Azienda Di PLC Industriali Con Debiti: Cosa Fare Per Difendersi E Come

Se gestisci un’azienda che produce, integra o distribuisce PLC industriali, moduli I/O, CPU, HMI, sistemi SCADA, inverter, bus di comunicazione e soluzioni per l’automazione industriale, e oggi ti ritrovi con debiti fiscali, cartelle dell’Agenzia delle Entrate Riscossione, arretrati INPS, esposizioni bancarie o debiti con fornitori strategici, la continuità della tua attività è davvero a rischio.
Il settore dell’automazione richiede affidabilità, continuità delle forniture e rispetto delle tempistiche. Un blocco causato dai debiti può fermare progetti, ritardare consegne e mettere in crisi rapporti con integratori, costruttori di macchine e clienti industriali.
La buona notizia è che puoi ancora difenderti e salvare l’azienda, ma devi intervenire rapidamente.

Perché le aziende di PLC industriali accumulano debiti

Le cause principali sono costi elevati di CPU, moduli I/O, HMI, microcontrollori ed elettronica, rincari di componenti importati e semiconduttori, pagamenti lenti da parte di integratori e OEM, ritardi nei versamenti IVA e contributi, magazzini complessi con molte linee e versioni, investimenti costanti in firmware, software, test e certificazioni, difficoltà ad ottenere fidi bancari adeguati e fornitori critici che chiedono pagamenti anticipati.
Questi elementi possono portare rapidamente a crisi di liquidità e indebitamento crescente.

Cosa fare subito

Non restare fermo: è il momento di agire.
La prima cosa da fare è far analizzare la situazione debitoria da un avvocato esperto in debiti aziendali. Devi verificare quali debiti sono corretti e quali invece sono gonfiati, irregolari o prescritti. Evita di firmare piani di rientro affrettati o rateizzazioni insostenibili. Richiedi la sospensione di eventuali pignoramenti o azioni esecutive.
Valuta piani di pagamento sostenibili con AE Riscossione e INPS, proteggi i rapporti con fornitori critici di elettronica e PCB, previeni il blocco del conto corrente e utilizza gli strumenti legali per ridurre, ristrutturare o rinegoziare i debiti.

Rischi concreti se non intervieni subito

I rischi sono seri: pignoramento del conto corrente aziendale, blocco delle forniture di CPU, moduli I/O e componenti essenziali, impossibilità di completare commesse e progetti di automazione, ritardi nello sviluppo software e firmware, perdita di integratori e clienti strategici, danni alla reputazione tecnica e commerciale, mancato pagamento di dipendenti e fornitori, rischio concreto di chiusura dell’attività.
Nel settore dei PLC anche un ritardo minimo può fermare linee produttive dei clienti, generando costi e penali.

Come un avvocato può aiutarti concretamente

Un avvocato specializzato in debiti aziendali può bloccare immediatamente pignoramenti e azioni esecutive, ridurre l’importo complessivo dei debiti tramite trattative mirate, ottenere rateizzazioni veramente sostenibili, far annullare debiti prescritti o irregolari, negoziare con banche e fornitori per evitare blocchi delle consegne, proteggere magazzino, componenti elettronici, software e know-how, stabilizzare la situazione mentre l’azienda ristruttura i debiti ed evitare l’apertura di procedure concorsuali.
Una strategia legale efficace può fare la differenza tra chiusura e rilancio.

Come evitare che l’attività si blocchi

Per mantenere la tua azienda operativa devi intervenire subito, evitare trattative fai–da–te con creditori senza un piano strutturato, proteggere fornitori e componenti fondamentali per la produzione e l’assistenza, ristrutturare i debiti prima che scattino pignoramenti o blocchi del conto, contestare debiti irregolari e concentrare la liquidità sulle attività che generano valore: produzione, software, assistenza, consegne.
Così puoi evitare fermi impianto, penali e perdita di clienti chiave.

Quando rivolgersi a un avvocato

Dovresti farlo immediatamente se hai ricevuto cartelle, solleciti, intimazioni o preavvisi di pignoramento, se i debiti con AE Riscossione, INPS, banche o fornitori stanno aumentando troppo rapidamente, se temi il blocco del conto bancario, se la liquidità sta crollando, se i fornitori minacciano di sospendere consegne o se la situazione rischia di portare alla chiusura dell’azienda.
Un avvocato esperto può bloccare le procedure, ridurre i debiti e mettere in sicurezza la tua attività.

Attenzione

Molte aziende del settore automazione non falliscono per i debiti in sé, ma perché intervengono troppo tardi. Con la strategia giusta puoi ridurre, rinegoziare o eliminare parte dei debiti e stabilizzare realmente il futuro dell’impresa.

La tua azienda è indebitata? Richiedi una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo per bloccare le procedure, ridurre i debiti e salvare la tua attività.

Introduzione

Gestire un’azienda industriale (ad esempio un produttore di PLC, controllori logici programmabili) comporta spesso esposizioni debitorie significative verso vari soggetti: banche, fornitori, Fisco, enti previdenziali e altri. Quando i debiti aziendali diventano insostenibili, l’imprenditore si trova di fronte a un bivio cruciale: come difendersi dai creditori e al tempo stesso trovare soluzioni per superare la crisi finanziaria. Questa guida offre un quadro completo e avanzato (taglio giuridico ma divulgativo) di ciò che un debitore d’impresa può fare per proteggersi e gestire la situazione debitoria, con particolare riferimento all’ordinamento italiano.

Affronteremo le diverse tipologie di debiti (tributari, bancari, verso fornitori, previdenziali, ecc.) e le relative conseguenze e priorità. Vedremo poi gli strumenti giuridici di composizione della crisi – sia stragiudiziali (fuori dal tribunale) sia giudiziali (procedure concorsuali) – oggi disponibili per le imprese in difficoltà, alla luce del nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019 e successive modifiche). Illustreremo inoltre le responsabilità degli amministratori e come tutelare il patrimonio personale degli imprenditori, con focus su società di capitali (S.r.l., S.p.A.) dove vige il principio della responsabilità limitata ma non mancano casi di coinvolgimento personale.

Lo scopo è fornire una guida pratica per avvocati, imprenditori e privati coinvolti in situazioni di sovraindebitamento aziendale, con linguaggio chiaro ma rigoroso. Troverete tabelle riepilogative, esempi pratici (simulazioni) e una sezione di Domande e Risposte frequenti (FAQ) per chiarire i dubbi più comuni. Infine, verranno citate le fonti normative e la giurisprudenza più aggiornata (sentenze di Cassazione e provvedimenti recenti) a supporto dei concetti chiave, raccolte nella sezione conclusiva Fonti e Giurisprudenza.

Importante: Ogni situazione di crisi è unica. Questa guida fornisce strumenti generali, ma è fondamentale agire tempestivamente e con l’assistenza di professionisti qualificati (commercialisti, avvocati) per scegliere la strategia difensiva più adatta. In Italia la normativa sulla crisi d’impresa è stata recentemente riformata per privilegiare l’emersione precoce delle difficoltà e favorire il risanamento quando possibile, o una liquidazione ordinata con limitazione dei danni quando il risanamento non è praticabile. Il punto di vista che adotteremo è sempre quello del debitore che cerca di minimizzare le conseguenze negative (per sé, per l’azienda, per i soci e dipendenti) e di uscire dalla crisi nel modo meno traumatico.

Nei paragrafi che seguono partiremo dall’analisi dei vari debiti che un’azienda può accumulare e dei rischi connessi, per poi approfondire le soluzioni a disposizione e le strategie difensive utili prima che la situazione degeneri in contenziosi o procedure forzose. Dedicheremo infine spazio alle FAQ, dove risponderemo in modo mirato a domande comuni (ad esempio: “Cosa rischio se la mia S.r.l. fallisce? I debiti fiscali possono essere tagliati? Come funziona la composizione negoziata?”). Il focus è esclusivamente sul diritto italiano, con aggiornamenti fino a tutto Ottobre 2025 e riferimento alle norme vigenti e alle pronunce giurisprudenziali più recenti.

Tipologie di debiti aziendali e relative conseguenze

Non tutti i debiti sono uguali. A seconda della natura del creditore e del tipo di obbligazione, cambiano sia le tutele di cui il creditore gode (privilegi, garanzie, poteri di riscossione) sia le possibili strategie difensive per il debitore. È quindi essenziale distinguere le principali categorie di debito che un’azienda di tipo industriale potrebbe avere:

  • Debiti fiscali (tributari) verso l’Erario – ad esempio IVA, imposte sui redditi, IRAP – e debiti verso l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia) derivanti da cartelle esattoriali non pagate.
  • Debiti previdenziali e assistenziali verso enti come INPS (contributi pensionistici, contributi per dipendenti) e INAIL (assicurazione infortuni).
  • Debiti bancari e finanziari, derivanti da prestiti, mutui, scoperti di conto, leasing o altri finanziamenti ottenuti da banche o società finanziarie.
  • Debiti verso fornitori commerciali e altri creditori non privilegiati (c.d. chirografari), inclusi eventuali debiti verso consulenti, professionisti, ecc.
  • Debiti verso i dipendenti, come retribuzioni arretrate, TFR, straordinari non pagati.
  • Debiti verso soci o parti correlate, ad esempio finanziamenti soci (che per legge sono postergati, cioè subordinati, in caso di insolvenza).
  • Debiti “multilivello”, termine con cui possiamo indicare una situazione in cui l’azienda ha esposizioni su più fronti contemporaneamente (Fisco, banche, fornitori, ecc.), ciascuna con un diverso livello di priorità e urgenza.

Ciascuna tipologia di debito comporta rischi specifici e va affrontata con strumenti adeguati. Nella Tabella 1 sottostante forniamo un riepilogo delle caratteristiche principali di queste categorie di debiti e delle possibili azioni dei creditori, nonché note sulle strategie di difesa:

Tabella 1 – Tipologie di debiti aziendali, tutele dei creditori e possibili difese del debitore

Tipo di debitoEsempiTutele e poteri del creditoreStrategie difensive del debitore
Debiti fiscali (Erario)IVA non versata, imposte dirette, ecc.– Privilegio generale mobiliare e immobiliare su beni del debitore<br>– Facoltà di iscrivere ipoteca su beni immobili (se il debito supera determinate soglie) e fermo amministrativo su veicoli<br>– Riscossione tramite cartelle esattoriali; se impagate, avvisi e atti esecutivi senza bisogno di sentenza (titolo esecutivo automatico) <br>– Possibile insinuazione al passivo con privilegio in caso di procedure concorsuali<br>– Voto in concordato preventivo determinante: fino al 2024, il Fisco poteva bloccare l’omologazione se votava contro, salvo rare eccezioni (vedi sezione concordato)Pre-contenzioso: chiedere rateizzazione del debito (fino a 6-8 anni, se in regola coi requisiti) per evitare azioni immediate; aderire a eventuali definizioni agevolate (es. rottamazione delle cartelle) se previste per legge .<br>– In sede di concordato preventivo o accordo di ristrutturazione: proporre una transazione fiscale, ovvero un pagamento parziale/dilazionato di imposte e contributi, assicurando almeno il trattamento che il Fisco otterrebbe in una liquidazione . Dal 2024, grazie al “cram down fiscale”, il tribunale può omologare il concordato anche senza il voto favorevole dell’Erario, se il piano garantisce al Fisco una soddisfazione non inferiore alla liquidazione .<br>– Misure protettive: attivando una procedura di composizione negoziata o presentando ricorso per concordato, è possibile ottenere la sospensione temporanea delle azioni esecutive (vedi sezioni dedicate).<br>– Contenzioso: valutare ricorso contro cartelle o accertamenti se vi sono vizi di merito/procedura, per guadagnare tempo o ridurre l’importo (es. contenzioso tributario, autotutela per errori evidenti).
Debiti previdenziali (INPS/INAIL)Contributi dipendenti non versati, premi assicurativi– Privilegio generale (analogamente al Fisco) per contributi previdenziali dovuti<br>– Procedura di riscossione analoga a quella fiscale (avvisi di addebito INPS con valore di titolo esecutivo immediato)<br>– Possibilità di iscrivere ipoteche e procedere a pignoramenti come Agenzia Riscossione (che spesso riscuote anche per INPS)<br>– In concordato preventivo, i crediti contributivi seguono regime simile a quello fiscale (necessario assenso per falcidia salvo cram-down dal 2024)– Chiedere dilazione dei contributi omessi: INPS concede rateazioni (tipicamente fino a 24 rate mensili, estensibili in alcuni casi) se l’azienda ha i requisiti, evitando misure aggressive immediate.<br>– Inserire i contributi nel piano di transazione fiscale/contributiva in concordato o accordo ristrutturazione, proponendo il pagamento parziale di sanzioni e interessi (consentito dalla legge) e garantendo il rispetto del trattamento minimo previsto dalla normativa concorsuale.<br>– Misure protettive: come per i debiti fiscali, l’accesso a composizione negoziata o concordato sospende anche le azioni di INPS durante la tutela concordataria.<br>– Verificare eventuali errori nei conteggi (es. importi prescritti, contributi non dovuti) e, se del caso, presentare ricorsi amministrativi o giudiziari per rideterminare il dovuto.
Debiti bancari e finanziariRate mutuo, affidamenti di conto, leasing, fidi, ecc.– Spesso il credito bancario è garantito da ipoteca su immobili, pegno su beni o fideiussioni personali dei soci/amministratori.<br>– In caso di insolvenza, la banca può invocare il decadimento dal beneficio del termine e chiedere l’immediato pagamento di tutto il dovuto, avviando azioni esecutive (esecuzione immobiliare su beni ipotecati, pignoramento di beni aziendali, escussione delle garanzie personali).<br>– La banca segnala l’inadempimento alla Centrale dei Rischi di Bankitalia, pregiudicando la possibilità di ottenere nuovo credito.<br>– In procedure concorsuali, i crediti bancari privilegiati (p.es. da ipoteca) sono soddisfatti con precedenza sui beni dati in garanzia; la parte residua chirografaria concorre con gli altri crediti chirografari.Rinegoziazione: prima che la situazione precipiti, cercare un accordo con la banca per rimodulare il debito (allungamento piani di ammortamento, periodi di pre-ammortamento, riduzione tassi, remissione parziale se del caso). Le banche, se vedono un piano credibile di rilancio, possono accettare di riscadenzare il debito anziché affrontare una procedura concorsuale dagli esiti incerti.<br>– Se ci sono più banche finanziatrici, valutare un accordo di ristrutturazione plurilaterale (anche informale) in cui tutte le banche concordano una moratoria o ristrutturazione (standstill agreement). Spesso l’imprenditore, con l’assistenza di advisor, può presentare un piano di risanamento e ottenere una sospensione delle azioni (moratoria) mentre cerca nuova finanza o cede asset per pagare parzialmente i creditori finanziari.<br>– Consolidamento del debito: cercare un nuovo finanziamento (se possibile, ad esempio garantito da Fondo PMI) per saldare esposizioni a breve e ottenere un unico debito a lungo termine. Operazione difficile in stato di crisi avanzata, ma fattibile se ci sono garanzie aggiuntive o intervento dei soci.<br>– In procedura di concordato o accordo, classificare le banche in una classe dedicata e offrire condizioni adeguate (p.es. conversione di parte del credito in partecipazione al capitale, cosiddetto debt-equity swap, oppure liquidazione delle garanzie con soddisfazione integrale fino a capienza del valore del bene e parziale sul resto).
Debiti verso fornitori (trade)Fatture non pagate per acquisto merci, materie prime, servizi– Crediti normalmente chirografari (senza garanzia né privilegio), salvo qualche eccezione (es. rivendita con patto di riserva di proprietà: il fornitore potrebbe rivendicare il bene fornito se non pagato, ex art. 1523 c.c.).<br>– Il fornitore può agire rapidamente con decreto ingiuntivo ottenendo un titolo in ~40 giorni se il credito è documentato, e quindi procedere a pignoramenti di beni o crediti (es. pignoramento del conto corrente aziendale, pignoramento presso terzi come clienti dell’azienda debitrice).<br>– Un singolo fornitore (o più) con crediti rilevanti impagati può anche presentare istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) se ritiene l’azienda insolvente (importante: per le società soggette al fallimento, tipicamente società di capitali o imprese sopra soglie dimensionali).<br>– In concorsualità, fornitori chirografari spesso subiscono falcidie significative (ripartendo solo l’eventuale attivo residuo dopo privilegi). Hanno diritto di voto nei concordati preventivi per l’importo del credito riconosciuto.Negoziazione individuale: contattare i fornitori chiave prima che agiscano legalmente. Spiegare la situazione e proporre soluzioni come:<br> – un piano di rientro dilazionato (pagamenti a scadenze future su cui si è certi di far fronte, magari garantiti da cambiali per dare maggior fiducia);<br> – uno stralcio del debito (saldo e stralcio): pagamento immediato di una percentuale del dovuto (es. 50%) in cambio della liberazione dal restante, se l’alternativa per il fornitore sarebbe rischiare di non recuperare nulla in caso di fallimento.<br>– Valutare intese come accordi transattivi formalizzati, in cui il fornitore si impegna a non agire esecutivamente purché l’azienda rispetti il piano di pagamento concordato. Spesso i fornitori, specie se interessati a mantenere rapporti commerciali futuri, accettano compromessi ragionevoli.<br>– Protezione del patrimonio: evitare di lasciare sul conto aziendale somme ingenti che possano essere pignorate facilmente dal primo fornitore che ottiene un titolo; eventualmente frazionare la liquidità o concordare con la banca anticipo di incassi vincolati a pagare fornitori (trust account) per mostrare buona fede.<br>– Se un fornitore ha avviato decreto ingiuntivo, valutarne l’opposizione solo se esistono contestazioni reali sul credito (vizi nella fornitura, errori importi, prescrizione…). Altrimenti, un’opposizione temeraria serve solo a prendere tempo con costi aggiuntivi. Meglio, in assenza di difese sostanziali, negoziare prima della fase esecutiva.
Debiti verso dipendentiStipendi non corrisposti, TFR maturato, straordinari– I crediti di lavoro hanno privilegi speciali molto forti: retribuzioni degli ultimi 6 mesi e TFR godono di privilegio generale sui mobili e in parte anche sui beni immobili del datore di lavoro, prevalendo su quasi tutti gli altri crediti (eccetto alcuni tributari) in caso di insolvenza.<br>– I dipendenti possono agire giudizialmente in via sommaria (decreto ingiuntivo per paghe) ed eventualmente chiedere il sequestro conservativo dei beni se temono di perdere le garanzie, data la natura alimentare dei loro crediti.<br>– Se l’azienda fallisce (liquidazione giudiziale), i dipendenti possono ottenere il pagamento di TFR e ultime mensilità tramite il Fondo di Garanzia INPS, che poi subentra come creditore insinuandosi al passivo.<br>– Mancato pagamento sistematico dei dipendenti è uno dei segnali di insolvenza conclamata e può spingere il tribunale, su istanza dei lavoratori o sindacati, ad adottare misure (ad es. istanza di fallimento o amministrazione straordinaria se grande impresa).Trasparenza e dialogo: informare tempestivamente i dipendenti (o le loro rappresentanze) della difficoltà, evitando conflitti accesi. Proporre accordi sindacali per il differimento delle retribuzioni se c’è un piano di recupero (p.es. pagamento parziale immediato e saldo successivo). A volte i dipendenti, pur scontenti, preferiscono un piano di rientro concordato che salvaguardi i posti di lavoro, piuttosto che agire immediatamente causando magari la chiusura dell’azienda.<br>– Priorità nei pagamenti: se le risorse sono scarse, privilegiare il pagamento almeno parziale delle retribuzioni correnti per evitare l’accumulo di crediti arretrati che aggraverebbe sia il clima aziendale sia la posizione del datore di lavoro (anche in vista di un concordato: i piani di concordato in continuità aziendale richiedono di pagare integralmente i debiti per stipendi antecedenti e contributi, se si vuole proseguire l’attività con i dipendenti).<br>– Considerare l’utilizzo di ammortizzatori sociali: ad esempio cassa integrazione guadagni (CIG) per sospendere/ridurre temporaneamente gli stipendi a carico dell’INPS, in caso di calo di lavoro, così da contenere il maturare di nuovi debiti verso il personale durante la crisi.<br>– TFR: valutare possibilità di accordare ai dipendenti la cessione del TFR maturando a un fondo esterno o assicurazione, così che non si accumuli in azienda (misura preventiva). Se il TFR è già maturato ed esigibile, negoziare eventualmente un pagamento rateale accordato individualmente (con il consenso del lavoratore).
Debiti verso soci / parti correlatePrestiti dei soci all’azienda, fatture di società collegate– In caso di fallimento della società, i finanziamenti dei soci sono postergati ex lege rispetto agli altri crediti (art. 2467 c.c. per S.r.l.), se concessi in periodo di sottocapitalizzazione della società. Ciò significa che il socio finanziatore viene soddisfatto solo dopo tutti gli altri creditori chirografari.<br>– Se un socio vanta crediti da lavoro (amministratore non pagato) o affitto locali, ecc., sono trattati come crediti ordinari salvo conflitti d’interessi.<br>– Operazioni infragruppo o con parti correlate fatte in conflitto d’interessi possono essere sindacate dal curatore in caso di fallimento e portare ad azioni di responsabilità o revocatorie se hanno leso la par condicio (es. pagamento preferenziale a società collegata).Conversione debiti in capitale: una strategia spesso necessaria è convertire i finanziamenti soci in capitale sociale (rinunciando al credito in conto finanziamento e trasformandolo in riserva o capitale). Ciò rafforza il patrimonio e riduce l’indebitamento. I soci dovrebbero considerare che, se l’azienda fallisce, quei crediti sarebbero comunque perduti o subordinati; tanto vale convertirli prima, migliorando i ratio patrimoniali e la credibilità verso gli altri creditori.<br>– Mantenere trasparenza nelle operazioni con parti correlate: se i soci o amministratori hanno crediti verso la società, evitare di pagarli a discapito di altri creditori in fase di crisi, poiché tali pagamenti potrebbero essere revocati dal curatore come atti preferenziali verso se stessi (conflitto d’interessi) . Prioritizzare sempre i creditori estranei.<br>– In caso di piano di risanamento, i soci spesso dovranno sacrificare i propri crediti (postergati) e magari apportare nuove risorse finanziarie a titolo di capitale di rischio, per convincere gli altri creditori ad accettare un accordo. Questo sforzo patrimoniale personale può essere decisivo per salvare l’impresa e indirettamente tutelare l’investimento dei soci.<br>– Se esistono operazioni infragruppo complesse, predisporre documentazione contrattuale chiara e a valori di mercato per difendersi da possibili accuse di distrazione o frode (ad esempio, se l’azienda in crisi vende asset a un’altra società dei soci, assicurarsi che il prezzo sia equo e tracciabile).

Come si evince dalla Tabella 1, Fisco e enti previdenziali hanno tutele forti (privilegi, poteri di riscossione coattiva senza passare dal tribunale) e pertanto i debiti tributari e contributivi meritano un’attenzione prioritaria nella strategia difensiva. Banche e finanziarie dispongono spesso di garanzie reali o personali, quindi in caso di default possono aggredire subito beni specifici o il patrimonio personale dei garanti. I fornitori chirografari, pur meno tutelati giuridicamente, possono però mettere in crisi l’operatività interrompendo forniture essenziali o avviando azioni legali rapide; inoltre, essi saranno tra i più colpiti in caso di insolvenza, rischiando forti perdite (ciò li rende a volte disponibili a piani di rientro se intravedono chance di evitare il peggio). I dipendenti godono di protezioni e se non pagati creano tensioni sociali e giuridiche notevoli; salvaguardare almeno in parte i loro crediti è spesso imprescindibile per poter proseguire l’attività.

Va poi considerato l’effetto “multilivello”: spesso la crisi debitoria coinvolge più categorie contemporaneamente (es. l’azienda in difficoltà smette di pagare i fornitori e contestualmente accumula debiti IVA e INPS e magari sconfina con le banche). Questo mix può creare un circolo vizioso: un creditore avvia azioni aggressive (pignoramenti, istanza di fallimento) che peggiorano la situazione verso altri creditori. Diventa allora fondamentale coordinare una risposta e magari ricorrere a strumenti globali (es. una procedura concorsuale) che congelino temporaneamente tutte le pretese e consentano una trattativa unitaria.

Nei paragrafi successivi esamineremo gli strumenti normativi per affrontare la crisi d’impresa, dai più soft e stragiudiziali (come la composizione negoziata della crisi e gli accordi di ristrutturazione) a quelli giudiziali veri e propri (come il concordato preventivo e la liquidazione giudiziale, nuovo nome del fallimento). Prima di ciò, è però opportuno capire l’importanza di giocare d’anticipo: la legge oggi impone agli amministratori di intercettare i segnali di crisi tempestivamente e attivarsi, pena responsabilità anche gravi. Vediamo dunque il tema della prevenzione della crisi e delle responsabilità gestorie.

Prevenire la crisi: obbligo di assetti adeguati e allerta precoce

Negli ultimi anni, la normativa italiana ha spostato l’attenzione dalla gestione “post-mortem” del fallimento alla prevenzione e intercettazione precoce della crisi. Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCI) del 2019 e le successive modifiche hanno introdotto una definizione formale di “crisi” e soprattutto obblighi organizzativi per gli amministratori. In particolare:

  • L’art. 2, comma 1, lett. a) CCI definisce la crisi come “lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate nei successivi 12 mesi” . In altre parole, non serve attendere l’insolvenza conclamata (incapacità attuale di pagare i debiti scaduti): è sufficiente che le proiezioni finanziarie a un anno mostrino tensioni tali da far presumere che l’impresa non riuscirà a onorare le obbligazioni future per trovarsi in “crisi”. Questa nozione enfatizza l’aspetto prospettico e la necessità di pianificazione.
  • L’art. 2086 c.c. (come riformato dal D.Lgs. 14/2019) e l’art. 3 CCI impongono all’imprenditore che opera in forma societaria o collettiva di istituire adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e della continuità aziendale. In pratica, gli amministratori devono dotare la società di strumenti di controllo di gestione, budgeting e monitoraggio finanziario capaci di far emergere subito squilibri nei flussi di cassa e nell’equilibrio economico . Ad esempio, è necessario predisporre budget e piani di tesoreria periodici, indici di allerta interni (DSCR, indice di liquidità, ecc.) e meccanismi decisionali che permettano di affrontare le criticità senza indugio.
  • Conseguenze della mancata adozione di assetti adeguati: se gli amministratori omettono di dotare la società di tali strumenti e la società va in default, possono incorrere in responsabilità. La violazione degli obblighi organizzativi è considerata un illecito di per sé, potenzialmente fonte di responsabilità risarcitoria se da tale omissione deriva un aggravamento del dissesto che si sarebbe potuto evitare con una gestione più prudente . Non basta quindi amministrare “in buona fede”: oggi è richiesto un approccio strutturato e proattivo. Un recente provvedimento del Tribunale di Venezia (decreto 26.08.2025) ha affermato che l’amministratore che ignora gli evidenti segnali di crisi e non adotta le misure previste dall’ordinamento (come attivare procedure di allerta o compositive) viola i propri doveri ed è personalmente responsabile, anche in mancanza di errori gestionali specifici .

Da questo quadro normativo emerge chiaro un concetto: agire tempestivamente è non solo consigliabile, ma giuridicamente doveroso. Il management di un’azienda indebitata che continui l’attività “a vista”, senza pianificazione né misure correttive, rischia poi di essere chiamato a rispondere in sede civile (e talvolta penale) delle maggiori perdite subite dai creditori.

Segnalazioni d’allerta esterne (Fisco, INPS) e obbligo di reazione

Oltre agli obblighi organizzativi interni, il legislatore ha introdotto un sistema di allerta esterna: alcuni creditori pubblici qualificati (come Agenzia delle Entrate, INPS e Agenzia della Riscossione) hanno il compito di segnalare ufficialmente all’imprenditore il superamento di determinate soglie di debito scaduto, invitandolo ad attivare una procedura di composizione negoziata. Le soglie attualmente previste (dal 2022 in poi) includono, ad esempio:

  • Debiti IVA non versati risultanti dalle comunicazioni periodiche per oltre €5.000 .
  • Debiti INPS per contributi non versati oltre €15.000 (ad esempio contributi arretrati per i dipendenti) .
  • Carichi affidati all’Agente della Riscossione scaduti da oltre 90 giorni per più di €500.000 (società di capitali), soglie inferiori per ditte individuali e società di persone .

Se trascorrono 60 giorni dal superamento di tali soglie senza che il debitore abbia regolarizzato o almeno avviato una composizione, scatta la segnalazione d’allerta: l’ente invia una PEC formale all’imprenditore (e contestualmente all’organo di controllo, ad es. collegio sindacale) in cui evidenzia la situazione e invita espressamente ad attivare la composizione negoziata della crisi . Questa comunicazione non è pubblica né costituisce di per sé una procedura concorsuale, ma è un forte campanello d’allarme istituzionale: “hai accumulato debiti rilevanti con il Fisco/la previdenza; rivolgiti a un esperto indipendente per trovare una soluzione prima che sia troppo tardi” .

Gli effetti di una segnalazione d’allerta sono molteplici:

  • Azzeramento degli alibi per gli amministratori: dal momento della ricezione, l’organo amministrativo non può più dirsi ignaro della gravità dei debiti. Se prima poteva sostenere di non aver percepito il livello di crisi, ora ha un documento ufficiale che lo mette in guardia. Ogni inerzia successiva può costituire colpa grave. In caso di successivo fallimento, il curatore o i creditori potranno facilmente contestare che “dal tal giorno voi sapevate dei problemi e non avete agito” . Ciò aumenta il rischio di azione di responsabilità contro gli amministratori per aver aggravato il dissesto post-allerta .
  • Coinvolgimento degli organi di controllo: la segnalazione viene inviata anche al collegio sindacale o revisore, ove esistente . Ciò serve a “smuovere” eventuali sindaci riluttanti: se gli amministratori non reagiscono, i sindaci per tutelarsi dovranno prendere iniziative (potrebbero sollecitare gli amministratori formalmente e, in casi estremi, informare il tribunale ex art. 2409 c.c. per gravi irregolarità) . Il Correttivo ter del 2024 ha equiparato nei doveri di allerta anche i revisori legali al collegio sindacale , chiudendo eventuali scappatoie. Dunque, l’allerta crea una pressione anche sui controllori interni affinché spronino o sostituiscano gli amministratori inerti.
  • Traccia temporale per valutare la condotta: la ricezione della PEC fissa un “punto zero”. Se l’imprenditore non intraprende alcuna azione dopo, e la crisi degenera, difficilmente potrà difendersi dicendo “non mi ero reso conto”. Viceversa, se reagisce attivando una composizione negoziata o altra procedura, tale comportamento potrà essergli riconosciuto come diligente e in buona fede . Ad esempio, nella valutazione successiva per l’esdebitazione (liberazione dai debiti residui post-fallimento), aver tempestivamente tentato di comporre la crisi potrà essere un fattore a favore; analogamente, per evitare accuse di bancarotta semplice da tardiva richiesta di fallimento, aver provato la strada negoziale può costituire esimente .

In sintesi, il sistema di allerta esterna vuole spingere il debitore ad affrontare la crisi prima che sia troppo tardi, senza però introdurre un’automatica apertura di procedure concorsuali (in Italia non c’è attualmente un meccanismo coercitivo pubblico – gli OCRI previsti inizialmente dal Codice della Crisi non sono mai stati resi operativi, sostituiti di fatto dalla composizione negoziata volontaria) . Tuttavia, ignorare gli allarmi può portare a conseguenze molto serie per gli amministratori, finanche alla loro rimozione giudiziale. Il citato caso del Tribunale di Venezia 2025 è emblematico: in un gruppo societario privo di assetti adeguati, con allarmi ignorati (compresa una segnalazione del collegio sindacale ex art. 25-octies CCI), il tribunale ha nominato un ispettore e avviato la procedura di sostituzione degli amministratori con un amministratore giudiziario .

Da ricordare: il debitor proteggersi anche con un comportamento proattivo. Se l’impresa è in difficoltà, molto meglio attivarsi spontaneamente (consulenti, piani di risanamento, composizione negoziata, ecc.) prima di ricevere le segnalazioni esterne o, peggio, di subire iniziative dai creditori (ingiunzioni, istanze di fallimento). La riforma spinge verso una mentalità di “risanamento anticipato”. Nel prossimo capitolo esamineremo appunto il primo e più immediato strumento a disposizione dell’imprenditore in crisi che vuole agire in tempo: la Composizione Negoziata della crisi d’impresa.

Strumenti stragiudiziali per la gestione della crisi

Quando un’azienda è sovraindebitata ma vuole evitare, se possibile, di finire subito in una procedura concorsuale “tradizionale” (come il fallimento o il concordato preventivo), l’ordinamento offre vari strumenti stragiudiziali o ibridi per gestire e risolvere la crisi. “Stragiudiziale” significa che si cerca un accordo con i creditori fuori dalle aule del tribunale, pur potendo talvolta beneficiare di qualche tutela legale (ad esempio l’intervento di un esperto o l’omologazione da parte di un giudice). I principali strumenti di questo tipo sono:

  • Composizione negoziata della crisi: procedura volontaria assistita da un esperto indipendente, introdotta nel 2021 e ora disciplinata dal Codice della Crisi (artt. 17–25-septies CCI).
  • Piani attestati di risanamento: accordi privati basati su un piano di risanamento asseverato da un esperto indipendente (attestatore), ex art. 56 CCI (già art. 67, co.3, lett. d) l.fall.).
  • Accordi di ristrutturazione dei debiti: contratti tra debitore e una maggioranza qualificata di creditori, soggetti a omologazione del tribunale (artt. 57 e ss. CCI; già art. 182-bis l.fall.), con varianti come l’accordo di ristrutturazione agevolato e quello ad efficacia estesa.
  • Accordi transattivi ad hoc: trattative individuali o plurilaterali con i creditori, non formalizzate in procedure specifiche, ma che possono essere comunque agevolate dall’esperto nella composizione negoziata o da advisor privati.

Vediamoli in dettaglio.

La Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa

La composizione negoziata è uno strumento cardine della riforma, pensato per offrire all’imprenditore uno spazio di negoziazione protetto e riservato con i creditori, al fine di trovare soluzioni di risanamento o di regolazione della crisi, evitando l’aggravamento della situazione . Ecco le caratteristiche salienti:

  • Volontaria e riservata: solo l’imprenditore può attivarla (nessun altro soggetto può obbligare ad entrarvi), presentando un’istanza tramite una piattaforma telematica nazionale . L’accesso non viene pubblicizzato in registri pubblici, quindi la notizia non diviene di dominio dei concorrenti, clienti o fornitori (a meno che l’imprenditore non chieda misure protettive, cioè lo “scudo” contro le azioni dei creditori, nel qual caso un minimo di pubblicità è prevista) . Questa riservatezza incoraggia le imprese ad attivarsi senza paura di un immediato danno reputazionale.
  • Esperto indipendente: entro 5 giorni dalla domanda, una commissione presso la Camera di Commercio nomina un Esperto terzo (scelto da un elenco di professionisti qualificati, come commercialisti o avvocati con esperienza in crisi d’impresa) . L’esperto, verificata l’assenza di conflitti di interesse, accetta l’incarico e diviene il regista imparziale delle trattative . Importante: l’esperto non ha poteri coercitivi, ma ha il compito di facilitare la comunicazione tra debitore e creditori, valutare la situazione e proporre soluzioni. Deve operare con imparzialità e riservatezza, cercando l’equilibrio tra la necessità di salvare l’impresa (se possibile) e quella di tutelare i creditori. Redigerà relazioni periodiche sullo stato delle trattative e, al termine, una relazione finale sull’esito.
  • Requisiti di accesso: possono accedere tutte le imprese iscritte al Registro Imprese, di qualunque dimensione e natura (quindi anche imprenditori agricoli, start-up innovative, PMI, ecc.), purché si trovino in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rendono probabile la crisi o l’insolvenza . Non si richiede di essere già insolventi (anzi, meglio muoversi prima); tuttavia, se si è già insolventi, l’esperto valuterà se l’insolvenza è “reversibile”, cioè se l’azienda ha prospettive di recupero (ad esempio un problema temporaneo di liquidità ma con un business sano) . In caso di insolvenza irreversibile la composizione negoziata non è la sede adatta e l’esperto potrà interromperla.
  • Documenti e check-up iniziale: l’imprenditore, nella piattaforma, deve caricare una serie di documenti (bilanci ultimi anni, situazione patrimoniale aggiornata, elenco creditori e debiti, relazione sulla propria crisi e sulle cause) e compilare un questionario di autodiagnosi e un test pratico sulla sostenibilità del debito . Questi strumenti, predisposti da CNDCEC e Unioncamere, servono a capire se ci sono ragionevoli margini di risanamento. Non danno un verdetto vincolante (non è che se il test risulta negativo l’accesso sia negato automaticamente), ma offrono indicazioni utili sia all’imprenditore che all’esperto sulla gravità dello stato di crisi.
  • Svolgimento delle trattative: una volta nominato, l’esperto convoca l’imprenditore e i creditori rilevanti per avviare le trattative riservate. Tutti sono tenuti a comportarsi secondo lealtà e buona fede durante il processo (un principio previsto espressamente dal decreto 118/2021). L’esperto ascolta le parti, analizza i dati aziendali, eventualmente suggerisce correttivi al piano dell’imprenditore, e cerca di far convergere le volontà verso una soluzione concordata. Il debitore mantiene la gestione ordinaria dell’impresa, ma deve astenersi da atti che possano pregiudicare i creditori; per gli atti straordinari l’esperto può chiedere che siano concordati.
  • Misure protettive e cautelari: l’imprenditore, se teme azioni aggressive dei creditori durante le trattative, può chiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive che sospendono temporaneamente le azioni esecutive individuali e impediscono nuove iscrizioni di ipoteche sui beni. Tipicamente, si può ottenere una sospensione fino a 120 giorni (prorogabile) in cui i creditori non possono iniziare o proseguire pignoramenti o sequestri. Questo “ombrello” permette di negoziare con un po’ di respiro, evitando che un singolo creditore comprometta le chance di un accordo globale. Il tribunale concede tali misure se ritiene che la prospettiva di una soluzione concordata non sia manifestamente assente e tenuto conto dell’interesse dei creditori (può negarle se sarebbero manifestamente dannose). Durante le misure protettive, i creditori non possono acquisire cause di prelazione senza autorizzazione (es. niente nuove ipoteche) . Va notato che il Correttivo-ter 2024 ha chiarito alcuni aspetti: ad es. che i nuovi finanziamenti autorizzati durante la composizione negoziata (c.d. finanziamenti ponte) possano ottenere uno status privilegiato, e ha introdotto la possibilità di proporre una transazione fiscale nell’ambito della composizione negoziata stessa , agevolando così la trattativa con il Fisco anche prima di un eventuale concordato preventivo.
  • Esiti possibili: la composizione negoziata non è una procedura con esito predeterminato; è un contenitore nel quale possono maturare diverse soluzioni:
  • Accordo stragiudiziale con tutti o alcuni creditori: ad esempio, l’imprenditore riesce a sottoscrivere accordi bilaterali con ciascun creditore (o con i principali) per ristrutturare il debito (dilazioni, stralci, conversioni, ecc.). In tal caso, la composizione si chiude con successo e l’azienda esce dalla crisi senza passare dal tribunale. Questi accordi restano riservati; tuttavia, se per eseguirli servono atti particolari (es. aumento di capitale, finanziamenti nuovi), la legge offre protezioni come l’esenzione da revocatoria per gli atti compiuti in esecuzione di un piano attestato (si potrebbe far rientrare tali accordi nell’ambito di un piano attestato per massima tutela).
  • Piano attestato di risanamento: la negoziazione può condurre alla stesura di un piano di risanamento con la certificazione di un esperto attestatore (che potrebbe essere lo stesso esperto o un altro professionista) in cui si prevede il riequilibrio dell’azienda. Un piano attestato ex art. 56 CCI, se comunicato ai creditori, permette di effettuare pagamenti e transazioni con esenzione da azione revocatoria fallimentare futura. L’esperto della composizione può facilitare la predisposizione di tale piano.
  • Accordo di ristrutturazione dei debiti: se il debitore riesce a ottenere l’adesione di almeno il 60% dei crediti (o percentuali ridotte nei casi di accordo agevolato, come vedremo), può decidere di formalizzare l’intesa in un accordo di ristrutturazione omologato dal tribunale. In pratica, il lavoro fatto in composizione negoziata viene “trasposto” in tribunale per ottenere un decreto di omologazione che rende l’accordo efficace anche verso eventuali creditori dissenzienti (in misura limitata). L’esperto potrebbe suggerire questa via quando c’è larga adesione ma servono alcune garanzie in più (come il cram-down su minoranze).
  • Concordato preventivo: se emerge che la situazione richiede comunque una procedura concorsuale più complessa (ad esempio perché non tutti i creditori aderiscono spontaneamente, o servono effetti di moratoria più lunghi), il debitore può optare per presentare domanda di concordato preventivo. In particolare, la legge ha previsto uno strumento innovativo legato alla composizione negoziata: il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, di cui diremo più avanti, pensato proprio come sbocco nel caso in cui le trattative siano fallite ma l’azienda debba essere liquidata evitando il fallimento.
  • Rinuncia o archiviazione: se l’imprenditore ritiene di non poter raggiungere alcun accordo utile, può sempre recedere e lasciar decadere la composizione. Analogamente l’esperto, nella relazione finale, potrebbe dichiarare che le trattative non hanno avuto esito positivo. In tali casi, semplicemente la procedura negoziata si chiude. Attenzione: la chiusura senza accordo comporta la cessazione delle eventuali misure protettive, riaprendo la strada ai creditori per agire. Tuttavia, come anticipato, la legge ha introdotto la possibilità per l’imprenditore di chiedere il concordato semplificato entro 60 giorni dalla chiusura negativa delle trattative, per gestire una liquidazione con il controllo del tribunale (evitando fughe dei creditori che possano prelazionarsi i beni migliori).

In generale, la composizione negoziata va vista come un ombrello temporaneo sotto il quale il debitore e i creditori possono discutere soluzioni di risanamento in modo flessibile e senza le rigidità di una procedura giudiziaria, ma con la presenza di un facilitatore qualificato (l’esperto) che aiuta a superare diffidenze e incomprensioni. È uno strumento particolarmente adatto se l’impresa ha ancora prospettive di salvataggio (ad esempio ordini in portafoglio, mercato, competenze) ma è schiacciata da un debito eccessivo: in questi casi, un accordo win-win con i creditori può convenire a tutti (creditori recuperano più che in un fallimento, il debitore mantiene viva l’azienda). Diversamente, se l’azienda è decotta e senza futuro, la composizione negoziata difficilmente potrà far miracoli e si risolverà in un passaggio verso la liquidazione.

Un ulteriore vantaggio della composizione negoziata è la possibilità di ottenere nuova finanza durante la procedura: l’imprenditore può chiedere all’esperto di attestare la necessità di un finanziamento interinale per evitare pregiudizi (ad esempio liquidità per acquistare materie prime urgenti). Se l’esperto certifica che il finanziamento è funzionale a migliorare le prospettive di risanamento, e il tribunale lo autorizza, tali nuovi crediti potranno essere prededucibili (cioè privilegiati) nel caso di successivo concordato o liquidazione . Ciò serve a incentivare banche o soci a investire denaro fresco durante le trattative, al riparo dal rischio di perderlo nel caso la negoziazione fallisca e sopravvenga un fallimento. (Nota: su questo punto vi è stata qualche incertezza interpretativa – ad esempio il Tribunale di Milano con ordinanza del 2024 ha escluso la prededuzione automatica in composizione negoziata per finanziamenti non espressamente autorizzati – ma il correttivo 2024 ha migliorato le garanzie per i nuovi finanziatori, prevedendo la necessità dell’autorizzazione tribunale per assicurare la prededuzione).

Esempio pratico 1 – Composizione negoziata in azione: Alfa S.r.l., azienda manifatturiera, accumula €300.000 di debiti (100k con banca, 50k fornitori, 150k tra IVA e INPS). Nel 2025 riceve PEC di allerta dall’Agenzia Entrate e da INPS . Gli amministratori, consapevoli del rischio, depositano istanza di composizione negoziata sulla piattaforma nazionale entro un mese . Viene nominato un esperto. Alfa S.r.l. ottiene misure protettive dal tribunale, sospendendo un pignoramento iniziato dalla banca e congelando le azioni dei fornitori. In tre mesi di trattative riservate, con la regia dell’esperto, Alfa S.r.l. raggiunge un accordo così strutturato: la banca accetta di allungare il mutuo di 5 anni; i fornitori accettano un pagamento del 60% in 12 mesi; l’Erario concede una transazione fiscale con stralcio degli interessi e sanzioni e dilazione in 5 anni sul capitale; i soci apportano €50.000 freschi per i primi pagamenti. L’esperto attesta che l’accordo è fattibile e soddisfa meglio i creditori rispetto a un fallimento. Alfa S.r.l. deposita l’accordo in tribunale per l’omologazione come accordo di ristrutturazione (avendo adesione del 75% dei crediti totali). Il tribunale omologa e l’accordo diventa vincolante anche per i pochi fornitori dissenzienti, che comunque riceveranno il 60%. L’azienda prosegue l’attività, risana la posizione finanziaria e dopo due anni torna solvibile. – In caso alternativo, se nessun accordo fosse stato raggiunto nella composizione, Alfa S.r.l. avrebbe potuto optare per un concordato (ad es. con continuità aziendale, coinvolgendo un investitore) oppure, se costretta alla liquidazione, presentare un concordato semplificato per cedere i beni ai creditori sotto controllo giudiziario, evitando l’istanza di fallimento di uno dei creditori.

Il piano attestato di risanamento

Il piano attestato di risanamento è uno strumento storicamente presente nella legge fallimentare (art. 67, co.3, lett. d) l.f.) e ora trasfuso nell’art. 56 del Codice della Crisi. Si tratta, in sostanza, di un piano industriale e finanziario che mira a riportare in equilibrio l’azienda, sul quale un esperto indipendente (attestatore, solitamente un commercialista) appone un’attestazione di veridicità dei dati e fattibilità. Il piano attestato, per essere efficace, deve essere idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e a garantirne la sostenibilità.

Caratteristiche e vantaggi del piano attestato:

  • È un accordo del tutto privato fra debitore e alcuni o tutti i creditori. Non richiede omologazione dal tribunale né soglie di adesione prestabilite per legge. Il debitore può decidere con quali creditori negoziare modifiche e come strutturare il piano.
  • Protezione dai rischi fallimentari: gli atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione del piano attestato di risanamento non sono soggetti all’azione revocatoria fallimentare in caso di successivo fallimento . Questo beneficio – previsto espressamente dalla legge – è cruciale: incentiva i creditori ad accettare ristrutturazioni e pagamenti secondo il piano, senza la paura che un domani un curatore fallimentare glieli faccia restituire perché “preferenziali”. Ad esempio, se il piano prevede che certi fornitori strategici vengano pagati per intero (per garantire continuità delle forniture) mentre altri recuperano meno, quei pagamenti integrali non saranno revocabili se erano previsti dal piano attestato.
  • Flessibilità: il contenuto del piano è libero, può includere ad esempio la dilazione di taluni debiti, la rinuncia di parte di credito da parte di alcuni creditori, la cessione di asset non strategici per fare cassa, l’apporto di nuovo capitale, ecc. L’importante è che dal piano risulti una ragionevole prospettiva di riequilibrio aziendale (altrimenti l’attestatore non potrebbe dichiararlo fattibile).
  • Silenziosità: non essendo pubblica né omologata, l’esistenza di un piano attestato non diventa di dominio pubblico. Spesso le imprese preferiscono questa via proprio per evitare il “marchio” di una procedura concorsuale che potrebbe allarmare clienti e fornitori.
  • Limiti: un piano attestato richiede in genere il consenso almeno implicito dei principali creditori (perché se un creditore rilevante non è d’accordo e agisce esecutivamente, vanifica il piano). Non consente di imporre moratorie a creditori dissenzienti né di cramdown: se anche solo uno importante non collabora, il piano potrebbe non reggere. Inoltre, non c’è uno stay automatico: il debitore non è protetto da azioni esecutive durante la negoziazione o attuazione del piano (diversamente da concordato e composizione negoziata dove esistono misure protettive). Pertanto, il piano attestato funziona bene quando c’è un accordo di fatto con tutti i creditori cruciali, mentre è rischioso se alcuni sono aggressivi.
  • Attestatore: la figura chiave è il professionista indipendente che redige la relazione di attestazione. La sua responsabilità è notevole: deve verificare che i dati aziendali siano veritieri e che le ipotesi del piano (riduzione costi, aumenti ricavi, rifinanziamenti…) siano realistiche e raggiungibili. Se l’attestazione è fatta con negligenza o dolo, l’attestatore può rispondere dei danni verso i creditori fuorviati. Perciò in pratica i professionisti sono piuttosto prudenti nel dare il “visto buono”.

Quando usarlo: il piano attestato è consigliabile quando l’impresa ritiene di poter superare la crisi con le proprie forze e con accordi mirati, evitando il tribunale. Tipicamente, se c’è uno squilibrio finanziario temporaneo, e magari la banca è disposta a dare respiro, i fornitori ad aspettare un po’, i soci a mettere capitali, allora un piano attestato formalizza tutti questi interventi in un documento organico e protegge i passi compiuti. È di frequente utilizzo anche per facilitare il ritorno in bonis di società che poi vogliono fondersi o vendere l’azienda: presentarsi “ripuliti” dopo un piano attestato riuscito è più semplice che passare per un concordato (che lascia strascichi come sofferenze a bilancio dei creditori, etc.).

Ad esempio, Beta S.p.A. ha 3 banche finanziatrici e qualche debito scaduto verso fornitori. Nessuno ha ancora avviato cause, l’azienda è ancora affidabile sul mercato ma fatica con la liquidità. Beta elabora un piano a 3 anni in cui i soci apportano €100k, vende un capannone inutilizzato per €200k, e con queste risorse paga i fornitori arretrati e rimborsa parzialmente le banche, ottenendo contestualmente dalle banche la dilazione sul residuo per 2 anni. Un attestatore valuta che il piano è credibile (i contratti commerciali di Beta assicurano margini futuri). Le banche e fornitori approvano informalmente. Beta esegue il piano: paga i fornitori e questi non agiscono; vende il capannone e riduce l’esposizione bancaria; con la cassa derivante gestisce la ripartenza. Dopo 3 anni il debito è rientrato nella normalità. Tutto questo senza passare dal tribunale, ma con la scudo del piano attestato che ha messo al riparo quelle vendite e pagamenti da future azioni revocatorie.

Accordi di ristrutturazione dei debiti (anche agevolati ed estesi)

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (ARD) rappresentano un punto di incontro tra il mondo stragiudiziale e quello giudiziale. Si tratta di accordi negoziati privatamente con i creditori, ma che poi vengono sottoposti all’omologazione del tribunale e acquisiscono efficacia legale particolare. Previsti inizialmente dall’art. 182-bis legge fallimentare, oggi disciplinati dagli artt. 57-64 CCI, gli accordi di ristrutturazione richiedono alcune maggioranze e offrono alcuni benefici rispetto agli accordi puramente privati.

Caratteristiche principali:

  • Adesione maggioritaria qualificata: l’accordo deve essere sottoscritto da creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti totali (calcolati in valore) . La soglia è stata confermata nel CCI, ma con innovazioni: è stato introdotto l’accordo di ristrutturazione agevolato, che in talune condizioni consente di raggiungere l’accordo con soli 30% dei crediti . In pratica, negli ARD “agevolati” il debitore deve pagare integralmente e nei termini di legge i creditori estranei (quelli che non aderiscono), ma con la facilitazione di non dover raggiungere il 60% di consensi. Inoltre, esistono gli ARD ad efficacia estesa: se l’accordo coinvolge istituti finanziari o banche, e aderisce almeno il 75% di una certa classe di questi creditori, l’efficacia può essere estesa dal tribunale anche ai finanziatori dissenzienti di quella categoria (purché siano stati informati e abbiano possibilità di aderire) – si tratta di una sorta di cram down settoriale introdotto per superare resistenze di minoranze.
  • Contenuto libero, ma spesso simile a un concordato: l’accordo di ristrutturazione può prevedere ristrutturazioni di debiti di varia natura. Tipicamente, comporta moratorie, stralci parziali di crediti chirografari, pagamento integrale dei privilegiati (o se si vuole falcidiare privilegiati occorre accordo specifico con loro, specie Fisco/INPS come da transazione fiscale). In sostanza, è come un concordato preventivo ma senza la procedura di voto formale. Non c’è neanche un commissario giudiziale nominato di default, anche se il tribunale può nominare un esperto per valutare la fattibilità.
  • Deposito e omologazione: una volta raggiunte le adesioni richieste, il debitore deposita l’accordo (con allegata una relazione di un attestatore sulla fattibilità e sul fatto che i creditori estranei saranno pagati regolarmente) al tribunale. Il tribunale, verificati i requisiti, omologa l’accordo rendendolo efficace erga omnes. Ciò significa che l’accordo è vincolante per i soli creditori aderenti (a differenza del concordato che vincola tutti), mentre i creditori estranei devono essere comunque soddisfatti per intero entro 120 giorni dalla scadenza originaria o dall’omologa se già scaduti (questa è una tutela per gli estranei).
  • Misure protettive: anche per gli ARD il debitore può chiedere al tribunale in via immediata delle misure protettive simili a quelle del concordato (stay delle azioni esecutive) per il tempo necessario a formalizzare e omologare l’accordo.
  • Vantaggi: rispetto a un concordato, l’ARD è più snello, non c’è voto di tutti i creditori ma solo negoziazione con alcuni, e l’intervento giudiziale è limitato a un controllo di legalità e merito sommario. Inoltre, l’ARD consente di mantenere un miglior rapporto con i creditori estranei, che vengono pagati regolarmente (in concordato invece anche agli estranei tocca aspettare l’esecuzione del piano e subire eventuali falcidie se sono chirografari). È utile quando l’impresa ha una struttura debitoria concentrata in poche mani (es. banche principali) disposte a ristrutturare, mentre i piccoli debiti possono essere pagati integralmente.
  • Svantaggi: servono comunque adesioni importanti; non si possono imporre sacrifici ai creditori non firmatari (al massimo li si paga del tutto, ma non li si può costringere a prendere meno salvo usare l’estensione per banche dissenzienti se si rientra nel caso). Quindi se c’è una categoria di creditori variegata e difficilmente concorde, l’ARD potrebbe non bastare e si dovrà andare in concordato.

Accordo agevolato (30%): introdotto per recepire le indicazioni della Direttiva UE 2019/1023, il CCI consente un ARD anche con solo il 30% dei crediti se l’imprenditore non chiede misure protettive che coinvolgano i creditori estranei e non intende falcidiare crediti fiscali o contributivi (che in tal caso vanno pagati integralmente) . In sostanza è un accordo a impatto limitato ai creditori aderenti, usato se pochi creditori rappresentano gran parte del debito.

Esempio: Gamma S.p.A. ha 5 banche che detengono l’80% dei suoi debiti finanziari. Gamma negozia con tutte e 5: 4 accettano una ristrutturazione (allungamento e riduzione tassi, nessuno stralcio del capitale) ma una banca, titolare del 20%, rifiuta per politica interna. In questo caso, Gamma può concludere un accordo con le 4 banche (che magari rappresentano il 70% di tutti i suoi debiti finanziari) e chiedere al tribunale di estenderne gli effetti alla quinta banca dissenziente – ciò è possibile se soddisfa i requisiti dell’accordo esteso: stessa classe di banche, proposta equa per la dissenziente (non peggiore di quel che otterrebbe altrimenti) . Il tribunale, verificato ciò, omologa ed estende. La banca dissenziente viene così “crammata” dentro l’accordo e deve adeguarsi alle nuove scadenze come le altre. Questo risultato evita magari un concordato giudiziale più complesso e salva l’azienda con l’accordo privatistico reso però vincolante erga omnes dalla legge.

In definitiva, gli ARD sono uno strumento di composizione negoziata in sede semi-giudiziale, utili se c’è la collaborazione di una parte consistente dei creditori. Possono essere utilizzati anche come output della composizione negoziata: l’esperto può facilitare l’accordo con i creditori e poi l’imprenditore lo porta in omologa come ARD.

Di recente, il D.Lgs. 136/2024 (correttivo ter) ha ulteriormente armonizzato il concordato preventivo con gli accordi di ristrutturazione, prevedendo per esempio la possibilità del giudice di omologare un concordato nonostante il dissenso dell’Erario se il trattamento del Fisco è migliorativo rispetto alla liquidazione (come già visto col cram down fiscale introdotto dalla Cassazione 2024) , allineandolo a quanto era già possibile negli ARD. Questo progressivo allineamento normativo fa sì che la scelta tra un accordo e un concordato dipenda più che altro dal livello di consenso che il debitore ritiene di poter ottenere: se c’è abbastanza consenso delle parti principali, l’accordo sarà la via preferibile; se invece la platea è troppo ampia e diversificata, il concordato con voto a maggioranza è inevitabile.

Altre soluzioni negoziali e transattive

Oltre agli strumenti codificati sopra, in pratica l’imprenditore può dover mettere in campo altre strategie negoziali più informali come parte del percorso di risanamento. Eccone alcune:

  • Transazione fiscale e contributiva: già menzionata, è lo strumento attraverso il quale, all’interno di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione, il debitore tratta con l’Erario e gli enti previdenziali per ottenere la falcidia (riduzione) di parte dei loro crediti. Tradizionalmente, la legge imponeva che il Fisco non potesse essere trattato peggio di altri chirografari e che almeno il capitale per IVA ritenute dovesse essere garantito, altrimenti l’adesione era obbligatoria (col rischio di veto). Ora con il cram down fiscale sancito dalla Cassazione 2024 e recepito dal legislatore, la transazione fiscale potrà essere più incisiva: se il piano propone al Fisco un certo pagamento e questi rifiuta ingiustificatamente ma l’offerta è migliore della liquidazione, il giudice potrà comunque approvarla. La transazione contributiva (INPS, etc.) segue le stesse regole. In pratica, il debitore può proporre di pagare parzialmente imposte e contributi (in linea capitale e/o interessi e sanzioni) su un numero di anni, dimostrando che è il massimo possibile e che i creditori pubblici convengono comunque. Ciò riduce l’onere fiscale che spesso è quello che impedisce la continuazione.
  • Moratorie extragiudiziali: se c’è buona collaborazione, a volte il debitore convoca tutti i principali creditori e chiede un accordo di moratoria temporanea (standstill), magari di 90 o 180 giorni, in cui nessuno fa azioni e l’azienda elabora un piano. Questo può avvenire anche senza composizione negoziata, ma serve molta fiducia reciproca. Formalizzare con un “intercreditor agreement” la moratoria può essere utile. Spesso gli istituti di credito, se coordinati magari da un soggetto capofila, accettano un breve standstill anziché precipitarsi al recupero forzoso che porterebbe meno risultati.
  • Refinancing e new money: un elemento cruciale di ogni ristrutturazione è la nuova finanza. Senza iniezioni di liquidità, spesso i piani falliscono. Il nuovo denaro può venire dai soci (con aumento di capitale o finanziamenti prededucibili), da nuovi investitori (ingresso di un partner), o da banche (se vedono prospettive di rimborso). In sede negoziale è importante convincere qualcuno a investire. La legge, come visto, tutela i nuovi finanziatori (prededucibilità, protezione da revocatoria se autorizzati). Quindi, un consiglio al debitore: parallelamente a trattare coi vecchi creditori, cercare attivamente nuove risorse, perché solo con qualche “carburante” fresco si risolleva la macchina.
  • Cessione di rami d’azienda o asset: una via per ridurre i debiti è vendere parti dell’attività o beni non core e usare il ricavato per pagare. Farlo in modo negoziato (trovando un compratore serio prima di finire all’asta fallimentare) può massimizzare il prezzo. Ad esempio, vendere un immobile direttamente con trattativa privata nell’ambito di un piano di risanamento probabilmente frutta più che lasciarlo a un curatore fallimentare. Ovviamente, bisogna seguire procedure trasparenti e a valori di mercato, specie se l’acquirente è parte correlata, per evitare future contestazioni (in un eventuale fallimento successivo, vendite a prezzo vile sarebbero revocabili come atti in frode ai creditori).
  • Conversione del debito in equity: già accennata, è uno strumento potente. Se i creditori principali sono banche o obbligazionisti, a volte si può negoziare la conversione di parte dei loro crediti in partecipazioni azionarie (diventano soci). Ciò riduce il debito e allinea i loro interessi a quelli dell’impresa. In Italia questo accade raramente (non c’è una tradizione di “debt-equity swap” come nei paesi anglosassoni), ma la normativa lo consente e in alcuni casi di grandi ristrutturazioni è stato fatto (si pensi alle crisi di grandi gruppi industriali). Richiede ovviamente che il creditore sia disposto a diventare socio (di solito lo fa se intravede un upside futuro).
  • Rischedulazione dei debiti tributari ex lege: il debitore può sfruttare, se esistenti, normative di favore temporanee. Negli ultimi anni ad esempio ci sono state le “rottamazioni” delle cartelle (condoni parziali di sanzioni) e perfino un “saldo e stralcio” per contribuenti in difficoltà. Al 2025, il legislatore ha esteso le definizioni agevolate anche per carichi 2019-2020 e parzialmente 2021, e a ottobre 2025 si ipotizza una ulteriore estensione . L’azienda debitrice deve tenersi informata su queste opportunità di legge e aderire se applicabili, poiché consentono di ridurre i debiti fiscali e contributivi in modo legale e standardizzato. Ad esempio, la rottamazione-quater del 2023 ha permesso di pagare le cartelle senza sanzioni né interessi di mora, con notevole risparmio. Certo, sono misure una tantum, ma quando ci sono conviene approfittarne.
  • Strumenti per PMI e start-up: per imprese innovative o PMI, ci sono talvolta specifiche misure (fondi di garanzia, interventi di Cassa Depositi e Prestiti, ecc.) che possono alleviare il debito. Ad esempio, il Fondo di Garanzia PMI può concedere una garanzia statale su nuovi finanziamenti anche per ristrutturazione di debiti (entro certi limiti), migliorando la bancabilità.

In sostanza, l’imprenditore debitore deve dispiegare tutte le leve negoziali e finanziarie a sua disposizione, componendo un mix di soluzioni ad hoc. La cornice può essere la composizione negoziata o un piano attestato o un concordato, ma alla base serve un progetto industriale: taglio di costi, riorganizzazione, dismissione attività non redditizie, focalizzazione sul core business. I creditori saranno tanto più disponibili a fare sacrifici (come rinunce di crediti) quanto più vedranno un piano serio che eviti di perdere altri soldi in futuro.

Procedure concorsuali giudiziali (soluzioni giudiziali)

Se la crisi è troppo profonda o il numero di creditori e la divergenza di interessi è tale da rendere impraticabile un accordo stragiudiziale, occorre fare ricorso alle procedure concorsuali disciplinate dalla legge e gestite con l’ausilio (e il controllo) dell’autorità giudiziaria. Le principali procedure concorsuali previste dal vigente Codice della Crisi d’Impresa (d.lgs. 14/2019, come modificato) sono:

  • Concordato preventivo (artt. 84 e ss. CCI): una procedura volta a evitare la liquidazione giudiziale attraverso un accordo tra debitore e creditori, omologato dal tribunale, sulla base di un piano che può prevedere la continuità aziendale (proseguimento dell’attività) o la liquidazione dei beni. È “preventivo” perché mira a prevenire il fallimento (liquidazione giudiziale).
  • Liquidazione giudiziale (artt. 121 e ss. CCI): è il fallimento nella nuova terminologia. Consiste nella spossessione dell’impresa insolvente e nella liquidazione integrale del suo patrimonio ad opera di un curatore nominato dal tribunale, con successiva ripartizione del ricavato tra i creditori secondo le cause di prelazione.
  • Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCI): introdotto nel 2021 e confermato, è un concordato “particolare” riservato ai casi di composizione negoziata fallita. Permette la cessione dei beni ai creditori sotto controllo del tribunale, senza voto dei creditori, con decisione giudiziale sull’omologa.
  • Procedura di sovraindebitamento (o “concordato minore” e liquidazione controllata): per debitori non fallibili (piccole imprese sotto soglia, imprenditori agricoli, professionisti, consumatori), il CCI prevede strumenti simili ma specifici, ereditati dalla legge 3/2012. Il concordato minore è un accordo concorsuale per questi soggetti, mentre la liquidazione controllata è la liquidazione concorsuale per il sovraindebitato (equiparabile al fallimento, ma per chi non poteva fallire). Approfondiremo in una sezione dedicata.
  • Amministrazione straordinaria: procedura speciale per grandi imprese insolventi (oltre 200 dipendenti) mirata alla conservazione dei complessi aziendali (Legge Prodi/Marzano). È un caso particolare e non trattato qui diffusamente, dato che riguarda pochi casi con intervento del Ministero dello Sviluppo Economico.

In questa sezione ci concentriamo principalmente su concordato preventivo, concordato semplificato e liquidazione giudiziale, che sono quelli tipicamente considerati dal debitore societario standard (S.r.l., S.p.A.). Dal punto di vista del debitore, l’obiettivo sarà preferire, se possibile, il concordato preventivo per gestire la crisi in maniera più controllata e preservare l’attività, e ricorrere alla liquidazione giudiziale solo come ultima risorsa quando ogni tentativo di risanamento è fallito.

Concordato Preventivo

Il concordato preventivo è storicamente la procedura che consente all’imprenditore insolvente (o in crisi) di proporre ai creditori un piano per evitare il fallimento, piano che prevede una certa soddisfazione – anche non integrale – dei crediti e che, se approvato dai creditori stessi a maggioranza e omologato dal tribunale, diventa vincolante per tutti. Il concordato è dunque una soluzione concorsuale consensuale: implica il coinvolgimento di tutti i creditori che esprimono un voto (diverso dagli accordi di ristrutturazione dove votano solo i consenzienti, nel concordato tutti hanno diritto di voto proporzionale al credito).

Tipologie di concordato: il Codice della Crisi distingue due grandi categorie:

  • Concordato in continuità aziendale (diretta o indiretta): quando il piano prevede che l’attività d’impresa prosegua, per intero o in parte, anche durante e dopo il concordato. Può essere continuità diretta (la stessa azienda debitore prosegue l’attività con i suoi mezzi) o continuità indiretta (ad esempio l’azienda viene affittata o venduta a un soggetto terzo che la prosegue). La continuità di solito è finalizzata a generare valore per pagare meglio i creditori col ricavato dell’esercizio futuro.
  • Concordato liquidatorio: quando invece il piano consiste principalmente nel liquidare tutto (o la gran parte) del patrimonio del debitore e distribuire il ricavato ai creditori. In passato il concordato meramente liquidatorio era scoraggiato (richiedeva un pagamento minimo del 20% ai chirografari). Il CCI consente anche concordati liquidatori puri, purché ci sia un apporto esterno di risorse che incrementi di almeno il 10% la soddisfazione dei creditori rispetto a una liquidazione giudiziale .

Procedura in sintesi:

  1. Domanda di concordato: il debitore deposita in tribunale la proposta di concordato con il piano e la documentazione (elenco creditori, bilanci, relazione di un attestatore indipendente che certifica la fattibilità del piano e l’attendibilità dei dati). È possibile anche presentare una domanda “in bianco” o con riserva (art. 40 CCI), cioè chiedere il concordato riservandosi di presentare il piano dettagliato entro un termine (di norma 60-120 giorni prorogabili). Questa mossa viene spesso usata per bloccare iniziative dei creditori guadagnando tempo per definire il piano.
  2. Ammissione e fase di voto: il tribunale valuta preliminarmente la proposta; se non la ritiene manifestamente inammissibile, ammette la società alla procedura, nomina un commissario giudiziale (figura di controllo) e fissa un termine per la convocazione dei creditori in adunanza per il voto. Il commissario raccoglie le prove di credito (predispone lo stato passivo provvisorio dei creditori ammessi al voto) e redige una relazione sul piano. I creditori vengono divisi in classi se hanno posizioni giuridiche o interessi economici differenti (classazione obbligatoria per legge per alcune categorie, come i crediti contestati , o se il debitore vuole trattarli in modo diversificato). In adunanza (o con voto per corrispondenza) i creditori esprimono il voto: serve il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto, calcolata per classi se ci sono classi (maggioranza in valore e, per il CCI, anche maggioranza di classi approvanti, salvo cram down di classi dissenzienti se alcune condizioni – piuttosto complesse – sono rispettate).
  3. Omologazione: se la proposta ottiene le maggioranze richieste, il tribunale procede all’omologazione, verificando che il concordato sia conforme a legge e non lesivo di diritti. I creditori dissenzienti o astenuti possono fare opposizione se ritengono che la loro soddisfazione sarebbe migliore col fallimento o che vi siano violazioni. Se tutto è regolare, il giudice omologa con decreto e da quel momento il piano diviene vincolante per tutti i creditori anteriori (anche quelli che hanno votato contro o non hanno partecipato). Se invece il voto non raggiunge le maggioranze, il concordato viene dichiarato inammissibile e il tribunale potrà dichiarare la liquidazione giudiziale (fallimento) dell’impresa.

Effetti per il debitore:

  • Dalla data di deposito della domanda (o dal decreto di ammissione), i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore (art. 54 CCI). C’è quindi una protezione simile a una moratoria generale. Anche i contratti pendenti proseguono di norma (salvo eccezioni), e il debitore in continuità può compiere atti di ordinaria gestione. Per gli atti straordinari, serve autorizzazione del tribunale.
  • Il debitore (società) rimane in possesso dei beni e continua a gestire l’impresa sotto la supervisione del commissario (si parla di “spossessamento attenuato”). Non c’è, salvo casi eccezionali di abuso, la sostituzione degli amministratori.
  • I creditori chirografari vedranno in genere ridotti i loro crediti secondo le percentuali offerte dal piano (es. prendono 30 cent per euro in 5 anni) e sono obbligati a quell’accordo; i creditori privilegiati potrebbero essere pagati integralmente oppure parzialmente se il valore di realizzo dei beni è inferiore al credito (la parte falcidiata degrada a chirografo).
  • I debiti fiscali e contributivi, come detto, possono essere ristrutturati tramite la transazione fiscale. Una novità di rilievo: con la sentenza Cass. civ. Sez. I n. 27782/2024, è stato riconosciuto che il tribunale può omologare un concordato anche con voto contrario dell’Erario, a condizione che la proposta garantisca al Fisco almeno quanto otterrebbe dalla liquidazione fallimentare . Questo supera il precedente potere di veto assoluto che l’Agenzia delle Entrate aveva: “la Suprema Corte con pronuncia innovativa consente ora di omologare un concordato preventivo anche in presenza di voto contrario dell’Erario” . Il legislatore ha poi recepito questo principio nel correttivo 2024, allineando formalmente le norme .

Concordato in continuità vs liquidatorio: dal punto di vista del debitore, il concordato in continuità è preferibile se esistono chance di salvare l’azienda come attività funzionante. Implica però obblighi più stringenti: ad esempio, occorre garantire il pagamento integrale dei debiti privilegiati che sono essenziali per la continuazione (come i debiti verso dipendenti) oppure fornire adeguate garanzie per fornitori strategici. Inoltre, la continuità va a beneficio dei creditori: se il piano in continuità produce un surplus rispetto a una liquidazione dei beni, tale surplus deve andare ai creditori, non restare al debitore . La Cassazione (sent. 18826/2024) ha ribadito che nel concordato in continuità va assicurato che i creditori non siano pregiudicati dalla prosecuzione, ad esempio monitorando i flussi generati .

Il concordato liquidatorio è, di fatto, molto simile a un fallimento ma gestito dal debitore: si vendono i beni e si paga il ricavato. Per evitare che il debitore ne approfitti per liquidare a condizioni peggiori per i creditori, la legge (prima L.F. ora CCI) ha richiesto quel contributo esterno minimo del 10%. Ciò significa che o i soci mettono soldi freschi nella massa, o si trova un acquirente che paga qualcosa in più, etc., in modo che i creditori prendano almeno un 10% più di quanto avrebbero preso in fallimento. Se questo requisito non c’è, il concordato liquidatorio non è omologabile.

Vantaggi del concordato preventivo (dal lato debitore):

  • Sospende le azioni esecutive dei singoli creditori, evitando l’assalto alla diligenza.
  • Permette di gestire la crisi in modo ordinato e, se in continuità, di salvare l’impresa e i posti di lavoro.
  • Una volta omologato, consente al debitore di essere liberato dai debiti eccedenti quanto previsto nel piano: i creditori vengono soddisfatti entro i limiti concordatari e non possono pretendere di più nemmeno se il debitore dovesse in futuro migliorare la propria situazione (a differenza di un piano attestato privato dove un creditore estraneo potrebbe teoricamente ripresentarsi).
  • Il management attuale spesso rimane in carica (sotto sorveglianza): questo è cruciale per imprenditori che vogliono mantenere il controllo durante la crisi e anche dopo, se l’azienda risanata sopravvive.

Svantaggi / oneri:

  • È una procedura pubblica: l’iscrizione al Registro delle Imprese del ricorso di concordato può causare perdita di fiducia da parte di partner commerciali. Tuttavia, è un male minore rispetto al fallimento e ormai è percepita come un tentativo di soluzione.
  • I tempi non sempre sono rapidissimi: tra deposito, voto e omologa possono passare mesi. Durante questo periodo l’azienda è in una sorta di limbo. Bisogna avere la forza di reggere (anche grazie alle protezioni giuridiche).
  • I costi: c’è da pagare il commissario, l’attestatore, gli advisor legali e finanziari. Sono costi significativi, ma di regola prededucibili (si pagano cioè con priorità nel concordato stesso). Comunque, vanno considerati.
  • Rigidità una volta omologato: se poi il piano concordatario viene disatteso (il debitore non riesce a rispettare i pagamenti concordati), si può andare alla risoluzione del concordato e aprire la liquidazione giudiziale. Dunque va proposto solo se realistico.

Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio

Il concordato semplificato (art. 25-sexies CCI) è una novità introdotta dal D.L. 118/2021 e confermata (con modifiche) nel Codice della Crisi. È una procedura concorsuale minore, attivabile solo all’esito negativo di una composizione negoziata della crisi. In altre parole, se l’imprenditore ha tentato la strada negoziale con l’esperto ma non ha trovato soluzioni praticabili, invece di attendere eventuali istanze di fallimento può lui stesso proporre al tribunale un concordato semplificato, con lo scopo di liquidare i beni residui ai creditori in modo ordinato e rapido.

Caratteristiche distintive del concordato semplificato:

  • Nessun voto dei creditori: a differenza del concordato preventivo ordinario, qui i creditori non votano . Il piano viene sottoposto direttamente al tribunale per l’omologazione. Questo perché si presume che se la composizione negoziata è fallita, è inutile cercare il consenso dei creditori via voto – probabilmente non lo darebbero. Quindi si salta la fase di voto per snellire i tempi.
  • Presupposti: bisogna dimostrare che “non è stato possibile trovare una soluzione alla crisi” tramite la composizione negoziata e che le trattative si sono svolte correttamente e in buona fede . È necessario infatti che l’esperto, nella relazione finale, dichiari che le trattative sono state condotte regolarmente ma senza esito positivo e che le altre soluzioni individuate (accordo, concordato preventivo ordinario) non erano praticabili . Solo con questa attestazione di “impraticabilità delle alternative” il debitore può accedere al semplificato.
  • Natura: è un concordato liquidatorio puro. Il debitore deve presentare una proposta di concordato per cessione dei beni con allegato un piano di liquidazione dettagliato . In sostanza elenca tutti i beni aziendali (o l’azienda intera) e come verranno liquidati (vendita all’asta, vendita in blocco a un terzo già individuato, etc.), e come verranno distribuiti i proventi.
  • Classi: pur non essendoci voto, il debitore può suddividere i creditori in classi per trattarli diversamente, ad esempio differenziando tra creditori privilegiati degradati (quelli che hanno pegni/ipoteche su beni il cui valore è inferiore al credito, per la parte in surplus) e chirografari puri . È espressamente previsto che anche nella proposta semplificata si possano prevedere classi di creditori, incluse classi di privilegiati per la parte non garantita (quindi possibilmente trattando con percentuali diverse creditori di rango differente).
  • Pagamento creditori privilegiati: nel concordato semplificato, come in ogni concordato liquidatorio, i creditori privilegiati possono essere non pagati integralmente, purché ricevano almeno quanto otterrebbero dalla liquidazione dei beni su cui insiste la prelazione (cioè il valore di realizzo delle garanzie) . La parte eccedente viene trattata come chirografo.
  • Procedimento: il debitore deposita la domanda di concordato semplificato entro 60 giorni dalla chiusura della composizione negoziata . Può anche presentare una “domanda prenotativa” (in bianco) entro quel termine, per poi completare la proposta/piano entro 60 giorni , al fine di non perdere tempo prezioso e beneficiare subito delle protezioni.
  • Nomina organi: il tribunale, ricevuta la proposta, nomina un commissario giudiziale (anche qui) che esamina il piano e riferisce. I creditori possono presentare osservazioni scritte (pur non votando). Dopo di che, il tribunale fissa un’udienza di comparizione delle parti ed eventualmente nomina un giudice delegato e un comitato dei creditori con funzioni consultive per vigilare sulla liquidazione (questo è stato introdotto dal correttivo ter 2024 per dare più controllo alla procedura).
  • Omologazione: se non ci sono opposizioni dei creditori o se le opposizioni vengono respinte, il tribunale omologa il concordato semplificato valutando che siano rispettate le norme e che i creditori ricevano almeno il valore di liquidazione. Anche qui vale la regola del cram down fiscale introdotta dal 2024: l’Erario non può opporsi se prende almeno il valore di realizzo in fallimento.
  • Esecuzione: dopo l’omologa, il liquidatore nominato (che può essere il commissario o altro soggetto) procede a vendere i beni secondo il piano. Il ricavato viene distribuito ai creditori.

Vantaggi:

  • Rapidità: si evita tutta la procedura di voto, abbreviando i tempi. In situazioni disperate questo è essenziale.
  • Controllo: il debitore propone come liquidare, magari ha già un acquirente interessato all’azienda o a un ramo, e può farlo confermare in concordato (mentre in fallimento le vendite passano attraverso procedure competitive). Quindi c’è più possibilità di “pilotare” la liquidazione per massimizzare i valori.
  • Si evita il fallimento: di conseguenza l’imprenditore potrebbe beneficiare subito, a fine liquidazione, dell’esdebitazione (se persona fisica), e comunque la procedura ha costi e stigma leggermente minori di un fallimento classico.

Svantaggi:

  • Non c’è un risanamento: è una resa ordinata. L’azienda di fatto viene smantellata o ceduta; il debitore sociale verrà probabilmente cancellato dopo.
  • I creditori non potendo votare possono essere scontenti e fare opposizione in sede di omologa, lamentando es. che i beni valgono di più di quanto previsto. Il tribunale dovrà valutare attentamente il piano di liquidazione per evitare di svantaggiarli. C’è dunque il rischio contenzioso in omologa.
  • È accessibile solo a chi ha davvero provato la composizione negoziata. Non la si può usare come scorciatoia se prima non si è passati dal tentativo extragiudiziale. Quindi non è percorribile per chi vuole direttamente liquidare semplificato senza quella fase (in assenza di comp. negoziata, resta solo il concordato preventivo ordinario liquidatorio o il fallimento).

Aggiornamenti 2024: il correttivo ter (D.Lgs. 136/2024) ha apportato alcune modifiche: ha eliminato il riferimento all’“esito non positivo” generico, specificando meglio le condizioni ; ha previsto espressamente la possibilità di presentazione in bianco ; ha introdotto la nomina di un comitato creditori (opzionale) e la figura del giudice delegato per vigilare. Queste modifiche mirano a dare maggiore garanzia ai creditori che la liquidazione avverrà correttamente.

Quando utilizzarlo: se un’azienda, malgrado gli sforzi, non ha trovato investitori o accordi e la crisi è irreversibile, il concordato semplificato può essere un modo efficiente di chiudere. Ad esempio, Delta S.r.l. tenta la composizione negoziata ma nessun creditore vuole accettare uno stralcio perché la situazione è troppo compromessa. Non ci sono i presupposti per un concordato in continuità (azienda decotta) né per un accordo. Invece di attendere passivamente l’istanza di fallimento di un creditore, Delta S.r.l. presenta un concordato semplificato offrendo di vendere i macchinari e il capannone con una gara tra interessati che ha già sondato (quindi conta di ricavarne X euro da distribuire). Così guadagna tempo sotto protezione legale e porta a termine la liquidazione con il tribunale ma senza la dichiarazione di fallimento. I creditori magari recuperano il 30% e Delta S.r.l. viene poi cancellata. L’amministratore, se non ci sono azioni di responsabilità, evita i guai di un fallimento (come l’interdizione, etc.). Questa procedura è stata concepita proprio per dare una seconda chance procedurale a chi ha collaborato provando la via negoziale ma non ce l’ha fatta.

Liquidazione giudiziale (Fallimento)

La liquidazione giudiziale è il nome attuale del vecchio fallimento. Rappresenta la procedura concorsuale classica e coattiva: viene aperta su iniziativa dei creditori (o d’ufficio o del debitore stesso in certe circostanze) quando un imprenditore commerciale si trova in stato di insolvenza (incapacità strutturale di pagare i propri debiti). È la soluzione di ultima istanza, cui si cerca di non arrivare se c’è alternativa, ma che rimane necessaria quando non esiste un piano concordato percorribile.

Effetti dell’apertura:

  • L’imprenditore (se persona fisica) o gli amministratori (se società) vengono spogliati dell’amministrazione e della disponibilità dei beni: da quel momento, solo il curatore fallimentare può gestire e disporre del patrimonio (principio dello spossessamento).
  • Viene dichiarato lo stato di insolvenza con sentenza del tribunale; questa sentenza cristallizza la situazione dei debiti a quella data. I creditori devono presentare domanda di insinuazione al passivo per veder riconosciuti i propri crediti nella procedura entro una certa data.
  • È nominato un giudice delegato e un curatore (professionista nominato dall’autorità giudiziaria) che amministrano la procedura; e un comitato dei creditori con funzioni consultive e di vigilanza.
  • Tutte le azioni esecutive individuali decadono; i beni vengono venduti dal curatore con modalità d’asta pubblica (o altre modalità competitive).
  • I contratti pendenti possono essere sciolti o proseguiti a discrezione del curatore (valutando l’utilità per la massa).
  • In generale, l’impresa cessa l’attività, salvo il curatore ritenga conveniente l’esercizio provvisorio (caso raro e temporaneo, se conviene tenere in piedi l’azienda per venderla come blocco funzionante).

Dal lato imprenditore debitore, la liquidazione giudiziale è ovviamente un evento traumatico: perde la disponibilità dell’azienda, subisce spesso il clima inquisitorio tipico del fallimento (indagini su possibili atti di bancarotta, ecc.), e se è persona fisica subisce anche conseguenze personali (come l’incapacità ad esercitare attività commerciali per la durata del fallimento, eventuale interdizione dai pubblici uffici in caso di bancarotta fraudolenta, etc.).

Va detto però che il nuovo Codice della Crisi, in un’ottica più moderna, ha introdotto anche nella liquidazione giudiziale alcuni elementi di second chance:

  • Esdebitazione: già presente dal 2006, ora rafforzata. L’imprenditore persona fisica una volta chiusa la liquidazione (o anche prima in certe condizioni) può chiedere di essere liberato dai debiti residui non soddisfatti, ottenendo un fresh start. Questo è concesso se si è cooperato lealmente, non ci sono stati atti di frode gravi, e non si è beneficiato di altra esdebitazione nei 5 anni precedenti. L’esdebitazione consente al fallito onesto di ripartire da zero senza restare “schiavo” dei vecchi debiti vita natural durante.
  • Liquidazione più rapida e digitale: il CCI ha cercato di rendere la procedura meno lunga; ad esempio vendite telematiche, predeterminazione dei compensi dei curatori per incentivare chiusure entro certi termini.
  • Riduzione dello stigma: non si parla più di “fallito” ma di debitore in liquidazione, anche se nella sostanza il concetto sociale è duro a morire.

Per il debitore azienda (società), la liquidazione giudiziale implica la fine dell’impresa come soggetto economico: dopo la chiusura, la società viene cancellata. I creditori chirografari insoddisfatti perdono il loro diritto (non avendo più soggetto su cui rivalersi). I soci delle società di capitali non rispondono dei debiti sociali (salvo abbiano garanzie personali o altre responsabilità), dunque per loro il fallimento della società significa perdere l’investimento ed eventualmente escussione delle garanzie date, ma non un fallimento personale. Gli amministratori però possono essere chiamati a rispondere di danni (azione di responsabilità ex art. 2476 c.c. o 2394 c.c. esercitata dal curatore) se hanno aggravato il dissesto con mala gestio.

Azioni revocatorie: il curatore ha il potere di far valere la revocatoria fallimentare su atti compiuti dal debitore prima del fallimento, entro certe “claw-back period” (in genere 6 mesi per pagamenti preferenziali, 1 anno per atti senza adeguato corrispettivo, 2 anni per atti a titolo gratuito) . Ciò serve a recuperare risorse per la massa: ad esempio pagamenti fatti a un singolo creditore 4 mesi prima del fallimento, mentre la società era già in dissesto, possono essere revocati per distribuire quel denaro equamente a tutti i creditori. Anche atti di distrazione del patrimonio possono essere dichiarati inefficaci: come visto, perfino un trust istituito per segregare beni è stato riconosciuto revocabile dalla Cassazione se fatto in pregiudizio dei creditori . L’imprenditore quindi vede potenzialmente vanificati atti compiuti nel periodo sospetto.

Chi può essere soggetto a liquidazione giudiziale?: tutte le imprese commerciali, incluse le società di capitali, salvo quelle “minori” che non superano determinati parametri (art. 2 l.f. e ora credo art. 2 lett. c) CCI definisce l’imprenditore minore). Le imprese sotto soglia e i non imprenditori rientrano nel sovraindebitamento (concordato minore/liquidazione controllata). Ad esempio, un artigiano individuale molto piccolo potrebbe non essere dichiarato fallito ma soggetto a liquidazione controllata ex legge 3/2012 come aggiornata.

Perché e quando il debitore dovrebbe “arrendersi” al fallimento?: se non esistono vie percorribili di risanamento né accordi, protrarre l’agonia può solo peggiorare le cose (più debiti, più rischi penali per insolvenza fraudolenta). Dunque, un imprenditore onesto potrebbe anche autonomamente fare ricorso per l’apertura della propria liquidazione (cosiddetto “fallimento in proprio”) con l’intento di congelare la situazione e passare la mano al curatore. Farlo tempestivamente può evitare guai peggiori: ad esempio evitare che i creditori presentino istanze con accuse di atti distrattivi. Inoltre, mostrarsi collaborativi può favorire l’esdebitazione alla fine.

Conseguenze per l’imprenditore individuale: viene privato dei suoi beni personali (eccetto quelli impignorabili per legge, es. oggetti personali, stipendio in parte). Può subire procedimenti penali se emergono reati di bancarotta (documentale, preferenziale, fraudolenta). Tuttavia, se ha agito correttamente, la chiusura del fallimento con esdebitazione gli permette di ripartire. C’è un tema di reputazione (l’iscrizione come fallito resta nei registri per qualche anno), ma legalmente può tornare a fare impresa (a meno di condanne penali accessorie).

Conseguenze per gli amministratori di società: non sono dichiarati falliti personalmente, ma finiscono sotto la lente del curatore per possibili azioni di responsabilità. Se hanno commesso irregolarità gravi, possono essere citati in giudizio per risarcire i danni al fallimento. Possono anche subire condanne penali per bancarotta (fraudolenta se hanno distratto beni, documentale se hanno tenuto male i libri, semplice se solo per imprudenza aggravata). Il fallimento, dunque, è una resa per la società ma l’inizio potenziale di grattacapi legali per chi la gestiva.

Ripartizione dell’attivo: il curatore, una volta liquidati i beni (che può richiedere anni se ci sono immobili, cause in corso ecc.), redige il piano di riparto: prima si pagano i crediti prededucibili (costi della procedura, compensi legali e del curatore, crediti nati durante procedure come eventuali finanziamenti autorizzati, etc.), poi i privilegiati (secondo ordine: per esempio privilegi speciali su beni mobili e immobili, poi privilegi generali come dipendenti e Fisco, in concorso tra loro secondo cause), poi se avanza qualcosa ai chirografari pro quota. Spesso i chirografari ricevono poco o nulla (dipende dal caso).

Esempio: Epsilon S.r.l. ha fallito. Dopo 2 anni il curatore vende tutto (magazzino, macchinari, crediti verso clienti) e incassa €100. Ha spese di procedura per €10. Ha dipendenti privilegiati per €30 (pagherà quelli integralmente, privilegiati di grado superiore). Ha banche ipotecarie su immobili venduti: quell’incasso va interamente a loro fino a concorrenza. Ha debiti fiscali per €20 privilegiati: supponiamo che dopo dipendenti restino €20, pagherà il Fisco €20 (se c’è capienza). Rimangono ad esempio €5 residui, che vanno a creditori chirografari il cui monte è €100: ognuno prende il 5% del proprio credito. Il resto (95) va perduto per loro ed Epsilon sarà poi cancellata.

Conclusione: la liquidazione giudiziale è la peggior situazione per il debitore in termini di controllo e conseguenze, ma è anche una valvola di sfogo necessaria nel sistema creditizio: garantisce che un soggetto insolvente venga “fermato” e il suo patrimonio gestito nell’interesse paritario dei creditori. Dal punto di vista del debitore/imprenditore, l’imperativo è cercare di evitarla se ci sono alternative ragionevoli (accordi o concordati). Se però è inevitabile, meglio affrontarla con atteggiamento cooperativo, per ridurre i danni personali (ad esempio evitare condotte che aggravino la posizione).

Sovraindebitamento: concordato minore e liquidazione controllata (privati e piccoli imprenditori)

Abbiamo finora parlato di procedure che riguardano soprattutto società e imprenditori “fallibili”. Ma esistono molti casi in cui il debitore è un soggetto non fallibile: ad esempio imprese molto piccole (sotto le soglie dell’art. 2 CCI), imprenditori agricoli, professionisti, start-up innovative (temporaneamente esonerate dalla fallibilità in certi periodi) o persone fisiche consumatrici (che hanno debiti personali, non da attività d’impresa). Per costoro, dal 2012 esisteva la legge n. 3/2012 sul sovraindebitamento, integrata ora nel Codice della Crisi (Titolo IV). Le procedure previste, in sintesi, sono:

  • Concordato minore: è analogo concettualmente a un concordato preventivo, ma riservato a debitori non fallibili, diversi dai consumatori . Quindi tipicamente piccole imprese sotto soglia, imprenditori agricoli, start-up, enti non commerciali, ecc. Il concordato minore sostituisce il vecchio “accordo di composizione della crisi” della L.3/2012 . Consente di proporre ai creditori un accordo con falcidia dei debiti, soggetto a omologazione del tribunale (con voto dei creditori secondo regole simili al concordato preventivo, ma semplificate).
  • Piano di ristrutturazione del consumatore: questo è lo strumento per la persona fisica consumatore sovraindebitato (cioè che ha debiti personali, non derivanti da attività imprenditoriale). In L.3/2012 era il “piano del consumatore”. Ora nel CCI viene mantenuto: il consumatore propone un piano di pagamento parziale dei suoi debiti (ad esempio rientro parziale su carte di credito, prestiti personali, mutui, etc.), il giudice lo omologa valutando la meritevolezza (nel piano del consumatore non occorre il voto dei creditori, il giudice può omologare anche se i creditori non sono d’accordo, purché ritenga che il piano li soddisfi meglio del fallimento e che il consumatore non abbia colpe gravi nell’indebitamento).
  • Liquidazione controllata del sovraindebitato: è l’equivalente del fallimento per i non fallibili. Se un piccolo imprenditore o un privato non può offrire un concordato minore o un piano, può (o i creditori possono) aprire una liquidazione controllata. Un liquidatore nominato dal giudice vende i beni e paga i debiti secondo le priorità. È analoga alla liquidazione giudiziale, ma calibrata su persone fisiche o imprese minori. Al termine, è prevista l’esdebitazione anche del sovraindebitato (era già prevista dalla L.3/2012).
  • Esdebitazione del debitore incapiente: il CCI (riprendendo una modifica del 2020) prevede addirittura che un debitore persona fisica meritevole e privo di patrimonio liquidabile possa ottenere una esdebitazione immediata senza liquidazione, a certe condizioni (una sorta di procedura di “fresh start” per poveri assoluti, da concedersi una tantum). Questo per dare sollievo a persone sopraffatte dai debiti ma nullatenenti.

Il punto di vista del debitore sovraindebitato (non fallibile) è che grazie a queste procedure può ottenere risultati simili a quelli delle imprese maggiori: o un accordo per pagare solo parzialmente i debiti, oppure la liquidazione dei pochi beni con la liberazione dai debiti residui. Anche un privato cittadino sommerso da debiti di credito al consumo, se dimostra di non farcela, può proporre di pagare ad esempio il 20% in 5 anni e vedersi cancellare il resto. Oppure se non ha nulla, può chiedere la cancellazione totale per una volta.

Concordato minore in pratica: funziona in modo analogo al concordato preventivo, con alcune semplificazioni. Ad esempio, non è richiesto l’attestatore nelle ipotesi più semplici, e c’è maggiore flessibilità sui requisiti di meritevolezza. Non può accedervi il consumatore (che ha il suo piano dedicato) . Serve il voto dei creditori (quorum simili al concordato, maggioranza del 60% dei crediti), salvo il giudice possa disporre diversamente se qualche classe dissente ma viene soddisfatta a un certo livello. Il Tribunale omologa se il piano è fattibile e conveniente rispetto alla liquidazione. Non c’è l’obbligo di quell’apporto minimo del 10% come nei concordati maggiori.

Differenza chiave: nei concordati di sovraindebitamento, conta molto la meritevolezza del debitore. Se ha colpe gravi o ha frodato, può essere negata l’omologa. Ad esempio, il piano del consumatore richiede che il sovraindebitamento non sia dovuto a spese voluttuarie sproporzionate o colpa grave. Questo giudizio di meritevolezza fa da contrappeso alla mancanza di voto dei creditori (nel piano consumatore, i creditori non votano affatto, decide tutto il giudice valutando la correttezza del debitore). Nel concordato minore i creditori invece votano, quindi la meritevolezza è un po’ meno centrale (conta convincerli).

Esempio: un piccolo imprenditore individuale artigiano, Marco, ha debiti per €200k con banche e fornitori. Non fallirebbe per le soglie (fatturato basso). Marco può proporre un concordato minore: offre di pagare €50k in 4 anni (grazie a un aiuto familiare e ai redditi futuri) e il resto stralciarlo. I creditori votano; se la maggioranza approva, il giudice omologa, e Marco paga i 50k come da piano e poi è libero dai debiti residui. Se i creditori rifiutassero o non fosse proponibile un piano, Marco potrebbe subire/attivare la liquidazione controllata: il liquidatore venderebbe i pochi beni (metti €10k di attrezzature) e poi chiuderebbe la procedura, e Marco otterrebbe l’esdebitazione del resto (liberandosi comunque, ma con la differenza che i creditori hanno preso solo i €10k di vendita invece che 50k: quindi conviene anche a loro accettare un concordato minore in quel caso).

Importante: il debitore sovraindebitato deve rivolgersi all’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) del suo tribunale o ordine professionale. Questi organismi nominano un gestore che assiste il debitore nel predisporre l’istanza e relazione. Già nella L.3/2012 erano figure centrali. Nel CCI il ruolo degli OCC è confermato, specie per i piani dei consumatori e concordati minori.

In conclusione, per i privati e piccoli imprenditori indebitati esiste una rete di salvataggio: non c’è più la prospettiva di rimanere per sempre ostaggi dei debiti. Tramite queste procedure, se sono in buona fede, possono ottenere la liberazione dai debiti pagando quanto possibile. Dal punto di vista di un imprenditore di PLC industriali che fosse “piccolo” (ad esempio ditta individuale con 5 dipendenti che non raggiunge le soglie di fallibilità), sapere di poter accedere al sovraindebitamento è fondamentale: spesso queste figure non lo sanno e temono di essere esclusi. Invece, il concordato minore e l’esdebitazione offrono anche a loro una via d’uscita dignitosa.

(Nota: se l’azienda di PLC industriali fosse invece strutturata come S.r.l. o S.p.A., sarà soggetta alle procedure maggiori, non al sovraindebitamento, salvo eccezioni particolari).

Responsabilità degli amministratori e tutela del patrimonio personale

Uno dei temi più delicati, quando un’azienda è indebitata, è comprendere fino a che punto i suoi amministratori o i suoi proprietari rischiano in proprio. Le società di capitali (S.r.l., S.p.A.) sono dotate di autonomia patrimoniale perfetta: teoricamente, i soci rispondono dei debiti sociali solo con il capitale conferito e non con i loro beni personali, e gli amministratori rispondono solo verso la società e non direttamente verso i terzi per le obbligazioni sociali. Tuttavia, la realtà è più complessa. Esistono varie situazioni in cui gli amministratori, o eccezionalmente i soci, possono vedersi chiamati a pagare di tasca propria o subire altre conseguenze patrimoniali per i debiti aziendali.

Esaminiamo i principali ambiti:

Responsabilità civile degli amministratori verso società e creditori

Gli amministratori (nelle S.r.l. e S.p.A.) hanno per legge precisi obblighi di diligenza, prudenza e fedeltà nella gestione. Se violano tali doveri e da ciò deriva un danno, possono essere chiamati a risponderne. In particolare:

  • Azione sociale di responsabilità (art. 2393 c.c. per S.p.A., art. 2476 c.c. per S.r.l.): è l’azione con cui la società (o i soci, derivativamente) chiede agli amministratori di risarcire il danno cagionato al patrimonio sociale da atti di mala gestio. Ad esempio, se gli amministratori hanno sperperato risorse in investimenti avventati e ciò ha causato perdite, la società (o in caso di fallimento, il curatore in sua vece) può chiedere i danni. Nella crisi d’impresa, un tipico addebito è quello di aver aggravato il dissesto ritardando la dichiarazione di fallimento o compiendo pagamenti preferenziali: in tal caso il patrimonio sociale si riduce ingiustificatamente e i creditori trovano meno attivo su cui rivalersi. La Cassazione ha affermato principi chiari: “l’amministratore risponde per violazione dei doveri di diligenza anche in assenza di insolvenza, se con pagamenti preferenziali o conflitti d’interesse ha pregiudicato il patrimonio sociale o aggravato la posizione dei creditori” . Cioè, anche prima dell’insolvenza conclamata, se l’amministratore compie atti che danneggiano l’integrità del patrimonio a scapito della par condicio (es. paga solo una società estera a lui collegata lasciando a bocca asciutta altri) può doverne rispondere.
  • Azione dei creditori sociali (art. 2394 c.c. per S.p.A. e art. 2476, co. 6, c.c. per S.r.l.): se il patrimonio sociale risulta insufficiente a soddisfare i crediti (tipico scenario di insolvenza/fallimento), i creditori sociali possono agire contro gli amministratori sostenendo che la insufficienza patrimoniale è dovuta a violazioni dei doveri di conservazione del patrimonio. In pratica, gli amministratori sono responsabili verso i creditori quando, non avendo gestito con diligenza, hanno eroso il patrimonio che era garanzia delle obbligazioni sociali . Questa azione, in caso di fallimento, viene esercitata dal curatore per conto di tutti i creditori (art. 146 l.fall., ora 255 CCI). Un caso frequente è la continuazione abusiva dell’attività: se un amministratore, invece di accorgersi che la società è decotta e attivare procedure concorsuali, continua l’attività accumulando ulteriori debiti, risponde del peggioramento del deficit. Occorre provare il nesso causale: ovvero quanto la massa creditoria sia aumentata o l’attivo diminuito a causa del ritardo. La giurisprudenza (Cass. 198/2022) ha chiarito che “il curatore deve allegare l’inadempimento (es. prosecuzione indebita dell’attività) e sta poi all’amministratore provare di aver agito con diligenza e che le sue scelte non hanno peggiorato la situazione” . C’è una sorta di presunzione di colpa se l’insolvenza peggiora e l’amministratore era inerte.
  • Business judgment rule vs illecito: in generale, i giudici tendono a non sindacare le scelte imprenditoriali ex post (principio della business judgment rule, che tutela l’amministratore quando ha agito informato e in buona fede). Ma attenzione: questa protezione cessa se l’atto è in violazione di legge o dei doveri fondamentali. Non si può invocare la BJR per scelte palesemente illegittime. Ad esempio, la Cassazione 2025 ha ritenuto che decidere sistematicamente di non pagare le imposte e di chiedere rateizzazioni non è una scelta di gestione insindacabile, bensì un illecito (“autofinanziamento illecito”) e quindi l’amministratore ne risponde . In quella vicenda, gli amministratori di una S.r.l. avevano usato il Fisco come banca, accumulando debiti tributari rateizzati di continuo per finanziare altre spese: ciò ha causato sanzioni e interessi che hanno aggravato il dissesto. La Cassazione (ord. 22005/2025) ha stabilito che non esiste scriminante di crisi temporanea che tenga: il danno da sanzioni e interessi è risarcibile e imputabile agli amministratori, e sta a loro provare di aver agito con la dovuta diligenza . Quindi la BJR non copre comportamenti contrari alla legge (non pagare le tasse dovute è di per sé violazione normativa) .
  • Conflitto di interessi e interessi extrasociali: se l’amministratore agisce per favorire se stesso o parti correlate a discapito della società, commette un illecito. Ad esempio, se dirotta fondi dell’azienda verso un’altra sua azienda (pagando quest’ultima in via preferenziale senza ragione economica), è responsabile. Cassazione 2025 (ord. 23963/2025) ha ribadito che l’amministratore compie atto illecito se fa prevalere un interesse estraneo incompatibile con quello della società e pregiudizievole per quest’ultima . Nel caso concreto, un amministratore aveva compensato crediti e debiti con società estere a lui riconducibili in modo da privilegiare queste ultime, riducendo il patrimonio della società poi fallita: condotta in conflitto punita. La responsabilità qui scatta anche indipendentemente dallo stato di insolvenza: “può sussistere anche in assenza di insolvenza accertata, se emergono comportamenti lesivi degli interessi sociali, come trasferimenti di risorse a società correlate senza giustificazione” .

In sintesi, gli amministratori di una società indebitata devono stare attenti a non peggiorare la situazione violando i doveri. Se la peggiorano, il rischio è che, in sede di procedura concorsuale, il curatore faccia causa per milioni di euro di danni. Ci sono molte pronunce di Cassazione in questi anni che delineano i contorni della colpa:

  • Pagamenti preferenziali in stato di insolvenza: l’amministratore che decide di pagare alcuni creditori a scapito di altri, fuori dalle regole concorsuali, può essere responsabile verso i creditori esclusi del danno da “sperequazione”. La Cass. 30031/2022 ha affermato questo principio . Tuttavia serve la prova che al momento quei pagamenti avvenivano in stato di insolvenza conclamata e abbiano ridotto la garanzia per gli altri.
  • Prosecuzione abusiva: è forse l’addebito più comune. Già con la vecchia legge c’erano sentenze famose (es. Cass. Sez. Unite 9100/2015) che invertivano l’onere della prova: se il fallimento mostra un buco, spetta agli ex amministratori provare che questo non è dovuto al loro ritardo nella richiesta di fallimento. Cass. ord. 22005/2025 nel caso dei debiti fiscali ha sottolineato proprio questo: non basta aver chiesto rateizzazioni successive per esimersi da colpa se intanto maturavano sanzioni e interessi, che costituiscono danno per i creditori .
  • Violazione obblighi di prevenzione crisi (assetti): come visto, l’art. 2086 c.c. obbliga a predisporre assetti. Un amministratore che non lo fa e l’azienda fallisce potrebbe trovarsi contestata l’imperizia gestionale per non aver colto in tempo la crisi. Il Tribunale di Venezia 2025, per esempio, è arrivato a rimuovere gli amministratori in carica (con provvedimento ex art. 2409 c.c.) a causa di assenza di assetti adeguati e inerzia di fronte a segnali di crisi . Il segnale per tutti è che oggi non attivarsi in presenza di crisi può costituire di per sé colpa grave.

Responsabilità verso il Fisco e altri enti: normalmente, il Fisco per riscuotere i tributi guarda alla società, non alle persone. Ma ci sono eccezioni e strumenti:

  • Se la società viene dolosamente svuotata e cessata per non pagare imposte, l’Agenzia può agire in sede civile con l’azione revocatoria o perfino invocare l’art. 2043 c.c. per responsabilità extracontrattuale degli amministratori/falliti (ci sono state tesi in dottrina su questo, ma più spesso si preferisce la via penale).
  • Responsabilità del liquidatore ex art. 2495 c.c. e 2312 c.c.: se i liquidatori distribuiscono attivo ai soci senza pagare i creditori, ne rispondono illimitatamente del debito. Anche art. 36 D.P.R. 602/1973 stabilisce che i liquidatori di società rispondono personalmente dei debiti tributari fino a concorrenza delle somme distribuite ai soci in violazione della par condicio. Quindi un amministratore/liquidatore in fase di scioglimento deve prima pagare imposte e contributi e solo se avanza dare ai soci, altrimenti il Fisco lo perseguirà personalmente .
  • Soci di S.r.l. per finanziamenti postergati: i soci che hanno ritirato finanziamenti quando la società era in crisi potrebbero dover restituire quelle somme se configurate come postergate. I soci che abbiano ricevuto indietro prestiti infruttiferi in pre-dissesto potrebbero subire revocatoria o azioni di responsabilità indiretta.
  • Fideiussioni personali: a livello contrattuale, il rischio più immediato per il patrimonio personale degli amministratori/soci è aver firmato garanzie personali (fideiussioni) a favore di banche, fornitori o leasing. In tal caso, indipendentemente da colpe gestorie, se la società non paga, il creditore può escutere il patrimonio privato del garante (casa, conti, stipendio). Molto spesso per ottenere credito gli amministratori si impegnano personalmente: queste garanzie vanno tenute presente perché, se l’azienda va male, i creditori non staranno a fare analisi di colpe: escuteranno la fideiussione a prima richiesta. La difesa in quel caso è limitata (si può cercare di negoziare il debito, oppure eccepire vizi formali delle fideiussioni se ci sono – ad esempio molte fideiussioni standard ABI sono state ritenute nulle dall’Antitrust, e su questo alcuni garanti hanno trovato appigli per invalidarle in giudizio).
  • Reati tributari e conseguenze personali: l’omesso versamento di IVA oltre soglia (€250k annui) o di ritenute (€150k) è reato (D.Lgs. 74/2000 art. 10-ter e 10-bis). L’amministratore condannato potrebbe subire confisca dei beni personali per l’equivalente, se il debito non è stato pagato. Inoltre, l’illecito tributario in sede concorsuale può impedire l’esdebitazione (se ha commesso frodi fiscali il tribunale può negargli i benefici di legge). Dunque un cattivo gestore rischia sanzioni penali che colpiscono direttamente il suo patrimonio (perché la confisca di solito colpisce chi ha agito, non la società se è estinta).

Come tutelare il patrimonio personale

Data la possibilità che, in vari scenari, i debiti aziendali si riversino (in tutto o in parte) sui beni personali di amministratori e soci, è naturale chiedersi come questi possano proteggersi. Alcune strategie lecite di tutela patrimoniale includono:

  • Agire con diligenza e trasparenza: può sembrare banale, ma la prima difesa del patrimonio personale è non esporsi a responsabilità. Se l’amministratore si muove correttamente – predisponendo assetti adeguati, affrontando la crisi per tempo, evitando atti preferenziali, informando i soci – riduce drasticamente la possibilità di essere chiamato in causa. Ad esempio, la Cassazione dice che “non spetta al fallimento provare la colpa, ma all’ex amministratore provare la diligenza” . Dunque, chi può dimostrare di aver fatto tutto il possibile (convocato soci per ricapitalizzare, tagliato i costi, attivato la composizione negoziata all’allerta) avrà buone difese in eventuali giudizi.
  • Assicurazione D&O (Directors & Officers): esistono polizze assicurative che coprono la responsabilità civile degli amministratori per atti di gestione (entro certi limiti e esclusi atti dolosi). Molte società stipulano tali polizze a beneficio degli amministratori, così se un curatore fa causa e c’è un risarcimento da pagare, interviene l’assicurazione. È importante valutare bene massimali e clausole (spesso escludono i casi di conflitto d’interessi o violazioni note). Non coprono sanzioni penali o amministrative, ma possono coprire i danni civili.
  • Non prestare garanzie personali se non indispensabile: un socio o amministratore dovrebbe evitare di firmare fideiussioni per la società a cuor leggero. Se possibile, negoziare con la banca garanzie reali (ipoteca su bene aziendale) invece di garanzia personale. Oppure farsi sostituire come garante appena la società migliora (spesso le banche se la società acquisisce solidità liberano le garanzie personali). Se proprio si deve, diversificare: magari non far garantire a una sola persona tutto il debito, ma distribuire tra più garanti o limitare l’importo garantito. Questo per circoscrivere il rischio.
  • Patrimoni separati e strumenti protettivi: il nostro ordinamento consente di creare dei patrimoni separati per tutelare la famiglia dell’imprenditore, anche se con molte cautele:
  • Il fondo patrimoniale (artt. 167 ss. c.c.): un imprenditore può aver costituito un fondo patrimoniale con la moglie per destinare certi beni (es. casa coniugale) ai bisogni della famiglia. I beni in fondo patrimoniale non possono essere aggrediti per debiti estranei ai bisogni familiari. Tradizionalmente, debiti di impresa non rientrano nei bisogni della famiglia, quindi un creditore aziendale potrebbe aggredire il fondo, ma se il debito è stato contratto per scopi dell’azienda e non a vantaggio della famiglia, c’è giurisprudenza che nega l’aggressione. Tuttavia, c’è l’azione revocatoria: se l’imprenditore costituisce un fondo patrimoniale quando già i creditori bussano alla porta, tale atto può essere revocato come atto a titolo gratuito in pregiudizio . Quindi il fondo serve se fatto molto prima e con finalità genuina familiare, non all’ultimo momento.
  • Il trust: l’imprenditore potrebbe costituire un trust e conferirvi alcuni beni personali per sottrarli alle pretese future. Questo però è guardato con sospetto se i creditori erano già prevedibili. La Cassazione 2023, come citato, ha detto chiaro che l’atto istitutivo di trust può essere revocato se pregiudica i creditori . E addirittura, al di là della revocatoria civile, costituire un trust per frodare il Fisco può integrare reato di sottrazione fraudolenta al pagamento imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000). Quindi un trust può proteggere il patrimonio dai creditori solo se fatto genuinamente, in tempi non sospetti e con scopi legittimi. In caso contrario, rischia di essere un boomerang.
  • Vincoli di destinazione su beni immobili (art. 2645-ter c.c.): consentono di destinare un immobile a uno scopo per 90 anni max. Non molto usati, e comunque revocabili se fatti per nuocere ai creditori.
  • Società holding/familiari: alcuni imprenditori proteggono i beni personali intestandoli a società di famiglia separate dall’azienda operativa. Così, se l’operativa fallisce, la holding (che possiede immobili o liquidità) ne è separata. Questa può essere una pianificazione lecita (holding pura vs operating company). Però se la holding presta garanzie per la figlia o è ammessa a fallimento come società di fatto, può venire coinvolta. Bisogna fare passi ben consigliati per evitare “confusione di patrimoni”.
  • Scioglimento anticipato della società e liquidazione volontaria: in certi casi, i soci/amministratori potrebbero scegliere di liquidare volontariamente la società prima che diventi insolvente conclamata, pagando i creditori fin dove possibile e chiudendo la partita senza fallimento. Questo può limitare le responsabilità: i liquidatori però devono agire correttamente come detto (pagando prima i creditori). Se riescono a chiudere senza strascichi (ad esempio concordando stralci tombali con i creditori e facendosi rilasciare liberatorie), i soci possono liquidare e cercare di evitare procedure concorsuali. Tuttavia, se restano debiti impagati rilevanti, i creditori possono comunque chiederne il fallimento entro un anno dalla cancellazione (cosiddetto fallimento post cancellazione, art. 40 CCI). In tal caso il patrimonio residuo magari è sparito e allora sì che i liquidatori rispondono ex art. 2495 c.c. Quindi è un’arma a doppio taglio: liquidare da soli funziona se si riesce a soddisfare i creditori in modo accettabile (magari con un accordo).
  • Transazioni con i creditori garantite da patti: se i soci vogliono evitare di mettere a rischio la casa, potrebbero proporre ai creditori di non aggredire certi beni in cambio di un impegno. Ad es., con la banca si può pattuire: “ti do tot extra dal mio patrimonio ma tu rinunci a ipotecare la mia casa”. Formalizzando tali accordi, il creditore poi non può agire sui beni esclusi. Tuttavia molti creditori preferiscono tenersi mani libere finché non incassano tutto.

In generale, per gli amministratori la miglior tutela è agire tempestivamente secondo legge. Ad esempio, se vedono che non possono pagare IVA e stipendi, invece di accumulare, attivino la composizione negoziata o il concordato: questo li metterà al riparo da accuse di aver aggravato il buco. Inoltre, se in concordato o composizione negoziata, molti atti che altrimenti sarebbero censurabili sono autorizzati e protetti, e soprattutto si evita la bancarotta: non c’è bancarotta senza fallimento. Quindi portare l’azienda in concordato (anche liquidatorio) ed eseguirlo può evitare l’onta penale. È un paradosso, ma amministratori che pilotano un concordato – seppur scontenti di dover chiudere l’azienda – potrebbero evitare denunce per bancarotta che invece scattavano se lasciavano fallire in modo “sporco”.

Quanto ai soci di S.r.l./S.p.A., di norma non rispondono coi beni personali. Fanno eccezione i soci di società di persone (snc, sas accomandatari) che invece sono illimitatamente responsabili. Se la nostra “azienda di PLC industriali” fosse stata una snc, i soci rischierebbero in proprio su tutti i debiti. In tale caso, sarebbero equiparabili al fallimento personale: fallisce la snc, falliscono i soci illimitatamente responsabili insieme. Per loro le uniche difese patrimoniali sono affidarsi a quelle misure di segregazione (fondo patrimoniale, intestare beni a terzi di fiducia – ma occhio a profili di revocatoria).

Mosse scorrette da evitare assolutamente: a scanso di equivoci, sottolineiamo che cercare di sottrarre attivi all’azienda in crisi per salvarli privatamente è quasi sempre destinato a fallire e ad aggravare le responsabilità. Esempi:

  • Prelevare liquidità dalle casse e nasconderla (oggi le transazioni sono tracciate, e sarebbe bancarotta fraudolenta).
  • Vendere sottoprezzo beni a parenti o soci (revocatoria e bancarotta fraudolenta per distrazione).
  • Falsificare i bilanci per mascherare il dissesto (bancarotta fraudolenta documentale e reati societari).
  • Costituire nuova società e trasferirvi gli asset sani lasciando i debiti nella vecchia: questo classico “scorri e lascia i debiti” viene spesso scoperto e punito (azione revocatoria per cessione d’azienda simulata e bancarotta).
  • Dichiarare fallimento personale estero fittizio (qualcuno ha provato a trasferirsi all’estero e dichiarare insolvenza in paesi più accomodanti, ma per lo più non funziona se il centro attività era in Italia).

In caso di crisi, giocare d’azzardo aggravando i debiti sperando nel colpo di fortuna finale è comprensibile umanamente, ma estremamente pericoloso giuridicamente. Meglio confrontarsi subito con i professionisti e adottare soluzioni ordinarie, anche se comportano sacrifici.

Strategie difensive pre-contenziose e contenziose

Dal punto di vista pratico, un imprenditore con azienda indebitata deve muoversi su due fronti temporali: prima che i creditori agiscano giudizialmente (fase pre-contenziosa) e durante eventuali azioni legali (fase contenziosa). Abbiamo già trattato delle grandi strategie (accordi, procedure concorsuali); qui forniamo alcuni suggerimenti tattici su come difendersi nel concreto giorno per giorno:

Fase pre-contenziosa (prima che arrivi l’ingiunzione o il pignoramento)

  1. Mantenere la calma e analizzare obiettivamente: è fondamentale avere un quadro chiaro dei debiti (chi è il creditore, importo, scadenza, eventuali interessi di mora applicabili, garanzie date). Spesso imprenditori travolti evitano la contabilità, errore grave. Bisogna invece fare subito un check-up debitorio e finanziario, magari con un consulente, per capire quante risorse servirebbero per normalizzare e dove non si arriverà.
  2. Prioritizzare i pagamenti in base alle conseguenze: se le risorse sono limitate, è una triste realtà dover scegliere chi pagare per primo. Criteri possibili:
  3. Debiti che possono bloccare l’attività immediatamente (es. bollette energia, fornitori essenziali di materiale) vanno messi in cima.
  4. Debiti che possono portare a perdite di beni importanti (es. mutuo ipotecario su immobile aziendale: se non paghi e la banca procede, perdi la sede) vanno considerati.
  5. Debiti garantiti personalmente: se non puoi salvar tutto, forse è meglio pagare quello per evitare impatti sul privato, a meno che quell’importo possa essere poi trattato in un eventuale accordo globale.
  6. Debiti verso creditori aggressivi: alcune società di recupero crediti sono velocissime a pignorare; conoscerne le abitudini può far decidere di transigere con loro prima.
  7. Debiti dove gli interessi di mora/macchinari di sanzioni crescono tanto (Fisco ad esempio ha sanzioni 30% e interessi 6%): accumularli costa molto, meglio prevenire se possibile.
  8. Comunicare con i creditori: restare in silenzio peggiora la sfiducia. È opportuno contattare i principali creditori, spiegare (senza dover rivelare tutto se non ci si sente, ma almeno dando segnale di serietà) e proporre piani. Scrivere email o lettere proponendo una soluzione dimostra buona fede e può anche tornare utile in giudizio (se poi il creditore rifiuta senza motivo una proposta migliore di quel che avrebbe in fallimento, sarà meno giustificata la sua pretesa integrale in certe procedure).
  9. Concedere garanzie solo con attenzione: a volte per ottenere dilazioni il creditore chiede maggiori garanzie (es. un’ipoteca, un pegno su un macchinario). Concederle significa dare a quel creditore un vantaggio sugli altri, e in eventuale procedura concorsuale quell’atto potrebbe essere revocato se recente e peggiora la par condicio. Occorre valutare: se la dilazione concessa grazie alla garanzia può salvare l’azienda, potrebbe valere il rischio. Ma se è solo prendere tempo senza reali prospettive, si rischia di aver vincolato un bene e poi comunque fallire (il che è male per gli altri creditori e potenzialmente contestabile).
  10. Evitare di riconoscere formalmente il debito se si vuole guadagnare tempo: fare attenzione agli atti che interrompono la prescrizione. Se un debito è vecchio e forse prescritto, non riconoscerlo espressamente. Consultarsi col legale prima di firmare qualsiasi “riconosco il debito e pagherò”. A volte il tempo può giocare a favore (prescrizione di 5 anni per le fatture commerciali, 10 per mutui, 3 per contributi INPS, ecc.). Questo non significa sperare di farla franca con la prescrizione mentre si continua l’attività – raramente i creditori se lo lasciano scappare – ma in casi borderline può essere una difesa.
  11. Preparare documentazione: in previsione di possibili cause, mettere in ordine i contratti, le fatture, le PEC. Se poi il creditore agisce, poter dimostrare eventuali vizi del rapporto (merce difettosa, servizi non resi) è cruciale. Non farsi trovare con le carte sparse. Inoltre, questo serve anche all’advisor per valutare eventuali motivi di opposizione.
  12. Tutelare liquidità e asset mobili: se temi che un creditore possa pignorare il c/c, valuta di tenerci solo l’indispensabile per pagare, spostando l’eccesso magari su conti intestati ad altre società collegate (intra gruppo) o su depositi cauzionali. Attenzione però: fare “sparire” i soldi quando c’è già un precetto potrebbe essere poi considerato un atto in frode all’esecuzione. Ma se ancora non ci sono azioni, organizzare la tesoreria in modo che l’azienda non resti paralizzata da un pignoramento sul conto (es. aprire altro conto presso banca diversa e tenervi riserve) può fare la differenza.
  13. Idem per i macchinari o automezzi: se non servono, e temi un pignoramento mobiliare, meglio portarli in luogo sicuro, perché un ufficiale giudiziario che arriva in sede e trova macchinari li può sigillare. Non nascondere per frodare, ma se hai due capannoni, sposta i beni di valore lontano dal creditore più probabile.
  14. Registrare eventuali beni intestati all’imprenditore personalmente come beni dell’azienda (spesso nelle piccole imprese c’è confusione: es. il furgone intestato alla persona ma usato per attività; in tal caso, un creditore dell’azienda in realtà non può pignorare quello se il debitore è la società – a meno di confusione dei patrimoni).
  15. Esplorare strumenti di allerta interna: come visto, predisporre indici e monitorare. Se emergono segnali, convocare un CdA o assemblea soci straordinaria per informarli della situazione debitoria. Mettere a verbale di averli avvisati e di aver proposto misure (es. “abbiamo bisogno di aumento capitale di tot altrimenti dobbiamo ricorrere al concordato”). Se i soci rifiutano di mettere soldi e l’azienda crolla, quell’amministratore avrà un’arma di difesa (“io ho avvisato, loro non hanno ricapitalizzato, dunque non è colpa mia se è fallita”).
  16. Negoziare moratorie: come accennato, soprattutto con le banche è possibile ottenere accordi quadro di moratoria (talvolta anche in ambito di categorie: l’ABI in crisi sistemiche ha firmato protocolli per sospensioni mutui PMI etc.). Informarsi se ci sono misure emergenziali (ad esempio durante Covid c’erano moratorie ex lege dei mutui, oggi no, ma chissà in futuro). Dimostrare alle banche un business plan per il rilancio e chiedere formalmente standstill di 6 mesi: alcune aderiranno se la situazione non è compromessa irrimediabilmente e se vedono serietà (magari nominando un advisor comune che monitori).
  17. Coinvolgere nuovi partner: a volte una difesa è trovare un “cavaliere bianco”. Un investitore esterno disposto a entrare in società (equity) o finanziare per poi avere vantaggi (es. opzione acquisto azienda). Mentre negozi con creditori, in parallelo batti tutte le strade (concorrenti più grandi che potrebbero acquisirti, fondi distress, rete di conoscenze) per vedere se qualcuno è interessato alla tua azienda se alleggerita dai debiti. Non è affatto raro che la via d’uscita sia vendere a poco o nulla l’azienda a uno più grande che però assume parte dei debiti o li tratta con i creditori (questo può avvenire anche in concordato, come concordato in continuità indiretta).

Fase contenziosa (quando i creditori agiscono in giudizio)

Se nonostante tutti gli sforzi alcuni creditori passano alle vie legali, il debitore deve attivare le difese specifiche previste dal codice di procedura civile e dalle leggi speciali. Alcune situazioni tipiche:

  • Decreto ingiuntivo: il creditore (spesso un fornitore, una banca per scoperto, il locatore per affitti) ottiene un’ingiunzione di pagamento. Il debitore ha 40 giorni (salvo ingiunzione provvisoriamente esecutiva) per fare opposizione se ha motivi validi. Qui è cruciale il parere di un legale: se i debiti sono certi, un’opposizione infondata farà solo spendere altre spese e alla fine il giudice condannerà anche a pagare interessi e spese legali. Però, l’opposizione trasforma il decreto in causa ordinaria che può durare anni: guadagna tempo. Questa tattica “buying time” è spesso usata, ma con moderazione: intanto interessi e rivalutazione corrono, e se la si fa senza uno straccio di ragione può configurare abuso del processo. Quindi valutare: opposizione al decreto se c’è un minimo appiglio (es. fattura contestabile, importo errato, prescrizione maturata su parte, ecc.). Se invece nulla da dire, a volte è meglio non opporsi e cercare transazione durante quei 40 giorni (il creditore di solito non può eseguire finché non scadono).
  • Precetto: se il decreto è passato ingiudicato (oltre 40 gg senza opposizione) o il creditore aveva già un titolo (mutuo, cambiale protestata, sentenza), manderà un atto di precetto (intimazione a pagare entro almeno 10 gg). Qui il debitore può:
  • Pagare, se riesce o trovare fondi di amici/parenti per evitare pignoramento.
  • Ignorare e prepararsi al pignoramento (non l’ideale).
  • Oppure proporre un’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi se ci sono vizi (es. il precetto è per una somma errata, allora si può fare opposizione ex art. 615/617 c.p.c.). Anche qui serve un motivo tecnico: se il titolo è valido e il precetto formalmente corretto, l’opposizione sarà respinta presto. Ma se, ad esempio, la somma precettata include interessi usurari, si può fare opposizione limitata.
  • Pignoramento mobiliare: l’ufficiale giudiziario può presentarsi in azienda e pignorare beni mobili (macchinari, merci) su richiesta del creditore con titolo. Il debitore può tentare di convertire il pignoramento (art. 495 c.p.c.), cioè evitare la vendita depositando una somma pari al debito e spese; la legge permette di chiedere di pagare a rate (fino a 36 rate mensili) quella somma al tribunale, ottenendo la sospensione dell’esecuzione. Questa è una forma di accordo forzato: se il giudice la concede, il debitore versa subito una percentuale (di solito 1/5) e il resto mese per mese, evitando che vendano i beni. Ovviamente bisogna reperire almeno la parte iniziale.
  • Se i beni pignorati sono cruciali (macchinario di produzione), il debitore può chiedere all’ufficiale di lasciarli in custodia a lui per continuare l’uso (spesso i macchinari restano sul posto fino a vendita, ma formalmente non puoi usarli, però in alcuni casi l’ufficiale chiude un occhio se la vendita è lontana e tutti convengono).
  • Verificare la procedura: se l’ufficiale ha pignorato beni eccedentari (es. valore dei beni molto superiore al debito), il debitore può chiedere la riduzione del pignoramento.
  • Pignoramento immobiliare: se un creditore ipotecario o anche chirografario (se non ci sono ipoteche precedenti) pignora un immobile dell’azienda o del garante, difese:
  • Opposizione se viziata la notifica o il titolo.
  • Chiedere la conversione anche qui, se si può pagare ratealmente (analogo art. 495).
  • Cercare di vendere l’immobile privatamente prima che vada all’asta: durante il processo esecutivo immobiliare, il debitore ha sempre facoltà di vendere l’immobile se il creditore consente e se soddisfa i crediti (art. 566 c.p.c. e seg.). Quindi se trovi un compratore disposto a pagare abbastanza da coprire il debito ipotecario, puoi far chiedere la sospensione e sostituzione della procedura con la vendita pattuita. In pratica devi convincere il creditore che è meglio così (di solito conviene a entrambi, all’asta l’immobile si svaluta).
  • Se si tratta della prima casa di abitazione e il creditore è l’Agente Riscossione (debiti fiscali), c’è un divieto di pignoramento se l’importo a ruolo è sotto 120k €. Inoltre, leggi recenti hanno introdotto la possibilità di sospendere per 1 anno la vendita della casa se il debitore prova di poter pagare entro quel termine (DL 18/2016). Comunque sono situazioni specifiche.
  • Istanza di fallimento: se un creditore deposita ricorso per liquidazione giudiziale, è un segnale di allarme massimo. Il debitore può:
  • Opporsi in quella sede contestando i presupposti (non sono insolvente, il credito non è certo, c’è un procedimento in corso che lo riguarda, ho chiesto una composizione negoziata…). Spesso i tribunali se vedono che il debitore ha avviato una composizione negoziata sospendono o rinviano l’udienza fallimentare, perché la composizione negoziata prevede che eventuali istanze pendenti possano essere tenute in attesa.
  • Pagare il creditore istante prima dell’udienza (basta soddisfare quello per far venir meno l’interesse alla dichiarazione, anche se restano altri debiti!). Spesso in pratica l’imprenditore racimola soldi per pagare quel fornitore che ha fatto istanza, così ritira la domanda e si guadagna tempo con gli altri.
  • Chiedere in extremis un concordato preventivo: la famosa “domanda di concordato in bianco” presentata prima o all’udienza fallimentare blocca la dichiarazione di fallimento ex lege (art. 44 CCI). Il tribunale deve sospendere e attendere l’esito della procedura di concordato. Molti debitori usano questa tattica come ultimo scudo. È efficace, però poi bisogna presentare un piano vero; non lo si può usare abusivamente solo per rinviare all’infinito (infatti presentare un concordato in bianco con intento solo dilatorio può portare a dichiarazione di inammissibilità e a fallimento).
  • Procedimenti monitori su cambiali/assegni: se il debito era cristallizzato in titoli di credito (cambiali, assegni), l’azione esecutiva è più rapida. Le difese possibili sono poche (per assegno protestato: eccepire vizi formali, per cambiale: analoghi, o dire che manca la causa sottostante se c’è).
  • Debiti tributari in riscossione coattiva: qui il “contenzioso” assume la forma del procedimento di esecuzione esattoriale:
  • Se arriva una cartella esattoriale, hai 60 giorni per pagarla o rateizzarla, oppure fare ricorso se illegittima (ma attenzione: molte volte il ricorso andava fatto prima, contro l’accertamento).
  • Se arriva preavviso di ipoteca o di fermo dall’ADER, contattali subito per una rateazione ed evita che iscrivano ipoteca sulla sede (complica rifinanziamenti).
  • Se pignorano un conto via ADER, la procedura ha regole proprie (possono pignorare presso terzi senza passare dal giudice). Puoi fare opposizione all’esecuzione solo per vizi gravi (tipo notifica cartella mai avvenuta). Senza, conviene negoziare con l’ufficio (ci sono istituti come la transazione fiscale fuori concorso nel Dlgs 112/99 modif., ma raramente applicati in via amministrativa).

In generale, ogni azione giudiziale ha i suoi rimedi. È cruciale avere un legale esperto che esamini ogni atto: a volte vizi formali (notifica errata, difetto di legittimazione) possono far guadagnare tempo o vincere. Tuttavia, è altrettanto fondamentale sapere quando non opporsi: se il debito è sacrosanto e l’azienda è spacciata, bruciare cassa in cause inutili peggiora solo la situazione e aumenta la futura esposizione (spese legali, interessi su interessi). Quindi la strategia deve essere bilanciata: difendersi quando c’è uno scopo (o attendere eventi risolutivi imminenti, o ottenere sconto).

Esempio pratico 2 – Gestione contenzioso multi-creditore: Omega S.r.l. ha 4 cause: un decreto ingiuntivo di un fornitore, un atto di precetto di una banca per leasing scaduti, una cartella esattoriale da 80k e un ricorso per fallimento da un altro fornitore. Analizziamo: – Fornitore con ingiunzione: Omega aveva contestato dei pezzi difettosi, può opporsi per prendere tempo e magari spuntare uno sconto. Decide di opporsi, la causa durerà 1 anno e intanto valuta alternative. – Banca con precetto su leasing: qui Omega sa di dovere quei canoni, non ci sono scuse. Piuttosto che essere pignorati i macchinari, Omega contatta la banca e propone: “abbiamo un potenziale nuovo investitore tra 3 mesi, ci serve tempo, vi diamo subito il 20% e per il resto chiediamo conversione del pignoramento in 12 rate”. La banca accetta parzialmente: fa sospendere il pignoramento per 3 mesi in cambio del 20% ora. Omega trova l’investitore e chiude il leasing successivamente. (Se la banca rifiutasse, Omega valuterebbe l’ipotesi concordato preventivo per congelare la situazione). – Cartella 80k: Omega chiede rateazione 72 rate all’ADER, ottenendola (pagherà circa 1.1k al mese). Ciò blocca fermi e ipoteche. Continua a pagare per due anni, poi se entrerà in concordato potrà includere quell’importo residuo nella transazione fiscale eventualmente. – Istanza di fallimento: Omega presenta il giorno prima dell’udienza un ricorso per concordato in bianco. Il tribunale rinvia l’istanza di fallimento e concede 120 giorni per presentare il piano. Con l’investitore menzionato, Omega prepara un concordato in continuità, che verrà votato dai creditori (tra cui rientrano i sopracitati, che preferiranno il concordato a un fallimento disordinato).

Questo esempio mostra l’intreccio di difese: opposizioni, trattative, soluzioni concorsuali formali usate come scudo. È uno scenario complesso ma realistico di “guerra di posizione” su diversi fronti.

Domande Frequenti (FAQ)

Di seguito riportiamo alcune domande comuni che imprenditori e amministratori di aziende indebitate si pongono, con risposte sintetiche ma precise alla luce di quanto esposto:

D: La mia S.r.l. ha molti debiti e temo il fallimento: i creditori possono venire a prendere i miei beni personali (casa, conto personale)?
R: In genere no, se parliamo di una S.r.l. o S.p.A., i debiti sociali non ricadono sui beni personali dei soci o degli amministratori. Faranno eccezione solo i casi in cui hai prestato garanzie personali (es. fideiussioni a banca/fornitore: in tal caso il creditore può escutere direttamente te). Oppure se hai commesso illeciti gravi come distrazione di beni: allora un eventuale curatore può agire contro di te per danni. Ma normalmente, il creditore sociale può aggredire solo il patrimonio sociale. Diverso per soci di società di persone (snc, sas accomandatari) che invece rispondono illimitatamente: in quel caso, sì, possono attaccare i beni personali. Come amministratore, potresti essere chiamato a rispondere successivamente in sede di azione di responsabilità, ma non è automatico e richiede una causa specifica . Quindi, finché l’azienda è in piedi, i creditori sociali non hanno titolo per pignorare la casa dell’amministratore (salvo garanzie).

D: Ho debiti fiscali e contributivi molto alti: è possibile stralciarli o ridurli legalmente o devo pagarli per forza al 100%?
R: È possibile ridurre e dilazionare i debiti verso il Fisco e l’INPS in vari modi. Fuori dalle procedure concorsuali, il modo più comune è aderire a eventuali rottamazioni delle cartelle (quando il legislatore le prevede) , che abbattono sanzioni e interessi, o chiedere rateizzazioni (fino a 6 anni normalmente, 10 anni in casi speciali) per diluire il pagamento. All’interno di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione, si può proporre una transazione fiscale: ad esempio pagare solo il 50% del debito e in 5 anni. Prima il Fisco doveva approvare necessariamente, ma oggi, se il piano offre al Fisco almeno quanto prenderebbe in un fallimento, il tribunale può omologarlo anche senza il suo consenso . Questo cosiddetto cram down fiscale (omologazione forzata) introdotto nel 2024 ha aperto a veri stralci sui tributi in concordato . Quindi sì, si possono stralciare, specie interessi e sanzioni, ma serve passare per una procedura concorsuale o un accordo con adesione. In sovraindebitamento del consumatore o concordato minore, parimenti, il giudice può ridurre i tributi come gli altri crediti. Attenzione però: alcuni tipi di debiti tributari (es. IVA incassata come sostituto, ritenute) richiedono almeno il pagamento integrale del capitale in transazione, anche se magari scontano sanzioni. Va studiato caso per caso.

D: Cos’è la composizione negoziata e in cosa differisce dal concordato preventivo?
R: La composizione negoziata è una procedura volontaria e stragiudiziale in cui l’imprenditore in crisi, affiancato da un esperto indipendente nominato dalla Camera di Commercio, cerca un accordo con i creditori per risanare l’impresa . È riservata (non pubblica) e non prevede il voto formale dei creditori . Serve a trovare soluzioni concordate (dilazioni, nuove finanze, accordi individuali) con l’assistenza dell’esperto, e può durare pochi mesi. Il concordato preventivo invece è una procedura giudiziale concorsuale: il piano viene sottoposto ai creditori che votano e poi omologato dal tribunale. Nel concordato c’è pubblicità (il ricorso si iscrive al registro imprese) e le decisioni finali spettano al giudice (dopo il voto) . Inoltre, nella composizione negoziata non c’è un provvedimento che obbliga i creditori ad accettare l’accordo: se ne convinci la maggioranza bene, sennò nulla di fatto. Nel concordato, se approvato a maggioranza ed omologato, tutti i creditori sono vincolati. La composizione negoziata è uno strumento di prevenzione flessibile, da attivare prima di essere insolventi conclamati (o comunque sperando nel risanamento); il concordato è per gestire legalmente l’insolvenza con effetti definitivi. Spesso la composizione negoziata è preludio: se va male, puoi accedere a un concordato semplificato . In sintesi: negoziazione assistita volontaria vs procedura concorsuale formale.

D: La mia azienda è sommersa dai debiti e non è più sostenibile: posso chiuderla e ripartire con un’altra società lasciando i debiti indietro?
R: Attenzione: chiudere un’azienda indebitata senza pagare i creditori può esporre a varie conseguenze. Se tenti di liquidare volontariamente la società distribuendo attivi ai soci e non pagando i creditori, i liquidatori/soci ne rispondono personalmente . Inoltre i creditori potrebbero chiederne il fallimento entro 1 anno dalla cancellazione, riaprendo i giochi. Far nascere una “newco” e trasferirvi l’attività senza i debiti può configurare una continuità aziendale per cui i creditori potrebbero attaccare la newco (specie se stessi soci o stessi asset). C’è la figura dell’abusivo trasferimento d’azienda: ex art. 2560 c.c. chi compra un’azienda risponde dei debiti risultanti dai libri contabili, e se la cessione è tra parti correlate a prezzo vile può essere revocata dal fallimento . Quindi semplicemente “scappare” coi beni in una nuova società e lasciare la vecchia fallire è illecito (bancarotta fraudolenta per distrazione). La via corretta se vuoi cedere l’attività liberandola dai debiti è ricorrere a un concordato in continuità indiretta: trovi un acquirente per l’azienda, proponi ai creditori di cedere l’azienda libera a quello e con il prezzo pagare parzialmente i debiti. Se approvano, ottieni il risultato in modo legale. Oppure, se sei piccolo imprenditore, potresti liquidare i beni della vecchia e ottenere l’esdebitazione (fresh start) e poi aprire nuova attività pulita. Ma devi comunque passare o da un procedimento di sovraindebitamento o da fallimento & esdebitazione. Farlo informalmente presenta rischi elevati. Dunque no, non è lecito semplicemente chiudere e ripartire ignorando i crediti: bisogna gestire la chiusura in modo regolare, altrimenti ti porti dietro possibili azioni legali sulla persona o sulla nuova impresa.

D: Qual è la differenza tra concordato preventivo e concordato semplificato?
R: Il concordato semplificato è una particolare forma di concordato senza voto dei creditori, riservato al caso di composizione negoziata fallita . In pratica, nel concordato preventivo “normale” tu fai una proposta e i creditori votano per approvarla; nel semplificato, la proposta (che deve essere liquidativa dei beni) viene presentata al tribunale direttamente dopo il tentativo negoziale non riuscito, e saranno il commissario e il giudice a valutare, senza passare per l’adunanza dei creditori . È “semplificato” perché salta la fase deliberativa dei creditori e alcune formalità, per guadagnare tempo. Inoltre, nel concordato semplificato solitamente l’azienda viene liquidata (cessata o venduta) – scopo puramente liquidatorio – mentre il concordato preventivo può anche puntare alla continuità aziendale (mantenere l’impresa attiva). Il semplificato non è accessibile liberamente, ma solo se hai fatto la composizione negoziata e non hai altre soluzioni . Tecnicamente, le due procedure sono simili (entrambe concorsuali sotto controllo tribunale), ma in quella semplificata i creditori possono solo fare opposizione all’omologa, non votare. È uno strumento di chiusura rapida se il salvataggio è impossibile, mentre il concordato preventivo standard è strumento di ristrutturazione più ampio. Per l’imprenditore debitore, il semplificato è utile a evitare il fallimento con tutto ciò che comporta, seppur portando comunque alla liquidazione dei beni.

D: Sono amministratore di una S.r.l. fallita: posso essere accusato di bancarotta anche se non ho rubato nulla?
R: Purtroppo sì, le fattispecie di bancarotta semplice coprono anche condotte non fraudolente. Se la tua S.r.l. è dichiarata fallita (liquidazione giudiziale), tu come amministratore diventi soggetto a possibili reati concorsuali. Ad esempio, potresti essere accusato di bancarotta semplice se hai aggravato il dissesto per grave imprudenza (art. 322 CCI, ex art. 217 l.f., come continuare a fare operazioni gravemente azzardate per ritardare il fallimento). Oppure se non hai tenuto i libri contabili in ordine, c’è la bancarotta semplice documentale. Queste sono contravvenzioni che comunque comportano pene (più miti della fraudolenta). La bancarotta fraudolenta, più grave, richiede un comportamento doloso: distrazione di beni, occultamento di risorse, registri falsificati per frodare i creditori. Se davvero non hai rubato nulla né falsificato, di solito ti contestano eventualmente la semplice (es. ritardo nel depositare i libri, aver pagato qualche creditore preferendo altri – bancarotta preferenziale). Sono cose serie anche se meno infamanti del rubare. Comunque, se hai agito con correttezza e il fallimento è dovuto a sfortuna o mercato, potresti anche non subire alcuna accusa penale: non ogni fallimento genera reati, solo se emergono condotte specifiche. Collaborare col curatore, consegnare subito i documenti, spiegare le cause può aiutare a evitare querele. Tieni presente che se eviti il fallimento (ad esempio con concordato, o società piccola che va in sovraindebitamento), non c’è bancarotta: il reato scatta solo in procedura fallimentare. Dunque un motivo in più per preferire concordato o altre soluzioni.

D: Cosa posso fare per proteggere la mia casa dai debiti della mia azienda?
R: Se la casa è intestata a te persona fisica (imprenditore), i creditori della società di capitali non possono ipotecarla o pignorarla (salvo tu abbia dato garanzia o sia socio illimitatamente responsabile). Però potresti temere azioni di responsabilità o fideiussioni. Alcune precauzioni: – Se sei sposato, potresti valutare un fondo patrimoniale conferendo la casa, così che per i debiti futuri dell’azienda in teoria sarebbe esclusa (perché debito per scopi aziendali non è per bisogni famiglia) – ma ricordati che se il debito era già sorto o prevedibile, il creditore potrà contestare che l’atto è fatto in frode . – Non ipotecare la casa per la società. Spesso però le banche chiedono ipoteca sulla casa del socio per concedere fidi: se puoi evitarlo, evitalo, magari offrendo altre garanzie. – Tenere la casa intestata al coniuge (se il coniuge non è garante) può isolare il bene, ma trasferire proprietà al coniuge quando sei già indebitato può essere revocato (atto a titolo gratuito revocabile entro 2 anni). – Nel caso di ditta individuale o società di persone, la casa è aggredibile perché tu sei debitore diretto: qui l’unica via è il fondo patrimoniale (se con figli minori e la casa serve alla famiglia), oppure l’esdebitazione a fine procedura di liquidazione, ma intanto la casa può essere venduta dal liquidatore. – In estrema sintesi: se sei socio di S.r.l. non garante, la casa è abbastanza al sicuro già. Se sei garante, potresti rifinanziare il debito per liberare la garanzia, oppure rinegoziare con la banca di escludere la casa magari offrendo pegno su titoli o altro.

D: L’impresa è in crisi ma credo si possa salvare: come evito che un creditore la faccia fallire improvvisamente?
R: Due mosse chiave: 1) Attiva tu per primo una procedura: se sei in trattativa (composizione negoziata) e chiedi misure protettive, nessun creditore può iniziare o proseguire azioni esecutive per un po’ . Se temi istanze di fallimento, puoi presentare un concordato preventivo (anche con riserva) e ciò congela le istanze in corso per legge. Quindi anticipare gli eventi con uno strumento concorsuale “difensivo” è efficace. Devi ovviamente avere un piano credibile dietro, perché sono armi che comprano tempo ma poi vanno gestite. 2) Tienili buoni con pagamenti parziali: spesso un creditore aggressivo lo è perché non riceve nulla e vede sparire le speranze. Se riesci a dare acconti a tutti (anche piccoli ma regolari) molti preferiranno aspettare che buttarti a terra. Un creditore presenta istanza fallimento tipicamente quando pensa che non avrà niente di niente o per mettere pressione. Se lo mantieni fiducioso, ritarderà. Certo, è come tenere tanti fuochi accesi: devi essere equo sennò uno trascurato va per vie legali. – Un’altra tecnica: se un creditore grosso scalpita, fagli firmare un accordo di standstill in cui magari concedi qualche garanzia ma lui promette di non agire per X mesi. – Inoltre, monitora le comunicazioni: se ricevi solleciti da uno studio legale per conto di un creditore, non ignorarli; chiamali, cerca un accordo prima che depositino il ricorso in tribunale.

D: Cos’è l’esdebitazione e come funziona?
R: L’esdebitazione è la liberazione dai debiti residui non pagati al termine di una procedura concorsuale liquidatoria. In pratica, se tu come persona fallisci e nel fallimento i creditori recuperano, poniamo, il 20%, tu puoi chiedere di essere esdebitato per il restante 80% e voltare pagina . È un beneficio concesso una volta ogni 10 anni circa, se hai cooperato e non hai frodato. Nel nuovo Codice, l’esdebitazione per le persone fisiche è quasi automatica a fine liquidazione (salvo opposizioni dei creditori per comportamento doloso). C’è anche per il sovraindebitato incapiente senza beni (cancella i debiti senza pagare nulla, come misura eccezionale). Le società invece non hanno esdebitazione: se fallisce una S.r.l., la società si estingue coi debiti insoddisfatti (che rimangono inesigibili). Ma i soci non ne avevano responsabilità, quindi non serve esdebitare. Dunque, l’esdebitazione rileva per gli imprenditori individuali, i soci illimitatamente responsabili e i garanti. Esempio: Tizio, imprenditore individuale, fallisce con debiti 100, attivo 30 (pagherà 30%). Finito il fallimento, Tizio può chiedere esdebitazione e ottenerla, così quei 70 non li dovrà più nessuno. Rimangono, per legge, esclusi da esdebitazione alcune obbligazioni come alimenti, risarcimenti danni da illecito extra contrattuale e debiti per sanzioni penali/amministrative: quelli restano. Ma debiti bancari, fornitori, fiscali (anche fiscali, sì!) vengono perdonati. L’esdebitazione è un’ancora di salvezza per chi è sovraindebitato onestamente e ha perso tutto: permette di ripartire senza il fardello dei vecchi creditori.

D: Un fornitore ha smesso di consegnarci merce perché siamo indietro coi pagamenti: posso fare qualcosa legalmente?
R: Dipende dal contratto. Se non avete un contratto a lungo termine che lo obbliga (tipo un accordo di fornitura esclusiva con penali), il fornitore non è tenuto a continuare a vendere se non paghi: può lecitamente sospendere la fornitura per inadempimento (tranne in casi particolari di beni pubblici essenziali, ma nel privato no). Puoi cercare di ottenere un provvedimento d’urgenza se dimostri che la sospensione della fornitura di colpo viola principi di correttezza (es. ti ha dato un preavviso zero su una fornitura essenziale e questo ti crea un danno grave). Qualcosa come un ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c. per farlo fornire dietro garanzia di pagamento. Ma in pratica, costringere un fornitore a darti merce se non paghi è arduo. Meglio negoziare: offrire un piano di rientro e magari pagamenti anticipati per le nuove forniture (ad esempio, “pagherò ogni nuovo ordine contanti e ti do il 10% dei vecchi debiti per ciascuna consegna finché saldiamo”). Così lui vede margine e tu riprendi la merce. In generale, il codice civile (art. 1460 c.c.) dà facoltà di eccezione di inadempimento: il fornitore può sospendere la sua prestazione se tu non paghi la tua. Quindi non commette illecito. A meno che non fosse un servizio pubblico essenziale (gas, luce: lì ci sono tutele di legge per evitare sospensioni immediate).
In conclusione, non c’è uno strumento legale forte per obbligare una controparte a continuare una fornitura a un cliente insolvente. La “difesa” qui è solo contrattuale: convincerlo che è nel suo interesse proseguire alle nuove condizioni (es. garantirgli almeno il pagamento della merce corrente, se necessario con un deposito o garanzia). Se c’è un contratto di appalto in cui lui è obbligato, allora potresti minacciare cause per danni, ma se tu sei inadempiente sui pagamenti, la ragione contrattuale ce l’ha lui.

Tabelle riepilogative, esempi pratici e riferimenti normativi qui riportati mirano a offrire un orientamento completo su come comportarsi di fronte a debiti pesanti. L’azienda di PLC industriali indebitata può trovare vie d’uscita sia tramite accordi che tramite procedure concorsuali, minimizzando le perdite e salvaguardando per quanto possibile il valore aziendale e il patrimonio personale dei protagonisti. Il filo conduttore è: agire per tempo, con trasparenza e con gli strumenti giusti, piuttosto che subire passivamente le azioni dei creditori o, all’estremo opposto, compiere scelte di pancia che portano a conseguenze peggiori (frode, azioni revocatorie, responsabilità personali).

In quest’ottica, un imprenditore informato e ben consigliato può difendersi efficacemente anche nelle situazioni più critiche, utilizzando la legge come scudo (e non temendola come una spada). Questa guida avanzata ha fornito il quadro di riferimento; ogni caso pratico va poi approfondito con professionisti specializzati (avvocato, commercialista, advisor finanziario) per cucire la miglior soluzione su misura.

Fonti e Giurisprudenza

  • Codice Civile (artt. 2086, 2393-2394, 2476 c.c. – Doveri degli amministratori e azioni di responsabilità; artt. 167 ss. c.c. – Fondo patrimoniale; art. 2560 c.c. – Debiti nella cessione d’azienda; art. 2901 c.c. – Azione revocatoria) .
  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, come mod. D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024): definizione di crisi (art. 2) , obblighi di adeguati assetti (art. 3) , composizione negoziata (artt. 17-25 septies) , concordato preventivo (artt. 84-120) – tra cui art. 84 sulle finalità, art. 100 sulle maggioranze di voto, art. 109 sul cram-down fiscale come mod. dal correttivo ter –, liquidazione giudiziale (artt. 121-270), concordato semplificato (art. 25-sexies) , concordato minore (artt. 74-83) , piano del consumatore (artt. 65-73), liquidazione controllata (artt. 268-277), esdebitazione del sovraindebitato incapiente (art. 282).
  • Decreto Legge 118/2021 (conv. L. 147/2021): introduttivo della composizione negoziata, relazione illustrativa sulle misure protettive e concordato semplificato.
  • Codice Penale e Leggi Speciali: D.Lgs. 74/2000 (reati tributari: art. 10-bis omesso versamento ritenute, 10-ter omesso IVA; art. 11 sottrazione fraudolenta al pagamento imposte – es. con trust fraudolento), Legge Fallimentare R.D. 267/1942 (artt. 216-217 bancarotta fraudolenta e semplice; art. 218 bancarotta preferenziale), ora trasfusi nel Codice della Crisi (artt. 322-323 CCI).
  • Cassazione Civile – Sentenze recenti su responsabilità e procedure:
  • Cass. civ. Sez. I, 30 luglio 2025 n. 22005: amministratori responsabili per danni da omesso versamento tributi con interessi/sanzioni – “la costante rateizzazione dei debiti fiscali non è gestione ordinaria ma configura illecito” .
  • Cass. civ. Sez. I, 28 ottobre 2024 n. 27782: introdotto il cram-down fiscale nel concordato preventivo – concordato omologabile nonostante voto contrario Fisco se trattamento migliorativo rispetto a liquidazione .
  • Cass. civ. Sez. I, 10 luglio 2024 n. 18826: concordato in continuità – conferma che il surplus da continuità va ai creditori e non può giustificare dissenso se proposta migliore del fallimento .
  • Cass. civ. Sez. I, 6 settembre 2023 n. 25964 (ord.): Trust familiare revocabile ex art. 2901 c.c. – l’atto istitutivo di trust è atto a titolo gratuito revocabile se pregiudica i creditori .
  • Cass. civ. Sez. Unite, 23 gennaio 2013 n. 1521: (precedente su socio unico di S.r.l. – abuso di personalità giuridica non ammesso se non in ipotesi codificate, quindi in genere il socio non risponde dei debiti sociali salvo fatti specifici).
  • Cass. civ. Sez. I, 19 gennaio 2022 n. 1516: responsabilità amministratori di S.r.l. – conferma che l’azione può essere esercitata dal curatore sia in via contrattuale (verso società) sia aquiliana (verso creditori) cumulativamente .
  • Cass. civ. Sez. VI, 1 agosto 2022 n. 23842 (ord.): dovere degli amministratori di adottare assetti adeguati ex art. 2086 c.c. – omissione può integrare inadempimento fonte di responsabilità.
  • Cass. civ. Sez. I, 16 febbraio 2022 n. 5129 (ord.): onere probatorio nel giudizio di responsabilità – “il curatore deve allegare l’inadempimento, poi spetta all’amministratore provare la diligenza e l’assenza di danno” .
  • Cass. civ. Sez. I, 5 gennaio 2022 n. 198: principio generale su ritardo nell’istanza di fallimento – presunzione di nesso tra ritardo e aggravamento dissesto; invertito onere della prova.
  • Cass. civ. Sez. I, 12 aprile 2021 n. 9477: in tema di fideiussioni omnibus – (nullità parziale per contrasto antitrust schema ABI – utile per difese di garanti).
  • Cassazione Penale – es. Cass. pen. Sez. V, 15 aprile 2016 n. 1561: trust liquidatorio e bancarotta fraudolenta; Cass. pen. Sez. V, 24 maggio 2018 n. 21933: distrazione risorse a società estera e configurabilità bancarotta patrimoniale.
  • Tribunale di Venezia, decreto 26 agosto 2025 (proc. ex art. 2409 c.c.): rimozione organo amministrativo per mancanza di assetti e inerzia in crisi – nominato amministratore giudiziario .
  • Tribunale di Milano, sez. fall., decreto 7 luglio 2024: in composizione negoziata negata conferma misure protettive per mancanza prospettive risanamento (es. caso in cui viene rigettata richiesta perché strumentale).
  • Corte d’Appello di Genova, decreto 23 luglio 2025: su misure cautelari in composizione negoziata – criteri di concessione .
  • Assonime – Circolare 12/2022: Il concordato semplificato – analisi primi utilizzi e limiti (pre-correttivo).
  • Relazione illustrativa D.Lgs. 83/2022 (primo correttivo CCI): spiega ratio accordi agevolati 30% e novità su transazione fiscale.

La tua azienda che progetta, produce, integra o distribuisce PLC industriali, moduli I/O, HMI, SCADA, controllori compatti, sistemi di automazione, quadri elettrici e software di controllo si trova in difficoltà a causa dei debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai esposizioni verso Agenzia delle Entrate, INPS, banche, fornitori, leasing o Agenzia Entrate-Riscossione?
Ricevi solleciti, richieste di rientro, decreti ingiuntivi, sospensioni delle forniture o minacce di pignoramento?

Il settore dei PLC e dell’automazione industriale è estremamente tecnico: richiede elettronica avanzata, firmware dedicati, certificazioni, approvvigionamenti complessi, magazzino strutturato, assistenza tecnica, R&D, continuità nelle forniture e rapporti con integratori, costruttori di macchine e OEM.
Basta un ritardo nei pagamenti, una commessa bloccata o l’aumento dei costi dei componenti elettronici per trasformare una normale tensione di cassa in una vera emergenza finanziaria.

La buona notizia?
La tua azienda può essere salvata, protetta e rilanciata, se intervieni subito con una strategia mirata.


Perché un’Azienda di PLC Industriali Finisce in Debito

Le cause più frequenti includono:

  • aumento dei costi di componenti elettronici, microcontrollori, processori, moduli di comunicazione, alimentatori
  • approvvigionamenti dall’estero con pagamenti anticipati
  • ritardi nei pagamenti da parte di integratori, costruttori di macchine, OEM e system integrator
  • magazzino immobilizzato (PLC, moduli I/O, pannelli HMI, relè, schede, alimentatori, cablaggi)
  • investimenti continui in R&D, firmware, software, test EMC e certificazioni
  • costi elevati di assistenza tecnica, commissioning e supporto on-site
  • riduzione delle linee di credito bancarie
  • progetti complessi con incassi posticipati a collaudo e messa in servizio

Non è la mancanza di lavoro a creare crisi: è la mancanza di liquidità immediata.


I Rischi per un’Azienda di Automazione con Debiti

Se non intervieni rapidamente puoi subire:

  • pignoramento dei conti correnti aziendali
  • blocco dei fidi bancari e degli affidamenti
  • sospensione delle forniture di elettronica, PLC, moduli, cablaggi e quadri
  • decreti ingiuntivi, precetti e azioni esecutive
  • sequestro del magazzino e dei componenti critici
  • fermo delle attività di produzione, assemblaggio, assistenza e collaudo
  • perdita di clienti chiave e integratori strategici
  • fermo totale delle commesse in corso

Una crisi di debito non gestita può paralizzare l’azienda in pochi giorni.


Cosa Fare Subito per Difendersi

Bloccare immediatamente i creditori

Con un avvocato specializzato è possibile:

  • sospendere pignoramenti già avviati
  • bloccare richieste di rientro da banche e finanziarie
  • proteggere i conti correnti aziendali
  • fermare i fornitori più aggressivi

Prima si mette in sicurezza l’azienda, poi si passa alla ristrutturazione del debito.


Analizzare i debiti ed eliminare ciò che non è dovuto

Spesso si trovano:

  • interessi usurari o non dovuti
  • sanzioni e more errate
  • importi duplicati
  • debiti prescritti
  • errori dell’Agenzia Riscossione
  • irregolarità bancarie

Una parte del debito può essere cancellata o ridotta.


Ristrutturare i debiti con piani sostenibili

Strumenti concreti:

  • rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
  • accordi di rientro con fornitori strategici (elettronica, quadristica, distribuzione)
  • rinegoziazione di fidi e finanziamenti
  • sospensione temporanea dei pagamenti più pesanti
  • definizioni agevolate e rottamazioni, quando disponibili

Obiettivo: recuperare liquidità senza fermare progetti e consegne.


Attivare strumenti legali che proteggono l’impresa

Nelle situazioni più complesse si può ricorrere a:

  • PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
  • accordi di ristrutturazione
  • concordato minore
  • liquidazione controllata (ultimo rimedio)

Questi strumenti:

  • bloccano i creditori
  • sospendono pignoramenti e azioni esecutive
  • permettono di pagare solo parte dei debiti
  • mantengono l’azienda operativa
  • proteggono l’imprenditore anche a livello personale

Proteggere produzione, assistenza e catena fornitori

Per un’azienda di PLC industriali è essenziale:

  • tutelare PLC, moduli I/O, HMI, schede, alimentatori, firmware, quadri elettrici
  • evitare sequestri che fermerebbero produzione, test o assistenza
  • mantenere attivi i fornitori critici (elettronica, quadristica, cablaggi, software)
  • proteggere il laboratorio tecnico, i PC di sviluppo, gli strumenti di misura
  • garantire le consegne a integratori, OEM e costruttori di macchine

Se la produzione o assistenza si fermano, i debiti esplodono.
Se continuano, l’azienda può ripartire.


Documenti da Consegnare Subito all’Avvocato

  • elenco completo dei debiti (fiscali, bancari, commerciali)
  • estratti conto bancari aggiornati
  • estratto di ruolo
  • bilanci e dichiarazioni fiscali
  • lista fornitori strategici e insoluti
  • inventario di magazzino (PLC, moduli, HMI, quadri, schede, ricambi)
  • atti giudiziari ricevuti
  • elenco commesse aperte e pianificazione delle consegne

Tempistiche di Intervento

  • Analisi preliminare: 24–72 ore
  • Blocco dei creditori: 48 ore – 7 giorni
  • Piano di ristrutturazione: 30–90 giorni
  • Procedura giudiziaria: 3–12 mesi

La protezione può attivarsi già dai primi giorni.


Vantaggi di una Difesa Specializzata

  • Stop immediato a pignoramenti e pressioni
  • Riduzione reale dei debiti
  • Protezione di magazzino, laboratori, componenti e macchinari
  • Trattative professionali con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
  • Continuità produttiva e operativa
  • Tutela del patrimonio personale dell’imprenditore

Errori da Evitare

  • Ignorare solleciti o decreti ingiuntivi
  • Fare nuovi debiti per coprire vecchi debiti
  • Pagare un creditore e ignorare gli altri
  • Lasciare avanzare pignoramenti senza reagire
  • Affidarsi a società prive di competenze legali

Ogni errore rende la crisi più difficile da gestire.


Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

  • Analisi completa della tua situazione debitoria
  • Blocco immediato, quando possibile, delle azioni dei creditori
  • Piani di ristrutturazione su misura per aziende di automazione
  • Attivazione degli strumenti giudiziari più efficaci
  • Trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
  • Tutela totale dell’azienda e dell’imprenditore

Conclusione

Avere debiti nella tua azienda di PLC industriali non significa essere destinato alla chiusura.
Con una strategia tempestiva puoi:

  • bloccare subito i creditori
  • ridurre drasticamente i debiti
  • proteggere produzione, assistenza, magazzino e clienti
  • salvare la tua azienda e il tuo futuro imprenditoriale

Il momento per agire è adesso.

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Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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