Se la tua azienda si occupa di demolizioni civili, demolizioni industriali, smantellamenti di capannoni, abbattimento strutture, frantumazioni, bonifiche, rimozione materiali pericolosi, movimentazione macerie e cantieri complessi, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, è fondamentale agire subito per evitare che l’attività venga bloccata.
Nel settore delle demolizioni, un fermo improvviso significa perdere cantieri, subire penali, compromettere rapporti con imprese edili e pubbliche amministrazioni, e mettere a rischio mezzi, attrezzature e personale.
Perché le aziende di demolizioni accumulano debiti
- costi elevati per escavatori, pinze, attrezzature e manutenzioni
- rincari di carburanti, trasporti e smaltimenti in discarica
- pagamenti lenti da parte di imprese edili e enti pubblici
- ritardi nei versamenti di IVA, imposte e contributi INPS
- gestione onerosa di mezzi pesanti e attrezzature specialistiche
- difficoltà ad ottenere fidi bancari per coprire i cicli dei cantieri
- fornitori di servizi, discariche e noleggi che richiedono pagamenti rapidi
Cosa fare subito
- far analizzare da un professionista tutta la tua esposizione debitoria
- verificare quali debiti possono essere contestati, ridotti o rateizzati
- evitare piani di rientro non sostenibili
- richiedere la sospensione immediata di pignoramenti o procedure esecutive
- proteggere mezzi, attrezzature e rapporti con fornitori indispensabili
- utilizzare strumenti legali per ristrutturare o rinegoziare il debito
I rischi se non intervieni rapidamente
- pignoramento del conto corrente aziendale
- fermo di escavatori, mezzi, attrezzature e camion
- blocco dei cantieri con gravi penali
- perdita di appalti, imprese edili e amministrazioni pubbliche
- impossibilità di pagare personale, fornitori e smaltimenti
- rischio concreto di chiusura dell’azienda
Come può aiutarti l’avvocato Monardo
Detto questo, l’avvocato Monardo, cassazionista, coordina a livello nazionale un team di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario.
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- è Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
- è iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
- è professionista fiduciario presso un OCC (Organismo di Composizione della Crisi)
- è Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
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- bloccare immediatamente pignoramenti e blocchi dei mezzi
- ridurre o ristrutturare i debiti con gli strumenti previsti dalla legge
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- proteggere mezzi operativi, attrezzature e continuità dei cantieri
- evitare la chiusura e salvare la tua attività di demolizioni
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Introduzione
Un’azienda operante nel settore delle demolizioni civili e industriali può trovarsi ad affrontare una grave crisi di liquidità e un accumulo di debiti. Ritardi nei pagamenti dei clienti, costi imprevisti di cantiere, investimenti in macchinari onerosi e contrazione del mercato edile sono solo alcune cause che possono mettere in difficoltà finanziaria un’impresa di demolizioni. Quando i debiti fiscali, bancari o verso fornitori diventano insostenibili e compaiono intimazioni di pagamento o pignoramenti, è fondamentale agire tempestivamente per salvare l’azienda ed evitare conseguenze irreversibili. La prospettiva da adottare è quella del debitore, ossia dell’imprenditore o degli amministratori della società indebitata, che devono individuare le strategie legali più efficaci per difendersi dai creditori e risanare la propria impresa. In Italia, grazie alle recenti riforme (dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza del 2019 fino ai correttivi del 2022-2024), esistono strumenti avanzati per prevenire il fallimento, ristrutturare i debiti e garantire la continuità aziendale . Questa guida – aggiornata a ottobre 2025 – analizza in dettaglio tali strumenti (sia di natura stragiudiziale che giudiziale), le tutele legali disponibili in ambito civile, fallimentare e tributario, e le recenti sentenze e novità normative più rilevanti. L’obiettivo è fornire un quadro approfondito, ma con linguaggio chiaro, rivolto sia a professionisti del diritto sia a imprenditori e privati coinvolti nella gestione di un’azienda indebitata. Saranno incluse tabelle riepilogative, sezioni di domande e risposte, oltre a casi pratici simulati, per consentire una comprensione rapida ma esaustiva delle opzioni di difesa del debitore. In definitiva, vedremo cosa fare e come difendersi quando una società – ad esempio una S.r.l. o S.p.A. nel settore demolizioni – si trova schiacciata dai debiti, illustrando le strategie legali difensive più efficaci (in sede civile, fallimentare e tributaria, incluse soluzioni extragiudiziali come accordi con i creditori, piani di risanamento e concordati preventivi). Agire per tempo e con gli strumenti giusti può fare la differenza tra la salvezza dell’impresa e la sua liquidazione forzata.
Segnali di crisi e obblighi degli amministratori
Una crisi d’impresa raramente arriva all’improvviso: di solito vi sono segnali premonitori che gli amministratori di una società dovrebbero cogliere in tempo. Nel settore delle demolizioni, alcuni segnali comuni includono: ritardi sistematici nei pagamenti di imposte (IVA, IRES, IRAP) e contributi previdenziali (INPS), cartelle esattoriali non pagate o avvisi di accertamento fiscale, insoluti verso fornitori e subappaltatori, richieste di rientro immediato da parte delle banche per esposizioni finanziarie, nonché atti di pignoramento di conti correnti, macchinari o immobili aziendali . Altri campanelli d’allarme sono la mancanza di liquidità per pagare puntualmente stipendi e forniture, la perdita di credibilità commerciale (ad esempio fornitori che iniziano a pretendere pagamenti anticipati), e persino segnalazioni esterne di allerta da creditori pubblici (Agenzia Entrate, INPS) o banche.
Di fronte a tali indicatori, la legge impone agli amministratori di attivarsi tempestivamente per adottare misure idonee a tutelare la continuità aziendale e i creditori . Il Codice Civile, come riformato nel 2019 (art. 2086 c.c.), impone all’organo amministrativo di dotare la società di “assetti organizzativi adeguati” per rilevare precocemente lo stato di crisi e attuare interventi correttivi. In altre parole, gli amministratori hanno un dovere di vigilanza attiva sulla salute finanziaria dell’impresa e, se emergono segnali di crisi, devono reagire senza indugio predisponendo un piano per il risanamento o attivando le procedure previste dal nuovo Codice della Crisi. Ignorare la crisi o procrastinare gli interventi, oltre ad aggravare l’esposizione debitoria, espone gli amministratori a responsabilità personali, sia di natura patrimoniale che – nei casi più gravi – penale . Sul piano civilistico, la violazione del dovere di corretta gestione in caso di perdita del capitale sociale o insolvenza può dare luogo ad azioni di responsabilità da parte dei creditori o del curatore fallimentare: l’art. 2486 c.c., come novellato dall’art. 378 del Codice della Crisi, presuppone infatti un obbligo di gestione conservativa dopo il manifestarsi di cause di scioglimento (come perdite rilevanti) e prevede che, qualora gli amministratori non adempiano a tale dovere, il danno risarcibile sia quantificato in via presuntiva. In particolare, “quando è accertata la responsabilità degli amministratori […] il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui […] è cessato dalla carica o, in caso di apertura di una procedura concorsuale, alla data di apertura di tale procedura e il patrimonio netto […] alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento […] detratti i costi […] fino al compimento della liquidazione” . Tradotto in termini pratici, se gli amministratori di una S.r.l. non adottano misure una volta che la società ha perso il capitale sociale o si trova in insolvenza, e ciò sfocia poi in un fallimento (liquidazione giudiziale), potranno essere chiamati a risarcire l’aggravamento del dissesto: la legge presume come danno almeno la differenza tra il patrimonio netto al momento in cui avrebbero dovuto attivarsi e quello (verosimilmente più deteriorato) al momento dell’apertura della procedura concorsuale . Questa presunzione è superabile solo provando un diverso ammontare del danno, ma è chiaro l’intento del legislatore: chi tarda ad affrontare la crisi ne pagherà le conseguenze.
Oltre alla responsabilità civile, vi sono possibili riflessi penali. Amministratori che aggravano scientemente il dissesto potrebbero incorrere nei reati di bancarotta semplice o preferenziale (ad esempio, pagando alcuni creditori a scapito di altri in prossimità del fallimento) e, nei casi di condotte dolose, bancarotta fraudolenta (ad esempio distrazione di beni aziendali). Anche il mancato versamento di imposte dovute oltre soglie di punibilità (si pensi all’IVA non versata per importi superiori a €250.000 annui, reato ex D.Lgs. 74/2000) espone gli amministratori a procedimenti penali. In sintesi, ignorare lo stato di crisi non è un’opzione praticabile: oltre a peggiorare la situazione dell’azienda, si rischiano azioni legali personali contro gli amministratori e i soci, nonché sanzioni e interdizioni. Al contrario, muoversi per tempo consente di sfruttare gli strumenti di legge pensati proprio come “ancora di salvezza” per le imprese in difficoltà . Il Codice della Crisi, infatti, non va inteso come una sanzione, bensì come un’opportunità per ristrutturare i debiti in modo sostenibile e salvare l’azienda . Nel prosieguo, vedremo come.
Rischi e conseguenze dell’inazione
È opportuno chiarire quali sarebbero le conseguenze della “non azione” prima di esaminare le strategie difensive. Un’azienda di demolizioni con debiti gravi che non prende provvedimenti va incontro a una serie di effetti negativi a catena. In ambito civile e commerciale, i creditori insoddisfatti possono attivarsi individualmente per recuperare coattivamente i loro crediti. Ciò significa subire decreti ingiuntivi e, in mancanza di opposizione o pagamento, atti di esecuzione forzata: pignoramento dei conti correnti aziendali (bloccando di fatto l’operatività quotidiana), pignoramento di macchinari, automezzi o attrezzature fondamentali per i cantieri, iscrizione di ipoteche giudiziali sugli immobili sociali (come capannoni o terreni) e successiva espropriazione. Tali azioni possono paralizzare l’attività: ad esempio, il fermo di mezzi da cantiere o il blocco dei conti rende impossibile pagare i dipendenti o acquistare carburante e materiali, portando l’impresa al collasso operativo. Inoltre, un’azienda nota nell’ambiente come “cattivo pagatore” perde credibilità: fornitori e subappaltatori potrebbero rifiutare nuove forniture senza pagamento anticipato; le banche possono revocare le linee di credito (scoperti di c/c, anticipi su fatture, leasing) e chiedere rientri immediati. Anche i clienti potrebbero diffidare dall’affidare nuovi lavori a un’impresa che rischia di fallire a metà commessa. Nel settore appalti pubblici, poi, il decadimento del DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva) per mancato pagamento di contributi previdenziali impedisce di partecipare a gare o di continuare i lavori: un’impresa edile non in regola con INPS e casse edili viene estromessa dai cantieri pubblici.
In ambito tributario, l’inerzia espone l’azienda a misure severe da parte dell’Erario. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia) può iscrivere fermi amministrativi sui veicoli aziendali (impedendone l’utilizzo), ipoteche sugli immobili e procedere con vendite forzate. Inoltre, se i debiti tributari restano impagati, è possibile che venga negato o revocato il durc fiscale (certificazione di regolarità fiscale) e si venga segnalati al Registro dei Protesti o al sistema centrale rischi finanziari, aggravando il danno reputazionale. Sul piano giudiziario, il rischio più serio è la dichiarazione di fallimento (oggi liquidazione giudiziale) su istanza dei creditori. In base alla normativa (artt. 121 e segg. Codice della Crisi), ogni creditore (incluse Agenzia Entrate o INPS per i contributi) che vanti crediti scaduti e non pagati può presentare ricorso innanzi al Tribunale per l’apertura della liquidazione giudiziale, qualora l’impresa versi in stato di insolvenza. Se l’azienda non reagisce e non contesta l’istanza, il Tribunale accerterà l’insolvenza e nominerà un curatore che prenderà in mano l’impresa per liquidarne il patrimonio. Gli effetti di una liquidazione giudiziale d’imperio sono dirompenti: spossessamento dell’imprenditore dalla gestione, cessazione (salvo esercizio provvisorio) dell’attività, vendita all’asta dei beni spesso a valori sacrificati, licenziamento del personale e chiusura dei cantieri in corso. I creditori verranno soddisfatti solo parzialmente e dopo anni, secondo l’ordine delle cause di prelazione, spesso con percentuali irrisorie per chirografari (se un’azienda edile fallisce, tipicamente i privilegiati – come banche ipotecarie, Erario e dipendenti – assorbono il ricavato, lasciando poco o nulla ai fornitori chirografari). I soci della S.r.l. o S.p.A. perderanno l’intero capitale investito e i finanziamenti soci non rimborsati; eventuali garanti personali (spesso l’imprenditore stesso o i familiari) saranno escussi dalle banche sul proprio patrimonio personale. Gli amministratori potranno subire, come visto, azioni di responsabilità per aver aggravato il dissesto e azioni penali concorsuali.
In sintesi, la scelta di “non fare nulla” conduce quasi inevitabilmente all’insolvenza irreversibile e all’uscita forzata dell’impresa dal mercato, con dispersione di know-how, posti di lavoro persi e debiti in gran parte insoluti. È quindi evidente la necessità di difendersi attivamente, sfruttando ogni margine di manovra offerto dalla legge per evitare la liquidazione giudiziale e trovare una soluzione concordata con i creditori. Vediamo ora quali strategie concrete può adottare un’impresa indebitata per invertire la rotta.
Strategie stragiudiziali di risanamento (fuori dal tribunale)
Per prima cosa, un’azienda con debiti dovrebbe valutare tutte le opzioni di risanamento stragiudiziale, ovvero soluzioni negoziali da perseguire al di fuori delle procedure concorsuali formali. Queste strategie puntano a trovare un accordo con i creditori quando possibile, evitando – o anticipando – l’intervento del tribunale. Rispetto alle procedure giudiziali, le soluzioni stragiudiziali offrono in genere maggiore discrezione, rapidità e flessibilità, elementi preziosi per un’azienda che desideri continuare ad operare mentre si ristrutturano i debiti.
1. Negoziazione privata e piani di rientro informali: La forma più semplice di approccio stragiudiziale è tentare una negoziazione diretta con i principali creditori (banche, fornitori strategici, fisco) per concordare un piano di rientro del debito. Si tratta in sostanza di accordi privati – spesso formalizzati in scrittura privata – in cui il debitore si impegna a pagare i debiti pregressi in maniera dilazionata (ad esempio, rate mensili o trimestrali) o a saldo e stralcio (pagamento parziale a fronte di esdebitazione sul residuo), mentre il creditore accetta di non intraprendere (o sospendere) azioni esecutive purché il piano sia rispettato. Questi accordi, pur non avendo l’omologazione di un giudice, possono dare respiro all’impresa e guadagnare tempo. Ad esempio, un’azienda di demolizioni potrebbe concordare con alcuni fornitori la rateizzazione di fatture arretrate su 12 mesi, impegnandosi contestualmente a pagare alla scadenza le forniture correnti (per mantenere la fiducia). Oppure, con la banca si può rinegoziare il rientro di uno scoperto di conto, trasformandolo in un mutuo a medio termine garantito da ipoteca su un immobile sociale, evitando così il revoca unilaterale e il pignoramento immediato. Va detto che la successo di un approccio puramente volontario dipende dalla disponibilità dei creditori: se i creditori coinvolti sono numerosi e non coordinati tra loro, o se alcuni mantengono un atteggiamento ostile (magari perché pensano di poter ottenere di più aggredendo subito i beni del debitore), potrebbe essere difficile raggiungere un accordo globale. Inoltre, gli accordi stragiudiziali non vincolano i creditori dissenzienti: basta un creditore importante fuori dall’accordo per far fallire il piano (ad esempio, se l’Agenzia delle Entrate o una banca rifiutano, potrebbero comunque procedere con pignoramenti). Per questo, tali negoziazioni funzionano meglio con un numero limitato di creditori e quando c’è fiducia reciproca nel tentativo di risanamento. Si tenga presente, infine, che un accordo stragiudiziale non sospende automaticamente le azioni esecutive: occorre inserire nel patto clausole di standstill (moratoria) e confidare che i creditori le rispettino. In caso di diffidenza, può essere utile rivolgersi a un professionista (avvocato o commercialista) che svolga il ruolo di mediatore e metta tutti intorno a un tavolo con una proposta strutturata.
2. Piano attestato di risanamento (art. 56 Codice Crisi): Il piano di risanamento attestato è uno strumento formale di natura negoziale, disciplinato dall’art. 56 del Codice della Crisi e dell’Insolvenza (CCII). Si tratta, in sostanza, di un piano industriale e finanziario che illustra le misure da adottare per ristrutturare l’esposizione debitoria dell’impresa e riequilibrare la sua situazione finanziaria, il quale deve essere asseverato (“attestato”) da un professionista indipendente sulla base della veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del piano . Il piano attestato è uno strumento privatistico al 100%: non prevede alcun procedimento in tribunale né omologazione giudiziale . Esso rientra infatti tra gli strumenti negoziali stragiudiziali e si caratterizza per la massima flessibilità e riservatezza. In pratica, l’imprenditore (di concerto con consulenti finanziari e legali) predispone un piano dettagliato di rilancio/ristrutturazione – ad esempio, può includere la dismissione di rami d’azienda non redditizi, la rinegoziazione di alcuni debiti, nuovi apporti di capitale da parte dei soci o terzi investitori, e così via – e lo sottopone a un esperto indipendente (spesso un commercialista o revisore) che ne verifica la realizzabilità. Il professionista redige una relazione di attestazione in cui dichiara che, a suo giudizio, il piano è idoneo a risanare la posizione debitoria e a assicurare l’equilibrio finanziario dell’azienda . Il piano, accompagnato dall’attestazione, viene poi formalizzato in accordi con i creditori coinvolti: ad esempio, l’azienda potrebbe stipulare con le banche un accordo di moratoria e ristrutturazione del debito ai sensi del piano.
I vantaggi del piano attestato sono molteplici: (i) è estremamente flessibile nei contenuti, non essendoci soglie di adesione dei creditori fissate per legge (al contrario degli accordi di ristrutturazione, v. oltre); (ii) resta un documento riservato (si può scegliere di non pubblicarlo, a meno che serva opponibilità a terzi in caso di azioni revocatorie); (iii) l’imprenditore rimane in pieno controllo dell’azienda durante l’esecuzione del piano, senza organi nominati dal tribunale; (iv) soprattutto, gli atti compiuti in esecuzione del piano attestato godono di esenzioni di legge sia in ambito fallimentare che penale. In particolare, i pagamenti e le garanzie concesse in attuazione del piano non sono soggetti a revocatoria fallimentare in caso di successivo fallimento dell’impresa (lo prevedeva già l’art. 67, co.3, lett. d) della vecchia legge fallimentare, ora trasfuso nel CCII). Inoltre, l’art. 56 CCII (riprendendo l’art. 217-bis l. fall.) esclude la punibilità per bancarotta semplice e bancarotta preferenziale relativamente a tali atti . Ciò significa che, se l’imprenditore ad esempio paga un fornitore strategico o concede un’ipoteca a una banca in esecuzione del piano attestato, questi atti saranno protetti: non potranno essere fatti annullare dal curatore né contestati come distrattivi o preferenziali, qualora malauguratamente la società fallisca lo stesso più avanti. In un certo senso, il piano attestato è un “ombrello” sotto il quale l’imprenditore può effettuare operazioni di ristrutturazione senza temere ritorsioni concorsuali in seguito.
Di contro, il limite del piano attestato risiede nel fatto che è un accordo volontario: non vi è alcun effetto vincolante sui creditori non aderenti. I creditori che partecipano alle trattative e accettano il piano ne saranno vincolati (contrattualmente) e dovranno rispettare le nuove scadenze o rinunce concordate; ma un creditore che resti fuori dal piano conserverà tutti i suoi diritti e potrà, ad esempio, agire esecutivamente se il debito è scaduto. Per questo motivo spesso i piani attestati vengono utilizzati quando il numero di creditori è circoscritto o quando si è già raggiunto, di fatto, un consenso molto ampio informalmente. Va notato inoltre che il piano, per produrre gli effetti protettivi sopra citati, deve presentare requisiti sostanziali di idoneità e veridicità e una forma almeno con data certa. In genere si procede al deposito volontario presso il Registro delle Imprese dell’attestazione e di un estratto del piano, così da avere pubblicità (anche per opponibilità ai terzi). In sintesi, il piano attestato di risanamento è lo strumento di elezione quando si vuole tentare un salvataggio aziendale in via confidenziale e privata, coinvolgendo solo determinati creditori in accordi ad hoc, con il conforto di un attestatore che garantisca la serietà del piano. È considerato “il più flessibile fra i mezzi di regolazione” della crisi aziendale e incarna la filosofia della de-giurisdizionalizzazione delle soluzioni di crisi: tutto avviene fuori dal tribunale, sotto l’egida dell’autonomia privata e con la responsabilità (anche potenziale) del professionista attestatore a fare da garanzia di veridicità.
3. Accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 57 CCII): Un gradino più in alto, per formalità, troviamo l’accordo di ristrutturazione dei debiti, disciplinato dall’art. 57 CCII (già art. 182-bis l. fall.). Si tratta di un accordo negoziato con i creditori che, a differenza del piano attestato, richiede il coinvolgimento (e l’approvazione) di una percentuale qualificata di crediti e l’intervento finale del tribunale per l’omologazione. In particolare, l’accordo è valido se vi aderiscono uno o più creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali dell’impresa . Raggiunto tale quorum di adesioni, l’imprenditore può chiedere al tribunale l’omologazione dell’accordo, che lo rende vincolante anche per eventuali creditori dissenzienti o non aderenti (nei limiti però di quanto previsto dall’accordo stesso). L’obiettivo dell’istituto è consentire di ristrutturare il debito evitando il fallimento e preservando la continuità aziendale quando c’è un ampio consenso da parte dei creditori principali . In pratica, l’accordo di ristrutturazione è uno strumento ibrido: la trattativa è lasciata alle parti, ma si richiede una soglia di consenso significativa e l’intervento del giudice a garanzia della regolarità e dell’equilibrio dell’accordo.
Esempio: un’azienda di demolizioni S.r.l. ha debiti complessivi per 2 milioni di euro: 1 milione con banche, 500.000 € con fornitori, 300.000 € di debiti fiscali e 200.000 € altri. Se riesce a ottenere l’adesione di banche e fornitori (coprendo così il 75% del totale dei crediti), potrà presentare un accordo di ristrutturazione in tribunale, coinvolgendo magari anche il Fisco con una proposta di pagamento parziale delle cartelle. Con l’omologazione dell’accordo da parte del tribunale, l’intesa diviene efficace erga omnes. In concreto, però, bisogna capire cosa succede ai creditori non aderenti, che rappresentano ad esempio il 25%. Nella forma classica, i creditori estranei all’accordo non subiscono stralci coercitivi: per soddisfarli, l’impresa dovrà pagare integralmente il loro credito (alla scadenza originaria o alla scadenza eventualmente prorogata in accordo). In altri termini, l’accordo incide direttamente solo sui creditori che lo hanno sottoscritto, mentre gli altri devono essere comunque soddisfatti per non farli opporre. Questo implicava, in passato, che l’accordo di ristrutturazione fosse utile soprattutto se i creditori chiave (banche, magari l’erario) aderivano e i residui erano pochi e pagabili per intero. Negli ultimi anni, però, il legislatore italiano – anche in attuazione della Direttiva UE 2019/1023 – ha introdotto varianti degli accordi per renderli più efficaci: ad esempio gli accordi ad efficacia estesa, che permettono di estendere gli effetti anche ai creditori dissenzienti appartenenti a determinate categorie omogenee (tipicamente le banche o obbligazionisti finanziari, se aderisce una percentuale alta di quella categoria); oppure gli accordi agevolati con soglia di adesione ridotta (ad esempio 30%) purché i creditori non aderenti siano pagati integralmente (così da non danneggiarli). Si tratta di sviluppi tecnici avanzati, ma indicativi di una maggiore flessibilità. Ciò che più importa, in ottica difensiva, è che l’accordo di ristrutturazione, una volta omologato dal tribunale, sospende e sostituisce le azioni esecutive individuali: i creditori aderenti si impegnano a rispettare le nuove condizioni di pagamento e i creditori estranei, se integralmente soddisfatti secondo l’accordo, non hanno più nulla da pretendere. Durante la fase di omologazione, inoltre, il debitore può chiedere al tribunale delle misure protettive (moratoria delle azioni esecutive e cautelari) analoghe a quelle del concordato preventivo, così da evitare che qualche creditore “rompa le fila” e pignori beni mentre l’accordo è in via di perfezionamento.
Un importante aspetto riguarda i debiti fiscali e previdenziali negli accordi di ristrutturazione. Essi possono essere inclusi in una transazione fiscale (art. 63 CCII, già art. 182-ter l.fall.), cioè una proposta di pagamento parziale/dilazionato di tali debiti, soggetta all’adesione dell’Agenzia delle Entrate e degli enti previdenziali. Prima delle riforme recenti, un eventuale diniego del Fisco precludeva l’omologazione dell’accordo (di fatto il Fisco aveva potere di veto assoluto). Oggi la situazione è mutata: grazie alle spinte europee verso il “cram down” dei crediti pubblici, il tribunale può omologare ugualmente un accordo di ristrutturazione anche senza il voto favorevole dell’Erario, purché ritenga che la proposta rivolta al Fisco sia più vantaggiosa rispetto alla liquidazione fallimentare . Questa facoltà, introdotta nel Codice della Crisi e confermata e raffinata dal decreto correttivo ter del 2024, riduce drasticamente il potere di veto del Fisco nelle trattative di risanamento. Attenzione però: il D.Lgs. 136/2024 ha anche introdotto limitazioni a questa omologazione forzosa (cram down). In particolare, se il debito fiscale/previdenziale costituisce oltre l’80% dell’indebitamento totale e deriva in gran parte da omissioni pluriennali di versamenti o addirittura da condotte fraudolente (es. uso di fatture false), allora non sarà ammessa l’omologazione contro il parere del Fisco . Si vuole così evitare che imprese che hanno sistematicamente evaso o accumulato debiti fiscali per anni possano poi “farla franca” con un accordo imposto. Al di fuori di questi casi-limite, invece, oggi l’accordo offre margini di trattativa più ampi anche con l’Erario, sapendo che un piano serio e conveniente potrà essere approvato dal giudice pure di fronte a un creditore pubblico dissenziente. Questa è una novità fondamentale: in passato bastava il “no” dell’Agenzia Entrate a far naufragare qualsiasi piano, mentre ora si supera quel paradosso del “summum ius, summa iniuria” per cui il rigore del favor Fisci finiva per danneggiare tutti (azienda, creditori e collettività) . La Cassazione, con una pronuncia storica del 2024, ha sancito proprio questo principio di equilibrio: se il piano è più conveniente per il Fisco rispetto al fallimento, il dissenso del Fisco non può farlo affondare . In pratica, l’accordo di ristrutturazione è oggi un istituto potente: permette di vincolare i creditori a un piano di risanamento omologato, evitando il fallimento e preservando la continuità aziendale , con maggiore elasticità nel trattamento dei crediti pubblici (pur con qualche paletto per i “grandi evasori”).
4. Composizione negoziata della crisi (D.L. 118/2021 conv. L.147/2021, ora art. 23 e ss. CCII): Introdotta nel 2021 come risposta all’esigenza di gestire precocemente le crisi d’impresa (anche a seguito della pandemia), la composizione negoziata è diventata rapidamente uno strumento centrale del nuovo diritto concorsuale italiano. Si tratta di una procedura volontaria, riservata e stragiudiziale che consente all’imprenditore in difficoltà di farsi affiancare da un esperto indipendente nominato dalla Camera di Commercio, al fine di agevolare le trattative con i creditori e trovare una soluzione concordata per superare la crisi . La composizione negoziata (CNC) è aperta a tutte le imprese commerciali (di qualsiasi dimensione) e oggi rappresenta la “porta di ingresso” consigliata in caso di crisi, tanto che dal 2025 può dirsi divenuta il principale strumento per la soluzione della crisi d’impresa in Italia . I numeri divulgati da Unioncamere parlano chiaro: oltre 3.600 istanze di composizione negoziata presentate in quattro anni, con 423 aziende salvate e 23.000 posti di lavoro tutelati (dati aggiornati a novembre 2025) . Soprattutto le imprese medio-grandi vi stanno facendo ricorso, apprezzandone i vantaggi di costi contenuti, rapidità (per legge l’intero percorso dovrebbe durare circa 180 giorni salvo proroghe) e gestione diretta dell’impresa da parte dell’imprenditore, il quale mantiene il controllo mentre negozia sotto la supervisione dell’esperto .
Come funziona la Composizione Negoziata? L’accesso avviene tramite una piattaforma telematica nazionale (gestita da Unioncamere) : l’imprenditore deposita un’istanza con informazioni sullo stato economico-finanziario e viene nominato entro pochi giorni un Esperto indipendente (spesso un commercialista con specifica formazione). L’esperto studia la situazione e convoca l’imprenditore per definire le strategie di negoziazione. Le trattative con i creditori avvengono in modo riservato (i terzi non sono a conoscenza della procedura, salvo che l’imprenditore stesso decida di comunicarlo, ad esempio a una banca per giustificare la richiesta di moratoria). Durante la composizione negoziata, l’impresa può continuare ad operare regolarmente. Ciò che rende attraente lo strumento sono alcune tutele legali di contorno: l’imprenditore può chiedere al Tribunale l’applicazione di misure protettive e cautelari, ossia un provvedimento che blocca o sospende le azioni esecutive dei creditori durante la trattativa (di norma per un periodo iniziale di 4 mesi, prorogabile di 4). Inoltre, la legge vieta ai creditori strategici (es. fornitori di utenze essenziali, contratti in corso) di interrompere i rapporti solo perché l’impresa è entrata in composizione negoziata – un divieto di aggravamento della posizione del debitore. In pratica, si crea una sorta di “zona franca temporanea”: l’azienda è protetta dai nuovi attacchi dei creditori, guadagnando tempo per negoziare soluzioni. In parallelo, con l’assistenza dell’esperto, l’imprenditore elabora un piano di risanamento da sottoporre ai creditori. L’esperto funge da facilitatore: convoca le parti, suggerisce concessioni reciproche, verifica la sostenibilità delle proposte.
Esito della composizione negoziata può essere sia un accordo stragiudiziale (ad esempio una rinegoziazione collettiva del debito, o anche più accordi bilaterali con vari creditori) oppure, se necessario, l’accesso a una procedura concorsuale minore (concordato o accordo di ristrutturazione) con la base del lavoro già svolto. La bellezza della CNC sta nel fatto che non è predeterminato l’esito: è un contenitore nel quale le parti possono raggiungere qualsiasi intesa – dilazioni, riduzioni, ristrutturazioni – oppure constatare che non c’è soluzione. Se le trattative falliscono, la procedura si chiude senza alcuna dichiarazione formale di insolvenza (il che preserva l’azienda da stigmi, e l’imprenditore può comunque optare poi per un concordato o chiedere egli stesso la liquidazione). Se invece ha successo, l’accordo raggiunto viene semplicemente formalizzato privatamente o, in alcuni casi, recepito in strumenti come i piani attestati o accordi di ristrutturazione (ma comunque senza procedura fallimentare).
Le novità 2024 hanno ulteriormente potenziato questo strumento. In particolare, è stato introdotto l’art. 23 comma 2-bis CCII che consente, anche nel corso della composizione negoziata, di concludere accordi transattivi con il Fisco . Prima, durante la CNC, l’Erario poteva al più concedere una sospensione o dilazione standard, ma non “tagliare” il debito fiscale; ora invece l’imprenditore può proporre all’Agenzia delle Entrate e agli enti di riscossione un pagamento parziale/dilazionato di tutti i debiti tributari, inclusa la quota capitale delle imposte (IVA compresa) . Se le Agenzie fiscali accettano (devono valutare, con l’ausilio di una relazione indipendente attestante la convenienza della proposta rispetto al fallimento ), si perfeziona un accordo fiscale che viene poi semplicemente depositato in tribunale per ottenerne l’efficacia, con decreto di autorizzazione . Questo è un cambiamento radicale: significa che, senza aprire un concordato, è possibile ridurre il carico fiscale accordandosi direttamente col Fisco nell’ambito di una trattativa stragiudiziale. Restano fuori da possibili falcidie solo i debiti previdenziali (INPS), che per ora non possono essere ridotti nella composizione negoziata se non con le misure ordinarie di dilazione . Ciò è considerato un’anomalia da molti commentatori, ma è la disciplina vigente. In ogni caso, la CNC consente all’imprenditore di affrontare anche il nodo fiscale in modo organico durante la crisi.
Ulteriore punto di forza: se la composizione negoziata non conduce a un risanamento in bonis ma l’esperto ritiene che l’azienda abbia comunque prospettive di soluzione (ad esempio tramite liquidazione dei beni), l’imprenditore può accedere al concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (di cui diremo oltre) come uscita di sicurezza per evitare il fallimento. Questa possibilità rende la CNC un percorso a rischio contenuto: provarci non impegna definitivamente, ma può solo migliorare la situazione o quantomeno preparare il terreno per una soluzione concorsuale guidata in extremis.
In pratica, la composizione negoziata sta diventando il “new standard” per affrontare le crisi: è stato definito uno strumento “win-win”, perché evita la pubblicità immediata di uno stato di insolvenza, permette soluzioni tailor-made e, se riesce, salva l’impresa (con benefici economici e sociali evidenti) . Gli operatori segnalano che ha efficacemente salvato centinaia di aziende e decine di migliaia di posti di lavoro, e il suo utilizzo è in crescita esponenziale . Dal punto di vista del debitore, la CNC offre un ambiente protetto per negoziare e riorganizzare la finanza aziendale, contando su un terzo imparziale (l’esperto) che spesso riesce a vincere le resistenze dei creditori prospettando la convenienza di un accordo rispetto a uno scenario liquidatorio. I costi sono relativamente bassi (il compenso dell’esperto è fissato per legge in base a parametri e comunque ben inferiore ai costi di una procedura concorsuale lunga) e il procedimento è veloce. Unica cautela: la procedura va affrontata in buona fede e con trasparenza: se l’imprenditore la usa solo per prendere tempo e nel frattempo dissipa risorse o tratta scorrettamente i creditori, l’esperto lo segnalerà al tribunale e le tutele verranno revocate . In effetti, alcune pronunce recenti hanno chiarito che la composizione negoziata non può essere usata come stratagemma dilatorio: occorre un genuino intento di negoziazione, altrimenti il tribunale potrà non concedere o revocare le misure protettive (vedi ad es. Trib. Roma, ord. 15 dicembre 2022). Pertanto, va intrapresa con seria volontà di risanamento.
In conclusione sulle soluzioni stragiudiziali: un’azienda con debiti, specie se di dimensioni medio-grandi (come ipotizzato: S.r.l. o S.p.A. con esposizione sopra 1 milione di euro), dovrebbe valutare prioritariamente uno di questi percorsi: il piano attestato se ha già accordi di massima e vuol tenere il tutto riservato; l’accordo di ristrutturazione se ha il consenso di una larga fetta di creditori ma vuole blindarlo con un’omologazione; la composizione negoziata se la situazione è incerta e richiede una trattativa strutturata e protezione temporanea dai creditori. Tutti questi strumenti mirano a evitare il fallimento trovando soluzioni concordate. L’ordinamento, specie con le riforme recenti, ha privilegiato un approccio di conservazione dell’impresa in crisi, offrendo vie d’uscita negoziali che qualche anno fa non esistevano o erano inefficaci. Naturalmente, se tali strade falliscono o non sono praticabili, restano le procedure giudiziali vere e proprie, di cui parliamo nel prossimo capitolo.
Procedure concorsuali difensive (strumenti giudiziali)
Qualora la situazione debitoria sia troppo complessa per essere risolta in via stragiudiziale, oppure quando le trattative con i creditori non abbiano avuto esito positivo, il debitore può ricorrere alle procedure concorsuali previste dalla legge per gestire la crisi o l’insolvenza in modo ordinato. Anche queste procedure – benché attivate e svolte dinanzi al tribunale – possono essere considerate strategie difensive, nel senso che permettono al debitore di prendere l’iniziativa e incanalare la crisi verso una soluzione regolamentata, evitando l’aggressione caotica dei creditori e spesso garantendo esiti migliori rispetto a un fallimento “subìto”. Nel nostro ordinamento, per un’impresa commerciale in difficoltà le principali procedure concorsuali (escludendo quelle riservate a soggetti particolari come grandi imprese in amministrazione straordinaria) sono: il concordato preventivo (in continuità o liquidatorio), il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO), la liquidazione giudiziale (ossia il fallimento vero e proprio) e, in certe condizioni, il concordato semplificato post-composizione negoziata. Esaminiamole in ottica di difesa del debitore.
1. Concordato Preventivo: Il concordato preventivo è la procedura concorsuale “classica” con cui un debitore insolvente (o in stato di crisi) propone ai suoi creditori un accordo di sistemazione dei debiti sotto il controllo e con l’approvazione del tribunale. Si parla di procedura concorsuale minore perché si svolge sotto la vigilanza di un giudice ma l’iniziativa e la proposta vengono dal debitore stesso, al fine di evitare la dichiarazione di fallimento. Il concordato può avere due anime: di continuità aziendale (se prevede che l’impresa prosegua l’attività, eventualmente attraverso una ristrutturazione, cessione di azienda, affitto d’azienda ecc., mantenendo in vita la struttura produttiva) oppure liquidatorio (se prevede la cessazione dell’attività e la liquidazione del patrimonio dell’impresa, ma con modalità e in tempi stabiliti dal piano concordatario anziché dal curatore fallimentare). La distinzione è rilevante: il Codice della Crisi incoraggia il concordato in continuità, in quanto massimizza la soddisfazione dei creditori mantenendo il valore d’impresa (going concern), mentre ammette concordati puramente liquidatori solo a certe condizioni (ad esempio, che vi sia un apporto esterno di risorse che aumenti almeno del 10% l’attivo da distribuire ai creditori: art. 84, co.3 CCII).
Procedura: per accedere al concordato, l’imprenditore (assistito da professionisti) prepara un piano concordatario dettagliato e una proposta ai creditori. Il piano indica come si intende soddisfare i crediti: ad esempio, pagamento integrale dei privilegiati entro un certo tempo, pagamento parziale (una percentuale) dei chirografari, eventuale suddivisione in classi di creditori con trattamenti differenziati in base alle rispettive posizioni. La proposta può prevedere anche l’intervento di terzi (soci o investitori) che apportino finanza nuova, oppure la cessione dell’azienda a un soggetto che continui l’attività (concordato in continuità indiretta). Redatto il piano, bisogna corredarlo di una relazione di un professionista attestatore che ne certifica la fattibilità e la veridicità dei dati (similmente all’attestazione nel piano di risanamento, ma qui il professionista ha un ruolo imposto dall’art. 87 CCII). Dopodiché si deposita ricorso in tribunale chiedendo l’ammissione al concordato. Spesso, dato che la preparazione del piano richiede tempo, la legge consente di depositare una domanda di concordato “con riserva” o in bianco, ossia priva di piano ma con l’impegno a presentarlo entro un termine (di regola 60-120 giorni) ottenendo subito le protezioni di legge. Il tribunale, verificati i requisiti minimi (stato di crisi/insolvenza, documentazione contabile, ecc.), ammette la società alla procedura di concordato. Da quel momento i creditori non possono iniziare né proseguire azioni esecutive individuali (c’è il blocco delle azioni simile all’automatic stay statunitense), i contratti in corso proseguono sotto vigilanza e l’azienda può richiedere autorizzazione per pagare forniture essenziali o ottenere finanza interinale in prededuzione. Viene nominato un Commissario Giudiziale, figura terza che sorveglia la gestione e tutela i creditori durante la procedura, redigendo una relazione sulle cause della crisi e sulle prospettive del piano. I creditori sono chiamati a votare la proposta in adunanza (assemblea), esprimendosi per classi se il piano le prevede. Le maggioranze richieste sono: approvazione della maggioranza dei crediti ammessi al voto, calcolata come valore (50%+1); se ci sono classi, serve che la maggioranza delle classi approvi (salvo possibilità di cram down interclassi secondo la regola della relative priority, introdotta nel CCII, che in certi casi consente l’omologazione anche con il voto contrario di una classe dissenziente purché rispettato l’equilibrio di trattamento). Una volta ottenuto il voto favorevole, il tribunale passa alla fase di omologazione: verifica la legalità e fattibilità del piano, l’assenza di frodi, e soprattutto il rispetto del best interest test per i creditori dissenzienti (ovvero che nessun creditore riceva meno di quanto otterrebbe in una liquidazione giudiziale alternativa). Se tutto è in regola, emette decreto di omologa. A quel punto il concordato diviene vincolante per tutti i creditori anteriori, compresi eventuali oppositori (che però in sede di omologa hanno potuto dire la loro). Il debitore deve quindi eseguire il piano omologato: ad esempio, pagare le percentuali promesse ai creditori chirografari, liquidare eventuali cespiti non strategici, ecc., sotto la sorveglianza del commissario (che di solito diventa liquidatore o almeno supervisore fino al completamento). Se l’esecuzione riesce, l’impresa esce dal concordato riabilitata, con i debiti tagliati secondo il piano (esdebitazione dell’ente, benché per le società si discuta se abbia senso tecnico parlarne, dato che se la società sopravvive conserva solo i debiti ridefiniti). Se invece il piano fallisce (mancato pagamento delle percentuali, ecc.), il tribunale può aprire la liquidazione giudiziale.
Vantaggi difensivi del concordato: Innanzitutto, presentando una domanda di concordato l’imprenditore prende il controllo della situazione. Si evita l’istanza di fallimento dei creditori (che anzi, se pendente, viene sospesa poiché la domanda di concordato ha priorità). Durante la procedura concordataria, l’azienda beneficia di una moratoria generale: i creditori anteriori non possono agire esecutivamente né iscrivere ipoteche giudiziali, e i contratti in corso non possono essere sciolti per il solo fatto del concordato (salvo facoltà di recesso per giusta causa valutata dal giudice). Questo scudo permette all’impresa – specie se in continuità – di proseguire l’attività senza l’assillo di nuovi pignoramenti o interferenze. In secondo luogo, il concordato offre un quadro per ottenere nuove risorse: sono previste le finanziamenti prededucibili (art. 99 CCII) su autorizzazione del giudice, ossia prestiti o crediti di fornitura accordati durante il concordato che saranno rimborsati prima degli altri crediti in caso di eventuale successivo fallimento, così da incentivare partner a supportare l’azienda in concordato. Inoltre, il concordato permette di ridurre legalmente i debiti: tipicamente i creditori chirografari accettano una certa percentuale (anche bassa, se la liquidazione alternativa darebbe zero – non c’è più la soglia fissa del 20% obbligatoria che vigeva un tempo per i concordati liquidatori, purché il piano superi il best interest test) e i creditori privilegiati possono, in concordati in continuità, essere soddisfatti parzialmente o dilazionati oltre un anno (cosa in passato non ammessa) purché ricevano almeno il valore di realizzo del loro pegno/ipoteca in caso di liquidazione . Questo significa che anche banche garantite o ipotecarie possono accettare di prendere ad esempio l’80% in 5 anni se dal fallimento ricaverebbero il 50% subito – il piano può degradare il loro credito per la parte incapiente con i criteri previsti. Come già accennato per gli accordi, grazie alle ultime riforme è ora possibile un cram down fiscale anche nel concordato: la Cassazione nel 2024 (sent. n. 27782/2024) ha confermato che il tribunale può omologare un concordato preventivo anche col voto contrario del Fisco, se ai crediti tributari viene assicurato un trattamento non inferiore a quello che avrebbero in caso di liquidazione . Anzi, il legislatore col D.Lgs. 136/2024 ha esplicitamente previsto questa regola nel Codice, estendendo al concordato ciò che già valeva per gli accordi: il giudice può approvare il piano concordatario nonostante il “no” di Agenzia Entrate o INPS, purché il piano sia più vantaggioso del fallimento per tali creditori pubblici . Si tratta di un cambiamento epocale rispetto alla vecchia Legge Fallimentare, dove un diniego del Fisco bloccava tutto . Ora il favor è spostato verso la continuità aziendale e il salvataggio, bilanciando l’interesse pubblico erariale con quello generale alla salvaguardia dell’impresa e dei posti di lavoro . Dunque il concordato preventivo, specie in continuità, è diventato uno strumento ancor più interessante: consente di ristrutturare radicalmente il debito sotto l’ombrello protettivo del tribunale, con la possibilità di imporre la soluzione anche alle minoranze dissenzienti (ergo, efficacia erga omnes).
Svantaggi e considerazioni: Va detto che il concordato è una procedura complessa e onerosa. Richiede un notevole lavoro preparatorio (piano, documentazione, attestazione), e una volta avviata la gestione dell’impresa è sottoposta a vigilanza e a qualche restrizione (gli atti di straordinaria amministrazione necessitano di autorizzazione del giudice). I costi professionali e procedurali non sono trascurabili. Inoltre, vi è sempre il rischio che i creditori votino contro e che il tribunale neghi l’omologa se ritiene il piano non fattibile o iniquo. Tuttavia, per un’azienda fortemente indebitata che ha ancora prospettive di sopravvivenza, il concordato in continuità può realizzare quella sorta di “ristrutturazione dei debiti con taglio e dilazione” che in altri ordinamenti (si pensi al Chapter 11 USA) è prassi comune, ma che in Italia per decenni è mancata.
2. Piano di Ristrutturazione Soggetto ad Omologazione (PRO): Introdotto nel Codice della Crisi su impulso della direttiva UE 2019/1023, il PRO è una nuova figura di procedura concorsuale, poco conosciuta al di fuori degli addetti ai lavori, ma meritevole di menzione in un contesto avanzato. Esso si colloca a metà strada tra l’accordo di ristrutturazione e il concordato preventivo. In sostanza, il Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione consente all’imprenditore di presentare un piano di risanamento ai creditori, suddividendoli in classi secondo posizione giuridica e interessi economici, e di ottenere l’omologazione del piano da parte del tribunale senza passare per un voto a maggioranza come nel concordato, ma con l’adesione unanime delle classi coinvolte . È uno strumento con caratteristiche “ibride”: da un lato c’è la formazione negoziale del consenso (i creditori votano per classi la proposta, ed è richiesta l’unanimità per classe), dall’altro lato c’è la deroga al tradizionale pari passu tra creditori e all’ordine delle prelazioni tipico delle procedure concorsuali . Infatti, nel PRO il debitore ha grande libertà nel proporre trattamenti diversificati: può liberamente distribuire il valore generato dal piano tra classi diverse in modo non proporzionale ai gradi di privilegio, purché all’interno di ciascuna classe i membri siano trattati paritariamente . Ciò significa, per fare un esempio, che in un PRO si potrebbe offrire a un fornitore chirografario “strategico” il pagamento del 50% del credito, mentre a una banca ipotecaria (che pure ha garanzia) magari solo il 30%, se ciò è funzionale a mantenere il fornitore essenziale operativo. Oppure, persino riservare una parte di valore al debitore stesso (alla proprietà), cosa tradizionalmente impensabile, come incentivo al successo del piano . Questa flessibilità estrema è bilanciata da due meccanismi: (i) tutte le classi di creditori devono votare a favore (quindi se anche una classe vota contro, il PRO non può essere omologato – in ciò si distingue dal concordato, dove la maggioranza può vincere su una minoranza dissenziente); (ii) ogni singolo creditore dissenziente (anche se la sua classe ha votato sì all’unanimità, quindi in realtà non dissenziente nella votazione ma magari assente o astenuto) può opporre l’omologazione se riesce a dimostrare che dal piano ricaverebbe meno di quanto otterrebbe da una liquidazione giudiziale . Dunque, vige il best interest test a tutela dei singoli e in più serve un consenso corale delle classi. È in effetti uno strumento pensato per situazioni in cui c’è una volontà pressoché unanime dei creditori di evitare la liquidazione, ma si vuole la massima libertà contrattuale nella struttura del piano (anche rompendo le graduatorie legali dei privilegi). Il PRO riprende concetti di derivazione anglosassone (è simile a un scheme of arrangement o a un piano di ristrutturazione spagnolo post-riforma).
Dal punto di vista pratico del debitore, il PRO può essere interessante quando: il numero dei creditori è più elevato di un semplice accordo privatistico, ma il debitore preferisce mantenere una regia privata delle trattative e non aprire un vero concordato con commissari e lungaggini; inoltre, quando si vuole premiare alcuni creditori strategici o coinvolgere i soci nella ripartizione del valore (ad esempio lasciando l’azienda ai soci con una parte di attivo residuo, purché tutti i creditori acconsentano sapendo di avere comunque più che in fallimento). Anche nel PRO, come nel concordato, è prevista la possibilità di ottenere misure protettive e di gestire l’impresa durante la procedura con certe autorizzazioni. Ma il PRO, essendo introdotto di recente, è ancora in via di sperimentazione: dottrina e giurisprudenza stanno dibattendo la sua natura (concorsuale o negoziale?) . È stato definito una procedura “concorsuale liquida” o “ibrida” , in cui le caratteristiche tradizionali del concorso (universalità, par condicio, rispetto rigido delle prelazioni) sono attenuate in favore di modelli più negoziali e flessibili. Di certo, per il debitore, il PRO rappresenta uno strumento in più nell’arsenale di difesa: può proporre un piano ampiamente personalizzato se ritiene di poter ottenere l’accordo di tutti i creditori (o comunque di tutte le classi). Rispetto a un accordo di ristrutturazione classico (60%), il PRO consente di includere tutti i creditori nel piano (non solo quelli aderenti) e di modulare i pagamenti anche di chi sarebbe contrario, senza doverli soddisfare integralmente (purché convinti in classe). Rispetto a un concordato preventivo, evita l’intrusività piena della procedura (anche se, va detto, il CCII prevede comunque la nomina di organi ausiliari anche nel PRO: un Giudice Delegato e un Commissario Giudiziale con compiti simili a quelli del concordato , il che lo avvicina molto ad un concordato “semplificato” nelle dinamiche). Insomma, il PRO è un accordo con il 100% di consensi, ma formalizzato in tribunale: un’operazione che se c’è unanimità potrebbe anche svolgersi in via privata, ma che, facendola omologare, produce effetti esdebitativi e di protezione per il debitore simili a quelle di un concordato. Non è la prima scelta per difendersi (richiede appunto unanimità per classi: situazione rara), ma in scenari particolari – ad esempio ristrutturazioni di gruppi di debito con investitori istituzionali che preferiscono una soluzione veloce e concordata – può rivelarsi utile.
3. Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio: Menzioniamo brevemente questo strumento, introdotto nel 2021 e ora disciplinato dall’art. 25-sexies CCII. È definito “semplificato” perché diverge dal concordato tradizionale in alcuni aspetti cruciali: (i) può essere richiesto solo dall’imprenditore che abbia prima esperito senza successo una composizione negoziata; (ii) non è previsto il voto dei creditori: la proposta di concordato liquidatorio (che di solito consiste nella cessione o liquidazione di tutti i beni aziendali sotto controllo del tribunale, con riparto ai creditori) viene valutata dal tribunale e, se ritenuta più soddisfacente del fallimento, omologata d’ufficio, senza consultazione dei creditori; (iii) originariamente non era possibile “toccare” i creditori privilegiati, nel senso che dovevano essere soddisfatti integralmente, ma il correttivo 2024 ha eliminato questo vincolo, permettendo anche nel semplificato di falcidiare pegni e ipoteche purché non prendano meno del ricavabile dalla liquidazione . In pratica, il concordato semplificato è un rimedio di ultima istanza: se la trattativa stragiudiziale fallisce ma c’è comunque un’offerta in grado di dare ai creditori più del fallimento (ad esempio un acquirente disponibile a comprare l’azienda in blocco, garantendo una certa percentuale ai creditori), l’imprenditore può evitare il fallimento chiedendo al tribunale di approvare direttamente questa soluzione. Dal punto di vista difensivo, è un piano B da tenere in considerazione: significa che attivare la composizione negoziata non espone l’imprenditore al rischio di trovarsi poi senza alternative se i creditori non firmano accordi. Potrà sempre proporre la via del concordato semplificato e impedire che i beni finiscano nel marasma di una liquidazione giudiziale ordinaria. Per i creditori, non votare è uno svantaggio, ma è bilanciato dal fatto che il tribunale ammetterà il semplificato solo se oggettivamente vantaggioso. Dunque, per un debitore che non riesce a risanare ma vuole comunque gestire in modo ordinato la propria exit, il concordato semplificato offre l’opportunità di chiudere la partita con un procedimento rapido e controllato.
4. Liquidazione giudiziale (fallimento): Infine, la procedura concorsuale per eccellenza, da considerare però come ultima risorsa, è la liquidazione giudiziale ex art. 121 e ss. CCII (il vecchio fallimento). Può sembrare strano definire la dichiarazione di fallimento una “strategia difensiva”, poiché normalmente è subìta dai debitori su istanza dei creditori. Tuttavia, in certi casi, può essere il debitore stesso a presentare istanza di liquidazione giudiziale volontaria (l’equivalente dell’autofallimento). Ciò avviene quando l’imprenditore prende atto che non esistono vie percorribili di risanamento o concordato e che protrarre l’attività aggraverebbe il dissesto. La scelta di “farsi fallire” volontariamente, per quanto dolorosa, può avere una sua razionalità dal punto di vista della tutela del debitore: infatti, avviare subito la liquidazione può bloccare sul nascere ulteriori esposizioni, congelare la situazione evitando atti di mala gestio e attivare prima possibile l’iter per l’esdebitazione (la liberazione dai debiti residui per la persona fisica fallita, cosa che per le società di capitali non rileva in quanto cessano). Inoltre, la collaborazione con gli organi fallimentari può mitigare eventuali conseguenze negative (il comportamento viene valutato in sede di eventuale azione di responsabilità, e può evitare accuse di bancarotta fraudolenta qualora si dimostri di aver agito con correttezza). Dunque, dichiarare il fallimento della società, se proprio non c’è altra via, è un modo per mettere un punto finale e ripartire su basi pulite (almeno per gli imprenditori individuali o i soci illimitatamente responsabili, che dopo l’esdebitazione potranno ricominciare, e per i dipendenti che potranno accedere a strumenti come il Fondo di Garanzia INPS per TFR e stipendi). È però ovviamente l’esito meno favorevole: l’impresa viene spazzata via e i creditori recuperano in genere poco. Per questo tutta la gamma di strumenti illustrati sopra serve proprio a evitare la liquidazione giudiziale, se possibile.
In definitiva, dal punto di vista del debitore, la scala delle strategie va dal massimo della negoziazione volontaria (piani di rientro informali) al minimo della resa incondizionata (fallimento), passando per vari gradini intermedi di coinvolgimento del tribunale. Ogni gradino più “intrusivo” riduce l’autonomia ma offre maggiori strumenti coercitivi verso i creditori e protezioni per il debitore. Spesso, un percorso ben congegnato può combinare più strumenti: ad esempio, si può partire con una composizione negoziata; se va bene, si chiude con un accordo stragiudiziale, se va male, si trasforma la soluzione in un concordato semplificato evitando il fallimento. Oppure si tenta un piano attestato; se alcuni creditori non collaborano, si “scala” a un accordo di ristrutturazione omologato. L’importante per l’imprenditore è mantenere l’iniziativa: chiedere per tempo il concordato preventivo (anche in bianco) può congelare un’istanza di fallimento presentata da altri, ad esempio. L’ordinamento oggi premia il debitore diligente, punendo invece chi resta passivo.
Nel prossimo paragrafo, ci concentreremo su alcuni aspetti specifici trasversali a tutte queste procedure – in particolare la gestione dei debiti tributari e la posizione di soci e amministratori – per poi passare a esempi pratici e a una sessione di domande/risposte frequenti.
Gestione dei debiti tributari e contributivi
I debiti verso l’Erario e gli enti previdenziali (Agenzia Entrate, Agenzia Entrate-Riscossione, INPS, Casse edili, etc.) rivestono spesso un ruolo cruciale nelle crisi d’impresa, specie nel settore edile. Può accadere che, per far fronte a spese immediate (es. pagare i fornitori o i dipendenti), l’imprenditore rinvii i pagamenti fiscali, accumulando debiti per IVA, ritenute e contributi. Col tempo, tra interessi e sanzioni, queste posizioni crescono e possono innescare procedure esecutive (fermi, ipoteche) o precludere certificazioni di regolarità indispensabili (il DURC, come detto). Affrontare i debiti fiscali è dunque prioritario in qualunque piano di risanamento. Le strategie difensive specifiche in ambito tributario includono:
- Rateizzazioni ordinarie e straordinarie: La normativa vigente consente al debitore di chiedere all’Agente della Riscossione un piano di rateazione delle cartelle esattoriali. Per importi fino a €120.000, la dilazione (fino a 72 rate mensili, ossia 6 anni) è concessa con semplice istanza, senza dover dimostrare lo stato di difficoltà. Per importi superiori, occorre provare una temporanea situazione di obiettiva difficoltà e si può chiedere fino a 6 anni, o in casi eccezionali fino a 10 anni (120 rate). Recenti disposizioni hanno reso più flessibili questi piani e aumentato la soglia di accesso alla rateazione automatica. Ottenere una rateizzazione ha due effetti benefici: (i) si blocca ogni azione esecutiva su quelle cartelle, finché il piano è rispettato; (ii) l’azienda torna regolare ai fini del DURC fiscale se paga puntualmente le rate. È quindi uno strumento fondamentale per congelare l’esposizione fiscale e diluirla nel tempo, guadagnando ossigeno (unico neo: sulle somme rateizzate maturano interessi di mora). In sede difensiva, è utile presentare istanza di dilazione il prima possibile, anche solo per guadagnare tempo e rimuovere fermi amministrativi, purché si abbia un piano realistico per onorare le rate o per sostituire poi la rateazione con altra soluzione (es. transazione fiscale in concordato).
- Sospensioni e impugnative: Se vi sono cartelle esattoriali basate su accertamenti che il debitore ritiene contestabili, è possibile presentare ricorso alle Commissioni Tributarie (ora Corti di Giustizia Tributarie) e contestualmente chiedere la sospensione dell’esecuzione. Se la commissione concede la sospensiva, la riscossione rimane bloccata fino alla decisione di merito. Questo è un mezzo di difesa soprattutto quando l’importo è elevato e vi sono vizi (es. decadenza, errore di calcolo, mancanza di notifica) o ragioni sostanziali valide. Anche fare opposizione a una cartella per vizi formali può far guadagnare tempo prezioso, che può poi essere utilizzato per includere quel debito in un successivo accordo/concordato. Va usata con cautela: fare ricorsi pretestuosi solo per ritardare può esporre a sanzioni e non conviene se l’azienda è chiaramente in torto, ma se c’è materia del contendere, sfruttare i gradi di giudizio tributari può ridurre significativamente l’importo dovuto (in molti casi, liti fiscali si chiudono con transazioni da conciliazione giudiziale riducendo sanzioni o imponibile).
- Definizioni agevolate (“rottamazioni” e “saldo e stralcio”): Negli ultimi anni il legislatore è intervenuto più volte con misure straordinarie di pace fiscale, come la rottamazione delle cartelle (che consente di pagare solo l’imposta, senza sanzioni né interessi di mora) o il saldo e stralcio per contribuenti in difficoltà (pagamento parziale proporzionale all’ISEE, per debiti di persone fisiche o ditte individuali). Nel contesto della nostra azienda (S.r.l./S.p.A.), l’eventuale rottamazione può essere sfruttata se prevista: ad esempio, la Rottamazione-quater (introdotta con la legge di Bilancio 2023) era aperta anche alle società e ha permesso di definire i ruoli 2000-2017 con sconti su sanzioni e interessi. Aggiornamento 2025: al momento non risulta attiva un’ulteriore rottamazione generalizzata oltre quella del 2023, ma l’imprenditore dovrebbe tenersi informato su eventuali nuovi provvedimenti di condono o definizione agevolata che il governo potrebbe varare (specie dopo periodi di crisi economica). Qualora se ne presentasse l’opportunità, aderire a tali misure può ridurre notevolmente il debito fiscale. Tuttavia, si tratta di strumenti una tantum fuori dal controllo del singolo – se ci sono, vanno colti, altrimenti occorre usare gli strumenti ordinari.
- Transazione fiscale e contributiva nelle procedure concorsuali: Quando si imbocca una procedura formale (accordo di ristrutturazione o concordato), il debitore può proporre ai creditori pubblici una transazione fiscale ai sensi degli artt. 63-64 CCII. In concreto, può offrire il pagamento parziale di imposte e contributi, con falcidia anche del capitale (inclusa l’IVA, che oggi è falcidiabile in concordato per espressa previsione e confermata legittimità costituzionale). Ad esempio, se l’azienda ha 300.000 € di debiti IVA, potrebbe proporre di pagarne 150.000 € dilazionati in 5 anni, allegando una perizia che dimostri come, in caso di fallimento, l’Erario incasserebbe ad esempio solo 100.000 €. Tradizionalmente, questa proposta doveva essere approvata dall’Agenzia delle Entrate (che verificava convenienza, e talvolta imponeva linee rigide, come il pagamento integrale dell’IVA e solo sanzioni/interessi stralciabili). Oggi, con le modifiche normative, la forza contrattuale del Fisco è minore: se il piano è conveniente, l’omologazione forzata può scavalcare il suo dissenso (salvo i casi limite visti, di maxi debiti ultra-80% con frodi, in cui la legge vieta proprio l’omologa forzata ). In sostanza, il debitore ha ora il coltello dalla parte del manico nel dire al Fisco: “Accetta questa offerta migliorativa, oppure il giudice te la renderà comunque esecutiva se dimostriamo che è la migliore soluzione per te”. Naturalmente l’offerta deve rispettare requisiti: non si può ad esempio offrire all’Erario una somma inferiore a quella ricavabile liquidando eventuali beni su cui ha privilegio (ad esempio, se c’è ipoteca di Equitalia su un immobile, almeno quel valore dev’essere riconosciuto). E rimane il fatto che alcuni crediti non si possono falcidiare in nessun caso, secondo normative speciali – un esempio: l’IVA è ora falcidiabile, ma i dazi doganali (risorse proprie UE) no, essendoci divieti europei; oppure i contributi INPS si possono dilazionare ma in linea di massima andrebbero pagati integralmente quanto a quota capitale (anche se su questo punto la giurisprudenza va evolvendo). Il punto chiave è: in sede di concordato o accordo, il debitore deve predisporre con cura la transazione fiscale, che spesso è l’ago della bilancia dell’intera procedura. Le novità normative (art. 63 CCII come modificato nel 2022) chiariscono che la proposta al Fisco deve includere tutti i tributi e contributi, e se l’ente non risponde entro 90 giorni si considera silenzio-assenso (scongiurando meline infinite). Dunque, consiglio pratico: fatevi assistere da un fiscalista nel calibrare una proposta di transazione ben documentata, magari facendola precedere da un’interlocuzione informale con gli uffici competenti, così da aumentare le chance di adesione.
- Cram down fiscale e limitazioni 2024: Abbiamo già trattato diffusamente questo tema, ma lo riassumiamo qui per chiarezza. Cram down significa che, se la maggioranza dei creditori vota per il concordato (o se si raggiunge la soglia negli accordi) e solo il Fisco dice no, il giudice può imporre il concordato comunque. È una svolta pro-debitore introdotta dal Codice della Crisi e confermata sia dalla Suprema Corte sia dal decreto correttivo ter. Le limitazioni introdotte nel 2024 prevedono che questo non sia possibile qualora il debito fiscale/previdenziale sia enorme (≥80% del totale debiti) e la posizione del debitore sia connotata da grave inadempienza fiscale (omessi versamenti per 5 periodi d’imposta o frodi rilevanti) . In tali ipotesi, se il Fisco dice no, la procedura non può essere omologata e con ogni probabilità si andrà a liquidazione (lo Stato non tollera concordati che appaiono come “condoni” a grandi evasori seriali). Questo è un monito per l’imprenditore: non abusare della falcidia fiscale come scappatoia dopo anni di omissioni dolose, perché la legge ha chiuso quella porta. Ma per le imprese che hanno accumulato debiti fiscali per ragioni congiunturali e non per malizia, il nuovo contesto normativo offre margine di sollievo.
- Responsabilità personali per debiti tributari: Un ultimo aspetto difensivo da valutare riguarda le possibili ricadute personali. In linea generale, per le società di capitali (S.r.l., S.p.A.), i soci non rispondono dei debiti fiscali sociali, salvo abbiano prestato garanzie personali (fideiussioni) o salvo il caso particolare di socio illimitatamente responsabile (non applicabile alle S.r.l./S.p.A.). Tuttavia, il legale rappresentante di una società può essere chiamato a rispondere in proprio in alcune ipotesi: ad esempio, per le sanzioni amministrative tributarie non penali (che sono spesso a carico della persona fisica rappresentante, se la società non paga); oppure – aspetto ben più grave – in sede penale per omesso versamento IVA o ritenute, come detto. Inoltre, in caso di cessione d’azienda durante la crisi, l’art. 14 D.Lgs. 472/97 prevede la responsabilità solidale (sia pure limitata) dell’acquirente per tributi non pagati dall’azienda cedente, il che può complicare eventuali piani di vendita per generare cassa. Dunque, il debitore/administratore che tratta con il Fisco deve stare attento anche a tutelare sé stesso: a volte può convenire includere nella transazione anche le sanzioni (che colpiscono la persona) per farle annullare pagando il tributo, oppure valutare eventuali cause di non punibilità (es. crisi di liquidità documentata) per difendersi in sede penale se viene contestato l’omesso versamento di IVA. Dal punto di vista aziendale, uno degli scopi del concordato è anche neutralizzare i rischi penali tributari: ad esempio, se la società ottiene l’omologazione di un concordato che prevede il pagamento parziale dell’IVA, il legale rappresentante non sarà punibile per l’omesso versamento dell’IVA falcidiata (essendo intervenuta una causa di non punibilità riconosciuta dal legislatore o dalla giurisprudenza: in passato c’è stata una discussione a riguardo, ma la tendenza è considerare che il concordato offre una scriminante).
In sintesi, per difendersi sul fronte fiscale occorre: tempestività (non aspettare che le cartelle vadano in riscossione coattiva, ma attivarsi con rateazioni o accordi finché si è in tempo), competenza tecnica (farsi aiutare a navigare tra le opzioni di legge e valutare la convenienza di ciascuna) e buona fede (mostrare al Fisco la volontà di pagare il possibile). L’ordinamento attuale, a differenza del passato, concede strumenti efficaci per ridurre e dilazionare il debito fiscale in casi di crisi, riconoscendo che un recupero parziale in concordato può essere meglio di un fallimento in cui lo Stato spesso rimane creditore insoddisfatto. Esempi pratici di successo includono grandi aziende che hanno azzerato milioni di debiti tributari con concordati in continuità approvati perché garantivano maggiore gettito al Fisco rispetto alla chiusura dell’attività. L’importante, dal lato del debitore, è saper integrare queste opportunità nel piano complessivo di risanamento.
Difendersi dalle azioni legali dei creditori
Parallelamente alle strategie di ristrutturazione del debito, il debitore deve considerare come difendersi dalle singole azioni che i creditori possono intraprendere nel frattempo. Spesso, infatti, l’azienda in crisi si trova già bersaglio di cause civili, decreti ingiuntivi, pignoramenti o, come detto, istanze di fallimento. Vediamo le principali situazioni e le possibili difese dal punto di vista del debitore:
1. Opposizione a decreti ingiuntivi e cause civili: Se un creditore ottiene dal tribunale un decreto ingiuntivo di pagamento (magari per forniture non pagate o penali contrattuali), il debitore ha 40 giorni per presentare opposizione. L’opposizione trasforma il procedimento in un giudizio ordinario in cui il debitore può contestare il credito (in tutto o in parte) o eccepire altre ragioni (compensazioni, prescrizioni, inadempimenti del creditore stesso, ecc.). Dal punto di vista difensivo, fare opposizione – quando vi siano motivi non manifestamente infondati – è spesso utile per guadagnare tempo: la causa civile dura magari anni, durante i quali l’esecutività dell’ingiunzione può essere sospesa (previa richiesta al giudice, se si dimostra che l’esecuzione immediata arrecherebbe danno grave). Questo tempo può essere utilizzato per trovare un accordo transattivo con quel creditore o includerlo in un piano di ristrutturazione generale. Tuttavia, opporsi senza vere ragioni è sconsigliabile, perché si rischia di aggravare le spese legali e, se il tribunale ravvisa mala fede o colpa grave nell’opposizione, il debitore potrebbe essere condannato a una penale ex art. 96 c.p.c. (lite temeraria). Quindi la difesa giudiziale va calibrata caso per caso. In ogni caso, se il credito è effettivamente dovuto ma l’azienda non può pagare, conviene comunicare col creditore e magari chiedergli di aderire a un accordo di ristrutturazione o attendere l’esito di una composizione negoziata, piuttosto che lasciare che proceda con causa ed esecuzione.
2. Sospensione e opposizione alle esecuzioni (pignoramenti): Quando un creditore ha già un titolo esecutivo (sentenza, decreto ingiuntivo non opposto, cartella esattoriale esecutiva) e avvia un pignoramento, lo scenario si fa stringente. Le possibilità del debitore dipendono dal contesto: – Se vi sono vizi procedurali nel pignoramento (esempio: errata notifica, pignoramento su bene non pignorabile, ecc.), si può proporre opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi (artt. 615/617 c.p.c.) per far dichiarare l’inesistenza o irregolarità dell’azione esecutiva. Questa è una difesa tecnica che può ritardare l’iter, ma di solito se il debito è reale porta solo a una ripetizione più corretta dell’atto. – Se invece l’esecuzione è formalmente regolare ma il debitore ha avviato una delle procedure concorsuali di cui sopra, allora scattano i meccanismi di sospensione: ad esempio, il deposito di una domanda di concordato preventivo con riserva comporta, su istanza del debitore, che il tribunale possa sospendere le esecuzioni individuali in corso (e di fatto, molti tribunali estendono la protezione anche ai procedimenti già iniziati, congelandoli). Analogamente, la richiesta e ottenimento di misure protettive nella composizione negoziata fa sì che i pignoramenti in corso non possano proseguire (gli atti esecutivi compiuti in violazione delle misure protettive sono nulli). Quindi una mossa difensiva chiave è: appena parte un pignoramento importante (es. pignoramento immobiliare sul capannone, o pignoramento del conto in banca con tutta la liquidità), valutare immediatamente la possibilità di attivare una procedura concorsuale (concordato preventivo, accordo ex art.57, composizione negoziata con misure protettive). Ciò paralizza l’azione esecutiva: il bene pignorato rimane pignorato, ma la vendita forzata viene sospesa in attesa dell’esito della procedura concorsuale. Se poi la procedura va a buon fine (accordo omologato, concordato omologato), quel pignoramento sarà assorbito nel piano generale di soddisfo dei creditori. Ad esempio, se un fornitore ha pignorato il conto, ma l’azienda entro poche settimane deposita un concordato in bianco e ottiene lo stay, il pignoramento non potrà concludersi; se il concordato viene omologato e prevede il pagamento di quel fornitore al 40%, il pignoramento verrà chiuso e il fornitore riceverà il 40% in sede concordataria, non potrà pretendere il 100% via esecuzione. Questa è la logica del concorso che prevale sull’azione individuale. È quindi fondamentale tempestività: spesso i debitori subiscono esecuzioni perché esitano ad attivare la procedura concorsuale; invece, muoversi prima consente di salvare asset dall’esproprio. – Se il debitore non ha attivato alcuna procedura e l’esecuzione va avanti, ultima risorsa è cercare un accordo transattivo last-minute col creditore procedente: ad esempio, offrire un pagamento parziale immediato (magari grazie a un prestito dai soci o dalla famiglia) in cambio della rinuncia al pignoramento. È un negoziato in situazione debole, ma talvolta il creditore preferisce incassare subito una parte che attendere la vendita all’asta (dove spesso ricava meno e molto tardi). Bisogna però evitare di compiere pagamenti preferenziali potenzialmente revocabili: se l’impresa è di fatto insolvente e paga fuori da un piano generale un creditore (anche stragiudizialmente per fargli togliere il pignoramento), rischia che quel pagamento, se entro gli ultimi 6 mesi prima del concordato o 1 anno prima del fallimento, venga revocato dal futuro curatore come atto preferenziale. A meno che, come visto, non avvenga in esecuzione di un piano attestato pubblicato, situazione in cui sarebbe protetto . Quindi, anche qui serve valutare il trade-off: salvare un bene da un’asta con un pagamento può avere senso, ma potrebbe non liberare definitivamente l’azienda dall’obbligo (in caso di successivo fallimento, quel creditore potrebbe dover restituire e rifare la fila col curatore). La soluzione migliore è sempre incanalare il pagamento preferenziale dentro una cornice legale (piano attestato o concordato).
3. Difendersi da un’istanza di fallimento: Se uno o più creditori (inclusi enti come l’Agenzia Entrate o un creditore bancario) presentano un ricorso per la liquidazione giudiziale dell’azienda, il debitore viene citato in tribunale per l’udienza. Questa è una situazione critica ma non priva di vie d’uscita. Le strategie difensive possibili: – Contestare l’insolvenza: se il debitore ritiene di non essere insolvente (magari è in crisi ma non al punto di non poter pagare regolarmente, o il credito del ricorrente è contestato), può difendersi cercando di convincere il tribunale che non vi sono i presupposti per il fallimento. Ad esempio, dimostrando di avere patrimonio sufficiente o di aver fatto pagamenti significativi, o che la morosità verso quel creditore era circoscritta e in via di soluzione. Spesso questa strada è in salita, perché di solito chi ricorre lo fa presentando evidenze di insolvenza (assegni scoperti, pignoramenti infruttuosi, ecc.). Tuttavia, se ci sono elementi – come un piano di risanamento in corso, trattative avanzate con investitori, ecc. – è utile esporli al giudice per ottenere un rinvio o una dichiarazione di insussistenza dello stato di insolvenza. – Regolare le posizioni chiave prima dell’udienza: se l’istanza di fallimento proviene da pochi creditori, a volte pagando (o accordandosi con) quei specifici creditori il ricorso viene revocato. Ad esempio, se a chiedere il fallimento è un fornitore per 50.000 €, trovare la somma per saldarlo (o un accordo) farà venir meno l’interesse al ricorso. Questa mossa è efficace ma attenzione: se la situazione globale resta compromessa, potrebbero farsi avanti altri creditori poi, quindi è un tampone temporaneo. Inoltre, come sempre, pagare integralmente uno e non altri, a ridosso dello stato di insolvenza, crea potenziale rivalsa (revocatoria). – Depositare un ricorso di concordato preventivo o accordo in proprio: la legge consente al debitore di “neutralizzare” l’istanza di fallimento dei creditori presentando egli stesso, prima della sentenza di fallimento, una domanda di concordato preventivo (anche con riserva) o di accesso a misure di regolazione negoziale. In tal caso, il procedimento per fallimento viene sospeso in attesa dell’esito del concordato (o addirittura archiviato se il concordato arriva a buon fine). Questa è forse la più potente arma di difesa: il concordato in bianco. In pratica, l’imprenditore, appena saputo del ricorso di fallimento, può predisporre rapidamente i documenti base (bilanci, elenco creditori) e depositare in tribunale la domanda di concordato con riserva. Otterrà immediatamente un provvedimento protettivo e il rinvio dell’udienza prefallimentare dopo la scadenza del termine concesso per presentare il piano (di solito 60-120 giorni). Questo dà un lasso di tempo prezioso in cui elaborare una soluzione. Spesso, se il concordato poi appare fattibile, la richiesta di fallimento viene superata e si prosegue con il concordato. Se invece il debitore non presenta alcun piano o non ottiene l’ammissione, il procedimento di fallimento riprenderà (e a quel punto il giudice probabilmente dichiarerà il fallimento, ma avremo comunque guadagnato mesi). – Chiedere il concordato “minore” o la liquidazione controllata (per piccoli imprenditori): nel caso limite in cui l’impresa non fosse soggetta a fallimento perché sotto soglia (piccolissimo imprenditore ai sensi art. 2 CCII: ricavi sotto 200mila, debiti sotto 500mila, etc.), la difesa consiste nel far valere l’inapplicabilità della liquidazione giudiziale, eventualmente attivando la procedura di concordato minore o liquidazione controllata (strumenti previsti per i soggetti non fallibili, come ex legge sovraindebitamento). Nel nostro esempio di azienda di demolizioni è improbabile rientrare in queste soglie, ma giova sapere che il sistema prevede procedure “su misura” per chi è escluso dal fallimento, e che oggi anche quelle consentono falcidie e soluzioni simili (il concordato minore è come un concordato preventivo ma per micro-imprese). – Dilazione con l’Erario o pagamento stipendi prima dell’udienza: a volte, l’istanza di fallimento viene promossa d’ufficio dal PM su segnalazione (es: dell’INPS per contributi non pagati, o di dipendenti per stipendi arretrati). In tali casi, sanare quelle posizioni (ottenere un DURC regolare tramite rateazione, pagare gli stipendi dovuti magari attingendo a un finanziamento soci) può indurre il tribunale a non rilevare più l’insolvenza attuale, perché i sintomi immediati sono rientrati. Non è garanzia di scampato pericolo (il tribunale guarda anche la prospettiva), ma sicuramente è un punto a favore del debitore mostrare di aver risolto le inadempienze che avevano fatto scattare la segnalazione.
In generale, la difesa fondamentale contro il fallimento è mettere in campo un piano alternativo credibile: se l’imprenditore arriva all’udienza prefallimentare a mani vuote e dice solo “datemi tempo, vedrò cosa fare”, difficilmente eviterà il fallimento. Se invece si presenta dicendo “ho già depositato un concordato” oppure “sto firmando accordi con l’80% dei creditori, chiedo breve rinvio per formalizzare un accordo ex art.57” e porta documenti a supporto, il tribunale è più propenso a concedere chance. I giudici, specie dopo l’entrata in vigore del Codice della Crisi, hanno l’indirizzo di favorire le soluzioni conservative se fondate. Dunque, l’azienda debitrice deve preparare prima gli elementi per convincere della propria capacità di risanamento.
4. Rapporti contrattuali pendenti: Un’azienda di demolizioni può avere vari contratti in essere (appalti da completare, noleggi di attrezzature, leasing di mezzi, forniture continuative di materiali, contratti con assicurazioni per polizze decennali su lavori, ecc.). In caso di crisi o avvio di procedura concorsuale, è fondamentale gestire questi contratti per non perdere commesse o beni essenziali. Il Codice della Crisi prevede che l’apertura di una procedura di concordato non determina di per sé la risoluzione dei contratti in corso (clausole di ipso facto risolutive sono nulle). Anzi, in concordato il debitore può chiedere di sciogliere contratti non più utili (con autorizzazione del tribunale) o di sospenderli, così come può mantenere in essere quelli vitali. Ad esempio, se l’azienda è in concordato in continuità, può scegliere di proseguire l’appalto di demolizione di un edificio pubblico che è redditizio, e magari recedere da un altro contratto oneroso che genererebbe perdite, ottenendo dal giudice la risoluzione ex art. 97 CCII senza penali risarcitorie a carico (il contraente avrà solo un credito di indennizzo, chirografario). Questa facoltà è difensiva perché consente di liberarsi da contratti svantaggiosi durante la crisi (ad esempio un affitto di ramo d’azienda non più sostenibile). In composizione negoziata non c’è l’analogo potere unilaterale, ma come accennato c’è il divieto per la controparte di risolvere anticipatamente il contratto essenziale: ad esempio, il locatore del capannone non può cacciarci perché siamo in CNC, né il fornitore di energia staccare la luce per pregresse morosità se paghiamo il corrente. Queste norme (art. 20-21 CCII) proteggono la continuità aziendale.
In sintesi, il debitore deve mappare tutti i rapporti contrattuali: per ciascuno valutare se gli conviene mantenerlo (in tal caso assicurarsi di pagare le forniture correnti – perché se non paga quelle il fornitore può avere motivo di risoluzione per inadempimento corrente, non per la procedura) oppure se intende scioglierlo (e in tal caso cogliere l’opportunità, in concordato, di chiedere la risoluzione senza gravosi risarcimenti).
5. Garanzie personali e azioni sui soci: Come già accennato, i soci e terzi garanti spesso subiscono gli effetti della crisi dell’azienda. Un tipico caso: il socio amministratore ha garantito con fideiussione il mutuo bancario della società o ha ipotecato la casa a favore della banca. Se l’azienda non paga e la banca non può soddisfarsi pienamente sui beni sociali (ad esempio perché bloccata dal concordato che offre solo un pagamento parziale), potrà agire contro il garante per il resto. Le procedure concorsuali della società non liberano i coobbligati personali: il concordato o l’accordo vincola i creditori verso la società debitrice, ma non verso eventuali garanti (salvo che il garante sia esso stesso in procedura o che il piano preveda esplicitamente la liberazione dei garanti e il creditore accetti). Ciò significa che, dal punto di vista del debitore-socio, salvare l’azienda non necessariamente lo esonera dal dover far fronte alle garanzie prestate. Quindi occorre anche qui pensare a difendersi: ad esempio, nell’ambito di un accordo stragiudiziale, il garante potrebbe negoziare con la banca la liberazione dalla fideiussione dietro un certo pagamento. In un concordato, nulla vieta di inserire una clausola che preveda che, se la proposta è rispettata, i creditori rinunciano ad escutere i garanti: non è vincolante giuridicamente verso i garanti, ma i creditori se l’accettano contrattualmente poi non potrebbero agire contro di loro (questo spesso si fa per convincere i garanti a contribuire al piano – esempio: il socio mette nuova finanza nel concordato purché la banca firmi impegno a non escutere la vecchia fideiussione). Insomma, c’è spazio contrattuale. Se il garante viene comunque perseguito (ad esempio, la banca ottiene un decreto ingiuntivo contro il fideiussore per l’intero debito garantito), i rimedi per il garante sono quelli ordinari (opposizione se ci sono vizi) oppure rifugiarsi in una procedura personale (se persona fisica non fallibile, può accedere alla ristrutturazione dei debiti del consumatore o alla liquidazione del patrimonio ex legge sovraindebitamento, per liberarsi dai debiti di regresso).
Un discorso a parte meritano le azioni di responsabilità verso soci o amministratori: se l’azienda finisce in liquidazione giudiziale, il curatore certamente valuterà se vi siano stati atti di mala gestione da parte degli amministratori o atti di distrazione verso i soci (es. utili distribuiti illegalmente, finanziamenti restituitedi recente ai soci). Da punto di vista del debitore/amministratore, difendersi significa essenzialmente aver adottato i comportamenti diligenti già detti: aver attivato per tempo le procedure, non aver aggravato il buco, aver tenuto la contabilità in ordine, ecc. Molto importante: evitare conflitti di interesse e operazioni pregiudizievoli negli ultimi tempi prima della crisi. Esempio da non fare: far pagare un credito che la società della moglie vanta (parte correlata) trascurando gli altri; prelevare denaro per sé sapendo di lasciare debiti; cedere macchinari a prezzo vile a terzi amici. Ogni anomalia sarà scandagliata e potrà portare a cause di responsabilità e denunce. Quindi la miglior difesa su questo fronte è la correttezza e trasparenza nella gestione della crisi: coinvolgere i creditori in piani formali è già un ottimo scudo, perché difficilmente poi potranno lamentare di essere stati lesi fraudolentemente (tutto è stato vagliato da un giudice e da un commissario). Al contrario, un fallimento improvviso dopo mesi di gestione confusa è il preludio a rogne giudiziarie.
Ricordiamo anche che, col Codice della Crisi, la legge chiede agli amministratori di attivarsi entro precisi obblighi organizzativi. Non farlo può costituire di per sé inadempimento: ad esempio, non aver istituito adeguati assetti e non aver rilevato indicatori di crisi può aggravare la loro posizione in sede di giudizio di responsabilità (sarà un elemento probatorio a sfavore).
Riassumendo le difese legali su questo fronte: – Usare le procedure concorsuali per bloccare le azioni individuali (stay delle esecuzioni). – Opporsi quando ci sono gli estremi (cause civili, pignoramenti irregolari, istanza fallimento infondata). – Transare miratamente con creditori bellicosi se necessario, inserendo preferibilmente i pagamenti in un contesto legale per evitare revocabilità. – Tutela dei garanti: prevedere accordi di liberazione se possibile, o orchestrare la procedura in modo che la quota non pagata ai creditori sia comunque bassa (così da ridurre l’escussione sui garanti). In ogni caso, i garanti dovrebbero prepararsi, eventualmente con piani personali di ristrutturazione dei loro debiti. – Comportamento diligente dell’organo amministrativo per non offrire il fianco ad accuse successive.
Con queste accortezze, il debitore affronta la crisi in posizione attiva e non passiva, “prende il toro per le corna” invece di subire passivamente. Ora, per chiarire meglio come queste strategie si applicano nella realtà, passeremo a qualche simulazione pratica di casi aziendali e successivamente a rispondere alle domande frequenti che imprenditori e professionisti si pongono di fronte a una situazione di indebitamento grave.
Simulazioni pratiche (casi esemplificativi)
Caso A – Salvataggio in extremis tramite composizione negoziata e accordo: Beta S.r.l. è un’azienda di demolizioni civili con 25 dipendenti, debiti complessivi per circa 1,2 milioni di euro (300k con banca per mutuo macchinari, 200k debiti leasing escavatori, 400k debiti fornitori, 200k tra IVA e INPS, 100k altro). A seguito di un cantiere finito in perdita e ritardi nei pagamenti di un committente, Beta S.r.l. entra in sofferenza di cassa e inizia ad accumulare debiti. Arrivano le prime cartelle per IVA non versata e un decreto ingiuntivo da un fornitore di carburante. L’amministratore, avvisato dal commercialista dei segnali di crisi, non attende oltre: avvia subito una composizione negoziata. La Camera di Commercio nomina un esperto. Beta S.r.l. ottiene dal tribunale misure protettive (bloccando nel frattempo il pignoramento minacciato dal fornitore ingiungente). Con l’aiuto dell’esperto, l’azienda avvia trattative: propone alle banche di prorogare i piani di rimborso (allungando la durata dei mutui/leasing), ai fornitori di accettare un pagamento parziale del 70% in 24 mesi, all’Erario di dilazionare e falcidiare parte di IVA e sanzioni. Viene anche individuato un investitore locale (un’impresa edile collegata) disposto a finanziare Beta S.r.l. con 200k € purché entri nel capitale al 50%. Dopo 3 mesi di confronto, con qualche sacrificio di tutte le parti, Beta S.r.l. chiude un accordo stragiudiziale: banche e leasing accettano di spalmare i pagamenti residui su più anni, i fornitori al 70% a rate e l’Erario sottoscrive un accordo in composizione negoziata per versare il 50% del dovuto in 5 anni (includendo IVA). L’esperto certifica che l’accordo è conveniente per tutti (23mila euro di stipendî salvati per 25 dipendenti, credito dell’Erario soddisfatto meglio che in caso di fallimento). L’accordo, depositato in tribunale, viene autorizzato e acquisisce efficacia . Beta S.r.l. esce dalla composizione negoziata: i creditori rinunciano alle cause avviate, l’azienda torna operativa e negli anni seguenti – grazie anche al socio investitore e a una riorganizzazione dei costi – onora gli impegni. In questo scenario, il punto di svolta è stata l’attivazione tempestiva dello strumento negoziale e la collaborazione di creditori convinti dalla prospettiva di recuperare di più sostenendo il risanamento. Nessun fallimento, nessun concordato: una soluzione privata ma assistita, resa possibile dall’approccio proattivo del debitore.
Caso B – Concordato preventivo in continuità con cram down del Fisco: Gamma S.p.A. è un’impresa più grande (fatturato 5 milioni) specializzata in demolizioni industriali complesse. A causa di un crollo di commesse e di investimenti errati, accumula debiti per 3 milioni (1 mln banca con ipoteca su sede, 500k fornitori, 500k debiti verso subappaltatori, 700k debiti fiscali, 300k altri). Gamma S.p.A. purtroppo reagisce tardi: a fine 2023 iniziano pignoramenti di fornitori e l’INPS segnala l’irregolarità contributiva. Un subappaltatore presenta istanza di fallimento. Solo allora il CDA si sveglia: con l’aiuto di un legale, presenta domanda di concordato con riserva il giorno prima dell’udienza prefallimentare, ottenendo la sospensione. Nei mesi successivi, Gamma S.p.A. elabora un piano di concordato preventivo in continuità: trova un partner disposto a finanziare 500k per il rilancio (post-concordato deterrà il 60% delle azioni), prepara un piano di lavori futuri per tornare all’utile e propone ai creditori: pagamento integrale di banca ipotecaria (ma in 2 anni), pagamento 100% ai subappaltatori strategici ma in 5 anni, pagamento 30% ai fornitori chirografari in 5 anni, pagamento 50% ai crediti fiscali (IVA e altro) in 4 anni, stralcio totale di sanzioni. Il piano viene attestato come fattibile (grazie anche ai 500k nuovi). In adunanza, tutte le classi di creditori votano sì tranne l’Erario (che rifiuta formalmente la falcidia del 50%). I creditori dissenzienti fiscali però sono solo il 20% del totale crediti e la classe chirografi pubblici, seppur contraria, è l’unica negativa. Il tribunale, applicando la nuova norma, omologa comunque il concordato in quanto la relazione dell’attestatore e del commissario provano che l’Erario prende 350k su 700k (50%) mentre in caso di fallimento stimato ne prenderebbe 100k scarsi, dunque è soddisfatto meglio . L’Agenzia delle Entrate si oppone ma la Cassazione rigetta il ricorso conformemente al nuovo orientamento . Gamma S.p.A. esegue il concordato: paga le prime rate ai creditori secondo il piano, ristruttura l’azienda con i fondi nuovi, e in due anni torna competitiva aggiudicandosi nuovi appalti. I creditori ottengono più di quanto temevano (i chirografari 30% anziché forse 5% in fallimento, la banca non subisce l’escussione immediata e mantiene il cliente). In questo scenario, cruciale è stata la protezione del concordato: ha impedito il fallimento, bloccato i pignoramenti, consentito di imporre la dilazione anche ai creditori privilegiati (banca) e di ridurre i debiti fiscali nonostante il voto contrario del Fisco, grazie al meccanismo del cram down fiscale . Il concordato in continuità ha richiesto sforzi e un partner finanziatore, ma ha salvato l’impresa come entità operativa.
Caso C – Liquidazione giudiziale inevitabile e azioni post-fallimento: Delta S.r.l. è un’azienda di demolizioni di piccola dimensione (10 dipendenti) che purtroppo non è riuscita a superare la crisi: i debiti (circa 800k €) erano in gran parte fiscali e verso un grosso creditore che non ha voluto saperne di accordi. L’amministratore di Delta S.r.l. ha provato tardivamente un piano attestato, ma senza liquidità non ha potuto offrire molto e i creditori lo hanno ignorato. Alla fine, dopo pignoramenti vari e sequestri dei mezzi, Delta è andata in liquidazione giudiziale su istanza di una banca. Il curatore ha venduto i macchinari all’asta (realizzando 100k), ha riscosso dei crediti verso clienti rimasti (altri 50k) e sta tentando di cedere l’unico immobile dell’azienda (valore stimato 200k, ma ipotecato dalla banca per 150k). Si prevede che la banca ipotecaria verrà soddisfatta forse all’80%, i dipendenti prenderanno il TFR dal Fondo di garanzia e qualcosa dal ricavato (in privilegio), il Fisco quasi nulla, i fornitori zero. Nel frattempo, però, il curatore ha avviato azioni di responsabilità contro gli amministratori di Delta, accusandoli di aver aggravato il dissesto: in particolare, contesta che non abbiano depositato bilanci da due anni, che abbiano continuato l’attività aumentando i debiti verso Erario e fornitori senza prospettive, e che abbiano pagato con preferenza alcuni fornitori “amici” (per circa 50k) pochi mesi prima del fallimento. La curatela chiede un risarcimento di 300k€ ai sensi dell’art. 2486 c.c., quantificandolo secondo la differenza di patrimonio netto in due date (applicando la presunzione introdotta dall’art. 378 CCII) . Inoltre, ha promosso un’azione revocatoria per recuperare i 50k pagati ai fornitori privilegiati (non essendo in esecuzione di un piano attestato valido). Gli ex amministratori di Delta, incapienti, probabilmente subiranno una condanna ma non avranno modo di pagare il danno (tuttavia per loro è una rovina personale, con possibili strascichi anche penali se emergeranno profili di bancarotta fraudolenta). In questo scenario, purtroppo, è illustrato il caso fallimentare che tutti i meccanismi di allerta e gli strumenti di cui abbiamo parlato mirano a scongiurare. Delta S.r.l. non si è difesa efficacemente: ha reagito tardi, ha scelto forse male le priorità di pagamento, e subisce le conseguenze peggiori. L’unica nota “positiva” è che, essendo una S.r.l., i soci non perderanno nulla oltre al capitale (erano soci di minoranza non garanti), e i dipendenti hanno comunque tutela (in parte dallo Stato). Ma l’attività è cessata, i creditori sono insoddisfatti e gli amministratori patiscono le conseguenze giuridiche. Questo caso insegna che a volte non tutte le imprese possono essere salvate, ma anche in tali situazioni sarebbe stato preferibile gestire l’insolvenza tramite un concordato liquidatorio o un accordo, evitando almeno le azioni di responsabilità e distribuendo quel poco attivo in maniera concordata e più rapida.
Queste simulazioni aiutano a comprendere come, all’atto pratico, la differenza tra attivarsi per tempo con gli strumenti giusti e subire passivamente la crisi sia enorme: nel risultato per l’impresa (sopravvive o scompare), per i creditori (in parte soddisfatti o quasi per nulla) e per gli amministratori/soci (che possono continuare l’attività con un’azienda ristrutturata, oppure vedersela portar via e rimanere esposti a responsabilità personali). Con ciò in mente, passiamo ora a una serie di domande e risposte che sintetizzano i dubbi più frequenti e le relative soluzioni su questi temi.
Domande frequenti e risposte
D: La mia azienda di demolizioni ha troppi debiti e rischia il fallimento: quali sono gli strumenti migliori per evitare di chiudere?
R: Gli strumenti principali (per un’impresa commerciale) sono quelli previsti dal Codice della Crisi : in primo luogo la Composizione Negoziata della Crisi, procedura volontaria e riservata dove, con l’aiuto di un esperto indipendente, puoi negoziare con i creditori un accordo per ristrutturare i debiti, magari ottenendo protezione dalle azioni esecutive . Poi c’è il Piano di risanamento attestato, soluzione privatistica in cui elabori un piano di rilancio con l’attestazione di un professionista e trovi accordi con i creditori, beneficiando dell’esenzione da revocatorie . Se serve il crisma dell’omologazione giudiziaria, c’è l’Accordo di ristrutturazione dei debiti (richiede il consenso di almeno il 60% dei crediti) , che evita il fallimento e può includere anche il Fisco con una transazione . Infine, come procedura concorsuale vera e propria, il Concordato Preventivo (meglio se in continuità aziendale) consente di congelare subito le azioni dei creditori e proporre un piano che, se approvato/omologato, riduce e dilaziona i debiti salvando l’impresa . Spesso si parte dalla composizione negoziata e, solo se quella fallisce, si passa a concordato o accordo. L’importante è agire presto: ogni strumento ha tempi e requisiti, non aspettare che i creditori ti portino via i beni.
D: Qual è la differenza tra un Piano attestato di risanamento e un Accordo di ristrutturazione dei debiti?
R: Entrambi sono strumenti per risanare l’impresa fuori dal fallimento, ma differiscono per formalità e vincolatività. Il Piano attestato è un piano di risanamento predisposto privatamente e “attestato” da un esperto indipendente, senza necessità di approvazione giudiziale . Serve a ristrutturare in autonomia, trovando eventualmente intese con singoli creditori, e offre protezioni in caso di successivo fallimento (pagamenti e garanzie fatti secondo il piano non sono revocabili) . Tuttavia non obbliga i creditori che non vi aderiscono. L’Accordo di ristrutturazione invece è più formalizzato: richiede per legge l’adesione di creditori rappresentanti almeno il 60% dei debiti , e una volta raggiunto, viene omologato dal tribunale e diventa vincolante (in certe forme anche per i dissenzienti, se si rispettano i loro diritti) . In sostanza, il piano attestato è un atto unilaterale dell’imprenditore (con un perito che lo valida) e ha efficacia contrattuale solo con chi ci sta; l’accordo di ristrutturazione è un contratto collettivo coi creditori più importanti, reso efficace erga omnes da un decreto del tribunale. Quest’ultimo offre maggiore certezza (perché i creditori che aderiscono poi non possono tirarsi indietro e si bloccano le azioni esecutive), ma è più rigido (serve una soglia di consenso e deve garantire integrale pagamento dei terzi creditori estranei salvo diverse previsioni di legge ). Spesso si tenta prima un piano attestato; se troppi creditori non cooperano, si passa a un accordo di ristrutturazione per avere la forza dell’omologa.
D: In cosa consiste la Composizione Negoziata della Crisi e quando conviene utilizzarla?
R: La Composizione Negoziata è una procedura volontaria e confidenziale introdotta di recente, in cui l’imprenditore in crisi chiede l’assistenza di un esperto indipendente nominato dalla Camera di Commercio . L’esperto aiuta a valutare la situazione e a facilitare trattative con i creditori per trovare una soluzione concordata (che può essere un semplice accordo di ristrutturazione, la vendita dell’azienda, l’accesso a un concordato semplificato, ecc.). Durante la composizione, puoi chiedere misure protettive che sospendono le azioni esecutive dei creditori, così da negoziare in tranquillità. Conviene usarla appena ti accorgi che la tua azienda ha squilibri patrimoniali o economico-finanziari che potrebbero diventare insolvenza . È particolarmente adatta quando l’azienda ha ancora prospettive di risanamento ma ha bisogno di tempo e di una regia nelle trattative. Dal 2025 risulta essere lo strumento preferito per le crisi, con migliaia di aziende che l’hanno usata con successo . Conviene perché è rapida, poco costosa, non pubblica e lascia l’imprenditore alla guida (affiancato dall’esperto). Usala se vuoi evitare fin da subito di finire in tribunale: se la composizione negoziata va bene, la tua crisi si risolve fuori dalle aule di giustizia; se va male, hai comunque la possibilità di accedere a un concordato semplificato invece del fallimento. In sintesi conviene appena percepisci i segnali di crisi e capisci che da solo difficilmente otterrai accordi con tutti i creditori.
D: Se la mia società entra in concordato preventivo, i soci o gli amministratori rischiano di rispondere personalmente dei debiti residui?
R: No, nella stragrande maggioranza dei casi i soci non dovranno pagare di tasca propria i debiti sociali residui, e nemmeno gli amministratori, per il semplice fatto che la società di capitali è un soggetto distinto. Nel concordato preventivo, la società si libera (nei limiti dell’esecuzione del piano) dei debiti anteriori, e i creditori perdono la parte non pagata. I soci di S.r.l. o S.p.A. per legge non sono responsabili delle obbligazioni sociali, quindi il creditore non può chiedere a loro il saldo. Ci sono però delle eccezioni/importanti precisazioni: (i) se un socio o un terzo ha firmato una garanzia personale (fideiussione) per un debito della società, quella garanzia rimane valida. Il concordato della società libera la società, ma non libera il garante a meno che il creditore sia d’accordo. Quindi se tua moglie, in qualità di socia, ha garantito un leasing, e la società in concordato paga solo il 50% di quel leasing, la società esce pulita ma la società di leasing potrà chiedere a tua moglie (garante) il restante 50%. Per evitare ciò, bisogna cercare di negoziare con i creditori la liberazione dei garanti nell’ambito del piano (spesso i creditori sono disposti se ricevono una percentuale soddisfacente, e i garanti magari contribuiscono con risorse loro in cambio della liberazione). (ii) Gli amministratori possono essere chiamati a rispondere per danni verso la società o i creditori se hanno gestito male (azione di responsabilità). Questo è indipendente dal concordato: se un concordato poi sfocia in fallimento, è possibile che il curatore li citi in giudizio per aver aggravato la situazione. Ma se il concordato va a buon fine, di solito queste azioni non vengono. Quindi, durante il concordato, l’amministratore non è tenuto a pagare i debiti sociali, però se ha compiuto atti illeciti prima (tipo distrazioni) potrebbe comunque subire cause o procedimenti a titolo personale. (iii) I soci potrebbero dover rinunciare ai crediti che hanno verso la società: ad esempio, se la società deve soldi ai soci (finanziamenti soci), spesso il piano di concordato prevede che quei crediti vengano postergati o cancellati. Ma questo non è “pagare debiti sociali”, è perdere ciò che i soci avevano investito. In sintesi: la regola generale è che con il concordato i debiti sociali si fermano alla società; i soci mantengono la responsabilità limitata. Bisogna però far attenzione alle garanzie personali prestate: quelle vanno gestite perché il concordato non le cancella automaticamente.
D: È possibile ridurre i debiti fiscali (IVA, tasse, contributi) della mia azienda o vanno pagati per intero?
R: È possibile ridurli, con gli strumenti adeguati. Tradizionalmente, lo Stato era inflessibile su IVA e ritenute (doveva essere tutto pagato, salvo stralciare sanzioni e interessi via transazione fiscale). Ma oggi non è più così rigido. Ci sono varie opzioni:
– Definizioni agevolate: se il governo di turno ha previsto una “rottamazione” delle cartelle, puoi aderire e pagare solo l’imposta senza sanzioni né interessi (è successo varie volte negli ultimi anni). Oppure se sei piccolo e persona fisica, a volte c’è il “saldo e stralcio”. Queste misure hanno finestre temporali limitate ma se capitano, sfruttale.
– Rateizzazione: non riduce l’importo, ma diluisce (fino a 6 o 10 anni) e automaticamente elimina le ganasce (purché paghi le rate). Quindi è un modo per rendere sostenibile un debito fiscale, specie ora che è stata ampliata la platea (fino a 120k euro senza prova).
– Accordo in composizione negoziata: novità fresca del 2024, durante la composizione negoziata puoi fare un accordo col Fisco per pagare solo una parte dei tributi dovuti (IVA inclusa) . Serve il placet delle Agenzie fiscali (e una relazione che attesti che la tua offerta è conveniente rispetto al fallimento) . Se ottieni l’accordo, quel debito fiscale viene falcidiato. Non puoi però falcidiare i debiti contributivi INPS in questa sede (non si sa perché il legislatore li ha esclusi) .
– Transazione fiscale nel concordato o accordo di ristrutturazione: quando presenti un concordato preventivo, puoi proporre una “transazione fiscale” cioè il pagamento parziale e/o dilazionato di imposte e contributi. Ad esempio, nel piano scrivi che pagherai il 50% dell’IVA e il 100% dei contributi in 4 anni. Prima l’Agenzia Entrate doveva approvare altrimenti saltava tutto; ora il giudice può omologare anche se il Fisco dice no, a patto che tu dimostri che stai dando al Fisco più di quanto otterrebbe dal fallimento . Quindi sì, in concordato oggi puoi decurtare l’IVA e le imposte (anche se il fisco è contrario), e pure i contributi (su questi c’era più rigidità, ma con il Codice Crisi anche i contributi possono essere trattati, salvo dover garantire almeno il valore di liquidazione). Attenzione: se il tuo debito fiscale è il grosso del debito e deriva da evasioni protratte o frodi, la legge ti proibisce di fare il cram down: ad esempio, se l’80% dei tuoi debiti è col Fisco e per metà deriva da 5 anni di omessi versamenti, non potrai forzare un concordato contro il volere del Fisco (ti tocca convincerli).
In sostanza, non è vero che il Fisco vada pagato sempre al 100%. Certo, l’Erario ha tutele (privilegi sui beni, potestà di controllo), ma le norme attuali riconoscono che è meglio per tutti a volte che il Fisco incassi meno ma subito e l’impresa si salvi, piuttosto che inseguire il 100% e farla fallire incassando magari zero . Dunque con un buon piano e prove di convenienza si possono ridurre i debiti fiscali a una frazione. Di contro, le sanzioni penali per omesso versamento scattano se non paghi oltre soglia: attenzione che se decidi di falcidiare l’IVA col concordato, in teoria non sei punibile per quell’omissione (perché il concordato regolarizza la posizione), ma va fatto tutto secondo norma per evitare accuse. Meglio muoversi in trasparenza: informare l’AE delle intenzioni, allegare gli scenari comparativi (piano vs fallimento) e proporre il massimo sforzo sostenibile.
D: I fornitori continuano a pretendere pagamenti anticipati e i clienti sono preoccupati: come posso proteggere la reputazione e la continuità aziendale durante la crisi?
R: La perdita di fiducia è un effetto collaterale pericoloso della crisi. Ci sono diverse misure per arginarla: – Legalmente, se entri in composizione negoziata o concordato in continuità, puoi sfruttare norme che impediscono ai fornitori essenziali di interrompere le forniture per debiti pregressi (es. il fornitore di carburante non può rescindere il contratto se stai pagando il carburante corrente) – deve accettare pagamenti anticipati magari, ma non può lasciarti a secco solo perché hai un arretrato, una volta attivata la protezione. Inoltre, in concordato puoi chiedere al giudice di autorizzarti a pagare i fornitori strategici per assicurarti che restino con te (pagamenti in prededuzione). Quindi puoi presentare ai fornitori e clienti la procedura come un quadro legale di garanzia: “Sono in concordato, c’è un tribunale che vigila, ho finanziamenti prededucibili per poter pagare le forniture correnti, stai tranquillo che sarai pagato d’ora in poi regolarmente”. Spesso funziona meglio di uno stato di crisi informale dove nessuno si fida. – Negozialmente, conviene avere comunicazione trasparente: rassicurare i clienti chiave che stai prendendo misure di ristrutturazione (senza nascondere la polvere sotto il tappeto) e magari coinvolgerli in nuovi progetti; offrire ai fornitori garanzie alternative per il futuro (es. pagare in contanti alla consegna se possibile, o dare garanzie reali nuove per il fornire). In alcuni casi, i fornitori preferiscono continuare a venderti – magari con pagamento anticipato – piuttosto che perdere un cliente per sempre, quindi se dimostri un piano credibile (es. “sono in trattativa con investitore, a breve liquidità”), potrebbero venirti incontro. – Reputazione durante il concordato: tieni presente che l’accesso a una procedura come il concordato è pubblico (Registro Imprese), quindi alcuni partner lo sapranno. Ma oggi è meno stigmatizzante di un fallimento: anzi, comunica che stai affrontando il problema professionalmente. In settori B2B, molte aziende hanno attraversato concordati, quindi i tuoi clienti (es. enti pubblici) potrebbero non pregiudicarti se vedono che stai onorando gli impegni correnti. Infatti, la legge consente pure – in concordato in continuità – di partecipare a gare pubbliche presentando una relazione che attesta che potrai eseguire il contratto (il concordato non è più motivo automatico di esclusione dalle gare, se c’è continuità). Quindi, usa la cornice legale a tuo vantaggio per dire: “Sono in concordato, sto pagando regolarmente la merce che mi consegni ora (su autorizzazione del tribunale), sto rispettando i nuovi termini”. – Fidelizzazione interna: importantissimo anche comunicare ai dipendenti. Spiegare loro il piano (per quanto possano capire): se percepiscono che stai lottando per salvare l’azienda e i posti di lavoro, saranno più motivati e questo si riflette all’esterno (un dipendente scontento può fare cattiva pubblicità). In conclusione, proteggere la reputazione significa continuare a onorare gli impegni correnti (anche se su quelli pregressi stai chiedendo un sacrificio) e dare l’idea di una gestione sotto controllo. Le procedure concorsuali moderne sono pensate per questo: ti danno respiro sul pregresso ma pretendono che tu paghi regolarmente il “corrente” (es. contributi e imposte correnti in concordato vanno pagati). Così puoi dire a fornitori e clienti: “Da oggi i miei pagamenti sono monitorati dal tribunale, quindi potete fidarvi che quanto meno non farò nuovi debiti”. Questo spesso salva rapporti commerciali.
D: La banca mi ha chiesto rientro immediato dello scoperto e minaccia di escutere la garanzia ipotecaria: cosa posso fare legalmente?
R: Questa è una situazione classica di tensione bancaria. Ecco le possibili mosse: – Rinegoziazione o moratoria: prima di tutto, contatta la banca e spiega che stai predisponendo un piano di ristrutturazione. Chiedi formalmente una moratoria (le banche aderiscono a protocolli tipo ABI per offrire sospensioni delle rate in caso di crisi, se l’azienda avvia un percorso di risanamento). Se la banca intravede la prospettiva di recuperare di più dandoti tempo, può concederti una proroga/rateazione piuttosto che andare subito in esecuzione sull’ipoteca (che può portare a perdita di valore). A volte presentare una bozza di piano attestato convince la banca a temporeggiare. – Composizione negoziata o concordato con misure protettive: legalmente, se la banca è aggressiva, l’unico modo per bloccarla è attivare uno strumento concorsuale. Con la composizione negoziata, puoi ottenere misure protettive che sospendono le azioni esecutive della banca (quindi niente asta sull’immobile ipotecato per il periodo protetto). Con il concordato preventivo, appena depositata la domanda, scatta lo stay e la banca non può procedere alla vendita ipotecaria (se ha già pignorato, la procedura esecutiva viene sospesa; se non ha pignorato, non può iniziare nuovo pignoramento). Questo ti dà tempo e leva negoziale. – Opposizione per usura o contestazioni sul contratto: se ci sono profili di illegittimità nel comportamento bancario (tassi usurari, anatocismo, vizi formali), potresti avere margine tecnico per un’opposizione giudiziale (cause lunghe, però). Queste però sono difese sul merito, non immediate: servono più a ridurre l’importo dovuto che a bloccare l’azione (a meno di ottenere un provvedimento d’urgenza per sospendere l’esecuzione). – Garanzie reali aggiuntive o terzi datori di ipoteca: se la banca vede che la vendita del bene ipotecato non coprirà l’esposizione, potrebbe accettare di non escutere subito in cambio di una garanzia ulteriore (es. un altro immobile di un socio in garanzia). Però ciò sposta il rischio su altri beni, quindi è da valutare attentamente (e sconsigliabile se l’azienda può invece risolversi col concorso). – Concordato preventivo con classe separata per la banca: se arrivi al concordato, puoi mettere la banca ipotecaria in una classe e proporle il pagamento integrale ma dilazionato (ad esempio: “ti pago 100% del debito ipotecario in 2 anni con interessi legali, invece che subito”). Il Codice consente di farlo (art. 84 CCII), purché le somme e i tempi siano almeno pari a quel che la banca otterrebbe da una liquidazione . Se la banca vota sì, bene, se vota no ma il piano rispetta il best interest test, il tribunale può forzare la cosa. Quindi, il concordato ti permette di imporre un rientro graduale anche alla banca, contrariamente al rapporto contrattuale in cui la banca può revocare e pretendere subito. In sintesi: nell’immediato, per resistere alla banca, serve attivare una procedura di composizione o concordato che congeli il potere della banca di escutere. Nel medio termine, dovrai comunque dare soddisfazione adeguata alla banca nel piano, perché essendo creditore garantito, ha priorità sul ricavato del bene ipotecato. Ma almeno potrai evitare la vendita frettolosa all’asta (dove l’immobile magari viene svenduto al 50% del valore) e guadagnare tempo per trovare, ad esempio, un acquirente migliore o rifinanziare il debito.
D: Gli amministratori di una società indebitata rischiano conseguenze penali?
R: Potenzialmente sì, se commettono o hanno commesso determinati illeciti. L’esistenza di debiti di per sé non è un reato, ma alcune condotte durante la gestione della crisi possono integrare reati fallimentari o tributari. I principali da tenere presenti:
– Bancarotta semplice o preferenziale: Se l’impresa poi fallisce (liquidazione giudiziale), al suo organo amministrativo possono contestare la bancarotta semplice (per imprudenza, negligenza grave, es: aver aggravato il dissesto contraendo nuovi debiti ingiustificati) o la bancarotta preferenziale (aver pagato un creditore a scapito di altri in stato di insolvenza, alterando la par condicio). Ad esempio, se in vista del fallimento l’amministratore paga solo i fornitori amici, lascia gli altri a secco, e poi fallisce, questo è reato. Difendersi: astenersi da favoritismi ingiustificati e preferibilmente in caso di decisione di pagare alcuni, farlo all’interno di un piano di risanamento esimente .
– Bancarotta fraudolenta: Se vi sono condotte dolose, tipo distrazione di beni aziendali (es. l’amministratore si intesta a sé un immobile della società prima del crack, o simula vendite per sottrarre attivo) o documenti contabili falsificati/spariti, scatta la bancarotta fraudolenta (reato grave con pene detentive importanti). Difendersi: assoluta trasparenza, non spostare risorse a sé o a terzi pregiudicando i creditori, tenere la contabilità in ordine, presentare bilanci veritieri anche se negativi.
– Omesso versamento di IVA o ritenute certificate: Sul fronte tributario, se la società non versa IVA oltre €250k per anno o non versa ritenute oltre €150k, l’amministratore (legale rappresentante) commette reato (D.Lgs. 74/2000). È un reato omissivo, anche se l’azienda non fallisce. Ci si può difendere pagando il dovuto (se paghi prima del giudizio penale, estingui il reato). Oppure col concordato: la Cassazione ha ritenuto non punibile l’amministratore se l’omesso versamento viene poi regolarizzato in sede concorsuale (il che è logico perché se il Fisco accetta un 50% in concordato, non puoi punire per non aver pagato il 100%). Ad ogni modo, prevenire questi reati è meglio: se vedi che non riesci a pagare l’IVA, attivati subito con l’Agenzia Entrate per soluzioni (rate, ecc.) prima che scatti la denuncia.
– Altri reati tributari: False fatturazioni, dichiarazioni fraudolente, ecc. Se nella crisi qualcuno fosse tentato da “trucchi” (emettere fatture false per ottenere liquidità, ad esempio), assolutamente da evitare. Sono reati dolosi gravissimi e peggiorerebbero la situazione.
– Reati societari: Es. false comunicazioni sociali (falso in bilancio) se l’amministratore maschera la perdita per non far risultare la crisi. Potrebbe emergere dopo, e si somma ai guai. Anche qui, sincerità nei bilanci è la miglior difesa.
Da notare: la scelta di usare strumenti legali di risanamento (concordato, accordi) generalmente protegge da molti di questi rischi. Ad esempio: se sei in concordato, le operazioni autorizzate dal giudice non potranno mai essere contestate come distrazioni. Se paghi un fornitore con autorizzazione del tribunale perché funzionale alla continuità, non è bancarotta preferenziale. Se vendi un macchinario in concordato con perizia, non è distrazione. Quindi seguire le regole è anche uno scudo penale. Inoltre, al termine di un concordato (o esdebitazione post-fallimento) c’è un effetto moralmente riabilitante: se hai agito in buona fede per risolvere, è raro che ti perseguitino penalmente (a meno di frodi evidenti). Le situazioni peggiori in cui scatta il penale sono quelle di imprenditori che hanno nascosto la polvere sotto il tappeto, gestendo in modo opaco e sperando di farla franca. Viceversa, chi affronta alla luce del sole la crisi e la risolve o ci prova seriamente, difficilmente incappa nel penale, se non per reati oggettivi come l’omessa IVA (ma lì c’è rimedio concordatario).
D: La mia società è una S.r.l. sotto i requisiti per il fallimento (piccola impresa): cosa cambia per me?
R: Se realmente la tua S.r.l. è sotto soglia (parametri art. 2 CCII: attivo ≤ €300k, ricavi ≤ €200k, debiti ≤ €500k) e quindi non soggetta a liquidazione giudiziale ordinaria, allora in caso d’insolvenza non verrai “fallito” ma potresti accedere alle procedure di sovraindebitamento, ora chiamate concordato minore o liquidazione controllata. Queste sono simili al concordato preventivo e al fallimento, ma concepite per micro-imprese e persone fisiche, con formalità ridotte e maggior favore (ad esempio il concordato minore non richiede voto dei creditori, decidono i giudici sulla base del miglior interesse). Quindi per te cambia che invece di portare i libri in tribunale per fallire, potresti tu stesso proporre un piano di concordato minore (dove offri ai creditori quello che puoi, anche se poco, e ottieni l’esdebitazione della S.r.l. – ammettendo però che la S.r.l. se esdebitata poi può proseguire l’attività, concetto un po’ strano ma possibile; più spesso la micro S.r.l. viene liquidata e chiusa). Oppure potresti subire la “liquidazione controllata”, gestita da un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) e non da un tribunale fallimentare, ma l’effetto è simile: liquidano i beni e poi la società viene cancellata. Il vantaggio per gli amministratori/soci è che in quelle procedure l’approccio è più indulgente: si cerca di esdebitare e non si applicano le norme punitive del fallimento (ad esempio, non esiste la bancarotta per una procedura minore, a meno di condotte fraudolente gravi). Quindi in breve: cambia la “cornice” normativa (non sei nel fallimento classico, ma in una procedura per piccoli), ma la necessità di difesa rimane – potresti comunque dover predisporre un piano, o subire la liquidazione. In ogni caso, se hai dubbi sulla fallibilità, conviene lo stesso usare strumenti come la composizione negoziata: quella è aperta a tutti, piccoli e grandi, e ti può dare opportunità di soluzione prima di arrivare alle procedure finali.
D: Quali sono i tempi e i costi di un concordato preventivo?
R: Indicativamente, i tempi di un concordato preventivo sono nell’ordine di alcuni mesi per l’ammissione e 1-2 anni per la completa esecuzione, ma dipende. Lo schema tipico: depositi la domanda con riserva –> il tribunale ti dà 60-120 giorni per il piano –> presenti il piano –> entro 2-3 mesi c’è l’udienza di ammissione e i creditori vengono chiamati a votare (dopo il deposito della relazione del commissario) –> se i creditori approvano, si va all’udienza di omologa (1-2 mesi dopo) –> se non ci sono opposizioni o le superi, il decreto di omologa arriva. Dall’omologa in poi, inizia la fase di esecuzione del piano (in cui devi fare i pagamenti nei tempi previsti: se il piano dice “entro 6 mesi pago il 30% ai chirografari”, dovrai farlo, magari attraverso un liquidatore nominato). In molti concordati in continuità, l’esecuzione del piano dura anni (perché dilazionano i pagamenti). Quindi, per uscire formalmente dal concordato, consideri il tempo di omologa (diciamo 6-12 mesi dalla domanda) ma l’impresa resta “in concordato” finché non ha adempiuto. Ci sono concordati che durano 5 anni se i pagamenti ai creditori sono spalmati. Quindi “il concordato finisce” quando hai pagato l’ultima rata del piano. Tuttavia, la fase acuta (protezione, gestione straordinaria sotto controllo) è quell’anno iniziale fino all’omologa; dopo l’omologa, se sei in continuità, torni in bonis e gestisci l’azienda quasi normalmente (sotto vigilanza del commissario finché non completi i pagamenti). In sintesi: 1 anno è il tempo medio per ottenere l’omologa; diversi anni per eseguire il piano (a seconda delle rate). Se il concordato è liquidatorio (vendi tutto e chiudi), potresti chiudere prima, magari in 1-2 anni totali, ma dipende dall’effettiva realizzazione degli asset.
Quanto ai costi: un concordato implica costi professionali (bisogna pagare l’attestatore che redige la relazione, l’eventuale advisor finanziario che aiuta col piano, gli avvocati che seguono la procedura), e costi procedurali (il tribunale chiede un fondo spese per il commissario e altri oneri). È difficile quantificare senza numeri specifici, ma per una piccola-media impresa i costi professionali possono aggirarsi su decine di migliaia di euro (dipende dalla complessità: per dire, l’attestatore può chiedere da 10k a 50k, il commissario è pagato a percentuale sul passivo/attivo – a carico del debitore – e magari la parcella può essere, poniamo, il 2-4% dell’attivo realizzato, etc.). In più ci sono costi “indiretti”: dover depositare un certo importo per le spese (spesso il tribunale chiede un 1-2% del passivo o una somma forfetaria). Diciamo che se hai un passivo di 1 milione, potresti spendere anche 50-100k tra tutto (non subito, ma spalmato). Questo è uno dei motivi per cui per debiti modesti conviene puntare su composizione negoziata o accordi (meno costosi). Molti concordati falliscono perché il debitore non ha neanche i soldi per pagare i professionisti: occorre prevedere nel piano anche le risorse per pagare questi costi prededucibili. Una nota positiva: i compensi di commissari e liquidatori sono parametrici e controllati dal tribunale, quindi non possono lievitare arbitrariamente. Inoltre, se il concordato va a buon fine, i creditori concorrono anche a pagare questi costi (sono considerati spese prededucibili che riducono l’attivo da distribuire, di fatto).
D: Dopo il concordato o il fallimento, i debiti residui verso fornitori e banche vengono cancellati definitivamente?
R: Sì, per la società debitrice sì. Con l’omologa del concordato, la società adempie al piano concordatario e i creditori che hanno accettato o sono rimasti vincolati non possono più pretendere il di più. Ad esempio, se nel concordato è previsto che i fornitori chirografari prendano il 30%, una volta pagato quel 30% essi non possono agire per il restante 70%: il debito si intende cancellato (tecnicamente, novato ed estinto) . Il decreto di omologazione fa stato. Nel fallimento (liquidazione giudiziale), la società alla fine viene cancellata dal registro imprese, quindi cessa di esistere: i debiti formalmente restano insoddisfatti ma non c’è più un soggetto a cui imputarli. Quindi anche lì, di fatto, nessuno potrà più recuperarli (la società sparisce, i creditori incassano il riparto parziale e amen). L’unica particolarità è per le persone fisiche (imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile): loro hanno bisogno di un provvedimento di esdebitazione per liberarsi dei debiti residui post-fallimento. Per le società non serve neanche, perché cessando la società, i debiti “muoiono” con essa (la Cassazione lo ha confermato: non esiste esdebitazione per le società perché non ne hanno bisogno, estinguendosi). Quindi sì, se hai fatto un concordato e l’hai eseguito, i creditori che hanno ricevuto il 30% non potranno fra 5 anni venire a chiedere il 70% mancante (è vietato dall’effetto esdebitativo ex lege: il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori antecedenti ). Una volta chiusa la procedura, la società riparte pulita (se continua). Attenzione: se però il concordato non viene eseguito (cioè la società non paga quel promesso 30%), allora il concordato viene risolto e i debiti originari “resuscitano” (dedotto quanto eventualmente incassato). Quindi la liberazione definitiva è subordinata al rispetto del piano.
D: Cosa succede ai contratti in corso (appalti, forniture, leasing) se entro in concordato o accordo?
R: In un accordo di ristrutturazione, non c’è una regola automatica sui contratti: in genere rimangono in essere e devi negoziare con le controparti se vuoi modificarli. Nel concordato, la legge prevede (art. 95 CCII) che i contratti pendenti non si risolvono per il concordato stesso e il debitore può chiedere di scioglierli o sospenderli se lo ritiene utile, con autorizzazione del tribunale. Ad esempio, se avevi un contratto di leasing di un macchinario troppo oneroso, in concordato puoi domandare lo scioglimento: il leasing si chiude e la società di leasing avrà solo un credito per danno contrattuale, che però entra nel concordato come chirografario (subendo quindi il trattamento ridotto) – liberandoti dall’obbligo di continuare a pagare le rate future . Viceversa, se hai contratti di appalto in corso dove tu sei affidatario di lavori, di solito li vuoi mantenere: il concordato in continuità te lo consente, e anzi i committenti pubblici non possono revocarti l’appalto solo perché sei in concordato, se sei in regola con adempimenti correnti. Ci sono cautele: a volte serve nominare un certificatore della capacità di eseguire l’appalto (nel pubblico). Comunque, i contratti proseguono, salvo tu chieda di scioglierli. Le controparti, per legge, non possono invocare clausole tipo “se entri in procedura mi riservo di risolvere” (sono nulle) – clausole ipso facto. Quindi, ad esempio, il tuo contratto di affitto del capannone continua: il locatore non può sfrattarti perché hai fatto il concordato, può farlo solo se non paghi i canoni correnti. Stesso per forniture: se hai un contratto quadro per fornitura calcestruzzo, il fornitore non può interromperlo per i debiti pregressi (che metterà a stato passivo o nell’accordo), può pretendere però che paghi il nuovo materiale a consegna. E se proprio non si fida, può chiedere al giudice di risolvere il contratto, ma non solo in base all’entrata in concordato, solo se c’è “giusta causa” (es. tua incapacità di eseguire). Nel leasing, se entri in concordato, puoi decidere di sciogliere il contratto: in tal caso la società di leasing riprende il bene e ha un credito differenziale (che partecipa al concordato per eventuale perdita). Se invece ti serve il bene in leasing, puoi mantenerlo e pagare i canoni correnti come prededucibili (spesso i giudici autorizzano). Quindi direi: l’effetto sui contratti dipende dalla procedura ma in generale hai un certo controllo: puoi eliminare quelli svantaggiosi e tenere quelli vantaggiosi. Nella composizione negoziata, più informale, non hai potere di sciogliere unilateralmente contratti, però le controparti essenziali non possono interrompere se continui a adempiere il corrente . Diciamo che c’è protezione dal cosiddetto “effetto domino”: la legge cerca di evitare che un partner contrattuale, appena sente odore di crisi, stacchi la spina e ti faccia fallire. In CNC c’è una norma espressa: i contratti essenziali non possono essere modificati o risolti per pendenza di trattative di composizione (art. 20 CCII). Quindi in pratica: in tutte queste procedure hai la possibilità di gestire attivamente i contratti. È fondamentale valutare caso per caso con i consulenti quali mantenere e quali no, per ripulire l’azienda da impegni eccessivi.
D: Dopo aver risanato l’azienda, come evitare di ricadere in una situazione di crisi in futuro?
R: Questa è forse la domanda più importante in prospettiva. Una volta risanata, l’azienda deve fare tesoro dell’esperienza. Alcune best practice: – Implementare un sistema di controllo di gestione e pianificazione finanziaria rigoroso. Spesso le crisi nascono da mancanza di monitoraggio. Occorre avere budget, cash flow forecast, indicatori KPI e sistemi di allerta interni che segnalino subito se qualcosa sfora (oggi esistono software anche per PMI che aiutano in questo). – Mantenere assetti organizzativi adeguati (come impone l’art. 2086 c.c.): significa dotarsi di competenze (interne o esterne) per leggere i numeri. Ad esempio, avere un direttore amministrativo qualificato o un commercialista che non si limiti alle tasse ma faccia anche controllo di gestione. – Diversificare i rischi: se la crisi è stata causata da dipendenza da pochi clienti o fornitori, lavorare per diversificare il portafoglio. O se è stata colpa di eccesso di debito, in futuro cercare di autofinanziarsi di più o ricorrere a equity invece che solo debito. – Non trascurare i debiti tributari correnti: è facile quando l’azienda riparte dire “verso l’IVA il prossimo mese perché mi serve liquidità ora”. Errore da non ripetere. Bisogna inculcare la disciplina che imposte e contributi sono priorità di pagamento, per non riaprire buchi pericolosi. – Tenere un rapporto sano con le banche: dopo un concordato, può essere dura, ma se c’è ancora credito, usarlo con moderazione e secondo piani sostenibili. Evitare di sovraindebitarsi di nuovo. Se il concordato ha ridotto i debiti, non re-indebitarsi oltre capacità. – A livello formale, il Codice della Crisi suggerisce di monitorare certi indici di allerta (indici di bilancio come DSCR, indice di liquidità, ecc.). La tua azienda dovrebbe calcolarseli periodicamente e se uno peggiora, intervenire subito (es: se il DSCR <1 significa che prevedi di non riuscire a pagare debiti a 6 mesi, allora devi analizzare perché e prendere misure). – Formazione e consulenza continua: l’imprenditore potrebbe considerare di formarsi meglio su aspetti finanziari o avvalersi periodicamente di consulenti esterni per fare check-up indipendenti (es: un revisore che guardi i conti ogni tanto, anche se non obbligatorio, può far emergere criticità presto).
In sintesi, la prevenzione è la miglior cura. Il nuovo assetto post-crisi va gestito con prudenza: niente progetti espansivi azzardati subito per “rifarsi”, meglio consolidare e ricostruire liquidità di riserva. E se mai dovessero emergere segnali di difficoltà, non negarli ma affrontarli immediatamente (ormai sai come fare!). Il legislatore ha creato questo sistema proprio perché le crisi fanno parte della vita d’impresa, ma vanno gestite professionalmente. La tua azienda risanata dovrebbe uscire con una cultura aziendale rafforzata su questi fronti.
Queste domande coprono molti aspetti rilevanti per imprenditori e professionisti coinvolti nella gestione di un’azienda indebitata, evidenziando i concetti chiave già trattati nella guida. In conclusione, si ribadisce che la difesa del debitore passa attraverso la conoscenza degli strumenti legali disponibili, la pianificazione e l’attivazione tempestiva di soluzioni. La normativa italiana attuale – aggiornata al 2025 – fornisce un arsenale di misure flessibili, orientate al salvataggio dell’impresa dove possibile e alla liquidazione ordinata dove necessario, bilanciando gli interessi del debitore e dei creditori. Il punto di vista del debitore non è più quello di un soggetto passivo in balia degli eventi, ma di un attore che può (e deve) prendere in mano le redini della situazione, con l’assistenza di professionisti, per governare la crisi e non subirla.
Tabelle riepilogative
Confronto tra principali strumenti di gestione della crisi d’impresa
| Caratteristiche | Composizione Negoziata | Piano Attestato di Risanamento | Accordo di Ristrutturazione | Concordato Preventivo | Liquidazione Giudiziale |
|---|---|---|---|---|---|
| Normativa di riferimento | D.L.118/2021 conv. L.147/2021 (art. 23-25 CCII) | Art. 56 CCII | Art. 57 CCII (e ss. per vari tipi) | Art. 84-120 CCII | Art. 121-283 CCII (ex L.Fall.) |
| Natura | Stragiudiziale assistita (volontaria, riservata) | Stragiudiziale pura (privata) | Ibrida: accordo privato + omologazione tribunale | Procedura concorsuale giudiziale | Procedura concorsuale giudiziale (liquidatoria) |
| Soglia di adesioni necessaria | N/A (negoziazione libera) | N/A (accordi individuali con chi aderisce) | 60% dei crediti (standard) ; possibili varianti (30% agevolato, 75% settore finanziario per efficacia estesa) | Maggioranza per classi: >50% crediti per classe (o cross-class cram down se applicabile) | N/A (involontaria, su insolvenza conclamata) |
| Ruolo del tribunale | Nomina misure protettive; omologa accordo fiscale eventuale | Nessuno (tribunale non coinvolto) | Omologa l’accordo (controllo legalità e maggioranza) | Ammette, nomina organi, omologa (controllo merito)** | Dichiara apertura liquidazione; nomina curatore; supervisiona |
| Gestione dell’impresa | Rimane all’imprenditore (con esperto che assiste) | Rimane all’imprenditore (piano privatistico) | Rimane all’imprenditore durante trattative; dopo omologa prosegue normale (salvo patti diversi) | Rimane all’imprenditore ma sotto sorveglianza Commissario; atti straordinari con autorizzazione | Sottratta all’imprenditore: curatore gestisce patrimonio (spossessamento) |
| Misure protettive da creditori | Sì, su richiesta: sospende azioni esecutive per max ~12 mesi | No automatico (se si vuole protezione occorre iscrivere piano in Registro imprese per evitare revoche) | Sì, possibilità di richiedere inibitoria esecuzioni durante omologa (simile a concordato) | Sì, automatic stay: divieto di azioni esecutive e cautelari dalla domanda | Sì, dal fallimento scattano divieti azioni e sequestri sul patrimonio fallito |
| Trattamento dei crediti | Oggetto di trattative libere; possibile accordo transattivo con Fisco | Pagamenti secondo piano volontario; creditori non aderenti vanno soddisfatti normalmente | Vincolante per aderenti; creditori estranei: vanno pagati per intero salvo efficacia estesa; possibile cram down fiscale con limiti | Imposto a tutti i creditori anteriori all’apertura ; possibili classi con trattamenti differenziati; falcidia chirografari anche significativa; privilegiati falcidiabili se > valore liqu. beni ; cram down fiscale ammesso | Creditori soddisfatti secondo prelazioni in percentuale dal ricavato liquidazione; di solito parziale. Al termine, debiti insoddisfatti inesigibili (società estinta) |
| Vantaggi principali | Riservatezza; flessibilità; tempi brevi; costi contenuti; continua operatività e salvaguardia continuità ; accesso a misure protettive ; esito positivo = niente procedura concorsuale | Massima flessibilità; nessuna pubblicità (se non depositato); atti protetti da revocatoria e bancarotta ; mantiene fiducia di creditori disposti ad aderire; nessun costo tribunale | Formalizzazione dell’accordo con forza esecutiva; può coinvolgere Fisco e minoranze (con omologa); stop azioni individuali durante omologa; niente spossessamento; tempi relativamente rapidi (omologa in pochi mesi) | Blocco immediato delle aggressioni; possibilità di dilazioni e stralci anche imponenti; vincola tutti i creditori (fresh start per la società se in continuità); gestione sotto tutela giudice (maggiore ordine); possibili finanziamenti prededucibili per rilancio | Liquidazione ordinata dei beni; garantisce par condicio; eventuale esdebitazione soci illimitati; chiusura definitiva dei debiti; curatore professionale gestisce (solleva amministratori); controlli su atti del passato (anche a beneficio creditori) |
| Svantaggi / Rischi | Non vincola chi non aderisce: rischio che un creditore isolato faccia saltare tavolo; durata limitata (massimo ~1 anno protetto); se fallisce, può emergere perdita di tempo; contributi previdenziali non falcidiabili nella CNC ; richiede cooperazione attiva debitore (no abuso dilatorio) | Non vincola affatto dissenzienti; nessuna moratoria legale (un creditore fuori può comunque agire); successo dipende da adesioni volontarie; possibili dubbi sulla validità se piano non solido; necessario attestatore competente e indipendente; se piano fallisce, si torna al punto di partenza (o peggio) | Necessario quorum 60% (non facile in certe compagini); i creditori estranei vanno preferibilmente pagati integrali (può richiedere risorse > concordato); iter giudiziale comunque presente (costoso, serve attestazione); pubblicità (registro imprese); possibili limiti cram down (80% debiti fiscali con frodi escluso) ; se salta adesione fiscale, accordo può non reggere senza cram down; minor flessibilità di trattamenti rispetto a concordato con classi | Procedura complessa e costosa; necessita maggioranze creditori (rischio esito negativo se opposizioni); tempi di omologa alcuni mesi; intervento di Commissario (controlli, adempimenti in più); pubblicità (stato di concordato noto); obbligo di soddisfare almeno valore di liquidazione per creditori (best interest test); se in continuità, richiesta tenuta contabile e flussi in ordine (commissario vigila); se fallisce (non omologato o non eseguito) = possibile fallimento con aggravio costi | Perdita totale del controllo da parte imprenditore; cessazione attività salvo esercizio provvisorio (raro); tempi lunghi per creditori; realizzi spesso bassi (aste giudiziarie); stigma del fallimento; possibili azioni di responsabilità vs amministratori; costi procedurali alti (percentuale su attivo); azienda di fatto scompare (salvo cessione in esercizio provvisorio a terzi); soci perdono capitale; possibili sanzioni penali se irregolarità emerse |
Legenda: CCII = Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019). Cram down fiscale = omologazione forzata nonostante dissenso Fisco. Prededuzione = pagamento prioritario rispetto ad altri debiti.
Esempio di cronoprogramma difensivo per un’azienda debitrice
| Fase | Azione intrapresa dal debitore | Effetto/Obiettivo | Riferimenti normativi |
|---|---|---|---|
| Allerta interna | Monitoraggio indici crisi (es. DSCR, capitale netto < metà, etc.)<br>Consulto con professionisti (commercialista) | Rilevare tempestivamente tensioni finanziarie<br>Prevenire aggravamento e responsabilità amministratori | Art. 2086 c.c. (assetti adeguati)<br>Artt. 3-4 CCII (indici della crisi) |
| Pre-concorsuale | Avvio Composizione Negoziata (piattaforma online Unioncamere) <br>Nomina esperto indipendente | Tentare risanamento stragiudiziale protetto<br>Ottenere misure protettive (stop azioni esecutive) | Art. 17 CCII (accesso CNC)<br>Art. 18 CCII (nomina esperto)<br>Art. 20 CCII (richiesta misure protettive) |
| Negoziazione con creditori | Stesura piano di ristrutturazione con l’esperto<br>Proposte di accordo a banche, fornitori, Fisco (incluso eventuale accordo fiscale) | Raggiungere intesa su moratorie/falcidie sostenibili<br>Stipula accordo stragiudiziale o accordo ex art.23 co.2-bis CCII con Erario (riduzione carico tributario) | Artt. 19-22 CCII (svolgimento trattative)<br>Art. 23 co.2-bis CCII (accordo transattivo fiscale in CNC) |
| Soluzione stragiudiziale | Formalizzazione Piano attestato di risanamento (se creditori disponibili individualmente) oppure<br>Accordo di ristrutturazione depositato in tribunale (se raggiunto 60% consensi) | Dare esecuzione giuridica agli accordi:<br>- Piano attestato: esenzione revocatorie, proseguimento attività <br>- Accordo omologato: vincolo per aderenti/dissenzienti, blocco azioni | Art. 56 CCII (Piano attestato)<br>Art. 57 CCII (Accordo 60%)<br>Art. 48 CCII (omologa accordo; transazione fiscale art.63) |
| Procedura concorsuale | (Se falliscono soluzioni stragiudiziali:) Presentazione domanda di Concordato in bianco o con piano<br>– Automatic stay: sospensione delle azioni esecutive <br>– Nomina Commissario<br>Formazione classi e proposta ai creditori, voto | Prevenire sentenza di fallimento (se pendenza istanze) – ottenere protezione immediata <br>Formalizzare piano di salvataggio con taglio/dilazione debiti<br>Imporre legalmente la ristrutturazione a tutti i creditori (se omologato) | Art. 44 CCII (domanda con riserva)<br>Art. 54 CCII (effetti protettivi)<br>Art. 86 CCII (commissario)<br>Art. 109 CCII (classi & voto)<br>Art. 112 CCII (maggioranze) |
| Omologazione e adempimento | Omologazione del concordato da parte del Tribunale (anche senza voto Fisco, se best interest test superato) <br>Esecuzione del piano concordatario: pagamenti nelle percentuali e tempi stabiliti (sorveglianza Commissario o Liquidatore) | Uscire dalla procedura concorsuale con esdebitazione della società (debiti pregressi definiti) <br>Riacquistare piena capacità di contrarre (post omologa, se in continuità) e normalità gestionale | Art. 48 CCII (omologa concordato; transazione fiscale art. 63)<br>Art. 117 CCII (effetti dell’omologa: obbligatorietà per creditori) <br>Art. 118 CCII (vigila sull’esecuzione) |
| Alternativa liquidatoria | (Se risanamento impossibile o concordato fallisce:) Richiesta/imposizione Liquidazione Giudiziale<br>– Nomina Curatore<br>– Inventario e liquidazione beni (aste, cessione azienda)<br>– Riparto ai creditori secondo prelazioni<br>Chiusura procedura, cancellazione società | Soddisfare i creditori nei limiti possibile con patrimonio residuo<br>Determinare responsabilità (azioni di responsabilità, revocatorie) per massimizzare attivo <br>Chiudere definitivamente la vicenda societaria (società estinta) | Art. 121 CCII (istanza liquidazione)<br>Art. 129 CCII (effetti: spossessamento)<br>Art. 201 CCII (azioni di responsabilità) <br>Art. 230 CCII (esdebitazione del sovraindebitato; non rilevante società) |
() Nota: Nella colonna “Ruolo del tribunale” del primo tavolo, per il concordato preventivo ho segnato “controllo merito**”. Intendevo dire che il tribunale valuta anche il merito in sede di omologa (fattibilità, ecc.), a differenza ad es. dell’accordo di ristrutturazione dove controllo è più limitato. Ho messo due asterischi per rimando ma posso chiarire qui: ** il tribunale nel concordato non si limita a controllo formale ma anche sostanziale (fattibilità economica, convenienza rispetto fallimento per creditori dissenzienti).__()
Le tabelle sopra offrono un quadro sinottico dei vari strumenti e di un possibile percorso cronologico di difesa. Ovviamente, ogni situazione concreta può presentare varianti, ma in linea generale un debitore proattivo seguirà una traiettoria simile: monitoraggio, approccio negoziale (CNC/piano), se necessario procedura concorsuale (concordato), come extrema ratio la liquidazione. Lungo il percorso, è essenziale farsi coadiuvare da professionisti esperti in crisi d’impresa (avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro per la parte di dipendenti) e dialogare lealmente con i creditori mostrando la convenienza delle soluzioni proposte rispetto allo scenario peggiore (il fallimento). Così facendo, anche una “situazione disperata” può trovare vie d’uscita dignitose e persino il rilancio dell’attività economica, come dimostrato dai trend positivi delle composizioni negoziate recenti .
Fonti normative e giurisprudenziali (aggiornate al 2025)
- Codice Civile, art. 2086 (obbligo di adeguati assetti organizzativi e rilevazione tempestiva crisi, introdotto da D.Lgs. 14/2019) ; art. 2486 c.c. (doveri degli amministratori dopo causa scioglimento e criteri presuntivi di danno introdotti da Cod. Crisi) .
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019), come modificato dai correttivi D.Lgs. 147/2020, 83/2022, 136/2024. Particolarmente rilevanti: artt. 2 (definizioni di crisi/insolvenza e soglie fallibilità), 23-25 (Composizione negoziata) , 56 (Piano attestato) , 57-64 (Accordi di ristrutturazione e transazione fiscale) , 84-120 (Concordato preventivo, concordato semplificato) , 121-283 (Liquidazione giudiziale).
- D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021, istitutivo della Composizione Negoziata (successivamente integrato nel CCII).
- Legge Fallimentare (R.D. 267/1942) – abrogata, ma richiamata per precedenti: es. art. 67 (revocatoria fall., piani attestati esentati) , art. 160/186 (vecchio concordato preventivo), art. 217-bis e 236-bis (esenzioni bancarotta per piani attestati e reato attestatore infedele) .
- Legge 3/2012 (vecchia disciplina sovraindebitamento) – confluita nel CCII Titolo IV (Procedure per consumatori, concordato minore, liquidazione controllata).
- D.Lgs. 74/2000, art. 10-bis e 10-ter (reati di omesso versamento contribuzioni e IVA).
- Cassazione Civile, Sez. I, 28/10/2024 n. 27782 – ha sancito la possibilità di omologa forzata del concordato preventivo nonostante il voto contrario del Fisco, se il piano garantisce al Fisco una soddisfazione superiore a quella fallimentare . Storica apertura sul cram down fiscale, poi recepita anche normativamente nel correttivo 2024 .
- Cassazione Civ., Sez. I, 29/05/2024 n. 15054 – in materia di responsabilità di amministratori “non operativi”: ribadito dovere di agire informati ex art. 2381 c.c. e profili di responsabilità per omessa vigilanza se consapevoli di elementi di crisi (massimata) .
- Cassazione Civ., Sez. I, 20/12/2024 n. 33618 – sul piano attestato e atti in esecuzione: onere probatorio a carico del creditore che eccepisce l’esenzione da revocatoria; conferma che per avvalersi dell’esenzione ex art. 67 co.3 lett. d L.F., il piano deve essere attestato e idoneo, altrimenti atto revocabile (vedi anche Trib. Venezia 01/04/2025) .
- Cassazione Penale, Sez. V, 03/05/2023 n. 17948 – in tema di bancarotta preferenziale: ha escluso la punibilità nel caso di pagamenti effettuati in esecuzione di un piano attestato ex art. 67 L.F., in quanto leciti (conforme all’esenzione di legge).
- Corte Costituzionale, 22/04/2021 n. 63 – ha dichiarato infondata la questione di legittimità sul divieto di falcidia dell’IVA nel concordato, aprendo la strada alla sua falcidiabilità in coerenza con la direttiva UE (poi il Codice Crisi ha infatti consentito tagli IVA con transazione fiscale) .
- Direttiva (UE) 2019/1023 sul ristrutturazione e insolvenza – attuata dal DLgs 83/2022 e DLgs 136/2024, principi recepiti: procedure di allerta precoce , facilitazione accordi, classi di voto e cram down, tutela nuovi finanziamenti, esdebitazione.
- Unioncamere – Dati Composizione Negoziata (Comunicato 13/11/2025): 3.600 istanze presentate dal 2021, 423 imprese salvate con 23mila lavoratori coinvolti; strumento divenuto il principale per risolvere crisi .
- Relazione Illustrativa al D.Lgs. 136/2024 (Correttivo ter) – spiega ratio di novità come limitazioni al cram down fiscale (80% soglia, casi di frode) , estensione concordato semplificato ecc. .
La tua azienda che si occupa di demolizioni civili, demolizioni industriali, demolizioni controllate, demolizioni con escavatori, taglio cemento armato, bonifiche, smaltimento materiali, demolizioni in quota, cantieri complessi o demolizioni per ristrutturazioni e nuovi insediamenti si trova in difficoltà a causa dei debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo
La tua azienda che si occupa di demolizioni civili, demolizioni industriali, demolizioni controllate, demolizioni con escavatori, taglio cemento armato, bonifiche, smaltimento materiali, demolizioni in quota, cantieri complessi o demolizioni per ristrutturazioni e nuovi insediamenti si trova in difficoltà a causa dei debiti?
Ricevi solleciti, richieste di rientro, decreti ingiuntivi, sospensioni delle forniture o addirittura minacce di pignoramento da banche, Fisco, fornitori o Agenzia Entrate-Riscossione?
Il settore delle demolizioni è ad alta intensità di costi: mezzi pesanti, carburante, personale formato, smaltimenti, noleggi, autorizzazioni e pagamenti anticipati che generano facilmente tensioni di liquidità.
Un blocco dei fidi o un ritardo nei pagamenti da parte dei clienti può creare una crisi improvvisa.
La buona notizia è che la tua azienda può essere salvata, se intervieni subito e nel modo corretto.
Perché un’Azienda di Demolizioni Va in Debito
- aumento dei costi di carburanti, smaltimenti, discariche, noleggi e manutenzioni mezzi
- ritardi nei pagamenti di imprese, appaltatori, PA e cantieri complessi
- anticipi elevati per trasporto, smaltimenti, bonifiche e attrezzature
- spese impreviste per permessi, sicurezza e DPI
- riduzione o revoca delle linee di credito bancarie
- costi elevati di personale qualificato e macchinari pesanti
Il problema principale è la mancanza di liquidità immediata, non la mancanza di lavoro.
I Rischi se Non Intervieni Subito
- pignoramento dei conti correnti
- blocco dei fidi bancari
- stop delle forniture (gasolio, ricambi, attrezzature, discariche)
- decreti ingiuntivi e atti esecutivi
- sequestro di mezzi, attrezzature e veicoli aziendali
- impossibilità di completare cantieri e smaltimenti
- perdita di clienti e appalti strategici
Cosa Fare Subito per Difendersi
1. Bloccare subito i creditori
Un avvocato esperto può fermare pignoramenti, bloccare richieste di rientro e proteggere il conto aziendale.
2. Analizzare i debiti ed eliminare ciò che non è dovuto
Spesso nei debiti ci sono errori come:
- interessi non dovuti
- sanzioni sbagliate
- importi duplicati
- debiti prescritti
- errori della Riscossione
- costi bancari anomali
Una parte del debito può essere tagliata o cancellata.
3. Ristrutturare i debiti con piani sostenibili
Soluzioni possibili:
- rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
- accordi con fornitori (carburante, attrezzature, smaltimenti, noleggi)
- rinegoziazione dei fidi
- sospensione temporanea dei pagamenti
- accesso alle definizioni agevolate
4. Attivare gli strumenti legali che bloccano tutti i creditori
Nei casi più gravi:
- PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
- Accordi di ristrutturazione
- Concordato minore
Queste procedure permettono all’azienda di continuare a lavorare pagando solo una parte del debito.
Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo
L’Avv. Monardo è uno dei massimi specialisti a livello nazionale nel salvataggio di aziende con debiti.
Le sue qualifiche includono:
- Avvocato Cassazionista
- Coordinatore di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
- Iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
- Professionista fiduciario di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi)
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa abilitato (D.L. 118/2021)
Un profilo completo per bloccare creditori, ristrutturare debiti e salvare imprese operanti in settori ad alta responsabilità, come quello delle demolizioni.
Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo
- analisi immediata della tua situazione debitoria
- blocco urgente di pignoramenti e decreti ingiuntivi
- ristrutturazione dei debiti con soluzioni pratiche e sostenibili
- protezione di mezzi, attrezzature e cantieri
- trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
- tutela completa dell’azienda e dell’imprenditore
Conclusione
Avere debiti nella tua azienda di demolizioni civili e industriali non significa essere destinato alla chiusura.
Con una strategia rapida e ben pianificata puoi:
- fermare i creditori
- ridurre realmente i debiti
- proteggere mezzi, attrezzature e cantieri
- salvare la tua azienda e il tuo futuro imprenditoriale
Il momento per agire è adesso.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata:
il rilancio della tua azienda può iniziare oggi stesso.