Azienda Di Macchine Confezionatrici Con Debiti: Cosa Fare Per Difendersi E Come

Se la tua azienda produce, integra o distribuisce macchine confezionatrici, flowpack, verticali, orizzontali, termoformatrici, fardellatrici, nastratrici, etichettatrici, sistemi di dosaggio, linee automatiche e ricambi tecnici, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, è indispensabile intervenire subito per evitare il blocco dell’attività.

Nel settore del confezionamento industriale, anche un fermo di poche ore può arrestare linee produttive, generare penali, compromettere contratti e far perdere clienti strategici.

Perché le aziende di macchine confezionatrici accumulano debiti

  • costi elevati per elettronica, PLC, motori, sensori, nastri e materiali tecnici
  • rincari dei componenti importati e dei semiconduttori
  • pagamenti lenti da parte di aziende alimentari, chimiche, cosmetiche e manifatturiere
  • ritardi nei versamenti di IVA, contributi e imposte
  • magazzini complessi con ricambi, schede elettroniche e moduli meccanici
  • investimenti continui in R&D, software, collaudi e certificazioni
  • fidi bancari spesso insufficienti ai cicli produttivi

Cosa fare subito

  • far analizzare da un professionista l’intera situazione debitoria
  • individuare i debiti che possono essere contestati, ridotti o rateizzati
  • evitare piani di rientro insostenibili e controproducenti
  • richiedere la sospensione immediata di pignoramenti o procedure esecutive
  • proteggere rapporti con fornitori strategici e componenti critici
  • utilizzare gli strumenti legali per ristrutturare o rinegoziare i debiti

I rischi se non intervieni tempestivamente

  • pignoramento del conto corrente aziendale
  • blocco delle forniture di componenti elettronici e meccanici
  • fermo dei reparti di assemblaggio, collaudo e assistenza
  • impossibilità di rispettare consegne e contratti
  • perdita di OEM, integratori e clienti industriali
  • rischio concreto di chiusura dell’attività

Come può aiutarti l’avvocato Monardo

Detto questo, l’avvocato Monardo, cassazionista, coordina in tutta Italia un team di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario.
È inoltre:

  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
  • iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
  • professionista fiduciario presso un OCC (Organismo di Composizione della Crisi)
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)

Può aiutarti concretamente a:

  • bloccare subito pignoramenti e azioni esecutive
  • ridurre o ristrutturare i debiti con gli strumenti più efficaci previsti dalla legge
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  • proteggere attrezzature, componenti, magazzino e continuità operativa
  • evitare la chiusura e salvare davvero la tua azienda

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Introduzione

Un’azienda produttrice di macchine confezionatrici che si trova sommersa dai debiti affronta una sfida complessa, ma non senza strumenti di tutela. Negli ultimi anni l’ordinamento italiano ha rivoluzionato la gestione della crisi d’impresa con l’introduzione del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), emanato con D.Lgs. 14/2019, in vigore a pieno regime dal luglio 2022 . Questo nuovo corpus normativo, aggiornato da successivi decreti correttivi fino al D.Lgs. 136/2024 (cd. Correttivo-ter) , ha sostituito la vecchia Legge Fallimentare del 1942 privilegiando un approccio moderno e “debtor-oriented”: emergenza precoce della crisi, tentativi di risanamento e continuità aziendale, e solo in ultima istanza la liquidazione . In altre parole, si cerca di evitare che l’insolvenza diventi una “condanna a morte” per l’impresa, promuovendo soluzioni che consentano al debitore onesto di difendersi dai creditori e, se possibile, salvare l’azienda.

Dal punto di vista del debitore, è fondamentale conoscere i propri diritti e obblighi e le opzioni disponibili per fronteggiare i debiti. Questa guida, rivolta ad avvocati, imprenditori e privati, fornisce un’analisi avanzata ma dal taglio pratico delle strategie di difesa per un’azienda indebitata (con particolare focus su S.r.l. e S.p.A., tipicamente a responsabilità limitata). Adotteremo un linguaggio giuridico accurato ma divulgativo, fornendo esempi concreti, domande e risposte, oltre a tabelle riepilogative per sintetizzare i punti chiave. Tutto ciò con riferimenti a norme vigenti e sentenze aggiornate (fino a ottobre 2025) tratte da fonti autorevoli, che troverete raccolte in fondo alla guida.

Struttura della guida: dopo aver esaminato le diverse tipologie di debiti e i rischi correlati per l’impresa (debiti fiscali, previdenziali, bancari, verso fornitori, ecc.), passeremo agli strumenti di gestione della crisi predisposti dalla normativa italiana: dalla composizione negoziata e i piani di risanamento extra-giudiziali, fino alle procedure concorsuali come il concordato preventivo (anche nella forma “semplificata”) e la liquidazione giudiziale (ex fallimento), senza tralasciare l’istituto dell’esdebitazione che consente al debitore di liberarsi dei debiti residui . Analizzeremo come difendersi dalle azioni esecutive individuali dei creditori e dalle istanze di fallimento, illustrando sia le strategie legali di opposizione sia le soluzioni negoziali per congelare o risolvere le pretese creditorie. Una sezione FAQ (Domande e Risposte) affronterà i quesiti più frequenti (ad esempio sulla responsabilità personale degli amministratori, sul trattamento dei debiti fiscali, ecc.), mentre un caso pratico simulerà la vicenda di una società di macchinari in crisi, mostrando passo passo le decisioni che il debitore può prendere per difendersi. Infine, troverete alcune tabelle di sintesi sugli aspetti salienti (come le differenze tra i vari strumenti di composizione della crisi e il diverso trattamento delle categorie di crediti), seguite dalla sezione Fonti e Riferimenti Normativi con tutte le fonti citate.

Ricordiamo che ogni situazione di crisi è un caso a sé: questa guida fornisce una panoramica avanzata, ma rivolgersi tempestivamente a professionisti (avvocati, commercialisti esperti in crisi d’impresa) resta essenziale per adottare la strategia di difesa più adatta al caso concreto.

Tipologie di debiti e relativi rischi per l’impresa debitrice

Non tutti i debiti di un’azienda hanno lo stesso peso né comportano le medesime conseguenze. È fondamentale per l’imprenditore distinguere le varie categorie di credito e capire quali rischi specifici ciascuna comporta, sia in termini legali che patrimoniali. Di seguito analizziamo le principali tipologie di debiti che una società di macchine confezionatrici (tipicamente un’industria manifatturiera) potrebbe avere:

  • Debiti fiscali (verso l’Erario, es. IVA, imposte sui redditi)
  • Debiti previdenziali e assistenziali (verso enti come INPS e INAIL, contributi dipendenti e premi assicurativi)
  • Debiti bancari e finanziari (verso banche, società di leasing o altri finanziatori)
  • Debiti verso fornitori e altri creditori chirografari (non privilegiati)
  • Debiti verso dipendenti (retribuzioni arretrate, TFR)

Ciascuna categoria presenta gradi di urgenza e tutela differenti, come sintetizzato nella Tabella 1 qui sotto, che evidenzia i rischi e le possibili difese per il debitore.

Tabella 1 – Tipologie di debiti aziendali, privilegi e strumenti di difesa

Tipo di debitoPrivilegi e poteri del creditoreRischi per il debitoreStrumenti di difesa e soluzioni
Fiscali (Erario)Privilegi generali sui beni (imposte dovute privilegiate ex art. 2752 c.c.), poteri esattoriali con iscrizione di ipoteche e fermi, esecuzioni tramite Agenzia Entrate Riscossione senza necessità di causa (cartella esattoriale titolo esecutivo) .– Aggressione immediata dei beni aziendali (pignoramenti, ipoteche esattoriali) e blocco dei conti. <br> – Sanzioni e interessi in aumento. <br> – Possibili reati tributari se omessi versamenti rilevanti (es. omesso versamento IVA > €250k) con responsabilità penale degli amministratori.– Richiedere rateizzazioni o adesione a definizioni agevolate (es. “rottamazione cartelle”) per congelare sanzioni e fermare azioni esecutive. <br> – Inserire il debito in un piano di risanamento o concordato con transazione fiscale, offrendo al Fisco almeno quanto otterrebbe in liquidazione . <br> – In extremis, misure protettive dal tribunale durante composizione negoziata o concordato preventivo per sospendere le esecuzioni .
Previdenziali (INPS) e INAILPrivilegi generali sui beni (contributi privilegiati ex art. 2753 c.c.), poteri di iscrizione a ruolo similari a quelli fiscali. INPS e INAIL inviano segnalazioni se i debiti superano soglie (es. >€15.000 INPS) .– Azioni di recupero tramite cartelle esattoriali e potenziali ipoteche su beni. <br> – Profili penali: omesso versamento di ritenute previdenziali oltre soglie (attualmente €10.000 annui) è reato (art. 2, c.1-bis D.L. 463/1983 conv. L.638/1983). <br> – Segnalazione all’organo di controllo e allerta crisi (PEC invitante a composizione negoziata) .Rateazione contributiva (piani di dilazione INPS) per evitare denunce penali (il pagamento entro termini può estinguere il reato) e bloccare azioni esecutive. <br> – Eventuale inclusione in transazione previdenziale insieme alla transazione fiscale nel concordato/accordo: possibile riduzione di sanzioni e interessi, e oggi anche falcidia del dovuto se il piano offre il massimo possibile ai crediti previdenziali. <br> – Attivare per tempo la composizione negoziata in seguito a PEC di allerta: verrà visto come segnale di diligenza, utile anche ad evitare contestazioni di mala gestio .
Bancari e finanziariSpesso garanzie reali (ipoteche su immobili, pegni su macchinari o su credito) che danno privilegio speciale; in difetto, diritto di credito chirografo. Facoltà di risolvere il contratto di finanziamento se l’azienda è in default (covenant finanziari violati).– Se garantiti: esecuzione immediata sul bene dato in garanzia (es. pignoramento e vendita dell’immobile ipotecato o dei macchinari dati in pegno) senza dover attendere altri creditori. <br> – Escussione di eventuali fideiussioni personali degli imprenditori o soci a garanzia del mutuo: il patrimonio personale del garante è aggredibile. <br> – Riduzione/estinzione delle linee di credito (fidi revocati, scoperti non più consentiti), con impatto su liquidità aziendale.Moratorie e rinegoziazione: trattare con la banca una moratoria sul mutuo o la ristrutturazione del debito; possibile convenzione di moratoria ex art. 182-octies CCII se la maggioranza delle banche aderisce (vincola anche le minoranze). <br> – Accordo di ristrutturazione omologato: raggiungere intesa con almeno 60% dei crediti bancari e chiedere omologa in tribunale, bloccando le azioni anche dei dissenzienti (che se minoranza rimangono vincolati in certi limiti) . <br> – Composizione negoziata: ottenere misure protettive per impedire alle banche di revocare affidamenti o iniziare pignoramenti durante le trattative . <br> – Impiegare un piano attestato per rifinanziare il debito: es. nuova finanza per saldare parzialmente le banche e stralcio del residuo concordato contrattualmente, evitando la necessità di procedure concorsuali.
Fornitori e chirografariCrediti chirografari (senza privilegi né garanzie): ultimi nell’ordine di soddisfazione, nessun potere di prelazione. Possono agire in via giudiziale ottenendo decreti ingiuntivi e pignorando beni non già gravati da altrui garanzie. Possono chiedere il fallimento del debitore per insolvenza.Azioni legali individuali: decreti ingiuntivi con pignoramento di merci, attrezzature non essenziali o crediti verso clienti (garnishment) possono aggravare la crisi di liquidità. <br> – Blocco delle forniture: fornitori strategici potrebbero sospendere le consegne per inadempienza, mettendo a rischio la continuità operativa. <br> – Iniziative concorsuali: un creditore chirografo (anche per importi relativamente contenuti, es. €50k) può presentare istanza di fallimento se emergono insolvenza e pluralità di debiti impagati.Negoziazione privata: accordi di dilazione con i fornitori, magari garantendo pagamenti parziali e regolari sul nuovo, per mantenere rapporti commerciali. <br> – Strumenti concorsuali minori: se l’azienda è di piccole dimensioni (sotto soglia fallimentare), accedere alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (il concordato minore): consente di proporre ai chirografari un saldo e stralcio sotto il controllo del tribunale evitando la liquidazione giudiziale. <br> – Concordato preventivo: proporre ai chirografari un piano con pagamento parziale (almeno 20% in caso di concordato liquidatorio ordinario, salvo deroghe) in cambio dell’esdebitazione del resto . Il concordato blocca subito le azioni esecutive dei fornitori (automatic stay). <br> – Gestione attiva dei contratti: sfruttare la possibilità di chiedere l’autorizzazione (in concordato) di continuare o sospendere/risolvere contratti in corso per ridurre perdite future, o usare la convenzione di moratoria con fornitori (accordo di standstill temporaneo).
Dipendenti (salari e TFR)Privilegi speciali: retribuzioni degli ultimi 12 mesi e TFR godono di privilegio generale sui beni mobili del datore (art. 2751-bis c.c.), in parte anche privilegio sul patrimonio immobiliare (contributi in prededuzione se dovuti). Accesso al Fondo di Garanzia INPS per TFR e ultime 3 mensilità in caso di insolvenza del datore.Vertenze di lavoro: i dipendenti possono ottenere decreti ingiuntivi rapidi o insinuarsi nelle procedure concorsuali con privilegio. <br> – Scioperi o dimissioni: il mancato pagamento destabilizza l’ambiente di lavoro, con rischio di perdita di personale chiave e azioni sindacali. <br> – Interventi ispettivi: violazioni retributive e contributive possono attivare accertamenti dell’Ispettorato del Lavoro e sanzioni amministrative/penali (es. omesso versamento ritenute previdenziali come sopra).Pagamenti prioritari: in qualsiasi piano di risanamento serio, prevedere il pagamento integrale dei crediti di lavoro privilegiati, eventualmente utilizzando nuove finanze (anche prededucibili in concordato). Ciò è spesso indispensabile per ottenere consenso e mantenere in vita l’azienda (continuità produttiva). <br> – Cassa integrazione guadagni: nei casi di crisi temporanea, attivare ammortizzatori sociali per alleviare i costi del personale e ottenere tempo per il risanamento. <br> – Procedura concorsuale: in concordato o liquidazione, i dipendenti riceveranno dal Fondo di Garanzia INPS le ultime retribuzioni e TFR, riducendo tensioni sociali. Pianificare adeguatamente tali aspetti (es. chiedendo immediata autorizzazione al Fondo in concordato) può evitare esecuzioni individuali.

Nota: come si evince dalla Tabella 1, i crediti privilegiati (erario, enti previdenziali, banche con garanzie, dipendenti) occupano una posizione di forza: in un eventuale riparto fallimentare sarebbero soddisfatti prima degli altri e possono esercitare pressioni più incisive sul patrimonio del debitore. I creditori chirografari, pur essendo numerosi, hanno strumenti individuali limitati e spesso converrà loro partecipare a soluzioni concordate di ristrutturazione, accettando un pagamento parziale ma tempestivo piuttosto che rischiare di non ottenere nulla in caso di collasso dell’azienda.

Va ricordato che per le società di capitali (S.r.l., S.p.A.) i debiti sociali restano di norma a carico esclusivo della società: soci e amministratori non ne rispondono con il proprio patrimonio, salvo casi particolari. Ciò può proteggere l’imprenditore persona fisica, ma solo se non sono state prestate garanzie personali (fideiussioni) e se non emergono responsabilità gestorie. In seguito vedremo infatti che gli amministratori possono essere chiamati a rispondere dei danni causati ai creditori in caso di mala gestio, ad esempio per aver aggravato il dissesto continuando ad operare quando l’azienda era irrimediabilmente compromessa . Questa responsabilità, tuttavia, non implica un’obbligazione diretta per i debiti contratti dalla società, ma un obbligo risarcitorio verso la massa dei creditori qualora si dimostri che il loro comportamento ha peggiorato il deficit patrimoniale (come approfondiremo più avanti).

In sintesi, il primo passo per “difendersi” dai debiti è conoscere i propri creditori: capire chi potrebbe agire più rapidamente e con quali strumenti, così da definire una scala di priorità negli interventi. Ad esempio, un imminente pignoramento fiscale va affrontato con urgenza (cercando una rateazione o un’azione concorsuale protettiva), mentre un debito verso un fornitore potrebbe essere gestito mediante accordo dilatorio. Questa mappatura del rischio è anche alla base degli adeguati assetti organizzativi che la legge richiede all’imprenditore, di cui diremo ora.

Obblighi dell’imprenditore in crisi: allerta precoce e responsabilità

La normativa italiana impone all’imprenditore e agli organi societari una condotta proattiva e responsabile di fronte alla crisi. “Difendersi” dai debiti non significa sfuggire alle proprie obbligazioni, bensì gestirle correttamente, attivando per tempo gli strumenti previsti dalla legge. Due concetti chiave emergono: gli adeguati assetti organizzativi e i meccanismi di allerta precoce. Inoltre, incombono specifici obblighi legali (ed eventuali responsabilità per gli amministratori) nel caso in cui la situazione degeneri.

Adeguati assetti e monitoraggio della crisi: L’art. 2086 c.c. e l’art. 3 CCII obbligano l’imprenditore che operi in forma societaria o collettiva a istituire assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati alla natura e dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e della continuità aziendale . In pratica, ciò implica dotarsi di sistemi di controllo di gestione, indicatori finanziari e procedure interne per intercettare squilibri economico-patrimoniali e prevedere la sostenibilità dei debiti almeno per i 12 mesi successivi. L’imprenditore deve attivarsi senza indugio al manifestarsi di segnali di difficoltà. Tali segnali di crisi sono elencati all’art. 3 CCII e 25-novies CCII: ad esempio, retribuzioni arretrate da oltre 30 giorni oltre la metà di quelle mensili, debiti verso fornitori scaduti da oltre 90 giorni oltre i non scaduti, arretrati bancari > 60 giorni** che superino il 5% delle esposizioni , ecc. (si veda riquadro di Approfondimento 1). Ignorare questi indicatori può esporre l’organo amministrativo a censure, poiché la legge si attende una reazione organizzata di fronte alla crisi.

<small>Approfondimento 1: Esempi di “segnali di allarme” di crisi (art. 3 CCII) – Fra gli indici che suggeriscono uno stato di crisi in atto vi sono: a) debiti salariali scaduti > 30 giorni e >50% del monte stipendi mensile; b) debiti verso fornitori scaduti > 90 giorni superiori ai debiti verso fornitori non scaduti; c) arretrati verso banche o intermediari > 60 giorni che superino il 5% delle esposizioni totali; d) debiti previdenziali scaduti > 90 giorni > €15.000 e >30% di quelli dovuti l’anno precedente (per aziende con dipendenti) ; e) debiti INAIL > 90 giorni > €5.000; f) debiti verso Agenzia Entrate-Riscossione scaduti > 90g superiori a €100.000 (imprese individuali), €200.000 (soc. di persone) o €500.000 (soc. di capitali) ; g) debiti IVA scaduti rilevati dalle LIPE > €5.000 e >10% del volume d’affari (o comunque > €20.000) . Il superamento di tali soglie attiva anche le “segnalazioni” dei creditori pubblici qualificati descritte di seguito.</small>

Segnalazioni dei creditori pubblici qualificati (allerta esterna): Per favorire l’emersione tempestiva della crisi, dal 15 luglio 2022 sono operative le segnalazioni obbligatorie che taluni enti pubblici inviano al debitore (e all’organo di controllo della società, se esistente) quando i debiti superano determinate soglie. In particolare: l’Agenzia delle Entrate, l’INPS, l’INAIL e l’Agente della Riscossione devono avvisare il contribuente via PEC se rilevano situazioni come quelle indicate sopra (debiti IVA oltre soglia, contributi INPS > €15.000, ecc.) . La comunicazione contiene un invito esplicito a presentare istanza di composizione negoziata della crisi . Ad esempio, INPS invierà PEC all’azienda (e ai sindaci) se i contributi non versati da oltre 90 giorni superano €15.000 e il 30% di quelli dovuti l’anno precedente ; Agenzia Entrate segnalerà debiti IVA scaduti > €20.000 (o >€5.000 se oltre il 10% del volume d’affari) ; Agenzia Riscossione (ex Equitalia) segnalerà se l’azienda ha cartelle esattoriali scadute > €500.000 (società di capitali) , e così via. Lo scopo di queste segnalazioni non è dichiarare il default, bensì suonare un campanello d’allarme formale affinché l’imprenditore prenda provvedimenti immediati.

Importante: la ricezione della segnalazione non obbliga ad attivare la composizione negoziata o altra procedura (non c’è automatismo), ma l’inerzia può aggravare la posizione. Infatti la legge prevede che, se gli amministratori ignorano gli avvisi, potranno poi essere valutati più severamente: ad esempio, in sede di eventuale giudizio per responsabilità o concessione dell’esdebitazione, peserà negativamente l’aver colpevolmente tardato . Al contrario, reagire attivando la procedura suggerita potrà essere letto come indice di correttezza e diligenza . In pratica, il legislatore vuole creare un percorso virtuoso: gli enti pubblici segnalano il problema, l’impresa risponde volontariamente cercando una soluzione negoziale. Si è così evitato di introdurre le misure di “allerta pubblica” più intrusive previste inizialmente (come gli OCRI, organismi di composizione della crisi presso le Camere di Commercio, mai divenuti operativi) , sostituite da questo approccio più soft ma comunque incisivo.

Doveri degli amministratori e responsabilità in caso di crisi ignorata: Nel momento in cui emerge uno stato di crisi o insolvenza, gli amministratori di una S.r.l./S.p.A. hanno precisi obblighi: devono astenersi da operazioni che possano aggravare il dissesto e, se ricorre una causa di scioglimento (es. perdite oltre il capitale), convocare l’assemblea per gli opportuni provvedimenti (ricapitalizzazione o liquidazione, art. 2485-2486 c.c.). La prosecuzione dell’attività in violazione di tali doveri espone gli amministratori a azioni di responsabilità da parte della società o dei creditori (artt. 2394 c.c. e 2486 c.c.). Il Codice della Crisi ha rafforzato questi profili modificando l’art. 2486 c.c.: oggi il danno risarcibile per gestione indebita dopo la perdita del capitale sociale è presunto pari alla differenza fra il patrimonio netto all’apertura della procedura concorsuale e quello risultante quando si doveva sciogliere la società , salvo prova contraria degli amministratori (presunzione a loro sfavore) . In mancanza di contabilità regolare, il danno è quantificato nella differenza tra attivo e passivo accertati in fallimento . In altre parole, se i dirigenti ritardano indebitamente la dichiarazione di crisi/fallimento, sono chiamati a rimborsare l’aggravio del deficit patrimoniale causato da quel ritardo. La Cassazione ha recentemente confermato questo principio condannando due amministratori (perdipiù non esecutivi) di una S.r.l. per aver continuato l’attività dopo l’erosione totale del capitale: la perdita incrementale tra quando avrebbero dovuto fermarsi e il passivo finale è stata addebitata loro come danno . Anche i consiglieri privi di deleghe operative hanno infatti un dovere di vigilanza attiva e di intervento: non possono restare inerti di fronte a segnali evidenti di dissesto, pena la corresponsabilità per le conseguenze pregiudizievoli .

Da quanto sopra deriva un consiglio fondamentale dal punto di vista del debitore: agire tempestivamente e in buona fede. Se l’imprenditore percepisce (o viene avvisato) che l’azienda produttrice di macchinari è sull’orlo della crisi, non deve nascondere la testa sotto la sabbia. Al contrario, attivare subito uno degli strumenti di composizione della crisi (come vedremo nel prossimo capitolo) può non solo offrire una chance di salvataggio dell’impresa, ma anche mettere al riparo gli amministratori da accuse di gestione negligente o peggio. Oltre alle responsabilità civilistiche, si consideri infatti che in caso di fallimento potrebbero insorgere conseguenze penali: ad esempio la bancarotta semplice (art. 217 L.F., ora D.Lgs. 14/2019 art. 322) punisce chi aggrava la crisi per grave imprudenza o ritarda la richiesta di fallimento; la bancarotta fraudolenta (art. 216 L.F., ora art. 323 CCII) colpisce condotte dolose come la distrazione di beni o le false scritture. Ebbene, dimostrare di aver tentato tutte le vie lecite per evitare il fallimento (attivando un concordato, cercando un accordo coi creditori, ecc.) è la migliore difesa contro l’ipotesi di bancarotta semplice per inerzia. D’altro canto, occultare la reale situazione di crisi ad esempio continuando a contrarre debiti sapendo di non poterli onorare, oltre a configurare reati, compromette la fiducia del tribunale e dei creditori nelle eventuali procedure di risanamento intraprese. Trasparenza e correttezza sono requisiti imprescindibili: ogni strumento di composizione della crisi presuppone che il debitore fornisca informazioni veritiere e complete .

In sintesi, prima ancora di parlare di procedure, la “difesa” di un imprenditore indebitato inizia dentro le mura aziendali: con un monitoraggio attento dei conti, una reazione tempestiva ai segnali negativi e una gestione prudente che non peggiori il dissesto. Così facendo, si creeranno le premesse favorevoli per utilizzare con successo gli istituti giuridici di cui disponiamo e che ora passiamo a esaminare nel dettaglio.

Strumenti di composizione negoziale e di risanamento stragiudiziale

Quando un’azienda è in difficoltà, la legge incoraggia innanzitutto soluzioni negoziali e stragiudiziali, ovvero accordi costruiti con i creditori (magari con l’ausilio di esperti e con alcune tutele) che possano evitare di arrivare a una procedura concorsuale vera e propria. Questi strumenti sono preziosi perché spesso consentono al debitore di mantenere il controllo dell’impresa, limitare i costi e l’esposizione mediatica, e magari proseguire l’attività in continuità. Nel nostro contesto, un’azienda di macchine confezionatrici potrebbe avere commesse in corso, know-how e mercati di riferimento che sarebbe preferibile preservare anziché disperdere in un fallimento: ecco perché occorre valutare per prime le soluzioni di risanamento concordato.

Le opzioni principali in questa categoria, introdotte o rafforzate dal Codice della Crisi, sono: la composizione negoziata della crisi; i piani attestati di risanamento; gli accordi di ristrutturazione dei debiti (anche con eventuale estensione ai creditori dissenzienti); e alcuni strumenti nuovi come la convenzione di moratoria e il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO). Esamineremo ciascuno, evidenziandone i presupposti, il funzionamento e i vantaggi per il debitore.

Composizione negoziata della crisi d’impresa

La composizione negoziata è una procedura volontaria, riservata e stragiudiziale, introdotta nel 2021 (D.L. 118/2021 conv. in L. 147/2021) e ora disciplinata nel CCII . Si tratta di uno strumento cardine per favorire il risanamento prima che l’insolvenza diventi conclamata: l’imprenditore in crisi può richiedere la nomina di un esperto indipendente il quale lo affiancherà nel tentativo di raggiungere un accordo con i creditori, il tutto in un contesto protetto e confidenziale.

Accesso e requisiti: Può accedere alla composizione negoziata qualsiasi imprenditore commerciale o agricolo (di qualsiasi dimensione, quindi anche PMI e grandi imprese) che versi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da far prevedere la crisi o l’insolvenza, ma ancora reversibili con un intervento di risanamento . Non serve essere già insolvente (anzi, se lo si è in modo irreversibile, questo strumento risulterebbe poco efficace), basta trovarsi in uno stato di difficoltà e intravedere una ragionevole prospettiva di recupero . La domanda si presenta tramite una piattaforma telematica nazionale gestita dalle Camere di Commercio : l’imprenditore carica informazioni contabili, un piano finanziario di massima e risponde a un questionario che valuta se esistono concrete chance di risanamento. Se i test preliminari danno esito positivo, una commissione nomina un esperto (un commercialista, avvocato o consulente d’azienda con specifiche qualifiche) dall’elenco tenuto presso le Camere di Commercio.

Procedura riservata e ruolo dell’esperto: Una volta accettato l’incarico, l’esperto indipendente convoca l’imprenditore e prende contatto con i principali creditori per avviare le trattative. L’obiettivo è individuare una soluzione concordata: ad esempio dilazioni di pagamento, riduzioni di debito (stralci), conversione di crediti in capitale, ingresso di nuovi investitori, o una combinazione di tali misure. Tutto avviene in modo riservato: l’avvio della composizione negoziata non viene pubblicizzato sui registri pubblici, proprio per non allarmare clienti, fornitori e banche . Ciò consente all’impresa di “provare” a ristrutturare senza lo stigma di una procedura concorsuale aperta. L’esperto funge da mediatore-supervisore: non ha poteri di gestione dell’azienda (che restano in capo all’imprenditore) , ma ha il compito di facilitare il dialogo tra le parti, assicurarsi che l’imprenditore fornisca ai creditori le informazioni necessarie e che le trattative procedano in modo corretto e produttivo. Egli redige verbali periodici sugli incontri e, se riscontra atti in frode (es. distrazione di beni), può dimettersi o segnalarlo, ma in generale cerca soluzioni concordate, avendo come faro il risanamento dell’impresa (se possibile) .

La composizione negoziata è pensata per avere tempi contenuti: la legge non impone un termine fisso, ma si prevede che difficilmente superi i 6-8 mesi complessivi . In caso di stallo o se risulta evidente che non si troverà un accordo, l’esperto può chiudere anticipatamente la procedura. Al contrario, se le trattative richiedono più tempo ma ci sono progressi, è possibile prolungare la negoziazione (oltre i 180 giorni iniziali) solo in casi eccezionali e motivati .

Tutele durante la procedura: misure protettive e finanziamenti prededucibili – Uno dei punti di forza per “difendersi” dai creditori mentre si negozia è la possibilità, data all’imprenditore, di chiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive. Su istanza motivata del debitore (corredata dai documenti caricati in piattaforma e da una bozza di piano di risanamento anche semplificata) , il tribunale può emettere un decreto che sospende temporaneamente le azioni esecutive individuali dei creditori e impedisce nuove iscrizioni di ipoteche sui beni . In genere viene concesso inizialmente uno stay di 30 giorni, rinnovabile mensilmente fino a un massimo di 120 giorni . Il Correttivo-ter del 2024 ha confermato questa durata massima di 4 mesi, specificando i criteri per la proroga oltre i 30 giorni iniziali e semplificando gli oneri (ad esempio eliminando l’obbligo di ottenere preventivamente certificati del Fisco e dell’INPS, che prima potevano rallentare la richiesta) . Durante il periodo di protezione, nessun creditore può iniziare o proseguire pignoramenti o altre azioni sul patrimonio del debitore . Ciò significa, ad esempio, che se la nostra azienda ha un macchinario essenziale minacciato da un pignoramento della banca, ottenendo le misure protettive quel macchinario non potrà essere toccato per la durata stabilita. Attenzione: il provvedimento non è automatico né scontato – il giudice lo concede solo se ritiene che esista una trattativa in buona fede e una concreta possibilità di definire un accordo utile ai creditori . Viene valutato se il piano presentato (ancorché provvisorio) appare idoneo al risanamento e se lo stay non arreca eccessivo pregiudizio ai creditori (ad esempio, bloccando per mesi le loro azioni senza prospettive) . In caso di abuso, il tribunale può revocare le misure protettive. Dunque è un’arma a doppio taglio: protegge il debitore dagli attacchi individuali, ma può creare ansia nei creditori (timorosi di perdere tempo sotto il “ombrello” protettivo) , perciò va usata solo se realmente necessaria e accompagnata da trasparenza verso i creditori stessi.

Oltre allo stay, l’ordinamento favorisce l’afflusso di nuova finanza durante la composizione negoziata: i finanziamenti ottenuti dall’azienda in crisi per portare avanti l’attività o per predisporre la soluzione di risanamento possono, su richiesta, essere autorizzati dal tribunale come finanziamenti prededucibili . Significa che, se anche poi si dovesse aprire una procedura concorsuale (es. fallimento), quei finanziatori verranno rimborsati con precedenza sugli altri creditori chirografari. Questa garanzia incentiva banche o soci a mettere liquidità fresca nell’impresa per traghettarla oltre la crisi (ad esempio per pagare fornitori strategici o stipendi durante le trattative). Chiaramente serve l’ok dell’esperto o del giudice e che i finanziamenti siano funzionali al piano di risanamento.

Esiti possibili della composizione negoziata: Idealmente, il percorso si conclude con un accordo stragiudiziale fra il debitore e tutti o alcuni creditori. Può assumere diverse forme: – Accordo contrattuale libero: ad esempio un workout in cui ogni creditore firma una dilazione o un saldo e stralcio. È il caso più semplice, che però richiede il consenso integrale di ciascun creditore coinvolto. – Piano attestato di risanamento (ex art. 56 CCII): è pur sempre un accordo volontario, ma redatto in forma più strutturata, corredato dalla relazione di un professionista indipendente (attestatore) che certifichi veridicità dei dati e fattibilità del piano . Serve tipicamente quando si vuole dare maggior credibilità e stabilità all’accordo (e proteggerlo da eventuali azioni revocatorie in caso di fallimento futuro, come vedremo più avanti). – Accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (artt. 57-64 CCII): se si ottiene l’adesione di almeno il 60% dei crediti, si può decidere di “rinforzare” l’intesa chiedendo l’omologazione del tribunale. L’accordo omologato è vincolante per i creditori che vi hanno aderito e offre benefici legali (esenzione da revocatorie) ; inoltre in alcuni casi si può estendere anche ai creditori dissenzienti appartenenti a determinate categorie (es. creditori finanziari, erario per IVA e ritenute) a condizione di raggiungere una soglia qualificata del 75% . Questa è la cosiddetta “efficacia estesa”. – Convenzione di moratoria (art. 61 CCII): è un particolare accordo, tipicamente con banche o fornitori strategici, con cui una maggioranza di creditori concorda di non esigere i crediti per un certo periodo e di congelare le azioni esecutive, vincolando anche eventuali dissenzienti della stessa categoria. È utile per guadagnare tempo e stabilità durante l’esecuzione di un piano. – Trasformazione in concordato preventivo: se le trattative private falliscono o non tutti i creditori accettano, l’imprenditore può decidere di accedere a una procedura concorsuale formale (come il concordato, di cui parleremo nel prossimo capitolo) presentando un piano al tribunale. La composizione negoziata può fungere da “anticamera” anche per un concordato semplificato (vedi oltre) in caso di esito negativo.

Qualora si raggiunga un accordo stragiudiziale soddisfacente, l’esperto redige una relazione finale positiva. Da quel momento la composizione negoziata si chiude. Se erano in vigore misure protettive, decadranno alla chiusura, ma a quel punto non serviranno più perché c’è l’accordo . Importante: questi accordi conclusi grazie alla composizione negoziata non hanno automatica efficacia erga omnes (salvo il caso di accordo omologato). Significa che vincolano solo i creditori che li hanno sottoscritti. Pertanto, per i creditori estranei l’azienda resta debitrice alle condizioni originarie. È quindi cruciale, quando si intraprende la via stragiudiziale, coinvolgere il più possibile tutti i creditori, onde evitare che un singolo soggetto rimasto fuori possa far fallire l’intesa aggredendo il patrimonio. In pratica, spesso si cercherà di includere almeno tutti i grandi creditori (banche, Fisco, fornitori principali).

Vantaggi e limiti dal punto di vista del debitore: La composizione negoziata è uno strumento flessibile e relativamente snello: non comporta l’apertura di una procedura concorsuale pubblica, l’imprenditore rimane alla guida e non subisce lo stigma del “fallimento in corso”. I costi sono contenuti (il compenso dell’esperto è stabilito da decreto ministeriale e in parte parametrato al successo dell’operazione). Inoltre, la negoziazione è riservata – un enorme vantaggio, poiché la notizia di un concordato o fallimento rischia di distruggere la fiducia di mercato, mentre qui l’azienda può continuare a presentarsi come “solvente” mentre lavora dietro le quinte al risanamento. Dal lato difensivo, come detto, c’è la possibilità di ottenere un blocco temporaneo delle azioni legali: questo consente di evitare che un creditore impaziente “tiri il grilletto” pignorando macchinari vitali o chiedendo il fallimento durante le trattative. Si guadagna tempo prezioso per orchestrare una soluzione di insieme.

Di contro, la composizione negoziata richiede collaborazione e buona fede: sia dall’imprenditore (che deve mettere le carte in tavola onestamente, altrimenti i creditori fiutano l’inganno e l’esperto può mollare) , sia dai creditori principali (che devono essere disposti a negoziare riduzioni o dilazioni, rinunciando all’azione immediata). Non sempre ciò accade: se uno o più creditori adottano una linea dura, la procedura potrebbe non approdare ad alcun accordo. Inoltre, non esistendo un voto a maggioranza come nel concordato, anche un solo grande creditore non consensiente può impedire un esito positivo (a meno di non passare a uno strumento omologato). Infine, le misure protettive hanno durata breve e richiedono di mostrare progressi: non è pensabile congelare i creditori per oltre 4-6 mesi senza una proposta concreta. Insomma, la composizione negoziata funziona se c’è volontà di soluzione da entrambe le parti e se l’impresa ha ancora prospettive di sopravvivenza industriale (non risolve i casi disperati, per i quali si dovrà optare per la liquidazione, come vedremo).

Va segnalato che molte imprese hanno già beneficiato di questo istituto nei primi anni di applicazione: decine di aziende hanno evitato il fallimento riuscendo a ristrutturare debiti bancari e fiscali grazie all’assistenza dell’esperto e al nuovo contesto normativo . Ad esempio, casi di PMI manifatturiere (non dissimili dalla nostra azienda di macchine confezionatrici) che, ricevuti gli avvisi di crisi da Agenzia Entrate e INPS, hanno attivato la composizione negoziata, ottenuto uno stay di 3 mesi per evitare la revoca degli affidamenti bancari, e nel frattempo negoziato con successo una moratoria pluriennale con le banche e un accordo di rientro col Fisco . Naturalmente non è una panacea universale – se l’azienda è strutturalmente non redditizia o sovraindebitata oltre ogni rimedio, nessun esperto potrà fare miracoli – ma rappresenta un tentativo doveroso prima di arrendersi all’insolvenza conclamata.

In caso di esito negativo (cioè se non si trova l’accordo), la composizione negoziata si chiude con esito infruttuoso tramite la relazione finale dell’esperto. A questo punto, il debitore può comunque valutare altre strade: nulla vieta di accedere ad una procedura concorsuale (concordato preventivo o liquidazione giudiziale) subito dopo, e anzi il lavoro fatto con l’esperto può tornare utile (si avrà un quadro chiaro della situazione e magari una bozza di piano). Come vedremo tra poco, in tale frangente l’ordinamento ha previsto una “uscita di sicurezza” speciale: il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, attivabile solo se la composizione negoziata fallisce, che consente al debitore di evitare il fallimento liquidando i beni sotto controllo del tribunale ma senza bisogno di voto dei creditori.

Piano attestato di risanamento (accordo stragiudiziale con attestazione)

Il piano attestato di risanamento è uno strumento di natura privatistica, già previsto dalla vecchia legge fallimentare (art. 67 co.3 lett. d) L.F.) e confermato nel Codice della Crisi (art. 56 CCII). Consiste in un accordo di ristrutturazione extragiudiziale costruito tra l’imprenditore e i suoi creditori, accompagnato però dalla “pezza d’appoggio” di un professionista indipendente che attesta la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano di risanamento proposto . In altri termini, è un percorso “fai da te” ma con una certificazione esterna di attendibilità, che mira essenzialmente a dare fiducia ai creditori sulla bontà del piano.

Caratteristiche principali: Il piano attestato non comporta l’intervento del tribunale né pubblicità (non è un procedimento concorsuale). Si basa interamente sul consenso volontario dei creditori interessati: l’imprenditore predispone un piano di risanamento (tipicamente pluriennale, con descrizione delle cause della crisi, strategia di rilancio, risorse apportate, ecc.), e lo sottopone ai creditori chiedendo che aderiscano accettando eventuali dilazioni o rinunce parziali ai crediti. Tutti i creditori che partecipano devono essere d’accordo: anche uno solo potrebbe tirarsi indietro e pretendere il pagamento integrale, facendo fallire il piano. Pertanto, questo strumento funziona bene quando c’è un numero ristretto di creditori chiave e ragionevolmente cooperativi (ad es. un pool di banche, o alcuni fornitori principali), mentre è meno adatto se bisogna coinvolgere una platea ampia e eterogenea.

Il valore aggiunto rispetto a un semplice accordo senza attestazione sta in due aspetti: 1. Relazione di attestazione: un professionista terzo (iscritto al registro dei revisori legali, con i requisiti di indipendenza analoghi a quelli del commissario giudiziale) esamina il piano e i dati aziendali e rilascia una relazione in cui dichiara che i numeri di partenza sono corretti e che le assunzioni del piano sono realistiche, tali da poter garantire il risanamento dell’impresa e l’integrale pagamento dei creditori alle nuove scadenze previste. Questa attestazione offre ai creditori una base più solida per fidarsi e accettare l’accordo. 2. Protezione da revocatoria: se il piano viene effettivamente eseguito e nei 18 mesi successivi l’azienda esce dalla crisi, eventuali pagamenti o atti dispositivi compiuti in esecuzione del piano non potranno essere soggetti a revocatoria fallimentare in caso di successivo fallimento . Ciò è sancito dall’art. 56 CCII (già art. 67 L.F.), ed è un incentivo importante: i creditori aderenti sanno che gli incassi ricevuti in base al piano non verranno “rimessi in discussione” se malauguratamente l’impresa dovesse fallire più avanti (purché il piano fosse idoneo e attestato). Senza questa esenzione, i creditori sarebbero più restii a fare sacrifici, temendo che poi un curatore li possa accusare di aver ricevuto pagamenti preferenziali.

Iter pratico: L’imprenditore, di solito con l’aiuto dei propri consulenti, redige un piano dettagliato. Ad esempio, la nostra azienda di macchine confezionatrici potrebbe prevedere: rifocalizzazione su mercati esteri, dismissione di un capannone inutilizzato, apporto di €500k da un nuovo socio, e con questo pagare progressivamente i debiti in 5 anni. Ingaggia poi un esperto attestatore (spesso un commercialista), il quale verifica i bilanci, fa test di ragionevolezza sul cash flow prospettico, e infine firma l’attestazione. Il piano e la relazione vengono pubblicati presso il registro delle imprese (depositandoli in camera di commercio): tale pubblicazione, pur non costituendo pubblicità di procedura concorsuale, serve a marcare la data certa del piano e a garantirne l’opponibilità. A quel punto, l’imprenditore esegue il piano: se tutto va liscio, risanerà l’azienda e normalizzerà la posizione coi creditori.

Efficacia legale: come detto, il piano attestato non vincola i creditori dissenzienti o estranei. Quindi è fondamentale ottenere un’adesione ampia. In uno scenario ideale, tutti i creditori rilevanti aderiscono (es. tutte le banche firmano un accordo). Se qualcuno resta fuori, l’imprenditore deve comunque fare in modo di soddisfarlo secondo i termini originari o sostituirlo (ad es. pagando quel fornitore integralmente, magari utilizzando nuova finanza). Il piano attestato è quindi uno strumento totalmente consensuale. Per contro, proprio perché non c’è intervento del giudice, non c’è neppure un automatico blocco delle azioni esecutive: se un creditore esterno volesse iniziare un pignoramento, potrebbe farlo. Tuttavia, nella prassi spesso chi partecipa al piano si impegna informalmente a non agire esecutivamente purché i pagamenti vengano rispettati. Inoltre, l’imprenditore può anche chiedere ai creditori di attendere un breve periodo mentre prepara il piano: qui può aiutare la composizione negoziata, che funge da ombrello iniziale per poi sfociare in un piano attestato.

Quando utilizzare il piano attestato: Dal punto di vista del debitore, questa soluzione conviene se: – Si riesce a ottenere l’accordo di tutti o quasi i creditori finanziari rilevanti. Spesso viene usato nelle ristrutturazioni bancarie, ad esempio l’impresa tratta con un pool di banche la rimodulazione dei debiti e il rilascio di nuove linee di credito. Le banche preferiscono a volte il piano attestato perché è rapido e non implica tribunali, voti, ecc., mantenendo un rapporto contrattuale diretto. – C’è la concreta prospettiva di risanare l’azienda (il piano deve prevedere il pagamento integrale, anche se dilazionato, di tutti i crediti inclusi). Se la situazione è troppo compromessa e necessiterebbe di tagliare definitivamente una parte dei debiti, allora meglio considerare accordi omologati o concordati, dove una falcidia (riduzione) permanente del credito è possibile. – Si vuole evitare la pubblicità e i costi di un concordato. Il piano attestato ha costi minori (non ci sono organi concorsuali da pagare, solo il compenso dell’attestatore e i consulenti).

Limiti: Come già ribadito, il limite principale è che non gestisce i dissensi: uno strumento “fragile” se il fronte creditori è frammentato. Inoltre, la protezione da revocatoria è condizionata alla effettiva idoneità del piano a risanare l’impresa. Se il piano era manifestamente irrealistico e l’attestatore è stato negligente, in teoria i benefici potrebbero non valere (anche se i creditori avrebbero poi difficoltà a dimostrare la cosa in giudizio). In ogni caso, per il debitore onesto è uno strumento valido: nessuna autorità giudiziaria si intromette nei suoi affari, e se riuscirà a mantenere gli impegni del piano, avrà superato la crisi lontano dai riflettori e con minimo impatto sul business.

Accordi di ristrutturazione dei debiti (omologati dal tribunale)

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono un ibrido tra la soluzione puramente privata e la procedura concorsuale formale. Previsti inizialmente dall’art. 182-bis L.F., oggi disciplinati dagli artt. 57-64 CCII, consistono in un accordo tra il debitore e una parte significativa di creditori, che viene poi sottoposto all’omologazione del tribunale per acquisire efficacia legale anche verso terzi e alcuni creditori non aderenti.

Requisito quantitativo: è necessario che abbiano aderito creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali . Questa soglia ha lo scopo di assicurare che l’accordo goda di un consenso largamente maggioritario. Una volta raggiunto tale quorum, il debitore può depositare l’accordo in tribunale chiedendone l’omologazione.

Procedimento di omologazione: Il tribunale, ricevuta la domanda, innanzitutto verifica la regolarità dell’accordo e la fattibilità del piano allegato (di solito c’è un piano che illustra come l’impresa pagherà i creditori aderenti e non). Nomina eventualmente un ausiliario o un esperto per valutare la situazione (questo è stato introdotto dal CCII per casi complessi). Durante l’attesa dell’omologa, il debitore può chiedere al tribunale di applicare misure protettive analoghe a quelle del concordato: tipicamente la sospensione di 60 giorni di eventuali azioni esecutive, rinnovabile fino a 120 giorni . Ciò serve a congelare lo status quo mentre si finalizza l’accordo e si raccoglie eventualmente qualche adesione mancante . È infatti possibile, prima dell’omologa, continuare a negoziare con creditori non ancora aderenti.

Se non vi sono opposizioni rilevanti (i creditori non aderenti hanno la possibilità di opporsi se ritengono che l’accordo li pregiudichi indebitamente), il tribunale procede a omologare l’accordo. Con l’omologazione, l’accordo acquista piena efficacia vincolante per le parti e diventano operative una serie di agevolazioni previste dalla legge: – I creditori aderenti godranno della esenzione da azioni revocatorie per gli atti compiuti in esecuzione dell’accordo (simile al piano attestato su questo punto). – I creditori non aderenti rimangono estranei (dovranno essere pagati integralmente alle scadenze originarie, fuori dall’accordo), salvo alcune eccezioni previste ex lege: il CCII consente infatti di forzare la posizione di taluni creditori dissenzienti in settori specifici. Ad esempio, con la recente riforma è possibile estendere gli effetti dell’accordo anche ai creditori erariali e previdenziali che non abbiano aderito, purché siano stati regolarmente invitati a trattare e l’accordo preveda la loro soddisfazione in misura non inferiore a quanto otterrebbero in liquidazione (è una sorta di cram-down fiscale in ambito di accordo, analogo a quello del concordato) . Similmente, per i creditori finanziari (banche) è prevista la possibilità di estendere l’accordo ai dissenzienti appartenenti alla stessa categoria se si raggiunge l’adesione di almeno il 75% di tale categoria (come previsto dall’art. 61 CCII, convenzione di moratoria). – L’accordo omologato viene pubblicato nel registro delle imprese e comporta la sospensione di eventuali procedure esecutive individuali avviate dai creditori aderenti (che sono obbligati a rispettare le nuove scadenze). I creditori estranei, in teoria, potrebbero ancora agire, ma in genere l’azienda in ristrutturazione provvede a tenerli indenne magari con supporto di finanza esterna.

Differenze rispetto al concordato preventivo: L’accordo di ristrutturazione è più flessibile e rapido: non richiede il voto di tutti i creditori, ma solo il consenso individuale di una maggioranza qualificata; non nomina organi della procedura come commissari o comitati; può essere costruito su misura (non ci sono le rigidità di trattamento paritario tipiche del concordato, purché i creditori aderenti accettino liberamente il trattamento proposto) . Ad esempio, si può concordare con alcune banche una riduzione significativa del credito, mentre magari altri creditori vengono pagati integralmente – cosa che in concordato sarebbe più difficile per il principio di par condicio, a meno di far classi separate. Tuttavia, non consente di coinvolgere forzosamente tutti: rimane necessario quel 60% di adesione. Il concordato, viceversa, richiede il voto ma poi vincola anche i dissenzienti di minoranza se la maggioranza approva. Inoltre, finché l’accordo è in fase di trattativa, i creditori non aderenti non sono soggetti ad automatic stay (a meno di chiedere misure protettive come detto, ma queste durano poco). Dunque, l’accordo di ristrutturazione funziona bene se i creditori rilevanti sono pochi e trattabili, oppure se il debitore ha già convinto ben più del 60% e i restanti sono piccoli (per cui un eventuale loro attacco è marginale).

Varanti particolari: Il CCII ha introdotto due varianti: – Accordi ad efficacia estesa: come già accennato, riguarda i creditori finanziari e i crediti tributari/contributivi. Se ad esempio il 75% delle banche per tipologia di esposizione aderisce a una moratoria, il piano può prevedere che anche le banche dissenzienti siano vincolate (alle medesime condizioni offerte agli altri). Questo evita il classico problema della “minoranza holdout” tra le banche. Sul fronte fiscale, è rilevante notare che la riforma e la giurisprudenza hanno aperto a omologazioni anche senza adesione di Agenzia Entrate/INPS quando l’offerta è conveniente: la Cassazione nel 2024 ha affermato che il giudice può omologare un accordo o un concordato nonostante il voto contrario del Fisco purché il trattamento proposto al Fisco sia migliorativo rispetto alla liquidazione . Questo principio di cram-down fiscale, già applicato nel concordato , è ora esteso agli accordi, rafforzando il potere del tribunale di superare eventuali dinieghi pretestuosi del Fisco . Una pronuncia della Cassazione di dicembre 2023 (ordinanza n. 34865/2023) ha ribadito che il giudice ordinario (fallimentare) ha giurisdizione in materia di omologa di transazione fiscale, chiarendo definitivamente che l’Amministrazione finanziaria non ha diritto di veto insindacabile: se il piano offre il massimo per il Fisco, il suo dissenso può essere superato in sede di omologa . – Accordi agevolati: intesi come quelli in cui il debitore chiede misure protettive o facilitazioni (es. la nomina di un esperto prima dell’omologa per convincere i creditori residui). Questi sono aspetti procedurali più che varianti sostanziali.

Dal punto di vista del debitore: l’accordo di ristrutturazione è una ottima via di mezzo quando si ha già un supporto consistente dai creditori principali e si vuole ottenere un crisma giudiziario che dia certezza all’operazione. Ad esempio, se la nostra azienda convince l’80% dei creditori (banche, Fisco e fornitori maggiori) a firmare un certo piano di rientro, vale la pena omologarlo così da mettere in sicurezza quell’accordo. Questo impedirà, tra l’altro, a un eventuale creditore dissenziente di far dichiarare fallimento l’impresa mentre si sta attuando il piano, perché il tribunale, in sede di omologa, valuterà anche l’idoneità dell’accordo a soddisfare in modo adeguato i creditori estranei. Si noti però che i creditori estranei conservano formalmente i loro diritti (possono anche agire esecutivamente, benché spesso convenga pagarli separatamente per evitare ciò).

In conclusione, piani attestati e accordi di ristrutturazione sono strumenti cugini: entrambi puntano a ristrutturare fuori dal fallimento, ma il primo è totalmente privato e richiede consenso unanime dei coinvolti, il secondo ha una soglia di maggioranza e l’intervento (minimo) del giudice per blindare il risultato. La Tabella 2 seguente riassume le differenze chiave:

Tabella 2 – Confronto tra piano attestato di risanamento e accordo di ristrutturazione omologato

CaratteristicaPiano attestato di risanamentoAccordo di ristrutturazione omologato
Natura proceduraStragiudiziale pura (nessun intervento del tribunale) .Ibrida: accordo privato + omologa giudiziale (procedura concorsuale “light”).
Consenso richiesto100% dei creditori coinvolti (accordo contrattuale) . Creditori estranei non toccati.≥ 60% dei crediti totali devono aderire . I non aderenti restano fuori, salvo efficacia estesa in certi casi.
Attestazione di fattibilitàObbligatoria: professionista indipendente attesta dati e fattibilità, relazione depositata .Obbligatoria una relazione di un esperto sulla attestazione di veridicità e fattibilità (analoga a concordato) da allegare alla richiesta di omologa.
Omologazione tribunaleNo (solo deposito al registro imprese a fini pubblicitari).: il tribunale verifica legalità e merito (fattibilità, convenienza per estranei) e omologa con decreto.
Effetti protettivi durante la negoziazioneNessun automatic stay. (Possibile richiedere misure protettive con composizione negoziata parallela).Possibile chiedere misure protettive per 60-120 giorni durante omologa . Dopo, i creditori aderenti non possono agire in via esecutiva in difformità dall’accordo.
Esenzione da revocatoriaSì, per atti e pagamenti eseguiti in adempimento del piano attestato, se il piano produce effetto di risanamento .Sì, per atti esecutivi dell’accordo omologato (art. 59 CCII).
Coinvolgimento creditori dissenzientiNon vincolati, restano con diritti originari (vanno pagati fuori piano).Non vincolati, ma: possibili cram-down settoriali (Fisco/INPS se offerto ≥ liquidazione; banche dissenzienti se ≥75% aderenti) . Non possono chiedere fallimento se l’accordo li soddisfa adeguatamente.
Vantaggi per il debitoreRapido, riservato, flessibile, nessun costo di procedura. Protegge da revocatorie.Vincola la maggioranza e offre stabilità legale (no recesso unilaterale dei creditori, no azioni individuali dei partecipanti). Possibile efficacia su dissenzienti limitatamente.
Svantaggi per il debitoreFragile rispetto a creditori non aderenti (nessun vincolo né stay), richiede adesione unanime dei principali.Procedimento di omologa può richiedere qualche mese e pubblicità. Necessario raggiungere 60% adesioni, non risolve se molti piccoli creditori non collaborano (a meno di classi particolari).

Nuovi strumenti introdotti dalla riforma: convenzione di moratoria e piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO)

Oltre ai tradizionali accordi, il Codice della Crisi, specie a seguito del recepimento della Direttiva UE 2019/1023 (Insolvency Directive), ha aggiunto ulteriori frecce all’arco del debitore per gestire situazioni di crisi complesse:

  • Convenzione di moratoria: prevista dall’art. 61 CCII, è una tipologia di accordo utilizzata tipicamente con banche o fornitori, in cui la maggioranza (in % di crediti) di una certa categoria di creditori concorda di sospendere per un periodo le azioni di recupero e le pretese di pagamento. Se si raggiungono certe soglie (es. 75% delle banche), l’accordo può essere esteso anche alle banche dissenzienti. Si differenzia dagli accordi di ristrutturazione veri e propri perché non necessariamente ristruttura il debito in modo definitivo (può solo congelarlo temporaneamente in attesa di un evento, ad es. la realizzazione di un aumento di capitale o la vendita di un asset). È molto utile per imprese con problemi temporanei di liquidità ma con prospettive di ripresa a breve, oppure come preaccordo mentre si definisce un piano più strutturato.
  • Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO): è uno strumento innovativo introdotto in attuazione della Direttiva Insolvency, disciplinato dagli artt. 64-bis e segg. CCII. Si tratta di una sorta di concordato “facoltativo” in cui l’imprenditore propone un piano di ristrutturazione ai creditori suddivisi in classi, ma senza aprire la procedura di concordato standard. La caratteristica chiave è la flessibilità: nel PRO si possono derogare certe regole di parità di trattamento tra creditori, purché il piano sia approvato da tutte le classi costituite . Non c’è obbligo di garantire il 20% ai chirografari se liquidatorio, né i paletti rigidi del concordato; però occorre consenso unanime delle classi (dentro ciascuna classe, si segue il voto a maggioranza e serve l’approvazione di tutte le classi). In pratica, se il debitore riesce a convincere tutte le classi di creditori, può omologare un piano molto personalizzato. Questa procedura appare utile in ristrutturazioni complesse (tipicamente grandi imprese con classi di creditori molto differenti, ad esempio obbligazionisti, banche, fornitori) dove si può costruire un piano con soluzioni ad hoc per ciascuna classe, senza sottostare alle regole del concordato, ma mantenendo la necessità di consenso generale. È poco probabile nel contesto di una PMI come la nostra azienda di macchine confezionatrici, ma è un segno dell’ampiezza di strumenti che oggi esistono. In Italia il PRO è stato introdotto col correttivo-bis del 2022, ma la sua applicazione pratica è ancora agli inizi per via dei requisiti di consenso stringenti.

Riassumendo questa sezione: l’imprenditore in crisi ha a disposizione diverse vie negoziali per evitare di finire in procedura fallimentare. Dalla composizione negoziata (con l’esperto e la chance di accordi protetti) ai piani attestati e accordi omologati, fino alle moratorie e al sofisticato PRO, la normativa incoraggia soluzioni volontarie e concordate, ritenendo che spesso possano massimizzare il valore per creditori e salvare l’impresa come going concern. Naturalmente, se tutte queste strade falliscono o non sono praticabili, si dovrà ricorrere alle procedure concorsuali giudiziali, che esaminiamo ora.

Procedure concorsuali giudiziali: concordato preventivo, concordato semplificato e liquidazione giudiziale

Se i tentativi stragiudiziali non bastano o se la situazione è già gravemente compromessa, l’imprenditore (o i creditori) possono attivare le procedure concorsuali vere e proprie, sotto l’egida del tribunale. Queste procedure incidono più profondamente sui diritti dei creditori (possono imporre cram-down, cioè tagli forzosi dei crediti, con l’approvazione a maggioranza) e offrono tutele più ampie al debitore (ad es. blocco generale delle azioni esecutive). D’altro canto comportano costi maggiori, tempi spesso lunghi e la parziale spossessione dell’imprenditore dal controllo dei beni. Le principali procedure previste dal Codice della Crisi sono:

  • Il concordato preventivo (nelle sue varie forme, in continuità o liquidatorio).
  • Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (novità dal 2021, utilizzabile solo post-composizione negoziata fallita).
  • La liquidazione giudiziale (che ha preso il posto del “fallimento”).

Vediamole in dettaglio, dal punto di vista di come il debitore può utilizzarle per difendersi e, se possibile, ripartire.

Concordato preventivo

Il concordato preventivo è la procedura concorsuale classica mediante cui l’imprenditore in stato di crisi o insolvenza propone ai creditori un piano di regolazione della crisi, da approvarsi a maggioranza dei creditori stessi e da omologarsi in tribunale . In sostanza è un patto collettivo, mediato dal tribunale, che evita il fallimento, impegnando il debitore a soddisfare i creditori secondo modalità e tempi stabiliti dal piano, in cambio dell’esdebitazione dai debiti eccedenti.

Tipologie di concordato: Il CCII distingue principalmente: – Il concordato in continuità aziendale: quando nel piano è prevista la continuazione dell’attività d’impresa, direttamente da parte del debitore o indirettamente (ad es. tramite affitto o cessione d’azienda a un soggetto che prosegue l’attività) . La continuità può essere diretta (l’impresa prosegue sotto lo stesso soggetto, eventualmente con ristrutturazione) o indiretta (l’azienda viene ceduta ma la produzione continua con altro imprenditore). Lo scopo è preservare il valore produttivo, i posti di lavoro, l’avviamento. – Il concordato liquidatorio: quando invece il piano prevede la cessazione dell’attività e la liquidazione di tutto il patrimonio ai fini della soddisfazione dei creditori . In questo caso l’impresa cessa di esistere al termine; il concordato serve solo a distribuire i beni in modo concordato evitando la liquidazione giudiziale.

Presupposti e ammissione: Può chiedere il concordato l’imprenditore commerciale (non piccolo, salvo che oggi anche i “sottosoglia” possono accedere a un concordato minore similare) che si trova in stato di crisi o di insolvenza. “Stato di crisi” vuol dire anche semplice difficoltà prospettica (la legge consente il concordato anche per prevenire l’insolvenza conclamata); di fatto comunque la maggior parte dei concordati riguardano imprese insolventi che cercano di evitare il fallimento. La domanda si propone con ricorso al tribunale competente. Un elemento caratteristico è che il debitore può (e spesso lo fa) presentare una domanda di concordato con riserva (ex art. 40 CCII, già noto come “concordato in bianco”): consiste nel depositare ricorso indicando che si intende presentare un concordato, ma chiedendo un termine (fino a 60-120 giorni) per presentare il piano e la proposta definitiva. Effetto immediato di una domanda di concordato (anche con riserva) è il blocco delle azioni esecutive individuali: dal momento della pubblicazione del ricorso, i creditori non possono iniziare o proseguire pignoramenti o sequestri e non possono acquisire titoli di prelazione sul patrimonio del debitore (divieto di ipoteche giudiziali) . È uno stay potente e generale, che tutela la par condicio tra creditori e preserva l’azienda durante la procedura. Inoltre, l’apertura del concordato impedisce ai creditori di presentare o proseguire istanze di fallimento.

Il tribunale, ricevuta la proposta e il piano (o alla scadenza del termine concesso nel caso di domanda in bianco), valuta la ammissibilità del concordato: verifica la presenza dei documenti (bilanci, relazione di un attestatore indipendente che assevera la fattibilità del piano, ecc.), e soprattutto la conformità alle condizioni minime di legge. Tra queste: – Se è un concordato liquidatorio puro, il piano deve assicurare ai creditori chirografari il pagamento di almeno il 20% dell’importo dei loro crediti (a meno che aderiscano in percentuale minore, oppure che si tratti di un concordato liquidatorio semplificato o un PRO, che derogano a tale regola ). – Non si possono alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione: i creditori privilegiati vanno soddisfatti per intero (salvo che rinuncino in parte) almeno fino a capienza delle garanzie, altrimenti occorre il loro voto favorevole in classe per ridurli. – Il piano deve essere fattibile sia giuridicamente che economicamente: la relazione dell’attestatore deve attestare che, se eseguito, il piano raggiungerà gli obiettivi dichiarati (ad esempio pagare il 30% ai chirografari in 2 anni).

Se il tribunale ritiene ammissibile la proposta, emette un decreto di apertura del concordato preventivo e nomina un commissario giudiziale (figura di controllo che supervisiona l’operato del debitore durante la procedura). Viene fissata l’adunanza dei creditori per il voto sulla proposta. Da notare che nel concordato in continuità il CCII consente di evitare l’adunanza fisica e raccogliere i voti per iscritto, accelerando i tempi.

Votazione dei creditori: I creditori vengono suddivisi in classi se vi sono posizioni differenti (è obbligatorio separare in classi i creditori con cause di prelazione diverse, e possibile farlo per categorie omogenee di chirografari con interessi comuni). Ogni classe vota la proposta; se non vi sono classi, il voto è per categorie legali (privilegiati vs chirografari). Per l’approvazione è richiesta, in ciascuna classe o categoria, la maggioranza dei crediti ammessi al voto (≥ 50% del valore). Se almeno una classe (o la maggioranza dei crediti totali se niente classi) approva, il concordato può essere portato all’omologazione. Se la maggioranza non viene raggiunta, la proposta è respinta e di norma l’azienda fallisce.

Omologazione e cram-down: Il tribunale, dopo il voto, tiene un’udienza di omologazione. Qui possono presentarsi eventuali opposizioni (creditori contrari possono eccepire che la proposta li danneggia oltre il limite di legge, ecc.). Con il Correttivo-ter del 2024 è stata introdotta la possibilità del cram-down interclassi: se una o più classi hanno bocciato la proposta ma altre l’hanno approvata, il tribunale può comunque omologare forzosamente il concordato a dispetto del voto contrario di classi dissenzienti, purché siano rispettate certe condizioni di tutela per quei creditori . In particolare, semplificando, si può bypassare il no di una classe se questa non avrebbe comunque ottenuto di più in caso di liquidazione fallimentare e almeno un’altra classe di pari grado ha votato sì . È un meccanismo di cross-class cram-down ispirato alla Direttiva UE, che evita il potere di ricatto di una classe minoritaria. Le prime applicazioni giurisprudenziali nel 2024 hanno mostrato un approccio favorevole all’omologazione coattiva, nell’ottica di privilegiare soluzioni di concordato quando la proposta è equa rispetto all’alternativa del fallimento .

Uno degli sviluppi più significativi riguarda la transazione fiscale nel concordato: storicamente il Fisco (Agenzia Entrate) e gli enti previdenziali avevano un potere di veto di fatto, perché una norma del vecchio art. 180 L.F. impediva l’omologa senza il loro assenso se si chiedeva la falcidia di IVA o ritenute. Oggi quella norma è stata superata. La Cassazione – con una sentenza rivoluzionaria n. 27782 del 28 ottobre 2024 – ha definitivamente sancito che il tribunale può omologare il concordato preventivo anche in presenza di voto contrario dell’Erario, a condizione che la proposta garantisca al Fisco una soddisfazione economica almeno pari (o superiore) a quella ricavabile dalla liquidazione fallimentare . Si tratta di un cambiamento epocale: viene rimosso il “veto” fiscale che in passato mandava a monte molti piani. Ora, se l’offerta al Fisco è conveniente (ad esempio pagamento del 30% mentre nel fallimento prenderebbe 5%), il dissenso dell’Erario non può prevalere sull’interesse generale di salvare l’azienda . Questa apertura, prima anticipata da pronunce di merito e poi elevata a principio di diritto dalla Cassazione, è stata anche codificata nel CCII, che all’art. 112 ora prevede espressamente il cram-down fiscale. Dunque, nel nostro scenario un concordato potrebbe tranquillamente prevedere il pagamento parziale dei debiti tributari (IVA inclusa) e, se il Fisco non sta al gioco, il giudice potrà comunque approvare se la proposta è seria e più vantaggiosa del fallimento .

Esecuzione del concordato ed effetti liberatori: Una volta omologato, il concordato diventa vincolante per tutti i creditori anteriori. Il debitore deve attuare il piano sotto la vigilanza del commissario (che dopo l’omologa diventa liquidatore giudiziale se c’è da liquidare beni, oppure continua come commissario se concordato in continuità). Completata l’esecuzione, il tribunale dichiara chiusa la procedura. I crediti rimasti eventualmente insoddisfatti vengono comunque cancellati (esdebitazione concorsuale): il concordato omologato ha infatti efficacia remissoria sui debiti falcidiati. Per esempio, se il chirografo X doveva 100 e secondo il concordato prende 30, dopo l’esecuzione il residuo 70 è inesigibile nei confronti del debitore salvo che questi non adempia il piano (in caso di risoluzione del concordato per inadempimento, i crediti risorgono). Quindi il concordato, se ben eseguito, libera definitivamente il debitore dai debiti pregressi e gli consente di proseguire l’attività (se in continuità) senza zavorre, o di chiudere dignitosamente la vicenda (se liquidatorio) evitando ulteriori code.

Vantaggi per il debitore: Il concordato preventivo è lo scudo concorsuale per eccellenza: una volta presentato, il nostro imprenditore è protetto da qualunque iniziativa aggressiva (pignoramenti, istanze di fallimento, ecc.), potendo concentrare gli sforzi sulla definizione del piano di ristrutturazione. Inoltre, consente di imporre sacrifici anche alle minoranze dissenzienti: se la maggioranza concorda, anche chi non è d’accordo viene trascinato nell’accordo collettivo. Questo potere di cram-down, ulteriormente potenziato dalla riforma (vedi classi e Fisco), rende il concordato uno strumento formidabile per superare le inerzie e i ricatti di singoli creditori. Dal lato dell’impresa, poter proseguire l’attività in continuità diretta sotto la protezione del concordato significa spesso evitare di perdere clienti e valore: il tribunale può autorizzare il pagamento dei fornitori correnti, la continuazione dei contratti essenziali, l’accensione di nuovi finanziamenti prededucibili per finanziare l’esercizio provvisorio, ecc., garantendo che l’azienda rimanga operativa e conservi il valore di avviamento che altrimenti verrebbe distrutto in un fallimento. In concordato non vi è spossessamento completo: l’imprenditore rimane nella gestione (salvo nomina eventuale di un amministratore giudiziario in casi di abuso), sebbene sotto vigilanza. Ciò permette una certa flessibilità nella conduzione del piano.

Ad esempio, se la nostra azienda di macchine confezionatrici optasse per un concordato in continuità, potrebbe ottenere di ridurre del 50% l’esposizione bancaria e fiscale, pagare i fornitori al 30%, mantenere i macchinari e i dipendenti per continuare a produrre ed evadere gli ordini, il tutto mentre nessun creditore può interferire. Una volta eseguito il piano (magari con l’aiuto di un nuovo investitore che apporta capitali freschi in cambio di quote societarie), l’azienda sarebbe salva e ripulita dai debiti eccedenti, e i creditori avrebbero comunque ricevuto il massimo possibile in relazione al valore creato dalla continuità.

Svantaggi e difficoltà: Il concordato preventivo è però complesso e costoso. Richiede la predisposizione di una documentazione voluminosa, un attestato di fattibilità, e l’assistenza di legali e consulenti esperti. Ci sono tempi tecnici lunghi: tra domanda, voto e omologa spesso passano 6-12 mesi se non di più (anche se il CCII mira a velocizzare). Durante questo tempo, sebbene protetta, l’azienda è in una sorta di limbo e deve evitare di fare passi falsi. Inoltre, l’esito non è garantito: serve convincere i creditori della bontà del piano – e convincere un centinaio di fornitori arrabbiati a votare sì può essere arduo. Spesso però la scelta è tra prendere quella percentuale offerta o rischiare zero in fallimento, quindi i creditori votano con logica economica. Il controllo del tribunale poi impone rigore: non si possono preferire indebitamente alcuni creditori, ogni operazione deve essere autorizzata, e l’impresa perde un po’ di agilità decisionale.

Novità recenti: La riforma ha introdotto anche qui migliorie: ad es. è stata formalizzata la distinzione tra fattibilità giuridica (sindacabile dal giudice, riguarda la legalità del piano) e fattibilità economica (valutata dai creditori, salvo piani manifestamente irrealizzabili) . Il tribunale oggi verifica solo che i numeri tornino in modo ragionevole, non entra nel merito di scelte industriali – c’è un principio di deferenza al giudizio dei creditori (salvo scenari palesemente fantasiosi). Inoltre, la legge e la prassi hanno risolto vari punti: ad esempio definendo meglio il concetto di valore di liquidazione (in base al quale valutare la convenienza della proposta per i creditori) includendo costi e tempi di realizzo ; oppure chiarendo che i crediti sorti per servizi e finanziamenti durante il concordato sono prededucibili ex lege (art. 6 CCII) .

In definitiva, il concordato preventivo rimane lo strumento concorsuale centrale: complesso ma potente, e – grazie alle riforme del 2022-24 – più flessibile e orientato al risanamento di quanto non fosse nell’era della vecchia Legge Fallimentare .

Concordato “semplificato” per la liquidazione del patrimonio

Tra le innovazioni del D.L. 118/2021 confluite nel Codice c’è il concordato semplificato (art. 25-sexies CCII), pensato come via d’uscita rapida quando una composizione negoziata non sia riuscita a salvare l’azienda, ma ci sia comunque l’intenzione di evitare la liquidazione giudiziale. È definito “semplificato” perché elimina la fase del voto dei creditori e snellisce alcuni passaggi, a fronte però di un perimetro d’azione limitato.

Quando si può proporre: Solo l’imprenditore che ha esperito la composizione negoziata senza raggiungere un accordo può accedere al concordato semplificato . Deve presentare la domanda entro 60 giorni dall’archiviazione della composizione negoziata (ossia dalla comunicazione della relazione finale negativa dell’esperto) . Questo vincolo temporale e soggettivo garantisce che lo strumento sia usato come extrema ratio dopo un tentativo negoziale fallito, non come scorciatoia per chi non ha nemmeno provato a trattare.

Caratteristiche principali: Il concordato semplificato è esclusivamente liquidatorio: il piano può solo prevedere di liquidare i beni del debitore e distribuire il ricavato ai creditori . Non è ammessa alcuna forma di continuità aziendale – di fatto l’impresa chiuderà. Quello che lo differenzia dalla liquidazione giudiziale è che la proposta di concordato la fa il debitore, e viene attuata in modo concorsuale ma accelerato, senza passare per il voto.

In pratica, l’imprenditore deposita un ricorso proponendo ai creditori una certa soddisfazione tramite la vendita del patrimonio. Esempio: “Ho questi 5 macchinari, prevedo di venderli ricavando 500 mila euro, con cui pagherò ipoteca della banca al 100% e i chirografari al 30%. Oppure c’è un soggetto disponibile ad acquistare l’intera azienda per X euro, che sarà ripartito così e cosà.” Il ricorso deve includere la relazione finale dell’esperto della composizione negoziata che attesti che purtroppo non è stato possibile trovare una soluzione in continuità, ma anche il suo parere sui presumibili risultati liquidatori . In altri termini, l’esperto già nel chiudere la composizione negoziata potrà dire: “l’azienda Alfa non è risanabile, la migliore opzione è vendere i cespiti con una stima di recupero del 20% per i chirografari”. Questo parere confluirà nella proposta di concordato semplificato.

Procedura senza voto: Ricevuto il ricorso, il tribunale convoca i creditori non per votare ma solo per raccogliere eventuali osservazioni od opposizioni . I creditori quindi possono far presente se ritengono la proposta iniqua o se rilevano irregolarità, ma non hanno un voto determinante. Sarà il tribunale, dopo aver valutato tutto (ed eventualmente acquisito integrazioni), a decidere se omologare o meno il concordato semplificato. I criteri per omologare sono sostanzialmente la convenienza per i creditori rispetto alla liquidazione giudiziale: se l’offerta proposta è la migliore possibile date le circostanze, il giudice la approverà anche se i creditori non sono entusiasti . Ad esempio, se il piano offre ai chirografari il 10% ma il curatore nel fallimento stimerebbe di non dare nulla, il tribunale può omologare anche con creditori furibondi, perché oggettivamente è preferibile a fallire.

Durante la procedura, non essendoci voto, non c’è neanche commissario giudiziale (non serve) né attestatore indipendente (il controllo di fattibilità è affidato alla relazione dell’esperto già svolta e al tribunale stesso) . Questo riduce costi e tempi: di fatto, si evita tutta la fase di predisposizione di documenti aggiuntivi. Se serve, il tribunale può nominare un ausiliario per aiutarlo nelle valutazioni.

Liquidazione dei beni: Se il concordato semplificato viene omologato, il tribunale nomina un liquidatore giudiziale (spesso un professionista) che si occuperà di attuare il piano: cioè vendere i beni secondo le modalità proposte e distribuire il ricavato . Non c’è un comitato dei creditori, proprio per semplificare. I creditori avranno avuto modo di dire la loro prima; una volta omologato, si esegue e basta.

In sostanza, questo istituto consente al debitore di pilotare l’azienda verso una chiusura ordinata, senza passare dalla dichiarazione di fallimento, anche se non è stato possibile salvarla. È un po’ un contentino per chi, avendo tentato la composizione negoziata, almeno evita la procedura più infamante del fallimento e guadagna tempo: la procedura di concordato semplificato è tendenzialmente più rapida di un fallimento standard.

Vantaggi dal punto di vista del debitore: – Come detto, niente voto dei creditori = niente rischio di bocciatura per assemblee litigiose; il potere decisionale è del giudice, che dovrebbe essere oggettivo. – I tempi di omologa sono brevi (non c’è periodo di osservazione né adunanza). – Non viene formalmente dichiarato il fallimento, con i suoi strascichi di stigma (ad esempio il debitore non è “fallito”, è semplicemente in concordato semplificato). – Il debitore può scegliere proattivamente questa soluzione, mostrando così collaborazione e ottenendo anche qui, al termine, la liberazione dai debiti residui.

Limiti: L’uso è ristretto ai casi post-composizione negoziata. Inoltre, essendo solo liquidatorio, se anche all’ultimo si profilasse un salvataggio, non lo si potrebbe usare qui (andrebbe allora convertito in un concordato preventivo in continuità se fattibile, ma ormai la composizione negoziata è chiusa). I creditori in questa procedura sono un po’ passivi: ciò potrebbe portare qualcuno a contestare in sede di opposizione, ma se il tribunale decide diversamente poco possono fare (salvo appello reclamo omologa in Corte d’Appello). In più, se poi emergesse che il debitore aveva nascosto qualcosa in composizione negoziata per pilotare la situazione verso il semplificato (ad esempio, trattative fatte fallire apposta per arrivare qui e tagliare fuori i creditori dal voto), i creditori potrebbero sollevare eccezioni di abuso. Finora, trattandosi di novità, non ci sono molti casi. Ma è plausibile che verrà usato quando la situazione è: nessun accordo di continuità trovato, però c’è una proposta di acquisto per l’azienda o i suoi beni che consente di dare qualcosina ai creditori (più di zero del fallimento). In tali frangenti è la soluzione ottimale.

Per la nostra azienda di macchine confezionatrici: immaginiamo che con la composizione negoziata non siamo riusciti a trovare un investitore disposto a rilevare la società in bonis, però alla fine un competitor è interessato ad acquistare i macchinari e il magazzino per €1 milione. Questi soldi permetterebbero di pagare la banca (garantita) e dare un 25% ai fornitori. Nel frattempo l’azienda cesserebbe produzione. Questo scenario calza col concordato semplificato: invece di far fallire e lasciare al curatore vendere probabilmente a meno, il debitore può confezionare subito la proposta di cessione al competitor a €1M e chiedere al tribunale di approvarla e distribuire i proventi come concordato semplificato. I creditori dovrebbero accontentarsi perché se l’azienda fallisse magari si perderebbe più tempo e valore. E l’imprenditore, pur vedendo finire la propria impresa, eviterebbe la dichiarazione di fallimento e avrebbe comunque diritto all’esdebitazione residua (se persona fisica, nei tempi previsti, v. infra).

Liquidazione giudiziale (ex fallimento) ed esdebitazione del debitore

Se tutte le misure di difesa e risanamento falliscono, l’epilogo è la liquidazione giudiziale, procedura che dal 15 luglio 2022 ha preso il posto del “fallimento” . La liquidazione giudiziale è concepita come l’extrema ratio: interviene quando l’insolvenza è conclamata e non vi sono alternative praticabili di risanamento . Dal punto di vista del debitore, subire una liquidazione giudiziale significa perdere la disponibilità del patrimonio (che passa al curatore nominato dal tribunale) e vedere l’attività d’impresa cessare o essere esercitata solo temporaneamente dal curatore al fine di vendita. Tuttavia, il Codice della Crisi ha cercato di attenuare lo stigma tradizionale del fallimento: la liquidazione è presentata ora come un “rimedio ordinato” per chiudere la crisi, con garanzie per una successiva liberazione dai debiti .

Presupposti per l’apertura: Può essere assoggettato a liquidazione giudiziale l’imprenditore commerciale non piccolo (cioè sopra le soglie di fallibilità) che si trova in stato di insolvenza attuale (incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni) . Possono chiedere l’apertura il debitore stesso (in forma di istanza di autofallimento), i creditori, o la procura della Repubblica in alcuni casi. Le soglie dimensionali per escludere i “piccoli” sono rimaste simili all’antecedente: attivo annuo > €300k, ricavi > €200k, debiti > €500k circa (nel CCII all’art. 2). Se l’impresa è sotto soglia, non può essere dichiarata liquidazione giudiziale ma al più sottoposta a liquidazione controllata (ex legge sul sovraindebitamento); nel nostro caso, un’azienda industriale di macchinari tipicamente supera tali parametri, quindi sarebbe soggetta a liquidazione giudiziale. Importante: esiste ancora il requisito quantitativo del debito per le istanze dei creditori, fissato in €30.000 (il CCII art. 121 lo mantiene): se un creditore chiede la liquidazione per insolvenza, deve dimostrare di avere crediti scaduti per almeno €30.000 in totale.

Se il tribunale accerta l’insolvenza e non c’è pendente altra procedura (concordato, ecc.), dichiara l’apertura della liquidazione giudiziale con sentenza. Da quel momento: – Si spossessa il debitore dei suoi beni: questi confluiscono nella massa attiva gestita dal curatore, professionista nominato dal giudice delegato. L’imprenditore perde ogni potere di disposizione (non può vendere, non può pagare creditori da solo, ecc.). – Tutti i creditori concorsuali (anteriore alla sentenza) devono presentare domanda di insinuazione al passivo. Le azioni esecutive individuali pendenti vengono stoppate e sostituite dal procedimento di accertamento del passivo davanti al giudice delegato. – Si instaura il principio della par condicio: i creditori concorrono secondo i loro gradi di privilegio. Il curatore esaminerà le domande, formerà lo stato passivo, ecc. – L’azienda può essere esercitata provvisoriamente solo se funzionale a una migliore liquidazione (es. completare alcune commesse per vendere poi l’azienda come “in bonis”). Altrimenti, si chiude. – Il curatore procede a vendere i beni: tramite aste, trattative ecc., secondo un programma di liquidazione approvato dal comitato dei creditori e autorizzato dal giudice. – Il ricavato viene poi distribuito secondo l’ordine dei privilegi, cause di prelazione e, se residua qualcosa, pro-quota ai chirografari. Spesso, come noto, i chirografari ricevono poco o nulla nelle liquidazioni, specie se ci sono forti crediti privilegiati.

Dal lato del debitore persona fisica (imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile), la liquidazione è un trauma personale forte: i beni privati (salvo quelli impignorabili) diventano parte della massa fallimentare. Per una società di capitali, invece, è la società a essere spossessata, i soci per definizione per i debiti sociali perdono solo le quote (che verranno azzerate).

Difese e interventi del debitore nella liquidazione: Se arriva a questo punto, le chance di “difendersi” sono limitate, perché ormai la procedura è orientata alla soddisfazione dei creditori. Il debitore può: – Proporre un concordato nella liquidazione (ex art. 143 CCII): entro 12 mesi dalla dichiarazione di liquidazione giudiziale (termine ampliato dal CCII), il debitore o un terzo può presentare ai creditori un’offerta concordataria, cioè un concordato fallimentare . Se i creditori lo approvano (qui serve il voto come in un concordato preventivo ma con maggioranze su categorie di credito ammesse al passivo) e il tribunale lo omologa, la liquidazione termina anticipatamente. È un modo per “uscire” dal fallimento offrendo una certa somma. Tipicamente lo fa un terzo (es. un acquirente dell’azienda che preferisce rilevarla dal fallimento pagando tot ai creditori). Dal punto di vista del debitore fallito, questa è comunque una via per chiudere prima e magari salvare qualcosa. – Collaborare col curatore: il debitore ha l’obbligo di collaborare sinceramente, consegnare documenti, spiegazioni, ecc. Farlo diligentemente aiuta ad evitare guai (il curatore può segnalare eventuali reati se scopre irregolarità). – Chiedere l’esdebitazione a fine procedura (se persona fisica) o usufruirne automaticamente col tempo (vedi infra). – Opporsi ad atti negativi: il debitore può fare reclamo contro sentenze di verificazione del passivo o riparti se ritiene lesi i suoi diritti residui (pochi in verità).

In generale, però, il fallito in senso tradizionale subiva passivamente la procedura. Qui c’è stato un cambio di filosofia: oggi si cerca di responsabilizzare meno il fallito onesto e di dargli una via di uscita. La più importante è l’esdebitazione.

Esdebitazione del debitore: L’esdebitazione è l’istituto che libera il debitore persona fisica dai debiti residui non soddisfatti nella liquidazione, permettendogli il cosiddetto fresh start. Introdotta nell’ordinamento italiano nel 2006 in forma condizionata (richiesta del fallito meritevole), ora il CCII l’ha resa più ampia e quasi automatica. In particolare: – Il fallito persona fisica (imprenditore individuale, socio illimitatamente responsabile o consumatore) ha diritto all’esdebitazione di diritto trascorsi 3 anni dall’apertura della liquidazione giudiziale , senza necessità di una specifica istanza e senza bisogno di dimostrare la meritevolezza . Lo prevede l’art. 278 CCII. Salvo che sia stato condannato per bancarotta fraudolenta o altri gravi reati concorsuali, caso in cui l’esdebitazione è esclusa (chi ha frodato i creditori non viene premiato) . Dunque, la regola ora è: 3 anni dopo la sentenza di fallimento, se il soggetto non ha commesso reati gravi, il tribunale emette un decreto che dichiara inesigibili tutti i debiti rimasti insoddisfatti . Non c’è più l’udienza per valutare la “meritevolezza” né l’opposizione dei creditori sul comportamento: solo in casi di particolare indegnità (diversi dai reati, ad es. l’aver violato obblighi di cooperazione in modo significativo) il tribunale potrà revocare l’esdebitazione su istanza dei creditori . – È prevista persino un’esdebitazione anticipata dell’incapiente: se il debitore non possiede nulla da distribuire ai creditori (zero attivo), la legge consente di liberarlo dai debiti subito dopo la chiusura della procedura, senza attendere 3 anni . L’art. 282 CCII codifica questa ipotesi, che è mutuata dalla legge sul sovraindebitamento (c.d. esdebitazione del debitore incapiente). – L’esdebitazione opera solo verso il debitore: i coobbligati o fideiussori restano obbligati per intero . Ciò significa che se una S.r.l. viene liquidata e i soci avevano garantito personalmente un debito, i creditori potranno rivalersi sui soci garanti nonostante l’esdebitazione della società (questo aspetto è poco rilevante per le società, che una volta liquidate sono estinte; ha più senso per le persone fisiche). Per contro, per gli amministratori e soci fideiussori c’è la possibilità di ricorrere, se travolti dai debiti personali, alle procedure di sovraindebitamento per ottenere anch’essi l’esdebitazione.

In passato l’esdebitazione era concessa solo su domanda del fallito e a condizione che avesse cooperato, non avesse beneficiato di atti in frode, ecc. Ora invece il favor debitoris è chiaro: l’idea è che il fallimento non debba equivalere alla “morte civile” del debitore, ma anzi debba aprire la strada a una seconda opportunità . L’esdebitazione di diritto rende l’Italia uno degli ordinamenti più indulgenti sul punto, allineandosi alla visione europea del fresh start.

Per l’imprenditore della nostra azienda, questo significa che anche nello scenario peggiore (liquidazione giudiziale), entro pochi anni potrà ripartire libero dai vecchi debiti, magari avviando una nuova attività su basi più solide. Non solo: l’esdebitazione toglie anche alcune restrizioni post-fallimentari, come le incapacità personali (es. divieto di ricoprire cariche o di partecipare a appalti pubblici), restituendo al debitore piena capacità. In altre parole, la legge oggi considera la liquidazione giudiziale non una pena ma una soluzione: il messaggio al debitore onesto è “paga ciò che puoi con i tuoi beni, e dopo un periodo ragionevole sei libero di ricominciare” .

Conclusione su liquidazione giudiziale: Certo, nessun imprenditore vorrebbe arrivarci – è sempre meglio risolvere prima – ma sapere che esiste questa valvola di sfogo riduce il terrore dell’insolvenza. L’importante per il debitore è affrontare la situazione con correttezza: cooperare con le procedure, non peggiorare dolosamente il dissesto, perché gli sleali restano puniti (perdono l’esdebitazione e incappano nei reati di bancarotta). Per gli amministratori di società, la liquidazione giudiziale porta con sé anche l’eventualità di un’azione di responsabilità promossa dal curatore (art. 255 CCII, ex art. 146 L.F.) per atti di mala gestio: ecco perché conviene aver agito diligentemente.

In un’ottica di “difesa”, quindi, se si arriva al fallimento la miglior difesa è una buona condotta: questo garantirà l’accesso all’esdebitazione e la chiusura relativamente rapida della procedura. Viceversa, chi nasconde beni, falsifica conti, dissipa risorse all’ultimo per non farle trovare ai creditori, si troverà imputato di bancarotta fraudolenta (reato grave con pene detentive) e subirà la negazione della liberazione dai debiti.

In ultimo, segnaliamo che per i piccoli imprenditori e soggetti non fallibili, esiste una procedura analoga chiamata liquidazione controllata del sovraindebitato (artt. 268-277 CCII). Essa ricalca la liquidazione giudiziale ma è semplificata e si svolge davanti al tribunale in composizione monocratica. Anche in tal caso, l’esdebitazione è concessa (ai sensi degli artt. 278 e seguenti) e anzi la legge prevede per il sovraindebitato incapiente la liberazione immediata (figura simile a quanto detto sopra). Ma nel contesto di una S.r.l. o S.p.A. medio-grande, queste procedure “minori” non trovano applicazione.

Abbiamo così completato il quadro degli strumenti giuridici a disposizione. Nel prossimo capitolo, sposteremo l’attenzione sulle strategie pratiche che un debitore può adottare per difendersi concretamente dalle iniziative dei creditori: opposizioni esecutive, tattiche processuali, negoziazioni mirate. Seguirà poi la sezione di domande e risposte e un caso pratico che illustrerà molti dei concetti esposti “in azione” su una vicenda ipotetica ispirata alla realtà.

Difendersi dalle azioni dei creditori (esecuzioni forzate e istanze di fallimento)

Una preoccupazione immediata per l’imprenditore con debiti è come reagire alle iniziative aggressive dei creditori: il decreto ingiuntivo del fornitore, il pignoramento mobiliare avviato dalla banca, l’iscrizione di ipoteca esattoriale, o la notifica di un’istanza di fallimento. In questa sezione vediamo quali strumenti difensivi il debitore può utilizzare nel vivo di tali situazioni, prima ancora (o parallelamente) all’attivazione di procedure concorsuali viste sopra.

Opposizioni e sospensioni nelle procedure esecutive individuali

Se un creditore ha già intrapreso un’azione esecutiva (pignoramento di beni mobili, immobili, crediti verso terzi, ecc.), il debitore può valutare opposizioni giudiziali: – Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.): se contesta il diritto del creditore di procedere. Esempio: il debito non è certo, liquido ed esigibile; il titolo esecutivo (decreto ingiuntivo) è stato impugnato o è invalido; il pagamento è già avvenuto o è intervenuta prescrizione. Con l’opposizione all’esecuzione il debitore può chiedere al giudice dell’esecuzione di sospendere la procedura se esistono seri motivi (sospensione dell’esecuzione). Se poi l’opposizione viene accolta nel merito, l’esecuzione viene estinta. – Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.): se il debitore rileva vizi formali o irregolarità negli atti del procedimento (es. pignoramento notificato male, oppure beni pignorati non quelli giusti, errori nel precetto, ecc.). Anche qui, può chiedere la sospensione e la nullità dell’atto vizioso. – Istanza di conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.): se il debitore preferisce evitare la vendita coattiva di un bene, può chiedere di sostituire al bene pignorato una somma di denaro (comprensiva di spese e interessi) da versare ratealmente in un termine (fino a 36 mesi). È una forma di “rinegoziazione giudiziale” per salvare il bene; serve però la liquidità per offrire la conversione. – Accordi con il creditore procedente: in qualunque momento il debitore può tentare un accordo extragiudiziale con chi ha promosso l’esecuzione: ad esempio, se racimola una somma, può offrire un pagamento parziale immediato in cambio della rinuncia al pignoramento. Spesso i creditori accettano transazioni (es. 50% subito pur di non attendere esito incerto dell’asta). – Strumenti dilatori legittimi: chiedere al giudice termini di grazia (solo per sfratti per morosità), eccepire eventuali incompetenza territoriale (che se accolta fa ricominciare l’esecuzione altrove), far valere eventuali cause di sospensione ex lege (es. condebitori in procedure concorsuali).

Va detto che le opposizioni esecutive devono basarsi su motivi fondati, altrimenti vengono rigettate rapidamente e spesso aggravano i costi per il debitore (condanna a spese, ecc.). Quindi hanno senso quando davvero c’è una contestazione seria sul debito o sull’azione. Se il debito è pacifico, l’opposizione strumentale non porterà lontano.

In mancanza di motivi di opposizione, se il debitore ha comunque bisogno di tempo, può provare a ottenere una sospensione consensuale: ad esempio, se sta negoziando con la banca, può chiedere alla banca di differire volontariamente l’azione esecutiva (magari in cambio di un piccolo pagamento). Oppure, come visto, può attivare una procedura concorsuale che impone lo stop: una volta depositata una domanda di concordato o una richiesta di misure protettive in composizione negoziata, quel pignoramento in corso dovrà fermarsi.

Nel caso di pignoramento presso terzi (es. conto bancario bloccato), una strategia talvolta efficace è ridurre la posizione debitoria in modo da scendere sotto soglie di impignorabilità o convincere il creditore a liberare parzialmente. Ad esempio, se il Fisco pignora il conto per €100k, pagando una parte e ottenendo rateazione sul resto, l’Agente della Riscossione sospenderà il pignoramento (la legge impone la sospensione in caso di concessione di dilazione su cartella già pignorata).

Specifichiamo poi alcuni casi particolari: – Ipoteca esattoriale su un immobile: non è propriamente un’esecuzione (nessun bene venduto immediatamente), ma un vincolo per il futuro. Per difendersi: si può ricorrere contro l’ipoteca se il debito è sotto soglia (€20k per Equitalia) o se l’iscrizione è stata fatta senza preavviso. Altrimenti, si può solo pagare il debito (o dilazionarlo) per ottenere la cancellazione. – Fermo amministrativo su veicoli: pure qui, l’unica è pagare/dilazionare o, se ci sono errori (preavviso mancante, uso del veicolo strumentale all’attività, ecc.), fare opposizione amministrativa.

In generale, l’arma più efficace per bloccare le esecuzioni quando i motivi di contestazione mancano è quella concorsuale: concordato preventivo o misure protettive di una composizione negoziata. Non a caso, molti imprenditori depositano una domanda di concordato “in bianco” proprio per congelare un’asta imminente di un immobile aziendale. Bisogna ricordare però che il concordato non può essere usato in mala fede solo per guadagnare tempo: se risulta presentato senza reali prospettive di piano, verrà dichiarato inammissibile e le esecuzioni ripartiranno (con possibili sanzioni per abuso del processo).

Dal punto di vista pratico: il nostro imprenditore, se ad esempio vede arrivare un pignoramento dei macchinari dalla banca, deve valutare: – C’è un errore o posso obiettare qualcosa? (titolo invalido? importo sbagliato?) – Ho margine per trattare con la banca una sospensione volontaria? magari proponendo di vendere io un macchinario e dargli il ricavato evitando asta). – Sto predisponendo un concordato o accordo? Allora magari conviene dirmi disponibile a includere bene la banca in quell’accordo, e nel frattempo chiedo al tribunale misure protettive, così il pignoramento si blocca subito .

Ricordiamo che i creditori muniti di pegno o ipoteca possono sottrarsi in parte al blocco concorsuale se i loro beni non sono funzionali alla continuità: in un concordato liquidatorio hanno diritto di iniziare/continuare l’azione esecutiva sul bene, salvo ordine contrario del tribunale (art. 54 CCII). Però, se il piano li soddisfa adeguatamente, di solito stanno fermi.

Prevenire o contrastare un’istanza di fallimento (liquidazione giudiziale)

Quando uno o più creditori, stanchi di attendere, presentano ricorso per la dichiarazione di fallimento (liquidazione giudiziale) dell’azienda debitrice, ci si trova in una situazione critica. Difendersi da un’istanza di fallimento significa convincere il tribunale a non emettere la sentenza di apertura; in alternativa, ritardarne l’esito abbastanza da mettere in campo soluzioni alternative.

Le possibili linee difensive: – Contestare lo stato di insolvenza: Il presupposto del fallimento è l’insolvenza. Se l’impresa è in realtà ancora in grado di pagare i debiti, o la crisi è temporanea, lo si deve dimostrare. Spesso i debitori depositano memorie evidenziando che il patrimonio è superiore ai debiti, o che ci sono trattative avanzate per risanare (es. un aumento di capitale deliberato, vendite di asset in corso i cui proventi estingueranno i debiti). Se il giudice ritiene che l’insolvenza non sia accertata o sia reversibile, può rigettare o rinviare l’istanza. – Contestare la legittimazione del creditore istante: ad esempio eccepire che il credito vantato dal ricorrente non è liquido ed esigibile, oppure è sub iudice. Se l’unico creditore istante ha un credito contestato in causa civile, l’istanza non dovrebbe essere accolta (il tribunale vuole debiti certi). Anche la soglia dei 30 mila euro: se l’istante non la raggiunge, l’istanza è inammissibile. – Dimostrare di essere “sotto soglia”: se l’impresa è di dimensioni minime (ricavi, attivo, debiti sotto i limiti di legge) può eccepire di non essere soggetta a fallimento. Il tribunale compirà delle verifiche. Se effettivamente è piccolo imprenditore, l’istanza va rigettata (il creditore semmai dovrà attivare le procedure da sovraindebitamento). – Chiedere la conversione in composizione negoziata: il CCII prevede che alla prima udienza pre-fallimentare, se il debitore dichiara di aver avviato trattative per un accordo o un concordato, il tribunale può rinviare fino a 30-60 giorni per consentire la formalizzazione del piano (art. 44 CCII). Quindi il debitore può dire: “Vostro onore, sto depositando a giorni un concordato preventivo/ho avviato la piattaforma di composizione negoziata”, e il tribunale gli darà tempo. Tuttavia, questo è a discrezione e solo se c’è parvenza di serietà. Non può essere un pretesto dilatorio nudo e crudo. – Deposito di un ricorso di concordato preventivo: se l’istanza di fallimento non è stata ancora decisa, il debitore può depositare (anche il giorno prima dell’udienza) una domanda di concordato preventivo. Ciò causa per legge la sospensione della procedura pre-fallimentare e la prelazione del concordato. Il tribunale esaminerà prima il concordato; se poi questo dovesse venir dichiarato inammissibile o non omologato, solo allora riprenderà il procedimento di fallimento. Di fatto il concordato in bianco è spesso usato come “scudo” contro un fallimento pendente. È del tutto legittimo, purché poi si dia seguito serio (presentando un vero piano). – Accordo transattivo con il creditore istante: se c’è un singolo creditore (ad esempio una banca) che ha fatto l’istanza, il debitore può trattare con quello: magari pagandogli una parte rilevante del suo credito subito in cambio della rinuncia all’istanza. Se l’accordo va a buon fine, il creditore ritira l’istanza e il procedimento viene chiuso. Bisogna però stare attenti: se vi sono più creditori o se altri si sono insinuati in udienza appoggiando la richiesta, servirà sistemarli tutti. – Opporsi a irregolarità procedurali: raramente rilevante, ma ad esempio se la notifica del ricorso di fallimento non è stata fatta correttamente al debitore, questi può chiederne la nullità e ottenere un rinvio (guadagnando tempo).

Il tempo è un fattore cruciale: l’istanza di fallimento tipicamente viene discussa nell’arco di qualche mese (tra notifica, udienza e decisione). Il debitore deve muoversi rapidamente per mettere in campo una soluzione alternativa credibile. Spesso, come detto, la presentazione di un concordato preventivo è la mossa più efficace: “congela” la procedura e la rimpiazza con un contesto più favorevole al debitore. Tuttavia, non va abusata: se un debitore presenta un concordato in bianco privo di reale prospettiva e poi lo fa decadere solo per prendere tempo, rischia guai (ad esempio potrebbe essere considerato con maggiore severità in eventuali conseguenze penali, o il successivo fallimento potrebbe essere dichiarato con sentenza immediata di bancarotta impropria per aggravamento doloso).

Una volta dichiarato il fallimento (liquidazione giudiziale), le possibilità di “annullarlo” sono limitate: – Ci sarebbe il reclamo in corte d’appello (art. 18 L.F., ora art. 124 CCII) entro 30 giorni, ma serve trovare un vizio di merito (insussistenza insolvenza) o di procedura. Se l’imprenditore trova i fondi e paga tutti nel frattempo, può chiedere la revoca per cessazione della materia del contendere, ma è raro. – Oppure, come visto, proporre un concordato di cui sopra per chiuderlo in breve.

In ogni caso, la miglior difesa dal fallimento è l’attacco: anticipare i creditori, attivando per tempo le procedure volontarie (concordato o accordi) ed evitando di accumulare troppi insoluti. Se un creditore grosso è isolato e minaccia fallimento, a volte può convenire soddisfarlo (magari vendendo un asset) per prendere tempo di ristrutturare con gli altri.

Esempio pratico: un fornitore ha depositato istanza di fallimento contro Alfa Srl. Alfa Srl: – Verifica che il credito del fornitore è di €40k confermato da sentenza (quindi valido, sopra soglia). – Sa di essere di dimensioni non piccole, quindi non può eccepire l’esonero. – L’insolvenza c’è perché non paga molti altri debiti. – Decide allora di correre ai ripari: contatta il fornitore e offre un pagamento del 30% subito se questi ritira l’istanza. Se il fornitore accetta, bene. Se no, Alfa Srl deposita due settimane prima dell’udienza un ricorso prenotativo di concordato preventivo. L’udienza pre-fallimentare verrà rinviata; Alfa Srl nel frattempo formalizza un piano concordatario offrendo il 35% ai chirografari. Il fornitore, a quel punto, parteciperà come creditore al voto. – Se il concordato riesce, Alfa Srl evita il fallimento. Se per qualche motivo il concordato non decolla (creditori contrari), allora il fallimento verrà dichiarato più tardi. Ma Alfa Srl ha comunque guadagnato alcuni mesi e mostrato al tribunale la propria buona fede (il che aiuta a evitare accuse di aggravamento).

Da notare: con il CCII, la tendenza dei tribunali è di incoraggiare concordati e soluzioni negoziate, quindi spesso concedono al debitore il beneficio del dubbio rinviando l’udienza se vedono iniziative serie. Non rispondere all’istanza di fallimento è l’errore peggiore: se il debitore nemmeno si presenta in udienza o non presenta memorie, dà l’impressione di rassegnazione e insolvenza conclamata, e la sentenza di fallimento arriva spedita.

Abbiamo così coperto le strategie difensive del debitore sia sul piano negoziale/preventivo sia sul piano processuale immediato. A questo punto, consolidiamo le conoscenze acquisite rispondendo ad alcune domande frequenti in materia, e successivamente illustrando un caso pratico ispirato ad una tipica azienda meccanica indebitata, in modo da vedere come tutte queste nozioni possono applicarsi concretamente.

Domande e risposte frequenti (FAQ)

D: Il titolare (imprenditore) risponde con il proprio patrimonio dei debiti dell’azienda?
R: Se l’azienda è una società di capitali (S.r.l., S.p.A.), vige la separazione patrimoniale: per legge i debiti sociali si soddisfano sul patrimonio della società e non su quello personale dei soci o amministratori. Quindi, di regola, il titolare non rischia la casa o i risparmi personali per debiti contratti dalla società . Fanno eccezione: – Garanzie personali: se il socio/amministratore ha firmato fideiussioni (es. verso banche) o cambiali personali, quei creditori potranno agire sul patrimonio personale in forza di tali garanzie. – Debiti verso Fisco e INPS in caso di violazioni: pur non essendovi responsabilità patrimoniale diretta, se l’amministratore ha omesso il versamento di ritenute fiscali o contributive, può incorrere in sanzioni personali e in reati penali (es. omesso versamento IVA oltre soglia) con possibile sequestro di beni personali a fini di confisca. Inoltre, in caso di frodi fiscali gravi, l’Agenzia Entrate può tentare azioni di responsabilità patrimoniale (per esempio, nel caso di illeciti tributari che ledono il credito erariale). – Società di persone e ditte individuali: qui non c’è schermo patrimoniale. Nelle snc e sas i soci (illimitatamente responsabili) e l’imprenditore individuale rispondono con tutti i propri beni dei debiti aziendali (illimitatamente e solidalmente). Tali soggetti possono però accedere alle procedure di sovraindebitamento e all’esdebitazione, similmente alle società. – Responsabilità per mala gestio: se la società fallisce e risulta che gli amministratori hanno aggravato il dissesto con atti imprudenti o illegali, il curatore può agire contro di loro per il risarcimento dei danni. In tal caso il patrimonio personale dell’amministratore diventa aggredibile in sede di azione di responsabilità. Questo non è per ripagare specifici debiti, ma per rifondere la massa dei creditori del danno causato. Ad esempio, proseguire l’attività con capitale azzerato aumentando il buco può generare un danno presunto pari all’aggravamento del passivo, di cui gli amministratori rispondono ex art. 2486 c.c. . – Reati concorsuali: in caso di bancarotta fraudolenta, è prevista anche confisca per equivalente sui beni personali del responsabile.

In sintesi, per S.r.l. e S.p.A. non c’è responsabilità patrimoniale automatica del titolare. Ma è chiaro che in fase di crisi spesso i soci sono chiamati dalle banche a garantire personalmente nuovi affidamenti, e in generale se la gestione è scorretta possono subentrare responsabilità risarcitorie. Il socio che non abbia prestato garanzie e abbia agito correttamente normalmente non perde nulla oltre al capitale investito nella società.

D: Cosa rischia penalmente e civilmente l’amministratore se l’azienda fallisce?
R: Sul piano civile, come detto sopra, l’amministratore può essere citato in giudizio dal curatore fallimentare con un’azione di responsabilità per atti di cattiva gestione. Se il tribunale accerta che ha violato i suoi doveri (ad es. non ha convocato i soci dopo perdita capitale, ha preferito alcuni creditori su altri a ridosso del fallimento, ha dissipato risorse), lo condannerà a risarcire i creditori del danno. La legge semplifica la prova del danno con criteri presuntivi (differenza netti patrimoniali) , quindi l’amministratore rischia seriamente di dover rispondere di centinaia di migliaia/milioni di euro se ha ritardato troppo la dichiarazione di insolvenza . Tuttavia, se ha operato diligentemente e la crisi deriva da cause esterne, difficilmente verrà ritenuto responsabile.

Sul piano penale, i rischi sono legati ai reati di bancarotta: – Bancarotta fraudolenta (artt. 322-323 CCII, ex art. 216 L.F.): punisce con pene detentive 3-10 anni l’amministratore che, prima o durante il fallimento, sottrae o occulta beni della società (distrazione), trucca le scritture contabili per occultare il dissesto, simula crediti inesistenti, paga preferenzialmente un creditore a scapito di altri nei giorni antecedenti il fallimento, o commette altre frodi. È un reato gravissimo e purtroppo non raro. Per evitarlo, l’amministratore deve astenersi da qualunque operazione di spoliazione del patrimonio e tenere una contabilità regolare e trasparente. – Bancarotta semplice (art. 324 CCII, ex art. 217 L.F.): punisce con pene minori (max 2 anni) condotte meno dolose ma comunque colpose come: aver aggravato il dissesto con spese personali eccessive, aver ritardato il fallimento per semplice imprudenza (es. “testardaggine” senza prospettive), non aver tenuto i libri in ordine. È meno infamante, ma comunque una condanna penale. – Altri reati connessi: false comunicazioni sociali (bilancio falso), omesso versamento contributi (oltre 10k annui), omesso versamento IVA (oltre 250k per periodo d’imposta) – anche questi possono concorrere.

Quindi l’amministratore che si trova in crisi deve fare estrema attenzione a non compiere passi falsi: non “salvare il salvabile” per sé lasciando vuota la società (sarebbe distrazione punibile), non pagare solo amici o garantiti a detrimento degli altri a insolvenza conclamata (bancarotta preferenziale), non abbandonare i libri contabili al disordine (bancarotta documentale), non perseverare nell’attività con azzardo morale (potrebbe configurare bancarotta semplice). Molto meglio, al contrario, attivare le procedure di legge (concordato, ecc.) e gestire la crisi alla luce del sole: in tal caso, anche se poi si finisce in fallimento, il comportamento sarà considerato virtuoso e difficilmente scatteranno imputazioni (anzi, l’art. 324 CCII prevede espressamente la non punibilità per bancarotta semplice in caso di ricorso tempestivo agli strumenti di regolazione della crisi).

D: L’azienda ha debiti fiscali ingenti: è possibile ridurli o ottenere stralci su IVA, tasse e contributi?
R: Sì, oggi è possibile ristrutturare anche i debiti verso il Fisco e l’INPS nell’ambito di procedure concorsuali omologate: – Nel concordato preventivo o negli accordi di ristrutturazione, il debitore può proporre una transazione fiscale: ovvero pagamento parziale e/o dilazionato delle imposte e dei contributi. La legge consente di falciare anche il debito IVA e le ritenute (cosa prima vietata) a condizione che l’erario riceva almeno quanto otterrebbe in caso di liquidazione fallimentare . Dunque, se la società è decotta e il Fisco in fallimento prenderebbe 5%, si può proporre di pagare magari 10% nel concordato: il tribunale può omologare l’accordo anche se l’Erario vota contro . Questo cram-down fiscale è una conquista recente: la Cassazione 2024 ha aperto la strada omologando un concordato nonostante il “no” dell’Agenzia Entrate, perché la proposta dava più del fallimento . Oggi, quindi, i debiti tributari non sono più intoccabili: si trattano come gli altri (certo, se l’azienda ha beni, il Fisco come creditore privilegiato va soddisfatto almeno nei limiti del privilegio, ma la parte chirografaria può essere ridotta). – Fuori dalle procedure concorsuali giudiziali, rimane possibile aderire a definizioni agevolate se previste dalla legge (le cosiddette “rottamazioni delle cartelle” emanate periodicamente): ad esempio la Definizione 2023 (“rottamazione-quater”) permetteva di pagare solo l’imposta senza sanzioni né interessi su carichi affidati all’Agente Riscossione, con pagamento rateale. Queste misure però dipendono da leggi temporanee e non riducono l’imposta in sé, solo gli accessori. – Rateazioni ordinarie: l’Agenzia Entrate Riscossione concede fino a 6 anni (72 rate) per importi sotto 120k per ente, o piani più lunghi se il debitore prova difficoltà. Durante la rateazione, le azioni esecutive si fermano e i fermi/ipoteche non nuovi non si iscrivono. Questo aiuta a “respirare” ma non riduce il debito nominale (solo evita aggravi). – Stralcio di sanzioni e interessi: talvolta normative ad hoc (es. DL 119/2018) hanno permesso lo stralcio totale di sanzioni e interessi su certe pendenze. Anche il CCII prevede che in concordato la falcidia a carico di Fisco e INPS colpisce prima sanzioni e interessi (che possono essere azzerati senza problemi). – Transazione extra-giudiziale: con l’Erario e gli enti non esiste una procedura di transazione “privata” fuori dal concordato omologato. Bisogna passare per accordi ex art. 63 CCII (estensione agli enti pubblici) o per il concordato stesso. In sede amministrativa, l’Agenzia può accordare al massimo rateazioni ma non riduzioni, salvo strumenti come composizione negoziata ove può partecipare alle trattative (ma poi l’accordo va omologato). – Sovraindebitamento: per imprenditori minori e privati c’è l’istituto della ristrutturazione dei debiti del consumatore o del concordato minore: anche lì è possibile stralciare debiti fiscali, col visto dell’agente pubblico delegato che deve controllare la convenienza.

In conclusione, sì, i debiti tributari e contributivi possono essere trattati al pari degli altri nella maggior parte delle procedure di regolazione. La rigidità assoluta del passato (dove l’IVA doveva sempre essere pagata 100%) è superata . Ciò detto, l’autorità fiscale tende a chiedere di massimizzare il recupero: quindi l’imprenditore deve aspettarsi che in un concordato la Guardia di Finanza e l’Agenzia Entrate esamineranno scrupolosamente il piano per verificare che non possano prendere di più. Se la proposta è equa, tuttavia, non possono impedirla.

D: Cos’è l’esdebitazione? Chi ne può beneficiare e come ottenerla?
R: L’esdebitazione è il meccanismo giuridico per cui un debitore insolvente viene liberato dai debiti residui dopo che la procedura concorsuale ha fatto tutto il possibile per pagarli . In pratica, i creditori non possono più nulla per la parte dei loro crediti non soddisfatta. È l’equivalente del fresh start anglosassone.

Ne beneficiano in primis i debitori persone fisiche: – Se un imprenditore (o ex imprenditore) individuale è stato dichiarato in liquidazione giudiziale (fallimento), trascorsi 3 anni dall’apertura della procedura ottiene di diritto l’esdebitazione , cioè la cancellazione dei debiti rimasti insoddisfatti, a meno che abbia commesso gravi irregolarità (es. reati fallimentari) nel qual caso gliela possono revocare . Non serve nemmeno fare domanda: il tribunale decorsi i 3 anni verifica i presupposti (assenza di condanne per bancarotta fraudolenta etc.) e dichiara l’esdebitazione. Non c’è valutazione di meritevolezza soggettiva come in passato , quindi anche un debitore un po’ negligente ma non criminale viene liberato (la riforma ha voluto togliere quell’alone “premiale” e renderla un automatismo, salvo casi eclatanti). – In casi di incapienza totale, se nel fallimento non si ricava nulla per i creditori, il debitore persona fisica può chiedere l’esdebitazione subito dopo la chiusura della procedura, senza dover attendere 3 anni . È la cosiddetta esdebitazione immediata del nullatenente, introdotta per evitare inutili periodi di attesa quando è certo che i creditori non avrebbero comunque soddisfazione ulteriore. – Anche nel concordato preventivo c’è un effetto esdebitatorio: se il concordato è omologato e l’imprenditore (persona fisica) esegue la sua parte, ottiene la liberazione dai debiti eccedenti. Questa però è implicita, perché il concordato stesso li falcidia e li chiude. Discorso analogo per i piani del consumatore e le procedure di sovraindebitamento: a esecuzione completata, il giudice attesta la discharge.

Per le società di capitali, storicamente non si parlava di esdebitazione perché una volta liquidate venivano cancellate dal registro imprese (quindi non esistono più soggetti da liberare). Il CCII però ha formalmente incluso anche le persone giuridiche tra i beneficiari dell’esdebitazione , eliminando la preclusione che c’era nell’art. 142 L.F. (che limitava l’istituto ai soli imprenditori individuali) . Dunque oggi anche una S.r.l. o S.p.A. fallita è ammessa all’esdebitazione, il che significa che i creditori insoddisfatti non possono più agire neanche contro la società (ma se la società è cancellata, ciò ha valore solo per eventuali riattivazioni per sopravvenienze, etc.). Più pragmaticamente, la norma vuole evitare che, chiusa la procedura, eventuali creditori residui inseguano per anni una società “zombie” non operativa: l’esdebitazione impedisce pure questo, sancendo la fine definitiva dei rapporti obbligatori col fallito .

In sintesi, l’esdebitazione oggi scatta quasi automaticamente per chiunque sia passato da una procedura concorsuale liquidatoria: – Il piccolo imprenditore sovraindebitato la ottiene a fine liquidazione controllata (o addirittura prima, se incapiente). – L’imprenditore fallito la ottiene dopo 3 anni (salvo reati). – Il consumatore sovraindebitato pure. – Le società fallite anche (anche se per loro il tema è più teorico perché cessano di esistere).

Non ottiene esdebitazione chi si comporta fraudolentemente (condannati per bancarotta fraudolenta o reati fiscali gravi connessi, ad es., potrebbero vedersela negare) , chi durante la procedura nasconde utilità sopravvenute (ad esempio, un fallito persona fisica che vince alla lotteria mentre è in fallimento: in quel caso, se non lo segnala, i creditori potrebbero opporsi alla sua esdebitazione perché avrebbe potuto pagare di più). Ma parliamo di situazioni estreme.

D: Come funziona in concreto la composizione negoziata? L’imprenditore perde il controllo? Cosa fa l’esperto?
R: La composizione negoziata, come visto, è uno strumento volontario e confidenziale. L’imprenditore: 1. Accede alla piattaforma online, compila questionari e deposita documenti (ultimi bilanci, situazione debitoria, ecc.). Viene calcolato un score per vedere se c’è prospettiva di risanamento. 2. Viene nominato un esperto da parte di una Commissione presso la Camera di Commercio. L’esperto è indipendente e di alta professionalità. 3. L’esperto convoca l’imprenditore e discute il da farsi, poi contatta i creditori principali fissando incontri trilaterali (esperto-debitore-creditore). Tutti i soggetti coinvolti devono rispettare obblighi di riservatezza: le informazioni scambiate non possono essere divulgate né usate per nuocere all’impresa. 4. Durante la procedura, l’impresa continua ad essere gestita dall’imprenditore stesso. L’esperto non ha poteri di amministrazione (non può fare atti da solo), ma può chiedere chiarimenti, consigliare di non compiere certe operazioni pregiudizievoli e, in caso di atti gravemente lesivi (tipo vendere sottocosto beni per favoritismi), può segnalare l’abuso al tribunale. 5. Se necessario, come spiegato, l’imprenditore può chiedere al tribunale misure protettive per bloccare le azioni esecutive dei creditori per un po’ . In tal caso, l’esistenza della composizione viene pubblicata sul registro imprese (per informare i terzi dello stay in corso). Se invece non chiede misure, la procedura resta totalmente riservata e invisibile all’esterno. 6. L’esperto guida le trattative: può proporre soluzioni, redigere term sheet, fare da mediatore. Non ha potere di imporre accordi, dipende tutto dalla volontà delle parti. Egli verifica anche la fattibilità delle eventuali proposte del debitore: se il debitore offre il 50% ai creditori ma l’esperto ritiene che non abbia risorse per mantenere l’impegno, lo farà presente, perché l’obiettivo è un accordo genuino e sostenibile. 7. La procedura dura al massimo pochi mesi (fino a 6, estensibili a 8 in casi eccezionali). Se c’è uno spiraglio, l’esperto può chiedere proroghe motivate. 8. Esiti possibili: – Accordo raggiunto: si chiude lì, con o senza omologa a seconda del tipo di accordo. L’esperto scrive relazione finale positiva. – Nessun accordo: l’esperto chiude con relazione negativa. A quel punto l’imprenditore deciderà se presentare un concordato o subire altre iniziative. – Proposte alternative: l’esperto potrebbe consigliare soluzioni come ingresso di nuovi soci, vendite di asset, ecc. Se il debitore accetta e i creditori pure, ottimo. 9. Se emergono segnali di insolvibilità irreversibile e il debitore non coopera per soluzioni, l’esperto può interrompere la procedura anche prima della scadenza, per non perdere tempo.

In sintesi: l’imprenditore mantiene il controllo gestionale (non c’è commissariamento) , ma c’è un “angelo custode” (l’esperto) che lo assiste e nello stesso tempo veglia sui creditori. L’esperto è lì per trovare un punto d’incontro: ascolta i creditori (ad es. la banca dice “voglio almeno il 70% se no niente rifinanziamento”), ascolta il debitore (“posso pagare il 50% in 5 anni”), e cerca di avvicinare le posizioni. Non può obbligare nessuno ad accettare nulla. Però la sua presenza spesso aiuta a raffreddare gli animi: i creditori vedono che l’azienda sta facendo un percorso istituzionale e trasparente, dunque sono più disponibili a trattare di quanto sarebbero se il debitore li avesse approcciati informalmente (temendo magari un bluff). Inoltre, l’esperto certifica ai creditori la bontà dei dati: “ho visto i conti, effettivamente più del 50% non può darvi”. Questo aumenta la fiducia.

Per l’imprenditore è come avere un advisor super partes: diversamente dal consulente pagato da lui (che i creditori potrebbero percepire come di parte), l’esperto nominato è imparziale e quindi la sua parola ha peso. Naturalmente ciò implica che l’imprenditore deve collaborare con totale trasparenza. Se cerca di imbrogliare l’esperto, farà naufragare la procedura e peggiorerà la sua credibilità.

D: Quali sono i vantaggi di un concordato preventivo rispetto a un accordo stragiudiziale?
R: I vantaggi principali del concordato preventivo (procedura giudiziale) sono: – Effetto vincolante verso tutti i creditori: se approvato a maggioranza ed omologato, coinvolge anche i creditori dissenzienti e quelli non votanti (purché anteriori all’apertura). Un accordo stragiudiziale invece obbliga solo chi lo firma . – Automatic stay generale: con il concordato, tutte le azioni esecutive e cautelari individuali sono sospese per legge . Ciò crea un ambiente protetto dove l’azienda non subisce aggressioni. In un accordo privato, se un creditore fuori accordo vuole fare causa, può farlo. – Possibilità di imporre sacrifici (cram-down): nel concordato si possono ridurre i crediti o modificarne le scadenze anche senza il consenso individuale di ciascun creditore, basta la maggioranza. In un piano stragiudiziale serve il consenso di tutti i coinvolti: basta uno contrario per saltare. – Possibilità di sciogliersi da contratti onerosi: il CCII consente al debitore in concordato di chiedere l’autorizzazione a sciogliersi da contratti in corso se la continuazione sarebbe d’intralcio (art. 97). Esempio: un leasing immobiliare troppo caro – nel concordato si può rescindere pagando un indennizzo come credito chirografo. Ciò non è possibile in accordi privati se la controparte non accetta. – Interventi correttivi del tribunale: se alcuni creditori votano contro ma il piano conviene, il tribunale può ugualmente omologare (cram-down interclassi e fiscale) . In un accordo privato, il giudice non interviene: se un creditore non ci sta, finita lì. – Prededucibilità di nuova finanza: somme prestate all’azienda in concordato autorizzato sono prededucibili (si riprendono con priorità). In un accordo privato, i nuovi prestiti non hanno una tutela legale così forte (anche se si può contrattualmente dare garanzie reali). – Esdebitazione concorsuale: con il concordato omologato, il debitore è liberato dai debiti tagliati (è una forma di esdebitazione) . In un accordo privato, tecnicamente i creditori potrebbero, se l’accordo fallisce, pretendere di nuovo l’intero (salvo rinunce formali irrevocabili). – Controllo giudiziario e trasparenza: avere un giudice e un commissario che vigilano dà garanzie ai creditori che il piano sarà eseguito correttamente. Un accordo privato dipende interamente dalla fiducia nelle parti.

Di contro, il concordato è più rigido: – tempi lunghi e formalità; – costi (bisogna pagare almeno il commissario e le spese di procedura); – pubblicità (il mercato sa che sei in concordato, ciò può creare sfiducia in clienti/fornitori).

Ma se la situazione è di sovraindebitamento significativo e con tanti creditori, il concordato spicca come strumento in grado di riorganizzare tutto il passivo in modo coattivo, mentre un accordo stragiudiziale patisce più facilmente i free riders (creditori che non aderiscono e sperano di essere pagati al 100%).

D: Quando è consigliabile proporre un concordato preventivo?
R: È indicato quando: – L’impresa è insolvente o in crisi grave e non c’è consenso unanime tra i creditori per una soluzione informale. Se so già che alcuni creditori non accetteranno perdite volontariamente, allora con il concordato posso imporgliele se ho l’ok della maggioranza. – Quando l’esposizione debitoria è molto frammentata (tanti creditori medio-piccoli): fare un accordo con ciascuno è arduo, meglio un concordato unico dove tutti votano simultaneamente. – Quando serve tempo e protezione: se i creditori premono con pignoramenti e l’azienda è operativa, il concordato tutela l’attività e consente di continuare a operare in continuità senza essere fatta a pezzi. – Se c’è un serio piano industriale di rilancio che però richiede l’abbattimento di una parte dei debiti: il concordato in continuità è lo strumento ad hoc, perché mi permette di proporre “vi pago il 40% ma salvo la ditta e continuo a lavorare”. – Quando un creditore ha presentato istanza di fallimento: proporre un concordato è un modo per scongiurare la liquidazione giudiziale, offrendo ai creditori un’alternativa (spesso migliore). – Per sfruttare il cram-down fiscale: se ho tanti debiti col Fisco e voglio ridurli, il concordato è il contesto in cui farlo, perché fuori dovrei pagarli per intero o sperare in sanatorie. – Quando ho bisogno di rompere o modificare contratti (locazioni, forniture) troppo onerosi: col concordato posso scioglierli con l’ok del tribunale. Fuori avrei difficoltà (rischio cause per inadempimento). – In generale, quando la crisi è di entità tale che solo un meccanismo “autoritativo” può riequilibrare il tutto, ossia situazioni da cui non se ne esce se non con un haircut forzato e una regia del tribunale.

Esempio pratico: Azienda Alfa è sommersa da €5 milioni di debiti verso 200 fornitori e banche. Nessuna banca vuole darle nuovi soldi se prima non riduce il debito. Nessun fornitore lavorerà ancora se non vede un piano chiaro. La direzione può: (a) tentare un accordo su base volontaria – ma convincere 200 soggetti uno per uno è utopia; (b) aprire un concordato, bloccare i debiti, e proporre “vi do il 30% in 4 anni, nel frattempo vi pago il corrente”. Con la prospettiva che in fallimento avrebbero preso forse il 10%, probabilmente voteranno sì in molti. Così Alfa dimezza i debiti e continua a operare. Questo scenario evidenzia il tipico caso in cui il concordato è lo strumento giusto.

D: E il concordato semplificato? Chi e quando può usarlo?
R: Il concordato semplificato per la liquidazione è, come visto, un’opzione post-composizione negoziata fallita . Non è a libera scelta dell’imprenditore usarlo in qualsiasi momento; è riservato a chi ha provato la composizione negoziata senza successo. Se quell’imprenditore comunque vuole evitare il fallimento e ha un piano di liquidazione, può innescare il semplificato per chiudere rapidamente la storia.

Quindi, quando usarlo: – Se l’azienda non è più salvabile come attività, ma si può vendere a pezzi in modo ordinato evitando la dispersione da fallimento. – Se c’è un’offerta concreta (o potenziale) per rilevare asset o l’intera azienda in dismissione. – Se i creditori sono destinati comunque a subire perdite ingenti, ma c’è margine per dare loro qualcosa in tempi più brevi rispetto al fallimento (che può durare anni). – Se la composizione negoziata ha evidenziato l’impossibilità di trovare investitori o accordi di ristrutturazione, e l’esperto stesso suggerisce la liquidazione come unica via. – Insomma, è un piano B di chiusura decente.

Per esempio, la nostra Alfa Srl dopo 4 mesi di negoziazione non trova accordi di continuità. Allora predispone un concordato semplificato offrendo ai creditori il ricavato di vendite dei macchinari e del capannone. I creditori non voteranno, il tribunale deciderà. Conviene usarlo piuttosto che attendere il fallimento su istanza di creditori, perché: – Il debitore può ancora guidare la proposta (nel fallimento subirebbe e basta). – Si risparmia tempo (il semplificato si chiude magari in 6-9 mesi, un fallimento in 3-4 anni). – Il liquidatore nominato venderà secondo il piano proposto, magari a valori migliori di un’asta pubblica. – Il debitore esce “pulito” con esdebitazione più veloce e senza marchio di fallito.

D: Se l’azienda non può pagare i dipendenti e i fornitori, è meglio chiudere subito?
R: Dipende. Chiudere subito (cioè liquidare volontariamente la società) può essere saggio se: – Non c’è alcuna prospettiva di recupero dell’equilibrio economico. – L’attività non ha valore come going concern (azienda non più competitiva, settore in declino totale). – Si riescono a pagare almeno i debiti privilegiati (dipendenti, Fisco) col patrimonio esistente. In tal caso liquidare in bonis evita procedure concorsuali e gli amministratori adempiono al dovere di non aggravare il dissesto. – In ogni caso, se la continuazione aggraverebbe solo il passivo, meglio fermarsi: questo elimina il rischio di responsabilità per aggravamento del dissesto ex art. 2486 c.c.

Tuttavia, se l’azienda ha ancora ordini, competenze, mercato, forse vale la pena tentare un risanamento. Spesso non pagare per un periodo fornitori e dipendenti è reversibile se si attua un concordato o accordo e poi si riparte. L’importante è agire legalmente: – Se non si pagano gli stipendi, attivare subito ammortizzatori sociali (es. cassa integrazione) per il personale, cosicché non restino senza reddito (e l’INPS pagherà in parte). – Se non si pagano fornitori, parlare chiaro con loro, spiegare che si sta predisponendo un piano e chiedere di attendere un po’ invece di fare decreti ingiuntivi. – Non accumulare troppi debiti nuovi: se si vede che non si è in grado di pagare neanche il corrente, allora perseverare è sbagliato. Invece, se col piano si riesce a pagare almeno il corrente (ad es. merce consegnata in concordato viene pagata per cassa), allora la continuazione può funzionare.

Quindi, non c’è una risposta univoca. Dal punto di vista legale: – Mai aggravare colpevolmente il passivo: se continuare l’attività peggiora la situazione senza realistica via d’uscita, allora sì, meglio chiudere o portare i libri in tribunale (richiesta di liquidazione giudiziale). – Se c’è un barlume di risanamento, gli strumenti di concordato o accordo possono salvare capra e cavoli: l’impresa può sopravvivere e i creditori prenderebbero di più così che non in una chiusura immediata. In questi casi conviene provare a salvarla, perché la legge oggi premia chi tenta il risanamento tempestivamente.

Esempio: se ho un portafoglio clienti e un brevetto di macchina confezionatrice innovativa, ma ho debiti per investimenti sbagliati, chiudere sarebbe uno spreco. Meglio un concordato in continuità, magari cedendo ramo d’azienda a un investitore che porta soldi freschi con cui pagare creditori in percentuale. Se invece l’azienda ha perso la sua commessa principale e non ha più ragione di esistere sul mercato, allora proseguire significherebbe solo accumulare altri debiti inutilmente: in tal caso chiudere (o un concordato liquidatorio/semplificato) è la scelta responsabile.

D: Cosa succede se l’azienda non paga gli stipendi o i contributi ai dipendenti?
R: Omettere pagamenti ai lavoratori ha implicazioni serie: – Vertenze di lavoro: i dipendenti possono dimettersi per giusta causa (mancato pagamento stipendio è giusta causa) e fare causa per le somme dovute. Ottengono decreti ingiuntivi rapidi e possono pignorare c/c aziendali. Inoltre, il clima in azienda peggiora drasticamente e la produttività crolla. – Interventi INPS (Fondo di Garanzia): se l’azienda fallisce o va in concordato, gli stipendi degli ultimi 3 mesi e il TFR non pagati saranno anticipati dal Fondo di Garanzia INPS ai lavoratori, dopodiché l’INPS subentra come creditore privilegiato nella procedura. Ciò tutela i lavoratori, ma significa che se si arriva a questo punto la situazione occupazionale è compromessa (si perde il lavoro). – Contributi non versati (parte a carico del datore): generano un debito verso l’INPS con privilegio. Inoltre, se i contributi sono omessi > €10.000 annui, scatta la fattispecie penale (art. 2 comma 1-bis D.L. 463/83) con ammenda o reclusione. Però la legge consente l’estinzione del reato pagando tutto il dovuto prima del giudizio. – Contributi trattenuti ai dipendenti e non versati (es. quote a carico lavoratore): anche questo integrava reato (ora depenalizzato sotto €10k, sopra è sanzionato amministrativamente): in ogni caso è un illecito. – Sanzioni civili: l’INPS applica sanzioni e interessi per ritardati versamenti, che fanno lievitare il debito.

Dunque, non pagare i dipendenti deve essere l’ultima risorsa. Se succede, l’imprenditore dovrebbe: – Comunicare chiaramente la situazione e cercare un accordo con il personale (es. riduzione orario, cig). – Attivare, se in crisi, un concordato o accordo includendo il pagamento almeno parziale dei crediti di lavoro come priorità. – Considerare che in concordato i crediti per salari sono prededucibili o comunque privilegiati: quindi nel piano vanno pagati al 100% (o comunque c’è l’intervento del Fondo di Garanzia). Ciò significa che vanno trovate risorse per loro, prima di altri chirografari. – Se l’azienda non riesce più a pagare i dipendenti e non ha prospettive di recuperarli, deve valutare la cessazione immediata dell’attività per non far lavorare gratis le persone (il che aggraverebbe il debito e sarebbe anche ingiusto verso di loro).

Non da ultimo, l’amministratore rischia personalmente sul penale come accennato. Anche sul civile: contributi dipendenti non versati se l’azienda poi sparisce, in casi di dolo il dipendente potrebbe addirittura tentare un’azione di responsabilità verso gli amministratori.

In conclusione, se proprio non può pagare, l’azienda deve portare i libri in tribunale al più presto, così i dipendenti potranno accedere al Fondo di Garanzia e all’eventuale Cassa integrazione straordinaria per fallimento (tipo procedura concorsuale). Procrastinare senza pagare stipendi vuol dire tradire la fiducia dei propri collaboratori e accumulare rischi legali. Quindi, difendersi dai debiti verso i dipendenti significa: pagarli come creditori prioritari in ogni piano e usare gli strumenti di supporto pubblico.

D: Se la mia azienda fa un accordo stragiudiziale con le banche, gli altri creditori ne sono vincolati?
R: No, un accordo privato vincola solo i partecipanti. Ad esempio, un “accordo di moratoria” con le banche (sottoscritto dall’80% delle banche) può essere esteso alle banche dissenzienti solo se viene omologato dal tribunale come accordo di ristrutturazione con efficacia estesa . Ma se rimane a livello contrattuale, i creditori estranei (fornitori, Fisco, etc.) non sono toccati: potranno agire liberamente per il loro credito.

Questo è uno dei limiti degli accordi ad hoc: uno può ristrutturare il debito bancario (ad es. convertendo parte di esso in capitale), ma i fornitori piccoli che sono rimasti fuori schema potrebbero nel frattempo portarlo in tribunale. Come evitare ciò? Possibili strategie: – Inserire quanti più creditori possibile nell’accordo o farne accordi paralleli (un multi-party workout). – Usare contestualmente uno strumento giudiziario per proteggersi dai terzi non aderenti: per es., depositare un concordato in bianco per ottenere la sospensione delle azioni e poi chiedere di omologare l’accordo con le banche come accordo ex 57 CCII, integrandolo con un mini-piano per chirografari (anche fosse pagamento 5%). – Oppure, se i creditori estranei sono piccoli, magari pagarli integralmente “fuori” mentre si fa l’accordo con i grandi per abbattere il grosso del debito.

In generale, solo le procedure concorsuali possono imporre ai non aderenti. Dunque un accordo stragiudiziale va bene finché tutti i principali creditori sono d’accordo. Se anche uno importante rimane fuori, è rischioso. Ad esempio, supponiamo Alfa Srl convinca le banche a dilazionare e ridurre i loro crediti, ma un grosso fornitore non aderisce: quell’accordo di per sé non impedisce al fornitore di pignorare i conti e far saltare la ristrutturazione. A meno che Alfa non lo paghi a parte.

Quindi, se rimangono creditori importanti non coinvolti nell’accordo, conviene farlo diventare un accordo omologato. L’omologa dà protezione (stop azioni per 60 giorni, etc.) e consente, come nel caso del fisco, di includere forzosamente anche chi non firma se normative speciali lo permettono (ad esempio, l’art. 61 CCII per banche dissenzienti con 75% consenzienti). Senza omologa, l’accordo è come un contratto qualsiasi: non ha forza di legge per i terzi.

D: Posso proteggere alcuni beni dell’azienda (o personali) dal rischio di esecuzione o fallimento?
R: Se si parla di beni aziendali, durante la crisi è molto difficile “metterli al riparo” senza incorrere in rischi di revocatoria o peggio. Trasferire beni dall’azienda ai soci o terzi per salvarli dai creditori è tipicamente un caso da azione revocatoria fallimentare (se avviene nell’anno o due prima del fallimento, il curatore li fa tornare indietro) o addirittura bancarotta fraudolenta se fatto in malafede a danno dei creditori . Quindi non si deve fare. Piuttosto, conviene ricorrere agli strumenti leciti: – Pegno o ipoteca a garanzia di nuovi finanziamenti: se un bene libero viene dato in garanzia per un nuovo finanziamento prededucibile che serve al risanamento, quell’atto è difficilmente attaccabile perché fatto nell’interesse dell’impresa (e la legge ora privilegia la finanza interinale). – Trust o fondi patrimoniali: costituire trust o vincoli su beni aziendali in prossimità della crisi è revocabile e spesso inefficace (oltre che potenzialmente configurare distrazione). Diverso sarebbe stato farlo in tempi non sospetti con scopi leciti. – Vendere beni per pagare alcuni creditori: attenzione, pagare selettivamente alcuni e non altri quando già si è insolventi può portare a revocatoria (pagamenti preferenziali nei 6 mesi prima del fallimento) o bancarotta preferenziale. Quindi vendere un macchinario e con il ricavato pagare solo la banca con ipoteca può essere contestato se ciò ha leso altri. Meglio, se si vuole liquidare un asset, farlo dentro una procedura concordataria dove la destinazione del ricavato è autorizzata e nota.

Per i beni personali del socio/amministratore: qui il discorso è diverso perché i creditori dell’azienda non possono aggredirli (salvo garanzie prestate). Se però il socio è anche garante, allora i suoi beni personali sono a rischio esecuzione se l’azienda non paga. Può pensare di: – Proteggere beni di famiglia per tempo: ad es. costituire un fondo patrimoniale per la casa coniugale o donare a familiari. Tuttavia, queste operazioni se fatte quando i debiti sono già in essere e c’è insolvenza sono attaccabili con azione revocatoria ordinaria (5 anni) e, se seguite da fallimento, con revocatoria fallimentare (2 anni se gratuito). E se fatte in frode ai creditori, pure i creditori chirografari possono revocarle entro 5 anni ex art. 2901 c.c. Quindi, farle all’ultimo momento è inefficace e potenzialmente configura la distrazione (perché se il socio ha garanzie, quei beni servivano a garanzia). – Assicurazioni o polizze vita: somme versate in polizze vita non sono pignorabili finché la polizza è in corso, e di solito neppure revocabili se fatte prima della crisi. Ma se il curatore prova che erano fatte per frodare (ad esempio spostare liquidità), potrebbe contestare l’operazione. – In generale, l’unico modo “sicuro” è non impegnare beni personali per debiti aziendali sin dall’inizio. Se ciò è troppo tardi (garanzie già date), allora l’unica salvezza è pagare quel debito garantito tramite la procedura concordataria, così da liberare la garanzia personale.

All’interno di un concordato preventivo, c’è una possibilità: i garanti e coobbligati non sono protetti dallo stay (i creditori possono agire su di loro), però il CCII offre uno scudo indiretto: se i garanti pagano, subentrano surrogandosi ma restano vincolati ai termini del concordato (art. 120 CCII). Inoltre, per convincere i soci a mettere denaro, a volte si prevede in concordato che ai garanti che versano X venga liberata la garanzia. Sono costruzioni possibili.

Riassumendo: proteggere beni dal fallimento è concetto spinoso. Tutto ciò che appare come spostare ricchezza fuori dalla portata dei creditori quando la crisi è in atto può ritorcersi contro il debitore (revocatorie, responsabilità, reati). La miglior protezione è usare la legge a proprio vantaggio – ad esempio, se il socio ha un bene personale su cui la banca ha ipoteca (garanzia), può proporre in concordato che la banca escuta quel bene e si considera soddisfatta, e chiedere esdebitazione per l’eventuale residuo. Oppure vendere quel bene e mettere i soldi nel concordato per pagare i creditori: in questo modo, paradossalmente, il socio “sacrifica” un bene ma salva il resto perché i creditori accettano la soluzione e non vanno oltre.

In conclusione, tentativi fai-da-te di occultamento beni di solito fanno più danni che altro. Meglio affrontare il problema apertamente con le procedure. L’unico momento in cui proteggere il patrimonio personale ha senso è ben prima di incorrere in debiti (pianificazione asset protection in tempi non sospetti). Durante la crisi, le manovre emergenziali vengono quasi sempre smontate.

Ora che abbiamo chiarito molti dubbi teorici, passiamo all’esempio pratico promesso, dove vedremo un caso realistico di azienda di macchine confezionatrici in crisi e le decisioni che il suo titolare si trova ad affrontare.

Caso pratico: Alfa Packaging S.r.l. – dalla crisi alla soluzione

Profilo dell’azienda: Alfa Packaging S.r.l. è un’impresa manifatturiera con sede in Lombardia, attiva da 15 anni nella produzione di macchine confezionatrici industriali per il settore alimentare. Ha 50 dipendenti, un capannone di proprietà gravato da mutuo, diversi macchinari in leasing e un portafoglio clienti internazionale. Negli ultimi anni ha sofferto un calo di ordini e ritardi nei pagamenti da parte di un paio di grossi clienti esteri in difficoltà. Al 2024 presenta la seguente situazione finanziaria: – Debiti bancari: €2 milioni (mutuo ipotecario residuo €1M su capannone, €500k scoperti di conto e anticipo fatture, €500k leasing macchinari). – Debiti verso fornitori: €1,5 milioni (di cui €300k > 90 giorni). – Debiti tributari: €800k con Agenzia Riscossione (IVA 2022 non versata €200k; varie cartelle per IRES/IRAP di anni passati €400k; sanzioni e interessi €200k). Inoltre, debiti IVA correnti non ancora a ruolo €150k. – Debiti previdenziali: €120k verso INPS (contributi dipendenti ultimi 6 mesi). – Debiti verso dipendenti: due mensilità arretrate a fine 2024 (circa €150k) e TFR maturato €400k. – Attivo: capannone periziato €1,2M; macchinari valore di libro €800k (valore realizzo forse €400k); magazzino materie prime €300k; crediti verso clienti €600k (di cui €200k scaduti da >6 mesi, incasso incerto). Cassa praticamente zero.

L’azienda è in evidente stato di crisi da vari mesi: fatica a pagare i fornitori (che minacciano stop consegne), le banche hanno segnalato sconfinamenti e ridotto affidamenti, alcuni dipendenti hanno iniziato a protestare per gli stipendi. Il bilancio 2023 si è chiuso con perdita significativa che ha eroso più di 1/3 del capitale, ma i soci non hanno ancora deliberato alcunché.

Scenari e decisioni dal punto di vista del debitore (amministratore):

  1. Rilevazione dei segnali di allarme (gennaio 2024): Il CFO di Alfa Packaging evidenzia che:
  2. Gli indici di cui all’art. 3 CCII sono sforati: debiti verso fornitori > debiti non scaduti, retribuzioni scadute oltre metà mensile, debito banche oltre 5% affidamenti. Insomma, allerta interna rossa.
  3. A dicembre 2023 sono arrivate due PEC: una da Agenzia Entrate per debito IVA 3° trimestre €50k non versato (supera €5k e 10% volume affari) e una da INPS per contributi arretrati €120k (>€15k e >30% dovuti anno precedente) . Entrambe invitano a richiedere la composizione negoziata . Queste sono allerta esterna formale.
  4. Il collegio sindacale, avendo ricevuto per conoscenza queste PEC, convoca il CDA ammonendo che secondo loro l’azienda è in crisi conclamata e suggerisce di attivare immediatamente strumenti di composizione (obbligo vigilanza ex art. 14 CCII).

L’amministratore di Alfa, vista la situazione, deve agire: non può ignorare questi segnali. Decide, di concerto col legale e il commercialista, di aderire all’invito e provare la strada della composizione negoziata, ritenendo che forse l’azienda si può salvare se ottiene dilazioni e magari un partner finanziario.

  1. Avvio composizione negoziata (febbraio 2024): Alfa S.r.l. presenta istanza tramite la piattaforma online . Dalla checklist emergono punteggi critici ma ancora con prospettiva di risanamento (c’è portafoglio clienti interessante, ma serve ridurre costi e debiti). Viene nominato come esperto il dott. Gamma, commercialista con ventennale esperienza in crisi d’impresa.
  2. Misure immediate: su consiglio del legale, Alfa deposita subito al tribunale un ricorso per misure protettive, allegando una bozza di piano: la ragione è che una banca aveva minacciato di revocare i fidi e portare immediatamente a pignoramento i crediti anticipati (notificando già un atto di precetto per 100k). Il tribunale, visto lo stato di crisi conclamato ma la presenza di trattative in corso, concede un decreto di sospensione delle azioni esecutive per 3 mesi . Così la banca e gli altri creditori non possono procedere intanto.
  3. La composizione negoziata si svolge con riunioni: l’esperto Gamma analizza i conti. Stima che l’azienda potrebbe risanarsi se si riducesse l’indebitamento di circa il 50% e se entrasse liquidità per €500k per finanziare il circolante.
  4. Trattative con creditori:
    • Le banche: Alfa ha 3 banche esposte. Gamma organizza un incontro con tutte. Propone: consolidamento dei fidi in un unico finanziamento a 7 anni, moratoria di 1 anno sui pagamenti, conversione di €200k interessi in partecipazione al capitale sociale. Due banche si mostrano collaborative, una terza (con piccolo credito €100k chirografo) tentenna. Gamma suggerisce che eventualmente si potrà imporre via accordo ad efficacia estesa (75%). Le banche chiedono però che i soci mettano qualcosa (fresh money).
    • I fornitori: principale fornitore di materiali (credito €400k) è disposto ad uno stralcio del 30% se contestualmente Alfa gli garantisce ordini per i prossimi 2 anni (vuole mantenere il cliente). Altri piccoli fornitori (crediti <€20k) reclamano almeno metà del dovuto. L’esperto pensa di proporre un pagamento parziale in 12 mesi per tutti, con percentuale media 40%.
    • Il Fisco: Gamma contatta Agenzia Entrate Riscossione con delega di Alfa. Propone una bozza di transazione fiscale: pagamento di IVA 2022 al 40%, e stralcio totale sanzioni e interessi, dilazionato in 5 anni. AER risponde che deve vedere un piano formalizzato, ma in linea di massima, se c’è un omologa, seguiranno la legge (accetteranno se > liquidazione). L’IVA per ora resta “congelata” dallo stay.
    • Dipendenti: qui la situazione è critica. L’esperto e l’azienda incontrano i sindacati: spiegano che senza un accordo l’azienda rischia il fallimento e tutti perderebbero il posto. Si concorda per marzo-aprile 2024 un periodo di Cassa Integrazione straordinaria per crisi per 20 dipendenti, così gli arretrati stipendiali vengono in parte assorbiti dagli ammortizzatori. I dipendenti accettano di attendere il piano per TFR e mensilità arretrate, confidando che in caso di concordato comunque interverrà il Fondo di Garanzia.
  5. Nuovo investitore? Gamma contatta un concorrente tedesco (Beta GmbH) che in passato aveva mostrato interesse a una partnership. Beta valuterebbe di entrare con capitale se Alfa riduce i debiti (non vuole finanziarsi le banche italiane) e se ottiene il 51%. Offre informalmente €1 milione per aumentare capitale post-stralcio. Questa è una notizia ottima: il piano di risanamento potrebbe fondarsi su questo apporto.
  6. Stesura di uno schema di accordo: l’esperto predispone una bozza di accordo di ristrutturazione ex art. 57 CCII da proporre formalmente: prevede pagamento 100% ai creditori privilegiati (banche ipotecarie su capannone – la perizia dice che vendendo il capannone si paga il mutuo per intero – e INPS e dipendenti), e circa 40% medio ai chirografari (fornitori, parte chirografa di Equitalia, banche scoperte). Questo 40% verrebbe per metà da Beta come equity e per metà dal cash flow della continuità nei successivi 5 anni. Le banche accettano di ridurre tassi e allungare scadenze (il valore attuale dei loro crediti risulta decurtato del 20%). Il Fisco prenderebbe ~35% di suo (che è >0% ipotetico in fallimento, quindi ok) .
    • Gamma suggerisce di far aderire formalmente quanti più creditori possibile così da presentare l’accordo per l’omologa con magari >60% adesioni. Chiede quindi ai creditori di manifestare un pre-assenso.
    • In aprile 2024 il 70% dei creditori (per valore) hanno sottoscritto un term sheet. Restano fuori alcuni piccoli fornitori e la banca minoritaria, ma confidano di raggiungere 60% legalmente richiesto.
  7. Conclusione composizione: a fine aprile, Gamma redige la sua relazione finale: “Le trattative hanno condotto a una bozza di accordo che se attuato consentirebbe il risanamento di Alfa S.r.l. salvaguardandone la continuità aziendale e garantendo ai creditori una soddisfazione migliore rispetto alla liquidazione giudiziale. Si raccomanda pertanto al debitore di formalizzare un accordo ex art. 57 CCII e presentarlo per l’omologazione. In subordine, appare attuabile anche un concordato preventivo in continuità con contenuti analoghi, qualora non si raggiunga la soglia di adesioni richiesta.” La composizione negoziata viene quindi chiusa con esito positivo.
  8. Durante questi mesi, le misure protettive concesse (rinnovate mensilmente) hanno impedito azioni esecutive. Appena conclusa la procedura, queste decadono , ma Alfa deposita subito il ricorso in tribunale per l’omologa dell’accordo di ristrutturazione con richiesta di misure protettive ai sensi dell’art. 54 CCII: ottiene altri 60 giorni di protezione per completare l’iter .
  9. Omologazione dell’accordo di ristrutturazione (maggio-luglio 2024): Il tribunale di Milano riceve l’istanza di Alfa per omologare l’accordo. Verifica che c’è la maggioranza del 60% dei crediti che hanno aderito ; nel frattempo estende le misure protettive fino alla decisione , impedendo alla banca dissenziente di iniziare un pignoramento segnalato . Nomina un ausiliario per valutare la convenienza per i creditori estranei.
  10. La banca dissenziente fa opposizione sostenendo di meritare di più. Tuttavia, il giudice rileva che quella banca (chirografa) otterrà 40% con accordo, mentre in caso di fallimento la perizia stima recupero 10%. Quindi l’accordo è conveniente per lei stessa. Il giudice respinge l’opposizione.
  11. A luglio 2024, il tribunale omologa l’accordo di ristrutturazione. Viene pubblicato sul Registro Imprese. Da quel momento è vincolante per i creditori aderenti e scatta anche l’estensione alla banca dissenziente (grazie all’adesione del 75% delle altre banche, il tribunale applica l’art. 61 CCII e fa rientrare anche quella nel moratorium).
  12. Effetti: Alfa può formalizzare l’aumento di capitale con Beta GmbH (che apporta €1M in cambio del 60% quote: i soci precedenti scendono al 40%). Con quei fondi, a settembre paga in un’unica soluzione i debiti verso dipendenti (100% arretrati e TFR) e una tranche iniziale ai fornitori (15%).
  13. Le banche consolidano i loro crediti residui su un nuovo piano; l’Erario riceve 10% subito (grazie ai fondi Beta) e il resto in 4 anni; i fornitori incasseranno il restante 25% dilazionato su 3 anni (garantito da garanzia di Beta su eventuale ritardo).
  14. Un anno dopo, Alfa Packaging risulta con bilanci in utile e debito dimezzato; l’apporto di Beta ha permesso di sviluppare un nuovo modello di macchina più richiesto. I creditori soddisfatti per ora rispettano l’accordo (qualcuno ha ceduto il suo credito residuo a fondi speculativi, ma l’azienda adempie regolarmente).

Questo scenario A ha visto un esito positivo grazie all’uso tempestivo degli strumenti negoziali.

Consideriamo brevemente uno scenario B alternativo: supponiamo che Beta GmbH non si fosse fatta avanti e che le banche fossero state meno collaborative, e quindi la composizione negoziata fosse fallita (creditori troppo distanti). In tal caso: – L’esperto Gamma avrebbe redatto relazione negativa (novembre 2024). – Alfa avrebbe potuto proporre entro 60 giorni un concordato semplificato: ipotizziamo che l’esperto avesse stimato che liquidando tutto il patrimonio, i creditori potevano prendere un 30%. Alfa presenta un piano di concordato semplificato offrendo ai creditori il ricavato della vendita del capannone e macchinari, stimato dare 30% ai chirografari (banche ipotecarie soddisfatte per intero dal capannone). – A gennaio 2025 il tribunale, constatato che non c’erano alternative migliori (nessuno rilevava l’azienda in continuità), omologa il concordato semplificato. I creditori vengono liquidati in primavera dal liquidatore nominato (che vende il capannone ad un’asta semplificata, ecc.). – Alfa S.r.l. cessa l’attività e viene poi cancellata. Il titolare perde l’azienda ma evita il fallimento, e siccome Alfa era una società, viene comunque estinta con i debiti residui non esigibili (esdebitazione). – I dipendenti hanno perso il lavoro ma hanno ricevuto TFR e stipendi dal Fondo di Garanzia. – I fornitori hanno incassato qualcosa (30%) in tempi relativamente rapidi. – L’amministratore di Alfa ha cooperato e non emergono irregolarità: niente azioni di responsabilità o accuse penali.

Scenario C (peggiore): se invece l’imprenditore avesse ignorato i segnali e non fatto nulla: – A metà 2024 alcuni creditori (fornitore o banca) avrebbero potuto chiederne il fallimento. Il tribunale lo avrebbe dichiarato, nominando un curatore. – Il curatore avrebbe chiuso l’azienda, venduto i beni (capannone e macchinari probabilmente a valori di saldo, recuperando forse 50% per la banca ipotecaria e poco per gli altri). – La procedura sarebbe durata 2-3 anni. I creditori chirografari forse prendevano un 5-10% a fine procedura. – Il nome Alfa sarebbe finito sui giornali locali con “dichiarato fallimento…”. – L’amministratore, avendo tardato e aggravato (nel frattempo il debito sarebbe ulteriormente cresciuto), rischierebbe di essere citato per danni dai creditori (ex art. 2486 c.c. – presunzione danno aggravamento). – Possibili indagini per bancarotta (se nel frattempo avesse pagato qualcuno preferenzialmente o tenuto male contabilità). – Il titolare (persona fisica) 3 anni dopo avrebbe l’esdebitazione, ma nel frattempo avrebbe vissuto la trafila umiliante del fallimento (es. interrogatorio del curatore, divieto di gestione di altre imprese, etc.).

Come si vede, l’atteggiamento proattivo dello scenario A ha fatto la differenza: la crisi si è risolta con un salvataggio e il debitore ha conservato in parte l’attività (anche se cedendo controllo a Beta). Questo è proprio l’obiettivo delle riforme: spingere i debitori ad affrontare subito i problemi e utilizzare gli strumenti di legge per ottenere l’esito migliore possibile anche per i creditori (i quali infatti hanno convenienza a concordare soluzioni meno drastiche).

Tabelle riepilogative finali

Per concludere questa guida avanzata, offriamo due tabelle di sintesi: la prima sui principali strumenti legali a disposizione del debitore e le loro caratteristiche; la seconda sulle tempistiche e gli esiti tipici delle diverse procedure dal punto di vista del debitore.

Tabella 3 – Riepilogo degli strumenti di gestione della crisi d’impresa

StrumentoTipoQuando usarloChi decideEffetti principali
Composizione negoziataStragiudiziale assistita (volontaria)Crisi incipiente o reversibile; volontà di trattare con creditori prima del default conclamato.Imprenditore con assistenza esperto (tribunale interviene solo se richiesto per misure protettive).– Nessuna pubblicità (salvo misure protettive) . <br> – Stay su azioni esecutive se concesso dal giudice (max 4 mesi) . <br> – Accordi su base volontaria (piano attestato, accordo ristrutturazione) eventualmente da omologare. <br> – Impresa continua sotto controllo imprenditore (affiancato da esperto).
Piano attestato di risanamentoAccordo privato con attestazioneCrisi gestibile con consenso integrale dei principali creditori; necessità di evitare tribunale e pubblicità.Imprenditore e creditori (attestatore verifica dati)– Flessibile, nessun tribunale. <br> – Necessario accordo individuale di tutti i creditori coinvolti. <br> – Protegge da revocatoria pagamenti/garanzie eseguiti secondo il piano . <br> – Se fallisce (non eseguito), creditori tornano ai diritti originali.
Accordo di ristrutturazione omologatoAccordo + omologa tribunaleCrisi significativa con molti creditori; possibile ottenere adesione di almeno 60% crediti e opportuno vincolare dissenzienti minoritari.Imprenditore propone, tribunale omologa; no voto, solo adesioni individuali ≥ 60%.Stay temporaneo 60-120 gg durante omologa . <br> – Vincola aderenti; possibili estensioni a non aderenti (fisco, banche) in casi previsti . <br> – Esenzione revocatorie. <br> – Meno costoso e più rapido di concordato.
Concordato preventivoProcedura concorsuale giudizialeInsolvenza o crisi grave; necessità di imporre tagli ai crediti anche contro volontà di alcuni creditori; preservare continuità o liquidare ordinatamente.Creditori votano (maggioranza per classi), tribunale omologa . Commissario giudiziale nominato.Automatic stay generale dal deposito . <br> – Possibilità di cram-down su classi dissenzienti e su Fisco . <br> – Possibilità di cessione d’azienda libera da debiti o continuità con taglio del passivo. <br> – Debitore in possesso (salvo abusi) ma vigilato da commissario. <br> – Esdebitazione a fine piano (debiti residui cancellati) .
Concordato semplificatoProcedura concorsuale speciale (senza voto)Insolvenza dopo composizione negoziata fallita; obiettivo liquidare patrimonio evitando fallimento.Tribunale decide omologa (creditori possono fare osservazioni) . Liquidatore nominato per esecuzione.– Niente voto creditori (procedura rapida) . <br> – Solo liquidatorio: cessa attività . <br> – Stay su azioni esecutive analogo al concordato. <br> – Esdebitazione a chiusura procedura per debitore (come fallimento). <br> – Utilizzabile solo post-composizione negoziata (non liberamente attivabile) .
Liquidazione giudizialeProcedura concorsuale liquidatoria (fallimento)Insolvenza irreversibile; iniziativa creditori o deb. (necessaria se nessun altra procedura attivata).Tribunale dichiara su istanza; curatore liquidatore nominato gestisce patrimonio.– Spossessamento totale del debitore . <br> – Esecuzione collettiva: vendite beni e riparto ai creditori secondo prelazioni. <br> – Possibile concordato fallimentare in corso di procedura per chiuderla . <br> – Esdebitazione automatica persona fisica dopo 3 anni (salvo fraudolenti) o anticipata se incapiente . <br> – Società viene cancellata a fine procedura (debiti estinti) .

Tabella 4 – Tempistiche orientative ed esiti per il debitore nelle varie procedure

ProceduraDurata tipicaEsito per l’aziendaEsito per l’imprenditore (persona fisica)
Composizione negoziata3-6 mesi (estendibile a 8)– Se accordo raggiunto: azienda prosegue (eventualmente ristrutturata, es. nuovi soci). <br> – Se fallisce: si valuta concordato o liquidazione successiva.– Evita stigma pubblico. <br> – Se accordo risanamento: continua l’attività come manager/imprenditore (salva la “faccia” e l’azienda). <br> – Se fallisce: ancora chance di concordato o almeno dimostra cooperazione (utile per evitare imputazioni di tardivo intervento).
Accordo ristrutturazione4-8 mesi (inclusa omologa)– Azienda continua se previsto (è flessibile: può essere in continuità o anche liquidatorio parziale). <br> – Debiti ristrutturati secondo accordo, attività sotto controllo debitore.– Mantiene ruolo di gestione (nessuna interdizione). <br> – Se accordo eseguito, eventuali debiti residui verso aderenti sono remissioni volontarie (creditori li hanno abdicati). <br> – Se non esegue e si va a fallimento, almeno ha tentato (ciò può giovare per esdebitazione e valutazione condotta).
Concordato preventivo6-12 mesi (talora 18) per omologa; fino a 2-3 anni per completare esecuzione piano.In continuità: l’azienda prosegue, con debiti ridotti. Possibile sacrificio di parte del patrimonio (asset venduti) ma core business salvo. <br> – Liquidatorio: l’azienda cessa, patrimonio liquidato però con tempi e modi concordati (vendite mirate, spesso l’azienda ceduta in blocco) .– Durante procedura: l’imprenditore resta alla guida sotto vigilanza, salvo nomina di amministratore giudiziale in casi eccezionali. <br> – Post omologa: se esegue il piano, esdebitazione automatica per debiti falcidiati . <br> – Se piano non esegue e si risolve: rischio fallimento, ma la buona fede nel tentativo può salvare da condotte punibili (ha mostrato trasparenza).
Concordato semplificato3-6 mesi per omologa; ~1 anno esecuzione vendite.– Azienda chiude i battenti (liquidazione integrale beni) . <br> – Evitata la procedura fallimentare classica; creditori liquidati più celermente (niente voto rallentante).– Amministratore collabora col liquidatore nominato, poi società viene cancellata. <br> – Nessuna interdizione da fallimento (tecnicamente non “fallisce”). <br> – Debiti residui cancellati (come esdebitazione). <br> – Minor esposizione a azioni di responsabilità o reati rispetto a un fallimento, perché procedura concordataria non prevede implicazioni penali di per sé (a meno di reati pregressi).
Liquidazione giudizialeVariabile: 2-5 anni è comune (dipende da beni da vendere, cause legali, ecc.).– Azienda cessata definitivamente. <br> – Beni venduti all’asta o tramite programma di liquidazione; spesso dispersione del complesso aziendale. <br> – Creditori pagati in minima parte (in mediana fallimenti chirografari <10%).– Imprenditore spossessato, perde poteri. <br> – Sottoposto a stigma: incapace a esercitare impresa per la durata, pubblicità su casellario fallimentare ecc. <br> – Rischio di azioni di responsabilità del curatore (se mala gestio). <br> – Rischio procedimenti penali concorsuali (se emerse irregolarità). <br> – Esdebitazione: dopo 3 anni automaticamente libero dai debiti residui (salvo revoca per frodi) – notevole beneficio che ridà opportunità di ripartenza .

Nota: le durate indicate sono medie; ogni caso può differire. Ad esempio, una composizione negoziata può chiudersi in 2 mesi se c’è accordo lampo, o protrarsi 10 mesi in circostanze eccezionali con proroghe (difficile però). Un fallimento con contenziosi complessi può durare 10 anni, mentre un concordato preventivo con offerente esterno può chiudersi in pochi mesi se i creditori approvano e l’offerente paga subito. L’importante è cogliere la proporzione: le soluzioni negoziali tendono a essere più rapide e conservare valore; le soluzioni liquidatorie giudiziali sono lente e distruttive di valore, anche se poi liberano il debitore dal passato.

Conclusioni

Dal percorso svolto appare evidente come un’azienda indebitata – ad esempio la nostra ipotetica società di macchine confezionatrici – disponga oggi di una vera e propria “cassetta degli attrezzi” normativa per affrontare la crisi in maniera ordinata e, per quanto possibile, vantaggiosa per entrambe le parti (debitore e creditori). Il punto di vista del debitore è radicalmente cambiato rispetto al passato: non più un soggetto passivo che subisce il fallimento come una condanna senza appello, ma un attore chiamato a muoversi con tempestività e trasparenza, potendo usufruire di strumenti che incoraggiano il risanamento e, quando il risanamento non è praticabile, garantiscono comunque una exit strategy dignitosa (concordato semplificato, esdebitazione facile, ecc.) .

Per “difendersi” dai debiti in senso tecnico-giuridico, il debitore deve in realtà cambiare mentalità: non si tratta di trovare scappatoie per non pagare, bensì di gestire la situazione di crisi in modo professionale e collaborativo, scegliendo lo strumento giusto al momento giusto: – Difesa preventiva: creare adeguati assetti amministrativi, monitorare i segnali di allarme , non nascondere la testa sotto la sabbia. Ciò evita di trovarsi davanti all’emergenza quando è troppo tardi e consente magari di giocare d’anticipo con i creditori. – Difesa negoziale: instaurare un dialogo con i creditori chiave (meglio se nell’alveo protetto della composizione negoziata), mostrando i piani di rilancio e coinvolgendoli nella soluzione. Un creditore informato e rispettato sarà più propenso a fare concessioni che non uno tenuto all’oscuro. – Difesa legale procedurale: saper utilizzare il concordato preventivo come scudo contro aggressioni scoordinate e come mezzo per tagliare i debiti mantenendo il controllo dell’impresa. Oppure, se occorre, non esitare a richiedere la liquidazione giudiziale in proprio, quando ogni altra opzione è fallita, per poter ripartire prima possibile con l’esdebitazione (piuttosto che trascinarsi in agonia, accumulando responsabilità). – Difesa personale: agire correttamente e documentare ogni scelta. In caso di successiva disamina in sede civile o penale, un imprenditore che ha tempestivamente attivato una procedura di crisi ed evitato favoritismi o distrazioni potrà difendersi efficacemente, sottolineando la propria buona fede (e la legge oggi è dalla sua parte, es. niente più valutazione di meritevolezza per esdebitazione) .

Questa guida ha toccato aspetti molto tecnici – dalle soglie di allerta alle più recenti sentenze della Cassazione sul cram-down fiscale e sulla responsabilità degli amministratori – con l’obiettivo di offrire un quadro aggiornato a ottobre 2025 e approfondito per professionisti del diritto e per imprenditori consapevoli.

Volendo riassumere in pochi punti conclusivi i consigli pratici per il debitore indebitato: 1. Non aspettare l’ultimo minuto: le soluzioni esistono, ma funzionano meglio se attivate precocemente. Ogni ritardo riduce le opzioni e peggiora le conseguenze. 2. Fatti assistere da esperti: crisi d’impresa è materia multidisciplinare (legale, finanziaria, gestionale). Un bravo avvocato specializzato e un commercialista esperto di risanamenti sono alleati indispensabili. Il costo della consulenza è nulla in confronto ai benefici di un salvataggio o ai rischi di un fallimento mal gestito. 3. Considera tutti gli stakeholder: non pensare solo a “non far fallire la società”, ma anche a dipendenti, fornitori, clienti. Un buon piano deve equilibrare gli interessi di tutti – spesso salvare l’azienda conviene anche ai creditori (prendono più che in fallimento) e certamente ai lavoratori e al tessuto economico. 4. Se devi chiudere, chiudi bene: se il salvataggio non è possibile, meglio una liquidazione guidata (concordato semplificato o accordo di cessione asset) che lascia meno macerie e ti permette di voltare pagina, piuttosto che un fallimento disordinato. L’esdebitazione c’è anche per dire “ok, hai fallito, ma sei libero di riprovarci senza debiti a vita” . 5. Impara dall’esperienza: la riforma mira a diffondere una “cultura della prevenzione” . Dopo aver attraversato una crisi, l’imprenditore dovrebbe fare tesoro dell’accaduto: implementare sistemi di controllo più robusti, capitalizzare di più l’azienda nei periodi buoni, diversificare i rischi. In tal modo, se mai dovesse affrontare un’altra tempesta, sarà in grado di navigarla con maggior sicurezza (e in ogni caso, grazie all’esdebitazione e alla seconda chance, può davvero riprovarci senza l’handicap permanente dei debiti pregressi ).

In definitiva, un’azienda di macchine confezionatrici con debiti, così come qualunque impresa in difficoltà, può “difendersi” efficacemente solo trasformando la difesa in un attacco costruttivo: utilizzare leggi e tribunali non come minaccia, ma come strumenti per ristrutturare, negoziare, e anche liquidare quando serve, sempre con l’obiettivo di massimizzare il valore residuo e ripartire su basi sane. Il Codice della Crisi d’Impresa e l’evoluzione della giurisprudenza italiana (supportata dalle normative europee) forniscono oggi le armi normative per farlo . Spetta all’imprenditore – guidato dai propri consulenti – scegliere la strategia giusta e metterla in pratica con determinazione e correttezza.

Fine della guida.

Fonti e riferimenti normativi

  • Codice Civile, art. 2486 c.c. (Responsabilità degli amministratori in caso di continuazione dell’attività dopo cause di scioglimento). Modificato dal D.Lgs. 14/2019 art. 378, introduttivo del criterio dei netti patrimoniali per la quantificazione del danno . Cfr. Lexat Advisory (2020), per il testo normativo e commento .
  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, e successive modifiche D.Lgs. 83/2022 “correttivo-bis” e D.Lgs. 136/2024 “correttivo-ter”). Particolari disposizioni citate:
  • Art. 3 CCII: obbligo di adeguati assetti e dovere di rilevare i segnali di crisi .
  • Art. 13 CCII (ora abrogato) e artt. 15-24 CCII: iniziale disciplina delle procedure di allerta, poi sostituite dalla composizione negoziata.
  • Art. 17 e 18 CCII: procedura di composizione negoziata e misure protettive. Vedi FISCOeTASSE (2022) per le soglie di segnalazione dei creditori pubblici ex art. 25-novies , e Guida Trib. Livorno (2021) per il funzionamento della piattaforma.
  • Art. 56 CCII: Piano attestato di risanamento esente da revocatoria (già art. 67 L.F.) .
  • Art. 57-64 CCII: Accordi di ristrutturazione. In particolare art. 60 consente misure protettive analoghe al concordato ; art. 61 disciplina la convenzione di moratoria (estensione accordi finanziari al dissenso <25%) ; art. 63 introdotto da D.Lgs. 83/2022 consente cram-down fiscale negli accordi .
  • Art. 84-120 CCII: Concordato preventivo. V. art. 84 (finalità concordato continuità vs liquidatorio); art. 94 (contenuto piano, 20% minimo chirografi se liquidat., salvo deroga PRO) ; art. 112 bis e ter introdotti da D.Lgs. 83/2022 sul cram-down fiscale e cross-class cram-down (recepimento art. 11 dir. UE 2019/1023) .
  • Art. 25-sexies CCII: Concordato semplificato post composizione negoziata, introdotto da D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021 .
  • Art. 268-277 CCII: Liquidazione controllata del sovraindebitato (procedure per soggetti sotto soglia).
  • Art. 278 CCII: Esdebitazione del debitore, ora estesa alle società (richiamo definizione di debitore ex art. 1 CCII include persona giuridica) . Prevista automatica 3 anni dall’apertura , salvo casi di esclusione (comma 7, frodi) .
  • Art. 280-282 CCII: esdebitazione in procedura sovraindebitamento e anticipata debitore incapiente .
  • Art. 322-323 CCII: reati di bancarotta fraudolenta (patrimoniale e documentale) equivalenti all’art. 216 L.F. (R.D. 267/42).
  • Art. 324 CCII: bancarotta semplice, corrispondente all’art. 217 L.F., depenalizzata in alcune fattispecie e con cause di non punibilità se tempestivo accesso a strumenti di composizione.
  • Codice Penale, art. 646 c.p. (appropriazione indebita) – citato indirettamente perché la distrazione di beni sociali pre-fallimento costituisce bancarotta fraudolenta patrimoniale, non più punita come semplice appropriazione indebita, ma da valutare in concorso di norme.
  • D.L. 118/2021 convertito L. 147/2021: norma istitutiva della Composizione Negoziata e del Concordato semplificato. Ha inserito nel Codice della Crisi gli artt. 17-25 septies. Vedi Diritto della Crisi (2024) – “Composizione negoziata nell’era del terzo correttivo” per commenti post D.Lgs. 136/2024 e Tribunale Livorno – Linee guida (2021) per prassi applicative.
  • Legge Fallimentare (R.D. 267/1942): abrogata nel 2022, ma rilevante per principi ripresi. In particolare:
  • art. 67 L.F. (revocatorie, piani attestati) confluito in art. 56 CCII .
  • art. 160-174 L.F. (concordato preventivo) sostituiti da CCII;
  • art. 180 L.F. (omologazione concordato, previgente veto Erario) – abrogato ma citato come confronto storico .
  • art. 142 L.F. (esdebitazione fallito) – ora sostituito da art. 278 CCII con estensione soggettiva .
  • Decreto Legislativo 136/2024 (terzo correttivo Cod. Crisi, in vigore da settembre 2024): Ha apportato modifiche, tra cui:
  • Precisazioni sulle misure protettive (inserimento comma 5-bis art. 18 CCII: criteri proroga oltre 4 mesi) .
  • Introduzione art. 118-bis CCII su modifiche piano concordatario post-omologa (non trattato ampiamente in guida per brevità).
  • Miglior definizione di “priorità assoluta/classi” e recepimento completo dir. UE 2019/1023 (cram-down interclassi formalizzato) .
  • Norme fiscali di favore (esonero da attestazione nella transazione fiscale, ecc.) .
  • Fonti: Diritto della Crisi, A. Farolfi (2024) e G. Andreani (2024) in Dirittodellacrisi.it sulle novità fiscali .
  • Direttiva UE 2019/1023 (Direttiva Insolvency): citata nel considerando riforme italiane . Ha ispirato:
  • Early warning (allerta) – l’Italia l’ha attuata con segnalazioni enti pubblici e composizione negoziata volontaria.
  • Strumenti di ristrutturazione preventiva (PRO, convenzioni, cram-down su classi) recepiti nel CCII .
  • Leggi speciali:
  • D.L. 34/2019 conv. L. 58/2019 e successive leggi di bilancio: varie edizioni della “rottamazione cartelle” (definizioni agevolate debiti fiscali). Citata in FAQ come possibili opportunità di riduzione sanzioni e interessi.
  • D.L. 119/2018: Stralcio sanzioni e interessi per ruoli fino €1000 (non approfondito nel testo ma rilevante come contesto).
  • L. 3/2012 (sovraindebitamento) – abrogata e integrata nel CCII, ma fonte del concetto di esdebitazione del debitore incapiente e di concordato minore.
  • Giurisprudenza recente (Corte di Cassazione):
  • Cass., Sez. Unite civ. n. 8500/2021 (25 marzo 2021): afferma la giurisdizione del tribunale fallimentare sul cram-down fiscale e anticipa la possibilità di omologa di concordato con voto contrario Erario . Vedi Giustizia Insieme (2021) e Transazione-fiscale.it per commenti .
  • Cass., Sez. I civ. n. 27782/2024 (28 ottobre 2024): citaata espressamente – conferma definitivamente che il tribunale può omologare concordato nonostante voto contrario Agenzia Entrate/INPS se trattamento ≥ scenario liquidatorio. Fonte: Studio Legale MP (Panato) – blog (2024) .
  • Cass., Sez. I civ. n. 24006/2025 (20 agosto 2025): ordinanza menzionata indirettamente tramite articolo LexCED . Riguarda la conferma condanna amministratori non esecutivi per aver omesso di reagire a perdita capitale, con danno calcolato a netti patrimoniali .
  • Cass., Sez. V pen. n. 4985/2020 (es.) e altre su reati omesso versamento contributi/IVA: non citate puntualmente ma normative correlate trattate in FAQ.
  • Tribunale di Lucca 18/7/2023 (cram-down fiscale negativo) vs Trib. Spoleto 2023 (voti classi) – cenni in ricerca, ma punto risolto da Cass 2024 sopra.
  • Corte d’Appello di Bari, decreti 2023 su esdebitazione (fonte ilCaso.it 2023) – discute natura sostanziale vs procedurale esdebitazione, citata in dottrina .

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Ricevi solleciti, richieste di rientro, decreti ingiuntivi, blocchi delle forniture o minacce di pignoramento da banche, Fisco, INPS, fornitori tecnici o Agenzia Entrate-Riscossione?

Il settore del confezionamento è altamente tecnico e oneroso: componenti elettronici e meccanici costosi, assistenza tecnica continua, collaudi impegnativi, magazzini ricchi di ricambi e progetti su misura. Bastano ritardi nei pagamenti o un taglio ai fidi per generare una crisi immediata.

La buona notizia è che la tua azienda può essere salvata, se intervieni in tempo e nel modo giusto.


Perché un’Azienda di Confezionatrici va in Debito

  • aumento dei costi di motori, PLC, sensori, elettroniche, carpenterie e parti custom
  • pagamenti lenti da parte di industrie alimentari, farmaceutiche e contractor
  • magazzino immobilizzato tra ricambi, elettroniche, gruppi meccanici e moduli
  • costi elevati di progettazione, installazione, collaudi e avviamenti
  • consulenza tecnica e manutenzione anticipata rispetto agli incassi
  • riduzione o revoca delle linee di credito bancarie

Il problema principale non è la mancanza di ordini, ma la mancanza di liquidità immediata.


I Rischi se Non Agisci Subito

  • pignoramento dei conti aziende
  • blocco dei fidi bancari
  • stop delle forniture di componenti e ricambi
  • decreti ingiuntivi, precetti e atti esecutivi
  • sequestro di macchinari, attrezzature e materiale tecnico
  • impossibilità di completare impianti e consegne
  • perdita di clienti strategici e commesse importanti

Cosa Fare Subito per Difendersi

1. Bloccare i creditori

Un avvocato esperto può sospendere pignoramenti, bloccare richieste di rientro e proteggere i conti aziendali.

2. Verificare i debiti ed eliminare ciò che non è dovuto

Spesso emergono anomalie come:

  • interessi non dovuti
  • sanzioni calcolate in modo errato
  • importi duplicati
  • debiti prescritti
  • errori della Riscossione
  • costi bancari anomali

Una parte importante dei debiti può essere ridotta o cancellata.

3. Ristrutturare i debiti con piani sostenibili

Strumenti disponibili:

  • rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
  • accordi di rientro con fornitori strategici
  • rinegoziazione dei fidi
  • sospensione temporanea dei pagamenti
  • accesso alle definizioni agevolate

4. Utilizzare strumenti legali che bloccano tutti i creditori

Per le situazioni più difficili:

  • PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
  • Accordi di ristrutturazione
  • Concordato minore

Consentono di continuare l’attività pagando solo una parte dei debiti.


Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo

L’Avv. Monardo è tra i massimi esperti italiani nel salvataggio delle imprese indebitate. Le sue principali qualifiche:

  • Avvocato Cassazionista
  • Coordinatore nazionale di avvocati e commercialisti specialisti in diritto bancario e tributario
  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012), inserito negli elenchi del Ministero della Giustizia
  • Professionista fiduciario di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi)
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)

Un profilo unico per bloccare i creditori, ristrutturare i debiti e salvare aziende del settore packaging e automazione.


Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo

  • analisi immediata della tua situazione debitoria
  • blocco urgente di pignoramenti e atti esecutivi
  • ristrutturazione del debito su misura
  • protezione di macchinari, ricambi, linee di confezionamento e magazzino
  • trattative efficaci con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
  • tutela completa dell’impresa e dell’imprenditore

Conclusione

Avere debiti nella tua azienda di macchine confezionatrici non significa che l’attività sia destinata alla chiusura.
Con una strategia rapida, mirata e professionale, puoi:

  • fermare subito i creditori
  • ridurre concretamente i debiti
  • proteggere linee di confezionamento, ricambi e assistenza tecnica
  • salvare la continuità dell’azienda

Il momento di agire è adesso.

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  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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