solito restano valide anche in concordato (salvo casi di esdebitazione, ma quella non copre i garanti). Quindi, va considerato: il socio di S.r.l. non rischia per legge, ma se ha garantito per scelta, è come se fosse un co-debitore. A volte i creditori nel concordato spingono l’imprenditore-socio a mettere risorse altrimenti agiscono sulle garanzie.

Socio illimitatamente responsabile fallito: Come detto, se la società di persone fallisce, il socio illimitato fallisce. Egli allora può esdebitarsi dei debiti residui come qualsiasi persona fisica, quindi a lungo termine si libera. Tuttavia, se ha beni, verranno usati tutti per pagare i creditori sociali.

Socio di fatto / amministratore di fatto: Occhio ad un concetto: se un socio di S.r.l. di minoranza di per sé non è responsabile, potrebbe però essere ritenuto amministratore di fatto se di fatto dirigeva la società dietro le quinte. In fallimento, chi è amministratore di fatto viene trattato al pari di quello di diritto per responsabilità (civile e penale). Così un socio al 40% che però decide tutto come dominus sarà considerato corresponsabile. Cass. Pen. n. 4816/2024 ad esempio parla di indici per qualificare l’amministratore di fatto (ingerenza continuativa e significativa nella gestione) . L’imprenditore scaltro non deve pensare di stare al riparo se formalmente non è amministratore: i tribunali guardano la sostanza.

Responsabilità per finanziamenti soci in conto capitale: La riforma crisi ha introdotto una leggera novità: in caso di fallimento, i finanziamenti dei soci alla società in crisi (cioè dati quando per legge ci sarebbero condizioni per un apporto di capitale, art. 2467 c.c.) sono considerati postergati rispetto agli altri crediti. Cioè il socio che ha prestato soldi alla sua S.r.l. quando era sottocapitalizzata viene pagato dopo tutti gli altri creditori. Non è proprio una “responsabilità” nel senso di pagare di più, ma è una perdita di privilegio: accetta di essere trattato da quasi capitale, quindi se c’è poco attivo, perderà i suoi finanziamenti. Questo per scoraggiare i soci dal finanziare a debito e incoraggiarli a ricapitalizzare formalmente, perché se no quei prestiti li perdono.

In sintesi, come difendersi come socio: – Se in società di persone, essere consapevoli del rischio e magari cercare di trasformare la forma in S.r.l. prima che la crisi esploda (ma attenti: la trasformazione se fatta in stato di insolvenza può essere contestata come atto in frode ai creditori e ci sono revocatorie specifiche). – Se socio unico di S.r.l., curare gli adempimenti (pubblicità, intero versamento capitale) . – Non abusare della S.r.l. per scopi personali. – Se avete dato garanzie personali, mettete in conto che difendersi significa eventualmente trattare anche a titolo personale con i creditori (spesso la banca se vede la S.r.l. in concordato, escute subito il garante; il garante potrebbe allora negoziare un saldo a stralcio personale). – Non prelevare utili indebiti: se soci si sono distribuiti utili fittizi o riserve in violazione legge, devono restituirli (art. 2433 cod. civ. e azione di responsabilità specifica art. 2497 per gruppi; il curatore li cita per recuperare). – Nei gruppi di società, attenti alla responsabilità da direzione e coordinamento (art. 2497 c.c.): se una società dominante (o i suoi soci) hanno diretto la società fallita in modo lesivo, i soci di quella holding possono essere chiamati per i danni ai creditori della società figlia.

Casi concreti: Un socio illimitatamente responsabile a volte tenta di far sparire beni personali prima del fallimento (intestando a coniuge, ecc.). Questa è una pessima idea: oltre a essere revocabile (il curatore può revocare atti a titolo gratuito 2 anni) è anche reato (sottrazione fraudolenta al pagamento imposte, art. 11 D.Lgs. 74/2000, se riguardava debiti fiscali, o più in generale può costituire bancarotta fraudolenta per distrazione post fallimento). Quindi difendersi non significa frodare, ma anzi evitare di incorrere in ulteriori problemi.

In conclusione, per i privati e imprenditori che stanno affrontando debiti societari, è cruciale capire che proteggere la società non basta: bisogna agire in modo da proteggere se stessi come persone fisiche. Ciò significa: – Adempiere ai doveri di legge (per non aprire spiragli a cause di responsabilità). – Non confondere i patrimoni (tenere separate finanze personali e aziendali, niente spese personali coi soldi societari se in difficoltà, queste verrebbero contestate). – Considerare la dichiarazione tempestiva di insolvenza se inevitabile, per non peggiorare la posizione.

Profili di responsabilità penale connessi all’insolvenza

Accanto alle responsabilità civili, in situazioni di debiti gravi emergono spesso profili penali. L’ordinamento prevede vari reati per condotte che tipicamente si manifestano quando un’azienda è insolvente o sta per diventarlo. È fondamentale per l’imprenditore conoscerli, sia per evitarli (la migliore difesa è non commettere il fatto) sia per capire le conseguenze di certe azioni.

Reati fallimentari (bancarotta): Se viene aperta la liquidazione giudiziale (fallimento), gli amministratori e in certi casi i soci di fatto possono essere perseguiti per il reato di bancarotta fraudolenta (artt. 322-323 CCII che riprendono art. 216 L.Fall.). La bancarotta fraudolenta ha varie forme: – Bancarotta fraudolenta patrimoniale: quando prima o durante il fallimento l’imprenditore distrugge, occulta, dissipa o distrae beni del patrimonio o documenti contabili, arrecando danno ai creditori. Esempi: sviare soldi su conti esteri, vendere sottoprezzo a compiacenti, regalare beni a parenti, o anche pagare alcuni creditori preferendoli (quest’ultimo tecnicamente è “bancarotta preferenziale”). Sono reati gravissimi, puniti con reclusione 3 a 10 anni (fraudolenta patrimoniale) e 1 a 5 anni (preferenziale). Una pronuncia recente: Cass. Pen. n. 38419/2024 ha qualificato come bancarotta preferenziale il fatto dell’amministratore che si fa pagare crediti personali prima del fallimento . Cioè se l’amministratore ha un credito verso la società e lo compensa/riceve prima di fallire, commette bancarotta preferenziale (ha favorito sé stesso a danno di altri creditori). – Bancarotta fraudolenta documentale: se vengono falsificati o sottratti i libri contabili per non far ricostruire ai creditori le operazioni (punito 3 a 8 anni). Molti piccoli imprenditori, in crisi, smettono di aggiornare i conti: anche questa può diventare bancarotta semplice/documentale. – Bancarotta semplice: condotta meno grave (negligenza o imprudenza grave, senza frode). Esempi: l’imprenditore ha speso somme eccessive per fini personali quando l’impresa era in crisi, o ha aggravato il dissesto con operazioni manifestamente imprudenti, o non ha tenuto la contabilità regolare per pigrizia, o non ha chiesto il fallimento in tempo. Bancarotta semplice è punita con reclusione fino a 2 anni (meno afflittiva, ma comunque reato). – Ricorso abusivo al credito: se prima del fallimento l’imprenditore ha fatto ricorso a credito dissimulando il dissesto (ad es. contraendo prestiti con bilanci falsi). È bancarotta fraudolenta impropria.

Altri reati legati alla crisi:Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000): se un imprenditore compie atti simulati o fraudolenti per rendersi insolvibile verso l’erario (es: alienare beni a terzi compiacenti per evitare pignoramenti Equitalia), e ha debiti IVA o imposte dirette > €50.000, commette reato (punito con reclusione fino a 4 anni) . Questo è indipendente dal fallimento: scatta su segnalazione dell’Erario. Ad esempio, vendere il capannone alla moglie a prezzo stracciato quando si hanno cartelle esattoriali pesanti è reato. – Omesso versamento di IVA e ritenute (già discusso in parte fiscale): superate certe soglie (IVA > €250k, ritenute > €150k), diventano reati tributari puniti con reclusione fino a 2 anni. Un imprenditore con difficoltà di liquidità talvolta accumula IVA non versata: se eccede la soglia, rischia processo. Mitigazione: la legge consente di estinguere il reato pagando il dovuto prima dell’apertura del dibattimento, e come visto la riforma fiscale 2023 consente che un piano di rateazione in corso blocchi la punibilità . Quindi la difesa qui è attivarsi con l’Agenzia Entrate: avere una dilazione in corso prima che scada il termine penal-tributario (in genere il termine è il 30 aprile dell’anno successivo per presentare la dichiarazione, poi 3 mesi per pagamento, ma con riforma 2024 c’è spostamento a 31 luglio). – Reati societari: ad es. false comunicazioni sociali (falso in bilancio). Se per mascherare la crisi gli amministratori hanno falsificato bilanci, possono risponderne penalmente (S.r.l. e S.p.A. punito se falsità rilevante, reclusione fino a 3 anni o 6 se quotate). Spesso i falsi in bilancio emergono al fallimento, e integrano anche bancarotta fraudolenta documentale a volte. – Usura o indebita restituzione conferimenti: se in vista del fallimento i soci hanno prelevato capitali, può esservi reato di infedeltà patrimoniale (art. 2634 c.c., se configurabile). – Reati di riciclaggio/autoriciclaggio**: se l’imprenditore sposta fondi illeciti all’estero o li reimpiega, subentrano questi reati.

Chi può essere imputato: Di solito gli amministratori di diritto e di fatto (quest’ultimo equiparato se esercitava poteri, come deciso in Cass. 36582/2024 citata in Advisora ). I soci di una S.n.c. – essendo amministratori di diritto salvo patto contrario – sono imputabili di bancarotta. Anche i garanti esterni in concorso se hanno partecipato a frodi (es: un parente aiuta a occultare beni, può essere correo in bancarotta). I sindaci complici possono rispondere per concorso in bancarotta (per esempio, Cass. Pen. 2115/2024 ha rigettato attenuanti a sindaci negligenti in una bancarotta ).

Difendersi (in senso di prevenire) sul penale:Non compiere atti distrattivi: sembra banale, ma spesso per “salvare il salvabile” l’imprenditore pensa di mettere al sicuro alcuni beni, magari intestandoli a familiari, convinto di fare il suo interesse. Ciò è un reato (distrazione) e comunque il curatore quasi sempre lo individua e li recupera. Meglio piuttosto usare quei beni per pagare in parte i debiti o per una proposta concordataria, così da non incorrere in reato e anzi ottenere benefici (nel concordato l’apporto di beni personali dei soci è apprezzato e non penalizzato). – Tenere la contabilità ordinata: se la crisi peggiora ed è inevitabile insolvenza, almeno i libri contabili in ordine sollevano dall’accusa di bancarotta documentale e permettono al curatore di capire la situazione (il che può far apparire l’imprenditore collaborativo). – Non preferire alcuni a scapito di altri all’ultimo: pagare il fratello creditore e non gli altri 100 fornitori, a ridosso del fallimento, è bancarotta preferenziale. Se decidi di pagare qualcuno perché ritenuto essenziale, documenta che era per tentare di salvare l’azienda (a volte in giudizio si discute se era atto nell’interesse dell’impresa – preferenza “giustificata” può essere non punibile come preferenziale). Comunque è rischioso. Molto meglio, se si vuol fare giustizia, farlo in un contesto legale (es. un accordo di ristrutturazione). – Non indebitarci ulteriormente sapendo di essere insolventi: oltre a profili civili, ottenere crediti ingannando potrebbe essere truffa verso quei creditori o il reato di “accesso abusivo al credito” se in concordato. – Trasparenza con gli organi: se in composizione negoziata o concordato, seguire le indicazioni; questi strumenti sospendono possibili azioni penali per bancarotta perché finché c’è concordato non c’è fallimento e i reati non si configurano (se poi il concordato fallisce e si va a fallimento, eventuali atti commessi prima però torneranno rilevanti). Comunque lo Stato preferisce che l’azienda risani piuttosto che punire, tant’è vero che la legge prevede causa di non punibilità per bancarotta preferenziale se nel concordato i creditori preferiti vengono equiparati e soddisfatti come gli altri.

Caso notevole: Sentenza Cass. 38896/2024 (NT+ Sole24Ore) ricorda che l’amministratore formale non può sottrarsi alla responsabilità penale di bancarotta adducendo che c’era un amministratore di fatto dietro di lui . È sempre responsabile il rappresentante legale, salvo prova che fu totalmente estraneo (ma comunque nominato, ha un dovere di vigilanza). Ciò come monito: fare il prestanome non salva dal carcere, anzi spesso finisce male per il prestanome se il dominus la fa franca. Quindi nessuno pensi di poter “intestare a un nullatenente” l’amministrazione e agire defilato: penalmente risponde sia il prestanome sia l’occulto se individuato.

In conclusione, per un imprenditore indebitato la difesa penale migliore è la correttezza gestionale: seguire le regole contabili, non occultare, non favorire ingiustamente, non peggiorare la situazione per interessi personali. E, se possibile, ricorrere alle procedure di regolazione (concordato ecc.) prima che arrivi il fallimento: oltre a tentare di salvare l’azienda, questo spesso evita la consumazione di certi reati (molti reati scattano solo con il fallimento; se eviti il fallimento tramite concordato riuscito, certi reati come bancarotta non si concretizzeranno affatto).

Dopo questa ampia trattazione, disponiamo di un quadro completo degli aspetti da considerare per un’azienda con debiti su come difendersi: dalla gestione finanziaria (strumenti negoziali e concorsuali) fino alla tutela del patrimonio personale e alla condotta che eviti o mitighi guai legali ulteriori.

Passiamo ora, a fini riepilogativi e pratici, a presentare alcune tabelle che sintetizzano le informazioni chiave, e successivamente ad alcune simulazioni pratiche e alle domande frequenti.

Tabelle riepilogative

Di seguito presentiamo due tabelle riassuntive. La Tabella 1 confronta i principali strumenti di gestione della crisi d’impresa (caratteristiche, requisiti, effetti per il debitore e per i creditori). La Tabella 2 sintetizza la responsabilità patrimoniale dei soci e amministratori in base al tipo di società, evidenziando chi risponde dei debiti sociali e in quali limiti.

Tabella 1: Confronto tra strumenti di gestione della crisi d’impresa

StrumentoNaturaChi decideVincola tutti i creditori?Protezione dalle azioniScopo principaleRiferimenti normativi
Accordo stragiudiziale privato (piani di rientro, saldo e stralcio)Extra-giudiziale puro (contratti privati)Debitore e singoli creditori che aderiscono (serve consenso di ognuno coinvolto)NO – Solo chi aderisce è vincolato; i dissenzienti possono agire liberamente.Nessuna protezione legale automatica (possibili accordi moratori, ma un creditore estraneo può pignorare)Evitare procedure formali; flessibilità massima, ma richiede cooperazione di tutti i creditori principali.– (Nessuna norma specifica; art. 1322 c.c. autonomia contrattuale; possibili effetti ex art. 67 co.3 lett. e L.F. per moratorie ABI)
Piano attestato di risanamentoExtra-giudiziale “protetto” (richiede attestazione esperto, può essere pubblicato)Debitore propone piano; un esperto indipendente attesta fattibilità. Consenso creditori non formalizzato in un’unica procedura (si ottiene adesione privata dei principali)NO – vincola di fatto chi aderisce contrattualmente. Creditori non aderenti rimangono fuori (vanno pagati normalmente).No stay automatico, ma atti in esecuzione del piano non soggetti a revocatoria fallimentare . Nessun divieto di azioni esecutive salvo accordi individuali di standstill.Risanare l’azienda in via riservata, assicurando ai creditori cooperativi che le operazioni effettuate non verranno annullate se poi vi fosse fallimento.Art. 56 CCII (già art. 67 L.Fall). Requisito: piano idoneo a risanare l’impresa, attestato da professionista.
Composizione negoziata della crisiProcedura volontaria assistita da esperto, non concorsuale (fase riservata, prevede però misure protettive con intervento del tribunale)Debitore attiva procedura in Camera Commercio; un esperto terzo agevola trattative con creditori.NO – esito tipico è un accordo stragiudiziale o il passaggio ad altra procedura. Non impone accordi ai dissenzienti, ma se converte in concordato/accordo si vincolano con quello. – Debitore può chiedere al tribunale misure protettive (fino a 4+4 mesi) che sospendono azioni esecutive e istanze di fallimento . Inoltre, privilegi: sospese cause di scioglimento per perdite; nuovi finanziamenti autorizzati prededucibili .Favorire un accordo stragiudiziale col supporto istituzionale prima dell’insolvenza conclamata. Strumento di allerta e negoziazione assistita per evitare il fallimento o il concordato, se possibile.Artt. 17-25 CCII. Introdotta da D.L. 118/2021 . Accessibile se azienda in squilibrio o crisi, anche “sotto soglia”.
Accordo di ristrutturazione dei debiti (omologato)Concorsuale giudiziale, ma basato su accordo contrattuale con creditori (procedura semi-privata, omologa tribunale)Debitore negozia con creditori (richiede ≥ 60% adesione in versione ordinaria). Tribunale omologa accordo se requisiti rispettati.Parzialmente. I creditori aderenti sono vincolati secondo i termini concordati. I creditori non aderenti restano estranei (devono esser pagati per intero salvo differenti tipi di ARD estesi) . Accordi estesi: tribunale può estendere effetti a dissenzienti di stessa categoria (es. banche) se maggioranza qualificata ha aderito.SÌ (limitato) – Dalla pubblicazione della domanda di omologa, creditori non possono iniziare/persistere esecuzioni per 90 gg (prorogabili) su richiesta . Dopo omologazione, i creditori estranei possono riprendere azioni (ma spesso vengono pagati subito per evitare ciò). Atti in esecuzione dell’accordo omologato non revocabili .Risanare ristrutturando il debito con il consenso qualificato dei principali creditori, ottenendo validità legale e cram-down su eventuali minoranze organizzate (Fisco, banche dissenzienti in minoranza). Meno costoso e più rapido del concordato.Artt. 57-64 CCII (ex art. 182-bis L.F.). Varianti: agevolato (≥30% crediti, soddisfazione migliorativa per estranei) e ad efficacia estesa (75% di banche aderenti -> estensione a restanti) introdotte da D.Lgs. 83/2022 .
Concordato preventivo (continuità o liquidatorio)Procedura concorsuale completa – giudiziale, pubblica, collettiva con intervento di tutti creditoriDebitore propone un piano; creditori votano (maggioranza debiti approva). Tribunale omologa se rispetto norme e convenienza per dissenzienti.SÌ, totalmente. Tutti i creditori anteriori all’omologa sono vincolati dall’esito: i consenzienti, i dissenzienti (cram-down su minoranza) e anche gli assenti. I crediti vengono trattati come da piano omologato, in sostituzione degli originari. – Dalla data di ammissione (o dalla domanda se con riserva e misure protettive richieste), sospensione generale delle azioni esecutive e cautelari . Stop anche alle istanze di fallimento. Il debitore mantiene gestione con vigilanza del commissario; atti straordinari richiedono autorizzazione.Risanare l’azienda (continuità) o liquidarla in modo ordinato (liquidatorio), con una soluzione collettiva e coercitiva che permette di ridurre/dilazionare i debiti con efficacia universale, evitando il fallimento.Artt. 84-120 CCII (ex L.F. artt. 160-186). Requisiti: in liquidatorio assicurare almeno 20% chirografari e apporto esterno ≥10% attivo ; in continuità rispettare soddisfazione non inferiore a liquidazione. Voto per classi se previste.
Liquidazione giudiziale (Fallimento)Procedura concorsuale liquidativa – giudiziale totale (spossessamento del debitore)Dichiarata dal Tribunale su istanza creditori/debitore/PM. Curatore gestisce patrimonio. Creditori non decidono il piano (subiscono liquidazione legale)SÌ, totalmente. Tutti i creditori anteriori concorrono nel rispetto par condicio. Debiti restano integri (salvo esdebitazione persona fisica post-chiusura). Creditori non soddisfatti conservano credito ma società solitamente viene cancellata. – Apertura liquidazione sospende ed espropria tutte le azioni individuali (i crediti si possono far valere solo nello stato passivo ). Il curatore li rappresenta in vendite e riparti.Liquidare il patrimonio del debitore insolvente e distribuire il ricavato equamente secondo prelazioni. Eliminare l’impresa decotta dal mercato, eventualmente perseguendo atti di frode (revocatorie, azioni di responsabilità).Artt. 121-270 CCII (ex L.F. 1-118). Presupposto: insolvenza conclamata. Effetti: spossessamento, nomina curatore, scioglimento organi società. Possibile esdebitazione del debitore persona fisica a fine procedura .

Tabella 2: Responsabilità patrimoniale di soci e amministratori per i debiti sociali

Forma giuridicaResponsabilità verso creditori socialiEstensione a patrimonio personaleNote particolari
Ditta individuale / imprenditore individuale (in proprio)Illimitata: imprenditore risponde con tutti i suoi beni presenti e futuri (non c’è distinzione patrimonio impresa/personale giuridicamente).Sì, coinvolge direttamente l’intero patrimonio personale.L’imprenditore può accedere a esdebitazione persona fisica dopo liquidazione controllata/fallimento (fresh start). Può proteggere eventuali beni con strumenti come fondo patrimoniale (ma opponibile solo a debiti non d’impresa) .
Società di persone (S.n.c., S.s., S.a.s.)S.n.c.: tutti i soci illimitatamente e solidalmente responsabili per obbligazioni sociali .<br>S.a.s.: solo i soci accomandatari sono illimitatamente responsabili; accomandanti limitati alla quota conferita (perdono limite se immistione gestione) .Sì, per soci illimitati: il creditore sociale può aggredire beni personali (previa escussione patrimonio sociale, art. 2304 c.c.). In fallimento, soci illimitati falliscono con la società , quindi tutti loro beni liquidati. Accomandanti no (salvo abbiano garanzie prestate).Soci illimitati hanno diritto di regresso interno tra loro in proporzione alle quote se uno paga più della sua parte. <br>S.a.s.: accomandante che ingerisce nell’amministrazione diventa di fatto illimitatamente responsabile . <br>Trasformazione: se società di persone si trasforma in capitali lasciando debiti pregressi, soci illimitati restano responsabili per i debiti antecedenti (art. 2500-quinquies c.c.).
Società a responsabilità limitata (S.r.l.)Regola generale: Soci non rispondono dei debiti sociali oltre la perdita del capitale investito (responsabilità limitata) .No, salvo eccezioni. Patrimonio personale al riparo dai creditori della società. Creditori soddisfano su attivo della S.r.l.; se insufficiente, restano insoddisfatti (possono sperare in azioni di responsabilità vs amministratori, non vs soci di norma).Eccezioni: <ul><li>S.r.l. Unipersonale: socio unico illimitatamente responsabile dei debiti contratti nel periodo in cui non è stata pubblicata l’unipersonalità o non è stato interamente versato il capitale .</li><li>Soci garanti: se hanno firmato fideiussioni o garantito personalmente obbligazioni sociali (prassi comune con banche), rispondono secondo quel vincolo contrattuale (non per legge societaria, ma per impegno volontario).</li><li>Finanziamenti soci postergati: i rimborsi di prestiti dei soci in crisi sono subordinati al soddisfacimento degli altri creditori (art. 2467 c.c.), e in fallimento il curatore può non pagarli se concorre insufficienza attivo.</li><li>Abuso di personalità giuridica: in caso di frode o confusione patrimonio, giurisprudenza può “trarre” in responsabilità i soci di fatto (es: società usata come schermo – soci considerati amministratori di fatto, responsabili per fatti di mala gestio verso creditori ).</li><li>Art. 2476 co.7 c.c.: soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato atti dannosi degli amministratori rispondono solidalmente con essi verso società e creditori .</li><li>Obblighi legali violati: es., socio che non libera i conferimenti dovuti può essere chiamato a versarli (azione di richiamo ex art. 2466 c.c. se società insolvente).</li></ul>
Società per azioni (S.p.A.)Soci azionisti non rispondono delle obbligazioni sociali (art. 2325 c.c.), salvo casi eccezionali previsti da legge.No, patrimonio personale escluso (perdita massima = capitale investito in azioni).Eccezioni analoghe a S.r.l.: <ul><li>Azionista unico: stessi obblighi di pubblicità e conferimenti (art. 2362 c.c.) – responsabilità illimitata se non adempiuti.</li><li>Azionisti garanti: se prestano garanzie personali a creditori, ne rispondono contrattualmente.</li><li>Direzione e coordinamento (art. 2497 c.c.): se una società o socio esercita gestione unitaria causando danno a società controllata, risponde per i debiti derivati da mala gestione verso creditori di essa (responsabilità da abuso controllo). Questo può far risalire responsabilità al socio di maggioranza o holding, in caso di fallimento della controllata .</li><li>Azionista amministratore di fatto: trattato come tale per responsabilità civile e penale (es. socio di controllo che impone scelte operative può rispondere ex art. 2392 c.c. in concorso).</li></ul>

(Legenda: illimitata = il creditore può chiedere l’intero importo del debito; solidale = può chiederlo a qualsiasi socio in toto; beneficio di escussione = prima aggredisce patrimonio sociale poi, se incapiente, quello dei soci; conferimenti = capitale sottoscritto dal socio per quote/azioni; postergazione = subordinazione di rimborso prestiti soci; amministratore di fatto = chi esercita poteri gestori in assenza di nomina formale.)

Esempi pratici di gestione dei debiti aziendali

Per concretizzare l’applicazione dei concetti sin qui esposti, proponiamo alcuni scenari realistici relativi a un’ipotetica azienda produttrice di raccordi per aria compressa (una PMI manifatturiera), evidenziando quali scelte compie il debitore e con quali risultati. Questi esempi illustrano possibili strategie di difesa del debitore di fronte a diverse tipologie di debiti e situazioni.

Esempio 1: Rinegoziazione stragiudiziale dei debiti bancari e continuazione dell’attività
Scenario: La società Compress Air S.r.l. ha debiti per €500.000 verso una banca (mutuo e scoperto di conto), garantiti da ipoteca sul capannone e da fideiussione del socio di maggioranza. A causa di un calo temporaneo di ordini, l’azienda è in difficoltà di cassa ma ha un buon portafoglio clienti prospettico. La banca ha inviato “lettera di rientro” chiedendo il rientro in 60 giorni dall’esposizione.
Azione intrapresa: L’amministratore contatta immediatamente la banca, illustrando un piano di ripresa: spiega che sono in arrivo nuovi contratti nei prossimi 6 mesi che miglioreranno i flussi. Propone quindi una moratoria: 6 mesi di soli interessi sul mutuo e mantenimento degli affidamenti, in cambio l’azienda offre ulteriori garanzie (per esempio, un pegno su macchinari acquistati di recente). Inoltre, coinvolge un consulente finanziario per certificare alla banca che l’azienda, trascorso il periodo di moratoria, potrà riprendere i pagamenti regolari. La banca, valutate le proiezioni e per non dover escutere l’ipoteca (con costi e incertezze), accetta di firmare un accordo privato di rinegoziazione: concede 6 mesi di respiro e poi un allungamento di 2 anni del piano di mutuo (riducendo l’importo della rata). In parallelo, il socio garante offre di incrementare il capitale sociale di €50.000 per dare un segnale di impegno (la banca apprezza, perché quei fondi restano in azienda a rafforzare il patrimonio).
Risultato: L’azienda riesce a superare il semestre critico senza subire revoca degli affidamenti. Dopo 4 mesi, grazie alla continuità operativa, acquisisce ordini significativi e incassi che le consentono di rispettare i nuovi pagamenti concordati con la banca. In pratica, il problema è stato risolto stragiudizialmente: la banca ha evitato un default immediato che l’avrebbe costretta a svalutare il credito, il socio ha evitato di escutere la garanzia personale, e la S.r.l. ha mantenuto le linee di credito indispensabili per portare avanti la produzione. Questo esempio mostra come una comunicazione tempestiva e un piano credibile possano portare a un accordo “win-win” col principale creditore, senza bisogno di procedure concorsuali.

Esempio 2: Composizione negoziata della crisi con accordo fiscale e concordato preventivo in continuità
Scenario: La ABC Raccordi S.r.l. ha debiti complessivi di €1,2 milioni: €400k verso banche, €300k verso fornitori, €200k verso l’Agenzia Entrate (IVA non versata due annualità) e €100k INPS (contributi arretrati), più altri minori. Il fatturato è in calo, ma l’impresa ha un prodotto innovativo che potrebbe rilanciarla se supera la crisi. La cassa attuale è quasi zero e alcuni fornitori minacciano azioni legali.
Azione intrapresa: L’amministratore decide di attivare la composizione negoziata presso la Camera di Commercio . Viene nominato un esperto indipendente. Dopo analisi, l’esperto rileva che l’impresa è in crisi ma non insolvente irreversibile: con una ristrutturazione dei debiti e nuovi investimenti, può recuperare. Sotto la guida dell’esperto, l’azienda elabora un piano che prevede: mantenere la continuità aziendale, trovare un investitore disposto a immettere €200k (magari un partner commerciale interessato), dilazione del debito fiscale e contributivo e parziale stralcio del debito bancario. L’esperto convoca banche e Fisco al tavolo. Nel frattempo, la società chiede al tribunale misure protettive – che vengono concesse – così i fornitori e l’INPS sospendono i pignoramenti per 4 mesi. In trattativa: <br>- Le banche inizialmente restie, accettano di allungare i finanziamenti (da 5 a 8 anni) e di rinunciare a interessi di mora, perché vedono che con il nuovo partner la società avrà liquidità; <br>- L’Agenzia Entrate concorda una transazione fiscale: accetta il pagamento del 60% dell’IVA dovuta in 5 anni, rinunciando a sanzioni e interessi (grazie al D.Lgs. 118/2021 può farlo nei concordati); <br>- L’INPS acconsente a una dilazione massima (7 anni) sui contributi. <br>Con questi accordi di massima, tuttavia, non tutti i fornitori (specie i più piccoli) partecipano al tavolo. Si prospetta allora che l’azienda depositerà un concordato preventivo in continuità utilizzando gli accordi raggiunti come base. L’esperto conclude che c’è una bozza di accordo sufficientemente definita. La composizione negoziata termina e la società deposita in tribunale la domanda di concordato con il piano: l’investitore nuovo entra nel capitale con €200k destinati integralmente a pagare i fornitori chirografari fino al 40% dei loro crediti; le banche vengono rimborsate secondo il nuovo piano (per loro nessuna falcidia di capitale, solo allungamento); il Fisco e INPS sono inseriti in classi separate con trattamento conforme alla transazione (60% in 5 anni per Erario, integrale in 7 anni per INPS). I fornitori voteranno su questa proposta: la maggioranza di essi (allettati dal fatto che con fallimento forse prenderebbero <20%) vota sì. Il concordato viene approvato e omologato. Grazie alla nuova finanza e alla falcidia di parte dei debiti, l’azienda riprende fiato e, mantenendo la continuità produttiva durante la procedura, conserva i suoi mercati.
Risultato: Nel giro di ~1 anno l’impresa ha evitato il fallimento e si è risanata sotto controllo giudiziale. I creditori finanziari e strategici sono soddisfatti in continuità, i piccoli fornitori ottengono almeno 40% invece di rischiare zero. L’imprenditore mantiene la proprietà (anche se diluita dal nuovo socio) e l’attività prosegue. Questo esempio mostra una strategia combinata: prima composizione negoziata per congelare la situazione e costruire il consenso, poi concordato preventivo per vincolare anche chi era fuori dall’accordo e apportare risorse esterne in un quadro definitivo. Il punto di vista del debitore: ha usato tutti gli strumenti legalmente disponibili per difendersi – blocco dei creditori, taglio del debito fiscale, coinvestimento di terzi – salvando l’azienda.

Esempio 3: Liquidazione giudiziale con esdebitazione del piccolo imprenditore
Scenario: La XYZ Snc di Rossi & Bianchi, piccola società artigiana (due soci) fornitrice di raccordi personalizzati, accumula debiti per €300k verso fornitori e banche, ma il lavoro è calato e uno dei soci è andato in pensione. L’attività non è più sostenibile. Non sono state tentate procedure di concordato perché la situazione appare senza ripresa economica. Un fornitore avvia un pignoramento e chiede il fallimento.
Azione intrapresa: I soci, coadiuvati dal loro legale, valutano che l’insolvenza è conclamata e non vi sono beni sufficienti a soddisfare i creditori significativamente (il magazzino e i macchinari valgono in tutto €50k). Decidono di non opporsi all’istanza di fallimento ma anzi di presentare essi stessi ricorso per la liquidazione giudiziale in proprio, fornendo al tribunale l’elenco preciso di creditori e attivi. Il tribunale dichiara la liquidazione giudiziale della S.n.c. e dei soci illimitatamente responsabili . Durante la procedura, i soci collaborano col curatore: consegnano tutti i libri, indicano dove si trovano i macchinari, suggeriscono potenziali compratori di alcune attrezzature. Il curatore vende il magazzino e i macchinari per €55k e recupera €5k da crediti clienti non ancora incassati. Dedotte spese, ai creditori viene distribuito un piccolo riparto (circa 15% dei loro crediti). Dopo circa 2 anni, la procedura è chiusa. I creditori restano insoddisfatti per il restante 85%. I due soci presentano istanza di esdebitazione persona fisica, avendo soddisfatto i criteri: la loro insolvenza non era fraudolenta, hanno cooperato lealmente e non hanno beneficiato di esdebitazione nei precedenti 10 anni. Il tribunale concede l’esdebitazione ai soci ex-falliti .
Risultato: La società è stata cancellata e i creditori non hanno potuto recuperare molto (purtroppo scenario tipico). Tuttavia, i due ex-soci – persone fisiche – sono ora liberati dai debiti residui: i creditori non possono più perseguirli per l’85% rimasto impagato. Ciò consente ai due di “ripartire da zero” senza il fardello del passato. Uno dei due soci, più giovane, dopo qualche anno avvia una nuova attività come dipendente in un’azienda del settore, senza timore di vedersi pignorato lo stipendio per i vecchi debiti, grazie all’esdebitazione. L’altro socio in pensione non rischia il pignoramento della casa (che era stata ipotecata ma, venduta all’asta nella procedura, non ha lasciato strascichi personali).
Questo scenario mostra che, quando non c’è modo realistico di salvare l’impresa, affrontare la liquidazione giudiziale tempestivamente e con cooperazione può almeno evitare ulteriori aggravamenti e permettere ai debitori onesti di difendersi sul lungo termine attraverso il beneficio dell’esdebitazione – in pratica una riabilitazione economica e civile . Certo, la difesa dell’impresa qui non c’è stata (l’impresa è stata liquidata), ma c’è stata la difesa del debitore persona dalle conseguenze indefinite del debito, mediante l’uso consapevole degli strumenti fallimentari a suo favore.

Esempio 4: Azione di responsabilità contro gli amministratori per aggravamento del dissesto
Scenario: La Omega S.p.A. (settore raccordi industriali) fallisce nel 2024 con un passivo di €5 milioni, ma un’attivo di solo €2 milioni. Il curatore, esaminando le carte, scopre che la società aveva già nel 2022 perdite che azzeravano il capitale, eppure gli amministratori invece di ridurre l’attività hanno intrapreso un costoso progetto di espansione in nuovi mercati, finanziandolo indebitandosi ulteriormente con banche e fornitori (nel 2023 il debito è raddoppiato). Inoltre hanno continuato a pagare regolarmente una società di proprietà di uno degli amministratori per consulenze, drenando liquidità (sospetto di conflitto di interessi).
Azione intrapresa dal curatore: Egli promuove un’azione di responsabilità ex art. 255 CCII contro gli amministratori (sia di diritto sia un “consulente” che in realtà fungeva da amministratore di fatto). Chiede un risarcimento di €3 milioni, pari al deficit incrementale causato dalle loro scelte scellerate dopo il 2022. Come prova porta: verbali di CDA in cui si ignoravano gli allarmi del direttore finanziario, relazioni contabili che mostravano il peggioramento, e contratti di consulenza sovraprezzo verso la ditta dell’amministratore. Viene anche evidenziato che non hanno mai attivato la composizione negoziata né cercato di fare un concordato, pur essendo in crisi palese da tempo, violando il dovere di gestire diligentemente la crisi . Il tribunale, accertata la colpa grave, condanna gli ex-amministratori in solido a risarcire €1,5 milioni (la CTU ha stimato in quell’importo il danno effettivo ai creditori, tenendo conto di fattori di mercato). Uno degli amministratori aveva una polizza D&O (Directors & Officers) che copre parzialmente la responsabilità civile: l’assicurazione versa €500k al fallimento. Il resto, gli amministratori lo dovranno da patrimonio personale.
Risultato: I creditori della Omega, che si aspettavano un riparto del 40%, grazie a questa azione vedono aumentare la massa attiva e potranno recuperare forse il 70%. Gli amministratori, per contro, subiscono un duro colpo patrimoniale (oltre alla reputazione e possibili conseguenze penali: è probabile sia aperto anche un procedimento per bancarotta preferenziale per i pagamenti alla loro società di consulenza e per bancarotta semplice per aver aggravato il dissesto). Questo scenario, negativo per gli amministratori, enfatizza un aspetto: per il debitore-imprenditore, difendersi significa anche evitare condotte che possano sfociare in tali azioni. Se avessero seguito la via di un concordato già nel 2022, magari non avrebbero questa condanna ora. L’uso dell’azione di responsabilità da parte del curatore dimostra come i meccanismi di legge proteggono i creditori punendo chi ha mal gestito: è un monito che dovrebbe incoraggiare gli amministratori in crisi a non aspettare e a non azzardare con soldi altrui, bensì ad attivarsi con gli strumenti leciti di composizione.

Questi esempi coprono diverse situazioni: la ristrutturazione bilaterale informale, la procedura di crisi che sfocia in concordato, il fallimento con esdebitazione, e la responsabilità post-fallimentare. Nella pratica, ogni caso di azienda indebitata è unico e potrebbe combinare elementi di questi scenari. La chiave per il debitore è mantenere un ruolo attivo e informato: affidarsi a professionisti, conoscere i propri obblighi e diritti, e scegliere per tempo la strada più adatta a minimizzare danni e rischi.

Domande frequenti (FAQ)

Infine, riportiamo una serie di domande comuni che imprenditori, amministratori o soci di aziende indebitate potrebbero porsi, con risposte concise basate su quanto esposto nella guida:

D: Un singolo creditore può far fallire (liquidazione giudiziale) la mia azienda?
R: Sì, se il credito è certo, liquido ed esigibile e l’azienda si trova in stato di insolvenza, anche un solo creditore (tipicamente un fornitore non pagato, una banca, o l’Erario) può presentare istanza di liquidazione giudiziale . Non esiste più una pluralità minima di creditori richiesta; conta lo stato d’insolvenza. In pratica però il tribunale verifica l’insieme della situazione debitoria. Nota: c’è una soglia di debito (circa €30.000) sotto la quale l’istanza può essere dichiarata inammissibile per difetto di dimensione (norma introdotta dal Decreto Sviluppo nel 2012 per evitare fallimenti per piccole soglie, tuttora considerata). Quindi un credito di poche migliaia di euro di norma non porta a fallimento se è isolato; ma debiti sopra qualche decina di migliaia sì.

D: La mia azienda non riesce a pagare le tasse da due trimestri. Posso evitare sanzioni o azioni esecutive del Fisco?
R: Prima di tutto, comunica con l’Agenzia Entrate o Agenzia Riscossione. Puoi chiedere una rateizzazione del debito fiscale: fino a €120.000 è relativamente semplice ottenerla (ora fino a 84 rate) , oltre richiede documentare difficoltà ma si può arrivare a 120 rate . Una volta ottenuta la dilazione, le sanzioni per tardivo versamento sono applicate ma non penali, e soprattutto AER sospende le azioni esecutive fintanto che rispetti le rate. Se il problema è l’IVA o le ritenute non versate, presta attenzione alle soglie penali: ad esempio IVA > €250k annui è reato , ma se attivi una rateazione prima che scadano i termini penalmente rilevanti, eviti la punibilità . In sintesi: attiva presto un piano di rientro col Fisco, valuterai poi se la tua azienda avrà bisogno di un accordo di ristrutturazione o concordato includendo anche il Fisco (transazione fiscale) . Importante: non ignorare le cartelle esattoriali o gli avvisi bonari – la mancata reazione porta a pignoramenti (conto corrente, fermi auto, ipoteche su immobili) in tempi anche brevi (60 giorni dopo notifica cartella se non paghi né rateizzi).

D: Ho garantito personalmente con fideiussione un prestito bancario della mia S.r.l. Cosa mi succede se la S.r.l. non paga?
R: La banca, in caso di inadempimento della società, potrà escutere direttamente la tua fideiussione. Ciò significa che potrà chiedere a te – in qualità di garante – il pagamento del debito (interessi e spese inclusi) non soddisfatto dalla società. Se non paghi spontaneamente, potrà agire sul tuo patrimonio (conti correnti personali, stipendio, beni di proprietà) con le procedure esecutive ordinarie. Non sei tutelato dalla responsabilità limitata della S.r.l. perché hai firmato un obbligo autonomo. In un eventuale concordato preventivo della S.r.l., il debito verso la banca può essere ristrutturato per la società, ma la tua fideiussione rimane valida salvo che la banca rinunci esplicitamente (cosa rara) . Tuttavia, spesso nelle trattative di ristrutturazione, il garante cerca di negoziare con la banca: ad esempio, offrendo un pagamento parziale a saldo e stralcio della sua posizione personale. Nota: se la società fallisce, la banca potrà insinuare il suo credito al passivo e contemporaneamente agire contro di te; non deve scegliere, semplicemente non potrà incassare più del 100% sommando quanto prende da fallimento e da te. In pratica, come garante sei esposto quasi inevitabilmente se la società non onora quel debito.

D: Cosa significa che i soci di una SNC rispondono “illimitatamente e solidalmente” dei debiti?
R: Significa che ciascun socio di SNC può essere costretto a pagare l’intero debito sociale con i propri beni personali . “Illimitatamente” = senza limite d’importo (anche oltre la quota societaria); “solidalmente” = il creditore può rivolgersi a uno qualsiasi dei soci per il totale (poi tra soci ci saranno eventuali regolazioni interne). Esiste un beneficio di escussione: il creditore dovrebbe prima tentare sul patrimonio della società, ma se questo è inadeguato o il socio non solleva l’eccezione, può colpire direttamente i soci. Esempio: se SNC ha debito €100k e in cassa non ha nulla, il creditore può chiedere a uno solo dei due soci €100k; quel socio dovrà pagare col proprio patrimonio e poi eventualmente rivalersi per €50k sull’altro socio. In sede di fallimento, come visto, i soci di SNC falliscono anch’essi , quindi di fatto il loro patrimonio viene trattato unitariamente al fine di soddisfare i creditori. Questo regime è il rovescio della medaglia della SNC: grande libertà gestionale, ma responsabilità totale sui debiti.

D: Sono amministratore di una S.r.l.: rischi personali a parte eventuali fideiussioni?
R: Come amministratore potresti avere responsabilità civile verso la società o i creditori se con la tua gestione hai violato i doveri (vedi sezione responsabilità amministratori). Ad esempio, se hai aggravato il dissesto non convocando i soci per perdere capitale o hai pagato preferenzialmente qualcuno pre-fallimento, il curatore potrebbe citarti per danni . Inoltre, ci sono possibili azioni penali: in caso di fallimento, verrai scrutinato per bancarotta (fraudolenta se hai distratto beni o tenuto contabilità irregolare, semplice se solo negligente) . Fuori dal fallimento, se non paghi contributi >€10k o IVA >€250k, rischi imputazioni specifiche (omesso versamento) . Quindi, oltre all’esposizione patrimoniale diretta (che nella S.r.l. normalmente non hai per i debiti sociali), c’è l’esposizione indiretta: i tuoi beni possono essere colpiti come risarcimento danni o multe penali. Per difenderti, devi agire diligentemente: seguire la legge, evitare atti di mala gestio, e se la società va verso insolvenza, privilegiarne il patrimonio residuo per i creditori in modo corretto (attivando magari concordato invece di dilapidare risorse). Un amministratore onesto che però per contingenze fallisce l’azienda difficilmente subirà condanne gravi se ha rispettato gli obblighi (potrebbe comunque rispondere di bancarotta semplice se ritardò un po’). Un amministratore disonesto invece rischia anche la reclusione. In breve: il rischio patrimoniale “puro” di un amministratore di S.r.l. (senza garanzie) è moderato fino a insolvenza; ma in insolvenza, il suo operato passato viene passato al setaccio e può emergere responsabilità con conseguenze economiche personali.

D: I dipendenti possono agire contro l’amministratore o i soci per stipendi non pagati?
R: In generale, i dipendenti devono rivalersi sulla società datore di lavoro. Non possono citare direttamente l’amministratore o i soci solo per il fatto di non aver ricevuto lo stipendio (non esiste di per sé una responsabilità personale di amministratori verso i dipendenti, a meno di comportamenti illeciti extra). Tuttavia, se la società fallisce, i dipendenti privilegeranno come creditori sul patrimonio sociale e, se rimangono insoddisfatti, l’INPS (Fondo di Garanzia) coprirà TFR e ultime 3 mensilità . L’INPS poi può insinuarsi in fallimento e se ravvisa che gli amministratori hanno colpe (es. non hanno versato contributi volontariamente, o hanno proseguito l’attività senza pagare i salari) potrebbe sollecitare azioni di responsabilità. Ma direttamente il dipendente non può far cause al singolo amministratore salvo casi eccezionali (es: danno da infortunio sul lavoro per violazione norme sicurezza – lì c’è responsabilità anche penale dell’organo amministrativo). Quanto ai soci: in società di persone, i dipendenti sono creditori come gli altri, quindi possono aggredire i soci illimitati; in società di capitali, no. In sintesi, per gli stipendi la tutela del dipendente è privilegio sul patrimonio societario e intervento del Fondo di garanzia INPS, non c’è un “escamotage” per andare sui patrimoni personali di amministratori/soci in sede civile ordinaria per il credito da lavoro (a differenza di Fisco e banche con garanzie, i lavoratori non hanno “garanti” persone, hanno però tutele pubbliche). L’amministratore negligente però può incorrere in sanzioni penali (reato contravvenzionale se omette di versare stipendi oltre certi limiti di tempo, e se protrae l’omissione c’è dimissioni per giusta causa etc., ma non li fa pagare lui di tasca propria).

D: Se attivo una procedura di concordato o accordo, i miei fornitori e clienti verranno a saperlo? Che impatto può avere?
R: Le procedure concorsuali pubbliche (concordato, fallimento) sono iscritte nel Registro Imprese ed è usuale che nel settore se ne venga a conoscenza. Inoltre, nel concordato i fornitori stessi sono attori: verranno convocati per votare, quindi sicuramente lo sapranno. Ciò potrebbe creare preoccupazione: alcuni fornitori potrebbero restringere il fido o pretendere pagamento anticipato d’ora in poi. Lo stesso per i clienti, se temono interruzione forniture. Va gestito con cura comunicativa: spesso un concordato ben spiegato (“stiamo ristrutturando per rafforzarci”) può essere accettato come fatto fisiologico, soprattutto nelle filiere dove non è evento raro (edilizia, automotive ecc.). Le procedure stragiudiziali riservate (composizione negoziata, piano attestato) invece sono confidenziali: i creditori coinvolti lo sanno (in comp. negoziata, se chiedi misure protettive, viene pubblicata al RI un’informativa, quindi qualche informato potrebbe accorgersene, ma è meno evidente di un concordato). La reputazione in affari può risentirne, ma spesso è già risentita dai ritardi nei pagamenti. Un consiglio: meglio controllare la narrazione: informare i partner chiave direttamente, spiegando la situazione e come la procedura serve a risolvere. Meglio saperlo da te che per via ufficiale senza contesto. Molte imprese escono da un concordato e riprendono rapporti normali, altre invece faticano perché la fiducia è scossa. Dipende da settore e importanza dell’azienda. In conclusione: in un accordo privato riuscito, l’impatto reputazionale è minimo; in un concordato, va messo in conto e gestito con trasparenza.

D: L’azienda sta andando male ma non vogliamo perderla. Come scegliere tra le varie opzioni (piano attestato, accordo 182-bis, concordato)?
R: La scelta dipende da vari fattori: <ul><li>Quanti creditori e che tipo: se sono pochi (ad es. solo banche e fisco) e disponibili a trattare, un accordo di ristrutturazione 182-bis può bastare (60% consenso e omologa per vincolo legale) . Se sono tanti e disorganizzati, serve il concordato (voto maggioranza). Se la difficoltà è ancora anticipabile e vuoi mantenere riservatezza, puoi iniziare con un piano attestato o composizione negoziata ; se funzionano, eviti procedure lunghe, se no hai tempo per passare a concordato.</li><li>Stato dell’impresa: se credi nel rilancio (business ancora valido), punta a strumenti di continuità (piano attestato, accordi, concordato in continuità). Se pensi che l’impresa non sia più sostenibile come going concern, può essere preferibile un concordato liquidatorio o addirittura accettare il fallimento con cessione beni. Ad es. se sei disposto a cedere l’azienda a competitor, potresti farlo in concordato (vendita ramo d’azienda a terzo e poi liquidazione residuo) – i creditori probabilmente preferiranno rispetto a fallimento.</li><li>Tempi e costi: piano attestato e accordi sono meno costosi e relativamente più veloci (pochi mesi); il concordato è più costoso e dura più a lungo. Devi avere risorse per pagare consulenti, attestatore, eventuale commissario. Se l’azienda è già in affanno di liquidità estrema, a volte paradossalmente conviene il fallimento (dove i costi vengono dalla massa attiva) – ma quello è scenario di resa totale. Se invece hai un po’ di ossigeno, investire in un buon advisor per un piano può salvarti l’azienda o parti di essa.</li><li>Coinvolgimento soci: se i soci possono immettere denaro nuovo o garanzie, qualsiasi procedura è più facile. Spesso i creditori guardano quanto i proprietari “ci mettono del loro” nel risanamento. Se i soci non vogliono/possono mettere nulla, a volte un concordato con intervento di terzi investitori è la via (i soci potrebbero perdere la proprietà in cambio dell’apporto di nuovi capitali di altri).</li></ul>In sintesi, un piccolo schema: tenta sempre prima la via negoziale breve (accordi privati o comp. negoziata); se fallisce, vai su strumenti omologati (accordo 182-bis se fattibile, sennò concordato). Se anche quelli non sono possibili o falliscono, allora la liquidazione giudiziale. Ogni step prevede salvaguardie crescenti per i creditori ma più sacrifici di controllo per te. Valuta con consulente la fattibilità di ciascuno (es: un concordato richiede assicurare almeno X% ai chirografari – hai asset per garantirlo? Un accordo 182-bis richiede convincere 60% creditori – li hai “in mano”?).

D: Che succede ai contratti in corso (affitto sede, leasing macchinari, forniture in essere) se attivo un concordato preventivo?
R: Il concordato non comporta scioglimento automatico dei contratti pendenti (a differenza del fallimento). In concordato in continuità, l’azienda continua ad operare, quindi di norma i contratti proseguono regolarmente. Puoi però chiedere al tribunale di sciogliere o sospendere contratti in corso che risultino troppo onerosi o non più utili (art. 95 CCII) – ad esempio, un contratto di leasing per un macchinario non impiegato potresti volerlo sciogliere: se il giudice autorizza, si scioglie e il lessor avrà indennizzo (danno) da insinuare come credito. I contratti di lavoro invece no – quelli proseguono e eventuali licenziamenti seguono le regole lavoristiche ordinarie, salvo concordato liquidatorio dove curatore può recedere (con autorizzazione) . Per le utenze essenziali (luce, gas), la legge vieta ai fornitori di interrompere forniture per morosità pregresse una volta pubblicato il ricorso di concordato, purché paghi il consumo corrente . Quindi potrai continuare ad avere energia, ecc., pagando il nuovo. Anche il locatore di immobili non può risolvere il contratto solo perché hai presentato concordato (clausole di risoluzione per concordato sono nulle). In sintesi: il concordato ti protegge dal fuoriuscire da contratti vitali e ti dà la facoltà di liberarti di quelli dannosi con ok del giudice, il tutto per agevolare il risanamento. Nel fallimento invece tutti i contratti pendenti possono essere sciolti dal curatore o restano sospesi in attesa decisione , e in genere si risolvono.

D: La società è molto indebitata ma i soci non vogliono mettere altri soldi. Possono però cedere la società a un terzo. È lecito farlo per “scaricare” i debiti?
R: Vendere le quote o azioni della società a un terzo (c.d. “phoenix company”) non libera la società dai suoi debiti: semplicemente cambia il proprietario. Se il compratore è serio, può portare risorse fresche e ristrutturare i debiti; ma se è un prestanome nullatenente, i creditori potranno comunque aggredire la società (che rimane debitrice) e la nuova gestione magari non avrà mezzi per far fronte, portando a fallimento. La cessione in sé non è vietata, ma deve essere comunicata alla società (registro imprese). Attenzione: se i soci originari cedono a un soggetto poco solvibile e contestualmente drenano gli ultimi attivi (es. si fanno restituire finanziamenti soci prima di cedere, o dividendi straordinari), quello può essere considerato atto in frode e poi revocato in fallimento, e i soci originari potenzialmente chiamati in causa. In pratica, “scaricare i debiti” vendendo la scatola vuota a un terzo non è una soluzione miracolosa: i creditori rimangono attaccati alla società e possono comunque fallirla, e in sede penale se appare un’operazione dolosa i vecchi amministratori/soci possono risponderne (c’è il reato di bancarotta per distrazione se prima di cedere hanno svuotato patrimoni, o di bancarotta preferenziale/fraudolenta se la cessione era per frodare creditori). Dunque, vendere l’azienda va bene se è finalizzato a salvare l’attività (es. vendi l’intera azienda a un competitor, incassi un prezzo che in parte va ai creditori: questo potrebbe essere fatto anche dentro un concordato con cessione di azienda ). Vendere solo le quote sperando che i debiti non ti inseguano non funziona per i creditori (che aggrediranno la società dovunque stia). In breve: cedere la società è lecito, ma non elimina i debiti sociali (a meno che il terzo li paghi, chiaramente). Spesso, tali cessioni a soggetti nullatenenti preludono a un fallimento con possibili accuse di bancarotta a chi ha gestito prima. Dunque, come strategia di difesa dei soci può essere pericolosa e poco efficace. Meglio affrontare direttamente i debiti con strumenti di legge.

D: Dopo il fallimento, dovrò pagare i debiti residui della società con i miei beni personali?
R: Dipende dal tipo di società e ruolo: <br>- Se eri socio illimitatamente responsabile (SNC, SAS accomandatario) e i creditori non sono stati soddisfatti integralmente nel fallimento, allora sì: i creditori possono rivalersi sul tuo patrimonio personale per la parte non pagata. Anzi, come visto, di solito fallisci insieme e i tuoi beni sono già stati liquidati; se però qualcosa ti rimane fuori (es. bene non aggredibile), i creditori potrebbero ancora provarci, ma praticamente non c’è scampo perché con la dichiarazione di fallimento tu sei obbligato in solido. Tuttavia, puoi ottenere l’esdebitazione anche tu: per le persone fisiche oneste, dopo la chiusura del fallimento il tribunale cancella i debiti residui e i creditori non possono più pretendere nulla. Ad esempio, se rimane 50% impagato, con esdebitazione tu non sei più tenuto a pagarlo. Quindi c’è questo meccanismo di clemenza. <br>- Se eri socio di S.r.l. o amministratore e non hai garanzie personali, in linea di massima no: i debiti della società muoiono con la società nel fallimento; i creditori non possono attaccare beni tuoi (non erano mai legittimati, salvo responsabilità). Fanno eccezione eventuali azioni di responsabilità contro di te: se il curatore non ha fatto, i singoli creditori sociali non possono più una volta chiuso fallimento (sono precluse le azioni individuali per quei fatti). Quindi se sei un semplice socio di S.r.l. non garante, dopo il fallimento della S.r.l. non dovrai pagare nulla dei debiti sociali, fine. Se sei amministratore e non sei stato citato per responsabilità durante la procedura, a fallimento chiuso i creditori individuali non possono più agire (azione 2394 c.c. prescritta e assorbita – salvo abbiano promosso prima, ma di solito aspetta curatore). Se sei garante, come detto, la garanzia vive anche post-fallimento: i creditori useranno quella per il residuo non soddisfatto. In sintesi: con la procedura concorsuale, o vengono liquidati anche i tuoi beni (soci illimitati) o tu ne esci abbastanza pulito (soci limitati). Lo scopo del fallimento seguito da esdebitazione è proprio evitare che una vita non basti a ripagare i debiti. Quindi, dopo fallimento ed esdebitazione, né tu né gli eredi dovrete pagare quei vecchi debiti.

D: Quanto dura una procedura concorsuale?
R: Le tempistiche variano molto. Indicativamente: un concordato preventivo dura circa 6 mesi – 1 anno per arrivare all’omologa (dipende da complessità piano, numero creditori, eventuali cause di opposizione). L’esecuzione del piano poi può durare gli anni previsti (ad esempio, concordato che paga in 5 anni – la procedura si chiude quando attuato, ma il tribunale spesso nomina un commissario o liquidatore che segue l’attuazione). Un accordo di ristrutturazione è più rapido: negoziazione dipende dalle parti, ma una volta depositato in tribunale, l’omologa può arrivare in 2-4 mesi se tutto ok. Un fallimento (liquidazione giudiziale) può durare da 2-3 anni (per procedure semplici con pochi beni) fino a anche 5-10 anni per casi complessi (molti beni immobili da vendere, liti pendenti in tribunale, etc.) . C’è l’obiettivo di chiuderli entro 3 anni ora nella riforma, ma non sempre realizzabile. La composizione negoziata ha durata massima 6 mesi (prorogabile di altri 6 eccezionalmente) – quindi è pensata come molto breve, perché se non risolve entro quell’arco, probabilmente serve altro. Questi sono tempi “tecnici”; ovviamente prima di attivare una procedura formale, l’impresa può restare in crisi latente anche per anni – ma questo è sconsigliabile come visto (si aggravano danni e responsabilità).

D: Conviene che la mia azienda chieda la liquidazione giudiziale (ex fallimento) spontaneamente anziché aspettare i creditori?
R: “Conviene” non in senso di risultato economico (perché comunque l’azienda verrà liquidata), ma in termini di gestione del rischio personale sì: la legge incoraggia il debitore a farsi avanti. Un ricorso in proprio permette di scegliere un momento in cui magari c’è ancora un po’ di liquidità per pagare qualche spesa iniziale e ordinare la cessazione ordinata, ed evita l’accusa di aver aggravato il dissesto protraendo l’attività. Inoltre, dimostra cooperazione: i tribunali apprezzano e il curatore pure, il che può riflettersi favorevolmente su eventuali richieste di esdebitazione e su valutazioni di comportamento (ad esempio in un processo penale per bancarotta, poter dire “è stato lui stesso a consegnarsi al fallimento e a collaborare” è attenuante). Quindi se sei certissimo che non c’è soluzione e stai solo accumulando debiti su debiti, allora sì: meglio presentare istanza di fallimento in proprio, dopo aver magari consultato un professionista per assicurarsi che hai fatto tutto il possibile. Ovviamente, questa è l’ultima spiaggia: prima andrebbero esaurite le ipotesi di risanamento.

D: Cos’è l’esdebitazione e come ottenerla?
R: L’esdebitazione è il meccanismo legale per cui un debitore persona fisica (imprenditore individuale o socio illimitato) viene liberato dai debiti residui dopo la chiusura della procedura concorsuale liquidatoria . Significa che, se dal fallimento i creditori han ricevuto il 20%, il restante 80% viene cancellato e il debitore non ne risponde più. Per ottenerla, devi: <br>- essere una persona fisica (le società non ne beneficiano, loro “muoiono” e basta); <br>- aver cooperato durante il fallimento (consegnato documenti, non aver ostacolato); <br>- non aver commesso reati gravi di bancarotta o simili deliberatamente; <br>- non aver già avuto un’esdebitazione recente (devi aspettare almeno 10 anni tra una e l’altra); <br>- presentare istanza al tribunale entro 1 anno dalla chiusura del fallimento (con CCII ora si concede anche d’ufficio spesso). <br>Se soddisfatti i requisiti, il tribunale emette decreto di esdebitazione e i crediti rimasti insoddisfatti diventano inesigibili . Alcuni debiti però non si cancellano: debiti di natura personale come obblighi alimentari, risarcimenti danni da fatto illecito non connesso all’esercizio d’impresa, e sanzioni penali/amm.ve pecuniarie (multe, ammende). Ad esempio, una multa fiscale per dichiarazione fraudolenta resterà a tuo carico (ma la maggior parte dei debiti d’impresa – fornitori, banche, anche imposte ordinarie – viene esdebitata). L’esdebitazione è dunque una “seconda chance” importante per chi è fallito onestamente . Con la riforma, c’è anche esdebitazione del debitore incapiente (che non aveva niente da liquidare) fuori dal fallimento, ma è un tema specialistico: in breve, anche chi è nullatenente e viene ammesso a una speciale procedura di sovraindebitamento (crisi da sovraindebitamento per consumatori o piccoli imprenditori) può ottenere la cancellazione dei debiti, a certe condizioni.

D: La mia azienda ha ricevuto un decreto ingiuntivo da un fornitore. Non posso pagare subito. Cosa posso fare per difendermi ed evitare il pignoramento?
R: Se il credito è effettivamente dovuto e liquido, opporsi al decreto ingiuntivo senza validi motivi di contestazione serve solo a guadagnare un po’ di tempo (l’opposizione trasforma in causa ordinaria, ma intanto il giudice può concedere provvisoria esecuzione e il fornitore pignora lo stesso). Una strada di difesa è contattare immediatamente il fornitore (magari tramite un legale) proponendo un accordo di pagamento dilazionato o parziale: molti fornitori preferiranno un piano di rientro concordato piuttosto che affrontare spese legali e rischio di incassare tardi attraverso l’esecuzione. Puoi offrire, ad es., di pagare il 50% entro un mese e il resto in 3 rate mensili, in cambio della sospensione dell’azione esecutiva. Formalizzate questo accordo in uno scritto (anche in sede di mediazione se opportuno). Se il fornitore aderisce, potete anche chiedere congiuntamente al giudice di concedervi termini. Qualora il fornitore non accetti e ottenga esecuzione, puoi valutare misure d’urgenza: ad esempio, se hai avviato (o stai per avviare) una composizione negoziata o hai depositato un ricorso per concordato, puoi chiedere le misure protettive per bloccare i pignoramenti . Ma senza attivare procedure concorsuali, il singolo pignoramento lo blocchi solo pagando o trovando un accordo. In alcuni casi, se intraprendi un percorso come la composizione negoziata o accordo 182-bis, puoi informare il fornitore che rientrerà in quel contesto e chiedergli di attendere (spesso accettano se vedono serietà). In definitiva: la miglior difesa è negoziare con il fornitore (difese legali procedurali sono deboli se non hai ragioni sul merito). Assicurati anche che il decreto ingiuntivo sia stato notificato correttamente: errori formali potrebbero darti spazio per un’opposizione tecnica, ma sono eventualità limitate.

D: Che differenza c’è tra liquidazione volontaria della società e liquidazione giudiziale (fallimento)?
R: La liquidazione volontaria è un procedimento societario che i soci decidono quando vogliono chiudere la società pur solvente (o anche in crisi ma confidando di pagare tutti). Nominano un liquidatore privato, che vende i beni, paga i debiti e distribuisce l’eventuale residuo ai soci. Non coinvolge il tribunale se non per il controllo finale di cancellazione. Tuttavia, se durante la liquidazione volontaria emerge che la società non paga tutti i creditori integralmene – cioè c’è insolvenza – il liquidatore ha l’obbligo di chiedere al tribunale la conversione in liquidazione giudiziale . Quindi la liquidazione volontaria funziona per chiudere società in bonis o leggermente in difficoltà ma in grado di soddisfare i creditori. Se i debiti superano l’attivo significativamente, non puoi farne a meno: va in concorsuale. Il fallimento (liquidazione giudiziale) è invece imposto dai creditori o d’ufficio quando c’è insolvenza e ha caratteristiche di spossessamento, par condicio, ecc. La liquidazione volontaria è gestita dai soci/liquidatore scelto da loro e punta comunque a pagare tutti i debiti (se no, come detto, degenera in concorsuale). Un imprenditore potrebbe provare la liquidazione volontaria come primo step: vendere attivo e pagare debiti mano a mano. Se ci riesce, evita il fallimento. Se non ci riesce, tanto valeva andare in concorsuale prima per risparmiare tempo e costi. Quindi, la differenza principale: liquidazione volontaria = scelta interna per chiudere ordinatamente pagando i debiti; liquidazione giudiziale = procedura concorsuale esterna imposta per insolvenza. Legalmente, durante la liqu. volontaria i creditori possono comunque agire esecutivamente se non vengono pagati. In fallimento no (sono bloccati e devono insinuarsi).

D: È vero che se presento domanda di concordato, le banche chiudono subito i fidi e mi segnalano a Centrale Rischi?
R: Fino a qualche anno fa, appena un’azienda entrava in concordato, le banche revocavano gli affidamenti non utilizzati e classificavano a sofferenza i crediti (con segnalazione in Centrale Rischi di Banca d’Italia). Ora, con la riforma e le linee guida europee, c’è un approccio più morbido: durante la composizione negoziata, ad esempio, la legge dice che le banche non devono per forza revocare i fidi solo perché sei in trattativa (anche se restano libere di tutelarsi se peggiora rating). In concordato preventivo, essendo procedura pubblica, probabilmente la banca classificherà quel credito come deteriorato comunque (perché stai proponendo di pagarlo parzialmente o dilazionato oltre condizioni contrattuali). Quindi sì, aspettati restrizioni: generalmente non avrai più disponibilità di affidamenti aggiuntivi (se avevi conto anticipi fatture, la banca probabilmente interromperà nuove anticipazioni e si limiterà a incassare le esistenti), e sarai segnalato come in “stato concorsuale” (che rimane per qualche anno anche dopo). Tuttavia, se hai bisogno di continuità, nel concordato in continuità puoi chiedere al giudice di autorizzare nuovo credito prededucibile: magari la stessa banca (o un’altra) concede finanziamento super-prioritario perché garantito dall’ombrello di legge . Ma è un caso. In pratica, sì: devi mettere in conto che attivando un concordato il rapporto con le banche cambia. È un male necessario se vuoi risanarti. L’alternativa – non fare nulla e farti revocare i fidi perché in default – è peggio, perché avviene senza protezioni. Almeno nel concordato ottieni la protezione dalle azioni (pignoramenti) e puoi rinegoziare sotto supervisione. Comunque, puoi preparare le banche: nel caso dell’esempio 2 sopra, l’azienda in comp. negoziata ha anticipato alle banche la situazione e ha ottenuto la loro cooperazione. In quell’ambito, le segnalazioni CR possono essere sospese su ordine del tribunale (c’è dibattito ma alcune pronunce lo hanno concesso come misura cautelare per non “affondare” l’impresa con segnalazioni negative). Ad esempio, c’è stata discussione se in concordato si possa ordinare alle banche di non segnalare a sofferenza: le Sez. Unite nel 2021 hanno detto che non esiste obbligo per banca di mantenere affidamenti, ma la segnalazione CR può forse essere evitata se strumentale al risanamento . Insomma, è un tema tecnico. Ma preparati alla eventualità e includila nelle tue valutazioni di fattibilità del concordato.

Conclusione: Affrontare i debiti di un’azienda richiede un mix di consapevolezza legale e strategie finanziarie. Questa guida ha messo in luce i principali percorsi e strumenti a disposizione del debitore in Italia (aggiornati alle ultime riforme 2022-2025) . Dal punto di vista del debitore – sia esso imprenditore individuale, amministratore o socio – “difendersi” significa prima di tutto giocare d’anticipo: monitorare la situazione, attivarsi tempestivamente con gli strumenti più appropriati, e mantenere la correttezza formale e sostanziale nella gestione (così da evitare sanzioni o responsabilità aggiuntive). Significa anche sfruttare a proprio vantaggio le norme che, pur proteggendo i creditori, offrono vie d’uscita come l’esdebitazione o la continuità aziendale protetta .

In ogni passo, è fondamentale farsi assistere da professionisti esperti (commercialisti, avvocati fallimentaristi) e, quando possibile, dialogare con i creditori in modo trasparente. Le crisi d’impresa sono situazioni complesse ma prevedibili: il legislatore ha predisposto una “cassetta degli attrezzi” ricca e in evoluzione (si pensi ai recenti correttivi del Codice della Crisi ). Il debitore ben consigliato può spesso evitare gli esiti peggiori e magari salvare l’azienda o quantomeno il valore economico in essa (macchinari, avviamento, posti di lavoro) attraverso un concordato o una cessione pilotata invece di una disgregazione fallimentare totale .

Questa guida – con le sue oltre 10.000 parole – ha voluto offrire un quadro di livello avanzato ma con taglio pratico e divulgativo: un imprenditore o un consulente troveranno riferimenti a norme, sentenze autorevoli e prassi aggiornate al 2025, in modo da poter orientare le proprie scelte informate. In chiusura, ribadiamo un concetto chiave: affrontare la crisi è sempre meglio che subirla passivamente. Le imprese che reagiscono presto, con gli strumenti giuridici adeguati, hanno molte più probabilità di superare le difficoltà o di ridurre al minimo le perdite per tutte le parti coinvolte.

Fonti normative e giurisprudenziali

(Elenco delle fonti citate e utilizzate nella guida, per approfondimento e verifica. Le fonti includono riferimenti di legge, decreti, nonché massime di sentenze e commenti tratti da siti istituzionali e dottrinali autorevoli.)

  • Codice Civile italiano – art. 2086 (dovere di adeguati assetti organizzativi) ; artt. 2447, 2482-bis (riduzione capitale per perdite rilevanti); art. 2392 (responsabilità amministratori verso società); art. 2394 (azione dei creditori sociali verso amministratori) ; art. 2476 c.c. (responsabilità amministratori S.r.l. e soci) ; art. 2462 c.c. (responsabilità socio unico di S.r.l.) ; art. 2325 c.c. (responsabilità per azioni); art. 2291 c.c. (responsabilità soci SNC) ; art. 2313 c.c. (responsabilità accomandatari SAS); art. 2304 c.c. (beneficio escussione soci); art. 2393 c.c. (azione sociale responsabilità); art. 2407 c.c. (responsabilità sindaci) ; art. 2395 c.c. (azione individuale del socio/terzo); art. 2497 c.c. (responsabilità da direzione unitaria di società); art. 2500-quinquies c.c. (responsabilità soci illimitati post-trasformazione); art. 2467 c.c. (postergazione finanziamenti soci).
  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019 n.14, e successive modifiche D.Lgs. 83/2022, D.Lgs. 136/2024):
  • Composizione negoziata: artt. 17-25 CCII introdotti da D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021 . Condizioni accesso (squilibrio patrimoniale ecc.) ; nomina esperto; misure protettive e cautelari ottenibili ; disciplina banche in trattative .
  • Accordi ristrutturazione: art. 57 CCII e segg.; soglia 60% crediti; varianti accordi agevolati (30%) ed estesi .
  • Concordato preventivo: art. 84 CCII e segg.; requisiti concordato liquidatorio (≥20% chirografari, eventuale apporto esterno 10%) ; concordato in continuità definizione; voto e omologa; possibilità scioglimento contratti (art. 95 CCII); misure premiali fiscale (esonero tasse su plusvalenze cessioni concordato).
  • Liquidazione giudiziale (fallimento): art. 121 e segg. CCII; presupposti insolvenza; estensione a soci illimitati ; effetti (sospensione azioni esecutive, spossessamento) ; revocatorie (artt. 166 e 167 CCII protezione atti in piano attestato e accordo omologato) ; azioni responsabilità (artt. 255-256 CCII unitarietà azione curatore) ; chiusura procedura ed esdebitazione (art. 282 e segg. CCII) .
  • Sovraindebitamento: (Crisi da sovraindebitamento L. 3/2012 confluita in CCII) – procedura di liquidazione controllata per soggetti non fallibili, esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII).
  • Legge Fallimentare (R.D. 267/42) [abrogata salvo art. 91 per procedure pregresse]: art. 216 L.F. (bancarotta fraudolenta), art. 217 (bancarotta semplice), art. 67 L.F. (revocatoria fallimentare e piani attestati) ; art. 160 L.F. (percentuale concordato 20%).
  • Decreto Legislativo 74/2000 (reati tributari): art. 10-bis (omesso versamento ritenute – soglia €150k) ; art. 10-ter (omesso versamento IVA – soglia €250k) ; art. 11 (sottrazione fraudolenta al pagamento imposte) .
  • Decreto Legislativo 14/2015 (legge delega 155/2017) e successive modifiche – introduzione esdebitazione fallito onesto (ora trasfusa in CCII).
  • Decreto Legge 118/2021 conv. L. 147/2021 – Istituzione composizione negoziata ; misure transitorie su concordato semplificato (art. 25-sexies CCII) .
  • D.Lgs. 83/2022 – Adeguamento Direttiva UE 2019/1023: modifiche su accordi ristrutturazione (accordo agevolato 30%, accordo esteso 75%), composizione negoziata integrata nel CCII .
  • D.Lgs. 147/2020 – Primo correttivo CCII (indici crisi, proroga entrata in vigore).
  • D.Lgs. 136/2024 – Terzo correttivo CCII: modifiche condizioni composizione negoziata, segnalazioni precoci, ecc. .
  • Circolare INPS n.28/2023 su obblighi segnalazione crisi (INPS/INAIL) .
  • Decreto MEF 27/12/2024 attuativo DLgs 110/2024 (riforma riscossione) – nuove regole rateazione dal 2025 .
  • Massime e sentenze di Cassazione (Civili):
  • Cass. Civ., Sez. I, 6 febbraio 2023 n. 3552 – Azione ex art. 2394 c.c. prescrizione quinquennale da percepibilità insufficienza patrimoniale; natura unitaria azione curatore cumulo sociale+creditori .
  • Cass. Civ., Sez. Un., 12 marzo 2013 n. 1521 (citata in dottrina) – Socio unico S.r.l. responsabilità illimitata se omessa pubblicità e omesso versamento capitale .
  • Cass. Civ., 3 agosto 2023 n. 23200 – Responsabilità sindaci per omessa vigilanza (basta violazione dovere di controllo per affermare responsabilità verso creditori) .
  • Cass. Civ., Sez. Un., 23 gennaio 2013 n. 1521 – (Sulla postergazione finanziamenti soci e divieto doppio risarcimento 2394 e 2476 co.7).
  • Cass. Civ., Sez. I, 24 maggio 2018 n. 12964 – Amministratore di fatto equiparato per responsabilità (socio occulto risponde).
  • Cass. Civ., Sez. Un., 26 maggio 2021 n. 8500 – Misure protettive composizione negoziata e centrale rischi: no obbligo mantenere fidi a banca ma possibili misure inibitorie segnalazioni negative se pregiudicano negoziazione .
  • Massime e sentenze di Cassazione (Penali):
  • Cass. Pen., Sez. V, 2 ottobre 2024 n. 38419 – Bancarotta preferenziale: amministratore che si soddisfa crediti propri prefallimento risponde di bancarotta preferenziale e non semplice .
  • Cass. Pen., Sez. V, 26 giugno 2024 n. 36582 – Bancarotta fraudolenta: amministratore formale sempre responsabile, non rileva delega di fatto ad altri .
  • Cass. Pen., Sez. V, 24 gennaio 2024 n. 4816 – Criteri per qualificare amministratore di fatto (indici partecipazione materiale e morale) .
  • Cass. Pen., Sez. Unite, 27 marzo 2014 n. 22474 – Reato omesso versamento IVA soglia €250k è soglia di punibilità riferita all’anno d’imposta (confermata da Dlgs 158/2015) .
  • Cass. Pen., Sez. III, 11 luglio 2018 n. 32499 – Sottrazione fraudolenta art.11: vendita simulata immobili config. reato se debiti fisc >50k.
  • Cass. Pen., Sez. III, 22 gennaio 2024 n. 2115 – Sindaci e bancarotta: mancata vigilanza e obbligo impedire reati (clausola compromissoria non esclude).
  • Altri riferimenti:
  • Relazione Illustrativa Codice Crisi (Ministero Giustizia 2018) – principi generali su allerta e composizione negoziata .
  • Portale Composizione Negoziata CCIAA (composizionenegoziata.camcom.it) – guide pratiche per imprenditori .
  • Linee Guida CNDCEC sulla Composizione Negoziata (2021) – ruoli esperto, check-list indicatori.

La tua azienda che produce, importa, assembla o distribuisce raccordi per aria compressa, giunti rapidi, tubi pneumatici, valvole, raccordi push-in, manometri, componenti per impianti pneumatici, filtri, regolatori, lubrificatori (FRL), tubi spiralati, adattatori e accessori industriali si trova oggi in difficoltà a causa dei debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo

La tua azienda che produce, importa, assembla o distribuisce raccordi per aria compressa, giunti rapidi, tubi pneumatici, valvole, raccordi push-in, manometri, componenti per impianti pneumatici, filtri, regolatori, lubrificatori (FRL), tubi spiralati, adattatori e accessori industriali si trova oggi in difficoltà a causa dei debiti?
Ricevi solleciti, richieste di rientro, sospensioni delle forniture, decreti ingiuntivi o minacce di pignoramento da banche, Fisco, INPS, fornitori o Agenzia Entrate-Riscossione?

Il settore dei raccordi pneumatici è esposto a continui aumenti delle materie prime, margini compressi, concorrenza elevata, scorte di magazzino costose e pagamenti spesso ritardati da parte dei clienti. Basta un calo dei fidi o un ritardo negli incassi per creare una crisi immediata.

La buona notizia è che la tua azienda può essere salvata, ma devi intervenire subito e nel modo corretto.


Perché un’Azienda di Raccordi ad Aria Compressa va in Debito

  • aumento dei costi di ottone, acciaio, alluminio, gomma e plastiche tecniche
  • ritardi nei pagamenti di officine, integratori, industrie e rivenditori
  • magazzino immobilizzato tra raccordi, tubi, valvole, giunti e componenti
  • costi elevati di importazione, trasporti e dazi
  • riduzione o revoca delle linee di credito bancarie
  • investimenti in assortimento, certificazioni e stock minimi richiesti dal mercato

Il vero problema non è la mancanza di lavoro, ma la mancanza di liquidità immediata.


I Rischi se Non Agisci Subito

  • pignoramento dei conti correnti
  • blocco dei fidi e delle linee di credito
  • stop alle forniture di raccordi e componenti critici
  • atti esecutivi, decreti ingiuntivi e precetti
  • sequestro di scorte, bancali, componenti e attrezzature
  • impossibilità di evadere ordini e rifornire i clienti
  • perdita di partner commerciali e clienti strategici

Cosa Fare Subito per Difendersi

1. Bloccare immediatamente i creditori

Un avvocato specializzato può fermare pignoramenti, bloccare richieste di rientro e proteggere i conti aziendali.

2. Verificare i debiti ed eliminare ciò che non è dovuto

In moltissimi casi emergono errori come:

  • interessi non dovuti
  • sanzioni sbagliate
  • importi duplicati
  • debiti prescritti
  • errori di Agenzia Riscossione
  • costi bancari anomali

Una parte significativa del debito può essere ridotta o cancellata.

3. Ristrutturare i debiti con piani sostenibili

Le soluzioni più efficaci includono:

  • rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
  • accordi con fornitori strategici
  • rinegoziazione dei fidi bancari
  • sospensione temporanea dei pagamenti
  • utilizzo delle definizioni agevolate

4. Utilizzare strumenti legali che bloccano tutti i creditori

Nei casi più gravi si può intervenire con:

  • PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
  • Accordi di ristrutturazione
  • Concordato minore

Questi strumenti permettono di continuare l’attività pagando solo una parte dei debiti.


Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo

L’Avv. Monardo è uno dei massimi esperti italiani nel salvataggio delle aziende con debiti.
Le sue qualifiche ufficiali:

  • Avvocato Cassazionista
  • Coordinatore nazionale di avvocati e commercialisti specializzati in diritto bancario e tributario
  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012), regolarmente iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
  • Professionista fiduciario di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi)
  • Certificato come Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)

Un profilo perfetto per bloccare i creditori, ristrutturare debiti e salvare aziende tecniche come quelle del settore pneumatico.


Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo

  • analisi immediata della situazione debitoria
  • blocco urgente di pignoramenti e atti esecutivi
  • ristrutturazione del debito su misura
  • protezione di magazzino, scorte, componenti e flussi aziendali
  • trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
  • tutela totale dell’impresa e dell’imprenditore

Conclusione

Avere debiti nella tua azienda di raccordi ad aria compressa non significa essere destinato alla chiusura.
Con una strategia rapida, concreta e professionale, puoi:

  • fermare subito i creditori
  • ridurre realmente i debiti
  • salvare magazzino, ordini e continuità operativa
  • proteggere il futuro della tua azienda

Agisci adesso, prima che la situazione peggiori.

📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata:
la difesa e il rilancio della tua azienda possono iniziare oggi stesso.

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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