Azienda Di Progettazione E Produzione Frese, Punte E Utensili Con Debiti: Cosa Fare Per Difendersi E Come

Se gestisci un’azienda che si occupa di progettazione, produzione e affilatura di frese, punte, utensili speciali, utensili in metallo duro, HSS, rivestiti, inserti, portautensili e soluzioni su misura per macchine utensili, e oggi ti trovi con debiti fiscali, debiti verso Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, la situazione può diventare molto pericolosa per la continuità della tua attività.

Il settore degli utensili di precisione richiede materiali costosi, lavorazioni ad alta tecnologia, macchine CNC, rivestimenti avanzati, tolleranze strette e consegne rapide. Per questo qualsiasi blocco dovuto ai debiti può fermare produzioni, rallentare avanzamenti, far perdere commesse e danneggiare relazioni con importanti clienti industriali.

La buona notizia è che, se intervieni tempestivamente, puoi bloccare le procedure, ridurre i debiti e salvare la tua azienda.

Perché le aziende che producono frese, punte e utensili accumulano debiti

Le cause più frequenti sono:

  • costi elevati di metallo duro, HSS, carburi speciali e rivestimenti tecnici
  • rincari dei materiali importati e della componentistica per CNC
  • pagamenti lenti da parte di officine, industrie e costruttori di macchine
  • ritardi nei versamenti IVA, contributi e imposte
  • magazzini complessi con scorte costose e utensili su misura
  • investimenti continui in affilatura, centri CNC, software CAM e misuratori 3D
  • difficoltà ad accedere al credito bancario
  • fornitori strategici che richiedono pagamenti immediati

Questi elementi possono trasformarsi rapidamente in crisi di liquidità e indebitamento crescente.

Cosa fare subito se la tua azienda è indebitata

È fondamentale agire immediatamente. Le prime mosse sono:

  • far analizzare da un avvocato la tua situazione debitoria
  • verificare quali debiti sono corretti, prescritti o contestabili
  • evitare piani di rientro affrettati e non sostenibili
  • richiedere la sospensione di eventuali pignoramenti in corso
  • ottenere rateizzazioni realmente sostenibili con AE e INPS
  • proteggere fornitori strategici e materiali critici
  • prevenire blocchi bancari o tagli ai fidi
  • valutare strumenti legali per ridurre, ristrutturare o rinegoziare i debiti

Una diagnosi professionale permette di capire quali debiti si possono ridurre, sospendere o contestare.

I rischi concreti per un’azienda indebitata

Se non intervieni in tempo rischi:

  • pignoramento del conto corrente aziendale
  • fermo di macchine CNC, affilatrici, forni e strumentazioni
  • blocco delle forniture di materie prime e utensili grezzi
  • impossibilità di completare ordini e forniture a clienti industriali
  • perdita di clienti strategici e contratti ricorrenti
  • danni alla reputazione professionale
  • crisi di liquidità e mancato pagamento di personale e fornitori
  • rischio reale di chiusura dell’attività

Nel settore degli utensili, anche ritardi minimi possono fermare catene di produzione dei clienti, causando ulteriori penali.

Come un avvocato può aiutarti concretamente

Un avvocato esperto in debiti aziendali può:

  • bloccare subito pignoramenti e procedure esecutive
  • ridurre l’importo totale dei debiti tramite trattative mirate
  • ottenere rateizzazioni gestibili con AE e INPS
  • annullare debiti irregolari, prescritti o notificati in modo scorretto
  • mediare con banche e fornitori evitando sospensioni delle consegne
  • proteggere magazzino, macchinari e continuità produttiva
  • stabilizzare l’azienda mentre ristrutturi il debito
  • evitare l’insolvenza e salvare l’impresa

Una strategia professionale può salvare la tua azienda anche in situazioni molto difficili.

Come evitare il blocco dell’attività

Per non rischiare il fermo produttivo devi:

  • intervenire subito senza attendere nuovi solleciti
  • evitare trattative senza una strategia chiara
  • tutelare fornitori chiave e materiali fondamentali
  • ristrutturare i debiti prima che arrivino pignoramenti
  • individuare debiti contestabili o calcolati male
  • preservare liquidità per garantire lavorazioni, affilature e consegne

Così puoi evitare ritardi, penali e la perdita di clienti strategici.

Quando rivolgersi a un avvocato

D devi farlo se:

  • hai ricevuto solleciti, intimazioni o preavvisi di pignoramento
  • i debiti con AE Riscossione, INPS o fornitori stanno aumentando
  • rischi il blocco del conto corrente
  • la liquidità si sta esaurendo
  • faccio fatica a rispettare i pagamenti
  • vuoi evitare la chiusura dell’azienda

Un avvocato esperto può bloccare le procedure, ristrutturare i debiti e proteggere realmente la tua attività.

Attenzione: molte aziende non falliscono per i debiti, ma per aver aspettato troppo prima di intervenire. Con una strategia adeguata puoi ridurre, rinegoziare o eliminare parte dei debiti, salvando davvero l’azienda.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in debiti aziendali e difesa di imprese metalmeccaniche – ti aiuta a mettere in sicurezza la tua azienda di progettazione e produzione di frese, punte e utensili.

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Introduzione

Un’azienda specializzata nella progettazione e produzione di frese, punte e utensili – tipicamente un’impresa manifatturiera meccanica – può trovarsi esposta a debiti significativi di varia natura. Tali debiti possono riguardare il fisco (debiti tributari), gli enti previdenziali (contributi non versati), le banche (finanziamenti e scoperti di conto), i fornitori commerciali, nonché esposizioni già sfociate in azioni esecutive (pignoramenti, ipoteche, decreti ingiuntivi) da parte dei creditori. Dal punto di vista del debitore (in questo caso l’azienda e i suoi titolari o amministratori), è fondamentale conoscere quali strumenti giuridici offre l’ordinamento italiano – aggiornato a ottobre 2025 – per difendersi dai creditori, gestire la crisi finanziaria e, ove possibile, risanare l’impresa.

Questa guida fornisce un’analisi avanzata e dettagliata, rivolta sia a professionisti del diritto (avvocati, consulenti legali) sia a imprenditori, commercialisti, consulenti del lavoro e organi di controllo aziendale (sindaci, revisori), con un linguaggio tecnico-giuridico ma di taglio divulgativo. Verranno affrontati i vari tipi di debito e le loro conseguenze, gli strumenti di regolazione della crisi d’impresa introdotti o riformati di recente (piani di risanamento, accordi di ristrutturazione, composizione negoziata, concordato preventivo anche “semplificato”, ecc.), nonché i profili penali connessi all’indebitamento (ad es. responsabilità per bancarotta, sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte e indebita compensazione di crediti tributari). Il tutto sarà corredato da riferimenti normativi italiani aggiornati, richiamando le novità legislative più recenti (come il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza – D.lgs. 14/2019 e successive modifiche) e le ultime sentenze di rilievo delle giurisdizioni superiori, per offrire una panoramica completa e attendibile.

Cosa significa “difendersi dai debiti” per un’azienda? In questo contesto, significa mettere in atto strategie lecite per evitare o limitare le azioni esecutive dei creditori, prevenire la paralisi dell’attività, sfruttare le procedure di ristrutturazione del debito o insolvenza per congelare le pretese dei creditori e trovare un accordo sostenibile, ed evitare, per quanto possibile, le conseguenze più gravi come la perdita dell’impresa o le sanzioni penali a carico degli amministratori. Si tratta di un equilibrio delicato: il debitore deve muoversi tempestivamente e in buona fede, rispettando le normative vigenti e al contempo tutelando la continuità aziendale e il proprio patrimonio.

Nei paragrafi che seguono, analizzeremo dapprima le tipologie di debiti che gravano su un’azienda e il perché è importante distinguerle. Successivamente passeremo in rassegna i mezzi di difesa e risanamento – dagli accordi stragiudiziali alle procedure concorsuali – spiegando come funzionano e quando ciascuno è indicato. Affronteremo poi gli aspetti penali, ossia quali condotte dell’imprenditore indebitato possono configurare reati (ad esempio, non tenere la contabilità o occultare beni può portare a bancarotta fraudolenta ). Saranno incluse domande e risposte frequenti per chiarire dubbi pratici, tabelle riepilogative per confrontare soluzioni alternative e alcune simulazioni pratiche basate su ipotesi tipiche (ad esempio, cosa succede se l’azienda chiede una composizione negoziata oppure cosa accade se non paga tributi per lungo tempo).

Importante: Questa guida adotta il punto di vista del debitore, ovvero fornisce consigli e spiegazioni orientati a chi è dalla parte dell’impresa indebitata, non del creditore. Ciò non significa trascurare i diritti dei creditori – che la legge tutela – ma focalizzarsi sulle facoltà e sulle difese che la normativa riconosce all’imprenditore in difficoltà. L’obiettivo finale è offrire all’azienda debitrice (e ai suoi consulenti) una bussola per navigare la crisi in modo legale ed efficace, minimizzando i danni e magari uscendo da una situazione apparentemente disperata attraverso strumenti di risanamento o accordi sostenibili.

Tipologie di debiti aziendali e relative conseguenze

Non tutti i debiti sono uguali. Un primo passo per un’azienda gravata da esposizioni è capire che tipo di debiti ha accumulato, poiché ciascuna categoria di credito segue regole leggermente diverse in termini di privilegi, azioni esecutive e possibilità di composizione. Ecco le principali tipologie di debito che un’azienda metalmeccanica (come quella del nostro esempio) potrebbe avere:

  • Debiti tributari (fiscali): comprendono imposte dovute allo Stato e non pagate (IVA, IRES, IRAP, ritenute fiscali su stipendi e compensi, etc.). Questi debiti godono spesso di privilegi sui beni del debitore (il fisco, in caso di insolvenza, è soddisfatto con precedenza rispetto ai crediti chirografari) e sono riscossi tramite la procedura di iscrizione a ruolo e cartella esattoriale. Se l’azienda non paga volontariamente, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia) può procedere a pignoramenti di beni mobili, immobili, conti correnti, blocchi dei crediti verso terzi (es. presso i clienti) e altre azioni esecutive. Per il debitore è cruciale sapere che i debiti fiscali possono essere rateizzati oppure transatti (vedremo oltre la transazione fiscale) ma non possono essere semplicemente ignorati: l’accumulo di consistenti debiti tributari espone gli amministratori anche a rischi penali (si pensi all’omesso versamento di IVA oltre soglia o delle ritenute – reati disciplinati dal D.Lgs. 74/2000 ). Inoltre, un carico fiscale elevato non gestito può condurre l’erario a chiedere il fallimento (oggi liquidazione giudiziale) dell’azienda debitrice.
  • Debiti contributivi e previdenziali: sono quelli verso enti come INPS e INAIL (contributi pensionistici dei dipendenti, premi assicurativi obbligatori, ecc.). Anch’essi sono dotati di privilegio generale sui mobili e seguono un meccanismo di riscossione analogo a quello fiscale (cartelle esattoriali). Il mancato versamento dei contributi ha conseguenze sia amministrative che – per la parte trattenuta ai lavoratori – potenzialmente penali. In Italia, infatti, l’omesso versamento delle ritenute previdenziali (cioè dei contributi trattenuti in busta paga al dipendente) superiore a €10.000 annui costituisce reato punito con la reclusione fino a 3 anni . Importante: sotto tale soglia resta una violazione amministrativa con sanzione pecuniaria (recentemente la Corte Costituzionale ha confermato la legittimità di una sanzione fissa tra 1,5 e 4 volte l’importo omesso sotto i 10.000 €, ritenendola conforme ai principi di ragionevolezza ). In altre parole, se un’azienda non versa i contributi previdenziali dei dipendenti, rischia multe salate e i suoi responsabili possono essere denunciati penalmente oltre un certo importo, senza che lo stato di crisi economica li esenti dalla responsabilità (la difficoltà finanziaria non è una scusante automatica secondo la giurisprudenza consolidata ).
  • Debiti bancari e finanziari: riguardano mutui, finanziamenti, scoperti di conto corrente, leasing e altri crediti vantati da banche o intermediari finanziari. Questi crediti spesso sono assistiti da garanzie (ad esempio ipoteche su immobili aziendali, pegni su macchinari, o fideiussioni personali dei titolari). In caso di insolvenza, il credito garantito da ipoteca o pegno gode di privilegio speciale sul bene dato in garanzia (es.: la banca ipotecaria verrà soddisfatta con preferenza sul ricavato della vendita dell’immobile ipotecato). Le banche, in presenza di insolvenza, tendono a revocare gli affidamenti (fidi, anticipo fatture) e chiedere il rimborso immediato del dovuto, attivando se necessario procedure giudiziali. Il debitore può difendersi cercando una rinegoziazione del debito (allungamento dei termini, moratorie), spesso con l’aiuto di un advisor finanziario; oppure ricorrendo alle procedure concorsuali (concordato preventivo o accordi di ristrutturazione) che possono imporre una moratoria ai creditori finanziari. Da notare: se i titolari hanno prestato garanzie personali (fideiussioni), la crisi dell’azienda rischia di propagarsi al patrimonio personale degli imprenditori, poiché la banca potrà escutere direttamente il garante se la società non paga. Per questo motivo, nella gestione dei debiti bancari di un’azienda familiare, gli interessi dell’impresa e quelli personali dei soci garanti sono strettamente connessi.
  • Debiti verso fornitori (commerciali): sono i debiti contratti per l’acquisto di beni e servizi da altri operatori economici. In genere questi creditori sono chirografari (senza garanzia né privilegio) e, in caso di insolvenza, rischiano di essere pagati solo parzialmente dopo i creditori privilegiati. I fornitori insoddisfatti possono agire in via monitoria (ottenere un decreto ingiuntivo) e poi in via esecutiva (pignorare merci, attrezzature, crediti). Spesso però, anziché arrivare subito allo scontro legale, un fornitore commerciale preferisce negoziare – ad esempio accettando un pagamento parziale a saldo (“saldo e stralcio”) o dilazioni, se intravede prospettive di continuare il rapporto d’affari. Un’azienda debitore deve quindi valutare attentamente la gestione dei debiti verso fornitori: questi ultimi, se non soddisfatti, potrebbero interrompere le forniture indispensabili per la produzione, aggravando la crisi. Inoltre, un singolo fornitore potrebbe presentare istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) se il credito supera determinate soglie e l’insolvenza è conclamata. È spesso consigliabile, in ottica difensiva, comunicare tempestivamente con i fornitori, evitando che agiscano isolatamente: meglio includerli in un eventuale piano di ristrutturazione collettivo (ad esempio prevedendo che ricevano una percentuale del credito in concordato preventivo).
  • Debiti da leasing, fornitori di energia, utenze: sono una sottocategoria dei debiti commerciali, ma meritano una nota perché spesso riguardano beni essenziali (macchinari in leasing, o forniture di gas/energia). Il mancato pagamento, oltre all’azione legale, può comportare risoluzioni contrattuali immediate (es.: la società di leasing può riprendere il bene concesso se non si pagano i canoni). Nelle procedure di composizione della crisi si tende a tutelare la continuità aziendale garantendo la fornitura dei servizi essenziali: ad esempio, durante un concordato preventivo o una composizione negoziata con misure protettive, i fornitori di utenze non possono sospendere i servizi per morosità pregresse senza autorizzazione, né rescindere i contratti in essere solo perché l’azienda ha avviato la procedura . Questo è un importante scudo legale per il debitore in crisi, atto a impedire che l’azienda venga “strozzata” dall’interruzione di forniture vitali.
  • Debiti già in fase esecutiva (azioni giudiziarie in corso): se alcuni creditori hanno già ottenuto un titolo esecutivo (sentenza, decreto ingiuntivo non opposto) e magari avviato pignoramenti o altre azioni, l’azienda si trova sotto pressione immediata. In tali casi, esistono strumenti di difesa processuale come le opposizioni all’esecuzione o agli atti esecutivi (se vi sono irregolarità procedurali) e soprattutto gli strumenti concorsuali che possono congelare le esecuzioni. Ad esempio, con la presentazione di una domanda di concordato preventivo (anche con riserva) le azioni esecutive individuali vengono sospese automaticamente per legge (stay delle azioni esecutive). Analogamente, nell’ambito della composizione negoziata della crisi d’impresa (procedura stragiudiziale assistita introdotta di recente), l’imprenditore può richiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive che bloccano i creditori: dal giorno in cui l’istanza di misure protettive è pubblicata nel registro delle imprese, i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio dell’azienda . Ciò offre un periodo di respiro durante il quale negoziare senza l’assillo di pignoramenti imminenti. Tuttavia, va precisato che dette misure vanno poi confermate dal giudice e possono essere revocate se abusate; inoltre, di norma non bloccano le azioni dei creditori lavoratori per il recupero di stipendi (per tutelare i dipendenti) .
  • Debiti verso dipendenti: riguardano retribuzioni non pagate, trattamento di fine rapporto (TFR) e altre spettanze. Questi debiti hanno priorità altissima: i salari maturati negli ultimi mesi e il TFR sono crediti privilegiati (privilegio generale sui mobili e anche sui beni immobili dell’azienda in certi casi). Inoltre i lavoratori possono rivolgersi al tribunale per ingiunzioni veloci e, in caso di insolvenza grave, hanno accesso al Fondo di Garanzia INPS che anticipa il TFR e stipendi dovuti, surrogandosi poi nei loro diritti. Un accumulo di stipendi non pagati è un segnale fortissimo di crisi conclamata e può portare sia a contenziosi di lavoro sia a istanze di fallimento. Nell’ottica del debitore, è prioritario cercare di soddisfare (almeno in parte) i dipendenti o trovare un accordo, sia perché moralmente e socialmente doveroso, sia perché una crisi in cui i dipendenti rimangono scoperti rischia di sfociare anche in conseguenze penali per l’imprenditore (ad esempio, l’omesso versamento di ritenute fiscali su stipendi non corrisposti può comunque configurarsi come reato se la ritenuta è stata operata in busta paga ma non versata al fisco). Fortunatamente, nelle procedure concorsuali i dipendenti sono considerati creditori protetti: in un concordato o nella liquidazione giudiziale avranno soddisfazione prioritaria delle loro spettanze, e spesso l’INPS subentra per garantire almeno il minimo dovuto.

Riassumendo, un’azienda indebitata deve mappare i propri debiti in queste categorie per stabilire un ordine di priorità nelle azioni da intraprendere. I debiti fiscali e contributivi, oltre a essere privilegiati, possono portare a sanzioni e vanno affrontati con strumenti specifici (rateizzazioni, transazioni) di cui parleremo. I debiti bancari e finanziari implicano spesso garanzie reali o personali e richiedono negoziazioni mirate con gli istituti creditori. I debiti verso fornitori possono forse essere composti con accordi transattivi se l’azienda riesce a presentare un piano credibile di rientro (magari coinvolgendo tutte le parti in un unico piano di ristrutturazione). I debiti verso lavoratori devono essere trattati con massima urgenza e sensibilità. Ignorare il problema sperando di guadagnare tempo non è mai la strategia giusta: la legge italiana, soprattutto con le riforme degli ultimi anni, spinge l’imprenditore in crisi ad attivarsi precocemente (principio dell’“early warning”) per evitare che l’indebitamento degeneri in insolvenza irreversibile . Vediamo dunque quali strumenti di risanamento e regolazione della crisi d’impresa esistono a disposizione del debitore.

Strumenti per la gestione della crisi e del debito

La normativa italiana prevede diversi strumenti giuridici che un’azienda in difficoltà può utilizzare per gestire e risolvere la propria situazione debitoria. Tali strumenti spaziano da soluzioni stragiudiziali (accordi privati, piani attestati) a vere e proprie procedure concorsuali davanti all’autorità giudiziaria (concordato preventivo, liquidazione giudiziale, ecc.). Dal 2022 è entrato in vigore il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.lgs. 14/2019, spesso abbreviato CCII), come più volte modificato e integrato (notabilmente dai correttivi del 2022 e 2023-2024), che ha ridisegnato gran parte di questi strumenti. Aggiornato a ottobre 2025, ecco i principali mezzi di risanamento o liquidazione ordinata dei debiti a disposizione di un imprenditore:

Piano di risanamento attestato (strumento stragiudiziale)

Il piano attestato di risanamento è una soluzione stragiudiziale (fuori dai tribunali) prevista dall’art. 56 CCII (che ricalca l’art. 67, co. 3, lett. d) della vecchia Legge Fallimentare). Consiste in un piano industriale e finanziario che mira a risanare l’esposizione debitoria dell’impresa, accompagnato dalla relazione di un esperto indipendente (attestatore) il quale certifica che il piano è idoneo a riportare l’azienda in bonis e a assicurare il regolare pagamento dei creditori.

Caratteristiche del piano attestato: – Nessun coinvolgimento diretto del tribunale: il piano è un accordo privato tra l’azienda e alcuni o tutti i creditori. Non richiede omologazione o approvazione giudiziaria. Può restare riservato (anche se spesso è opportuno depositarne notizia presso il Registro delle Imprese per ottenere alcuni effetti protettivi). – Finalità: evitare il fallimento attraverso il risanamento dell’impresa. Il piano può prevedere ristrutturazione del debito (ad es. dilazioni, riduzioni parziali, conversione di crediti in azioni), cessione di beni non strategici per fare cassa, ricapitalizzazioni, ricerca di nuovi soci, ecc., purché vi sia la prospettiva concreta di continuare l’attività in modo sostenibile. – Protezione limitata: a differenza di altre procedure, il piano attestato di per sé non blocca le azioni esecutive dei creditori dissenzienti. La sua utilità principale è però che – se effettivamente eseguito – consente alle parti aderenti di beneficiare di un’esenzione da revocatorie fallimentari: i pagamenti e le garanzie concesse in esecuzione del piano non sono revocabili in caso di successivo fallimento (ex art. 56 CCII, riprendendo l’ex art. 67 L.F.). Ciò dà fiducia ai creditori che partecipano al piano, poiché sanno che le soddisfazioni ricevute non verranno annullate ex post. – Attestazione indipendente: la figura chiave è l’attestatore (un professionista esperto in materia contabile e di crisi, solitamente commercialista o revisore) che verifica i dati aziendali e la fattibilità del piano. La sua relazione deve confermare che l’azienda non sta barando sulle carte e che le previsioni sono realistiche. Un’attestazione mendace può esporre l’attestatore a responsabilità e inficiare il piano. – Volontarietà: i creditori aderiscono su base volontaria. Non c’è voto né maggioranza legale: serve il consenso individuale di ciascun creditore rilevante. Pertanto, il piano attestato funziona quando l’azienda ha un numero limitato di creditori principali con cui può trovare un accordo, oppure quando l’esposizione non è eccessivamente frammentata.

In pratica, il piano attestato è utile se l’impresa intravede una via d’uscita (ad esempio un aumento di commesse, oppure la dismissione di un ramo d’azienda per incassare liquidità) e vuole negoziare in autonomia con i creditori, beneficiando però di uno “scudo” sulle azioni compiute (grazie alla non revocabilità). Non risolve però situazioni in cui molti creditori non sono d’accordo o in cui serve imporre sacrifici anche ai dissenzienti – per quelle situazioni occorre passare a strumenti omologati dall’autorità giudiziaria come gli accordi di ristrutturazione o il concordato.

Esempio: la nostra azienda di utensili ha principalmente tre banche esposte e due fornitori strategici; formula un piano in cui un investitore apporta nuovi capitali e le banche accettano di allungare i finanziamenti in cambio di garanzie aggiuntive, mentre i fornitori accettano un pagamento parziale immediato e il resto a rate. Un esperto attesta che, grazie a questo piano, l’azienda potrà tornare redditizia e pagare i debiti residui. Se tutte le parti aderiscono formalmente, il piano va avanti senza intervento del tribunale. Qualora in futuro qualcuno cercasse di far revocare i pagamenti fatti a banche e fornitori, non potrebbe, poiché effettuati in esecuzione di un piano attestato regolarmente asseverato . Tuttavia, se un altro creditore non incluso nel piano tentasse nel frattempo un pignoramento, il piano attestato di per sé non lo ferma – in tal caso, l’azienda dovrebbe considerare misure protettive o altri strumenti.

Accordo di ristrutturazione dei debiti (ADR) omologato

L’accordo di ristrutturazione dei debiti è uno strumento intermedio: è un accordo negoziato con i creditori ma che viene poi omologato dal tribunale, acquisendo efficacia legale anche verso terzi in alcuni casi. È disciplinato dagli artt. 57 e seguenti CCII (già art. 182-bis L.F.), con diverse varianti introdotte di recente. Le caratteristiche principali sono:

  • Soglia di consenso: per richiedere l’omologazione, l’imprenditore deve aver ottenuto l’adesione di creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali (salvo “accordi agevolati” con soglia 30% introdotti per piccole imprese in particolari condizioni, secondo le ultime novità). I creditori non aderenti restano fuori dall’accordo, ma possono subire una moratoria delle azioni esecutive fino all’omologazione.
  • Intervento del giudice: il tribunale, su ricorso del debitore, omologa l’accordo dopo aver verificato che sono rispettate le forme di legge, che l’accordo assicura l’integrale pagamento dei creditori estranei nei 120 giorni dalla scadenza o dall’omologazione (per legge devono essere soddisfatti integralmente fuori accordo) e che c’è la fattibilità del piano. Con l’omologazione l’accordo vincola tutti i creditori aderenti e produce determinati effetti.
  • Possibilità di includere il fisco e gli enti previdenziali: un accordo di ristrutturazione può comprendere anche i debiti tributari e contributivi tramite la transazione fiscale e contributiva (art. 63 CCII, ex art. 182-ter L.F.). In sostanza, l’Erario e gli enti come l’INPS possono aderire all’accordo accettando una falcidia (riduzione) o dilazione dei loro crediti . Fino a poco tempo fa, se l’Erario non aderiva volontariamente, l’accordo saltava per quella parte; ma con le riforme recenti è stata prevista la possibilità di omologazione forzosa (cram-down) della transazione fiscale in certi casi, di cui diremo a breve.
  • Effetti protettivi: il debitore può chiedere al tribunale misure cautelari per bloccare le azioni esecutive durante le trattative (similmente a quanto avviene nel concordato preventivo). All’omologazione, l’accordo è opponibile anche ai creditori che non hanno partecipato limitatamente a eventuali moratorie (ma non li può obbligare a riduzioni, in linea di massima, a meno di estensioni particolari).
  • Varianti e novità: il Codice della Crisi ha introdotto vari tipi di ADR:
    • Accordi con estensione ai creditori non aderenti (se raggiunto il 75% di adesioni in una certa classe omogenea, il debitore può chiedere che l’accordo sia esteso anche ai dissenzienti di quella classe, purché siano soddisfatti in misura non inferiore a come sarebbero in fallimento e ci sia attestazione di convenienza – è una sorta di cram-down settoriale).
    • Accordo agevolato (possibile con solo il 30% di consensi se il debitore è PMI e soddisfa certi parametri, come introdotto dal “Decreto Dirigenziale” del 2022 – misura per facilitare l’accesso delle piccole imprese).
    • Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO): figura introdotta dal recepimento della Direttiva UE 2019/1023, di fatto assimilabile a un accordo di ristrutturazione che può divenire vincolante anche per alcune categorie dissenzienti, con regole di voto e cram-down più vicine al concordato preventivo (un istituto “ibrido” la cui disciplina è stata affinata nel 2023-2024).

L’accordo di ristrutturazione è utile quando l’azienda riesce a farsi supportare da una massa critica di creditori (60% o più) ma vuole evitare il voto di tutti i creditori tipico del concordato. Consente una maggiore flessibilità contrattuale: si può negoziare con i principali creditori condizioni ad hoc. I creditori estranei devono però essere pagati integralmente entro certi termini, il che può richiedere risorse immediate. Questo strumento è spesso usato in combinazione con la transazione fiscale per ridurre il debito verso lo Stato.

Transazione fiscale e omologazione forzosa (cram-down fiscale): una delle innovazioni più rilevanti (aggiornata al 2024) è la disciplina rinnovata della transazione fiscale negli accordi e nei concordati. Se il Fisco o gli enti previdenziali non aderiscono all’accordo, ma la loro adesione sarebbe determinante per raggiungere le soglie, il debitore può chiedere al tribunale di omologare comunque l’accordo applicando un cram-down, purché: 1. L’accordo non sia liquidatorio (cioè preveda la continuazione aziendale o comunque soluzioni diverse dalla mera liquidazione dei beni) . 2. I creditori aderenti (non pubblici) rappresentino almeno il 25% dei crediti totali . 3. Il trattamento offerto al Fisco/Enti non sia deteriore rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale (in pratica il piano deve dare al Fisco almeno quanto otterrebbe in caso di fallimento dell’azienda) . 4. Il soddisfacimento offerto ai crediti tributari sia almeno pari al 50% del loro ammontare (esclusi sanzioni e interessi) – soglia elevata al 60% se i creditori “privati” aderenti sono meno del 25% .

Vi sono condizioni ostative, ad esempio il debitore non deve aver già beneficiato di una transazione fiscale poi saltata nei 5 anni precedenti, né deve trattarsi di un caso in cui il debito fiscale costituisce oltre l’80% del totale ed è frutto soprattutto di omessi versamenti seriali o frodi (situazione in cui il legislatore presume una inaffidabilità tale da non consentire forzature) . In sostanza, il legislatore ha bilanciato l’esigenza di evitare che un singolo diniego del Fisco blocchi ristrutturazioni vantaggiose (introducendo il cram-down fiscale) con l’esigenza di prevenire abusi da parte di chi ha accumulato montagne di debiti fiscali evadendo scientemente.

Questa novità del 2023/2024 è fondamentale: prima, l’Agenzia delle Entrate aveva un potere di veto assoluto. Oggi, in casi selezionati, il tribunale può omologare lo stesso l’accordo di ristrutturazione includendo il Fisco anche contro la sua volontà . Ciò incentiva il fisco a negoziare ragionevolmente, sapendo che se la proposta è equa e l’alternativa è peggiore (il fallimento in cui magari incasserebbe zero), il giudice potrebbe bypassare il suo diniego.

Composizione negoziata della crisi d’impresa

Introdotta col D.L. 118/2021 (conv. in L. 147/2021) e ora integrata nel Codice della Crisi (artt. 12-25 CCII ), la composizione negoziata è una procedura volontaria e stragiudiziale assistita volta a favorire la ristrutturazione dell’impresa prima che sfoci nell’insolvenza conclamata. È uno strumento innovativo ispirato alla logica dell’“allerta precoce” e della negoziazione guidata da un esperto indipendente.

In sintesi, ecco come funziona: – L’imprenditore in situazione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario (ancorché potenzialmente anche in insolvenza “reversibile”) può presentare istanza tramite una piattaforma telematica nazionale per la nomina di un esperto indipendente. Questo esperto (spesso un commercialista, avvocato o consulente con specifiche qualifiche) viene nominato da una commissione apposita presso la Camera di Commercio e ha il compito di agevolare le trattative tra l’imprenditore e i creditori . – La procedura è riservata (non c’è una pubblicità equivalente a quella di un fallimento) salvo l’eventuale pubblicazione di misure protettive o dell’esito finale. Durante la composizione negoziata, l’impresa continua ad operare sotto la guida degli amministratori esistenti, ma con l’affiancamento dell’esperto che monitora e guida i contatti con i creditori. – Misure protettive: come anticipato, l’imprenditore può chiedere sin dall’istanza iniziale o anche dopo l’avvio delle trattative che siano concesse misure protettive del patrimonio (ex art. 18 CCII). Tali misure, una volta pubblicate, bloccano i creditori: questi non possono acquisire nuove garanzie né iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari . Inoltre impediscono la dichiarazione di fallimento (liquidazione giudiziale) su iniziativa dei creditori durante i negoziati . Le misure protettive devono essere confermate dal tribunale entro 30 giorni, previa verifica che la prosecuzione delle trattative sia giustificata e non pregiudichi indebitamente i creditori (ad esempio il giudice valuta se l’impresa ha prospettive di riuscita e se l’istanza di protezione non è strumentale). È possibile modulare tali misure chiedendo di escludere alcuni crediti (si possono limitare a determinate azioni o determinati creditori) , ad esempio l’imprenditore può decidere di non congelare i fornitori strategici per continuare a ricevere forniture. – Ruolo dell’esperto: l’esperto è il facilitatore neutrale. Convoca le parti, esamina le proposte dell’imprenditore e le controproposte dei creditori, cerca punti d’incontro. Non ha poteri coercitivi, ma può fare pressione affinché si trovi un accordo equo. Alla fine delle trattative, redige una relazione finale sulle conclusioni. – Durata: la composizione negoziata ha una durata breve, inizialmente fino a 180 giorni prorogabili di ulteriori 180 (massimo circa 12 mesi). L’idea è di risolvere rapidamente la crisi o passare ad altro. – Esiti possibili: – Accordo stragiudiziale: se le trattative riescono, l’imprenditore e i creditori possono sottoscrivere un accordo “privato” di ristrutturazione del debito (che può essere un piano attestato, una convenzione di moratoria, un accordo transattivo). In tal caso la composizione negoziata si chiude positivamente e l’azienda esce dalla procedura. Grazie alle modifiche normative di fine 2024, è ora possibile includere formalmente anche il Fisco in un accordo di composizione negoziata tramite una transazione fiscale ad hoc: dal 28 settembre 2024, infatti, è stato inserito un comma 2-bis all’art. 23 CCII che permette di concludere nell’ambito della composizione negoziata un accordo con l’Erario per il trattamento dei debiti tributari . Prima di tale modifica il fisco non poteva aderire “ufficialmente” se non tramite successivo accordo ex art.63, ora invece è contemplato un istituto ad hoc che consente all’esperto di supervisionare anche una transazione fiscale preventiva. – Accordo di ristrutturazione o concordato preventivo: la composizione negoziata può anche fungere da preludio a una procedura concorsuale semplificata. Se durante le trattative emerge che la soluzione migliore è un concordato preventivo (con continuità o liquidatorio) o un accordo ex art.57, l’imprenditore può predisporre tale domanda. I vantaggi sono: aver guadagnato tempo e forse già consenso dei maggiori creditori grazie alla negoziazione riservata. Addirittura, la legge consente ora all’imprenditore, entro 60 giorni dalla chiusura delle trattative, di presentare un concordato preventivo con il beneficio delle agevolazioni sui finanziamenti e sulle prededuzioni previsti per la composizione negoziata (specie se l’esperto finale attesta che la proposta concordataria riflette l’esito delle trattative svolte). – Concordato “semplificato” per la liquidazione del patrimonio: se le trattative falliscono (esito negativo certificato dall’esperto) ma l’impresa è insolvente, il debitore ha la facoltà – introdotta nel 2021 e confermata dal Codice – di richiedere un concordato semplificato. Questo è uno speciale concordato senza passare dal voto dei creditori, finalizzato alla liquidazione dei beni, di cui parliamo a breve in dettaglio. È subordinato, ovviamente, al fatto che la composizione negoziata sia stata effettivamente esperita con correttezza e buona fede . Lo scopo di questa opzione è evitare che un tentativo di composizione volontaria finisca direttamente in fallimento: si offre uno strumento in più al debitore “meritevole” che ha provato a negoziare ma non c’è riuscito. – Archiviazione: se la situazione migliora (ad esempio l’azienda trova nuovi capitali o i creditori vengono saldati per vie proprie) o se l’imprenditore decide di rinunciare, la procedura può concludersi senza accordo né concordato. L’esperto ne prende atto e redige relazione. Attenzione però: se l’impresa rimane insolvente, i creditori a questo punto potrebbero attivarsi (non c’è più protezione) e l’imprenditore potrebbe incorrere in responsabilità se non prende misure (ad esempio istanza di liquidazione giudiziale).

La composizione negoziata è dunque uno strumento molto interessante dal punto di vista del debitore: consente di guadagnare tempo e bloccare aggressioni, mantenendo il controllo dell’azienda, e di cercare soluzioni consensuali con il supporto di un esperto. È meno traumatica di una procedura concorsuale tradizionale e spesso mantiene maggiore riservatezza (non si finisce immediatamente sui registri come “impresa insolvente”, cosa che può preservare la reputazione verso clienti e fornitori durante il tentativo di salvataggio). D’altro canto, richiede trasparenza e collaborazione: l’imprenditore deve fornire all’esperto e ai creditori le informazioni necessarie e agire correttamente, altrimenti l’esperto può chiudere anticipatamente la procedura segnalando eventuali abusi. Inoltre, la composizione negoziata non garantisce di per sé un risultato: molto dipende dalla volontà dei creditori di venire a patti. Non a caso, il legislatore ha dovuto potenziare l’istituto introducendo l’accordo fiscale e il concordato semplificato come “uscite di sicurezza”.

Concordato preventivo (in continuità o liquidatorio)

Il concordato preventivo è una procedura concorsuale giudiziale classica, prevista oggi dagli artt. 84 e seguenti CCII (corrispondenti all’art. 160 e segg. L.F. previgente, ma con varie modifiche). In termini semplici, il concordato è un accordo di ristrutturazione o liquidazione che viene proposto dall’imprenditore al cospetto del tribunale e che, previa approvazione dei creditori mediante voto e successiva omologazione del giudice, diviene vincolante per tutti i creditori anteriori. È uno strumento potente perché consente di imporre anche ai dissenzienti la soluzione, a condizione di seguire l’iter previsto e rispettare determinati requisiti di legge a tutela dei creditori.

Esistono due principali tipologie di concordato preventivo: – Concordato in continuità aziendale: il piano prevede che l’attività dell’azienda prosegua, sia pure eventualmente in forma ridotta o attraverso un affitto/trasferimento a terzi, allo scopo di massimizzare la soddisfazione dei creditori nel tempo. La continuità può essere diretta (l’azienda stessa prosegue l’attività durante e dopo il concordato, utilizzando i ricavi per pagare i creditori secondo il piano) oppure indiretta (l’azienda cede o affitta l’azienda a un altro soggetto che garantisce continuità occupazionale e produttiva). Il concordato in continuità ha regole proprie: ad esempio, è possibile pagare alcuni creditori strategici in prededuzione per assicurare la prosecuzione dell’attività; inoltre non è richiesto di garantire una percentuale minima di pagamento ai chirografari, ma bisogna dimostrare che la continuità offre ai creditori una soddisfazione migliore rispetto alla liquidazione dei beni . Il tribunale valuta la plausibilità del piano e la sua capacità di evitare sprechi di valore (ad es. vendendo l’azienda come “azienda in funzione” si potrebbe ricavare di più che spezzettando e liquidando i beni). – Concordato liquidatorio: il piano prevede la cessazione dell’attività e la liquidazione di tutto o parte del patrimonio, ma in modo controllato e distribuito tra i creditori secondo le regole concordatarie. Tradizionalmente, il concordato liquidatorio doveva assicurare ai creditori chirografari almeno il 20% del loro credito (soglia minima di legge) per essere ammissibile. Il CCII ha in parte rivisto queste soglie, prevedendo possibili deroghe (ad esempio se si offre un apporto di risorse esterne che incrementa il monte attivo). Ad ogni modo, in un concordato liquidatorio tipico, l’imprenditore propone di vendere beni o far cassa in altro modo e ripartire il ricavato tra i creditori in un certo ordine e percentuale. Una variante del concordato liquidatorio, come vedremo subito, è il concordato semplificato post-composizione negoziata, che è sempre liquidatorio ma con procedure più snelle e senza voto.

Procedura in breve: il debitore presenta una domanda di concordato al tribunale della propria sede (può essere con piano e proposta immediati, oppure “con riserva” depositando solo la domanda e depositando piano e documenti entro un termine). Il tribunale verifica i requisiti iniziali (assenza di cause di inammissibilità, ad esempio proposte manifestamente impraticabili) e, se ammette la procedura, nomina un commissario giudiziale e stabilisce termini e modalità per il voto dei creditori. I creditori vengono suddivisi in eventuali classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei; possono essere previste classi di creditori con trattamenti differenziati (specie nel concordato in continuità è obbligatoria la formazione di classi se ci sono creditori con diritti diversi). I creditori votano la proposta concordataria (può avvenire in adunanza convocata o per espressione scritta del voto). Serve il voto favorevole di tanti crediti che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto (maggioranza semplice in percentuale di ammontare; se classi, occorre anche che la maggioranza delle classi approvi). Se l’esito della votazione è favorevole, il tribunale passa alla fase di omologazione: verifica legalità e fattibilità del piano, e decide sulle eventuali opposizioni di creditori dissenzienti. Con il decreto di omologazione, il concordato diventa efficace e vincolante: i creditori anteriori vengono soddisfatti nei termini del piano e non possono più agire esecutivamente per la parte di credito falcidiata (devono rinunciare alla quota non pagata, ottenendo semmai, a concordato eseguito, la liberazione del debitore residua).

Garanzie normative per i creditori: Nel concordato, diversamente da un accordo privato, ci sono regole dettate dalla legge a tutela dei creditori, tra cui: – L’obbligo di trattamento paritetico dei creditori all’interno della stessa classe e di rispetto dell’ordine delle cause di prelazione tra classi diverse. Ciò significa, ad esempio, che non si può dare a un creditore chirografario più di un altro se sono nella medesima posizione; e che i creditori privilegiati vanno soddisfatti per intero salvo che acconsentano a riduzioni o che il loro privilegio venga “degradato” in parte a chirografo per incapienza (in tal caso la parte chirografaria segue la sorte degli altri chirografi) . – Il principio del “best interest test”: nessun creditore può ricevere nel concordato meno di quanto otterrebbe in caso di liquidazione fallimentare dell’azienda alla data della proposta. Questa valutazione viene attestata da un perito e verificata dal tribunale. – Nel concordato in continuità, come detto, va dimostrato che la continuazione dell’attività non danneggia i creditori rispetto a una liquidazione immediata (deve apportare un plusvalore). – Possibilità di cram-down tra classi: il CCII (recependo la direttiva UE) prevede che il tribunale possa omologare il concordato anche in mancanza di voto favorevole di una classe dissenziente, se ritiene comunque equo e conveniente il trattamento e vi sono le altre classi favorevoli (questo aspetto è complesso e applicabile in certe condizioni, riflettendo la cosiddetta “cross-class cram down” europea). – Transazione fiscale nel concordato: analogamente a quanto visto per gli accordi, anche nel concordato preventivo i debiti fiscali e contributivi possono essere falcidiati previa adesione dell’Erario. E anche qui la legge ora consente l’omologazione forzosa della transazione fiscale se il fisco rifiuta irragionevolmente ed è soddisfatto almeno al 30% (percentuale ridotta nel 2023) e alle condizioni già elencate per gli accordi . Quindi il debitore non è più alla mercé di un veto dell’erario, se il piano è serio e gli altri creditori sostengono la proposta.

Il concordato preventivo è in genere la via maestra per risolvere crisi complesse con molti creditori. Il suo pregio è che offre una soluzione collettiva e vincolante, con la supervisione del tribunale (che garantisce trasparenza) e con effetti protettivi ampi (dalla data di ammissione, i creditori non possono agire né iniziare o proseguire esecuzioni individuali, similmente alle misure protettive, e anzi sin dal ricorso “con riserva” vige uno stay temporaneo ex lege). Lo svantaggio è che è una procedura relativamente costosa e lunga: prevede formalità, nomina degli organi, termini per il voto, ecc. Inoltre, una volta avviata, l’azienda è in una “terra di nessuno” perché rimane in esercizio ma sotto il controllo del commissario, e qualsiasi atto di straordinaria amministrazione necessita di autorizzazioni (ad esempio vendere un bene durante il concordato richiede ok giudice salvo fosse nel piano). In pratica, il concordato va intrapreso se c’è una chiara visione di piano fattibile e il supporto (almeno informale, inizialmente) dei principali creditori, altrimenti rischia di non superare il voto e portare poi al fallimento.

Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio

Si tratta di una particolare variante di concordato introdotta nel 2021 (D.L. 118/2021) e ora regolata dall’art. 25-sexies CCII . È detto “semplificato” perché: – Presupposto: può essere richiesto solo dall’imprenditore che ha esperito una composizione negoziata senza successo. Deve risultare dalla relazione finale dell’esperto che le trattative si sono svolte correttamente in buona fede, ma non hanno prodotto una soluzione percorribile . Non è necessario che l’esito sia positivo (anzi è per l’esito negativo), ma serve che l’esperto abbia ravvisato all’inizio concrete prospettive di risanamento e che il tentativo sia stato genuino. – Oggetto: è un concordato liquidatorio puro. L’imprenditore propone di cedere e liquidare il patrimonio dell’azienda (in blocco o asset per asset) sotto il controllo del tribunale, distribuendo il ricavato ai creditori secondo le regole di legge. – Niente voto dei creditori: qui sta la maggiore differenza. Nel concordato semplificato non si convocano i creditori per votare. I creditori potranno solo interloquire presentando osservazioni e opposizioni all’omologazione, ma non c’è una fase deliberativa. Questo rende la procedura più rapida e, appunto, “semplificata”. – Ruolo del tribunale: se l’imprenditore deposita la domanda (anche con riserva ora possibile, secondo la modifica del 2024 ), il tribunale verifica la regolarità formale, assegna eventualmente un termine per integrare la proposta e la documentazione (il correttivo 2024 consente un termine ulteriore fino a 15 giorni per aggiustare il tiro se manca qualcosa ) e poi fissa l’udienza per l’omologazione. Il tribunale, prima di aprire la procedura, valuta: (a) che le trattative in composizione negoziata si siano effettivamente svolte correttamente; (b) la plausibilità del piano liquidatorio; (c) dal 2024, anche la corretta formazione delle classi eventualmente (se prevede classi di creditori per trattamento differenziato) . – Soddisfacimento dei creditori privilegiati: inizialmente c’era il dubbio se nel concordato semplificato i creditori con pegno/ipoteca dovessero essere pagati al 100%. Il correttivo-ter ha chiarito che anche qui è possibile non pagarli integralmente, degradando a chirografo la parte del credito che eccede il valore di realizzo dei beni su cui insiste la garanzia, purché sia garantito loro almeno quanto ricaverebbero dalla vendita forzata del bene . In pratica si applica la regola del concordato preventivo ordinario ex art. 84 comma 5 CCII anche al semplificato: i privilegiati possono essere soddisfatti parzialmente “in continenza” col valore di liquidazione dei beni, con l’eventuale residuo come chirografo. – Distribuzione ai chirografari: deve rispettare la regola generale (20% minimo salvo eccezioni, come in un concordato liquidatorio normale). E comunque il piano deve essere equo e non discriminatorio ingiustificatamente tra creditori di pari grado. – Omologazione: i creditori vengono informati e possono opporsi. Se non ci sono opposizioni (o se vengono rigettate), il tribunale omologa se ritiene la proposta conforme alla legge e conveniente per i creditori rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale. Se invece emergono irregolarità, il giudice può non omologare. – Gestione dell’attivo: di solito il piano prevede che un liquidatore concordatario (nominato dal tribunale) proceda a vendere i beni aziendali e ripartire i proventi. Spesso vi può essere già un’offerta per l’azienda o per asset principali, che viene inserita nel piano per dare concretezza (tipo: un terzo è disposto ad acquistare l’intera azienda per X euro, somma che andrà ai creditori). Ciò evita aste lunghe.

Il concordato semplificato è stato pensato per evitare che un’impresa che ha provato davvero a negoziare resti incagliata nel fallimento diretto. Esempio: la nostra azienda di utensili tenta una composizione negoziata ma alcune banche non ne vogliono sapere di accordi. L’esperto conclude negativamente. A questo punto, invece di attendere l’inevitabile istanza di fallimento da parte delle banche, l’imprenditore può proporre un concordato semplificato: ad esempio, cedere tutti i macchinari e brevetti ad un concorrente interessato che pagherà una somma; magari l’imprenditore ha trovato questo potenziale acquirente durante la negoziazione. Presenta quindi il piano al tribunale, che – se tutto è regolare – lo omologa (senza voto delle banche). Il ricavato di quella cessione va poi diviso: prima si pagano i privilegiati (le banche con ipoteca, fin dove arriva il valore dei beni dati in garanzia, etc.), poi se rimane qualcosa i chirografari in % stabilita. Le banche dissenzienti non possono opporsi se non per ragioni di legittimità, ma non perché “non vogliono la soluzione” (il loro veto non conta più). Così l’azienda viene liquidata ordinatamente e i suoi esponenti hanno rispettato la legge evitando condotte dilatorie.

Va detto che il concordato semplificato resta un’exit strategy liquidatoria: l’imprenditore perde l’azienda e i beni. Non è un risanamento ma una liquidazione controllata (che tuttavia può essere più conveniente e meno stigmatizzante di un fallimento). Infatti, la legge enfatizza che la composizione negoziata deve essere seriamente tentata prima; non si può saltare direttamente al semplificato senza quell’esperimento.

Liquidazione giudiziale (ex fallimento) ed esdebitazione

Se nessuno degli strumenti di risanamento funziona o viene attivato in tempo, rimane l’epilogo classico dell’insolvenza: la liquidazione giudiziale, che nel previgente ordinamento era chiamata fallimento. Si tratta di una procedura concorsuale involontaria (di solito promossa dai creditori o d’ufficio) finalizzata a liquidare tutto il patrimonio del debitore e distribuire il ricavato secondo le cause di prelazione.

Dal punto di vista del debitore, la liquidazione giudiziale è chiaramente l’evento da evitare, se possibile, perché comporta: – La spogliazione dell’amministrazione: gli amministratori perdono i poteri di gestione, subentra un Curatore nominato dal tribunale che amministra l’azienda e liquida i beni. – L’azienda di norma cessa l’attività, salvo esercizio provvisorio disposto dal tribunale se c’è interesse a proseguire temporaneamente l’attività per vendere meglio. – Gli atti compiuti in passato dall’imprenditore possono essere oggetto di azioni revocatorie da parte del Curatore (pagamenti preferenziali fatti nell’ultimo anno, vendite sotto costo fatte negli ultimi sei mesi/anno, ecc., possono essere annullati per recuperare risorse da distribuire equamente). – Gli amministratori e altre figure sociali possono incorrere nei reati fallimentari (v. oltre) se hanno tenuto comportamenti distrattivi, preferenziali, o irregolarità contabili. – Il fallimento (liquidazione giudiziale) di una società comporta la sua estinzione finale: esaurita la procedura, la società viene cancellata. Per le società di capitali i debiti non soddisfatti si estinguono con la società (ma attenzione: restano in vita eventuali garanzie di terzi e responsabilità personali di amministratori per obblighi tributari o illeciti). Per l’imprenditore individuale, invece, i debiti non pagati resterebbero a suo carico salvo il meccanismo di esdebitazione.

Esdebitazione: è l’istituto che consente al debitore persona fisica (un imprenditore individuale fallito, o i soci illimitatamente responsabili di società fallite) di ottenere, al termine della liquidazione giudiziale, la cancellazione dei debiti residui non pagati nella procedura. In sostanza, il fallito meritevole (che abbia collaborato e non abbia commesso gravi irregolarità) può ottenere un fresh start: dopo la chiusura del fallimento, su sua istanza, il tribunale dichiara inesigibili dai creditori i crediti rimasti insoddisfatti . Ciò lo libera dalla “schiavitù” dei debiti a vita e gli permette di ricominciare senza quelle pendenze (restano escluse dall’esdebitazione solo poche categorie, come debiti da alimenti, da risarcimenti per il dolo, etc.). Nel nuovo Codice, l’esdebitazione è confermata ed è stata estesa anche a casi di liquidazione controllata di sovraindebitati non fallibili.

Per le società, non si parla di esdebitazione perché, come detto, la società una volta liquidata e cancellata cessa di esistere. Il problema dei debiti residui si pone semmai per i garanti e coobbligati (es. soci di S.n.c. o fideiussori), i quali potrebbero dover pagare ciò che la procedura non paga.

Quando è inevitabile la liquidazione giudiziale, dal punto di vista del debitore conviene cooperare per renderla il più ordinata possibile. Può addirittura essere il debitore stesso a chiedere il proprio fallimento (si chiama istanza di autofallimento), scelta sofferta ma a volte utile per anticipare i tempi e magari gestire meglio la situazione (ad es., se sa di essere insolvente e non vede alternative, evitare l’aggravarsi del dissesto è un dovere – l’omessa richiesta di fallimento quando i presupposti ci sono può costituire elemento di bancarotta semplice ). La cooperazione con il Curatore poi è un elemento positivo che può evitare guai peggiori (come denunce per bancarotta fraudolenta).

Strumenti di composizione delle crisi da sovraindebitamento (per completezza)

Questa guida è focalizzata sulle aziende e dunque sulle procedure fin qui descritte, applicabili agli imprenditori “commerciali” (società, ditte individuali non piccolissime). È utile tuttavia segnalare che, grazie alla riforma, anche i soggetti che prima erano esclusi dal fallimento (cosiddetti sovraindebitati: piccoli imprenditori sotto soglie dimensionali, imprenditori agricoli, professionisti, consumatori privati) hanno oggi strumenti analoghi di composizione delle crisi: – Il concordato minore: simile al concordato preventivo, ma per debitori minori, con alcune semplificazioni. – L’accordo di composizione per il consumatore: solo per persone fisiche non imprenditori. – La liquidazione controllata: l’equivalente del fallimento per i soggetti minori, con un liquidatore nominato e possibilità di esdebitazione.

Nel contesto della nostra azienda di utensili (verosimilmente una società di capitali o comunque impresa commerciale non piccolissima), questi istituti non si applicano direttamente. Ma se per ipotesi l’attività fosse svolta da un artigiano individuale di dimensioni modeste non soggetto a fallibilità, sarebbe la composizione negoziata o in caso estremo la liquidazione controllata a entrare in gioco. Il legislatore ha in questo modo coperto ogni categoria di debitore insolvente, evitando vuoti di tutela.

Tabella riepilogativa strumenti di regolazione della crisi:

StrumentoNormativa (CCII)CaratteristicheChi approvaEffetti
Piano attestato di risanamentoArt. 56Piano privato con attestazione indipendente. Nessun tribunale.Creditori chiave (consenso individuale).Pagamenti esenti da revocatoria. Nessun blocco azioni forzate automatico.
Accordo di ristrutturazione (ADR)Art. 57-64Accordo con >60% creditori, omologato dal tribunale.Creditori >= 60% + Omologa tribunale.Vieta azioni esecutive dopo omologa. Estranei pagati entro 120 gg. Cram-down fiscale possibile .
Composizione negoziataArt. 12-25Procedura assistita dall’esperto, volontaria e riservata.– (è un negoziato, non richiede voto)Misure protettive sospendono azioni . Possibile esito accordo privato o accesso a concordato/concordato semplificato.
Concordato preventivoArt. 84-120Procedura concorsuale con piano di continuità o liquidazione.Voto dei creditori (maggioranza) + Omologa.Sospende azioni esecutive. Vincola tutti i creditori anteriori all’omologa. Debiti ridotti secondo il piano omologato.
Concordato semplificatoArt. 25-sexiesConcordato liquidatorio senza voto, post-composizione negoziata.Omologa tribunale (no voto creditori).Liquidazione beni sotto controllo giudice, distribuzione ai creditori. Creditori dissenzienti vincolati comunque .
Liquidazione giudiziale (fallimento)Art. 121-270Procedura liquidatoria concorsuale avviata per insolvenza.Sentenza tribunale (su istanza creditori o debitore).Nomina curatore, spossessamento del debitore. Liquidazione di tutti i beni e riparto secondo prelazioni. Possibile esdebitazione finale persona fisica.

(Fonti: Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza aggiornato; D.Lgs. 136/2024 “Correttivo-ter” per novità su transazione fiscale e concordato semplificato.)

Profili di responsabilità e conseguenze per l’imprenditore (civili e penali)

La presenza di debiti aziendali e l’eventuale ricorso agli strumenti di cui sopra comportano per gli amministratori, soci e professionisti coinvolti una serie di responsabilità, sia civili che penali. Dal punto di vista civile, gli amministratori di una società indebitata potrebbero essere chiamati a rispondere di atti di mala gestio verso la società o verso i creditori (si pensi all’azione di responsabilità promossa dal curatore fallimentare ex art. 146 L.F. o oggi art. 255 CCII, se hanno aggravato il dissesto violando i doveri). Inoltre, esiste un obbligo generale di agire per tempo: l’art. 2086 c.c., come riformato, impone all’imprenditore di attuare assetti adeguati e di attivarsi per rilevare e affrontare la crisi tempestivamente; la violazione di questo dovere può costituire colpa grave e fonte di responsabilità per i danni causati ai creditori dalla procrastinazione di uno stato di insolvenza non gestito.

Tuttavia, è l’aspetto penale quello su cui ci concentreremo, perché esplicitamente richiesto. Affronteremo i principali reati che possono interessare l’imprenditore debitore: i reati fallimentari (come la bancarotta) e i reati tributari connessi ai debiti fiscali (omessi versamenti, indebite compensazioni, sottrazione fraudolenta). È fondamentale capire queste fattispecie per sapere cosa non fare (onde evitare di trasformare una crisi economica in un caso giudiziario penale) e per conoscere le possibili conseguenze in caso di default.

Reati fallimentari: bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice

I reati fallimentari sono quelle condotte illecite commesse dall’imprenditore (o dai suoi amministratori, nel caso di società) in relazione al dissesto dell’impresa, che vengono perseguite penalmente in caso di apertura di una procedura concorsuale, tipicamente il fallimento (oggi liquidazione giudiziale). Il reato principe è la bancarotta fraudolenta, disciplinata dall’art. 322 del CCII (che riprende l’art. 216 L.F.) , affiancata dalla bancarotta semplice (art. 323 CCII, ex art. 217 L.F.).

Bancarotta fraudolenta: è un reato grave (delitto) punito con pene da 3 a 10 anni di reclusione . Si configura in diverse forme: – Bancarotta fraudolenta patrimoniale: l’amministratore (o il fallito) ha distratto, occultato, dissimulato, dissipato beni dell’impresa, o ne ha esposti passività inesistenti, al fine di recare pregiudizio ai creditori . In parole povere, vuol dire aver sottratto risorse dell’azienda (portandole via, vendendole sotto costo, intascandole personalmente, oppure aver “gonfiato” i debiti magari simulando debiti verso compiacenti) così riducendo la garanzia dei creditori. Anche pagamenti preferenziali a determinati creditori quando l’impresa era già insolvente possono ricadere nella bancarotta fraudolenta come atti di favore a scapito della massa (cosiddetta bancarotta preferenziale). Quest’ultima è punita leggermente meno severamente: reclusione da 1 a 5 anni , riconosciuta come forma particolare di bancarotta fraudolenta. – Bancarotta fraudolenta documentale: l’amministratore ha nascosto, falsificato o distrutto in tutto o in parte le scritture contabili, oppure le ha tenute in maniera talmente irregolare da non renderle intellegibili. Questo impedisce di ricostruire il patrimonio e il movimento d’affari, ostacolando il lavoro del curatore e danneggiando i creditori. È equiparata alla bancarotta fraudolenta patrimoniale come gravità (pena 3-10 anni). – Bancarotta fraudolenta “impropria”: si ha quando il fallimento dell’azienda è conseguenza di altri reati commessi dall’imprenditore, ad esempio reati societari (false comunicazioni sociali, indebita restituzione dei conferimenti, ecc.) o operazioni dolose. Una fattispecie frequente nella pratica è la bancarotta per operazioni dolose: se l’amministratore con atti dolosi ha cagionato o aggravato il dissesto, risponde penalmente. Esempio tipico: l’omesso versamento sistematico di imposte e contributi può essere considerato un’operazione dolosa tesa a falsare la situazione finanziaria, rinviando indebitamente i pagamenti fino a far lievitare il debito e provocare il fallimento . La Cassazione in diverse sentenze ha affermato che il sistematico inadempimento degli obblighi fiscali e previdenziali, tollerato per anni dall’amministratore, configura un comportamento doloso che concorre a causare il dissesto, rendendolo punibile per bancarotta impropria . Ciò a sottolineare che non pagare le tasse per finanziare l’azienda non è una strategia lecita: se porta al fallimento, può tradursi in imputazione penale.

Bancarotta semplice: è un reato meno grave (contravvenzione) punito con la reclusione da 6 mesi a 2 anni . Ricorre in situazioni di mera colpa o errori gestionali gravi, ad esempio se il fallito: – Ha sostenuto spese personali eccessive attingendo alle risorse dell’impresa (esempi: vivere nel lusso con i soldi della società). – Ha compiuto operazioni azzardate o gravemente imprudenti per ritardare il fallimento (es. investimenti scriteriati all’ultimo momento). – Non ha tenuto le scritture contabili in ordine, senza però malizia (disordine per negligenza, distinto dalla distruzione/falsificazione dolosa). – Non ha presentato i libri in tribunale, ha aggravato il dissesto con inerzia (ad es. non aver richiesto il fallimento per tempo e aver lasciato lievitare i debiti) . – Ha violato un precedente concordato (non rispettandone i pagamenti).

La bancarotta semplice è residuale: si applica quando non c’è dolo specifico di frode. Per esempio, l’imprenditore “incapace” o negligente che ha lasciato andare l’azienda alla deriva può incorrervi. L’assenza di dolo fa sì che il giudice possa talvolta riconoscere cause di non punibilità come la particolare tenuità del fatto (art.131-bis c.p.) se il danno è lieve e occasionale .

Soggetti attivi: chi può essere imputato di bancarotta? Tutti coloro che avevano responsabilità nella gestione: – Nel caso di imprenditore individuale, egli stesso. – Nel caso di società, gli amministratori di diritto (chi risulta legale rappresentante) e gli amministratori di fatto (chi, pur senza carica formale, di fatto dirigeva l’impresa). Anche i sindaci e i liquidatori possono rispondere per bancarotta se il reato è a loro imputabile (ad esempio, i sindaci per omesso controllo con dolo in casi di bancarotta impropria da reato societario). – I soci di società di persone illimitatamente responsabili, perché equiparati all’imprenditore fallito (anche loro possono commettere atti di bancarotta sul patrimonio sociale). – Eventuali terzi complici o favoreggiatori: se ad esempio un consulente esterno collabora con l’amministratore nel distrarre beni o nel falsificare le scritture, può rispondere di concorso in bancarotta fraudolenta. Ad esempio, casi di commercialisti che aiutano a creare false fatture per coprire ammanchi, o di prestanome.

Un punto giurisprudenziale interessante riguarda la posizione dell’amministratore formale quando esiste un amministratore di fatto: la Cassazione (sentenza n. 38896/2024) ha ribadito che l’amministratore di diritto non è automaticamente esente da responsabilità solo perché vi era un dominus di fatto . Deve provare la propria totale estraneità e mancanza di consapevolezza degli illeciti. Se ha accettato la carica, ha il dovere giuridico di vigilare: una gestione fraudolenta da parte altrui non lo scagiona in automatico. In altre parole, l’amministratore “prestanome” rischia grosso se non dimostra di essere stato tenuto all’oscuro di tutto (onere non facile). Meglio dunque non prestarsi mai come teste di legno, perché la legge tende a considerare chi assume formalmente la carica come responsabile a meno di prova contraria stringente .

Le pene accessorie in caso di condanna per bancarotta comprendono l’interdizione dall’esercizio di impresa e dagli uffici direttivi di persone giuridiche: per la bancarotta fraudolenta fino a 10 anni di interdizione, per la semplice fino a 2 anni . Questo significa che un amministratore condannato per bancarotta fraudolenta non potrà costituire o amministrare società per un lungo periodo.

Reati tributari connessi ai debiti fiscali: omessi versamenti, indebita compensazione, sottrazione fraudolenta

Accanto ai reati di bancarotta, che emergono in sede fallimentare, l’imprenditore indebitato deve prestare attenzione ai reati previsti dal D.Lgs. 74/2000 (reati tributari) che possono sorgere prima ancora di ogni procedura concorsuale, semplicemente per il fatto di non aver pagato imposte o per aver compiuto operazioni illecite per evitare il pagamento. I principali da considerare nel nostro contesto sono:

Omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis D.Lgs.74/2000): riguarda le ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente o assimilati (quindi l’IRPEF trattenuta agli stipendi) che il datore di lavoro trattiene al dipendente e dovrebbe versare allo Stato. Se l’azienda non effettua il versamento entro la scadenza (di regola il 16 del mese successivo) e l’omissione per l’anno supera €150.000 di importo, scatta il reato penale . La soglia era 50.000 € ma è stata elevata a 150.000 € dal 2015. La pena prevista è la reclusione da 6 mesi a 2 anni . Se l’importo omesso è inferiore, non c’è reato ma solo sanzione amministrativa (30% dell’importo, ridotta al 25% dal 2023). Questo reato è di natura omissiva: si consuma di regola al termine del periodo per il versamento (il 16 gennaio dell’anno successivo per le ritenute dell’anno precedente, con termine ultimo 31 dicembre per ravvedersi). La recente riforma fiscale (entrata in vigore a metà 2024) ha introdotto la possibilità di evitare il reato se il contribuente avvia un pagamento rateale a seguito di avviso bonario: se entro il 31 dicembre dell’anno successivo inizia a pagare a rate il dovuto (anche solo la prima rata), il reato non si configura . Ciò incentiva a trovare un accordo con il fisco prima che scada l’anno successivo. Inoltre, resta ferma la causa di non punibilità se prima del giudizio l’imprenditore paga integralmente il debito tributario (comprensivo di interessi e sanzioni) .

Omesso versamento di IVA (art. 10-ter D.Lgs.74/2000): qui si parla dell’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale IVA e non versata entro il termine di versamento dell’acconto dell’anno successivo (scadenza ormai fissata al 31 dicembre dell’anno successivo grazie alla riforma 2023). La soglia di punibilità è €250.000 di IVA non versata per periodo d’imposta . Pena: reclusione da 6 mesi a 2 anni . Anche per l’IVA la riforma 2024 ha previsto che se entro il 31 dicembre dell’anno successivo il contribuente inizia a pagare (ad esempio attivando la rateizzazione scaturita da avviso bonario, versandone almeno la prima rata), il reato non si perfeziona . In pratica si è allungato il termine utile a regolarizzare: l’imprenditore ha tempo fino a fine anno seguente per mettersi in regola o in un piano di rate. Inoltre, il reato non si concretizza se l’ammontare finale non versato viene ridotto sotto soglia con pagamenti parziali entro quel termine . Anche qui vale la causa di non punibilità per pagamento integrale prima del dibattimento . Questo genere di reato colpisce tanti imprenditori in crisi, perché è comune ritardare il versamento IVA per problemi di liquidità. Ma la soglia alta (250k) e queste nuove possibilità di scampato pericolo via rateazione permettono di evitare accuse penali alla maggior parte delle PMI, purché agiscano con prontezza. Da notare: se poi il debitore decade dalla rateazione, la rilevanza penale “riemerge” solo se il debito residuo sopra soglia è superiore a 75.000 € dopo la decadenza (ulteriore clemenza introdotta: non è che se salta una rata scatta subito il penale sull’intero, c’è una soglia di residuo per tornare punibile).

È importante per l’imprenditore sapere che il “non potevo pagare perché ero in crisi” non è considerato dalla legge una giustificazione valida per questi reati. La giurisprudenza ha più volte affermato che la carenza di liquidità non esclude il dolo per l’omesso versamento IVA o ritenute, salvo casi eccezionali di forza maggiore. Dunque, se si prevede di non poter pagare, conviene attivarsi con l’Agenzia delle Entrate per rateizzare o richiedere strumenti come la transazione fiscale, piuttosto che lasciare semplicemente scadere i termini.

Indebita compensazione di crediti d’imposta (art. 10-quater D.Lgs.74/2000): questo reato avviene quando l’azienda, per non versare tributi dovuti, usa in compensazione crediti fiscali falsi o non spettanti tramite il modello F24. Esistono due ipotesi: – Compensazione di crediti non spettanti (cioè crediti che esistono ma cui non si ha diritto di usare, magari perché soggetti a limiti, o perché derivanti da calcoli errati): se l’importo indebitamente compensato supera €50.000 annui, scatta il reato punito con la reclusione da 6 mesi a 2 anni (comma 1 dell’art.10-quater). – Compensazione di crediti inesistenti (del tutto falsi o inventati): soglia sempre 50.000 € annui, ma pena ben più alta, da 1 anno e 6 mesi fino a 6 anni (comma 2). Questa distinzione riflette la diversa gravità: usare un credito reale ma improprio è meno grave di creare crediti fittizi dal nulla per azzerare debiti.

Un esempio di indebita compensazione non spettante potrebbe essere utilizzare crediti d’imposta per investimenti in realtà non maturati secondo le condizioni di legge. Esempio di inesistenti è indicare crediti IVA fittizi tramite fatture false.

Novità del 2024: è stato introdotto un comma 2-bis che esclude la punibilità per il caso di crediti non spettanti quando c’era una obiettiva condizione di incertezza sulla spettanza del credito . Ciò intende evitare sanzioni penali a chi magari ha interpretato una norma fiscale in buona fede ritenendo di avere un credito, poi contestato dall’Agenzia. In tali situazioni tecniche dubbie, se l’errore è scusabile, non c’è reato (resta l’obbligo di pagare ovviamente). Questa norma è frutto del cosiddetto “Decreto Sanzioni” (D.Lgs. 75/2020 e poi 87/2024) che ha ammorbidito qualche aspetto sul fronte penale tributario .

L’imprenditore deve dunque evitare assolutamente di “giocare sporco” con le compensazioni: se vi sono debiti fiscali non pagabili, meglio rateizzare o trattare, ma non compensare con crediti fasulli. Il rischio in caso di verifica è la denuncia penale con sequestri e, in prospettiva, condanne severe (fino a 6 anni). Ricordiamo anche che, essendo reati presupposto, alcuni di questi (es. indebita compensazione di crediti inesistenti) possono far scattare la responsabilità amministrativa dell’ente ex D.Lgs. 231/2001, comportando sanzioni pecuniarie a carico della società stessa .

Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs.74/2000): questo reato si verifica quando il debitore, per evadere o comunque non pagare imposte dovute, compie atti fraudolenti sul proprio patrimonio per renderlo indisponibile ai fini della riscossione coattiva. Ad esempio: alienare simulatamente beni a terzi, fare sparire attrezzature, vincolare denaro in trust o fondi esteri, costituire società filtro per schermare proprietà, o anche simulare indebitamento (fittizi pignoramenti o ipoteche a favore di prestanome) per sottrarre garanzie ai creditori erariali. La legge stabilisce una soglia: la sottrazione fraudolenta è penalmente rilevante se l’imposta (o sanzioni/ interessi) dovuta superava €50.000 . La pena base è la reclusione da 6 mesi a 4 anni , ma se l’ammontare supera €200.000, la pena sale da 1 a 6 anni – questa è un’aggravante introdotta per colpire le frodi più consistenti.

Un esempio: la nostra azienda sa di avere un grosso debito IVA iscritto a ruolo. Prima che l’esattore arrivi, vende (fittiziamente) i macchinari a un’altra società riconducibile ai soci, a prezzo irrisorio, per evitare che vengano pignorati. Questa è una classica sottrazione fraudolenta: un atto preordinato a sfuggire al pagamento delle imposte, punibile penalmente . Anche occultare provviste di denaro, distrarre liquidità su conti esteri non dichiarati, rientra nella fattispecie.

L’art. 11 inoltre punisce (comma 2) chi, per ottenere un pagamento parziale dei debiti tributari tramite una procedura di transazione fiscale, indica beni per un valore inferiore al reale o passività inesistenti >€50.000 (anche lì con soglia aggravata a 200k) . Quindi truccare le carte in sede di proposta di transazione fiscale – fingendo che l’azienda abbia meno attivo o più debiti per ottenere sconti maggiori – è un reato penale (punito anch’esso 6 mesi-4 anni, elevato a 1-6 anni se soglia superiore) . Questa norma è stata inserita per responsabilizzare i debitori: se vuoi lo sconto fiscale, devi comportarti con lealtà presentando dati veritieri, altrimenti sei perseguibile.

Altri reati fiscali: Oltre a quelli richiesti dal quesito, val la pena menzionare brevemente che l’imprenditore in crisi deve guardarsi dal compiere frodi tributarie (es. dichiarazioni fraudolente con false fatture o altri artifici, art.2 e 3 D.Lgs.74/2000) e false comunicazioni sociali (bilanci falsi): queste condotte possono non solo costituire reati autonomi, ma anche aggravare poi la posizione in sede di bancarotta impropria. Non di rado aziende indebitate falsificano bilanci per nascondere perdite (reato ex art. 2621 c.c. se rilevante) o emettono fatture false per creare crediti fittizi (reato ex art. 8 D.Lgs.74/2000). Ciò va assolutamente evitato: la tentazione di coprire la crisi con pratiche illecite può portare dal fuoco alla padella – da una situazione economica difficile a una situazione penale disastrosa.

Ruoli di consulenti, sindaci e altri soggetti nella crisi d’impresa

La gestione di una crisi d’impresa coinvolge spesso, oltre all’imprenditore e ai suoi amministratori, anche altre figure professionali: commercialisti, consulenti del lavoro, avvocati e organi di controllo interni come il collegio sindacale (o il revisore legale). È importante delineare quali sono le loro responsabilità e il loro contributo, perché il quesito chiede esplicitamente se solo titolari e avvocati siano coinvolti o anche commercialisti, consulenti del lavoro, sindaci.

  • Commercialisti e consulenti aziendali: tipicamente, il commercialista dell’azienda svolge un ruolo cruciale sia in fase fisiologica (tenuta contabilità, dichiarazioni) sia in fase patologica (piani di risanamento, consigli strategici, interfaccia con creditori e istituti). In una situazione di sovraindebitamento, il commercialista aiuta l’imprenditore a fotografare la situazione finanziaria, elaborare scenari di rientro e spesso redige materialmente piani e proposte da avanzare. La sua responsabilità può emergere in due casi:
  • Responsabilità professionale civile: se commette errori professionali gravi che aggravano il danno all’azienda o ai creditori (ad esempio, consiglia un comportamento manifestamente illecito, oppure sbaglia clamorosamente i calcoli di un piano inducendo in errore l’imprenditore e i creditori).
  • Concorso in reati: qualora il commercialista partecipi attivamente ad attività fraudolente – per es. aiutando a falsificare bilanci, a creare documentazione ingannevole per occultare beni o a escogitare compensazioni indebite – può essere imputato come concorrente nei reati di bancarotta o tributari. Un caso giurisprudenziale tipico è quello del professionista che “suggerisce” e attua complesse operazioni societarie (scissioni, fusioni) per sottrarre asset ai creditori: se queste operazioni sono ritenute fraudolente, il consulente può risponderne penalmente . Anche predisporre finti contratti o fatture per giustificare distrazioni lo rende corresponsabile.

In generale, tuttavia, dare un cattivo consiglio non è di per sé reato: serve il dolo di aiutare a commettere un illecito. Se un commercialista in buona fede elabora un piano che poi fallisce, non ne risponde penalmente. Ma deve attenersi alla deontologia: se scopre, ad esempio, che l’amministratore vuole fare sparire cassa in nero, ha il dovere morale (e in alcuni casi giuridico) di dissociarsi e non prestarsi.

  • Consulenti del lavoro: seguono in particolare la gestione del personale, paghe e contributi. In crisi d’impresa, il loro ruolo è assistere l’azienda in eventuali procedure di cassa integrazione, licenziamenti collettivi, ecc., e assicurarsi che siano adempiuti (per quanto possibile) gli obblighi verso i dipendenti. Un consulente del lavoro può essere chiamato a rispondere se, ad esempio, collude con l’imprenditore per simulare licenziamenti o eludere il pagamento di contributi. Ma casi del genere sono rari; più spesso il consulente è un supporto positivo: può, ad esempio, consigliare di attivare strumenti di integrazione salariale in caso di crisi (evitando così di accumulare debiti per stipendi non erogati) o assistere nella regolarizzazione contributiva attraverso dilazioni con INPS.
  • Avvocati: l’avvocato affianca l’azienda debitrice nella negoziazione con i creditori (stesura di accordi transattivi, diffide, ecc.) e nella predisposizione di eventuali ricorsi in tribunale (domande di concordato, accordi di ristrutturazione, opposizioni). Ha il compito di consigliare legalmente l’imprenditore, indicandogli i comportamenti leciti e quelli da evitare. Un avvocato può incorrere in responsabilità disciplinare o civile se, ad esempio, suggerisce scientemente al cliente di porre in essere atti contrari alla legge (es: “sposta i soldi sul conto di tua moglie così il Fisco non li vede” – questo sarebbe un consiglio verso una possibile sottrazione fraudolenta). Addirittura, potrebbe ipotizzarsi un concorso se l’avvocato partecipa attivamente in atti di depistaggio di beni, ma è scenario limite. In via generale, l’avvocato deve dissociarsi da condotte illegali del cliente: non può facilitare un reato. Può invece sfruttare ogni legittimo strumento di difesa: opporsi a un pignoramento se viziato, contestare un credito in sede giudiziale, ecc., ciò rientra nei suoi compiti leciti.
  • Sindaci e revisori: il collegio sindacale (o il sindaco unico nelle PMI) ha il dovere di vigilare sull’amministrazione e sul bilancio. Dal 16 marzo 2019 (entrata in vigore di alcune norme del CCII) i sindaci e revisori hanno anche il compito di segnalare immediatamente agli amministratori eventuali indizi di crisi secondo gli indici gestionali noti, sollecitandoli ad attivarsi . Se gli amministratori non danno seguito, i sindaci possono (dove in vigore il regime di allerta, ma è stato sospeso fino al 2023) informare l’organismo di composizione della crisi. In ogni caso, il sindaco negligente che chiude un occhio di fronte a operazioni distrattive o bilanci falsi può essere ritenuto corresponsabile:
  • Civilmente, ex art. 2407 c.c., per omessa vigilanza che abbia cagionato danno (ad esempio, i creditori a fallimento potrebbero citarlo se ha permesso che i conti venissero falsati per anni).
  • Penalmente, può concorrere in bancarotta fraudolenta se ha favorito con dolo le operazioni illecite (o se era anche amministratore di fatto). Va detto che la giurisprudenza riconosce che il sindaco non è punibile per il solo fatto di non aver impedito il reato altrui se non aveva un obbligo giuridico di farlo penalmente rilevante . Dunque la mera “vigilanza carente” rientra nel civile di solito. Ma se il sindaco partecipa attivamente – es. suggerisce come mascherare un ammanco in bilancio – allora entra nel penale.
  • Organismi di vigilanza 231: in società medio-grandi esistono anche OdV ex D.Lgs.231/01 per i modelli di compliance. Nell’ambito della crisi questi possono segnalare criticità, ma esula dal penal-fallimentare se non per l’aspetto che eventuali reati tributari commessi potrebbero attivare la responsabilità 231, e l’OdV avrebbe dovuto vigilare sul rispetto del modello (se previsto, ma l’evasione fiscale è stata inserita tra i reati 231 dal 2019 per alcuni delitti tributari).

In sintesi, non solo titolari e amministratori, ma anche i loro consulenti e organi di controllo giocano un ruolo e devono fare attenzione: la gestione della crisi è un lavoro di squadra, dove ogni attore deve rispettare i confini della legge. Un buon commercialista e un buon avvocato aiutano l’impresa a risolvere i problemi usando gli strumenti legali (piani, concordati, transazioni) e dissuadono da scorciatoie illegali. I sindaci devono pungolare l’organo amministrativo a non procrastinare e ad adottare misure correttive; se ciò non avviene, devono tutelarsi verbalizzando i richiami e, se la situazione degenera in illegalità, non esitare a denunciare alle autorità competenti (per evitare di esserne complici). La condivisione delle informazioni è fondamentale: imprenditore, consulenti e controllori dovrebbero sedersi attorno a un tavolo appena si manifestano i segni di crisi, per valutare insieme la strada migliore. Così facendo, magari si evita di arrivare al punto di non ritorno.

Domande frequenti (FAQ) sulla difesa dell’azienda debitrice

Di seguito, in forma di domanda e risposta, affrontiamo alcuni dei quesiti più comuni che imprenditori e professionisti si pongono quando un’azienda accumula debiti e si trova in difficoltà:

D: La mia azienda ha debiti fiscali elevati: posso andare in carcere per questo?
R: Avere debiti fiscali in sé non comporta il carcere. Tuttavia, specifici comportamenti relativi ai debiti fiscali possono essere reati: ad esempio, non pagare l’IVA dovuta oltre la soglia di €250.000 annui è reato punito con fino a 2 anni ; non versare le ritenute dei dipendenti oltre €150.000 è punito fino a 3 anni . Anche usare artifici per evitare il pagamento (come nascondere beni o compensare con crediti falsi) può portare a pene detentive (fino a 6 anni per indebita compensazione di crediti inesistenti , fino a 6 anni per sottrazione fraudolenta di ingenti importi ). In pratica, non si va in carcere per il debito in sé, ma per condotte fraudolente o omissive specifiche previste dalla legge. Se l’imprenditore collabora (chiede dilazioni, usa procedure concorsuali, cerca di pagare il possibile), difficilmente incorrerà nel penale. Inoltre la legge offre vie d’uscita: se attivi un piano di rateazione prima della scadenza per IVA o ritenute, eviti il reato ; se paghi tutto prima del processo, vieni esentato da pena . Insomma, il carcere è l’extrema ratio, per chi ignora totalmente gli obblighi o prova a fare il furbo danneggiando l’Erario.

D: La società è un SRL: io come amministratore rischio qualcosa a livello personale per i debiti?
R: Sul piano civilistico, la società di capitali risponde con il suo patrimonio e di regola il tuo patrimonio personale è salvo. Fanno eccezione situazioni in cui hai prestato garanzie personali (fideiussioni alla banca, ad esempio) o anticipato pagamenti per conto della società (es. in caso di società di persone, soci illimitatamente responsabili). Inoltre, se come amministratore hai commesso illeciti (es. pagamenti preferenziali a un creditore e poi fallimento), il curatore potrà fare azione di responsabilità contro di te per danni alla società o ai creditori. Sul piano penale, l’essere SRL non ti protegge: se emergono reati come bancarotta, verrai perseguito personalmente in quanto amministratore. Quindi, mentre i creditori civilistici non possono chiedere a te i soldi (salvo garanzie), lo Stato può perseguire te per eventuali crimini connessi alla gestione. Inoltre, attenzione alle sanzioni personali: ad es., per contributi INPS non versati, oltre al penale, l’INPS può chiedere a te come amministratore il pagamento delle ritenute non versate (c’è responsabilità patrimoniale del legale rappresentante per le ritenute previdenziali omesse). In sintesi: i debiti contratti dalla SRL restano alla SRL, ma se hai agito male (illeciti o gestione non diligente), puoi subirne conseguenze economiche (azioni di rivalsa, perdita di indennità) e penali in proprio.

D: Ho ricevuto cartelle esattoriali per debiti fiscali ingenti. Cosa posso fare per evitare pignoramenti immediati?
R: Le cartelle, dopo la notifica, se non pagate, portano l’agente della riscossione (ADER) a poter avviare esecuzioni dopo 60 giorni. Per evitare pignoramenti, la via più rapida è chiedere una rateizzazione della cartella. L’ADER concede piani di dilazione standard fino a 72 rate mensili (6 anni) se sei sotto certe soglie (fino a €120.000 per ente, soglia aggiornata) o straordinari fino a 120 rate (10 anni) se dimostri grave difficoltà . Con la domanda di rateazione, e finché paghi le rate, l’agente della riscossione non procede ad esecuzione né adotta misure cautelari (fermi amministrativi, ipoteche). Quindi è un ottimo strumento immediato di difesa. Altra opzione: verificare se rientri in qualche definizione agevolata (rottamazione) prevista dalla legge. Ad esempio, nel 2023 c’è stata la “rottamazione-quater” che permetteva di estinguere i debiti in cartella pagando solo imposte senza sanzioni e interessi. Se tali normative vengono prorogate o rinnovate (il legislatore negli ultimi anni spesso ha introdotto rottamazioni), aderire consente di bloccare le azioni esecutive e ridurre l’importo dovuto. In parallelo, se il debito fiscale è troppo grande per essere risolto con semplice rateazione, considera gli strumenti concorsuali: con un accordo di ristrutturazione o un concordato puoi ottenere la sospensione di tutte le azioni esecutive, compresa quella dell’ADER, sin dal decreto di ammissione, e poi provare a transare col fisco (cioè pagare una quota e stralciare il resto) . In sede di composizione negoziata, dal 2024 puoi proporre all’ADER un accordo fiscale che, se approvato, congela le esecuzioni analogamente . Quindi: primo step rateizza per tamponare; poi valuta una strategia di medio termine (piano o procedura) per ridurre strutturalmente quel debito. Non dimenticare: se arriva un pignoramento (es. su conto corrente), puoi chiedere al giudice dell’esecuzione una sospensione se dimostri che stai per formalizzare un accordo di ristrutturazione o una domanda di concordato (non è garantito ma spesso i giudici la concedono, per favorire le soluzioni concorsuali).

D: Che differenza c’è tra un piano di risanamento e un concordato preventivo?
R: In sintesi, il piano di risanamento attestato è un accordo privato tra debitore e alcuni creditori per superare la crisi, senza intervento del tribunale, mentre il concordato preventivo è una procedura formale che coinvolge tutti i creditori e richiede l’approvazione del tribunale ed il voto della maggioranza dei creditori. Conseguenze: – Il piano attestato è più snello e riservato, ma non vincola i creditori dissenzienti (solo chi aderisce). Non offre protezione automatica dalle azioni legali dei terzi. – Il concordato vincola tutti i creditori anteriori (anche i dissenzienti) e, una volta avviato, impedisce ai creditori individuali di agire esecutivamente. Però è pubblico e relativamente complesso, con costi e tempi maggiori. – Nel piano attestato i creditori possono ottenere pagamenti immediati e continuare eventualmente rapporti contrattuali; nel concordato spesso i pagamenti avvengono alla fine, secondo il piano approvato, e i contratti possono subire sospensioni. – Un piano attestato serve quando hai pochi creditori chiave e vuoi evitare la pubblicità di un concorsuale. Un concordato serve quando devi coinvolgere massivamente tutti perché non riusciresti ad avere consensi sufficienti informalmente e vuoi usare la “forza della legge” per imporre tagli (falcidie) o dilazioni a tutti in modo equo.

D: Cos’è la transazione fiscale di cui sento parlare? Posso usarla da sola per tagliare i debiti col fisco?
R: La transazione fiscale è uno strumento che permette di concordare con il Fisco (Agenzia Entrate e Agenzia Riscossione) e con gli enti previdenziali (transazione contributiva con INPS, etc.) il pagamento parziale o dilazionato dei loro crediti nell’ambito di una procedura di crisi. Non è un istituto “stand-alone” autonomo (non puoi ad esempio presentare una transazione fiscale secca in tribunale senza un contesto): funziona all’interno di: – un accordo di ristrutturazione ex art.57 CCII, dove presenti al Fisco una proposta di pagamento (es: pagare 50% del debito in 5 anni) e se la accettano, l’accordo complessivo viene omologato; – un concordato preventivo, dove la tua proposta ai creditori include anche la proposta al Fisco di pagarli in misura ridotta (devono esprimere parere favorevole tramite il voto o la mancata opposizione all’omologazione, a seconda dei casi); – una composizione negoziata (dal 2024) dove puoi raggiungere un accordo col Fisco inserito nella conclusione delle trattative .

Quindi, da sola la transazione fiscale non esiste come procedura autonoma giudiziale. Devi sempre incastonarla in un piano più ampio di ristrutturazione dell’azienda. Ad ogni modo, è utilissima perché, diversamente dal passato in cui le imposte dovevano quasi sempre essere pagate integralmente per evitare guai, oggi il Fisco può rinunciare a una parte dei suoi crediti (soprattutto sanzioni e interessi, ma anche imposta entro certi limiti) pur di favorire il risanamento aziendale. Ad esempio: debito IVA 2020 di €300k; in concordato potresti proporre di pagarne il 40% e motivare che tanto in fallimento il Fisco prenderebbe meno. Se il Fisco dice sì (o se il tribunale cramma down il dissenso rispettando i parametri), tu paghi €120k e il resto è stralciato. Attenzione: la transazione fiscale non copre alcuni tributi come l’IVA ? (in passato era intoccabile, ma ora è ammessa anche IVA in transazione ) e i contributi INPS (che pare restino esclusi nella composizione negoziata , mentre nel concordato sì). In composizione negoziata, come novità, il Fisco può aderire ma non può essere forzato (non c’è cram-down lì) , quindi se rifiuta l’accordo extra-giudiziale, dovrai eventualmente ricorrere a concordato o ADR per forzarlo.

D: La banca mi ha revocato il fido e chiede il rientro immediato: posso oppormi?
R: Se la banca ha contrattualmente diritto di revoca (la maggior parte dei fidi sono a revoca o autoliquidanti e prevedono che la banca possa recedere con preavviso o in caso di deterioramento affidabilità), è difficile opporsi legalmente alla revoca in sé: la banca, rilevato l’inadempimento o il peggioramento della tua situazione, è legittimata a tutelarsi. Tuttavia, puoi agire su altri fronti: – Trattativa diretta: spesso le banche se vedono apertura del debitore a un piano di rientro serio, preferiscono negoziare piuttosto che intraprendere subito vie legali costose. Puoi proporre un piano di rientro (es: pagamento scaglionato del saldo fido in X mesi) magari assistito da garanzie aggiuntive o intervenendo con un mediatore. – Moratorie di sistema: verifica se esistono misure straordinarie (come quelle che ci furono durante la pandemia) o se aderendo a un accordo di ristrutturazione ex art.57 la banca può essere vincolata. Nelle procedure concorsuali, come il concordato, la banca rientra tra i creditori e vede congelate le sue pretese (non può agire a escussione delle garanzie durante il concordato senza autorizzazione del tribunale). – Opposizione giudiziale: se la banca agisce per via monitoria (es. chiede decreto ingiuntivo sulla base dell’estratto di conto), potrai eventualmente opporre il decreto se hai contestazioni (interessi anatocistici, spese illegittime) per guadagnare tempo o ridurre l’importo. Sono questioni tecniche: spesso nelle esposizioni bancarie c’è spazio per eccepire qualcosa (usura, interessi non pattuiti…). Va valutato con un legale esperto di diritto bancario. – Procedure di allerta: se avvii una composizione negoziata e ottieni misure protettive, anche la banca non potrà iniziare o proseguire esecuzioni (quindi non potrà pignorare i beni dati in pegno o ipoteca per la durata delle misure) . Non può neanche risolvere anticipatamente certi contratti solo perché non hai pagato debiti pregressi, grazie alla protezione dell’art. 18 co.5 CCII (questo potrebbe applicarsi anche ad esempio a un contratto di finanziamento in essere? Di solito quell’articolo tutela contratti in corso tipo forniture, ma la risoluzione del contratto di fido per inadempienze pregresse potrebbe essere oggetto di discussione).

In sostanza, non puoi impedire alla banca di revocare il credito se ne ha titolo, ma puoi mitigarne gli effetti negoziando un rientro morbido o inserendo il suo credito in un contesto di ristrutturazione più ampio (dove magari accetta un taglio o lunga dilazione in cambio di parziale rimborso garantito). Se la banca è garantita da pegno/ipoteca, sarà meno incline a compromessi perché può aggredire quel bene; se non ha garanzie, paradossalmente sarà più disponibile a trattare dentro un concordato (dove comunque prenderebbe qualcosa, mentre facendo fallire tutto forse nulla). Ogni caso va analizzato specificamente.

D: I fornitori non pagati possono mettere in crisi definitiva la mia azienda?
R: Sì, certamente. Se i fornitori forniscono materie prime, semilavorati o servizi essenziali e smettono di fornire a causa dei mancati pagamenti, l’azienda rischia di fermarsi, perdendo produzione e fatturato, entrando in un circolo vizioso. Inoltre, se un fornitore presenta istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) e il tribunale accerta lo stato d’insolvenza, puoi essere dichiarato fallito su loro iniziativa se i requisiti formali ci sono. Quindi i fornitori hanno un potere sia contrattuale che legale. È strategicamente fondamentale gestire il rapporto con i fornitori in crisi: – Comunicare onestamente la situazione e cercare accordi: ad esempio, riconoscere un piano di pagamento del pregresso a rate e al contempo pagare alla consegna il nuovo fornito (per dare garanzia che il flusso futuro è sicuro). Molti fornitori preferiscono mantenere un cliente in difficoltà ma che dà segnali concreti di volergli pagare qualcosa, piuttosto che troncare e magari perdere un mercato. – Usare, se necessario, strumenti come il concordato in continuità dove i fornitori vengono messi in una classe e ricevono magari una percentuale sui crediti e continuano a lavorare con l’azienda. Nel concordato in continuità, puoi anche chiedere di risolvere contratti di fornitura troppo onerosi o di mantenere quelli essenziali con autorizzazione del giudice. E i fornitori, come creditori chirografari, voteranno la proposta (spesso se vedono prospettiva di continuare a venderti, sono incentivati a votare sì per recuperare e non perdere il cliente). – Se un fornitore ha già ottenuto un decreto ingiuntivo, potresti proporre una transazione stragiudiziale (ad esempio, pagare il 50% subito a saldo, se se lo possono permettere). Da debitore, è spesso utile trattare con i piccoli creditori trovando soluzioni snelle, riservando le procedure più complesse per i grossi creditori istituzionali (banche/fisco).

Quindi, sì, i fornitori possono far molto male all’impresa: smettendo forniture o facendola fallire. La difesa sta nel dialogo e nel farli sentire parte di un piano di rilancio, oppure nell’utilizzare la protezione concorsuale (che però non fornisce materie prime – ti protegge dalle cause, ma se loro non consegnano più materiale tu non produci; c’è la norma che non possono risolvere i contratti di forniture essenziali unilateralmente per crediti pregressi , che potrebbe obbligarli a continuare a fornire almeno per un periodo se il contratto è pendente e tu paghi il corrente. Questa è una leva del concordato/negotiated composition: consente di forzare i fornitori strategici a proseguire, almeno temporaneamente, pena autorizzazione del giudice per interrompere).

D: L’azienda è sommersa dai debiti e probabilmente andrà in liquidazione. Posso salvare almeno l’attività magari aprendo una nuova società?
R: Questa situazione è delicata. Trasferire l’attività da una società indebitata a una nuova “pulita” è operazione legittima solo se fatta a valori di mercato e senza intento di frode. Ad esempio, potresti pensare: la società A ha troppi debiti, costituisco la società B e le vendo l’unico macchinario funzionante e i contratti, lasciando i debiti in A che poi fallisce. Ebbene, se vendi il macchinario a prezzo equo e passi i dipendenti con legge 2112, ecc., tecnicamente è una cessione d’azienda. Però se la società A poi non paga i creditori con quel corrispettivo, i creditori potrebbero agire con azione revocatoria sostenendo che quell’atto li ha pregiudicati (specie se fatto nei 2 anni prima del fallimento, la vendita d’azienda a nuova società può essere revocata se a titolo oneroso ma con prezzo non effettivamente poi distribuito ai creditori, o comunque se il curatore prova che era diretta a sottrarre garanzie). Inoltre, qualora l’operazione sia simulata o sotto costo, scatta persino la sottrazione fraudolenta di cui sopra . E se l’azienda vecchia fallisce, quel trasferimento può integrare bancarotta fraudolenta per distrazione se hai “spogliato” la società dei beni a favore di un’altra (anche se formalmente c’è un pagamento, se fatto tra parti correlate e a prezzo vile il curatore la vede come distrazione mascherata). In parole semplici: non puoi semplicemente spostare l’attività e lasciare i debiti al vento. Però puoi usare canali legali: – Il concordato preventivo in continuità indiretta: vendi l’azienda a un terzo (che può essere anche una newco, magari di un familiare non coinvolto) nell’ambito del concordato, sotto controllo del giudice, assicurando che il prezzo versato vada ai creditori. Così salvi i posti di lavoro e la parte produttiva, ma anche i creditori ricevono il ricavato (se insufficiente subiranno una falcidia, ma l’operazione è trasparente e omologata). – La liquidazione negoziata di singoli asset: ad esempio, in composizione negoziata l’esperto può agevolare la cessione di rami d’azienda a investitori interessati, col ricavato destinato a soddisfare i creditori in accordo. – Se vuoi aprire una nuova attività similare, fallo in modo scollegato: assicurati di non portare via clienti in modo scorretto, know-how, macchinari senza compenso, perché i creditori potrebbero far causa per distrazione di opportunità.

In conclusione, si può salvare il business ma non alle spalle dei creditori. O trovi un investitore che rileva e mette soldi per pagare parzialmente i debiti (via concordato), oppure dopo il fallimento puoi ripartire da capo acquistando dall’asta i beni dell’azienda fallita (succede spesso: il fallimento mette all’asta i beni e magari gli stessi ex-soci li ricomprano tramite nuova società; è lecito se al meglio delle condizioni). Tieni però presente che se la vecchia società fallisce e risulta che tu hai dirottato commesse o beni alla nuova prima del fallimento, il curatore e i giudici lo vedranno come bancarotta e potresti essere interdetto e la nuova attività sequestrata. Dunque, la strada migliore è utilizzare gli strumenti concorsuali per fare un passaggio pulito.

D: Dopo un fallimento, dovrò pagare comunque i debiti residui per tutta la vita?
R: Se sei un imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile, no, non necessariamente per tutta la vita. Esiste l’esdebitazione post-fallimentare: dopo la chiusura della procedura, su tua richiesta, il tribunale può dichiarare inesigibili i debiti residui verso i creditori concorsuali non soddisfatti . Otterrai così una sorta di fresh start, pur con le eccezioni di legge (debiti per alimenti, da dolo extra-fallimentale, etc., restano). L’esdebitazione viene concessa se hai collaborato col curatore, non hai ostacolato le operazioni, non sei stato condannato per bancarotta o reati gravi, e insomma se meriti il beneficio. È un procedimento abbastanza di routine ormai riconoscere l’esdebitazione al fallito onesto ma sfortunato. Una volta esdebitato, quei creditori non potranno più pretendere nulla da te personalmente. Per le società fallite, la domanda non si pone perché la società si estingue; i crediti residuali restano insoddisfatti e i creditori devono rassegnarsi (possono al più colpire eventuali garanti, ma la società in sé sparisce). Dunque anche attraverso il fallimento c’è vita oltre i debiti: lo stigma dell’“infamia del fallito” che resta debitore a vita è in gran parte superato nell’ordinamento moderno. Chiaramente, se hai commesso irregolarità il tribunale può negare l’esdebitazione. Ma per l’imprenditore corretto è uno strumento di riabilitazione economica importante.

D: In caso di crisi, è vero che non devo pagare un creditore a scapito di altri altrimenti commetto un reato?
R: Questa è una semplificazione ma ha un fondo di verità riguardo alla bancarotta preferenziale. Nel periodo in cui l’impresa è già insolvente (formalmente o di fatto) e poi fallisce, pagamenti eseguiti preferendo alcuni creditori nonostante lo stato di decozione possono essere considerati bancarotta fraudolenta preferenziale . Cioè favorire scientemente uno o più creditori a detrimento di altri, in prossimità del fallimento, è punito (fino a 5 anni). Quindi, se hai più creditori e risorse insufficienti per tutti, devi stare attento a non fare trattamenti arbitrariamente preferenziali. Soluzioni: – Se sei in composizione negoziata o concordato, potrai eventualmente pagare fornitori essenziali con autorizzazione (nel concordato in continuità è ammesso pagare fornitori strategici per performance del piano, con ok del tribunale, senza incorrere in bancarotta). – Se sei fuori da procedure, valuta che pagare un creditore fuori sacco può esporsi a revocatoria (il curatore nel fallimento successivo può chiedere a quel creditore la restituzione, se pagato nei 6 mesi anteriori al fallimento e non in termini d’uso) e penalmente se c’era dolo di favorire quel creditore magari personalmente vicino. – Ovviamente, non preferire te stesso o parti correlate: la banca che fa pressione e ha garanzie forse la paghi per salvare il rapporto, ma se poi fallisci quell’atto potrebbe esser visto come estorsione bancaria o comunque revocabile; però se paghi il debito verso un socio o un amministratore al 100% poco prima di fallire, è quasi sicuramente bancarotta preferenziale (se non distrattiva). – Un modo sicuro per distribuire le risorse residue senza incorrere in scelte penalmente rilevanti è proprio utilizzare il concordato: lì tutti i creditori vengono trattati secondo regole predeterminate e autorizzate dal giudice, per cui non c’è rischio penale nel pagare i privilegiati per intero e i chirografari al tot%. Fuori dalla procedura, decidere tu chi pagare e chi no è pericoloso se poi fallisci.

Quindi, è vero: quando navighi nella zona di insolvenza, fare preferenze può aggravare la tua posizione. Meglio cercare soluzioni concordate collettive o almeno criteri oggettivi (pagare quelli che se non paghi domani ti staccano un servizio essenziale – es. energia – potresti giustificarlo come atto nell’interesse della massa perché consente di continuare l’attività e non danneggiare tutti i creditori; ma se paghi solo un fornitore amico e agli altri nulla, è difficile difendersi dall’accusa di preferenza dolosa).

D: Quali sono le sanzioni se la mia azienda fallisce?
R: La procedura di liquidazione giudiziale in sé comporta conseguenze: – Per l’azienda (società): cessazione dell’attività, liquidazione beni, perdita proprietà dei beni. – Per gli amministratori: decadenza poteri, obbligo di cooperare col curatore; possibili misure interdittive tipo sospensione dagli incarichi. – Per i soci: se avevano responsabilità illimitata, parimenti beni personali aggrediti; se erano soci di capitali, perdono il valore delle quote. – Sanzioni “morali”: iscrizione nel registro dei falliti (anche se oggi è più riservato), difficoltà di accesso al credito futuro, ecc.

Dal punto di vista penale, il fallimento (liquidazione giudiziale) è l’innesco per eventuali reati di bancarotta come sopra. Dunque, le “sanzioni” penali non le porta il fallimento in sé ma eventuali condotte antecedenti o concomitanti. Se l’imprenditore ha agito correttamente, il fallimento non implica affatto condanne penali: si può fallire in modo del tutto non criminoso. In quel caso, come detto, c’è la possibilità dopo di esdebitarsi e ripartire.

D: Chi può aiutarmi a gestire la crisi della mia impresa?
R: Idealmente, un team di professionisti esperti in crisi d’impresa. In particolare: – Un avvocato specializzato in diritto fallimentare e ristrutturazioni: servirà per la strategia legale, predisporre ricorsi, negoziare accordi rispettando la normativa, proteggerti da azioni legali. – Un dottore commercialista esperto in risanamenti: è fondamentale per l’analisi finanziaria, la redazione di piani di risanamento, le proiezioni di cash flow e la trattativa con banche e fisco sui numeri. Spesso ha anche il polso su quali transazioni fiscali sono accettabili in base alle prassi, ecc. – Se l’azienda è di dimensioni rilevanti, può essere utile un advisor finanziario o un CRO (chief restructuring officer) temporaneo: figure manageriali che aiutino a condurre l’azienda in tempi di crisi (taglio costi, cessioni di asset, relazioni con stakeholders). – Un consulente del lavoro se sono coinvolte ristrutturazioni del personale (cassa integrazione, licenziamenti collettivi) per seguire procedure giuslavoristiche e dialogo coi sindacati. – Gli organi sociali interni (sindaci, revisore) se presenti dovrebbero essere coinvolti e allineati con il piano: ad esempio il collegio sindacale può supportare certificando dati o vigilando che il piano venga attuato correttamente – un sindaco diligente e collaborativo può anche aiutare a convincere i creditori che l’azienda sta facendo le cose per bene, certificando la buona fede dell’imprenditore.

In molti casi ci si rivolge a società specializzate di turnaround o a studi professionali integrati dove avvocati e commercialisti lavorano fianco a fianco sul caso. Data la complessità delle normative aggiornate (vedi Codice della crisi e i suoi correttivi fino al 2024), è davvero utile avere accanto chi conosce bene gli strumenti tecnici: improvvisare può portare a errori formali che costano l’inammissibilità di un concordato, oppure a trascurare opportunità (ad es. non sapere che si poteva ottenere la moratoria fiscale con certe condizioni).

D: Se attivo una composizione negoziata, devo informare tutti i creditori subito? Ho paura che si spaventino e tolgano fiducia.
R: La procedura di composizione negoziata è confidenziale nella fase iniziale: quando presenti l’istanza, non viene automaticamente comunicata a tutti i creditori (viene nominato l’esperto e tu in prima battuta gli esponi la situazione). I creditori verranno coinvolti man mano nelle trattative e comunque sapranno della cosa quando li inviterai ai tavoli negoziali con l’esperto. Quindi hai un certo controllo sul timing di informativa. Se chiedi misure protettive, la loro pubblicazione nel registro imprese è invece pubblica e in pratica tutti i creditori le vedranno (spesso arrivano notifiche via PEC ai creditori con procedimenti esecutivi in corso, disposte dal giudice). Ciò potrebbe allarmarli, ma ricorda: quelle misure li bloccano dal far azioni, per cui la loro reazione ostile è mitigata dal fatto che legalmente non possono nuocerti subito. Sta poi all’esperto contattare i creditori chiave, spiegare la serietà del percorso e convincerli che è meglio negoziare che impuntarsi. In generale, nella composizione negoziata la comunicazione è cruciale: devi far capire ai creditori che non stai dichiarando fallimento, anzi, stai cercando di evitarlo con uno strumento promosso dallo Stato stesso. Molti creditori (specie banche) conoscono già la procedura e potrebbero vederla di buon occhio perché significa che hai un professionista terzo che sorveglia (l’esperto) e stai affrontando il problema anziché scappare. In sintesi, qualche creditore la prenderà male comunque, ma hai la possibilità – con l’aiuto dei consulenti – di gestire la comunicazione in modo ordinato. Sempre meglio che se lo vengano a sapere per vie traverse magari gonfiando paure. E se qualche fornitore reagisce negativamente (ad es. interrompendo forniture), ricorda che esistono i limiti legali: non possono risolvere i contratti in corso solo perché sei in negoziazione protetta . Potranno richiedere garanzie per continuare, e ciò potrà entrare nella trattativa.

D: La crisi della mia azienda di utensili è dovuta anche a un cliente importante fallito che mi ha lasciato insoluto. Posso fare qualcosa contro quel fallimento?
R: Purtroppo quando un tuo cliente fallisce, tu diventi creditore in quella procedura e subisci la perdita. Puoi insinuarti al passivo e prendere eventuali dividendi (spesso pochi). Non hai modo di “evitare” il danno se il cliente era una grossa fetta del tuo fatturato. Quello che puoi/dovresti fare è: – Diversificare i clienti per il futuro per non esporti così tanto su uno solo. – Verificare se il cliente fallito aveva fatture in sospeso che potevano essere oggetto di factoring assicurativo o polizze credito (consiglio per il futuro: assicurare il credito di grandi commesse). – In sede di insinuazione al passivo, puoi insinuare non solo il capitale ma anche danni eventuali (clausole penali, interessi di mora). – Se sospetti che il fallimento del cliente nasconda irregolarità (frode, distrazioni, false comunicazioni), segnala al curatore o al PM competente: se dalla bancarotta di quello emergono responsabilità di amministratori, magari scoprirai che potrai fare un’azione risarcitoria verso di loro (non è semplice, ma se c’era un bilancio falso che ti ha tratto in inganno nel continuare a fornirlo, potresti teorizzare un concorso in truffa, ad esempio). – Focus su di te: se quel fallimento ti ha trascinato a catena, in un eventuale concordato tuo potrai evidenziare la causa esterna sfortunata (non ha valore giuridico esimente ma moralmente e per convincere creditori può contare: “sono in crisi per colpa di quell’insoluto, ma l’azienda era sana, datemi modo di ristrutturare e ripartire” è un messaggio efficace).

D: Dopo aver utilizzato uno strumento di risanamento, i miei rapporti con i creditori come saranno? Ad esempio, se faccio un concordato preventivo, poi le banche mi presteranno ancora soldi?
R: Ciò rientra nel cosiddetto problema dello stigma post-concorsuale. Molto dipende da come ne esci: – Se il concordato ha successo e l’azienda prosegue, avrai bonificato la situazione finanziaria (ridotto debiti) ma certo i creditori subiranno perdite o attese lunghe. Per un po’ potresti trovare difficoltà a ottenere nuova fiducia. Le banche, ad esempio, dopo una ristrutturazione del debito spesso classificano l’azienda come cliente a rischio e concedono nuovo credito solo con forti garanzie o a tassi alti. Tuttavia, col tempo e dimostrando performance solide e rispetto del piano di concordato, la fiducia può essere riconquistata. A volte addirittura i nuovi investitori portati dal concordato (es. un socio nuovo che apporta capitali) possono garantire linee di credito fresche. – Se accedi a misure come l’esdebitazione dopo fallimento, come persona fisica puoi ripartire ma è plausibile che per qualche anno ottenere credito sia difficile (ci sono registri creditizi che segnalano le insolvenze passate). Però legalmente non hai impedimenti a tornare in affari (a parte eventuali interdizioni temporanee se c’è stata condanna penale). – Alcuni creditori come fornitori, se li hai trattati correttamente, potrebbero paradossalmente stringere un legame più forte: ad esempio, un fornitore che nel concordato ha votato sì e continua a lavorare con te, sarà interessato che tu ti risollevi; potreste magari pattuire pagamenti anticipati per forniture future (così lui è sicuro di non accumulare nuovo credito). Quindi in alcuni casi si passa a transazioni “cash on delivery” finché la fiducia non è riabilitata.

In definitiva, ogni procedura di risanamento ha un costo in termini di reputazione. Ma è spesso preferibile allo scenario alternativo: se non avessi fatto nulla e fossi fallito, quei creditori avrebbero perso tutto e tu non avresti chance di proseguire. Con un concordato li hai fatti partecipare a una soluzione, magari prendono il 40% oggi e salvano il cliente (te) per il futuro. Questa narrazione sta iniziando a farsi strada: la legge attuale vuole destigmatizzare la crisi d’impresa, vederla come evenienza fisiologica da gestire, non come colpa morale. Col tempo, anche banche e mercato si adatteranno (in parte già succede) a valutare caso per caso. Un’azienda che esce da un concordato ben riuscito, magari con nuovi manager e business plan, può tornare affidabile nel giro di qualche anno.

D: Chi decide se la mia azienda è insolvente?
R: L’insolvenza in senso tecnico giuridico viene accertata dal tribunale con la sentenza che apre la liquidazione giudiziale (fallimento) oppure con decreto che dichiara aperta l’insolvenza in altre procedure. Ma tu puoi essere di fatto insolvente (incapace di pagare regolarmente i debiti) anche prima di quel formale accertamento. Gli indicatori sono: mancanza di liquidità, inadempimenti gravi verso più creditori, ecc. Il CCII incoraggia gli amministratori a percepire l’insorgere dello stato di crisi ben prima dell’insolvenza conclamata. In ogni caso, a dichiararti insolvente (giuridicamente) può essere: – Su tua istanza, il tribunale se chiedi il fallimento in proprio. – Su istanza di creditori o procura, il tribunale dopo istruttoria: se risulta che non paghi debiti scaduti e sei incapiente, emette sentenza di liquidazione giudiziale. – Se sei in concordato e non ce la fai a proseguirlo, il tribunale può convertirlo in liquidazione e dichiarare lo stato di insolvenza (lo stesso dicasi per amministrazione straordinaria di grandi imprese). – Nella composizione negoziata, l’esperto può valutare se c’è insolvenza “reversibile” o se è già troppo tardi; ma senza effetti giuridici diretti se non la decisione del debitore di convertire magari in concordato.

Insomma, l’ultima parola spetta sempre al giudice, ma è interesse dell’imprenditore riconoscere la fase di insolvenza prima che qualcuno gliela “certifichi” giudizialmente, così da attivare strumenti come concordato prima di essere trascinato in fallimento da terzi.

Queste domande coprono molti dubbi comuni. Ovviamente ogni situazione reale ha le sue peculiarità: consigliarsi presto con professionisti qualificati resta il miglior approccio.

Simulazioni pratiche

Vediamo ora due brevi simulazioni di casi pratici italiani inerenti al nostro tema, per capire l’applicazione concreta delle norme e strategie discusse.

Simulazione 1: Ristrutturazione tramite composizione negoziata e concordato in continuità
Azienda Alfa S.r.l. – produzione frese e utensili, 50 dipendenti, indebitamento complessivo €5 milioni (di cui 1 mln debiti fiscali, 1 mln debiti banche, 2 mln fornitori, 1 mln altri). Causa della crisi: calo ordini nel 2024 e insoluto da €500k per fallimento di un cliente estero. La direzione prevede che con nuove commesse 2025 potrebbe tornare in utile, ma servono dilazioni sui debiti. Liquidità in cassa: quasi zero, alcuni ritardi nei pagamenti stipendi e fornitori.

Fase 1 – Composizione negoziata: A settembre 2025, Alfa attiva la composizione negoziata sulla piattaforma. Viene nominato un esperto. Alfa chiede e ottiene subito misure protettive dal tribunale : i fornitori sospendono i decreti ingiuntivi in corso, la banca non può escutere l’ipoteca sull’immobile. L’esperto esamina la situazione: Alfa ha ancora mercato e ordini, ma servono nuovi fondi e un taglio del debito. Convoca banche e principali fornitori a un tavolo.
– Con le banche si discute di prorogare i mutui di 5 anni e mantenere gli affidamenti per liquidità corrente. Le banche sono disponibili se l’imprenditore apporta almeno €200k di nuovi fondi propri (skin in the game) e se altri creditori fanno sacrifici.
– Con i fornitori: l’esperto propone che accettino il 50% dei crediti in forma dilazionata su 2 anni, in cambio di continuare a rifornire Alfa (che garantirà pagamenti cash sui nuovi ordini).
– Con l’Erario: attraverso l’esperto, Alfa propone una transazione fiscale sui €1 mln: pagare €300k dilazionato in 4 anni e stralciare il resto di sanzioni e interessi. L’Agenzia Entrate inizialmente è titubante. Poiché però con il D.Lgs.136/2024 è ammessa la transazione fiscale nella composizione negoziata, l’esperto la formalizza. L’Agenzia, fiutando che in fallimento forse incasserebbe ancora meno, aderisce condizionatamente (vuole però la garanzia che Alfa versi regolarmente IVA 2026-27).
– Con l’INPS: il debito contributivo (€200k incluso nei 1 mln fiscali) non può essere falcidiato nella negoziazione secondo le regole attuali , ma si concorda di dilazionarlo su 5 anni.

Dopo 4 mesi di trattative, si profila un accordo quasi unanime. Tuttavia, alcuni fornitori minori (20% del totale crediti) rifiutano il 50%: minacciano di votare contro qualsiasi piano. L’esperto valuta che un accordo stragiudiziale potrebbe saltare per pochi dissensi. Consiglia ad Alfa di portare la soluzione in concordato preventivo così da coinvolgere tutti e imporre anche ai dissenzienti la falcidie.

Alfa dunque predispone, con l’aiuto dell’esperto e dei consulenti, un piano di concordato in continuità coerente con quanto discusso: – I creditori finanziari (banche) in una classe: prendono allungamento mutui + interessi ridotti, niente falcidia (verranno pagati integrali ma con tempi maggiori). – I fornitori chirografari in un’altra classe: 50% del credito pagato in 2 anni (moratoria di un anno, poi 2 rate annuali del 25% ciascuna). Il 50% abbuonato. – Fisco e INPS in classe separata privilegiata degradabile: pagheranno €300k su 1 mln = 30% (che è sotto il 50% richiesto? Questo in concordato era problematico, ma supponiamo che grazie al contributo soci e fatto che i creditori privati aderenti sono >25%, il tribunale possa applicare cram-down fiscale sui €700k residui). – I dipendenti (tredicesime arretrate): classe privilegiata, pagati 100% entro un anno (grazie intervento Fondo di Garanzia INPS, che poi sarà creditore privilegiato anch’esso per quell’importo, pagato nei 5 anni come Inps). – L’apporto nuovo soci €200k andrà interamente a aumentare la percentuale concordataria dei chirografari (migliorando da 45 a 50% ad esempio).

A gennaio 2026 Alfa deposita domanda di concordato (avvalendosi che la comp.neg. fallita legittima l’urgenza). Il tribunale ammette, nomina il commissario. I creditori votano a maggio: banche (classe 1) favorevoli perché ottengono continuità su prestiti; fornitori (classe 2) al 90% favorevoli, solo pochi dissenzienti (che comunque restano vincolati perché si raggiunge la maggioranza). L’Erario formalmente vota no (non può accettare solo 30% per politica interna), ma poiché senza di lui c’è il 70% di consensi e tutti i requisiti del cram-down fiscale sono rispettati (piano non è liquidatorio, creditori estranei prendono >25%, fisco prende più che in fallimento, e almeno 30%>50%? qui non rispetta il 50% richiesto dalla legge nuova per forzare… diciamo che Alfa ha alzato la proposta al 50% grazie a un factoring sui crediti futuri, per soddisfare la soglia ). Il tribunale quindi omologa forzosamente la transazione fiscale nonostante il no Agenzia. Il concordato viene omologato a giugno 2026.

Esito: Alfa S.r.l. prosegue la sua attività. I creditori ricevono quanto stabilito (banche man mano con le nuove scadenze, fornitori metà credito su due anni – i pochi contrari devono accettare anche loro questa soluzione). L’Erario incassa 500k su 1M spalmati su 4 anni (se Alfa non paga una rata, si decade e si potrebbe dichiarare risolto il concordato e la liquidazione giudiziale, ma confidano di no). I dipendenti sono salvi e l’occupazione pure.
Dal punto di vista penale, nessuna esposizione: gli amministratori non hanno commesso reati – anzi hanno evitato di protrarre l’insolvenza, hanno trattato alla luce del sole. Le omissioni d’imposta (IVA 2024 non versata ad esempio) non vengono perseguite perché rientrate nella transazione omologata (lo stesso DL 69/2023 ha sospeso l’obbligo penale durante le trattative, e poi col concordato omologato quei debiti fiscali sono regolati – qui bisognerebbe verificare ma di solito l’omologazione di concordato con transazione fiscale estingue i reati di omesso versamento per “causa di non punibilità sopravvenuta”, c’è giurisprudenza sul punto ).

Questo caso mostra una gestione attiva che ha permesso di evitare il fallimento e conservare l’azienda. Anche i creditori, pur perdendo qualcosa, probabilmente sono in condizione migliore che in caso di fallimento (dove magari avrebbero preso il 20%). La chiave è stata attivarsi presto e usare in sequenza composizione negoziata e concordato.

Simulazione 2: Liquidazione giudiziale con profili di bancarotta
Ditta Beta di Bianchi Mario, impresa individuale artigiana (5 dipendenti) produzione frese speciali. Debiti: €300k banca (mutuo per capannone con ipoteca), €200k fornitori, €150k fisco (IVA e INPS non pagati da 2 anni). Lavori in calo, Bianchi copre i buchi non pagando IVA e contributi, sperando in tempi migliori. A un certo punto, a fine 2024, smette di pagare anche i fornitori principali e comincia a vendere alcune attrezzature su eBay incassando in nero poche migliaia di euro (non comunica nulla al fisco né ai creditori). A febbraio 2025 l’Agenzia delle Entrate Riscossione iscrive ipoteca fiscale sul capannone per €100k di cartelle. La banca, vedendo le ipoteche dell’erario (che scavalcano la sua ipoteca se successive? in parte concorrenza), si allarma e revoca il mutuo, chiedendo rientro immediato. Bianchi, in panico, cede il capannone (del valore di €400k) al cugino per €50k con un atto notarile simulato (prezzo dichiarato 50 ma in realtà non incassa nulla, è solo per togliere il bene dalle grinfie). Continua a lavoricchiare in nero nel frattempo. A giugno 2025 un fornitore presenta istanza di fallimento. Il tribunale accerta che Beta è insolvente: non paga nessuno da mesi, debiti > attivi. Dichiarazione di liquidazione giudiziale (fallimento) a luglio 2025.

Durante la procedura: il curatore scopre vari fatti: – L’azienda ha pochissimi beni rimasti: Bianchi aveva venduto macchinari e attrezzature prima del fallimento senza tracciabilità (si ravvisa distrazione di beni perché non ci sono i soldi ricavati, presumibilmente li ha tenuti o spesi altrove). – Il capannone è stato trasferito al cugino a prezzo vile poco prima della procedura: classico caso di atto in frode ai creditori. Il curatore avvia un’azione revocatoria fallimentare per riavere il capannone venduto entro l’anno antecedente a un prezzo irrisorio (facilmente vinta, o addirittura chiede al giudice di estendere il fallimento al cugino se complice? Non necessario, revoca basta). Inoltre segnala il fatto al PM per il penale. – Le scritture contabili sono un disastro: Bianchi non teneva un vero libro giornale, solo appunti sparsi; molte vendite non fatturate. Quindi configura bancarotta documentale. – Non ha versato l’IVA per €80k e INPS €20k negli ultimi 2 anni: sotto soglia penale l’IVA? €80k è sotto 250k, quindi niente reato 10-ter, l’INPS €20k annuo sopra 10k quindi reato contravvenzionale contributivo c’è (due annualità da 20k ciascuna). – I dipendenti avevano TFR non versato, ma per fortuna il curatore li fa intervenire al Fondo di Garanzia.

Il PM, sulla base della relazione del curatore, contesta a Mario Bianchi: – Bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione: vendita attrezzature senza entrata e cessione capannone simulata . – Bancarotta fraudolenta documentale: contabilità inattendibile/occultata. – Sottrazione fraudolenta al pagamento imposte: l’atto col cugino è finalizzato a sottrarsi a ipoteca e riscossione su quell’immobile di valore, quindi art.11 D.lgs.74/2000, oltre soglia 50k, punito 6 mesi-4 anni . – Omesso versamento ritenute previdenziali: per due anni di seguito >10k, punito fino 3 anni.

Bianchi viene dichiarato colpevole e condannato nel 2026 a: – 4 anni di reclusione per bancarotta fraudolenta (unificata pena per patrimoniale e documentale) . – 1 anno per sottrazione fraudolenta imposte (assorbito per continuazione). – 8 mesi per omesse ritenute (anche questo in continuazione). Totale, circa 5 anni di reclusione (con possibili benefici se patteggia, etc.). Inoltre, pena accessoria: 5 anni di inabilitazione all’attività d’impresa .

Dal lato civile, il fallimento liquida i beni recuperati: il curatore riesce a farsi restituire il capannone dal cugino (o almeno a venderlo e incassare), e con quei soldi paga la banca che aveva ipoteca (rimasta di primo grado) e parte del fisco. I fornitori prendono briciole. Bianchi persona fisica rimane con debiti verso fornitori e fisco insoddisfatti (non esdebitabili se riconosciuto colpevole di bancarotta fraudolenta, la legge preclude esdebitazione ai condannati per bancarotta dolosa).

Questa simulazione mostra cosa accade quando si reagisce alla crisi in modo illecito o non strutturato: Bianchi ha cercato di salvarsi nascondendo beni e trascurando contabilità. Il risultato: ha perso l’azienda comunque (liquidazione) e in più subisce condanne penali pesanti e interdizioni. I creditori, per quanto possibile, vengono soddisfatti tramite l’azione del curatore (revocatorie etc.), ma in minima parte. Una gestione diversa – per esempio, se Bianchi avesse chiesto concordato liquidatorio offrendo regolarmente il capannone a vendita e un 20% ai creditori – forse non avrebbe salvato l’azienda ma evitato i reati e magari ottenuto l’esdebitazione finale.

Morale comparativa dei due casi: La via della legalità e della trasparenza, seppur complessa, porta spesso a esiti migliori o almeno a limitare i danni (come in Alfa, azienda salvata, niente procedimenti penali). La via dell’occultamento e procrastinazione porta quasi sempre a conseguenze peggiori per tutti (azienda Beta distrutta e titolare rovinato anche penalmente). Il quadro normativo attuale, difatti, premia il debitore cooperativo (con misure protettive, con possibilità di esdebitazione) e punisce severamente il debitore fraudolento .

Conclusioni

Gestire un’azienda italiana produttrice di frese, punte e utensili in stato di indebitamento richiede un delicato bilanciamento tra difesa nell’immediato (fermare le azioni esecutive, evitare il default disordinato) e visione strategica di lungo termine (riportare l’impresa su basi sostenibili o, se ciò non è possibile, liquidarla in modo ordinato limitando le responsabilità personali). La normativa – specialmente dopo le riforme della crisi d’impresa concluse nel 2022-2024 – mette a disposizione una gamma di strumenti, ciascuno con i suoi requisiti: dalle trattative assistite (composizione negoziata) alle soluzioni concordate (piani attestati, accordi omologati) fino alle procedure giudiziali classiche (concordati, liquidazioni). Il punto di vista del debitore è cambiato: non più soggetto passivo dello stigma fallimentare, ma attore chiamato ad attivarsi, a negoziare in buona fede soluzioni e – solo se fallisce in ciò o se si comporta scorrettamente – destinatario delle sanzioni previste.

È essenziale per l’imprenditore debitore: – Conoscere i propri doveri (monitorare la crisi, attivarsi precocemente, informare correttamente gli organi di controllo). – Conoscere i propri diritti e strumenti (chiedere misure protettive, proporre transazioni fiscali, avvalersi di esperti). – Mantenere la legalità in ogni passo (nessuna distrazione, niente “furbate” come compensazioni illecite o vendite simulate, perché a fronte di benefici temporanei espongono a rischi enormi).

Dalla prospettiva di un avvocato o consulente chiamato ad assistere un’impresa indebitata, questa guida fornisce un panorama aggiornato (a ottobre 2025) delle norme e pronunce chiave su cui basare la consulenza: potrà citare le fonti normative e giurisprudenziali riportate per dare autorevolezza alle proprie raccomandazioni (es: ricordare al cliente che la Cassazione punisce l’amministratore per mancata tenuta scritture anche se oppresso dal pizzo – a dimostrazione che le attenuanti personali faticano ad essere accolte, quindi meglio non violare i doveri).

Dal punto di vista di un imprenditore o privato cittadino che legge, la guida chiarisce in termini spero accessibili cosa fare (“attiva procedura X se vuoi proteggerti da Y”) e cosa evitare (“non compiere atto Z altrimenti reato W”). Abbiamo inoltre visto esempi concreti, tabelle comparative e Q&A che rendono il quadro meno astratto.

In conclusione, un’azienda con debiti può difendersi e reagire con successo se adotta un approccio informato, proattivo e supportato professionalmente. La legge italiana, pur complessa, offre opportunità di risanamento e anche di perdono (esdebitazione) a chi agisce correttamente; al contempo è implacabile con chi persevera in comportamenti sleali verso i creditori (bancarotta fraudolenta e affini).

Il messaggio finale per il debitore è: non sei solo e non sei condannato in partenza, esistono strumenti per salvare la tua impresa o quantomeno per chiudere dignitosamente la vicenda debitoria. Ma devi muoverti entro il perimetro della legge e, preferibilmente, con l’assistenza di esperti. Fare “di testa tua” manovre opache potrebbe sembrare più facile nell’immediato, ma quasi sempre conduce a conseguenze peggiori. Difendersi dai debiti significa prima di tutto agire con consapevolezza e trasparenza, usando le difese legali predisposte dall’ordinamento a tuo favore.

Fonti normative e giurisprudenziali (aggiornate a 10/2025)

  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza – D.Lgs. 12 gennaio 2019, n.14, come modificato dai correttivi (D.Lgs. 147/2020, D.Lgs. 83/2022, D.Lgs. 136/2024). In particolare: art. 18 (misure protettive nella composizione negoziata) ; art. 23 co.2-bis (transazione fiscale in composizione negoziata) introdotto da D.Lgs.136/2024 ; art. 56 (piano attestato); art. 57-64 (accordi di ristrutturazione, transazione fiscale art.63) ; art. 84-90 (concordato preventivo, continuità e liquidatorio); art. 25-sexies (concordato semplificato) ; art. 120-121 (liquidazione giudiziale); art. 2086 c.c. (obbligo assetti adeguati); art. 216-217 L.F. 1942 e art. 322-323 CCII (reati di bancarotta fraudolenta e semplice) .
  • Decreto Legge 118/2021 conv. in L.147/2021 – Norme introduttive sulla composizione negoziata e concordato semplificato, integrate nel CCII (esp. obbligo buona fede nelle trattative) .
  • Legge Fallimentare (R.D. 267/1942) – per aspetti transitori sui reati fallimentari e procedure aperte prima del 15/7/2022. Articoli 216, 217 (bancarotta fraudolenta e semplice) rimangono riferimento per casi antecedenti .
  • Codice Penale, art. 131-bis (particolare tenuità del fatto, applicabile anche ai reati di bancarotta minori) ; art. 2621-2622 c.c. (false comunicazioni sociali, rilevanti in bancarotta impropria).
  • D.Lgs. 74/2000 (reati tributari), aggiornato con D.Lgs. 75/2020 e L. 158/2019: art. 10-bis (omesso versamento ritenute > €150k) ; art. 10-ter (omesso versamento IVA > €250k) ; art. 10-quater (indebita compensazione crediti > €50k: comma 1 non spettanti 6 mesi-2 anni, comma 2 inesistenti 1.5-6 anni) , comma 2-bis introdotto da D.Lgs. 87/2024 su incertezza oggettiva ; art. 11 (sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, soglie €50k/€200k, pene 6 mesi-4 anni o 1-6 anni aggravata) .
  • Legge 638/1983, art. 2 comma 1-bis – Omesso versamento contributi previdenziali oltre €10.000 annui: reato contravvenzionale (max 3 anni e multa) . Confermata da Corte Costituzionale sent. n. 103/2025 la legittimità della sanzione amministrativa per omissioni sotto soglia .
  • Sentenze e provvedimenti giurisprudenziali recenti:
  • Cassazione Penale, Sez. V, n. 36582/2024 (dep. 2/10/2024) – conferma la responsabilità per bancarotta fraudolenta per operazioni dolose dell’amministratore che tollera il sistematico inadempimento di obblighi tributari e contributivi .
  • Cassazione Penale, Sez. V, n. 38896/2024 – ribadisce che l’amministratore di diritto non è automaticamente esente da responsabilità se esiste un amm. di fatto: deve attivarsi per controllare, altrimenti risponde di bancarotta (caso di bancarotta documentale) .
  • Cass. Pen. Sez. V, n. 12715/2024 (dep. 27/3/2024) – sulla qualifica di amministratore di fatto e concorso del professionista: afferma criteri per individuare i soggetti di fatto e potenziale responsabilità di sindaci e consulenti che partecipano alla gestione (rif. art. 2639 c.c.) .
  • Cass. Pen., Sez. Unite, n. 34468/2016 (precedente rilevante) – afferma che il pagamento preferenziale in situazione di dissesto può configurare bancarotta preferenziale dolosa.
  • Cassazione Civile, Sez. I, n. 33303/2023 – sul rapporto tra omologazione accordo ristrutturazione con transazione fiscale e sentenza dichiarativa di fallimento sopravvenuta (principio di prevalenza dell’accordo omologato: estinzione del procedimento di fallimento se omologa precede).
  • Corte Costituzionale, sent. n. 15/2022 – (in tema di Codice della crisi) ha dichiarato legittimo il differimento dell’entrata in vigore delle procedure di allerta del CCII, sottolineando l’importanza della composizione negoziata volontaria.
  • Tribunale di Roma, decreto 9 maggio 2023 – prima applicazione di omologazione di accordo di ristrutturazione con cram-down fiscale secondo art. 63 CCII .
  • Cass. Pen., Sez. III, n. 31367/2021 – su omesso versamento IVA: stabilisce che la soglia va valutata sul debito effettivo risultante dalla dichiarazione (favor rei se sotto soglia, indipendentemente da errori formali) .
  • Cass. Pen., Sez. III, n. 37640/2019 – conferma che l’utilizzo di crediti fittizi per compensare contributi configura reato di indebita compensazione e può vedere concorso di consulenti esterni .
  • Prassi e documenti istituzionali:
  • Relazione Illustrativa al D.Lgs. 83/2022 – spiega i correttivi insolvenza, in particolare giustifica sospensione efficacia di alcune norme e l’introduzione di art. 4-quinquies D.L. 145/2023 sulla procedura di transazione fiscale .
  • Ministero della Giustizia – Decreto 21 marzo 2023 – stabilisce criteri di nomina degli esperti nella composizione negoziata e requisiti (Giustizia.it).
  • Linee guida del CNDCEC 2022 per la composizione negoziata – forniscono parametri di valutazione della ragionevole perseguibilità del risanamento.

La tua azienda che progetta e produce frese, punte, utensili speciali, alesatori, inserti in metallo duro, utensili in HSS, micro-utensili, utensili per CNC e soluzioni personalizzate di taglio si trova soffocata dai debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo

La tua azienda che progetta e produce frese, punte, utensili speciali, alesatori, inserti in metallo duro, utensili in HSS, micro-utensili, utensili per CNC e soluzioni personalizzate di taglio si trova soffocata dai debiti?
Hai esposizioni verso Agenzia delle Entrate, INPS, fornitori, banche, leasing o Agenzia Entrate-Riscossione?
Stai ricevendo solleciti, richieste di rientro, decreti ingiuntivi, blocchi dei fornitori o minacce di pignoramento?

Il settore degli utensili da taglio è tra i più complessi: materiali costosi, lavorazioni di precisione, trattamenti termici, affilature, rivestimenti PVD/CVD, R&D continuo, tolleranze strette e commesse personalizzate.
Un rallentamento nei pagamenti dei clienti può trasformarsi rapidamente in una crisi finanziaria.

La buona notizia è che la tua azienda può essere salvata, protetta e rilanciata se intervieni subito e con metodo.


Perché un’Azienda di Frese e Utensili Finisce in Debito

I motivi più frequenti includono:

• aumento del costo di HSS, metallo duro, barre sinterizzate, trattamenti termici
• rincaro dei rivestimenti PVD/CVD e delle lavorazioni CNC
• ritardi nei pagamenti da parte di meccaniche, officine, tornerie, OEM e integratori
• magazzino immobilizzato tra utensili finiti, semilavorati, inserti e grezzi
• investimenti elevati in rettificatrici, affilatrici, macchine CNC multi-asse e strumenti di misura
• costi energetici e logistici aumentati
• taglio improvviso o riduzione delle linee di credito bancarie
• commesse personalizzate con elevati tempi di produzione e incasso differito

La causa principale dei debiti non è la mancanza di lavoro, ma la mancanza di liquidità.


I Rischi per un’Azienda di Utensili da Taglio con Debiti

Se non intervieni presto, rischi:

• pignoramento dei conti correnti
• blocco dei fidi e delle linee bancarie
• sospensione delle forniture di materiali e semilavorati
• decreti ingiuntivi e azioni esecutive
• sequestro di utensili finiti, semilavorati e macchinari
• fermo della produzione
• ritardi nelle consegne e perdita dei clienti più importanti
• rischio reale di chiusura operativa

Una crisi finanziaria ignorata può paralizzare l’intero reparto produttivo in pochissimi giorni.


Cosa Fare Subito per Difendersi

  1. Bloccare immediatamente i creditori
    Un avvocato specializzato può sospendere pignoramenti, bloccare richieste di rientro bancarie, proteggere i conti correnti e intervenire con i fornitori pressanti.
    Prima si stabilizza l’emergenza, poi si studia la ristrutturazione.
  2. Analizzare i debiti ed eliminare ciò che non è dovuto
    In molte posizioni debitorie compaiono interessi illegittimi, sanzioni errate, somme duplicate, costi bancari abusivi, errori della Riscossione, posizioni prescritte.
    Una parte rilevante del debito può essere ridotta o cancellata.
  3. Ristrutturare i debiti con piani sostenibili
    Strumenti disponibili includono: rateizzazioni fiscali fino a 120 rate, accordi di pagamento con fornitori strategici, rinegoziazione dei fidi bancari, sospensioni temporanee dei pagamenti, utilizzo delle definizioni agevolate quando previste.
    L’obiettivo è liberare liquidità e mantenere la continuità produttiva.
  4. Attivare strumenti legali che proteggono l’azienda
    In caso di debiti più gravi è possibile attivare strumenti molto efficaci come PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti, accordi di ristrutturazione, concordato minore o, solo come ultima opzione, liquidazione controllata.
    Queste procedure bloccano tutti i creditori, sospendono pignoramenti e permettono di pagare solo una parte dei debiti, garantendo la sopravvivenza dell’azienda e la tutela dell’imprenditore.
  5. Proteggere produzione, magazzino e strumenti critici
    Per un’azienda di frese, punte e utensili è fondamentale proteggere metallo duro, barre HSS, inserti, utensili finiti, strumenti di misura e macchine CNC.
    Bisogna evitare sequestri che bloccherebbero rettifiche e affilature, mantenere approvvigionamenti minimi e garantire puntualità nelle consegne.
    Senza continuità produttiva, i debiti crescono; con la produzione attiva, invece, l’azienda può recuperare.

Documenti da Consegnare Subito all’Avvocato

• Elenco dettagliato dei debiti
• Estratti conto bancari
• Estratto di ruolo
• Bilanci e dichiarazioni fiscali
• Lista fornitori strategici e insoluti
• Inventario del magazzino (utensili finiti, inserti, barre, semilavorati)
• Atti giudiziari ricevuti
• Ordini aperti e pianificazione della produzione


Tempistiche di Intervento

• Analisi preliminare entro 24–72 ore
• Blocco dei creditori entro 48 ore – 7 giorni
• Piano di ristrutturazione entro 30–90 giorni
• Procedura giudiziaria eventuale entro 3–12 mesi
Le protezioni possono attivarsi già nei primi giorni.


Vantaggi di una Difesa Specializzata

• Stop immediato a pignoramenti e pressioni
• Riduzione reale e significativa dei debiti
• Protezione del magazzino, delle macchine e del materiale
• Trattative efficaci con banche e fornitori
• Continuità produttiva e commerciale assicurata
• Tutela del patrimonio personale dell’imprenditore


Errori da Evitare

• Ignorare solleciti e decreti ingiuntivi
• Accendere nuovi debiti per coprire debiti vecchi
• Pagare un creditore trascurando gli altri
• Lasciare avanzare pignoramenti e precetti
• Affidarsi a società senza reale competenza

Ogni errore rende la crisi più difficile da superare.


Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

• Analisi completa della situazione debitoria
• Blocco immediato di pignoramenti e azioni esecutive
• Piani di ristrutturazione mirati e sostenibili
• Attivazione degli strumenti giudiziari protettivi
• Trattative mirate con fornitori, banche e Agenzia Riscossione
• Tutela totale dell’azienda e dell’imprenditore


Conclusione

Avere debiti nella tua azienda di progettazione e produzione di frese, punte e utensili non significa essere destinato alla chiusura. Con la strategia giusta puoi:

• bloccare i creditori
• ridurre drasticamente i debiti
• salvare produzione, attrezzature e materiali
• mantenere la continuità aziendale
• difendere il tuo futuro imprenditoriale

Il momento per agire è adesso.

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  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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