Introduzione
Una azienda produttrice di attuatori idraulici in difficoltà finanziaria si trova a fronteggiare debiti di varia natura, dai debiti fiscali verso l’Erario a quelli contributivi verso enti previdenziali, dai debiti bancari per finanziamenti e scoperti di conto ai debiti commerciali verso fornitori. In Italia, le piccole e medie imprese (PMI) in situazioni analoghe devono destreggiarsi tra norme complesse e procedure concorsuali, cercando di evitare esiti irreversibili come il fallimento (oggi liquidazione giudiziale) e le pesanti responsabilità personali per gli amministratori. Scopo di questa guida – aggiornata a ottobre 2025 – è offrire un quadro avanzato ma chiaro delle possibili strategie difensive per il debitore (il punto di vista dell’azienda indebitata), incluse le novità normative recentissime e la giurisprudenza più autorevole. Si analizzeranno gli strumenti di ristrutturazione del debito e di composizione della crisi d’impresa, le procedure da sovraindebitamento, le opzioni di concordato preventivo o accordo con i creditori, nonché i meccanismi di esdebitazione (liberazione dai debiti residui). Verranno inoltre esaminati i profili di responsabilità civile e penale degli amministratori, con le sanzioni previste in caso di omissioni gravi (ad es. mancato versamento di imposte o contributi).
La guida presenta anche tabelle riepilogative per facilitare la comprensione comparativa delle diverse procedure e obblighi, una sezione di domande e risposte (FAQ) che affronta i quesiti pratici più frequenti di imprenditori e professionisti, e delle simulazioni pratiche su casi tipo interamente basati sulla normativa italiana vigente. Il taglio è giuridico ma divulgativo: il linguaggio tecnico-legale verrà spiegato in modo accessibile, così che sia l’avvocato specializzato sia il privato imprenditore possano trovare informazioni utili e aggiornate. Iniziamo delineando le principali tipologie di debito che un’azienda manifatturiera può accumulare e perché sono cruciali per definire le azioni difensive.
Tipologie di debiti di un’azienda e relative conseguenze
Un’azienda in crisi generalmente presenta una molteplicità di debiti. Ciascun tipo di debito è regolato da norme specifiche e vede il creditore attivare strumenti differenti per il recupero. Dal punto di vista del debitore, è fondamentale comprendere la natura di ogni debito per pianificare una difesa efficace. Di seguito si esaminano le principali categorie di debito che una PMI (come un’azienda produttrice di attuatori idraulici) può avere, con le relative conseguenze:
- Debiti fiscali verso l’Erario (Agenzia Entrate e Agenzia Entrate-Riscossione): includono imposte non versate (IVA, IRES, IRAP, ritenute fiscali su stipendi, ecc.) e relative sanzioni e interessi. Questi debiti godono spesso di una posizione privilegiata in caso di procedure concorsuali e sono soggetti a procedure di riscossione coattiva da parte dell’ente di riscossione (ex Equitalia, ora Agenzia delle Entrate-Riscossione). Ad esempio, se i debiti fiscali superano determinate soglie, l’Agente della riscossione può iscrivere ipoteca sui beni immobili dell’azienda o del garante. In base alla normativa vigente, l’ipoteca può essere iscritta solo per debiti tributari superiori a 20.000 euro, fino a copertura di un importo doppio del credito complessivo . Inoltre, contrariamente a quanto molti pensano, l’ipoteca si può iscrivere anche sull’immobile adibito ad abitazione principale del debitore (la cosiddetta “prima casa”), pur se restano limiti stringenti per l’eventuale esecuzione forzata: l’espropriazione della prima casa è preclusa se il debito totale col fisco non supera 120.000 euro . In ogni caso, prima di iscrivere ipoteca l’ente è tenuto a notificare un preavviso con 30 giorni di anticipo, durante i quali l’azienda/debitore può evitare la formalità pagando il dovuto (anche parzialmente, riducendo il debito sotto soglia) o chiedendo una rateizzazione . I debiti fiscali, se non gestiti, comportano anche rischi penali per gli amministratori in alcune ipotesi (si veda oltre la sezione sulle responsabilità): ad esempio, l’omesso versamento dell’IVA oltre la soglia di 250.000 € per periodo d’imposta costituisce reato punito con la reclusione da 6 mesi a 2 anni . Similmente, l’omesso versamento di ritenute fiscali operate e non versate oltre 150.000 € annui è penalmente sanzionato (art. 10-bis d.lgs. 74/2000). Tuttavia, va evidenziato che lo Stato periodicamente introduce strumenti di definizione agevolata (“rottamazione” delle cartelle, saldo e stralcio di interessi e sanzioni) a cui le imprese in debito col fisco possono accedere per regolarizzare la posizione con uno sconto su sanzioni e interessi. Ad ottobre 2025, ad esempio, sono in corso le rate relative alla cosiddetta “rottamazione-quater” prevista dalla Legge di Bilancio 2023, che consente di estinguere i carichi affidati alla riscossione dal 2000 al 30 giugno 2022 versando solo l’imposta e una quota ridotta di interessi. In sintesi, i debiti tributari richiedono un’attenzione prioritaria sia per la durezza dei mezzi di riscossione (ipoteche, fermi amministrativi, pignoramenti) sia per gli eventuali profili di reato (sopra soglia) a carico di chi rappresenta la società.
- Debiti verso enti previdenziali (INPS e INAIL): riguardano i contributi previdenziali obbligatori non versati sui dipendenti o sui lavoratori autonomi, nonché eventuali premi assicurativi INAIL. Anche questi debiti sono considerati privilegiati nelle procedure concorsuali (hanno un grado di privilegio generale sui mobili e spesso ipotecario sugli immobili) e vengono riscossi tramite Agenzia Entrate-Riscossione con strumenti analoghi a quelli fiscali (cartelle esattoriali, fermi, ipoteche, pignoramenti). Esistono tuttavia specifiche norme penali per il mancato versamento delle ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti: il datore di lavoro (e dunque l’amministratore della società) che non versa le trattenute contributive entro il termine di legge commette reato se l’importo omesso supera 10.000 € annui, punito con la reclusione fino a 3 anni e multa fino a 1.032 € . Sotto tale soglia scatta invece una sanzione amministrativa pecuniaria da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso . La legge prevede però una causa di non punibilità (penale e amministrativa) se il datore provvede a pagare i contributi dovuti entro 3 mesi dalla contestazione o notifica dell’accertamento . Ciò significa che un amministratore avveduto, qualora riceva un verbale INPS per omissioni contributive, ha ancora la possibilità di evitare sanzioni penali saldando tempestivamente il dovuto. In generale, per i debiti contributivi l’INPS concede rateizzazioni (anche fino a 24 o 36 rate mensili, estendibili in casi gravi) e in alcuni casi il Governo ha introdotto condoni degli interessi e sanzioni similmente a quanto fatto col fisco. È importante notare che l’omissione contributiva ha anche una dimensione etica e di possibile responsabilità degli amministratori verso i dipendenti, i quali vedono leso il proprio diritto alla previdenza: in caso di default aziendale, i contributi non versati (parte a carico del lavoratore) potrebbero essere insinuati nello stato passivo e, se non recuperati, comportare una perdita in termini pensionistici (anche se spesso interviene un fondo di garanzia per il TFR e contributi, entro certi limiti).
- Debiti bancari e finanziari: includono esposizioni verso banche per affidamenti di conto corrente, mutui ipotecari, leasing, finanziamenti a breve e medio termine, nonché debiti verso società di leasing o di factoring. Questi creditori, in caso di inadempimento dell’azienda, possono revocare fidi e finanziamenti e attivare rapide azioni esecutive. Spesso i debiti bancari sono assistiti da garanzie: ad esempio, ipoteche su immobili aziendali, pegni su macchinari o su crediti, fideiussioni personali dei soci o degli amministratori, o garanzie pubbliche (come le garanzie MCC o SACE su prestiti). Se la banca è garantita, il recupero può essere più efficace: in caso di garanzia statale MCC/SACE, se l’impresa non paga il prestito, l’ente garante rimborsa la banca e poi si rivale sull’impresa. Tale meccanismo, introdotto per facilitare il credito alle PMI (ad es. durante l’emergenza Covid), ha però un effetto collaterale sui concorsi tra creditori: il credito vantato dal garante pubblico nei confronti dell’azienda può diventare super-privilegiato, trasformando un debito bancario originariamente chirografario (non privilegiato) in un debito privilegiato dopo l’escussione della garanzia . Ciò significa che, se l’azienda accede a procedure concorsuali, i crediti da finanziamento garantiti dallo Stato rischiano di essere soddisfatti prima degli altri creditori chirografari, riducendo le risorse disponibili per questi ultimi. I debiti bancari non garantiti consentono alla banca di agire in via monitoria ottenendo un decreto ingiuntivo e poi procedendo a pignoramenti (di conti correnti, crediti verso clienti, beni mobili registrati come automezzi, ecc.). Se invece il credito è garantito da ipoteca su immobili o pegno, la banca può attivare l’esecuzione direttamente sul bene (ad es. esecuzione immobiliare sul capannone ipotecato). Va menzionato che con la riforma del 2016 (D.Lgs. 72/2016) è stato introdotto il patto marciano nei finanziamenti bancari garantiti da immobili: in caso di inadempimento prolungato, la banca può acquisire l’immobile a soddisfacimento del credito, evitando la lunga procedura esecutiva, ma con obbligo di restituzione dell’eventuale eccedenza di valore. In sintesi, i debiti verso banche richiedono al debitore di negoziare tempestivamente – ad esempio richiedendo una moratoria o rinegoziazione del piano di rientro – perché gli istituti tendono ad attivare rapidamente le tutele contrattuali. Nel prosieguo, vedremo che l’accesso a procedure concorsuali (come il concordato preventivo) o la domanda di misure protettive nel contesto di una composizione negoziata possono sospendere temporaneamente le azioni esecutive delle banche, fornendo ossigeno all’azienda.
- Debiti verso fornitori e altri creditori chirografari: si tratta dei debiti commerciali, ovvero fatture non pagate a fornitori di materie prime, componenti, servizi, utenze, ecc. Questi creditori, pur essendo normalmente chirografari (senza privilegio né garanzia), possono mettere in seria difficoltà l’azienda interrompendo forniture essenziali o avviando azioni legali. Tipicamente, un fornitore insoddisfatto può richiedere un decreto ingiuntivo per il credito non pagato e, una volta ottenuto (spesso rapidamente se il credito è fondato su fatture e DDT firmati), può notificare un atto di precetto e procedere al pignoramento di conti correnti aziendali, beni mobili o crediti verso terzi (es. crediti che l’azienda vanta verso i propri clienti). Ciò può portare al blocco della liquidità aziendale e aggravare la crisi. Inoltre, se più fornitori agiscono contemporaneamente, l’azienda subisce una pressione tale da poter precipitare nell’insolvenza conclamata. Alcuni fornitori possono aver tutelato il proprio credito tramite riserva di proprietà (nei beni mobili venduti, ex art. 1523 c.c.) o clausole risolutive: in tali casi, se le fatture non sono pagate, il fornitore può rivendicare la proprietà dei beni forniti (se ancora in possesso dell’acquirente) oppure risolvere il contratto e riprendersi la merce. Inoltre, i fornitori strategici in posizione di forza contrattuale potrebbero pretendere pagamenti anticipati o garanzie per continuare le forniture, peggiorando la posizione finanziaria dell’impresa debitrice. È importante sottolineare che il diritto fallimentare (ora diritto della crisi) prevede strumenti per mitigare alcuni effetti: ad esempio, azioni revocatorie che il curatore può esercitare se l’azienda poi fallisce, per recuperare pagamenti preferenziali fatti a taluni fornitori a scapito di altri (pagamenti avvenuti nell’anno prima del fallimento per debiti scaduti possono essere revocati salvo che il creditore provi determinate esenzioni, art. 164 CCII). Dal lato del debitore, sapere ciò può orientare ad astenersi dal pagare selettivamente alcuni fornitori se si è troppo vicini all’insolvenza, preferendo soluzioni concordate generali. In ogni caso, i debiti verso fornitori, pur privi di garanzie, possono in concreto determinare istanze di fallimento (oggi liquidazione giudiziale) se anche un solo creditore insoddisfatto presenta ricorso in tribunale e l’azienda si trova in stato di insolvenza accertato. Dunque non vanno trascurati: la gestione negoziale della posizione con i fornitori (piani di rientro, accordi transattivi) è spesso il primo passo di un’azienda per guadagnare tempo e cercare di ristrutturare.
- Debiti verso dipendenti: se l’azienda non riesce a pagare stipendi, TFR e altre spettanze, non solo rischia un grave conflitto interno (scioperi, dimissioni in massa di personale qualificato) ma espone gli amministratori a possibili azioni legali individuali dei dipendenti (ingiunzioni di pagamento) e a conseguenze penali in casi estremi. Ad esempio, il mancato pagamento delle retribuzioni entro il termine di 60 giorni dalle scadenze può integrare il reato contravvenzionale di omissione dolosa di versamenti retributivi (art. 2 Legge 13/08/1980 n. 428), anche se in giurisprudenza è richiesta la prova del dolo specifico di voler eludere gli obblighi. Più frequentemente, se l’impresa fallisce, i dipendenti possono attivare il Fondo di Garanzia INPS per ricevere TFR e ultime mensilità (nei limiti di legge), e l’INPS si surrogherà nel privilegio dei loro crediti nello stato passivo. Inoltre, il mancato versamento delle ritenute fiscali sulle retribuzioni (le somme che l’azienda trattiene dalla busta paga per conto del dipendente per versarle al Fisco) oltre soglia è – come visto – penalmente sanzionato ex art. 10-bis d.lgs. 74/2000. Quindi i debiti verso il personale hanno impatto sia civilistico sia penale. Dal punto di vista del debitore, difendersi da questo tipo di debiti significa spesso ricorrere ad ammortizzatori o strumenti di crisi: per esempio, attivare una cassa integrazione guadagni straordinaria per crisi aziendale (dove possibile) in modo da far erogare parte delle retribuzioni dall’INPS e ridurre il costo del lavoro, oppure, se si prospetta un concordato preventivo, valutare l’ipotesi di continuità aziendale che permetta di preservare i posti di lavoro (il che rende più probabile l’omologazione del concordato, data la tutela occupazionale).
Naturalmente esistono ulteriori tipologie di debiti (ad es. debiti da locazioni non pagate, debiti verso soci finanziatori, esposizioni verso società di factoring o verso fornitori di energia, debiti per sanzioni amministrative, ecc.), ma le dinamiche principali ricalcano quelle sopra descritte: alcuni creditori hanno privilegi legali (Stato, enti previdenziali, in parte dipendenti) o garanzie contrattuali (banche, locatori con fideiussioni), altri sono chirografari e maggiormente esposti al rischio di insolvenza. Questa classificazione è essenziale perché influisce sulle strategie difensive: ad esempio, per scongiurare azioni aggressive del fisco o dell’INPS si può valutare un concordato preventivo con transazione fiscale, mentre per gestire fornitori può essere efficace una composizione negoziata prima che la situazione degeneri, e così via. Nei capitoli successivi vedremo come il nostro ordinamento prevede strumenti ad hoc per affrontare la crisi d’impresa a seconda della gravità e della dimensione del debitore, tenendo conto delle varie classi di debito.
Normativa sulla crisi d’impresa: procedure di difesa e ristrutturazione del debito
Nel 2019 l’Italia ha varato il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) – D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 – entrato in vigore in via definitiva dal 15 luglio 2022 (dopo vari rinvii e modifiche, anche per recepire la direttiva UE 2019/1023). Questo nuovo corpus normativo ha riformato profondamente le procedure concorsuali tradizionali (come il fallimento, il concordato preventivo, ecc.) e ne ha introdotte di nuove, con l’obiettivo di favorire l’emersione tempestiva della crisi e il risanamento delle imprese in difficoltà. Successivamente, il D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83 (c.d. “Correttivo”) e il recentissimo D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (c.d. “Correttivo-ter”) hanno ulteriormente integrato e corretto il Codice della crisi, consolidando alcuni strumenti come la composizione negoziata e chiarendo aspetti procedurali . È quindi essenziale per un imprenditore debitore conoscere le opzioni offerte dalla legge per difendersi dai creditori e gestire o ridurre l’indebitamento. Possiamo distinguere tra soluzioni stragiudiziali (o volontarie) e soluzioni giudiziali (dinanzi al tribunale). Esamineremo di seguito le principali, con particolare attenzione a quelle più adatte a una PMI manifatturiera indebitata:
Soluzioni stragiudiziali e negoziali
1. Piani di risanamento e accordi privati (fuori dalle procedure concorsuali) – Un’azienda può tentare di risanare la propria esposizione debitoria senza ricorrere subito al tribunale, attraverso accordi volontari con i creditori. Un tipico strumento è il piano attestato di risanamento (art. 56 CCII, già art. 67 LF): consiste in un piano industriale e finanziario predisposto dall’impresa per il risanamento dei debiti, accompagnato da una relazione giurata di un esperto indipendente che attesta la fattibilità e veridicità dei dati. Il piano di risanamento non è omologato dal tribunale né vincolante per i creditori dissenzienti, ma serve a convincere i creditori (spesso le banche) ad accettare una ristrutturazione volontaria (ad esempio una dilazione dei debiti, una remissione parziale, conversione di crediti in capitale, ecc.). Il vantaggio principale del piano attestato è che, se viene eseguito, i pagamenti e le operazioni in esso previsti non possono essere poi revocati dal curatore in caso di successivo fallimento (esenzione da revocatoria fallimentare). Ciò incentiva i creditori ad aderire. In parallelo o in alternativa, l’azienda può negoziare accordi stragiudiziali con singoli creditori o gruppi di essi: ad esempio, un accordo a saldo e stralcio con un fornitore, una moratoria con le banche (magari aderendo alle linee ABI per la sospensione dei mutui), un accordo transattivo col fisco (la cosiddetta “transazione fiscale”, che però acquista efficacia solo se omologata in un concordato preventivo o accordo di ristrutturazione dei debiti, come vedremo). Gli accordi privati però soffrono del problema dell’unanimità: basta un creditore importante dissenziente per farli fallire, poiché non c’è uno strumento coercitivo. Inoltre, durante la negoziazione privata, i creditori non sono automaticamente sospesi dal procedere con esecuzioni (salvo ottenere dal tribunale misure protettive, disponibili però solo in procedure concorsuali formali). Dunque, se il livello di conflitto è alto o ci sono molti creditori, può essere necessario uno strumento concorsuale.
2. Composizione negoziata della crisi d’impresa – Introdotta nel 2021 (D.L. 118/2021) e ora disciplinata nel Codice della crisi (artt. 12-25 CCII), la composizione negoziata è uno strumento innovativo e stragiudiziale che consente all’imprenditore in difficoltà di richiedere la nomina di un esperto indipendente con il compito di facilitare le trattative con i creditori. Si tratta di una procedura volontaria: l’imprenditore presenta domanda tramite una piattaforma telematica nazionale (gestita dalle Camere di Commercio) e ottiene l’affiancamento di un esperto selezionato da un apposito elenco. La composizione negoziata è riservata (non comporta, in questa fase, il coinvolgimento pubblico del tribunale, salvo che il debitore chieda misure protettive) e consente di esplorare possibili soluzioni di risanamento: ad esempio, la rimodulazione dei debiti, l’ingresso di nuovi investitori, la cessione di rami d’azienda, accordi con banche per nuova finanza assistita da privilegio, ecc. L’esperto non ha poteri di imporre accordi, ma redige una relazione finale sul percorso. Durante la composizione negoziata, l’imprenditore può chiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive temporanee (in genere fino a 4 mesi, prorogabili di 4) che bloccano o sospendono le azioni esecutive individuali dei creditori (ad esempio pignoramenti) e impediscono ai creditori di acquisire titoli di prelazione senza autorizzazione. Tali misure sono concesse se il piano di risanamento che l’imprenditore sta negoziando appare almeno non implausibile, e possono essere revocate se le trattative falliscono . L’imprenditore mantiene la gestione dell’azienda (non c’è spossessamento), ma sotto l’ombrello protettivo e con la supervisione leggera dell’esperto. La composizione negoziata si conclude in vari modi: se le trattative riescono, può sfociare in un contratto con uno o più creditori (un accordo stragiudiziale bilaterale o plurilaterale), in un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 CCII (che richiede omologazione in tribunale, v. oltre), o in un concordato preventivo semplificato per la liquidazione (strumento introdotto nel 2022 per il caso in cui le trattative falliscano, consentendo comunque una rapida liquidazione concordataria). Se invece le trattative non hanno esito, la procedura semplicemente termina e l’azienda può valutare altre vie (concordato ordinario, liquidazione giudiziale, ecc.). I dati aggiornati mostrano che la composizione negoziata sta diventando un utile strumento di difesa per molte imprese: ad esempio, al 15 maggio 2023 erano state presentate 767 domande di composizione negoziata (in crescita del 61,5% nei sei mesi precedenti) e di queste il 41,7% risultava già chiuso, con un tempo medio di trattativa di 170 giorni . Il tasso di esiti positivi è in aumento, segno che le imprese tendono ad attivare la composizione negoziata in fasi non troppo avanzate della crisi, sfruttandola come occasione di risanamento prima del tracollo . La riforma del 2024 (Correttivo-ter) ha ulteriormente potenziato questo strumento: ad esempio, ha chiarito le differenze tra misure protettive generali e misure cautelari specifiche in composizione negoziata e l’iter per ottenerle , e ha incentivato l’uso della composizione negoziata come alternativa alle procedure di allerta (ormai abrogate). Dal punto di vista del debitore, la composizione negoziata è una via d’elezione per “difendersi” dai creditori evitando di subire passivamente pignoramenti e istanze di fallimento: permette di guadagnare tempo in modo protetto e di cercare soluzioni condivise. Ovviamente richiede trasparenza e la prospettiva concreta di un piano: se l’azienda è totalmente insolvente e priva di chance di risanamento, i creditori difficilmente accetteranno accomodamenti, e in tal caso sarà necessario passare a soluzioni liquidatorie formali.
3. Accordi di ristrutturazione dei debiti (ADR) – Si tratta di un istituto concorsuale negoziato previsto dagli artt. 57-64 CCII (già art. 182-bis LF), in cui l’azienda debitrice raggiunge un accordo con una parte qualificata dei creditori e questo accordo viene omologato dal tribunale, acquistando efficacia vincolante anche verso eventuali creditori minori non aderenti (entro certi limiti). In sostanza, l’impresa deve negoziare con tanti creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti (percentuale ridotta al 30% nel “accordo di ristrutturazione agevolato” in alcuni casi, per favorire l’adesione) e formalizzare un accordo di ristrutturazione (che può prevedere dilazioni, stralci, ecc.). Il tribunale, verificati alcuni requisiti (fattibilità del piano, informativa completa ai creditori, attestazione di un esperto sulla attuabilità dell’accordo e sulla solvibilità nel breve termine verso i non aderenti), omologa l’accordo. I creditori che non hanno firmato l’accordo restano estranei – e infatti l’impresa deve pagare integralmente i creditori estranei entro 120 giorni dall’omologazione per i crediti scaduti o entro 120 giorni dalla scadenza per i crediti non ancora scaduti (art. 61 CCII). Per questo, gli ADR sono utili quando l’azienda ha pochi creditori dissenzienti o comunque la liquidità per soddisfarli completamente. Il vantaggio è che, una volta omologato, l’accordo ha efficacia esecutiva e impedisce azioni individuali in contrasto con esso. Inoltre, durante le trattative per l’ADR, l’impresa può chiedere al tribunale misure protettive simili a quelle del concordato (sospensione azioni esecutive). Una variante recente è l’accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa (art. 64 CCII), in cui se certi creditori (ad es. banche finanziarie) rappresentanti il 75% di quella categoria aderiscono, l’accordo viene esteso anche al restante 25% dissenziente, evitando il problema del “holdout”. Questa estensione però vale solo per categorie omogenee di crediti finanziari. Nel 2022, per recepire la direttiva UE, è stato introdotto un ulteriore strumento: il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO), che è una sorta di via di mezzo tra accordo e concordato, in cui non serve una percentuale di adesione minima ma il debitore può chiedere l’omologazione anche contro il voto contrario di alcune classi di creditori, purché il piano rispetti certe condizioni di trattamento equo e non li pregiudichi rispetto alla liquidazione (è un cram-down giudiziale simile al Chapter 11 americano). Il PRO, disciplinato dagli artt. 64-bis – 64-ter CCII, consente quindi un ristrutturazione preventiva anche senza il consenso di tutti i creditori, ma richiede che i creditori siano divisi in classi e che almeno una classe economica di crediti non infungibili voti a favore, con altre garanzie di legge. L’utilizzo pratico di PRO e ADR è complesso e tipicamente mediato da professionisti specializzati, ma per un imprenditore debitore è importante sapere che esistono vie negoziali certificate dal tribunale che permettono di “cristallizzare” un accordo ed evitare aggressioni esterne mentre lo si attua. In particolare, un accordo di ristrutturazione può essere utile se l’azienda ha, ad esempio, 5 banche esposte e 20 fornitori minori: negoziando con le banche (che detengono il grosso del debito) un piano di rientro o stralcio, e pagando integralmente i fornitori estranei, si può ristrutturare il debito senza passare per un concordato pieno. Notiamo però che per fisco e contributi la legge prevede la necessità di includere una transazione fiscale specifica nell’accordo e di ottenere l’adesione dell’Agenzia delle Entrate o dell’INPS per la parte di loro competenza; tuttavia, dal 2021 in avanti è stata eliminata la “veto power” erariale: il tribunale può omologare l’accordo di ristrutturazione anche senza adesione formale del Fisco/INPS purché siano stati invitati a trattare e il trattamento proposto non sia inferiore a quello degli altri chirografari (in passato se l’Erario non aderiva l’accordo saltava). Questo elimina un ostacolo spesso lamentato.
Procedure concorsuali giudiziali (concordato, liquidazione, sovraindebitamento)
4. Concordato preventivo – È la più nota procedura concorsuale di risanamento o liquidazione che l’imprenditore può attivare rivolgendosi al tribunale. Il concordato preventivo consente al debitore di proporre ai creditori un piano che può prevedere o la continuazione dell’attività (concordato “in continuità aziendale”) o la liquidazione del patrimonio (concordato liquidatorio), o una combinazione di entrambe, al fine di soddisfare i creditori in misura non integrale ma secondo un certo dividendo concordato. In cambio, se la maggioranza dei creditori approva e il tribunale omologa, l’azienda evita la liquidazione giudiziale (ex fallimento) e adempie il piano concordatario liberandosi dai debiti eccedenti. Nel CCII vigente, il concordato preventivo è molto flessibile: non vi è una percentuale minima di pagamento per i chirografari, sebbene per il concordato liquidatorio puro sia obbligatorio offrire ai chirografari qualcosa in più di quanto otterrebbero in caso di liquidazione giudiziale (c.d. test di convenienza) e almeno il 20% ai creditori chirografari (salvo alcune eccezioni) – questa soglia percentuale è stata reintrodotta dal 2022 dopo un periodo in cui era stata soppressa. Nel concordato in continuità, invece, non vi è soglia fissa ma si richiede che il piano non sia inferiore all’alternativa liquidatoria e garantisca la sostenibilità dell’impresa post-concordato. La domanda di concordato può essere presentata anche “con riserva” (concordato in bianco, art. 44 CCII), ossia depositando inizialmente la sola domanda e ottenendo dal tribunale un termine (45-60 giorni, prorogabile) per presentare il piano definitivo; durante questo periodo protetto i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive (vige una moratoria generale ex art. 54 CCII). Secondo gli ultimi sviluppi giurisprudenziali, se il debitore presenta una domanda di concordato “in bianco” finalizzata a un concordato in continuità, il tribunale può estendere tutte le regole protettive tipiche del concordato già in questa fase prenotativa, incluse quelle contro manovre aggressive di creditori essenziali (come fornitori di beni/servizi vitali) per garantire la riuscita della continuità . Quanto all’approvazione, i creditori votano divisi in classi se previste (obbligatorie se ci sono crediti di rango diverso o trattamenti differenziati), e il concordato è approvato se ottiene il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto (maggioranza semplice calcolata sul valore dei crediti; non conta la testa). Se ci sono più classi, è sufficiente che la maggioranza delle classi voti a favore e che all’interno di esse vi sia la maggioranza di valore. Esiste la possibilità di omologazione forzata (cram-down) anche se una o più classi votano contro, purché (in estrema sintesi) il piano assicuri che i dissenzienti non ricevano meno di quanto otterrebbero altrimenti e almeno una classe di pari rango abbia detto sì. Il concordato in continuità consente all’impresa di proseguire l’attività sotto il controllo di organi nominati dal tribunale (commissario giudiziale) e spesso con nuova finanza, mentre nel concordato liquidatorio l’azienda di regola cessa l’attività e un liquidatore concordatario realizza l’attivo per pagare i creditori secondo le percentuali promesse. Dal punto di vista del debitore, il concordato è un potente strumento difensivo perché congela l’esposizione debitoria, blocca le azioni esecutive e impedisce ai creditori di presentare istanza di fallimento (non è dichiarabile la liquidazione giudiziale finché pende la domanda di concordato, salvo casi di abuso), e consente di ridurre i debiti legalmente una volta omologato. Tuttavia, esso richiede un notevole lavoro preparatorio (analisi aziendale, elaborazione del piano e dell’offerta ai creditori, documentazione completa) e comporta la perdita del controllo pieno dell’impresa (soprattutto in continuità, dove ogni atto di straordinaria amministrazione dev’essere autorizzato). Per una PMI manifatturiera con debiti, un concordato preventivo in continuità potrebbe significare, ad esempio, proporre ai creditori di soddisfarli al 40% nell’arco di 5 anni, con l’azienda che continua a produrre attuatori idraulici e utilizza i flussi di cassa per pagare quel 40%, eventualmente vendendo asset non strategici; oppure un concordato misto dove si vende un immobile e con il ricavato si paga integralmente banca e fisco (creditori privilegiati) mentre i fornitori chirografari prendono un 30%. Ogni caso è a sé, ma la chiave è dimostrare che la proposta concordataria è più vantaggiosa del fallimento per i creditori (principio della meritorietà del concordato). La giurisprudenza è costante nel ritenere che il debitore in concordato debba comportarsi con buona fede e completezza informativa; in caso di atti in frode ai creditori scoperti in corso di procedura (es. distrazioni di beni non dichiarate), il concordato può essere non ammesso o revocato.
5. Liquidazione giudiziale (ex fallimento) – Se l’azienda è insolvente senza rimedi, si giunge alla procedura liquidatoria giudiziale disciplinata dal CCII (artt. 121 e ss.), che ha sostituito la vecchia dichiarazione di fallimento. Questa procedura può essere aperta su ricorso di uno o più creditori, o dell’imprenditore stesso (con un’istanza di “autofallimento”), o su iniziativa della Procura in alcuni casi gravi. La liquidazione giudiziale comporta la spossessamento dell’imprenditore dai beni dell’azienda: un curatore nominato dal tribunale amministra e liquida l’attivo, mentre i creditori presentano le proprie domande di ammissione al passivo e vengono soddisfatti secondo l’ordine delle cause di prelazione. Dal punto di vista del debitore, la liquidazione giudiziale è l’extrema ratio e rappresenta ovviamente la sconfitta delle strategie di risanamento. Tuttavia, il Codice della crisi ha introdotto alcuni elementi di mitigazione: ad esempio, l’imprenditore persona fisica (o i soci illimitatamente responsabili) possono ottenere l’esdebitazione di diritto al termine della liquidazione (o addirittura una esdebitazione anticipata per il debitore incapiente, v. punto 6), liberandosi dai debiti residuali non soddisfatti. Inoltre, la procedura è orientata a chiudersi in tempi più rapidi rispetto al passato e con maggiori poteri di controllo del giudice delegato per evitare dilazioni ingiustificate. Esiste poi una variante per i soggetti minori: se l’insolvente è un piccolo imprenditore “non fallibile” (sotto soglie dimensionali) o un consumatore, non si apre la liquidazione giudiziale ma la liquidazione controllata (artt. 268-277 CCII), che è sostanzialmente simile ma di competenza del Tribunale delle imprese o del giudice designato per sovraindebitamento, con alcune semplificazioni. Per l’azienda di attuatori idraulici, la liquidazione giudiziale sarebbe l’ipotesi di cessazione definitiva: i macchinari, il magazzino e magari i brevetti verrebbero venduti all’asta, i dipendenti licenziati e i creditori pagati (di solito parzialmente) col ricavato secondo i gradi di privilegio. Un aspetto importante: l’apertura della liquidazione giudiziale fa scattare, per gli amministratori, l’eventuale responsabilità per reati concorsuali commessi (si pensi alla bancarotta fraudolenta, documentale o preferenziale) e può aprire la via ad azioni di responsabilità civile promosse dal curatore nei loro confronti (es. per aver aggravato il dissesto con condotte imprudenti). Dunque, sebbene a volte non evitabile, il fallimento (liquidazione giudiziale) è sicuramente l’evento da evitare se esistono strade di risanamento praticabili: il legislatore incoraggia il debitore in crisi a muoversi prima (allerta interna, composizione negoziata, concordati) proprio per ridurre i casi di liquidazione giudiziale.
6. Procedure di sovraindebitamento (per debitori non fallibili) – Un capitolo a parte merita la crisi dei debitori non soggetti a fallimento: piccoli imprenditori sotto soglia, professionisti, startup innovative esonerate, enti non commerciali e persone fisiche consumatori. La vecchia legge 3/2012 sul sovraindebitamento è stata abrogata e assorbita nel Codice della crisi (artt. 65-83 CCII per le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento). Oggi si hanno tre percorsi principali: – Ristrutturazione dei debiti del consumatore: riservata al consumatore inteso come persona fisica che ha contratto debiti estranei all’attività imprenditoriale o professionale. Il consumatore può proporre un piano di ristrutturazione, con l’ausilio di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) e la supervisione del tribunale. Il piano del consumatore non richiede il voto dei creditori, viene valutato ed eventualmente omologato dal giudice se soddisfa i requisiti di fattibilità e meritevolezza (assenza di colpa grave, frode, ecc.). Ad esempio, un consumatore indebitato (garante di una società, o ex imprenditore cessato) può proporre di pagare il 50% dei suoi debiti in 5 anni utilizzando il suo stipendio, e ottenere l’omologazione nonostante i creditori fossero contrari, purché il piano sia equo. La riforma 2024 ha ampliato la nozione di “consumatore” includendo, limitatamente ai debiti estranei all’impresa, anche il socio illimitatamente responsabile di società di persone . Ciò consente, ad esempio, al socio di una SNC fallita di accedere al piano del consumatore per liberarsi dei debiti personali, senza che il fatto di essere socio illimitatamente responsabile glielo impedisca (purché i suoi debiti siano appunto personali e non funzionali all’attività, altrimenti sarebbe un concordato minore). Inoltre, più membri di una stessa famiglia connessi dalla medesima causa di indebitamento possono ora presentare un unico piano familiare . – Concordato minore: è la nuova denominazione della procedura per imprenditori non grandi e altri debitori “non consumatori” (prima era l’“accordo di composizione della crisi” L.3/2012). Destinato a piccoli imprenditori, startup, professionisti, ditte individuali, società sotto soglia fallimentare, ecc. Il concordato minore prevede il voto dei creditori: funziona in modo analogo a un concordato preventivo ma semplificato. Il debitore propone un piano (con eventuali classi) e i creditori votano; serve il voto favorevole di almeno il 60% dei crediti ammessi al voto (art. 74 CCII). Se approvato e omologato, vincola tutti i creditori anteriori. Il concordato minore può prevedere stralci di debiti anche rilevanti purché il debitore sia meritevole (non abbia colpe gravi nel sovraindebitamento). Il correttivo 2024 ha inserito una novità all’art. 75 CCII: se il debitore è persona fisica e ha un mutuo ipotecario sulla prima casa, può, a certe condizioni, continuare a pagare le rate residue alle scadenze originarie anche durante il concordato minore, evitando di perdere l’abitazione (previa attestazione dell’OCC che ciò non danneggia i creditori) . È una misura per proteggere l’abitazione principale nell’ambito della procedura. – Liquidazione controllata del sovraindebitato: corrisponde alla liquidazione dei beni del debitore civile o piccolo imprenditore. Può essere richiesta dallo stesso debitore oppure dai creditori/PM. Il tribunale nomina un liquidatore che vende i beni e distribuisce il ricavato. Al termine, il debitore persona fisica può ottenere l’esdebitazione dei debiti non soddisfatti, salvo eccezioni (debiti alimentari, risarcimenti per danni da illecito extracontrattuale e poche altre categorie restano comunque dovuti). Una specifica innovazione del Codice è l’esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII): in pratica un fresh start anche per chi non ha nulla da liquidare. Se una persona fisica sovraindebitata non possiede alcun patrimonio liquidabile né redditi pignorabili, può chiedere al tribunale di essere liberata dai debiti immediatamente (esdebitazione a zero), purché sia meritevole (non abbia colpe nel proprio indebitamento) e non abbia già beneficiato di esdebitazione in passato . Ottenuta l’esdebitazione, per i successivi 4 anni il debitore ha l’obbligo di comunicare eventuali sopravvenienze attive (es. vincite, eredità, incrementi reddituali significativi) che andranno in parte a beneficio dei vecchi creditori . Trascorsi i 4 anni senza eventi rilevanti, i creditori insoddisfatti non potranno più nulla. Questa disposizione, derivante dalla direttiva UE sulle seconde opportunità, consente anche all’imprenditore “sfortunato” ma onesto, che sia rimasto privo di tutto, di ripartire da capo senza l’ombra perpetua dei debiti pregressi.
Le procedure da sovraindebitamento sono dunque un importante strumento di difesa per il piccolo debitore: ad esempio, se la nostra azienda di attuatori idraulici fosse una ditta individuale artigiana non fallibile, il titolare potrebbe proporre un concordato minore offrendo il pagamento, poniamo, del 30% dei debiti con la prosecuzione dell’attività, oppure liquidare i beni non essenziali e pagare i creditori in parte, ottenendo l’esdebitazione per la parte residua. Tutto ciò sotto la guida di un OCC e con l’intervento del tribunale, evitando azioni esecutive scoordinate e soprattutto evitando che alcuni creditori (es. l’INPS o una banca) procedano separatamente distruggendo quel poco di patrimonio che potrebbe invece essere distribuito equamente.
Va sottolineato che il Codice della crisi ha un principio cardine: favorire il risanamento delle imprese in crisi ove possibile, altrimenti liquidarle rapidamente garantendo comunque al debitore onesto una liberazione dai debiti residui. Questo è un cambiamento di filosofia rispetto al passato. Dal punto di vista dell’azienda debitrice, ciò significa che attivarsi per tempo e usare gli strumenti giusti (dalla composizione negoziata al concordato, dal piano attestato agli accordi) non è solo consigliabile ma è atteso dalla legge stessa. Il nuovo art. 3 CCII introduce il dovere per l’imprenditore collettivo di adottare adeguati assetti organizzativi idonei a rilevare tempestivamente la crisi e la perdita di continuità, proprio per attivare in tempo queste soluzioni. Vediamo allora più nel dettaglio il ruolo degli amministratori e le loro responsabilità quando la società è indebitata.
Responsabilità degli amministratori e difesa del patrimonio personale
Dal punto di vista del debitore societario, “difendersi” dai debiti non significa solo gestire l’azienda attraverso le procedure di cui sopra, ma anche proteggere gli amministratori e i soci da conseguenze patrimoniali e penali. In Italia, una società di capitali (es. S.r.l. o S.p.A.) risponde con il proprio patrimonio per i debiti; i soci non rischiano il patrimonio personale salvo abbiano prestato garanzie personali (fideiussioni) o salvo casi eccezionali di abuso della forma societaria. Tuttavia, gli amministratori (e in parte i sindaci o revisori) possono andare incontro a responsabilità specifiche se non adempiono ai doveri imposti dalla legge in situazioni di crisi.
Obblighi di legge e responsabilità civile degli amministratori
L’art. 2086 c.c., comma 2, introdotto dal D.Lgs. 14/2019, impone all’imprenditore collettivo (società) di dotarsi di assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati alla natura e dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e della continuità aziendale. Ciò significa che gli amministratori hanno il dovere permanente di monitorare la situazione economico-finanziaria e di intervenire senza indugio se si manifestano segnali di difficoltà (indici di crisi). Ommettere di farlo può costituire una grave inadempienza. La giurisprudenza recente ha affermato con forza questo principio: la Corte di Cassazione, con sentenza n. 2172/2023 (Sez. I civ.), ha chiarito che la mancanza di assetti adeguati può costituire un elemento di responsabilità diretta per l’imprenditore e gli organi gestori, e rende l’azienda di fatto “invendibile” perché priva di quei presidi che ne garantiscano la trasparenza e la sostenibilità . In altre parole, non basta più il “buon senso”: occorre poter dimostrare documentalmente di aver adottato strumenti idonei a monitorare l’andamento e prevenire la crisi, attivando all’occorrenza i rimedi. Se ciò non avviene, l’amministratore può essere chiamato a rispondere dei danni provocati ai creditori dalla ritardata emersione della crisi. Infatti, sono in aumento le cause di responsabilità intentate dai curatori fallimentari (o liquidatori giudiziali) contro gli ex amministratori, accusati di aver aggravato il dissesto continuando l’attività quando l’insolvenza era già conclamata o comunque di non aver preso misure idonee. Ad esempio, la Cassazione n. 19847/2023 ha condannato amministratori che, a fronte di investimenti sbagliati poi sfociati in fallimento, non avevano predisposto assetti adeguati a garantire l’equilibrio finanziario e la sostenibilità nel medio termine . In un’altra pronuncia (Cass. 4257/2023) gli amministratori di una S.r.l. sono stati ritenuti responsabili verso i creditori sociali per non aver adottato misure atte a rilevare tempestivamente lo stato di crisi, facendo così lievitare il buco patrimoniale . Ciò si ricollega all’azione di responsabilità verso amministratori ex art. 2394 c.c., che spetta ai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente a soddisfarli: non rilevare e gestire per tempo la crisi può configurare una colpa grave dell’organo gestorio a danno dei creditori. Perfino sul piano penale, la violazione dei doveri gestori può avere effetti: se l’impresa fallisce, la mancata tenuta di una contabilità adeguata o il prosieguo sconsiderato dell’attività possono integrare il reato di bancarotta semplice (art. 322 CCII, già art. 217 LF) o addirittura una bancarotta fraudolenta per dissipazione dei beni sociali.
Le statistiche indicano un aumento notevole di cause e sentenze sull’art. 2086 c.c.: si parla di oltre 3000 sentenze nel 2023 in materia di adeguati assetti, a fronte di circa 1500 nel 2019 . Ciò dimostra che i tribunali stanno applicando in modo rigoroso la norma, sanzionando gli amministratori che l’hanno disattesa. Le conseguenze per l’amministratore possono essere patrimoniali (condanna a risarcire il danno, che in caso di fallimento equivale al deficit verso i creditori) e talora inibitorie (il nuovo Codice prevede l’inabilitazione all’esercizio di impresa per chi ha commesso gravi violazioni, e già la legge fallimentare prevedeva pene accessorie). Inoltre, la continuità aziendale forzata in stato di insolvenza può costituire una forma di mala gestio cosciente: accendere nuovi debiti sapendo di non poterli onorare può configurare perfino una truffa ai danni dei creditori o una bancarotta preferenziale se si privilegiano alcuni pagamenti.
Dal punto di vista del debitore diligente, come difendersi? In primo luogo, gli amministratori devono immediatamente attivarsi quando i segnali di crisi compaiono: convocare il consiglio, informare eventuali organi di controllo (sindaci, revisore), consultare professionisti esperti in crisi d’impresa e predisporre un piano di risanamento o l’accesso a una procedura. Questo può evitare sia l’aggravamento del dissesto (tutelando dunque i creditori) sia la loro personale responsabilità. Ad esempio, se un amministratore capisce che la società non potrà pagare IVA e fornitori nei prossimi mesi, dovrebbe valutare la richiesta di nomina di un esperto per la composizione negoziata o presentare una domanda prenotativa di concordato: così facendo, agisce nell’alveo della legge e difficilmente potrà essere accusato di inerzia colposa. Se invece resta inerte e lascia che la situazione precipiti, ogni giorno di ritardo può essergli imputato in seguito. D’altra parte, va evidenziato che la legge non impone di portare l’azienda al fallimento al primo segnale negativo: impone però di dotarsi di strumenti di monitoraggio e di reagire in modo ragionevole. Una reazione ragionevole può anche essere un tentativo di risanamento interno, se giustificato da dati oggettivi, ma deve essere documentata e credibile.
Responsabilità penale e amministrativa degli amministratori nella crisi
Oltre alle responsabilità civilistiche sopra delineate, gli amministratori di un’azienda indebitata possono incorrere in responsabilità penali specifiche, sia connesse alla gestione di impresa che al mancato adempimento di obblighi verso lo Stato. I principali filoni di rilevanza penale sono:
- Reati fallimentari (bancarotta): qualora si arrivi alla liquidazione giudiziale (fallimento), si apre la possibilità di contestazione dei reati di bancarotta fraudolenta (artt. 323-330 CCII, già art. 216 LF) o bancarotta semplice (art. 322 CCII, già art. 217 LF). La bancarotta fraudolenta si configura, ad esempio, se l’amministratore distrugge, occulta o falsifica le scritture contabili per ostacolare la ricostruzione del patrimonio, oppure distrarre o dissipare beni sociali prima del fallimento, o ancora favorire alcuni creditori a danno di altri (bancarotta preferenziale). Sono fattispecie gravemente punite (reclusione da 3 a 10 anni per la fraudolenta patrimoniale, ad esempio). La bancarotta semplice, punita più lievemente, sanziona tra l’altro chi ha aggravato il dissesto con colpa grave, ad esempio facendo spese personali esorbitanti, o ritardando indebitamente la richiesta di concordato/fallimento, o contravvenendo agli obblighi di tenuta delle scritture. Questo vuol dire che se un amministratore, pur senza frode intenzionale, continua ad accumulare debiti e consumare risorse dell’azienda quando avrebbe dovuto fermarsi, potrebbe risponderne penalmente come bancarotta semplice. Un caso tipico: la società è insolvente, ma egli continua l’attività per mesi facendo nuovi ordini ai fornitori che mai saranno pagati – oltre alla responsabilità civile, ciò può costituire elemento per la bancarotta. Non esiste ancora in Italia un reato di “wrongful trading” come in altri ordinamenti, ma la combinazione di bancarotta semplice e azione di responsabilità civile ottiene un effetto simile.
- Omessi versamenti di imposte e contributi: come già accennato, ci sono reati tributari specifici. L’omesso versamento di IVA oltre €250.000 per periodo d’imposta è reato (art. 10-ter d.lgs. 74/2000). L’omesso versamento di ritenute certificate (le ritenute IRPEF sui dipendenti) oltre €150.000 annui è parimenti reato (art. 10-bis d.lgs. 74/2000). Questi reati sono puniti con reclusione sino a 2 anni e sono di competenza del tribunale penale a seguito di denuncia dell’Agenzia delle Entrate. Importante: se l’amministratore regolarizza (paga il dovuto) prima dell’apertura del dibattimento, il reato viene estinto; ciò incentiva chi ha omesso per crisi di liquidità a cercare di pagare, magari beneficiando di una rateizzazione, prima che la questione degeneri in giudizio penale. Sul fronte contributivo, l’omesso versamento delle ritenute INPS > €10.000 annui, come visto, è reato (art. 2, co. 1-bis, D.L. 463/1983 conv. L. 638/1983) punito fino a 3 anni. Anche qui è prevista la causa di non punibilità se entro 3 mesi dalla contestazione si paga tutto . Una recente pronuncia della Corte Costituzionale (sent. n. 103/2025) ha confermato la legittimità del regime sanzionatorio che prevede, sotto i 10.000 €, una sanzione amministrativa proporzionata e sopra i 10.000 € la sanzione penale, ritenendolo conforme ai principi di eguaglianza e proporzionalità . Gli amministratori devono quindi fare estrema attenzione a non oltrepassare tali soglie: nel definire le priorità di pagamento, versare IVA e ritenute spesso deve prevalere sul pagare altri debiti, sia per ragioni legali che etiche.
- Altri reati societari o finanziari: se, nel tentativo di uscire dalla crisi, l’azienda cerca finanziamenti con modalità illecite, si rischia di sconfinare in reati come false comunicazioni sociali (falso in bilancio) se si espongono dati di bilancio non veritieri per ottenere credito, oppure in truffa contrattuale se si ordina merce senza intenzione o possibilità di pagare, o in aggiotaggio se l’azienda quotata diffonde notizie false per sostenere il valore delle proprie emissioni. Questi casi però esulano dallo scenario tipico di una PMI non quotata. Più comune è l’indebito utilizzo di finanziamenti pubblici (ad es. fondi 488, contributi INVITALIA) destinati al risanamento ma dirottati altrove: può configurare malversazione a danno dello Stato.
- Responsabilità amministrativa “231” della società: potrebbe sorgere la domanda se l’ente (società) può essere sanzionato ex D.Lgs. 231/2001 per reati commessi dagli amministratori in ambito fallimentare o fiscale. Attualmente, i reati fallimentari non rientrano nel catalogo 231, mentre alcuni reati tributari (false fatturazioni) vi sono stati inseriti nel 2019 ma l’omesso versamento in sé no. Tuttavia, il concetto di “colpa di organizzazione” e l’importanza di modelli organizzativi adeguati è rilevante: una società con assetti inadeguati potrebbe essere più esposta anche a reati 231 (ad es. reati societari, corruzione, ecc.). Inoltre, come evidenziato da alcuni commentatori, i temi ESG (ambientali, sociali, di governance) oggi si intrecciano con gli assetti adeguati: l’informativa non finanziaria e la governance sostenibile fanno parte del buon governo dell’impresa . Dunque, pur non essendoci una responsabilità amministrativa diretta per la “cattiva gestione della crisi”, un amministratore che ignora gli assetti rischia sul piano penale individuale e sul piano civile, mentre la società potrebbe trovarsi ulteriormente penalizzata in termini di reputazione e fiducia del mercato.
In sintesi, come si può difendere l’amministratore? La migliore difesa è la prevenzione e correttezza: dotarsi di assetti di controllo (report finanziari, sistemi di allerta interni), documentare le scelte, convocare i soci se il capitale scende sotto i limiti (obbligo ex art. 2482-bis c.c. per S.r.l.), non aggravare l’esposizione con manovre azzardate, e prontamente attivare i professionisti (commercialisti, legali) appena la crisi appare, per scegliere la procedura più adatta. Ad esempio, presentare nei termini una domanda di concordato evita di incorrere nel reato di bancarotta preferenziale per aver pagato qualcuno fuori tempo, e testimonia la volontà di trasparenza. Inoltre, se la società è molto indebitata, valutare un accordo transattivo con i creditori riduce anche il rischio per l’amministratore di essere coinvolto in cause dopo: spesso, parte delle transazioni di ristrutturazione includono rinunce a cause di responsabilità (soprattutto se l’apporto del management è decisivo per il recupero). Viceversa, l’amministratore che svuota le casse pensando di farla franca, o che continua ad accumulare debiti tributari per inseguire la speranza di un grosso ordine risolutivo, rischia di peggiorare la propria posizione. Un segnale dei tempi: la Cassazione ha statuito che la mancanza di adeguati assetti da parte dell’organo amministrativo è di per sé indice di colpa grave e può giustificare la revoca giudiziale degli amministratori per gravi irregolarità (casi come Trib. Milano 29/2/2024 hanno rimosso amministratori su istanza di soci proprio per l’assenza di assetti idonei, considerata irregolarità ex art. 2409 c.c.) .
Strategie di difesa dal punto di vista del debitore
Dopo aver delineato le “armi” normative a disposizione e i rischi correlati, possiamo raccogliere alcune strategie pratiche che un imprenditore debitore dovrebbe attuare per difendersi efficacemente:
- Analisi immediata e piano d’azione: Appena emerge la consapevolezza che l’azienda ha una situazione debitoria insostenibile con i flussi correnti, il management dovrebbe redigere un check-up finanziario: quantificazione esatta dei debiti (per tipologia, scadenze, privilegi), confronto con le disponibilità liquide e le prospettive di entrate. Da questa analisi derivano scenari: se il deficit è temporaneo e colmabile con azioni correttive, si predisporrà un piano di risanamento interno; se invece si prevede insolvenza, occorre scegliere una procedura concorsuale adeguata. Un errore da evitare è continuare come niente fosse, magari sperando in un miracolo commerciale: questo comportamento passivo trasforma spesso la crisi in insolvenza irreversibile.
- Coinvolgimento di professionisti e OCC: La legislazione della crisi incoraggia l’uso di Organismi di Composizione della Crisi (OCC) e di esperti indipendenti. Rivolgersi tempestivamente a un OCC territoriale (spesso presso le Camere di Commercio o gli Ordini professionali) consente di ottenere una consulenza qualificata sulla fattibilità di piani del consumatore o concordati minori, e di nominare un professionista che assista l’azienda. Allo stesso modo, la nomina dell’esperto nella composizione negoziata offre un supporto terzo e credibile nella trattativa con i creditori: un esperto nominato può proporre soluzioni che, dette dal debitore solo, i creditori non avrebbero accettato. Non va temuto il coinvolgimento di figure esterne: al contrario, spesso accredita la serietà dell’impresa nel voler risolvere la crisi.
- Moratorie e accordi ponte: Mentre si struttura una procedura di ampio respiro (es. concordato o accordo di ristrutturazione), è opportuno trovare accordi ponte con i creditori chiave per guadagnare tempo. Ad esempio, con le banche si può negoziare una moratoria sui mutui (interessi soli per 6-12 mesi) o il mantenimento degli affidamenti in attesa di presentare il piano di concordato – molte banche aderiscono a protocolli ABI che prevedono di non revocare fidi a PMI che abbiano chiesto la composizione negoziata o presentato domanda di concordato salvo casi eccezionali. Con i fornitori critici si può concordare di passare a pagamento anticipato per le forniture correnti (onde assicurarsi continuità delle consegne) ma dilazionare il pregresso su un orizzonte più lungo, magari garantendo ogni mese un piccolo pagamento pro-quota. Questi accordi andrebbero formalizzati per iscritto, anche per evitare poi contestazioni (e per evitare che un fornitore, avendo accettato una dilazione, all’improvviso proceda legalmente violando l’accordo).
- Tutela del patrimonio personale: Se i soci o amministratori hanno prestato garanzie personali (fideiussioni) su debiti aziendali – evento comune specie per debiti bancari – devono considerare azioni parallele per tutelarsi. Ad esempio, in caso di concordato, il socio fideiussore potrebbe negoziare con la banca un accordo personale (fuori concordato, perché la fideiussione non rientra nel passivo concorsuale) per essere liberato a fronte di un certo pagamento (a volte le banche accettano transazioni riduttive con i garanti se la società debitrice va in procedura). In alternativa, il socio potrebbe anch’egli valutare un procedimento di sovraindebitamento personale (se non è imprenditore fallibile) per liberarsi dalle fideiussioni una volta escusse. Inoltre, i soci dovrebbero evitare di mescolare il proprio patrimonio con quello aziendale durante la crisi: ad esempio, niente prelevamenti extracontabili o rimborsi anomali di finanziamenti soci – ciò potrebbe essere revocato e fatto valere come atto in frode. Piuttosto, se il socio ha disponibilità, potrebbe apportare nuova finanza all’azienda in crisi, preferibilmente con la struttura tecnica giusta (prestiti prededucibili in concordato, finanziamenti postergati, aumenti di capitale): questo oltre a dare ossigeno, segna un punto a favore nella valutazione di meritevolezza dell’imprenditore (ha messo risorse proprie per pagare debiti).
- Utilizzo di misure protettive: Come evidenziato, diversi strumenti offrono protezioni legali temporanee. L’azienda debitrice deve farne uso: ad esempio, depositando un ricorso per concordato “in bianco” appena prima che una banca iscriva pignoramento, oppure chiedendo al tribunale, una volta avviata la composizione negoziata, di inibire pro tempore le azioni esecutive e l’escussione di garanzie sui beni essenziali. Le misure protettive, se concesse, impediscono ai creditori di rompere le trattative sul nascere: de jure, tutti gli atti cautelari o esecutivi dei creditori rimangono congelati per la durata fissata dal giudice. Ad esempio, nel citato caso del Tribunale di Monza 27/9/2025, si distinguevano le misure protettive generali (moratoria generale) da quelle cautelari specifiche come l’inibitoria verso un creditore particolare, evidenziando che per confermare queste ultime il piano del debitore deve avere contorni più solidi . Ciò significa che se un creditore cruciale (es. il fornitore unico di un componente essenziale) minaccia di interrompere la fornitura per insolvenza pregressa, il tribunale può vietargli (misura cautelare) di sospendere il contratto in essere, garantendo la continuità aziendale mentre la crisi si sta regolando. Questi strumenti di tutela giudiziale sono fondamentali nel kit di difesa del debitore moderno.
- Scelta ponderata della procedura: Alla luce di quanto esposto, l’imprenditore dovrà valutare qual è la procedura più idonea al proprio caso. Se l’azienda ha prospettive di continuare e valore da preservare, si privilegeranno composizione negoziata e concordato in continuità; se ha un indebitamento molto superiore all’attivo ma il titolare vuole evitare strascichi, forse una liquidazione controllata con esdebitazione è la via; se i debiti sono in gran parte fiscali e contributivi, conviene un concordato preventivo con transazione fiscale (poiché in sede di concordato si possono stralciare anche le componenti di sanzioni e interessi e dilazionare il debito fiscale, cosa che fuori da esso è più difficile); se vi è necessità di intervento di un investitore, si può combinare un accordo di ristrutturazione con l’ingresso di un nuovo socio che apporta capitali e prende il controllo a debito ripulito, ecc. La difesa quindi consiste nello scegliere il campo di battaglia normativo più favorevole e giocarvi la partita, piuttosto che subire l’iniziativa dei creditori (che porterebbe al fallimento eterodiretto).
- Trasparenza e buona fede nelle trattative: Un atteggiamento cooperativo e trasparente da parte del debitore paga sempre. I creditori, specie quelli organizzati (banche, fisco), dispongono di informazioni e se percepiscono sotterfugi (es. scoprono atti di spoliazione del patrimonio) perdono fiducia e ostacoleranno qualunque piano. Al contrario, se l’imprenditore ammette le difficoltà, offre garanzie di voler massimizzare la soddisfazione di tutti secondo le regole e magari sacrifica egli stesso qualcosa (ad esempio offrendo un immobile personale in garanzia del piano di ristrutturazione), sarà più facile ottenere consenso e anche l’eventuale intervento positivo del tribunale. Ricordiamo che il concordato preventivo può essere revocato se dopo l’omologazione si scopre che era fondato su dati falsi o atti in frode: pertanto, la correttezza iniziale è la miglior difesa anche post-omologazione.
- Attenzione alle tempistiche: Infine, il fattore tempo è critico. Le normative concorsuali prevedono termini stringenti (60-120 giorni per depositare piani, scadenze per ottenere voti, ecc.). Un debitore difensivo deve rispettare i termini di legge, ad esempio depositando nei termini tutti i documenti richiesti in concordato o ADR, per non incorrere in decadenze che potrebbero far saltare la protezione e ridare via libera ai creditori. Anche il coordinamento con gli eventuali procedimenti esecutivi in corso è vitale: se un creditore ha già ottenuto un pignoramento e la vendita è fissata, serve magari un ricorso d’urgenza al tribunale fallimentare per sospendere le esecuzioni a fronte di un’imminente domanda di concordato. In pratica, serve un cronoprogramma integrato legale-finanziario per gestire tutti i fronti.
Nei prossimi paragrafi risponderemo ad alcune domande frequenti che gli imprenditori con debiti spesso si pongono, e successivamente forniremo casi pratici simulati per illustrare come potrebbero svolgersi concretamente alcune delle soluzioni discusse.
Domande frequenti (FAQ) sulla gestione dei debiti aziendali
D: La mia azienda non riesce a pagare i debiti fiscali e previdenziali. Cosa rischio e cosa posso fare?
R: In caso di debiti verso l’Erario (IVA, ritenute, imposte) e verso l’INPS, i rischi principali sono il recupero forzoso tramite Agenzia Entrate-Riscossione (cartelle, ipoteche su immobili aziendali o personali, fermi amministrativi su veicoli, pignoramenti su conti) e, per gli amministratori, possibili denunce penali se gli omessi versamenti superano le soglie di legge (ad es. IVA oltre 250.000 €, contributi oltre 10.000 € annui) . In prima battuta, conviene contattare gli enti creditori per vedere se è possibile ottenere una rateizzazione amministrativa del debito: l’Agenzia delle Entrate-Riscossione consente piani fino a 6 anni (72 rate) o, per importi grandi, fino a 10 anni (120 rate) in presenza di certi requisiti, senza dover fornire garanzie fino a 60.000 € di debito. La domanda di rateazione, se accolta, sospende le procedure esecutive a condizione di rispettare le rate. Inoltre, verificare se si rientra in qualche definizione agevolata introdotta dalla legge (come la “rottamazione” delle cartelle, che stralcia interessi e sanzioni). Se il debito è troppo elevato per essere gestito con rate ordinarie, può rendersi necessaria una procedura concorsuale: un concordato preventivo con transazione fiscale permette di proporre il pagamento parziale delle imposte e contributi (la legge consente nel concordato di falcidiare anche l’IVA e le ritenute, che di norma all’infuori del concordato non sarebbero dilazionabili né falcidiabili). In alternativa, per il piccolo imprenditore o il professionista, esiste il concordato minore o il piano del consumatore che ugualmente possono prevedere stralci, purché il giudice valuti che il trattamento offerto al Fisco sia equo e proporzionato. Importante: se è stato commesso reato di omesso versamento, l’adesione a una procedura concorsuale non estingue il reato in sé, ma se nel concordato si prevede il pagamento integrale del tributo prima dell’omologa, ciò potrebbe estinguere il reato (perché equiparabile al pagamento prima del dibattimento). Quindi, in situazioni delicate, è bene coordinare la strategia fiscale con quella penale. Infine, se vi sono cartelle esattoriali già notificate, si può chiedere al tribunale (nell’ambito di una composizione negoziata o di un’istanza prenotativa di concordato) la sospensione delle azioni esecutive: ad esempio, se è stata iscritta ipoteca, col concordato l’eventuale vendita dell’immobile ipotecato rientra nel piano e l’ipoteca non porta a esecuzione individuale. In parallelo, l’azienda deve iniziare a versare regolarmente il corrente: una volta in procedura, infatti, i versamenti tributari/contributivi che maturano dopo l’apertura vanno effettuati, altrimenti la procedura rischia di non essere omologata o di decadere (nel concordato preventivo, ad esempio, il debitore deve adempiere puntualmente agli obblighi fiscali post-petition).
D: Ho ricevuto decreti ingiuntivi dai fornitori e alcuni hanno pignorato il conto corrente aziendale. Come posso difendermi da queste azioni dei creditori?
R: Quando i creditori non privilegiati (fornitori, banche chirografarie) iniziano a fare azioni esecutive, la situazione è già degenerata in insolvenza conclamata. Per difendersi, il quadro normativo offre la possibilità di attivare una protezione concorsuale: presentando una domanda di concordato preventivo (anche con riserva) oppure richiedendo misure protettive nell’ambito di una composizione negoziata, si ottiene generalmente la sospensione automatica di tutte le azioni esecutive in corso. Ad esempio, se un fornitore ha già pignorato il conto, il giudice dell’esecuzione sospenderà la distribuzione delle somme se viene comunicato che è stata aperta una procedura concorsuale (il pignoramento diventa inefficace ex lege dopo l’omologa del concordato, art. 55 CCII). Nel breve periodo, prima di attivare la procedura, l’azienda può tentare un’opposizione all’esecuzione o al decreto ingiuntivo, ma queste servono solo se vi sono contestazioni concrete sul credito (errori, merito difensivo); se il debito è certo, l’opposizione guadagna solo un po’ di tempo ma alla fine il creditore avrà ragione. Più efficace è “batterlo sul tempo” passando su un livello concorsuale: tutti i creditori concorsuali vengono parificati e le loro iniziative individuali bloccate. Quindi, il consiglio è: appena partono i primi pignoramenti, valutare immediatamente il deposito di un ricorso per concordato preventivo o, se si è già in composizione negoziata, chiedere al tribunale un decreto di sospensione delle azioni (misura protettiva). Durante la sospensione, l’azienda potrà continuare ad operare (il conto corrente viene “sboccato” per l’uso ordinario) e i creditori dovranno presentare le loro pretese nella procedura scelta (votando nel concordato oppure aderendo a un accordo). Ricordiamo che persino una istanza di liquidazione controllata (ex fallimento) presentata dalla stessa azienda può, in certi casi, portare alla sospensione delle esecuzioni e alla concentrazione nel concorso (ma in genere è l’ultima spiaggia, perché liquida l’attività). Se uno specifico bene è vitale (es. un macchinario pignorato da un leasing): col concordato si possono mantenere in essere i contratti in corso (il leasing non risolto continua) e vietare al creditore di acquisire il bene senza autorizzazione. In sede di composizione negoziata, il tribunale può concedere misure cautelari mirate: ad esempio, un’ordinanza che inibisce al creditore procedente di mettere all’asta il macchinario, se è strategico per la continuità . Queste tutele però vengono date se il debitore fornisce un piano di ristrutturazione plausibile; in mancanza, difficilmente il giudice “congela” i diritti del creditore. In ogni caso, la parola d’ordine per difendersi è unificare le vertenze: portarle dal campo dispersivo delle decine di cause esecutive individuali al campo unitario di una procedura generale, dove vige la par condicio.
D: La banca ha revocato gli affidamenti e chiede il rientro immediato del fido scoperto. Posso fare qualcosa per evitarlo o per guadagnare tempo?
R: La revoca degli affidamenti da parte di una banca è un segnale gravissimo di crisi. Giuridicamente, se l’affidamento (ad esempio un fido di cassa) è “a revoca”, la banca può revocarlo in qualsiasi momento e pretendere il saldo del conto. Se è “sino a revoca” ma con preavviso (spesso contrattualmente 10-15 giorni), la banca deve dare tale preavviso. In pratica però cambia poco: l’azienda si trova improvvisamente senza liquidità. Per difendersi, si possono valutare alcune mosse: (a) trattativa con la banca: spesso la revoca è decisa da algoritmi interni se l’azienda sfora i covenant o è segnalata in centrale rischi; interloquire a livello dirigenziale, presentando un workout plan, potrebbe convincere la banca a convertire il fido a revoca in un finanziamento a medio termine per consentire il rientro graduale anziché immediato. In taluni casi, un consorzio di garanzia fidi (Confidi) potrebbe garantire parzialmente questo nuovo finanziamento se c’è un piano di rilancio. (b) Composizione negoziata: se l’azienda entra in negoziazione assistita, può chiedere che la banca sospenda le revoche o le segnalazioni negative in Centrale Rischi per la durata delle trattative. Addirittura, la normativa (art. 18 CCII) prevede che durante la composizione negoziata gli intermediari finanziari non possano deteriorare le condizioni accordate al debitore solo perché è in composizione negoziata, e anzi debbano valutare proposte di ristrutturazione in buona fede. Il debitore può anche richiedere misure protettive che includano il divieto per le banche di escutere eventuali garanzie o di iniziare cause (ad es. non possono iniziare un decreto ingiuntivo per l’importo dell’affidamento revocato). (c) Concordato preventivo: presentando una domanda di concordato, l’azienda beneficia del divieto di compensazione tra crediti e debiti pregressi, il che significa che la banca sul conto corrente non può incamerare le somme in accredito dopo la domanda per compensarle col debito pre-filing (art. 150 CCII); inoltre, la banca dovrà restituire eventuali somme incassate dopo il concordato per crediti anteriori. Nei fatti, questo non ripristina l’affidamento ma fa sì che il conto corrente, se attivo, non venga prosciugato dal saldo negativo. Spesso nel concordato si prevede di sostituire le linee di credito: ad es. i fidi bancari scoperti diventano crediti chirografari da soddisfare parzialmente con il piano, mentre l’azienda si procura un nuovo fido (magari da un altro istituto) in prededuzione per poter operare. Inutile dire che, se la banca ha revocato per fondati motivi (perdite gravi, sconfidenza totale), difficilmente tornerà sui suoi passi. Tuttavia, con una garanzia pubblica (es. attraverso il Fondo PMI) si può provare a far rientrare la banca concedendo un finanziamento ad hoc per pagare il suo stesso scoperto (queste operazioni sono delicate e necessitano approvazioni). In sintesi, il debitore può guadagnare tempo usando gli strumenti concorsuali che sospendono la pretesa immediata di pagamento e sfruttando normative di favore per le imprese in crisi (moratorie di sistema, accordi ABI). A titolo di esempio, nel 2020-2021 vi furono le moratorie Covid per cui le banche sospesero le revoche; oggi non c’è qualcosa di generalizzato, ma la mentalità sta cambiando: molte banche preferiscono sostenere il risanamento (se credibile) anziché precipitare l’azienda nel default. Importante è anche evitare mosse che peggiorino la posizione: non emettere assegni o effetti sapendo di non poterli coprire, perché protesti e segnalazioni aggraverebbero la situazione – meglio bloccare l’operatività e rinegoziare.
D: La mia è una piccola S.r.l. industriale familiare: se fallisce, i debiti della società ricadranno su di me personalmente?
R: La società a responsabilità limitata, di per sé, risponde solo col suo patrimonio dei debiti. I soci non ne rispondono personalmente, salvo due situazioni: (1) se hanno prestato garanzie personali (fideiussioni) o sono coobbligati verso qualche creditore; (2) se si è in presenza di condotte gravi tali da giustificare un’azione per “abuso della personalità giuridica” (in Italia molto rara: si parla di penetration of corporate veil solo in casi di frode manifesta, società usata come schermo illecito). Quindi, in linea generale, il fallimento della S.r.l. non comporta che i creditori possano aggredire la casa o i beni personali dei soci. Tuttavia, attenzione: molti creditori (banche in primis, fornitori di leasing, locatori) per PMI chiedono sempre la fideiussione dei soci o degli amministratori. In tal caso, se la società non paga, la fideiussione permette al creditore di chiedere i soldi direttamente al garante. Dunque, pur senza “ricaduta legale automatica”, la maggior parte dei soci di piccole s.r.l. di fatto si ritrova esposta personalmente per via delle garanzie firmate. Cosa fare allora? Se si profila la liquidazione della società, i soci garanti hanno interesse a partecipare ad eventuali trattative di saldo e stralcio: ad esempio, se nel concordato si paga il 30% al creditore garantito, il socio potrebbe trattare con quel creditore di essere liberato dalla garanzia pagando un ulteriore 10% con risorse personali, ottenendo una liberatoria completa. Oppure, il socio persona fisica potrebbe – come detto – avvalersi delle procedure di sovraindebitamento: se la società fallisce lasciando debiti insoddisfatti garantiti, il socio fideiussore può presentare un piano del consumatore (se i debiti sono personali non legati ad attività d’impresa propria) o un concordato minore personale per regolare quelle fideiussioni. Quanto agli amministratori, essi non rispondono dei debiti sociali, però possono essere chiamati a rispondere dei danni causati alla società o ai creditori dalla loro gestione (azione di responsabilità). In un fallimento, molto spesso il curatore promuove azione contro gli amministratori per mala gestio, chiedendo un risarcimento (per esempio: “hai continuato l’attività in perdita erodendo l’attivo che poteva andare ai creditori, quindi ci devi X”). Se condannati, il loro patrimonio personale è aggredibile per quel risarcimento. Inoltre, se vi sono state distrazioni di beni sociali a loro favore (prelevamenti conto utili non dovuti, ecc.), il curatore può agire per farli restituire (azione di rinventario o arricchimento senza causa). In sintesi: la struttura societaria limita molto le ripercussioni personali dei debiti, ma non è uno scudo totale contro l’imprudenza gestionale. Un socio non garante di norma perde al massimo il capitale investito (le sue quote diventano senza valore); un amministratore che ha agito correttamente di norma non subisce condanne; viceversa un socio garante o un amministratore negligente possono subire perdite personali ingenti. La difesa, quindi, sta nel limitare fin dall’inizio le garanzie personali prestate (esempio: evitare di garantire troppi debiti, o farlo solo pro quota tra soci per non accollarsi tutto) e nell’agire correttamente come amministratori. Se il disastro si avvicina, può essere saggio valutare di liquidare volontariamente la società prima che i debiti aumentino troppo, liquidando i beni per pagare parzialmente i creditori e cercando di ottenere dalle banche la liberazione dalle fideiussioni a fronte del realizzo. Spesso i soci si chiedono se mettere beni personali in un fondo patrimoniale o intestare a terzi possa difenderli dai creditori sociali: normalmente i creditori sociali non possono attaccare beni estranei alla società, quindi tali stratagemmi servono solo se i soci sono garanti o debitori essi stessi; inoltre, fare atti di disposizione per sottrarre garanzie ai creditori può essere considerato fraudolento (es. sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, art. 11 d.lgs. 74/2000, se si alienano beni per non far pagare il fisco). Quindi meglio evitare soluzioni opache e concentrarsi su quelle legali di composizione.
D: Un concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione incideranno sul mio rating e la possibilità di continuare l’attività?
R: Sì, inevitabilmente l’accesso a una procedura concorsuale incide sulla reputazione creditizia dell’impresa e la vincola a determinati comportamenti, ma è spesso un prezzo da pagare per salvare l’azienda. In particolare, l’ammissione al concordato viene iscritta nel registro delle imprese e diffusa ai creditori; per i contratti in corso, di norma, non si risolve automaticamente un contratto per il solo fatto del concordato (clausole risolutive automatiche in tal senso sono nulle), però i partner contrattuali possono chiedere garanzie aggiuntive o cercare di non rinnovare i rapporti. Dal lato bancario, un’azienda in concordato è classificata come in default, quindi difficilmente otterrà nuovo credito se non eventualmente finanziamenti prededucibili autorizzati dal tribunale. Tuttavia, lo scopo del concordato in continuità è proprio di permettere all’azienda di continuare a operare (ad esempio mantenendo le commesse, eseguendo nuovi ordini) mentre si ristruttura il passato. Molte imprese riescono a uscire dal concordato e poi a riaccreditarsi sul mercato dopo alcuni anni di “purgatorio”. Un accordo di ristrutturazione omologato, essendo meno stigmatizzante (spesso non comporta la nomina di organi esterni né pubblicità paragonabile al concordato), può essere visto meglio da partner e clienti, ma comunque sarà noto negli ambienti finanziari. In ogni caso, la scelta è tra una ferita reputazionale controllata (procedura concorsuale con un piano di prosecuzione) e una ferita letale (il fallimento): la prima è preferibile. Un accorgimento: investire in comunicazione trasparente con clienti e fornitori chiave durante la procedura. Spiegare, compatibilmente con i doveri di riservatezza, che l’azienda ha intrapreso un percorso per risolvere i problemi e che ha le risorse per onorare gli impegni futuri, aiuta a mantenere la fiducia. Ad esempio, alcune imprese in concordato in continuità scrivono ai clienti assicurando che il concordato riguarda solo debiti pregressi e che il prodotto/servizio continuerà ad essere fornito regolarmente. Dal punto di vista giuridico, i contratti essenziali (fornitura energia, locazione dello stabilimento, ecc.) proseguono e i creditori fornitori non possono interromperli per i crediti pregressi, a condizione di essere pagati per la fornitura corrente (art. 172 CCII sul divieto di esecuzione specifica di determinati contratti in corso). Quindi la legge già offre tutele per continuare l’attività. Riguardo al rating: sicuramente per alcuni anni sarà compromesso. Ma molte imprese preferiscono uscire dal concordato più snelle (anche ridimensionate) e finanziare la ripresa con mezzi propri o di nuovi soci, evitando il sistema bancario finché lo stigma non si attenua. Dal 2022 esiste la possibilità di un esdebitazione “immediata” per imprenditori onesti che chiudono una liquidazione: se l’imprenditore persona fisica è meritevole, l’esdebitazione è concessa subito col decreto di chiusura (anziché dopo 3 anni come era prima), e ciò può facilitare la riabilitazione economica. Inoltre, per agevolare le PMI post-crisi, sono stati pensati incentivi (ad es. il Codice appalti prevede che un’impresa in concordato con continuità può partecipare a gare pubbliche presentando una specifica relazione sul piano). Insomma, l’ordinamento cerca di riequilibrare: un’azienda in crisi ma che si ristruttura non deve essere automaticamente espulsa dal mercato. La difesa del debitore, in questo contesto, consiste anche nel valutare i pro e contro di ciascuna procedura in termini di impatto sulla operatività: un concordato può sembrare punitivo per la reputazione, ma se è l’unico modo per arrestare i pignoramenti e dilazionare i debiti, alla lunga difende la sopravvivenza aziendale meglio di una improbabile resistenza senza concordato destinata a far collassare la società.
D: Cosa succede ai debiti residui dopo che completo una procedura (concordato o liquidazione)? Possono ancora perseguitarmi?
R: Dipende dalla procedura: – In un concordato preventivo omologato, l’effetto esdebitativo è implicito: il debitore è obbligato solo a quanto previsto nel piano e, una volta eseguito il concordato, i debiti anteriori sono estinti per la parte eccedente. Ad esempio, se nel concordato si prevedeva di pagare il 40% a tizio, e quel 40% viene pagato, tizio non può più reclamare il restante 60%. La legge consente ai creditori di riacquistare il diritto per intero solo se il concordato viene risolto (per inadempimento grave del debitore) o annullato (per frode). Quindi, eseguire correttamente il concordato “pulisce” l’azienda dai debiti pregressi eccedenti. Attenzione però: le eventuali fideiussioni dei soci verso quei creditori, se non incluse in accordi transattivi, restano valide per la parte di credito falcidiata. Quindi, di norma, conviene fare in modo di liberare anche i garanti all’interno degli accordi concordatari. – Negli accordi di ristrutturazione vale simile: l’accordo omologato vincola l’aderente a quanto stabilito, e i creditori estranei sono pagati integralmente come condizione. Dunque, chi ha aderito rinuncia a chiedere altro in futuro (sempre fatti salvi i casi di risoluzione per inadempimento). – Nella liquidazione giudiziale (fallimento), dopo la chiusura fallimentare l’imprenditore persona fisica deve chiedere l’esdebitazione al tribunale, la quale usualmente viene concessa se non ci sono stati comportamenti fraudolenti e se il fallito ha cooperato (oggi i requisiti sono più ampi, il Codice la considera un diritto salvo eccezioni). L’esdebitazione cancella tutti i debiti non soddisfatti nel fallimento, tranne quelli esclusi per legge (alimentari, da illecito, sanzioni penali e amministrative pecuniarie, ecc.). Quindi i creditori chirografari che magari hanno ricevuto un 5% non possono pretendere il restante 95% dal debitore una volta esdebitato. Per le società, invece, la domanda non si pone perché dopo la liquidazione la società viene cancellata dal registro imprese e cessa di esistere, e i crediti insoddisfatti si estinguono insieme alla società (non è prevista esdebitazione perché non serve: la persona giuridica non esiste più, i creditori hanno solo eventuali azioni verso soci o garanti). – Nella liquidazione controllata del sovraindebitato e nelle procedure minori, l’esdebitazione è integrata: al termine, il giudice contestualmente dichiara inesigibili i debiti residui verso il debitore persona fisica (a meno che, come visto, non sia un incapiente che può ottenere esdebitazione subito). Anche il concordato minore comporta esdebitazione per la parte eccedente in modo analogo al concordato preventivo.
In sostanza, tutti gli strumenti concorsuali moderni contengono il meccanismo di fresh start: una volta assolti gli obblighi concordati, il debitore viene liberato dal resto. Pertanto, i debiti non “perseguitano” più il debitore. Fanno eccezione, ripetiamo, alcuni debiti di natura personale: gli obblighi di mantenimento familiare, le multe/ammende penali, le sanzioni amministrative (p.es. contravvenzioni al Codice della Strada) e i debiti per danni da fatto illecito non vengono cancellati dall’esdebitazione (art. 278 CCII), per ragioni di politica legislativa (si ritiene che certi debiti, come quelli alimentari o risarcitori di un danno, attengano a responsabilità individuali non liberabili facilmente). Quindi, se la nostra azienda ha un debito per risarcimento danni ambientali causati, quello potrebbe sopravvivere (ma potrebbe essere intestato alla società e se la società si estingue, finisce lì). In definitiva, per il tipico debito commerciale, bancario o fiscale, completare con successo una procedura concorsuale significa voltare pagina: i creditori dovranno attenersi a quanto ricevuto e non potranno più agire sul resto. Questa è una potente ragione per utilizzare tali procedure, in contrapposizione alla “persecuzione perpetua” che deriva dal non affrontare la situazione (un debito tributario, lasciato fuori da procedure, porta a cartelle, interessi e sanzioni che crescono, ipoteche, ecc., e rimane finché non pagato o prescritto dopo molti anni). Uno degli scopi socialmente utili del diritto fallimentare moderno è proprio dare al debitore sfortunato una seconda chance, e al mercato la garanzia che chi esce da una procedura torna pulito (tant’è che dopo l’esdebitazione l’imprenditore può anche aprire una nuova attività, ovviamente portandosi dietro una nomea da ricostruire).
D: Gli amministratori della società rischiano sanzioni penali se facciamo un concordato o falliamo?
R: L’apertura di una procedura di per sé non è reato (anzi, il concordato in sé è una scelta lecita). I rischi penali per gli amministratori dipendono dalle condotte tenute prima e durante la procedura: come spiegato, se prima del fallimento hanno commesso atti di distrazione, irregolarità contabili, preferenze indebite a taluni creditori, false comunicazioni ai creditori, questi fatti configurano i reati di bancarotta e altri delitti fallimentari, che verranno perseguiti dopo la dichiarazione di liquidazione giudiziale. In caso di concordato preventivo, se c’è frode (ad esempio, l’amministratore ha occultato beni per non farli confluire nel piano concordatario), può scattare il reato di frode in procedura concorsuale (art. 344 CCII, ex art. 236 LF). Inoltre, indipendentemente dalle procedure, restano i reati tributari: un concordato non estingue ipso facto l’azione penale per omessi versamenti se il debito fiscale viene solo parzialmente pagato; però nella prassi, se il concordato va a buon fine e il fisco ottiene almeno il dovuto parziale concordatario, spesso l’amministrazione finanziaria è meno incentivata a spingere per la via penale (specie se il rappresentante ha agito in buona fede in crisi di liquidità, i giudici talvolta riconoscono l’assenza di dolo grave). Vale la pena ricordare che esiste anche il reato di ricorso abusivo al credito (art. 325 CCII): se prima di fallire l’amministratore ha fatto ricorso al credito (p. es. ottenuto prestiti) occultando il dissesto o comunque senza possibilità di restituire, può essere punito con reclusione fino a 2 anni. Questo per prevenire comportamenti tipo “prendo più finanziamenti possibile e poi fallisco”, che aggravano il buco a danno dei nuovi creditori. In un concordato, invece, qualsiasi nuova finanza dev’essere dichiarata e di solito è prededucibile e trasparente, quindi quel reato non si pone.
In sintesi: non è il concordato/fallimento in sé a generare il reato, ma la condotta scorretta dell’amministratore. Se egli ha gestito male, affiorerà comunque. Se ha gestito bene e attiva per tempo gli strumenti, anzi, può evitare di incorrere in reati (ad esempio, presentando concordato prima di superare le soglie penali fiscali, oppure evitando di pagare preferenzialmente qualcuno durante la crisi grazie al blocco concordatario, così non commette bancarotta preferenziale). Quindi un amministratore onesto non deve temere di “mettere in concordato” la società; viceversa, un amministratore disonesto non può sperare di farla franca con la sola procedura. Anche per questo, difendersi efficacemente significa agire tempestivamente e con trasparenza: spesso i tribunali, nel valutare le condotte, tengono conto di quanto il debitore abbia cercato soluzioni ordinate (un concordato presentato spontaneamente può essere visto come attenuante, rispetto a un fallimento subito passivamente). Sul fronte sanzionatorio amministrativo, gli amministratori possono incorrere in sanzioni pecuniarie civili durante le procedure: ad esempio, la Cassazione del 27/10/2025 n. 28483 ha confermato la condanna di un amministratore al pagamento di una somma (pari al contributo unificato) in solido con la società, per aver proposto un ricorso in cassazione inammissibile con mala fede nell’ambito di una liquidazione controllata . Questo per dire che i comportamenti dilatori o abusivi dei processi concorsuali possono portare a sanzioni economiche personali (ex art. 51, co. 15 CCII). Nulla di penale, ma comunque un deterrente a fare ostruzionismo privo di fondamento.
Le risposte qui fornite chiariscono i dubbi più comuni, ma ogni situazione va valutata nel dettaglio con consulenti legali e contabili. Di seguito, per meglio comprendere come si applicano queste nozioni in concreto, proponiamo alcune simulazioni pratiche basate su ipotesi realistiche.
Simulazioni pratiche (casi ipotetici)
Caso 1: PMI manifatturiera indebitata che si risana con concordato in continuità
Situazione: La Alfa S.r.l., azienda toscana produttrice di attuatori idraulici (30 dipendenti, fatturato €5M), subisce nel 2024 un calo di commesse e l’aumento dei costi delle materie prime. Accumula €2 milioni di debiti: €500k con fornitori, €300k di scoperto bancario, €200k di mutuo residuo, €400k di debiti fiscali (IVA e INPS non pagati), €100k verso dipendenti (TFR accantonati e premi) e €500k di altri debiti (leasing macchinari, affitto capannone arretrato, ecc.). Il patrimonio aziendale consiste in macchinari (leasing in corso) e magazzino per €300k, la cassa è quasi zero, l’immobile è in affitto. Gli amministratori (due fratelli) hanno prestato fideiussione in banca per €200k. L’azienda ha ancora un portafoglio ordini di €4M per il 2025 ma la liquidità attuale non permette di acquistare le materie prime per lavorarli. Alcuni fornitori hanno già sospeso le consegne in attesa di pagamenti. L’Agenzia Entrate ha inviato solleciti per IVA non versata per €150k sul 2024. Difesa adottata: A gennaio 2025, Alfa S.r.l. si rivolge a un OCC locale e avvia la composizione negoziata della crisi. Viene nominato un esperto che a febbraio 2025 comincia gli incontri con i creditori principali (banche e fornitori chiave). Alfa nel frattempo chiede ed ottiene dal tribunale misure protettive: da marzo 2025 nessun creditore può iniziare o proseguire esecuzioni, e viene sospesa un’ingiunzione di pagamento già pendente dal locatore dell’immobile. L’esperto aiuta Alfa a predisporre un piano di risanamento: emerge che l’azienda, se alleggerita dal debito pregresso e con nuova finanza di €300k per capitale circolante, è in grado di tornare redditizia (grazie ai nuovi ordini con margini migliori). L’esperto tratta con una società di private equity locale, Beta Invest, disposta a investire €300k in Alfa acquisendone il 60% delle quote, a condizione che i debiti siano ristrutturati. A giugno 2025 Alfa formalizza una proposta di concordato preventivo in continuità: il piano prevede l’ingresso di Beta Invest con €300k freschi (di cui €200k usati subito per pagare fornitori strategici e rilanciare la produzione, e €100k accantonati per pagamenti concordatari), il mantenimento di tutti i dipendenti, e il pagamento ai creditori come segue: creditori privilegiati (erario e INPS) 100% in 4 anni (rate trimestrali), banca con mutuo 80% (continuando a pagare le rate, con garanzia aggiuntiva di Beta), fornitori chirografari 40% in 5 anni, dipendenti 100% (stipendi correnti garantiti e TFR dilazionato in 2 anni). I fornitori strategici, che nel frattempo grazie alle misure protettive sono tornati a fornire materie prime in cambio di pagamento prompto del nuovo (e così Alfa ha ripreso a produrre e consegnare attuatori, generando cassa), sono favorevoli. Viene depositata la domanda di concordato a luglio 2025, con il piano dettagliato e l’attestazione di un professionista sulla fattibilità. In agosto il tribunale apre la procedura e nomina un commissario. A settembre 2025 l’adunanza dei creditori vede il voto favorevole di tutti i privilegiati (lo Stato vota sì alla transazione fiscale del 100% in 4 anni), e i chirografari votano 75% a favore (alcuni fornitori piccoli non si esprimono, ma si raggiunge il quorum in valore). A ottobre 2025 il concordato è omologato. Esito: Alfa S.r.l. esce dalla procedura, Beta Invest apporta il capitale concordato ed entra in maggioranza. I creditori ricevono i pagamenti secondo il piano: i fornitori incassano il 40% in 5 anni, e nel frattempo continuano il rapporto commerciale. L’Erario e l’INPS incassano regolarmente le rate IVA/INPS (Alfa versa puntualmente anche le nuove scadenze fiscali del 2025-26, grazie al controllo Beta). I debiti precedenti vengono interamente soddisfatti o stralciati secondo l’accordo: la parte non pagata (es. il 60% dei fornitori) è cancellata dall’esdebitazione concordataria. Gli amministratori originali, pur avendo perso il controllo (sono rimasti con 40% quote), mantengono ruoli tecnici in azienda e contribuiscono al rilancio; non subiscono azioni di responsabilità poiché il concordato è andato a buon fine e i creditori hanno accettato il sacrificio pattuito. Nessun reato viene loro contestato (hanno agito tempestivamente prima di omettere troppi versamenti rilevanti, e comunque hanno pagato integralmente IVA/INPS nel piano, estinguendo eventuali profili penali). La morale di questo caso: con un intervento tempestivo e la combinazione di composizione negoziata + concordato, un’azienda anche molto indebitata ma industrialmente valida può salvarsi, i creditori ottengono più di quanto avrebbero avuto in un fallimento (dove forse avrebbero preso il 20%), e gli amministratori evitano guai peggiori.
Caso 2: Ditta individuale incapiente che ottiene l’esdebitazione totale
Situazione: Mario Rossi gestiva una piccola officina come ditta individuale, fornitrice di componenti per attuatori. Per via del fallimento di un grande cliente e di investimenti sbagliati, l’officina ha accumulato €300k di debiti (50k banca, 80k fornitori, 20k Equitalia per IVA, 150k debiti verso un parente che aveva finanziato, etc.). Mario ha chiuso l’attività nel 2025 a 60 anni, senza alcun bene: il capannone era in affitto (lo ha lasciato), i macchinari li ha venduti per pagare parte dei debiti ma non è bastato, ora fa il manutentore come dipendente prendendo €1.300/mese. Non possiede casa (sta in affitto), l’auto vale 3k. Insomma, è nullatenente. I creditori lo perseguitano (decreti ingiuntivi, telefonate di recupero crediti). Opzione difensiva: Mario si rivolge all’OCC locale e viene avviata nel settembre 2025 una liquidazione controllata del sovraindebitato. Vengono inclusi quei pochi beni cedibili (l’auto, un vecchio macchinario ancora in suo possesso, e un conto in banca con 2k). Il ricavato, poniamo 5k, viene distribuito ai creditori in percentuale irrisoria (es. 2%). Mario collabora lealmente, ha documentato che non ha nascosto nulla (il grosso ricavato dalla vendita macchinari l’aveva usato per pagare un po’ di debiti prima, ma comunque c’è trasparenza). Esito: A fine procedura, l’OCC rileva che Mario è un debitore incapiente meritevole, che non può offrire alcuna utilità ai creditori se non quella già liquidata. Il tribunale, su istanza di Mario, gli concede l’esdebitazione del debitore incapiente ex art. 283 CCII: con decreto, cancella tutti i debiti residui di Mario (€295k rimasti scoperti) . I creditori insoddisfatti non potranno più agire esecutivamente contro di lui. Tuttavia, per i 4 anni successivi, Mario dovrà comunicare all’OCC eventuali miglioramenti della sua situazione: se ad esempio nel 2026 vincesse 100k alla lotteria, dovrebbe destinarli (in parte) ai vecchi creditori riaperti. Passati 4 anni senza novità, sarà definitivamente libero. In pratica, Mario ha ottenuto un fresh start: potrà godersi lo stipendio modesto senza pignoramenti (sarebbe stato pignorabile un quinto altrimenti), e magari un domani avviare una nuova attività senza l’acqua alla gola. I creditori, dal canto loro, hanno perso quasi tutto – ma l’alternativa era comunque non avere nulla, data la totale insolvibilità di Mario. Questo caso mostra come la legge tutela il debitore persona fisica onesto ma sfortunato, e conviene farne uso: Mario avrebbe potuto restare terrorizzato dai decreti e lavorare in nero per evitarli, invece ricorrendo alla procedura legale ha “tagliato” i debiti e può tornare emerso nell’economia regolare.
Caso 3: Società in liquidazione i cui amministratori vengono sanzionati per mala gestio
Situazione: La Beta S.p.A., produttrice di componenti oleodinamici, in crisi di liquidità dal 2023, non ha attivato nessun percorso di ristrutturazione. Gli amministratori hanno continuato a operare facendo crescere il debito (prendevano nuovi ordini sotto-costo sperando di generare cassa, ma così aumentando le perdite) e non hanno convocato il consiglio quando a fine 2024 il bilancio mostrava perdite oltre il capitale. Hanno inoltre pagato integralmente un fornitore critico nel 2025 lasciando indietro altri. A luglio 2025 Beta S.p.A. è portata al fallimento da alcuni creditori. Conseguenze: Il curatore rileva che la contabilità era carente (non risultano ben registrate le fatture 2025) e che il ritardo nel portare i libri in tribunale ha eroso almeno €1M di attivo in altri 6 mesi di attività inutile. Egli avvia un’azione di responsabilità contro gli amministratori chiedendo €1M di danni. Inoltre, la Procura contesta la bancarotta semplice per aver aggravato il dissesto (art. 322 CCII) e la bancarotta preferenziale per aver pagato quel fornitore mettendolo in posizione migliore rispetto agli altri (art. 330 CCII). Gli amministratori si difendono dicendo che speravano in una ripresa, ma la mancanza di adeguati assetti e il non aver mai adottato misure di allerta giocano a loro sfavore: la Cassazione aveva già avvertito che l’assenza di assetti può costituire colpa grave ex art. 2086 c.c. . Verosimilmente, in sede civile saranno condannati a risarcire (magari patteggiano qualche centinaio di migliaia di euro) e in sede penale potrebbero subire una pena (con la condizionale). Perderanno anche l’onorabilità per future cariche (interdizione dai pubblici uffici e dalle imprese per alcuni anni). Morale: Questo scenario opposto ai precedenti insegna che ignorare la crisi espone a conseguenze drastiche. Se Beta avesse seguito un percorso concordatario nel 2024, forse gli amministratori avrebbero evitato sia la condanna risarcitoria sia i reati preferenziali (in concordato i pagamenti autorizzati non sono preferenziali). La difesa quindi è far tesoro di questi rischi e non procrastinare.
Questi esempi coprono alcune casistiche tipiche. Ogni azienda ha le sue peculiarità: ad esempio, imprese più grandi possono considerare l’amministrazione straordinaria (per aziende insolventi con 200+ dipendenti), ma nel settore PMI la gamma discussa è quella rilevante.
Tabelle riepilogative
Di seguito, due tabelle che sintetizzano rispettivamente le principali procedure di soluzione della crisi e le caratteristiche dei diversi tipi di debito già discussi, per avere un colpo d’occhio sulle opzioni e sui rischi:
Tabella 1 – Procedure di regolazione della crisi d’impresa (principali caratteristiche)
| Procedura | Soggetti ammessi | Organo coinvolto | Continuità aziendale | Falcidia dei debiti? | Approvazione creditori | Durata tipica |
|---|---|---|---|---|---|---|
| Composizione negoziata (dal 2021) | Imprese commerciali e agricole in crisi (nessuna soglia minima) | Esperto indipendente (nomina CCIAA); Tribunale solo se misure protettive o in caso di concordato semplificato finale | Sì, l’impresa prosegue normalmente durante le trattative | Possibile in accordi successivi (non impone falcidia di per sé, è un negoziato volontario) | Non richiede voto formale; eventuali accordi successivi sì (es. ADR 60%) | 3-6 mesi (estensibile) di trattative protette |
| Accordo di ristrutturazione dei debiti (ADR) | Imprese soggette a fallimento (anche grandi), anche sovraindebitati (variante art. 65 CCII) | Tribunale (omologa) | Può esserci, l’azienda continua l’attività | Sì, per i creditori aderenti si può prevedere stralcio; i non aderenti vanno pagati al 100% | Necessario accordo con ≥60% dei crediti (o 30% in ADR agevolato); no voto assembleare, adesione individuale | 4-8 mesi tipicamente (dopo trattative pregresse), poi esecuzione piano 2-5 anni |
| Concordato preventivo (continuità o liquidatorio) | Imprese soggette a fallimento (no consumatori; per piccoli c’è concordato minore) | Tribunale (ammissione + omologa); Commissario giudiziale | Sì in quello “in continuità”; no in liquidatorio (cessazione attività salvo esercizio provvisorio) | Sì, anche forti stralci ai chirografari; privilegiati almeno quota valore garanzia salvo consenso | Voto per classi o per maggioranza crediti ≥50% (con possibili cram-down se classi dissenzienti) | 6-12 mesi per omologa; esecuzione piano 1-5 anni (monitorata da Commissario o Liquidatore) |
| Concordato minore (sovraindebitamento) | Debitori non fallibili non consumatori (es. piccoli imprenditori, start-up) | Tribunale (nomina OCC ausiliario + omologa); Gestore nominato da OCC | Possibile continuità se previsto dal piano (come nel concordato ord.) | Sì, falcidie possibili come concordato ord.; privilegiati se falcidiati necessitano soddisfazione almeno pari a quella in liquidazione | Voto dei creditori richiesto: ≥60% crediti (no classi obbligatorie, ma possibili) | 4-8 mesi per omologa; esecuzione 1-4 anni |
| Piano del consumatore (ristrutt. debiti consumatore) | Persona fisica consumatore (non fallibile, debiti privati) | Tribunale (omologa); OCC/Gestore sovraindebitamento | Non attinente (il consumatore non ha azienda, ma mantiene la sua capacità di reddito) | Sì, può proporre di pagare parzialmente i debiti compatibilmente col proprio reddito | Non c’è voto creditori – decisione rimessa al Giudice (verificata meritevolezza e convenienza) | 3-6 mesi per omologa; esecuzione può durare anche 5-7 anni a seconda del piano (controlli OCC) |
| Liquidazione giudiziale (ex fallimento) | Imprese commerciali insolventi sopra soglie fall. (o dichiarate da PM/cred. anche se sotto soglia per particolare interesse) | Tribunale (sentenza) + Curatore nominato; Giudice delegato | No, cessazione attività (salvo vendite in esercizio provvisorio se autorizzate per miglior realizzo) | Non è un concordato: i debiti vengono soddisfatti in base al ricavato (di solito parzialmente); eccedenza insoddisfatta resta salvo esdebitazione persona fisica | Non applicabile (creditori partecipano al passivo, non votano su piano) | 1-3 anni in media (procedure semplificate puntano a <2 anni); chiusura quando esaurito attivo |
| Liquidazione controllata (sovraindebitamento) | Debitori non fallibili insolventi (piccoli imprendit., persone, consumatori) | Tribunale + Liquidatore nominato; OCC assiste | No, cessa o si liquida patrimonio persona | Come sopra: debiti pagati pro-quota col ricavato, eventuale esdebitazione finale | Nessun voto; creditori presentano domande di credito al liquidatore | 1-2 anni (dipende da beni da liquidare); poi decreto di chiusura ed esdebitazione (immediata o entro 1 anno) |
Tabella 2 – Tipologie di debiti e loro trattamento/gestione
| Tipo di debito | Azioni tipiche del creditore | Privilegio/Garanzie | Soluzioni specifiche | Rischi per l’amministratore |
|---|---|---|---|---|
| Fiscali (Erario) – imposte dirette, IVA, ritenute | Cartella esattoriale → ipoteca su beni (≥€20k) , fermo auto (≥€1k), pignoramenti. Possibile sequestro ex art.22 D.Lgs 472/97 per imposte. | Privilegio generale mobili (imposte) e immobiliare (es. ipoteca legale su beni del debitore per IVA>€5k). Sanzioni e interessi aggiunti. | Rateazione fino 72/120 rate. Definizioni agevolate (rottamazione cartelle). Transazione fiscale in concordato/ADR per stralciare sanzioni e interessi, e falcidiare imposta in concordato (anche IVA). | Reati omesso versamento IVA >€250k (art.10-ter) ; omesso versam. ritenute >€150k (10-bis). Sottrazione fraudolenta se occultati beni per non pagare imposte (art.11). Responsabilità patrimoniale del liquidatore se paga altri creditori lasciando imposte (art. 2495 c.c. e art.36 DPR 602/73). |
| Contributivi (INPS, INAIL) – contributi previdenziali obbligatori | Avviso di addebito → riscossione tramite Agenzia Entrate-Riscossione (come sopra: cartelle, fermi, ipoteche, pignoramenti). | Privilegio generale sui mobili per contributi; prededuzione in fallimento per quote dipendenti; possibile ipoteca. | Dilazione INPS fino 24-36 mesi (anche 72 per aziende in crisi art. 18 DL 8/2020). Eventuali condoni di sanzioni tramite norme speciali. Possibile stralcio in concordato (anche contributi). | Reato omesso vers. ritenute previdenziali >€10k annui (arresto fino 3 anni) – non punibile se pagato entro 3 mesi da contestazione . Responsabilità ex art. 316-bis c.p. se distrazione contributi? (in teoria appropriazione indebita di trattenute). Amministrativamente, sanzioni civili fino 60% del dovuto. |
| Bancari/Finanziari – mutui, fidi, leasing, ecc. | Decreto ingiuntivo rapido (credito fondato su estratti conto e contratto). Pignoramento di conti correnti/depositi. Escussione di eventuali pegni su titoli/crediti. Risoluzione leasing con restituzione bene e richiesta differenza. Se garanzie reali: esecuzione immobiliare (ipoteca) o vendita bene mobile (pegno). | Garanzie contrattuali frequenti: ipoteche su immobili azienda/soci, pegni su beni o crediti, covenant finanziari con risoluzione automatica se violati. Banche spesso con privilegio generale se finanziamenti 2751-bis n.2 c.c. (forse non applicabile a banche). | Moratorie ABI (se attive) per sospensione rate mutui. Rinegoziazione: es. consolidamento fido a revoca in mutuo. Possibile ricorso a Fondo PMI per garanzia pubblica nuovi crediti. In concordato, possibile soddisfare parzialmente chirografari; garantiti vanno soddisfatti almeno nel valore di realizzo garanzia. | In genere non c’è responsabilità penale per insolvenza verso la banca (il default non è reato). Ma se ottengono credito con false informazioni → reato di truffa o false comunicazioni sociali. In fallimento: bancarotta preferenziale se banca incamerò pagamenti o compensazioni indebite prima del fallimento (es. pagamento anticipato di debiti non scaduti). Se leasing non pagato: no reati, ma l’omesso pagamento può portare a azione per danni. |
| Fornitori commerciali – debiti trade | Decreto ingiuntivo (titoli di credito o fatture); se non opposto, pignoramento beni azienda (macchinari, merci) o crediti (verso clienti). Azione revocatoria di pagamenti ricevuti a ridosso fallimento (da curatore, se fornitore è attore passivo). | In genere chirografari, salvo clausole di riserva proprietà su beni forniti (in tal caso possono rivendicare bene se ancora esistente e non incorporato). Eventuali garanzie personali ottenute (fideiussione socio). | Accordi a saldo e stralcio bilaterali; dilazioni informali. In concordato, spesso sono falcidiati (es. ricevono xx% dividendo). Possono aderire a ADR se rilevanti. Fornitori essenziali: legge li tutela nei concordati (devono continuare fornitura vs pagamento corrente). | Nessuna responsabilità penale specifica per mancato pagamento fornitori. Tuttavia, in caso di fallimento, i pagamenti preferenziali fatti a fornitori “amici” possono costituire bancarotta preferenziale (se effettuati in stato di insolvenza conclamata per favorire taluni). Inoltre, se l’amministratore ha continuato a ordinare merce sapendo di essere insolvente, talvolta contestata come frode ai danni dei creditori (subdolo, ma in combinato potrebbe configurare profili di illecito civile). |
| Dipendenti – retribuzioni, TFR | Decreto ingiuntivo in via sommaria (buste paga non pagate). Denuncia ITL (ispettorato) per omissione contributiva. Azione art.1676 c.c. (dipendenti possono escutere direttamente crediti del datore verso terzi, p.es. appaltante). In fallimento: insinuazione privilegio. | Super-privilegio su immobili per ultimi 3 mesi retribuzioni; privilegio generale per 6 mesi retribuzioni + TFR, contributi; intervento Fondo di garanzia INPS per TFR e ultime 3 mensilità (INPS poi surroga nel privilegio). | Ammortizzatori sociali (CIGS, ecc.) per evitare accumulo debiti retributivi. Accordi sindacali per dilazionare pagamenti entro certi termini. Nei concordati, dipendenti: possibile pagamento parziale TFR purché prendano ≥quanto in liquidazione (difficile falcidiare molto perché privilegio). | Penalmente: reato contravvenzionale omesso versamento ritenute INPS (già discusso); omesso versamento stipendi (art. 2 L. 428/1980: punisce datore che non paga stipendi da oltre 3 mesi, ma si applica raramente con dolo). In fallimento: mancato versamento contributi configura bancarotta impropria se frode; distrazione contributi (se trattenuti e non versati) può considerarsi bancarotta fraudolenta. Civilmente: amministratore può essere responsabile verso dipendenti se li ha assunti/fatti lavorare sapendo di non poterli pagare (in teoria, azione risarcitoria). |
Nota: Nella tabella sopra, per semplicità, con “fallimento” si intende la liquidazione giudiziale e con “concordato” il concordato preventivo o minore.
Conclusioni
Affrontare una situazione di grave indebitamento aziendale è un compito complesso, ma la legislazione italiana odierna offre una cassetta degli attrezzi completa per difendere il debitore onesto e al tempo stesso tutelare (per quanto possibile) i creditori. Il punto di vista del debitore – quello adottato in questa guida – ci insegna che l’imprenditore deve diventare attore proattivo della propria crisi, e non subirla passivamente. Prevenzione, tempestività e competenza sono le parole chiave: dotarsi di assetti adeguati per cogliere i primi segnali di difficoltà; non isolarsi ma coinvolgere consulenti e stakeholders in cerca di soluzioni; scegliere lo strumento giusto (dal piano stragiudiziale al concordato, dalla composizione assistita alla liquidazione con esdebitazione) per gestire i debiti in modo ordinato e mantenere quanto più valore possibile dell’impresa.
Abbiamo visto come un’azienda come quella di attuatori idraulici del titolo può, in uno scenario positivo, negoziare coi creditori e magari risanarsi, oppure, in scenari più negativi, liquidare e ripartire pulita. In ogni caso, difendersi non significa eludere i propri obblighi, bensì governare il processo di regolazione dei debiti sfruttando i benefici che le norme concedono a chi agisce in buona fede: dalla moratoria di legge sulle azioni esecutive all’esdebitazione finale. Al contrario, chi ignora la crisi o prova a fuggire dalle proprie responsabilità rischia sanzioni, azioni legali e di dissipare inutilmente quel valore residuo che poteva essere utilizzato per un accordo.
Per il professionista legale che assiste un imprenditore indebitato, il compito è di combinare conoscenza tecnica (norme, sentenze aggiornate, prassi dei tribunali) e sensibilità pratica (tenere conto degli aspetti umani e reputazionali, delle esigenze di continuità dell’attività, del comportamento dei diversi creditori). Le sentenze più recenti indicano chiaramente la direzione: tolleranza zero verso la mala gestio e l’improvvisazione, ma anche supporto a chi cerca di ristrutturare con correttezza (si pensi alle pronunce sulla flessibilità dei piani di sovraindebitamento o sulle tutele in composizione negoziata).
In conclusione, un’azienda con debiti ha di fronte a sé un percorso difficile ma non necessariamente mortale: le strade della ristrutturazione e, in ultima analisi, della liberazione dai debiti sono percorribili. Come recita un motto, “il fallimento non è la fine, può essere un nuovo inizio”, specie se quell’evento di crisi è gestito entro un quadro normativo pensato proprio per ridare fiato all’imprenditore e soddisfazione equa ai creditori. Questa guida, aggiornata a ottobre 2025, mostra che l’ordinamento italiano, in linea con gli orientamenti europei, spinge verso una visione “win-win” dove possibile (impresa salvata, creditori parzialmente pagati meglio che nel default) e comunque consente al debitore di tornare in gioco (fresh start) se il business non è recuperabile.
Il debitore, dal canto suo, deve però mettere in campo onestà, trasparenza e impegno nel seguire le regole del gioco: solo così potrà davvero difendersi efficacemente dai debiti senza incorrere nelle penalità che la legge, giustamente, prevede per gli abusi. Conoscere i propri diritti e doveri – con l’ausilio di esperti – è il primo passo per uscirne: si spera che questa trattazione avanzata abbia fornito un quadro chiaro e dettagliato per imprenditori, professionisti e privati interessati a comprendere come navigare le acque tempestose della crisi d’impresa con la bussola del diritto.
Fonti e riferimenti
- Cassazione Civile, Sez. I, 27 ottobre 2025, n. 28483 – Massima ufficiale in materia di condanna dell’amministratore per ricorso in cassazione inammissibile nella liquidazione controllata .
- Tribunale di Milano, decreto 29 febbraio 2024 – La mancata predisposizione di assetti adeguati costituisce grave irregolarità (rimozione ex art. 2409 c.c.) .
- Confindustria – “Disposizioni integrative e correttive al Codice della crisi d’impresa (D.Lgs. 136/2024)” – Sintesi delle novità introdotte (composizione negoziata potenziata, obblighi segnalazione anticipata, ecc.) .
- Portale INPS – “Sanzioni per inadempimento obbligo contributivo” (agg. 2024) – Regime ex art. 2, D.L. 463/1983: omesso versamento contributi >€10.000 reato penale (fino 3 anni, multa €1.032) , sotto €10.000 sanzione amm.va 1,5–4 volte omesso , non punibile se pagamento entro 3 mesi da contestazione .
- Corte Costituzionale – Sentenza n. 103/2025 (deposito 8/7/2025) – Legittimità costituzionale delle sanzioni per omesso versamento contributi <€10.000 (sanzione amm.va fissa 1,5–4x) vs >€10.000 (reato penale): questione rigettata, regime ritenuto non irragionevole .
- Cassazione Penale – sentenza (o ordinanza) n. 2172/2023 – Principio: mancanza di assetti adeguati = responsabilità diretta imprenditore/organi gestori e indice di cattiva amministrazione (“azienda invendibile”) .