Se la tua azienda produce, importa o distribuisce occhiali protettivi, visiere di sicurezza, schermi facciali, DPI per protezione degli occhi, lenti antiappannamento, occhiali anti UV, dispositivi per laboratori, cantieri, saldatura e industria, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, devi intervenire quanto prima per evitare blocchi nelle forniture e la perdita di clienti strategici.
Nel settore dei DPI ottici, ritardi nelle consegne possono bloccare interi reparti produttivi, sospendere attività ad alto rischio e generare penali o contestazioni immediate.
Perché le aziende di occhiali protettivi e visiere accumulano debiti
- aumento del costo di policarbonato, filtri ottici, lenti e materiali certificati
- rincari delle materie prime e dei trasporti
- pagamenti lenti da parte di industrie, officine, enti e rivenditori
- ritardi nei versamenti di IVA, imposte e contributi
- magazzini complessi con molte varianti (colori, filtri, modelli, certificazioni)
- difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati alla produzione/importazione
Cosa fare subito
- far analizzare in modo professionale la situazione debitoria
- identificare debiti che possono essere ridotti, contestati o rateizzati
- evitare piani di rientro non sostenibili che soffocano la liquidità
- richiedere subito la sospensione di eventuali pignoramenti
- proteggere rapporti con fornitori di lenti, filtri e materiali DPI
- usare gli strumenti legali per ristrutturare o rinegoziare i debiti
I rischi se non intervieni tempestivamente
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco delle forniture di lenti, visiere, poliuretani e materiali certificati
- impossibilità di evadere ordini destinati a settori ad alto rischio
- perdita di clienti, rivenditori e contratti ricorrenti
- rischio concreto di chiusura dell’attività
Come può aiutarti l’Avvocato Monardo
Detto questo, l’avvocato Monardo, cassazionista, coordina su scala nazionale un team di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario.
È inoltre:
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
- inserito negli elenchi del Ministero della Giustizia
- professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Può aiutarti concretamente a:
- bloccare subito pignoramenti e azioni esecutive
- ridurre o ristrutturare i debiti tramite gli strumenti legali più efficaci
- ottenere rateizzazioni realmente sostenibili
- proteggere materiali, DPI, magazzino, contratti e continuità operativa
- evitare la chiusura e recuperare stabilità finanziaria
Agisci ora
Le aziende non chiudono per i debiti, ma per il ritardo nel reagire.
Con il supporto dell’Avvocato Monardo puoi fermare le procedure, ristrutturare i debiti e salvare concretamente la tua attività.
👉 La tua azienda è indebitata?
Richiedi una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo e proteggi fin da subito la tua azienda di occhiali protettivi e visiere.
Introduzione
Un’azienda produttrice di occhiali protettivi e visiere che accumula debiti si trova in una posizione delicata e complessa. Negli ultimi anni, anche a causa di oscillazioni di mercato legate a emergenze sanitarie e crisi economiche, molte PMI italiane si sono trovate con passività crescenti e difficoltà di liquidità. Come può un imprenditore difendersi quando la propria impresa è gravata da debiti fiscali, previdenziali, verso fornitori o banche? Quali strumenti offre l’ordinamento italiano – aggiornato a ottobre 2025 – per affrontare e risolvere queste situazioni, evitando conseguenze peggiori come il fallimento o responsabilità personali?
In questa guida avanzata esamineremo, dal punto di vista del debitore (società o titolare d’impresa), le strategie legali per gestire una crisi d’impresa dovuta ai debiti. Ci focalizzeremo sulla normativa italiana vigente – inclusi i più recenti aggiornamenti del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) – e sulla giurisprudenza più autorevole sino al 2025. Il taglio sarà giuridico ma divulgativo, adatto sia ad avvocati sia a imprenditori e privati interessati, con linguaggio tecnico spiegato in modo chiaro.
La guida offrirà: – Un’analisi delle diverse tipologie di debiti aziendali (tributari, previdenziali, commerciali, bancari) e dei rischi connessi a ciascuno. – Un esame delle forme giuridiche societarie (es. S.r.l., S.n.c.) e di come incidono sulla responsabilità per i debiti. – Una panoramica degli obblighi di legge per gli imprenditori in crisi e dei meccanismi di allerta e prevenzione. – La descrizione dettagliata delle procedure di gestione della crisi e dell’insolvenza: soluzioni stragiudiziali come la composizione negoziata, piani attestati e accordi di ristrutturazione; procedure concorsuali come il concordato preventivo (o il concordato minore per le imprese “sotto soglia”) e la liquidazione giudiziale (ex fallimento). – L’analisi dei possibili profili penali, ad esempio il reato di bancarotta fraudolenta in caso di fallimento e altri illeciti (omessi versamenti fiscali e contributivi). – Tabelle riepilogative e casi pratici simulati per contestualizzare i concetti teorici. – Una sezione di domande e risposte frequenti (FAQ) per chiarire i dubbi più comuni.
L’obiettivo è fornire all’imprenditore indebitato una bussola per orientarsi tra normative complesse e prendere decisioni informate su “cosa fare per difendersi e come” tutelare al meglio l’azienda e il proprio patrimonio.
(Avvertenza: Questa guida è aggiornata a ottobre 2025 e tiene conto delle ultime novità legislative – come il c.d. “Correttivo-ter” del 2024 al Codice della Crisi – nonché delle sentenze più recenti. Tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate sono riportate in fondo.)
Tipologie di debiti aziendali e rischi connessi
Il primo passo per “difendersi” è comprendere la natura dei debiti accumulati dall’azienda e le relative conseguenze. Un’azienda manifatturiera (come una società di occhiali protettivi e visiere) può contrarre debiti di diversa natura: – Debiti tributari (verso l’Erario) – imposte non versate (IVA, IRES, IRAP), ritenute fiscali su stipendi non pagate, ecc. – Debiti previdenziali – contributi non versati agli enti previdenziali (INPS, casse di previdenza) relativi a dipendenti o ai titolari. – Debiti commerciali verso fornitori – fatture di fornitori di materiali, servizi e altre aziende rimaste insolute. – Debiti finanziari verso banche o altri finanziatori – rate di mutui, finanziamenti, leasing non pagate, scoperti di conto, garanzie escusse, ecc. – Altre passività – ad esempio debiti verso i dipendenti (stipendi arretrati, TFR), debiti verso enti locali (tasse comunali), sanzioni amministrative, e così via.
Ciascuna categoria di debito comporta rischi e strumenti di recupero differenti per i creditori. Di seguito analizziamo i profili principali.
Debiti tributari (Erario)
I debiti fiscali verso l’Erario sono spesso i più gravosi, poiché il sistema legislativo italiano prevede meccanismi di riscossione rapidi e privilegiati a favore del Fisco. Se l’azienda non versa un’imposta entro le scadenze (ad esempio l’IVA periodica, le imposte sui redditi, o le ritenute IRPEF sui dipendenti), l’Agenzia delle Entrate o l’Agenzia Entrate Riscossione (ex Equitalia) iscriverà a ruolo l’importo dovuto, generando una cartella esattoriale. La cartella esattoriale costituisce un’ingiunzione di pagamento: trascorsi 60 giorni dalla notifica senza pagamento, il debito fiscale diventa immediatamente esecutivo e il Fisco può avviare azioni esecutive senza bisogno di un ulteriore giudizio.
Conseguenze ed esecuzione forzata: l’Agente della Riscossione dispone di poteri incisivi. Può iscrivere ipoteca sui beni immobili dell’azienda (se il debito supera determinate soglie, ad esempio €20.000 per ipoteca fiscale), può disporre il fermo amministrativo di beni mobili registrati (ad esempio automezzi, per debiti oltre €1.000) e procedere al pignoramento di conti correnti, crediti verso terzi, macchinari e altri beni. Non è necessaria un’autorizzazione giudiziale ulteriore: la cartella non pagata è di per sé titolo esecutivo. Il pignoramento presso terzi (ad esempio presso la banca dell’azienda debitrice) è uno strumento spesso utilizzato dal Fisco per congelare le somme disponibili sui conti correnti aziendali.
Inoltre, i debiti tributari godono in parte di privilegi di legge: in caso di insolvenza conclamata, l’Erario è considerato creditore privilegiato (per esempio, l’IVA dovuta e le ritenute non versate sono crediti privilegiati sui beni mobili e immobili, secondo il Codice Civile e le leggi tributarie). Questo significa che, in sede concorsuale, tali crediti sono soddisfatti con precedenza rispetto ai creditori chirografari (non garantiti).
Interessi e sanzioni: Il mancato pagamento delle imposte comporta l’addebito di interessi moratori e sanzioni amministrative. Le sanzioni tributarie possono essere anche molto elevate (dal 30% in su del tributo omesso, a seconda dei casi), anche se spesso in sede di definizione delle controversie o tramite istituti come il ravvedimento operoso possono essere ridotte. È importante notare che alcune misure emergenziali o “pacificazioni fiscali” possono intervenire (come condoni o rottamazioni delle cartelle) ma sono eventi legislativi straordinari e non garantiti: ad esempio, negli anni recenti sono state varate definizioni agevolate che consentivano di pagare le cartelle esattoriali senza sanzioni e con soli interessi ridotti.
Strumenti di difesa specifici: Un imprenditore che non riesce a pagare i tributi deve attivarsi per tempo. Tra le soluzioni immediatamente praticabili: – Rateizzazione ordinaria: La legge consente di chiedere all’Agente della Riscossione un piano di dilazione fino a 72 rate mensili (6 anni), estendibile fino a 120 rate (10 anni) in casi di grave e comprovata difficoltà. La domanda di rateazione (ex art. 19 DPR 602/1973) se accolta evita azioni esecutive, a patto di rispettare il pagamento delle rate concordate. – Sospensione legale o amministrativa: Se il debito fiscale è contestato (ad esempio si è fatto ricorso in Commissione Tributaria), si può chiedere la sospensione della riscossione. Inoltre, l’accesso a talune procedure della crisi (come vedremo, la composizione negoziata con misure protettive o il concordato preventivo) può congelare temporaneamente le azioni esecutive del Fisco. – Transazione fiscale: È uno strumento di composizione del debito fiscale all’interno di procedure concorsuali o di soluzioni negoziali della crisi. Consente di proporre un pagamento parziale delle imposte dovute (o una dilazione) ottenendo il consenso dell’Erario e l’omologazione dal tribunale. Approfondiremo più avanti i dettagli, soprattutto alla luce delle novità normative che, dal 2024, ne hanno esteso l’utilizzo anche fuori dal concordato preventivo tradizionale. – Definizioni agevolate (condoni): se il legislatore approva misure di condono o rottamazione (come accaduto nel 2023 con la “rottamazione-quater”), l’azienda può valutare di aderirvi per abbattere sanzioni e interessi su debiti fiscali pregressi. Si tratta però di finestre temporali specifiche e non sostituiscono gli strumenti strutturali di gestione della crisi.
Profili penali tributari: Una particolare preoccupazione legata ai debiti fiscali sono i possibili risvolti penali. In Italia, omettere il versamento di talune imposte oltre certe soglie è considerato reato. In particolare: – Omesso versamento di IVA: se l’azienda non versa l’IVA dovuta risultante dalla dichiarazione annuale per un importo superiore a 250.000 € per periodo d’imposta, scatta il reato ex art. 10-ter D.Lgs. 74/2000, punito con la reclusione (fino a 6 anni). Questo reato è evitabile se il pagamento avviene prima dell’apertura del dibattimento. – Omesso versamento di ritenute certificate: se l’azienda trattiene dalle retribuzioni dei dipendenti le ritenute fiscali (es. IRPEF) e non le versa entro il termine previsto per la dichiarazione annuale, per un importo superiore a 150.000 € annui, scatta il reato ex art. 10-bis D.Lgs. 74/2000, anch’esso punito con la reclusione (fino a 3 anni). Sotto tali soglie non vi è rilevanza penale, ma restano sanzioni amministrative. – Dichiarazione fraudolenta o infedele: altri reati tributari riguardano la condotta attiva di frode fiscale (es. uso di fatture false) o dichiarazioni mendaci. Non rientrano strettamente nella “difesa” dai debiti ma possono emergere se l’azienda tenta artifizi per mascherare la propria situazione.
È fondamentale quindi per l’imprenditore non ignorare i debiti fiscali né tardare eccessivamente: il Fisco è spesso il creditore più pericoloso, in grado di scatenare rapidamente procedure di riscossione e persino di presentare istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) se ritiene l’azienda insolvente. Difendersi in questo ambito significa attivare tempestivamente le soluzioni offerte (dilazioni, accordi, procedure concorsuali) e mantenere un dialogo con l’Amministrazione finanziaria, eventualmente tramite professionisti.
Debiti previdenziali (INPS e altri enti)
Analoghe considerazioni valgono per i debiti contributivi verso enti previdenziali come l’INPS (contributi obbligatori per i dipendenti o per il titolare se ditta individuale, contributi di gestione separata, etc.) o l’INAIL (premi assicurativi obbligatori). Il mancato versamento dei contributi comporta: – Sanzioni civili: l’INPS applica sanzioni e interessi di mora sulle somme non versate, con tassi anche elevati (spesso denominate “sanzioni civili” in ambito previdenziale). – Notifiche di avviso e ingiunzione: l’INPS può emettere avvisi di addebito, che dal 2011 hanno efficacia di titolo esecutivo analoga a quella delle cartelle esattoriali. In pratica, l’INPS (tramite Agenzia Riscossione) può procedere a esecuzione forzata sui beni del debitore con le stesse modalità viste per il Fisco. – Possibili riflessi penali: esiste il reato di omesso versamento di contributi previdenziali trattenuti ai dipendenti. In particolare, l’art. 2 D.L. 463/1983 (conv. in L. 638/1983, come modificato) prevede che l’omissione di versamento delle ritenute previdenziali entro il limite di €10.000 annui sia punita con sanzione amministrativa pecuniaria (da 10.000 a 50.000 €), mentre se l’importo non versato supera €10.000 annui scatta il reato penale punito con la reclusione fino a 3 anni. La legge permette però l’estinzione del reato se il datore di lavoro provvede a pagare integralmente i contributi dovuti prima dell’apertura del processo penale. Recentemente, la Corte Costituzionale ha confermato la legittimità di questo doppio binario sanzionatorio (amministrativo sotto soglia, penale sopra) ritenendolo non irragionevole data la gravità sociale dell’omissione contributiva.
Dal punto di vista pratico, i debiti verso INPS possono essere rateizzati similmente a quelli fiscali. L’INPS consente piani di dilazione del debito contributivo, e anche in procedure concorsuali si parla di transazione contributiva (spesso associata alla transazione fiscale), ossia la possibilità di trattare il pagamento parziale o dilazionato dei contributi dovuti, con necessaria autorizzazione dell’ente.
È bene ricordare che l’omesso versamento dei contributi incide anche sui diritti dei lavoratori (pensionistici, assicurativi). In caso di insolvenza conclamata, i lavoratori dipendenti hanno diritto di accedere al Fondo di Garanzia INPS per il TFR e le ultime retribuzioni impagate, ma ciò presuppone una procedura concorsuale aperta (fallimento/liquidazione giudiziale o anche concordato preventivo in alcuni casi): il che significa che una crisi grave che coinvolga stipendi non pagati rischia di sfociare rapidamente in una procedura concorsuale sollecitata dai dipendenti stessi o dai sindacati.
In sintesi, per difendersi dai debiti previdenziali l’impresa deve: – Comunicare e cercare piani di rientro con gli enti prima che la posizione degeneri. – Valutare l’accesso a procedure di regolazione della crisi che possano includere il trattamento di questi debiti (ad esempio un concordato con transazione contributiva). – Evitare assolutamente di trascurare la problematica, poiché un persistente mancato pagamento dei contributi non solo espone l’imprenditore a sanzioni e possibili reati, ma erode il rapporto di fiducia con i propri dipendenti e può portare a vertenze di lavoro o istanze di fallimento.
Debiti verso fornitori
I debiti commerciali verso fornitori e altri creditori chirografari (non privilegiati) sono spesso il segnale più immediato di tensione finanziaria: l’azienda in difficoltà inizia a pagare in ritardo i propri fornitori di materie prime, servizi, consulenze, ecc. Questo innesca un circolo vizioso, perché i fornitori potrebbero reagire sospendendo le forniture o pretendendo pagamenti anticipati, aggravando la crisi di liquidità. Inoltre, la perdita di fiducia commerciale può ledere la reputazione dell’azienda nel mercato e rendere più difficile ottenere dilazioni o nuovi fornitori.
Dal punto di vista giuridico, il fornitore ha diversi strumenti per tutelarsi: – Può inviare solleciti e mettere in mora formalmente il debitore (ai sensi dell’art. 1219 c.c., costituzione in mora). – Decorso inutilmente il termine di pagamento, il fornitore ha diritto a interessi moratori (di regola interessi legali o quelli previsti dal D.Lgs. 231/2002 sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, tipicamente più alti del tasso legale). – Se il mancato pagamento persiste, il fornitore può risolvere il contratto per inadempimento, se si tratta di una fornitura continuativa o di un contratto con obbligazioni corrispettive (ex art. 1453 c.c.). – Soprattutto, il fornitore può agire giudizialmente per ottenere il dovuto: lo strumento tipico è il decreto ingiuntivo. Trattandosi di un credito pecuniario certo, liquido ed esigibile (la fattura non pagata non contestata dal debitore rientra in questa categoria), il creditore può richiedere al tribunale un decreto ingiuntivo ex art. 633 c.p.c., che viene spesso emesso inaudita altera parte. Se il decreto è provvisoriamente esecutivo (ad esempio perché il credito è fondato su fatture accompagnate da estratti autentici delle scritture contabili), il fornitore può procedere immediatamente al pignoramento dei beni del debitore, senza attendere i 40 giorni per l’opposizione. – In mancanza di pagamento spontaneo o opposizione efficace all’ingiunzione, il decreto diventa definitivo e il creditore avvia l’esecuzione forzata: pignoramento di conti, pignoramento immobiliare o mobiliare, ecc., analogamente a quanto descritto per i crediti fiscali (pur senza i privilegi di questi ultimi, salvo che il fornitore abbia un privilegio speciale, ad esempio un creditore per forniture all’impresa edile può vantare privilegio ai sensi dell’art. 2764 c.c., ma sono casi specifici).
Per l’imprenditore debitore, l’azione dei fornitori è pericolosa perché non coordinata: diversi fornitori potrebbero agire ciascuno per conto proprio, erodendo le risorse residue dell’azienda e portandola alla paralisi operativa. Un singolo pignoramento di conto corrente, ad esempio, può bloccare la normale operatività e far scattare insolvenze a catena con altri partner commerciali. Inoltre, se più creditori iniziano azioni esecutive o se anche solo uno di essi evidenzia in giudizio l’incapacità dell’impresa di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, si configura giuridicamente lo stato di insolvenza ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. b) CCII, che è il presupposto per l’apertura di procedure concorsuali di insolvenza (come la liquidazione giudiziale, v. oltre).
Infatti, la legge definisce insolvente il debitore che non è più in grado di adempiere alle obbligazioni in modo regolare, e la giurisprudenza ha chiarito che non serve l’inadempimento verso una pluralità indistinta di creditori: anche un singolo debito importante non pagato che riveli il dissesto finanziario può giustificare la dichiarazione di fallimento. In pratica, però, i fornitori spesso aspettano di vedere se vi sono spiragli di risanamento, prima di ricorrere a misure estreme come istanze di fallimento. Tuttavia, quando i creditori perdono fiducia, è frequente che presentino un’istanza al tribunale per la liquidazione giudiziale dell’impresa debitrice.
Come difendersi dai debiti fornitori? Dal lato del debitore, alcune azioni sono cruciali: – Affrontare il problema tempestivamente: Come suggerisce la prassi, non bisogna evitare il confronto con i fornitori. È utile spiegare la situazione e tentare un accordo stragiudiziale di rientro del debito. Molti fornitori preferiscono accettare un piano di pagamento dilazionato (piano di rientro) piuttosto che rischiare di non vedere nulla a seguito di un fallimento del cliente. Tali accordi vanno formalizzati per iscritto e rispettati con puntualità. – Evitare ingiunzioni e pignoramenti tramite accordi o moratorie: Se il numero di fornitori insoluti è elevato, può essere opportuno ricorrere a strumenti più strutturati (descritti in sezioni successive) come la composizione negoziata, un accordo di ristrutturazione o un concordato preventivo, che consentono di gestire tutti i debiti in modo unitario. Ad esempio, l’accesso alla composizione negoziata con misure protettive inibisce ai fornitori (e agli altri creditori) di intraprendere o proseguire azioni esecutive individuali per alcuni mesi, creando lo spazio per trattative collettive. – Monitorare gli effetti sul credito bancario: Un effetto indiretto dei debiti fornitori è la possibile segnalazione da parte dei fornitori stessi alle società di informazioni commerciali o alle banche (circuito centrale rischi). Fornitori insoddisfatti potrebbero “segnalare” l’azienda come cattivo pagatore, il che può riflettersi in un peggior rating bancario o addirittura nel blocco di castelletti di fido. Difendersi significa anche prevenire escalation che impattino il rapporto con gli istituti di credito (si veda oltre). – Valutare la contestazione del debito, se vi sono motivi validi: Qualora l’impresa ritenga di avere delle eccezioni (ad esempio merci difettose, inadempienze del fornitore), è importante sollevare tempestivamente le contestazioni. Un debito contestato in buona fede potrebbe giustificare il mancato pagamento e, se portato in giudizio, potrebbe evitare una condanna immediata (il giudice potrebbe negare il decreto ingiuntivo o sospendere l’esecutorietà). Tuttavia, contestazioni pretestuose o tardive non proteggono da condanne e possono peggiorare la posizione processuale del debitore.
In conclusione, i debiti verso fornitori vanno gestiti con trasparenza e tempestività, cercando soluzioni concordate prima che la situazione degeneri in un contenzioso generalizzato. Se il debito complessivo è troppo grande per essere risolto con semplici accordi bilaterali, occorre allora valutare l’accesso a procedure di composizione della crisi (che vedremo in seguito) per evitare di perdere il controllo di fronte a iniziative disordinate dei creditori.
Debiti bancari e finanziari
Molte aziende, per sostenere investimenti o liquidità, fanno ricorso al credito bancario o ad altri finanziatori (società di leasing, società di factoring, finanziarie). Quando l’azienda debitore non riesce a rispettare i piani di rimborso di questi finanziamenti, i creditori finanziari adottano misure di tutela che possono avere forte impatto: – Decadenza dal beneficio del termine: In caso di rate di mutuo o leasing non pagate, il contratto spesso prevede che la banca possa esigere immediatamente tutto il capitale residuo (cd. decadenza dal termine). Ciò significa che un singolo mancato pagamento può rendere immediatamente esigibile l’intero debito residuo. – Escussione delle garanzie reali: Le banche quasi sempre acquisiscono garanzie a fronte dei prestiti. Se il debitore non paga, la banca può procedere ad escutere la garanzia: ad esempio avviare l’espropriazione dell’immobile ipotecato (tramite pignoramento immobiliare e vendita giudiziaria) o escutere il pegno su beni mobili o su crediti. Le garanzie reali (ipoteche, pegni) danno diritto di prelazione: la banca sarà soddisfatta con precedenza sul ricavato del bene dato in garanzia. Quindi, dal punto di vista del debitore, il patrimonio vincolato da garanzie rischia di essere sottratto all’azienda. – Escussione di garanzie personali: Molto frequente nelle PMI italiane è che l’imprenditore (o i soci) abbiano firmato fideiussioni personali a garanzia dei debiti bancari dell’azienda. Ciò implica che, in caso di insolvenza della società, la banca potrà agire anche sul patrimonio personale del garante (ad esempio l’abitazione del socio fideiussore, conti personali, ecc.). Dal punto di vista “difensivo”, questa è una criticità: la responsabilità limitata della S.r.l. viene vanificata dalla garanzia personale. Approfondiremo oltre la differenza di regime tra S.r.l. e S.n.c., ma basti qui notare che se esistono fideiussioni, una crisi dell’azienda si trasmette immediatamente ai soci garanti, i quali potrebbero subire azioni esecutive in proprio (senza neppure i benefici di protezione che una procedura concorsuale della società potrebbe offrire). – Riduzione/Revoca degli affidamenti: La banca, accortasi delle difficoltà dell’impresa (ad esempio sconfinamenti frequenti, ritardi nei pagamenti, segnalazioni negative), può reagire riducendo o revocando i fidi concessi (scoperti di conto, castelletti per anticipo fatture, ecc.). Questo può aggravare ulteriormente la crisi di liquidità, creando un effetto domino.
Strumenti e soluzioni: Nella gestione dei debiti finanziari, l’approccio del debitore deve essere strategico: – Rinegoziazione del debito: Spesso è possibile dialogare con la banca per ristrutturare il debito. Ad esempio, si può concordare un allungamento del piano di ammortamento, una temporanea moratoria dei pagamenti (come avvenuto su larga scala durante l’emergenza Covid-19, con moratorie legali e volontarie), o una modifica dei tassi. Le banche preferiscono rientrare gradualmente piuttosto che provocare un default totale del cliente, purché vedano un piano credibile. È consigliabile presentare un piano di risanamento supportato da dati finanziari, magari certificato da un professionista (un accenno: un piano attestato di risanamento ex art. 56 CCII può essere usato anche per rassicurare banche e terzi sulla fattibilità del risanamento). – Accordo di ristrutturazione dei debiti (ADR): Se i debiti finanziari sono particolarmente elevati e magari riguardano più banche, lo strumento dell’accordo di ristrutturazione ex art. 57 CCII può essere adatto. Esso consente di formalizzare un accordo con la maggioranza qualificata dei creditori finanziari e di omologarlo in tribunale per renderlo efficace anche verso eventuali creditori non aderenti (in certi limiti). Ad esempio, se la nostra azienda ha 3 banche esposte e 2 su 3 accettano la ristrutturazione (coprendo magari il 75% dell’esposizione complessiva), l’accordo può essere omologato e vincolare anche la terza banca dissenziente (questo meccanismo di cram-down sui creditori dissenzienti in accordi è stato potenziato dalle riforme recenti). – Consolidamento o rifinanziamento esterno: In alcuni caso, l’impresa può cercare un nuovo finanziatore o investitore che apporti liquidità per rimborsare i debiti bancari (“consolidare” il debito). Ad esempio, l’ingresso di un socio finanziatore o la cessione di un ramo d’azienda potrebbero fornire risorse per pagare le banche e uscire dall’emergenza. Ovviamente, queste operazioni vanno ponderate e condotte nella legalità (es. vendere asset a valori di mercato e non sottrarre beni ai creditori, per evitare profili di revocatoria o di bancarotta fraudolenta se poi c’è insolvenza). – Garanzie pubbliche e ristrutturazione del debito bancario: Negli ultimi anni, strumenti come le garanzie del Fondo Centrale PMI o di SACE (specialmente durante il Covid) hanno aiutato imprese in crisi ad ottenere nuovi prestiti per rimpiazzare quelli scaduti. Tuttavia, se l’azienda è già in fase conclamata di insolvenza, ottenere nuovo credito è difficile. Può però essere valutato l’accesso a finanziamenti prededucibili in concordato (cioè nuovi finanziamenti autorizzati dal tribunale che godono di prelazione in caso di insuccesso, ai sensi degli artt. 99 e 101 CCII): questo può convincere dei soggetti a investire nell’azienda in crisi, sapendo di avere una priorità di rimborso .
Il debitore deve inoltre fare attenzione a comportamenti che potrebbero costituire abuso del credito: ad esempio, continuare a indebitarsi con le banche quando si è consapevoli che l’azienda è insolvente può esporre gli amministratori a responsabilità (anche penale, v. reato di ricorso abusivo al credito ex art. 325 CCII). Quindi, “difendersi” non significa accumulare altri debiti sperando di tamponare la falla, ma ristrutturare in modo sostenibile quelli esistenti.
Infine, ricordiamo un punto: se l’azienda va incontro a una procedura concorsuale, i crediti bancari ipotecari saranno in parte soddisfatti dal ricavato dei beni su cui grava l’ipoteca, ma per la parte eventualmente non coperta (crediti ipotecari incapienti) la banca diviene chirografa come gli altri. Nei piani di concordato o accordi, spesso alle banche si propone la conversione di parte del credito in capitale (operazioni di debt-equity swap) o altri strumenti per ridurre l’esposizione; tuttavia ciò rientra in soluzioni molto avanzate che richiedono il consenso del creditore.
Debiti verso altri finanziatori: Simili ai bancari sono i debiti verso società di leasing (che in caso di insolvenza possono risolvere il contratto e riprendere il bene concesso in locazione finanziaria) e i debiti verso cessionari di credito (factoring): questi soggetti godono di tutele specifiche nei contratti, ma in sede concorsuale si troveranno a negoziare come altri creditori finanziari.
Struttura societaria dell’impresa e responsabilità per i debiti
Le forme giuridiche in cui opera l’azienda influenzano in modo cruciale il grado di responsabilità patrimoniale che ricade sull’imprenditore o sui soci per i debiti dell’impresa. Analizziamo i casi più comuni, con particolare attenzione a S.r.l. (Società a responsabilità limitata) e S.n.c. (Società in nome collettivo), poiché il titolo di questa guida fa supporre che l’“azienda di occhiali protettivi e visiere” possa essere gestita in una di queste forme. Considereremo anche brevemente altre forme (come imprese individuali e S.a.s.).
Società di capitali (S.r.l. e S.p.A.): responsabilità limitata, ma con eccezioni
Le società di capitali – tra cui la S.r.l. (società a responsabilità limitata) e la S.p.A. (società per azioni) – sono caratterizzate dalla autonomia patrimoniale perfetta. Ciò significa che la società è un soggetto giuridico distinto e risponde dei debiti con il suo patrimonio; i soci non sono (di regola) personalmente responsabili delle obbligazioni sociali (art. 2462 c.c. per le S.r.l.). In altri termini, i creditori della società non possono aggredire direttamente i beni personali dei soci per soddisfarsi dei crediti verso la società.
Limiti della responsabilità limitata: Questa regola, però, conosce importanti eccezioni e precisazioni: – Fideiussioni e garanzie personali: Come già accennato, è prassi bancaria chiedere ai soci o amministratori di S.r.l. di firmare garanzie personali per i debiti della società. In tal caso, il singolo socio garante diventa obbligato in solido con la società verso la banca/finanziatore per quella specifica obbligazione. Dunque, pur restando la responsabilità limitata sul piano societario, di fatto il patrimonio personale del garante è esposto. È cruciale quindi, in sede di difesa, verificare quali soci o terzi abbiano prestato garanzie per i diversi debiti aziendali: l’esposizione complessiva potrebbe includere anche il loro patrimonio. – Obblighi legali dei soci (post liquidazione): Quando una società di capitali viene cancellata dal Registro delle Imprese a seguito di liquidazione, i debiti non soddisfatti non svaniscono: la legge (art. 2495 c.c.) prevede che i creditori sociali insoddisfatti possano agire contro i soci, ma solo entro il limite di quanto dai soci ricevuto in sede di liquidazione. In pratica, i soci rispondono pro quota e nei limiti di quanto incassato dallo scioglimento della società. Ad esempio, se un socio ha ottenuto €10.000 di attivo residuo in liquidazione e la società aveva debiti tributari non pagati, l’Erario potrà richiedergli al massimo €10.000. Le Sezioni Unite della Cassazione nel 2025 (sent. n. 3625/2025) hanno però chiarito che, per quanto riguarda i debiti fiscali, la circostanza che il socio abbia riscosso somme in liquidazione è non solo un limite quantitativo, ma anche una condizione di legittimità per l’azione del Fisco . Se il socio non ha ricevuto nulla, l’Agenzia delle Entrate deve provare comunque che vi siano state attribuzioni patrimoniali a suo favore (anche indirette, come beni usciti dal patrimonio sociale nei due anni precedenti la liquidazione) per giustificare la pretesa . Questa impostazione tutela il socio in buona fede che non abbia beneficiato della liquidazione, impedendo un’azione fiscale puramente “punitiva” oltre i limiti di legge. – Responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali: Nelle S.r.l. (e S.p.A.), gli amministratori hanno l’obbligo di conservare l’integrità del patrimonio sociale. Se violano i loro doveri (ad esempio continuando ad aggravare il dissesto invece di prendere provvedimenti), possono incorrere in un’azione di responsabilità promossa dai creditori sociali (art. 2394 c.c. e, per le S.r.l., principio analogo). Questa azione è esercitabile normalmente dal curatore fallimentare se la società viene dichiarata fallita (o dall’organo della liquidazione giudiziale), e punta a far risarcire ai managers i danni causati ai creditori dalla gestione imprudente. In sostanza, pur non essendo i soci direttamente responsabili dei debiti sociali, un cattivo management può far ricadere sugli amministratori (anche soci se gestori) l’onere di rispondere con il proprio patrimonio per la parte di debiti eccedenti ciò che i creditori avrebbero recuperato in un contesto di corretto adempimento dei doveri gestori. – Obbligo di capitale minimo e scioglimento: La legge impone, per le società di capitali, un capitale minimo (ad es. €10.000 per S.p.A., €1 (o €10.000 ordinario) per S.r.l.). Se le perdite erodono il capitale oltre certi limiti (riduzione di oltre 1/3 che porta il capitale sotto il minimo legale, ex art. 2482-ter c.c. per S.r.l.), gli amministratori devono convocare soci per ricapitalizzare o trasformare/liquidare la società. Se omettono di farlo e proseguono l’attività con un patrimonio netto negativo, violano obblighi di legge. Ciò può determinare la loro responsabilità personale verso i creditori per le nuove obbligazioni contratte durante il periodo in cui avrebbero dovuto liquidare la società. Anche su questo fronte, dunque, la “difesa” del patrimonio personale implica agire correttamente: se la situazione patrimoniale è compromessa, non si può far finta di nulla continuando a contrarre debiti come se nulla fosse. – Reati a carico di amministratori o soci: In una S.r.l., solo la società di per sé risponde dei debiti civili, ma amministratori e altre figure possono avere conseguenze penali personali (es. per reati tributari, reati fallimentari). Ad esempio, l’amministratore unico di una S.r.l. che non tiene i libri in ordine o li occulta, in caso di fallimento risponderà di bancarotta documentale a titolo personale . Questo ovviamente non significa che i creditori recuperino il debito (il processo penale serve a punire l’illecito), ma rende l’idea che l’autonomia patrimoniale della società non esime chi sta dietro la società dalle proprie responsabilità giuridiche in senso lato.
In sintesi, per un imprenditore che operi tramite S.r.l., “difendersi” dai debiti significa anche: – Preservare l’autonomia patrimoniale, evitando condotte che possano far decadere i vantaggi (ad es. evitare commistioni di patrimoni, attenersi al principio di corretta amministrazione, non distrarre beni sociali a favore dei soci fuori dalle procedure regolari). – Tenere sotto controllo la situazione patrimoniale della società e adempiere agli obblighi di legge su capitale e assetti (vedremo a breve gli adeguati assetti organizzativi): questo per non incorrere in colpa grave nella gestione. – Valutare attentamente la liquidazione volontaria: liquidare una S.r.l. solvibile prima che diventi insolvente può essere un modo per chiudere i debiti residui col patrimonio sociale. Ma se la liquidazione avviene quando già vi sono debiti insostenibili, i soci rischiano comunque azioni postume sui beni ricevuti. Inoltre, i creditori insoddisfatti potrebbero chiedere al tribunale la riapertura della liquidazione o addirittura la liquidazione giudiziale entro un anno dalla cancellazione della società, se scoprono dopo elementi di insolvenza pregressa. – Attenzione alle operazioni sul capitale e ai finanziamenti dei soci: Se i soci finanziano la società in crisi con prestiti (invece che con capitale), tali crediti dei soci sono postergati (vengono dopo gli altri creditori) ex art. 2467 c.c. Ciò significa che i soci non possono sperare di riavere indietro quei soldi prima che tutti gli altri creditori siano stati pagati. Anche l’eventuale rimborso ai soci di finanziamenti in violazione della postergazione può essere revocato o dar luogo a responsabilità.
Società di persone (S.n.c. e S.a.s.): responsabilità illimitata e solidale dei soci
Di tutt’altra natura è la posizione dei soci nelle società di persone, come la S.n.c. (società in nome collettivo) e i soci accomandatari della S.a.s. (società in accomandita semplice). Queste forme societarie sono caratterizzate da autonomia patrimoniale imperfetta: i soci rispondono illimitatamente e solidalmente per i debiti sociali (art. 2291 c.c. per la S.n.c.). Ciò implica: – Ogni creditore della società può rivalersi, in caso di insolvenza della società, direttamente sul patrimonio personale di ciascun socio. La responsabilità è solidale, il che significa che il creditore può chiedere il pagamento dell’intero debito a uno qualsiasi dei soci, il quale poi avrà semmai diritto di regresso sugli altri. – La responsabilità è sussidiaria (art. 2304 c.c.): i creditori sociali devono prima escutere il patrimonio della società e, se questo risulta insufficiente, possono agire sui soci. In pratica però, poiché la società di persone non ha personalità giuridica autonoma, spesso i creditori procedono simultaneamente verso società e soci, soprattutto se vedono che la società non ha beni sufficienti.
Per i soci di una S.n.c., quindi, non c’è una vera distinzione tra “difendere l’azienda” e “difendere il proprio patrimonio”: i due destini sono legati. Se l’azienda va male e non paga i debiti, i soci inevitabilmente vedranno intaccato il proprio patrimonio (case, conti, ecc.) dagli atti di pignoramento dei creditori.
Nel caso della S.a.s., occorre distinguere: – Soci accomandatari: hanno la stessa responsabilità illimitata e solidale dei soci di S.n.c. Inoltre, solo loro possono amministrare la società. – Soci accomandanti: hanno responsabilità limitata alla quota conferita, purché non interferiscano nella gestione (se lo fanno, perdono il beneficio della limitazione). Gli accomandanti sono simili a “investitori silenti”: se rispettano il loro ruolo, i creditori sociali possono rivalersi su di loro solo limitatamente ai conferimenti non versati. Tuttavia, di fatto nelle piccole imprese spesso il confine di ruoli non è netto, e un accomandante che agisca da amministratore di fatto può essere considerato responsabile illimitatamente dai creditori.
Conseguenze in caso di insolvenza: Se una società di persone non paga i debiti e i creditori aggrediscono i soci, questi ultimi possono vedersi dichiarati falliti in estensione. Infatti, la legge fallimentare (R.D. 267/1942, art. 147, e ora art. 256 CCII) prevede che, dichiarata la liquidazione giudiziale di una società di persone, la procedura concorsuale si estende automaticamente ai soci illimitatamente responsabili. Ciò comporta che, ad esempio, il fallimento di una S.n.c. “A & B” travolgerà anche i soci A e B, i cui patrimoni personali diverranno parte della massa attiva fallimentare (salvo i beni impignorabili per legge). I soci falliti subiranno tutte le conseguenze personali del fallimento (come l’inabilitazione all’esercizio di attività commerciali per un certo periodo, etc.).
Anche in assenza di una procedura concorsuale formalmente aperta, singoli creditori possono portare singoli soci in tribunale e ottenerne la condanna personale (ad esempio, un decreto ingiuntivo contro la S.n.c. e i soci in solido). Dunque, difendersi dai debiti per un socio di società di persone significa proteggere i propri beni personali attraverso il pagamento o la ristrutturazione dei debiti sociali.
Difesa e strategie per i soci illimitatamente responsabili: – Una strada è valutare la trasformazione della società di persone in società di capitali (ad esempio da S.n.c. a S.r.l.), così da “futuri” debiti godere della limitazione di responsabilità. Attenzione però: la trasformazione non libera i soci dalla responsabilità per i debiti pregressi anteriori all’iscrizione della trasformazione (art. 2500-quinquies c.c.) – per quelli restano illimitatamente responsabili. – In caso di crisi grave, i soci illimitati possono considerare di avviare direttamente essi stessi una procedura concorsuale, come il concordato preventivo (se l’impresa nel suo complesso è fallibile) o, se l’impresa è “minore” (sotto soglia di fallibilità, v. oltre), una procedura di sovraindebitamento come il concordato minore o la liquidazione controllata. Queste procedure coinvolgerebbero l’intero patrimonio, sociale e personale, ma darebbero una soluzione ordinata e la possibile esdebitazione finale dei soci (liberazione dai debiti residui dopo la liquidazione, se meritevoli). – Se i soci dispongono di patrimonio personale significativo separato dall’attività, potrebbero tentare di negoziare transazioni con i creditori sociali, offrendo il pagamento (magari parziale) dei debiti in cambio di liberatoria. In altre parole, mettere mano al portafoglio personale per chiudere le esposizioni dell’azienda prima che degenerino. Questa è una scelta dolorosa ma a volte necessaria per salvare magari la continuità dell’attività evitando il fallimento.
Imprese individuali e altre forme
Un imprenditore individuale (ditta individuale) non gode di personalità giuridica separata: egli è la stessa persona dell’impresa, per cui risponde con tutti i suoi beni (presenti e futuri) dei debiti contratti nell’esercizio d’impresa (art. 2740 c.c.). Non esiste distinzione tra patrimonio “dell’azienda” e patrimonio personale. Di conseguenza, tutte le considerazioni fatte per i soci di società di persone valgono, accentuate, per l’imprenditore individuale: – Egli può essere dichiarato fallito (liquidazione giudiziale) se la sua impresa commerciale supera le soglie di fallibilità (vedremo a breve quali sono). – Egli risponde anche con la casa, conti e stipendio di ogni debito d’impresa e viceversa (salvo alcuni beni impignorabili per legge, come in parte lo stipendio minimo vitale, eventuali trattamenti di fine servizio, etc., che comunque anche un socio di S.n.c. potrebbe invocare come persona fisica). – Non vi sono soci con cui dividere l’onere: il peso psicologico e finanziario della crisi ricade completamente sull’individuo.
L’unico vantaggio dell’impresa individuale (se così si può dire) è che la legge fallimentare esclude i piccoli imprenditori dalla liquidazione giudiziale: se un imprenditore individuale rimane sotto determinate soglie dimensionali, non può essere dichiarato fallito. Queste soglie, oggi definite dal Codice della Crisi (art. 2, comma 1, lett. d, CCII), sono: – Attivo patrimoniale annuo non superiore a € 300.000 nei tre esercizi precedenti; – Ricavi annui non superiori a € 200.000 nei tre esercizi precedenti; – Debiti totali non superiori a € 500.000. Se l’imprenditore individuale soddisfa contemporaneamente questi requisiti, è qualificato come imprenditore minore (piccolo) e non è soggetto a fallimento, ma piuttosto alle procedure di sovraindebitamento (concordato minore, ecc.). Molte ditte individuali artigiane rientrano in queste soglie. Attenzione: se anche solo uno di questi parametri è superato, l’imprenditore è “fallibile”.
Trust o vincoli di destinazione: Alcuni imprenditori per proteggere parte del patrimonio personale costituiscono trust o fondi patrimoniali o società fiduciarie per schermare beni (es. intestano la casa a una s.r.l. holding). Questo esula dalla trattazione specifica, ma va detto che simili atti, se fatti in pregiudizio dei creditori, possono essere revocati o dichiarati inefficaci in sede fallimentare, o addirittura considerati atti distrattivi rilevanti per la bancarotta fraudolenta. Dunque, prima di intraprendere operazioni del genere, è indispensabile una consulenza legale approfondita. Non esistono “ricette magiche” per rendere intoccabile un bene in presenza di debiti: il diritto prevede contromisure (azioni revocatorie, art. 164 CCII per atti anteriori al fallimento, etc.).
Conclusione sulla struttura societaria: In definitiva, per “difendersi” efficacemente, l’imprenditore deve essere consapevole del rischio giuridico associato al proprio veicolo societario. La S.r.l. offre uno scudo che però cade in presenza di garanzie personali o irregolarità nella gestione; la S.n.c. o impresa individuale espone integralmente; la S.a.s. offre protezione solo ai soci accomandanti passivi. Questa consapevolezza aiuta a pianificare le mosse: – se si opera a responsabilità illimitata, occorre essere ancor più prudenti nella gestione del debito; – se si opera a responsabilità limitata, bisogna comunque agire come se – moralmente – si fosse responsabili, per non cadere in condotte che possano generare responsabilità indirette (ad es. continuare ad accumulare debiti confidando nell’“ombrello” della S.r.l. può finire male se poi interviene un fallimento con accuse di mala gestio).
Obblighi di legge per l’imprenditore in crisi e strumenti di allerta precoce
La normativa italiana, specialmente con la riforma introdotta dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019), ha posto fortemente l’accento sulla prevenzione e gestione tempestiva della crisi. Agli amministratori di società sono imposti precisi doveri organizzativi e di intervento: – L’art. 2086 c.c., comma 2, introdotto dalla riforma, stabilisce che l’imprenditore collettivo ha il dovere di istituire assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati alla natura e dimensione dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per adottare e attuare uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per superare la crisi e recuperare la continuità. Questo è un obbligo di carattere generale, la cui violazione può costituire fonte di responsabilità per l’amministratore. – In pratica, “assetti adeguati” significa dotarsi di sistemi di monitoraggio dei conti, di controllo di gestione, prevedere piani finanziari e indici che segnalino quando l’azienda sta scivolando verso squilibri economico-patrimoniali. Ad esempio, tenere d’occhio indici come l’indice di liquidità, di indebitamento, ecc., e predisporre piani di emergenza se questi peggiorano. – Strumenti di allerta interna: Il Codice prevedeva anche un meccanismo di allerta “esterna” (segnalazioni da parte di creditori pubblici qualificati come Agenzia Entrate, INPS, Agenzia Riscossione, e segnalazioni da parte di organi di controllo interni come sindaci e revisori). Dopo varie proroghe e modifiche, nel 2022-2023 tali obblighi di allerta sono stati ridimensionati. Attualmente, non è operativo un sistema pubblico di allerta obbligatoria da parte dei creditori pubblici; è invece vigente l’obbligo degli organi di controllo societari (collegio sindacale, revisore) di segnalare per iscritto agli amministratori eventuali indizi di crisi rilevati, sollecitandoli ad attivarsi (art. 25-octies CCII). Se gli amministratori non reagiscono alla segnalazione interna, l’organo di controllo può informare l’OCRI (Organismo di Composizione della Crisi) – ma di fatto l’OCRI è stato sostituito dalla procedura di composizione negoziata, come vedremo. – Segnalazioni dei creditori pubblici: Il Decreto Correttivo Ter (D.Lgs. 136/2024) ha ricalibrato anche il ruolo dei creditori pubblici (Fisco, enti previdenziali) nelle segnalazioni. Attualmente, l’Agenzia delle Entrate, l’INPS e l’Agente della Riscossione devono comunicare all’impresa il superamento di determinati importi rilevanti di debito scaduto (ad esempio imposte IVA scadute oltre €5.000, contributi non versati oltre certe soglie, ecc.). Tali comunicazioni sono volte a “mettere in allerta” l’imprenditore, ma non attivano più automaticamente una procedura di allerta dinanzi a un organo pubblico come l’OCRI (come era previsto inizialmente nel Codice prima delle modifiche). In altri termini, il sistema oggi punta sull’auto-responsabilizzazione dell’imprenditore: fornirgli gli strumenti e le informazioni per capire di essere in crisi, ma lasciargli l’iniziativa di attivare le procedure. – Conseguenze della mancata attivazione: Se l’imprenditore non adempie a questi obblighi e l’insolvenza degenera in fallimento, le conseguenze possono essere severe. Da un lato, l’inerzia può costituire di per sé colpa grave nelle azioni di responsabilità civile (il curatore potrà dire: “se gli amministratori avessero attivato prima un concordato, i creditori avrebbero avuto meno danni, dunque sono responsabili del maggior deficit”). Dall’altro, può integrarsi la fattispecie di bancarotta semplice (art. 323 CCII, già art. 217 L.F.) per aver aggravato il dissesto con omissioni. Anche sul piano penale, pur non essendoci un reato specifico di “mancata segnalazione della crisi”, di fatto un comportamento gravemente imprudente può essere valutato come elemento di colpevolezza. – Premialità per chi si attiva: Al contrario, la legge prevede alcuni benefici per l’imprenditore che tempestivamente affronta la crisi. Ad esempio, l’art. 25-bis CCII prevedeva misure premiali in caso di accesso tempestivo alla composizione negoziata, come la non punibilità per alcuni reati minori tributari se certi requisiti sono rispettati, o attenuanti in caso di bancarotta. Anche sul piano civilistico, i pagamenti e le operazioni compiute in esecuzione di un piano di risanamento o di un accordo omologato non sono soggetti a revocatoria fallimentare (art. 166 CCII) – quindi l’imprenditore che segue la via concordataria con trasparenza è più protetto ex post rispetto all’imprenditore che paghi “sottobanco” alcuni creditori preferendoli (il quale rischia la revocatoria e la bancarotta preferenziale). – Check-up e indici della crisi: Il sistema camerale (Camere di Commercio) e l’Ordine dei Dottori Commercialisti hanno pubblicato degli indici di allerta (DSCR, indice di sostenibilità degli oneri finanziari, indice di rotazione crediti e debiti, ecc.) che dovrebbero essere monitorati. L’imprenditore diligente dovrebbe farsi affiancare da un professionista per effettuare periodicamente un check-up aziendale. Se questi indici segnalano allarme (perdita di patrimonio netto, flussi di cassa negativi, ecc.), la via maestra è attivare uno degli strumenti di composizione della crisi prima di diventare insolvente conclamato. Questa è la vera difesa: giocare d’anticipo.
Riassumendo, la normativa attuale “spinge” l’imprenditore ad anticipare le mosse: – dotandosi di buone pratiche amministrative per individuare subito i debiti che crescono e i primi segnali di allarme; – non indugiando nel cercare soluzioni (che vedremo tra poco) quando tali segnali compaiono.
Nel capitolo seguente entreremo nel vivo di questi strumenti di soluzione della crisi, distinguendo tra quelli stragiudiziali (accordi volontari) e quelli giudiziali (procedure concorsuali), inclusi gli istituti innovativi come la composizione negoziata.
Procedure stragiudiziali di gestione della crisi d’impresa
Quando un’azienda presenta squilibri finanziari ma vuole evitare di arrivare al fallimento, esistono diversi strumenti giuridici per ristrutturare il debito e tentare il risanamento. In questa sezione esamineremo le principali soluzioni negoziali e stragiudiziali, che in genere precedono o scongiurano l’intervento del tribunale se hanno successo. Esse sono: – La Composizione negoziata della crisi (introdotta nel 2021 e ora disciplinata dal Codice della Crisi). – I piani attestati di risanamento. – Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (nelle varie forme previste). – Strumenti per soggetti minori come le procedure di sovraindebitamento (che però discutiamo più avanti separatamente nel contesto delle procedure concorsuali minori).
Questi strumenti condividono l’approccio volontario e negoziale: la soluzione viene cercata tramite accordo con i creditori, a volte con l’ausilio del tribunale per renderla efficace erga omnes (verso tutti).
Composizione negoziata della crisi
La composizione negoziata è un percorso di natura stragiudiziale introdotto originariamente con il D.L. 118/2021 (convertito con L. 147/2021) in risposta alla crisi economica da Covid-19 . Dal 15 novembre 2021 è attiva e poi è stata integrata nel Codice della Crisi come uno strumento stabile (artt. 12-25 quinquies CCII), oggetto di modifiche nel 2022 e 2024. Si tratta essenzialmente di un procedimento volontario e riservato mediante il quale l’imprenditore in difficoltà, ma con possibilità di risanamento, chiede l’affiancamento di un esperto indipendente per condurre trattative con i propri creditori al fine di ristrutturare i debiti e risanare l’azienda.
Caratteristiche principali della composizione negoziata: – Accesso volontario: L’imprenditore (sia esso grande o piccolo, purché imprenditore commerciale o agricolo) può presentare istanza di nomina di un esperto tramite la piattaforma telematica gestita dalle Camere di Commercio. Nell’istanza vanno indicati i dati dell’azienda, le cause della difficoltà, e allegati documenti contabili e un piano ipotetico di risanamento. È richiesta una sorta di autodiagnosi: l’imprenditore deve riconoscere di trovarsi in condizioni di squilibrio patrimoniale o finanziario ma di avere ragionevoli prospettive di risanamento . Se la situazione è palesemente compromessa e irreversibile, l’istanza verrà respinta. – Nomina dell’esperto indipendente: Ricevuta l’istanza, una commissione nomina un esperto terzo (tipicamente un commercialista, avvocato o altro professionista con specifiche competenze in crisi d’impresa) che seguirà le trattative. L’esperto non ha poteri sostitutivi, ma un ruolo di facilitazione e vigilanza. Egli aiuta a predisporre un piano di risanamento e conduce gli incontri con i creditori. – Riservatezza: Diversamente da un fallimento o concordato, la composizione negoziata è inizialmente confidenziale. L’accesso alla procedura non viene pubblicato sul Registro delle Imprese a meno che l’imprenditore non richieda le cosiddette misure protettive o cautelari (cioè misure di tutela dai creditori). In tal caso, l’istanza e l’ammissione alle protezioni vengono pubblicate, per informare i terzi e i creditori coinvolti. – Misure protettive temporanee: Uno dei vantaggi principali è che l’imprenditore può chiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive del patrimonio: in pratica, un blocco delle azioni esecutive e cautelari dei creditori contro l’azienda. Se concesso, questo “scudo” vale verso tutti i creditori indicati (erga omnes) per un periodo iniziale di fino a 4 mesi, prorogabile di altri 4 mesi su istanza motivata. Con le modifiche del 2023-2024, il periodo complessivo di protezione è arrivato fino a 12 mesi massimo, anche considerando eventuale passaggio dal negoziato ad altra procedura. Durante questo periodo: – Non possono essere avviati né proseguiti pignoramenti o altre esecuzioni sul patrimonio dell’impresa. – Non decorrono nuove ipoteche giudiziali. – Anche l’Agente della Riscossione (Fisco) deve sospendere le azioni esecutive e cautelari, purché il debitore rispetti certi obblighi (ad es. pagamento puntuale dei debiti fiscali correnti e contributivi durante le trattative). – Sono però fatte salve le azioni dei creditori che non rientrano nel perimetro (ad es. il debitore potrebbe escludere taluni creditori non strategici dalla protezione, se non li ha elencati). – Continuità aziendale preservata: Durante la composizione negoziata, l’imprenditore resta alla guida della sua impresa (non c’è spossessamento). Può compiere atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, anche pagare determinati creditori se funzionale al risanamento, senza dover rispettare l’ordine delle cause di prelazione (ovvero può pagare fornitori strategici anche se ci sono debiti privilegiati, se ciò serve a tenere in vita l’azienda) . L’esperto tuttavia vigila e può segnalare atti pregiudizievoli. – Durata e esiti possibili: La composizione negoziata non è una procedura con un esito predefinito; è un percorso. Se le trattative hanno successo, possono sfociare in vari tipi di accordi: – Un contratto con uno o più creditori (o investitori) che consenta la continuità aziendale per almeno 2 anni . – Una convenzione di moratoria (accordo temporale per differire pagamenti, ex art. 62 CCII) . – Un accordo di ristrutturazione dei debiti da omologare, magari con le maggioranze ridotte grazie al fatto di essere emerso dalla composizione (il CCII prevede che se l’accordo è concluso con l’ausilio dell’esperto, la soglia di adesione per omologarlo sia il 60% dei crediti invece del 75% in caso di estensione ai dissenzienti) . – Un piano attestato di risanamento (accordo non omologato ma asseverato da esperto, ex art. 56 CCII) . – La presentazione di un concordato preventivo (ordinario) o di un concordato semplificato per la liquidazione (strumento speciale introdotto dal DL 118/2021 e ora art. 25-sexies CCII) .
In particolare, se le trattative falliscono e l’azienda è insolvente, l’imprenditore può proporre entro 60 giorni un concordato semplificato liquidatorio, che è una procedura concorsuale senza voto dei creditori, in cui il debitore liquida i beni sotto controllo del tribunale e offre ai creditori il ricavato secondo un piano. Il tribunale valuta l’equità e l’attestatore verifica che i creditori abbiano una soddisfazione non inferiore a quella ricavabile dalla liquidazione giudiziale. Questo strumento serve a evitare il fallimento quando il negoziato stragiudiziale non ha portato a salvataggio ma l’imprenditore vuole comunque evitare le complessità del fallimento tradizionale. Vale la pena menzionare che la giurisprudenza (Trib. Bergamo 21/9/2022) ha negato l’accesso al concordato semplificato a un imprenditore che, durante la composizione negoziata, non aveva nemmeno provato a proporre una transazione fiscale per i suoi debiti IVA rilevanti: segno che i tribunali si aspettano dai debitori massima serietà e utilizzo di tutti gli strumenti possibili durante il negoziato. – Novità 2024: transazione fiscale nella composizione negoziata: Uno dei limiti iniziali della composizione negoziata era la posizione rigida del Fisco: mancava infatti una base normativa per stralciare (ridurre) i crediti tributari al di fuori di una procedura concorsuale formale. Il principio di indisponibilità del credito tributario impediva accordi di riduzione del debito fiscale in questa sede. L’unica cosa fattibile era chiedere rateizzazioni ordinarie. Questo spesso rendeva difficile chiudere accordi completi, perché l’Erario restava fuori dal tavolo.
Con il terzo correttivo al CCII (D.Lgs. 136/2024, in vigore dal 28 settembre 2024), è stato introdotto l’art. 23 comma 2-bis CCII , che consente, nell’ambito della composizione negoziata, di raggiungere un accordo con il Fisco per il pagamento parziale o dilazionato dei debiti tributari (transazione fiscale in senso lato) e di far omologare tale accordo dal tribunale, rendendolo vincolante. In sostanza, oggi l’imprenditore in composizione negoziata può includere il Fisco nelle trattative e, se ottiene il placet dell’Agenzia Entrate su un certo trattamento dei debiti fiscali (ad esempio stralcio di sanzioni e interessi, pagamento del capitale in percentuale), può chiedere al tribunale l’omologazione di questo accordo. Se il Fisco rifiuta senza motivo una proposta conveniente (che dà almeno quanto la liquidazione giudiziale darebbe), il tribunale può anche omologare nonostante il diniego (c.d. cram-down fiscale), applicando criteri analoghi a quelli del concordato preventivo. Si tratta di una rivoluzione rispetto al passato: adesso il percorso negoziale può davvero risolvere la totalità dell’esposizione debitoria, includendo lo Stato. – Vantaggi e svantaggi della composizione negoziata: Il vantaggio è la flessibilità e la riservatezza: può essere tentata prima di entrare in una procedura concorsuale pubblica, e se l’azienda si risana, il mercato potrebbe anche non venire a conoscenza delle difficoltà attraversate (evitando stigma). Inoltre, lascia all’imprenditore il controllo e consente di individuare soluzioni anche creative (coinvolgimento di nuovi investitori, riscadenzamento di debiti, accordi informali). Lo svantaggio è che è una procedura consensuale: se i creditori chiave (banche, Fisco, fornitori principali) non intendono collaborare, l’imprenditore non può imporre loro sacrifici unilaterali come avverrebbe in un concordato (dove la maggioranza vincola la minoranza). Di conseguenza, se la platea di creditori è troppo conflittuale, la composizione negoziata potrebbe non portare frutti e si dovrà passare a una procedura giudiziale. – Costo: va segnalato che l’esperto ha diritto a un compenso (determinato secondo parametri ministeriali) a carico dell’impresa, se questa ha esito positivo nel senso di un accordo o procedura. Se non si raggiunge nulla, l’esperto percepisce solo un’indennità minima a carico della Camera di Commercio (ciò per non dissuadere imprese a tentare per timore di costi, ma anche per incentivare a concludere qualcosa).
In conclusione, la composizione negoziata è attualmente il fulcro delle strategie di emersione anticipata della crisi in Italia. Un imprenditore con debiti significativi dovrebbe valutarla attentamente: rappresenta un ombrello temporale per negoziare e, dall’ottobre 2024, consente di coinvolgere tutti i creditori in un’unica trattativa strutturata. Nel capitolo delle simulazioni pratiche ne proporremo un esempio concreto applicato alla nostra ipotetica azienda produttrice di occhiali protettivi.
Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII)
Il piano attestato di risanamento è uno strumento previsto già dalla vecchia legge fallimentare (art. 67, co. 3, lett. d, L.F.) e confermato nel nuovo Codice (art. 56). Consiste in un piano aziendale di risanamento redatto dall’imprenditore, con l’obiettivo di risanare l’esposizione debitoria e riequilibrare la situazione finanziaria, il quale viene poi attestato da un professionista indipendente riguardo alla sua fattibilità.
Caratteristiche: – Natura privata: non è richiesta l’omologazione o il coinvolgimento del tribunale. È quindi un accordo del tutto stragiudiziale. – Partecipazione dei creditori: il piano spesso comporta accordi bilaterali con alcuni creditori (ad esempio, banche che accettano dilazioni o stralci), ma non richiede di coinvolgerli tutti come in un accordo ex art. 57 CCII. Può quindi essere utilizzato quando c’è un numero limitato di creditori critici o quando l’imprenditore riesce a ripatrimonializzare e pagare gli altri. – Finalità principale: il vantaggio legale del piano attestato è l’esenzione dall’azione revocatoria fallimentare per gli atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione del piano (art. 56 co. 3 CCII, riprende l’ex art. 67 L.F.) . Ciò significa che se poi l’impresa fallisce comunque, i creditori e il curatore non potranno far annullare i pagamenti fatti ai sensi del piano attestato, proteggendo i creditori che hanno aderito. Questo incentiva i creditori a fidarsi e aderire, sapendo che non dovranno restituire i soldi in caso di successivo default, a patto che il piano fosse idoneo e attestato. – Condizioni: il piano deve essere idoneo a consentire il risanamento dell’impresa e l’esperto attestatore (un professionista iscritto nel registro ministeriale) deve dichiararlo attendibile e realizzabile. Inutile dire che attestare un piano irrealistico espone l’attestatore a responsabilità e anche a conseguenze penali se c’è dolo o colpa grave (falso in attestazioni). – Esempio d’uso: tipicamente un’azienda in difficoltà ma non ancora insolvente può predisporre un piano a 3-5 anni in cui, ad esempio, i soci apportano nuova finanza, le banche prorogano le scadenze, alcuni fornitori strategici accettano un taglio del 20% sulle loro spettanze, e grazie a ciò l’azienda torna liquida e redditizia. L’attestatore verifica i numeri e, se li ritiene validi, firma l’attestazione. Il piano non vincola formalmente i creditori dissenzienti, quindi spesso i creditori coinvolti sono solo quelli disponibili a collaborare; quelli estranei restano fuori e verranno pagati regolarmente. È dunque uno strumento adatto se la crisi è circoscritta a una parte dei debiti (per esempio solo le banche). – Limiti: non offre protezioni automatiche (nessuna sospensione delle azioni esecutive, a differenza del concordato o composizione negoziata con protezione). Quindi se ci sono creditori aggressivi non coinvolti, il piano potrebbe saltare per iniziative esterne. Inoltre, non consente di imporre sacrifici a chi non sia d’accordo: è tutto su base contrattuale volontaria. – Difesa del debitore: il piano attestato è come un “ombrello contrattuale” più leggero; va usato quando la situazione non è precipitata. Il debitore che lo adotta di solito paga regolarmente tutti, salvo quelli con cui raggiunge intese diverse. Pertanto, la difesa qui sta nella prevenzione: se funziona, l’azienda evita di finire in insolvenza conclamata.
Accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 57 CCII e segg.)
L’accordo di ristrutturazione (spesso abbreviato in “ADR” da accordo di ristrutturazione dei debiti) è un istituto a metà strada tra il piano attestato privato e il concordato preventivo giudiziale. Previsto dall’art. 182-bis L.F. fin dal 2005, è ora disciplinato dagli artt. 57-64 del Codice. In sostanza è un accordo che l’imprenditore conclude con una parte significativa dei creditori e che viene poi omologato dal Tribunale, acquisendo efficacia esecutiva anche verso eventuali creditori che non hanno firmato (ma in misura limitata).
Caratteristiche principali: – Percentuale di adesione: Per presentare l’accordo al tribunale è necessario che abbiano aderito creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti (quota ridotta al 30% in taluni accordi agevolati riguardanti intermediari finanziari, ma trattasi di ipotesi particolari introdotte dal recepimento della Direttiva UE 2019/1023). Questa percentuale può includere anche l’Erario e l’INPS se hanno accettato la transazione fiscale/contributiva (in tal caso il loro voto è calcolato). – Omologazione: Il tribunale, verificati i requisiti (tra cui che l’accordo assicuri il pagamento integrale dei creditori non aderenti entro 120 giorni dalla scadenza o dall’omologa, dei privilegiati per legge salvo consenso diverso da parte loro, ecc.), omologa l’accordo rendendolo efficace erga omnes. I creditori che hanno aderito vengono soddisfatti come da accordo (ad esempio con percentuale e dilazione concordata), quelli che non hanno aderito devono essere comunque pagati integralmente entro certi termini (salvo si tratti di creditori che il debitore vuole escludere dall’accordo pagando integralmente per semplicità). – Forza verso dissenzienti (cram down): Il CCII ha introdotto la figura degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa. Ad esempio, se si raggiunge un accordo con il 75% dei creditori di una certa categoria omogenea (es. banche finanziatrici) e il restante 25% non aderisce, il tribunale può estendere gli effetti dell’accordo anche ai dissenzienti di quella categoria . Ciò è particolarmente utile per ristrutturare debiti bancari dove spesso c’è la maggior parte delle banche consenzienti e poche che fanno resistenza: il legislatore consente di “forzare” la minoranza se l’accordo complessivo è conveniente e sostenuto dalla maggioranza qualificata. – Transazione fiscale negli ADR: Già dal 2020 si è previsto (D.L. 137/2020 conv. L. 176/2020) che negli accordi di ristrutturazione omologati il tribunale potesse omologare anche in mancanza di adesione del Fisco, a certe condizioni (c.d. cram-down fiscale). Le riforme del 2022 (D.Lgs. 83/2022) e del 2024 (D.Lgs. 136/2024) hanno ulteriormente dettagliato questa possibilità, prevedendo ad esempio che se l’accordo è raggiunto col 30% dei crediti e riguarda anche l’Erario, quest’ultimo può essere crammato se riceve almeno il 10% del suo credito chirografario e se i creditori di pari grado hanno approvato con la percentuale richiesta. Cassazione del 2024 ha affermato il principio che una volta omologato e concluso l’accordo, il debito fiscale così come definito si cristallizza e il Fisco non può più pretendere importi ulteriori nemmeno se emergono ex post (Cass. civ. sez. I, 29 aprile 2024 n. 11039). – Vantaggi: l’accordo di ristrutturazione è meno “invasivo” di un concordato e più rapido (il tribunale non entra nel merito economico se c’è la maggioranza richiesta, ma si limita a controllare legalità e fattibilità). L’impresa resta in bonis (non c’è procedura concorsuale aperta se non per l’omologa). Consente di coinvolgere solo i creditori con cui è necessario trattare, pagando gli altri normalmente per evitare complicazioni. È uno strumento ideale quando si ha un debito concentrato in poche banche o fondi che si riescono a convincere. – Svantaggi: serve comunque un’adesione elevata, non sempre facile da ottenere. Inoltre i creditori estranei devono essere pagati per intero, quindi l’operazione non risolve la parte di indebitamento diffuso con tanti piccoli creditori (a differenza del concordato dove si può prevedere anche per loro un pagamento parziale forzoso). In pratica l’ADR spesso è usato come soluzione “mista”: si tratta con i grandi (banche, Erario) e si paga integralmente i piccoli magari coi risparmi ottenuti dal taglio con i grandi. – Procedimento: va redatta una proposta di accordo corredata da documentazione contabile e da una relazione di un esperto indipendente che attesta che l’accordo è idoneo ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei nei termini di legge e la regolarità del trattamento dei privilegiati (questa è una garanzia di fattibilità). Si deposita in tribunale e si può chiedere contestualmente la sospensione delle azioni esecutive dei creditori (moratoria provvisoria simile a quella del concordato) fino all’omologa. Dopo l’omologa, l’accordo è legalmente vincolante.
Da notare: grazie al collegamento con la composizione negoziata, oggi un imprenditore può iniziare con la composizione (riservata) e magari giungere a un accordo con i creditori più importanti; a quel punto formalizza quell’accordo come ADR e chiede l’omologa. In tal caso, l’ADR può essere omologato anche con la soglia ridotta del 60% (invece di 75%) se l’esperto attestatore certifica in finale che l’accordo ha basi solide .
Altri strumenti negoziali:
- Convenzione di moratoria: prevista dall’art. 62 CCII, è un accordo in cui una platea di creditori (che rappresentino almeno il 75% di una certa categoria omogenea, ad esempio banche) accetta di non esigere crediti o non revocare affidamenti per un periodo, in attesa del risanamento. È omologabile e vincolante anche per gli altri creditori della categoria dissenzienti. È uno strumento di nicchia, utilizzabile ad esempio per congelare crediti bancari mentre si implementa un piano di risanamento.
- Accordi su crediti tributari o contributivi: Il nuovo codice (art. 63 CCII) regolamenta la transazione fiscale all’interno degli accordi di ristrutturazione. In sintesi, per includere il Fisco si applicano le norme speciali (necessità di un pagamento minimo salvo eccezioni, possibilità di cram-down se rifiuto è irragionevole, etc. – come in parte già detto). L’accordo su crediti fiscali deve assicurare il pagamento di almeno il 30% dell’IVA e ritenute, salvo diverse norme, stante la natura di risorse UE per l’IVA (questo basato su indirizzi UE mitigati dalla Corte Cost. 245/2019).
- Ristrutturazione soggetta ad omologazione (cd. “piani di ristrutturazione”): introdotti per recepire la direttiva europea, sono simili agli accordi ma con la possibilità di cram-down interclassi, molto vicini a un concordato preventivo ma su base negoziale. Il tempo e lo spazio limitano approfondimenti, e nella prassi italiana confluiscono negli ADR ad efficacia estesa.
Dopo aver esplorato le soluzioni stragiudiziali, nel prossimo capitolo passeremo alle procedure concorsuali giudiziali vere e proprie (concordato preventivo, liquidazione giudiziale, ecc.), che diventano necessarie quando l’accordo coi creditori non è raggiunto o non è sufficiente.
Procedure concorsuali per la crisi e l’insolvenza
Le procedure concorsuali sono procedure giudiziarie che intervengono quando la crisi dell’impresa raggiunge livelli che richiedono un intervento autoritativo per gestire o liquidare il patrimonio a beneficio di tutti i creditori. A differenza degli strumenti negoziali visti prima, qui il tribunale gioca un ruolo centrale sin dall’inizio o quasi, e i poteri dell’imprenditore sul patrimonio sono limitati o cessano del tutto.
Le principali procedure concorsuali attualmente vigenti (dopo la riforma del Codice della Crisi) sono: – Il concordato preventivo (per imprenditori commerciali sopra soglia, in stato di crisi o insolvenza reversibile). – La liquidazione giudiziale (che ha sostituito il fallimento, per imprenditori insolventi). – Per i soggetti non fallibili (imprese minori, consumatori, professionisti): il concordato minore, la ristrutturazione dei debiti del consumatore e la liquidazione controllata. – Alcune procedure speciali settoriali come l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (D.Lgs. 270/1999) o la liquidazione coatta amministrativa (per banche, assicurazioni, cooperative). Queste ultime non riguardano la generalità delle PMI, e nel nostro caso le tralasceremo.
Concordato preventivo
Il concordato preventivo è la procedura concorsuale tramite la quale un imprenditore in stato di crisi o insolvenza può proporre ai propri creditori un accordo di soddisfacimento parziale o dilazionato dei loro crediti, sotto controllo giudiziario, evitando così la liquidazione giudiziale (fallimento). Il concordato preventivo è disciplinato dagli artt. 84-120 CCII.
Principali caratteristiche: – Presupposti soggettivi: possono accedere al concordato preventivo gli imprenditori commerciali (esclusi i soli imprenditori agricoli e gli enti pubblici) non piccoli (cioè sopra le soglie di fallibilità viste prima). Le imprese minori hanno invece il concordato minore. – Presupposto oggettivo: uno stato di crisi o di insolvenza. “Crisi” è definita come probabilità di futura insolvenza, “insolvenza” come inadempimento attuale. Dunque il concordato si può chiedere anche in previsione di insolvenza, non serve essere già insolventi conclamati (anzi è auspicabile attivarsi in stato di semplice crisi). – Varietà di piani: l’imprenditore (detto debitore concordatario) mantiene l’iniziativa e propone un piano di concordato che può essere: – Concordato in continuità aziendale: se prevede che l’azienda continui la sua attività (in mano al debitore stesso o ceduta a terzi che la proseguono), assicurando anche in parte la salvaguardia dei livelli occupazionali. In questo caso si punta sul fatto che, mantenendo l’azienda in funzione, i creditori vengano soddisfatti coi flussi di cassa futuri generati dall’attività e/o con la cessione di asset non strategici. Il CCII incoraggia la continuità dove possibile. – Concordato liquidatorio: se invece prevede la cessazione dell’attività e la liquidazione del patrimonio, ma in modo regolato e con una proposta di riparto ai creditori. Il concordato liquidatorio, per essere ammissibile, deve offrire ai creditori chirografari una soglia minima di soddisfazione (nel vecchio ordinamento era il 20%; il CCII prevede soglie se la liquidazione avviene mediante apporto di risorse esterne inferiori al 10% dell’attivo).
Esiste poi la forma speciale di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (già menzionata, art. 25-sexies CCII) riservata al caso di composizione negoziata fallita. – Procedimento: Il debitore deposita una proposta e un piano, corredati di documenti contabili e di una relazione di un attestatore indipendente che assevera la veridicità dei dati e la fattibilità del piano. Il tribunale, verificati i requisiti, ammette la società al concordato e nomina un commissario giudiziale (figura di controllo). – Se il debitore non ha pronto il piano, può presentare un ricorso di concordato con riserva (o “in bianco”), ottenendo subito le protezioni dai creditori e un termine (dal 60 ai 120 giorni prorogabili) per presentare il piano definitivo. – Effetti protettivi: Dalla data di pubblicazione del ricorso di concordato nel Registro Imprese, scatta un automatic stay: i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari, né acquisire privilegi se non concordati, sul patrimonio del debitore. Le eventuali ipoteche giudiziali iscritte nei 90 giorni precedenti sono inefficaci verso la massa. Questi effetti durano per tutta la procedura, salvo revoca. – Gestione dell’impresa: Nel concordato “classico”, il debitore conserva l’amministrazione dei beni sotto la vigilanza del commissario (gestione in continuità autorizzata). In caso di abusi, il tribunale può disporre la nomina di un amministratore giudiziario (sollevando il debitore). Se il piano prevede già la cessione o liquidazione integrale, talvolta è previsto che un liquidatore giudiziale si occupi delle vendite dopo l’omologa. – Classi di creditori e votazione: Il piano può suddividere i creditori in classi secondo posizione giuridica ed interessi omogenei. Tutti i creditori chirografari hanno diritto di voto sulla proposta (anche i privilegiati se rinunciano alla prelazione in parte). La proposta s’intende approvata se ottiene il voto favorevole dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto, calcolata per classi o in mancanza di classi sul totale (il CCII consente approvazione anche con classi dissenzienti attraverso meccanismi di cram-down se c’è almeno una classe votante e il tribunale ritiene la proposta comunque equa e non peggiorativa per i dissenzienti). – Omologazione e cram-down: Se i creditori approvano, il tribunale tiene un’udienza di omologazione dove verifica la legalità e fattibilità e se non ci sono opposizioni omologa il concordato rendendolo vincolante per tutti i creditori anteriori. Se i creditori non approvano, il concordato è di regola bocciato; tuttavia, il CCII (recependo la direttiva UE) consente al tribunale di omologare ugualmente la proposta non approvata se ritiene che: – La proposta soddisfi comunque i creditori dissenzienti in misura almeno pari all’alternativa liquidatoria. – Ci sia almeno una classe di creditori che ha approvato (escludendo classi di soci o assimilati). – Siano rispettati certi principi di non peggioramento (Absolute Priority Rule attenuata, ecc.).
Questo cram-down giudiziale è un meccanismo nuovo volto a superare eventuali ostruzionismi di minoranze qualificate, e avvicina il concordato italiano alle procedure anglosassoni. – Esecuzione: Una volta omologato, il debitore (o un liquidatore nominato) esegue il piano: paga le percentuali promesse, cede beni, ecc. I creditori ricevono i pagamenti secondo le scadenze concordate. Se il debitore adempie regolarmente, si libera dei debiti residui conformemente al piano (es. se aveva promesso il 60%, il restante 40% è remissibile di diritto dopo esecuzione). – Inadempimento: Se il debitore non rispetta il piano, i creditori possono chiederne la risoluzione e si apre la strada alla liquidazione giudiziale.
Difendersi con il concordato preventivo: Dal punto di vista del debitore, il concordato è un’arma potente per: – Imporre ai creditori una soluzione in solido, evitando l’aggressione disordinata e guadagnando tempo (grazie allo stay). – Tagliare il debito a misura della capacità di rimborso: ad esempio, offrire ai chirografari il 30% con capitale di terzi o liquidazione di asset. – Preservare l’azienda (nel concordato in continuità) permettendo la ristrutturazione e il rilancio senza l’onere insostenibile di tutto il debito pregresso. – Evitare le sanzioni penali di bancarotta (se il concordato va a buon fine, la società non fallisce, quindi niente bancarotta; e anche in caso di successivo fallimento, la condotta di aver tentato il concordato tempestivamente gioca a favore).
Ovviamente presenta anche svantaggi: – È una procedura complessa e pubblica, con costi (compensi dei commissari, legali, attestatori) e con possibile danno reputazionale (clienti e fornitori vengono a sapere che la società è “in concordato”). – Non è garantito che vada a buon fine: il rischio di non ottenere i voti necessari o l’omologa c’è, e in tal caso l’alternativa è il fallimento. – Durante la procedura l’azienda è sotto la lente e alcune decisioni (es. straordinarie, pagamenti di crediti anteriori se non autorizzati) non sono consentite. – Richiede liquidità minima per la gestione interinale (nel frattempo bisogna pagare i fornitori correnti e le nuove obbligazioni; i debiti sorti durante il concordato sono prededucibili e vanno onorati regolarmente, pena il fallimento immediato).
In sintesi, il concordato preventivo è la via maestra per l’imprenditore che, con troppi debiti, voglia difendere il nocciolo dell’azienda sacrificando parte delle pretese creditorie in modo regolamentato. Il nostro ordinamento, specialmente col nuovo codice, cerca di favorire i concordati in continuità validi, perché salvano valore economico e posti di lavoro.
Liquidazione giudiziale (ex fallimento)
La liquidazione giudiziale è l’erede del vecchio “fallimento”. Viene aperta dal tribunale quando un imprenditore commerciale non minore si trova in stato d’insolvenza e non vi sono soluzioni alternative (o non le ha attivate in tempo). È la procedura concorsuale liquidatoria per eccellenza: comporta la spossessione dell’imprenditore dai suoi beni, la nomina di un curatore che liquida l’attivo e distribuisce il ricavato ai creditori secondo le priorità di legge.
Punti salienti: – Inizio su istanza: La liquidazione può essere chiesta dallo stesso debitore (istanza di auto-fallimento), da uno o più creditori, o d’ufficio dal PM (in casi specifici, ad es. imprenditore fuggito, ecc.). Se il debitore propone concordato all’ultimo ma la proposta è inammissibile o viene bocciata, il tribunale contestaualmente dichiara la liquidazione giudiziale. – Effetti sul debitore: Con la sentenza di apertura, l’imprenditore perde la gestione e la disponibilità dei suoi beni presenti e futuri (si crea il patrimonio separato chiamato massa attiva fallimentare). Gli atti compiuti dal debitore dopo l’apertura sono nulli. Se l’impresa è societaria, gli amministratori perdono i poteri e la società è sciolta. – Organi della procedura: Il tribunale nomina un curatore (figura professionale incaricata di amministrare la massa fallimentare), un giudice delegato (magistrato supervisore) e un comitato dei creditori (organismo consultivo formato da 3 creditori rappresentativi). Il curatore redige l’inventario, prosegue o scioglie i contratti pendenti, svolge azioni legali (revocatorie, recupero crediti) e infine vende i beni (tramite procedure competitive) per fare cassa. – Soddisfacimento dei creditori: I creditori devono insinuarsi al passivo (presentare domanda di ammissione entro termini). Il curatore esamina le domande e forma uno stato passivo che il giudice verifica. I crediti sono classificati per grado (privilegiati, ipotecari, chirografari). Le vendite dei beni generano somme che vengono distribuite seguendo l’ordine delle cause di prelazione: prima si pagano le spese di procedura e i crediti prededucibili (es. quelli sorti in concordato preventivo poi fallito, o quelli dell’esercizio provvisorio), poi i crediti privilegiati (per rango: pegni, ipoteche, privilegi speciali e generali, tra cui Fisco e lavoratori), e solo se avanza qualcosa i chirografari prendono un dividendo proporzionale. – Durata e chiusura: La liquidazione dura finché non sono liquidati i beni e distribuiti gli attivi. Può durare anni. Si chiude con il decreto di chiusura (per avvenuta ripartizione finale, insufficienza di attivo o concordato fallimentare – quest’ultimo è diverso dal preventivo: è un accordo proposto dal fallito ai creditori dentro il fallimento, rarissimo). – Conseguenze personali: Per la società, significa il tramonto: la società è cancellata alla fine. Per l’imprenditore persona fisica o i soci illimitatamente responsabili, significa subire incapacità personali (perdita temporanea dei diritti di amministrare patrimoni altrui, interdizione dall’accesso al credito, etc.), ma soprattutto l’essere soggetto a eventuali azioni penali (bancarotta) e ad azioni civili di responsabilità. Tuttavia, il CCII introduce un aspetto umanamente rilevante: l’esdebitazione di diritto per il fallito persona fisica che abbia cooperato lealmente. Dopo la chiusura della liquidazione, il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione automatica dei debiti residui non soddisfatti (salvo opposizione di creditori per specifici motivi). Questo rappresenta una “liberazione” dal peso dei debiti pregressi e un’opportunità di ripartenza (fresh start), in linea con la direttiva europea.
Dal punto di vista del difendersi, la liquidazione giudiziale è ciò che si vuole evitare, se possibile, perché: – Il controllo passa completamente di mano. – Spesso i creditori chirografari ricevono percentuali bassissime (quindi il fallimento non è neppure una grande soluzione per loro, ma è quella legale residuale). – L’imprenditore vede dissolversi il lavoro di una vita; se è persona fisica, perde beni magari anche non strettamente d’impresa (la casa, salvo casi in cui non ipotecata e non venduta per insufficienza offerte, ecc.). – Le conseguenze reputazionali e penali possono essere serie: un fallimento porta con sé ispezioni sul passato gestionale, e condotte che magari nell’emergenza sono state compiute (pagamenti preferenziali, irregolarità contabili, distrazione di qualche bene per pagare un creditore amico) vengono vagliate con lente severa, e possono tradursi in imputazioni di bancarotta.
Tuttavia, se ormai ogni tentativo di risanamento è vano, a volte è meglio una liquidazione ordinata (sia pure giudiziale) che l’agonia finanziaria. In certi casi, lo stesso imprenditore la chiede (autofallimento) per porre fine alla situazione e far partire il decorso dell’esdebitazione.
Concordato minore (per imprenditori minori e non fallibili)
Il concordato minore è una procedura concorsuale introdotta per i debitori che non possono accedere al concordato preventivo perché non superano le soglie di fallibilità, oppure per categorie come imprenditori agricoli, start-up innovative, professionisti, etc., esclusi dal fallimento. Sostituisce l’analogo istituto previsto dalla legge sul sovraindebitamento (L.3/2012) chiamato “accordo di composizione della crisi”. È regolato dal Titolo IV Capo II CCII.
Caratteristiche: – Soggetti ammessi: imprenditori commerciali sotto soglia (definiti “imprese minori”), imprenditori agricoli (tradizionalmente non fallibili), imprenditori start-up innovative (temporaneamente esenti da fallimento per norma speciale), soggetti non imprenditori ma che hanno debiti professionali (es. un avvocato con studio in dissesto). Resta escluso il consumatore privato, che ha invece la sua procedura (piano del consumatore). – Stato di crisi o insolvenza: come il concordato preventivo, anche qui si può accedere in caso di crisi o insolvenza. – Proposta ai creditori: il debitore propone un piano che può prevedere il soddisfacimento, anche parziale, dei crediti con qualsiasi forma. Può essere in continuità (es. un piccolo agricoltore propone di continuare l’attività ripagando i debiti in parte coi futuri raccolti) o liquidatorio (es. un artigiano chiude e offre ai creditori la vendita dei suoi macchinari e un pagamento rateale con la sua futura stipendio se si ricolloca come dipendente). – Voto dei creditori: I creditori vengono convocati e votano la proposta. Non ci sono classi obbligatorie (ma si possono prevedere). Serve la maggioranza dei crediti ammessi al voto per approvare. – Omologazione: Se i creditori approvano, il tribunale omologa il concordato minore valutando che siano rispettati i requisiti (in primis che il debitore non abbia dolosamente o con colpa grave aumentato l’indebitamento o violato regole di correttezza – c’è un filtro di meritevolezza più accentuato per queste procedure minori). Se i creditori non approvano, il tribunale può comunque omologare se ritiene la proposta equa e conveniente rispetto alla liquidazione controllata (quindi c’è pure qui un possibile cram-down, ma molto mirato). – Effetti: Simili al concordato preventivo: blocco delle azioni esecutive durante la procedura, possibilità per il debitore di restare in possesso dei beni (spesso sì, perché trattasi di piccoli casi dove togliere la gestione al debitore a volte non conviene). – Liquidazione controllata in caso di fallimento del concordato: Se il concordato minore non va a buon fine, il debitore sovraindebitato potrà essere soggetto a liquidazione controllata (non potendo fallire). – Vantaggi per il debitore: Il concordato minore consente anche al piccolo imprenditore di avere uno strumento di esdebitazione mediante pagamento parziale, analogo a quello delle grandi imprese. Un tempo il piccolo imprenditore poteva solo liquidare tutto con la procedura di sovraindebitamento e chiedere esdebitazione finale; ora può proporre lui un piano con percentuale ai creditori ed eventualmente tenere l’azienda se sostenibile. Non a caso è definito in dottrina un aiuto, non un condono personalizzato: il debitore deve fare il massimo sforzo, ma può chiedere sacrifici ai creditori. – Differenze rispetto al concordato preventivo: Procedure più snelle, costi minori, e l’assenza formale di classi (anche se possibili). Inoltre nel concordato minore non è previsto il voto dei creditori privilegiati se ricevono per intero quanto spetta secondo la liquidazione (lo si desume dal rinvio parziale alle norme generali).
Liquidazione controllata (per soggetti sovraindebitati)
La liquidazione controllata è l’equivalente del fallimento per i debitori non fallibili (imprese minori, consumatori, ecc.). Prevista dall’art. 268 CCII e seguenti, raccoglie l’eredità della “liquidazione del patrimonio” della L.3/2012. – Si apre su istanza del debitore, di un creditore o su conversione di un’altra procedura minore non eseguita. – Un giudice nomina un liquidatore (simile al curatore) che gestisce il patrimonio del debitore (impresa e personale nel caso di impresa individuale). – I creditori presentano le domande e il liquidatore liquida i beni con criteri semplificati (valori correnti di mercato, evitando formalismi eccessivi). – Alla fine, il debitore persona fisica onesto potrà ottenere l’esdebitazione dei debiti residui. Nel sovraindebitamento, a differenza del fallimento, c’è anche la possibilità di esdebitazione immediata del debitore meritevole che non ha nulla da offrire (esdebitazione del nullatenente), introdotta dal CCII.
La liquidazione controllata è l’extrema ratio per chi non è soggetto a fallimento: ad esempio un piccolo artigiano che non riesce a proseguire e non trova accordi, liquida tutto attraverso questa procedura e si libera dai debiti per ripartire (col vantaggio sul vecchio fallimento che qui l’esdebitazione è più accessibile e in parte automatica).
(Breve cenno su) Amministrazione straordinaria e liquidazione coatta
Per completezza: aziende di dimensioni enormi (oltre 200 dipendenti, o insolvenze di rilevanza pubblica) possono essere ammesse all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, che è una procedura diversa volta a salvaguardare la continuità con intervento del Ministero (casi tipo Alitalia, ILVA, ecc.). Non è il caso tipico di una PMI come quella del nostro esempio. Alcuni enti particolari (banche, assicurazioni, cooperative) non falliscono ma sono soggetti a liquidazione coatta amministrativa, procedura simile alla liquidazione giudiziale ma gestita dalle autorità amministrative competenti (es. Banca d’Italia per banche). Queste procedure esulano dallo scopo pratico di questa guida, che è focalizzata su aziende di dimensioni ordinarie del settore manifatturiero.
Profili penali: bancarotta e altri reati nella gestione della crisi
Una guida sulla difesa del debitore non può trascurare i profili penali connessi alle situazioni di dissesto aziendale. Quando l’insolvenza di un’impresa sfocia in una procedura concorsuale giudiziale (liquidazione giudiziale/fallimento, o anche liquidazione controllata), entrano in gioco le disposizioni penali del codice della crisi e del codice penale in materia di reati fallimentari e societari. È fondamentale che l’imprenditore in difficoltà sia consapevole di quali condotte possano costituire reato, sia per evitarle, sia per rendersi conto della propria esposizione nel caso abbia (magari senza piena cognizione) già commesso qualche infrazione.
Bancarotta fraudolenta e semplice: Il reato più noto e temuto è la bancarotta, disciplinato ora dagli artt. 322 e seguenti del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza. Si distingue tra: – Bancarotta fraudolenta (art. 322 CCII): è un reato grave (punito con la reclusione da 3 a 10 anni, analogamente al vecchio art. 216 L.F.) che si configura in diverse forme: – Bancarotta fraudolenta patrimoniale: quando, prima o durante la procedura concorsuale, l’imprenditore distrugge, occulta, distrae o dissipa parte del patrimonio, o simula passività inesistenti, con danno per i creditori. In pratica, svuotare l’azienda dei beni (vendendoli sottocosto a compiacenti, portandoli a casa, spostandoli all’estero) o creare falsi debiti per ridurre la quota spettante ai veri creditori sono tipiche condotte fraudolente. – Bancarotta fraudolenta documentale: quando l’imprenditore sottrae, distrugge o falsifica le scritture contabili, oppure tiene la contabilità in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento d’affari. Ad esempio, non aver tenuto le scritture, o averle tenute in modo caotico e inattendibile, è condotta fraudolenta se fatta con dolo per ostacolare i creditori. – Bancarotta preferenziale: considerata una forma di bancarotta fraudolenta, è il pagamento o il soddisfacimento di un creditore a scapito degli altri in periodo di insolvenza. Ad esempio, pochi mesi prima del fallimento l’imprenditore paga interamente un fornitore “amico” o un debito personale, lasciando gli altri a bocca asciutta: questo è punito (perché altera la par condicio creditorum) se compiuto con coscienza dello stato d’insolvenza.
Per la configurazione della bancarotta fraudolenta è necessaria la dichiarazione di apertura della procedura concorsuale (fallimento o liquidazione giudiziale): i fatti commessi prima diventano reato solo all’avverarsi di quella condizione, e se commessi dopo costituiscono reato immediatamente. Il soggetto attivo tipico è l’imprenditore dichiarato insolvente (o i suoi amministratori e liquidatori). Ma rispondono di concorso anche eventuali complici (es. il prestanome, il professionista che aiuta a distrarre asset).
Un esempio giurisprudenziale: la Cassazione ha affermato che anche l’amministratore solo formale (“testa di legno”) risponde di bancarotta fraudolenta documentale se accetta la carica consapevole che i libri sono tenuti in modo irregolare o mancante . Non può quindi difendersi dicendo “non gestivo io” se era a conoscenza della mancanza di contabilità e l’ha tollerata . Parimenti, l’amministratore di fatto che prende le decisioni nell’ombra può essere ritenuto corresponsabile.
- Bancarotta semplice (art. 323 CCII): punita con pena più mite (reclusione da 6 mesi a 2 anni circa, come il vecchio art. 217 L.F.), si configura in ipotesi meno dolose ma comunque colpose:
- Ad esempio, l’aver sostenuto spese personali eccessive durante la crisi dell’impresa, o l’aver aggravato il dissesto per inerzia (ad es. non aver chiesto il concordato o la liquidazione in tempo), o l’aver tenuto una contabilità seppur regolare ma talmente semplificata da ostacolare una chiara rappresentazione. Sono situazioni di imprudenza o negligenza grave che la legge sanziona penalmente, sebbene con minore severità, a tutela comunque dei creditori.
Altri reati connessi: – Ricorso abusivo al credito (art. 325 CCII): punisce con reclusione fino a 2 anni l’imprenditore dichiarato insolvente che ha continuato a ricorrere al credito aggravando il proprio dissesto, in particolare ottenendo finanziamenti senza prospettiva di restituirli e in danno dei creditori. È un reato pensato per chi, sapendo di essere alla frutta, fa incetta di beni a credito (forniture, prestiti) bruciando quelle risorse e lasciando gli ulteriori creditori insoluti. – Omesso deposito di scritture contabili: se l’imprenditore non consegna al curatore le scritture e i documenti obbligatori entro il termine di legge, incorre in reato contravvenzionale (punito con l’arresto fino a 1 anno o ammenda) ai sensi dell’art. 324 CCII. – Reati tributari e contributivi già discussi: omessi versamenti IVA e ritenute, se il dissesto induce a tali omissioni e vengono superate le soglie, il rappresentante legale ne risponde penalmente (indipendentemente dal fallimento, sono reati tributari). Va notato che in caso di concordato preventivo con omologa, alcuni di questi reati possono estinguersi: ad esempio, l’omologazione di un concordato che prevede il pagamento anche parziale dell’IVA dovuta può estinguere il reato di omesso versamento IVA, ma la materia è complessa e dibattuta. – Reati societari: se l’impresa è societaria, potrebbero emergere reati di false comunicazioni sociali (false scritture di bilancio) se i bilanci sono stati dolosamente falsati per nascondere la crisi. Oppure il reato di infedeltà patrimoniale (amministratore che procura vantaggio a sé o altri a danno della società). Tali reati possono concorrere con la bancarotta o essere assorbiti a seconda delle circostanze (ad esempio, bilanci falsi per occultare distrazioni rilevano come bancarotta fraudolenta documentale in sede fallimentare). – Penalità in concordato preventivo: va menzionato che se durante un concordato preventivo l’imprenditore compie atti in frode (nasconde beni, simula crediti, etc.), il tribunale può sia revocare la procedura sia trasmettere gli atti alla procura. Ad esempio, la simulazione di crediti per influenzare l’esito della votazione dei creditori è un reato specifico (art. 236 L.F. era, oggi ricompreso nelle condotte punibili).
Come difendersi sul piano penale? – Prevenzione attiva: La miglior difesa è non commettere atti illeciti anche sotto pressione. Ciò significa: – Tenere sempre una contabilità regolare e trasparente. Se la situazione è disperata, resistere alla tentazione di “far sparire le carte” o di omettere registrazioni; anzi, documentare tutto ancor meglio. Ciò potrà semmai provare la buona fede in sede penale. – Non distogliere beni dal patrimonio aziendale. Se l’imprenditore vuole salvare parte dei suoi beni, esistono vie lecite (ad esempio, proporre in concordato preventivo la cessione dell’azienda a una nuova società dei soci con pagamento di un prezzo destinato ai creditori, senza sottrarre beni senza corrispettivo ). Il trasferimento occulto di beni a familiari o a una “NewCo” prima del fallimento è un classico che porta poi a condanne per bancarotta. – Evitare di pagare preferenzialmente alcuni creditori a scapito di altri quando si è in stato d’insolvenza conclamata. Se si decide di pagare comunque (perché magari altrimenti si blocca la produzione), meglio farlo all’interno di un quadro negoziale autorizzato (es. nelle misure protettive della composizione negoziata, si possono chiedere deroghe per pagare fornitori essenziali, oppure in concordato chiedere al giudice di poter pagare fornitori strategici per la continuità). – Non aggravare l’esposizione: se si percepisce che nuovi ordini o nuovi prestiti non potranno essere onorati, non contrarli. Questo tutela da futuri addebiti di aver tirato a campare ingannando i creditori. – In sintesi, mantenere un comportamento cristallino e proattivo: cercare aiuto (da professionisti, dal tribunale con concordato) piuttosto che nascondere la polvere sotto al tappeto. – Vantaggi delle procedure concorsuali tempestive: Se l’imprenditore ricorre in tempo a una procedura come il concordato preventivo, evita il fallimento e quindi non ci sarà bancarotta. Inoltre, la legge prevede cause di non punibilità per alcuni reati tributari se i debiti vengono estinti tramite concordato o accordi. Ad esempio, l’art. 25 del DL 118/2021 (ora integrato nel CCII) stabiliva che il pagamento integrale dei debiti IVA e ritenute nel concordato esclude la punibilità per i relativi reati. La Corte Costituzionale stessa con sentenza n. 247/2021 ha considerato conforme a Costituzione l’esclusione di punibilità penale per chi sistemava i debiti fiscali in concordato, in ragione del favor per la continuità aziendale. – Difesa processuale: Se nonostante tutto vengono contestati reati, ovviamente si aprirà un capitolo giudiziario a sé. È importante sin dall’inizio cooperare col curatore (consegnando documenti, spiegazioni) perché spesso i curatori relazionano alla Procura e una condotta collaborativa può convincere che magari certe irregolarità non erano fraudolente ma dovute al caos della crisi (che è più compatibile con bancarotta semplice che fraudolenta). – Cause di non punibilità o attenuanti: Il codice prevede attenuanti se, prima del giudizio, l’imprenditore ha fatto di tutto per rimediare (es. ha pagato i debiti tributari omessi, ha aiutato a recuperare i beni distratti). Nel contesto di crisi, se ad esempio un amministratore rettifica i bilanci prima del fallimento per allinearli alla realtà, potrebbe evitare guai peggiori.
Un pensiero conclusivo su questo tema: la paura del penale non deve paralizzare l’imprenditore onesto, ma semmai spronarlo ad agire correttamente e presto. Le procure e i tribunali sanno distinguere tra chi ha fatto di tutto per salvare l’azienda rispettando le regole (magari non riuscendoci) e chi invece ha approfittato della situazione per fare il furbo o ha gestito in modo spregiudicato. Il primo ha probabilmente poco da temere o comunque potrà dimostrare la propria buona fede; il secondo difficilmente sfuggirà a condanne. D’altronde, come recita un antico brocardo, fallitus punitur ut ceteri videant: il fallito (fraudolento) viene punito affinché gli altri imparino. Ma oggi, allo stesso tempo, l’ordinamento vuole dare una seconda chance a chi è incappato in un insuccesso senza malizia, attraverso l’esdebitazione e la decriminalizzazione di condotte meramente omissive minori.
Simulazione pratica: il caso “Occhiali Protettivi S.r.l.”
Per concretizzare i concetti esposti, immaginiamo ora una simulazione pratica ispirata al caso prospettato: – Scenario iniziale: Occhiali Protettivi S.r.l. è una PMI toscana specializzata nella produzione di occhiali protettivi e visiere per laboratori e cantieri. Fondata da due soci (Mario e Luigi) nel 2015, ha conosciuto un boom di domanda nel 2020-21 (era Covid), espandendo produzione e assumendo personale. Per finanziare la crescita, la società ha contratto debiti bancari (mutuo impianti €500.000 garantito da ipoteca sul capannone e fideiussione personale dei soci per €200.000; linee di fido €200.000 per capitale circolante garantite da Mediocredito Centrale all’80%). Inoltre, ha ottenuto dilazioni dal Fisco durante la pandemia (€150.000 di IVA e ritenute non versate, rateizzate in 4 anni con Agenzia Entrate Riscossione) e verso fornitori di materie prime (circa €300.000 a 90-120 giorni).
Terminata la fase acuta della pandemia, la domanda di visiere è crollata e la S.r.l. si è trovata con magazzino pieno e ricavi in picchiata (-50% nel 2022). Nel 2023 non riesce più a rispettare il piano di rientro fiscale e accumula nuovi debiti IVA (per €80.000). Anche i pagamenti ai fornitori iniziano a saltare. Banche e factor riducono i fidi. A fine 2023 la società ha: – Debiti finanziari: €600.000 (mutuo residuo €450k; fido su conto €150k esaurito). – Debiti verso fornitori: €400.000 (di cui €100k scaduti > 6 mesi). – Debiti tributari: €200.000 (IVA, ritenute e IRAP non pagate; decadenza da rateazione avvenuta). – Debiti contributivi: €50.000 (3 mensilità di contributi dipendenti non versate). – Attivo: magazzino €200k (difficilmente liquidabile per calo domanda); immobilizzazioni €600k (capannone e macchinari); crediti commerciali €100k (clienti pagheranno a 120gg). – Patrimonio netto: praticamente azzerato da perdite nel 2022 e 2023.
Mario e Luigi, soci e amministratori, sono preoccupati. Mario ha ipotecato la sua casa in banca a garanzia del mutuo aziendale (in quanto fideiussore), Luigi no ma entrambi hanno firmato il contratto di garanzia omnibus. I fornitori cominciano a scalpitare: uno ha minacciato ingiunzione per €50k. L’INPS ha notificato avvisi per contributi. L’Agenzia Entrate Riscossione ha comunicato la decadenza della dilazione e iscritto ipoteca secondaria sul capannone per €100k di cartelle.
Siamo a gennaio 2024: la società è in crisi grave ma non irreversibile (ha ancora ordini, ma insufficienti a servire tutto il debito pregresso). Vediamo le mosse possibili e il loro esito.
- Passo 1: Consulenza e check-up iniziale: I soci decidono di rivolgersi a un advisor legale e uno finanziario. Viene redatto un quadro della situazione (come sopra) e si calcola che se si riuscisse a dimezzare l’indebitamento e a dilazionare il resto in 5 anni, l’azienda potrebbe sopravvivere (ridimensionando i costi). Gli advisor individuano come cruciali: ridurre il debito tributario (sanzioni/ interessi), convincere la banca ad allungare il mutuo riducendo la rata, e tagliare 1/3 dei debiti fornitori magari offrendo loro una partecipazione agli utili futuri. Serve anche nuova finanza per €100k per il circolante (materie prime per evadere i nuovi ordini).
Mario e Luigi comprendono che non possono coprire il buco da soli (non hanno risparmi sufficienti né garanzie aggiuntive da offrire), e che la via negoziale collettiva è necessaria.
- Passo 2: Attivazione della Composizione Negoziata: A febbraio 2024 la società deposita istanza di composizione negoziata sulla piattaforma di CamCom, allegando un piano preliminare e gli indici che mostrano squilibrio (DSCR <1 per 6 mesi, capitale < minimo legale). Viene nominato in pochi giorni l’esperto, il dott. Rossi, esperto in crisi d’impresa.
Entro marzo, l’esperto convoca i soci e analizza la situazione. Conclude che effettivamente esistono prospettive di risanamento, a patto di ottenere significative concessioni dai creditori e un socio finanziatore per quell’apporto di €100k. Suggerisce di cercare fra i contatti dei soci un investitore interessato (magari un fornitore strategico disposto a entrare nel capitale).
La società, con l’assistenza dell’esperto, redige un piano di risanamento che prevede: – taglio del 40% sui debiti chirografari (fornitori, parte di banca non garantita, parte del debito fiscale); – pagamento integrale di IVA e ritenute in 5 anni (essendo tributi “intangibili” salvo transazione autorizzata); – esdebitazione totale delle sanzioni fiscali e contributive (tramite transazione fiscale); – allungamento mutuo residuo da 4 a 8 anni e riduzione tasso dal 5% al 3%; – ingresso di un nuovo socio (il cugino di Mario), che apporta €120.000 di equity freschi, di cui €100k destinati ai pagamenti concordatari iniziali e €20k a ricostituire un minimo di capitale circolante; – riduzione costi: purtroppo 5 dipendenti su 20 verranno licenziati (si prevede uso CIGS e incentivo all’esodo).
- Passo 3: Misure Protettive ottenute: Appena avviata la composizione, a febbraio, la società aveva chiesto al tribunale misure protettive per 4 mesi. Il tribunale di Firenze le ha concesse, sospendendo i pignoramenti (nel frattempo un fornitore aveva depositato ricorso monitorio, ma è bloccato) e congelando l’ipoteca esattoriale (non potranno espropriare il capannone intanto). Questo dà respiro all’azienda e tranquillizza il nuovo investitore (che non avrebbe messo soldi sapendo di trovarsi ipoteche e pignoramenti).
- Passo 4: Negoziazione con creditori chiave: L’esperto Rossi organizza incontri con:
- La banca principale: dopo trattative, accetta di allungare mutuo e mantenere fido al 50% (80k) a fronte dell’impegno dei soci (e del nuovo investitore) a ricapitalizzare la società e pagare gli interessi subito. La banca chiede però ai soci di confermare le fideiussioni per la parte residua (non le libera).
- I fornitori: vengono distinti tra strategici (quelli da cui servono ancora materiali) e non strategici. Ai primi si propone pagamento del 80% del dovuto in 2 anni, ai secondi 60% in 4 anni. Dopo resistenze, l’alternativa (fallimento imminente, dove stimano recupererebbero forse il 20%) li convince ad aderire in buona parte.
- L’Agenzia delle Entrate e l’INPS: tramite i canali previsti, si propone formalmente una transazione fiscale e contributiva: pagamento del 100% dell’IVA e ritenute in 5 anni senza interessi né sanzioni, pagamento del 30% di IRAP e contributi con stralcio del resto. L’esperto attesta che la proposta è migliore di quanto Fisco e INPS otterrebbero in liquidazione (stimato 15%). L’Agenzia, dopo lungaggini, comunica adesione formale condizionata all’omologazione.
Durante queste trattative, emergono ovviamente tensioni: alcuni creditori vorrebbero spuntare condizioni migliori, altri minacciano azioni legali immediate. Qui l’ombrello delle misure protettive è cruciale per mantenere tutti al tavolo senza fuga in avanti di qualcuno.
- Passo 5: Emersione della soluzione – accordo di ristrutturazione: A giugno 2024, grazie alla cornice della composizione negoziata, Occhiali Protettivi S.r.l. riesce ad ottenere l’adesione formale di creditori rappresentanti il 75% dei crediti (la banca, il 70% in valore dei fornitori, lo Stato per i tributi, etc.) al piano di ristrutturazione. L’esperto chiude la sua relazione finale certificando l’esito positivo. A questo punto l’azienda, con l’aiuto legale, trasforma quell’accordo in un Accordo di Ristrutturazione dei Debiti da presentare al tribunale per l’omologa.
Beneficiando delle norme, l’accordo, sostenuto dal 75%, può essere esteso a quei pochi fornitori dissenzienti (che erano il 10% del totale crediti) e all’unica banca minore dissenziente, grazie al meccanismo di cram-down sui dissenzienti della stessa classe finanziaria . In udienza nessuno si oppone (tutti hanno negoziato e capito che è il male minore). Il tribunale omologa l’accordo a settembre 2024, rendendolo vincolante erga omnes.
- Passo 6: Esecuzione e uscita dalla crisi: Con l’omologa, le misure protettive cessano e si passa all’esecuzione. Il nuovo socio immette i €120k promessi, con cui entro fine 2024 la società paga:
- Le prime quote ai fornitori secondo accordo (ad esempio il 20% subito ai strategici).
- Le prime rate a Fisco e INPS secondo il piano (beneficiando anche delle nuove norme che permettono dilazioni decennali in transazione fiscale).
- Gli arretrati ai 15 dipendenti rimasti (che erano stati mantenuti correnti durante la procedura).
La produzione continua, ridotta ma con margini migliori dopo i tagli di personale e costi. Il 2025 vede un piccolo utile operativo.
Gli effetti per i soci: la loro quota di partecipazione si è diluita col nuovo socio (ora detiene il 30%). Mario ha rischiato la casa ma è salvo perché la banca ha rinegoziato il mutuo e lui continua a pagare (indirettamente, tramite i soldi che l’azienda versa, la banca non escute la fideiussione). Luigi pure mantiene la posizione.
Sul piano dei debiti: – I fornitori otterranno complessivamente il 70% di media dei loro crediti in 4 anni: non è l’integrale, ma molto meglio di quel che sarebbe stato. – Il Fisco e INPS ottengono il pagamento integrale del dovuto principale ma rinunciano a interessi e sanzioni per, diciamo, 50k euro totali stralciati. Grazie all’omologa, quell’accordo è definitivo e, ad esempio, l’Agenzia Entrate non potrà più dopo 2 anni ripensarci e contestare altri importi (Cass. 11039/2024 garantisce la cristallizzazione del debito transatto). – La banca principale incasserà tutto ma su un orizzonte più lungo; la banca minore, a cui è stato imposto l’accordo, incasserà all’80% il suo credito in 3 anni. – I soci dovranno comunque rimanere disciplinati: qualora la società non rispettasse l’accordo, potrebbero tornare esecutive le azioni e a quel punto probabilmente si andrebbe verso un fallimento. Ma con l’ingresso del nuovo capitale e il taglio dei debiti, l’azienda ora è sostenibile.
La società evita quindi il fallimento, i soci mantengono l’azienda (sebbene ridimensionata) e proteggono il proprio patrimonio personale, e i creditori ricevono soddisfazione migliore che in uno scenario liquidatorio.
- Variante negativa (non fosse riuscita la ristrutturazione): Va detto che se le trattative fossero naufragate – ad esempio per intransigenza del Fisco o di troppi fornitori – l’azienda avrebbe potuto comunque, entro fine 2024, virare su un concordato semplificato liquidatorio. In quel caso avrebbe venduto il capannone e i macchinari con l’assistenza di un liquidatore e distribuito il ricavato (magari pagando 30% a tutti i chirografari). I soci avrebbero perso l’azienda, ma probabilmente evitato guai penali organizzando la liquidazione in modo ordinato, e con la chance di ripartire come persone fisiche esdebitate (la S.r.l. sarebbe stata estinta però).
Questo per evidenziare che anche i piani B esistono: difendersi significa avere sempre un’alternativa lecita al disastro, anche se non ideale.
Domande frequenti (FAQ)
Di seguito raccogliamo alcune delle domande più frequenti che imprenditori, soci o garanti debitori si pongono quando l’azienda è sovraindebitata, con relative risposte sintetiche:
- D: La mia S.r.l. ha molti debiti: i creditori possono attaccare i miei beni personali (casa, conto)?
R: In linea di massima no, i creditori sociali possono rifarsi solo sul patrimonio della società. Tuttavia, se Lei ha firmato garanzie personali (es. fideiussioni) a favore di qualche creditore, quel creditore potrà escutere direttamente i Suoi beni. Inoltre, in caso di comportamento illecito (distrazione di beni sociali a Suo favore, confusione di conti personali con quelli societari), un tribunale potrebbe sancire Sua responsabilità (in via di risarcimento danni o revocatoria di atti). Infine, se la società viene liquidata e cancellata insolvente, i creditori potranno agire contro di Lei entro i limiti di quanto ha eventualmente ricevuto in sede di liquidazione. Quindi, il consiglio è di verificare la presenza di fideiussioni e di evitare qualunque prelievo improprio di risorse dalla società. - D: Ho debiti con l’Agenzia delle Entrate che non riesco più a pagare. Posso farmeli ridurre?
R: Sì, ma solo nell’ambito di specifiche procedure o misure di legge. L’Agenzia Entrate Riscossione, di per sé, fuori da procedure concorsuali, non può “abbuonare” quote di imposta (principio di indisponibilità del credito tributario). Tuttavia: - Può concedere dilazioni standard (fino a 6 anni o 10 anni in casi gravi).
- Periodicamente, il legislatore può emanare definizioni agevolate (rottamazioni delle cartelle, stralcio mini debiti) e bisogna monitorare la normativa.
- Nelle procedure concorsuali (concordato preventivo, fallimento) e ora anche nella composizione negoziata, è possibile proporre una transazione fiscale, ossia un accordo che prevede il pagamento parziale delle imposte e il taglio di sanzioni e interessi, con omologa del giudice. Ad esempio, in un concordato può offrire di pagare il 50% dell’IVA e il 0% delle sanzioni: se il tribunale valuta che quella è la massima soddisfazione possibile, può omologare anche senza il consenso pieno del Fisco.
- Alcuni tributi particolari (IVA, ritenute) richiedono comunque un pagamento minimo (spesso integrale dell’imposta, stralciando solo accessori) a seguito di giurisprudenza e norme europee.
Quindi, fuori da piani straordinari statali, la riduzione del debito fiscale passa attraverso un piano concordatario o un accordo di ristrutturazione omologato.
- D: Se la mia azienda fallisce, per quanti anni rischio la galera per bancarotta?
R: Dipende dal Suo comportamento. La bancarotta fraudolenta comporta pene fino a 10 anni di reclusione, ma richiede che Lei abbia commesso atti dolosi (distrazioni, occultamenti, frodi). La bancarotta semplice (per imprudenza, negligenza) è molto più lieve (massimo 2 anni). Se Lei ha agito correttamente e non ha nascosto beni, potrebbe addirittura non essere imputato di nulla. Inoltre, se evita il fallimento ricorrendo a un concordato o altra soluzione, non ci sarà alcun processo per bancarotta, perché il reato presuppone la procedura di insolvenza. In sostanza: nessun fallimento, nessuna bancarotta. E se anche ci fosse fallimento ma Lei avesse agito senza malafede, al più potrebbe incorrere in bancarotta semplice o nessun reato. La chiave è evitare condotte fraudolente e documentare tutto . - D: Ho sentito parlare di “esdebitazione”: cos’è e come posso ottenerla?
R: L’esdebitazione è l’istituto che libera il debitore persona fisica dai debiti residui dopo una procedura concorsuale liquidatoria. In pratica: - Se Lei è socio illimitatamente responsabile o imprenditore individuale e viene dichiarato fallito/liquidazione giudiziale, al termine della procedura può chiedere al tribunale di essere esdebitato, cioè di cancellare i debiti che non sono stati soddisfatti con la liquidazione. Il CCII prevede ora l’esdebitazione di diritto salvo opposizione, purché Lei abbia cooperato e non ci siano stati comportamenti maliziosi.
- Se Lei è un consumatore sovraindebitato o piccolo imprenditore non fallibile e fa una liquidazione controllata, vale lo stesso: potrà essere esdebitato.
- L’esdebitazione non copre debiti di natura personale estranei alla procedura (es. alimenti, risarcimenti per illecito extra-fallimentare, alcune multe) e ovviamente non copre eventuali fideiussori (che però a loro volta potrebbero chiedere la propria esdebitazione se falliscono).
In parole semplici, l’esdebitazione è la “fresh start”: dopo aver fatto fallire l’azienda e sacrificato tutto il patrimonio disponibile, la legge Le concede di ripartire pulito, senza restare schiavo a vita dei debiti pregressi. È uno strumento di civiltà per evitare i cosiddetti “morti civili” a causa di debiti impagabili.
- D: Meglio tentare un accordo stragiudiziale con i creditori o andare subito in concordato preventivo?
R: Dipende dalle circostanze: - Un accordo stragiudiziale (piano attestato o composizione negoziata) è preferibile se pensa di poter ottenere il consenso dei principali creditori in breve tempo, senza bisogno di coinvolgere tutti. Ha il vantaggio di essere riservato e più rapido, ma non offre garanzie di blocco per i creditori ostili.
- Il concordato preventivo offre la protezione del tribunale e l’imponibilità ai dissenzienti se c’è maggioranza, ma è pubblico e un po’ più lungo/costoso. È indicato se ci sono molti creditori e pensa che alcuni non aderirebbero spontaneamente o se la situazione è già molto tesa (pignoramenti avviati, ecc.).
Un buon approccio spesso è: provare prima la via negoziale confidenziale (ad esempio la composizione negoziata) e, se non si raggiunge un esito soddisfacente, ripiegare su un concordato preventivo, magari avendo già costruito una base di accordo con una parte dei creditori. In ogni caso, la tempestività è vitale: non aspetti di essere con l’acqua alla gola per intraprendere l’una o l’altra strada, perché i creditori percepiscono la disperazione e sarà più difficile convincerli.
- D: La banca ha un’ipoteca sul capannone della mia azienda. Se faccio concordato, la banca può prendere il capannone?
R: Nel concordato preventivo, il bene ipotecato rientra comunque nella massa su cui viene costruito il piano. La banca come creditore ipotecario ha diritto a essere soddisfatta almeno fino a concorrenza del valore di stima del bene. Se nel concordato si prevede di vendere il capannone, si pagherà la banca col ricavato in misura non inferiore al valore di mercato (salvo consenso della banca a prender meno). Se invece il piano di concordato prevede di continuare l’attività mantenendo il capannone, la banca di solito otterrà pagamenti dilazionati del suo credito ipotecario, con mantenimento della garanzia.
Importante: durante il concordato, la banca non può autonomamente espropriare il capannone (lo stay blocca le azioni). Dovrà attendere l’esito. Se poi il concordato fallisce e si va a liquidazione giudiziale, allora sì, il curatore venderà il capannone e pagherà la banca in prelazione. Nel concordato, però, la banca potrebbe votare contro se ritiene di non essere tutelata a sufficienza; spetta al debitore formulare una proposta equa per il creditore ipotecario (spesso pagando il 100% del valore di garanzia).
Quindi, il capannone non “sfugge” al concordato; anzi, costituisce una leva: può essere venduto o rifinanziato per pagare creditori. La banca ipotecaria è in una posizione di forza nelle trattative, ma non può agire individualmente se la procedura di concordato è in corso.
- D: Sono un piccolo imprenditore individuale (artigiano) strapieno di debiti, non fallibile. Non ho immobili di valore intestati. Cosa posso fare?
R: Può ricorrere alle procedure da sovraindebitamento. Se intende proseguire l’attività magari riducendo i debiti, potrebbe tentare un concordato minore: presentare un piano ai Suoi creditori chiedendo uno stralcio parziale dei debiti e continuando a lavorare. Se invece la Sua attività non è più sostenibile, può fare istanza di liquidazione controllata: in pratica consegna quel che ha (macchinari, automezzi, ecc.) a un liquidatore nominato dal tribunale che li venderà e distribuirà il ricavato. Dopodiché, grazie all’esdebitazione, Lei sarà liberato dai debiti restanti e potrà ricominciare (magari come lavoratore dipendente o aprendo una nuova attività da zero, senza i vecchi debiti al collo).
Valuti la via del concordato minore se pensa che i creditori possano guadagnare di più tenendola in attività (ad esempio, può offrire pagamenti in 5 anni derivanti dai futuri utili). Se invece le prospettive sono nulle, la liquidazione controllata ed esdebitazione Le consentono di chiudere col passato in modo pulito.
- D: Posso costituire una nuova società e trasferirvi l’attività sana, lasciando i debiti nella vecchia società destinata a fallire?
R: Questa manovra, nota come phoenix company o trasferimento di azienda prima del fallimento, è molto rischiosa e spesso illegale se fatta in frode ai creditori. Il trasferimento di asset a una nuova società senza adeguato corrispettivo è facilmente revocabile dal curatore e può integrare bancarotta fraudolenta per distrazione. Se invece fosse fatta a valore di mercato, i creditori della vecchia società dovrebbero comunque essere soddisfatti con quel corrispettivo; in mancanza, si configura un danno ai creditori.
In pratica, non è una soluzione lecita lasciare i debiti indietro e portare via l’attività: i tribunali la vedono come un tentativo di eludere le obbligazioni. È molto meglio procedere in modo trasparente: ad esempio, proporre in concordato preventivo la cessione dell’azienda a un terzo (anche nuova società dei soci) che paghi un prezzo destinato ai creditori . Così la cessione è autorizzata dal giudice, i creditori ricevono qualcosa e la nuova società nasce pulita con l’azienda. Questa è la via lecita (concordataria) per “salvare il salvabile” dell’azienda in crisi trasferendola, ma richiede comunque di riconoscere il giusto valore ai creditori.
- D: La mia società è in concordato preventivo. Devo pagare i debiti verso i fornitori che maturano durante il concordato?
R: Sì, assolutamente. I debiti che sorgono dopo il deposito del ricorso di concordato (ossia durante la procedura) sono detti prededucibili: vanno pagati regolarmente alle scadenze, perché servono per la continuità aziendale e, se non li paga, questi creditori post-concordatari potrebbero chiedere la revoca del concordato e/o hanno comunque la precedenza. Ad esempio, se continua a comprare materie prime dai fornitori durante il concordato, deve pagarli nei termini; se non può, deve chiedere al tribunale di poterli inserire magari nel piano di concordato, ma in genere non è possibile far nuovi debiti e non onorarli.
Quindi tenga ben distinti i debiti ante procedura (oggetto del concordato, da soddisfare secondo la proposta omologata) e i debiti post procedura (da pagare integralmente). Nella composizione negoziata vale concetto simile: i debiti nuovi vanno pagati, pena la decadenza delle protezioni.
- D: Durante la crisi ho dovuto scegliere quali fornitori pagare per poter lavorare: rischio la bancarotta preferenziale?
R: Il rischio c’è se la Sua azienda verrà dichiarata insolvente. La bancarotta preferenziale punisce chi, in stato di dissesto, paga certi creditori con lo scopo di favorirli rispetto agli altri. Tuttavia, bisogna valutare il dolo di favoritismo: se Lei può dimostrare che ha pagato, ad esempio, quei fornitori perché altrimenti l’attività si fermava (quindi in un’ottica di tentativo di salvataggio, non di favoritismo personale), potrebbe sostenere che non c’era intento di recare ingiusto vantaggio. In ogni caso, dal lato civilistico quei pagamenti possono essere revocati in fallimento (se fatti nell’ultimo periodo). Una soluzione è inserirli in un contesto autorizzato (ad esempio chiedendo al tribunale l’autorizzazione in concordato a pagare fornitori essenziali, oppure, come fatto nella composizione negoziata, coinvolgere l’esperto che validi certi pagamenti).
Insomma, se la situazione precipita e retrospettivamente appare che ha pagato “a preferenza”, ne risponderà. Ma se reagisce per tempo (con procedure ufficiali), potrà farsi autorizzare a farlo e allora non sarà reato né revocabile. Per questo è importante non agire da soli nelle scelte delicate ma passare, quando possibile, per un quadro legalmente protetto.
Tabelle riepilogative
Tabella 1 – Tipologie di debito e strumenti di soluzione
| Tipo di debito | Conseguenze se inadempimento | Strumenti di difesa/soluzione |
|---|---|---|
| Debiti fiscali (Erario)<br>(IVA, imposte dirette, ritenute) | – Cartella esattoriale dopo avviso di accertamento<br>- Interessi di mora e sanzioni elevate<br>- Azioni esecutive rapide (pignoramenti, ipoteche, fermi)<br>- Possibile istanza di fallimento da AE Riscossione<br>- Reati per omessi versamenti > soglia (art. 10-bis, 10-ter D.Lgs. 74/2000) | – Richiesta di rateizzazione (72-120 rate) ex art. 19 DPR 602/73<br>- Ravvedimento operoso (riduzione sanzioni se pagamento tardivo spontaneo)<br>- Definizione agevolata (se prevista da legge: es. rottamazione cartelle)<br>- Transazione fiscale nel quadro di accordo o concordato (stralcio parziale e/o dilazione del debito tributario con omologa)<br>- Composizione negoziata con misure protettive per sospendere esecuzioni<br>- Pagamento prioritario di IVA/ritenute in concordato (richiesto per omologa) |
| Debiti previdenziali<br>(INPS, INAIL) | – Avvisi di addebito INPS immediatamente esecutivi<br>- Pignoramenti su conti e beni come per il Fisco<br>- Sanzioni civili (interessi elevati su contributi omessi)<br>- Reato omesso versamento contributi > €10k (art. 2 L. 638/83) | – Dilazione contributiva (rateazione debiti INPS/INAIL)<br>- Transazione contributiva con INPS in procedure concorsuali (analoga a transazione fiscale)<br>- Fondo di Garanzia INPS per TFR e ultime 3 mensilità (tutela indiretta per dipendenti in caso di fallimento)<br>- Procedure concorsuali per congelare azioni e trattare i crediti (concordato, accordo) |
| Debiti verso fornitori<br>(commerciali) | – Solleciti, minaccia sospensione forniture (rischio blocco operativo)<br>- Decreto ingiuntivo e successivo pignoramento beni o conto<br>- Segnalazione a banche/centrali rischi commerciali (peggioramento rating)<br>- Istanza di fallimento se insolvenza conclamata | – Negoziazione privata: accordo amichevole di dilazione o stralcio (piano di rientro)<br>- Composizione negoziata: trattative assistite con fornitori (individuali o collettive)<br>- Accordo di ristrutturazione: vincolante anche per fornitori dissenzienti se adesione ≥60% e omologa<br>- Concordato preventivo: proposta unilaterale con pagamento parziale votata a maggioranza (vincola tutti)<br>- Moratoria temporanea con fornitori strategici (convenzioni di moratoria ex art. 62 CCII, adesione ≥75% categoria) |
| Debiti bancari/finanziari<br>(mutui, fidi, leasing) | – Decadenza dal termine (scadenza anticipata di tutto il debito)<br>- Escussione garanzie reali (espropriazione beni ipotecati o ripossesso beni in leasing)<br>- Escussione garanzie personali (fideiussioni: aggredito patrimonio dei garanti)<br>- Segnalazione a Centrale Rischi (pregiudica accesso a nuovo credito)<br>- Revoca fidi e affidamenti (immediata mancanza liquidità) | – Rinegoziazione bilaterale: accordo con banca per allungare durata, ridurre tasso, moratoria interessi<br>- Accordo ristrutturazione debiti: accordo omologato con banche rappresentanti ≥60% crediti (cram-down su banche minoritarie possibili)<br>- Nuovo finanziamento (anche prededucibile in concordato) per pagare debiti finanziari (es. rifinanziamento garantito dallo Stato)<br>- Concordato preventivo: blocca azioni esecutive; consente rinegoziazione forzosa (es. soddisfazione parziale creditori chirografari finanziari; pagamento graduale a ipotecari) |
| Debiti verso dipendenti<br>(stipendi, TFR) | – Vertenze di lavoro (ingiunzioni per salari/TFR non pagati)<br>- Dimissioni per giusta causa (per mancato pagamento retribuzioni) e perdita di personale chiave<br>- Crediti di lavoro privilegiati (in procedura concorsuale vengono prima dei crediti fiscali)<br>- Interventi sindacali e ispettivi (pressione reputazionale e legale) | – Ammortizzatori sociali: es. CIGS per crisi, per ridurre onere stipendi<br>- Accordi sindacali: dilazione pagamento arretrati, riduzione orario, ecc. (se lavoratori disponibili)<br>- Liquidazione coatta/concorsuale: accesso al Fondo di Garanzia INPS per TFR e ultime 3 mensilità (tutela dipendenti in caso di insolvenza conclamata)<br>- Concordato preventivo in continuità: salvaguarda occupazione; prevede pagamento integrale dei crediti per salari (privilegiati) magari dilazionato |
(N.B.: in tabella sono riassunti alcuni aspetti salienti; ogni situazione va valutata nel dettaglio normativo aggiornato.)
Tabella 2 – Confronto tra principali procedure di soluzione della crisi
| Caratteristica | Composizione Negoziata | Concordato Preventivo | Accordo Ristrutturazione | Liquidazione Giudiziale |
|---|---|---|---|---|
| Tipo di procedura | Stragiudiziale (volontaria, riservata, con esperto) | Giudiziale (concorsuale, pubblica) | Ibrida (accordo privato + omologa tribunale) | Giudiziale (concorsuale liquidatoria) |
| Accessibilità soggettiva | Imprese in crisi reversibile (anche piccole e agricole) | Imprese commerciali insolventi o in crisi (non “minori”) | Imprese di qualsiasi dimensione (anche non fallibili) | Imprese commerciali insolventi (non “minori”) |
| Controllo e gestione | Debitore in possesso, esperto supervisiona<br>Tribunale interviene solo per misure protettive/autorizzazioni | Debitore in possesso (salvo abusi), sotto vigilanza del Commissario<br>Tribunale ammette e omologa; possibile amministrazione giudiziale se irregolarità | Debitore in possesso (accordo volontario con creditori); tribunale omologa e conferisce efficacia erga omnes<br>Non c’è commissario, ma una relazione attestatore ex ante | Debitore spossessato: gestione affidata al Curatore<br>Tribunale (Giudice Delegato) sovrintende; comitato creditori controlla |
| Effetti su azioni dei creditori | Su richiesta: sospende temporaneamente azioni esecutive (max 12 mesi cumulati) | Automatic stay dalla data ricorso: blocco di pignoramenti, sequestri, ipoteche giudiziali | Possibile richiesta misure protettive durante trattative e fino all’omologa (simil-concordato) | Sospensione e divieto di azioni esecutive individuali; creditori devono insinuarsi al passivo |
| Finalità principale | Risanamento stragiudiziale dell’impresa tramite accordi volontari (contratti, piani attestati, ADR) con tutela provvisoria | Regolazione giudiziale della crisi: <br>- Concordato in continuità: ristrutturazione e continuazione azienda<br>- Concordato liquidatorio: liquidazione beni con soddisfacimento parziale creditori (minimo stabilito) | Ristrutturazione debito con efficacia vincolante anche per creditori dissenzienti minoritari (in certi limiti); mantenimento continuità se previsto dall’accordo | Liquidazione integrale del patrimonio e riparto tra creditori secondo prelazioni; chiusura attività (salvo esercizio provvisorio per vendita unitaria) |
| Necessità consenso creditori | Sì, totalmente volontario: accordo deve essere raggiunto con creditori chiave (nessuna imposizione ai dissenzienti) | Sì, con voto a maggioranza dei crediti (50%+; possibili cram-down giudiziali su classi dissenzienti se condizioni e almeno 1 classe consenziente) | Sì, adesione ≥60% crediti; vincola i non aderenti solo se pagati integralmente o se cram-down di classe/fisco applicato | No, procedura coatta: i creditori non votano; decidono organi della procedura (riparto secondo legge) |
| Vantaggi (per debitore) | – Riservatezza: negoziazione confidenziale (no pubblicità se non si chiedono tutele)<br>– Flessibilità: soluzioni ad hoc (es. nuovi soci, accordi parziali) adattate al caso concreto <br>– Controllo: l’imprenditore mantiene guida azienda (no spossessamento) <br>– Protezione breve: può ottenere stop creditori mentre tratta<br>– Incentivi: riduzione interessi e sanzioni se accordi con Fisco (transazione fiscale); possibili esenzioni responsabilità per chi attiva presto procedura | – Stay ampio: blocca tutte le azioni e ipoteche su patrimonio dal ricorso<br>– Imponibilità: una volta omologato, vincola tutti i creditori anteriori (anche dissenzienti, con regole maggioranza)<br>– Varietà soluzioni: può conservare impresa in vita (continuità) o liquidare in modo ordinato (liquidatorio)<br>– Taglio debiti: consente stralcio anche significativo del chirografo approvato da maggioranza<br>– Nessuna bancarotta: l’omologa evita dichiarazione di fallimento (niente reati fallimentari) | – Mirato: coinvolge solo creditori rilevanti; i piccoli possono essere lasciati fuori pagando integrale<br>– Rapidità: tempi più brevi del concordato (meno passaggi processuali)<br>– Meno stigma: percepibile come accordo volontario di mercato, meno pubblicizzato<br>– Tutela atti: pagamenti eseguiti nel piano omologato non revocabili successivamente<br>– Cram-down fiscale: tribunale può superare dissenso Agenzia Entrate se condizioni rispettate | – Definitività: chiude la vicenda debitoria, liberando il debitore persona fisica residualmente (esdebitazione)<br>– Par condicio garantita: tutti i creditori trattati secondo legge (nessuno preferito indebitamente)<br>– Chiarezza giuridica: una volta aperta, cristallizza i rapporti (stop maturazione interessi chirografari, sospende prescrizioni)<br>– Liberazione dal peso: se il debitore è onesto, ottiene esdebitazione finale e può ripartire senza debiti |
| Svantaggi (per debitore) | – Nessun effetto su dissenzienti: se un creditore non vuole aderire, non c’è vincolo (salvo passare a concordato) e può tirarsi fuori dall’accordo<br>– Durata limitata protezione: max 12 mesi, poi creditori liberi<br>– Nessun taglio unilaterale subito: serve trattativa, possibile dover pagare alcuni creditori per intero<br>– Costo esperto: a carico impresa se c’è esito positivo (ma inferiori a costi concorso) | – Pubblicità negativa: iscrizione registro imprese, notifica a tutti creditori: reputazione colpita<br>– Costi procedurali: compensi commissario, attestatore, legali, etc. (prededucibili)<br>– Tempi e incertezza: percorso di mesi con esito incerto (voto creditori, eventuali opposizioni) e, se fallisce, possibile aggravio poi in fallimento<br>– Controllo altrui: richieste autorizzazioni per atti straordinari; gestione sotto supervisione costante<br>– Richiede liquidità minima: per pagare spese prededotte e fornitori post-filing (pena cessazione attività) | – Necessità adesione iniziale: se pochi creditori aderiscono, l’ADR non parte neppure<br>– Obbligo pagamento integrale dissenzienti: i creditori estranei devono essere soddisfatti al 100% nei termini legali, quindi occorre liquidità per loro (limitando vantaggi stralcio)<br>– No spossessamento ma rischio esecuzioni pre-omologa: serve chiedere misure protettive (non automatiche) per evitare pignoramenti durante trattativa<br>– Possibile ricorso successivo a concordato: se no omologa, tempo perso e si deve andare in concorso comunque | – Perdita totale controllo: il patrimonio passa al curatore; imprenditore spossessato e società sciolta<br>– Liquidazione “a saldo e stralcio” totale: l’attività cessa (a meno di affitto d’azienda temporaneo, raro), i dipendenti perdono il lavoro<br>– Durata lunga: procedure fallimentari in Italia durano anni, con dividendi finali tardivi<br>– Conseguenze penali e reputazionali: amministratori indagati per bancarotta; stigma del fallimento (in parte attenuato da esdebitazione, ma comunque impattante) |
(Legenda: CCII = Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza; AE = Agenzia Entrate; ADR = Accordo di ristrutturazione; DSCR = Debt Service Coverage Ratio.)
Conclusione
Affrontare una situazione di sovraindebitamento aziendale richiede sangue freddo, competenza e il giusto tempismo. Dal punto di vista dell’imprenditore (debitore), “difendersi” non significa eludere i creditori o rinnegare le proprie obbligazioni, bensì gestire la crisi attivamente utilizzando gli strumenti legali predisposti dall’ordinamento. Le riforme recenti hanno ampliato la cassetta degli attrezzi: oggi più che mai è possibile, anche per la piccola impresa, trovare soluzioni concordate che evitino la dispersione di valore di un fallimento.
I punti chiave da tenere a mente sono: – Prevenzione e organizzazione: mantenere assetti contabili adeguati e cogliere subito i segnali di difficoltà è un dovere legale ma anche il primo passo per intervenire prima che sia tardi. Un imprenditore informato sulle proprie finanze potrà negoziare con i creditori da una posizione di maggior credibilità. – Tempestività: ogni mese che passa inerte, interessi e sanzioni crescono, la fiducia dei partner cala e aumentano i rischi di azioni legali. Attivarsi presto (che sia con una rinegoziazione privata o con una procedura formale) può fare la differenza tra il salvataggio e il tracollo. – Trasparenza e buona fede: sono armi a doppio taglio – in senso positivo. Mostrarsi collaborativi con creditori, consulenti e (se coinvolto) con l’organo giudiziale, paga. I creditori spesso accettano piani di ristrutturazione se capiscono che il debitore sta mettendo sul piatto tutto il possibile in modo leale. Viceversa, sotterfugi o preferenze nascoste erodono ogni fiducia e spingono i creditori a vie aggressive. – Consulenza professionale: l’ambito è altamente tecnico – fiscale, legale, finanziario. Farsi affiancare da professionisti esperti in crisi d’impresa (advisor finanziari, avvocati fallimentaristi, commercialisti) è fondamentale. Non è solo per “sapere le norme”, ma anche per elaborare piani credibili e creativi, stimare realisticamente i valori, condurre negoziati serrati, evitare passi falsi che potrebbero avere riflessi penali. – Scelta dello strumento adatto: come abbiamo visto, esistono varie vie. Non esiste una soluzione valida per tutti i casi: ogni crisi ha la sua “cura” ottimale. Una micro-impresa familiare magari risolve con un concordato minore; una PMI strutturata preferirà un accordo di ristrutturazione se ha 2-3 banche da sistemare; un’azienda con prospettive di mercato solide ma debiti ingenti punterà a un concordato in continuità; altre situazioni estreme richiederanno la dolorosa ma dignitosa liquidazione. – Punto di vista del debitore, ma anche dei creditori: per difendersi efficacemente, l’imprenditore deve anche “mettersi nei panni” dei creditori. Chiedersi: cosa può convincere la banca a rinegoziare? Cosa rassicura il fornitore a non agire legalmente subito? Che garanzie posso dare al Fisco nella transazione? Approcciare le trattative cercando soluzioni win-win (per quanto possibile) porterà più risultati che non atteggiamenti conflittuali o dilatori.
Infine, è importante sottolineare un aspetto umano e sociale: il fallimento di un’impresa non è più visto, nell’ottica moderna, come una colpa morale da stigmatizzare, ma come un evenienza fisiologica nel rischio d’impresa. La legge oggi tende a punire chi abusa o agisce scorrettamente, ma tutela chi, pur con insuccesso, ha agito con correttezza. In altre parole, se fate tutto il possibile, rispettando le regole, per salvare la vostra azienda o almeno per gestirne la crisi nell’interesse di tutti, l’ordinamento vi accompagnerà e vi darà nuove possibilità. Al contrario, chi fugge dalle proprie responsabilità o pensa di fare il furbo troverà porte chiuse e sanzioni.
Questa guida ha cercato di offrire una panoramica avanzata ma concreta delle opzioni a disposizione dell’“azienda di occhiali protettivi e visiere con debiti” – metaforicamente, di qualunque piccola-media impresa manifatturiera in Italia alle prese con troppi debiti. Con le giuste scelte e l’assistenza adeguata, difendersi è possibile: significa prendere in mano la situazione, negoziare, utilizzare la legge come scudo (proteggendo l’azienda da aggressioni disordinate) e come spada (imponendo sacrifici equi ai creditori con l’autorizzazione del giudice). Non sempre si potrà evitare di ridurre l’attività o di perdere parte del patrimonio, ma l’obiettivo è evitare il male peggiore: la distruzione totale di valore e opportunità che un fallimento disordinato comporta.
In conclusione, il debitore informato e attivo ha oggi molte vie per uscire dalla crisi, o quantomeno per chiuderla in modo ordinato e ripulito. Questa consapevolezza – unita a un quadro normativo in evoluzione che privilegia la composizione negoziata e il risanamento dove possibile – è la miglior difesa di cui dispone.
(Si raccomanda, in ogni caso concreto, di consultare la normativa vigente e le professionalità competenti; le indicazioni fornite sono generali e soggette a evoluzione normativa e interpretativa. Tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate sono elencate di seguito per approfondimento.)
Fonti Normative e Giurisprudenziali
Fonti normative principali: – Codice Civile: art. 2086 (dovere di assetti organizzativi adeguati); art. 2446-2447, 2482-bis/ter (obblighi per perdite di capitale); art. 2495 (responsabilità soci società cancellata); art. 2467 (postergazione finanziamenti soci); art. 1218, 1453 (inadempimento contrattuale); art. 2740 (responsabilità patrimoniale universale); art. 2291, 2304 (responsabilità soci S.n.c.); art. 2476 (azione dei creditori sociali verso amministratori). – R.D. 16 marzo 1942 n. 267 (vecchia Legge Fallimentare): art. 160 (concordato – soglia 20% debiti chirografari per liquidatorio); art. 182-ter (transazione fiscale); art. 216 (bancarotta fraudolenta); art. 217 (bancarotta semplice); art. 182-bis (accordo ristrutturazione debiti); N.B.: norme abrogate per le procedure iniziate dopo il 15/07/2022, ma citate per continuità di principi e reati. – Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, e successive modifiche): – Particolarmente rilevanti: art. 2, co.1, lett. d) (definizione di imprese minori: attivo ≤ €300k, ricavi ≤ €200k, debiti ≤ €500k); artt. 12-25-quinquies (Composizione negoziata della crisi, come da DL 118/2021 confluito nel CCII) ; art. 23 co. 2-bis (introdotto da D.Lgs. 136/2024: transazione fiscale nella composizione negoziata); art. 25-sexies (Concordato semplificato per la liquidazione); art. 25-octies (segnalazione organo di controllo); artt. 56-64 (Piani attestati e Accordi di ristrutturazione, incl. art. 63 transazione su crediti fiscali/contributivi); art. 62 (convenzioni di moratoria); artt. 84-120 (Concordato preventivo, incl. art. 88 trattamento crediti pubblici, art. 109 cram-down classi dissenzienti); artt. 121-270 (Liquidazione giudiziale); artt. 268-277 (Liquidazione controllata sovraindebitati); artt. 65-73 (Concordato minore); artt. 74-83 (Ristrutturazione debiti del consumatore). – D.L. 24 agosto 2021 n. 118, conv. L. 147/2021: ha introdotto la composizione negoziata e misure premiali/protettive . Decreto Dirigenziale Min. Giustizia 28 settembre 2021 (come integrato dal D.Dir. 21 marzo 2023): regolamenta piattaforma telematica, check-list e ruolo esperto. – D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83 (Correttivo-bis): ha modificato il CCII per adeguarlo alla direttiva UE; ad es. ha introdotto la percentuale ridotta 75%→60% per omologa ADR post-composizione. – D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (Correttivo-ter): in vigore dal 28/09/2024, ha introdotto art. 23 co. 2-bis CCII e modificato artt. 54, 63, 88 CCII (transazione fiscale/compositiva e durata misure protettive); ha chiarito obblighi segnalazione e allerta; modificato art. 75 CCII sul concordato minore. – Leggi tributarie e previdenziali: – D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602: art. 19 (rateazione debiti tributari fino a 72 o 120 rate); art. 36 (responsabilità fiscale ex soci società estinta: limite somme ricevute). – D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74: art. 10-bis (omesso versamento ritenute > €150k, pena fino 2 anni) e art. 10-ter (omesso versamento IVA > €250k, pena fino 6 anni). – L. 638/1983 (art. 2, co.1-bis): omesso versamento contributi previdenziali > €10k annui: reato contravvenzionale (reclusione fino 3 anni); ≤ €10k: sanzione amministrativa (norma confermata da Corte Cost. 103/2025). – D.L. 4 maggio 2023 n. 48 (Decreto Lavoro 2023): art. 23 ha modificato soglia e sanzione per omesso versamento contributi (portando a regime attuale confermato da Corte Cost.). – D.L. 137/2020 conv. L. 176/2020 (Decreto “Ristori”): ha introdotto la possibilità di omologa forzosa transazione fiscale (cram-down) nelle procedure concorsuali, poi trasfusa nel CCII. – D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021: oltre composizione, ha introdotto concordato semplificato e misure premiali (es. non punibilità omessi versamenti se integrali in concordato). – Norme penali fallimentari (Codice della Crisi, Titolo IX Capo I): art. 322 CCII (Bancarotta fraudolenta: reclusione 3-10 anni); art. 323 CCII (Bancarotta semplice: fino 2 anni); art. 325 CCII (Ricorso abusivo al credito); art. 324 CCII (Omessa consegna di scritture contabili); art. 329-330 CCII (Fatti di bancarotta preferenziale e documentale); art. 333 CCII (attestazione in falso o frode in procedure). – Codice Penale: art. 2621 c.c. (False comunicazioni sociali); art. 2634 c.c. (Infedeltà patrimoniale); – rilevano se emergono in crisi.
Fonti giurisprudenziali (sentenze e decreti): – Cass. Civ. Sez. Unite 12 febbraio 2025 n. 3625: responsabilità ex soci società estinta per debiti tributari: i soci rispondono nei limiti delle somme riscosse in base al bilancio finale; il Fisco deve provare tali attribuzioni anche extra bilancio (es. beni assegnati negli ultimi 2 anni, garanzie escusse) . – Corte Cost. 6 dic 2019 n. 245: incostituzionale il divieto di stralcio IVA nei piani del consumatore (L.3/2012), aprendo allo stralcio IVA nelle procedure minori. – Corte Cost. 8 lug 2025 n. 103: legittime le sanzioni amministrative contributive fino €10k (minimo 15k € di multa) rispetto al reato oltre soglia (€10k); ampio margine legislatore e gravità evasione contributiva giustificano la severità. – Cass. Civ. Sez. Unite 25 mar 2021 n. 8504: le controversie sul diniego di omologa della transazione fiscale sono di competenza del tribunale fallimentare, non del giudice tributario . – Cass. Civ. Sez. I 29 apr 2024 n. 11039: omologato un accordo di ristrutturazione con transazione fiscale, il debito tributario si cristallizza e il Fisco non può modificare ex post il proprio credito (conferma consolidazione). – Trib. Bergamo decr. 21 set 2022 (Pres. De Simone): negato concordato semplificato ex art. 25-sexies CCII a debitore che in composizione negoziata non aveva nemmeno tentato la transazione fiscale su cospicui debiti IVA. – Trib. Vicenza decr. 25 mar 2025: durata massima delle misure protettive 12 mesi anche sommando più procedure consecutive (es. composizione + concordato). – Trib. Venezia ord. 13 gen 2025: (riferita in dottrina) ha confermato la rigorosa applicazione del limite temporale delle protezioni per evitare dilazioni ingiustificate. – Cass. Pen. Sez. V 10 mag 2023 n. 24810: l’amministratore di diritto risponde di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione/omessa tenuta scritture anche se era solo prestanome, purché consapevole del loro stato irregolare che impediva la ricostruzione del patrimonio . – Cass. Pen. Sez. V 17 nov 2023 n. 46429: condanna per bancarotta documentale all’amministratore uscente che non aveva consegnato scritture al subentrante, di fatto occultandole (bancarotta documentale per omissione). – Cass. Pen. Sez. V 21 feb 2023 n. 7384: concorso degli amministratori “non operativi” nel reato di bancarotta fraudolenta: anche i consiglieri senza delega rispondono se sapevano e non impedirono atti di frode (conferma responsabilità estesa). – Cass. Pen. Sez. V 7 dic 2023 (dep. 27 mar 2024) n. 12715: chiarito che ai fini della bancarotta l’“amministratore di fatto” (che gestisce senza carica) è equiparato a quello di diritto quanto a responsabilità, e individuare l’amministratore di fatto richiede prova della gestione effettiva e occulta. – Cass. Pen. Sez. V 17 ott 2023 n. 37012: confermata bancarotta fraudolenta documentale per amministratore di cooperativa che aveva sottratto scritture; ribadita la gravità della mancanza di contabilità per i creditori. – Trib. Ancona 19 ott 2022: (es.) rigettata istanza di fallimento di creditore unico se il mancato pagamento isolato non dimostra insolvenza generale; serve valutare l’insieme (anche se tesi prevalente è che basta incapacità regolare adempimenti). – Cass. Civ. Sez. VI 1° lug 2025 n. 17734: riconosciuto che creditori possono agire contro ex soci di S.r.l. estinta anche in assenza di distribuzione finale se provano che soci hanno beneficiato di beni sociali (estende interpretazione art. 2495 c.c., poi chiarita meglio da SU 3625/2025). – Cass. Civ. Sez. I 24 nov 2023 n. 32729: soci rispondono ex art. 2495 c.c. entro limite attivo finale ricevuto; se società chiusa senza attivo da ripartire, il creditore deve provare che i soci hanno ottenuto qualcosa (massima in linea con SU 2025). – Cass. Pen. Sez. V 4 ott 2023 (dep. 17 nov) n. 46429: (vedi sopra) amministratore di diritto uscente condannato per bancarotta documentale se non attiva per passaggio consegne contabili (dimostra rigore su dovere custodia scritture).
La tua azienda che produce, importa o distribuisce occhiali protettivi, visiere, occhiali antiurto, occhiali antiappannamento, dispositivi di protezione per occhi e viso, schermi facciali, visiere per saldatura, occhiali EN166, occhiali per laboratori, officine, industria e cantieri si trova oggi in difficoltà a causa dei debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo
La tua azienda che produce, importa o distribuisce occhiali protettivi, visiere, occhiali antiurto, occhiali antiappannamento, dispositivi di protezione per occhi e viso, schermi facciali, visiere per saldatura, occhiali EN166, occhiali per laboratori, officine, industria e cantieri si trova oggi in difficoltà a causa dei debiti?
Stai ricevendo solleciti, richieste di rientro, blocchi delle forniture, decreti ingiuntivi, o minacce di pignoramento da parte di banche, Fisco, INPS, fornitori di DPI o Agenzia Entrate-Riscossione?
Il settore degli occhiali protettivi & visiere è competitivo e in forte oscillazione: materiali certificati costosi, fornitori internazionali, lotti minimi, magazzino impegnativo e clienti che spesso pagano tardi. Un ritardo negli incassi o una riduzione dei fidi bancari può generare una crisi improvvisa.
La buona notizia è che la tua azienda può essere salvata, se intervieni subito e con gli strumenti giusti.
Perché un’Azienda di Occhiali Protettivi e Visiere va in Debito
- aumento dei costi di policarbonato, materiali certificati EN166, elastiche, supporti e montature
- ritardi nei pagamenti di clienti industriali, distributori e rivenditori
- magazzino immobilizzato tra occhiali, visiere, lenti, montature e DPI
- costi elevati di importazione e logistica
- investimenti in certificazioni e conformità normativa
- riduzione o revoca dei fidi bancari
Il vero problema quasi sempre è la mancanza di liquidità immediata.
I Rischi se Non Intervieni Adesso
- pignoramento dei conti correnti
- blocco dei fidi bancari
- sospensione delle forniture di DPI e materiali tecnici
- atti esecutivi, decreti ingiuntivi e precetti
- sequestro di magazzino, DPI e attrezzature
- impossibilità di evadere ordini verso industrie e rivenditori
- perdita di clienti strategici e contratti ricorrenti
Cosa Fare Subito per Difendersi
1. Bloccare immediatamente i creditori
Un avvocato specializzato può:
- sospendere pignoramenti e atti esecutivi
- bloccare richieste di rientro imminenti
- proteggere conto corrente e liquidità aziendale
- fermare le azioni di Agenzia Riscossione
Prima si mette al sicuro l’azienda, poi si interviene sui debiti.
2. Analizzare i debiti ed eliminare ciò che non è dovuto
Spesso le posizioni debitorie contengono:
- interessi non dovuti
- sanzioni errate
- importi duplicati
- debiti prescritti
- errori della Riscossione
- commissioni bancarie anomale
Una parte consistente del debito può essere tagliata o cancellata.
3. Ristrutturare i debiti con piani sostenibili
Soluzioni disponibili:
- rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
- accordi di rientro con fornitori strategici
- rinegoziazione delle linee bancarie
- sospensioni temporanee dei pagamenti
- utilizzo delle definizioni agevolate
4. Utilizzare strumenti legali potenti che bloccano TUTTI i creditori
Nei casi più complessi è possibile attivare:
- PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
- Accordi di ristrutturazione
- Concordato minore
- (solo nei casi estremi) Liquidazione controllata
Queste soluzioni permettono all’azienda di continuare a operare pagando solo una parte dei debiti, sospendendo qualunque azione esecutiva.
Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo
Per salvare un’azienda nel settore DPI servono competenze specifiche.
L’Avv. Monardo è uno dei professionisti più qualificati in Italia, con:
- Avvocato Cassazionista
- Coordinamento nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
- Iscrizione come Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012) negli elenchi del Ministero della Giustizia
- Ruolo di Professionista fiduciario di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi)
- Abilitazione come Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Un profilo unico per bloccare creditori, ristrutturare debiti e salvare aziende produttrici o distributrici di DPI, come la tua.
Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo
- analisi immediata della tua esposizione debitoria
- blocco urgente di pignoramenti e decreti ingiuntivi
- ristrutturazione del debito su misura
- protezione di magazzino, DPI e forniture critiche
- trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
- tutela completa dell’azienda e del suo amministratore
Conclusione
Avere debiti nella tua azienda di occhiali protettivi e visiere non significa essere destinato alla chiusura.
Con una strategia professionale, rapida e completamente legale, puoi:
- fermare subito i creditori,
- ridurre realmente i debiti,
- salvare forniture, magazzino e operatività,
- proteggere il futuro della tua azienda.
Agisci subito.
📞 Contatta l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata:
il tuo percorso di salvataggio può iniziare oggi stesso.