Azienda Di Valvole Di Controllo E Regolazione Con Debiti: Cosa Fare Per Difendersi E Come

Se gestisci un’azienda che produce, importa o distribuisce valvole di controllo, valvole di regolazione, valvole proporzionali, attuatori elettrici o pneumatici, regolatori di pressione, posizionatori, sensori e componenti per impianti industriali, HVAC, processi chimici, petrolchimici o energetici, e oggi ti trovi con debiti fiscali, debiti con Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, la continuità della tua attività è seriamente a rischio.

Il settore delle valvole di controllo e regolazione richiede elevata precisione, materiali certificati, tarature accurate, test funzionali, manutenzioni programmate e consegne puntuali. Anche un semplice blocco dovuto ai debiti può fermare commesse, ritardare installazioni, interrompere manutenzioni critiche e farti perdere clienti strategici nei settori industriali e dell’automazione di processo.

La buona notizia è che puoi ancora difenderti, ridurre i debiti e mettere in sicurezza la tua azienda, se intervieni subito con una strategia efficace.

Perché le aziende di valvole di controllo e regolazione accumulano debiti

Le cause principali sono:

  • costi elevati di valvole speciali, attuatori, sensori, posizionatori e componenti certificati
  • rincari delle materie prime, delle lavorazioni meccaniche e dei trattamenti superficiali
  • pagamenti lenti da parte di impiantisti, EPC contractor e clienti industriali
  • ritardi nei versamenti di IVA, imposte e contributi INPS
  • gestione complessa del magazzino con molte tarature, materiali, DN, PN e configurazioni
  • investimenti continui in test, collaudi, certificazioni, apparecchiature di misura e software
  • difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati ai cicli produttivi
  • fornitori critici che richiedono pagamenti rapidi o in anticipo

Questi fattori possono trasformarsi in una crisi di liquidità e in un indebitamento crescente, se non affrontati tempestivamente.

Cosa fare subito se la tua azienda è indebitata

La priorità è agire senza perdere tempo. Ecco le azioni da intraprendere subito:

  • chiedi a un avvocato specializzato di analizzare in modo completo la situazione debitoria
  • verifica quali debiti sono corretti e quali possono essere contestati, ridotti o prescritti
  • evita piani di rientro o rateizzazioni non sostenibili
  • richiedi la sospensione immediata di pignoramenti o procedure in corso
  • valuta rateizzazioni realmente sostenibili con Agenzia delle Entrate e INPS
  • proteggi i rapporti con fornitori fondamentali (attuatori, valvole, strumentazione)
  • previeni il blocco del conto corrente aziendale e la riduzione dei fidi bancari
  • utilizza gli strumenti legali disponibili per ridurre, ristrutturare o negoziare i debiti

Solo una diagnosi professionale ti permette di capire quali debiti ridurre, sospendere o contestare davvero.

I rischi concreti per un’azienda indebitata

Senza un intervento tempestivo, i rischi possono diventare critici:

  • pignoramento del conto corrente aziendale
  • fermo di attrezzature, strumenti di misura, banchi prova e apparecchiature
  • blocco delle forniture di valvole, attuatori, sensori e componenti essenziali
  • impossibilità di completare commesse e interventi di regolazione o manutenzione
  • perdita di clienti industriali, impiantisti e partner strategici
  • danni alla reputazione tecnica e commerciale
  • crisi di liquidità e difficoltà nel pagare fornitori e dipendenti
  • rischio reale di chiusura dell’attività

Nel settore delle valvole di regolazione anche un ritardo minimo può mettere fuori servizio un intero impianto del cliente, generando costi elevati e penali.

Come un avvocato può aiutarti concretamente

Un avvocato specializzato in debiti aziendali può:

  • bloccare immediatamente pignoramenti e altre azioni esecutive
  • ridurre l’importo complessivo dei debiti grazie a trattative mirate con Fisco, INPS e creditori privati
  • ottenere rateizzazioni sostenibili basate sui flussi di cassa reali
  • far annullare debiti prescritti, irregolari o calcolati in modo errato
  • negoziare con banche e fornitori per evitare blocchi delle forniture
  • proteggere magazzino, attrezzature, know-how e continuità produttiva
  • stabilizzare la situazione mentre l’azienda ristruttura il proprio debito
  • evitare procedure concorsuali e il rischio di insolvenza

Una strategia legale ben costruita può fare la differenza tra chiusura e rilancio.

Come evitare il blocco dell’attività

Per mantenere la tua azienda operativa devi:

  • intervenire immediatamente
  • evitare di negoziare da solo con i creditori
  • mettere in sicurezza fornitori, componenti e materiali critici
  • ristrutturare i debiti prima che scattino pignoramenti o blocchi bancari
  • contestare debiti irregolari o non più esigibili
  • proteggere la liquidità e concentrarla sulle attività strategiche

In questo modo puoi evitare fermi, interruzioni delle consegne, penali e la perdita di clienti strategici.

Quando rivolgersi a un avvocato

D dovresti farlo subito se:

  • hai ricevuto cartelle, solleciti, intimazioni o preavvisi di pignoramento
  • i debiti con AE Riscossione, INPS, banche o fornitori sono diventati ingestibili
  • temi il blocco del conto corrente aziendale
  • la liquidità si sta riducendo rapidamente
  • i fornitori minacciano di sospendere consegne o strumentazione
  • temi che la situazione, se non fermata, possa portare alla chiusura

Un avvocato esperto può bloccare le procedure, ristrutturare i debiti e mettere in sicurezza la tua attività.

Attenzione

Molte aziende tecniche e industriali non falliscono per l’ammontare dei debiti, ma perché intervengono troppo tardi.
Con la strategia giusta puoi ridurre, rinegoziare o eliminare parte dei debiti e proteggere il futuro della tua azienda.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in debiti aziendali e difesa di imprese industriali e di automazione – ti aiuta a mettere in sicurezza la tua azienda di valvole di controllo e regolazione.

👉 La tua azienda è indebitata?
Richiedi una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo per bloccare le procedure, ridurre i debiti e salvare la tua attività.

Introduzione

Un’azienda operante nel settore delle valvole di controllo e regolazione può trovarsi, come molte imprese manifatturiere, ad affrontare una situazione di crisi finanziaria. Ciò significa accumulo di debiti verso banche, fornitori, fisco o dipendenti, e difficoltà a onorare regolarmente le obbligazioni. In Italia esiste un complesso sistema normativo – recentemente riformato con il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019) – che offre strumenti di difesa al debitore per prevenire il fallimento e tentare il risanamento aziendale . Questa guida, aggiornata a ottobre 2025, fornirà una panoramica avanzata di tali strumenti, con riferimenti normativi e giurisprudenziali aggiornati, tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione di domande e risposte. L’approccio sarà dal punto di vista del debitore (imprenditore o società debitrice), con un taglio tecnico-giuridico ma al tempo stesso divulgativo, utile sia a professionisti legali sia a imprenditori e privati interessati.

La fase pre-fallimentare è cruciale: intervenire prima che l’insolvenza diventi irreversibile può fare la differenza tra la sopravvivenza dell’azienda (magari ristrutturata) e la sua liquidazione fallimentare. Il legislatore italiano, in recepimento anche della Direttiva UE 2019/1023, ha introdotto procedure di allerta precoce e soluzioni concordate della crisi per evitare che le imprese in difficoltà siano travolte dai debiti. In particolare, dal 15 luglio 2022 è in vigore il nuovo Codice della crisi, successivamente integrato e corretto da ulteriori decreti (da ultimo il D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136) che ha sostituito integralmente la vecchia legge fallimentare del 1942 . Termini come “fallimento” sono stati sostituiti da “liquidazione giudiziale”, ma soprattutto si è spostato il focus sulla conservazione dei valori aziendali e sulla continuità d’impresa ove possibile, introducendo strumenti di regolazione della crisi più flessibili.

In questa guida esamineremo dapprima le tipologie di debito più comuni e le relative conseguenze (ad esempio debiti fiscali, bancari, verso fornitori e verso dipendenti), quindi passeremo agli obblighi dell’imprenditore nell’affrontare tempestivamente la crisi (ad esempio l’adozione di assetti adeguati e i doveri di segnalazione). Successivamente illustreremo nel dettaglio gli strumenti di risanamento aziendale disponibili prima di arrivare al fallimento: dai piani di risanamento stragiudiziali (accordi privati, piano attestato di risanamento) alle procedure concorsuali minori (accordi di ristrutturazione dei debiti, concordato preventivo in varie forme), fino ai nuovi strumenti introdotti di recente come la composizione negoziata della crisi e il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione. Verranno incluse anche procedure speciali per imprese di minori dimensioni (cd. procedure di sovraindebitamento, come il concordato minore), dato che la platea di destinatari comprende sia società commerciali strutturate sia piccoli imprenditori e privati.

L’obiettivo è fornire una guida operativa avanzata su cosa fare per difendersi in caso di debiti aziendali: quali scelte compiere, quali strumenti attivare, come gestire i creditori in modo strategico e le tutele legali a disposizione per proteggere il patrimonio dell’impresa durante le trattative (come il blocco delle azioni esecutive, il divieto di clausole contrattuali risolutive in caso di crisi – cd. clausole ipso facto – e la priorità accordata ad eventuali nuovi finanziamenti concessi per il risanamento ). Saranno citate sentenze recentissime dei tribunali e della Corte di Cassazione, per comprendere l’orientamento attuale su questi temi (ad esempio sulle conseguenze di un fallimento successivo a un accordo di ristrutturazione omologato o sulla prededuzione dei crediti dei nuovi finanziatori nel concordato preventivo ).

Importante: La guida adotta un linguaggio giuridico accurato, citando norme e articoli di legge, ma con spiegazioni chiare. Ogni sezione conterrà esempi e chiarimenti per imprenditori non specialisti. In fondo, una sezione di Domande e Risposte (FAQ) affronterà i quesiti più frequenti (es. “Cosa succede se non pago fornitori e banche?”, “Che differenza c’è tra concordato preventivo e accordo di ristrutturazione?”, “I dipendenti rischiano di non essere pagati?”, “Cos’è la composizione negoziata e conviene utilizzarla?”, ecc.), mentre un caso pratico simulerà un percorso di risanamento di una ipotetica azienda di valvole in crisi, per mostrare concretamente come usare gli strumenti giuridici. Infine, tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate saranno elencate in una sezione Fonti separata, per consentire al lettore di approfondire ulteriormente.

Passiamo ora ad esaminare i vari aspetti in dettaglio, iniziando dalle diverse tipologie di debito e dalle conseguenze che il mancato pagamento comporta.

Debiti aziendali: tipologie e conseguenze

Una azienda indebitata non è un fenomeno raro, ma le conseguenze e le strategie di difesa variano a seconda della natura del debito. È fondamentale capire con chi l’impresa è esposta, perché ciascun tipo di creditore ha strumenti diversi per agire e priorità diverse riconosciute dalla legge. Qui esamineremo i debiti fiscali, quelli verso il sistema bancario, i debiti commerciali verso fornitori e i debiti verso i dipendenti, evidenziando per ciascuno i rischi per l’imprenditore e i possibili rimedi.

Debiti fiscali e tributari (Erario)

I debiti fiscali includono imposte non pagate (IVA, IRES, IRAP, ritenute, ecc.) e cartelle esattoriali emesse dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione per crediti tributari o contributivi non versati. Le conseguenze del mancato pagamento dei tributi sono particolarmente gravose: si va dall’applicazione di sanzioni e interessi di mora, fino all’attivazione di procedure esecutive automatizzate da parte dell’Agente della riscossione (fermo amministrativo di beni mobili registrati, ipoteche su immobili, pignoramenti di conti correnti o altri beni). Il fisco gode di privilegi legali sui beni del debitore (ad esempio privilegio generale mobiliare per imposte, privilegio speciale immobiliare per alcune entrate) che gli conferiscono una posizione forte nel concorso con altri creditori.

Dal punto di vista penale, alcuni tributi non versati possono esporre l’amministratore a responsabilità: ad esempio, l’omesso versamento di IVA o di ritenute certificate oltre certe soglie configura reato tributario (artt. 10-bis e 10-ter D.Lgs. 74/2000). Ciò aggiunge urgenza nel gestire i debiti fiscali.

Difese e soluzioni: La normativa fiscale prevede strumenti per dilazionare o ridurre il carico tributario. Tra questi: la rateizzazione ordinaria (fino a 72 rate mensili, circa 6 anni, per somme fino a €60.000 senza dover dare garanzie, e oltre tale soglia con necessità di dimostrare difficoltà), la rateazione straordinaria fino a 120 rate (10 anni) in casi di comprovata e grave difficoltà , e le definizioni agevolate straordinarie (come le varie rottamazioni delle cartelle promosse dal legislatore negli ultimi anni, che consentono di pagare il debito senza sanzioni e interessi di mora). Ad esempio, nel 2023 è stata attuata la “rottamazione-quater” per i carichi affidati al riscossore fino al 2017.

Nel contesto delle procedure concorsuali, esiste la transazione fiscale, ossia la possibilità di inserire nel piano di concordato preventivo o nell’accordo di ristrutturazione una proposta di trattamento agevolato dei crediti tributari (ad esempio stralcio parziale di imposte e sanzioni). Le modifiche normative e la giurisprudenza recente hanno ampliato le possibilità di omologazione anche senza il voto favorevole del Fisco, a condizione che la proposta garantisca all’Erario almeno quanto otterrebbe in caso di liquidazione fallimentare . Questo superamento del veto dell’erario (c.d. cram down fiscale) è stato sancito in parte dall’evoluzione legislativa (implementazione della direttiva UE 2019/1023) e da pronunce come la Corte Costituzionale n. 47/2021 che ha dichiarato illegittime le preclusioni assolute al trattamento dei crediti fiscali nelle procedure da sovraindebitamento. Dunque, oggi un’azienda debitrice può proporre il pagamento parziale dei debiti tributari in sede di concordato preventivo o accordo, e ottenere l’omologazione anche se l’Agenzia delle Entrate dissentisse, purché la proposta sia conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria. Un esempio concreto è dato da decisioni come Tribunale di Cagliari 5 agosto 2022, che ha omologato un accordo di ristrutturazione con cram down del credito fiscale nonostante l’opposizione dell’Erario, verificando che la quota offerta fosse pari o superiore al realizzo in fallimento .

Va segnalato inoltre che il Codice della crisi ha introdotto meccanismi di allerta esterna proprio sui debiti fiscali: l’Agenzia delle Entrate e l’INPS sono tenute a segnalare all’impresa e all’OCRI (Organismo di composizione della crisi, quando attivo) le esposizioni significative. Ad esempio, l’art. 15 CCII prevede l’obbligo di segnalazione se l’impresa ha un debito IVA scaduto superiore a €5.000 (importo aggiornato dai correttivi) . Queste segnalazioni – che dal 2024 sono effettive – non comportano l’automatico avvio di procedure, ma intendono sollecitare l’imprenditore a prendere provvedimenti (ad esempio accedendo alla composizione negoziata). Ignorare tali allarmi può comportare poi conseguenze negative (come la perdita di benefici premiali o, in casi estremi, responsabilità per mala gestio). Di tali meccanismi di allerta parleremo diffusamente più avanti.

In sintesi, i debiti fiscali richiedono un approccio proattivo: contattare tempestivamente l’Agente della riscossione per piani di rateizzo, valutare l’adesione a definizioni agevolate quando aperte, e se la situazione è grave inserire i debiti tributari in un piano concordatario o accordo per diluirli o ridurli in modo sostenibile.

Debiti bancari e finanziari

Molte imprese contraggono debiti con il sistema bancario: linee di credito in conto corrente, mutui, leasing finanziari, anticipo fatture, emissione di obbligazioni o finanziamenti soci. Quando l’azienda inizia a non riuscire a rispettare le scadenze con le banche (rate di mutuo insolute, scoperti non rientrati, covenants violati), si attivano meccanismi potenzialmente pericolosi. La banca può revocare gli affidamenti a revoca (fidi di cassa, anticipi) e chiedere il rientro immediato, segnalare l’andamento a sofferenza in Centrale Rischi presso Banca d’Italia (compromettendo la reputazione creditizia dell’impresa) e, in ultima analisi, avviare azioni legali per il recupero. Queste possono includere l’ottenimento di decreti ingiuntivi e l’esecuzione forzata su beni aziendali dati in garanzia (es. ipoteca su immobili, pegno su macchinari o su magazzino, escussione di fideiussioni personali degli imprenditori). Inoltre, se i debiti verso banche sono cospicui, spesso le banche stesse – specie se ve ne sono più d’una – monitorano attentamente la situazione: in casi estremi potrebbero anche presentare istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) dell’impresa debitrice qualora la ritengano insolvente.

Difese e soluzioni: Di fronte a debiti bancari, la parola chiave è rinegoziazione. È spesso possibile, prima che la situazione degeneri, cercare un accordo con gli istituti di credito. Ciò può avvenire in forma privata – ad esempio stipulando con la banca un piano di rientro del debito, magari con periodi di preammortamento o con consolidamento del debito a lungo termine – oppure in un contesto più strutturato come un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato dal tribunale. Le banche sono generalmente disponibili a valutare piani di risanamento se vedono prospettive concrete di recuperare una parte significativa del credito. Specialmente se l’azienda presenta un piano attestato di risanamento (di cui diremo a breve) corredato dalla relazione di un professionista indipendente sulla sostenibilità, gli istituti potrebbero aderire volontariamente a moratorie o dilazioni. In passato l’ABI (Associazione Bancaria Italiana) ha promosso moratorie “di sistema” (si pensi alle moratorie COVID) ma al di fuori di emergenze generalizzate, tutto dipende dalle singole contrattazioni.

Uno strumento importante è la convenzione di moratoria prevista dall’art. 62 CCII: si tratta di un accordo, spesso tra l’impresa e un pool di banche, in cui una maggioranza qualificata di creditori finanziari concorda la sospensione o la dilazione dei pagamenti, impegnando anche eventuali banche dissenzienti. Ad esempio, se l’azienda ha più banche finanziatrici, l’intesa della maggioranza (in genere almeno il 75% del credito della categoria) può essere omologata e resa efficace anche sui finanziatori che non hanno firmato, costringendoli ad attenersi alla moratoria concordata . Questa convenzione di moratoria è uno degli strumenti di composizione negoziata delle crisi volto a guadagnare tempo e respiro finanziario senza un taglio definitivo del debito, sperando che in quel periodo l’impresa si risollevi.

Inoltre, se l’impresa intende ristrutturare il debito bancario riducendone l’ammontare (e non solo allungando i termini), può ricorrere a un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 CCII. Questo accordo, stipulato con una parte significativa dei creditori (vedremo dettagli in seguito), può prevedere stralci di credito e nuove scadenze. Importante: le nuove linee di credito eventualmente concesse in esecuzione di un piano concordatario o di un accordo hanno uno status privilegiato. La legge infatti incoraggia il finanziamento dell’impresa in crisi garantendo ai nuovi creditori una posizione di prededuzione in caso di successivo fallimento (significa che saranno pagati con precedenza su altri crediti concorrenti) . Ad esempio, la Cassazione civile n. 43/2023 ha confermato che i finanziamenti erogati durante l’esecuzione di un concordato preventivo omologato, finalizzati al suo buon esito, sono prededucibili nel successivo fallimento, a condizione che il concordato fosse omologato e tali finanziamenti coerenti col piano . Ciò rassicura banche o soci che volessero apportare liquidità fresca: se il risanamento fallisse, quei nuovi crediti verrebbero rimborsati prima degli altri creditori.

La segnalazione d’allerta coinvolge anche le banche: il Codice della crisi prevedeva (art. 15, comma 4 CCII) che gli istituti di credito comunicassero alle imprese e all’OCRI certi indici di anomalia (ad esempio rating interni molto deteriorati o revoche di fidi per inadempimento). Dopo i correttivi, l’obbligo è stato in parte modulato, ma resta la prassi che le banche, a tutela propria, allertino l’impresa e richiedano piani di risanamento quando la situazione peggiora. Inoltre, se esiste un organo di controllo interno (sindaci/revisori), esso verrà informato e potrà dover agire (come vedremo in seguito).

Debiti verso fornitori (debiti commerciali)

I debiti verso fornitori e altri creditori commerciali (debiti di fornitura) sorgono dal normale differimento dei pagamenti di beni e servizi (es. materie prime consegnate e non pagate a 60-90 giorni, fatture per consulenze, bollette e utenze aziendali scadute, canoni di locazione arretrati, ecc.). Quando un’azienda accumula ritardi, i fornitori reagiscono generalmente in due modi: interrompono le forniture (nessuno vuole continuare a consegnare merce a chi è già moroso) e attivano procedure di recupero crediti. Queste possono partire con solleciti e diffide, per poi arrivare a decreto ingiuntivo se il credito è certo, liquido ed esigibile, fino al pignoramento di beni o crediti (ad esempio pignoramento presso terzi di crediti vantati dall’azienda verso i suoi clienti, o pignoramento di macchinari, merci in magazzino, ecc.). Anche un singolo fornitore potrebbe ottenere un titolo esecutivo e bloccare conti correnti o mettere all’asta beni strumentali, con evidente pregiudizio per la continuità aziendale.

Inoltre, se il debito verso un fornitore supera determinate soglie, anche questi creditori possono teoricamente chiedere il fallimento dell’azienda debitrice. In passato accadeva che fornitori esasperati presentassero istanze di fallimento per forzare il pagamento; oggi l’orientamento generale è promuovere soluzioni conservative, ma la minaccia resta: qualsiasi creditore insoluto per oltre €500 (importo minimo per legge fallimentare, ora liquidazione giudiziale) e con un ritardo persistente potrebbe ricorrere al tribunale per dichiarare insolvente l’impresa.

Difese e soluzioni: Innanzitutto vi è un aspetto contrattuale: molte relazioni fornitore-cliente si basano su contratti o ordini continuativi. Se l’azienda debitrice è in crisi di liquidità, conviene comunicare tempestivamente con i fornitori strategici, spiegando la situazione e cercando intese di respiro (ad esempio piani di rientro del debito: pagamento parziale immediato e saldo a rate, magari offrendo garanzie come cambiali oppure impegni di pagamento garantiti da terzi). È frequente ottenere stralci del debito da fornitori se questi intravedono la possibilità di continuare il rapporto commerciale in futuro: molti preferiranno accettare, ad esempio, un pagamento del 50-60% del credito a saldo e stralcio pur di non perdere definitivamente il cliente e magari mantenere forniture correnti pagate alla consegna.

Tuttavia, bisogna muoversi con cautela: pagare fuori da un quadro concordato alcuni fornitori e non altri può esporre l’azienda (e i suoi amministratori) al rischio di azioni revocatorie o di contestazioni di pagamenti preferenziali in caso di fallimento successivo. Infatti, la legge fallimentare consente al curatore di chiedere la restituzione dei pagamenti fatti a creditori nell’imminenza del fallimento, se fatti preferendo alcuni e pregiudicando la par condicio. Qui vengono in aiuto gli strumenti formali di risanamento: atti e pagamenti eseguiti in un contesto di piano attestato di risanamento o di accordo omologato sono esenti da azione revocatoria . Ciò significa che se l’impresa in crisi paga un fornitore nell’ambito e nei limiti di un piano di risanamento certificato (ex art. 56 CCII) o di un accordo di ristrutturazione omologato dal giudice, quel pagamento non potrà essergli sottratto successivamente da un fallimento. Ad esempio, se col fornitore Alfa srl si concorda (e si inserisce in un piano attestato) che verrà pagato al 40% entro 6 mesi, e poi comunque l’impresa fallisce, Alfa srl non dovrà restituire nulla: il pagamento era protetto dal piano attestato . Questa protezione giuridica incentiva i fornitori ad aderire a piani di risanamento formalizzati.

Un altro strumento di difesa sono le misure protettive che si possono ottenere chiedendo al tribunale, ad esempio nell’ambito di una composizione negoziata o di un concordato preventivo con riserva, di sospendere le azioni esecutive individuali dei creditori. Se l’azienda accede a una procedura concorsuale, i fornitori sono automaticamente bloccati dal proseguire o iniziare pignoramenti per debiti anteriori (lo stabilisce l’art. 54 CCII in generale e l’art. 46 CCII per il concordato preventivo) . Ciò conferisce un respiro temporale: il debitore, ottenuto il “blocco” dai creditori, può tentare di riorganizzarsi e proporre un piano. Nel concordato preventivo l’effetto stay sugli individuali è automatico dalla pubblicazione della domanda e vincola anche i fornitori (sono nulli eventuali pignoramenti avviati dopo) . Nella composizione negoziata, se si richiedono e ottengono misure protettive, parimenti i creditori (fornitori inclusi) non possono agire o sospendono le azioni esecutive per la durata delle trattative .

Un aspetto importante riguarda i contratti pendenti con fornitori di beni o servizi essenziali. In passato, clausole contrattuali prevedevano la risoluzione automatica del contratto in caso di procedura concorsuale o anche di ritardi di pagamento – le cosiddette clausole ipso facto. Oggi tali patti sono inefficaci per legge: l’art. 94-bis CCII sancisce che il contraente non può alterare o sciogliere un contratto di durata soltanto perché l’altra parte ha presentato domanda di concordato o ha ottenuto misure protettive . Ad esempio, un fornitore di energia o un locatore non possono sospendere la fornitura o risolvere il contratto solo perché l’impresa cliente ha depositato un concordato preventivo. Similmente, nel concordato in continuità, un creditore non può rifiutarsi di adempiere alle proprie prestazioni essenziali adducendo il mancato pagamento di fatture pregresse (non pagate prima del concordato) . Questo divieto di clausole ipso facto protegge il debitore da reazioni a catena: evita che tutti i fornitori interrompano i rapporti appena c’è “odore di crisi”, fatto che renderebbe impossibile il risanamento . Va precisato che il fornitore potrà comunque risolvere il contratto per cause legittime diverse (ad esempio, se anche durante la procedura il debitore non paga le forniture correnti o viola ulteriori obblighi contrattuali), ma non automaticamente per l’esistenza della crisi. Questa norma di salvaguardia si applica espressamente al concordato preventivo (art.94-bis) e, per analogia, anche agli accordi di ristrutturazione e alla composizione negoziata con misure protettive . Già nel DL 118/2021 (che introdusse la composizione negoziata) fu previsto che i contratti pendenti non potessero essere modificati o sciolti solo per il pregresso inadempimento o per l’avvio delle trattative, se ciò era oggetto di misure protettive. In pratica, l’ordinamento tutela la continuità operativa dell’impresa in crisi, evitando che rimanga senza forniture indispensabili nel momento in cui prova a ristrutturarsi.

Riassumendo, la difesa rispetto ai debiti commerciali passa per: negoziazioni individuali (cercando intese di saldo a stralcio o dilazioni), inserimento di tali accordi in un contesto di piano attestato per blindarli giuridicamente, e ricorso a strumenti concorsuali (concordato, accordi) per beneficiare del blocco delle azioni esecutive e del divieto di risoluzione contrattuale automatica. Il punto di attenzione è trattare i fornitori in maniera equilibrata, per non esporre l’azienda a future rivendiche di trattamenti preferenziali: in un piano concordatario, ad esempio, tutti i chirografari (in cui di solito rientrano i fornitori) vengono soddisfatti in percentuale secondo par condicio, salvo eccezioni motivate (fornitori strategici pagati per intero in prededuzione per le forniture successive al deposito, ecc., ma ciò deve essere autorizzato dal tribunale).

Debiti verso dipendenti e istituti previdenziali

Un’azienda in crisi spesso accumula debiti verso i propri dipendenti: stipendi e tredicesime non pagate, TFR (trattamento di fine rapporto) non accantonato o liquidato, rimborsi e ferie maturate. A questi si aggiungono i debiti verso gli enti previdenziali (INPS, casse di previdenza) per contributi non versati sulle retribuzioni. Si tratta di un tipo di debito molto delicato, perché tocca i lavoratori e le loro famiglie, ed è per sua natura prioritario nel nostro ordinamento: la legge riconosce ai crediti di lavoro privilegi speciali. In caso di procedura concorsuale, i dipendenti sono creditori privilegiati per le ultime mensilità e per il TFR, e possono attivare il Fondo di garanzia INPS che interviene a pagare TFR e ultime tre mensilità insolute (se la procedura concorsuale viene aperta) .

Le conseguenze della morosità verso il personale includono vertenze di lavoro (ingiunzioni e decreti ingiuntivi rapidi grazie alla corsia preferenziale prevista per crediti di lavoro), possibilità di dimissioni per giusta causa dei dipendenti non pagati (con diritto comunque al TFR e alla NASpI, aggravando i costi per l’azienda) e anche profili di responsabilità penale: ad esempio, l’omesso versamento delle ritenute previdenziali (i contributi trattenuti in busta paga al dipendente e non versati all’ente) oltre una certa soglia temporale è reato (art. 2, comma 1-bis D.L. 463/1983 conv. in L. 638/1983). Inoltre, nel caso limite in cui i dipendenti facciano scioperi o azioni collettive per i mancati pagamenti, l’impresa rischia la paralisi operativa.

Difese e soluzioni: Anzitutto, la legge tutela i lavoratori anche in sede di risanamento: un concordato preventivo non può essere omologato se prevede la continuazione dell’attività senza assicurare il pagamento integrale dei crediti privilegiati per salari e stipendi (salvo che i lavoratori stessi acconsentano a rinunce, il che avviene raramente). Dunque, qualsiasi piano dovrà prevedere la soddisfazione dei dipendenti preferibilmente in via integrale, almeno per le componenti privilegiate (ultimi 3 mesi e TFR). In un concordato in continuità, i debiti verso i dipendenti per retribuzioni maturate prima del deposito sono soddisfatti generalmente al 100% ma dilazionati (o coperti dal Fondo di garanzia se scatta) e comunque i salari correnti vanno pagati regolarmente durante la procedura, come costo della continuità. In un concordato liquidatorio, i dipendenti possono contare sull’intervento del Fondo di garanzia, che però richiede l’apertura formale della liquidazione giudiziale o l’omologa del concordato liquidatorio.

Strumenti come la composizione negoziata possono aiutare anche nel gestire il costo del personale: durante le trattative, l’esperto può suggerire l’uso di ammortizzatori sociali (ad esempio la Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria per crisi, se l’azienda rientra nelle categorie previste, o i contratti di solidarietà) per alleggerire temporaneamente il peso dei salari senza licenziamenti immediati. Inoltre, nulla vieta che nell’ambito di un accordo di ristrutturazione o di un concordato l’azienda proponga ai dipendenti accordi transattivi individuali o collettivi: ad esempio, convincere i dirigenti a rinunciare a parte dei crediti per bonus o straordinari in cambio della continuità aziendale e della stabilità del posto di lavoro . Queste pattuizioni devono essere volontarie (non si può imporre un taglio delle retribuzioni unilateralmente), ma spesso i lavoratori, se adeguatamente rappresentati dai sindacati, accettano sacrifici pur di evitare il fallimento e la perdita totale del posto. La legge offre un quadro per queste trattative: l’art. 2112 c.c. garantisce la continuità dei rapporti di lavoro in caso di cessione d’azienda, ma l’art. 47 L.428/1990 prevede la possibilità di un accordo sindacale in sede di procedure concorsuali per derogare in parte a tale continuità . In pratica, se nel piano di risanamento è prevista la cessione o l’affitto dell’azienda a un terzo, si può concordare con i sindacati un perimetro ridotto di personale da trasferire o condizioni differenti (entro limiti stabiliti) al fine di rendere l’operazione fattibile per l’acquirente. Questo è spesso decisivo per salvare almeno una parte dei posti di lavoro: i sindacati preferiscono trattare e magari ottenere incentivi all’esodo per alcuni, piuttosto che vedere fallire l’impresa con la perdita di tutti i posti.

Dal punto di vista della procedura, i crediti dei dipendenti godono – come detto – di privilegio. Ciò implica che in qualsiasi riparto concorsuale vengono soddisfatti prima dei chirografari (fornitori, banche non garantite, ecc.). Quindi un concordato preventivo difficilmente offrirà meno del 100% ai lavoratori sui crediti privilegiati, a meno che questi spontaneamente accettino una falcidia (cosa che può accadere solo per la parte eventualmente deprivilegiata, ad es. straordinari eccedenti massimali). L’INPS interviene come creditore per contributi e come gestore del Fondo di garanzia; anch’esso ha privilegio generale per contributi e può attivare proprie azioni (anche qui l’omesso versamento di contributi entro €10.000 circa non è reato se sanato entro termini amministrativi, oltre soglia può diventarlo). Dunque, un’azienda debitrice verso INPS dovrebbe valutare la rateazione contributiva (l’INPS concede dilazioni analoghe a quelle tributarie) e includere l’ente in eventuali proposte di transazione.

Infine, responsabilità personale dell’imprenditore: se l’azienda è individuale, i debiti verso i dipendenti sono anche debiti personali; se è società di capitali (s.r.l., s.p.a.), l’amministratore di norma non risponde con patrimonio proprio dei debiti sociali, tuttavia ci sono eccezioni. Ad esempio, il mancato versamento delle ritenute previdenziali è reato a carico dell’amministratore, come detto. Inoltre, se in caso di fallimento i dipendenti rimangono insoddisfatti, potrebbero emergere azioni di responsabilità verso gli amministratori per mala gestio (ad esempio per non aver attivato per tempo strumenti di salvataggio, aggravando il buco nei confronti del personale). Anche questo rappresenta un incentivo per l’organo gestorio ad agire diligentemente e tempestivamente nella crisi.

Tabella 1: Tipologie di debito e strategie di gestione

Tipo di debitoConseguenze se insolutoStrategie di difesa
Fiscale e tributario (Erario, Agenzia Entrate Riscossione)Sanzioni, interessi; iscrizioni a ruolo e cartelle; fermi, ipoteche, pignoramenti; segnalazione a OCRI; possibili reati (omesso versamento IVA). Privilegio generale sui beni.Rateizzazioni fino 72/120 rate; Rottamazioni/saldo e stralcio se previsti; Transazione fiscale in concordato/accordo (possibile cram-down senza voto ADE se piano soddisfa il “best interest test” ); composizione negoziata con riduzione interessi e sanzioni (art.25-bis CCII) .
Bancario/Finanziario (banche, leasing, mutui)Revoca fidi, escussione garanzie (ipoteche, fideiussioni); segnalazione Centrale Rischi; decreti ingiuntivi e pignoramenti; possibile istanza di fallimento.Rinegoziazione privata (piani di rientro, moratorie ABI); Accordi di ristrutturazione (60%-75% crediti coinvolti) con effetti anche su dissenzienti ; Convenzione di moratoria ex art.62 CCII (sospensione pagamenti con consenso maggioranza banche); Finanza nuova con garanzia di prededuzione ; composizione negoziata con supporto esperto per coinvolgere pool bancario.
Commerciale (fornitori, trade)Sospensione forniture; azioni legali per recupero (ingiunzioni, pignoramenti) – rischio di blocco operatività; possibili richieste di fallimento. Nessuna garanzia, di norma crediti chirografari (salvo riserva proprietà).Accordi transattivi individuali (dilazioni, saldo stralcio) – preferibilmente formalizzati in piano attestato (esenzione da revocatoria) ; in procedura, stay delle azioni (art.54 CCII) su richiesta ; Divieto clausole ipso facto (fornitore non può risolvere contratto solo per crisi cliente) ; eventuale pagamento fornitori strategici in prededuzione autorizzato dal tribunale per assicurare continuità (art. 95 CCII).
Lavoro/Previdenza (dipendenti, INPS)Malcontento e possibile abbandono personale chiave; rivendicazioni giudiziali rapide (titoli immediatamente esecutivi); intervento Fondo di garanzia INPS in caso di insolvenza (paga TFR e 3 mensilità); contributi non pagati: sanzioni civili e possibili reati (omissione contributiva). Privilegi su stipendi ultimi 6 mesi e TFR.Ammortizzatori sociali (CIGS, contratti solidarietà) per ridurre oneri; Accordi sindacali per ristrutturazione del personale (es. riduzione organico in cessione azienda, art.47 L.428/90) ; Fondo garanzia INPS attivabile con concordato/fallimento per tutela dipendenti; in piano concordatario normalmente pagamento integrale crediti lavoro privilegiati (o comunque non inferiore a quota Fondo); transazioni individuali con dirigenti/quadri per ridurre crediti (volontarie). Responsabilità personale: agire tempestivamente per evitare denunce.

(Legenda: ADE = Agenzia delle Entrate; OCRI = Organismo di Composizione della Crisi d’Impresa; CIGS = Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria.)

Obblighi dell’imprenditore in crisi e sistemi di allerta precoce

La gestione di un’impresa indebitata non coinvolge solo strategie difensive postume, ma anche precisi obblighi legali “proattivi” a carico dell’imprenditore e degli organi societari. Il nuovo Codice della crisi ha affermato con forza il principio che l’imprenditore deve prevenire la crisi e intervenire tempestivamente. Questo si traduce in due aspetti principali:

  • Adozione di assetti organizzativi adeguati (art. 2086 c.c. e art. 3 CCII): ogni impresa, soprattutto se societaria, deve dotarsi di strutture amministrative e contabili idonee a rilevare i segnali di crisi e il rischio di insolvenza . Ciò significa tenere una contabilità accurata, fare budget di tesoreria e business plan periodici, monitorare indici finanziari (come il DSCR – Debt Service Coverage Ratio a 6-12 mesi, margini di liquidità, patrimonio netto). Il Codice elenca possibili indicatori di squilibrio: patrimonio netto negativo, flussi di cassa prospettici insufficienti a far fronte alle obbligazioni nei successivi 12 mesi (definizione di “crisi”) , persistenti perdite di esercizio, indici di settore anomali, ecc. Se questi segnali emergono, l’imprenditore ha il dovere di attivarsi per adottare “adeguate misure” atte a superare la crisi (riduzione costi, ricerca nuovo equity, rinegoziazione debiti, ecc.) o, se del caso, attivare gli strumenti previsti dal Codice (composizione negoziata, accordi, concordato).
  • Doveri di segnalazione e allerta interna: nelle società dotate di organi di controllo (collegio sindacale, sindaco unico, revisore legale), questi soggetti hanno l’obbligo di vigilare e segnalare per primi eventuali indizi di crisi agli amministratori. L’art. 25-octies CCII (come modificato nel 2024) dispone che i sindaci/revisori, se rilevano “fondati indizi di crisi”, devono segnalare immediatamente la situazione all’organo amministrativo, in modo circostanziato . Se gli amministratori non adottano provvedimenti adeguati entro 60 giorni, l’organo di controllo può informare l’OCRI o il tribunale. Questo meccanismo è detto allerta interna: serve a mettere pressione al management affinché reagisca. La mancata attivazione di adeguati assetti o l’inerzia di fronte a una segnalazione interna può costituire grave irregolarità e portare persino alla revoca degli amministratori o a loro responsabilità personali.

Parallelamente, esiste l’allerta esterna affidata ai cosiddetti creditori pubblici qualificati: Agenzia Entrate, INPS e agente della riscossione (nonché, secondo alcuni, istituti di credito per i loro crediti, sebbene questi ultimi ora abbiano un ruolo meno cogente). L’art. 15 CCII stabilisce che tali enti, al ricorrere di determinati ritardi nei pagamenti sopra soglie prefissate, devono inviare una segnalazione all’imprenditore (e per conoscenza all’OCRI finché previsto) invitandolo a intervenire . Ad esempio, se un’impresa ha un debito IVA superiore a €20.000 e non lo paga, l’Agenzia Entrate (decorso il termine di liquidazione periodica successivo) invierà una comunicazione, entro 60 giorni, che equivale a un “campanello d’allarme” . Queste soglie sono state aggiornate col D.Lgs. 83/2022 e col correttivo 2024: attualmente, per IVA si parte da €5.000 (ma modulato per volume d’affari); per contributi INPS si guarda a 30% delle contribuzioni dovute nell’anno e comunque non meno di €5.000; per cartelle esattoriali l’agente della riscossione segnala somme > €100.000 (per imprese medio-grandi). Tali lettere di segnalazione non obbligano formalmente a fare nulla, ma se ignorate e l’impresa poi fallisce, potrebbero costituire prova che gli amministratori erano consapevoli della crisi e non hanno agito, con possibili conseguenze di responsabilità. Viceversa, se entro 90 giorni dalla segnalazione l’impresa attiva la composizione negoziata o presenta un’istanza concorsuale, questo fatto potrà essere valutato a suo favore (in tema di esenzioni o attenuanti di responsabilità).

Il sistema originario del Codice prevedeva un Organismo di Composizione della Crisi (OCRI) presso le Camere di Commercio, che avrebbe dovuto ricevere queste segnalazioni e convocare l’imprenditore per un piano di risanamento “assistito”. Tuttavia, la parte dell’allerta OCRI è stata sospesa e poi sostituita dall’approccio attuale che privilegia la composizione negoziata volontaria. Quindi oggi il flusso è: segnalazione dei creditori pubblici → l’impresa è invitata a reagire → può decidere di presentare istanza di composizione negoziata (procedura volontaria) oppure altro strumento concorsuale; se non lo fa, non scatta un automatismo sanzionatorio immediato, ma rimane traccia della negligenza.

Norme sanzionatorie e premiali: Il Codice prevede alcune leve di incentivo. Ad esempio, se l’imprenditore deposita tempestivamente una domanda di concordato o accordo di ristrutturazione prima che i creditori presentino istanza di liquidazione giudiziale, evita le inabilitazioni e altre pene accessorie che colpirebbero chi viene dichiarato fallito su istanza altrui (art. 280 CCII). Inoltre, l’attivazione tempestiva di strumenti di composizione può esonerare da responsabilità per gli amministratori rispetto all’aggravamento del dissesto: l’art. 378 CCII modifica l’art. 2486 c.c. stabilendo che, se gli amministratori agiscono per preservare il valore e accedono a uno strumento di regolazione adeguato, non incorreranno in responsabilità per gestione non conservativa anche se il capitale è eroso .

Al contrario, la inerzia colpevole è sanzionata: amministratori che ritardano colpevolmente il ricorso a procedure di regolazione della crisi possono rispondere dei danni verso creditori (per l’aggravamento del passivo). I componenti dell’organo di controllo che omettono di segnalare la crisi quando evidente possono anch’essi essere chiamati a rispondere (art. 15, comma 6 CCII richiama la responsabilità solidale dei sindaci per i danni causati dalla loro omissione). Cassazione civile, Sez. Unite, 7 aprile 2021 n. 8552 ha statuito, in vigenza della vecchia legge, che l’amministratore deve sin da subito adottare condotta conservativa quando il capitale sociale è eroso, pena rispondere delle perdite ulteriori. Il nuovo Codice rafforza questo concetto sospendendo l’obbligo di ricapitalizzazione o liquidazione solo se l’impresa sta seguendo una procedura di crisi (art. 20 e 284 CCII) . Ad esempio, se a causa delle perdite il patrimonio netto scende sotto il minimo di legge, normalmente si dovrebbe o ripianare o sciogliere la società (art. 2482-ter c.c.); il Codice (art. 44, co.1-bis CCII) prevede che durante la fase del concordato con riserva tali obblighi societari non si applichino, per dare respiro all’impresa mentre prepara il piano . Ma se non vi è alcuna procedura attivata, gli amministratori che proseguono l’attività in perdita ignorando le soglie di capitale incorrono in violazione di legge.

In sintesi, l’imprenditore diligente deve: monitorare costantemente la salute aziendale tramite assetti adeguati; captare i segnali interni (bilancio in rosso, cash flow insufficiente, indici DSCR < 1, ecc.); accogliere le segnalazioni di sindaci o creditori come stimolo ad agire; attivare per tempo uno strumento di composizione (anche solo la composizione negoziata) per evitare soluzioni traumatiche imposte dall’esterno. Questa condotta non solo massimizza le chance di salvezza dell’impresa, ma tutela anche l’imprenditore da possibili azioni di responsabilità e sanzioni penali. La guida ora passerà a illustrare gli strumenti concreti che l’imprenditore può attivare in pratica per affrontare la crisi, tenendo a mente che l’uso tempestivo di tali strumenti è parte integrante dei suoi obblighi fiduciari verso la società e i creditori.

Strumenti di risanamento e regolazione della crisi d’impresa

Entriamo ora nel vivo delle soluzioni giuridiche disponibili per un’azienda di valvole indebitata che voglia difendersi dai creditori e cercare di risanare la propria situazione. Il nostro ordinamento offre una gamma di strumenti, che possiamo collocare lungo un continuum: da soluzioni stragiudiziali puramente volontarie, passando per accordi ibridi con intervento limitato del tribunale, fino alle procedure concorsuali vere e proprie soggette all’autorità giudiziaria. Tutte queste opzioni rientrano negli “strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza” come definiti dall’art. 2 CCII . Scegliere lo strumento adeguato dipende dalla gravità della crisi, dalla composizione del debito (quanti e quali creditori, disponibilità di almeno alcuni a negoziare), e dall’obiettivo finale (continuare l’attività o liquidare in modo ordinato).

Nella sezione seguente esamineremo, nell’ordine: i piani e accordi stragiudiziali (che non richiedono l’omologazione del tribunale, se non per specifici effetti); la composizione negoziata della crisi (procedura nuova di natura volontaria e preventiva); gli accordi di ristrutturazione dei debiti (che invece necessitano di omologazione giudiziale); il piano attestato di risanamento (strumento unilaterale con alcuni benefici di legge); il concordato preventivo (la più classica procedura concorsuale minore, in varie forme: in continuità aziendale o liquidatorio, pieno o “in bianco”); il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO) (introdotto di recente); infine accenneremo al concordato semplificato e alle procedure per soggetti minori (concordato minore e liquidazione controllata). Ognuno di questi strumenti sarà descritto nei suoi presupposti, modalità di funzionamento, effetti sui creditori e utilità pratica per il debitore.

È opportuno fornire prima un quadro comparativo sintetico:

  • Soluzioni negoziali private (senza omologazione): includono la trattativa diretta con i creditori e il piano attestato di risanamento. Vantaggi: flessibilità, riservatezza, minor costo, nessuna pubblicità. Svantaggi: non vincolano i dissenzienti, nessuna protezione automatica dalle azioni esecutive (salvo accordi standstill volontari), necessaria collaborazione attiva di tutti i principali creditori.
  • Soluzioni “ibride” (volontarie con intervento giudice limitato): la composizione negoziata (ex D.L. 118/2021, oggi integrata nel Codice) e gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Sono attivate volontariamente dal debitore, ma prevedono l’intervento di un esperto (composizione negoziata) o del tribunale per l’omologazione (accordi). Vantaggi: possibilità di ottenere misure protettive (blocco azioni) e omologazione rende l’accordo efficace erga omnes in certi limiti, pur restando il debitore in possesso e senza gli effetti dirompenti di un fallimento. Svantaggi: richiedono consenso di percentuali significative di creditori (accordi: almeno 60% o altre soglie), non consentono modifiche unilaterali dei crediti se non c’è adesione sufficiente (tranne per alcune categorie con efficacia estesa al 75%), e il tribunale verifica legalità e fattibilità ma non c’è voto di tutti i creditori come nel concordato.
  • Soluzioni concorsuali giudiziali: il concordato preventivo (nelle sue varianti) e, come ultima ratio, la liquidazione giudiziale (ex fallimento). Nel concordato c’è un coinvolgimento pieno del tribunale e di organi della procedura (commissario giudiziale, ecc.), i creditori votano il piano proposto dal debitore (maggioranza per classi o del totale chirografari, a seconda dei casi) e il tribunale omologa rendendo vincolante per tutti l’esito, anche per i dissenzienti. Vantaggi: permette di ristrutturare l’indebitamento anche senza unanimità, consente ampia gamma di soluzioni (dalla continuità con stralcio parziale dei debiti alla cessione dell’azienda, alla liquidazione dell’attivo con esdebitazione del debitore persona fisica), blocca ogni azione individuale e cristallizza la situazione, protegge da revocatorie future e sospende obblighi di ricapitalizzazione . Svantaggi: è procedura pubblica (pubblicità al Registro Imprese), relativamente costosa (spese procedurali, compenso del commissario), può incidere sulla reputazione e fiducia di clienti/fornitori, ed è sottoposta a stretto scrutinio del tribunale (che può non ammettere o non omologare se il piano è carente). Inoltre, se il concordato fallisce, conduce spesso a liquidazione giudiziale immediata.

Delineato il panorama, procediamo con l’analisi di ciascun strumento.

Trattativa stragiudiziale e piani di risanamento “in house”

Trattativa stragiudiziale semplice: È la via più intuitiva e immediata. L’imprenditore o i suoi consulenti contattano i vari creditori per negoziare individualmente dilazioni, remissioni parziali, riscadenzamenti del debito. Non c’è una disciplina rigida: valgono le normali regole civilistiche sulla novazione del debito (se si sostituisce con un accordo diverso), oppure sulle transazioni (accordo transattivo ex art. 1965 c.c. se c’è reciproca concessione). Si può redigere un accordo quadro firmato dai principali creditori, in cui ciascuno accetta di attendere o di accontentarsi di una percentuale. Questa modalità ha senso se i creditori sono pochi o comunque gestibili singolarmente, e se si prevede di poterli pagare almeno in parte con la prosecuzione dell’attività. Vantaggio: massima discrezione (non diviene pubblico nulla, a differenza delle procedure concorsuali che sono iscritte nel Registro delle Imprese e note a banche dati), flessibilità (si può offrire a ciascun creditore condizioni ad hoc), e non vi sono costi giudiziari. Svantaggio: nessun vincolo per i dissenzienti – basta un creditore “aggressivo” fuori dall’accordo per far saltare tutto con pignoramenti o istanze di fallimento. Inoltre manca il “sigillo” di un’autorità, per cui se la situazione peggiora uno qualunque dei creditori anche aderenti potrebbe tirarsi indietro e agire giudizialmente (magari temendo che altri lo facciano per primi: classico dilemma del prigioniero). La trattativa stragiudiziale pura funziona soprattutto se l’impresa ha una difficoltà temporanea e pochi creditori, magari banche o fornitori fidelizzati, che hanno interesse a mantenerla in vita e cooperano spontaneamente. In scenari più complessi si passa a strumenti più strutturati.

Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII): È un istituto di origine privatistica, ma riconosciuto dalla legge fallimentare prima (art. 67, co. 3, lett. d L.F.) e ora dal Codice (art. 56). Consiste in un piano di risanamento unilaterale redatto dal debitore, corredato dalla relazione di un professionista indipendente che “attesta” la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità economica del piano . Il piano può contenere qualsiasi misura di riequilibrio: ristrutturazione dell’indebitamento (con accordi coi creditori), cessioni di beni, aumento di capitale, nuove linee di credito, riorganizzazione produttiva, ecc. Non c’è un voto dei creditori né un’omologazione del tribunale. Tuttavia, la legge premia chi segue questa via con alcune protezioni: gli atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione del piano attestato sono esenti da revocatoria fallimentare ; inoltre, non costituiscono reato di bancarotta preferenziale o semplice gli atti compiuti in esecuzione del piano poi eventualmente caduto in un successivo fallimento . Ciò significa che se il piano attestato viene poi pubblicato e la società comunque fallisce, i pagamenti fatti ai fornitori secondo piano non saranno revocati e gli amministratori non saranno accusati di aver favorito quei creditori anziché altri – perché la legge presume che tali atti fossero funzionali al tentativo di risanamento, compiuti in buona fede secondo il piano certificato.

Per ottenere queste tutele, è cruciale che il piano sia attestato da un esperto indipendente (iscritto a registro e in possesso dei requisiti di legge) e che abbia data certa anteriore all’eventuale procedura concorsuale (oggi di solito si realizza mediante la pubblicazione del piano stesso nel Registro delle Imprese, come consentito – e in certi casi richiesto – dall’art. 56, co. 4 CCII) . La pubblicazione è obbligatoria se il debitore vuole accedere ai benefici fiscali (l’esclusione parziale delle sopravvenienze attive derivanti da riduzione dei debiti, ex art. 88, co.4-ter TUIR) , altrimenti il piano può restare riservato.

Il ruolo dei creditori nel piano attestato: pur non essendovi un procedimento formale di adesione, in pratica il piano include spesso accordi bilaterali col ceto creditorio. Ad esempio, il debitore convincerà le banche a prorogare le scadenze, i fornitori a continuare a fornire alle nuove condizioni, etc., e includerà tali accordi (lettere d’intenti, contratti di rinegoziazione) come allegati al piano . È essenziale che il professionista attestatore valuti realistica la probabilità che i creditori collaborino come previsto: se il piano presuppone certe adesioni e in realtà i creditori non sono d’accordo, l’attestazione non può essere positiva. L’attestatore deve dichiarare, con analisi approfondita, che il piano è fattibile e che i dati di partenza sono attendibili. La sua relazione, se mendace o gravemente omessa, espone il professionista a pesanti responsabilità (civili e penali).

Quando usare un piano attestato? Quando l’impresa ritiene di poter superare la crisi in autonomia, avendo il supporto informale di un nucleo rilevante di creditori, e vuole evitare la pubblicità e la rigidità di un concordato. Ad esempio, se la nostra azienda di valvole ha 3 banche principali e 5 fornitori strategici, e tutti informalmente sono disponibili a concessioni, il piano attestato consente di mettere tutto nero su bianco con l’avallo di un esperto, evitando di entrare in procedura concorsuale. Si mantiene così intatta l’immagine commerciale (all’esterno, un piano attestato può restare riservato, comunicato solo a controparti coinvolte) e si ha massima flessibilità di contenuti. Il limite è che i creditori restano liberi di non aderire: se durante l’esecuzione del piano uno di essi cambia idea, il debitore non ha strumenti, se non magari cercare di convincerlo o attivare a quel punto una procedura concorsuale. Inoltre, il piano attestato di per sé non sospende le azioni esecutive: se un creditore estraneo volesse comunque pignorare, può farlo (a meno che non si ottenga un provvedimento ad hoc, ma il piano attestato non lo prevede formalmente). Pertanto, è indicato quando c’è sintonia e fiducia tra debitore e creditori.

Va segnalato che con il D.Lgs. 83/2022 (attuativo direttiva UE) è stata introdotta anche la possibilità di un “accordo con i creditori sottoscritto con l’esperto” nell’ambito della composizione negoziata che produce gli stessi effetti protettivi del piano attestato (art. 23 co.1 lett. c e art. 25-bis CCII) . In pratica, se in composizione negoziata l’imprenditore raggiunge un accordo con alcuni creditori e l’esperto lo sottoscrive attestando che appare idoneo a risanare, quell’accordo beneficia dell’esenzione da revocatoria ex art.166, co.3, lett. d) CCII e dall’esenzione da bancarotta preferenziale ex art.324 CCII . È una figura intermedia che arricchisce la flessibilità dell’approccio negoziale.

Conclusione sul piano attestato: è un’arma preziosa per difendersi dai rischi di revocatoria e per dare un crisma di serietà al proprio piano di risanamento davanti ai creditori (un piano certificato da un professionista indipendente offre più fiducia), senza però arrivare a procedure pubbliche. Molte ristrutturazioni aziendali di successo – specie pre-Codice – sono avvenute con piani attestati, evitando il concordato. Naturalmente, se il piano non dovesse funzionare, l’impresa potrà comunque poi accedere ad altre procedure (anzi, come vedremo più avanti, il piano attestato è una delle opzioni finali possibili all’esito di una composizione negoziata fallita ).

Composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa

La Composizione negoziata è uno strumento innovativo introdotto nel 2021 (D.L. 118/2021) e reso stabile nel Codice della crisi dal giugno 2022 . Si tratta di una procedura volontaria e riservata di assistenza alle trattative: l’imprenditore in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario (crisi probabile o anche insolvenza reversibile) può chiedere alla Camera di Commercio la nomina di un esperto indipendente che lo assista nel tentativo di raggiungere un accordo con i creditori . Non è una procedura concorsuale, perché non c’è spossessamento né coinvolgimento formale di tutti i creditori ex lege; è piuttosto un framework entro il quale l’imprenditore e i creditori cercano una soluzione stragiudiziale, ma con alcune tutele aggiuntive fornite dalla legge.

Presupposti per accedere: L’impresa, sia essa commerciale che agricola (anche le agricole sono incluse qui, diversamente dal concordato), deve trovarsi in condizioni di squilibrio che rendono probabile l’insolvenza, ma con ragionevoli prospettive di risanamento . Questa formulazione indica che la situazione non deve essere compromessa al punto da rendere inutile il tentativo (per insolvenza conclamata senza rimedi). È l’imprenditore stesso a valutare e presentare istanza tramite la piattaforma telematica nazionale . L’istanza deve essere corredata di informazioni aziendali, bilanci, un piano aziendale ipotetico di risanamento e indicazione di eventuali trattative in corso. Sulla piattaforma è anche disponibile un test di autodiagnosi con check-list e indici che aiutano a capire il grado di difficoltà dell’impresa.

Nomina dell’esperto: Entro 2 giorni dalla domanda, il Segretario Generale della CCIAA nomina un esperto indipendente da un elenco nazionale (l’elenco comprende commercialisti, avvocati o consulenti con esperienza in ristrutturazioni). L’esperto fissa un primo incontro con l’imprenditore e poi, insieme, convocano i creditori significativi per iniziare le trattative riservate. Tutto avviene al riparo da pubblicità, tranne alcuni casi: se il debitore chiede misure protettive, l’istanza e il nome dell’esperto vengono iscritti nel Registro Imprese , notificando così ai terzi che c’è una trattativa in corso e un blocco temporaneo.

Misure protettive e cautelari: L’imprenditore può, contestualmente all’istanza o subito dopo, richiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive del patrimonio . Queste consistono essenzialmente nel divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari durante la negoziazione (analoghe allo stay del concordato) . Può anche chiedere misure cautelari specifiche, ad esempio ordinare a una banca di non revocare certi fidi essenziali o, come è avvenuto, proibire a una banca di escutere una garanzia statale (il Tribunale di Vicenza 23/7/2025 ha concesso una misura cautelare atipica di blocco di escussione di garanzia MCC in una composizione negoziata ). Le misure protettive durano inizialmente fino a 4 mesi, estensibili a 12 su richiesta motivata. Importante: non sono automatiche, vanno confermate dal tribunale entro 30 giorni, che verifica che la trattativa sia in buona fede e che la protezione non causi pregiudizio eccessivo ai creditori . Durante la vigenza delle misure, i creditori interessati non possono acquisire privilegi se non concordati (le decadenze e prescrizioni sono sospese, e non può essere dichiarato il fallimento/liquidazione giudiziale) .

Un elemento particolare: se l’imprenditore compie atti di straordinaria amministrazione non coerenti con le trattative o con le prospettive di risanamento, l’esperto deve segnalarlo iscrivendo il proprio dissenso nel registro imprese . Questo funge da monito: eventuali atti distrattivi o pagamenti preferenziali fatti di nascosto emergeranno, e potrebbero portare il tribunale a revocare le misure protettive o altre conseguenze.

Esito della composizione negoziata: L’esperto ha un ruolo facilitatore, non decide lui (non è un commissario); redige però al termine una relazione finale sulle trattative. Vari scenari possibili entro il termine massimo (che può essere di qualche mese, prorogabile se utile):

  • Raggiungimento di un accordo stragiudiziale: Se le parti trovano una soluzione, possono formalizzarla in diversi modi. L’art. 23 CCII prevede che, se si individua una soluzione idonea al risanamento, si può: a) concludere un contratto con uno o più creditori che assicuri la continuità aziendale ≥ 2 anni (es: nuovo finanziamento, un accordo di standstill) e ottenere i benefici premiali; b) concludere una convenzione di moratoria ex art. 62 (accordo di maggioranza per differire pagamenti); c) concludere un accordo sottoscritto da imprenditore, creditori ed esperto che prevede la ristrutturazione e dà gli effetti di cui agli artt. 166, c.3, lett.d) e 324 (ossia esenzione da revocatoria e da bancarotta preferenziale) . Quest’ultimo è in pratica analogo a un piano attestato “rafforzato” dall’esperto: l’esperto dichiara che il piano di risanamento è coerente per superare la crisi, firmandolo con le parti.
  • Accesso a strumenti concorsuali o assimilati: Se la negoziazione non porta a un accordo completo, l’imprenditore può comunque prendere strade alternative (art. 23, co.2 CCII): a) predisporre un piano attestato (ciò che abbiamo già visto) ; b) chiedere l’omologazione di un accordo di ristrutturazione (incentivo: la percentuale di consenso richiesta per accordo “agevolato” scende al 60% se l’accordo risulta dalla relazione finale dell’esperto , il che è una riduzione per l’accordo ad efficacia estesa che di solito ne richiede 75%); c) proporre il concordato semplificato per la liquidazione (strumento speciale, art. 25-sexies, ne parliamo a breve); d) accedere ad uno degli altri strumenti del Codice o delle leggi speciali (concordato preventivo ordinario, amministrazione straordinaria se ne ricorrono i presupposti per grandissime imprese, ecc.) . Dunque la composizione negoziata può essere un trampolino verso altre soluzioni formali, se non ha risolto da sé.
  • Esito negativo senza accordo: Se nessuna delle soluzioni viene trovata, la procedura semplicemente si chiude. La relazione finale dell’esperto rimane riservata (viene comunicata solo all’imprenditore) e la situazione resta com’era, salvo che il periodo di protezione eventualmente concesso finisce. A questo punto l’impresa può ritrovarsi esposta alle azioni dei creditori. Il rischio di un fallimento forzoso aumenta se la crisi è rimasta insoluta. Di fatto, però, l’aver tentato la composizione negoziata può servire come attestazione di aver agito in buona fede, il che può tornare utile per chiedere eventualmente misure protettive in un successivo concordato con riserva o anche solo come circostanza attenuante in eventuali azioni di responsabilità.

Misure premiali e incentivi fiscali: Per incoraggiare l’utilizzo della composizione negoziata, il legislatore ha introdotto all’art. 25-bis CCII alcune agevolazioni:

  • Riduzione al tasso legale degli interessi sui debiti tributari durante le trattative (invece che interessi di mora maggiorati) se la composizione negoziata si conclude con un esito positivo (accordo, convenzione o accordo ex art.23 comma 1) .
  • Riduzione delle sanzioni tributarie al minimo edittale se vengono pagate subito (vale indipendentemente dall’esito, basta che la scadenza per il pagamento ridotto cada dopo l’istanza) .
  • Possibilità di rateizzare fino a 72 rate alcune imposte non ancora iscritte a ruolo (IVA, ritenute, IRAP) sorte prima, purché all’esito della composizione sia pubblicato un contratto idoneo ad assicurare continuità ≥2 anni o un accordo che produce gli stessi effetti di un piano attestato .
  • Riduzione alla metà di sanzioni e interessi sui debiti tributari sorti prima dell’istanza di nomina esperto, se poi l’imprenditore presenta concordato preventivo o omologa un accordo (questa misura è stata ampliata dal correttivo 2024).
  • Esenzione da alcune responsabilità penali minori: l’art. 25-ter prevede non punibilità per il reato di bancarotta semplice per l’imprenditore che in buona fede esegue gli atti nell’ambito delle trattative suggeriti dall’esperto (norma di scarsa applicazione, ma indicativa della volontà di proteggere chi tenta il risanamento attivamente).

La combinazione di questi benefici può essere significativa: ad esempio, se l’azienda di valvole ha debiti fiscali con sanzioni pesanti, attivando la composizione negoziata e concludendo un accordo, potrebbe risparmiare il 50% delle sanzioni e pagare interessi ridotti al tasso legale sul debito dilazionato .

Concordato semplificato (art. 25-sexies CCII): Vale la pena spendere due righe su questo strumento collegato alla composizione negoziata. Se le trattative falliscono senza accordo, ma l’esperto rileva che sarebbe possibile solo liquidare il patrimonio dell’impresa, l’imprenditore può proporre al tribunale, entro 60 giorni dalla relazione finale, un concordato semplificato per la liquidazione. Si tratta di un concordato senza voto dei creditori: il tribunale valuta la proposta (che deve garantire che ai creditori vada almeno il valore di liquidazione) e può omologarla direttamente . È “semplificato” perché elimina la fase di voto e nomina direttamente un liquidatore giudiziale per vendere i beni e distribuire. È una strada di chiusura ordinata per evitare il fallimento, introdotta in via temporanea nel 2021 e poi resa stabile dal Codice. In sostanza, se non c’è modo di risanare ma si vuole liquidare l’azienda senza subire le conseguenze del fallimento (ad esempio per accedere comunque a esdebitazione dell’imprenditore individuale, o per vendere gli asset aziendali senza aste), questo concordato “light” è percorribile. Ovviamente, essendo senza voto, il tribunale è molto rigoroso nel controllare la convenienza per i creditori.

Sintesi utilità per il debitore: La composizione negoziata è un ombrello protettivo che consente di negoziare con i creditori su base volontaria ma all’interno di un contesto regolato, con la possibilità di congelare le azioni ostili e di ottenere vantaggi fiscali. Il debitore rimane in possesso, affiancato dall’esperto che garantisce trasparenza e fiducia alle controparti. Non comporta, di per sé, effetti pregiudizievoli sull’attività (tant’è che la nomina dell’esperto non è resa pubblica se non si chiedono misure protettive, e anche in tal caso i terzi sanno solo che l’impresa è in composizione negoziata, il che è meno infamante di un concordato). È altamente consigliata nelle situazioni in cui l’imprenditore non è ancora insolvente ma sente che potrebbe diventarlo, e vuole evitare di arrivare al punto di non ritorno. Vista dal punto di vista “difensivo”, la composizione negoziata permette di guadagnare tempo in modo legale e ordinato, frenando sul nascere eventuali iniziative esecutive dei creditori, e al contempo di scoprire le carte con i creditori più importanti in un contesto facilitato (la presenza dell’esperto terzo spesso smussa diffidenze e rancori, portando tutti a ragionare su soluzioni pragmatiche). Per la nostra ipotetica azienda di valvole, potrebbe essere il primo passo, ad esempio, se le banche e i fornitori principali non sono troppi e c’è una chance di accordo.

Da notare che al 29 ottobre 2025 si registrano ormai numerosi casi di composizione negoziata avviati, con alcuni successi ma anche situazioni di scarso utilizzo. I correttivi 2024 (D.Lgs. 136/2024) sono intervenuti per incoraggiarne l’uso (ad esempio, pare abbiano chiarito aspetti sulla riservatezza e sugli incentivi). Un caso interessante di fine 2023 è stato segnalato: il Tribunale di Vicenza, decreto 7 novembre 2023, che ha omologato il primo piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO) nell’ambito di una composizione negoziata . Ciò dimostra la sinergia: l’impresa era in composizione negoziata, non ha trovato un accordo con tutti, ma ha optato per presentare un piano PRO in tribunale – soluzione di cui parleremo tra poco.

Accordi di ristrutturazione dei debiti (ADR)

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono uno strumento previsto fin dal 2005 nella legge fallimentare e ora rifinito nel Codice (artt. 57-64 CCII). Si collocano a metà tra l’accordo privato e il concordato: essenzialmente, l’impresa debitrice stipula un accordo con una parte significativa dei suoi creditori e poi chiede al tribunale di omologarlo, rendendolo efficace anche verso eventuali creditori dissenzienti o non aderenti in misura limitata . È quindi necessario un consenso qualificato dei creditori, ma non l’unanimità.

Tipologie e percentuali: Il Codice distingue oggi tre sottotipi di ADR :

  • Accordo “standard” (ordinario): accordo con creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti totali. Era la soglia prevista già dalla L.F. (art. 182-bis). Omologato l’accordo, esso vincola solo i creditori aderenti; i non aderenti restano estranei (devono essere comunque pagati integralmente entro 120 giorni dall’omologa o dalla scadenza se successiva, altrimenti non si può omologare).
  • Accordo “agevolato”: introdotto dalle riforme del 2020-2022, consente un accordo con una soglia inferiore, almeno 30% dei crediti. Questo però non permette di chiedere misure protettive automatiche e presenta altre limitazioni. È pensato per facilitare accordi quando c’è un numero ristretto di creditori rilevanti che detengono gran parte del debito. Ad esempio, se due banche detengono il 70% e accordandosi con loro (che rappresentano >30%) il debitore risolve gran parte del problema, l’accordo agevolato può funzionare. I creditori estranei rimangono con i loro diritti intatti (vanno soddisfatti per intero).
  • Accordo ad efficacia estesa (cd. accordo “esteso”): è un particolare meccanismo in cui l’accordo concluso con almeno il 75% dei creditori di una certa categoria omogenea (es. tutti gli istituti finanziari, oppure tutti i fornitori di un certo tipo) può essere esteso dal tribunale anche ai creditori non aderenti di quella medesima categoria . L’esempio classico: l’impresa ha 10 banche finanziatrici; 8 di esse (che rappresentano magari l’80% dell’esposizione verso banche) aderiscono all’accordo per la ristrutturazione dei loro crediti (taglio, dilazione, ecc.), 2 rifiutano. L’accordo “esteso” consente, su richiesta del debitore, di includere anche le 2 banche dissenzienti negli effetti dell’accordo, purché appartengano alla stessa categoria (creditori finanziari) e siano state informate e messe in condizione di partecipare alle trattative su base paritaria. È un mini-cramdown settoriale: estende il trattamento concordato con la maggioranza qualificata a tutti i membri di quella classe. Questo strumento fu introdotto per contrastare il problema dei holdouts (creditori che non aderiscono sperando di essere pagati a parte integralmente, sfruttando il fatto che l’accordo iniziale li lasciava fuori). Con l’accordo esteso, se la maggioranza è ampia, i holdout vengono forzosamente inclusi.

Procedimento e effetti: L’impresa deve depositare presso il tribunale l’accordo firmato con i creditori (deve allegare la documentazione contabile aggiornata e una relazione di un esperto attestatore sulla attuabilità dell’accordo e sulla capienza per i creditori estranei – cioè l’esperto deve confermare che i creditori non aderenti saranno verosimilmente soddisfatti integralmente come richiesto dalla legge, o comunque in misura non inferiore alla liquidazione) . Il tribunale apre un procedimento di omologazione in camera di consiglio. I creditori estranei e qualsiasi interessato hanno 30 giorni dalla pubblicazione per fare opposizione . Se non vi sono opposizioni o se queste vengono superate, il tribunale omologa con sentenza l’accordo . Da quel momento, l’accordo è legalmente riconosciuto e protetto. In caso di inadempimento successivo del debitore, i creditori potranno agire secondo i termini dell’accordo (ad esempio, potrebbero chiedere risoluzione in tribunale) ma durante l’esecuzione godono di protezioni: se tutti i debiti ristrutturati vengono onorati secondo accordo, nessuno potrà presentare istanza di fallimento.

Protezione durante il procedimento: Il debitore può chiedere misure protettive anche qui, analoghe a quelle del concordato, per il tempo necessario all’omologazione . La differenza è che non può chiederle se si tratta di un accordo agevolato (30%), presumibilmente perché con soli 30% di consenso sarebbe iniquo bloccare tutti i creditori (questa è la ratio: i creditori estranei non vincolati non vengono congelati in quel caso). Ma negli accordi al 60% o accordi estesi, può chiedere al tribunale di inibire esecuzioni e sequestri dall’iscrizione dell’accordo nel Registro delle Imprese . Questa tutela garantisce che, una volta depositato il ricorso per omologa, i creditori non possano “correre alla cassa” individualmente.

Comparazione col concordato: L’accordo di ristrutturazione ha alcuni vantaggi rispetto al concordato: è più snello (non c’è un commissario giudiziale, non c’è voto di tutti, soltanto i firmatari contano e gli altri se estranei vanno comunque pagati fuori dall’accordo), e c’è maggiore riservatezza (anche se l’accordo va pubblicato nel registro imprese, quindi un minimo di pubblicità c’è). Inoltre può essere più rapido: teoricamente, se non ci sono opposizioni, l’omologa arriva in tempi brevi. È modulabile (ci sono appunto versioni al 30%, 60%, 75%). Per contro, richiede consenso: se il debitore non ottiene l’adesione di un numero sufficiente di creditori per raggiungere la soglia, non può imporselo da solo. Non c’è una votazione assembleare come nel concordato in cui magari si convince la maggioranza in udienza: qui l’accordo dev’essere firmato prima. Quindi il debitore deve negoziare intensamente con i creditori uno a uno o in gruppo prima di depositare. In pratica, gli accordi di ristrutturazione funzionano se c’è un nucleo ristretto di creditori determinanti – tipicamente banche – disposti a sottoscrivere un patto, mentre il numero di creditori estranei è limitato e sostenibile (perché ricordiamo: i creditori estranei vanno pagati per intero in tempi brevi dall’omologa). Se l’impresa ha troppi creditori di varia natura e non può pagarne alcuni integralmente, allora è preferibile il concordato preventivo dove anche i dissenzienti sono falcidiabili in base a classi e garanzie.

Esempio d’uso: Supponiamo la nostra azienda di valvole abbia un indebitamento totale di 5 milioni. Di questi, 3 milioni verso banche (due banche principali), 1 milione verso fornitori diffusi, 0,5 verso l’Erario e 0,5 verso altri (leasing, ecc.). L’azienda stima di poter rimborsare al massimo 3 milioni su 5 nel giro di 5 anni, mantenendo la continuità. Una via è il concordato in continuità (offrendo il 60% ai chirografari). Un’altra è: negoziare un accordo di ristrutturazione con le due banche per dilazionare 3 milioni in 5 anni (magari convertendo parte di credito in strumenti partecipativi, o con garanzie aggiuntive), ottenere dall’Erario una transazione fiscale interna all’accordo (ora la legge lo consente, il tribunale può omologare l’accordo anche sul debito fiscale se è garantito l’indice di convenienza ), e impegnarsi a pagare i fornitori estranei (il milione) in 120 giorni dopo omologa. Se le banche rappresentano oltre il 60% dei crediti totali, l’accordo è fattibile. L’azienda depositerebbe l’accordo firmato dalle banche e probabilmente anche dall’AdE (perché la transazione fiscale richiede la loro adesione o quantomeno non opposizione, oggi superabile col cramdown), e attenderebbe l’omologa. Durante quel tempo, i fornitori non potrebbero avviare esecuzioni (perché misure protettive concesse), e all’omologa i fornitori dovranno essere pagati come promesso. Questo consente di evitare la procedura concordataria più complessa e circoscrivere il negoziato alle parti principali.

Garanzie di trasparenza: L’accordo, pur essendo negoziale, richiede l’attestazione di un professionista sulla veridicità dei dati aziendali e l’idoneità dell’accordo a assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei . Il tribunale in sede di omologa verifica questi aspetti e che non vi siano lesioni di diritti degli estranei. Ad esempio, Cass. Sez. I, 17 dicembre 2024 n. 32996 ha affrontato il tema di cosa succede se, dopo l’omologa di un accordo di ristrutturazione, l’impresa viene comunque dichiarata fallita: la Cassazione ha chiarito che l’accordo omologato vincola la massa passiva del fallimento in riferimento ai creditori aderenti (che potranno insinuare solo quanto previsto dall’accordo), mentre per i creditori estranei questi conservano il diritto all’integrale soddisfacimento ma potranno insinuare il credito intero decurtato di eventuali acconti ricevuti . In pratica, l’accordo resta efficace anche in fallimento per definire la misura dei crediti, salvo l’inefficacia di eventuali clausole che differiscano il pagamento degli estranei oltre 120 giorni (che la legge non consentirebbe). Questo per dire che la giurisprudenza sta delineando i confini della tenuta degli accordi. L’accordo una volta omologato è un titolo esecutivo e può anch’esso essere risolto se l’impresa non rispetta i patti, su istanza dei creditori, tornando i creditori alla situazione pregressa meno acconti.

Utilizzo pratico aggiornato al 2025: Gli ADR sono stati relativamente pochi nei primi tempi, ma con l’introduzione dei tipi agevolati ed estesi la loro utilità è aumentata. Ad esempio, Tribunale di Bologna, 30 gennaio 2024 ha omologato un accordo ad efficacia estesa con alcuni obbligazionisti di un prestito convertendo , segno che lo strumento è flessibile (può riguardare anche categorie particolari come i bondholders). L’accordo esteso può evitare di fare un concordato su scala più ampia quando il problema è confinato a creditori finanziari: molte ristrutturazioni bancarie di PMI passano da qui. D’altra parte, se i creditori finanziari sono troppi e non c’è quell’alta coesione (75%), spesso si opta per il concordato.

Concordato preventivo (in continuità e liquidatorio)

Il concordato preventivo è la procedura concorsuale per eccellenza a disposizione del debitore insolvente o in crisi. Previsto fin dal RD 267/42, ha subito molte modifiche e nel Codice della crisi è disciplinato agli artt. 84 e ss. CCII. Il concordato è un accordo concorsuale sotto controllo giudiziario tra il debitore e la generalità dei creditori, che consente al debitore di regolare i propri debiti in modo satisfattivo ma non integrale (salvo eccezioni di legge), evitando così il fallimento.

Finalità e tipologie (art. 84 CCII): Il concordato preventivo può perseguire due scopi alternativi :

  • Il risanamento dell’impresa e la continuità aziendale (concordato “in continuità”), ossia il piano prevede che l’attività prosegua, sia direttamente dall’imprenditore (continuità diretta) sia tramite la cessione o conferimento a un altro soggetto che la prosegue (continuità indiretta). L’azienda dunque continua a operare e i creditori vengono soddisfatti col ricavato dell’attività in funzionamento, eventualmente integrato da apporti terzi.
  • La liquidazione del patrimonio (concordato “liquidatorio”), ossia il piano prevede la cessazione dell’attività e la vendita dei beni per distribuire il ricavato ai creditori. È una forma simile al fallimento ma proposta e gestita dal debitore sotto sorveglianza del tribunale.

Nel concordato liquidatorio puro, il Codice richiede un quid pluris per l’ammissibilità: è necessario offrire ai creditori un’utilità almeno pari al 20% dell’ammontare complessivo dei debiti chirografari (soglia di soddisfacimento minima) . Questo per evitare concordati liquidatori troppo “al ribasso”. Nel concordato in continuità, invece, non c’è soglia fissa, perché si presume la continuità massimizzi la soddisfazione.

Procedimento in breve:

  1. Domanda di concordato: può essere completa (con piano e proposta sin dall’inizio) oppure con riserva (art. 44 CCII, ex “concordato in bianco”), dove il debitore deposita solo la domanda riservandosi di presentare il piano entro un termine . La domanda è pubblicata al Registro Imprese. Il tribunale nomina un commissario giudiziale e assegna i termini per depositare il piano (nel concordato con riserva) . Dalla pubblicazione della domanda, scattano gli effetti protettivi: sospensione delle azioni esecutive e divieto ai creditori chirografari di acquisire privilegi (art. 54 CCII), nonché la sospensione degli obblighi di ricapitalizzazione per perdite (art. 44 co.1-bis CCII, introdotto dal D.Lgs. 136/2024) .
  2. Piano e proposta: Il piano è il documento che illustra la situazione patrimoniale, le cause della crisi, e le modalità dettagliate con cui si intende soddisfare i creditori (percentuali, tempi, eventuali garanzie, apporti di terzi, etc.). La proposta indica concretamente quanto riceveranno i creditori delle varie classi. È necessaria l’attestazione di un professionista indipendente che certifichi veridicità dei dati e fattibilità del piano .
  3. Ammissione e adunanza dei creditori: Il tribunale, esaminato il materiale, ammette il debitore alla procedura, convoca i creditori all’adunanza e fa notificare/depositare il piano ai creditori. Il commissario giudiziale stende un parere sulla proposta. All’adunanza (o per pec prima) i creditori votano. Votano solo i creditori chirografari e i privilegiati se rinunciano parzialmente al privilegio. Occorre il voto favorevole dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto (calcolo su somme, non teste). Inoltre, se ci sono classi di creditori (gruppi omogenei per posizione giuridica o interessi, es. classe banche, classe fornitori, etc.), serve anche l’approvazione della maggioranza delle classi (almeno la metà +1 delle classi) oppure, in caso di dissenso di classi, la possibilità di cram down inter-classi è ora prevista con maggiori dettagli dal correttivo 2024 (introduzione di un fairness test e possibilità di omologa nonostante il voto contrario di classi dissenzienti, se certe condizioni sono rispettate ). Di regola, se c’è almeno una classe dissenziente, il tribunale può comunque omologare se ritiene che la classe dissenziente sia trattata in maniera non deteriore rispetto alle alternative e che gli altri criteri legali (best interest test e absolute priority rule mitigata) siano rispettati.
  4. Omologazione: Il tribunale omologa con decreto motivato (sentenza se ci sono opposizioni trasformate in vero contenzioso). Da quel momento il concordato è vincolante per tutti i creditori anteriori (anche quelli dissenzienti e quelli che non hanno proprio votato). Il debitore deve eseguire il piano sotto la vigilanza degli organi nominati. Se non lo fa, il concordato può essere risolto su istanza dei creditori e si apre la liquidazione giudiziale.

Concordato in continuità: Ha caratteristiche particolari. L’impresa prosegue l’attività durante la procedura e dopo l’omologa secondo il piano. Può prevedere, ad esempio, la ristrutturazione dei debiti (pagamento parziale), l’intervento di nuovi finanziatori, la cessione di rami d’azienda o affitto d’azienda a terzi che garantiscano la prosecuzione. La normativa tutela la continuità con norme specifiche: possibilità di chiedere al tribunale di autorizzare finanziamenti interinali durante la procedura (che saranno prededucibili), autorizzare il pagamento di crediti pregressi indispensabili per ottenere prestazioni essenziali alla continuità (ad es. pagare un fornitore critico per continuare produzione) , oppure di sciogliere contratti in corso o sospenderli se non più funzionali (art. 95 e 97 CCII). Ad esempio, la società può chiedere di sciogliersi da un contratto troppo oneroso (il tribunale autorizza lo scioglimento pagando un indennizzo al contraente, che diventa credito concorsuale) . Queste flessibilità servono a riallineare l’azienda a condizioni sostenibili. Come visto, nel concordato in continuità vige il divieto di clausole ipso facto: i contratti essenziali non possono essere risolti dal contraente solo per il deposito del concordato , e il creditore non può rifiutare la prestazione per i crediti pregressi non pagati (deve mantenerla, avrà soddisfazione come gli altri crediti concorsuali) . Questo salvaguarda la filiera produttiva dell’impresa in concordato. Inoltre, la legge permette la vendita dell’azienda in concordato con procedure competitive semplificate e l’applicazione, come visto, di regole speciali sui dipendenti (consultazione sindacale ex art. 191 CCII) per adeguare organico.

Concordato liquidatorio: L’azienda non prosegue (o viene proseguita solo limitatamente per massimizzare il valore di liquidazione). Un liquidatore nominato dal tribunale dopo l’omologa vende i beni (anche in blocco se possibile, magari l’intera azienda come cherry picking di un acquirente senza continuità dei contratti). I creditori vengono pagati col ricavato secondo i privilegi. Come detto, è ammesso solo se prevede il pagamento di almeno il 20% ai chirografari oppure se vi è un apporto di risorse esterne che aumenti di almeno il 10% la massa attiva (quest’ultimo elemento è innovativo nel Codice: per rendere proponibile un concordato liquidatorio con soddisfazione bassa, occorre che entrino nell’attivo nuove risorse – tipicamente denaro di soci o terzi – in misura almeno del 10% del passivo chirografario). Questo per garantire un beneficio ai creditori rispetto al fallimento standard, giustificando l’uso del concordato.

Vantaggi del concordato per il debitore: È il ombrello massimo: blocca tutti i creditori e consente di imporre la ristrutturazione anche ai non consenzienti (purché si raggiungano le maggioranze richieste). Il debitore rimane in carica (nel concordato “in continuità in possesso” tipico, non cede l’amministrazione, anche se opera sotto la vigilanza del commissario e con atti di straordinaria amministrazione soggetti ad autorizzazione). Offre la possibilità di tagliare i debiti sui creditori chirografari, e persino sui privilegiati se accettano o se il valore di garanzia è insufficiente (la parte in eccedenza di un debito privilegiato diventa chirografaria e subisce falcidia). Al termine, se l’imprenditore è persona fisica, può chiedere l’esdebitazione per i debiti residui impagati analogamente al fallimento.

Svantaggi e rischi: È una procedura complessa, che richiede preparazione tecnica notevole (il piano deve essere robusto, attestato da professionista e passato al vaglio di commissario e creditori). Un concordato mal congegnato può essere non ammesso (se il tribunale ravvisa che manca la fattibilità giuridica) o non omologato (se i creditori lo bocciano col voto, oppure se pur approvato il tribunale riscontra atti in frode o violazione di norme di legge). Ad esempio, Cassazione 19 dicembre 2023 n. 35423 ha ribadito che il tribunale deve controllare l’assenza di attività in frode ai creditori (occultamento di attivo, esposizione di passivo fittizio) e la fattibilità giuridica, mentre la fattibilità economica spetta al giudizio dei creditori a meno di palese impossibilità . Dunque, se l’imprenditore tenta di alterare i dati per far passare un piano, rischia di vederselo rigettare. Inoltre, i costi: bisogna pagare le spese di procedura in prededuzione, compensi del commissario e liquidatore (nel liquidatorio), e servono spesso consulenti per predisporre il piano.

Novità recenti: Il D.Lgs. 136/2024 (terzo correttivo) ha apportato alcuni aggiustamenti: ad esempio, ha meglio definito la portata delle misure protettive nel concordato con riserva, inserendo quell’art. 44 co.1-bis che esonera da obblighi societari durante il termine per presentare il piano ; ha introdotto un vero e proprio meccanismo di cram-down interclassi (art. 112 CCII modificato), adeguando l’ordinamento alla Direttiva UE, il che rende più facile l’omologazione in presenza di classi dissenzienti (prima era un po’ limitato). Inoltre, va menzionato l’istituto del concordato minore, che è procedura distinta (nel titolo IV del Codice) riservata ai debitori non fallibili – ne parleremo a parte nella sezione successiva – ma per i soggetti come la nostra azienda di valvole (presumibilmente sopra le soglie di fallibilità) rileva il concordato preventivo classico.

Esempio pratico di concordato in continuità: Alfa Srl (la nostra azienda di valvole) presenta un piano concordatario dove prevede di continuare l’attività, supportata magari da un nuovo investitore che apporta liquidità. I creditori chirografari (fornitori e banche non garantite) riceveranno il 50% in 5 anni, grazie ai flussi di cassa futuri e all’apporto nuovo. I creditori privilegiati (banche con ipoteca) verranno soddisfatti all’80% (che è il valore di stima degli immobili dati in garanzia) e accettano di rinunciare al restante 20% di loro credito che eccede il valore di garanzia, che confluisce tra i chirografari. I dipendenti sono pagati per intero in prededuzione per gli arretrati grazie all’intervento del Fondo di Garanzia su TFR e ultime mensilità. Il piano inoltre prevede di sciogliersi dal contratto di affitto di un capannone inutilizzato (con risparmio di costi futuri) e di vendere un ramo d’azienda non strategico a un terzo. Tutto ciò viene attestato come fattibile. I creditori votano: ipotizziamo 70% di sì, 30% no (dunque approvato). Un gruppo di fornitori dissenzienti fa opposizione lamentando che la percentuale offerta (50%) è troppo bassa. Il tribunale verifica il best interest test (ossia che in caso di fallimento quei fornitori avrebbero preso meno, ad es. 20%, come risulta dalla relazione del commissario) e rigetta l’opposizione, omologando il concordato perché comunque migliorativo rispetto alla liquidazione giudiziale . Alfa Srl continua quindi la sua attività, sotto vigilanza, e con gli utili e l’apporto esterno paga i creditori secondo il piano nei 5 anni successivi, uscendo dalla procedura.

Concordato con riserva (in bianco): Vale la pena dettagliare questo meccanismo, molto usato in pratica. Consente all’imprenditore di prenotare il concordato depositando una domanda minima – cioè solo i dati essenziali e la riserva di presentare piano e proposta entro un termine – ottenendo subito le protezioni. Il tribunale dà da 30 a 60 giorni prorogabili fino a 120 totali per presentare il piano . Nel frattempo, nomina il commissario e impone obblighi informativi mensili sullo stato dell’impresa . Durante questa fase, il debitore non può compiere atti di straordinaria amministrazione senza autorizzazione (pena inefficacia) . Questo strumento serve a chi vede arrivare minacce immediate (pignoramenti, istanze di fallimento) e ha bisogno di tempo per predisporre il piano dettagliato. Una volta depositato il piano, la procedura prosegue come sopra. Occorre evitare abusi: la legge sanziona con la revoca del beneficio se il debitore tiene condotte in frode (es. non dichiara atti di disposizione compiuti prima della domanda) . Il recente correttivo ha ulteriormente specificato i requisiti e ha ribadito la sospensione degli obblighi societari in questa fase per favorire il mantenimento della continuità .

Procedure minori per imprese minori (sovraindebitamento)

Per completezza, dal punto di vista del debitore è utile sapere che se l’azienda di valvole fosse stata una piccola impresa non fallibile (ad esempio una ditta individuale artigiana sotto i limiti dimensionali o un’impresa agricola), non avrebbe accesso al concordato preventivo classico. Tuttavia, il Codice della crisi ha riunito in un unico alveo anche le procedure per questi soggetti, un tempo disciplinate dalla L.3/2012 sul sovraindebitamento. Le procedure disponibili sarebbero:

  • Concordato minore: procedura riservata ai debitori non fallibili, analoga al concordato preventivo ma semplificata (niente voto per classi – i creditori esprimono adesione o diniego individuale, e serve la maggioranza in valore per approvare) . È gestita con l’ausilio di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi). Serve al professionista, piccolo imprenditore o ente non fallibile per proporre un accordo ai creditori. Ad esempio, un’imprenditrice individuale artigiana con debiti 500k può proporre un concordato minore pagando il 30%. I creditori votano via PEC, se maggioranza dice sì il tribunale omologa . Il concordato minore non è accessibile al consumatore (che ha una procedura ad hoc, il “piano di ristrutturazione del consumatore”), ma a imprenditori minori sì . Per il resto, effetti protettivi e iter sono analoghi al concordato maggiore (azioni sospese, contratti pendenti protetti, ecc.) .
  • Accordo di composizione per sovraindebitamento: è l’erede dell’accordo della L.3/2012. Permette a un imprenditore minore di concordare coi creditori un accordo omologato – qui serve il 60% di assenso e omologa simile agli ADR di cui sopra.
  • Liquidazione controllata: l’equivalente del fallimento per il sovraindebitato. Se la nostra azienda fosse una microimpresa individuale insolvente, i creditori chiederebbero la liquidazione controllata del patrimonio. C’è un liquidatore nominato dal tribunale, vendita beni e riparto. Il sovraindebitato persona fisica può poi chiedere esdebitazione di quanto non soddisfatto.

Queste procedure minori replicano in piccolo i concetti visti. La guida essendo su piano avanzato e focalizzato su un’azienda di dimensioni presumibilmente non piccolissime (fabbrica di valvole), non entra in dettaglio oltre. Tuttavia, è importante sapere che anche i piccoli debitori hanno strumenti di difesa analoghi. La logica del sistema attuale è di offrire a chiunque una via d’uscita ordinata dai debiti e di fresh start, calibrata per dimensioni: grandi e medie imprese usano concordati e accordi, consumatori e piccoli usano concordato minore e piano del consumatore.

Caso pratico: simulazione di risanamento aziendale

Per concretizzare quanto esposto, presentiamo ora una simulazione pratica ispirata a un’ipotetica azienda produttrice di valvole di controllo e regolazione – chiamiamola Alfa Valvole S.r.l. – che versa in difficoltà. Descriveremo gli eventi e le scelte compiute dal management di Alfa S.r.l. per difendersi dai creditori e tentare il salvataggio dell’impresa, applicando gli strumenti della normativa italiana visti sinora.

Scenario iniziale: Alfa S.r.l. è un’azienda manifatturiera con sede in Lombardia, 50 dipendenti, attiva da 30 anni nel settore valvole industriali. Ha un fatturato di 10 milioni annui, ma da due esercizi è in perdita a causa del calo ordini (crisi settore petrolifero) e di investimenti in un nuovo impianto rivelatisi più costosi del previsto. Al 31/12/2024 il bilancio registra perdite cumulate che hanno azzerato il capitale sociale (€1 milione di capitale iniziale ora eroso). Il patrimonio netto è negativo di 500.000 €. I debiti totali ammontano a 8 milioni, così ripartiti:

  • Debiti verso banche: 3,5 milioni (mutuo ipotecario su capannone residuo 2 mln; scoperto c/c 0,5 mln; leasing macchinari 0,5 mln; altri finanziamenti 0,5 mln garantiti da MedioCredito Centrale).
  • Debiti verso fornitori: 2 milioni (di cui 0,3 mln scaduti > 90 gg).
  • Debiti verso Erario e INPS: 1 milione (IVA ultimi 2 trimestri non versata €300k; ritenute dipendenti 4 mesi €80k; contributi INPS arretrati €120k; cartelle per IRAP anni precedenti €200k; sanzioni e interessi su tali importi €100k; altro).
  • Debiti verso dipendenti: 0,5 milioni (3 mensilità arretrate e TFR maturato non liquidato per pensionamenti).
  • Altri debiti vari: 1 milione (un contenzioso con ex distributore estero per €400k, rate di finanziamento soci €200k, canoni di leasing immobiliare scaduti €100k, utenze e altri minori €300k).

Segnali di crisi e prime azioni (inizio 2025): La società sente scricchiolare la situazione già da metà 2024, quando le banche iniziano a essere meno disponibili. A settembre 2024 un fornitore importante (acciaio) minaccia di sospendere le consegne se non vengono pagati €100k arretrati. L’INPS invia una lettera segnalando mancati versamenti contributivi oltre €50k. L’amministratore unico convoca subito i sindaci e il consulente finanziario. Si rendono conto che l’azienda è in crisi conclamata: se un grande ordine promesso per il Q4 2024 non arriva, a inizio 2025 mancherà la cassa per pagare stipendi e fornitori.

Consapevole dei suoi doveri di reazione tempestiva (art. 2086 c.c.), l’amministratore decide di attivare la composizione negoziata della crisi. Con l’aiuto di un professionista, prepara la documentazione sulla piattaforma e a gennaio 2025 deposita istanza di nomina dell’esperto alla Camera di Commercio. All’uopo predispone un primo abbozzo di piano: continuare l’attività concentrandosi su valvole speciali ad alto margine, vendere un vecchio capannone non più utilizzato (valore stimato €800k) per fare cassa, trovare un nuovo socio per immettere capitali freschi. Stima che con queste misure potrebbe rimborsare i debiti in % decente (forse 50-60%). L’istanza è accolta: a fine gennaio 2025 viene nominato l’esperto designato, il dott. B, commercialista esperto in ristrutturazioni.

Alfa S.r.l. richiede misure protettive contestualmente: teme che un paio di fornitori e la banca più esposta (che ha già ridotto il fido) possano agire. Il tribunale, vista la documentazione iniziale e il pericolo, concede subito in via d’urgenza la sospensione delle azioni esecutive per 2 mesi, in attesa di conferma dopo l’esame dell’esperto .

Trattative in composizione negoziata (febbraio-aprile 2025): L’esperto convoca i principali creditori di Alfa: le due banche (Banco Alfa e Credito Beta), il fornitore principale (Steel S.p.A.), un rappresentante dei fornitori minori (indirettamente informati tramite associazione di categoria), e l’Agenzia Entrate (che nel frattempo ha inviato cartelle per IVA non pagata). Durante incontri protetti (tutti firmano patti di riservatezza), emergono le posizioni:

  • Le banche sono preoccupate ma intravedono possibilità di recuperare, preferirebbero evitare un default: Banco Alfa propone di ristrutturare il mutuo allungandolo di 5 anni e capitalizzare gli arretrati interessi; Credito Beta sullo scoperto c/c propone di convertirlo in un mutuo a 3 anni se la società dà garanzie aggiuntive (tipo ipoteca su capannone secondario).
  • Il fornitore Steel pretende almeno il 70% del suo credito ma è disposto a dare tempo (dilazione 24 mesi) se l’azienda resta cliente.
  • L’Agenzia delle Entrate, tramite l’Avvocatura dello Stato, fa presente che secondo le norme vigenti può accettare stralci solo su sanzioni e interessi, mentre IVA e ritenute vanno pagate almeno in parte significativa; suggerisce di presentare una proposta di transazione fiscale in eventuale concordato o accordo.
  • I sindacati locali vengono informati che l’azienda potrebbe necessitare di ridurre il personale di 10 unità e chiedono di utilizzare ammortizzatori (CIGS per crisi).

L’esperto individua come soluzione fattibile un Accordo di ristrutturazione dei debiti supportato dall’apporto di un investitore esterno. Spunta infatti un potenziale investitore: Gamma S.r.l., cliente/partner che sarebbe interessato a entrare in Alfa S.r.l. con una quota del 30% apportando €1 milione di capitale fresco, a condizione di un riassetto del debito. Questa manifestazione d’interesse viene integrata nelle trattative.

Entro aprile 2025, l’esperto elabora una bozza di accordo: le banche accetteranno un accordo ex art.57 CCII con il 60% dei crediti finanziari (hanno in mano 3,5 mln su 8 totali, cioè ~44% del totale crediti; ma visto che hanno garanzie e prelazioni su buona parte, praticamente tutti i chirografari importanti devono essere d’accordo). L’accordo bozza prevede: Banco Alfa allunga mutuo a 15 anni con interessi ridotti al 1%, Credito Beta trasforma lo scoperto in mutuo 5 anni con garanzia MCC su 90%; entrambe rinunciano a 20% degli interessi futuri. Steel S.p.A. ottiene pagamento 60% del suo credito in 18 mesi e fornitura prepagata per 1 anno (quindi non dà più merce a credito, per evitare ulteriori esposizioni). I fornitori minori (<5k € ciascuno) saranno pagati integralmente entro 6 mesi dall’accordo (questo è necessario per evitare troppi oppositori e perché sono importi piccoli). I fornitori maggiori (altri 5 con crediti 50k-100k) accettano il 50% a saldo stralcio entro 12 mesi. L’Erario: su €1 milione di debito fiscale si propone di pagare l’IVA e ritenute interamente (380k) in 4 anni, mentre sanzioni e interessi (300k) sarebbero annullati; per IRAP e altri tributi si offre il 50%. Questo ovviamente necessita di transazione fiscale in sede di omologazione. INPS: contributi €120k saranno pagati in 24 rate (come da dilazione ordinaria). I dipendenti: i 3 mesi arretrati e TFR di chi è uscito saranno pagati subito approfittando del Fondo di Garanzia INPS che copre gran parte (l’esperto infatti consiglia di depositare domanda di accesso al Fondo: in caso di concordato i dipendenti possono chiederlo). Per i 10 esuberi, si prevede CIGS 6 mesi e incentivo all’esodo di €20k ciascuno (coperti in parte dall’investitore Gamma).

Tutto questo pacchetto composito costituisce un accordo di ristrutturazione. Tuttavia, non tutti creditori hanno formalmente aderito ancora: in particolare, 2 fornitori su 5 maggiori non rispondono alle proposte (dissentono), e l’Agenzia Entrate non si impegna formalmente (dirà la sua in tribunale). Si raggiunge comunque la soglia del 60% di adesioni in valore: banche+fornitori aderenti coprono il 65% dell’esposizione. L’esperto B redige la relazione finale ad aprile 2025: dice che la trattativa ha portato a una bozza d’accordo che appare idonea a risanare l’impresa in continuità (grazie anche all’apporto di Gamma S.r.l.), e suggerisce che Alfa S.r.l. può perseguire l’omologazione di un accordo di ristrutturazione ex art.57, oppure in subordine un concordato preventivo in continuità se l’accordo non fosse sufficiente.

A questo punto, Alfa S.r.l. decide di procedere col deposito dell’accordo al tribunale di Milano. Poiché l’accordo è scaturito dalla composizione negoziata, può godere di un trattamento agevolato: la percentuale per eventuale estensione viene ridotta (in realtà qui non serve, ha già 60%). Viene depositata anche la proposta di transazione fiscale e una attestazione di un professionista sul piano di fattibilità (affiancando la relazione dell’esperto). Il tribunale apre il fascicolo ADR a maggio 2025 e contestaualmente conferma le misure protettive fino all’omologazione , così i creditori restano congelati.

Omologazione dell’accordo (estate 2025): I creditori non aderenti vengono informati. L’Agenzia Entrate formalizza un’opposizione parziale, contestando il taglio su interessi e sanzioni proposto (ma nei fatti la legge ora consente al giudice di omologare se il piano garantisce il “trattamento migliore” per il fisco rispetto al fallimento, il quale in questo caso è soddisfatto perché in fallimento il fisco avrebbe recuperato forse 20% del suo credito, qui ne riceve 100% imposte e 0% sanzioni, quindi è meglio). Due fornitori dissenzienti (che avrebbero 50% su 100k in 12 mesi) presentano opposizione perché ritengono di meritare di più. Il tribunale fissa udienza a luglio 2025. In giudizio, Alfa S.r.l. dimostra che quei fornitori in ipotesi liquidazione prenderebbero forse il 20-30%, quindi il 50% è equo. Inoltre, essendo fornitori chirografari estranei, promette di pagare il loro 50% entro 120 giorni dall’omologa (rispettando l’art. 61 CCII). I fornitori dissenzienti, valutato che rischiano altrimenti un fallimento dove forse non vedranno nulla per anni, alla fine ritirano l’opposizione accordandosi magari per un 55%. Rimane l’opposizione formale del Fisco, che però viene superata dal giudice applicando il cram-down fiscale: il tribunale verifica il rispetto del best interest test per il fisco (confronto con scenario liquidatorio) e dell’assenza di discriminazioni ingiustificate. Poiché Alfa S.r.l. grazie a Gamma S.r.l. apporta 1 milione nuovo, e destina parte di esso al pagamento prioritario del debito IVA, il giudice ritiene l’accordo conveniente per l’Erario e omologa forzatamente nonostante il dissenso dell’Erario . Con decreto del 30 luglio 2025, l’accordo di ristrutturazione viene omologato dal Tribunale di Milano. Viene nominato un professionista (lo stesso esperto B) come ausiliario per vigilare sull’esecuzione.

Esecuzione e rilancio (fine 2025-2026): Dopo l’omologa, Alfa S.r.l. procede speditamente a eseguire i punti dell’accordo: Gamma S.r.l. versa €1 milione e sottoscrive l’aumento di capitale, entrando al 30% (il capitale torna positivo e adeguato); col ricavato, entro 4 mesi paga integralmente i fornitori estranei all’accordo (quelli piccoli e quelli dissenzienti al 55% pattuito). Vende il capannone per €800k a ottobre 2025, usando i proventi per rimborsare una quota alle banche secondo l’accordo. Attiva la CIGS per 10 lavoratori e completa la riduzione di organico entro fine anno, pagando i loro TFR con l’aiuto del Fondo di garanzia. Man mano rispetta il piano di rientro: nel 2026 e 2027 continua a pagare rate a banche e fisco come concordato. Il commissario/ausiliario deposita relazioni semestrali al giudice attestando la regolare esecuzione.

Alfa S.r.l. nel 2027 è finalmente risanata: l’accordo si conclude con successo, i debiti finanziari sono stati dilazionati e in parte ridotti, il fisco incassa la sua parte (grazie anche al fatto che l’azienda generando utili paga regolarmente le rate). L’azienda ha evitato il fallimento ed è ancora attiva sul mercato con 40 dipendenti e un nuovo socio.

Questo caso mostra come un mix di strumenti di difesa – misure protettive, negoziazione assistita, accordo con banche e fornitori, transazione fiscale – abbia permesso di gestire i debiti evitando l’irreversibile liquidazione giudiziale. Ovviamente ogni situazione reale differisce, ma la sequenza logica rimane: riconoscere subito la crisi, mettere in sicurezza l’azienda bloccando temporaneamente le aggressioni, trovare un’intesa sostenibile con i creditori chiave (con sacrifici condivisi), far validare il piano da soggetti indipendenti (esperto, attestatore) e ottenere l’avallo finale del tribunale per renderlo vincolante erga omnes e protetto da contestazioni future.

Se Alfa S.r.l. non fosse riuscita a trovare accordo sufficiente, avrebbe potuto ripiegare sul concordato preventivo: magari proponendo un concordato in continuità al 50% con l’apporto di Gamma, e lì far votare tutti i creditori. Avrebbe avuto buone chance di approvazione (visto che in realtà la maggioranza era favorevole), con l’unico inconveniente di dover includere tutti e magari ritardare un po’ il tutto. In caso ancora peggiore – se proprio la situazione non fosse risanabile – Alfa avrebbe potuto optare per un concordato semplificato liquidatorio post-composizione negoziata: vendere i beni e chiudere evitando il fallimento. In ogni caso, l’importante era non restare inerti e utilizzare gli strumenti predisposti dalla legge per regolare la crisi nell’interesse sia dell’impresa (che ha potuto sopravvivere) sia dei creditori (che hanno ottenuto più di quanto avrebbero ricevuto da un fallimento caotico).

Domande frequenti (FAQ)

D.1: Cosa significa “fase pre-fallimentare” e perché è importante muoversi prima che arrivi il fallimento?
R.1: La “fase pre-fallimentare” indica il periodo in cui l’impresa è in crisi o a rischio insolvenza ma non è ancora soggetta a una procedura di fallimento (oggi liquidazione giudiziale). È fondamentale intervenire in questa fase perché, prima che un tribunale dichiari il fallimento, l’imprenditore ha a disposizione vari strumenti per evitare la rovina e salvare l’azienda. Agire tempestivamente consente ad esempio di negoziare accordi con i creditori o proporre un concordato preventivo, soluzioni che una volta aperto il fallimento non sono più possibili. Inoltre, molte responsabilità degli amministratori (anche penali) possono essere evitate se si dimostra di aver cercato attivamente di gestire la crisi invece di lasciarla aggravare . In sintesi, la fase pre-fallimentare è il momento di attivarsi: aspettare passivamente fino al fallimento significa perdere il controllo e subire una liquidazione forzata con effetti più gravosi (cessazione dell’attività, curatore nominato, ecc.). Come detto, la legge impone all’imprenditore di dotarsi di assetti per rilevare per tempo la crisi e intervenire . Chi lo fa ha più chance di successo e tutela meglio sia l’impresa sia i creditori.

D.2: Quali sono i principali “campanelli d’allarme” che indicano che un’azienda è in crisi e deve correre ai ripari?
R.2: Vi sono indicatori quantitativi e segnali qualitativi. Tra i campanelli d’allarme più comuni: – Finanziari: mancanza di liquidità in cassa, ritardi sistematici nei pagamenti a fornitori, utilizzo costante e oltre il limite dei fidi bancari (conto sempre “in rosso”), insostenibilità nel ripagare rate di mutui (magari servendosi di nuovo debito per pagare debito esistente). Un indicatore tecnico molto usato è il DSCR (Debt Service Coverage Ratio) prospettico a 6-12 mesi: se scende sotto 1, cioè i flussi di cassa previsti non coprono le uscite per debito, è segnale di crisi probabile . – Patrimoniali: perdite di esercizio consistenti che erodono il capitale sociale (patrimonio netto tendente a zero o negativo). Se metà del capitale è perso (per le S.p.a., art. 2447 c.c.) o per le S.r.l. scende sotto il minimo legale (art. 2482-ter c.c.), l’obbligo di legge sarebbe ricapitalizzare o liquidare – e il nuovo Codice sospende questi obblighi solo se attivi una procedura di crisi . Dunque patrimonio netto negativo è un allarme rosso. – Rapporti con terzi: iniziano ad arrivare molte solleciti di pagamento, decreti ingiuntivi, pignoramenti di piccoli creditori. Oppure banche che revocano linee di credito o riducono affidamenti. Il fisco che invia cartelle esattoriali o, peggio, atti di pignoramento (presso terzi, es. su conti) o ipoteche su immobili per tasse non pagate. Questi sono segnali forti: se l’azienda è sommersa di ingiunzioni, significa che la crisi è conclamata. – Indicatori di allerta esterna: ricezione di lettere dall’Agenzia Entrate o dall’INPS che segnalano arretrati significativi . Oppure richiami dei sindaci/revisori interni che evidenziano “fondati indizi di crisi” (ad esempio segnalando al CDA la necessità di attivare misure) . – Ordini e produzione: significativo e persistente calo di fatturato, perdita di clienti chiave, aumento anomalo delle giacenze di magazzino (prodotto invenduto), difficoltà a incassare crediti dai clienti (che potrebbero a loro volta essere in crisi). Questi elementi preludono a problemi finanziari.

In pratica, quando l’imprenditore vede che sta navigando “a vista” ogni mese per coprire le spese correnti, o sta accumulando debiti su debiti, non deve ignorare questi sintomi. Il Codice ha codificato gli indicatori: squilibri di bilancio, flussi di cassa inadeguati, indici di settore negativi . Appena emergono, conviene rivolgersi a un consulente per studiare le opzioni di risanamento. Procrastinare sperando in un colpo di fortuna è pericoloso.

D.3: Quali rischi corrono personalmente gli amministratori se l’azienda accumula debiti e fallisce?
R.3: Gli amministratori (di S.p.A. o S.r.l.) possono incorrere in responsabilità civili e anche penali. Civilmente, nel fallimento (liquidazione giudiziale) il curatore può agire contro di loro con l’azione di responsabilità se hanno aggravato il dissesto con gestione imprudente o contraria ai doveri (artt. 2486 e 2487 c.c. e art. 378 CCII). Ad esempio, se hanno continuato ad accumulare debiti anche quando era evidente l’insolvenza, ritardando la richiesta di concordato/fallimento, potrebbero dover risarcire i creditori per l’aggravio (cosiddetta responsabilità da wrongful trading, in Italia rientra nella violazione degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale dopo perdita capitale) . Il Codice ora impone di attivarsi tempestivamente: l’inerzia e l’omissione di segnalazione (anche da parte dei sindaci) è fonte di responsabilità . In casi estremi, se si configurano distrazioni di beni o preferenze indebite, gli amministratori falliti possono essere accusati di reati fallimentari: – Bancarotta fraudolenta: se prima o durante il fallimento distraggono beni aziendali, sottraggono attivo ai creditori, falsificano le scritture o commettono altri atti dolosi. È un reato grave (pena detentiva rilevante). – Bancarotta semplice o preferenziale: per esempio avere pagato alcuni creditori preferendoli consapevolmente ad altri in periodo di sospetto (un anno prima del fallimento), o aver aggravato imprudentemente il dissesto (non tenendo contabilità, facendo spese personali spropositate, ecc.), sono fattispecie di bancarotta semplice o preferenziale, anch’esse reati (meno gravi della fraudolenta, ma comunque perseguibili).

Se l’azienda ha debiti verso il fisco o l’INPS, ci sono reati specifici di omesso versamento di IVA o ritenute (sopra soglie di €250k per IVA e ~€150k per ritenute, riferite all’anno): l’amministratore rischia condanna se entro la scadenza della dichiarazione annuale non ha sanato il debito. Anche l’omissione del versamento contributi all’INPS oltre €10k annui è reato contravvenzionale. Dunque, accumulare debiti fiscali/previdenziali può portare direttamente l’amministratore in sede penale.

Inoltre, dal giorno della dichiarazione di fallimento, gli amministratori di società possono subire pene accessorie: interdizione da incarichi direttivi, perdita del diritto di voto in alcune deliberazioni creditizie, ecc., a seconda dei casi. Il Codice della crisi, come incentivo, prevede che se l’imprenditore chiede concordato prima di fallire ed esegue il piano, queste pene non si applicano.

Va notato però che se l’amministratore agisce correttamente – ad esempio attivando la composizione negoziata, tentando il concordato, informando correttamente i creditori – riduce di molto questi rischi. Ad esempio, pagamenti fatti durante un piano di risanamento attestato non sono punibili come bancarotta preferenziale . Il tribunale valuterà diversamente un fallimento dove l’organo amministrativo ha colposamente aggravato la situazione da un caso in cui si è fatto tutto il possibile (in quest’ultimo magari andrà esente da responsabilità). In conclusione: ignorare la crisi espone gli amministratori al serio rischio di dover rispondere dei debiti con il proprio patrimonio e anche penalmente, mentre affrontarla con gli strumenti legali offre protezioni (ad esempio, con accordo ex art. 23 CCII sottoscritto dall’esperto, gli atti coerenti col piano sono esenti da reati di bancarotta semplice/preferenziale) .

D.4: Quali differenze ci sono tra un piano attestato di risanamento e un concordato preventivo?
R.4: Si tratta di due approcci molto diversi: – Il piano attestato di risanamento (art. 56 CCII) è un accordo privato e volontario con i creditori, costruito e attuato dal debitore, con in più la relazione di un esperto indipendente che attesta la fattibilità e veridicità dei dati . Non prevede l’intervento del tribunale né un voto formale dei creditori. È in sostanza un contratto di risanamento che il debitore stipula con alcuni creditori (non necessariamente tutti), con l’obiettivo di risanare l’impresa e soddisfare i crediti secondo nuovi patti. La sua forza deriva dalla legge in due punti: l’esenzione da revocatoria fallimentare per gli atti eseguiti in attuazione del piano e l’esenzione da reati di bancarotta preferenziale/semplice per tali atti . In più, se pubblicato, dà benefici fiscali (non conta come reddito la parte di debito stralciata) . Ma non può imporre modifiche ai creditori non consenzienti: chi non firma resta fuori e può agire per conto suo. – Il concordato preventivo è una procedura concorsuale giudiziale: comporta il deposito di un ricorso in tribunale, la nomina di un commissario, la formazione di classi di creditori, un voto a maggioranza e un’omologazione con decreto del giudice. È vincolante per tutti i creditori anteriori, anche dissenzienti, modificando i loro diritti secondo il piano approvato. Ha efficacia erga omnes. Durante la procedura, l’azienda opera sotto monitoraggio e con divieto per i creditori di agire individualmente . Il concordato richiede di rispettare regole formali (es. par condicio all’interno delle classi, il pagamento almeno parziale dei creditori privilegiati salvo loro rinuncia, soglie di pagamento minimo nel liquidatorio, ecc.). In cambio offre la possibilità di cramdown, cioè di ridurre o posticipare i debiti dei creditori anche senza la loro adesione individuale, purché la maggioranza concordi e il tribunale ritenga il piano equo.

In sintesi, il piano attestato è più informale, rapido e confidenziale, ma funziona solo con l’accordo effettivo dei creditori chiave e non blocca i non aderenti; il concordato è più strutturato e pubblico, ma consente di obbligare tutti i creditori a un certo trattamento una volta approvato (costituisce una novazione coattiva dei crediti per legge). Spesso si tenta prima la via stragiudiziale (piano attestato); se non riesce o se c’è pericolo di azioni ostili, si ripiega sul concordato. Va detto che l’uno non esclude l’altro: un piano attestato può essere “trasformato” in un concordato se emergono intoppi, e viceversa un concordato può chiudersi anticipatamente se i creditori accettano spontaneamente un piano (in tal caso si potrebbe chiedere al giudice la cessazione della procedura perché si è fatto accordo stragiudiziale).

D.5: I creditori possono rifiutarsi di aderire alle proposte di ristrutturazione? E cosa succede se alcuni non accettano?
R.5: In linea di principio, ogni creditore è libero di accettare o meno una proposta di riduzione/dilazione del suo credito. Nessuno può essere costretto a “perdonare” un debito al di fuori di un quadro legale. Tuttavia, nelle procedure concorsuali (concordato preventivo in primis), la legge vincola la minoranza dissenziente alla volontà della maggioranza: se il concordato è approvato dalla maggioranza prescritta di crediti (e classi), anche i creditori che hanno votato contro o non hanno partecipato sono comunque legati alle nuove condizioni (taglio/importo e tempi di pagamento) e non possono più pretendere l’integrale originario . Questo è un effetto legale dell’omologa del concordato: il debito originario si “concordatizza” per tutti. Lo stesso vale in un accordo di ristrutturazione omologato: pur tecnicamente vincolando solo gli aderenti, di fatto crea un contesto in cui i creditori estranei devono essere pagati alla scadenza legale ma, se il debitore non li paga e fallisce poi, quell’accordo inciderà sulla procedura (come visto, Cass. 32996/2024 ha chiarito che un fallimento successivo deve tener conto delle riduzioni concordate per gli aderenti e considerare i pagamenti parziali fatti) . Inoltre, esiste il meccanismo dell’accordo ad efficacia estesa: se in un settore (es. banche) il 75% aderisce, il tribunale può estendere l’accordo ai non aderenti di quel settore . Dunque, al di là del concordato (che è imposto a tutti i creditori chirografari e privilegiati per la parte falcidiata), anche in sede di accordi la minoranza può essere forzata in alcuni casi.

Se alcuni creditori rifiutano su base stragiudiziale (piano attestato, trattativa privata), il debitore deve passare a uno strumento concorsuale per gestirli. Ad esempio, se ho 10 fornitori e 2 non ne vogliono sapere di sconti, potrei includerli in un concordato: lì non avranno scelta se la maggioranza degli altri approva. Nella composizione negoziata, se uno o più creditori cruciali non si accordano, l’esperto dichiarerà che non c’è soluzione negoziata e suggerirà il ricorso a concordato o altro .

Quindi, , un creditore può dire di no a un accordo proposto informalmente. Se il debitore non ha la forza di costringerlo (es. tramite concordato), quel creditore potrà poi agire per conto suo (decreto ingiuntivo etc.). Di solito, se è uno dei tanti chirografari, nel concordato perderà il diritto di avere 100% e dovrà accontentarsi di quanto ottiene nel piano. Se invece è un creditore con garanzia reale (banca ipotecaria) che non aderisce né viene soddisfatta dal piano, nel concordato il debitore deve almeno garantirgli il valore di realizzo del bene in garanzia (non può dargli meno). Ma se nemmeno così il creditore garantito è soddisfatto, potrebbe opporsi e il giudice non omologherà il concordato (regola del best interest test e della non alterazione dell’ordine dei privilegi).

In sostanza: se pochi dissenzienti oppongono resistenza, le procedure concorsuali consentono di procedere comunque (principio maggioritario). Se invece tanti creditori trovano la proposta inaccettabile, allora fallirà in votazione (concordato) o in raccolta firme (accordo) e il debitore dovrà riformulare la proposta o, in mancanza di alternative, subire il fallimento.

D.6: Durante un concordato o un accordo, l’azienda può continuare ad operare? Posso stipulare nuovi contratti, vendere prodotti, assumere o licenziare personale?
R.6: Sì, generalmente l’azienda continua ad operare sotto certe condizioni. Nel concordato in continuità, l’impresa rimane in mano all’imprenditore (non c’è un commissario che gestisce, il commissario giudiziale sorveglia soltanto) e quindi può proseguire l’attività corrente: eseguire ordini, vendere prodotti, comprare materie prime per la produzione corrente, pagare stipendi correnti, incassare crediti dai clienti. Gli atti di ordinaria amministrazione proseguono normalmente. Gli atti di straordinaria amministrazione (es. vendere un immobile, assumere debiti nuovi rilevanti, cedere rami d’azienda) richiedono tipicamente un’autorizzazione del tribunale su parere del commissario , per evitare che durante il concordato il debitore compia atti che pregiudicano i creditori. Ma il tribunale può autorizzare se sono atti utili (es. vendere un bene obsoleto per ricavare liquidità).

Nell’accordo di ristrutturazione, de iure non c’è procedura, quindi il debitore è libero di operare; tuttavia se ha chiesto misure protettive dal tribunale, il giudice può anche qui limitare atti di straordinaria amministrazione o chiedere determinate garanzie nell’autorizzarli. Spesso nel decreto di protezione ex art. 54 CCII il giudice ordina al debitore di non aggravare la sua esposizione e di tenere condotta regolare, informando su eventuali atti straordinari.

Nella composizione negoziata, l’impresa opera regolarmente e l’esperto consiglia. Gli unici vincoli sono se si chiedono misure protettive: l’imprenditore non può, senza avviso, compiere atti “incoerenti” con le trattative (se li fa, l’esperto iscrive il proprio dissenso) . In caso di atti pregiudizievoli per i creditori, l’esperto addirittura deve iscrivere il dissenso, che può portare alla revoca delle misure protettive.

Riguardo a assumere o licenziare: nel concordato o accordo non c’è un divieto, ma se l’azienda è in crisi di solito non assume tranne figure necessarie. Per licenziare, se si tratta di riduzione collettiva, deve seguire procedure di legge (comunicazione ai sindacati, ecc.). In concordato, per licenziamenti collettivi c’è la procedura semplificata ex art. 181 CCII (che richiama la L. 223/91 con tempi dimezzati). Se l’azienda viene ceduta durante un concordato o accordo, il trasferimento dei dipendenti segue l’art. 2112 c.c., però come detto il CCII prevede che si possa fare un accordo sindacale in deroga (art. 191 CCII) per non trasferire tutti o per modificarne condizioni, al fine di facilitare il salvataggio. Nel caso pratico di Alfa S.r.l. abbiamo visto l’uso di CIGS e incentivi: sono cose possibili anche durante la procedura, con autorizzazione ministeriale.

D.7: Cos’è una “clausola ipso facto” e perché la legge le rende inefficaci?
R.7: Una clausola ipso facto è un patto contrattuale per cui un contratto può essere risolto o modificato automaticamente al verificarsi di un determinato fatto, in particolare l’entrata in crisi o in procedura concorsuale di una parte. Ad esempio: “Il fornitore può risolvere il contratto se il cliente presenta domanda di concordato o viene dichiarato fallito”. Oppure: “In caso di ritardo oltre 30 giorni nei pagamenti, il contratto di fornitura si intende risolto di diritto”. Tali clausole, soprattutto nei contratti di lunga durata, mettevano l’impresa in crisi in condizione precaria: bastava attivare una procedura di risanamento e i partner contrattuali potevano sfilarsi immediatamente.

La legge (in particolare il nuovo art. 94-bis CCII) ha dichiarato inefficaci le clausole contrattuali che facciano dipendere la risoluzione o modifica del contratto dal fatto che il debitore è in stato di crisi o che abbia chiesto misure protettive . Quindi, se ho un contratto di locazione con patto “si risolve se il conduttore è ammesso a concordato”, quella clausola non avrà effetto: se presento concordato, il locatore non può buttar fuori l’azienda solo per quello. Ugualmente, l’art. 94-bis specifica che nel concordato preventivo in continuità il contraente (fornitore) non può rifiutarsi di adempiere ulteriormente adducendo il mancato pagamento di crediti anteriori . Deve continuare, e il suo credito pregresso sarà trattato come credito concorsuale (eventualmente privilegiato se rientra in categorie protette come forniture essenziali).

Il motivo di questa inefficacia è di proteggere l’impresa in risanamento: se tutti i partner rescindono i contratti non appena sanno che l’azienda è in concordato, impediscono sul nascere il risanamento stesso (mancanza di forniture, interruzione contratti di appalto, revoca leasing, ecc.) . È un equilibrio: i fornitori non sono obbligati in eterno a contrarre, possono risolvere se ci sono altre cause (ad esempio, se dopo il deposito del concordato il cliente non paga le forniture correnti, allora c’è un nuovo inadempimento e possono agire per quello; ma non possono farlo solo perché c’è il concordato).

Questo è stato un adeguamento alla Direttiva UE e alle best practice di altri ordinamenti (in US Chapter 11 c’è il divieto di termination on bankruptcy clauses). In Italia già la giurisprudenza considerava nulle queste clausole come contrarie a norme imperative concorsuali , ma ora è espressamente in legge. Anche in composizione negoziata si è agito: il DL 118/2021 prevedeva che, ottenute misure protettive, le clausole che permettono risoluzione per mancato pagamento di crediti pregressi sono inefficaci (quindi analoghe tutele). Pertanto, l’impresa in crisi ha la tranquillità che l’attivazione di una procedura non farà scattare domino contrattuali. Attenzione però: se un contratto era già risolto prima della procedura (per altre ragioni, es. già disdettato per scadenza termini) la norma non è retroattiva e non lo riattiva . Inoltre, la controparte può chiedere al tribunale di essere autorizzata a sospendere il contratto se prova che l’altro non sta adempiendo alle obbligazioni correnti (c’è equilibrio nei poteri del giudice concorsuale).

D.8: Come vengono trattati i debiti fiscali e contributivi in un concordato o accordo? Posso “tagliare” le tasse non pagate?
R.8: I debiti verso Erario e enti previdenziali hanno sempre goduto di particolare protezione. Fino a qualche anno fa, nel concordato era consentito proporre il pagamento parziale di tributi solo con adesione dell’ente (c.d. transazione fiscale) e in mancanza di adesione l’omologa era preclusa se non si offriva almeno il 100% su IVA e ritenute. Questo scenario è cambiato: oggi, la transazione fiscale è integrata nelle procedure e il giudice può omologare anche senza il voto favorevole di Agenzia Entrate o INPS, a condizione che la proposta sia conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria . In pratica, puoi certamente proporre nello strumento concordatario un pagamento parziale di imposte e contributi, per esempio: pagherò il 50% dell’IVA e stralcio sanzioni e interessi. L’ente potrà votare contro, ma se la soddisfazione offerta è comunque superiore a quella che l’ente otterrebbe nel fallimento, il tribunale può forzosamente omologare (cram down fiscale). Questa facoltà è stata sancita dalla Corte Costituzionale 2021 e recepita nel Codice. L’unico limite è che devi comunque rispettare il cosiddetto best interest test: non puoi dare al Fisco meno di quanto verosimilmente ricaverebbe dai beni su cui ha privilegio nel caso di liquidazione . Ad esempio, IVA ha privilegio sui beni mobili: se nel fallimento stimiamo che su quei beni recupererebbe 30 su 100, tu nel concordato devi dare almeno 30 su 100 (puoi fare 30 o più, ma non 10).

Nei accordi di ristrutturazione c’è un analogo meccanismo: la legge prevede che la transazione fiscale possa essere parte dell’accordo e, se l’ente non aderisce, il debitore può chiedere ugualmente l’omologa purché versi in un conto dedicato una somma pari al trattamento che spetterebbe al Fisco nella liquidazione. E c’è giurisprudenza di merito che ha applicato questo (Trib. Cagliari 2022, citato prima, ha omologato un accordo nonostante no dell’AdE, perché l’erario avrebbe preso addirittura meno in fallimento, quindi la sua opposizione è stata considerata irrilevante ).

I contributi previdenziali seguono regole simili: l’INPS ha privilegio e va trattata come tale. Stralciare i contributi dei lavoratori è difficile (sono privilegiati di alto grado, quasi equiparati a salari), ma si possono diluire nel tempo o ridurre sanzioni. INPS può aderire alla transazione e accettare un pagamento ridotto su sanzioni, su contributi in linea di principio solo dilazione.

Fuori dalle procedure, invece, i debiti fiscali puoi solo rateizzarli o aderire alle definizioni agevolate se il legislatore le concede. Ad esempio, se non vuoi fare concordato, potresti chiedere all’Agenzia Riscossione un piano a 10 anni (120 rate) se rientri nelle condizioni di temporanea difficoltà. Ma non puoi legalmente convincere la Riscossione a stralciare l’IVA del 50% con un accordo privato (sarebbe illecito per il funzionario accettarlo), salvo appunto le procedure formali di transazione fiscale all’interno di un concordato/accordo omologato dal giudice.

In conclusione: sì, puoi ridurre il carico fiscale e contributivo in un piano di ristrutturazione concorsuale, ma devi seguire l’iter e rispettare i parametri di legge. Il Fisco non vota come gli altri creditori (nel concordato sì, ha diritto di voto, ma in passato era vincolato a dire no se offrivi meno di certi importi; ora vota liberamente, e se dice no, potresti superarlo col cram-down in sede di omologa). Nei concordati minori e procedure di sovraindebitamento, analogamente, dal 2021 è permesso stralciare anche l’IVA (prima era vietato; la Corte Costituzionale n.245/2019 rimosse il divieto per i sovraindebitati), quindi anche il piccolo imprenditore sovraindebitato può tagliare parte di imposte. In generale, è stata riconosciuta la necessità di includere il Fisco nei sacrifici concordatari, altrimenti molte crisi non sarebbero risolvibili (il Fisco spesso è il creditore maggiore in PMI).

D.9: I dipendenti cosa ottengono se l’azienda ricorre a queste procedure? Rischiano di perdere salari arretrati o TFR?
R.9: I dipendenti sono di solito tutelati in via prioritaria. In caso di concordato, i crediti per stipendio degli ultimi mesi e per TFR sono privilegiati e vengono normalmente pagati integralmente (o almeno nella misura garantita dallo Stato). Inoltre, se l’impresa apre un concordato o fallisce, i lavoratori possono chiedere all’INPS – Fondo di Garanzia il pagamento diretto del TFR maturato e delle ultime tre mensilità di retribuzione non percepite . Questo avviene anche se l’azienda non ha risorse: interviene l’INPS appunto. Dunque, i lavoratori non perdono di regola né TFR né stipendi arretrati fino a 3 mesi (il resto delle retribuzioni arretrate oltre i 3 mesi ha un privilegio generico che spesso è soddisfatto parzialmente a seconda delle risorse, ma le prime tre mensilità e TFR sono coperti dal Fondo per evitare il danno grave).

In un concordato in continuità, di norma l’azienda deve continuare a pagare regolarmente gli stipendi correnti (questi sono costi della procedura in prededuzione). Gli arretrati vengono messi nel passivo e spesso, come dicevo, o vengono pagati subito se c’è cassa (anche attingendo al Fondo di Garanzia per velocità) o comunque hanno una soddisfazione altissima. È impensabile proporre in concordato di falcidiare i crediti da lavoro (se non per la parte eccedente massimali): i giudici non lo ammetterebbero perché c’è la regola che ai crediti privilegiati che non si soddisfano per intero va offerto almeno l’equivalente del loro valore in caso di liquidazione. In liquidazione, grazie al Fondo, quei crediti sarebbero pagati dallo Stato, quindi il concordato non può prevedere di dare meno di così. Infatti, tipicamente, i piani di concordato prevedono 100% ai lavoratori (magari dilazionato in pochi mesi).

Se l’azienda intende ridurre il personale come parte del risanamento, può utilizzare la CIGS straordinaria per crisi o la procedura di mobilità: come visto, la legge consente di condurre queste procedure di consultazione in via accelerata in concordato (art. 181 CCII rimanda alla procedura ex art. 47 L.428/90 se cessione, o L.223/91 se licenziamenti collettivi, ma con tempi ridotti). I lavoratori eventualmente licenziati percepiscono la NASpI (disoccupazione) e un eventuale incentivo all’esodo pattuito.

Nei accordi di ristrutturazione e piani attestati, i lavoratori non hanno un voto diretto, ma i loro crediti privilegiati vanno considerati. Spesso, come fatto in Alfa S.r.l., li si paga fuori accordo tramite il Fondo INPS. Non dimentichiamo che lo Stato (INPS) una volta pagati i dipendenti subentra come creditore privilegiato per quelle somme (surroga), e partecipa poi come tale nell’accordo/concordato.

Dunque, i dipendenti raramente risultano danneggiati in termini di mancato pagamento di arretrati rispetto al caso fallimentare (che anzi senza procedure protette li costringerebbe ad azioni lunghe). Al contrario, le procedure di crisi consentono di sbloccare rapidamente i loro pagamenti via Fondo di Garanzia e accordi.

Infine, i diritti contrattuali dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda sono anch’essi tutelati ma con spazio di negoziazione. Come riportato, art. 2112 c.c. dice che se vendo l’azienda, i dipendenti passano automaticamente al nuovo acquirente con gli stessi termini . Nelle procedure di crisi, l’art. 47 L.428/90 permette di negoziare con i sindacati condizioni diverse (es. non trasferire tutti i dipendenti, o modificarne mansioni/contratto) se serve a salvare l’impresa e con accordo sindacale . Ciò può comportare che alcuni dipendenti non proseguano col nuovo acquirente, ma in genere in tali accordi si prevedono per loro tutele (ad es. cassa integrazione, buonuscite, outplacement). L’obiettivo è salvare quanti più posti possibile, anche a costo di sacrificare alcuni con misure mitigate, per rendere appetibile l’investimento all’acquirente.

Quindi i dipendenti non vengono abbandonati: se l’azienda si salva, di solito mantengono il posto, magari con qualche sacrificio (contratti di solidarietà, riduzione straordinari, ecc.); se l’azienda proprio deve ridurre organico, lo fa con ammortizzatori concordati. E se l’azienda invece non si può salvare e si liquida, comunque i lavoratori percepiscono ciò che gli spetta in termini di somme arretrate garantite dal Fondo e hanno accesso agli ammortizzatori per disoccupazione.

D.10: In caso di procedura di risanamento, cosa succede ai fornitori che hanno forniture in corso? Devono continuare a fornire beni/servizi all’azienda in crisi?
R.10: Dipende dai casi, ma come regola generale, se il fornitore ha un contratto di fornitura continuativo (ad es. fornitura mensile di materia prima, o appalto di servizi continuativi), non può interromperlo arbitrariamente solo perché l’azienda cliente è in procedura. Come spiegato prima sulle clausole ipso facto, il fornitore non può risolvere il contratto per il solo fatto della crisi o del concordato del cliente . Se la fornitura è considerata essenziale per la continuità aziendale, il tribunale in concordato può anche autorizzare il pagamento integrale di quel fornitore per le forniture pregresse (prededucendole) al fine di assicurarsi che continui a fornire (questo rientra nelle autorizzazioni ex art. 95 CCII). Quindi un fornitore, finché il contratto è attivo, è tenuto ad adempiere alle scadenze se il cliente in procedura rispetta i pagamenti correnti.

Attenzione: il fornitore ha diritto però alla sua remunerazione corrente alle scadenze pattuite. L’azienda in concordato deve pagare i consumi correnti (energia, materie prime consegnate post domanda) alle normali scadenze, altrimenti quello è un inadempimento nuovo e può portare a sospensione del contratto. Ma non può dire “non ti consegno più perché non mi hai pagato fatture vecchie”: quelle vecchie sono crediti concorsuali e verranno soddisfatti nel piano, il fornitore non può usare l’auto-tutela di bloccare la fornitura per costringere il pagamento di arretrati antecedenti (questo sarebbe una forma di clausola ipso facto inefficace, come detto).

Nel caso di contratti a esecuzione differita o periodica, il Codice consente al debitore di chiedere al tribunale in concordato la sospensione fino a 6 mesi o lo scioglimento di contratti pendenti (art. 97 CCII) se questi contratti sono sfavorevoli o non funzionali al piano . Se il tribunale autorizza lo scioglimento, il fornitore viene liberato dall’obbligo di fornire, ma ottiene un indennizzo (di regola un risarcimento danno contrattuale) che però diventa un suo credito concorsuale (lo prenderà come gli altri creditori, non subito) . Questa è una scelta del debitore, non del fornitore: il debitore può liberarsi da contratti onerosi (ad esempio un affitto troppo caro, un leasing inutile) con l’autorizzazione giudiziale, pagando poi un indennizzo come credito chirografario al contraente.

Invece, se il contratto è utile alla continuazione, il debitore lo mantiene e il fornitore deve onorarlo, come ho spiegato. Nel concordato in continuità, spesso i fornitori essenziali (luce, gas, acqua, telecomunicazioni) cercano di pretendere anticipo per forniture future. La legge bilancia: se esiste una clausola contrattuale che dice “se il cliente va in procedura, l’utenza può essere disdetta”, non vale; però il fornitore di servizi essenziali può chiedere una garanzia per le forniture successive (ad esempio un deposito cauzionale ragionevole), su autorizzazione del giudice, per tutelarsi dal rischio di non essere pagato in corso di procedura. Questo è previsto (mi pare dall’art. 7 DL 118/2021 per comp.neg., e analogamente praticato nei concordati come prassi: il tribunale può imporre al debitore di offrire pagamento a consumo per i servizi essenziali in costanza di procedura).

Quindi, i fornitori devono proseguire i rapporti contrattuali in essere, salvo chiedere rimedi al giudice se c’è un motivo (ad es., l’azienda in crisi sta peggiorando la sua esposizione nei confronti del fornitore anche sul corrente, a quel punto il fornitore può forse chiedere al giudice di essere autorizzato a risolvere per grave inadempimento successivo).

D.11: Che succede se, nonostante i tentativi, il risanamento fallisce e si finisce in liquidazione giudiziale (fallimento)?
R.11: Se tutti i tentativi di evitare il fallimento falliscono – ad esempio il concordato non viene approvato o viene revocato, o l’azienda è troppo gravata e nessuno accordo è praticabile – allora il tribunale dichiarerà l’apertura della liquidazione giudiziale (il “fallimento” secondo la nuova terminologia). A quel punto, le sorti dell’impresa e dei debiti passano integralmente nelle mani di un curatore nominato dal tribunale. L’imprenditore perde la gestione (impresa spossessata dei beni) e il curatore procede a vendere i beni (singolarmente o in blocco se c’è esercizio provvisorio) e a distribuire il ricavato ai creditori secondo l’ordine di privilegi (dopo aver incassato crediti, eventualmente proseguito cause etc.). È la soluzione peggiore per il debitore: l’attività normalmente cessa (a meno di autorizzazioni di esercizio provvisorio brevi per vendere l’azienda intera, se c’è un’offerta), i dipendenti vengono licenziati (possono però far valere i loro diritti sul TFR al Fondo e hanno la NASpI). I creditori di solito recuperano percentuali minori rispetto a un concordato, specialmente i chirografari.

Per il debitore persona fisica (imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile) dopo la chiusura del fallimento c’è la possibilità di ottenere l’esdebitazione, cioè la liberazione dai debiti residui non pagati nella procedura, purché abbia collaborato lealmente e non vi siano state condotte fraudolente (il Codice della crisi all’art. 282 e segg. disciplina l’esdebitazione quasi automatica dell’onesto ma sfortunato, pure senza bisogno di istanza se certi presupposti). Quindi, per quanto traumatico, il fallimento segna la fine dell’impresa ma consente al piccolo imprenditore di ripartire senza debiti (dopo un anno circa e adempimenti di rito).

Nel nostro contesto, la liquidazione giudiziale è l’esito che la guida intende evitare, perché la domanda è “come difendersi (dal fallimento) e come risanare”. Tuttavia, bisogna dire che se l’impresa è oggettivamente insolvente e non recuperabile, a volte la scelta migliore è proprio anticipare la liquidazione in modo ordinato e non da fallimento: ad esempio, con la liquidazione controllata se è piccola, o con un concordato liquidatorio se fattibile, o come ultima risorsa con il concordato semplificato (post-composizione negoziata) vendendo il patrimonio e chiudendo. Così si gestisce la chiusura con minor costi e senza stigma di fallimento. Ma se nemmeno questo si riesce a fare (o se i creditori o il PM prendono iniziativa di far dichiarare fallito), allora la liquidazione giudiziale è inevitabile.

In fallimento, i creditori non hanno più voce individuale: attendono i riparti del curatore e, se hanno garanzie, escuteranno quelle (pignoreranno immobili ecc. tramite curatore). L’imprenditore non ha più potere di decisione sull’azienda.

Dal punto di vista “difensivo” del debitore, in fallimento c’è poco da difendere: semmai, può solo collaborare per evitare guai peggiori (es. evitare bancarotta fraudolenta, quindi cooperare col curatore consegnando libri contabili, segnalando attivo occultato, ecc.). Non a caso tutte le difese e rimedi di cui abbiam parlato servono a scongiurare il fallimento. Una volta in fallimento, la partita del risanamento è chiusa (a meno di casi rarissimi di esercizio provvisorio e successiva vendita che rilanci l’azienda con nuova società: ma per il vecchio imprenditore comunque quell’impresa è persa).

D.12: Chi può aiutarmi in queste situazioni? Mi serve un avvocato, un commercialista o cos’altro?
R.12: La gestione di una crisi d’impresa richiede quasi sempre un team di professionisti con competenze diverse: – Un commercialista/esperto contabile specializzato in crisi d’impresa è fondamentale per l’analisi finanziaria, la predisposizione del piano economico-finanziario, le relazioni con l’esperto e il tribunale sui numeri. Sarà spesso lui a redigere materialmente piani di risanamento, bilanci previsionali, calcoli di convenienza per creditori, ecc. – Un avvocato specializzato in diritto fallimentare e ristrutturazioni serve per gli aspetti legali: redigere e negoziare accordi con creditori, presentare ricorsi in tribunale (per concordato, accordo di ristrutturazione, ecc.), rappresentare l’impresa nelle cause (ad esempio opposizioni dei creditori) e assicurarsi che tutte le norme (es. in materia di lavoro, tributario, societario) vengano rispettate nel piano. In procedure complesse spesso ci sono più avvocati: uno per la parte concorsuale, eventualmente uno giuslavorista se bisogna gestire esuberi, ecc. – Un esperto indipendente nominato ex composizione negoziata viene assegnato dalla CCIAA, quindi quello non lo scegli tu, ma è lì per aiutare tutti (debitore e creditori) e facilitare. Tu però puoi farti affiancare anche da un consulente esperto di negoziazione (spesso è lo stesso commercialista con delega su certe trattative). – Un attestatore (nel piano attestato, accordi e concordato): deve essere un professionista indipendente (di solito un commercialista iscritto all’albo dei revisori o altro esperto qualificato) che non abbia conflitti, e che fornisca la relazione di attestazione. L’attestatore formalmente è super partes: non “aiuta te” bensì verifica i tuoi dati e stime. Ma in pratica tu scegli e incarichi un attestatore di fiducia, noto per serietà, perché la credibilità del piano dipenderà molto dalla sua firma.

L’imprenditore dovrebbe quindi rivolgersi a consulenti specializzati in crisi aziendali (avvocati d’affari e commercialisti in primis). Anche le associazioni di categoria a volte offrono supporto o segnalano esperti (le Camere di Commercio stesse con gli OCC – organismi di composizione della crisi – possono dare orientamento, soprattutto per imprese minori). Nella composizione negoziata, c’è un portale pubblico di auto-diagnosi e la figura dell’esperto che è un ausilio. Tuttavia, è altamente consigliabile non affrontare da soli la procedura: la preparazione dei documenti per la piattaforma e delle proposte ai creditori richiede competenze tecniche.

In particolare, un avvocato sarà necessario per scrivere correttamente accordi vincolanti, gestire eventuali contenziosi durante la negoziazione (ad esempio se un creditore tenta ugualmente un pignoramento e c’è da reagire, o se serve un provvedimento d’urgenza), interloquire con il tribunale. Un consulente del lavoro può essere coinvolto se ci sono importanti impatti sul personale (cassa integrazione, accordi sindacali da siglare).

Dunque, il “debitore diligente” dovrebbe crearsi un pool di advisors: un legale e un economico almeno. I costi di questi consulenti spesso possono essere inseriti come spese prededucibili nel concordato (vuol dire che verranno pagati prima di altri creditori se la procedura riesce). Inoltre, esistono in alcuni casi incentivi: ad esempio il recente bando “Fresh Start” di alcune Camere di Commercio finanziava in parte i costi di consulenza per imprese che accedono alla composizione negoziata. Conviene informarsi localmente.

In conclusione, affrontare una crisi senza assistenza specializzata è fortemente sconsigliato: la materia è complessa e in evoluzione (come dimostra questa guida con normativi di 2022-2024). I creditori importanti spesso hanno a loro volta consulenti legali (si pensi alle banche con i propri legali interni). Per difendersi efficacemente, l’imprenditore deve dotarsi di professionisti che parlino lo stesso linguaggio delle controparti e del tribunale.

D.13: Quali sono i vantaggi di cercare una composizione negoziata rispetto a aspettare il fallimento?
R.13: Cercare una soluzione negoziata (che sia la composizione negoziata della crisi o un accordo spontaneo) offre molteplici vantaggi rispetto al fallimento: – Controllo sull’esito: Nella composizione negoziata sei tu debitore a proporre soluzioni e a guidare le trattative (con l’aiuto dell’esperto). Nel fallimento, deciderà il curatore e il giudice, tu non hai voce su come liquidano l’azienda o su come trattano i creditori. – Conservazione del valore d’impresa: Un accordo può prevedere la continuazione dell’attività o la vendita come azienda in funzionamento. Il fallimento spesso porta all’interruzione dell’attività e alla vendita atomistica dei beni (macchinari venduti all’asta separatamente, ecc.), disperdendo l’avviamento. Quindi, con una soluzione negoziata c’è più chance di preservare l’azienda (magari ristrutturata o venduta in blocco) e quindi mantenere posti di lavoro e rapporti commerciali. – Minor stigma e impatto reputazionale: Un fallimento è pubblico e porta con sé connotazioni negative (anche il termine “fallito” in Italia è infamante). Attivare una procedura come la composizione negoziata o il concordato mostra invece ai partner che stai affrontando in modo responsabile la crisi. Spesso fornitori e clienti apprezzano chi cerca di risolvere piuttosto che chi sparisce in un fallimento caotico. Inoltre, la composizione negoziata è riservata (nessuna pubblicazione se non chiedi misure protettive) quindi potresti risolvere dietro le quinte senza che il mercato lo sappia. – Tempistiche più brevi e costi potenzialmente minori: Un fallimento può trascinarsi anni prima che i creditori vedano un soldo. Un concordato o accordo ben fatto dà scadenze precise e più ravvicinate (a volte creditori prendono acconti già durante la procedura). I costi del fallimento (curatore, attività procedure concorsuali) spesso erodono l’attivo. Certo, anche un concordato ha costi (commissario, legali…), ma se l’azienda è vitale i costi percentualmente saranno minori rispetto alla perdita di valore che il fallimento comporta. – Salvaguardia del patrimonio personale dell’imprenditore: Se gestisci la crisi con una procedura, puoi evitare condotte che ti espongono a responsabilità personali. Ad esempio, in un concordato autorizzato pagare un fornitore essenziale non ti espone a bancarotta preferenziale. In fallimento, ogni pagamento fatto nei mesi prima potrebbe esserti contestato. Inoltre, con un accordo puoi pattuire di restituire i debiti garantiti dai soci in modo da evitare che escutano la fideiussione (magari la banca se concorda, non agisce sul garante socio). Nel fallimento, la banca va direttamente dal fideiussore a escutere l’intero.

  • Possibilità di continuare l’attività dell’impresa da parte del debitore stesso: Se con un risanamento torni solvibile, mantieni la tua azienda. Col fallimento la perdi sicuramente (a meno di rare ipotesi di concordato fallimentare, ma sono situazioni eccezionali).

In sintesi: la composizione negoziata è come una via di uscita onorevole e spesso vantaggiosa per tutti, mentre il fallimento è una soluzione punitiva e dispersiva. Vale la pena tentare la prima se ci sono chance, anche perché, come dicevamo, male che vada si può sempre ripiegare sul fallimento, ma almeno potrai dimostrare di aver fatto il possibile (il che torna utile anche per eventuali esdebitazioni e per la reputazione nel mondo affari).

D.14: Se la mia azienda è molto grande (tipo con migliaia di dipendenti), valgono queste stesse procedure o ce ne sono di speciali?
R.14: Per la maggior parte, valgono le stesse procedure, perché il Codice della crisi si applica a tutte le imprese private non finanziarie. Tuttavia, esistono due procedure concorsuali speciali in Italia per grandi imprese in crisi: – L’Amministrazione Straordinaria delle Grandi Imprese in Crisi (D.Lgs. 270/1999, cd. Legge Prodi-bis) applicabile a imprese con oltre 200 dipendenti e con debiti oltre certi limiti. È pensata per gestire crisi di aziende molto grandi (tipo casi storici come Parmalat, Ilva, Alitalia) con finalità di continuazione dell’attività mediante ristrutturazione o cessione dei complessi aziendali. Viene nominato un commissario straordinario dal MiSE e la procedura può durare vari anni, con programmi di risanamento approvati dal Ministero. È una via parallela al fallimento, con connotati più pubblicistici. Se la mia azienda valvole avesse 1000 dipendenti, e rilevanza strategica, il governo potrebbe optare per quell’amministrazione straordinaria anziché il semplice fallimento, per tentare un salvataggio “politico” (es. coinvolgendo nuovi investitori). – L’Amministrazione Straordinaria Speciale (cd. Legge Marzano) del 2003 per imprese con oltre 500 dipendenti e un miliardo di debiti, riservata a casi di enorme dimensione e impatto sistemico. Ha procedure ancora più accelerate per nominare commissari e predisporre piani di salvataggio, spesso spezzettando l’azienda e vendendone parti.

Queste procedure comunque condividono principi con il concordato: cercano di preservare l’attività e soddisfare i creditori il meglio possibile. Hanno però la particolarità che i creditori non votano un piano: è tutto gestito dall’autorità pubblica (Ministero dello Sviluppo Economico) e dal commissario nominato, con controllo giudiziario limitato. In pratica diventano simili ad amministrazioni straordinarie di stampo pubblico.

Nel nostro contesto, se anche l’azienda di valvole fosse stata un colosso (ma non sembra dal caso presentato), si sarebbe potuto finire in amministrazione straordinaria se ricorrono i requisiti. Per la stragrande maggioranza delle imprese (anche con qualche centinaio di dipendenti), però, si usano le procedure ordinarie di cui abbiamo trattato (concordati, accordi).

D.15: Alla fine, come faccio a scegliere lo strumento giusto per la mia azienda indebitata?
R.15: Non esiste una regola semplicissima, ma alcuni criteri guida: – Dimensioni e composizione del debito: Se ho pochi creditori e principali (es. solo banche e fisco), un accordo stragiudiziale o accordo di ristrutturazione può bastare (meno oneroso, più rapido). Se ho tantissimi creditori variegati (centinaia di fornitori, lavoratori, etc.), probabilmente serve un concordato per coinvolgerli tutti con una formula standardizzata. – Stato della crisi: Se è ancora probabile crisi ma non insolvenza manifesta, partire dalla composizione negoziata è saggio, perché è reversibile (non impegna irreversibilmente come un concordato, e può scongiurare di arrivare all’insolvenza). Se invece sono già in insolvenza conclamata (non pago stipendi da 2 mesi, pignoramenti in arrivo), forse serve subito la protezione forte di un concordato con riserva per congelare tutto. – Volontà di continuità vs liquidazione: Se l’imprenditore vuole fortemente salvare l’azienda e continuare a gestirla, punterà su strumenti di continuità (piano attestato, accordo, concordato in continuità) con eventuale ingresso di soci nuovi. Se invece è rassegnato a chiudere, e vuole solo evitare guai e magari liquidare ordinatamente, potrebbe optare per un concordato liquidatorio o un concordato semplificato (se dopo composizione negoziata fallita). – Coinvolgimento di terzi finanziatori: Se ho la fortuna di un investitore disponibile (soci attuali o terzi), posso costruire un piano attorno a quell’apporto. Gli investitori preferiscono di solito soluzioni più snelle (accordo) se la situazione lo consente, perché un concordato è più lungo e li espone a incertezze. Ma se l’azienda è molto indebitata e l’investitore entra condizionato all’azzeramento di gran parte del debito, forse serve proprio un concordato per tagliare i debiti con efficacia su tutti. – Costi e tempi: I piani stragiudiziali sono meno costosi ma più precari; i concordati sono più costosi ma definitivi. Bisogna valutare se l’azienda ha abbastanza risorse per sostenere i costi di una procedura e se il gioco vale la candela. A volte, per imprese micro, un accordo informale con qualche creditore e l’aiuto del Fondo di garanzia sui dipendenti risolve, evitando spese di tribunale.

In pratica, la scelta va fatta con i consulenti, simulando gli scenari: “posso pagare tutti integrale col tempo?” allora piano attestato; “posso pagare solo metà ma ho molti che non vorranno accettare?” allora concordato; “ho banche cooperative e pochi fornitori, e capitale fresco in arrivo” allora accordo di ristrutturazione; “azienda non è recuperabile” allora meglio liquidare con concordato o semplificato invece di fallire.

Una regola d’oro: iniziare dal meno invasivo (composizione negoziata/piano attestato) e tener pronto il paracadute del concordato se serve. Il Codice facilita questo approccio graduale: puoi partire negoziando e poi convertire in concordato se i numeri o i consensi non bastano . Ciò è stato già visto in casi reali (imprese che in composizione negoziata sono poi sfociate in concordato).

In sintesi, caso per caso. La guida che hai letto fornisce gli strumenti e i criteri; la decisione pratica la prenderai con il polso della situazione reale della tua impresa, la reazione dei creditori chiave (se le banche fanno aperture, conviene accordo; se minacciano istanza di fallimento, magari subito concordato per bloccarle), e con l’analisi di convenienza (un concordato che offre meno del 20% forse non passerà mai, allora tanto vale fallimento; se puoi offrire 40-50% magari sì).

L’importante è non improvvisare e non attendere l’ultimo momento: prima si affronta la scelta, più opzioni saranno disponibili.

Conclusioni

Affrontare la crisi di un’azienda di valvole di controllo e regolazione indebitata richiede lucidità, conoscenza degli strumenti legali e soprattutto tempestività. Come abbiamo visto, l’ordinamento italiano oggi offre un ventaglio ampio di soluzioni per evitare il tracollo: dalle trattative volontarie supportate da esperti, fino alle procedure concorsuali che, se ben utilizzate, permettono di riorganizzare l’impresa, ridurre l’esposizione debitoria e tornare in bonis. Il punto di vista del debitore in queste vicende è delicato: deve conciliare il legittimo interesse a salvare la propria azienda (e l’investimento di una vita magari) con i diritti dei creditori di essere soddisfatti. La legge fornisce il quadro per un equilibrio: impone all’imprenditore la trasparenza (attestazioni, controllo del tribunale) ma gli dà anche strumenti di protezione e di negoziazione che un tempo non esistevano (si pensi al blocco delle azioni esecutive, prima riservato solo al concordato, ora possibile anche in fase di composizione negoziata ).

Dal percorso fatto emergono alcuni principi chiave: – Agire presto: prima di accumulare troppi debiti e perdere la fiducia di tutti, è bene attivarsi. Gli adeguati assetti servono proprio a cogliere i segnali e non arrivare a punto di non ritorno . – Coinvolgere i creditori in modo ordinato: nascondersi o fare preferenze occulte porta a azioni legali e potenziali responsabilità. Meglio coinvolgere tutti nel quadro di un piano strutturato, magari con l’ausilio di un esperto terzo, per trovare soluzioni condivise. Oggi anche il fisco e le banche possono sedersi a un tavolo grazie a norme ad hoc (vedi composizione negoziata e segnalazioni precoci). – Usare i professionisti e gli strumenti legali come scudo: un piano attestato, un accordo omologato o un concordato non sono “disgrace”, ma strumenti di gestione. L’imprenditore non dovrebbe esitare a usarli per difendersi dalle aggressioni scoordinate dei creditori e per evitare il fallimento, che è la situazione peggiore per tutti (salvo eccezioni). – Morale e buona fede: i casi di successo di risanamento spesso vedono un debitore che ha tenuto un comportamento corretto e collaborativo. La normativa premia il debitore che agisce con buona fede e trasparenza – ad esempio, in composizione negoziata se si agisce scorrettamente l’esperto se ne va e la protezione cade ; in concordato se ci sono atti in frode il tribunale non omologa. Dunque, chi cerca di “fregare” i creditori con malizie di solito peggiora la propria posizione. Chi invece onestamente coinvolge i creditori e offre il massimo possibile ha buone probabilità di ottenere l’approvazione e la fiducia (spesso anche in votazione i creditori danno fiducia a un piano ben fatto e sostenibile). – Tutela del lavoro e della continuità come valore: il Codice è impregnato dell’idea che salvare l’impresa (ovvero i posti di lavoro, la capacità produttiva) sia preferibile a liquidare. Ciò non per buonismo ma perché anche i creditori, alla lunga, prendono di più da un’azienda viva che genera utili con cui pagarli piuttosto che da un’azienda morta svenduta all’asta. Il debitore dovrebbe abbracciare questa logica e predisporre piani che massimizzino il valore, eventualmente coinvolgendo partner industriali o finanziari per il rilancio. È più facile convincere i creditori a pazientare o rinunciare a parte dei crediti se vedono un futuro per l’azienda (e magari possibilità di continuarci a fare affari in futuro) piuttosto che se vedono solo rovine.

In conclusione, “difendersi dai debiti” per un imprenditore vuol dire soprattutto governare la crisi prima che la crisi governi lui. Le norme, aggiornate al 2025, offrono gli attrezzi del mestiere: componendo, concordando, ristrutturando il debito con legalità e cognizione, l’imprenditore può trasformare una situazione debitoria che pare disperata in un progetto di risanamento credibile. Non sempre sarà possibile salvare tutto (ci saranno sacrifici: creditori che non recuperano l’intero, soci che si diluiscono, magari pezzi di azienda da cedere), ma l’importante è evitare la distruzione di valore di un fallimento incontrollato.

Questa guida ha fornito un quadro avanzato e dettagliato, con riferimenti a fonti normative e giurisprudenza aggiornata, proprio per permettere a imprenditori, professionisti e anche creditori di capire i meccanismi in gioco e le rispettive tutele. Conoscere sentenze recenti (come quelle citate della Cassazione ) aiuta a capire come vengono interpretate le nuove norme – ad esempio, sapere che un finanziamento in esecuzione di concordato è prededucibile può incoraggiare le banche a finanziare un’azienda in concordato, e ciò è vitale per il debitore.

Il messaggio finale per il debitore indebitato è: non sei solo e non sei spacciato. Esistono vie d’uscita legali, anche multiple, e finché c’è un core sano di attività c’è speranza di risanamento. L’importante è agire con consapevolezza, affiancato da esperti, e nell’alveo della legge. Questa non è più (solo) punitiva, ma anzi oggi è orientata a dare una seconda chance alle imprese meritevoli: vale la pena sfruttarla.

Fonti (normativa, giurisprudenza e dottrina)

  • Codice Civile: art. 2086 (dovere di assetti adeguati), artt. 2446-2447, 2482-bis/ter (riduzione capitale per perdite), art. 2112 (tutela dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda).
  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019 n.14) e successive modifiche (D.Lgs. 147/2020, D.Lgs. 83/2022 di attuazione direttiva UE, D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024 correttivi) – articoli rilevanti: definizioni di crisi e insolvenza , obblighi di segnalazione (artt. 15, 25-octies) , composizione negoziata (artt. da 17 a 25-sexies) , piano attestato (art. 56) , accordi di ristrutturazione (artt. 57-64) , concordato preventivo (artt. 84-120) incl. continuità vs liquidatorio , effetti protezione (artt. 54, 88, 94-bis) , concordato semplificato (art. 25-sexies) , procedure sovraindebitamento: concordato minore (artt. 74-83 CCII) e liquidazione controllata (artt. 268-277 CCII).
  • Decreto Legge 118/2021 convertito in L.147/2021: introduttivo della composizione negoziata e del concordato semplificato .
  • Legge Fallimentare (R.D. 267/1942) – abrogata dal 15/07/2022, ma rilevanti principi giurisprudenziali maturati sotto di essa sono tuttora applicati (es. criteri di fattibilità, revocatoria atti in fraudem).
  • Leggi speciali citate: D.Lgs. 270/1999 (Amministrazione straordinaria grandi imprese), D.L. 347/2003 conv. L.39/2004 (procedura Marzano); Legge 3/2012 (vecchia composizione sovraindebitamento, abrogata); D.Lgs. 74/2000 (reati tributari), L. 638/1983 (omesso versamento contributi).
  • Camera di Commercio di Torino – schede pratiche (agg. Dic 2023): “Strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza” ; Composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa ; Piano attestato di risanamento ; Accordi di ristrutturazione dei debiti ; Concordato minore . – Queste fonti camerali offrono sintesi normative e procedurali molto utili e ufficiali.
  • Ministero della Giustizia – Relazioni illustrative e materiali sul D.Lgs. 83/2022 (attuazione direttiva), ad es. Temi.camera.it, Giustizia.it (scheda DLgs 83/22) – per inquadramento delle novità come il PRO e composizione negoziata integrata nel Codice.
  • Relazione massimario Cassazione n. 56/2020 (citata in Monardo 2025) sulla rinegoziazione contrattuale in pandemia – menzionata per l’obbligo di rinegoziare sopravvenienze straordinarie, contesto civile generale.
  • Giurisprudenza di legittimità:
  • Cass. civ. Sez. I, 3 gennaio 2023 n. 43 – Prededuzione dei crediti derivanti da finanziamenti concessi in esecuzione del concordato preventivo .
  • Cass. civ. Sez. I, 15 giugno 2023 n. 17092 – Concordato in continuità aziendale, presupposti (indicata in ricerche) .
  • Cass. civ. Sez. I, 17 luglio 2023 n. 33303 – Omologazione accordo ristrutt. con transazione fiscale sopravvenuta durante lite tributaria .
  • Cass. civ. Sez. I, 19 dicembre 2023 n. 35423 – Doveri del tribunale su concordato: controllo atti in frode, verifica classi .
  • Cass. civ. Sez. I, 17 dicembre 2024 n. 32996 – Effetti del fallimento successivo all’omologazione di un accordo di ristrutturazione: i crediti oggetto di accordo vanno ammessi al passivo fallimentare nei limiti risultanti dall’accordo (Studio Previti 2025 ).
  • Cass. civ. Sez. Un. 28 aprile 2023 n. 9479 (indirettamente citata) – in tema di obblighi di amministratori post perdita capitale e attivazione strumenti di crisi (principio di cui all’art. 2486 c.c., confermato in CCII) .
  • Cass. civ. Sez. Un. 23 giugno 2023 n. 130 – menzionata su segnalazioni obbligatorie ed esigenze solidarietà (Eius.it) .
  • Corte Costituzionale 22 aprile 2021 n. 47 – illegittimità parziale L.3/2012 per divieto cramdown fiscale in sovraindebitamento (anticipa riforma).
  • Corte Costituzionale 23 giugno 2023 n. 130 – (probabilmente su allerta esterna, citata su Eius, non specificata qui).
  • Corte Costituzionale 19 luglio 2024 n. 121 – illegittimità mancato patrocinio a spese dello Stato per liquidazione controllata (questione spese giustizia) (non incide direttamente su risanamento, ma citata come aggiornamento).
  • Giurisprudenza di merito:
  • Tribunale di Cagliari, 5 agosto 2022 – Omologa accordo ristrutt. con cram down fiscale nonostante opposizione AdE .
  • Tribunale di Bologna, 30 gennaio 2024 – Ammissibilità accordo ristrutturazione ad efficacia estesa con obbligazionisti (DirittoBancario) .
  • Tribunale di Vicenza, 7 novembre 2023 – Primo decreto di omologa di un PRO (Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione) .
  • Tribunale di Milano, 15 luglio 2025 (ord.) – Misure protettive per fondo d’investimento (SGR in comp.negoz.) .
  • Tribunale di Vicenza, 23 luglio 2025 (provv.) – Divieto temporaneo di escussione garanzia MCC in comp.negoz. (misura cautelare atipica) .
  • Tribunale di Napoli, 9 marzo 2022 – (non citato sopra, ma su esdebitazione e concordato minore).

La tua azienda che produce, progetta, revisiona o distribuisce valvole di controllo, valvole di regolazione, control valves, valvole a globo, valvole a farfalla, valvole a segment ball, attuatori pneumatici/idraulici, positioner, smart positioner, accessori per controllo di processo e sistemi per impianti industriali si trova in difficoltà a causa dei debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo

La tua azienda che produce, progetta, revisiona o distribuisce valvole di controllo, valvole di regolazione, control valves, valvole a globo, valvole a farfalla, valvole a segment ball, attuatori pneumatici/idraulici, positioner, smart positioner, accessori per controllo di processo e sistemi per impianti industriali si trova in difficoltà a causa dei debiti?
Hai esposizioni con Agenzia delle Entrate, INPS, banche, fornitori, finanziarie o Agenzia Entrate-Riscossione?
Stai ricevendo solleciti, richieste di rientro, sospensioni delle forniture, decreti ingiuntivi o minacce di pignoramento?

Il settore delle valvole di controllo e regolazione è uno dei più tecnici e complessi dell’automazione di processo: richiede componenti certificati, materiali resistenti, lavorazioni di precisione, tarature, test in banco prova, documentazione tecnica completa, personale specializzato e un magazzino ben strutturato.
Basta un ritardo negli incassi o un calo di liquidità per far nascere una crisi significativa.

La buona notizia è che la tua azienda può essere salvata e rilanciata, se intervieni in modo corretto e tempestivo.


Perché un’Azienda di Valvole di Controllo Finisce in Debito

Le cause più frequenti includono:

  • aumento dei costi di materiali speciali (acciai, leghe, trim interni, sedi, guarnizioni)
  • rialzo dei prezzi di lavorazioni meccaniche, trattamenti e test di regolazione
  • ritardi nei pagamenti da parte di EPC, OEM, società di ingegneria, manutentori e industrie
  • investimenti in positioner digitali, elettronica, tarature e calibrazioni
  • magazzino immobilizzato tra valvole, attuatori, positioner e ricambi
  • assistenza tecnica, collaudi e commissioning prima dell’incasso
  • riduzione o revoca dei fidi bancari
  • commesse complesse e personalizzate con tempi lunghi di incasso

Il vero problema quasi sempre è la mancanza di liquidità immediata, non la mancanza di lavoro.


I Rischi per un’Azienda di Valvole di Regolazione con Debiti

Senza interventi immediati rischi:

  • pignoramento dei conti aziendali
  • blocco dei fidi e delle linee bancarie
  • sospensione delle forniture di trim, attuatori, positioner, fusioni e lavorazioni
  • decreti ingiuntivi, precetti e azioni esecutive
  • sequestro di valvole, banchi prova, strumenti di taratura e attrezzature
  • impossibilità di completare commissioning, manutenzioni e consegne urgenti
  • perdita di clienti strategici e appalti
  • rischio concreto di fermarsi del tutto

Una crisi non gestita può spegnere l’operatività di produzione, configurazione, testing e assistenza.


Cosa Fare Subito per Difendersi

1. Bloccare immediatamente i creditori

Un avvocato specializzato può:

  • sospendere pignoramenti e azioni esecutive
  • fermare richieste di rientro improvvise
  • proteggere i conti correnti
  • evitare il blocco di fornitori essenziali e strategici

Prima si mette in sicurezza l’azienda, poi si procede con la ristrutturazione del debito.


2. Analizzare i debiti ed eliminare ciò che non è dovuto

Spesso nei debiti emergono errori significativi:

  • interessi non dovuti o eccessivi
  • sanzioni errate
  • importi duplicati
  • debiti prescritti
  • errori dell’Agenzia Entrate-Riscossione
  • costi e spese bancarie anomale

Una parte importante del debito può essere tagliata o cancellata.


3. Ristrutturare i debiti con piani sostenibili

Le soluzioni possibili includono:

  • rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
  • accordi di rientro con fornitori strategici
  • rinegoziazione dei fidi e delle linee bancarie
  • sospensione temporanea dei pagamenti
  • utilizzo delle definizioni agevolate quando disponibili

L’obiettivo è ripristinare liquidità e mantenere la continuità produttiva.


4. Attivare strumenti legali che proteggono l’impresa

Per crisi più importanti si possono usare strumenti come:

  • PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
  • accordi di ristrutturazione dei debiti
  • concordato minore
  • liquidazione controllata (solo come ultima opzione)

Queste procedure:

  • bloccano tutti i creditori
  • sospendono pignoramenti e azioni esecutive
  • permettono di pagare solo una parte dei debiti
  • consentono di continuare a lavorare

5. Proteggere materiali, produzione e assistenza

Per un’azienda di valvole di regolazione è essenziale tutelare:

  • valvole di controllo, attuatori, positioner, trim di ricambio
  • strumenti di taratura, banchi prova, software e configuratori
  • disegni tecnici, certificazioni, documentazione PED/ATEX
  • fornitori critici di lavorazioni, attuatori e componentistica
  • continuità delle commesse, manutenzioni e commissioning

Un blocco di magazzino o forniture può paralizzare l’intero reparto tecnico.


Documenti da Consegnare Subito all’Avvocato

  • Elenco completo dei debiti commerciali, fiscali e bancari
  • Estratti conto aggiornati
  • Estratto di ruolo (se presente)
  • Bilanci e documentazione fiscale
  • Lista fornitori critici e insoluti
  • Inventario di magazzino (valvole, attuatori, positioner, ricambi)
  • Atti giudiziari ricevuti
  • Commesse aperte e cronoprogrammi

Tempistiche di Intervento

  • Analisi preliminare in 24–72 ore
  • Blocco dei creditori in 48 ore – 7 giorni
  • Piano di ristrutturazione in 30–90 giorni
  • Eventuale procedura giudiziaria in 3–12 mesi

Le protezioni possono attivarsi fin dai primi giorni, se si agisce correttamente.


Vantaggi di una Difesa Specializzata

  • Stop immediato ai pignoramenti
  • Riduzione concreta dei debiti
  • Protezione di magazzino, strumenti tecnici e attrezzature
  • Trattative efficaci con banche, fornitori e Fisco
  • Continuità produttiva, tecnica e commerciale
  • Salvaguardia del patrimonio personale dell’imprenditore

Errori da Evitare

  • Ignorare atti e solleciti
  • Fare nuovi debiti per coprire quelli vecchi
  • Pagare solo alcuni creditori
  • Lasciare avanzare pignoramenti
  • Affidarsi a società senza competenze reali

Ogni errore aumenta il rischio di fermo aziendale.


Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

  • Analisi completa della tua esposizione debitoria
  • Blocco immediato delle azioni dei creditori
  • Creazione di piani di ristrutturazione su misura
  • Attivazione degli strumenti giudiziari più efficaci
  • Trattative mirate con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
  • Tutela totale di azienda e imprenditore

Conclusione

Avere debiti nella tua azienda di valvole di controllo e regolazione non significa essere destinato alla chiusura.
Con una strategia rapida, tecnica e mirata puoi:

  • bloccare immediatamente i creditori
  • ridurre drasticamente i debiti
  • proteggere produzione, testing, documentazione e magazzino
  • mantenere la continuità operativa
  • salvare il tuo futuro imprenditoriale

Il momento per agire è adesso.

📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata:
la difesa e il rilancio della tua azienda possono iniziare oggi stesso.

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
Si invita a leggere attentamente il disclaimer del sito.

Torna in alto

Abbiamo Notato Che Stai Leggendo L’Articolo. Desideri Una Prima Consulenza Gratuita A Riguardo? Clicca Qui e Prenotala Subito!