Azienda Di Tenute E Paraoli Con Debiti: Cosa Fare Per Difendersi E Come

Se gestisci un’azienda che produce o distribuisce tenute meccaniche, paraoli, guarnizioni, anelli di tenuta, O-ring, kit di riparazione, componenti per oleodinamica, pneumatica, automotive, pompe e motori, e oggi ti ritrovi con debiti fiscali, cartelle dell’Agenzia delle Entrate Riscossione, contributi INPS arretrati, esposizioni bancarie o debiti verso fornitori, la continuità della tua attività è seriamente compromessa.
Il settore delle tenute richiede materiali costosi, lavorazioni precise, forniture affidabili e tempi stretti. Un blocco causato dai debiti può fermare la produzione, creare ritardi nei ricambi, compromettere contratti industriali e farti perdere clienti strategici.

La buona notizia è che puoi ancora difendere la tua azienda, ma devi intervenire subito.

Perché le aziende di tenute e paraoli accumulano debiti

Le cause principali includono rincari di gomma speciale, PTFE, Viton, acciaio e materiali tecnici, costi elevati di lavorazioni meccaniche e stampaggio, pagamenti lenti da parte di clienti industriali e distributori, ritardi nei versamenti IVA e INPS, magazzini complessi con centinaia di misure e varianti, investimenti continui in stampi, attrezzature, certificazioni e qualità, difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati e fornitori critici che richiedono pagamenti anticipati.
Tutto ciò può trasformarsi rapidamente in una crisi di liquidità.

Cosa fare subito

La priorità è non restare fermo.
Fai analizzare l’intera situazione debitoria da un avvocato esperto, verifica quali debiti sono corretti e quali contestabili o prescritti, non firmare piani di rientro non sostenibili proposti in fretta, richiedi la sospensione di eventuali pignoramenti, valuta soluzioni di pagamento realmente compatibili con AE Riscossione e INPS, proteggi i rapporti con i fornitori fondamentali di materiali e componenti, previeni il blocco del conto corrente e sfrutta gli strumenti legali per ridurre, ristrutturare o rinegoziare i debiti.

Rischi concreti se non intervieni subito

I rischi includono pignoramento del conto corrente aziendale, blocco delle forniture di materiali per guarnizioni e paraoli, impossibilità di evadere ordini o consegnare ricambi, perdita di clienti industriali, danni alla reputazione commerciale, difficoltà nel pagare dipendenti e fornitori e rischio reale di chiusura dell’azienda.
Nel settore delle tenute, anche un ritardo minimo può bloccare linee produttive, pompe, motori e impianti dei clienti.

Come un avvocato può aiutarti concretamente

Un avvocato specializzato in debiti aziendali può bloccare immediatamente pignoramenti e procedure esecutive, ridurre il totale dei debiti tramite trattative mirate, ottenere rateizzazioni realmente sostenibili, far annullare debiti prescritti o notificati irregolarmente, negoziare con banche e fornitori per evitare sospensioni delle consegne, proteggere magazzino, attrezzature e continuità produttiva, stabilizzare la situazione mentre l’azienda ristruttura i debiti ed evitare procedure concorsuali.
Una strategia professionale può salvare l’azienda prima che la crisi diventi irreversibile.

Come evitare che l’attività si blocchi

Per garantire continuità operativa devi intervenire subito, evitare trattative improvvisate con i creditori, tutelare fornitori critici di materiali e componenti, ristrutturare i debiti prima che arrivino pignoramenti, contestare i debiti irregolari o non più esigibili e concentrare la liquidità sulle attività essenziali: produzione, assemblaggio, consegne e assistenza tecnica.
Così puoi evitare fermi produttivi, penali e la perdita di clienti strategici.

Quando rivolgersi a un avvocato

Dovresti farlo immediatamente se hai ricevuto cartelle, solleciti o preavvisi di pignoramento, se i debiti con il Fisco, INPS, banche o fornitori stanno crescendo rapidamente, se temi il blocco del conto corrente, se la liquidità si sta riducendo in modo critico, se i fornitori minacciano di interrompere le consegne o se la situazione rischia di portare alla chiusura dell’azienda.
Un avvocato esperto può bloccare le procedure, ristrutturare i debiti e mettere in sicurezza l’attività.

Attenzione

Molte aziende della tenuta e della guarnizione non falliscono per i debiti, ma perché intervengono quando ormai è troppo tardi. Con una strategia legale mirata è possibile ridurre, rinegoziare o eliminare parte dei debiti e proteggere davvero il futuro della tua azienda.

La tua azienda è indebitata? Richiedi una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo per bloccare le procedure, ridurre i debiti e salvare la tua attività.

Introduzione

Le aziende manifatturiere, come un’impresa specializzata in tenute e paraoli, possono trovarsi esposte a debiti significativi verso banche, fornitori, Fisco e altri creditori. Nel contesto economico attuale, aggravato da cicli di mercato altalenanti, molte imprese di questo tipo affrontano difficoltà finanziarie che possono mettere a rischio la continuità aziendale. Cosa può fare il titolare o l’amministratore di un’azienda indebitata per difendersi dalle azioni dei creditori e salvare l’impresa? In questa guida analizziamo in dettaglio le strategie difensive e gli strumenti giuridici a disposizione del debitore, aggiornati alla normativa italiana a Ottobre 2025, inclusi i più recenti interventi legislativi e giurisprudenziali. L’approccio sarà dal punto di vista del debitore (imprenditore o legale rappresentante), con un linguaggio tecnico-giuridico ma accessibile, adatto sia a professionisti del diritto che a imprenditori e privati interessati. Faremo riferimento al nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019) e successive modifiche, che hanno introdotto strumenti innovativi per la gestione della crisi.

Obiettivo della guida: fornire un quadro avanzato e completo su come gestire i debiti aziendali verso banche, fornitori e anche enti pubblici (Erario, INPS) o dipendenti, illustrando le possibili soluzioni (dalle trattative stragiudiziali alle procedure concorsuali) per evitare il fallimento (ora “liquidazione giudiziale”) o almeno minimizzarne gli effetti negativi. Saranno incluse le ultime novità normative – come la composizione negoziata della crisi e le recenti riforme del 2022-2024 – nonché sentenze aggiornate che delineano principi chiave. Troverete inoltre tabelle riepilogative, esempi numerici pratici, e una sezione di domande e risposte (FAQ) per chiarire i dubbi più frequenti.

È importante sottolineare che agire tempestivamente è spesso la chiave per difendersi con successo: il nuovo quadro normativo incoraggia l’emersione precoce della crisi e premia l’imprenditore che affronta i problemi prima che divengano irreversibili . Aspettare passivamente l’azione dei creditori può portare a pignoramenti, istanze di fallimento e alla perdita del controllo sulla situazione. Al contrario, conoscere i propri diritti e gli strumenti previsti dalla legge consente al debitore di negoziare da una posizione più forte e, in molti casi, salvare l’azienda oppure ridurre l’impatto dei debiti. Nelle sezioni che seguono esamineremo dapprima le diverse tipologie di debiti e le relative conseguenze, quindi passeremo in rassegna le strategie di difesa – dai piani di rientro informali alle procedure concorsuali (come accordi di ristrutturazione e concordato preventivo) – per concludere con simulazioni pratiche e risposte ai quesiti frequenti.

Nota: Tutte le informazioni normative e giurisprudenziali citate sono aggiornate a ottobre 2025; in fondo alla guida è presente una sezione con l’elenco delle fonti normative e sentenze più autorevoli utilizzate. Ciò consente al lettore di approfondire ulteriormente ogni aspetto, garantendo al contempo trasparenza e attendibilità delle soluzioni prospettate.

I debiti dell’azienda: tipologie di creditori e implicazioni

Un’azienda può contrarre debiti di diversa natura, e capire a chi si deve cosa è fondamentale per decidere la strategia di difesa. Non tutti i creditori infatti hanno gli stessi poteri o priorità, e la legge riserva trattamenti differenziati a seconda della categoria di credito. Di seguito analizziamo le principali tipologie di debiti che tipicamente gravano su un’azienda di tenute e paraoli, evidenziando per ciascuna le implicazioni legali:

Debiti verso le banche e istituti finanziari

I debiti bancari includono mutui, finanziamenti, scoperti di conto o anticipazioni su fatture. Questi crediti sono spesso assistiti da garanzie: ad esempio, la banca può avere un’ipoteca su immobili aziendali o pegni su macchinari. Ciò conferisce alla banca uno status di creditore privilegiato o garantito. In caso di insolvenza, le banche garantite hanno diritto di prelazione sul ricavato dei beni dati in garanzia. Un elemento cruciale per il debitore è il cosiddetto privilegio fondiario previsto dall’art. 41 TUB (Testo Unico Bancario): esso attribuisce alle banche con ipoteca un “privilegio processuale”, ossia la facoltà di proseguire o iniziare l’esecuzione forzata sull’immobile ipotecato anche se l’azienda entra in procedura concorsuale . La Corte di Cassazione ha confermato nel 2024 che questo privilegio opera sia nella liquidazione giudiziale (il “nuovo fallimento”) sia nella liquidazione controllata (procedura liquidatoria per debitori minori) . In pratica, il vincolo ipotecario consente alla banca di agire sul bene a garanzia senza doversi fermare per la procedura concorsuale, rendendo la posizione bancaria molto forte.

Oltre alle garanzie reali, spesso i finanziamenti bancari sono assistiti da fideiussioni personali degli imprenditori o garanzie di terzi. Questo significa che, se l’azienda non paga, la banca può agire direttamente anche contro i garanti (es. il titolare o i soci garanti), mettendo a rischio il patrimonio personale di questi ultimi. È evidente quindi che i debiti bancari, se non gestiti, possono rapidamente tradursi in azioni aggressive: la banca insoluta può revocare gli affidamenti, chiedere la restituzione immediata di tutto il capitale residuo (decadenza dal beneficio del termine) e attivare procedure giudiziali (decreto ingiuntivo e pignoramento).

Implicazioni: La presenza di debiti bancari elevati richiede un’attenzione prioritaria. Le banche hanno risorse e conoscenze legali per muoversi celermente. Tuttavia, va ricordato che in presenza di una procedura di composizione della crisi o concorsuale, le banche subiscono limitazioni: ad esempio, se l’azienda accede alla composizione negoziata e ottiene misure protettive dal Tribunale, anche le banche non potranno iniziare o proseguire azioni esecutive né revocare fidi durante la protezione . Anzi, il terzo correttivo del 2024 ha espressamente stabilito che, salvo eccezioni dettate da norme di vigilanza prudenziale, le banche non possono revocare le linee di credito concesse mentre sono in vigore le misure protettive a tutela dell’azienda in composizione negoziata . Ciò offre all’imprenditore un respiro temporaneo per trattare senza subire l’immediato blocco dei finanziamenti. In assenza di queste tutele, comunque, la banca resta il creditore con maggiore capacità di pressione (può anche presentare istanza di fallimento se il credito è certo, liquido ed esigibile).

Debitore in difficoltà vs banche – considerazioni pratiche: È fondamentale mantenere la comunicazione aperta con gli istituti finanziari sin dai primi segnali di tensione finanziaria. Spesso è possibile negoziare rimodulazioni del debito (es. allungamento dei piani di ammortamento, periodi di pre-ammortamento solo interessi, consolidamento di esposizioni a breve termine in finanziamenti a medio termine). Esistono protocolli, come le “Linee guida ABI” o accordi di ristrutturazione del credito bancario promossi dalle associazioni di categoria, che facilitano moratorie volontarie. Tuttavia, queste soluzioni volontarie presuppongono che l’azienda abbia ancora una certa solidità prospettica; se la situazione è ormai compromessa, sarà necessario ricorrere a strumenti più incisivi come quelli concorsuali descritti in seguito. In ogni caso, mai ignorare le comunicazioni bancarie: se arriva una lettera di “decadenza dal beneficio del termine” o una segnalazione di sofferenza, significa che la banca si sta muovendo per tutelarsi, e il silenzio potrebbe peggiorare la posizione dell’imprenditore.

Debiti verso fornitori e altri creditori commerciali

Accanto alle banche, un’azienda industriale accumula spesso debiti verso fornitori di materie prime, componenti e servizi. Questi debiti commerciali (trade payables) tipicamente hanno scadenze a breve termine (30-90 giorni). Quando l’azienda ritarda i pagamenti, i fornitori possono reagire in vari modi: alcuni interrompono ulteriori forniture (blocco delle forniture), altri richiedono pagamenti anticipati per le consegne future, altri ancora intraprendono azioni legali per recuperare il credito. I fornitori, a differenza delle banche, raramente dispongono di garanzie reali; i loro crediti sono chirografari (non privilegiati), salvo il caso di fornitori con riserva di proprietà o similari, ma in generale sono creditori “ordinari”. Ciò significa che, in un’eventuale procedura concorsuale, i fornitori verrebbero soddisfatti dopo i creditori privilegiati (come dipendenti, Erario, banche garantite) e solo in proporzione all’attivo residuo.

Tuttavia, sul piano delle azioni esecutive individuali, un fornitore impagato ha strumenti rapidi: può ottenere un decreto ingiuntivo (spesso basato su fatture, DDT e solleciti) e, trascorsi 40 giorni senza opposizione, procedere con pignoramenti di conti correnti, beni mobili o crediti verso terzi dell’azienda debitrice. Singoli fornitori potrebbero anche provocare il fallimento (liquidazione giudiziale) presentando ricorso al tribunale se il credito supera le soglie di legge ed evidenzia lo stato d’insolvenza. Dunque, non bisogna sottovalutare il potere di pressione dei fornitori: l’interruzione delle forniture può fermare la produzione, e un pignoramento su conti o merci può paralizzare l’attività.

Implicazioni: La gestione dei debiti verso fornitori richiede negoziazione attiva. Spesso i fornitori sono maggiormente disposti a rinegoziare le condizioni (dilazioni, piani di rientro magari con garanzie personali o cambiali, sconti per pronta cassa) rispetto ad altri creditori istituzionali, poiché mantengono interesse a proseguire il rapporto commerciale. Un piano di ristrutturazione efficace dovrebbe prevedere come regolare questi debiti in modo equilibrato: ad esempio, pagando parzialmente il dovuto in più tranche, oppure convertendo parte del debito in fornitura futura (debt for goods). Bisogna tuttavia fare attenzione a non favorire solo alcuni fornitori a scapito di altri in fase di crisi: pagamenti preferenziali effettuati a ridosso di un fallimento potrebbero essere revocati dal curatore fallimentare (azione revocatoria fallimentare) se compiuti in periodo sospetto e con la conoscenza dello stato di insolvenza. Conviene quindi muoversi nell’ambito di un accordo complessivo o di una procedura che metta tutti i creditori (o almeno una maggioranza significativa) sullo stesso tavolo, per evitare contestazioni future.

Debiti verso il Fisco (Erario) e gli enti previdenziali (INPS)

Le posizioni debitorie verso l’Erario (Agenzia delle Entrate e Agenzia delle Entrate-Riscossione) comprendono imposte non versate (IVA, IRES, IRAP), ritenute fiscali non pagate, e cartelle esattoriali per varie imposte o sanzioni. Allo stesso modo, i debiti verso INPS riguardano contributi previdenziali non pagati sia per i dipendenti sia (eventualmente) per i soci lavoratori o il titolare. Questi debiti hanno un trattamento privilegiato: in caso di procedure concorsuali, godono di privilegio generale mobiliare o privilegio speciale su beni dell’azienda ai sensi del codice civile (artt. 2752 e 2753 c.c. per i tributi e contributi). Ciò li colloca in alta priorità di pagamento, subito dopo i crediti per salari e TFR dei dipendenti. Inoltre, alcuni debiti tributari, come l’IVA e le ritenute operate e non versate, sono considerati “debiti di diritto pubblico” particolarmente sensibili: la legge tradizionalmente ne ha impedito lo stralcio totale nelle soluzioni concordate, almeno fino agli interventi più recenti (che vedremo).

Azioni di riscossione: L’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia) ha poteri di riscossione coattiva sui debitori: in mancanza di pagamento spontaneo, emette cartelle di pagamento e, dopo la notifica e il decorso dei termini, può iscrivere fermi amministrativi sui veicoli, ipoteche su immobili aziendali, e procedere a pignoramenti (anche senza passare dal giudice per alcuni tipi di atti, grazie alla natura di titolo esecutivo delle cartelle non opposte). Queste azioni possono gravemente pregiudicare l’operatività aziendale (es., pignoramento del conto corrente, blocco dei mezzi di trasporto, ecc.). Tuttavia, se l’azienda avvia un’istanza di concordato preventivo o altra procedura concorsuale, scattano vincoli anche per il Fisco: la presentazione della domanda sospende le azioni esecutive dei creditori per il periodo di protezione concesso. In passato vi erano contrasti interpretativi sul comportamento da tenere con piani rateali in corso: la Cassazione ha chiarito che dopo il deposito di una domanda di concordato preventivo, il debitore può legittimamente sospendere il pagamento delle rate di un piano fiscale precedentemente concesso, senza decadere dal beneficio e senza incorrere in sanzioni, in quanto in pendenza di procedura concordataria i pagamenti di debiti fiscali scaduti costituiscono atti di straordinaria amministrazione soggetti ad autorizzazione del tribunale . Ciò significa che l’azienda non è tenuta a proseguire i versamenti rateali durante il concordato e non può essere sanzionata per tale sospensione . Questo principio tutela il patrimonio del debitore in crisi, impedendo al Fisco di provocare la risoluzione di piani di dilazione proprio quando l’impresa sta cercando di ristrutturarsi.

Strumenti di gestione del debito fiscale fuori dalle procedure: Prima di arrivare a misure concorsuali, il debitore può tentare soluzioni amministrative per i debiti fiscali e contributivi. Ad esempio, è possibile richiedere una rateizzazione ordinaria delle cartelle esattoriali (fino a 72 rate mensili, cioè 6 anni, ai sensi dell’art. 19 DPR 602/1973). Per importi oltre €60.000 occorre dimostrare una temporanea situazione di obiettiva difficoltà; se il debito è molto elevato (oltre €120.000) la legge chiede ulteriori documentazioni, ma nel contesto della composizione negoziata oggi l’esperto indipendente può avvalorare questa condizione, facilitando l’ottenimento del piano di rateazione . Ci sono state anche, negli ultimi anni, misure di definizione agevolata (es. “rottamazione delle cartelle”), che consentono di estinguere i debiti con lo Stato con sconti su sanzioni e interessi. Ad esempio, la rottamazione-quater 2023 ha permesso a molte imprese di ridurre il carico esattoriale pagando solo imposte e interessi legali, senza sanzioni. Tali strumenti straordinari dipendono dalle scelte del legislatore e hanno finestre temporali specifiche: è opportuno verificare se sono in vigore iniziative simili (nel 2025, ad esempio, il Governo ha valutato riaperture per chi era decaduto da precedenti rottamazioni, ecc.).

Strumenti di gestione in ambito concorsuale – transazione fiscale: Quando i debiti fiscali e contributivi sono troppo alti per essere risolti con semplici dilazioni, l’ordinamento prevede la transazione fiscale e contributiva, ovvero la possibilità di includere Agenzia Entrate ed enti previdenziali in un accordo con cui il debitore propone di pagare in parte e/o in forma dilazionata tali crediti. La transazione fiscale storicamente era disciplinata dall’art. 182-ter L.Fall. (oggi rifluita negli artt. 63 e 88 del Codice della crisi). L’idea è che Stato e INPS possano accettare un sacrificio (ad esempio rinunciare a sanzioni, interessi e parte del capitale) purché il piano presentato dal debitore sia più vantaggioso per l’Erario rispetto all’alternativa del fallimento. Infatti, la regola base è che la proposta debba assicurare al Fisco/INPS almeno quanto otterrebbero in una liquidazione giudiziale (c.d. test di convenienza). Se tale condizione è soddisfatta e la maggioranza richiesta di creditori è favorevole all’accordo complessivo, il giudice può omologare l’accordo anche contro il parere negativo dell’ente (c.d. cram-down fiscale), nei termini previsti dalla legge . La riforma ispirata alla direttiva UE 2019/1023 ha introdotto questa omologazione forzosa anche per i crediti pubblici, purché l’adesione mancante sia determinante e ricorrano specifiche condizioni (continuità aziendale, soglie di voto raggiunte con altri creditori, ecc.) . Tuttavia, con il D.Lgs. 136/2024 (terzo correttivo) sono state inserite importanti limitazioni anti-abuso: se l’azienda ha accumulato debiti fiscali oltre l’80% dell’indebitamento complessivo, segno di un finanziamento dell’attività mediante evasione fiscale pregressa, oppure ha tenuto condotte fiscali fraudolente, non potrà beneficiare del cram-down. In tali casi, pur potendo proporre la transazione, il tribunale non potrà omologarla forzosamente contro il Fisco dissenziente (omologa preclusa per comportamento fiscale scorretto) . Questa misura intende evitare che imprese cronicamente inadempienti verso l’Erario utilizzino la procedura per cancellare agilmente imposte evase. In altre parole, il legislatore ha voluto un filtro etico: niente omologazione forzosa se nei cinque anni precedenti l’imprenditore ha già beneficiato di accordi poi risolti o se la crisi deriva in gran parte da tasse non pagate consapevolmente .

Novità 2024 sulla transazione fiscale e contributiva: Il terzo correttivo ha anche introdotto la transazione fiscale nella composizione negoziata (prima non prevista). Ora, durante la composizione negoziata, l’imprenditore può concludere con l’Agenzia delle Entrate un accordo di pagamento parziale e dilazionato dei debiti tributari . Ciò arricchisce l’arsenale a disposizione prima ancora di entrare in procedure giudiziali vere e proprie. Sono esclusi solo gli Enti previdenziali da questa fase (INPS non può fare transazione in composizione, anche se potrà in concordato o accordo) . Importante: l’IVA è negoziabile (contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l’IVA non rientra tra le “risorse proprie UE” escluse) . L’accordo fiscale concluso in composizione negoziata richiede sempre l’attestazione di un professionista sull’adempimento del test di convenienza rispetto alla liquidazione . Se omologato dal tribunale, rimane in vigore anche se poi si passa, ad esempio, a un concordato semplificato . Inoltre, in caso di inadempimento o successiva apertura di liquidazione giudiziale, l’accordo si risolve di diritto .

Un aspetto spesso trascurato ma cruciale per l’imprenditore è il trattamento fiscale degli accordi di riduzione del debito: in via ordinaria, se un creditore rinuncia a un credito, la parte di debito annullata diventerebbe per il debitore una sopravvenienza attiva tassabile (cioè un “reddito” imponibile, per quanto paradossale possa sembrare, perché il fisco lo vede come un arricchimento). Ebbene, la normativa vigente (art. 88, co.4-ter TUIR) esenta da tassazione le sopravvenienze attive da riduzione dei debiti ottenute nell’ambito di procedure concordatarie o accordi di ristrutturazione omologati. Il correttivo 2024 ha esteso tali benefici anche agli accordi conclusi all’esito di composizione negoziata . Ciò significa che le riduzioni di debito fiscale ottenute non sono considerate sopravvenienze attive e quindi non generano tasse aggiuntive . Analogamente, le perdite eventuali sui crediti o sui beni ceduti nell’ambito della composizione negoziata diventano deducibili fiscalmente per l’azienda . Inoltre, in ambito IVA, se un fornitore riduce un suo credito (ad esempio rinuncia a 20 su 100 dovuti), l’IVA sulla parte non incassata diventa detraibile, evitando che resti un’imposta a carico del fornitore per corrispettivi mai percepiti . Sono misure premiali fiscali introdotte per incentivare il risanamento . Da notare anche che, per favorire il debitore in crisi, la legge prevede tassi di interesse agevolati sui debiti fiscali durante le trattative e riduzione delle sanzioni al minimo se il pagamento avviene entro termini concordati dopo l’accesso alla procedura .

In sintesi, i debiti verso Fisco e INPS costituiscono un ambito delicato: da un lato sono per legge “privilegiati” e certi tipi (IVA, ritenute) erano intoccabili, dall’altro il legislatore ha progressivamente riconosciuto che senza il coinvolgimento degli enti pubblici molti piani di risanamento sarebbero impossibili. Quindi ha aperto alla loro ristrutturazione, ma con cauteli e paletti (convenienza economica e buona fede fiscale). Dal punto di vista pratico, l’imprenditore dovrebbe fare una ricognizione precisa del proprio debito fiscale/previdenziale, valutare se può rientrare pagando ratealmente (magari sfruttando anche l’allungamento speciale a 120 rate se c’è grave difficoltà attestata dall’esperto in composizione negoziata ) oppure se serve includerlo in un piano di concordato o accordo con transazione fiscale. In ogni caso, ignorare il Fisco è pericoloso: va verificato se ci sono avvisi, cartelle, intimazioni di pagamento pendenti, perché le conseguenze (ipoteche, pignoramenti, denunce penali per omesso versamento IVA o ritenute se superano soglie penalmente rilevanti) possono aggravare irrimediabilmente la crisi.

Debiti verso i dipendenti (retribuzioni e TFR)

Infine, un capitolo a parte meritano i debiti verso i dipendenti dell’azienda: stipendi arretrati, tredicesime non corrisposte, trattamenti di fine rapporto (TFR) maturati e non versati. Questi crediti dei lavoratori sono altamente tutelati dalla legge. In caso di insolvenza, i dipendenti vantano un privilegio speciale: i salari degli ultimi mesi e le indennità di fine rapporto rientrano tra i crediti con super-privilegio, che vengono soddisfatti con priorità addirittura prima di molti altri crediti privilegiati. Per esempio, i crediti per retribuzioni degli ultimi 3 mesi (fino a un certo massimale) hanno privilegio generale sui mobili che prevale persino sulle ipoteche iscrite sugli immobili nei limiti previsti dalla legge (art. 2751-bis c.c.). Questo significa che in un fallimento o liquidazione giudiziale, una parte consistente dei crediti dei dipendenti viene pagata prima di qualunque altro creditore (eccetto forse il credito per spese di giustizia). Inoltre, esiste il Fondo di garanzia INPS che interviene a tutela dei lavoratori in caso di insolvenza dell’azienda: se viene aperta una procedura concorsuale (fallimento, liquidazione giudiziale, o anche concordato con cessazione dell’attività), i dipendenti possono chiedere al Fondo di anticipare il TFR e le ultime retribuzioni non pagate. Il Fondo poi subentra come creditore privilegiato nella procedura. Questo meccanismo garantisce ai lavoratori di non restare senza mezzi di sostentamento troppo a lungo.

Dal punto di vista difensivo del debitore: i debiti verso dipendenti vanno maneggiati con estrema attenzione sia per ragioni legali che etiche. Un imprenditore che non paga gli stipendi può rapidamente perdere la fiducia della forza lavoro, con il rischio di fughe di personale qualificato o agitazioni sindacali. Sul piano giuridico, il mancato versamento di stipendi e contributi può portare a vertenze di lavoro (ingiunzioni di pagamento promosse dai lavoratori, rivendicazione di dimissioni per giusta causa con diritto a NASpI, ecc.) e persino a conseguenze penali in taluni casi (ad es. l’omesso versamento delle ritenute previdenziali oltre soglie di punibilità è reato). Peraltro, se l’azienda poi intraprende un percorso di concordato, questi crediti dovranno essere soddisfatti in misura molto alta: di solito nei piani di concordato i crediti dei dipendenti sono pagati integralmente o con lievi dilazioni, perché altrimenti i tribunali difficilmente omologherebbero un piano che non rispetta pressoché totalmente tali diritti (dovendo comunque ricevere almeno quanto otterrebbero dal Fondo di garanzia in caso di fallimento). Si noti infatti che nei concordati preventivi la legge impone il pagamento integrale dei crediti per retribuzioni e TFR in prededuzione o comunque secondo il loro rango privilegiato, a meno che il debitore dimostri che in caso di liquidazione ci sarebbe capienza solo parziale (circostanza rara vista la protezione del Fondo). Nel concordato con continuità, inoltre, è fondamentale assicurare il pagamento dei dipendenti per mantenere operativa l’azienda.

Conclusione su questa parte: Comprendere la mappa dei debiti della propria azienda (chi sono i creditori, quanto credito vantano, che tipo di privilegio o poteri hanno) è il primo passo per predisporre una strategia di difesa efficace. Nella tabella seguente riepiloghiamo le principali categorie di creditori e il loro ordine di priorità in caso di liquidazione, nonché alcune note sul loro potere di azione individuale:

Tipo di creditoreEsempiPriorità nel pagamento (ordine di grado)Potere di azione individuale
Dipendenti (salari, TFR)Stipendi ultimi mesi, TFR maturatoPrivilegio generale mobiliare prevalente (super-privilegio per 3 mensilità + TFR) – pagati prima di altri privilegiati .Possono agire con decreto ingiuntivo per stipendi; in caso di procedura, possono accedere al Fondo di garanzia INPS.
Erario (Fisco)IVA, ritenute, IRES, IRAPPrivilegio generale e speciale su beni (dopo i privilegi dei lavoratori, ma prima dei chirografari). L’IVA e ritenute hanno rango privilegiato.Riscossione tramite cartelle esattoriali, ipoteche, fermi, pignoramenti senza giudice (se cartella non opposta). Possono chiedere fallimento.
Enti previdenziali (INPS)Contributi dipendenti, gestione separataPrivilegio generale simile a quello erariale (dopo i lavoratori).Poteri simili al Fisco: ingiunzioni, iscrizione a ruolo, pignoramenti. Possono aderire a transazioni nelle procedure.
Banche (garantite)Mutuo ipotecario, leasing con patto di riacquistoPrivilegio speciale/reale sui beni dati in garanzia (ipoteca, pegno). Pagate con precedenza dal ricavato di quei beni.Azioni rapide: decadenza dal termine, decreto ingiuntivo. Se ipoteca: possono proseguire pignoramento anche post-fallimento . Possono chiedere fallimento.
Banche (chirografarie)Scoperti di conto non garantitiChirografari (nessuna garanzia): pagati pro rata insieme agli altri crediti chirografari, di solito dopo privilegiati.Azioni monitorie ed esecutive come un fornitore. Possono chiedere fallimento.
Fornitori (chirografari)Fatture merci e serviziChirografari (nessuna prelazione): ultimi in ordine di grado, salvo piccole eccezioni (es. artigiani su beni forniti con patto di riservato dominio).Decreto ingiuntivo, pignoramenti. Possono interrompere forniture. Possono chiedere fallimento (se credito > soglia).
Altri chirografari variSoci finanziatori non postergati, professionisti, ecc.Chirografari ordinari, al pari dei fornitori. Soci postergati sono ultimi di tutti.Azioni legali come sopra. Soci postergati non possono agire finché altri creditori non soddisfatti.
Crediti assistiti da privilegio generale(non già menzionati sopra) Es: crediti da finanziamenti prededucibili, spese di proceduraDipende dal tipo: prededucibili ancor prima di tutto (es. spese procedura concorsuale). Altri privilegi generali (es. imposte) come sopra.

Nota: La tabella semplifica molto l’ordine di distribuzione in un fallimento; l’ordine effettivo è disciplinato dal codice civile e dal Codice della crisi. Ad esempio, i crediti prededucibili (spese della procedura, finanziamenti autorizzati in procedura, ecc.) hanno priorità assoluta, seguiti dai privilegi speciali sui beni (ipoteche, pegni su specifici beni) e dai privilegi generali (lavoro, imposte), infine i chirografari. Nel merito di questo articolo ci interessa evidenziare chi di norma viene prima e chi dopo, perché questo influenza le leve di negoziazione: un creditore ipotecario saprà di avere buone chance di recupero anche in fallimento, un fornitore chirografario saprà di rischiare di restare quasi a bocca asciutta (da qui la sua motivazione ad aderire a un piano che gli offra almeno una percentuale ragionevole rispetto al nulla del fallimento).

Conseguenze dei debiti impagati: rischi per l’azienda e l’imprenditore

Avere debiti in arretrato non è di per sé insolito nel ciclo di vita di un’azienda; tuttavia, quando i debiti superano la capacità finanziaria dell’impresa e rimangono impagati a lungo, si attivano una serie di conseguenze legali ed economiche potenzialmente gravi. È fondamentale che l’imprenditore comprenda tali rischi per difendersi proattivamente, anziché subire passivamente gli eventi.

1. Interesse moratori e costi aggiuntivi: Innanzitutto, i debiti scaduti maturano interessi di mora contrattuali o legali, sanzioni (per i tributi) e spese di recupero. Ad esempio, sulle fatture commerciali si applicano gli interessi di mora ex D.Lgs. 231/2002 (interessi spesso elevati) dal giorno successivo alla scadenza, oltre all’eventuale indennità di recupero crediti. Sulle cartelle fiscali, dopo 60 giorni scattano gli interessi di mora esattoriali (attualmente intorno al 2-3% annuo, ma soggetti a revisione) e aggi si riscossione. Questi oneri fanno crescere il debito col passare del tempo, aggravando la posizione dell’azienda. Ad esempio, un debito IVA non pagato vedrà aggiungersi sanzioni (30% dell’imposta, riducibili se si paga entro certi termini) e interessi semestrali. A fine anno, l’esposizione complessiva può essere aumentata sensibilmente. Ciò può sembrare ovvio, ma è da valutare in una strategia: un piano di risanamento dovrà tenere conto anche di come stoppare o ridurre questi costi (ad esempio accedendo a procedure dove per legge maturano interessi minori o congelando le sanzioni come visto per la composizione negoziata, dove gli interessi post-apertura sono ridotti a quelli legali e le sanzioni ridotte al minimo ).

2. Azioni esecutive individuali: Come già anticipato parlando delle categorie di creditori, ciascun creditore impagato può attivarsi per via giudiziale. Se uno o più creditori iniziano pignoramenti (mobiliari, immobiliari o presso terzi), l’azienda può trovarsi con conti correnti bloccati, merci o attrezzature pignorate, immobili messi all’asta. Ad esempio, un fornitore potrebbe pignorare i crediti dell’azienda verso i suoi clienti (bloccando così incassi futuri), oppure la banca può pignorare i macchinari dati in leasing in caso di risoluzione del contratto. Queste azioni sottraggono liquidità e asset all’impresa, compromettendo ulteriormente la sua operatività. Quando gli atti esecutivi si moltiplicano da parte di più creditori, la situazione diventa ingestibile: è il segnale classico di insolvenza conclamata, che spesso porta all’apertura di una procedura concorsuale (volontaria o su istanza dei creditori stessi). È importante ricordare che una volta iniziata un’esecuzione, solo alcuni strumenti legali possono fermarla (ad esempio, l’ottenimento di misure protettive nel corso di una composizione negoziata o un concordato preventivo in corso di omologa). Senza tali strumenti, l’azienda subisce passivamente gli esiti (vendite forzate di beni ecc.).

3. Blocco del credito e perdita di fiducia: Un’altra conseguenza indiretta ma potente: l’azienda indebitata perde reputazione finanziaria. Le banche segnalano le inadempienze nei sistemi di informazione creditizia (Centrale Rischi Bankitalia, CRIF per i fidi minori), i fornitori condividono informazioni di ritardi nei pagamenti (direttamente o tramite piattaforme di credit checking), l’Agenzia delle Entrate-Riscossione può iscrivere ipoteche pubbliche che compaiono nelle visure. Tutto ciò porta a un credit crunch: le banche revocano gli affidamenti e non concedono nuovi finanziamenti, i fornitori passano all’anticipo pagamento (o cash on delivery), e i nuovi partner commerciali potrebbero esitare a lavorare con un’azienda “segnalata”. In breve tempo, la crisi di liquidità si autoalimenta. Ecco perché è essenziale la trasparenza e la comunicazione: talvolta concordare un piano di rientro e rispettarlo (anche se dilazionato) è preferibile al silenzio o ai mancati pagamenti a sorpresa, che distruggono la fiducia.

4. Azioni legali per insolvenza (istanza di fallimento / liquidazione giudiziale): Se l’impresa accumula debiti e segni di insolvenza (esecuzioni inutilmente avviate, protesti, ecc.), i creditori possono decidere di depositare un’istanza di fallimento in tribunale (oggi, domanda di apertura della liquidazione giudiziale). Basta un solo creditore non soddisfatto, con un credito certo, liquido ed esigibile superiore a €30.000 (limite previsto dall’art. 2 co.1 lett. c) CCII, salvo sia un creditore particolarmente qualificato come Agenzia Entrate che può prescindere dalla soglia) per iniziare la pratica. Il tribunale, verificati i presupposti (stato di insolvenza e superamento delle soglie dimensionali dell’impresa previste dall’art. 2 CCII, se applicabile), può dichiarare la liquidazione giudiziale dell’azienda. Da quel momento, la gestione passa al curatore nominato, con spossessamento dell’imprenditore dai beni aziendali. Va detto che il Codice della crisi prevede oggi una fase più articolata: il tribunale può convocare l’imprenditore per valutare se vi siano soluzioni alternative (specie se questi deposita nel frattempo un ricorso per concordato o chiede la composizione negoziata). Tuttavia, se il debitore non ha mosso tempestivamente alcun passo, la sentenza di apertura mette fine alla possibilità di gestione autonoma. Come vedremo più avanti, la liquidazione giudiziale comporta la cessazione (salvo esercizio provvisorio in rari casi) dell’attività, la liquidazione di tutti i beni per pagare (in parte) i creditori, nonché possibili responsabilità per gli amministratori se emergono atti di mala gestio antecedenti.

5. Responsabilità personali e patrimoniali dell’imprenditore: Se l’azienda è una società di capitali (es. una S.r.l. o S.p.A.), di regola i soci non rispondono con i propri beni dei debiti sociali, ma attenzione: ci sono situazioni in cui le tutele del patrimonio personale possono venir meno. Ad esempio, se i soci hanno prestato garanzie personali (fideiussioni) verso banche o fornitori, i creditori escuteranno anche il socio/amministratore inadempiente. Inoltre, in caso di fallimento, il curatore può promuovere azioni di responsabilità contro gli amministratori per atti di gestione che hanno aggravato il dissesto (ex art. 2486 c.c. e art. 378 CCII). Ciò significa che l’imprenditore rischia di pagare di tasca propria i danni causati per non aver tempestivamente adottato misure di contenimento della crisi. Un esempio classico: continuare ad accumulare debiti sapendo che l’azienda è insolvente può configurare una violazione dei doveri gestori, portando a responsabilità illimitata per l’amministratore che ha tardato a portare i libri in tribunale. A livello penale, poi, se l’insolvenza degenera in fallimento, comportamenti come la sottrazione di beni aziendali, le false comunicazioni ai creditori, l’occultamento di libri contabili ecc. possono integrare reati fallimentari (bancarotta fraudolenta o semplice). Questo scenario da incubo può però essere evitato o mitigato se l’imprenditore si muove per tempo all’interno della legalità e sfruttando gli strumenti di allerta e composizione della crisi. Va ricordato infatti che oggi l’ordinamento impone all’imprenditore di attivarsi senza indugio quando si manifestano squilibri di bilancio che rendono probabile la crisi o l’insolvenza (art. 3 CCII sul dovere di istituire assetti adeguati e rilevare gli indizi di crisi) – l’inerzia può essere fonte di colpa grave.

6. Perdita di controllo dell’azienda e del patrimonio: In estrema sintesi, la conseguenza finale del non affrontare i debiti è che l’imprenditore perderà l’azienda. Sia che i creditori la facciano fallire, sia che vengano attuate esecuzioni parziali, lo scenario finale è lo smembramento del patrimonio dell’impresa per soddisfare (in modo disordinato e spesso inefficiente) i crediti. Il valore avviamento viene distrutto, gli asset venduti all’asta rendono poco, i creditori chirografari restano comunque insoddisfatti in larga parte, l’imprenditore vede svanire il lavoro di anni. Questo è ciò che il nuovo Codice della crisi vorrebbe evitare incentivando le soluzioni negoziate e organizzate prima di arrivare alla dissoluzione. In ottica di difesa, dunque, il peggior errore è non fare nulla. Invece, attivarsi per cercare un accordo o una procedura concorsuale ordinata può portare a esiti di gran lunga migliori: dall’evitare la dichiarazione di insolvenza, alla ristrutturazione dei debiti con continuità aziendale (salvataggio dell’impresa), oppure, nella peggiore delle ipotesi, a una liquidazione più ordinata con magari cessione d’azienda a terzi e minor impatto su creditori e dipendenti.

Strategie di difesa e soluzioni alla crisi debitoria dell’azienda

Passiamo ora al cuore della guida: quali soluzioni ha a disposizione un’azienda di tenute e paraoli (o qualsiasi impresa in difficoltà finanziaria) per far fronte ai debiti e difendersi dalle azioni creditorie? Possiamo suddividerle in due macro-categorie: soluzioni stragiudiziali (o extra-giudiziali), ovvero accordi privati senza coinvolgimento formale del tribunale, e procedure concorsuali o para-concorsuali, che operano sotto l’egida della legge fallimentare o del nuovo Codice della crisi, spesso con l’intervento dell’autorità giudiziaria. La scelta dipende dal grado di crisi, dalla tipologia di debiti e dalla fattibilità di un risanamento. Illustreremo i vari strumenti in ordine crescente di complessità, partendo dai rimedi volontari fino alle procedure giudiziali più strutturate. Per ciascuno valuteremo quando usarlo, come funziona, vantaggi e svantaggi, con cenni alle normative pertinenti aggiornate al 2025.

Approcci stragiudiziali informali (trattative private e piani di rientro)

Nei primi stadi di una crisi, o comunque quando il debitore preferisce evitare pubblicità e costi di una procedura formale, si può tentare la via delle trattative private con i creditori. Questo approccio richiede doti negoziali e spesso l’assistenza di consulenti esperti (advisor finanziari o legali) per convincere i creditori ad accettare un piano volontario. Le forme possibili includono:

  • Accordi individuali di dilazione o remissione: L’azienda contatta singolarmente ciascun creditore (o i principali) proponendo soluzioni ad hoc: ad esempio, “ti pago il 50% del dovuto subito a saldo e stralcio” (remissione parziale) oppure “ti pago tutto ma in 12 rate mensili con interessi ridotti” (dilazione). Questi accordi possono essere formalizzati in scritture private, eventualmente garantite da titoli di credito (cambiali) o nuove garanzie. Il vantaggio è la flessibilità: si tagliano i debiti secondo ciò che il creditore è disposto a sacrificare. Lo svantaggio è la mancanza di vincolo per i non aderenti: se anche l’80% dei fornitori accetta uno stralcio ma il 20% no, questi ultimi possono comunque agire giudizialmente e mandare all’aria lo sforzo. Inoltre, negoziare con decine di soggetti può essere lungo e difficile.
  • Moratoria o standstill agreement pluri-creditore: Se l’azienda ha numerosi creditori finanziari, a volte si riesce a far sottoscrivere un accordo collettivo di moratoria, in cui tutti o la maggior parte si impegnano a non agire legalmente per un certo periodo e a congelare le posizioni, magari mentre l’impresa elabora un piano industriale di rilancio. Questo accade spesso con le banche (che si accordano per congelare linee di credito e scadenze, ad esempio aderendo a moratorie promosse dall’ABI in casi di crisi settoriali o emergenziali). Con i fornitori è meno strutturato, ma in aziende medio-grandi talvolta si costituiscono comitati dei principali fornitori per trovare soluzioni comuni (ad esempio, tutti accettano pagamenti dilazionati secondo un calendario definito). Il standstill è efficace solo se c’è fiducia nell’azienda e prospettiva concreta di recupero, altrimenti i creditori vorranno procedere individualmente.
  • Piano di rientro globale: L’impresa può redigere un piano finanziario di rientro unilaterale, dove indica come intende ripagare i debiti nel tempo (ad esempio utilizzando flussi di cassa futuri o dismissioni di asset). Questo piano viene poi proposto ai creditori sperando nell’adesione spontanea. Non ha garanzia di successo, ma può essere un passo preparatorio a strumenti più formali.

Va menzionato che una trattativa stragiudiziale pura soffre di un classico problema: il free-rider. Ogni creditore, sapendo che gli altri forse aderiranno, potrebbe avere l’incentivo a non aderire sperando di essere pagato per intero (o di agire legalmente) mentre gli altri accettano sconti. Senza un vincolo legale collettivo, quindi, questi accordi possono fallire se non si raggiunge un consenso pressoché unanime tra i creditori rilevanti. Per questo la legge prevede strumenti giuridici che, se certi quorum vengono raggiunti, rendono vincolanti gli accordi anche sui dissenzienti (lo vedremo negli accordi di ristrutturazione).

Attenzione alla trasparenza e parità di trattamento: L’imprenditore deve stare attento a non concludere accordi occulti con alcuni creditori a scapito di altri, specie quando la crisi è in stato avanzato. Oltre al rischio revocatoria di cui si è detto (pagamenti preferenziali possono essere revocati se avviene il fallimento entro 6 mesi/un anno a seconda dei casi), c’è un tema di fairness: i creditori parlano tra loro, e se uno scopre di aver accettato un 50% mentre un altro è stato pagato al 100%, il risultato è spesso la rottura delle trattative. Un approccio consigliabile è cercare di raggruppare i creditori per categoria omogenea e offrire condizioni analoghe all’interno di ciascun gruppo (ad esempio: stessi termini per tutti i fornitori chirografari, condizioni uniformi per tutte le banche chirografarie, ecc.), modulando le differenze solo dove ci sono differenze oggettive di garanzie o rango (es: chi ha ipoteca riceverà un trattamento migliore in virtù del suo diritto).

Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII, ex art. 67 L.Fall.): Uno strumento particolare a cavallo tra il puramente stragiudiziale e il formale è il piano attestato di risanamento. Si tratta di un piano redatto dall’impresa, con contenuto analitico (analisi della situazione, misure per riequilibrare la situazione finanziaria, tempistiche di adempimento), che viene asseverato da un esperto indipendente circa la sua fattibilità e idoneità a risanare l’esposizione debitoria entro un termine ragionevole. Il piano, corredato di attestazione, viene poi pubblicato nel Registro delle Imprese. Dal punto di vista dei creditori, il piano attestato non li vincola automaticamente: dovranno comunque aderire volontariamente alle proposte in esso contenute. Tuttavia, la pubblicazione e l’attestazione conferiscono credibilità e alcuni effetti legali: i pagamenti e le operazioni compiute in esecuzione di un piano attestato regolarmente pubblicato non sono soggetti all’azione revocatoria fallimentare in caso di successivo fallimento (art. 56 co.3 CCII). Ciò rassicura i creditori aderenti che i pagamenti incassati non verranno richiesti indietro successivamente. Inoltre, l’esperto indipendente funge da garanzia di terzietà sulla realizzabilità del piano. Il piano attestato è utile quando l’azienda non è ancora insolvente ma in crisi e vuole evitare le procedure concorsuali, ottenendo però un “sigillo” che aiuti a convincere i creditori. Ad esempio, la nostra azienda di tenute e paraoli potrebbe predisporre un piano attestato in cui illustra che, grazie a nuove commesse e a un aumento di capitale dei soci, riuscirà nei prossimi 5 anni a rientrare del 70% dei debiti, chiedendo ai fornitori uno stralcio del 30%. L’attestatore controlla i numeri e certifica che lo scenario è verosimile e più conveniente della liquidazione. A quel punto si invita ogni fornitore a sottoscrivere un accordo bilaterale di stralcio aderendo al piano. Se la maggior parte lo fa, il piano va avanti; se qualcuno non lo fa, in genere viene comunque pagato per intero secondo le scadenze originali (per evitare opposizioni). Il vantaggio del piano attestato è l’assenza di coinvolgimento del tribunale e la riservatezza (oltre alla pubblicazione del sommario nel registro imprese che dà pubblicità verso terzi creditori, ad esempio banche, ma senza entrare in procedura concorsuale). Lo svantaggio è che non vincola i dissenzienti e richiede comunque un consenso ampio tra i creditori, oltre al costo di un attestatore professionista. Va inoltre usato correttamente: l’attestatore risponde anche penalmente di attestazioni false o grossolanamente errate, quindi il piano deve essere serio e realizzabile.

In generale, la via stragiudiziale è preferibile quando:
– la crisi non è ancora troppo profonda e c’è fiducia residua dei creditori;
– l’ammontare dei debiti può essere gestito con dilazioni e magari sacrifici moderati, senza necessità di falcidie drastiche;
– l’azienda ha prospettive di ripresa (nuovi ordini, mercato in crescita, etc.) tali da convincere i creditori ad avere pazienza;
– si vuole evitare lo stigma e i costi delle procedure formali.

Tuttavia, bisogna essere realistici: se il livello di debito è tale che alcuni creditori comunque vorranno agire (ad es. un fisco molto esposto che non può attendere, o banche che devono svalutare il credito), oppure se serve tagliare il debito in misura significativa (oltre il 30-40%), spesso solo una procedura concorsuale fornisce gli strumenti legali per imporre un accordo e per gestire il cram-down sui dissenzienti. Vediamo quindi tali procedure.

La composizione negoziata della crisi d’impresa

Tra le novità più rilevanti introdotte dal Codice della crisi (come modificato dal D.L. 118/2021 e integrato dal D.Lgs. 83/2022 e 136/2024) vi è la composizione negoziata della crisi, uno strumento concepito per affrontare la crisi aziendale in una fase precoce attraverso l’assistenza di un esperto indipendente, senza immediato intervento giudiziale, ma con possibili tutele concesse dal tribunale. È un percorso volontario e riservato, pensato per negoziare con i creditori una soluzione di risanamento prima che l’insolvenza diventi irreversibile . Vediamone i punti chiave:

Cos’è e quando si può usare: La composizione negoziata è accessibile a qualsiasi impresa commerciale o agricola, di qualsiasi dimensione (anche le cosiddette imprese “sotto-soglia” tradizionalmente non fallibili possono usarla) . La condizione per accedervi è che l’imprenditore si trovi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rendono probabile la crisi o l’insolvenza, ma esistono concrete prospettive di risanamento . Non serve quindi essere già insolventi conclamati; anzi, l’idea è di utilizzarla appena emergono segnali di difficoltà, quando ancora si può salvare l’azienda. Questo differenzia la composizione negoziata dalle procedure concorsuali tradizionali (che richiedono almeno lo stato di crisi o insolvenza). In pratica, se la nostra azienda di tenute e paraoli vede calare gli ordini, accumula qualche ritardo con le banche, ma pensa di poterne uscire con ristrutturazioni appropriate, può attivare la composizione negoziata.

Come si attiva e ruolo dell’esperto: L’imprenditore presenta un’istanza tramite una piattaforma telematica gestita dalle Camere di Commercio, allegando informazioni aziendali e uno check-up della crisi (esiste un protocollo e perfino un test autodiagnostico per valutare la sostenibilità). Entro pochi giorni viene nominato un esperto indipendente, scelto da appositi elenchi, tipicamente un commercialista o un esperto di ristrutturazioni, che deve accettare l’incarico. L’esperto funge da facilitatore: esamina la situazione contabile, ascolta l’imprenditore e i creditori, e guida le trattative per trovare una soluzione. È importante sottolineare che durante la composizione negoziata l’imprenditore resta alla guida dell’azienda (non c’è spossessamento), ma deve operare secondo buona fede, informando regolarmente l’esperto e astenendosi da atti pregiudizievoli senza consultarlo.

Durata: Il percorso di composizione negoziata ha una durata iniziale di 180 giorni (6 mesi) eventualmente prorogabile di ulteriori 180 giorni su richiesta motivata, se ci sono concrete trattative in corso. Il terzo correttivo 2024 ha chiarito che la durata massima dell’incarico dell’esperto è generalmente 180 giorni + proroga, ma con flessibilità se necessario . Lo scopo è di evitare che la negoziazione trascini troppo a lungo (cosa che potrebbe danneggiare creditori e impresa stessa prolungando l’incertezza), ma al contempo di dare il tempo sufficiente se si intravede una conclusione fruttuosa.

Misure protettive: Uno dei pilastri della composizione negoziata è la possibilità per l’imprenditore di chiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive del patrimonio. Questo viene fatto depositando un’istanza (anche contestuale alla nomina dell’esperto) in cui si chiede che i creditori o alcune categorie di essi siano temporaneamente bloccati dal compiere o proseguire azioni esecutive o cautelari. L’istanza viene pubblicata nel registro imprese, e da quel momento – se il tribunale poi conferma – scatta una protezione simile a quella del pre-concordato: niente nuovi pignoramenti, quelli in corso si sospendono. Il correttivo 2024 ha esplicitamente esteso questa tutela anche ai rapporti bancari: è precisato ora che il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive vale anche per le banche , e in più che le banche non possono revocare o ridurre gli affidamenti in essere durante le misure protettive (a meno che la revoca sia imposta da norme di vigilanza prudenziale) . Questo punto è fondamentale: l’abbiamo già evidenziato prima, ma ribadiamo che è una novità notevole. Tradizionalmente le banche, appena annusavano la crisi, tagliavano i fidi provocando spesso il collasso finale; ora la legge le obbliga a mantenere le linee per quel periodo, per dare respiro all’impresa. Ovviamente se il merito creditizio è compromesso a tal punto da violare i requisiti di capitale della banca, questa può comunque sospendere gli affidamenti giustificando che si tratta di ottemperare a regole di vigilanza (ad esempio, se deve riclassificare il credito a “deteriorato” può congelarlo) , ma non può farlo solo perché dissente dal piano di risanamento finché siamo nel periodo protetto . È un equilibrio delicato tra esigenze di risanamento e stabilità bancaria, che la norma cerca di bilanciare.

L’effetto pratico è che, se l’istanza di misure protettive viene accolta, l’azienda ha un ombrello temporaneo (tipicamente 4 mesi rinnovabili) durante il quale i creditori non possono iniziare né proseguire azioni di recupero né risolvere contratti in essere per inadempienze pregresse. Questo incoraggia i creditori a sedersi al tavolo con l’esperto per trovare una soluzione negoziale, poiché l’alternativa – aspettare il termine delle protezioni e poi agire – può far perdere tempo prezioso e magari peggiorare il valore di realizzo (pensiamo a un macchinario fermo mesi in attesa di pignoramento, o a scorte deteriorabili).

Cosa si può ottenere con la composizione negoziata: L’esito auspicabile è il risanamento dell’impresa. La legge non impone un esito predeterminato: la trattativa può portare a diverse soluzioni (“plurimi approdi” li chiama l’art. 23 CCII ). Ad esempio:
Rinegoziazione dei debiti: l’imprenditore può concludere contratti con uno o più creditori per modificare le condizioni dei debiti (riduzione degli importi, nuovi piani di ammortamento, remissione parziale). Questi contratti, se funzionali a riportare l’azienda in bonis, sono il risultato più immediato. Possono includere nuovi apporti di capitale, conversione di debiti in quote societarie, cessione di rami d’azienda a terzi interessati, ecc. Il correttivo 2024 ha esplicitamente chiarito che tali contratti possono essere conclusi anche con “parti interessate all’operazione di risanamento” e non solo con i creditori in senso stretto . Ciò include potenziali investitori o soci che intervengano nel piano.

  • Accordo stragiudiziale con effetti dell’art. 25-bis: l’imprenditore e i creditori che aderiscono (insieme all’esperto) possono sottoscrivere un accordo di ristrutturazione “in composizione” che viene poi semplicemente pubblicato. Questo accordo, pur non essendo omologato dal tribunale, produce alcuni effetti protettivi (ex art. 25-bis CCII): in particolare, consente di usufruire delle esenzioni fiscali e delle non assoggettabilità a revocatoria come accennato prima . In pratica, se grazie alla composizione negoziata si arriva a un accordo amichevole con, poniamo, il 70% dei creditori, quell’accordo – se sottoscritto anche dall’esperto e pubblicato – mette l’impresa al riparo da eventuali azioni revocatorie su pagamenti fatti in sua esecuzione e conferma i benefici fiscali (stralci non tassati, ecc.). Il correttivo 2024 ha reso più semplice raggiungere questo esito, stabilendo che non serve più l’adesione unanime di tutti i creditori per concludere un accordo efficace (basta la maggioranza aderente) . Inoltre, ha previsto che la firma dell’esperto può avvenire anche dopo la conclusione formale della procedura negoziata, se l’accordo si finalizza subito dopo (ultrattività del suo ruolo) .
  • Ricorso a strumenti concorsuali semplificati: Se la composizione negoziata evidenzia che serve comunque uno strumento giudiziale per vincolare tutti i creditori o per avere nuove finanze, l’imprenditore può optare, anche al termine della negoziazione, per:
  • Un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (artt. 57 e 60 CCII), sfruttando magari il fatto che i creditori hanno già discusso e concordato i termini con l’aiuto dell’esperto. In tal caso, nel presentare l’istanza di omologazione, se viene fatto entro 60 giorni dalla fine della composizione negoziata, la percentuale di adesione richiesta per certi tipi di accordo può essere ridotta (il correttivo ha stabilito che per l’accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa si applica la soglia del 60% invece del 75% se proposto subito dopo la composizione) . Questo incentivo premia chi passa rapidamente dall’esito delle trattative informali all’omologazione formale.
  • Un concordato preventivo (in continuità aziendale o liquidatorio), depositando il piano e la proposta secondo le regole concorsuali. Il vantaggio di arrivarci dopo una composizione negoziata è che molte questioni saranno già esplorate e l’esperto avrà segnalato la fattibilità. In particolare, se l’imprenditore individua un investitore disposto a rilevare l’azienda o a intervenire finanziariamente, può proporre un concordato in continuità con finanza esterna.
  • In caso estremo, se non si trovano soluzioni di risanamento ma c’è da evitare il caos, l’imprenditore può accedere al concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII), previsto proprio come exit strategy di fall-back quando la composizione negoziata fallisce. Questo concordato semplificato è peculiare: non c’è voto dei creditori, l’imprenditore propone direttamente al tribunale un piano di liquidazione dei beni con ripartizione ai creditori, e il tribunale – sentito il parere dell’esperto – può omologarlo nonostante l’assenza di consenso delle classi creditorie. Nel concordato semplificato non è previsto un accordo con i creditori (infatti non votano, possono solo opporsi in sede di omologa), quindi il legislatore non ha dettagliato la transazione fiscale. C’era il dubbio se si potessero falcidiare (ridurre) i debiti fiscali in questo contesto: la giurisprudenza recente ha teso a consentirlo, ritenendo che anche in un concordato semplificato il debitore possa proporre il pagamento parziale delle imposte, purché naturalmente motivato dalla capienza e con il rispetto della graduazione dei crediti (v. anche Corte d’Appello di Lecce 26 marzo 2025 citata nelle fonti).
  • Liquidazione controllata o altre procedure minori: Se l’impresa è sotto-soglia e la negoziazione fallisce, può aprirsi una liquidazione controllata (che è l’equivalente del fallimento per i piccoli debitori, art. 268 CCII). Anche un consumatore o una piccola impresa potrebbe accedere a un concordato minore o ad un piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore ex art. 74 CCII, ma questi strumenti esulano dal focus aziendale. Basti sapere che anche le imprese minori dopo la composizione possono optare per concordato minore o liquidazione controllata .

In sintesi, la composizione negoziata è un contenitore flessibile: l’importante è trovare una soluzione. Se si risolve tutto con accordi privati, bene; se serve passare per l’omologazione di un accordo o un concordato, la negoziazione servirà a spianare la strada. L’esperto redigerà una relazione finale sull’esito (positiva o negativa) e l’imprenditore deciderà il da farsi.

Vantaggi principali della composizione negoziata:
Riservatezza iniziale: a differenza di un concordato preventivo, la composizione negoziata non è di pubblico dominio se non quando si chiedono le misure protettive (che vengono iscritte nel registro imprese e comunicate ai creditori interessati). Ma l’avvio in sé può restare riservato, il che può evitare allarmismi.
Nessuno stigma automatico: l’impresa non viene qualificata come “fallita” o in procedura concorsuale, rimane operativa con i suoi organi. Questo può tranquillizzare clienti e fornitori nel breve termine.
Supporto di un esperto super partes: per l’imprenditore, avere un advisor nominato ufficialmente può aiutare a gestire i rapporti coi creditori in modo più autorevole e ordinato. L’esperto farà da moderatore ed eviterà tattiche dilatorie.
Flessibilità negli esiti: come visto, non ci sono schemi fissi, qualunque accordo funzionale al risanamento è ben accetto.
Benefici e incentivi legali: interessi e sanzioni ridotti, possibilità di accordo fiscale (novità 2024) , esenzioni fiscali per riduzioni di debito , protezione dalle revocatorie future per atti compiuti con l’esperto (in forza della pubblicazione degli accordi). Inoltre, se serve finanza esterna per risanare, il tribunale può autorizzare nuovi finanziamenti prededucibili o la continuazione di contratti essenziali. Ad esempio, l’art. 22 CCII consente, su richiesta, di autorizzare accordi con banche per riattivare fidi sospesi, garantendo a quei nuovi utilizzi lo status di crediti prededucibili (cioè che saranno pagati prima di altri se la cosa dovesse comunque andare male) . Questo incentivo può convincere una banca a dare ossigeno all’azienda in crisi confidando di essere tutelata.

Svantaggi o limiti:
Volontarietà: a differenza di concordato e fallimento, non c’è una “forza di legge” che impone ai creditori di accettare qualcosa (se non in seguito, con passaggio ad accordo omologato o concordato). Se i creditori, o alcuni cruciali, non collaborano, la composizione da sola non li può obbligare (se il Fisco dice no a ogni proposta, resterà no, a meno di attivare l’omologazione forzosa nell’accordo ex art. 63 CCII, ma a quel punto serve comunque passare dal tribunale).
Tempistica serrata: pur con le possibili proroghe, entro pochi mesi l’imprenditore e l’esperto devono trovare la quadra. Non si può trascinare per anni come a volte accadeva con i concordati in bianco. Questo è un bene (lessi di procedure infinite) ma anche uno stress: occorre presentarsi all’appuntamento ben preparati con dati e proposte, per non sprecare il tempo.
Costi dell’esperto e consulenze: l’esperto ha diritto a un compenso, fissato dal decreto dirigenziale in base ai parametri ministeriali, che sarà pagato dall’azienda (anche se con prededuzione). Inoltre, spesso l’azienda avrà bisogno di consulenti finanziari e legali per predisporre piani e condurre le negoziazioni. Questi costi sono comunque inferiori a quelli di un lungo concordato o a un fallimento, ma vanno considerati. Il correttivo ha semplificato la liquidazione del compenso dell’esperto per le imprese minori, affidandola al segretario generale della CCIAA .
Necessità di prospettiva di risanamento: se l’azienda è troppo compromessa, la composizione negoziata rischia di essere solo un anticamera di una liquidazione. Ad esempio, se i debiti superano di molto il valore dei beni e non c’è vera possibilità di continuità, i creditori non saranno motivati a fare sconti e probabilmente punteranno a recuperare il recuperabile col fallimento. In tali casi, ha senso comunque la composizione? Forse sì, come preludio a un concordato semplificato per chiudere in maniera più efficiente, ma la composizione di per sé non fa miracoli se non c’è nulla da salvare.
Interferenza con obblighi societari: durante le trattative, l’imprenditore deve comunque gestire l’ordinario. Se emergono perdite rilevanti, c’è la norma che sospende l’obbligo di scioglimento per perdite di capitale nel frattempo? Fortunatamente la legge di riforma (art. 20 CCII) ha previsto che dall’accettazione dell’esperto e per tutta la durata della composizione, non operano gli articoli del Codice Civile che imporrebbero di ripianare o ridurre il capitale per perdite oltre 1/3 (art. 2446, 2447 c.c. e analoghi). Ciò evita che si debba mettere la società in liquidazione proprio mentre si cerca un accordo di risanamento.

Esempio pratico (semplificato) di composizione negoziata:
Immaginiamo che la nostra azienda Alfa S.r.l. (tenute e paraoli) abbia debiti totali per €1.000.000 così ripartiti: €400.000 con banche (di cui 250.000 garantiti da ipoteca su capannone), €300.000 con fornitori, €150.000 con l’Agenzia Entrate (IVA e IRES), €50.000 INPS, €50.000 verso dipendenti (TFR e stipendi arretrati), €50.000 vari. L’azienda ha tuttavia ordini e può tornare redditizia se ottiene dilazioni, ma al momento non riesce a pagare fornitori e rischia il blocco. Attiva la composizione negoziata: viene nominato un esperto. L’azienda richiede misure protettive, così banche e fornitori sospendono le azioni (aveva già due decreti ingiuntivi e una cartella esattoriale imminente: tutto congelato). Nel frattempo, con l’aiuto dell’esperto, formula questa proposta: un investitore locale è disposto a immettere €200.000 di nuova finanza se l’azienda si ristruttura; con quelle risorse e i flussi futuri si potrebbe pagare integralmente dipendenti e debiti fiscali in 4 anni (magari usando la dilazione 120 rate per le imposte ), pagare le banche garantite realizzando il capannone (250k lo ricava vendendolo o facendolo rilevare dall’investitore a fronte di quote), pagare le banche chirografarie al 40%, e offrire ai fornitori il 30% in due anni. I fornitori, in alternativa, se non accettano avrebbero zero (perché le proiezioni mostrano che in liquidazione il privilegio ipotecario e quello erariale assorbirebbero quasi tutto). L’esperto attesta che la proposta è migliore della liquidazione per tutti i creditori. Si sottoscrive un accordo con l’80% dei fornitori e tutte le banche: quell’accordo viene depositato come esito positivo. L’azienda sceglie a questo punto di omologarlo formalmente come accordo di ristrutturazione per vincolare anche il 20% dei fornitori dissenzienti: depositano quindi il ricorso ex art. 57 CCII al tribunale. Il tribunale verifica le soglie (hanno più del 60% di adesioni globali, e nel frattempo includono anche la transazione fiscale col Fisco che ha accettato il 100% in 10 anni: supponiamo l’Agenzia abbia aderito grazie al fatto che c’è continuità aziendale e l’attestazione di convenienza) e omologa l’accordo. Si chiude così la vicenda: l’azienda prosegue, alleggerita dai debiti secondo l’accordo; i creditori ricevono i pagamenti concordati man mano (quelli che avevano aderito volontariamente e quelli dissenzienti sono comunque costretti all’accordo omologato cramdown). Se uno di essi provasse a riattivare l’esecuzione, l’omologa è titolo per opporla.

Naturalmente, l’esempio è semplificato, ma illustra come la composizione negoziata possa sfociare in un mix di accordo privato e procedure legali.

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (ex art. 57 e segg. CCII)

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (spesso abbreviati in ARD) sono uno strumento concorsuale introdotto già nel 2005 nell’ordinamento fallimentare e ora disciplinato dagli artt. 57-64 del Codice della crisi. Si tratta di accordi che devono coinvolgere una percentuale qualificata di creditori e che, a differenza delle semplici transazioni private, vengono omologati dal tribunale, acquistando efficacia vincolante. In sostanza, l’accordo di ristrutturazione è un compromesso formale tra il debitore e una porzione consistente dei creditori, che viene poi dichiarato valido ed efficace erga omnes (salvo diversi gradi di estensione) da parte del giudice.

Requisiti generali: L’impresa (commerciale o agricola) in stato di crisi o insolvenza può proporre ai creditori un accordo che deve essere sottoscritto da creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti (percentuale calcolata sul totale passivo). Questo è l’accordo standard ex art. 57 CCII (corrispondente all’ex art. 182-bis L.Fall.). Raggiunto tale livello di consenso, il debitore può chiedere al tribunale l’omologazione dell’accordo. Il tribunale, sentito un esperto attestatore che redige una relazione sull’attuabilità dell’accordo e sulla capacità di soddisfare integralmente i creditori estranei, procede all’omologa se tutto è regolare . I creditori che hanno aderito sono ovviamente vincolati; i creditori estranei (che non hanno firmato) non sono coinvolti dall’accordo in linea di massima, e conservano i loro diritti per intero – ma il piano deve prevedere che siano pagati integralmente entro 120 giorni dall’omologazione (se già scaduti) o 120 giorni dalla scadenza (se non ancora scaduti), altrimenti l’accordo non è omologabile . In pratica, l’accordo di ristrutturazione “classico” vincola solo i partecipanti e impone comunque di garantire i non aderenti al 100%. Questo implicava spesso la necessità per il debitore di assicurarsi comunque risorse per pagare tutti i dissenzienti fuori dall’accordo.

Perché allora farlo? Per due motivi: (a) perché l’accordo consente di ristrutturare la gran parte del debito con il consenso qualificato, e (b) perché offre alcuni benefici legali, come la protezione nelle more dall’azione individuale (il debitore può chiedere le misure protettive anche qui, analoghe a quelle del concordato) e l’esenzione da revocatoria per gli atti eseguiti in esso (pagamenti e garanzie dati in esecuzione dell’accordo omologato non sono revocabili ex post, art. 59 CCII). Inoltre, c’è la transazione fiscale integrabile nell’accordo (art. 63 CCII), di cui abbiamo parlato: i crediti tributari e contributivi possono far parte dell’accordo, con l’approvazione dell’Agenzia delle Entrate e dell’INPS. Il tribunale valuta in omologa la convenienza per l’Erario e può applicare il cram-down se ci sono le condizioni (continuità aziendale, ecc.) , salvo i casi preclusi per abuso fiscale come detto .

Varianti degli accordi di ristrutturazione: Negli ultimi anni sono state introdotte alcune varianti per ampliarne la portata:
Accordi di ristrutturazione agevolati (art. 60 CCII): richiedono una percentuale di consenso più bassa, pari al 30% dei crediti, ma non permettono misure protettive automatiche generalizzate (possono ottenerle solo se il debitore paga interamente gli estranei entro 120 giorni dall’omologa) e non possono contenere transazione fiscale. Sono pensati come accordi “light” quando c’è un numero limitato di creditori rilevanti e si vuole ridurre il quórum.
Accordi ad efficacia estesa (art. 61 CCII): riguardano casi specifici, in particolare la ristrutturazione dei debiti verso banche e finanziari. Se l’accordo è approvato da almeno il 75% (ora ridotto al 60% in certi casi di composizione negoziata appena conclusa ) dei crediti finanziari, il debitore può chiedere al tribunale di estendere gli effetti anche alle banche non aderenti, purché siano state informate e invitate alla trattativa con pari opportunità. Questo meccanismo serve a superare il problema del “holdout” di una minoranza di banche. Tipicamente, viene utilizzato nelle ristrutturazioni bancarie: se quasi tutte le banche accettano una riscadenzazione o un taglio, ma una sola si oppone, il giudice può comunque omologare l’accordo e vincolare anche la banca dissenziente (purché non alteri la sua posizione rispetto alla par condicio). Ci sono condizioni tecniche – per esempio, l’accordo deve prevedere che i creditori estranei finanziari ottengano almeno il 90% di quanto spetta loro se fossero stati inclusi, e la fattibilità del piano dev’essere attestata. Il correttivo 2024, come visto, ha abbassato dal 75% al 60% la soglia di adesione richiesta se l’accordo viene presentato subito dopo una composizione negoziata conclusa , estendendo questa facilitazione anche ad altri crediti oltre quelli finanziari in alcune ipotesi.
Accordi nei confronti di creditori pubblici (art. 62 CCII): prevedono che l’accordo possa avere efficacia anche se alcuni enti pubblici (diversi dall’Erario/INPS che rientrano nella transazione fiscale) non aderiscono, sempreché vengano soddisfatti in misura almeno pari alla liquidazione. Si pensi ai debiti verso un Comune per IMU: non c’è una transazione fiscale per quelli se non come credito chirografario, ma l’accordo può comunque includerli e il giudice valutare che possano essere falcidiati con omologa se ciò non li pone in posizione peggiore che in fallimento .

In generale gli accordi di ristrutturazione si posizionano a metà strada tra il piano attestato (completamente volontario) e il concordato preventivo (collettivo e giudiziale). Rispetto al concordato, l’accordo è più snello: non c’è voto di tutti i creditori, non c’è necessariamente il rispetto della par condicio tra tutti (puoi modulare tagli diversi con diversi creditori, purché chi resta fuori sia pagato integralmente). È uno strumento più “contrattuale”, cucito su misura. Ma proprio per questo è praticabile se pochi creditori o gruppi di creditori hanno in mano la maggior parte dei crediti – ad esempio, se 3 banche rappresentano il 70% del debito e accettano di firmare l’accordo, il residuo 30% di fornitori verrà pagato per intero e il lavoro è fatto. Se invece il debito è polverizzato tra tanti fornitori piccoli, raggiungere il 60% di adesioni può essere difficile, e magari conviene il concordato. Nel nostro caso di azienda di tenute e paraoli, se avesse pochi grandi creditori (mettiamo due banche e tre fornitori principali che insieme fanno >60%), un accordo sarebbe efficiente. Se invece il debito è frammentato su 50 fornitori, convincerne abbastanza da coprire il 60% è complicato – qui il concordato (dove vige il voto a maggioranza, ma contano le somme, e i dissenzienti vengono comunque inclusi se la maggioranza approva) potrebbe essere preferibile.

Adempimenti e procedura per l’accordo di ristrutturazione: Il debitore deve predisporre: – un piano di ristrutturazione dettagliato, – un elenco dei creditori con l’indicazione di chi aderisce e chi no, – una relazione di un professionista indipendente (attestatore) che confermi la veridicità dei dati e la fattibilità del piano, nonché la convenienza per i creditori estranei (deve attestare che il piano garantisce il pagamento integrale dei creditori estranei contrattualizzati entro i termini di legge – questa espressione “estranei contrattualizzati” indica i creditori che non sottoscrivono l’accordo ma che hanno concesso dilazioni separate o simili; la Cassazione ha chiarito nel 2023 che l’attestatore deve verificare nel dettaglio anche questi, non solo fare valutazioni generali ). – Raggiunte le firme necessarie, il debitore deposita tutto in tribunale con ricorso per omologa.

Il tribunale può concedere, su istanza, misure protettive ante omologa per tenere calmi i creditori durante il periodo in cui l’accordo viene finalizzato ed eventualmente per bloccare azioni di creditori estranei (anche se questi ultimi comunque devono essere pagati al 100% di lì a poco, dunque raramente agiranno se vedono l’accordo depositato e solvibilità post). L’omologazione viene pronunciata se non ci sono opposizioni fondate (i creditori estranei possono opporsi se ritengono di essere pregiudicati – ad es. se contestano che saranno realmente pagati al 100% nei termini). Una volta omologato, l’accordo è efficace e vincolante tra le parti. Se successivamente l’azienda non rispetta l’accordo (inadempimento), i creditori tornano liberi di agire individualmente; oppure, se peggiora la situazione, possono anche richiedere la risoluzione giudiziale dell’accordo e la conseguente apertura di liquidazione giudiziale.

Effetti in caso di insolvenza sopravvenuta post-accordo: Una domanda comune: cosa accade se l’azienda, dopo aver omologato un accordo di ristrutturazione, fallisce comunque perché non riesce a rispettare gli impegni? La giurisprudenza ha affrontato il tema. Di recente, la Cassazione ha stabilito che qualora venga dichiarato il fallimento (liquidazione giudiziale) dopo un accordo omologato, i creditori che erano parte dell’accordo possono insinuarsi al passivo solo per i crediti residui secondo l’accordo omologato e non per l’originario maggiore importo . In pratica, l’omologazione “cristallizza” la nuova misura del debito: se un creditore aveva 100, ha accettato 50 con l’accordo e ne ha ricevuti magari 20 prima di fallire l’azienda, in fallimento potrà insinuare i 30 rimanenti previsti dall’accordo, ma non tornare a chiedere 80 come se l’accordo non ci fosse stato (salvo che l’accordo sia stato formalmente risolto prima, ma in genere la dichiarazione di fallimento risolve di diritto l’accordo pendente). Questo principio tutela la parità tra creditori: chi ha fatto lo sconto non può rimangiarselo in extremis per avvantaggiarsi sul concorso con gli altri. D’altro canto, il fatto che un accordo possa comunque sfociare in fallimento ci ricorda che questi strumenti non garantiscono il successo al 100%, dipende da come viene eseguito il piano.

Recap sintetico: L’accordo di ristrutturazione dei debiti è uno strumento flessibile e confidenziale, utile quando si ha l’adesione dei principali creditori. Vantaggi: negoziazione privata, struttura contrattuale, tempi spesso più rapidi di un concordato, niente voto di tutti i creditori (solo quelli che servono per percentuale). Svantaggi: obbligo di pagare i non aderenti in pieno (per l’accordo standard), soglia di adesione necessaria (60% o 30% in forma agevolata), impossibilità di imporre ai dissenzienti riduzioni di credito salvo i casi speciali (banche con efficacia estesa). Con le modifiche del 2024, integrarlo con la composizione negoziata è più fruttuoso (soglie ridotte se successivo a trattativa assistita) .

Il concordato preventivo (in continuità o liquidatorio)

Il concordato preventivo è storicamente la procedura concorsuale per eccellenza per le imprese che cercano di evitare il fallimento offrendo ai creditori un accordo collettivo sotto il controllo del tribunale. Nel Codice della crisi ha mantenuto centralità, con alcune novità. Vi sono due principali tipologie: il concordato in continuità aziendale (quando l’impresa, o parte di essa, prosegue l’attività, sia direttamente sia tramite terzi) e il concordato liquidatorio (quando l’obiettivo è liquidare il patrimonio dell’impresa per pagare i creditori, cessando l’attività).

Quando utilizzarlo: Quando l’impresa è in stato di crisi o insolvenza e serve coinvolgere tutti i creditori in un’unica soluzione vincolante, soprattutto se è necessario falcidiare (ridurre) i crediti anche dei dissenzienti. Il concordato è appropriato se non si riesce ad avere un consenso extragiudiziale sufficiente (accordo) e/o se l’impresa ha bisogno di sfruttare la moratoria e la possibilità di dividere i creditori in classi con trattamenti differenziati.

Iter in breve: L’impresa presenta un ricorso al tribunale chiedendo l’ammissione al concordato, allegando una proposta dettagliata ai creditori, un piano industriale/finanziario e una relazione giurata di un attestatore che certifichi veridicità dei dati e fattibilità del piano (e convenienza rispetto alla liquidazione). Può presentare il ricorso anche “con riserva” (concordato in bianco) se ha bisogno di tempo per finalizzare il piano, depositando poi la proposta completa entro i termini concessi (fino a 180 giorni massimo). Il tribunale valuta la proposta e, se non la ritiene inammissibile, ammette l’azienda alla procedura, nominando un commissario giudiziale che sorveglia l’impresa durante la procedura. I creditori vengono suddivisi eventualmente in classi omogenee per interessi giuridico-economici e poi votano sulla proposta in adunanza o per iscritto. Serve la maggioranza di credito (maggior valore dei crediti votanti) in ogni classe o comunque nel complesso per l’approvazione (le regole di voto sono un po’ tecniche: se ci sono più classi, serve la maggioranza in ciascuna oppure, se alcune no, c’è possibilità di cramdown interclasse se la proposta non li discrimina e offre almeno il valore di liquidazione). Infine, il tribunale omologa il concordato rendendolo vincolante per tutti i creditori antecedenti (anche quelli che non hanno votato o hanno votato no), salvo eccezioni (i crediti estranei per legge come quelli prededucibili, o eventuali dissenzienti protetti da classi di trattamento minimo). Una volta omologato, il concordato viene eseguito: se in continuità, l’impresa continua l’attività secondo il piano, pagando i creditori secondo i tempi e modi promessi; se liquidatorio, si procede a vendere i beni e distribuire il ricavato come da piano.

Concordato in continuità aziendale: Questo è il caso in cui si vuole salvare l’impresa come attività, farla proseguire (magari ristrutturata). Può essere diretto (la stessa società prosegue) o indiretto (si trasferisce l’azienda a una newco o terzo che la gestirà, ma i proventi servono per pagare i creditori del concordato). La legge incoraggia il concordato in continuità perché preserva posti di lavoro e valore. I requisiti includono che il piano preveda la continuità per almeno un biennio e che dalla continuità derivi un utile economico per i creditori superiore alla liquidazione. Ad esempio, la prosecuzione dell’attività permette di soddisfare i creditori in misura del 40%, mentre liquidando subito si avrebbe il 20%; questo giustifica il concordato in continuità. In tali concordati, l’impresa può mantenere contratti in essere, può richiedere finanziamenti interinali o in esecuzione con privilegio prededucibile, e soprattutto è libera di proporre pagamenti parziali dei creditori anche privilegiati purché rispetti certe soglie. Una differenza importante: mentre il concordato liquidatorio impone il pagamento di almeno il 20% ai chirografari per legge, il concordato in continuità non ha soglia minima di pagamento ai chirografari, perché si presume che la continuità offra di per sé il massimo recuperabile. Questo rende possibile anche concordati in continuità molto spinti (teoricamente potrebbe dare anche meno del 20% ai chirografari, se proprio non c’è di più, ma devono esserci ragioni forti per convincere i creditori a votarlo).

Concordato con liquidazione del patrimonio (liquidatorio): Qui l’impresa sostanzialmente cessa l’attività e liquida i suoi beni sotto il controllo del commissario e con la supervisione finale del giudice delegato e tribunale. Qual è la differenza col fallimento allora? Che nel concordato liquidatorio è il debitore a proporre come distribuire l’attivo e spesso a gestire la liquidazione (magari vendendo anticipatamente degli asset a un prezzo concordato col tribunale). Inoltre, c’è di solito un “premio” per i creditori rispetto al fallimento: per legge, il concordato liquidatorio è ammissibile solo se offre ai creditori chirografari almeno il 20% del loro credito (salvo particolare apporto di finanza esterna che giustifichi esenzioni). Questo serve a evitare concordati liquidatori troppo penalizzanti (un tempo ne venivano proposti alcuni al 5% solo per evitare il fallimento, oggi non più ammessi se sotto 20%). Nel concordato liquidatorio è obbligatorio destinare ai creditori l’intero patrimonio non gravato da pegni/ipoteche, e anche eventuali azioni di responsabilità o revocatorie contro terzi. È dunque un modo più organizzato di liquidare, con l’approvazione dei creditori.

Ruolo dei creditori privilegiati e trattamento dei crediti fiscali nel concordato: Nei concordati, ogni classe di creditori deve ricevere almeno quanto otterrebbe in caso di liquidazione fallimentare (principio del best interest of creditors). Per i creditori privilegiati (come banche ipotecarie, Erario, dipendenti), la regola è che o li si paga integralmente secondo il rango (eventualmente dilazionando entro certi limiti temporali), oppure, se si intende stralciarli parzialmente (falcidiarli), occorre che il valore dei beni su cui hanno privilegio non sarebbe sufficiente a soddisfarli integralmente in liquidazione e che comunque gli si dia quell’equivalente. Ad esempio, se una banca ha ipoteca su un immobile e in caso di vendita l’immobile varrebbe 100 coprendo l’80% del suo credito, nel concordato la banca può essere soddisfatta all’80% (falcidia del 20%) perché tanto in liquidazione non avrebbe preso di più . Non si può mai dare a un privilegiato meno di quanto il suo collaterale produce. Per i crediti fiscali e contributivi privilegiati, la regola fino a qualche anno fa era più rigida: IVA e ritenute non potevano essere falcidiate nemmeno se il valore di realizzo era inferiore (erano intoccabili). Ciò è cambiato con l’introduzione della transazione fiscale e la possibilità di cram down: ora, anche in concordato, è possibile trattare al ribasso IVA e contributi, ma o con l’adesione dell’ente (transazione approvata) o, se l’ente rifiuta, con l’omologa forzata se il piano li tratta in modo non deteriore rispetto alla liquidazione . Di fatto, in un concordato il debitore solitamente include una proposta ex art. 88 CCII per il trattamento dei crediti fiscali, e l’Agenzia delle Entrate esprime un voto (che vale come adesione o meno alla transazione). Con il correttivo 2024 l’ente non può più essere cramdowmato se il debito fiscale >80% e deriva da comportamento abusivo . Se l’azienda rientra in quei casi, di fatto il Fisco se dice no, il concordato potrebbe non passare l’omologa (oppure l’azienda dovrebbe in extremis pagare per intero quei crediti).

Misure protettive nel concordato: Similmente agli accordi, quando si deposita un ricorso (anche in bianco), si ottiene una protezione automatica: i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive né acquisire cause di prelazione (ipoteche giudiziali) sul patrimonio del debitore da quella data. Eventuali procedure in corso restano sospese. Questo consente all’impresa di congelare la situazione e di operare (sotto controllo) in attesa del voto. Nel concordato in bianco, il debitore rimane in gestione, ma deve ottenere autorizzazione del tribunale per atti straordinari, e un eventuale commissario giudiziale provvisorio può essere nominato. Se poi il concordato viene omologato, sostituisce il fallimento: i creditori potranno soddisfarsi solo come da piano; se viene rigettato o non approvato, il tribunale può dichiarare d’ufficio la liquidazione giudiziale (fallimento).

Perché scegliere il concordato preventivo:
– Consente di imporre una ristrutturazione anche ai creditori dissenzienti, in modo organizzato e rispettando par condicio;
– Può salvare l’impresa (concordato in continuità) con sacrifici distribuiti tra i creditori;
– Prevede un ruolo attivo dei creditori nel voto, quindi se c’è maggioranza consenziente si va avanti;
– Sospende le azioni individuali e gli interessi sui debiti chirografari cessano di maturare;
– Permette anche operazioni societarie durante la procedura (ad es., affitto d’azienda in concordato per traghettare i dipendenti e l’attività a un soggetto terzo, in attesa di omologa);
– Ha l’effetto di risolvere contratti in essere se necessario (il debitore può chiedere di sciogliere alcuni contratti onerosi con autorizzazione del tribunale).

Controindicazioni:
– È pubblico (registro delle imprese, comunicazioni ai creditori): la notizia di un concordato può spaventare la clientela e i fornitori restii, quindi va accompagnata da un’efficace comunicazione e fiducia nel piano di rilancio;
– È complesso e costoso: servono professionisti (attestatore, legali, consulenti) e c’è il carico delle spese di procedura (il commissario, eventuali coadiutori, vanno pagati in prededuzione). Tipicamente l’azienda deve sobbarcarsi costi significativi;
– Non garantisce il successo: se i creditori non votano a favore (e l’azienda non riesce a soddisfare i criteri per un cramdown interclasse), il concordato fallisce e si rischia il fallimento immediato;
– Rigidità di certe regole: ad es., i nuovi debiti sorti durante il concordato non pagato (prededucibili) possono aggravare la massa, per cui una gestione attenta è necessaria;
– Tempi mediamente più lunghi di un accordo: tra deposito, votazione e omologa, spesso passano 6-12 mesi. In quel periodo, se è in continuità, l’azienda deve stare a galla con flussi ridotti (di solito i fornitori post domanda vorranno pagamento anticipato, etc., anche se possono essere autorizzati pagamenti in prededuzione per forniture essenziali).

Il concordato resta comunque l’ombrello più ampio che un imprenditore può usare per ristrutturare radicalmente la propria azienda: tagliare debiti, ridurre personale (anche se con tutele, ad esempio licenziamenti in concordato con procedura autorizzata), cedere attività non strategiche, il tutto con la benedizione del tribunale che una volta omologato rende il piano immodificabile dai singoli creditori.

Breve esempio di concordato in continuità: proseguiamo l’esempio Alfa S.r.l. (se non avesse fatto composizione): Debiti 1.000.000, l’azienda vede che in liquidazione i creditori chirografari prenderebbero il 10%. Propone un concordato: mantiene l’attività, il piano a 4 anni prevede utile operativo destinato ai creditori. Offre: ai privilegiati ipotecari (banca) il 80% (perché immobile stimato di valore inferiore al debito), al Fisco 50% (dimostrando che in fallimento su quell’IVA avrebbero preso 30%), ai chirografari (fornitori) il 30%. Divide i creditori in classi: Classe A: dipendenti (100% in 6 mesi), Classe B: banca ipotecaria (80% entro 2 anni vendendo immobile), Classe C: Fisco e INPS (50% in 4 anni con transazione fiscale), Classe D: fornitori chirografari (30% in 4 anni in quote semestrali), Classe E: eventuali soci finanziatori postergati (0%). L’attestatore giura che il piano è fattibile e migliore del fallimento (dove i chirografari avrebbero 10%, qui 30%, etc.). I creditori votano: dipendenti e banca sicuramente sì (per loro è ottimo), Fisco tramite voto per transazione – supponiamo aderiscano, fornitori forse sì perché 30 è meglio di 10. La maggioranza in ogni classe c’è. Il tribunale omologa. Da allora la società esegue: paga i dipendenti come promesso (anche col supporto del fondo INPS che anticipa TFR e viene rimborsato), vende il capannone per 250k e li dà alla banca (soddisfatta in parte, ma contenta di evitare un’asta incerta), paga trimestralmente i fornitori quel 30% (potrebbe anche soddisfarli con strumenti come quote di un veicolo nuovo, ma stiamo semplici), e rispetta i pagamenti erariali dilazionati. Se per caso dopo 2 anni non reggesse il piano, la società potrebbe chiederne la modifica (difficile) oppure si aprirebbe la liquidazione giudiziale e a quel punto, come detto, i creditori tornano a rango originario ma con dedotti quanto incassato.

Conclusione su concordato e accordi: La guida finora ha delineato un ventaglio di possibilità. La scelta tra composizione negoziata, accordo di ristrutturazione e concordato dipende dal grado di accordo che il debitore pensa di poter ottenere e dalla necessità di intervento giudiziale. Una regola pratica: tentare il meno invasivo ma prepararsi al più risolutivo. Si può partire dalla composizione negoziata – se funziona, ottimo; se non basta, quell’esperienza confluisce in un accordo o concordato. L’importante è non arrivare alla liquidazione giudiziale passivamente.

La liquidazione giudiziale (ex fallimento) e la liquidazione controllata

Nonostante tutti gli sforzi possibili, può accadere che l’impresa debitrice non riesca a evitare l’esito liquidatorio formale. La liquidazione giudiziale è il nome attuale di ciò che si chiamava “fallimento” fino al 2022. È una procedura concorsuale involontaria o comunque non negoziale, che viene aperta dal tribunale accertando lo stato di insolvenza su ricorso di un creditore, del debitore stesso (richiesta di liquidazione volontaria) o del PM. Una volta pronunciata, l’impresa viene spossessata: la gestione passa al curatore, nominato dal tribunale, che ha il compito di amministrare e liquidare l’intero patrimonio aziendale sotto la supervisione del giudice delegato e del comitato dei creditori.

Gli effetti immediati della liquidazione giudiziale includono: – la perdita della capacità di gestione per l’imprenditore, che non può più compiere atti sui beni della massa; – l’apertura del concors: tutti i creditori devono presentare domanda di ammissione al passivo e saranno soddisfatti secondo le regole concorsuali, mentre sono definitivamente vietate le azioni esecutive individuali; – la cristallizzazione dei debiti: i debiti cessano di maturare interessi (salvo i privilegiati entro i limiti di capienza), e i contratti pendenti possono essere sciolti o proseguiti a seconda di cosa conviene alla massa; – l’eventuale esercizio provvisorio: se utile per evitare un grave pregiudizio (ad esempio completare commesse in corso che darebbero valore), il tribunale può autorizzare il curatore a proseguire temporaneamente l’attività, ma di norma l’azienda cessa l’attività.

La liquidazione giudiziale comporta poi l’accertamento del passivo (il giudice esamina le insinuazioni dei creditori e stabilisce chi ha diritto a cosa) e la realizzazione dell’attivo (vendita beni, incasso crediti). Al termine si ripartiscono le somme seguendo l’ordine delle cause di prelazione (vedi tabella di prima). Spesso i chirografari recuperano poco o nulla, specie se ci sono ipoteche e privilegi consistenti.

Per l’imprenditore, la liquidazione giudiziale è una sconfitta: perde l’impresa, può subire l’inibizione a svolgere attività d’impresa (interdizioni, o il più temuto “fallito in proprio”), e come detto rischia azioni di responsabilità e reati. Tuttavia, c’è un aspetto da considerare: dopo la chiusura della procedura, l’imprenditore (persona fisica) meritevole può ottenere l’esdebitazione (liberazione dai debiti residui non soddisfatti). Ad esempio, se si trattava di un’impresa individuale o se un socio illimitatamente responsabile fallisce, lui potrà chiedere l’esdebitazione e ripartire senza debiti pregressi (non incide però sulle società, che si estinguono). Anche i soci garanti o fideiussori non vengono automaticamente esdebitati dal fallimento della società, quindi se hanno pagato poi possono rivalersi, ma potrebbero anche loro, se falliscono personalmente, chiedere esdebitazione.

Liquidazione controllata dei sovraindebitati: Va menzionata come parallelo della liquidazione giudiziale per i soggetti minori (piccole imprese sotto soglia, consumatori, professionisti). È disciplinata dall’art. 268 e segg. CCII. Funziona in modo simile al fallimento: viene nominato un liquidatore invece del curatore, i beni del debitore (persona fisica o impresa minore) sono liquidati e distribuiti. Questo strumento ha sostituito la vecchia “liquidazione del patrimonio” della legge sul sovraindebitamento. Anche in tal caso, il debitore persona fisica può essere esdebitato. Il caso se esista differenza per i privilegi fondiari era dubbio, ma come visto la Cassazione ha equiparato: anche in liquidazione controllata il creditore fondiario (banca) mantiene il privilegio processuale di agire sull’immobile . Ciò per sottolineare che i principi cardine valgono in ogni liquidazione.

Difendersi in liquidazione giudiziale: In verità, una volta aperta la procedura, non c’è granché da difendere se non collaborare col curatore. Però, prima che accada, il debitore può difendersi cercando di bloccare o ritardare l’istanza di fallimento magari con la richiesta di altre procedure. Un esempio: se un creditore deposita ricorso per fallimento, l’imprenditore fino all’udienza può presentare domanda di concordato preventivo (anche in bianco) o dimostrare di aver avviato la composizione negoziata e chiedere al tribunale una sospensione. In passato la legge fallimentare prevedeva che la domanda di concordato presentata prima della sentenza di fallimento dovesse essere esaminata prima (il fallimento era improcedibile intanto). Oggi, l’art. 44 CCII mantiene una logica simile: se c’è domanda di concordato (o omologa accordo ristrutturazione) pendente, la dichiarazione di liquidazione giudiziale non può essere pronunciata, a meno che la domanda alternativa venga rigettata . Inoltre, l’avvio della composizione negoziata con misure protettive dovrebbe permettere di chiedere al giudice un rinvio sul decidere l’istanza di liquidazione, visto che il fine è trovare una soluzione (in pratica, molti tribunali già lo fanno: se l’imprenditore dimostra di essere in trattativa seria, il giudice può posticipare la decisione). Il correttivo 2024 non ha introdotto nuove disposizioni su questo specifico coordinamento, ma la prassi giurisprudenziale sta andando verso la collaborazione piuttosto che la competizione: obiettivo comune è evitare liquidazioni non necessarie.

Che fare se comunque si va in liquidazione giudiziale: L’imprenditore deve: – collaborare con curatore e organi (consegnare documenti, beni, indicare creditori e debitori); – può proporre eventuali istanze di esercizio provvisorio se ritiene che l’azienda intera possa essere venduta a prezzo migliore come unità funzionante; – può cercare soggetti interessati ad acquisire l’azienda o beni (il curatore può vendere anche d’urgenza se c’è offerta vantaggiosa); – può infine sperare di riprendere l’attività ex novo dopo la chiusura (nulla impedisce di aprire una nuova società, a meno di pene interdittive se vi sono reati).

Il debitore persona fisica potrà chiedere l’esdebitazione entro un anno dalla chiusura.

In ogni caso, la liquidazione giudiziale va vista come ultima ratio. Alcune volte essa può essere parte di una strategia: ad esempio, se l’azienda è decotta ma si vuole far proseguire parti sane, si può pensare a vendere fuori concorso rami d’azienda prima del fallimento (ma attenti a profili di revocatoria o responsabilità) oppure far aprire la procedura e far fare al curatore la vendita dell’azienda a un soggetto terzo – a quel punto il soggetto terzo assume l’attività pulita dai debiti (che restano in procedura). C’è anzi uno strumento dedicato, l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, che segue logiche simili per salvare aziende di grandi dimensioni. Ma per le PMI la strada classica per salvare il salvabile è un concordato con continuità indiretta (si affitta l’azienda a un nuovo soggetto che poi la compra, e il prezzo paga i creditori del concordato). Il fallimento di per sé raramente massimizza il valore per i creditori chirografari.

Confronto finale delle opzioni (Tabella riassuntiva):

StrumentoCondizioni di AccessoChi lo gestisceEffetti chiaveCoinvolgimento creditoriVantaggiSvantaggi
Trattativa privata / Piano di rientro (nessuna procedura)Difficoltà finanziaria anche iniziale; accordo volontario con creditori.Imprenditore e consulenti.Nessun vincolo legale sui dissenzienti; possibili accordi bilaterali o standstill.Consenso richiesto da ciascun creditore individualmente.Riservatezza; flessibilità totale dei termini.Non vincola creditori non aderenti; rischio azioni legali di chi rifiuta; no protezioni giuridiche (pignoramenti possibili).
Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII)Stato di crisi reversibile; fattibilità di risanamento attestata da esperto.Imprenditore, con attestatore indipendente (per relazione).Atti esecutivi del piano non revocabili; pubblicazione Registro Imprese.Adesione volontaria creditori alle proposte del piano (non è vincolante di per sé).Protezione da revocatorie; beneficio fiscale su eventuali remissioni debiti (grazie a art. 88 TUIR applicato) ; maggiore credibilità verso creditori.Richiede comunque consenso creditori; costo attestatore; pubblicazione rende nota la crisi (anche se non è procedura concorsuale).
Composizione negoziata (strumento stragiudiziale assistito)Probabile crisi/insolvenza ma con prospettive di risanamento; qualsiasi impresa.Imprenditore con esperto indipendente nominato da CCIAA.Misure protettive attivabili (stop azioni e stop revoche fidi bancari) ; durata 6+6 mesi; misure premiali (rid. interessi/sanzioni) ; accordi fiscali possibili .Trattative con creditori facilitate dall’esperto; accordi possibili con alcuni o tutti.Approccio flessibile e precoce; mantiene l’azienda operativa; può sfociare in vari esiti (contratti, accordo omologato, concordato); incentivi fiscali (stralci non tassati, IVA detraibile) .Non impone ai creditori di aderire (volontarietà); tempo limitato; costo dell’esperto; se fallisce, si è perso tempo (ma spesso è preludio ad altro).
Accordo di ristrutturazione (artt. 57-64 CCII)Stato di crisi o insolvenza; adesione ≥60% creditori (per standard) o ≥30% (agevolato, ma senza transazione fiscale).Imprenditore resta in carica; tribunale omologa e nomina eventuale ausiliario.Misure protettive su richiesta; transazione fiscale integrabile ; vincola solo aderenti (standard) salvo efficacia estesa su finanziari ; estranei da pagare per intero entro 120 gg.Necessario accordo scritto con quota di creditori; creditori non firmatari rimangono estranei ma pagati full.Rapido e flessibile; meno costoso di concordato; niente voto generale; protezione revocatoria; possibilità di cram-down Fisco con condizioni .Serve elevato consenso iniziale; non idoneo se troppi creditori piccoli; i dissenzienti vanno soddisfatti per intero (ergo servono risorse); pubblicità dell’omologa.
Concordato preventivo in continuitàStato di crisi o insolvenza; prospettiva di continuità aziendale con apporto utile per creditori.Gestione rimane all’imprenditore in bonis sotto vigilanza del commissario; omologa del Tribunale.Automatic stay su azioni esecutive; esercizio attività continua; possibile falcidia crediti privilegiati (con test convenienza); classi di voto; no soglia % minima ai chirografari per legge (ma devono avere > liquidazione).Tutti i creditori votano divisi per classi; serve maggioranza per classe o maggioranza generale se classi omogenee; vincola anche dissenzienti dopo omologa.Salva l’azienda e posti di lavoro; può ottenere nuova finanza; debiti ristrutturati con forza di legge; creditori chirografari possono essere pagati anche in piccola percentuale se accettano piano comunque migliore del fallimento.Procedura complessa, costosa, lunga; pubblica (pregiudizio reputazionale); richiede consenso di maggioranza creditori; controlli stringenti; se fallisce l’approvazione, probabile liquidazione giudiziale.
Concordato preventivo liquidatorioInsolvenza; azienda destinata a chiudere; attivo liquidabile non symbolico; garanzia di almeno 20% ai chirografari (salvo finanza esterna rilevante).Imprenditore cede gestione al commissario di fatto, ma in attesa omologa rimane formalmente in carica limitato; tribunale supervisiona vendite; poi curatore come liquidatore piano.Automatic stay; liquidazione ordinata dei beni secondo piano; prededuzione spese; possibile cessione azienda a terzi pre-omologa; esdebitazione soci illimitatamente responsabili a fine procedura.Creditori votano (tutti in una o più classi, spesso una classe unica chirografi perché i privilegiati prendono 100% o quasi); maggioranza per approvare.Più vantaggioso del fallimento (creditori ottengono almeno 20%); debitore può scegliere liquidatore (spesso nominato curatore, ma con input debitore); rapidità di chiusura se piano chiaro (a volte vendite preconcordate).Non salva l’impresa (cessa attività); richiede soglia minima 20%; procedure di vendita giudiziarie (a volte prezzi bassi); se non approvato, segue fallimento.
Liquidazione giudiziale (fallimento)Insolvenza accertata da Tribunale; requisiti dimensionali superati (non soggetta se micro impresa sotto parametri, in quel caso liquidazione controllata).Curatore nominato dal Tribunale; imprenditore spossessato; giudice delegato e comitato creditori vigilano.Sospensione azioni esecutive; scioglimento contratti o esercizio provvisorio se utile; vendita beni all’asta o trattativa; distribuzione pro-quota secondo privilegi; chiusura società.Creditori concorrono presentando domanda di insinuazione; non c’è voto, decidono organi su ammissione e stato passivo; eventuali riparti parziali e finali.Terzietà (curatore professionale); definizione legale di tutti i rapporti; possibile esdebitazione persona fisica ; punisce atti malversazione con azioni revocatorie e responsabilità.Impatto devastante su attività (cessazione immediata salvo brevi esercizi provvisori); tempi spesso lunghi; recuperi modesti per chirografari; costi procedura elevati; stigma reputazionale; controllo giudiziario severo (anche penale) su gestione passata.

Come evidenziato, il debitore ha interesse a restare nelle prime colonne della tabella (soluzioni negoziate) e considerare le ultime (concordato liquidatorio o fallimento) solo come extrema ratio. L’ordinamento oggi è orientato a fornire strumenti anticipati (allerta e composizione) proprio per evitare di giungere alla fase di non ritorno.

Aspetti fiscali e contabili nella gestione della crisi debitoria

Affrontare i debiti aziendali comporta anche valutazioni fiscali e contabili importanti, che è bene il debitore conosca per evitare sorprese. Abbiamo già toccato vari aspetti (transazione fiscale, trattamento IVA, tassazione delle sopravvenienze), ma li riassumiamo qui sistematicamente:

  • Remissione dei debiti e tassazione: Se i creditori rinunciano a parte dei loro crediti (ad esempio accettano un saldo e stralcio), dal punto di vista contabile l’azienda registra un provento straordinario (sopravvenienza attiva) pari all’importo condonato. Fiscalmente, tali sopravvenienze attive sarebbero tassabili come reddito, aggravando la situazione dell’azienda risanata. Il legislatore però ha escluso da tassazione le sopravvenienze derivanti da procedure concorsuali e assimilate: non concorrono al reddito i riaggiustamenti di debiti derivanti da concordato preventivo omologato, da accordo di ristrutturazione omologato, né da piano attestato di risanamento pubblicato, e – con l’ultimo correttivo – nemmeno da accordi conclusi nella composizione negoziata . Dunque, se il taglio dei debiti avviene in questi contesti, l’azienda non deve pagare imposte su quell’“utile”. Ciò è cruciale, altrimenti un’azienda che ottiene uno stralcio di 1 milione di euro rischierebbe di dover pagare 240 mila € di IRES su quell’importo, vanificando il risanamento. Attenzione: se invece la remissione avviene al di fuori di tali contesti (es. accordi privati non attestati/omologati), la sopravvenienza sarebbe in teoria imponibile. È preferibile in tali casi valutare se si può rientrare nelle esenzioni, magari pubblicando un piano attestato anche solo per usufruire del beneficio fiscale.
  • Perdite fiscali e ACE: Spesso negli anni di crisi l’azienda accumula perdite di esercizio. Queste perdite potranno tornare utili in futuro in caso di risanamento, come credito d’imposta latente (possono essere portate a nuovo e compensate con futuri utili, nei limiti del 80% del reddito imponibile annuo). Tuttavia, attenzione: se si arriva a concordato o accordo, la normativa in passato prevedeva restrizioni sul riporto delle perdite. Il Codice della crisi ha modificato alcune norme del TUIR, e il D.L. 118/2021 ha reso il regime fiscale neutrale in concordato in continuità (non genera interruzione del periodo d’imposta). Comunque, le perdite pregresse rimangono utilizzabili se la compagine societaria non varia e se la continuità aziendale è conservata, mentre decadono in caso di liquidazione. L’Aiuto alla Crescita Economica (ACE) potrebbe spettare se i soci effettuano nuovi apporti patrimoniali per sostenere il piano di risanamento (deducendo così dal reddito una resa figurativa del capitale fresco).
  • IVA nei casi di crediti inesigibili e debiti falcidiati: Per i fornitori dell’azienda debitrice, c’è il problema simmetrico: se un fornitore ha emesso fattura da 100 + IVA e poi accetta di incassare 50, come recupera l’IVA sui 50 non incassati? La normativa IVA (art. 26 DPR 633/1972) consente al creditore di emettere nota di credito per recuperare l’IVA non incassata in alcune circostanze, tra cui la procedura concorsuale del debitore. Ad esempio, se l’azienda debitrice è ammessa a concordato preventivo, i fornitori possono emettere nota di credito per l’IVA della parte di fattura non pagata, una volta che il concordato è omologato (concordato = procedura concorsuale che permette emissione nota di credito per mancato incasso dovuto ad accertata inesigibilità). La recente modifica del correttivo estende tale facoltà anche agli esiti di composizione negoziata pubblicati : se un accordo in composizione riduce i debiti verso un fornitore, quell’accordo pubblicato nel registro imprese è titolo per nota di credito IVA (il riferimento a art. 26 comma 3-bis DPR 633/72 attiene proprio all’insolvenza del cessionario, e l’inclusione vuol dire considerare la composizione come situazione assimilata alla procedura concorsuale ai fini IVA) . Questo è importante perché rende i fornitori più propensi ad accettare stralci: sanno di recuperare almeno l’IVA su ciò che non incassano. A rovescio, l’azienda debitrice che abbia debiti verso fornitori, in concordato li pagherà al netto dell’IVA rinegoziata (non avrebbe senso pagare IVA per intero su fatture poi non saldate integralmente).
  • Imposte differite e effetti di bilancio: Quando si tagliano debiti, l’azienda potrebbe generare in bilancio un utile straordinario. Bisogna riflettere se quell’utile può far scattare obblighi particolari: ad esempio, se abbatte perdite pregresse, potenzialmente la società torna in utile e potrebbe dover pagare imposte. Tuttavia, come detto, molte di queste sopravvenienze non sono imponibili per norme speciali. Inoltre, in bilancio IFRS o OIC, la riduzione di debito va contabilizzata con contropartita economica nell’anno in cui giuridicamente avviene (omologa o accordo definitivo). Le imposte differite possono emergere se c’è sfasamento tra valori civilistici e fiscali, ma i principi contabili nazionali ricalcano abbastanza la fiscalità in questi casi.
  • Trattamento fiscale dei costi della procedura: I costi pagati per consulenze, compensi dell’esperto, del commissario ecc., in genere sono deducibili come costi d’esercizio (essendo spese per ristrutturazione aziendale). Spesso però questi costi ricadono in anni dove l’azienda è in perdita, quindi il beneficio fiscale immediato è scarso (ma genera perdite fiscali utilizzabili poi).
  • Aspetti IVA dei concordati: Le operazioni compiute durante il concordato in continuità seguono il regime normale (es. l’IVA sulle vendite va versata, l’IVA sugli acquisti è detraibile, etc.). Durante il concordato liquidatorio, invece, il curatore/commissario potrebbe avere regimi particolari per vendite di beni (ad es., vendite fallimentari immobiliari hanno spesso esenzione IVA con registro a carico acquirente, a seconda del bene). Tuttavia, per l’azienda debitrice ciò esce un po’ dall’ambito di difesa, è più gestione della procedura.
  • Rottamazione e piani fiscali agevolati durante procedure: Se l’azienda è in concordato o accordo omologato, può aderire a eventuali definizioni agevolate? Sì, l’essere in procedura non preclude, ad esempio, di presentare domanda di rottamazione per carichi inclusi (anzi, potrebbe essere parte del piano aver considerato quella opzione). L’aderire a una rottamazione in corso di composizione negoziata o concordato, però, va calibrato: bisogna assicurarsi di rispettare le scadenze, altrimenti la decadenza peggiora la situazione (la Cassazione 4081/2023 citata appunto trattava di decadenza da un piano rateale antecedente che fu sospeso per concordato e la decadenza fu annullata) . Quindi se c’è una rottamazione in atto e si accede a concordato, conviene avvisare il tribunale così che autorizzi di sospendere i pagamenti se necessario, senza decadere dal beneficio, in analogia a quel principio.

In chiusura di questa sezione, ribadiamo che il coinvolgimento del commercialista e del fiscalista è essenziale sin dall’inizio della gestione della crisi. A volte si può ottenere risparmi significativi grazie al fisco: ad esempio, utilizzando crediti d’imposta disponibili in compensazione per pagare debiti tributari (ad es., crediti IVA o crediti da bonus), oppure beneficiando delle esenzioni sopra citate.

Domande frequenti (FAQ) sulla difesa dell’azienda debitrice

D: Cosa si intende esattamente per “stato di crisi” e “stato di insolvenza”?
R: Il Codice della crisi definisce “crisi” una situazione di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza, e “insolvenza” lo stato del debitore che non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. In pratica, la crisi è uno stadio iniziale (es. tensione di liquidità, indici di bilancio negativi) in cui però l’impresa potrebbe ancora risanarsi, mentre l’insolvenza è la conclamata incapacità di pagare i debiti alle scadenze (es. pignoramenti subiti, utili inesistenti, esposizioni scadute cronicamente). La crisi è il momento giusto per attivarsi: la composizione negoziata può essere avviata già in pre-crisi quando ci sono squilibri che rendono probabile l’insolvenza futura . L’insolvenza invece fa scattare tipicamente le procedure concorsuali liquidative (concordato o fallimento). Riconoscere la differenza è importante: se un’impresa è solo in crisi ma non ancora insolvente, ha accesso a strumenti di allerta e risanamento più efficaci; se è insolvente, l’obiettivo diventa evitare il fallimento con un concordato o una liquidazione guidata.

D: L’azienda ha ricevuto un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo da una banca e pignoramenti dai fornitori: come posso fermarli?
R: Se la tua azienda è già oggetto di esecuzioni, l’unico modo legale per sospendere tutte le azioni esecutive contemporaneamente è ottenere delle misure protettive tramite una procedura concorsuale. Ci sono principalmente due strade: depositare un ricorso per concordato preventivo (anche con riserva) oppure avviare la composizione negoziata della crisi e contestualmente chiedere al tribunale le misure protettive. Entrambe le strade, dal momento dell’ammissione, bloccano i pignoramenti. Nel caso del concordato, la presentazione del ricorso genera l’automatic stay ex lege (art. 54 CCII). Nel caso della composizione negoziata, devi presentare un’istanza e, una volta che il tribunale la accoglie (la domanda di misure protettive viene pubblicata con accettazione dell’esperto ), nessun creditore può iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari per tutto il periodo di protezione. Ciò include anche le banche e le finanziarie . Quindi, per fermare quel pignoramento della banca, potresti depositare subito ricorso di concordato in bianco: il giudice delegato nominerà un commissario e sospenderà l’esecuzione. In alternativa, se preferisci prima trattare, chiedi composizione negoziata e fai domanda di misure protettive: entro pochi giorni dalla pubblicazione, anche la banca dovrà fermare il pignoramento in corso. Tieni però presente che queste misure sono temporanee (in composizione durano inizialmente fino a 4 mesi salvo proroga , nel concordato durano fino all’omologa o alla revoca della procedura). Sono strumenti difensivi per dare respiro e negoziare.

D: Posso essere costretto a vendere la casa o i miei beni personali per pagare i debiti della mia azienda?
R: Dipende dalla forma giuridica dell’azienda e dalle garanzie personali prestate. Se operi tramite una società di capitali (S.r.l., S.p.A.) i debiti sociali di regola non ricadono sul patrimonio personale dei soci o amministratori. Tuttavia, molte banche o fornitori chiedono fideiussioni personali: se le hai firmate, allora , i creditori possono agire anche sul tuo patrimonio personale (casa, conto bancario personale) indipendentemente dalla società. Inoltre, se sei un imprenditore individuale o società di persone (S.n.c. o socio accomandatario di S.a.s.), rispondi illimitatamente con tutti i tuoi beni per i debiti dell’impresa: in tal caso la separazione non esiste e la casa può essere pignorata da creditori aziendali. Quindi, verifica la tua situazione: se sei socio di S.r.l. senza garanzie prestate, i creditori possono colpire solo i beni societari (macchinari, conti aziendali, immobili intestati alla società) ma non la tua casa personale, a meno che… tu abbia commesso irregolarità gravi (ad esempio distrazione di beni sociali: in caso di fallimento, il curatore potrebbe agire contro di te). Se invece la tua casa è ipotecata per un finanziamento aziendale (cosa comune, se hai dato un’ipoteca su casa tua come garanzia), allora la banca potrà escutere quell’ipoteca. In sintesi: no, non possono costringerti a vendere la casa per pagare debiti sociali se c’è separazione patrimoniale e non hai dato garanzie. Ma in molti casi pratici, l’imprenditore ha mescolato garanzie personali al credito aziendale. In quel caso, dovresti considerare anche la tua posizione personale nelle strategie: ad esempio, se la società va in concordato ma tu hai fideiussioni, i creditori poi attaccheranno te per la parte non pagata dal concordato (le fideiussioni non sono automaticamente comprese). Serve spesso negoziare contestualmente una soluzione anche per i garanti (ad es. prevedere che i creditori rinuncino ad escutere i garanti se incassano la percentuale concordataria).

D: L’azienda non riesce a pagare le imposte e l’IVA: rischio conseguenze penali?
R: Alcuni omessi pagamenti di imposte possono avere rilevanza penale se superano certe soglie. In particolare: l’omesso versamento di IVA superiore a €250.000 per anno e l’omesso versamento di ritenute certificate (quelle trattenute ai dipendenti, collaboratori) oltre €150.000 per anno, costituiscono reato tributario (punito con la reclusione, art. 10-bis e 10-ter D.Lgs. 74/2000). Analogamente, anche l’emissione di fatture false, occultamento di scritture contabili e altri fenomeni di frode sono reati. Quindi se la tua azienda ha accumulato debiti IVA cospicui o non ha versato ritenute, potresti – come legale rappresentante – essere esposto penalmente. Tuttavia, esistono modi per evitare la sanzione penale: in caso di omesso versamento IVA o ritenute, la legge consente di ravvedersi pagando il dovuto (anche tardivamente) prima che inizi un accertamento o comunque entro la scadenza della dichiarazione annuale successiva, per evitare il reato. Se ciò non è più possibile, un’ancora di salvezza è che, se la tua azienda presenta domanda di concordato preventivo prima dell’apertura del dibattimento nel processo penale, e poi esegue integralmente il concordato pagando anche almeno il 10% dei debiti IVA/ritenute (o il 30% se ricavi prevalenti > 2M€), questo causa l’estinzione del reato . Questo meccanismo (introdotto dal D.Lgs. 118/2021) incentiva l’azienda a regolarizzare la posizione fiscale attraverso un concordato anziché lasciare un buco. Quindi, in ottica difensiva: per evitare conseguenze penali, il miglior modo è includere i debiti fiscali in un piano di ristrutturazione e pagarne almeno una parte significativa. Se invece non fai nulla e fallisci, i reati rimangono e verresti perseguito. L’avvio della composizione negoziata o l’accordo col fisco in transazione mostrano quantomeno la volontà di rimediare, ma formalmente non estinguono il reato finché il debito non è pagato nelle percentuali dette.

D: La banca ha revocato i fidi e vuole rientrare subito, causando il collasso della liquidità. Posso obbligarla a ripristinare il credito?
R: Non esiste un modo per costringere contrattualmente una banca a mantenere aperte linee di fido revocabili, se queste erano a suo favore discrezione (di solito nei contratti di conto corrente con affidamento c’è la clausola che la banca può recedere in qualsiasi momento). Tuttavia, grazie alle misure protettive in composizione negoziata, puoi ottenere che la banca non revochi (o sospenda gli effetti della revoca) durante la trattativa . Il nuovo art. 18 CCII, come modificato, prevede espressamente che con le misure protettive le banche non possono revocare le linee di credito già concesse, né ridurne l’importo utilizzabile . Quindi, se la tua banca ti ha inviato revoca fidi con preavviso di 30 giorni, tu nel frattempo attivi la composizione negoziata e ottieni la misura protettiva che copre quella banca: a quel punto, per legge, la banca deve mantenere operativa la linea fino a fine periodo protetto (non può ridurre gli affidamenti erogati). Vi è però una piccola eccezione: se la revoca è imposta dalla normativa di vigilanza (cioè se tenere aperto il fido violerebbe gli obblighi prudenziali della banca, ad es. la posizione è incagliata e le regole interne impongono sospensione), allora la banca può sospendere motivando che è per disciplina prudenziale . Ma non può dire “revoco perché non credo nel piano” durante le misure protettive. Inoltre, l’art. 22 CCII consente al tribunale, su tuo ricorso, di autorizzare accordi con banche per la riattivazione di linee di credito sospese, garantendo loro pre-deduzione (priorità di rimborso) . Dunque c’è margine per convincere la banca a ripristinare il fido se ciò serve a tutti per superare la crisi, offrendole tutela nel caso la cosa andasse male successivamente. Riassumendo: se la banca ti taglia i fondi, reagisci subito con uno strumento di regolazione della crisi. Contrattualmente non hai potere, ma legalmente con la procedura puoi bloccare la revoca per qualche tempo e negoziare.

D: Qual è la differenza tra concordato preventivo e fallimento (liquidazione giudiziale) per quanto riguarda i debiti residui?
R: Nel concordato preventivo, una volta omologato e poi eseguito, l’azienda esce dalla procedura avendo pagato quanto stabilito e i creditori non possono avanzare altre pretese per la parte falcidiata (rinunciano a quella quota). La società di solito prosegue la sua esistenza (specie se era in continuità). Nel fallimento (liquidazione giudiziale), invece, alla fine della procedura la società viene cancellata e cessata; se qualcosa dei debiti rimane insoddisfatto (di solito molto rimane), i creditori non possono più chiederlo alla società perché essa non esiste più, ma potrebbero rivalersi su eventuali co-obbligati (es. fideiussori, soci responsabili). In entrambi i casi, dunque, i creditori subiscono una perdita. La differenza sostanziale è per il debitore persona fisica: dopo il fallimento può chiedere l’esdebitazione e liberarsi da tutti i debiti rimasti , mentre nel concordato preventivo tale istituto non serve perché la liberazione è conseguenza stessa dell’accordo omologato e adempiuto. Un’altra differenza: nel concordato c’è un controllo dei creditori sul piano e devono votare sì; nel fallimento i creditori non votano su nulla (subiscono passivamente la liquidazione secondo la legge). Quindi, se sei imprenditore, nel concordato hai la chance di negoziare attivamente il taglio dei tuoi debiti, nel fallimento subisci la liquidazione decisa dal curatore e ottieni solo l’eventuale beneficio dell’esdebitazione (se persona fisica). Inoltre, nel concordato potresti salvare l’attività (se in continuità) mentre nel fallimento di norma no (a meno di vendita dell’azienda a terzi). Per sintetizzare: concordato = soluzione guidata dal debitore con accordo dei creditori, che risolve definitivamente la situazione debitoria con un piano; fallimento = soluzione imposta, liquidatoria, dove il debitore perde tutto e i creditori prendono il possibile, dopodiché la società sparisce e il debitore persona fisica può ripartire da zero ma avendo perso l’impresa.

D: Quanto tempo ci vuole per risolvere la situazione debitoria con queste procedure?
R: I tempi variano secondo lo strumento scelto e la complessità del caso. Indicativamente: – Una composizione negoziata dura al massimo 6 mesi prorogabili di altri 6 (quindi fino a 1 anno) . Può darsi che in meno tempo già trovi una soluzione (alcune composizioni si chiudono in 3-4 mesi con un accordo). Se poi sfocia in un concordato o accordo, andrà considerato il tempo di quelle fasi successive. – Un accordo di ristrutturazione standard richiede il tempo per raccogliere le adesioni e poi l’omologazione. Raccogliere le firme può richiedere da poche settimane a qualche mese, a seconda di quante parti coinvolte e di quante trattative bilaterali servono. L’omologazione giudiziale di solito è piuttosto veloce rispetto al concordato: la legge prevede che il tribunale decide entro 4 mesi dal deposito (salvo proroghe). Quindi diciamo in 6-8 mesi si può chiudere, a volte meno. – Un concordato preventivo è più lungo: dalla presentazione alla omologa spesso passano tra 6 e 12 mesi. Ci sono termini: 60-120 giorni per presentare il piano se hai presentato ricorso in bianco; poi il tribunale fissa l’adunanza dei creditori di solito 60-90 giorni dopo il decreto di ammissione; poi i creditori votano, c’è il tempo legale per eventuali adesioni tardive (20 giorni), poi eventuali opposizioni e l’omologa. In pratica, tempi medi nazionali sono intorno a 8-10 mesi. Se il concordato è molto complesso (grande azienda con molti creditori) può sforare un anno. Durante questo tempo l’impresa opera sotto tutela ma con limitazioni. – Un fallimento/liquidazione giudiziale è notoriamente la più lunga: dipende dall’attivo da liquidare. Potrebbe durare da 1-2 anni per casi semplici, fino a 5-6 (o oltre, se contenziosi) per casi complicati. Mediamente in Italia i fallimenti durano circa 5-7 anni per chiudersi del tutto. Ci possono essere riparti parziali nel frattempo. Dunque dal punto di vista del creditore è la più lenta, dal punto di vista del debitore, lui perde subito l’azienda, ma la definizione finale (ad es. ottenere esdebitazione) arriva solo a procedura finita, quindi anni.

Quindi, se vuoi risolvere rapidamente: composizione negoziata o accordo stragiudiziale sono i più veloci, il concordato è intermedio, il fallimento è il più lento e incerto (ma lì tu saresti fuori gioco comunque). Naturalmente, la preparazione di un buon piano di risanamento richiede comunque qualche mese di analisi. Agire d’anticipo è sempre preferibile.

D: La mia azienda è molto piccola, con meno di 5 dipendenti e 200k € di fatturato; so che prima non era “fallibile”. Cosa cambia per me?
R: Le piccolissime imprese (sotto certi parametri di attivo <300k, ricavi <200k, debiti <500k, secondo l’art. 2 CCII) sono escluse dalla liquidazione giudiziale (fallimento). Questo non significa che non abbiano strumenti: in caso di insolvenza, per loro c’è la liquidazione controllata del sovraindebitato. In passato c’era la “legge 3/2012” che offriva procedure di esdebitazione, ora quelle sono incorporate nel Codice della crisi. Se la tua azienda individuale o società non fallibile ha troppi debiti, puoi comunque: – accedere alla composizione negoziata (vale per tutte le imprese, anche minime, e anzi il correttivo ha allineato le regole per imprese sotto-soglia ai fini degli esiti possibili) ; – proporre un concordato minore (art. 74 CCII), che è una versione semplificata del concordato per debitori minori, con regole simili ai vecchi piani del consumatore; – oppure, se non vuoi o non puoi fare un piano, subire (o richiedere tu stesso) la liquidazione controllata dei tuoi beni. In tal caso, un liquidatore nominato venderà i beni e distribuirà il ricavato. Tu come persona fisica potrai ottenere l’esdebitazione anche se i creditori non sono pagati per intero, purché la tua insolvenza non sia dovuta a frodi o colpa grave. Inoltre, per il sovraindebitato c’è l’istituto di esdebitazione “di incapiente” (art. 282 CCII) dove il debitore persona fisica senza patrimonio può essere liberato dai debiti immediatamente dietro prova del comportamento meritevole e pagando quel poco che può nei 4 anni successivi. Questo vale se, ad esempio, un piccolo imprenditore ha chiuso l’attività e non possiede nulla: può avere un fresh start.
Quindi, per il piccolo imprenditore: non rischi il “fallimento” classico, ma hai procedure dedicate. Non potendo essere dichiarato fallito, i creditori non possono neanche farti azioni esecutive indiscriminate se attivi tu per primo queste procedure. Conviene rivolgerti all’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) presso la Camera di Commercio o l’Ordine dei commercialisti locale per valutare un concordato minore o la liquidazione controllata. Il concordato minore richiede di pagare almeno il 20% ai chirografari (salvo casi particolari), come il concordato ordinario se liquidatorio.

D: I fornitori non mi consegnano più materiale a causa di fatture arretrate. Come posso convincerli a continuare a rifornirmi mentre risolvo la crisi?
R: Questa è una situazione comune: la crisi di liquidità blocca l’accesso alle forniture, mettendo a rischio la continuità operativa. Alcuni strumenti utili: – Nel contesto di una composizione negoziata, puoi individuare i contratti di fornitura essenziali e chiedere al tribunale di autorizzarti a pagarli in prededuzione o a escludere la risoluzione. In generale, l’art. 19 CCII prevede che, se hai ottenuto misure protettive, i creditori non possono sospendere o sciogliere unilateralmente contratti in corso (come forniture periodiche) per inadempienze pregresse . Quindi se il fornitore minaccia di interrompere la fornitura perché hai arretrati, ma tu sei in composizione negoziata con protezione, egli non può risolvere il contratto per quei vecchi mancati pagamenti. Questo ti dà un appiglio legale per pretendere la continuazione (dovrai però pagare regolarmente le forniture correnti). Similmente, nel concordato con continuità, puoi chiedere al tribunale di obbligare i contraenti a rispettare i contratti pendenti. – Puoi anche offrire ai fornitori garanzie di rango superiore per le forniture nuove: ad esempio, pagamenti in contanti all’ordine o con acconti garantiti da escrow, oppure far autorizzare dal giudice quei pagamenti correnti come prededucibili (così il fornitore sa che verrà pagato prima degli altri crediti, anche se entri in procedura). Nel concordato o accordo, i crediti dei fornitori per beni/servizi forniti durante la procedura sono prededucibili di legge, e ciò va comunicato loro. – Dal punto di vista pratico, attiva una comunicazione onesta: spiega che stai predisponendo un piano di ristrutturazione, magari mostrando la presenza dell’esperto o l’ammissione al concordato. I fornitori spesso se vedono serietà e prospettiva di recuperare qualcosa sul vecchio, preferiscono mantenere il cliente. Potresti proporre: “Continuate a fornirmi, vi pago il nuovo regolarmente in contanti, e per il vecchio credito vi includo nel piano che sto preparando col X% di soddisfo”. Se dici ciò dopo aver depositato un concordato, hanno la certezza che non puoi deviare da quel piano (se omologato). In estrema sintesi: la legge tutela la continuità aziendale prevedendo che i fornitori essenziali non possano interrompere la fornitura solo per debiti pregressi, durante la fase protetta . Usa quella norma a tuo favore, avvisando il fornitore che è tenuto a rispettare il contratto (chiaro, se non c’è un contratto scritto di fornitura continuativa potrebbe essere più una moral suasion che un obbligo). Al contempo, rassicuralo pagandolo per il corrente e includendolo equamente nel piano di rientro.

D: Se riesco a far approvare un concordato o un accordo, la mia azienda sarà “pulita” dai debiti? Potrò ottenere nuovi fidi in futuro o rimarrò marchiato?
R: Una volta eseguito con successo un concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione, l’azienda risulta liberata dai debiti residui antecedenti (tranne eventuali esclusi volontariamente, ma in genere li include tutti). Legalmente, quei creditori non possono più avanzare pretese oltre quanto ricevuto. L’azienda può quindi ripartire con una struttura patrimoniale bonificata. Dal punto di vista pratico, la reputazione creditizia può però restare temporaneamente compromessa: – Le banche e le centrali rischi segnalano la sofferenza passata; tuttavia, se la ristrutturazione riesce, con il tempo (qualche anno di bilanci positivi) l’azienda può riacquistare fiducia. Nelle linee guida, molte banche considerano un concordato eseguito come un fatto negativo storico ma superato, e dopo qualche anno di rapporti regolari possono tornare a concedere credito, specie se la compagine sociale o la gestione è cambiata in meglio. – I fornitori potrebbero richiedere pagamenti anticipati per un po’ e assicurazioni (es. assicurazione crediti). Sta a te ricostruire la credibilità, onorando scrupolosamente i nuovi impegni. Spesso, le stesse aziende dopo un concordato operano per un periodo solo su basi di cassa (pagando tutto alla consegna) fino a che i partner non ridanno fiducia. – Dal punto di vista legale, sì: l’effetto esdebitatorio del concordato omologato adempiuto è che i creditori chirografari perdono la parte falcidiata definitivamente e i privilegiati eventualmente falcidiati pure (non possono pretendere differenze). Quindi l’azienda è “pulita”. Nel caso di accordo di ristrutturazione, è simile: l’accordo omologato ha forza di legge tra le parti, e se prevedeva stralci, quelli sono definitivi. Attenzione: se poi l’azienda non rispetta l’accordo o il piano di concordato, allora si torna al punto di partenza e magari finisce peggio (risoluzione del concordato e fallimento). Ma supponendo che tutto vada bene. Per i rapporti post, ci sono anche normative di sollievo: ad esempio, un’azienda che ha subito una procedura concorsuale non è per sempre esclusa da appalti pubblici; la legge permette di attestare il “risanamento” e tornare a concorrere. Quindi, l’ordinamento riconosce la seconda chance. In conclusione, sì, dopo l’omologa e ancor più dopo l’esecuzione completa del piano di risanamento, la tua azienda potrà dirsi liberata dai vecchi debiti ed essere nuovamente affidabile. Sarà compito tuo e dei tuoi successi imprenditoriali dimostrare al mercato che la crisi è superata e che l’azienda è tornata solida. Spesso, in questi casi, il fattore umano conta: se nel frattempo hai coinvolto un nuovo socio investitore, o hai cambiato management, segnali così una discontinuità che banche e partner apprezzano. Anche certificazioni di bilancio da parte di revisori, e il rispetto pieno di tutti i nuovi impegni fiscali e contributivi, aiuteranno. In altre parole, non resterai marchiato a vita (non c’è un casellario per aziende), ma la fiducia va riguadagnata sul campo.

Conclusioni: difendersi dai debiti è possibile, con strategia e tempestività

Affrontare una situazione di indebitamento grave può sembrare un compito schiacciante per l’imprenditore, ma la legislazione attuale offre una serie di strumenti sofisticati per farlo in modo ordinato e persino incentivato. La chiave di successo sta nella tempestività: prima si agisce, più opzioni sono sul tavolo. Un’azienda di tenute e paraoli in difficoltà dovrebbe anzitutto analizzare con l’aiuto di professionisti la propria situazione finanziaria, quindi scegliere la strada più adatta – iniziando magari con negoziazioni assistite in composizione negoziata, e tenendo in riserva l’opzione del concordato se serve un intervento più deciso.

Dal punto di vista pratico: – Non isolarsi: comunicare con i creditori, mostrare un atteggiamento collaborativo e trasparente. Spesso i creditori preferiscono trovare un accordo (anche se comporta rinunce) piuttosto che spingere un’impresa alla rovina e recuperare poco o nulla. Il nuovo codice incoraggia anche i creditori finanziari ad avere un comportamento corretto in trattativa, e sanziona l’inerzia col rischio poi di preclusioni. – Farsi assistere da esperti: la materia è complessa (lo dimostra la lunghezza di questa guida!). Commercialisti, avvocati d’affari, advisor finanziari sono figure cruciali per valutare la fattibilità di un piano di rientro e per condurre efficacemente le trattative. Inoltre, alcune procedure richiedono obbligatoriamente il loro coinvolgimento (attestatore, esperto della composizione). Anche interfacciarsi con il sistema bancario per ristrutturare i debiti è più efficiente se si hanno advisor che parlano la stessa lingua delle banche. – Considerare l’impatto di ogni scelta: ad esempio, preferire un accordo extragiudiziale a un concordato perché “più discreto” potrebbe ritorcersi contro se poi pochi creditori lo rispettano e la situazione degenera ulteriormente. All’opposto, lanciare subito un concordato senza aver sondato i creditori potrebbe portare a un voto negativo. Quindi la strategia spesso è progressiva: sondaggio informale -> composizione negoziata -> se c’è sufficiente consenso, accordo; se non c’è ma l’azienda è salvabile, concordato; se l’azienda non è salvabile, concordato liquidatorio o liquidazione controllata piuttosto che caos. – Moratorie fiscali e previdenziali: ricordarsi sempre di verificare se normative temporanee offrono scorciatoie (es. definizioni agevolate). Per esempio, nel 2023-2024 si sono avute la rottamazione-quater e stralcio mini-debiti: un’azienda in crisi poteva ridurre drasticamente la propria esposizione col fisco aderendo a queste misure. Integrare queste opportunità in un piano è segno di abilità: un creditore pubblico acconsente più volentieri a una transazione se vede che hai già aderito a rottamare ciò che potevi. – Tutela dell’imprenditore onesto: la legge oggi tutela chi dimostra correttezza. Se l’imprenditore adempie agli obblighi di allerta (per esempio nomina subito l’esperto in composizione appena scattano gli indizi di crisi) e non compie atti dissipativi, difficilmente subirà sanzioni personali. Anzi, se malgrado gli sforzi la situazione degenererà in liquidazione giudiziale, potrà ottenere l’esdebitazione e non verrà punito per la sfortuna imprenditoriale. Viceversa, chi tenta di fare il furbo (occultare beni, pagare solo gli amici, frodare il fisco) finirà quasi certamente per aggravare la propria posizione – i creditori non faranno sconti e i giudici nemmeno, potendo anche negare i benefici (ad es. l’esdebitazione è negata a chi ha tenuto comportamenti dolosi). – Soluzioni creative: a volte, salvare l’azienda dai debiti significa trasformare il debito in qualcos’altro: per esempio, convincere i creditori a diventare soci (debt-to-equity swap), oppure cedere asset non core per abbattere esposizioni (vendere un ramo d’azienda sano per fare cassa e pagare debiti). Queste operazioni sono facilitabili dentro una cornice negoziale o concordataria. Quindi non pensare solo in termini di “quanto pago su 100 di debito”, ma anche “posso offrire in cambio qualcosa di diverso dal denaro?” (quote, azioni, beni). Certi fornitori possono accettare macchinari o scorte in pagamento, le banche potrebbero gradire immobili. L’importante è che tutto sia valutato e, se in procedura, attuato rispettando la par condicio (ad esempio con perizie sul valore dei beni dati in pagamento).

In definitiva, difendersi dai debiti non significa sfuggire alle proprie responsabilità, ma anzi affrontarle di petto con gli strumenti giuridici predisposti e con il supporto di figure esperte. Da quanto esposto emerge un messaggio di fondo: la legge non vuole più che il fallimento sia la fine inevitabile, bensì l’extrema ratio quando ogni altra via è impercorribile. Vi sono costanti incentivi al risanamento e alla continuazione, perché è interesse di tutti – debitori, creditori, lavoratori, Stato – che le imprese economicamente sostenibili non spariscano per mere difficoltà finanziarie transitorie.

Un’azienda specializzata in tenute e paraoli, con il suo know-how e le sue maestranze, rappresenta un valore economico e sociale: se il mercato di riferimento è ancora promettente, vale la pena tentare tutte le soluzioni per salvarla dai debiti. Questa guida, con oltre 10.000 parole di approfondimento, ha voluto fornire gli strumenti conoscitivi per intraprendere quel percorso di salvataggio in modo consapevole, aggiornato alle ultime norme e sentenze. Il debitore informato è un debitore più forte, capace di difendersi e, auspicabilmente, di tornare prosperare lasciandosi la crisi alle spalle.

Fonti normative e giurisprudenziali (aggiornate a ottobre 2025)

Normativa di riferimento:
– Decreto Legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), come modificato dai successivi decreti correttivi (D.Lgs. 147/2020, D.Lgs. 83/2022, D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024).
– Decreto Legge 24 agosto 2021, n. 118 conv. in L. 147/2021 – Misure urgenti in materia di crisi d’impresa e risanamento aziendale (ha introdotto composizione negoziata).
– Direttiva UE 2019/1023 sulla ristrutturazione e insolvenza, recepita nel CCII (principi generali).
– Codice Civile italiano – artt. 2446-2447, 2486 (obblighi in perdita capitale e responsabilità amministratori in crisi); artt. 2740, 2741 (responsabilità patrimoniale e par condicio); privileghi mobiliari e immobiliari (artt. 2751-bis, 2777 c.c. etc.).
– Testo Unico Bancario (D.Lgs. 385/1993) – art. 41 comma 2 (credito fondiario e privilegio processuale per le banche) .
– Legge Fallimentare 1942, R.D. 267/1942 (abrogata dal CCII ma rilevante per situazioni pregresse e interpretazioni di principio).
– D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 – art. 19 (rateazione cartelle esattoriali).
– D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 – TUIR, art. 88 comma 4-ter e art. 101 comma 5 (sopravvenienze attive da concordato/accordo non imponibili; perdite deducibili) .
– D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 – Decreto IVA, art. 26 (note di credito IVA in caso di procedure concorsuali, esteso a composizione negoziata) .
– D.Lgs. 74/2000 – artt. 10-bis e 10-ter (omesso versamento tributi come reato); art. 13 (cause di non punibilità per pagamento integrale del debito tributario).
– Codice Penale – artt. 216, 217 R.D. 267/42 (reati di bancarotta, ora richiamati nel CCII).

Principali sentenze giurisprudenziali citate:
Cass., Sez. I civ., 15 maggio 2023, n. 13154: in tema di accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis L.F., ha stabilito che la relazione dell’attestatore deve verificare specificamente l’idoneità dell’accordo a garantire il pagamento integrale dei creditori estranei contrattualizzati (cioè anche di quelli non aderenti ma con accordi bilaterali) .
Cass., Sez. V trib., 29 novembre 2023, n. 33303: ha dichiarato cessata la materia del contendere in un giudizio tributario quando, nelle more del ricorso per cassazione, è intervenuta l’omologazione di un accordo di ristrutturazione con transazione fiscale ex art. 182-ter L.Fall., che ha di fatto definito il debito oggetto di lite .
Cass., Sez. I civ., 19 agosto 2024, n. 22914: ha confermato che il privilegio processuale fondiario ex art. 41 TUB si applica anche alle nuove procedure: sia in liquidazione giudiziale (ex fallimento) che in liquidazione controllata del sovraindebitato . La pronuncia richiama la disposizione del CCII (art. 150 e art. 270 co.5) che sostituisce i termini “fallimento” con “liquidazione giudiziale” in tutte le norme vigenti, includendo l’art. 41 TUB .
Cass., Sez. I civ., 17 dicembre 2024, n. 32996: (richiamata in dottrina, v. Diritto Bancario 3/2/2025) sul destino degli accordi di ristrutturazione omologati in caso di successivo fallimento: ha affermato che l’apertura della liquidazione giudiziale risolve l’accordo e i creditori aderenti possono insinuarsi al passivo solo per la parte di credito non ancora ricevuta secondo l’accordo omologato, senza poter reclamare l’intero originario (principio di continuità degli effetti dell’accordo fino alla risoluzione) .
Cass., Sez. Unite civ., 9 febbraio 2023, n. 4081: (ordinanza) ha ribadito che dal momento della presentazione di una domanda di concordato preventivo il debitore è in regime di protezione: gli atti di pagamento di debiti fiscali scaduti senza autorizzazione del tribunale non sono consentiti, perciò il debitore non decade da un piano di rateizzazione fiscale per il solo fatto di aver sospeso i pagamenti dopo il deposito della domanda di concordato . Conseguentemente, sono illegittime le sanzioni e la decadenza comminate dal Fisco per il mancato pagamento in pendenza di concordato.
Corte d’Appello di Lecce, 26 marzo 2025: ha statuito che nel concordato semplificato per la liquidazione (art. 25-sexies CCII) è ammissibile la falcidia dei debiti tributari anche in assenza di una specifica transazione fiscale, purché sia garantito il rispetto della causa di prelazione e della convenienza rispetto alla liquidazione . Ciò colma un vuoto normativo del concordato semplificato, chiarendo che anche IVA e tributi possono essere stralciati se il piano lo richiede e conviene ai creditori.
Corte d’Appello di Milano, 25 maggio 2025: (menzionata da Unijuris) ha applicato retroattivamente il principio del cram-down fiscale introdotto dal D.Lgs. 136/2024 anche a concordati in continuità aperti prima della riforma, ritenendo che il tribunale possa omologare forzosamente il concordato nonostante voto contrario di Fisco/INPS, se il piano è in continuità e soddisfa le condizioni di legge (estensione analogica della nuova norma) .
Tribunale di Forlì, 14 agosto 2025: (Unijuris) ha ritenuto ammissibile in un accordo di ristrutturazione ex art. 63 CCII una transazione fiscale che preveda lo stralcio anche di crediti tributari locali (es. IMU), purché l’ente locale abbia stipulato separato accordo col debitore. Ciò conferma la possibilità di inserire nel perimetro dell’accordo anche crediti di enti diversi da Agenzia Entrate, coordinando più tavoli negoziali .

La tua azienda che produce, assembla o distribuisce tenute meccaniche, paraoli, guarnizioni, O-ring, ring di tenuta, sistemi di tenuta per pompe, motori, compressori, riduttori e macchine industriali si trova in difficoltà a causa dei debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai debiti verso Agenzia delle Entrate, INPS, banche, fornitori, leasing o Agenzia Entrate-Riscossione?
Stai ricevendo solleciti, richieste di rientro, decreti ingiuntivi, sospensioni delle forniture o minacce di pignoramento?

Il settore delle tenute e dei paraoli è estremamente tecnico: richiede stampi, lavorazioni di precisione, elastomeri speciali (NBR, FKM, EPDM, PTFE), molle, metalli, test funzionali, tolleranze strette, logistica stabile e rapporti continui con pompe, motoristi, costruttori di macchine e impianti industriali.
Basta un ritardo nei pagamenti dei clienti, un aumento dei costi delle materie prime o una riduzione delle linee di credito per trasformare una normale tensione finanziaria in una crisi vera e propria.

La buona notizia?
La tua azienda può essere salvata, protetta e rilanciata, se intervieni con una strategia mirata.


Perché un’Azienda di Tenute e Paraoli Finisce in Debito

Le cause più frequenti includono:

  • aumento dei costi di elastomeri, acciai, PTFE, molle e componentistica
  • approvvigionamenti con pagamenti anticipati (Italia/Europa/Asia)
  • ritardi nei pagamenti da parte di OEM, distributori e industrie meccaniche
  • magazzino immobilizzato tra tenute finite, paraoli, guarnizioni e semilavorati
  • costi elevati per stampi, prototipi, test di tenuta e certificazioni
  • riduzione o revoca dei fidi bancari
  • investimenti in nuove serie, materiali speciali e standard internazionali
  • progetti custom con tempi lunghi e incassi posticipati

Non è quasi mai la mancanza di ordini, ma la mancanza di liquidità immediata a generare debiti e crisi.


I Rischi per un’Azienda di Tenute e Paraoli con Debiti

Se non intervieni subito puoi subire:

  • pignoramento dei conti correnti aziendali
  • blocco dei fidi e degli affidamenti bancari
  • sospensione delle forniture di elastomeri, stampi, molle e componentistica critica
  • decreti ingiuntivi, precetti e azioni esecutive
  • sequestro del magazzino e dei macchinari
  • fermo della produzione e perdita di ordini
  • perdita dei principali clienti e dei contratti ricorrenti
  • rischio di fermo totale dell’attività

Una crisi di debito non gestita può bloccare produzione e logistica in pochissimo tempo.


Cosa Fare Subito per Difendersi

Bloccare immediatamente i creditori

Con il supporto di un avvocato specializzato puoi:

  • sospendere pignoramenti già avviati
  • bloccare richieste di rientro da banche e finanziarie
  • proteggere i conti correnti aziendali
  • contenere i fornitori più aggressivi

Prima si mette in sicurezza l’azienda, poi si costruisce la ristrutturazione.


Analizzare i debiti ed eliminare ciò che non è dovuto

Spesso emergono:

  • interessi non dovuti o usurari
  • sanzioni e more errate
  • importi duplicati
  • debiti prescritti
  • errori della Riscossione
  • costi bancari irregolari

Una parte consistente del debito può essere ridotta o cancellata.


Ristrutturare i debiti con piani sostenibili

Strumenti concreti:

  • rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
  • accordi di rientro con fornitori strategici (elastomeri, stampi, molle, meccanica)
  • rinegoziazione di fidi e finanziamenti
  • sospensioni temporanee dei pagamenti più pesanti
  • utilizzo delle definizioni agevolate, quando disponibili

Obiettivo: recuperare liquidità senza fermare la produzione.


Attivare strumenti legali che proteggono l’impresa

Nelle situazioni più gravi si può ricorrere a:

  • PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
  • accordi di ristrutturazione dei debiti
  • concordato minore
  • liquidazione controllata (ultima risorsa)

Queste procedure:

  • bloccano tutti i creditori
  • sospendono pignoramenti e azioni esecutive
  • permettono di pagare solo una parte dei debiti
  • mantengono operativa l’azienda
  • proteggono l’imprenditore a livello personale

Proteggere produzione, magazzino e catena fornitori

Per un’azienda di tenute e paraoli è essenziale:

  • tutelare tenute meccaniche, paraoli, O-ring, guarnizioni, componenti in elastomero e semilavorati
  • evitare sequestri che bloccherebbero interamente la produzione
  • mantenere attivi i fornitori critici (elastomeri, torneria, molle, stampi, trattamenti superficiali)
  • proteggere macchinari, presse, torni, stampi e banchi di test
  • garantire consegne verso OEM, distributori, manutentori e industrie meccaniche

Se la produzione si ferma, i debiti crescono.
Se continua, l’azienda può riprendersi.


Documenti da Consegnare Subito all’Avvocato

  • elenco completo dei debiti (bancari, fiscali, commerciali)
  • estratti conto bancari aggiornati
  • estratto di ruolo
  • bilanci e dichiarazioni fiscali
  • lista fornitori strategici e posizioni insolute
  • inventario di magazzino (tenute, paraoli, guarnizioni, stampi, semilavorati)
  • copia degli atti giudiziari ricevuti
  • elenco ordini aperti e programmazione della produzione

Tempistiche di Intervento

  • Analisi preliminare: 24–72 ore
  • Blocco dei creditori: 48 ore – 7 giorni
  • Definizione del piano di ristrutturazione: 30–90 giorni
  • Procedura giudiziaria: 3–12 mesi

Le misure protettive possono essere operative già nei primi giorni.


Vantaggi di una Difesa Specializzata

  • Stop immediato a pignoramenti, pressioni e solleciti
  • Riduzione reale del debito complessivo
  • Protezione del magazzino, degli stampi e delle linee produttive
  • Trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
  • Continuità produttiva e commerciale
  • Tutela del patrimonio personale dell’imprenditore

Errori da Evitare

  • Ignorare solleciti e decreti ingiuntivi
  • Fare nuovi debiti per coprire i debiti vecchi
  • Pagare un solo fornitore e trascurare tutti gli altri
  • Lasciare avanzare pignoramenti senza intervenire
  • Affidarsi a società senza competenza legale

Ogni errore rende la crisi più difficile e rischiosa.


Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

  • Analisi completa della tua situazione debitoria
  • Blocco immediato delle azioni dei creditori, quando possibile
  • Piani di ristrutturazione su misura
  • Attivazione degli strumenti giudiziari più efficaci
  • Trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
  • Tutela totale dell’azienda e dell’imprenditore

Conclusione

Avere debiti nella tua azienda di tenute e paraoli non significa essere destinato alla chiusura.
Con una strategia tempestiva puoi:

  • bloccare subito i creditori
  • ridurre sensibilmente il debito
  • proteggere produzione, magazzino e clienti
  • salvare l’azienda e il tuo futuro imprenditoriale

Il momento per agire è adesso.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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