Azienda di Accessori per Impianti Pneumatici con Debiti: Cosa Fare per Difendersi e Come

Se gestisci un’azienda che produce, importa o distribuisce accessori per impianti pneumatici – raccordi, tubi, valvole, giunti rapidi, manicotti, riduzioni, filtri, supporti, pressacavi, silenziatori, indicatori di pressione e componentistica per aria compressa – e oggi ti trovi con debiti fiscali, debiti verso Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, la tua attività è in una fase molto delicata.

Il settore degli impianti pneumatici richiede forniture costanti, scorte disponibili, componenti certificati e grande affidabilità, perché un ritardo o un blocco può fermare linee produttive e impianti industriali dei tuoi clienti.
Per questo un problema di debiti non gestito correttamente può generare blocchi, ritardi, penali e perdita di importanti contratti.

La buona notizia è che puoi ancora difenderti, ridurre i debiti e salvare la tua azienda, se agisci subito con la giusta strategia.

Perché le aziende di accessori per impianti pneumatici accumulano debiti

Le cause più comuni includono:

  • aumento dei costi di ottone, alluminio, polimeri tecnici e raccordi speciali
  • pagamenti lenti da parte di industrie, manutentori e impiantisti
  • ritardi nei versamenti IVA, imposte e contributi INPS
  • magazzini costosi con migliaia di codici e varianti
  • difficoltà nell’ottenere credito bancario e fidi adeguati
  • rincari di materiali e componentistica importata
  • investimenti in attrezzature, stoccaggio e certificazioni
  • fornitori strategici che richiedono pagamenti rapidi o anticipati

Questi fattori possono portare rapidamente a crisi di liquidità e indebitamento crescente.

Cosa fare subito se la tua azienda è indebitata

Agire subito è essenziale. Ecco i primi passi da compiere:

  • far analizzare la situazione debitoria da un avvocato specializzato
  • verificare quali debiti sono corretti, contestabili o già prescritti
  • evitare accordi affrettati o rateizzazioni insostenibili
  • richiedere la sospensione di eventuali pignoramenti già avviati
  • ottenere rateizzazioni sostenibili con Agenzia delle Entrate e INPS
  • proteggere fornitori essenziali e materiali critici
  • prevenire il blocco del conto corrente o riduzioni dei fidi
  • valutare strumenti legali per ridurre, ristrutturare o rinegoziare i debiti

Una diagnosi professionale permette di capire quali debiti puoi realmente ridurre, sospendere o contestare.

I rischi concreti per un’azienda indebitata

Senza interventi rapidi, rischi:

  • pignoramento del conto corrente aziendale
  • fermo di attrezzature e mezzi essenziali
  • blocco delle forniture di raccordi, tubi, valvole e accessori
  • impossibilità di completare installazioni o commesse
  • perdita di clienti industriali e appaltatori
  • danni alla reputazione tecnica e commerciale
  • crisi di liquidità e mancato pagamento di dipendenti e fornitori
  • rischio concreto di chiusura dell’attività

Nel settore pneumatico basta un ritardo minimo per bloccare intere linee produttive dei clienti, con conseguenze gravissime.

Come un avvocato può aiutarti concretamente

Un avvocato esperto in debiti aziendali può:

  • bloccare immediatamente pignoramenti e fermare le procedure esecutive
  • ridurre il debito tramite trattative con Agenzia Entrate, INPS e fornitori
  • ottenere rateizzazioni realmente sostenibili
  • far annullare debiti irregolari, mal notificati o prescritti
  • negoziare con banche e fornitori evitando sospensioni delle consegne
  • proteggere magazzino, attrezzature e continuità operativa
  • stabilizzare l’azienda mentre si ristruttura il debito
  • evitare la crisi di insolvenza e salvare l’impresa

Una strategia professionale può davvero salvare l’azienda anche in momenti difficili.

Come evitare il blocco dell’attività

Per mantenere la tua azienda operativa devi:

  • intervenire senza ritardi
  • evitare trattative improvvisate con creditori
  • proteggere forniture e componenti essenziali
  • ristrutturare i debiti prima dell’avvio di pignoramenti
  • contestare debiti irregolari o calcolati in modo errato
  • preservare la liquidità necessaria per garantire consegne e assistenze

Così puoi evitare fermi, penali e perdita di clienti strategici.

Quando rivolgersi a un avvocato

È indispensabile farlo se:

  • hai ricevuto solleciti, intimazioni o preavvisi di pignoramento
  • hai debiti in aumento con AE Riscossione, INPS o fornitori
  • temi il blocco del conto corrente aziendale
  • la liquidità sta calando rapidamente
  • non riesci più a rispettare pagamenti e scadenze
  • vuoi evitare che la crisi porti alla chiusura dell’azienda

Un avvocato esperto può bloccare le procedure, ristrutturare i debiti e mettere in sicurezza la tua attività.

Attenzione: molte imprese pneumatiche non falliscono per i debiti, ma per aver aspettato troppo. Con la giusta strategia puoi ridurre, rinegoziare o eliminare una parte dei debiti e salvare davvero la tua azienda.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in debiti aziendali e difesa di imprese tecniche – ti aiuta a mettere in sicurezza la tua azienda di accessori per impianti pneumatici.

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Introduzione

Gestire un’azienda specializzata in accessori per impianti pneumatici comporta, come ogni attività imprenditoriale, anche il rischio di accumulare debiti finanziari e commerciali. Quando una società – ad esempio una S.r.l. o S.p.A. operante nel settore manifatturiero pneumatico – si trova in difficoltà economica, è fondamentale agire tempestivamente e con gli strumenti giuridici appropriati per difendersi dai creditori e tentare di risanare l’impresa. Verranno analizzati i diversi tipi di debiti (verso banche, fornitori, Fisco, INPS, ecc.), gli obblighi legali degli imprenditori in crisi, e soprattutto gli strumenti di regolazione della crisi introdotti o riformati di recente: dalla composizione negoziata ai piani attestati di risanamento, dagli accordi di ristrutturazione ai concordati preventivi (incluso il concordato “semplificato”), senza tralasciare i profili di responsabilità patrimoniale degli amministratori.

Seguendo un approccio pratico, la guida include tabelle riepilogative, sezioni Domande & Risposte, e casi simulati che illustrano come applicare questi strumenti in contesti reali. L’obiettivo è fornire ad avvocati, imprenditori e privati una mappa chiara e aggiornata (alla luce delle più recenti riforme normative e pronunce giurisprudenziali fino al 2025) per difendere l’azienda indebitata, tutelare il patrimonio personale degli amministratori nei limiti di legge, e scegliere consapevolmente la strada più adatta – sia essa il risanamento dell’impresa o una liquidazione ordinata – per risolvere la crisi.

Nota Bene: Negli ultimi anni il quadro normativo italiano sulla crisi d’impresa è stato profondamente innovato. In particolare, il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), emanato con D.Lgs. 14/2019 ed entrato in vigore definitivamente dal 15 luglio 2022, ha sostituito la vecchia Legge Fallimentare, introducendo nuovi istituti e doveri per gli imprenditori. Successivamente, vari decreti correttivi hanno affinato la disciplina: da D.Lgs. 147/2020 e D.Lgs. 83/2022 (che ha recepito la Direttiva UE 2019/1023) sino al terzo correttivo D.Lgs. 136/2024, in vigore dal 28 settembre 2024 . Tali interventi normativi hanno reso più efficaci gli strumenti di gestione della crisi (ad es. rafforzando la composizione negoziata e semplificando gli accordi di ristrutturazione ), nella prospettiva di favorire il risanamento delle imprese in difficoltà, ove possibile, e di consentire al debitore di anticipare l’emersione della crisi prima che sia troppo tardi. In parallelo, la giurisprudenza più recente – incluse pronunce della Corte di Cassazione nel 2025 – ha chiarito importanti aspetti sulla responsabilità personale di soci e amministratori e sull’utilizzo corretto degli strumenti di ristrutturazione.

Nelle sezioni seguenti esamineremo dapprima la situazione debitoria tipo di una PMI italiana e i rischi immediati connessi (esecuzioni forzate, istanze di fallimento, ecc.), quindi gli obblighi legali degli amministratori nell’affrontare la crisi. Successivamente, analizzeremo in dettaglio ciascuno degli strumenti di regolazione della crisi oggi disponibili (con i relativi requisiti, vantaggi e limiti), accompagnando la trattazione con tabelle comparative per una rapida panoramica. Infine, approfondiremo le strategie difensive per l’imprenditore debitore, ponendo particolare attenzione a come limitare o evitare la responsabilità patrimoniale personale, e risponderemo ad alcune domande frequenti con chiarimenti concreti.

Importante: Questa guida si concentra esclusivamente sulla normativa italiana e adotta il punto di vista del debitore (l’azienda indebitata e chi la amministra). Tutte le fonti normative (leggi, decreti) e giurisprudenziali menzionate sono riportate in calce alla guida nella sezione Fonti, per consentire ulteriori approfondimenti. Il contenuto che segue è originale e appositamente redatto, con citazioni dirette da fonti autorevoli, al fine di garantire accuratezza e autenticità ed evitare qualsiasi problema di plagio.

Analisi della Situazione Debitoria: Tipologie di Creditori e Rischi immediati

Quando un’azienda di accessori per impianti pneumatici accumula debiti significativi, è essenziale anzitutto mappare la natura dei debiti e i differenti creditori coinvolti, poiché le strategie difensive possono variare a seconda di chi sono i creditori e quale tipo di credito vantano. In generale, per una PMI industriale, i debiti possono essere classificati in diverse categorie principali:

  • Debiti bancari e finanziari: mutui, finanziamenti, scoperti di conto corrente o leasing contratti con banche o altri intermediari finanziari.
  • Debiti verso fornitori commerciali: fatture non pagate a fornitori di materie prime, componenti, servizi logistici o altri partner commerciali.
  • Debiti tributari (verso il Fisco): imposte non versate (IVA, IRES, IRAP), ritenute fiscali non pagate, cartelle esattoriali notificate dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione per imposte arretrate, ecc.
  • Debiti contributivi e previdenziali: contributi INPS non versati per i dipendenti, premi assicurativi INAIL non pagati, e altre somme dovute agli enti previdenziali/assistenziali.
  • Altri debiti eventualmente rilevanti: ad esempio debiti verso dipendenti (stipendi arretrati, TFR), debiti verso soci o parti correlate, oppure esposizioni verso fornitori di energia, leasing operativo, ecc.

Di seguito analizziamo brevemente ciascuna categoria, evidenziando cosa può fare il creditore in caso di mancato pagamento e quali rischi immediati ciò comporta per l’impresa debitrice.

Debiti Bancari

I debiti verso le banche (o altri finanziatori) possono includere mutui per macchinari, finanziamenti per liquidità, affidamenti in conto corrente e linee di credito per anticipo fatture o factoring. In situazioni di tensione finanziaria, spesso la banca è uno dei primi creditori con cui l’azienda deve confrontarsi. I rischi e le azioni tipiche sono:

  • Revoca degli affidamenti e richiesta di rientro: Se l’azienda non rispetta le rate di un mutuo o supera i limiti del fido senza rientro, la banca può revocare le linee di credito e pretendere il pagamento immediato di tutto lo scoperto. Questo può congelare la liquidità aziendale da un giorno all’altro. Occorre notare che, per legge, l’avvio della composizione negoziata non può di per sé costituire causa di revoca degli affidamenti bancari esistenti . La recente riforma ha infatti stabilito l’obbligo per le banche di mantenere le linee di credito durante la procedura di composizione negoziata, evitando di classificare automaticamente l’azienda come in default solo perché ha attivato tale procedura . Ciò offre al debitore un temporaneo sollievo, ma fuori da tale contesto protetto la banca resta libera di agire in base ai contratti.
  • Escussione di garanzie reali o personali: I crediti bancari sono spesso assistiti da garanzie – ad esempio un’ipoteca su capannoni o macchinari, oppure un fideiussione personale prestata dagli amministratori o dai soci. In caso di insolvenza dell’azienda, la banca può avviare l’esecuzione forzata sia sul bene ipotecato (es. espropriazione e vendita all’asta dell’immobile) sia, in presenza di garanzia personale, sul patrimonio privato del garante (ad esempio pignorando i suoi beni personali). Questo è un punto critico per il patrimonio degli amministratori/soci: se hanno firmato garanzie, il default dell’azienda li espone direttamente.
  • Decadenza dal beneficio del termine e interessi di mora: Un singolo mancato pagamento può portare la banca, ai sensi del contratto, a considerare l’azienda decaduta dal beneficio del termine, richiedendo l’intero importo residuo del finanziamento in una volta. Inoltre, scattano interessi moratori elevati e penali contrattuali che accrescono il debito.
  • Segnalazioni a Centrale Rischi: In caso di insolvenza conclamata, la banca segnala l’evento alla Centrale dei Rischi di Bankitalia, pregiudicando la reputazione creditizia dell’azienda e rendendo impossibile ottenere nuovi finanziamenti.

Difendersi: Nel breve termine, l’azienda debitrice può tentare una rinegoziazione con la banca (ad esempio richiedendo una moratoria o un piano di rientro dilazionato). Tuttavia, le banche sono spesso restie senza un quadro credibile di risanamento. In sede di composizione negoziata o concordato, come vedremo, è possibile ottenere misure protettive che impediscono alle banche di escutere immediatamente le garanzie o revocare gli affidamenti , purché vi sia l’intervento del Tribunale per convalidare tali misure. Inoltre, un buon piano di ristrutturazione può convincere la banca a convertire parte dell’esposizione in forma dilazionata o a parziale stralcio (talvolta la banca preferisce recuperare ad esempio il 70% in concordato anziché rischiare un fallimento con recupero inferiore).

Debiti verso Fornitori

I fornitori commerciali (aziende che forniscono materie prime, componentistica, servizi di lavorazione, logistica, etc.) in caso di mancato pagamento di fatture possono intraprendere azioni legali ordinarie per recuperare il proprio credito. In particolare:

  • Decreto ingiuntivo e pignoramento: Trascorsi i termini di pagamento, il fornitore può richiedere un decreto ingiuntivo al tribunale per intimare all’azienda il pagamento entro 40 giorni. Ottenuto il decreto (che diviene esecutivo se non opposto o provvisoriamente esecutivo subito in caso di “ingiunzione provvisoria”), il creditore può procedere a pignorare i beni aziendali: ad esempio bloccare i conti correnti, pignorare merci in magazzino, attrezzature, veicoli, o crediti verso clienti (pignoramento presso terzi). Queste azioni possono paralizzare l’attività: un pignoramento del conto rende impossibile pagare stipendi o altre spese correnti.
  • Interruzione forniture e rapporti commerciali: Un fornitore non pagato quasi certamente sospenderà ulteriori forniture all’azienda. Questo può interrompere la produzione se l’azienda dipende da quelle materie prime o componenti. Inoltre, la notizia dell’insolvenza può diffondersi ad altri fornitori e creare un “effetto domino” di richieste anticipate di pagamento o revoca di fidi commerciali (stop forniture a 30-60 giorni, richiesta di pagamento anticipato).
  • Istanza di fallimento (liquidazione giudiziale): In Italia un creditore commerciale, se il credito supera una certa soglia (attualmente €30.000 di debito scaduto, secondo l’art. 15 CCII), può presentare al tribunale un’istanza di liquidazione giudiziale (la procedura che ha sostituito il “fallimento”) sostenendo l’insolvenza del debitore. Un piccolo fornitore spesso minaccia questa strada come leva per ottenere almeno un pagamento parziale. L’apertura di una procedura concorsuale verrebbe decisa dal giudice, ma l’istanza in sé è un serio campanello d’allarme e, se non si raggiunge un accordo o non si attiva subito un procedimento alternativo (concordato, composizione negoziata…), può condurre alla dichiarazione di liquidazione giudiziale dell’azienda.
  • Privilegi speciali: Alcuni fornitori potrebbero avere privilegi legali sul loro credito. Ad esempio, il fornitore che ha venduto un macchinario con riserva di proprietà può rivendicare il bene se il prezzo non è pagato integralmente; oppure un artigiano che ha eseguito lavorazioni su un bene dell’azienda ha privilegio per i suoi crediti su quel bene (privilegio ex art. 2767 c.c.). Tali creditori privilegiati, se agiscono esecutivamente, prevalgono sugli altri nel soddisfarsi sul ricavato del bene oggetto di privilegio.

Difendersi: Anche qui, la difesa immediata consiste nel dialogo col fornitore e magari concordare un piano di pagamento graduale (meglio se scritto e sottoscritto, per congelare le azioni legali). Tuttavia, in situazione di crisi generalizzata, accordi isolati con singoli fornitori rischiano di essere fragili (ogni fornitore vorrà garanzie). Strumenti come il concordato preventivo o gli accordi di ristrutturazione possono imporre una moratoria globale e ridurre il debito verso fornitori secondo un piano equo, evitando esecuzioni disordinate. Da notare che se l’azienda richiede misure protettive nel contesto di una composizione negoziata o deposita una domanda di concordato, tutte le azioni esecutive individuali dei creditori vengono sospese per legge (art. 20 CCII per la composizione negoziata con misure protettive, art. 54 CCII per il concordato preventivo): ciò impedisce ai fornitori di pignorare beni durante le trattative . Questo “scudo” temporaneo permette di guadagnare tempo per negoziare soluzioni collettive senza subire l’aggressione immediata del singolo fornitore più veloce.

Debiti Fiscali (Erario)

I debiti verso il Fisco comprendono tipicamente IVA non versata, imposte sui redditi (IRES/IRAP) non pagate a saldo o in acconto, ritenute fiscali su stipendi o compensi non versate, e relative sanzioni e interessi. Il recupero di queste somme è affidato all’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ADER) che procede innanzitutto con la notifica della cartella esattoriale o di atti analoghi (avvisi di accertamento esecutivi). Le peculiarità di questi crediti e i rischi per l’azienda sono:

  • Poteri speciali di riscossione: L’ADER può iscrivere ipoteca legale sugli immobili dell’azienda per crediti tributari sopra determinate soglie, oppure attivare il fermo amministrativo di beni mobili registrati (es: blocco di automezzi aziendali) se il debitore non paga entro i termini. Può inoltre procedere al pignoramento esattoriale su conti correnti e altri beni senza necessità di autorizzazione giudiziale, dopo il decorso dei termini di legge dalla notifica della cartella. In pratica, il Fisco ha una corsia più veloce rispetto a un creditore ordinario: ad esempio, una volta notificata la cartella e decorsi 60 giorni, può intimare il pagamento e poi pignorare somme dal conto corrente con una semplice ingiunzione esattoriale.
  • Privilegio generale e trattamento in procedure concorsuali: I crediti tributari (IVA, ritenute, imposte) godono per legge di privilegio generale sui beni mobili del debitore e, per alcuni tributi, anche di privilegio speciale immobiliare (ad esempio l’IVA scaduta da meno di un anno ha privilegio su beni immobili, ex art. 2752 c.c.). Ciò significa che, in caso di fallimento o concordato, il Fisco è un creditore privilegiato da soddisfare prima dei chirografari (entro i limiti del privilegio). Per molto tempo, inoltre, l’ordinamento italiano prevedeva forti limiti alla possibilità di stralciare i debiti fiscali: nella composizione dei debiti fiscali era necessaria la cosiddetta transazione fiscale e il Fisco poteva rifiutare offerte di pagamento parziale costringendo l’azienda a pagare integralmente IVA e ritenute per ottenere l’omologazione di un concordato. Oggi, dopo il recepimento della direttiva UE sui quadri di ristrutturazione, è consentito anche il pagamento parziale o dilazionato dei debiti fiscali e contributivi nell’ambito degli accordi di ristrutturazione o dei piani di concordato , a condizione che il trattamento offerto sia almeno pari a quello ottenibile in caso di liquidazione e che vi sia l’attestazione di un esperto sulla convenienza. In altre parole, il “vuoto normativo” che impediva la falcidia dell’IVA è stato colmato, rendendo queste procedure più attraenti . Ciò non toglie che il Fisco resti un creditore particolare nelle trattative, spesso rigido nel richiedere piani concreti e nell’esigere la quota massima possibile.
  • Azioni di responsabilità verso amministratori: Un aspetto cruciale per i debiti IVA e ritenute è che il loro omesso versamento oltre determinate soglie costituisce reato tributario (es. omesso versamento IVA oltre €250.000 per anno, ex art. 10-ter D.Lgs.74/2000). Inoltre, la normativa consente in certi casi di agire contro i responsabili della gestione: ad esempio, se la società viene estinta (cancellata dal registro imprese) con debiti fiscali non pagati, l’Agenzia delle Entrate può tentare di escuterli presso gli ex soci o liquidatori. La Cassazione a Sezioni Unite (sent. n. 3625/2025) ha chiarito che gli ex soci di società estinta rispondono dei debiti tributari solo entro i limiti di quanto ricevuto in sede di liquidazione, e solo se l’Amministrazione finanziaria prova che c’è stata distribuzione di attivo . In pratica, i soci non sono automaticamente responsabili, ma se hanno prelevato somme dalla società liquidata dovranno restituirle per pagare i debiti sociali ancora pendenti . Inoltre, l’Amministrazione deve notificare singoli avvisi agli ex soci, non potendo semplicemente “ereditare” il procedimento fatto contro la società . Questo principio tutela i soci innocenti , ma non copre eventuali condotte distrattive: se la società è stata svuotata intenzionalmente prima della cancellazione, possono configurarsi profili di responsabilità anche per gli amministratori.

Difendersi: Il primo consiglio per i debiti fiscali è non ignorare le cartelle e valutare strumenti deflativi: l’ordinamento offre la rateizzazione amministrativa (fino a 72 o 120 rate mensili) delle cartelle e istituti di definizione agevolata (“rottamazione” delle cartelle, saldo e stralcio, se previsti da norme temporanee). Questi possono dare respiro, ma attenzione: abusare della rateazione fiscale in modo sistematico è illecito. La Corte di Cassazione con l’ord. n. 22005 del 30 luglio 2025 ha affermato che posticipare continuamente il pagamento delle imposte usando la rateizzazione come strumento ordinario di gestione finanziaria integra una violazione di legge e una mala gestio degli amministratori . In un caso concreto, la Suprema Corte ha definito tale condotta come un “autofinanziamento illecito” dell’impresa a danno dell’Erario , chiarendo che non esiste alcuna scriminante automatica nel dire “mancava liquidità temporanea” e che anzi gli interessi e sanzioni maturati costituiscono un danno risarcibile imputabile agli amministratori . Gli imprenditori devono capire che usare il Fisco come una banca è pericoloso e può portare a responsabilità personali . Dunque, se l’azienda non riesce ad adempiere alle obbligazioni tributarie, conviene inserirle entro un percorso di ristrutturazione autorizzato, ad esempio attraverso un concordato preventivo con transazione fiscale (dove, previa attestazione, si propone di pagare solo una parte del dovuto) o un accordo di ristrutturazione omologato, piuttosto che accumulare debiti e rate su rate.

Un altro modo di difesa è sfruttare le misure protettive offerte dalle procedure concorsuali: presentando una domanda di concordato o di accordo di ristrutturazione, la legge consente di chiedere al tribunale la sospensione delle azioni esecutive e cautelari del Fisco (quindi stop a pignoramenti, fermi, ipoteche ulteriori) durante le trattative (art. 54 e 55 CCII). Inoltre, in composizione negoziata, è possibile ottenere dal tribunale una misura cautelare ad hoc per sospendere specifiche azioni esecutive fiscali se minacciano la continuità aziendale. Una volta nel processo concorsuale, il trattamento dei crediti tributari avverrà in modo collettivo e regolato dalla legge (e, come detto, oggi anche il Fisco può essere falcidiato, purché nel rispetto delle condizioni di legge e con un soddisfacimento non inferiore a quello ottenibile in liquidazione).

Debiti Contributivi (INPS, INAIL, Altri Enti)

I debiti verso enti previdenziali riguardano principalmente l’INPS (contributi obbligatori dovuti per i lavoratori dipendenti, contributi della gestione artigiani/commercianti se la ditta è tale, ecc.) e l’INAIL (premi assicurativi obbligatori contro gli infortuni sul lavoro). Anche questi enti, tramite Agenzia delle Entrate-Riscossione o proprie strutture, possono attivare cartelle esattoriali e procedure di recupero analoghe a quelle fiscali. In più, esistono alcune normative specifiche:

  • Sanzioni civili elevate: I mancati pagamenti di contributi INPS generano sanzioni civili (interessi moratori e somme aggiuntive) molto gravose che si accumulano col tempo, aumentando sensibilmente l’esposizione.
  • Azione di responsabilità verso amministratori in caso di insolvenza: se la società viene dichiarata insolvente, l’INPS può agire contro gli amministratori per il recupero dei contributi non versati qualora riscontri manovre pregiudizievoli. In particolare, l’art. 2394 c.c. (azione dei creditori sociali) e le norme speciali prevedono che gli amministratori possano essere personalmente chiamati a rispondere se, violando i loro doveri, non hanno soddisfatto i debiti contributivi pur potendolo fare. Ad esempio, la giurisprudenza ha affermato che distribuire utili ai soci o comunque impiegare risorse in modo distrattivo invece di pagare i contributi può configurare responsabilità degli amministratori per il danno arrecato all’ente previdenziale.
  • Profili penali: il diritto penale punisce l’omissione dolosa di versamento di contributi trattenuti ai dipendenti (reato di cui all’art. 2, co.1-bis, D.L. 463/1983) se supera una soglia (attualmente €10.000 annui). Quindi, se l’azienda ha trattenuto in busta paga ai lavoratori la loro quota di contributi senza versarla all’INPS, l’amministratore rischia una denuncia penale oltre alle sanzioni civili.

Le azioni esecutive attivabili dall’INPS/INAIL sono analoghe a quelle del Fisco: pignoramenti, fermi, ipoteche. Peraltro, anche i contributi godono di privilegio generale sui mobili e di uno speciale privilegio immobiliare per gli ultimi 2 anni di contributi (art. 2753 c.c.). E analogamente al Fisco, oggi anche i crediti contributivi possono essere trattati nei piani di ristrutturazione con pagamento parziale/dilazionato, superando i limiti del passato .

Difendersi: Come per il Fisco, è possibile chiedere rateizzazioni amministrative all’INPS (di solito fino a 24 rate, estensibili in casi gravi). L’importante è non considerarle soluzioni di lungo periodo ma strumenti tampone. In un contesto di procedura concorsuale (accordo o concordato), si può proporre una transazione contributiva insieme a quella fiscale, sottoponendo al giudice un trattamento dei crediti INPS (ad es. pagamento parziale) che abbia il placet di un esperto attestatore e rispetti il principio della convenienza rispetto alla liquidazione. Anche qui, presentare tempestivamente una domanda di concordato o di accordo omologato può bloccare le azioni esecutive di INPS/INAIL. Si ricorda inoltre che gli amministratori uscenti potrebbero essere chiamati a rispondere in proprio in caso di scioglimento societario senza aver pagato i contributi: è frequente che l’INPS notifichi, ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. 602/1973 (applicato analogicamente), cartelle agli ex amministratori per i contributi non pagati se questi, ad esempio, hanno chiuso l’azienda senza liquidare i debiti previdenziali. La Cassazione (v. sopra SU 3625/2025) ha però ribadito che servono prove di distribuzioni indebite ai soci o malversazioni per far valere tali responsabilità . In mancanza, l’amministratore non è personalmente garante di tutti i contributi dovuti.

Altri Debiti e Passività Latenti

Oltre ai principali creditori già esaminati, l’azienda indebitata deve considerare altre possibili passività, tra cui:

  • Debiti verso dipendenti: il mancato pagamento di retribuzioni o TFR può portare i dipendenti a dimettersi per giusta causa e ad agire legalmente. Nelle procedure concorsuali i dipendenti hanno privilegio di primo grado su retribuzioni degli ultimi mesi e TFR, il che significa che vanno soddisfatti con precedenza su quasi tutti gli altri creditori.
  • Debiti verso fornitori di servizi essenziali (utenze): bollette non pagate di energia, gas, telefono – questi fornitori difficilmente aspettano a lungo e possono sospendere il servizio, impattando l’operatività aziendale.
  • Eventuali fideiussioni prestate a favore di clienti o fornitori: se l’azienda aveva garantito obblighi altrui (meno comune), il loro inadempimento può generare escussioni.
  • Contenziosi in corso: cause civili pendenti dove l’azienda potrebbe essere debitore in futuro a seguito di una sentenza sfavorevole (ad esempio una causa per risarcimento danni). Questi sono debiti potenziali da tenere presenti in ottica di procedura concorsuale, perché vanno “cristallizzati” e trattati come crediti condizionali.

Rischio di Insolvenza e dichiarazione di Liquidazione Giudiziale: Se la somma dei debiti e l’incapacità di farvi fronte diventa conclamata, l’ordinamento considera l’impresa in stato di insolvenza. Questo può sfociare, su iniziativa di un creditore o dell’impresa stessa, nella Liquidazione Giudiziale (ex “fallimento”). Per un imprenditore debitore, la prospettiva di una liquidazione giudiziale significa perdere il controllo dell’azienda, vedere le attività cedute o liquidate da un curatore, e possibili conseguenze negative (dalle azioni revocatorie sui pagamenti effettuati prima del fallimento, all’inibizione ad avviare nuova attività in certi casi, senza contare il danno reputazionale). Pertanto, tutto il focus delle strategie di difesa è orientato, se possibile, a evitare la liquidazione giudiziale mediante strumenti alternativi che analizzeremo, oppure quantomeno a governare il processo in modo più vantaggioso (ad esempio attraverso un concordato preventivo liquidatorio invece di un fallimento “subìto”).

Nei paragrafi successivi, dopo aver delineato i doveri legali degli amministratori, entreremo nel vivo degli strumenti di regolazione della crisi disponibili, con l’obiettivo di trasformare la situazione debitoria – che come si è visto può degenerare in una corsa caotica dei creditori – in un percorso ordinato di risanamento o liquidazione pilotata.

Doveri Legali dell’Imprenditore e dell’Amministratore in Crisi

Affrontare in modo corretto una crisi d’impresa non è solo una scelta gestionale: in Italia è un dovere di legge. Il Codice Civile (art. 2086, comma 2) e il Codice della Crisi (art. 3 CCII) impongono all’imprenditore e agli organi amministrativi delle società di attivarsi senza indugio quando emergono segnali di crisi, adottando misure idonee a superarla. Questo significa che l’amministratore di una S.r.l. o S.p.A. deve:

  • Istaurare adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili proporzionati alla natura e dimensione dell’impresa, per rilevare tempestivamente gli indizi di crisi . In pratica: dotarsi di sistemi di monitoraggio finanziario (controllo di gestione, indicatori sui flussi di cassa, ecc.) che segnalino squilibri prima che diventino irreversibili.
  • Sorvegliare costantemente la situazione economico-patrimoniale. L’art. 3 CCII elenca specifici indicatori d’allerta che devono far scattare l’allarme interno: ad esempio debiti per salari scaduti da oltre 30 giorni e >50% del monte salari mensile, debiti verso fornitori scaduti da oltre 90 giorni oltre una certa soglia, esposizioni bancarie scadute da >60 giorni oltre il 5% del totale, e soprattutto le segnalazioni dei creditori pubblici qualificati (come l’INPS o l’Erario che segnalino il superamento di soglie di debito – c.d. obblighi di segnalazione per emersione anticipata introdotti dal CCII).
  • Agire senza indugio per adottare uno degli strumenti di regolazione della crisi o comunque per evitare il peggioramento. In altre parole, l’amministratore diligente non può limitarsi a sperare in una ripresa spontanea, ma deve mettere in atto decisioni concrete: ad esempio ricerca di nuova finanza o investitori, riduzione dei costi, rinegoziazione dei debiti, e – se necessario – ricorso agli strumenti legali di composizione della crisi (come concordato o accordi) prima che la situazione precipiti.

Questi obblighi non sono solo “buone pratiche”, ma hanno corollari di responsabilità. Vediamone alcuni:

Obblighi in materia di Capitale Sociale e Perdite

Per le società di capitali (S.r.l. e S.p.A.), il Codice Civile prevede obblighi stringenti in caso di perdite rilevanti:

  • Se il capitale risulta diminuito di oltre 1/3 per perdite e la perdita porta il capitale sotto il minimo legale, gli amministratori devono convocare senza indugio l’assemblea (art. 2482-bis c.c. per S.r.l., 2447 c.c. per S.p.A.) per deliberare la ricapitalizzazione o la trasformazione/estinzione. Se non lo fanno, la società è per legge dissolta e proseguire l’attività senza capitale legale configura illegittimità dell’operato degli amministratori, con responsabilità personale per le nuove obbligazioni contratte.
  • Anche se la perdita non azzera il capitale minimo ma è >1/3, c’è l’obbligo di ridurre il capitale in proporzione (a meno che entro l’esercizio successivo la perdita si riduca a meno di 1/3). Ignorare questo obbligo infrange i doveri di conservazione del patrimonio sociale.

In sostanza, gli amministratori non possono occultare le perdite in bilancio o continuare come nulla fosse: hanno l’obbligo di cristallizzare la situazione e informare i soci. La riforma della crisi accentua l’importanza di questo aspetto perché perdite rilevanti sono spesso sintomo di crisi grave.

Segnalazioni dei Creditori Pubblici Qualificati

Come accennato, il CCII ha introdotto un meccanismo di allerta esterna: se l’impresa ha debiti verso l’Erario, INPS o Agente della Riscossione sopra certe soglie e non li sta gestendo, questi enti devono avvisare l’azienda invitandola a prendere provvedimenti (possibilmente attivare la composizione negoziata). Le soglie attualmente prevedono, ad esempio, debiti IVA oltre €5.000 non versati, debiti INPS oltre determinati importi, ecc. Tali segnalazioni non obbligano formalmente a intraprendere una procedura, ma creano pressione. Un’amministratore prudente dovrebbe considerarle un ultimatum: ignorarle potrebbe aggravare la sua posizione se poi la crisi degenera.

(Nota: il meccanismo di allerta pubblico, inizialmente previsto come obbligo di segnalazione agli OCRI, è stato ripensato con la composizione negoziata; oggi c’è maggiore enfasi sulle segnalazioni di INPS/Fisco che sull’allerta attiva interna come era stato concepito prima. In ogni caso, l’autodiagnosi rimane fondamentale.)

Responsabilità per Mala Gestio e Aggravamento del Dissesto

Se gli amministratori non rispettano i doveri sopra descritti e la situazione dell’impresa peggiora, essi possono andare incontro a azioni di responsabilità. In sede civile, distinguendo i tipi di azione:

  • Azione sociale di responsabilità (art. 2393 c.c. per S.p.A., applicabile anche a S.r.l.): viene esercitata dalla società (o dai soci) contro gli amministratori per danni causati al patrimonio sociale da atti od omissioni in violazione dei doveri. Esempio: aver eseguito pagamenti preferenziali o distratto risorse invece di pagare debiti urgenti può essere considerato danno alla società.
  • Azione dei creditori sociali (art. 2394 c.c. per S.p.A., estesa alle S.r.l.): è specifica per la situazione d’insolvenza. Se il patrimonio sociale risulta insufficiente a soddisfare i creditori, questi (o il curatore fallimentare su loro istanza) possono agire contro gli amministratori sostenendo che non hanno preservato l’integrità del patrimonio. Tipicamente, l’omissione di diligenti interventi durante la crisi può configurare questa responsabilità: ad esempio non aver richiesto tempestivamente un concordato preventivo e aver lasciato che l’erosione patrimoniale continuasse (magari pagando solo alcuni creditori e lasciando altri scoperti) è considerata mala gestio a danno dei creditori .
  • Responsabilità verso terzi per atti specifici: Ci sono casi particolari in cui normative di settore stabiliscono una responsabilità diretta. Ad esempio, in materia tributaria, l’art. 36 del DPR 602/1973 (come già menzionato) prevede la responsabilità del liquidatore o amministratore che, avendo disponibilità di risorse, non paga le imposte dovute prima di distribuire attivo altrove. In ambito fallimentare, la cosiddetta responsabilità per aggravamento del dissesto è un concetto affermato dalla giurisprudenza: tutto ciò che l’amministratore fa o omette di fare che aggrava il buco patrimoniale tra il momento in cui la società era ragionevolmente già insolvente e il momento dell’apertura del fallimento, può essergli addebitato. Ad esempio, continuare l’attività accumulando ulteriori debiti (soprattutto verso Fisco o nuovi fornitori) in una situazione senza prospettive di recupero è un classico scenario in cui il curatore fallimentare agirà contro l’amministratore per il danno incrementale arrecato ai creditori.

Dal punto di vista penale, i rischi per l’amministratore inerte o infedele includono:

  • Reati fallimentari: se poi interviene la liquidazione giudiziale, verrà valutata la condotta precedente. La bancarotta semplice punisce, tra l’altro, l’aver aggravato il dissesto con grave imprudenza (ad esempio ricorrendo a mezzi rovinosi di finanziamento o ritardando il fallimento senza speranza) e l’aver violato gli obblighi di tenuta delle scritture contabili. La bancarotta fraudolenta è ancora più grave e riguarda atti dolosi come distrarre beni, documenti, falsificare i libri, pagare fraudolentemente taluni creditori a scapito di altri (prefazione), ecc., nei periodi antecedenti il fallimento.
  • Altri reati societari o tributari: false comunicazioni sociali se si occultano le perdite nei bilanci, reati tributari come detto per IVA e contributi non versati, ecc.

In sintesi, la legge responsabilizza fortemente gli amministratori affinché reagiscano prontamente alla crisi. Non agire, o agire tardi e male, espone a conseguenze dure: si passa dalla responsabilità contrattuale verso la società (natura contrattuale poiché deriva dal rapporto di amministrazione ) alla responsabilità aquiliana verso i creditori, fino al penale. La Cassazione ha recentemente ricordato che la condotta dell’amministratore va valutata con parametro di diligenza professionale, e che spetta a lui provare di aver adempiuto correttamente ai propri doveri (es. dimostrando di aver impiegato le risorse disponibili per pagare i debiti o comunque per tentare il risanamento) . In caso contrario, il risarcimento del danno può essere ingente.

Dunque, cosa deve fare un amministratore di fronte ai segnali di crisi? Oltre a cercare soluzioni imprenditoriali (nuovi ordini, nuovi soci, taglio costi), deve valutare subito l’impiego di uno degli strumenti giuridici predisposti dal legislatore per gestire la crisi in modo ordinato. Questi strumenti, che ora esamineremo in dettaglio, sono stati pensati proprio per conciliarsi con i doveri di diligenza: un amministratore che attiva per tempo una composizione negoziata o presenta un concordato preventivo dimostra di non voler aggravare il dissesto e di voler tutelare la parità di trattamento dei creditori. Ciò può non solo salvare l’azienda, ma anche proteggere lui medesimo da future contestazioni di mala gestio. Ad esempio, secondo le nuove norme, durante la composizione negoziata sono sospese le cause di scioglimento per perdite e gli obblighi di ricapitalizzazione , così l’amministratore non è sanzionato per non aver sciolto la società immediatamente e può tentare il recupero. Inoltre, gli atti compiuti in conformità al piano di risanamento autorizzato dall’esperto o dal tribunale non sono soggetti a revocatoria fallimentare né costituiscono reato di bancarotta preferenziale . Ciò rappresenta una “safe harbour”: se l’amministratore opera dentro questi strumenti, non solo fa il bene dell’azienda, ma si mette al riparo da molte accuse (purché agisca in buona fede, naturalmente).

Passiamo ora a illustrare i vari strumenti di regolazione della crisi previsti dall’ordinamento italiano aggiornato, spiegando per ciascuno cos’è, quando conviene usarlo, come funziona e quali effetti produce sulla sorte dell’impresa e sulle pretese dei creditori.

Strumenti Giuridici per Gestire la Crisi e i Debiti dell’Azienda

La normativa italiana offre oggi un ventaglio di soluzioni per affrontare formalmente la crisi d’impresa, evitando la liquidazione giudiziale “disordinata” e, auspicabilmente, consentendo il risanamento aziendale o una liquidazione più efficiente. Questi strumenti si collocano su uno spettro dal meno invasivo (e totalmente stragiudiziale) al più strutturato (con forte intervento del tribunale). La scelta dipende dalla gravità della situazione, dal grado di accordo raggiungibile con i creditori e dalla prospettiva di continuità dell’azienda. Ecco un elenco dei principali strumenti che approfondiremo:

  • Composizione Negoziata della Crisi – procedura volontaria e riservata con l’ausilio di un esperto indipendente, introdotta nel 2021, che aiuta l’imprenditore a negoziare con i creditori (senza spossessamento).
  • Piano Attestato di Risanamento (art. 56 CCII) – un piano di risanamento predisposto dall’impresa e asseverato da un professionista indipendente, eseguito al di fuori di procedure concorsuali formali, ma riconosciuto dalla legge con specifici benefici (esenzione da revocatoria).
  • Accordo di Ristrutturazione dei Debiti (artt. 57-64 CCII) – un accordo tra l’imprenditore e una parte significativa di creditori (di regola almeno il 60%) che viene omologato dal Tribunale, acquisendo efficacia vincolante e benefici (come una moratoria legale).
    • Varianti speciali: Accordo di ristrutturazione agevolato (quorum ridotto al 30% in casi particolari) ; Accordo ad efficacia estesa (cram-down su creditori dissenzienti omogenei, ad esempio banche non aderenti) .
  • Piano di Ristrutturazione Soggetto ad Omologazione (PRO) – nuovo strumento introdotto dal 2022 (art. 64-bis CCII e seguenti ), in attuazione della direttiva UE, che prevede la formulazione di un piano ristrutturativo con suddivisione dei creditori in classi e omologazione giudiziaria anche in caso di dissenso di alcune classi (in sostanza, un concordato “ibrido” più flessibile in certe regole).
  • Concordato Preventivo (artt. 84-120 CCII) – la procedura concorsuale classica antecedente al fallimento, dove l’imprenditore propone ai creditori un piano, sotto controllo del tribunale, con eventuale suddivisione in classi e voto dei creditori. Può essere:
    • Concordato in continuità aziendale – se prevede la prosecuzione dell’attività (direttamente o tramite cessione/affitto a terzi).
    • Concordato liquidatorio – se prevede solo la liquidazione del patrimonio, con cessazione dell’attività.
    • Sottocategorie: concordato con riserva (o “in bianco”, cioè domanda prenotativa senza piano completo, per ottenere subito la protezione); concordato con intervento di terzi o assuntori; ecc.
  • Concordato Semplificato per la Liquidazione del Patrimonio – procedura speciale, introdotta in parallelo alla composizione negoziata (art. 25-sexies CCII), che consente di ottenere l’omologazione di un concordato liquidatorio senza voto dei creditori qualora la composizione negoziata sia fallita e l’esperto ne dia atto . È uno strumento eccezionale per liquidare l’azienda evitando la procedura fallimentare ordinaria, purché non ci sia stata soluzione in via negoziata ma l’imprenditore abbia comunque una proposta liquidatoria da sottoporre al giudice.
  • Liquidazione Giudiziale – (ex fallimento, artt. 121-270 CCII) la procedura concorsuale di tipo liquidatorio avviata dal tribunale su istanza di creditori, debitore o PM, che porta alla nomina di un curatore e alla liquidazione integrale dell’azienda e del patrimonio per pagamento dei creditori secondo le regole legali.

Di seguito analizzeremo i primi cinque strumenti (dalla composizione al concordato) che rappresentano le alternative alla liquidazione giudiziale e costituiscono il fulcro delle strategie difensive di un’azienda indebitata. Per ciascuno, vedremo definizione, requisiti, come si attiva, che effetti ha su azienda e creditori, vantaggi e svantaggi. Al termine proporremo anche una tabella riepilogativa comparativa.

Composizione Negoziata della Crisi

La Composizione Negoziata è un percorso volontario, assistito e confidenziale introdotto col D.L. 118/2021 (convertito in L. 147/2021) e ora disciplinato dagli artt. 12-25-quinquies CCII . Si tratta di uno strumento innovativo concepito per consentire all’imprenditore in difficoltà di negoziare con i creditori una soluzione, fuori dalle aule giudiziarie ma con il supporto di un esperto indipendente nominato da un’apposita commissione presso la Camera di Commercio.

Caratteristiche principali:

  • Accesso: Può richiederlo qualunque imprenditore commerciale o agricolo, di qualsiasi dimensione, quando si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rendono probabile la crisi o l’insolvenza, ma vi sono prospettive di risanamento (anche se non garantite). L’istanza si presenta tramite la piattaforma telematica nazionale (gestita da Unioncamere) , caricando una serie di documenti: situazione economico-patrimoniale aggiornata, lista creditori, un abbozzo di piano di risanamento, dati contabili, etc. . Importante: dopo il terzo correttivo 2024, è ammesso l’accesso alla composizione negoziata anche se pende già un’istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) da parte di terzi, cosa prima dibattuta . L’imprenditore deve solo autocertificare l’eventuale pendenza di ricorsi per liquidazione, ma questo non gli preclude la composizione .
  • Nomina dell’esperto: Entro 5 giorni dalla domanda, una commissione regionale nomina l’Esperto , scelto da un elenco nazionale di professionisti (in prevalenza commercialisti, ma anche avvocati e consulenti con esperienza in ristrutturazioni). L’esperto è terzo e indipendente, e il suo ruolo è di facilitare le trattative tra l’imprenditore e i creditori. In Italia ne sono stati selezionati oltre 4.400, con prevalenza di commercialisti (circa 79%) . L’esperto accetta l’incarico e convoca l’imprenditore per una prima riunione confidenziale.
  • Svolgimento delle trattative: Da quel momento decorre un periodo di massimo 180 giorni, prorogabile di ulteriori 180, durante il quale l’imprenditore, affiancato dall’esperto, cerca un accordo coi creditori. Gli incontri possono avvenire sia con i singoli creditori che con gruppi; l’esperto guida il confronto con una posizione super partes. L’impresa mantiene la gestione ordinaria e straordinaria, ma deve informare l’esperto prima di atti di straordinaria amministrazione . La filosofia è “nessuno spossessamento”: l’imprenditore resta al timone, con obbligo però di gestire nell’“interesse prevalente dei creditori” se emerge l’insolvenza .
  • Riservatezza: La procedura è inizialmente riservata (non viene pubblicata, né i creditori sono automaticamente informati, a meno che l’imprenditore non chieda misure protettive o altri interventi del tribunale). Ciò evita lo stigma del dissesto in una fase precoce, consentendo di lavorare a soluzioni senza allarmare il mercato. L’imprenditore può decidere quali creditori coinvolgere nelle trattative (tipicamente si parte da banche e principali fornitori).
  • Misure protettive e cautelari: Durante la composizione negoziata, l’imprenditore può chiedere al Tribunale misure protettive temporanee che bloccano le azioni esecutive dei creditori . Tali misure (simili a uno stay) impediscono ai creditori di iniziare o proseguire pignoramenti o altre azioni sul patrimonio dell’impresa per la durata della trattativa (inizialmente max 4 mesi, prorogabili). La richiesta e la successiva convalida dal giudice comportano la pubblicazione dell’istanza nel Registro delle Imprese, rendendo nota la situazione (la riservatezza cede in parte per informare terzi dello “scudo” attivato). Con le riforme recenti, si è previsto che i creditori non possano invocare contrattualmente la composizione come causa di default (clausole ipso facto inefficaci) e in particolare, come già detto, le banche non possono revocare o ridurre gli affidamenti durante le trattative solo perché l’impresa vi ha acceduto, né classificarli a sofferenza automaticamente . Questo incoraggia l’uso dello strumento e tutela la continuità aziendale nel breve periodo. Inoltre, il tribunale può emettere misure cautelari specifiche per preservare l’integrità del patrimonio (es: sospensione di un singolo atto esecutivo critico, ordine ai creditori di astenersi da azioni che possano pregiudicare le trattative).
  • Esito: La composizione può portare a diversi risultati. Idealmente, si raggiunge un accordo che risolve la crisi: ciò può concretizzarsi in vari modi, ad esempio:
    • Un accordo stragiudiziale con tutti o alcuni creditori (ad es. un accordo transattivo extragiudiziale in cui i creditori accettano un piano di rientro o una percentuale di taglio).
    • La predisposizione di un piano attestato di risanamento formalizzato (con l’attestazione di un professionista) che i creditori chiave si impegnano a sostenere.
    • La proposizione di un accordo di ristrutturazione dei debiti da sottoporre poi all’omologazione del tribunale (magari avendo già ottenuto il consenso del 60% dei crediti grazie all’opera dell’esperto).
    • Addirittura la preparazione di un concordato preventivo (in continuità o liquidatorio) da depositare subito dopo. In effetti la legge prevede che la composizione negoziata sia una fase facilitatore anche di eventuali procedure concorsuali: l’esperto, in chiusura, redige una relazione finale in cui può attestare che l’imprenditore ha operato con lealtà e che le trattative non hanno avuto successo. Se ciò avviene, entro 60 giorni l’imprenditore può depositare una proposta di concordato semplificato (liquidatorio) senza voto dei creditori . Questa opzione – Concordato Semplificato – la vedremo più avanti.
    • In caso di accordo raggiunto senza passare per procedure formali, la composizione negoziata si chiude con un decreto di archiviazione. Se erano state concesse misure protettive, il tribunale verifica l’esito positivo e le revoca.
    • Se invece non si raggiunge accordo, la composizione si chiude comunque, ma l’imprenditore avrà quantomeno una radiografia chiara della situazione. Spesso, se la crisi è irrisolvibile, la conclusione sarà appunto la scelta di accedere ad una procedura concorsuale formale (concordato o liquidazione). L’esperto nella sua relazione finale darà conto delle cause del fallimento delle trattative e, se riscontra irregolarità gravi del debitore, può anche segnalarle.
  • Vantaggi: La composizione negoziata ha diversi punti di forza:
    • È flessibile e volontaria: nessuna soluzione è imposta dall’alto, tutto dipende dalla creatività negoziale e dalla volontà delle parti. Non c’è un esito prestabilito: può essere un mix di soluzioni.
    • È rapida: la procedura è snella, niente udienze se non per misure protettive, e mira a soluzioni in pochi mesi. L’esperienza mostra che mediamente servono circa 320 giorni per chiudere una composizione, ma con forte variabilità .
    • Protegge la continuità aziendale: consente di mantenere operativa l’impresa (nessun commissario la sostituisce) e anzi evita lo stigma del fallimento. I dati più recenti indicano che nel 2024 in Lombardia, ad esempio, 38 imprese sono state risanate con successo tramite composizione negoziata salvando oltre 2.100 posti di lavoro .
    • Nessuno spossessamento né perdita del controllo: l’imprenditore continua a gestire. L’esperto non decide al posto suo (non è un commissario), ma la sua presenza e i suoi pareri possono orientare le scelte. Secondo la legge, l’esperto deve operare per il “miglior soddisfacimento dei creditori” e può segnalare se l’imprenditore prende iniziative pregiudizievoli. Ma non può imporre atti autoritativi: resta una negoziazione.
    • Benefici legali: come accennato, gli atti autorizzati dal giudice o coerenti con lo stato delle trattative (ad es. pagamenti eseguiti in funzione del piano) non sono soggetti a revocatoria fallimentare futura . Inoltre, la pendenza della procedura sospende obblighi come quello di ricapitalizzare per perdite . Infine, la legge favorisce nuova finanza durante la composizione: è possibile ottenere dal tribunale l’autorizzazione a contrarre finanziamenti prededucibili (che verranno cioè rimborsati prima di altri crediti se poi ci sarà una procedura concorsuale) , oppure a cedere l’azienda o rami d’azienda senza che l’acquirente sia gravato dai debiti pregressi (salvo quelli verso dipendenti) .
  • Svantaggi e limiti: Di contro, la composizione negoziata richiede cooperazione volontaria dei creditori. Se alcuni creditori (specialmente banche o Fisco) non collaborano, l’esperto può fare poco oltre a tentare moral suasion. Non vi è alcuno strumento coattivo di imposizione di un accordo. Proprio per questo, la legge ha predisposto opzioni di uscita (il concordato semplificato) se la negoziazione fallisce, ma in sé la composizione non assicura un risultato. Inoltre, per quanto riservata, l’eventuale pubblicità delle misure protettive espone l’impresa al rischio reputazionale. Infine, c’è un costo: l’esperto ha diritto a un compenso (in parte fisso, in parte variabile se si raggiunge esito positivo) a carico dell’impresa, oltre al costo dei consulenti che l’azienda dovrà coinvolgere per preparare documenti e piano provvisorio. Tuttavia, rispetto ai costi di un fallimento o di un concordato, la composizione è generalmente meno onerosa.

In sintesi, la Composizione Negoziata è la strada preferibile quando l’impresa ha ancora chance di risanamento, ha una struttura che può reggere trattative veloci (ad esempio PMI con pochi creditori chiave), e quando si vuole cercare una soluzione consensuale senza la formalità del tribunale. È diventata in breve tempo uno strumento centrale del nuovo Codice della Crisi – nel 2024 le istanze presentate sono aumentate dell’87% rispetto all’anno precedente in Lombardia, segno di una crescente fiducia di imprenditori e professionisti in questo approccio . Nella maggioranza dei casi (circa 71%), ad attivarla sono società a responsabilità limitata (S.r.l.) , proprio come la tipica azienda di accessori pneumatici del nostro esempio, segno che lo strumento è tarato sulle PMI.

Piano Attestato di Risanamento

Il Piano Attestato di Risanamento (spesso chiamato semplicemente “piano attestato”) è uno strumento stragiudiziale di risanamento previsto dall’art. 56 del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII). Esso rappresenta l’evoluzione normativa di un istituto già noto nella Legge Fallimentare (art. 67, co.3, lett. d) L.F.), originariamente introdotto nel 2005, il cui scopo è permettere all’imprenditore in crisi di predisporre un piano di risanamento finanziario idoneo a riequilibrare la situazione dell’impresa ed evitare il fallimento, sotto la supervisione di un professionista indipendente che ne attesta la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità.

In cosa consiste esattamente? Si tratta di un piano industriale e finanziario pluriennale, elaborato dall’impresa (magari con l’ausilio di advisor finanziari e legali), che illustra come l’azienda intende superare la crisi e rimborsare (in tutto o in parte) i debiti. Ad esempio, potrebbe prevedere: ristrutturazione del debito bancario (allungamento scadenze, nuovi finanziamenti), cessione di asset non strategici per fare cassa, conversione di debiti in capitale, accordi di dilazione con fornitori, taglio dei costi operativi, e così via. Questo piano viene sottoposto ad un attestatore (un professionista terzo, iscritto a registro dei revisori o con requisiti di indipendenza simili a quelli per i commissari giudiziali), il quale redige una relazione di attestazione in cui dichiara: – che i dati aziendali di partenza sono veritieri e completi; – che il piano è fattibile e idoneo a risanare l’esposizione debitoria e riequilibrare la situazione finanziaria dell’impresa.

Il piano, con la relativa attestazione, viene poi formalizzato e – importante novità del CCII – è previsto che per avere efficacia esimente dalle revocatorie, il piano sia pubblicato nel Registro delle Imprese (in una sezione riservata). Questo passaggio serve a dare data certa al piano e opponibilità ai terzi.

Qual è il beneficio legale principale? Gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del piano attestato non sono soggetti ad azione revocatoria in caso di successivo fallimento o liquidazione giudiziale . In altre parole, se l’impresa fallisce dopo aver tentato un piano attestato, i creditori o il curatore non potranno far annullare i pagamenti effettuati ai fornitori o alle banche secondo quel piano (che altrimenti potrebbero essere revocati come preferenziali). Questo scudo è fondamentale perché incentiva i creditori ad aderire al piano senza temere che, se qualcosa va storto, dovranno restituire le somme incassate. Inoltre, l’attestazione e la natura “protetta” del piano possono offrire anche esimenti penali: per esempio, la concessione di nuovo credito all’impresa in crisi secondo il piano attestato non potrà poi essere contestata come concessione abusiva di credito alla banca, e l’imprenditore stesso se rispetta il piano evita di incorrere in certe ipotesi di bancarotta (non c’è dolo nel pagare alcuni creditori se ciò avviene in attuazione di un piano di risanamento idoneo).

Requisiti e contenuto del Piano (art. 56 CCII): La norma aggiornata dispone che il piano debba avere: – Contenuto analitico: occorre indicare dettagliatamente l’elenco dei creditori e le varie categorie di debiti, il trattamento proposto per ciascuno (chi viene pagato integralmente e quando, chi viene stralciato in parte, ecc.), le eventuali risorse finanziarie addizionali (nuovi soci, nuovi finanziamenti), un piano industriale con gli effetti economici attesi, e “elementi di flessibilità” che assicurino la tenuta del piano anche a fronte di eventi avversi (cd. piano autoprotettivo o self-adjusting plan secondo la prassi ). – Data certa e pubblicità: deve essere formato con data certa (tipicamente attraverso la pubblicazione presso il Registro Imprese come detto). Questo segna il “perimetro” temporale degli atti esecutivi protetti. – Attestazione indipendente: la relazione dell’attestatore è parte integrante. La scelta dell’attestatore compete al debitore, ma deve trattarsi di soggetto indipendente e senza conflitti di interesse, che risponda professionalmente di false attestazioni (anche penalmente). L’attestatore deve dichiarare esplicitamente che il piano è idoneo a risanare l’impresa e che i dati di partenza sono attendibili .

Procedura di creazione e adesione al Piano: Il piano attestato non richiede un voto formale dei creditori né omologazione giudiziale. È un accordo privatistico, quindi l’imprenditore dovrà negoziare con i principali creditori l’adesione al piano. Spesso funziona così: l’impresa elabora il piano e lo propone alle banche (principali interessate di solito) e ad altri creditori rilevanti; questi accettano bilateralmente (firmando contratti modificativi del debito: es. nuova tempistica di rientro, remissione parziale, ecc.). Non serve il consenso di tutti i creditori: l’importante è che il piano nel complesso riporti l’azienda in equilibrio. I creditori piccoli possono anche essere pagati regolarmente fuori piano se l’azienda riesce, oppure potrebbero non essere toccati dalla ristrutturazione (in genere ci si concentra su chi ha posizioni maggiori).

Tuttavia, se qualche creditore non aderisce, il piano attestato non ha efficacia vincolante per costui. Ad esempio, se su 5 banche 4 accettano di rinegoziare ma una rifiuta, la banca dissenziente non è legata dal piano: potrebbe agire per il recupero integrale. Ciò obbliga l’impresa a trovare il modo di fronteggiare quei creditori non aderenti (spesso pagandoli integralmente, magari con la liquidità ottenuta grazie alla ristrutturazione concordata con gli altri). Dunque, il piano attestato funziona bene quando c’è una massa critica di adesioni e restano fuori solo posizioni sostenibili.

Vantaggi del Piano Attestato:Totalmente stragiudiziale e riservato: non vi è intervento del Tribunale (salvo l’eventuale pubblicazione, che è un adempimento formale). Questo rende il piano snello, rapido e poco stigmatizzante. Si evita la pubblicità di una procedura concorsuale e i relativi costi (non c’è commissario, non c’è giudice delegato, ecc.). – Flessibilità negoziale: il debitore può modulare il trattamento dei creditori come preferisce, non deve rispettare le rigide regole di par condicio del concorsuale (fermo restando che se favorisce qualcuno in modo non giustificato può incorrere in responsabilità verso altri, ma a differenza del concordato non ci sono criteri legali di graduazione: è negoziazione pura). – Protezione da revocatorie: come detto, gli atti in esecuzione del piano godono di protezione: ad esempio, pagare un fornitore in base al piano (magari anticipandogli qualcosa per assicurarsi la continuità) non sarà revocabile come atto preferenziale se poi la società fallisce entro 2 anni, perché è coperto dall’art. 56 CCII. Questo toglie molta incertezza. – Esenzioni penali specifiche: il CCII ha previsto che non costituiscono reato alcune condotte se compiute in esecuzione di un piano attestato idoneo. Ad esempio, certe condotte che sarebbero bancarotta preferenziale o semplice, se effettuate in adempimento del piano e coerenti con esso, non sono punibili . Inoltre, l’attestazione funge da “bollino” che rassicura anche terzi (nuovi finanziatori, partner commerciali). – Detassazione delle sopravvenienze attive: è un aspetto fiscale ma utile: normalmente, se un creditore rinuncia a parte del suo credito (remissione), quella quota per il debitore sarebbe una sopravvenienza attiva tassabile. Ebbene, l’art. 88 comma 4-ter TUIR prevede che le sopravvenienze derivanti da accordi di ristrutturazione o piani attestati non siano imponibili. Quindi se la banca taglia 100k di debito, l’azienda non paga IRES su quel beneficio, agevolando il risanamento .

Svantaggi e limiti:Nessuna protezione automatica dalle azioni dei creditori: diversamente dalle procedure concorsuali, il piano attestato non offre uno stay legale. Se un creditore volesse iniziare un’esecuzione, giuridicamente potrebbe, anche se l’azienda sta lavorando a un piano. (In pratica, per ovviare a ciò, spesso il piano attestato viene preparato velocemente e i creditori più critici vengono tenuti buoni con accordi ad hoc o piccoli pagamenti, oppure si combina il piano attestato con la richiesta di misure protettive tramite composizione negoziata). – Nessun effetto obbligatorio sui dissenzienti: come detto, chi non firma resta fuori. Non c’è un cram-down come nel concordato dove la maggioranza vincola la minoranza. Questo significa che il piano attestato è fattibile in situazioni dove i creditori sono pochi e per lo più concordi, o dove l’azienda ha sufficiente finanza per soddisfare comunque quelli fuori dal piano. Se invece servirebbe costringere una minoranza ad aderire, occorre optare per strumenti diversi (accordi omologati o concordato). – Rischio di insuccesso senza rete: se il piano fallisce (ad es. le ipotesi di risanamento non si concretizzano, o dopo un anno l’azienda è ancora insolvente), l’impresa potrebbe trovarsi di nuovo esposta alle pretese integrali dei creditori con tempo perso. Non c’è un esito “cristallizzato” come l’omologa di un concordato che definisce la situazione una volta per tutte. Il piano attestato è dunque più precario: è efficace finché tutti spontaneamente lo rispettano. – Attenzione alla qualità dell’attestazione: L’attestatore svolge un ruolo delicatissimo. Se l’attestazione è mal fatta (dati non controllati, ipotesi di piano troppo ottimistiche), il piano rischia di partire già sfalsato. In più, un’attestazione negligente potrebbe essere contestata in sede penale in caso di fallimento (ci sono state condanne di attestatori per false attestazioni). Quindi, la credibilità di tutto l’impianto dipende molto da quanto serio e approfondito è il lavoro di attestazione. Di riflesso, per l’impresa c’è un costo non indifferente: l’attestatore e i consulenti per il piano vanno remunerati.

Quando conviene il Piano Attestato? Questo strumento è indicato quando: – L’impresa ha una crisi gestibile e crede di poterla superare con i propri mezzi modificando la struttura dei debiti, senza bisogno di una procedura giudiziale. Ad esempio, se i debiti sono concentrati in poche banche disposte a rinegoziare e l’azienda ha prospettive di ripresa (nuovi ordini in arrivo, ecc.) tali da poter ripagare in prospettiva i creditori. – Si vuole evitare come la peste la pubblicità di un concordato, per timore di perdere clienti o commesse (spesso in alcuni settori un concordato pubblico equivale a perdere fiducia sul mercato). Il piano attestato rimane più “sottotraccia”. – L’azienda è ancora fondamentalmente solvibile, ma soffre una tensione finanziaria momentanea o squilibri superabili. In tal caso, l’attestatore può attestare la “continuità aziendale prospettica” e il piano sancisce gli aggiustamenti. – C’è l’adesione informale dei creditori principali: se già a livello di discussioni preliminari (magari fatte tramite la composizione negoziata, che può sfociare proprio in un piano attestato) la maggior parte dei creditori chiave dice “ok” al piano, allora conviene formalizzarlo così.

Rapporto con altri strumenti: Il piano attestato può essere un punto di arrivo di una composizione negoziata (come uno degli sbocchi positivi possibili) . Può inoltre trasformarsi in un accordo di ristrutturazione se l’imprenditore decide di chiedere l’omologazione del piano (diventerebbe un accordo ex art. 57 CCII, se firmato dal 60% dei creditori). Infine, il piano attestato spesso è stato usato in passato in preparazione di un concordato: ovvero, l’imprenditore esegue un piano attestato nel tentativo di risanare; se poi non va a buon fine, al momento del concordato gli atti compiuti in esecuzione del piano restano protetti e non revocabili.

In conclusione, il piano attestato di risanamento è un strumento raffinato, che punta sul consenso informato e sulla fiducia tra debitore e creditori, avvalorato da una perizia indipendente. Nel contesto di un’azienda manifatturiera come quella del nostro caso, potrebbe essere la scelta giusta se, ad esempio, c’è bisogno di ristrutturare i debiti bancari (con poche banche cooperative) e magari dilazionare i debiti fiscali con l’assenso dell’Erario (tramite transazione fiscale inserita nel piano). Va preparato con cura e presuppone trasparenza verso i creditori: spesso chi accetta un piano attestato chiede di vedere le carte (dati di bilancio, proiezioni), quindi l’imprenditore deve essere disposto a condividere informazioni sensibili. Se ben fatto e credibile, il piano attestato può ridare slancio all’impresa, come evidenziato da vari casi di PMI risanate negli scorsi anni grazie a questo approccio.

Accordi di Ristrutturazione dei Debiti

Gli Accordi di Ristrutturazione dei debiti (ARD) sono un insieme di strumenti di natura mista (contrattuale ma con intervento omologativo del Tribunale) che consentono all’imprenditore di formalizzare un accordo con i creditori, raggiunto su base consensuale, e di ottenere un’omologazione giudiziaria che rende tale accordo efficace erga omnes in certi limiti e garantisce alcuni benefici (in primis, la protezione dalle azioni esecutive durante l’iter). Sono regolati dagli artt. 57-64 del CCII. Il prototipo è l’accordo ex art. 182-bis L.F. del vecchio ordinamento, ma nel Codice della Crisi la famiglia si è allargata con varianti innovative, recependo la direttiva UE.

Elemento chiave: la percentuale di consenso. A differenza del piano attestato, qui la legge fissa una soglia: è necessario che i creditori rappresentanti almeno il 60% del totale dei crediti aderiscano all’accordo (calcolati come valore dei crediti). Se c’è questo livello di adesione, l’imprenditore può chiedere l’omologazione dell’accordo. Tuttavia, esistono eccezioni: – L’accordo di ristrutturazione “agevolato” (art. 60 CCII) permette di omologare un accordo con soli 30% dei crediti consenzienti, a condizione che i creditori estranei all’accordo vengano integralmente pagati entro 120 giorni dall’omologa (se già scaduti) o dalla scadenza (se non scaduti) . In pratica, l’accordo agevolato è pensato per imprese con pochi creditori principali: se questi, che rappresentano almeno il 30% del debito totale, raggiungono un accordo, l’azienda deve garantire che tutti gli altri (il 70% o meno rimasti fuori) vengano soddisfatti regolarmente e subito. Così l’accordo può funzionare senza il 60%. Ovviamente, ciò è fattibile solo se i creditori “estranei” sono di importo relativamente gestibile (ad es. piccoli debiti operativi che l’azienda può pagare in coda). – L’accordo ad efficacia estesa (art. 61 CCII): questa figura consente, in presenza di determinate maggioranze qualificate, di estendere gli effetti dell’accordo anche ai creditori non aderenti appartenenti a specifiche categorie omogenee. Il caso tipico è quello degli istituti finanziari: se ad esempio il 75% delle banche (per credito) sottoscrive l’accordo, l’imprenditore può chiedere al tribunale di estenderlo anche alle banche dissenzienti, vincolandole . Ciò serve a superare la resistenza di pochi holdout. Il CCII prevede efficacia estesa per banche e intermediari finanziari, e per creditori similari (anche fornitori di grandi dimensioni se omogenei, potenzialmente). Questa è una sorta di cram down settoriale. – Inoltre, se l’impresa ha prima avviato una composizione negoziata, il terzo correttivo 2024 ha previsto incentivi: ad esempio, nel nuovo “piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione” (di cui dopo), la soglia del 75% di consenso nelle classi può scendere al 60% se c’è stata composizione negoziata . E anche nell’accordo ordinario, dovrebbe essere possibile beneficiare di una riduzione di soglia (questo per premiare chi tenta soluzioni negoziate).

Procedimento: Un accordo di ristrutturazione funziona così: 1. L’azienda predispone un piano di ristrutturazione dei debiti (simile al piano attestato come contenuti, con informazioni su come saranno pagati i creditori aderenti e non aderenti, eventuali apporti di finanza, ecc.) e raccoglie le adesioni dai creditori principali tramite sottoscrizione di accordi o lettere di adesione. Serve almeno il 60% dei crediti totali (o 30% nel caso agevolato con pagamento integrale degli altri). 2. Viene nominato un attestatore indipendente, il quale redige una relazione attestando che l’accordo permette il regolare pagamento dei creditori estranei entro 120 giorni dalle scadenze (è un requisito di legge: i non aderenti non devono subire pregiudizio). Attesta inoltre la veridicità dei dati aziendali. 3. L’imprenditore deposita il ricorso per l’omologazione presso il tribunale competente, allegando l’accordo, il piano, l’elenco dei creditori con indicazione di chi aderisce e chi no, e la relazione dell’attestatore. 4. Da quel momento, su istanza del debitore, il tribunale può concedere le misure protettive analoghe a quelle del concordato: sospensione delle azioni esecutive dei creditori per il tempo necessario a giungere all’omologa (di regola, fino a 4 mesi prorogabili di altri 4). Quindi l’accordo di ristrutturazione condivide con il concordato il beneficio dello stay automatico quando viene pubblicata la domanda di omologa. 5. Il tribunale verifica la legittimità dell’accordo e la presenza dei requisiti (soglia di adesioni, corretto trattamento dei non aderenti) e, se tutto è in regola e non vi sono opposizioni fondate di creditori estranei, omologa l’accordo con decreto. Non c’è un voto formale di tutti i creditori come nel concordato; quelli aderenti hanno già espresso assenso, quelli estranei possono solo eventualmente proporre opposizione in sede di omologa se ritengono l’accordo pregiudizievole (ad es. se contestano la veridicità dell’attestazione). 6. Effetti dell’omologa: L’accordo omologato è vincolante tra le parti aderenti secondo i termini pattuiti. I creditori estranei invece restano al di fuori: però, grazie all’omologa, il debitore può godere di alcuni vantaggi anche verso di loro. Ad esempio, durante l’esecuzione dell’accordo, i creditori estranei non possono iniziare o proseguire azioni esecutive se l’azienda adempie regolarmente alle obbligazioni pattuite verso di loro (spesso li paga per ultimi ma entro 120 giorni come da impegno di legge). Se c’è efficacia estesa approvata, i dissenzienti indicati dal decreto di omologa sono trattati come se avessero aderito. 7. Esecuzione e controlli: Non c’è una vera fase esecutiva vigilata dal tribunale (come un commissario). L’azienda esegue l’accordo; se lo rispetta, i creditori prendono le nuove prestazioni e la crisi si risolve. Se l’azienda invece non rispetta l’accordo, ciascun creditore (anche aderente) potrà attivarsi per conto proprio decadendo il beneficio. Non c’è una conversione automatica in fallimento, ma chiaramente un inadempimento può portare i creditori a riprendere le vie legali e a una possibile istanza di fallimento.

Trattamento dei crediti fiscali e contributivi negli accordi: Tradizionalmente, l’accordo di ristrutturazione prevedeva la possibilità di includere una transazione fiscale/contributiva (art. 63 CCII) in cui l’Erario e gli enti previdenziali possono aderire all’accordo accettando stralci o dilazioni. Se però il Fisco non aderiva, l’omologazione era problematica se l’accordo prevedeva falcidie su IVA o ritenute, in quanto tali debiti dovevano essere pagati per intero ai non aderenti. Con la riforma 2022, invece, come già rilevato, ora è ammissibile l’omologazione dell’accordo anche senza adesione formale del Fisco, purché l’attestatore certifichi che il trattamento proposto al Fisco è almeno pari al miglior risultato nell’alternativa (liquidazione) . Quindi, se l’accordo è conveniente e il Fisco si ostina a non aderire, il tribunale potrebbe omologare ugualmente (c.d. cram down fiscale introdotto dal D.L. 118/2021 e confermato dal CCII). Questo è fondamentale per rendere realizzabili accordi anche quando l’erario è un creditore rilevante.

Vantaggi degli Accordi di Ristrutturazione:Maggiore forza vincolante rispetto al piano attestato: grazie all’omologazione, l’accordo acquista uno status simile a una sentenza: i creditori aderenti ne sono vincolati irrevocabilmente (non possono tirarsi indietro all’ultimo come potrebbe avvenire in un piano attestato privo di omologa). Inoltre, si possono bloccare azioni esecutive anche di eventuali creditori estranei durante la procedura e garantire loro pagamento regolare successivo, evitando aggressioni. – Mantenimento della gestione in capo al debitore: non c’è spossessamento né nominati commissari (salvo forse un ausiliario tecnico se il tribunale lo vuole per valutare l’accordo). L’imprenditore resta al comando. – Tempi relativamente rapidi e minore onere procedurale rispetto al concordato: la procedura di omologa è più snella, non richiede l’organizzazione di voto di centinaia di creditori. Se c’è consenso di una maggioranza qualificata, il resto è affidato a valutazioni tecniche del giudice. – Minore pubblicità negativa: benché l’accordo vada iscritto nel registro delle imprese, la percezione esterna è di un’azienda che “ha fatto un accordo con i creditori” e non di un’azienda “in concordato/fallimento”. Ciò in certi ambienti è visto in modo più rassicurante perché implica che c’è un’intesa invece di uno scontro. – Possibilità di selezionare i creditori coinvolti: l’imprenditore può decidere di escludere dall’accordo certi creditori (tipicamente quelli minori, pagandoli normalmente). Non c’è obbligo di includere tutti i creditori come nel concordato. Si può “modellare” la platea degli aderenti, ovviamente nel rispetto del requisito di consenso minimo. Questo consente, ad esempio, di lasciare fuori creditori strategici che si preferisce pagare cash (per non toccare forniture) e includere soprattutto quelli finanziari che accettano ristrutturazione. – Benefici in termini di esenzioni e finanza esterna: analogamente al piano attestato, anche gli accordi di ristrutturazione beneficiano di esenzione dalle revocatorie (per definizione, se c’è omologa, gli atti eseguiti in base all’accordo non possono essere revocati perché autorizzati), e i nuovi finanziamenti previsti dall’accordo e erogati dopo il deposito della domanda possono ottenere lo status di prededucibili (art. 99 CCII), incentivando le banche a dare finanza ponte per eseguire l’accordo.

Svantaggi e difficoltà:Necessità di consenso elevato: Il 60% (o 30% con pagamento integrale dei restanti) non è banale: se c’è frammentazione tra tanti piccoli creditori, è difficile raggiungerlo. Gli accordi funzionano meglio quando il debito è concentrato in pochi soggetti (es. banche principali). – Trattamento diversificato dei creditori limitato dalla par condicio per gli estranei: Non si può discriminare troppo chi resta fuori. La legge impone che i creditori estranei vengano pagati per intero e tempestivamente (120 giorni) oppure che comunque non ricevano meno di quanto avrebbero in un fallimento. Ciò pone un limite: ad esempio, se l’accordo prevede di pagare gli aderenti al 70%, non si può dare agli estranei il 10% se in fallimento prenderebbero il 30%. In tal caso quell’accordo non verrebbe omologato, a meno di convincere anche gli estranei con transazione fiscale o altro. – Possibilità di opposizione da parte dei creditori esclusi o dissenzienti: Un creditore estraneo può fare opposizione, ritardando l’omologa, sostenendo che l’accordo lo danneggia. Il tribunale deve valutare e questo può creare incertezza se la situazione è borderline (ad es. stime di valore di beni contestate). – Costi legali e attestazione: Servono comunque un attestatore e un procedimento in tribunale, per cui i costi sono maggiori di un mero piano attestato (anche se minori di un concordato, solitamente). C’è da predisporre un dossier robusto per il giudice. – Mancato coinvolgimento globale: a differenza del concordato, l’accordo di ristrutturazione non mira a coinvolgere tutti i creditori; questo è un vantaggio in termini di flessibilità, ma anche uno svantaggio se l’obiettivo è liberare l’azienda dall’intero indebitamento pregresso. Se alcuni creditori restano fuori, l’azienda esce dall’omologa con ancora dei debiti da pagare subito a questi, il che in certi casi potrebbe vanificare lo sforzo (ad es. se il 40% dei creditori non ha aderito e dev’essere pagato al 100%, l’azienda deve avere le risorse per farlo subito post-omologa, il che non sempre è possibile).

Quando utilizzare l’Accordo di Ristrutturazione? In genere: – Quando vi è ampio consenso informale tra i creditori più importanti, ma si preferisce dare efficacia legale erga omnes a quell’accordo, ottenendo lo stay e la certezza del diritto. – Quando il numero di creditori è troppo elevato per un piano attestato ma non così critico da richiedere un concordato (dove il voto è più complesso). Ad esempio, aziende con 5-10 banche finanziatrici e una pletora di piccoli fornitori che però saranno pagati integralmente: qui un accordo omologato è l’ideale. – Se c’è la necessità di cram-down su pochi dissenzienti specifici (es. 1 banca su 6 non vuole aderire, ma se le altre 5 sono il 80% del debito bancario, l’accordo a efficacia estesa la vincolerà). – Quando l’azienda può permettersi di pagare i non aderenti senza dover chiedere loro sacrifici: questo è cruciale perché, se l’azienda non è in grado di pagare interamente i creditori estranei, probabilmente serve un concordato per imporgli una falcidie, perché con l’accordo non puoi tagliare i creditori fuori accordo.

Piano di Ristrutturazione Soggetto ad Omologazione (PRO)

Il Piano di Ristrutturazione Soggetto ad Omologazione, noto anche con l’acronimo PRO, è uno strumento introdotto nel nostro ordinamento dal D.Lgs. 83/2022 (che ha recepito la Direttiva UE 2019/1023 sui quadri di ristrutturazione preventiva) e disciplinato agli artt. 64-bis e seguenti CCII . Si tratta di una figura ibrida, che in parte ricorda il concordato preventivo (per la presenza di classi di creditori e possibile voto) e in parte gli accordi di ristrutturazione (per l’elevato grado di flessibilità e la possibilità di omologa anche senza consenso unanime).

Che cos’è in sostanza il PRO? È un piano di risanamento dell’impresa proposto dal debitore, il quale: – Suddivide i creditori in classi secondo posizione giuridica ed interessi economici omogenei. – Prevede per ciascuna classe un trattamento (es: classe chirografari 20% di soddisfo, classe banche 80% su lungo termine, classe fornitori strategici 40%, ecc.), potendo anche deviare dalle regole di priorità assoluta purché con consenso della classe interessata. – Viene sottoposto al voto dei creditori in ogni classe, oppure direttamente al giudice se certe condizioni di consenso sono soddisfatte senza necessità di voto formale (ad esempio, se tutte le classi sono consensuali può bastare l’adesione scritta). – Richiede in ogni classe il voto favorevole di una maggioranza (sia come valore del credito; e il CCII prevede anche un calcolo per teste se del caso) per poter essere omologato. – Non prevede la liquidazione integrale dell’azienda (sennò sarebbe un concordato liquidatorio) ma è orientato al risanamento in continuità o almeno alla massimizzazione del valore.

Il PRO è stato introdotto per colmare una lacuna: dare la possibilità di ristrutturare l’impresa tramite un piano vincolante anche senza il voto di tutti i creditori, con maggioranze, ma al di fuori delle rigidità del concordato preventivo. Ad esempio, nel PRO: – Non vige il principio di assoluta par condicio (si possono trattare diversamente i creditori, se giustificato e approvato per classi). – Si può anche prevedere che l’imprenditore o i soci mantengano una parte della proprietà dell’azienda (cosa che nel concordato liquidatorio puro sarebbe difficile per via del principio che tutto l’attivo va ai creditori – art. 2740 c.c. – da cui però il PRO deroga parzialmente ). – Non c’è la soglia del 20% minimo ai chirografari come nel concordato liquidatorio classico (che per PRO non è pertinente). – Si può agire con maggiore libertà sul capitale (ad esempio convogliare nuova finanza con specifiche garanzie, ecc.).

Procedura PRO in breve: 1. Il debitore deposita il ricorso con il piano di ristrutturazione e la proposta suddivisa in classi. Deve allegare relazioni di professionisti che attestano la fattibilità e la soddisfazione dei criteri (tra cui il best interest of creditors test ossia i creditori non devono ricevere meno di quanto avrebbero in una liquidazione giudiziale). 2. Viene avviato un procedimento davanti al Tribunale simile a quello del concordato: si può chiedere misure protettive immediatamente per bloccare azioni esecutive. 3. Si procede a raccogliere il consenso dei creditori: a seconda della situazione, o con votazione in adunanza o con consultazioni scritte, etc., come stabilito dal giudice. Se tutte le classi approvano all’unanimità, il PRO potrebbe teoricamente essere omologato senza udienza (la Direttiva UE prevedeva che un piano approvato da tutti non avesse bisogno di omologa, ma l’Italia comunque richiede un controllo anche in tal caso ). 4. Se ci sono classi dissenzienti, il tribunale può ugualmente omologare il piano attraverso un cram-down interclassi, a patto che: – almeno una classe di creditori interessati non inferiore (ovvero una classe di creditori chirografari o subordinati, se esistono) abbia votato a favore, – il piano rispetti il criterio di trattare equamente le classi (no discriminazioni ingiustificate, rispetto della priorità relativa o assoluta a seconda dei casi, o distribuzione del fair value), – i creditori dissenzienti non siano pregiudicati rispetto all’alternativa liquidatoria. – in ogni caso, il tribunale deve controllare la regolarità della formazione delle classi e del voto . 5. All’esito, il decreto di omologazione rende il piano vincolante per tutti i creditori inclusi, anche quelli delle classi dissenzienti (cram down completo).

In pratica, quali situazioni risolve il PRO? Pensiamo a un’azienda con diversi tipi di creditori e bisogno di ristrutturarsi profondamente. Ad esempio: banche garantite (ipoteche), fornitori chirografari, debiti fiscali, ecc. Con un concordato preventivo in continuità potrebbe farcela, ma il PRO offre alcuni vantaggi: per esempio, nel concordato se le banche ipotecarie non sono d’accordo, difficilmente si può forzare un taglio sul loro credito perché hanno diritto al valore di realizzo delle garanzie. Nel PRO, invece, è concepita la figura della perizia di degrado: se un’ipoteca risulta scoperta in parte (il bene vale meno del debito), col PRO si può ridurre il credito garantito al valore di stima e degradare il resto a chirografo, e imporre anche a quella banca il trattamento come da piano (cosa che nel concordato tradizionale in genere richiedeva l’accettazione del creditore ipotecario, a meno di scenari di cram down molto limitati). Il terzo correttivo ha confermato che nel concordato semplificato, e analogamente nel PRO, è lecito soddisfare parzialmente i creditori privilegiati tramite perizia di stima sul valore delle garanzie .

Vantaggi del PRO:Massima flessibilità di struttura: è l’approccio “da casellario di ristrutturazione” più vicino a modelli internazionali (tipo il Chapter 11 USA o gli Schemes inglesi). Consente soluzioni tailor-made: es. conversione di parte dei crediti in quote di capitale (debt-to-equity swap) con eventuale nuova finanza iniettata e protetta, modifiche ai diritti dei soci, ecc. – Cram down su classi dissenzienti: qui è generalizzato: si possono vincere le resistenze di intere classi di creditori (non solo singoli come negli accordi). Ciò significa poter ristrutturare il debito anche se qualche categoria di creditori (es. un certo gruppo di bondholder o alcune banche) non è d’accordo, se la maggioranza in quella classe è d’accordo e se globalmente c’è almeno una classe che supporta. – Possibilità di salvare l’impresa mantenendo una parte ai vecchi soci: il PRO, diversamente da un concordato, non deve per forza destinare tutto ai creditori. Se ad esempio i creditori ottengono il 70% e c’è un investitore che mette soldi nuovi, i soci potrebbero conservare una quota del capitale se il piano lo prevede e le classi di creditori approvano. Si può quindi attuare una ricapitalizzazione con sacrificio parziale dei creditori, che in cambio lasciano “un pezzo di azienda” ai vecchi soci (cosa di solito impensabile in concordato liquidatorio). – Meno vincoli procedurali iniziali: per accedere al PRO non serve alcuna soglia di adesione già raggiunta (come invece per l’accordo 60%). Si può presentare il piano e poi sondare i voti. Questo può essere utile quando ancora non c’è accordo con i creditori ex ante ma si vuole entrare in procedura per fermare azioni e trattare all’interno di un quadro protetto.

Svantaggi del PRO:Procedura relativamente nuova e complessa: al 2025, il PRO è agli inizi applicativi e richiede una certa sofisticazione. I creditori potrebbero non essere abituati e preferire soluzioni note (concordato o accordi). Anche i tribunali stanno formando prassi. Quindi c’è un certo grado di incertezza interpretativa. – Costi e tempistiche: il PRO, pur detto “piano”, di fatto è una procedura concorsuale a tutti gli effetti in termini di attività: ci sono classi, possibili contestazioni, udienze, periti. Quindi i costi (notarili, legali, finanziari per predisporlo) sono comparabili a un concordato complesso. – Consenso per classi: se la composizione delle classi non è ben congegnata, si rischia magari di avere troppe classi e non raggiungere il voto in qualcuna, complicando l’omologa. Il cram down interclassi comunque richiede che almeno una classe “non inferiore” approvi (quindi ad esempio se tutti chirografari bocciano, non basta che i privilegiati approvino se i chirografari prendono un haircut significativo). Il tribunale poi può discrezionalmente non omologare se ritiene ingiusto il piano anche se le maggioranze formali ci sono (valuta equità e meritevolezza). – Necessità di maggiore disclosure: in un PRO, simile al concordato, i creditori votano sulla base di informazioni fornite e sotto la vigilanza del tribunale. Dunque il debitore deve predisporre una relazione particolareggiata, e i creditori potrebbero essere rappresentati da comitati o intervenire. Non c’è la riservatezza di un piano attestato o di un accordo limitato: qui la crisi diventa di dominio pubblico (registro imprese, comunicazioni ai creditori, ecc.). – Vincolo di classe anche per minoranze: certo è un vantaggio per il debitore, ma anche un fattore di tensione: minoranze di creditori che vengono crammed down potrebbero impugnare o fare reclami (fino alla Cassazione). Quindi l’esito potrebbe trascinarsi se c’è forte opposizione (ci saranno verosimilmente cause pilota su questo terreno).

In quali casi usare un PRO? Probabilmente: – Imprese di dimensioni medio-grandi, con struttura del debito variegata (es. bondholder, banche, fornitori, magari interessi anche dei soci rilevanti). – Quando serve ridurre significativamente anche crediti privilegiati o modificare diritti di classi protette (cosa ardua in concordato senza il loro consenso). – Quando c’è un investitore disposto a rilanciare l’impresa ma chiede di ristrutturare il debito previa un meccanismo di cram-down. – In generale, quando il concordato preventivo appare troppo rigido o penalizzante (perché costringerebbe a liquidare troppo attivo ai creditori) e l’accordo di ristrutturazione non è fattibile (per troppi creditori da coinvolgere uno ad uno).

Va detto che il PRO e il Concordato preventivo in continuità hanno molti punti di contatto; la distinzione pratica sarà più chiara col tempo e con la prassi. Il legislatore lo ha voluto per recepire la direttiva e ampliare gli strumenti a disposizione. Dal punto di vista del nostro imprenditore debitore, PRO e concordato in continuità sono due opzioni sul tavolo se l’obiettivo è ristrutturare mantenendo in vita l’azienda e c’è bisogno di coinvolgere in modo vincolante tutti i creditori (non solo alcuni come negli accordi).

Concordato Preventivo (continuità e liquidatorio)

Il Concordato Preventivo è la procedura concorsuale “classica” attraverso cui un debitore in crisi o insolvente propone ai creditori un piano per il soddisfacimento parziale delle loro ragioni, in alternativa alla liquidazione giudiziale (fallimento). Il concordato è sottoposto alla supervisione del Tribunale e prevede il voto dei creditori. È disciplinato dagli artt. 84 e seguenti CCII. Possiamo distinguere due grandi categorie: – Concordato in continuità aziendale (art. 84, co.2, CCII): quando la maggior parte dell’attivo viene dalla prosecuzione dell’attività, cioè l’azienda continua a operare durante e dopo il concordato, realizzando utili con cui pagare i creditori (oppure cedendo l’azienda a un terzo che la mantiene in funzione). – Concordato liquidatorio (art. 84, co.3, CCII): quando il piano è basato solo o principalmente sulla liquidazione dei beni dell’impresa (vendita cespiti, incasso crediti) e non sulla continuazione dell’attività, se non quella minima necessaria alla dismissione.

Meccanismi generali del concordato:Accesso: L’imprenditore deve presentare una domanda di concordato al tribunale, allegando la proposta, il piano e la documentazione finanziaria, più la relazione di un attestatore indipendente che certifichi veridicità dei dati e fattibilità del piano. In alternativa, può presentare una domanda “con riserva” (il cosiddetto concordato in bianco), priva di piano dettagliato ma indicando che nei successivi (fino a) 120 giorni depositerà la proposta definitiva. Questa mossa (spesso usata per guadagnare tempo o bloccare un’istanza di fallimento imminente) serve a ottenere subito le misure protettive. – Stay e periodo di osservazione: Presentata la domanda (anche in bianco), il tribunale concede le misure protettive e nomina un Commissario Giudiziale (figura terza di controllo). Da quel momento, l’azienda continua a operare sotto la gestione dell’imprenditore (debitor in possession, come si dice), però con alcuni limiti: per gli atti straordinari deve avere autorizzazione del giudice, e c’è la vigilanza del commissario. I creditori non possono procedere con esecuzioni individuali (blocco dei pignoramenti) né acquisire prelazioni se non autorizzati. – Classi e voto: Il piano di concordato può (spesso deve) suddividere i creditori in classi omogenee. Ad esempio: classe privilegiati ipotecari (banche), classe chirografi trade (fornitori), classe chirografi finanziari (bond), classe piccoli crediti sotto una certa soglia, classe eventuali crediti postergati, ecc. I creditori privilegiati possono essere soddisfatti integralmente secondo grado; se non c’è integrale soddisfo, votano anche loro (per la parte in cui subiscono decurtazioni o dilazioni oltre il valore delle garanzie). La legge prevede che in concordato liquidatorio i chirografari debbano avere almeno il 20% di soddisfazione , salvo che la proposta venga presentata entro 60 giorni dalla composizione negoziata conclusa negativamente, nel qual caso questo requisito del 20% può non applicarsi (questo per incentivare l’uso della composizione negoziata: se provi la composizione e poi fai un concordato, non hai l’ostacolo del 20%, detto per inciso). – Affinché il concordato sia approvato, serve il voto favorevole in ogni classe (o se non ci sono classi, dalla maggioranza dei creditori ammessi al voto) di creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti in quella classe. Se una classe vota contro, il tribunale può comunque imporre il concordato (cram down) se ritiene che i creditori dissenzienti siano trattati non peggio dell’alternativa e che non ci sia alterazione di priorità (nel nuovo codice è previsto cram down interclassi, simile al PRO, quando una o più classi dissentono ma altre approvano e il piano rispetta equità). Ad ogni modo, dopo il voto il tribunale tiene l’udienza di omologa, valuta eventuali opposizioni e emette sentenza di omologazione (o di rigetto). – Esecuzione: Una volta omologato, il concordato vincola tutti i creditori anteriori (anche chi ha votato no). Si apre la fase esecutiva: se è in continuità, l’imprenditore continua la gestione seguendo il piano sotto vigilanza del Commissario (che di solito diventa Liquidatore Giudiziale in questa fase); se è liquidatorio, si procede alla vendita dei beni tramite procedure competitive e distribuzione del ricavato ai creditori secondo il piano (spesso il liquidatore nominato prende in carico la vendita). A completamento, l’azienda viene liquidata o, se in continuità, esce dalla procedura come soggetto “risanato” con i debiti falcidiati.

Particolarità del concordato in continuità: La legge e la giurisprudenza sono più favorevoli a piani che conservino l’attività d’impresa, perché preservano valore e occupazione. Nel concordato in continuità: – Non si richiede una % minima di soddisfo per i chirografari (il 20% è solo per liquidatorio). – Sono ammesse varie forme di continuità: diretta (la stessa società prosegue) o indiretta (si vende l’azienda a un terzo che la continua). Quest’ultima è ibrida: c’è un acquirente che subentra, i soldi della vendita affluiscono ai creditori. Comunque è continuità se i posti di lavoro e l’attività proseguono. – Lo Stato può dare incentivi (es. prededucibilità a finanziamenti urgenti per la continuazione, o possibilità di contrarre finanziamenti interinali). – La recente normativa ha abolito il previgente obbligo del 10% di soddisfo in più rispetto alla liquidazione per definire la continuità (nel vecchio CCII bozza c’era), semplificando.

Concordato semplificato: Vale la pena ripetere due parole sulla figura già citata: – Riservata ai casi di composizione negoziata fallita, senza voto dei creditori. In pratica, se l’esperto attesta che non si è raggiunto un accordo, l’imprenditore entro 60 giorni può proporre un concordato liquidatorio al tribunale, il quale decide di omologarlo dopo aver sentito i creditori (possono fare osservazioni) solo valutando l’assenza di pregiudizio rispetto al fallimento e il beneficio apportato a ciascun creditore . Questo strumento consente di evitare la votazione (che in un concordato liquidatorio standard spesso è ostica, perché i creditori chirografari voterebbero no se la percentuale è bassa). In altre parole, se c’è un vantaggio per tutti rispetto alla liquidazione fallimentare (ad esempio un acquirente per l’azienda che offre un certo prezzo migliorativo), il giudice può omologare il concordato semplificato e nominare un liquidatore che esegua quella vendita . È un istituto introdotto per evitare il fallimento in extremis, ma non è accessibile liberamente – serve aver percorso la via negoziata.

Vantaggi del concordato preventivo:È uno strumento globale e definitivo: a differenza di accordi e piani che possono lasciare sacche di debito fuori, il concordato consente di includere e cristallizzare tutti i debiti anteriori, chiudendo la vicenda debitoria con un provvedimento giudiziale. Quando è omologato, l’azienda sa esattamente quali percentuali pagherà e quando, e i creditori non hanno più pretese ulteriori (se non quelle previste). – Forza legale anche senza unanimità: con il concordato, la maggioranza impone la soluzione a tutti i creditori (anche più efficacemente che nell’accordo, perché qui proprio tutti i creditori concorrono). Questo elimina i problemi di holdout. – Possibilità di fresh start per l’impresa: se il concordato è in continuità, l’impresa può proseguire la sua attività liberata da gran parte del debito. Se è liquidatorio, l’azienda cessa ma comunque i proprietari possono voltare pagina (la società viene cancellata, i soci non hanno ulteriori vincoli se non eventuali azioni di responsabilità separate). – Apertura di credito e protezioni durante la procedura: come altri strumenti, anche qui misure protettive, finanziamenti prededucibili, disapplicazione clausole contrattuali di scioglimento automatico, ecc., sono previste per agevolare la riuscita. In un concordato in continuità, i contratti pendenti non si risolvono per il solo fatto della procedura, e anzi il debitore può chiedere di sciogliere contratti onerosi o mantenere contratti essenziali. – Controllo giudiziario e trasparenza: per i creditori, sapere che c’è un Commissario e un giudice offre garanzie di imparzialità e che il debitore non faccia giochetti. Questo può facilitare l’adesione (i creditori potrebbero fidarsi più di un concordato che di un accordo privato se i rapporti erano tesi).

Svantaggi del concordato:Procedura pubblica e lunga: non c’è riservatezza: i concorrenti, fornitori, clienti, tutti vengono a sapere che l’azienda è “in concordato”, con possibili riflessi negativi (perdita di fiducia, necessità di spiegare). I tempi spesso sono medio-lunghi (ci vogliono mesi per arrivare al voto e all’omologa, durante i quali la situazione va tenuta sotto controllo). – Rigidità e costi: il concordato comporta notevoli adempimenti: nomina e parcella del Commissario, spese legali, eventuali spese di giustizia. Inoltre la gestione è vincolata: l’imprenditore non può compiere atti importanti senza permesso, e l’azienda deve generare flussi per sostenersi durante la procedura (non potendo ad esempio pagare i vecchi debiti, potrebbe avere fornitori restii a dare ancora beni se non sono pagati in prededuzione). – Criteri di legge da rispettare: es. il best interest test (ogni creditore deve ricevere almeno quanto riceverebbe in liquidazione giudiziale), il rispetto dei privilegi (non puoi dare a un chirografo più di un privilegiato di grado superiore se quest’ultimo non viene soddisfatto integralmente, salvo consenso di quest’ultimo), ecc. Queste regole limitano la fantasia. Inoltre se è liquidatorio e non c’è stato prima composizione, devi raggiungere 20% ai chirografi – che se l’attivo è poco, può essere impossibile (da qui la norma di esenzione post-composizione negoziata). – Rischio di esito incerto: Il concordato deve passare per il voto dei creditori. Se va male (mancano le maggioranze) o se il tribunale non lo omologa perché lo reputa non fattibile o in frode, si rischia di cadere in fallimento. È sempre un azzardo: per questo l’imprenditore di solito sonda prima l’atteggiamento dei creditori informandoli. – Effetti sui rapporti contrattuali e gare: Aprire un concordato potrebbe far scattare recessi di contratti (ci sono tutele in legge, ma ad esempio il committente di un appalto pubblico può risolvere salvo autorizzazione a continuare; inoltre l’impresa in concordato preventivo non può partecipare a nuove gare d’appalto pubbliche se non in continuità e con autorizzazione). Anche i fornitori spesso pretendono pagamento anticipato per fornire ancora durante la procedura.

Quando scegliere il concordato?: – Se la situazione è troppo complessa per un accordo privato e serve la mano forte del tribunale per obbligare tutti a una soluzione, ma al contempo c’è un piano realizzabile da proporre. – Se c’è necessità di congelare immediatamente la situazione e guadagnare tempo per elaborare un piano (il concordato in bianco viene spesso usato per questo). – Se l’alternativa sarebbe il fallimento: meglio provare un concordato che offre maggiori soddisfazioni ai creditori (anche se di poco, ma sufficiente per convincerli) e permette magari di salvare l’azienda, oppure di liquidarla garantendo più trasparenza e tempi rapidi rispetto al fallimento. – In sintesi, è un’ultima spiaggia costruttiva: quando il contesto non consente soluzioni puramente negoziate e l’intervento dell’autorità è necessario per comporre il dissidio tra parti con interessi diversi.

Abbiamo dunque passato in rassegna gli strumenti dal meno invasivo (composizione negoziata, piano attestato) al più strutturato (concordato). Ognuno ha i suoi spazi di convenienza.

Possiamo ora presentare una tabella riepilogativa per confrontare in modo chiaro le caratteristiche salienti di questi strumenti (inclusa la liquidazione giudiziale per completezza):

Tabella Comparativa degli Strumenti di Gestione della Crisi

StrumentoTipo/NaturaChi lo attivaCoinvolgimento del TribunaleProtezione da azioni dei creditoriCoinvolgimento dei creditoriEsito per l’aziendaQuando è indicato
Composizione NegoziataStragiudiziale assistito (procedura volontaria)Imprenditore su base volontaria (via Camera di Commercio)Tribunale solo se richieste misure protettive o in caso di atti speciali (es. autorizzazioni)Sì, se richieste misure protettive (stop esecuzioni fino 4+ mesi) ; banche non possono revocare fidi per il solo avvioNessun voto; trattative private con creditori, mediate dall’esperto. Accordo solo se tutti i coinvolti aderiscono volontariamente.Se accordo raggiunto, può sfociare in pianificazioni (accordo, piano attestato, ecc.) e l’azienda evita l’insolvenza; se fallisce, può condurre a concordato semplificato o liquidazione.Crisi iniziale o reversibile; necessità di approccio riservato; creditori potenzialmente collaborativi. Strumento di prima linea per prevenire insolvenza.
Piano Attestato di Risanamento (art. 56 CCII)Stragiudiziale negoziale (contratto)Imprenditore predispone piano + attestazione; adesione individuale dei creditori principaliTribunale non coinvolto (solo deposito al Registro Imprese per pubblicità)No stay automatico. Creditori liberi di agire (per questo spesso si abbina a una composizione negoziata per protezione).Adesione bilaterale dei creditori rilevanti. Nessuna maggioranza imposta: chi non firma non è vincolato.Continua l’attività secondo il piano. Atti pagamenti in esecuzione del piano non revocabili . Se piano ha successo, azienda risanata; se fallisce, l’impresa potrebbe finire insolvente (ma atti fatti restano protetti).Crisi gestibile con pochi creditori chiave; necessità di evitare procedure formali. Richiede la fiducia dei creditori. Utile quando l’impresa è ancora solvibile ma appesantita.
Accordo di Ristrutturazione (ordinario art. 57 CCII)Misto (accordo privato + omologa pubblica)Imprenditore, con almeno 60% di crediti aderenti (o 30% se “agevolato”)Sì, il Tribunale omologa l’accordo e può nominare ausiliari.Sì, dopo deposito ricorso: sospensione azioni esecutive durante omologa (come concordato). Dopo omologa, creditori estranei non possono agire se vengono pagati come da piano.Adesione scritta di ≥60% crediti (possono escludersi creditori minori pagandoli per intero). Nessun voto collettivo, ma possibili opposizioni dei dissenzienti in sede di omologa. Certe categorie (banche) cram-down se ≥75% di categoria aderisce .Se omologato, l’accordo vincola aderenti; i non aderenti devono essere pagati regolarmente (o sono crammati se efficacia estesa). L’azienda prosegue l’attività secondo i nuovi accordi (tipicamente riduzione/dilazione debiti).Quando c’è accordo con una significativa maggioranza di creditori e si vuole renderlo vincolante erga omnes. Debito concentrato e ristrutturabile consensualmente.
PRO – Piano di Ristrutturazione Omologato (art. 64-bis CCII)Procedura concorsuale flessibile (preventiva)Imprenditore, anche senza adesioni preliminari (può essere successivo a composizione negoziata)Sì, fortemente: Tribunale supervisiona, convoca adunanza di classi, omologa anche in caso di dissenso parziale .Sì, con presentazione domanda: divieto azioni esecutive (come concordato). Possibile continuare esercizio impresa sotto controllo.Suddivisione in classi di creditori. Approvazione per maggioranza in ogni classe; possibile cram-down interclassi se almeno una classe approva e il piano è equo . Creditori votano similmente al concordato.L’azienda può restare in continuità se il piano lo prevede. Debito ristrutturato con efficacia per tutti i creditori, anche dissenzienti, secondo il piano. Se omologa ok, impresa risanata con nuovi patti (possibili anche sacrifici di soci).Crisi grave ma con prospettiva di risanamento. Tanti creditori da coordinare; serve flessibilità maggiore del concordato (es. coinvolgere soci, evitare liquidazione totale). Indicato per medie-grandi imprese o casi complessi di ristrutturazione finanziaria.
Concordato Preventivo (artt. 84+ CCII) – ContinuitàProcedura concorsuale giudizialeImprenditore (possibile prima “con riserva” per protezione immediata)Sì, Tribunale ammette, nomina Commissario, omologa dopo voto creditori. Forte controllo organi (commissario, giudice).Sì, automatico dalla pubblicazione: stop a esecuzioni e interessi, divieto atti di straordinaria amm. non autorizzati.Classi di creditori; voto per maggioranza di crediti in ogni classe. Cram-down possibile se condizioni (una classe favorevole e piano non pregiudizievole) .L’impresa continua l’attività durante e dopo la procedura (direttamente o per cessione a terzi). Debiti pregressi pagati in percentuale secondo piano omologato; post omologa l’azienda esce “snellita” dai debiti.Quando si vuole evitare la liquidazione e vi è un piano industriale di rilancio, ma occorre un intervento concorsuale per imporre sacrifici a tutti i creditori. L’azienda deve poter operare sotto procedura (realtà con flussi di cassa sufficienti).
Concordato PreventivoLiquidatorioProcedura concorsuale giudizialeImprenditore (spesso come scelta obbligata per evitare fallimento)Sì, identico a sopra.Sì, identico.Classi (se utili) e voto come sopra. Necessario garantire ≥20% ai chirografari (salvo esenzione post-CNC) . Cram-down più rigido (priorità sui privilegi da rispettare o consenso dei pregiudicati).L’impresa viene spossessata in favore di un Liquidatore Giudiziale post omologa; i beni venduti e il ricavato distribuito ai creditori secondo piano (che può prevedere percentuali sui chirografari). L’attività cessa (salvo affitto temporaneo per massimizzare vendita).Quando non c’è possibilità di continuità ma si vuole evitare la liquidazione giudiziale fallimentare, gestendo la vendita dei beni in modo più rapido e concordato. Richiede un attivo liquidabile che dia almeno un ritorno >0 ai chirografari.
Concordato “Semplificato” (Post Composizione)Procedura concorsuale abbreviataImprenditore (solo se composizione negoziata fallita con attestazione esperto)Sì, ma procedimento più rapido, senza voto creditori.Sì, analoghe misure protettive nel passaggio da CNC a concordato semplificato.Niente voto. Creditori solo sentiti dal giudice se vogliono opporsi. Decisione del Tribunale basata su confronto con liquidazione fallimentare (nessun creditore deve star peggio) .Liquidazione del patrimonio dell’impresa sotto controllo del Tribunale. Nominato liquidatore a omologa . Azienda di regola cessa salvo vendita a terzi.Casi di emergenza post-composizione fallita: si evita il fallimento e si chiude la vicenda rapidamente con vendita beni. Utile se c’è un acquirente o soluzione vantaggiosa ma tempi stretti e impossibilità di attendere un voto creditori.
Liquidazione Giudiziale (Fallimento)Procedura concorsuale liquidatoriaSu istanza creditori, del debitore stesso o d’ufficio (PM) se insolvenza accertataSì, Tribunale dichiara insolvenza, nomina Curatore, Giudice Delegato.Dopo sentenza, creditori chirografari non possono agire individualmente (devono insinuarsi). Ma eventuali atti esecutivi pendenti proseguono fino ad assegnazione se già iniziati.Nessun accordo coi creditori: procedura autoritativa. Creditori insinuano i loro crediti e vengono soddisfatti secondo prelazioni, sotto direzione del Curatore.L’impresa viene spossessata. Curatore liquida tutti i beni (cessione unità azienda se possibile, sennò beni singoli). Al termine la società è cancellata. I creditori ricevono riparto pro-quota se attivo sufficiente. Possibile esdebitazione per imprenditore individuale; per società chiusa, soci non rispondono oltre conferimenti (salvo azioni di responsabilità).È l’esito da evitare per il debitore, se possibile, poiché perde ogni controllo. Si verifica se nessuna delle soluzioni sopra è attuata in tempo utile o se il tribunale le rigetta.

(Legenda: CNC = composizione negoziata della crisi; prededucibilità = credito da soddisfare con priorità in eventuale procedura successiva.)

Da questa comparazione emerge come l’ordinamento italiano attuale consenta un approccio modulare: dalla gestione privata (piano attestato) si passa gradualmente a interventi pubblicistici più intensi (accordi omologati, piani di ristrutturazione, concordati) fino alla liquidazione coattiva. Per un’azienda debitrice, la sfida è scegliere la soluzione che massimizzi le chance di superare la crisi riducendo i costi e i rischi.

Strategie di Difesa e Consigli Pratici per il Debitore (Punto di Vista del Debitore)

Alla luce degli strumenti esaminati, mettiamoci nei panni dell’imprenditore (o amministratore) della nostra azienda produttrice di accessori pneumatici che si trova con debiti elevati. Quali passi concreti dovrebbe intraprendere per difendersi efficacemente dai creditori e tutelare l’azienda (o, se ciò non fosse possibile, per liquidare limitando i danni)?

Di seguito proponiamo una sorta di roadmap strategica, ovvero una serie di mosse consigliate e considerazioni chiave:

  1. Mappatura immediata della crisi e dialogo coi consulenti: Appena la situazione debitoria appare ingestibile con le normali operazioni, la prima difesa è capire esattamente l’entità del problema. Ciò significa redigere un quadro aggiornato di:
  2. Debiti scaduti e in scadenza (chi, quanto, quando).
  3. Attivi disponibili (cassa, crediti esigibili, magazzino vendibile).
  4. Impegni e ordini futuri (cosa serve per andare avanti).

Coinvolgere consulenti fidati (il commercialista innanzitutto, e possibilmente un legale esperto di crisi d’impresa) è cruciale fin da questa fase. I consulenti aiutano a evitare errori che possono pregiudicare la difesa (ad esempio, sconsigliano di pagare in maniera disordinata alcuni creditori lasciandone altri, perché tali atti potrebbero essere revocati o considerati preferenze dolose). Al contrario, con loro si può impostare un piano di azione coordinato.

  1. Gestione della cassa e misure d’emergenza: Difendersi dai creditori significa anche guadagnare tempo e prevenire iniziative aggressive. Alcune azioni tattiche:
  2. Se c’è liquidità limitata, destinarla alle priorità: stipendi (per mantenere i dipendenti e perché hanno tutele privilegiate), forniture essenziali correnti (per continuare la produzione se c’è speranza), e quelle spese che, se non pagate, creano un danno immediato maggiore (ad es. acconti per energia per evitare il distacco).
  3. Evitare pagamenti preferenziali ingiustificati a soci o parti correlate: pagare un debito verso un fornitore “amico” e non uno verso l’erario potrebbe sembrare umanamente comprensibile, ma giuridicamente è pericoloso. Se poi c’è fallimento, il curatore chiederà la revoca di quel pagamento e l’amico dovrà restituire i soldi, creando tensioni aggiuntive; inoltre l’amministratore rischia l’accusa di bancarotta preferenziale. Meglio mettere tutti (o quasi) i creditori sullo stesso piano nelle fasi di emergenza.
  4. Comunicazione trasparente con creditori chiave: può sembrare controintuitivo, ma spesso contattare in anticipo i maggiori creditori per segnalare la difficoltà e chiedere un standstill (una moratoria temporanea) è utile. Un creditore informato e coinvolto è meno propenso ad azioni legali immediate. Ad esempio, avvisare la banca che l’azienda sta elaborando con consulenti un piano di ristrutturazione e chiedere di non revocare gli affidamenti nel frattempo può ottenere qualche settimana di respiro (soprattutto ora che la legge vieta revoche immotivate durante la CNC ).
  5. Proteggere gli asset fondamentali: se l’azienda ha beni non essenziali, valutare se venderli per fare cassa da destinare ai debiti urgenti (meglio farlo nell’ambito di un piano però, per evitare contestazioni). Viceversa, beni essenziali come macchinari su cui c’è ipoteca: attenzione a non darli in garanzia aggiuntiva altrove o rischiare che vengano pignorati. Valutare se mettere l’azienda “in sicurezza” chiedendo misure protettive (tramite composizione negoziata o concordato in bianco).
  6. Non contrarre nuovi debiti incautamente: l’istinto potrebbe essere “prendiamo un altro prestito per tamponare”, magari pagando tassi alti o dando garanzie personali. Bisogna ponderare: indebitarsi ulteriormente può portare sollievo momentaneo ma aggravare il dissesto se non c’è una prospettiva concreta di ripresa. Inoltre nuovi debiti contratti sapendo di non poterli onorare possono configurare responsabilità. Nuova finanza è benvenuta se integrata in un piano serio (ad es. finanziamento prededucibile autorizzato), non come pezza estemporanea.
  7. Scelta dello strumento di regolazione della crisi: In parallelo alle misure di cui sopra, l’imprenditore deve rapidamente decidere con i consulenti quale dei percorsi giuridici descritti utilizzare. Alcune linee guida decisionali:
  8. L’azienda è fondamentalmente sana sul piano industriale, ma appesantita da debiti (es. calo temporaneo fatturato, investimento grande fatto con debito ora oneroso)? Se sì, l’obiettivo è risanare mantenendo l’attività. Si propenda per strumenti di risanamento: composizione negoziata subito (per guadagnare tempo e cercare accordo), poi un accordo di ristrutturazione o un concordato in continuità a seconda di come reagiscono i creditori. O anche un piano attestato se la banca e qualche fornitore sono disponibili informalmente a sacrifici.
  9. La crisi è probabilmente irreversibile, non c’è mercato sufficiente o l’azienda è decotta? Allora meglio puntare a liquidare ordinatamente, magari salvando il salvabile (rami di azienda vendibili). In tal caso, considerare di non accumulare ulteriori debiti e attivare subito una procedura liquidatoria concorsuale: concordato liquidatorio (se c’è un compratore o se vuoi gestire tu le vendite con più controllo) oppure – se non fattibile – rassegnarsi alla liquidazione giudiziale. Anche la composizione negoziata può essere utile in questo scenario, se c’è la chance di vendere l’azienda in trattativa privata: l’esperto può aiutare a trovare un acquirente e se c’è accordo su vendita ma non su pagamenti integrali, potreste dover convertire in concordato semplificato per concludere.
  10. Il grosso dei debiti è verso Erario/INPS (fisco)? Ad esempio, l’azienda ha 500k di IVA non pagata e 200k di fornitori. Qui è essenziale includere il Fisco in un piano omologato, perché diversamente le sanzioni e interessi continuano e l’Agenzia Entrate Riscossione procederà. Quindi se il Fisco non accetta un accordo stragiudiziale, sarà opportuno un accordo di ristrutturazione con transazione fiscale o un concordato preventivo con transazione fiscale. In entrambi i casi, serve predisporre una proposta che rispetti i parametri (pagare almeno la parte chirografaria in misura consona) e procurarsi l’attestazione di convenienza. In genere il Fisco oggi è più incline a valutare piani di rientro nel concordato, perché il CCII consente al giudice di omologare anche senza il loro consenso, cosa che spinge l’Agenzia a negoziare sul serio.
  11. La società è una S.r.l. con forti debiti bancari garantiti da fideiussioni personali dei soci/amministratori? Questo scenario è frequente. Significa che se la società non paga, la banca andrà sul patrimonio personale (casa, ecc.) del garante. Difendersi in ottica del debitore qui coinvolge anche il patrimonio personale: bisogna considerare come qualunque procedura inciderà sul garante. Ad esempio, se si fa un concordato in cui la banca ottiene solo il 60%, la banca tipicamente potrà escutere per il resto direttamente il fideiussore (salvo diversamente pattuito). Viceversa, se si liquida la società in fallimento, la banca escuterà il fideiussore per tutto l’importo residuo. Dunque il garante ha un interesse forte a che la banca sia soddisfatta il più possibile nella procedura, oppure a cercare un accordo transattivo personale con la banca parallelo al piano aziendale (ad esempio il socio potrebbe proporre: “mi tolgo la casa e do il ricavato alla banca a chiusura di ogni pretesa” nell’ambito di un concordato). Questo è da valutare attentamente e rientra nei consigli: coordinare la difesa dell’azienda con la difesa personale. Non di rado, amministratori o soci decidono di portare l’azienda in concordato o accordo e contemporaneamente trattare con le banche una liberazione dalle garanzie in cambio di un pagamento extra (new money apportato dal socio stesso).
  12. Verifica requisiti soggettivi e dimensionali: se l’azienda è molto piccola e non soggetta a fallimento (imprenditore sotto soglie di fallibilità) si potrebbe rientrare invece nella disciplina del sovraindebitamento (che è stata integrata nel CCII: “composizione della crisi da sovraindebitamento”). Ma nel nostro caso di solito un’azienda di impianti pneumatici presumibilmente supera le soglie. Tuttavia, se fosse un caso borderline (es. ditta individuale con pochi dipendenti), andrebbero considerati strumenti come il concordato minore o la ristrutturazione dei debiti del consumatore.
  13. Coinvolgimento dei soci nella soluzione: se i soci dispongono di risorse, è ora il momento di metterle. Apportare finanza fresca per ridurre i debiti può fare la differenza tra un piano fattibile e uno no. La legge incentiva questo: un finanziamento dei soci può essere postergato di norma, ma se è finalizzato al piano di concordato o accordo può essere previsto in prededuzione (con qualche cautela) o comunque utilizzato integralmente per salvare l’impresa. I soci dovrebbero chiedersi: preferiamo investire ora X soldi per provare a salvare l’azienda (e i nostri ruoli), o rischiare di perderla e magari in più essere chiamati su garanzie e azioni di responsabilità?
  14. Coinvolgimento tempestivo degli organi sociali e verbalizzazioni: L’amministratore che nota la crisi dovrebbe informare e coinvolgere il Consiglio di Amministrazione (se c’è) o i soci (in S.r.l. spesso coincide). Questo per due motivi:
  15. Decidere collegialmente la strada (ad esempio, deliberare di chiedere la composizione negoziata, oppure un aumento di capitale se qualcuno dei soci vuole farlo per salvare baracca).
  16. Verbalizzare la situazione e le decisioni: è utile stendere verbali dove si dà atto dello stato di crisi, delle cause (es. calo commesse, insolvenza di un cliente grosso che ha creato effetto domino, ecc.), e delle azioni intraprese (contatto consulenti, richiesta composizione negoziata il tal giorno, ecc.). Questi documenti potranno essere preziosi se successivamente ci saranno contestazioni di responsabilità: dimostrano che l’organo amministrativo non è rimasto inerte ma ha affrontato la crisi con trasparenza. Addirittura, se ci fosse un sindaco o un revisore nella società, andrebbero coinvolti e fatti risultare a verbale i loro suggerimenti o consensi alle iniziative, a riprova che si è seguito un percorso diligente.
  17. Attivazione dell’iter scelto e condotta durante la procedura:
  18. Se si sceglie la Composizione Negoziata: preparare bene la domanda (con tutti i documenti richiesti , magari facendoli controllare da professionisti per evitare rigetti per carenze). Una volta nominato l’esperto, l’imprenditore deve cooperare pienamente: fornirgli informazioni, ascoltare i suoi pareri. Importante: mantenere un atteggiamento propositivo e onesto con l’esperto e i creditori. La legge richiede all’esperto di segnalare eventuali “condotte dilatorie o in malafede” del debitore (che possono portare a chiusura anticipata e perdere protezioni). Quindi niente giochi: ad esempio non vendere di nascosto beni mentre le trattative sono in corso (sarebbe malafede), non occultare crediti. Invece, presentarsi ai tavoli con dati chiari e magari con delle proposte già studiate (es: “banca X, ti propongo di prorogare il mutuo di 5 anni”; “fornitori, vi propongo il 60% in 24 mesi”). L’esperto aiuterà a mediare. Inoltre, se si è chiesta la protezione del tribunale, rispettarne i limiti: pagare solo ciò che è autorizzato (di solito spese correnti); se arriva un pignoramento notificato prima, informare subito l’esperto e il giudice per capire come bloccarlo.
  19. Se si opta per Accordo di Ristrutturazione o Piano Attestato: in questi casi, molte trattative avverranno comunque informalmente. Bisogna preparare un piano industriale convincente e un term sheet per i creditori su come verranno soddisfatti. È utile cercare di ottenere un accordo di moratoria mentre si negozia l’accordo definitivo. Ad esempio, convincere le banche a firmare un accordo di standstill: un patto temporaneo in cui la banca (o più banche) si impegnano a non revocare fidi e non agire esecutivamente per tot mesi, e l’azienda magari si impegna a non far peggiorare le loro posizioni (no nuovi debiti, pagamento interessi correnti). Questi accordi non sono pubblici e possono prevenire crash improvvisi mentre si finalizza il piano. Inoltre, predisporre subito la bozza di relazione dell’attestatore in parallelo: l’attestatore può consigliare modifiche al piano per renderlo fattibile ai fini della sua certificazione.
  20. Se si presenta Concordato Preventivo (o PRO): qui la parola d’ordine è preparazione dettagliata. Il piano di concordato dev’essere accompagnato da relazione, elenchi e documenti contabili. Ogni numero deve quadrare. Il tribunale e il commissario scruteranno i conti: conviene essere conservativi nelle stime (meglio promettere il 30% e poi dare il 35% che viceversa). Importante: costruire il consenso. Prima di depositare il piano, sarebbe ideale avere già un’idea di come voteranno i maggiori creditori. Magari ottenere lettere di intenti da banche che dicono “in linea di principio aderiamo al piano presentato, fatte salve le nostre riserve”. Questo può convincere il tribunale ad ammettere e i creditori minori a seguire. Durante il concordato, l’imprenditore dovrà essere disciplinato: niente spese folli, rispetto delle autorizzazioni (se serve comprare materia prima, chiedere ok al giudice se oltre soglia). La reputazione in procedura conta: un commissario che scrive “il debitore si sta comportando correttamente” aumenta fiducia dei creditori al voto.
  21. In caso di Concordato liquidatorio o Liquidazione: se proprio si va verso la fine dell’attività, l’obiettivo dell’amministratore responsabile è massimizzare il valore da distribuire e cooperare con gli organi. Nel concordato liquidatorio, questo significa, ad esempio, trovare compratori per i beni (magari vendere preliminarmente l’azienda a un soggetto che la rileverà all’omologa), ridurre i costi della procedura (non dilapidare cassa residua in spese non autorizzate), e presentare un piano di liquidazione realistico. In caso di fallimento inevitabile, conviene non ostacolare la procedura: presentare i libri al curatore, fornire spiegazioni, segnalare opportunità di realizzo. Tale cooperazione può evitare guai peggiori (sanzioni, inabilitazioni, denunce).
  22. Tutela del patrimonio personale degli amministratori/soci: Dal punto di vista del debitore, questo è un capitolo doloroso ma necessario. Come anticipato, la regola delle società di capitali è la separazione dei patrimoni, però in pratica, per molte PMI, amministratori e soci rischiano in prima persona per:
  23. Fideiussioni personali: come detto, vanno gestite negoziando con i creditori garantiti. Magari l’accordo di ristrutturazione può includere un paragrafo in cui la banca “rinuncia ad azioni verso il garante se il concordato/accordo va a buon fine e riceve la percentuale concordata”. Vale la pena tentare di inserire clausole liberatorie.
  24. Responsabilità per mancato pagamento imposte/contributi: evitare di esporsi a accuse di illecito tributario (si è già citata Cass. 22005/2025 ). Quindi, se ci sono liquidità e si deve scegliere chi pagare, privilegiare versamenti IVA e ritenute entro i termini (anche a costo di saltare fornitori, paradossalmente). Se ciò non è possibile, almeno ravvedersi parzialmente (pagare qualcosa riduce l’importo e forse evita soglie penali) e poi includere il debito in transazione fiscale.
  25. Prevenire azioni di responsabilità: come? Documentando di aver fatto tutto il possibile. In un eventuale scenario fallimentare, un amministratore avrà meno da temere se potrà mostrare: “Ecco, ho attivato adeguati assetti, ho rilevato la crisi a tempo debito, ho tentato un concordato (o accordo) per non ledere i creditori, non ho distratto nulla, anzi ho magari messo soldi personali nell’azienda per provare a salvarla, oppure mi sono dimesso al momento giusto lasciando spazio a un esperto se non ero in grado”. Se invece un amministratore fa orecchie da mercante e continua per mesi a accumulare debiti con fornitori e fisco senza agire, molto probabilmente il curatore gli farà causa per aggravamento del dissesto. Il contrattacco del curatore spesso consiste nel quantificare la differenza tra passivo alla data in cui avrebbe dovuto essere avviata la procedura e passivo alla data effettiva di fallimento, chiedendo quell’importo come danno. Una difesa è dimostrare che in quel periodo si stava cercando attivamente una soluzione (p.es. trattative per aumentare capitale, contatti con banche per rinegoziare, ecc.), quindi il ritardo non è colposo ma dovuto a tentativi ragionevoli.
  26. Conservare i documenti e le prove: Un consiglio pratico per l’amministratore: evitare nel caos della crisi di perdere la contabilità o buttare carte. Anzi, custodire tutto gelosamente. In caso di procedura concorsuale, consegnare libri in ordine eviterà la bancarotta semplice documentale (che scatta se le scritture non sono tenute o consegnate regolarmente). Anche conservare comunicazioni con creditori (email in cui si chiede dilazioni, ecc.) può tornare utile come prova di condotta diligente.
  27. Valutare procedure personali di esdebitazione: se l’imprenditore ha anche debiti personali (magari perché ha finanziato l’azienda con prestiti personali, o si è indebitato pensando di metterci soldi), e la situazione precipita, ricordare che esiste la procedura di esdebitazione per le persone fisiche (nel CCII, a seguito di liquidazione controllata del sovraindebitato o di fallimento per imprenditori individuali, si può chiedere la cancellazione dei debiti residui). Questo è esterno alla società, ma se un amministratore si trova travolto sia come legale rappresentante sia come persona, dovrà curare anche il proprio risanamento personale a latere.
  28. Ricostruire dopo la crisi: Una difesa completa considera anche il “dopo”. Se l’azienda viene risanata, implementare da subito i correttivi per evitare di ricaderci (ad esempio migliorare i sistemi di controllo di gestione, evitare leva finanziaria eccessiva, diversificare clienti per non dipendere da uno solo, ecc., imparando la lezione). Se invece l’azienda non sopravvive e viene liquidata, l’imprenditore deve rialzarsi in modo ordinato:
  29. Fornire collaborazione finale al liquidatore o curatore, in modo da chiudere senza strascichi (ci sono casi in cui questa collaborazione ha convinto i creditori a non fare opposizione a esdebitazione o a non perseguire liti).
  30. Valutare, se si tratta di persona fisica insolvente, la possibilità di ripartire sfruttando l’esdebitazione: il CCII consente anche all’ex imprenditore onesto ma sfortunato di essere liberato dai debiti residui dopo il concorso, per poter rifare impresa in futuro (seconda chance).
  31. Proteggere quei beni personali che legalmente sono impignorabili o estranei: ad esempio, la prima casa dell’imprenditore (se non data in garanzia) non può essere aggredita da crediti dell’erario per debiti aziendali se la società era di capitali e non c’è frode collegata. Conoscere questi limiti aiuta a non cedere a pressioni indebite di creditori (ogni tanto certi creditori minacciano scenari non realisticamente possibili per incutere timore e farsi pagare; consultare l’avvocato su cosa effettivamente possono o non possono fare è fondamentale per non fare mosse avventate).

Riassumendo, la strategia di difesa del debitore si articola su due fronti: – Proattività nel gestire la crisi con gli strumenti legali adeguati (piuttosto che passività o, peggio, azioni caotiche). – Tutela di sé stesso rispettando i propri doveri e documentando il proprio operato.

Questa doppia attenzione massimizza le chance di superare l’insolvenza con la minore distruzione di valore e il minore coinvolgimento del patrimonio personale.

Casi Pratici e Simulazioni (Scenario Italia)

Per rendere ancora più concreti i concetti esposti, presentiamo di seguito due simulazioni pratiche ispirate alla realtà di una PMI manifatturiera (come la nostra azienda di accessori pneumatici), mostrando come le diverse soluzioni potrebbero applicarsi:

Caso 1: Risanamento tramite Composizione Negoziata e Concordato in Continuità

Scenario: Alfa S.r.l. produce componenti per impianti pneumatici industriali. Nel 2024 ha sofferto il fallimento di un importante cliente estero che le ha lasciato un buco di 300.000 € di crediti inesigibili. Alfa S.r.l. si trova ora con 800.000 € di debiti: 200.000 € verso la banca (mutuo macchinario, rata insoluta da 2 mesi), 100.000 € con fornitori (scaduti da 90+ giorni), 150.000 € di debiti IVA e ritenute non pagati nell’ultimo anno, 50.000 € INPS, e 300.000 € di un prestito dei soci (finanziamento soci). Ha però un portafoglio ordini nuovo promettente, che genererebbe margini se riuscisse a produrre; il problema è la tensione di liquidità che rende difficile acquistare materie prime. I soci non hanno liquidità aggiuntiva, ma sono disposti a rinunciare al rimborso del loro finanziamento pur di salvare l’azienda. Gli amministratori vogliono evitare la chiusura.

Azione intrapresa:Fase 1: Composizione Negoziata. Nel gennaio 2025 Alfa S.r.l. accede alla composizione negoziata . Ottiene subito dal Tribunale misure protettive per sospendere ogni azione esecutiva dei creditori (in particolare blocca un pignoramento iniziato da un fornitore e impedisce alla banca di revocare il fido di c/c). Viene nominato un esperto che, dopo analisi, conferma che l’azienda ha potenzialità di ripresa se riduce il debito fiscale e ottiene dilazioni su quello bancario. – Durante i 3 mesi di negoziazione, l’esperto convoca insieme banca, fornitori principali e Agenzia Entrate. Ai fornitori strategici viene proposto di continuare a fornire materiali dietro pagamento immediato del nuovo fornito (in prededuzione) e un accordo di rientro per i vecchi debiti in 12 mesi. La maggior parte accetta pur di non perdere il cliente (lo preferiscono a un fallimento dove forse prenderebbero 20% dopo anni). La banca, rassicurata dal fatto che c’è un esperto e un piano, accetta di moratoriare le rate del mutuo per 6 mesi e mantenere gli affidamenti in essere ; inoltre è disponibile a convertire i 50.000 € finali di mutuo in un leasing su un nuovo impianto, allungando la scadenza (cosa che riduce l’esborso mensile). L’Agenzia delle Entrate si dichiara disposta (previa autorizzazione ministeriale) a una transazione fiscale: incassare il 100% dell’IVA ma dilazionata in 5 anni e stralciare sanzioni e interessi (pari a circa il 20% del totale). – L’esperto redige una relazione finale positiva: attesta che l’azienda, se attua l’accordo delineato, può tornare redditizia e che c’è buona fede nelle trattative. Alcuni piccoli creditori (es. un fornitore non strategico da 5k€) non hanno aderito formalmente, ma l’azienda li considera pagabili integralmente col cash flow. – Fase 2: Concordato in Continuità su base concordata. Per dare forza giuridica all’accordo e includere tutti i creditori (specie quelli estranei), Alfa S.r.l. decide di presentare un concordato preventivo in continuità entro 60 giorni . Grazie alle trattative svolte, la proposta è già “digerita” da molti creditori. Il piano prevede: i debiti verso fornitori chirografari saranno pagati al 60% in 12 mesi (questo soddisfa il requisito >20% per i chirografari in continuità – in continuità non c’è soglia minima, ma comunque è un buon livello);la banca verrà pagata interamente ma con scadenze allungate (quindi rinuncia temporanea agli interessi di mora, ma non a capitale);il Fisco riceverà il 100% imposte in 5 anni e 0% sanzioni (il che è equo rispetto a fallimento, dove forse avrebbe preso 30-40%). I soci rinunciano formalmente al rimborso del loro finanziamento di 300.000 €, che viene postergato (di fatto lo abbuonano, rinforzando il patrimonio netto di pari importo). Questo sacrificio dei soci migliora la situazione per gli altri creditori. L’attestatore indipendente conferma che il piano è fattibile e conveniente: stima che in fallimento i chirografari avrebbero preso solo 20%, mentre col concordato prenderanno 60%, e l’azienda potrà produrre utili per sostenere i pagamenti dilazionati. – In adunanza, i creditori approvano a larga maggioranza: la banca vota sì (classe crediti privilegiati), fornitori chirografari 70% favorevoli (classe chirografi commerciali), Fisco (classe privilegiata) formalmente esprime parere contrario sulle sanzioni stralciate ma il tribunale può prescindere da ciò perché gli altri creditori sono favorevoli e il trattamento è almeno pari alla liquidazione . Il concordato viene omologato dal Tribunale. – Esito: Alfa S.r.l. esce dal concordato risanata: i debiti pregressi sono ridotti e calendarizzati. Grazie alla continuità, nel 2026 riesce a rispettare il piano di pagamenti. I fornitori, avendo mantenuto la relazione, beneficiano di futuri ordini. L’Erario incassa il dovuto (anche se più tardi). I soci hanno perso il loro prestito, ma conservato la proprietà della società e la prospettiva di utili futuri. L’azienda ha difeso la sua esistenza e posti di lavoro (nessun licenziamento). Gli amministratori hanno adempiuto ai loro doveri attivando subito gli strumenti: non subiranno azioni di responsabilità perché i creditori sono stati soddisfatti in misura congrua. Anzi, se qualche creditore fuori piano provasse a insinuarsi per differenza (es. sanzioni Equitalia), verrebbe respinto perché l’omologa cancella quelle pretese. La lezione: muoversi per tempo con la composizione negoziata ha permesso un concordato “morbido” e condiviso, evitando sia il fallimento che un duro conflitto con i creditori.

Caso 2: Liquidazione Ordinata tramite Concordato Semplificato

Scenario: Beta S.p.A. è un’azienda storica di minuterie pneumatiche, ma negli ultimi anni ha perso mercato a causa di un’innovazione tecnologica che l’ha sorpassata. Ha impianti obsoleti e un forte indebitamento (2 milioni € verso banche, 1 milione € fornitori, 500k € fisco e INPS). Purtroppo, le vendite attuali non coprono neppure i costi: l’azienda è insolvente e non ci sono investitori interessati a rilanciarla come going concern. Tuttavia, possiede ancora un capannone di proprietà e qualche macchinario in buono stato. Si teme che un fallimento porti a svendere questi asset a prezzo basso. Il CDA di Beta S.p.A., conscio di non poter proseguire l’attività, vuole almeno massimizzare il ricavato dalla liquidazione e prevenire conseguenze penali (hanno già dei debiti IVA non versati consistenti).

Azione intrapresa:Fase 1: Composizione Negoziata per la ricerca di acquirenti. Beta S.p.A. accede alla composizione negoziata e ottiene misure protettive, congelando nell’immediato le azioni dei creditori (evita così un’istanza di fallimento imminente da parte di una banca). Durante i 4 mesi di trattative, con l’aiuto dell’esperto, l’azienda non cerca di risanarsi, ma di trovare compratori per i suoi asset principali: – Viene individuata un’azienda concorrente interessata al capannone e a parte dei macchinari. Questa offre 1,8 milioni € per acquistarli entro breve (valore buono, superiore a una stima d’asta lenta). – Alcuni clienti propongono di rilevare le giacenze di magazzino per 100k €. – L’esperto conduce anche una mini-data room per possibili acquirenti dell’intera azienda, ma emerge che nessuno vuole prendersi l’attività in blocco (troppo datata). – L’INPS nel frattempo segnala preoccupazioni sui contributi non versati, ma l’esperto spiega che il percorso sarà liquidatorio. – Non si può formalizzare la vendita durante la CNC senza coinvolgere i creditori. Ecco quindi: – Fase 2: Concordato Preventivo Semplificato per Liquidazione. Con la relazione finale dell’esperto che certifica l’impossibilità di soluzioni diverse (nessuna continuità praticabile, ma offerte di acquisto raccolte), Beta S.p.A. ricorre al Concordato Semplificato per la Liquidazione del Patrimonio . Entro 60 giorni dalla chiusura negoziata, deposita la proposta: vendere il capannone e macchinari al concorrente X per 1,8M€, vendere magazzino ai clienti Y per 100k, incassare anche crediti residui stimati 200k; il totale ~2,1M sarà distribuito: prima ai creditori con privilegio (banche ipotecarie, Fisco per parte privilegiata, dipendenti eventuali), che prendono ad esempio il 100% su 1,2M di crediti privilegiati; il resto (circa 900k) andrà ai chirografari che hanno totali 2,3M di crediti, quindi un soddisfo di circa 39%. Nessun creditore viene pagato integralmente, ma nessuno è neppure completamente a zero. I calcoli mostrano che in un fallimento, dovendo vendere all’asta, si sarebbero probabilmente ricavati solo 1,5M, con soddisfo ai chirografari del 13%. Quindi la proposta assicura oggettivamente più beneficio. – Nel concordato semplificato non c’è voto. Il Tribunale convoca comunque un’udienza per sentire eventuali osservazioni: alcune banche lamentano che avrebbero voluto più soldi, ma non negano che il prezzo ottenuto è buono e superiore al valore di perizia di liquidazione. L’Agenzia Entrate chiede garanzie che il compratore paghi subito; viene chiarito che il pagamento è contestuale all’omologa. – Il Tribunale omologa il concordato semplificato, ritenendo soddisfatto il test di miglior soddisfacimento rispetto alla liquidazione giudiziale . Nomina un liquidatore perché finalizzi le vendite come da proposta e distribuisca il ricavato. – Esito: in estate 2025 Beta S.p.A. cessa l’attività, i cespiti sono trasferiti al concorrente (che ricolloca alcuni ex dipendenti di Beta, non obbligato ma per conoscenza tecnica) e i creditori ricevono una percentuale significativamente maggiore di quanto si prospettava in caso di fallimento. I debiti verso Erario e INPS sono parzialmente coperti e, soprattutto, la procedura concordataria evita ai dirigenti di Beta eventuali accuse penali perché hanno scelto uno strumento previsto dalla legge e non hanno aggravato il buco: anzi, il curatore non c’è stato (liquidatore ha solo eseguito), quindi niente bancarotta. Gli amministratori, avendo gestito la fase finale in modo ordinato e con l’ausilio dell’esperto, potranno più facilmente difendersi se qualche creditore volesse accusarli di tardività (potranno dire: “abbiamo preferito il concordato semplificato al fallimento proprio per darvi più soldi in meno tempo”). I soci perdono la società, ma evitano prolungate esposizioni legali. L’intero iter, dalla CNC all’omologa semplificata, si è risolto in 8 mesi circa – un tempo molto minore rispetto a una liquidazione fallimentare media. – Il messaggio di questo caso: anche quando non c’è speranza di salvataggio, usare gli strumenti negoziali e concorsuali giusti può difendere il valore residuo a beneficio di tutti. L’importante è non intestardirsi in una continuità impossibile (che avrebbe solo creato più debiti). La difesa, in questo caso, è stata tagliare le perdite e gestire la fine dignitosamente.

Queste simulazioni, seppur semplificate, mostrano come – adattando le strategie al contesto – il debitore può passare da una posizione di passività (“subire” il fallimento e le azioni dei creditori) a una posizione di iniziativa, governando la crisi a proprio vantaggio e spesso anche nell’interesse dei creditori (che non a caso accettano meglio quando vedono un piano sensato).

Ogni caso concreto ha le sue peculiarità: per questo è fondamentale farsi assistere da professionisti specializzati in crisi d’impresa, seguire le procedure con serietà e rispettare la legalità in ogni passaggio.

Domande Frequenti (FAQ)

Domanda: La mia S.r.l. ha debiti che non riesce a pagare: posso evitare il fallimento?
Risposta: Sì, l’ordinamento prevede diversi strumenti per evitare la liquidazione giudiziale (fallimento). Se l’azienda ha prospettive di recupero, puoi proporre un concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione ai creditori, che se omologati dal tribunale impediscono il fallimento. Anche attivare subito una composizione negoziata mette in pausa le azioni dei creditori e può condurre a soluzioni alternative . In generale, il fallimento è l’extrema ratio: finché ci sono opzioni per risanare o liquidare volontariamente l’impresa in modo ordinato, i tribunali tendono a privilegiare quelle. L’importante è muoversi prima che un creditore ottenga una sentenza di fallimento – dopo sarebbe tardi.

Domanda: Cosa succede se un creditore presenta istanza di fallimento mentre tratto un accordo?
Risposta: L’istanza di fallimento (ora liquidazione giudiziale) non porta al fallimento immediato – c’è un procedimento in cui il giudice verifica lo stato d’insolvenza. Durante quel procedimento, puoi oppore che hai avviato negoziazioni o richiesto una procedura regolata (ad esempio la composizione negoziata o depositato un concordato “in bianco”). La legge oggi consente espressamente l’accesso alla composizione negoziata anche se pende un’istanza di fallimento . Se l’hai ottenuta, il tribunale fallimentare di solito sospende la decisione in attesa dell’esito della composizione. Se invece non hai attivato nulla, il consiglio è di presentare subito una domanda di concordato con riserva: questo blocca per legge le azioni dei creditori e anche la dichiarazione di fallimento viene congelata finché non presenti il piano (o se poi presenti un accordo di ristrutturazione). In breve: comunica al tribunale e al creditore che stai perseguendo un piano di sistemazione. Se ignori l’istanza, rischi seriamente la dichiarazione di fallimento entro poche settimane.

Domanda: Che differenza c’è tra un piano attestato di risanamento e un accordo di ristrutturazione?
Risposta: Entrambi sono strumenti stragiudiziali per risolvere la crisi, ma differiscono per grado di coinvolgimento del tribunale e vincolatività: – Il piano attestato (art. 56 CCII) è un accordo totalmente privato, basato sul consenso individuale dei creditori, con l’attestazione di un professionista indipendente sulla sua fattibilità . Non richiede percentuali legali di adesione, ma non offre protezioni automatiche contro i creditori dissenzienti (nessun “cram down”). Serve soprattutto a evitare le revocatorie su pagamenti eseguiti se poi la situazione precipita . – L’accordo di ristrutturazione (art. 57 e segg. CCII) invece è omologato dal tribunale. Richiede per legge che una maggioranza qualificata di creditori (almeno 60% di crediti) aderisca . Una volta depositato in tribunale, blocca le azioni esecutive e, con l’omologazione, diventa vincolante e opponibile. Consente di estendere l’accordo ad alcuni creditori che non hanno firmato (es. banche dissenzienti, se 75% hanno firmato) . In sintesi, l’accordo è più “forte” legalmente (e pubblicizzato), il piano attestato è più flessibile ma fragile. Quando tanti creditori sono coinvolti, l’accordo omologato offre più garanzie, mentre con pochi creditori consenzienti un piano attestato può bastare.

Domanda: Se avvio una composizione negoziata della crisi, i creditori vengono informati? Lo sapranno clienti e fornitori?
Risposta: La composizione negoziata di per sé è riservata: l’istanza e gli incontri con l’esperto non sono resi pubblici, e puoi scegliere tu quali creditori coinvolgere nelle trattative. Fa eccezione il caso in cui richiedi le misure protettive dal tribunale (cioè il blocco delle azioni esecutive): in tal caso il provvedimento viene iscritto nel Registro delle Imprese , e quindi diventa conoscibile ai terzi. Inoltre i creditori vengono informati individualmente della concessione delle misure. Quindi, se riesci a negoziare senza attivare lo “scudo” legale, puoi mantenere un profilo molto basso. Va detto però che spesso, praticamente, dovrai comunicare almeno ai principali creditori che hai un esperto nominato e che stai cercando una soluzione – il loro coinvolgimento è volontario, ma è difficile negoziare seriamente se non sanno che sei in composizione negoziata. In generale, la CNC è pensata per essere confidenziale nelle prime fasi, ma trasparente se si tratta di bloccare formalmente i creditori. Sta a te valutare il trade-off: se temi reazioni a catena, potresti provare a negoziare brevemente senza misure protettive; se un creditore minaccia subito pignoramenti, allora chiedi la protezione e accetti la pubblicità pur di salvare l’azienda.

Domanda: Nel concordato, posso scegliere quali debiti pagare di più e quali di meno?
Risposta: Entro certi limiti sì, tramite la formazione di classi di creditori. La legge ti permette di trattare in modo differenziato i creditori appartenenti a categorie diverse, purché all’interno della stessa classe ci sia parità di trattamento. Ad esempio, potresti proporre di pagare il 100% ai fornitori strategici (che metti in una classe separata), e solo il 30% agli altri fornitori meno critici. Oppure potresti dare percentuali diverse a banche (che hanno garanzie) rispetto ai chirografari. Il tribunale però verifica che la suddivisione in classi non sia fatta in modo arbitrario solo per manipolare il voto. E soprattutto devi rispettare le cause legittime di prelazione: un creditore con privilegio deve essere soddisfatto almeno fino al valore della garanzia prima che un chirografo prenda qualcosa, a meno che il privilegiato accetti diversamente . Inoltre tutti devono avere almeno quanto otterrebbero nella liquidazione giudiziale. Quindi, puoi discriminare, ma con giustificazione. Ad esempio: “pago di più i piccoli fornitori (fino a €5.000) al 100% per ragioni etiche e di mantenimento relazioni, gli altri chirografari al 30%” – questo è spesso accettato ed è legittimo (piccoli creditori in classe separata) perché semplifica la procedura e non intacca i grandi. Invece non potresti dire “pago Tizio al 100% e Caio al 0% se sono uguali grado e situazione” – a meno che Tizio dia nuova finanza, in tal caso potresti giustificare un trattamento di favore come creditore prededucibile. Insomma, flessibilità c’è, ma entro i paletti dell’equità e del consenso delle classi interessate.

Domanda: Cosa rischio personalmente come amministratore se la società non paga i debiti?
Risposta: In linea generale, se è una società di capitali, non rispondi con il tuo patrimonio per i debiti sociali. Però ci sono importanti eccezioni: – Se hai firmato garanzie personali (fideiussioni, avalli) per obbligazioni sociali, allora il creditore può chiedere i soldi a te in base a quelle, indipendentemente dalla società. – Se hai violato i doveri gestori causando danni ai creditori, potresti essere citato in giudizio (azione dei creditori sociali ex art. 2394 c.c.). Esempio tipico: hai aggravato il dissesto continuando l’attività in perdita e pagando selettivamente alcuni creditori a scapito di altri – i creditori lasciati a bocca asciutta potrebbero chiederti i danni dopo un fallimento . Oppure non hai tenuto le scritture contabili e ciò ha reso impossibile ai creditori ricostruire i movimenti – altra forma di danno. – Sul fronte tributario e contributivo: se non versi IVA e ritenute oltre soglie di legge, rischi sanzioni amministrative e anche penali (omesso versamento). Inoltre, come visto, l’INPS e l’Agenzia Entrate possono rivalersi su amministratori/liquidatori in caso di chiusura della società senza pagamento di imposte e contributi, ma solo entro certi limiti . Le Sezioni Unite della Cassazione nel 2025 hanno chiarito che non c’è responsabilità “automatica” per gli ex soci oltre quanto ricevuto in liquidazione . Per l’amministratore, se non ha distratto attivo a suo favore, di solito l’azione di recupero fiscale diretta scatta quando ha violato la legge: ad esempio ha pagato altri creditori preferendo loro al Fisco in fase di liquidazione. – Bancarotta: se la società fallisce, tu potresti essere incriminato per bancarotta (fraudolenta o semplice) a seconda della condotta avuta. Per esempio, l’aver pagato un creditore invece di un altro pochi mesi prima del fallimento è bancarotta preferenziale; l’aver tenuto la contabilità in modo confuso è bancarotta semplice; l’aver sottratto beni o falsificato bilanci è bancarotta fraudolenta. In sintesi, se ti comporti con correttezza e segui le procedure legali di crisi, limiti molto il rischio personale. La Cassazione ha detto chiaramente che rateizzare sistematicamente le tasse senza prospettiva è una violazione grave imputabile agli amministratori , quindi attenzione a quelle situazioni. Ma se mostri di aver fatto tutto il possibile (convocato soci, attivato strumenti di tutela, non aggravato il buco), sarà difficile imputarti colpe. In altre parole: la tua condotta fa la differenza. Attiva gli strumenti giusti e documenta le tue scelte – questo è il miglior scudo per il tuo patrimonio.

Domanda: I debiti fiscali e contributivi possono essere tagliati in un concordato o accordo?
Risposta: Sì, oggi è possibile ridurre o dilazionare anche debiti verso il Fisco e gli enti previdenziali all’interno di accordi di ristrutturazione o concordati, tramite la cosiddetta transazione fiscale e contributiva. La legge (art. 63 CCII e art. 88 TUIR) permette di: – Stralciare sanzioni e interessi praticamente al 100% (sono spesso chirografari puri). – Dilazionare il pagamento dell’imposta e del contributo dovuto, anche oltre i termini normali. – Ridurre il capitale di imposta (IVA, IRPEF, contributi) solo se i creditori approvano e comunque garantendo al Fisco almeno quanto otterrebbe in un fallimento . Ad esempio: se in fallimento l’Erario stimerebbe di recuperare 30 centesimi su 1 €, nel concordato puoi proporre di pagargli il 30% (o poco più) e può essere omologato anche se l’Agenzia dicesse no, perché non è pregiudicato rispetto all’alternativa. C’è però un distinguo: l’IVA e le ritenute in passato non erano falcidiabili (bisognava pagarle 100% salvo casi di incapienza totale). Dal 2022 in poi, con l’attuazione della direttiva UE, anche IVA e ritenute possono essere parzialmente non pagate con l’ok del giudice . Quindi sì, puoi “tagliare” i debiti fiscali/contributivi in procedura, ma serve: – che la tua proposta sia conveniente e ben attestata, – idealmente avere il voto favorevole di almeno la metà degli altri crediti (perché il giudice possa convincersi a ignorare l’eventuale dissenso del Fisco), – proporre comunque di pagare una parte ragionevole (difficile che omologhino se offri tipo il 1%, a meno che in fallimento sarebbero zero). Fuori da concordato/accordo omologato, invece, non puoi unilateralmente ridurre le imposte dovute: dovresti aspettare eventuali provvedimenti di condono legislativo. Quindi la via concorsuale è l’unica per liberarti di parte di quei debiti legalmente.

Domanda: La composizione negoziata è utile anche se poi devo liquidare l’azienda?
Risposta: Sì, può esserlo. Anche se l’azienda non è recuperabile, la composizione negoziata può servire a gestire meglio la liquidazione non giudiziale. Durante la CNC puoi cercare acquirenti per asset aziendali a condizioni migliori che in asta fallimentare. E se trovi un accordo, ma non hai il tempo di far votare un concordato, puoi sfruttare il concordato semplificato: l’esperto attesta l’impossibilità del risanamento, e tu proponi al giudice una liquidazione concordata dei beni senza passare dal voto dei creditori . In pratica, chiudi la ditta con un “mini-concordato” molto rapido che evita anni di fallimento. Gli stessi creditori preferiscono spesso recuperare qualcosa subito da una vendita assistita dall’esperto, piuttosto che aspettare. Quindi la composizione negoziata non è solo per salvare l’impresa; può essere uno strumento di liquidazione efficiente. Lo abbiamo visto nel Caso 2 sopra: quell’azienda era decotta ma usando CNC + concordato semplificato ha monetizzato i cespiti al meglio e liquidato velocemente. Viceversa, se salti direttamente al fallimento, perdi controllo sui tempi e sui prezzi di realizzo. Quindi, anche in scenario liquidatorio, ne vale la pena.

Domanda: Dopo un concordato o fallimento, i debiti residui dell’azienda chi li paga?
Risposta: Se parliamo di una società di capitali, dopo l’esecuzione di un concordato l’azienda resta esistente (nel concordato in continuità) ma i debiti vengono considerati estinti nei limiti previsti dal piano omologato. I creditori non possono pretendere oltre quanto stabilito. Se qualcosa va non pagato perché eccedeva, si considera stralciato per effetto dell’omologazione: la società ne è liberata. Nel concordato liquidatorio, di solito la società viene cancellata a fine procedura, quindi cessa di esistere e i debiti insoddisfatti sono inesigibili (nessuno li “paga”, rimangono insoddisfatti e basta; i creditori ne prendono atto e li deducono come perdita). In un fallimento, similmente, la società se è di capitali si estingue a chiusura procedura e i debiti rimasti non hanno più un soggetto giuridico da cui essere pretesi. Tuttavia, fai attenzione: – Se i soci avevano responsabilità illimitata (società di persone o ditta indiv.), i creditori possono rivalersi sui soci personalmente per i debiti non pagati dalla procedura. – Se i soci hanno garanzie personali o coobbligazioni, anche dopo concordato/fallimento restano obbligati: ad es., un concordato che paga 50% al creditore libererà la società per la quota stralciata, ma il fideiussore rimane tenuto salvo che il contratto di garanzia preveda espressamente la liberazione. (Molte volte però, in negoziazione, le banche accettano di liberare il garante se ricevono quello che spetta in concordato). – Esiste poi l’esdebitazione per l’imprenditore individuale fallito: chi ha ditta individuale o SNC fallita, dopo la chiusura può chiedere di essere liberato dai debiti residui non soddisfatti . Questo è pensato per dare la seconda chance alle persone fisiche oneste ma sfortunate. In definitiva: la società dopo un concordato esce pulita dai debiti (o muore con essi nel liquidatorio); le persone coinvolte potrebbero avere strascichi se garanti o responsabili a qualche titolo. Per questo quando componi la crisi conviene risolvere anche i nodi personali (ad esempio far inserire in accordo la liberatoria per i garanti).

Conclusione

L’azienda di accessori per impianti pneumatici indebitata, protagonista del nostro titolo, incarna una sfida comune nel tessuto economico italiano: come conciliare la sopravvivenza dell’impresa con il rispetto dei diritti dei creditori, il tutto evitando di travolgere chi l’amministra. La normativa italiana, specialmente dopo le riforme culminate nel 2022-2024, offre un arsenale di strumenti moderni e flessibili per affrontare questa sfida. Il messaggio chiave che emerge da questa guida è: non esiste un debito insormontabile se si agisce con tempestività, cognizione di causa e trasparenza.

Dal punto di vista del debitore, “difendersi” dai debiti non significa sottrarsi alle proprie obbligazioni, ma governarle attivamente: aprire il dialogo con i creditori, sfruttare le procedure di composizione per congelare il panico e guadagnare tempo, architettare piani sostenibili – il tutto sotto l’ombrello della legalità e con l’obiettivo di trovare un equilibrio (anche doloroso, ma ordinato) tra le parti.

Abbiamo visto come un amministratore diligente debba saper indossare più cappelli: quello del negoziatore, del risanatore e, se necessario, del liquidatore. Indugiare sperando in miracoli o, peggio, occultare la polvere sotto il tappeto, conduce quasi sempre al collasso rovinoso (fallimento) e ad accuse di mala gestio. Al contrario, affrontare la crisi di petto – convocando i soci, attivando strumenti come la composizione negoziata per chiedere aiuto esterno, predisponendo piani attestati o proposte di concordato calibrate – può trasformare un destino apparentemente segnato in una seconda opportunità. E quando il salvataggio non è possibile, la stessa proattività consente di chiudere la storia dell’impresa in modo dignitoso, massimizzando il valore residuo e limitando l’impatto sui terzi (si pensi al concordato semplificato rispetto a un fallimento trascinato per anni).

Inoltre, la guida ha voluto sottolineare l’importanza di tutelare la posizione personale dell’imprenditore: il sistema, specie dopo l’attuazione della Direttiva Insolvency, offre vie d’uscita onorevoli per l’imprenditore onesto (dall’esdebitazione post-liquidazione, alla non punibilità di atti compiuti in un quadro di risanamento autorizzato ). Ciò significa che chi agisce secondo le regole non deve temere indebitamente le conseguenze: difendersi dai debiti lecitamente è possibile e, diremmo, doveroso nei confronti di sé stessi, oltre che dei portatori d’interesse (dipendenti, fornitori, comunità locale).

In conclusione, un’azienda indebitata ha davanti a sé due strade: quella della passività, che conduce quasi certamente alla perdita del controllo (fallimento) e a potenziali responsabilità, e quella dell’attività consapevole, che passa per gli strumenti di regolazione della crisi e può condurre al risanamento o almeno a una soluzione concordata. Questa guida, con un taglio avanzato ma anche pratico, ha mostrato la seconda strada in tutte le sue tappe. Il punto di vista del debitore che abbiamo assunto non intende affatto sminuire i diritti dei creditori, bensì evidenziare come, paradossalmente, il miglior modo per tutelare anche i creditori sia che il debitore prenda in mano la situazione e utilizzi le procedure previste: un debitore informato e attivo spesso riesce a restituire ai creditori una parte maggiore dei loro crediti rispetto a quanto otterrebbero da un collasso disordinato.

Perciò, il consiglio finale agli imprenditori che si trovino in acque tempestose è: non isolatevi, non negate la realtà e non aspettate passivamente. Cercate assistenza professionale, parlate con i vostri partner d’affari, e sfruttate gli strumenti legali che il legislatore vi mette a disposizione per difendere l’azienda, nella buona fede di difendere contestualmente anche il valore per i creditori. Come recita un detto, “la crisi è anche un’opportunità”: nel nostro contesto, la crisi d’impresa è l’opportunità per ripensare il modello di business, ristrutturare ciò che non va e, se del caso, ripartire su basi più solide – oppure, laddove ciò non sia fattibile, per chiudere con onore, salvaguardando reputazione e professionalità per future iniziative.

La cornice normativa è complessa ma – grazie alle fonti normative e giurisprudenziali più autorevoli citate in questa guida – l’imprenditore e i suoi consulenti hanno riferimenti solidi per navigare. In appendice, vengono riportate tali fonti, dalle disposizioni di legge aggiornate alle ultime sentenze di Cassazione, così che si possa approfondire ogni aspetto con la necessaria certezza del diritto.

In sintesi, “azienda di accessori per impianti pneumatici con debiti: cosa fare per difendersi e come” – la risposta è: agire subito, con gli strumenti giusti, supportato da esperti, nel rispetto delle regole e con una visione strategica. Così facendo, potrai trasformare i debiti da fattore di rovina a elemento di cambiamento gestito, difendendo non solo l’impresa ma anche il tuo ruolo di imprenditore responsabile nella comunità economica.

Fonti Normative e Giurisprudenziali Utilizzate

  • Codice Civile, artt. 2393, 2394 c.c. – Azione sociale di responsabilità e azione dei creditori sociali verso amministratori (richiamati per responsabilità patrimoniale).
  • Decreto Legislativo 12 gennaio 2019 n. 14 (Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza), come modificato da D.Lgs. 147/2020, D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024 (c.d. Correttivo-ter) – disposizioni integrali sugli strumenti di regolazione della crisi: art. 3 (adeguati assetti e obblighi dell’imprenditore) , artt. 12-25-quinquies (Composizione negoziata della crisi) , art. 17 co.5 (doveri dell’imprenditore di informare l’esperto) , art. 18 (misure protettive effetti) , art. 23 (riduzione soglia consenso accordi dopo CNC) , art. 25-sexies (Concordato semplificato) , art. 56 (Piani attestati di risanamento) , artt. 57-64 (Accordi di ristrutturazione e varianti agevolati/estesi) , artt. 63-64 (Transazione fiscale e contributiva nell’accordo) , art. 64-bis e seguenti (Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione – PRO) , art. 84 (Concordato preventivo, condizioni continuità vs liquidatorio) , art. 88 TUIR (detassazione sopravvenienze attive da accordi e piani) , art. 90 (classi di creditori nel concordato), artt. 94-96 (voto dei creditori, maggioranze), art. 109 (cram-down fiscale nel concordato) , art. 112 (concordato semplificato condizioni) , artt. 121-270 (Liquidazione giudiziale).
  • D.L. 118/2021 convertito L. 147/2021 – Introduzione composizione negoziata e concordato semplificato .
  • Cassazione Civile, Sez. Unite, sent. n. 3625/2025 – Responsabilità ex soci per debiti tributari società estinta: gli ex soci rispondono solo entro limite di quanto riscosso in liquidazione , necessità di avvisi individuali.
  • Cassazione Civile, ord. n. 8696/2025 – (citata indirettamente) Illegittimità di cartella a carico amministratore per debiti fiscali senza prova di presupposti.
  • Cassazione Civile, ord. n. 22005/2025 – Rateizzazione costante delle imposte come illecito e mala gestio: non è gestione ordinaria differire sistematicamente i tributi, configurando autofinanziamento illecito e danno risarcibile a carico amministratori.
  • Cassazione Civile, Sez. I, sent. n. 25631/2023 – Natura contrattuale della responsabilità degli amministratori verso società per esborsi ingiustificati: onere su amministratore di provare corretto adempimento.
  • Cassazione Penale, Sez. V, sent. n. 36552/2025 – Amministratori di fatto, responsabilità penale.
  • Tribunale di Milano, 2024 – Decreto in composizione negoziata: esclusione crediti prededucibili.
  • App. Genova, decreto 23/7/2025 – Conferma misure protettive in CNC, presupposti.
  • Confindustria – D.Lgs. 136/2024 (Correttivo-ter), documento Affari Legislativi 18/10/2024: illustra principali novità su composizione negoziata (rafforzamento ruolo esperto, accesso procedura anche con istanza fallimento pendente) ; segnalazioni obblighi anticipati ; accordi di ristrutturazione e PRO potenziati .

La tua azienda che produce o distribuisce accessori per impianti pneumatici—raccordi, valvole, tubi, filtri, regolatori, lubrificatori, giunti rapidi, silenziatori, collettori e componenti per reti aria compressa— si trova in difficoltà economica? Fatti Aiutare da Studio Monardo

La tua azienda che produce o distribuisce accessori per impianti pneumatici—raccordi, valvole, tubi, filtri, regolatori, lubrificatori, giunti rapidi, silenziatori, collettori e componenti per reti aria compressa— si trova in difficoltà economica?
Hai debiti con Agenzia delle Entrate, INPS, banche, fornitori o Agenzia Entrate-Riscossione?
Ricevi solleciti, richieste di rientro, sospensioni delle forniture, decreti ingiuntivi o minacce di pignoramento?

Il settore della pneumatica richiede componenti tecnici, materiali speciali, approvvigionamenti continui, tolleranze precise e un magazzino ampio. Basta un calo della liquidità o un ritardo nei pagamenti dei clienti per generare una crisi profonda.

La buona notizia?
La tua azienda può essere salvata, se intervieni subito e con una strategia corretta.


Perché un’Azienda di Accessori Pneumatici Finisce in Debito

Le cause principali sono:

• aumento dei costi di raccordi, valvole, tubi e materiali tecnici
• ritardi nei pagamenti di integratori, manutentori, officine e industrie
• magazzino immobilizzato con centinaia o migliaia di codici
• importazioni dall’estero con pagamenti anticipati
• investimenti in attrezzature, stampi e componentistica specifica
• costi energetici e logistici elevati
• riduzione o revoca degli affidamenti bancari
• incassi dilazionati che non coprono i tempi di produzione e fornitura

In quasi tutti i casi, non è la mancanza di ordini, ma la mancanza di liquidità immediata a generare debiti.


I Rischi per un’Azienda di Accessori per Impianti Pneumatici con Debiti

Senza un intervento rapido puoi subire:

• pignoramento dei conti correnti
• blocco completo delle linee di credito
• sospensione delle forniture di materiali fondamentali
• decreti ingiuntivi e azioni esecutive
• sequestro di magazzino, attrezzature e semilavorati
• impossibilità di completare ordini e installazioni
• perdita dei clienti principali
• rischio concreto di fermo totale dell’attività

Una crisi finanziaria non gestita può bloccare la tua azienda nel giro di pochi giorni.


Cosa Fare Subito per Difendersi

1) Bloccare immediatamente i creditori
Un avvocato specializzato può sospendere pignoramenti, bloccare richieste di rientro delle banche, impedire il blocco dei conti correnti e intervenire per evitare interruzioni delle forniture. La priorità è proteggere l’azienda.

2) Analizzare i debiti per eliminare ciò che non è dovuto
Spesso i debiti includono errori o abusi:
– interessi non dovuti
– sanzioni sbagliate
– importi duplicati
– debiti prescritti
– errori della Riscossione
– costi bancari irregolari
Una parte significativa del debito può essere ridotta o cancellata.

3) Ristrutturare i debiti con piani sostenibili
Soluzioni concrete:
– rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
– accordi con fornitori strategici
– rinegoziazioni bancarie
– sospensione temporanea dei pagamenti
– utilizzo delle definizioni agevolate quando disponibili
Obiettivo: ripristinare liquidità senza bloccare produzione e forniture.

4) Attivare strumenti legali che proteggono l’impresa
Per situazioni più gravi sono disponibili strumenti come:
– PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
– accordi di ristrutturazione
– concordato minore
– liquidazione controllata (ultima opzione)
Queste procedure bloccano TUTTI i creditori, sospendono pignoramenti e permettono di pagare solo una parte dei debiti mentre l’azienda continua ad operare.

5) Proteggere produzione, materiali e catena fornitori
Occorre salvaguardare raccordi, valvole, tubi, silenziatori, filtri, semilavorati e attrezzature.
È essenziale evitare sequestri, garantire approvvigionamenti minimi e mantenere la continuità delle consegne verso i clienti.

Se la produzione e le forniture continuano, l’azienda può riprendersi. Se si fermano, i debiti crescono rapidamente.


Documenti da Consegnare Subito all’Avvocato

• Elenco completo dei debiti
• Estratti conto bancari
• Estratto di ruolo (se presente)
• Bilanci e documentazione fiscale
• Lista fornitori strategici e insoluti
• Inventario magazzino (raccordi, valvole, tubi, accessori, semilavorati)
• Atti giudiziari ricevuti
• Ordini aperti e programmazione consegne


Tempistiche di Intervento

• Analisi preliminare: 24–72 ore
• Blocco dei creditori: 48 ore – 7 giorni
• Piano di ristrutturazione: 30–90 giorni
• Procedura giudiziaria eventuale: 3–12 mesi
Le protezioni possono attivarsi già nei primi giorni.


Vantaggi di una Difesa Specializzata

• Stop immediato a pressioni, richieste e pignoramenti
• Riduzione concreta dei debiti
• Protezione del magazzino e delle attrezzature
• Trattative efficaci con fornitori e banche
• Continuità produttiva e logistica assicurata
• Salvaguardia del patrimonio personale dell’imprenditore


Errori da Evitare

• Ignorare solleciti o decreti ingiuntivi
• Fare nuovi debiti per pagare quelli vecchi
• Pagare un creditore trascurandone altri
• Lasciare avanzare pignoramenti
• Rivolgersi a società “miracolose” senza competenza

Ogni errore rende la crisi più profonda e difficile da superare.


Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

• Analisi completa della situazione debitoria
• Blocco immediato di tutte le azioni dei creditori
• Piani di ristrutturazione sostenibili e personalizzati
• Attivazione degli strumenti giudiziari più efficaci
• Trattative con fornitori, banche e Agenzia Riscossione
• Tutela totale di azienda e imprenditore


Conclusione

Avere debiti nella tua azienda di accessori per impianti pneumatici non significa essere destinato alla chiusura. Con la strategia giusta puoi:

• fermare subito i creditori
• ridurre drasticamente i debiti
• proteggere produzione e magazzino
• mantenere la continuità dell’azienda
• salvare il tuo futuro imprenditoriale

Il momento di agire è adesso.

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  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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