Azienda Di Tubi E Raccordi Per Aria Compressa Con Debiti: Cosa Fare Per Difendersi E Come

Se gestisci un’azienda che produce o distribuisce tubi per aria compressa, raccordi rapidi, raccordi pneumatici, tubazioni tecniche, spirali, valvole, giunti e componenti per impianti di aria compressa, e ti ritrovi con debiti fiscali, debiti con Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, la situazione può diventare rapidamente critica.

Il settore dell’aria compressa richiede forniture costanti, materiali certificati, magazzino sempre pronto, rapidità nelle consegne e continuità operativa. Per questo un blocco dovuto ai debiti può fermare installazioni, interrompere commesse e danneggiare rapporti fondamentali con industrie, officine e impiantisti.

La buona notizia è che, se intervieni subito, puoi bloccare le procedure, ridurre i debiti e salvare la tua azienda prima che sia troppo tardi.

Perché le aziende di tubi e raccordi per aria compressa accumulano debiti

Ecco le cause più frequenti:

  • costi elevati di tubi tecnici, poliuretano, nylon, raccordi in ottone e acciaio
  • tempi di pagamento molto lenti da parte di clienti industriali e manutentori
  • rincari della componentistica importata e dei materiali plastici
  • magazzini con scorte ampie e costose
  • ritardi nei versamenti IVA, imposte e contributi INPS
  • difficoltà di accesso a fidi bancari adeguati
  • investimenti continui in attrezzature, test e certificazioni
  • fornitori strategici che pretendono pagamenti rapidi

Questi fattori possono portare a crisi di liquidità e indebitamento crescente.

Cosa fare subito se la tua azienda è indebitata

La velocità è essenziale. Ecco i passi immediati da compiere:

  • far analizzare da un avvocato la situazione debitoria dell’azienda
  • verificare quali debiti sono corretti, irregolari o prescritti
  • evitare pagamenti impulsivi o accordi di rientro affrettati
  • richiedere la sospensione di eventuali pignoramenti
  • attivare rateizzazioni realmente sostenibili con AE e INPS
  • proteggere fornitori critici e componenti fondamentali
  • evitare il blocco del conto corrente o la riduzione dei fidi bancari
  • valutare strumenti legali che permettano di ridurre o ristrutturare i debiti

Una diagnosi chiara permette di capire quali debiti tagliare, sospendere o contestare.

I rischi concreti per un’azienda indebitata

Se non intervieni rapidamente, i rischi sono molto seri:

  • pignoramento dei conti correnti aziendali
  • fermo di mezzi o attrezzature
  • blocco delle forniture di tubi, raccordi e valvole
  • impossibilità di completare impianti o consegne urgenti
  • perdita di clienti industriali e centri di manutenzione
  • danni alla reputazione commerciale
  • crisi di liquidità e mancato pagamento di personale e fornitori
  • rischio concreto di chiusura dell’attività

Nel settore dell’aria compressa, anche un breve fermo può bloccare intere linee produttive dei clienti.

Come un avvocato può aiutarti concretamente

Un avvocato specializzato in debiti aziendali può intervenire subito:

  • bloccando pignoramenti e azioni esecutive
  • riducendo l’importo dei debiti tramite trattative mirate
  • ottenendo rateizzazioni sostenibili con AE e INPS
  • annullando debiti prescritti o irregolari
  • mediando con fornitori e banche per evitare sospensioni delle consegne
  • proteggendo magazzino, continuità produttiva e rapporti industriali
  • stabilizzando la situazione finanziaria durante la ristrutturazione
  • evitando che la crisi degeneri in insolvenza

Una difesa professionale può salvare l’azienda anche in condizioni molto difficili.

Come evitare il blocco dell’attività

Per mantenere l’azienda operativa è fondamentale:

  • intervenire immediatamente senza attendere solleciti più aggressivi
  • non negoziare con creditori senza una strategia definita
  • tutelare fornitori essenziali e componenti critici
  • ristrutturare i debiti prima che partano pignoramenti
  • identificare debiti contestabili o calcolati male
  • preservare liquidità per garantire produzione, assemblaggi e consegne

Così puoi evitare ritardi, penali e perdita di clienti importanti.

Quando rivolgersi a un avvocato

D dovresti farlo se:

  • hai ricevuto intimazioni, solleciti o preavvisi di pignoramento
  • hai debiti crescenti con AE Riscossione, INPS o fornitori
  • rischi il blocco del conto corrente aziendale
  • la liquidità sta diminuendo rapidamente
  • hai difficoltà a rispettare tempistiche, ordini e pagamenti
  • vuoi evitare la chiusura o l’insolvenza

Un avvocato esperto può bloccare le procedure, ristrutturare i debiti e salvare concretamente la tua azienda.

Attenzione: molte imprese non falliscono per i debiti, ma per essere intervenute troppo tardi. Con la strategia giusta puoi ridurre, rinegoziare o eliminare una parte dei debiti, salvando davvero l’azienda.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in debiti aziendali, riscossione e difesa di imprese tecniche e industriali – ti aiuta a proteggere la tua azienda di tubi e raccordi per aria compressa.

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Introduzione

Trovarsi alla guida di un’azienda produttrice o distributrice di tubi e raccordi per aria compressa in gravi difficoltà finanziarie è una situazione complessa e delicata. Debiti bancari, cartelle esattoriali, insoluti verso fornitori e arretrati contributivi possono cumularsi fino a mettere a rischio la sopravvivenza dell’impresa. In questi casi è fondamentale conoscere i propri diritti e strumenti di tutela legale, per proteggere sia il patrimonio aziendale sia – nei limiti consentiti dalla legge – quello personale degli amministratori e dei soci. Questa guida, aggiornata a ottobre 2025, fornisce un’analisi approfondita delle possibili strategie difensive dal punto di vista del debitore (l’azienda indebitata e il suo legale rappresentante), tenendo conto della normativa italiana vigente, delle più recenti riforme (come il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza) e della giurisprudenza più attuale. L’obiettivo è offrire uno strumento pratico e avanzato, utile tanto ai professionisti del diritto (avvocati, consulenti) quanto a imprenditori e privati coinvolti in situazioni debitorie complesse, per difendersi efficacemente dalle azioni dei creditori e cercare soluzioni di risanamento.

Autonomia patrimoniale e responsabilità personale. Un principio cardine da cui partire è la distinzione tra i debiti contratti dalla società e quelli eventualmente contratti personalmente dall’imprenditore o dagli organi sociali. Le società di capitali (come S.r.l. o S.p.A.) godono di autonomia patrimoniale perfetta: rispondono delle obbligazioni solo con il proprio patrimonio, e in via generale soci e amministratori non rispondono con i loro beni personali dei debiti sociali. Dunque, se ad essere indebitata è la società “XYZ Tubi & Raccordi S.r.l.”, i creditori dovrebbero rivalersi sui beni sociali (es. merci, macchinari, crediti, immobili intestati alla società) e non sui beni del titolare o del legale rappresentante. Tuttavia, esistono importanti eccezioni a questo principio di limitazione della responsabilità. Soprattutto in caso di mala gestio o violazioni gravi da parte di chi ha gestito la società, gli organi sociali possono essere chiamati a rispondere in prima persona di alcuni debiti o danni. Ad esempio, l’amministratore che con il suo comportamento doloso o gravemente negligente abbia aggravato il dissesto dell’azienda può subire un’azione di responsabilità e dover risarcire i creditori sociali . Allo stesso modo, in specifiche circostanze previste dalla legge, l’Amministrazione finanziaria può pretendere il pagamento di imposte non versate direttamente da amministratori o liquidatori (si pensi all’ipotesi di distribuzione di attivi ai soci prima di pagare le imposte dovute in caso di liquidazione) . Comprendere dove finisce la responsabilità della società e dove può iniziare quella personale dell’imprenditore è cruciale per difendersi in modo corretto: questa guida chiarirà tali confini, fornendo riferimenti normativi e pronunce giurisprudenziali recenti a sostegno.

In sintesi, se la sua azienda di tubi e raccordi versa in cattive acque finanziarie, l’imprenditore-debitore non è spacciato: l’ordinamento italiano mette a disposizione una gamma di strumenti – stragiudiziali e giudiziali – per evitare il tracollo, rinegoziare o ridurre i debiti, bloccare le azioni esecutive dei creditori e, quando necessario, procedere a una ristrutturazione o liquidazione ordinata della crisi. Nei capitoli seguenti esamineremo:

  • Le tipologie di debiti più comuni (bancari, fiscali, verso fornitori, contributivi, ecc.) e le relative conseguenze legali;
  • Gli strumenti di difesa a disposizione del debitore (dalla negoziazione privata alle opposizioni legali, fino alle procedure concorsuali come concordato preventivo, accordi di ristrutturazione, piani attestati e procedure di sovraindebitamento);
  • Le strategie specifiche per tutelare il patrimonio personale del legale rappresentante e dei soci, nei limiti consentiti (protezione della prima casa, contestazione di pretese illegittime, uso di strumenti come il fondo patrimoniale, ecc.);
  • Tabelle riepilogative dei requisiti e delle soluzioni, per avere un colpo d’occhio sulle opzioni in base al tipo di debitore e di debito;
  • Una sezione di Domande e Risposte (FAQ) per chiarire i dubbi più frequenti (es. “I soci di S.r.l. rispondono con i propri beni?”, “L’amministratore rischia conseguenze penali se l’azienda fallisce?”, “Cosa succede se non pago l’IVA?”);
  • Alcune simulazioni pratiche di casi tipici riguardanti PMI italiane indebitate (incluso un esempio calzante di un’azienda di tubi e raccordi) con le possibili soluzioni adottate.

Il taglio sarà giuridico ma accessibile: verranno citati articoli di legge e sentenze aggiornate, ma con spiegazioni chiare. Iniziative legislative recenti (come le “definizioni agevolate” dei debiti tributari del 2023) e pronunce della Corte di Cassazione fino al 2025 saranno riportate per fornire orientamenti solidi e attuali. Nota anti-plagio: tutte le fonti utilizzate sono indicate in fondo alla guida, con riferimenti puntuali nel testo, così da permettere al lettore di approfondire direttamente sui documenti normativi o giurisprudenziali originali.

Entriamo quindi nel merito, iniziando dai diversi tipi di debiti che possono affliggere un’azienda e dalle peculiarità di ciascuno in termini di rischio e rimedi.

Tipologie di debiti e relative implicazioni

In questa sezione analizziamo i principali tipi di debito che possono gravare su un’azienda manifatturiera o commerciale (come la nostra impresa di tubi e raccordi) e quali conseguenze specifiche comportano. Distinguere la natura dei debiti è importante perché ogni categoria di credito è regolata da norme diverse (ad esempio, il Fisco ha poteri e privilegi particolari rispetto a un fornitore commerciale) e offre margini di difesa differenti al debitore. Esamineremo dunque i debiti fiscali, contributivi, bancari/finanziari, verso fornitori e altri privati, nonché i debiti da sanzioni o tributi locali.

Debiti fiscali (Erario e tributi statali)

I debiti fiscali comprendono le imposte dovute all’Erario: ad esempio IVA non versata, imposte dirette come IRES o IRPEF (nel caso di ditte individuali o società di persone a tassazione trasparente), l’IRAP, le ritenute d’acconto operate su stipendi e compensi ma non versate, oltre ad eventuali accertamenti tributari. Vi rientrano anche gli interessi e le sanzioni eventualmente applicati in caso di tardivo o mancato pagamento. Questi debiti hanno alcune caratteristiche peculiari:

  • Privilegi e riscossione: lo Stato gode di privilegi sui propri crediti. L’IVA, ad esempio, è creditore privilegiato di alto grado sui beni mobili del debitore; altre imposte e tributi sono chirografari o privilegiati a seconda dei casi. La riscossione è affidata all’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia), che dispone di poteri di esecuzione forzata in parte speciali: può iscrivere ipoteca sugli immobili del debitore fiscale e può procedere al fermo amministrativo dei beni mobili registrati (es. automezzi) senza passare dal giudice, semplicemente notificando il preavviso. Può anche pignorare stipendi e conti correnti con procedure veloci. I beni della società debitrice, dunque, sono esposti a queste azioni se i debiti fiscali non vengono sanati.
  • Nozione di autonomia patrimoniale e limiti: in linea generale, i debiti tributari di una società di capitali restano a carico della società stessa, grazie all’autonomia patrimoniale. L’amministratore o ex amministratore non è responsabile “in solido” dei debiti fiscali della società, in assenza di una specifica norma di legge che lo preveda . La Corte di Cassazione ha recentemente ribadito questo principio: non esiste una responsabilità automatica dell’amministratore (neppure di fatto) per le imposte dovute dalla società, mancando nel nostro ordinamento una norma che ponga tale coobbligazione . Ciò significa, ad esempio, che se la XYZ S.r.l. ha un debito IVA di 50.000 €, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione non può pretenderne il pagamento direttamente dall’amministratore solo perché quest’ultimo rappresentava la società. Farlo sarebbe un caso di abuso di responsabilità da parte del Fisco, suscettibile di annullamento in giudizio (come avvenuto in Cass. 8686/2025) . Eccezioni importanti: vi sono tuttavia ipotesi specifiche in cui la legge deroga al principio sopra. In particolare l’art. 36 del D.P.R. 602/1973 prevede che i liquidatori e gli amministratori di società poi estinte possano essere chiamati a rispondere di imposte non versate qualora, negli ultimi due esercizi antecedenti la liquidazione, abbiano compiuto operazioni di riparto in danno dell’Erario o occultato attività sociali . Si tratta, in sostanza, di una responsabilità per violazione dei doveri gestori (civilistica, non tributaria in senso stretto) che scatta se, chiudendo l’azienda, gli organi sociali hanno pagato altri soggetti o distribuito risorse ai soci lasciando insolute le imposte. Tale responsabilità è espressamente limitata dall’ambito della norma e non si estende al di fuori di essa . Ad esempio, l’ex amministratore di una S.r.l. fallita che negli ultimi anni pagò alcuni fornitori invece di versare l’IVA potrebbe vedersi recapitare dall’Agenzia delle Entrate una richiesta di pagamento proprio ex art.36 DPR 602/73, per la quota di imposta non soddisfatta, purché ricorrano i presupposti (pagamenti preferenziali ingiustificati in pregiudizio del Fisco). In ogni caso, fuori da tali ipotesi specifiche, il Fisco non può “saltare” la società e colpire direttamente i beni personali dell’amministratore: ogni cartella esattoriale o intimazione di pagamento indirizzata personalmente a quest’ultimo per debiti sociali va attentamente vagliata e, se illegittima, opposta nelle sedi opportune.
  • Conseguenze dell’inadempimento: se la società non paga le imposte dovute, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione può iscrivere a ruolo il debito e notificare una cartella di pagamento. Trascorsi 60 giorni senza pagamento né richiesta di rateizzazione, scattano le azioni cautelari/esecutive menzionate (fermo, ipoteca, pignoramenti). I debiti fiscali, inoltre, maturano interessi di mora e sanzioni tributarie (che però, in caso di procedure concorsuali, vengono spesso declassate al rango chirografario o ridotte). In sede concorsuale (fallimento o concordato), l’Erario è creditore privilegiato per l’IVA e pochi altri tributi, mentre per imposte dirette e altre è chirografo, ma gode comunque del privilegio generalizzato del Fisco entro certi limiti. Da notare che l’apertura di una procedura concorsuale impedisce l’applicazione di ulteriori sanzioni tributarie (per il principio del favor creditorum), ma quelle già irrogate restano nel passivo (spesso come chirografe postergate).
  • Strumenti di difesa e soluzioni: dal lato del debitore, vi sono varie strategie per gestire i debiti fiscali. Primo, verificare sempre la correttezza formale delle pretese: la cartella esattoriale è stata notificata regolarmente? È magari prescritta (le cartelle si prescrivono in termini variabili di 5 anni per molti tributi)? Un vizio di notifica o la decadenza dai termini di riscossione possono rendere nulla la pretesa, e un ricorso tempestivo può annullarla. Secondo, valutare strumenti di definizione agevolata offerti dalla legge: ad esempio, recentemente sono state introdotte diverse “rottamazioni” delle cartelle esattoriali che consentono di pagare il dovuto senza sanzioni e interessi di mora (si veda § Definizioni agevolate dei debiti fiscali più avanti). Se l’azienda rientra nelle finestre temporali previste, aderire a queste definizioni può ridurre anche del 30-40% il carico fiscale complessivo . Terzo, c’è la possibilità della rateizzazione ordinaria: l’Agente della Riscossione concede piani fino a 72 rate mensili (6 anni) per importi rilevanti, estendibili eccezionalmente a 120 rate in casi di grave difficoltà. La dilazione evita le azioni esecutive, purché si rispettino i pagamenti. Quarto, lo strumento più incisivo è la transazione fiscale nell’ambito di una procedura di crisi: in un concordato preventivo o in un accordo di ristrutturazione, l’azienda può proporre all’Erario un pagamento parziale delle imposte (falcidia di parte del debito) e/o una dilazione lunga, a condizione che l’offerta sia almeno pari a quanto il Fisco otterrebbe in caso di liquidazione fallimentare . Se il piano mostra che, liquidando la società, l’Erario prenderebbe ad esempio il 10%, e si propone di pagargli il 30%, il tribunale può omologare il concordato anche se l’Erario dovesse votare contro – è il cosiddetto “cram down” fiscale, recentemente confermato dalla Cassazione . La legge dal 2023 richiede comunque che nei piani con transazione fiscale l’Erario riceva almeno una certa percentuale minima (indicativamente 30%, elevabile al 40% in talune circostanze, come vedremo) per poter forzare l’omologazione . Approfondiremo la transazione fiscale nei paragrafi dedicati alle procedure concorsuali, dato che è un tema cruciale per risanare aziende con forti esposizioni tributarie.
  • Profili penali: un rapido cenno va fatto alle possibili conseguenze penali. Il mancato pagamento di imposte in sé non comporta reato (non esiste un “reato di indebitamento fiscale”), salvo alcune specifiche condotte previste dal D.Lgs. 74/2000. Ad esempio, l’omesso versamento di IVA oltre una certa soglia (oggi €250.000 per periodo d’imposta) costituisce reato tributario. Così pure l’omesso versamento di ritenute dovute oltre €150.000. Questi reati possono coinvolgere l’amministratore che aveva la responsabilità di effettuare i versamenti, puniti con sanzioni penali. Inoltre, qualora si apra una procedura fallimentare (liquidazione giudiziale), se l’imprenditore ha sottratto o dissipato liquidità destinata al pagamento di imposte, potrebbe ravvisarsi il reato di bancarotta fraudolenta (distrattiva) o di bancarotta semplice se l’omissione di pagamento per negligenza ha aggravato il dissesto. Dunque, è essenziale che l’organo amministrativo documenti e giustifichi adeguatamente le ragioni per cui certi debiti fiscali non sono stati pagati, specie se nel contempo si sono pagati altri creditori: tale scenario, come visto, è pericoloso sia sul piano civile (azione di responsabilità ex art. 2394 c.c. o art. 36 DPR 602/73) sia sul piano penale. In situazioni di crisi di liquidità, la legge impone di non fare preferenze ingiustificate: o si paga tutti proporzionalmente, oppure si ricorre agli strumenti concorsuali per trattare in modo paritario i creditori, inclusa l’Erario (che potrà eventualmente accettare uno stralcio concordatario, ma secondo regole trasparenti).

Debiti contributivi (previdenziali e assistenziali)

I debiti contributivi sono quelli verso enti previdenziali o assistenziali, principalmente l’INPS (contributi obbligatori per dipendenti e titolari) e l’INAIL (premi assicurativi obbligatori contro gli infortuni sul lavoro), oltre a eventuali casse professionali. Per un’azienda di tubi e raccordi con dipendenti, i contributi INPS includono sia la quota a carico datore di lavoro sia la quota a carico del lavoratore trattenuta in busta paga. Anche i contributi, se non versati, vengono iscritti a ruolo e riscossi tramite Agenzia Entrate-Riscossione, con meccanismi analoghi ai tributi:

  • Poteri di riscossione e privilegi: i crediti previdenziali godono anch’essi di privilegio generale mobiliare (hanno anzi un grado elevato, spesso secondo solo ad alcune spese di giustizia) sui beni mobili del debitore e di privilegio immobiliare speciale se iscritti ipotecariamente. L’INPS e l’INAIL si avvalgono del medesimo agente della riscossione, che può adottare fermi, ipoteche e pignoramenti similmente a quanto visto per il Fisco. Dunque i beni aziendali possono essere colpiti per recuperare contributi non versati. Occorre però distinguere: la quota di contributi a carico dei dipendenti (trattenuta e non versata) è considerata appropriazione indebita previdenziale e il DLgs. 8/2016 l’ha depenalizzata trasformandola (se l’importo non versato supera una soglia annua di €10.000) in un illecito amministrativo punito con sanzione pecuniaria; se sotto la soglia, c’è solo sanzione civile. L’amministratore che omette sistematicamente i versamenti delle ritenute INPS dei dipendenti può incorrere in queste sanzioni e, se la società fallisce, in possibili accuse di bancarotta semplice (avendo aggravato la situazione debitoria). Diverso è il discorso per la quota contributiva a carico dell’azienda: il suo omesso versamento non è reato, ma genera il debito civile e sanzioni per omesso versamento.
  • Responsabilità personale dell’amministratore: analogamente al discorso fiscale, non vi è una responsabilità personale automatica dell’amministratore per i contributi non versati dalla società. L’INPS non può emettere cartelle direttamente a nome dell’amministratore per i debiti contributivi dell’azienda, salvo egli abbia assunto una obbligazione personale (es. una fideiussione, caso raro in ambito contributivo) o salvo casi particolari previsti dalla legge. Un caso particolare è, ancora una volta, quello della cessazione della società: l’art. 36 DPR 602/73 citato sopra riguarda anche i contributi previdenziali (“crediti degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie”). Quindi, se in fase di scioglimento/liquidazione di una società l’amministratore o liquidatore paga altri creditori lasciando insoluti i contributi, l’INPS potrebbe agire contro di lui nei limiti di quanto distratto. Fuori da tale evenienza, i contributi restano dovuti dalla società. Da notare: esisteva un tempo una norma (art. 2, co. 1-bis DL 463/1983) che prevedeva la responsabilità solidale di amministratori e liquidatori per contributi non versati, ma è stata dichiarata illegittima molti anni fa; oggi non esiste una previsione generale simile, quindi valgono solo le regole comuni. Pertanto, se l’Alpha S.r.l. ha €50.000 di debiti INPS, l’INPS dovrà insinuarsi al passivo della società o agire esecutivamente contro i beni sociali; non potrà attaccare la casa del rappresentante legale, a meno che quest’ultimo non abbia commesso quelle particolari condotte (pagamenti preferenziali prima della liquidazione) o non emerga una sua condotta distrattiva penalmente rilevante (esempio: si prova che si è trattenuto somme destinate ai contributi a fini personali – allora potrebbe configurarsi reato di appropriazione indebita, ma sarebbe un percorso penale, non una pretesa civile diretta contributiva).
  • Conseguenze dell’inadempimento: l’omissione contributiva comporta, oltre alla cartella esattoriale, sanzioni civili elevate applicate dall’INPS (tasso di interesse di mora maggiorato, percentuali punitive per ritardi, che possono nel tempo raddoppiare il debito originario se non si interviene). Queste sanzioni civili per i contributi hanno natura risarcitoria e in procedure concorsuali vengono normalmente considerate alla stregua di interessi. Inoltre, l’INPS può iscrivere ipoteca e promuovere pignoramenti come detto (ad esempio, se la società è proprietaria di un immobile o macchinari, l’INPS può chiedere l’espropriazione per soddisfarsi, oppure insinuarsi nel fallimento con privilegio). In caso di concordato preventivo, i crediti contributivi possono essere anch’essi oggetto di transazione contributiva similmente a quelli fiscali (art. 63 CCII estende la transazione anche ai contributi): si può proporre di pagarli parzialmente, ma di regola le soglie di soddisfacimento sono analoghe a quelle fiscali (minimo 30-40% salvo migliori offerte).
  • Strumenti difensivi e soluzioni: per i debiti contributivi valgono in parte le stesse considerazioni fatte per quelli fiscali. Verifica formale: controllare avvisi e cartelle INPS per eventuali errori o prescrizioni (i contributi si prescrivono in 5 anni, salvo atti interruttivi). Spesso l’INPS notifica avvisi di addebito: se non impugnati entro 40 giorni davanti al giudice del lavoro, divengono definitivi e si trasformano in cartelle. È quindi importante che l’azienda contesti immediatamente eventuali addebiti non dovuti (ad es., contributi già versati, o non dovuti per errata qualificazione di rapporti di lavoro). Rateazioni amministrative: l’INPS può concedere dilazioni fino a 24 mesi (2 anni) per pagare i debiti contributivi aziendali, ai sensi della L. 389/1989, prorogabili in casi eccezionali. In pratica, molte aziende in crisi chiedono un piano di rientro INPS per evitare azioni immediate; se rispettato, l’INPS sospende le azioni esecutive. Definizioni agevolate: se il debito contributivo è affidato ormai all’Agente della riscossione, può rientrare nelle rottamazioni delle cartelle insieme ai tributi: ad esempio nella Definizione 2023 anche i contributi affidati a ruolo entro giugno 2022 potevano essere pagati senza sanzioni civili e interessi di mora. Transazione contributiva: come detto, nelle procedure concorsuali si può proporre un trattamento agevolato dei contributi dovuti. Va segnalato che l’INPS spesso adotta linee dure analoghe all’Erario nel valutare queste proposte, ma la legge oggi consente anche contro il suo parere di omologare il piano se la convenienza è dimostrata (cram down). Tutela penale: evitare assolutamente di trattenere per altri fini le ritenute previdenziali dei dipendenti: benché depenalizzata, tale condotta può comunque aggravare la posizione dell’amministratore. Se la crisi impedisce di versarle, occorre documentare che le risorse aziendali sono state usate per spese imprescindibili (es. pagare stipendi netti) e considerare di informare tempestivamente l’INPS o ricorrere a una procedura concorsuale prima che il debito esploda.

In generale, fisco e contributi costituiscono le categorie di debito più “pericolose” per un imprenditore, perché coinvolgono interessi pubblici e prevedono sia strumenti di recupero potenti sia eventuali sanzioni penali. Sarà fondamentale nel prosieguo capire come integrare eventuali transazioni fiscali/contributive in un piano di ristrutturazione e come sfruttare le definizioni agevolate varate dal legislatore per alleggerire questi debiti.

Debiti bancari e finanziari

Questa categoria include i debiti verso banche, società finanziarie o altri intermediari derivanti da mutui, finanziamenti, affidamenti di conto corrente, leasing, noleggi finanziari, scoperti di conto e così via. Un’azienda manifatturiera spesso ricorre a linee di credito bancarie per finanziare il circolante (acquisto materie prime, pagamento fornitori in attesa degli incassi) o a prestiti per investimenti (macchinari, capannoni). Quando la situazione economica peggiora, questi debiti bancari possono diventare difficili da onorare. Vediamo le peculiarità:

  • Presenza di garanzie: i crediti bancari sono spesso assistiti da garanzie. Ad esempio, la banca può avere un’ipoteca sull’immobile industriale dell’azienda a fronte di un mutuo; oppure può aver ottenuto un pegno su macchinari o su crediti (anticipi fatture). Inoltre, non di rado i soci o l’amministratore hanno prestato fideiussioni personali a garanzia dei finanziamenti aziendali. Questo significa che, se la società non paga, la banca può aggredire sia i beni aziendali dati in garanzia sia – in caso di fideiussione – i beni personali del garante (ad esempio la casa dell’imprenditore, se egli ha firmato come fideiussore). Occorre quindi analizzare attentamente la documentazione: quali garanzie sono state concesse e da chi. In una S.r.l., i soci non rispondono dei debiti sociali in quanto tali, ma se uno di loro (o l’amministratore a titolo personale) ha firmato una garanzia, quella è un’obbligazione separata e valida, che rende il garante debitore solidale della banca. Tale obbligazione permane anche se la società entra in procedura concorsuale: ad esempio, se la XYZ S.r.l. va in concordato o fallisce lasciando scoperto un mutuo, la banca – pur insinuandosi al passivo della società – potrà contemporaneamente escutere il fideiussore (purtroppo per il garante, la legge non gli consente di opporre un’attesa; potrà al massimo surrogarsi in privilegio se paga la banca, in alcuni casi). Nota: esistono casi in cui le fideiussioni bancarie standard (basate sui modelli ABI) sono state dichiarate nulle in parte per contrasto con la normativa antitrust: alcune clausole di quelle fideiussioni-tipo sono anticoncorrenziali (lo ha stabilito la Cassazione a Sezioni Unite nel 2017). Quindi, se un imprenditore ha prestato fideiussione su un modulo ABI, un legale esperto potrebbe valutare la possibilità di contestarla, almeno per quelle clausole (ad es. la rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c.), al fine di ridurre l’esposizione personale. Ci torneremo negli esempi pratici.
  • Procedure di recupero: le banche, in caso di insolvenza dell’azienda, solitamente revocano gli affidamenti (mandando “sconfinato” il conto corrente), dichiarano la decadenza dal beneficio del termine sui mutui (chiedendo l’immediato pagamento del capitale residuo) e, se non ottengono un accordo, procedono al recupero coatto. Tipicamente ottengono un decreto ingiuntivo che, se non opposto, diventa esecutivo in breve tempo (40 giorni) e consente di aggredire i beni con pignoramento. Se c’è ipoteca su un immobile, la banca può avviare direttamente il pignoramento immobiliare; se c’è pegno su macchinari, può far vendere i macchinari. Le banche tendono ad essere creditori molto attivi nel presentare anche istanze di fallimento: se vedono che l’impresa non paga e non offre soluzioni, possono depositare un’istanza di liquidazione giudiziale (fallimento) per tutelarsi, confidando di recuperare almeno in parte tramite il realizzo concorsuale dei beni su cui magari hanno ipoteca.
  • Privilegi nel concorso: se l’azienda finisce in procedura concorsuale, i crediti bancari ipotecari sono privilegiati sui beni gravati (es. mutuo ipotecario sulla sede: la banca avrà prelazione sul prezzo di vendita della sede). I crediti chirografari (non garantiti) sono chirografari semplici. I leasing, se risolti, danno luogo a un credito per canoni scaduti privilegiato sul bene, e per canoni a scadere chirografo (salvo diverse interpretazioni). In concordato preventivo o accordo, le banche sono spesso classificate in classe separata e ricevono un certo dividendo o una rinegoziazione del debito.
  • Strumenti di difesa e gestione: per i debiti finanziari, spesso la prima mossa è il dialogo con la banca. A differenza del Fisco, le banche possono valutare ristrutturazioni del debito su base negoziale se intravedono prospettive di recupero migliori. Ad esempio, l’azienda può chiedere una moratoria (sospensione temporanea del pagamento delle rate di mutuo, magari pagando solo interessi) oppure un piano di rientro per gli utilizzi in conto corrente. Esistono protocolli come l’Accordo ABI per le PMI in crisi (“Imprese in Ripresa 2.0”, ecc.) che incoraggiano le banche a concedere dilazioni. Chiaramente, ciò funziona se la crisi è temporanea o se l’impresa può offrire garanzie aggiuntive. Qualora la banca sia refrattaria o le esposizioni siano pluri-bancarie (diverse banche coinvolte), l’imprenditore può ricorrere a strumenti più strutturati: un piano attestato di risanamento (art. 56 CCII) o un accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 57 CCII). Nel piano attestato, l’impresa predispone con un esperto indipendente un piano di risanamento che prevede anche intese con le banche (ad esempio: consolidamento dei debiti in un nuovo finanziamento a lungo termine, cessione di asset non strategici per rimborsare parte dei crediti, ecc.), il tutto asseverato da un professionista che attesta la veridicità dei dati e la fattibilità. Il vantaggio del piano attestato è che, se pubblicato al Registro imprese, protegge da azioni revocatorie in caso di successivo fallimento (i pagamenti eseguiti secondo il piano non sono revocabili). Lo svantaggio è che non vincola i creditori dissenzienti: serve il consenso di ciascuna banca coinvolta, altrimenti la singola banca può chiamarsi fuori e agire per conto proprio. Se invece si riesce a coinvolgere almeno il 60% dei creditori (per valore del credito) in un accordo omologato, si può optare per un accordo di ristrutturazione dei debiti in tribunale: questo vincola anche i non aderenti (che però devono essere pagati integralmente, salvo diversa previsione di legge) e soprattutto consente di ottenere misure protettive erga omnes. Ad esempio, se 3 banche su 4 accettano un accordo e la quarta no, si può comunque ottenere dal tribunale l’omologazione (oggi persino con estensione dell’efficacia ai dissenzienti in certe condizioni) , a patto di soddisfare i criteri di legge. In sede concorsuale, l’azienda può inserire i debiti bancari in un concordato preventivo: se la banca ha garanzia, avrà diritto a un trattamento almeno pari al valore di stima della garanzia (ad esempio, banca con ipoteca su capannone da 1 milione: dovrà prendere quell’importo o l’immobile stesso se il piano lo prevede in continuità). Se la banca è chirografaria, potrebbe acconsentire a una percentuale di stralcio. Nel concordato, contrariamente a prima, i contratti bancari in essere (fidi, leasing) non possono essere revocati unilateralmente solo perché c’è la crisi: il Codice della crisi impedisce ai fornitori essenziali e agli altri contraenti di risolvere i rapporti in corso solo per il pregresso insoluto o per la presentazione di domanda di concordato . Dunque, una banca non può chiudere improvvisamente un conto affidato appena la società deposita una domanda di concordato (lo può fare se vi sono altre cause di giusta causa o se l’impresa viola le condizioni correnti, ma non per il mero fatto dell’avvio della procedura). Questo per favorire la continuità aziendale. Se però la continuità non è possibile e si va verso la liquidazione, la banca farà valere i suoi diritti in sede di riparto come creditore privilegiato o chirografo. Opposizioni legali individuali: ovviamente se la banca agisce in via monitoria (decreto ingiuntivo) o esecutiva, l’azienda può opporsi per guadagnare tempo o per far valere eventuali eccezioni (tassi usurari? Anatocismo sugli interessi? Nullità parziale della fideiussione, ecc.). Queste contestazioni tecniche vanno valutate caso per caso con un legale esperto di diritto bancario: talvolta emergono irregolarità nei contratti (es. tassi effettivi oltre soglia di usura, clausole indeterminate) che possono ridurre il debito o bloccare l’azione della banca. Va detto che puntare solo su queste eccezioni raramente risolve la crisi, ma può inserirsi in una strategia più ampia di negoziazione (es.: l’azienda oppone un decreto ingiuntivo eccependo usura, e intanto propone alla banca un accordo transattivo per chiudere il rapporto – la banca potrebbe accettare per evitare lunghe cause). In situazioni molto critiche, se l’imprenditore vuole proteggere alcuni beni personali (ad es. la casa di abitazione) su cui grava una fideiussione, può valutare atti di segregazione patrimoniale come il fondo patrimoniale o un trust. Tuttavia, attenzione: tali atti, se compiuti quando i debiti sono già noti e insorti, possono essere facilmente revocati come atti in frode ai creditori. Vanno semmai costituiti in tempi non sospetti. Nel nostro scenario, se l’imprenditore ha già garantito coi propri beni, l’unica vera tutela ex post è ristrutturare anche il debito personale (ad es. con un piano del consumatore o una liquidazione del patrimonio personale – strumenti di sovraindebitamento di cui diremo – qualora l’esposizione lo richieda).

Riassumendo, i debiti verso banche richiedono un duplice binario di azione: da un lato, il confronto negoziale immediato per evitare il default conclamato (spesso le banche preferiscono recuperare in parte ma mantenere vivo il cliente, piuttosto che spingerlo al fallimento); dall’altro, la predisposizione di un eventuale piano concorsuale (accordo attestato, concordato, ecc.) per congelare le pretese e imporre un piano se necessario. Il tutto tenendo presente che se esistono garanzie personali, la partita va giocata anche sul tavolo personale dell’imprenditore.

Debiti verso fornitori, professionisti e altri creditori privati

In questa categoria rientrano tutte le obbligazioni pecuniarie derivanti da rapporti commerciali o civili diversi da quelli finanziari. Esempi tipici: fatture non pagate ai fornitori di materie prime o servizi; canoni di locazione scaduti per il capannone o gli uffici; compensi non saldati a consulenti, manutentori, installatori; debiti verso imprese di trasporto o di energia, e così via. Spesso per un’azienda medio-piccola i fornitori sono creditori cruciali, perché dal mantenimento dei rapporti con essi dipende la continuità operativa (se il fornitore blocca le forniture per mancato pagamento, la produzione si ferma). Caratteristiche di questi debiti:

  • Natura chirografaria (generalmente): nella maggior parte dei casi, i fornitori e gli altri creditori commerciali non dispongono di garanzie reali sui beni dell’azienda. Fanno affidamento sul normale adempimento e, in caso di insoluto, devono attivare strumenti giudiziari ordinari. Esistono eccezioni: ad esempio un locatore può avere un privilegio sui beni mobili presenti nei locali affittati per i canoni (privilegio del locatore), oppure un vettore ha privilegio sulle cose trasportate finché ne detiene il possesso. Ma al di là di casi specifici, il fornitore che vanta una fattura non pagata è un creditore chirografario, senza prelazioni particolari (salvo il privilegio generale per i crediti derivanti da forniture di beni e servizi effettuate nell’ultimo semestre prima della procedura concorsuale, ex art. 2751-bis n.5 c.c., che tutela parzialmente i fornitori in caso di fallimento). Ciò significa che, in una procedura concorsuale, questi creditori spesso subiscono forti decurtazioni (sono ultimi in graduatoria, a pari con banche chirografarie e Fisco chirografo).
  • Azioni di recupero: un fornitore impagato generalmente invia solleciti, poi può attivarsi con un decreto ingiuntivo (soprattutto se dispone di prova scritta del credito, come la fattura firmata o il contratto). Trascorsi 40 giorni senza opposizione, il decreto diviene definitivo ed esecutivo, consentendo il pignoramento dei beni aziendali (conto corrente aziendale, merci in magazzino, attrezzature, ecc.). Un singolo fornitore spesso non ha la forza o convenienza economica di procedere a complesse esecuzioni (soprattutto se deve individuare beni da pignorare), ma crediti più grandi possono essere ceduti a società di recupero che agiscono in modo sistematico. Inoltre, più fornitori insoddisfatti possono cumularsi e presentare istanze di fallimento: la legge consente a qualunque creditore di chiedere la liquidazione giudiziale dell’impresa debitrice, dimostrandone lo stato di insolvenza (pluralità di debiti scaduti e impagati, o inadempimenti gravi). Per l’azienda debitrice ciò rappresenta un rischio serio: basta un credito certo e scaduto superiore (in genere) a poche migliaia di euro per legittimare un’istanza; se il Tribunale accerta che l’azienda non paga sistematicamente, può aprire la procedura. Quindi, molti imprenditori sottovalutano la possibilità che “piccoli” creditori come fornitori minori possano innescare il fallimento: in realtà accade, specie se il credito è maturato in modo evidente (es. fornitore di materie prime non pagato da 6 mesi, con DDT firmati e fatture, può facilmente ottenere un decreto ingiuntivo e, vedendo infruttuoso il pignoramento, scegliere la via concorsuale per smuovere la situazione).
  • Effetti sulla continuità aziendale: se l’azienda cessa di pagare i propri fornitori strategici, la conseguenza immediata è spesso il blocco delle forniture. Il fornitore sospende le consegne, chiede pagamento anticipato per ulteriori ordini, oppure rescinde i contratti per inadempimento. Ciò può paralizzare la produzione o le vendite dell’impresa debitrice, aggravandone la crisi. Si crea un circolo vizioso: niente materie prime -> niente prodotti -> niente ricavi -> ancor meno liquidità per pagare debiti. Per questo, i debiti verso fornitori vanno gestiti con estrema attenzione: a volte può avere senso privilegiare (in via di fatto) il pagamento di fornitori essenziali per tenere in vita l’attività, posticipando altri esborsi (magari con accordi ad hoc), pur consapevoli dei rischi legali. La legge concorsuale cerca di mitigare questi casi: ad esempio, in concordato preventivo in continuità, i fornitori in essere non possono rifiutare la prestazione contrattuale solo perché non sono stati pagati i loro crediti pregressi . In più, i crediti per forniture nell’ultimo semestre ante procedura, come detto, hanno un piccolo privilegio.
  • Difese e possibili soluzioni: se un’azienda non riesce a pagare regolarmente i fornitori, la prima mossa dovrebbe essere negoziare. È spesso possibile concordare con il creditore una dilazione del debito (es. pagamento a rate della fattura arretrata, magari con aggiunta di interessi) oppure un saldo e stralcio (pagamento parziale immediato a fronte dello sconto del resto). Molti fornitori, dovendo scegliere tra avviare cause costose e lunghe o incassare subito il 50-70% e mantenere il cliente, preferiscono la seconda opzione. Importante è essere trasparenti: se la crisi è temporanea (es. un grosso cliente che ritarda i pagamenti), spiegarlo al fornitore e magari coinvolgerlo in un accordo di standstill (moratoria breve) può funzionare. Se invece il dissesto è più serio, entra in gioco la necessità di un piano collettivo: non si possono fare accordi con uno a scapito di tutti gli altri (pena possibili azioni revocatorie e responsabilità per atti preferenziali). In tal caso, meglio formalizzare la ristrutturazione con strumenti come il concordato o l’accordo di ristrutturazione, dove i fornitori vengono suddivisi in classi e trattati equamente. Ad esempio, in un concordato l’azienda può proporre ai fornitori chirografari un pagamento del 30% dei loro crediti in 2 anni, spiegando che in caso di fallimento prenderebbero solo il 5%. Se la maggioranza accetta, la minoranza dissenziente sarà comunque vincolata dall’omologazione. Inoltre, durante il concordato gli eventuali decreti ingiuntivi o pignoramenti dei fornitori sono sospesi di diritto (dalla data di ammissione alla procedura, scatta lo stay delle azioni esecutive individuali). Questo “respiro” consente all’azienda di non essere fatta a pezzi dai singoli creditori e di gestire la crisi unitariamente. Opposizioni in sede monitoria/esecutiva: l’azienda può ovviamente opporsi ad un decreto ingiuntivo di un fornitore entro 40 giorni, sollevando eccezioni (es.: merce contestata per vizi? errori nel calcolo? prescrizione?). Ciò apre un giudizio ordinario che può durare, rinviando il momento in cui il creditore otterrà un titolo definitivo. Anche un precetto o un pignoramento possono essere oggetto di opposizione (ad es., se il precetto contiene importi non dovuti o il creditore non ha tenuto conto di un pagamento parziale già avvenuto). Queste difese “tecniche” spesso servono a guadagnare tempo, magari per consentire all’impresa di presentare un’istanza di concordato preventivo in extremis (il concordato in bianco, o “con riserva”, art. 44 CCII, è spesso usato proprio quando pendono azioni esecutive: depositando la domanda in tribunale e chiedendo misure protettive, si congelano i pignoramenti in corso). La legge oggi richiede rapidità: il tribunale deve fissare l’udienza per l’omologa di un concordato in tempi brevi e può concedere misure protettive provvisorie, ma l’azienda deve agire con diligenza.
  • Rapporti contrattuali in corso: un’altra difesa importante riguarda la gestione dei contratti pendenti con fornitori. Se l’azienda ha, ad esempio, un contratto quadro di fornitura annuale e rischia la risoluzione per morosità, può cercare un accordo per continuare a ricevere materiali magari pagando pro forma le nuove consegne in anticipo, ma posticipando il pregresso. In procedure concorsuali, c’è la possibilità per il debitore in continuità di chiedere l’autorizzazione a pagare i fornitori strategici pregressi (crediti anteriori) per assicurarsi la continuità delle forniture (art. 95 CCII): il tribunale può autorizzare il pagamento di creditori strategici anche anteriori, se indispensabile per proseguire l’attività e quindi per il miglior soddisfacimento del ceto creditorio nel complesso. Ciò tutela fornitori chiave (es. unico fornitore di una certa materia prima specifica), evitando che si ritirino dal rapporto.

In definitiva, i debiti verso fornitori richiedono comunicazione tempestiva e gestione “politica”: l’imprenditore deve far capire ai partner commerciali che ignorare il problema e far fallire l’azienda non conviene a nessuno. Meglio rinegoziare, magari offrendo qualcosa in cambio (garanzie su future forniture, penali se non si rispetta il piano di rientro, ecc.). E se ciò non basta, prepararsi a incanalarli in una procedura concorsuale dove avranno un trattamento paritario e controllato.

Debiti derivanti da sanzioni, multe e tributi locali

Un caso a parte, che spesso interessa le piccole imprese (soprattutto ditte individuali) e i privati, sono i debiti verso enti pubblici diversi dallo Stato, come ad esempio: multe stradali elevate dal Comune, tasse automobilistiche (bollo auto) regionali, tributi locali (IMU, TARI) non pagati, sanzioni amministrative di varia natura (es. sanzioni dell’ASL per violazioni di norme di sicurezza, sanzioni antincendio dei Vigili del Fuoco, ecc.). Questi debiti sono spesso affidati anch’essi all’Agenzia Entrate-Riscossione per la riscossione coattiva. Pur non avendo la priorità dei tributi erariali, possono complicare il quadro debitorio:

  • Riscossione ed effetti: una multa non pagata o un IMU non versato generano ingiunzioni fiscali o cartelle esattoriali. L’Agente della riscossione può porre in essere le stesse azioni di cui sopra (fermo auto, ipoteca sugli immobili, pignoramenti) anche per riscuotere queste somme. Ad esempio, un Comune potrebbe iscrivere fermo amministrativo sull’automezzo aziendale per multe non pagate, bloccandone l’utilizzo. Oppure potrebbe iscrivere ipoteca sul capannone per IMU arretrata, ostacolando una futura vendita finché non si paga. Sono importi spesso non elevatissimi singolarmente, ma numerosi piccoli debiti locali possono sommarsi a decine di migliaia di euro.
  • Sanzioni amministrative specifiche: in certi settori industriali, se l’azienda viola normative (ambientali, di sicurezza, ecc.), possono piovere sanzioni amministrative di importo anche significativo. Queste costituiscono debiti verso l’ente emanante (Ministero, Regione, ente locale) e, se non pagate, seguono il solito iter di iscrizione a ruolo.
  • Difese: qui valgono i consigli generali: verificare sempre termini di notifica (molte multe e atti locali sono annullabili per vizi procedurali, es. notifica oltre 90 giorni nel caso di multe stradali), fare opposizione entro i termini se si ha motivo (presso il Giudice di Pace per multe, o in Commissione Tributaria per tributi locali). Una volta divenuti definitivi, questi debiti possono anch’essi rientrare nelle rottamazioni periodiche: ad esempio, la Definizione 2023 includeva anche multe e imposte locali iscritte a ruolo, con stralcio di interessi (non delle sanzioni principali nel caso delle multe, perché sarebbe il “capitale” stesso). Alcuni comuni offrono proprie sanatorie (condoni su sanzioni edilizie, rottamazione ingiunzioni fiscali comunali). L’imprenditore dovrebbe informarsi presso il proprio Comune/Regione sulle eventuali possibilità di definizione agevolata aperte.
  • Procedura concorsuale: in un eventuale concordato preventivo o procedura di sovraindebitamento, questi enti locali sono trattati come creditori chirografari (a meno che la legge locale dia un privilegio – rarissimo). Quindi possono subire falcidia come gli altri chirografi. Spesso però parliamo di importi modesti che conviene eventualmente pagare se possibile, per evitare complicazioni (si pensi: un concordato per salvare la società di certo prevederà di pagare almeno in parte i tributi locali per poter continuare l’attività in regola col Comune, ad esempio per avere DURC regolare o licenze non sospese).
  • Effetti pratici limitati: raramente un Comune chiederà il fallimento di una società per un debito IMU, anche perché i crediti pubblici seguono iter propri. Però non è impossibile: ad esempio, una società che accumula troppi debiti INAIL potrebbe subire segnalazioni alle autorità competenti (in teoria l’INAIL come ente pubblico economico potrebbe anch’esso presentare istanza di fallimento come creditore).

In definitiva, i debiti da sanzioni e tributi locali vanno gestiti facendo leva sulle opportunità di condono o definizione agevolata che spesso si presentano e, se del caso, inseriti nelle strategie generali di ristrutturazione (non trascurandoli, perché un fermo amministrativo su un autocarro aziendale può bloccare le consegne tanto quanto un ingiunzione di un fornitore!).

Tabella riepilogativa – Tipologie di debiti e azioni dei creditori:

Tipo di debitoEsempiAzioni tipiche del creditorePossibili difese del debitore
Fiscale (Erario)IVA, IRES, IRAP, ritenute non versateCartella esattoriale; ipoteca su beni; fermo auto; pignoramento; se insolvenza, insinua privilegio/chirografo; (eventuale denuncia penale per omessi versamenti rilevanti)– Verifica notifica e prescrizione; ricorso in Commissione Tributaria.<br>– Rateizzazione (72-120 rate) o rottamazione cartelle .<br>– Transazione fiscale in concordato/accordo (offerta ≥ 30-40%) .<br>– Opposizione a intimazioni illegittime (cartelle intestate all’amministratore senza titolo) .
Contributivo (INPS/INAIL)Contributi dipendenti; contributi IVS titolare; premi INAILAvviso di addebito INPS → cartella; ipoteca; fermo; pignoramento; insinuazione al passivo con privilegio; (sanzioni civili elevate per ritardi)– Ricorso Giudice del Lavoro su avvisi (entro 40 gg) per contestare addebiti errati.<br>– Rateizzazione INPS fino 24 mesi (dilazione amministrativa).<br>– Rottamazione cartelle contributive se ammessa (stralcio sanzioni civili).<br>– Transazione contributiva in concordato/accordo (similare al Fisco).<br>– Attenzione a ritenute dipendenti → possibile illecito amministrativo se >€10k/anno (da regolarizzare tempestivamente).
Bancario/FinanziarioMutuo ipotecario; scoperto conto; leasingDecadenza beneficio termine (chiede tutto subito); decreto ingiuntivo e pignoramento; escussione garanzie reali (es. vendita immobile ipotecato) o personali (fideiussioni); istanza di fallimento se insolvenza evidente– Negoziazione piano di rientro, moratoria ABI, riscadenzamento mutui.<br>– Opposizione a D.I. se eccezioni (anatocismo/usura/nullità clausole) per guadagnare tempo e leva negoziale.<br>– Piano attestato di risanamento con banche + attestazione indipendente .<br>– Accordo ristrutturazione 60% (anche “agevolato” 30%) , con omologa.<br>– Concordato preventivo: stay delle azioni, pagamento secondo valore garanzie per ipotecari; classi dedicate.<br>– Verifica fideiussioni: eccepire nullità clausole ABI (se applicabile) per ridurre obbligo personale.
Fornitori e privatiFatture merci; canoni locazione; consulentiSolleciti → decreto ingiuntivo; sospensione forniture; risoluzione contratti per inadempimento; pignoramento beni azienda (merci, conti, crediti); istanza di fallimento se insolvenza prolungata– Concordare piani di rientro, eventuali garanzie (cambiali, ecc.) per rassicurare fornitore.<br>– Saldo e stralcio se possibile (pagamento parziale immediato a chiusura del debito).<br>– Opposizione a D.I. se merce contestata o errori, per aprire causa.<br>– Concordato preventivo: classi chirografi con % di pagamento, vincolante per tutti se omologato; protezione dai pignoramenti durante la procedura.<br>– Autorizzazione pagamento fornitori strategici ante procedura (continuità aziendale) se indispensabili .<br>– Verifica privilegi (es. fornitura 6 mesi ante procedura) per eventuale soddisfazione leggermente migliore in caso di fallimento.
Multe, tributi localiMulte stradali; IMU, TARI; sanzioni amministrative varieIngiunzione fiscale comunale o cartella; fermo amministrativo veicoli; ipoteca (per es. su immobile per IMU); pignoramenti tramite concessionario locale– Opposizione entro termini (Giudice Pace per multe, Tribunale/Tributario per altre sanzioni) per vizi di notifica o merito.<br>– Adesione a condoni locali o definizioni agevolate (es. stralcio interessi su ingiunzioni comunali, saldo delle sole sanzioni principali).<br>– Rottamazione cartelle anche per queste voci (no stralcio quota capitale per multe, ma niente interessi).<br>– In concorsuale: trattamento chirografario analogamente ad altri crediti (possono essere falcidiati).<br>– Verifica se ente ha rispettato soglie (Equitalia non può pignorare prima casa per debiti < €120k, salvo eccezioni).

(Legenda: D.I. = Decreto Ingiuntivo; ABI = Associazione Bancaria Italiana (schema standard fideiussioni); CCII = Codice Crisi d’Impresa e Insolvenza).

Strumenti di difesa del debitore

Trovarsi sommersi dai debiti può essere opprimente, ma l’ordinamento offre una serie di strumenti per difendersi dalle azioni dei creditori e, in molti casi, per ristrutturare o ridurre il debito stesso. L’approccio del debitore dovrebbe essere graduale e strategico: inizialmente tentare soluzioni stragiudiziali e individuali, e solo se necessario ricorrere a procedure concorsuali più invasive. In ogni fase, comunque, vi sono mezzi legali di tutela. Di seguito li esamineremo organizzandoli in sottosezioni:

  • A. Prevenzione e gestione stragiudiziale della crisi – le azioni da intraprendere tempestivamente all’emergere delle difficoltà (assetti organizzativi adeguati, dialogo con consulenti e creditori, mosse per evitare l’aggravarsi del dissesto);
  • B. Verifica della legittimità del debito e delle procedure di notifica – controlli e contestazioni formali che possono ridurre o annullare pretese creditorie (prescrizioni, nullità, vizi di forma);
  • C. Opposizioni e rimedi nelle diverse fasi (ingiunzione, precetto, pignoramento) – come reagire se il creditore passa alle vie legali (dai ricorsi in sede monitoria alle opposizioni esecutive, fino alla protezione offerta da iniziative concorsuali pendenti);
  • D. Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento e altre soluzioni concorsuali – gli strumenti “ufficiali” di ristrutturazione o liquidazione della crisi previsti dal Codice della crisi (concordato preventivo, accordi di ristrutturazione, piano attestato, composizione negoziata, concordato minore, liquidazione giudiziale o controllata, ecc.), con indicazione di requisiti e opportunità di ciascuno;
  • E. Definizioni agevolate dei debiti fiscali e altri strumenti legislativi speciali – misure straordinarie varate dal legislatore (come condoni, rottamazioni, saldo e stralcio fiscale) che possono offrire sollievo al debitore senza passare dal tribunale;
  • F. Esempi pratici di difesa – alcune simulazioni di casi reali per mostrare in concreto l’applicazione coordinata degli strumenti di cui sopra.

Procedendo con ordine, iniziamo dalle mosse preventive e di gestione iniziale della crisi.

A. Prevenzione e gestione stragiudiziale della crisi debitoria

1. Riconoscere i segnali di allarme e attivarsi subito: Il primo consiglio è non ignorare i segnali di difficoltà finanziaria. Un imprenditore avveduto, accorgendosi che l’azienda fatica a pagare puntualmente debiti o stipendi, o che accumula perdite di esercizio, deve reagire prontamente. La recente normativa ha enfatizzato questo dovere introducendo l’obbligo di assetti organizzativi adeguati proprio per rilevare tempestivamente la crisi (art. 2086 co.2 c.c., modificato dal Codice della Crisi) . Ciò significa dotarsi di strumenti di controllo di gestione, piani finanziari e sistemi di monitoraggio dei flussi di cassa tali da prevedere l’insorgere di tensioni finanziarie. Ignorare la crisi o continuare come nulla fosse costituisce oggi una violazione degli obblighi gestori, potenzialmente fonte di responsabilità per gli amministratori . I tribunali hanno sancito che la mancata adozione di adeguati assetti non è una semplice irregolarità formale, bensì un indice di negligenza gestionale grave che può portare alla revoca giudiziaria degli amministratori e a responsabilità civili e penali . Ad esempio, il Tribunale di Milano nel 2024 ha rimosso d’ufficio gli amministratori di una società proprio perché non avevano predisposto alcun sistema di controllo e la società era andata in dissesto senza misure correttive . Dunque, per “difendersi” dai debiti la prima mossa è giocare d’anticipo: attivare il prima possibile i consulenti (commercialista, avvocato d’impresa) per analizzare la situazione contabile e finanziaria, redigere uno stato dettagliato dei debiti e delle scadenze, e valutare la sostenibilità nel breve e medio termine. Questa analisi iniziale consente di decidere se la crisi è rimediabile con strumenti interni (es. aumento di capitale, ricerca di soci finanziatori, taglio dei costi, dismissione di rami d’azienda) oppure se occorre coinvolgere i creditori in una ristrutturazione del debito.

2. Pianificazione finanziaria e moratorie volontarie: In parallelo all’analisi, è consigliabile interrompere per tempo l’emorragia finanziaria: evitare, ad esempio, di continuare a indebitarsi ulteriormente per pagare debiti scaduti (classico caso: fare nuovo debito bancario per pagare fornitori, se l’attività non genera flussi per ripagarlo – si rischia solo di aumentare l’esposizione senza risolvere la crisi). Meglio negoziare una moratoria volontaria con i principali creditori: contattare fornitori chiave e banche per informarli che l’azienda sta predisponendo un piano di rilancio e chiedere tempo (ad esempio, concordando di congelare i pagamenti per 2-3 mesi in attesa del piano). Spesso questa fase richiede tatto e credibilità: conviene presentare almeno una bozza di piano o dei dati prospettici per convincere i creditori a concedere respiro. È utile anche cercare di prioritizzare i pagamenti in modo razionale: ad es., pagare comunque i fornitori essenziali correnti e i dipendenti (per mantenere l’operatività e evitare danni irreparabili), mentre si sospendono i pagamenti meno immediatamente impattanti (come rate di mutui non garantiti da ipoteca immediatamente escutibile, ecc.), fermo restando che questo potrebbe generare inadempimenti. Tale scelta va ben ponderata con l’assistenza legale, poiché privilegiare alcuni creditori a scapito di altri in situazione di insolvenza può, a posteriori, essere contestato (azione revocatoria fallimentare, o addirittura ipotesi di bancarotta preferenziale se si arriva al fallimento). Tuttavia la legge consente in certi limiti pagamenti preferenziali se funzionali a tentativi di risanamento: ad esempio, pagare un fornitore indispensabile prima del concordato non è revocabile se necessario per accedere a una procedura di concordato in continuità (art. 99 CCII esclude la revocabilità di pagamenti autorizzati in trattative protette).

3. Comunicazione e trasparenza con stakeholder: Un aspetto preventivo spesso trascurato è informare correttamente gli stakeholder interni ed esterni della situazione per evitare reazioni disordinate. I soci devono essere messi al corrente del deterioramento finanziario (gli amministratori rischiano responsabilità se non lo fanno, e soprattutto potrebbero scoprire che i soci sono disposti ad apportare capitali freschi o garanzie pur di salvare la società). I dipendenti, se trapela la notizia della crisi, vanno rassicurati per evitare fughe di personale chiave o cali di produttività. Con fornitori e banche, una comunicazione onesta (“abbiamo un problema di liquidità, stiamo lavorando a soluzioni, vi pagheremo in questo modo…”) è preferibile al silenzio o alle promesse vane. In mancanza di informazioni, i creditori tendono a tutelarsi individualmente, scatenando esecuzioni che possono far saltare ogni possibile piano unitario.

4. Adeguati assetti e advisor: Come già accennato, dotarsi di adeguati assetti non è solo un obbligo legale ma una difesa per l’impresa stessa. Ciò può comportare, in fase di pre-crisi, l’incarico a un advisor finanziario di predisporre un piano di cash-flow a 13 settimane (strumento spesso usato per monitorare la liquidità nel breve termine) o un piano industriale a 2-3 anni per valutare la redditività futura. Questo esercizio può evidenziare se l’azienda è in semplice crisi temporanea (liquidity crunch risolvibile, ad es., rinegoziando crediti e debiti, trovando soci) oppure se è insolvente strutturalmente (troppi debiti rispetto alla capacità di produrre utili, modello di business non più sostenibile). In tal caso, occorrerà considerare soluzioni più drastiche come la ristrutturazione del debito con falcidie o la liquidazione, in modo ordinato.

5. Evitare l’aggravamento del dissesto: Un imperativo assoluto per l’amministratore è non aggravare ulteriormente il dissesto con comportamenti imprudenti. Ad esempio: evitare di contrarre nuovi debiti sapendo che non potranno essere rimborsati (possibile profilo di responsabilità per amministrazione sleale verso i nuovi creditori); non disfarsi di beni aziendali sottocosto per fare cassa immediata (tali atti potrebbero essere revocati poi, o configurare distrazione se non giustificati dal mercato); non occultare la situazione contabile (falsificare bilanci per ottenere credito è un reato, oltre a generare debiti poi inesigibili). La gestione in crisi va improntata ai principi di correttezza e buona fede: ogni decisione dovrebbe essere documentata e motivata nell’interesse dei creditori nel loro complesso (questo è anche un principio sancito dal Codice: in caso di rischio di insolvenza, amministratori e imprenditori devono orientare la gestione all’interesse prioritario dei creditori ). Tale condotta prudente, oltre a ridurre i rischi di responsabilità, sarà preziosa se poi si ricorrerà al tribunale: i giudici valutano positivamente l’imprenditore che ha collaborato e tentato soluzioni ordinate, mentre vedono di malocchio chi è arrivato all’ultimo momento continuando magari a prendere decisioni azzardate (ad esempio, accumulando debiti IVA fino all’ultimo trimestre per pagare altri, sperando in un miracolo – questo atteggiamento può costare la non ammissione a procedure di favore o imputazioni di bancarotta).

In conclusione, la fase preventiva e stragiudiziale è quella in cui il debitore può esercitare maggiore controllo: prevenire è meglio che curare. Dotarsi di buoni strumenti interni, coinvolgere consulenti esperti in crisi d’impresa, trattare con i creditori chiave per guadagnare tempo e predisporre un piano sono tutte mosse che possono fare la differenza tra un risanamento di successo e un collasso disordinato. Nei prossimi paragrafi vedremo come procedere qualora, nonostante gli sforzi, i creditori abbiano già attivato procedure di recupero o le soluzioni stragiudiziali si rivelino insufficienti.

B. Verifica della legittimità del debito e delle procedure di notifica

Parallelamente all’approccio negoziale, il debitore deve prestare attenzione agli aspetti legali formali. Occorre chiedersi: “Questo debito è realmente dovuto, per intero? Le procedure con cui mi viene richiesto sono regolari?”. Spesso infatti, specie in situazioni complesse, alcuni debiti possono risultare contestabili o riducibili per motivi giuridici. Un esame accurato può far emergere errori del creditore o vizi procedurali che costituiscono valide difese. Ecco i principali controlli da effettuare:

1. Prescrizione dei crediti: La prescrizione estintiva è un’arma spesso trascurata. Ogni credito ha un termine oltre il quale, se il creditore non lo ha sollecitato formalmente, non è più esigibile. Ad esempio: i crediti commerciali ordinari si prescrivono in 10 anni, ma alcuni (come compensi professionali) in 3 anni; i contributi previdenziali in 5 anni; le sanzioni amministrative in 5 anni; le fatture di forniture periodiche in 5 anni; le bollette di energia/telefono addirittura in 2 anni. In una situazione di disordine finanziario, può capitare che alcuni fornitori o enti pubblici si siano “dimenticati” di sollecitare per tempo. Pertanto, quando arriva una richiesta di pagamento, bisogna verificare se dal momento in cui il debito era esigibile sono passati più anni del termine di legge senza atti interruttivi. Atti interruttivi tipici sono: una lettera raccomandata di messa in mora, una citazione in giudizio, un decreto ingiuntivo, una cartella esattoriale notificata, ecc. Se nulla di ciò è avvenuto entro il termine, il debitore può eccepire la prescrizione e rifiutarsi legittimamente di pagare. Esempio: un fornitore consegnò merce nel 2017, mai pagata, e solo nel 2023 invia una PEC di sollecito. Nel frattempo sono passati 6 anni; se il rapporto è soggetto a prescrizione decennale, il credito è ancora vivo, ma se si trattava di una prestazione professionale (3 anni) sarebbe prescritto. Oppure: un professionista emise parcella nel 2018 e non la sollecitò, nel 2024 invia ingiunzione: il debitore può eccepire che sono passati oltre 5 anni (il credito del professionista scadeva in 3) e chiedere l’annullamento. Attenzione: la prescrizione va eccepita dal debitore in giudizio, non opera automaticamente (tranne rarissimi casi). Dunque è necessario, ove applicabile, far valere l’eccezione (ad esempio in opposizione a decreto ingiuntivo o anche in sede di trattativa, segnalando al creditore che il credito è prescritto e quindi non verrà onorato se lui insiste).

2. Esattezza degli importi e degli interessi: Spesso i creditori – specie banche e finanziarie – possono commettere errori nel calcolo del saldo o nell’applicazione di interessi e spese. Vale la pena far ricontrollare i conti da un esperto: ad esempio, nel caso di scoperti di conto e mutui, verificare che gli interessi applicati non superino la soglia dell’usura (nel qual caso il debito sarebbe da ricalcolare senza interessi usurari, e gli interessi già pagati andrebbero imputati a capitale). Oppure, verificare l’eventuale presenza di anatocismo (interessi composti) non consentito dopo il 2014 per legge, che potrebbe aver gonfiato l’esposizione sul conto corrente. Nel caso di contratti di finanziamento, controllare la presenza di polizze assicurative abbinate: se la polizza è stata riscattata o non dovuta, il relativo importo potrebbe dover essere stornato dal debito. Inoltre, spesso gli estratti conto includono spese e commissioni non dovute (come commissioni di massimo scoperto non pattuite validamente, ecc.). Tutto questo può ridurre l’importo effettivamente dovuto. Nei rapporti con i fornitori, controllare se ci sono note di credito da emettere (merce difettosa, resi mai accreditati). Se la contabilità dell’azienda debitrice non è in ordine, è importante ricostruire la posizione di ciascun creditore, verificando incrociatamente: magari risultano già effettuati pagamenti parziali che il creditore non ha registrato; oppure il creditore ha applicato penali contrattuali non dovute, gonfiando la richiesta.

3. Validità del titolo di credito: Se il debitore ha emesso cambiali o tratte accettate in favore di creditori, bisogna verificare le eventuali azioni cambiarie. Una cambiale non pagata permette al creditore di agire esecutivamente in tempi rapidissimi (titolo esecutivo). Ma le cambiali si prescrivono in 3 anni dall’emissione (azione diretta) o 1 anno dall’ultimo atto esecutivo se avviato. Verificare dunque se eventuali effetti cambiari sono scaduti da oltre 3 anni senza protesto o atti: in tal caso l’azione cambiaria è prescritta (resta il debito sottostante, ma il creditore dovrà fare causa ordinaria, dove il debitore può opporre eccezioni). In ambito cambiale, anche la forma è tutto: cambiali non in regola con il bollo non danno titolo esecutivo, vanno prima regolarizzate.

4. Vizi di notifica e difetti procedurali nei processi: Quando arrivano atti giudiziari (es: decreto ingiuntivo, atto di citazione, precetto, cartella, pignoramento), esaminare attentamente le notifiche. Se un atto non è notificato secondo legge, può essere nullo o inesistente, offrendo spazio di reazione. Ad esempio: un decreto ingiuntivo spedito a un vecchio indirizzo non più valido, o a un indirizzo PEC errato, potrebbe non essere mai giunto nella sfera di conoscenza del debitore; in tal caso, se il creditore tenta un pignoramento, il debitore potrà far valere la nullità della notifica e far annullare l’intera procedura esecutiva. Oppure: una cartella esattoriale notificata via PEC con allegato il file in formato non conforme (es. PDF non firmato digitalmente) può essere contestata per nullità della notifica (varie Commissioni Tributarie lo hanno sancito). Un precetto notificato senza il rispetto dei termini (es. su sentenza non definitiva senza attesa dei 10 gg) è viziato. Un pignoramento che non contiene tutti gli elementi richiesti (art. 492 c.p.c.) potrebbe essere viziato. L’opposizione basata su vizi formali spesso non cancella il debito in sé, ma può allungare notevolmente i tempi costringendo il creditore a rifare la procedura. Questo tempo per il debitore è oro: può servire per riorganizzarsi o attivare nel frattempo procedure concorsuali.

5. Contestazione del titolo del credito: In alcuni casi, il debitore può contestare radicalmente di dovere quella somma. Ad esempio, l’impresa riceve un decreto ingiuntivo per un macchinario fornito, ma il macchinario è risultato difettoso al punto da causare danni: l’azienda può opporsi eccependo l’inadempimento del fornitore e chiedendo a sua volta un risarcimento. Oppure, si riceve ingiunzione per penali contrattuali (ritardata consegna, etc.) che si ritengono non dovute: si farà opposizione sostenendo l’inapplicabilità delle penali. Nel caso di cartelle esattoriali, potrebbe trattarsi di imposte o contributi già pagati in realtà: se l’azienda ha prova di aver versato quanto richiesto (magari con F24), può fare ricorso e ottenere l’annullamento (accade purtroppo che pagamenti non siano imputati correttamente). Oppure può esservi un palese errore: es. cartella duplicata, importi calcolati due volte. Per questo è utile incrociare i dati: pretendere estratti di ruolo aggiornati, confrontare con i libri contabili, etc.

6. Verifica delle garanzie personali e reali attivate: Se il debitore ha rilasciato fideiussioni personali o ha beni dati in pegno/ipoteca, dovrebbe verificare la regolarità di escussione di tali garanzie. Ad esempio: una banca per escutere una fideiussione deve inviare formale richiesta al garante; se non l’ha fatto e pignora direttamente potrebbe aver saltato passaggi (di solito non avviene, ma controllare). Nel caso di pegno su titoli o merci: il creditore pignoratizio può venderli, ma deve rispettare le regole di realizzo (es. preavviso al debitore, vendita all’incanto o ai valori di mercato). Qualora agisse diversamente, il debitore potrebbe contestare la validità della vendita e il calcolo del residuo.

In sintesi, un buon avvocato, affiancato dal commercialista aziendale, dovrebbe passare al setaccio ogni posizione debitoria in cerca di appigli giuridici. Spesso l’esito non è di far sparire il debito (anche se talvolta succede: una prescrizione accolta elimina l’obbligo), ma di guadagnare tempo e mettere pressione al creditore a transigere. Per esempio, scoprire che un decreto ingiuntivo è stato notificato male e impugnarlo, costringe il creditore a ripetere la notifica e allunga tutto di mesi; nel frattempo, quell’importo potrà forse essere inserito in un accordo di ristrutturazione più ampio evitando l’esborso immediato. Naturalmente queste azioni vanno intraprese in buona fede: sollevare eccezioni pretestuose o infondate solo per ritardare potrebbe portare a condanne alle spese o, in casi estremi, a responsabilità aggravata. Ma laddove esistano reali irregolarità (e non è raro, data la farraginosità di cartelle e procedure), il debitore ha tutto il diritto di farle valere a propria difesa.

C. Opposizioni e rimedi nelle diverse fasi (ingiunzione, precetto, pignoramento)

Quando il dialogo si interrompe e il creditore intraprende vie legali per recuperare il proprio credito, il debitore si trova a dover reagire in tempi spesso molto stretti. La procedura di recupero crediti può essere articolata in più fasi: fase monitoria (decreto ingiuntivo), fase pre-esecutiva (notifica del titolo esecutivo e del precetto) e fase esecutiva vera e propria (pignoramento e vendita dei beni). Per ciascuna di queste fasi, l’ordinamento prevede strumenti di opposizione o di riduzione dell’impatto, che il debitore può (e dovrebbe) attivare se vi sono motivi validi. Analizziamo dunque i possibili scenari:

1. Fase monitoria – Opposizione a decreto ingiuntivo: Il decreto ingiuntivo (D.I.) è spesso il primo passo compiuto da un creditore (banca, fornitore, professionista) per ottenere rapidamente un titolo esecutivo. Viene emesso dal giudice su semplice domanda del creditore, se la prova scritta del credito è ritenuta adeguata, e ingiunge al debitore di pagare entro 40 giorni. In quei 40 giorni il debitore può proporre opposizione (citazione in tribunale) per contestare il credito. Se non si oppone, il decreto diventa definitivo ed esecutivo (titolo per pignorare). Cosa fare quindi appena notificato un D.I.: innanzitutto, segnare la scadenza esatta dei 40 giorni (attenzione: se notificato via PEC, si calcola dalla data di invio; se a mezzo ufficiale giudiziario, dalla ricezione). Poi valutare, magari con un avvocato, le ragioni di opposizione. L’opposizione apre un giudizio ordinario di cognizione in cui il debitore-opponente diventa attore (con onere di indicare i motivi) e il creditore diviene convenuto che deve provare il fondamento della pretesa. I motivi di opposizione possono essere sia formali (vizi di notifica del decreto, incompetenza del giudice che l’ha emesso, prescrizione del credito, etc.) sia sostanziali (il debito non sussiste, è inferiore, è già pagato in parte, il creditore non ha eseguito la sua prestazione, ecc.). Durante l’opposizione, il giudice può concedere la provvisoria esecutorietà al decreto se il credito è documentato e l’opposizione appare pretestuosa; altrimenti, senza provvisoria esecutorietà, il creditore non può procedere a pignoramento fino alla sentenza finale. Importante: anche se la provvisoria esecutorietà viene concessa, l’opposizione non è vana: intanto si discute nel merito e si può arrivare a una transazione in corso di causa. Se il debitore non fa opposizione in tempo, perde la possibilità di contestare il merito del credito in sede di cognizione (salvo rarissime eccezioni, come opposizione tardiva se prova forza maggiore). Dovrà quindi concentrarsi eventualmente sulle fasi successive (precetto/pignoramento). Pertanto, regola d’oro: se si ricevono ingiunzioni, farle subito visionare a un legale e valutare un’opposizione. A volte anche un’opposizione temeraria (senza solide ragioni) può essere sconsigliata perché espone a condanna alle spese; ma dove vi siano margini, è strumento potente per dilazionare e aprire un confronto (in molti casi, creditori sono disponibili a trattare dopo che vedono un’opposizione depositata, per evitare anni di causa dall’esito incerto).

2. Fase del precetto – Opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi: Se il creditore ha già un titolo esecutivo (un decreto ingiuntivo definitivo, una sentenza, o una cambiale protestata, un mutuo non pagato con clausola esecutiva, ecc.), prima di pignorare deve notificare un atto di precetto. Il precetto è un’intimazione di pagamento entro non meno di 10 giorni, trascorsi i quali il titolo sarà eseguito. È l’ultimo “avviso” al debitore. Può essere cumulativo di più crediti se il creditore ne ha diversi. Cosa fare se arriva un precetto: anche qui, controllare subito la regolarità formale. Il precetto deve indicare il titolo su cui si fonda, il creditore, il debitore, la somma dovuta dettagliata (capitale, interessi, spese) e l’avvertimento che in mancanza si procederà ad esecuzione forzata. Deve essere sottoscritto dall’avvocato del creditore. Opposizioni possibili:

  • Opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c.: mira a contestare il diritto di procedere ad esecuzione in tutto o in parte. Ad esempio: il debitore può opporre che ha già pagato il debito dopo la formazione del titolo (se paga dopo la sentenza, quell’obbligo si è estinto, ma il creditore magari precetta lo stesso: il debitore può far valere l’adempimento intervenuto). Oppure, può sostenere che il titolo non è (più) efficace: ad esempio, un decreto ingiuntivo non ancora definitivo non è esecutivo, e se erroneamente precettato si può opporre evidenziando che manca la formula esecutiva. O ancora, se il titolo è una cambiale ma questa è prescritta come titolo esecutivo, il debitore può opporre la prescrizione dell’azione cambiaria (eccezione da far valere con l’opposizione all’esecuzione). L’opposizione all’esecuzione va presentata prima che inizi il pignoramento (dopo, è ancora possibile ma con limitazioni), idealmente entro i 20 giorni dal precetto. Si propone con atto di citazione davanti al giudice competente (giudice dell’esecuzione, di norma il tribunale del luogo dove il debitore ha residenza o sede). Può essere chiesta anche la sospensione dell’efficacia esecutiva, se ci sono gravi motivi (es. evidente che il credito è già estinto o il titolo viziato). Se il giudice sospende, il creditore non può pignorare finché non si decide l’opposizione.
  • Opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c.: serve a contestare vizi formali degli atti. Ad esempio: il precetto contiene importi errati o non dovuti (magari spese non liquidate dal giudice ma aggiunte arbitrariamente); oppure il precetto è stato notificato senza rispettare il termine di 10 giorni prima del pignoramento (il creditore deve attendere almeno 10 giorni dal precetto); o ancora, il precetto difetta di indicazioni obbligatorie (mancata menzione titolo, etc.). Questa opposizione va fatta entro 20 giorni dalla notifica dell’atto viziato (precetto, o atto di pignoramento se si oppongono vizi del pignoramento). Si propone con ricorso al giudice dell’esecuzione. Non sospende di per sé l’iter, salvo chiedere al giudice un provvedimento sospensivo.

In pratica, opposizione a precetto (615) e opposizione ad atti (617) spesso si cumulano: si fa un unico ricorso in cui si eccepiscono sia motivi sostanziali sia formali. Ad esempio: “mi oppongo perché ho pagato metà del debito (motivo ex 615) e perché il precetto include comunque interessi calcolati male (motivo ex 617)”. Il giudice può in tal caso decidere entrambe le questioni.

Importante: depositare un’opposizione prima del pignoramento non blocca automaticamente l’esecuzione, se non si ottiene un ordine di sospensione. Quindi il creditore prudente spesso aspetterà la fine del termine di precetto (10 gg) e poi attiverà il pignoramento senza curarsi dell’opposizione depositata, a meno che il giudice non abbia già sospeso tutto. Per questo, a volte non si fa in tempo: il debitore potrebbe presentare opposizione e prima dell’udienza di sospensiva ritrovarsi un pignoramento notificato. Tuttavia, l’opposizione rimane utile, perché se accolta potrà invalidare l’azione esecutiva (ad esempio, se l’opposizione accerta che il debito era minore, il pignoramento eventualmente fatto per importo maggiore potrà essere ridimensionato e il creditore dovrà restituire il surplus).

3. Fase esecutiva – Difese durante il pignoramento: Una volta notificato il atto di pignoramento, i margini di manovra si riducono, ma esistono ancora rimedi:

  • Opposizione all’esecuzione o agli atti (come sopra) se non già fatte, sono possibili anche dopo il pignoramento, entro alcuni limiti. In particolare l’opposizione all’esecuzione può essere proposta anche dopo l’inizio dell’esecuzione se il motivo è sorto dopo (es: il creditore soddisfatto in parte durante la procedura, ma non ferma – motivo sopravvenuto). Quella agli atti entro 20 gg dall’atto viziato (il pignoramento stesso, se ha vizi: es. notifica non corretta, mancanza di indicazioni, pignoramento oltre i limiti di legge – come il pignoramento del letto o di strumenti necessari all’impresa che sarebbero impignorabili). In particolare, nel pignoramento presso terzi (crediti verso terzi, es. pignoramento del conto corrente o crediti verso clienti) la banca o il terzo trattiene le somme ma il giudice deve poi assegnarle: il debitore può fino all’udienza di assegnazione presentare memorie e opposizioni per evidenziare eventuali errori (es. somme sul conto non pignorabili perché salario minimo, ecc.). Nel pignoramento immobiliare, può opporsi per far valere eventuali cause di estinzione o sospensione.
  • Istanza di conversione del pignoramento: Il debitore esecutato ha la facoltà di chiedere la “conversione” ex art. 495 c.p.c., ossia sostituire ai beni pignorati una somma di denaro pari al credito, spese e eventuali aggi aggiungendo un 1/5 a garanzia spese future. In pratica, se subisce il pignoramento di un macchinario dal valore di 50.000 € per un debito di 30.000, può chiedere al giudice di liberare il macchinario depositando 30.000 + 20% = 36.000 €. Questo strumento è utile se il debitore riesce a trovare risorse economiche (o un finanziamento) per estinguere il debito: evita la vendita coattiva, che spesso è in perdita, e salva il bene. Attenzione: serve liquidità immediata per farlo (il giudice di solito chiede un pagamento rateale di poche mensilità, raramente dilazioni lunghe). Comunque, è un diritto del debitore che può convincere il creditore a trovare un accordo (il creditore di solito è ben felice di prendere i soldi depositati e chiudere).
  • Sovraindebitamento o procedure concorsuali in corso: Se nel frattempo il debitore (impresa o persona) ha avviato una procedura concorsuale, ciò incide sull’esecuzione. Ad esempio, il deposito di un ricorso per concordato preventivo (con riserva o completo) sospende le esecuzioni individuali dal momento in cui il tribunale emette il decreto di ammissione e nomina il commissario (ante Codice della crisi, nel concordato “in bianco” c’era la possibilità di chiedere misure cautelari di sospensione; col Codice attuale, l’accesso con riserva consente di chiedere misure protettive immediate, art. 54 CCII, che di norma il giudice concede salvo abuso). Quindi, se l’azienda riesce a presentare per tempo la domanda di concordato e ottenere la pubblicazione del decreto di protezione, ogni pignoramento in corso è colpito dalla sospensione legale: il processo esecutivo si arresta (i beni rimangono sotto pignoramento ma non si può procedere alla vendita né alla assegnazione finché dura lo stay). Ciò dà tempo per arrivare all’omologazione del concordato, dopodiché quei crediti saranno trattati in sede concorsuale. Similmente, l’apertura della liquidazione giudiziale (fallimento) blocca tutte le esecuzioni in corso: i beni pignorati confluiscono nel fallimento e saranno il curatore a gestirli, con la chiusura delle procedure individuali. Anche l’accesso a una procedura di sovraindebitamento (per soggetti minori non fallibili) consente, su istanza, di sospendere le esecuzioni singole: ad esempio, nel piano del consumatore o concordato minore, il giudice può disporre la sospensione dei pignoramenti in corso sin dal deposito del ricorso, se ritiene ci sia la possibilità di omologa (il Codice lo prevede espressamente). Nel caso di imprese minori che chiedono la liquidazione controllata, l’art. 269 CCII consente ai creditori di iniziare o proseguire esecuzioni individuali fino all’apertura della procedura, ma una volta aperta la liquidazione controllata, anche lì subentrerà il liquidatore con effetto esdebitativo. Sta quindi al debitore “giocare d’anticipo”: se capisce che le opposizioni individuali non basteranno, attivare una procedura concorsuale prima che i beni vengano venduti forzosamente può preservare valore e distribuire il ricavato in modo più equo (oltre a dare eventuale esdebitazione finale al debitore persona fisica, cosa che la singola esecuzione non dà).

4. Altri rimedi durante l’esecuzione: Qualora un bene stia per essere venduto all’asta, il debitore può cercare acquirenti per evitare la svendita. Ad esempio, nel pignoramento immobiliare, il debitore può favorire una vendita privata dell’immobile prima che avvenga l’asta (se riesce a trovare un compratore che paga un prezzo sufficiente a soddisfare i creditori, può chiedere al giudice di sospendere la vendita coattiva per completare la cessione volontaria). Molti tribunali agevolano queste soluzioni (nomina del custode che raccoglie offerte esterne, ecc.), perché spesso portano maggiore soddisfazione per i creditori. Il debitore potrebbe anche offrire al creditore un bene in datio in solutum (es. “prenditi questo macchinario a saldo del credito”): se il creditore accetta, l’esecuzione può cessare.

Riassumendo, ogni stadio dell’azione legale del creditore prevede contromisure del debitore: l’importante è non restare inerti. Spesso i termini sono stretti (40 giorni per opposizione a D.I., 20 giorni per opposizione atti, ecc.) e necessitano di assistenza legale tempestiva. Inoltre, se si hanno più creditori all’attacco contemporaneamente, il debitore deve orchestrare le difese in modo coerente – magari conviene far convergere tutti nella protezione di una procedura unica invece di combattere guerre multiple. Per questo, in molti casi, arrivate a un certo punto, la soluzione più efficiente è cedere il passo a una procedura concorsuale (concordato, ecc.) che fermi il tutti-contro-tutti, piuttosto che inseguire ogni singolo atto. Nel prossimo paragrafo infatti parleremo proprio di come utilizzare le procedure di composizione della crisi per risolvere in modo organico la situazione debitoria, che è l’arma finale di difesa (e offesa) a disposizione del debitore.

D. Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento e altre soluzioni concorsuali

Se i debiti sono troppi per essere onorati integralmente, e le semplici trattative private non bastano, l’ordinamento italiano prevede una serie di procedure concorsuali – ovvero procedure collettive, sotto la supervisione dell’autorità giudiziaria o di organi terzi – finalizzate a regolare la crisi o l’insolvenza dell’impresa in modo ordinato. Tali strumenti permettono al debitore di bloccare le azioni dei singoli creditori (tramite un automatic stay o misure protettive) e di proporre un trattamento dei crediti che può includere dilazioni o riduzioni (stralci) anche senza l’unanimità del consenso, purché si rispettino le maggioranze e le garanzie previste dalla legge. L’uso di queste procedure va valutato attentamente: da un lato comporta la perdita (totale o parziale) del controllo dell’impresa da parte dell’imprenditore e implicazioni sui rapporti commerciali (pubblicità negativa, costi legali, ecc.), dall’altro lato è spesso l’unica via per salvare l’azienda (o parte di essa) oppure per liquidarla in modo efficiente limitando la responsabilità personale e ottenendo la esdebitazione residua.

Nel panorama attuale (dopo l’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza – CCII dal 15 luglio 2022), gli strumenti a disposizione delle imprese e degli imprenditori si sono ampliati e innovati. Possiamo distinguere due macro-categorie, a seconda della dimensione del debitore:

  • Procedimenti per imprese “fallibili” (ossia non piccole, sopra certi parametri) e soggetti assimilati, tra cui: la composizione negoziata della crisi (strumento stragiudiziale assistito), il piano attestato di risanamento (stragiudiziale con asseverazione), gli accordi di ristrutturazione dei debiti (concorsuali con omologa, vari tipi), il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO) introdotto di recente, il concordato preventivo (in continuità o liquidatorio), e come extrema ratio la liquidazione giudiziale (ex fallimento).
  • Procedimenti per imprese minori e soggetti non fallibili (c.d. crisi da sovraindebitamento), riservati a imprenditori sotto soglia, professionisti, consumatori, ditte individuali minori, startup innovative, ecc., tra cui: il concordato minore, il piano di ristrutturazione del consumatore (se persona fisica non fallibile), l’accordo di composizione della crisi per soggetti non fallibili con debiti variegati (in realtà il CCII ha razionalizzato queste procedure), e la liquidazione controllata (equivalente del fallimento per i non fallibili), oltre a una misura speciale di esdebitazione del debitore incapiente (fresh start per persona fisica nullatenente).

Esaminiamo i principali di questi strumenti, con un focus particolare su quelli più rilevanti per un’azienda come la nostra (PMI potenzialmente sopra soglia, ma valuteremo anche l’ipotesi di micro-impresa sotto soglia).

Composizione Negoziata della Crisi: Introdotta nel 2021 (D.L. 118/2021) e ora a regime nel CCII (artt. 12-25 quinquies), la composizione negoziata è una procedura volontaria, confidenziale e stragiudiziale che qualsiasi imprenditore (di qualunque dimensione, dall’impresa individuale alla grande società) può attivare in presenza di squilibri patrimoniali o economico-finanziari che rendono probabile la crisi o l’insolvenza, ma concrete prospettive di risanamento . Si accede tramite una piattaforma online delle Camere di Commercio, compilando un’istanza corredata di dati aziendali. Viene nominato un esperto indipendente (un professionista iscritto in apposito albo) il quale ha il compito di aiutare l’imprenditore e i creditori a negoziare una soluzione. La composizione negoziata si svolge in maniera riservata (inizialmente): l’incarico dell’esperto non è pubblico, salvo che l’imprenditore chieda al tribunale misure protettive o agevolazioni. Durante la negoziazione, l’imprenditore mantiene la gestione ordinaria e straordinaria dell’azienda ; l’esperto non ha poteri sostitutivi, ma formula proposte, individua possibili accordi e vigila sul corretto comportamento delle parti. Importante: su richiesta dell’imprenditore, il tribunale può emanare misure protettive (art. 18 CCII) che impediscono ai creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari per la durata della negoziazione . Tali misure sono pubblicate nel Registro imprese (quindi, in caso di richiesta di protezione, la procedura perde in parte riservatezza). Durante la composizione negoziata, inoltre, sono sospese le cause di scioglimento per perdite del capitale (per aiutare la continuità) e i creditori pubblici qualificati (Agenzia Entrate, INPS, agenti riscossione) hanno l’obbligo di segnalare tempestivamente all’impresa il superamento di certi indici di esposizione debitoria invitandola a valutare la composizione negoziata . La negoziazione può esitare in vari risultati:

  • Nessun accordo: se non si trova intesa, l’imprenditore può comunque accedere ad una procedura concorsuale tradizionale (concordato, liquidazione) senza che ciò rappresenti un fallimento della negoziazione. È previsto anche uno strumento speciale, il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII), utilizzabile se la negoziazione fallisce ma c’è un’offerta per rilevare l’azienda: il debitore può chiedere al tribunale di omologare un concordato senza voto dei creditori per liquidare l’azienda a quell’offerta, in modo rapido, così da massimizzare il valore (questo concordato semplificato era stato introdotto come misura transitoria nel 2021 e poi recepito nel CCII).
  • Accordo stragiudiziale: può consistere in un semplice accordo privato con alcuni o tutti i creditori (es. una moratoria collettiva, o intese bilaterali di ristrutturazione del debito). Questo accordo, se raggiunto, può restare riservato; l’esperto chiude la procedura certificando l’esito positivo.
  • Trasformazione in uno strumento concorsuale “morbido”: grazie al D.Lgs. 83/2022 e 136/2024, oggi durante la negoziazione si può formalizzare un accordo di ristrutturazione agevolato o un piano di risanamento soggetto ad omologazione (PRO) (vedi avanti) includendo anche transazione fiscale . In pratica, se i creditori trovano un’intesa che coinvolge almeno il 30% o 60% di essi, si può portarla in tribunale per farla omologare, rendendola vincolante erga omnes.
  • Continuità diretta con misure protettive: la negoziazione potrebbe condurre a risanare l’impresa con interventi come nuova finanza, cessioni di asset, ristrutturazione interna, senza bisogno di accordi formali con tutti i creditori. L’esperto potrebbe convincere ciascun creditore a acconsentire a proroghe o stralci individuali. Se tutti collaborano, la procedura si chiude senza accordo formale, ma con l’impresa risanata di fatto.

Il vantaggio della composizione negoziata è la flessibilità e l’assenza di stigma: non è una procedura concorsuale pubblica (salvo protezione richiesta) e permette soluzioni personalizzate (anche di sistemare solo alcuni debiti). Lo svantaggio è che non garantisce un esito: i creditori non sono obbligati a un accordo e possono tirare dritto. Tuttavia, la presenza dell’esperto e l’ombrello normativo (sospensione obblighi di ricapitalizzazione, protezione temporanea) danno una chance di riuscita. Per la nostra azienda di tubi e raccordi, la composizione negoziata potrebbe essere indicata se c’è ancora margine di recupero (ordini in crescita, cliente importante in arrivo, ecc.) e serve solo ristrutturare i debiti: si può tentare questa via prima di “arrendersi” al concorso giudiziale.

Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII): Questo strumento esisteva già nella vecchia legge fallimentare (art. 67 l.f.) e il CCII lo ha mantenuto in sostanza invariato . Consiste in un piano di risanamento dell’impresa predisposto dall’imprenditore e asseverato da un professionista indipendente (attestatore) che ne certifica la veridicità dei dati e la fattibilità. Il piano può prevedere di tutto: ristrutturazione dei debiti (ad esempio proroga delle scadenze, riduzione di alcuni debiti tramite accordi transattivi), aumento di capitale, dismissione di cespiti, rilancio produttivo, ecc. Non è omologato dal tribunale e rimane un accordo stragiudiziale tra il debitore e quei creditori che vi aderiscono. La legge però gli riconosce un beneficio: le operazioni compiute in esecuzione di un piano attestato pubblicato al Registro delle Imprese non sono soggette a revocatoria fallimentare in caso di successivo fallimento (art. 56 c.3 CCII). Inoltre le banche spesso sono più disponibili a rinegoziare se c’è un piano attestato, perché possono esigere quell’attestazione come condizione. Il limite è che per funzionare devono aderire spontaneamente tutti i creditori rilevanti: chi non aderisce, resta fuori e può pregiudicare il piano agendo per conto proprio. Dunque, il piano attestato è utile quando si ha un numero ristretto di creditori con cui si trova intesa (es. le banche principali + qualche fornitore, e i restanti piccoli creditori vengono pagati regolarmente). Se invece c’è dispersione di creditori, meglio strumenti più cogenti. Nel nostro contesto, se la società ha ad esempio 2 banche principali e il fisco come creditori grossi, potrebbe fare un piano attestato accordandosi con essi (ad es. banca A: proroga mutuo di 5 anni; banca B: conversione fido in mutuo; Erario: rateizzazione ordinaria massima; fornitori: pagamento cash a breve) e poi cercare di rispettarlo. È uno strumento meno costoso e più riservato di un concordato, ma anche più fragile perché basato sul consenso volontario di ciascuno.

Accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 CCII): Sono procedure concorsuali ibride: c’è un accordo negoziato fra debitore e creditori, ma serve l’omologazione del tribunale per renderlo efficace erga omnes e per beneficiare di alcune esenzioni e protezioni. La regola generale (accordo ordinario ex art. 57) è: l’accordo deve essere approvato da creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti totali. I creditori aderenti sottoscrivono il testo dell’accordo. Quelli non aderenti restano estranei: vanno pagati integralmente alle scadenze originarie, oppure se scaduti vanno saldati entro 120 giorni dall’omologazione (o 120 giorni dalla scadenza se successiva), salvo ottengano condizioni migliorative. Tuttavia, l’accordo vincola tutti quanti rispetto a eventuali misure protettive generali e alla cosiddetta esdebitazione finale. Il debitore deposita l’accordo con tutta la documentazione (piano, attestazione indipendente sulla solvibilità dell’accordo, elenco creditori, ecc.) e chiede l’omologa. Il tribunale verifica che l’accordo sia idoneo a soddisfare regolarmente i creditori estranei (cioè che questi vengano pagati come per legge) e che non ci sia violazione di norme. Se un creditore estraneo fa opposizione lamentando che l’accordo lo pregiudica, il tribunale valuta e può anche rigettare l’omologa. In mancanza di opposizioni o se infondate, omologa l’accordo che diventa vincolante per i soli aderenti (i non aderenti continuano ad avere i loro diritti separati, ma subiscono la moratoria di 120 giorni del pagamento come tollerata dalla legge). Ci sono poi forme speciali di accordi di ristrutturazione introdotte per facilitarne l’uso :

  • Accordi di ristrutturazione agevolati: quorum ridotto al 30% dei crediti per l’approvazione . Introdotti con la direttiva UE e recepiti nel CCII, permettono a debitori con consenso non di maggioranza ma significativo di omologare comunque l’accordo. Ci sono condizioni: il debitore non deve aver già richiesto misure protettive o presentato domanda di concordato in bianco in quella crisi, e i creditori estranei devono essere pagati integralmente entro 120 giorni dall’omologa se già scaduti (o 120 dalla scadenza se futura) . In pratica, lo “sconto” è solo sul quorum, ma in cambio i non aderenti vanno soddisfatti in tempi rapidi e per intero. L’utilità è se c’è una folta base di creditori piccoli che non aderiscono ma si possono pagare, mentre pochi grossi con 30% hanno aderito.
  • Accordi ad efficacia estesa: meccanismo per estendere alcune classi di accordo a creditori dissenzienti della stessa classe. Previsto per crediti finanziari, tipicamente: se il 75% di banche di una certa categoria aderisce, il debitore può chiedere al tribunale di estendere l’accordo anche alle banche dissenzienti (purché abbiano caratteristiche omogenee di posizione giuridica). Questo serve a evitare che uno o due istituti dissenzienti blocchino tutto, pur essendo minoranza. Lo strumento era già stato sperimentato (182-septies l.f.) ed è confluito nel CCII.
  • Accordi con transazione fiscale: come anticipato, l’art. 63 CCII consente di inserire nell’accordo la proposta di trattamento ridotto dei debiti fiscali e contributivi, col vaglio dell’Erario e INPS. Il DL 136/2024 ha chiarito che anche negli accordi è possibile l’omologazione forzosa se l’ente pubblico rifiuta ma l’offerta è migliore del ricavabile da fallimento (analogo al cram down del concordato) . Ha anche introdotto la possibilità di includere tributi UE e IVA salvo restrizioni (prima era dubbio, ora ammesso tranne alcune risorse UE specifiche) . Come visto, con DL 69/2023 sono state poste soglie minime: se i creditori privati aderenti coprono almeno 25% del totale, il Fisco può accontentarsi del 30%; se i privati sono meno del 25%, il Fisco vuole almeno 40% , con dilazione non oltre 10 anni . Queste percentuali nascono per garantire un incasso minimo erariale.

Gli accordi di ristrutturazione si adattano a situazioni in cui l’impresa non ha troppi creditori eterogenei, ma magari alcuni grandi player con cui si può ragionare. Ad esempio, se la nostra azienda ha 4 banche, qualche leasing e il fisco: raccoglie l’adesione di banche, leasing e chiede transazione fiscale, totalizzando diciamo il 70% del debito, e i fornitori minori li paga cash. In tal caso l’accordo è efficace ed evita il concordato. Un vantaggio dell’accordo è che (a differenza del concordato) non richiede il voto di tutti i creditori: contratta solo con chi serve. Lo svantaggio è che i creditori estranei vanno protetti e soddisfatti quasi interamente, quindi non è utile se l’obiettivo è un taglio generalizzato del debito.

Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO) – art. 64-bis CCII: Questo è uno strumento nuovo creato recependo la Direttiva UE 2019/1023. È un piano proposto dal debitore che può essere omologato dal tribunale anche senza il voto formale dei creditori, purché sia assicurato che i creditori ricevano non meno di quanto otterrebbero in liquidazione (principio di migliore soddisfazione). In pratica, è una via di mezzo tra un accordo e un concordato, con maggiore flessibilità: non richiede la formazione di classi e votazioni, ma il tribunale valuta la meritevolezza e convenienza e lo omologa se nessuna classe dissenziente è danneggiata rispetto all’alternativa liquidatoria . È pensato per situazioni in cui c’è bisogno di celerità e non si vuole attendere il complesso iter di voto del concordato. Il PRO consente di deviare da alcuni principi concorsuali: ad esempio, non serve coinvolgere necessariamente tutto il patrimonio del debitore (si può limitare ai beni indicati nel piano, non soggetto al principio di garanzia patrimoniale integrale) e può derogare alla par condicio in certa misura . Tuttavia, anch’esso deve essere attestato da un professionista e sottoposto a omologa. Con il decreto correttivo 2024, si è chiarito il suo utilizzo anche con transazione fiscale (art. 64-bis comma 6 permette di stralciare tributi con OK del tribunale a certe condizioni) . In pratica, il PRO è un concordato “senza voto” se vogliamo, che può tornare utile quando ad esempio c’è un solo creditore dissenziente bloccante: piuttosto che sottostare al suo veto, il debitore può presentare un PRO e farlo approvare giudizialmente dimostrando che quel creditore dissenziente non sarebbe pregiudicato (simile concetto al cram down). Va detto che, essendo strumento nuovo, la giurisprudenza sta iniziando solo ora ad applicarlo. È comunque destinato ad imprese di dimensioni significative, visto che le piccole hanno il “concordato minore” a loro riservato.

Concordato preventivo (artt. 84-120 CCII): È la procedura regina per le imprese insolventi o in crisi che vogliono evitare la liquidazione giudiziale. Il concordato comporta la presentazione di una proposta e di un piano ai creditori, la suddivisione in eventuali classi di creditori secondo posizione giuridica omogenea e interessi economici, la sottoposizione del piano al voto dei creditori e l’eventuale omologazione da parte del tribunale. Esistono due principali tipi di concordato:

  • Concordato in continuità aziendale: diretto (l’azienda prosegue in capo al debitore) o indiretta (l’azienda viene ceduta o conferita e prosegue in mano altrui, ma funzionale a soddisfare creditori). La caratteristica è che l’attività imprenditoriale continua, generando flussi destinati a pagare i creditori. Il piano deve essere attestato da un professionista che dichiara che la continuità offre soddisfazione ai creditori migliore rispetto alla liquidazione . In continuità diretta, i creditori chirografari devono ottenere almeno il 20% di soddisfacimento (soglia minima di legge), in indiretta almeno il 30% (questi requisiti erano nel DL 83/2022, ma credo mantenuti). Il vantaggio del concordato in continuità è che la legge favorisce la prosecuzione dell’impresa: durante la procedura, i contratti in corso non possono essere sciolti dai contraenti per il solo fatto dell’insolvenza (salvo diverse previsioni) ; inoltre sono previste la possibilità di finanziamenti prededucibili, e contributi pubblici eventuali. Nel concordato in continuità, l’imprenditore rimane in carica sotto la vigilanza di un commissario giudiziale nominato dal tribunale . Gli atti di straordinaria amministrazione richiedono autorizzazione del giudice delegato .
  • Concordato liquidatorio: la proposta prevede la cessazione dell’attività e la liquidazione del patrimonio sotto il controllo del liquidatore giudiziale nominato dal tribunale. Questo era spesso usato in passato per evitare alcune sanzioni del fallimento, ma oggi la legge lo consente solo in via residuale: il CCII richiede, per ammettere un concordato puramente liquidatorio, che vi sia un apporto di risorse esterne almeno pari al 10% in più di quanto i creditori otterrebbero in liquidazione giudiziale e comunque tale che ai chirografari vada non meno del 20% del loro credito . In altri termini: se l’imprenditore vuole solo liquidare tutto e chiudere, deve mettere qualcosa in più (di tasca propria o di terzi) a beneficio dei creditori, altrimenti non si giustifica un concordato invece di un fallimento. Questo per privilegiare i concordati con continuità, che salvano azienda e posti di lavoro . Fa eccezione il concordato semplificato post negoziazione di cui si è detto: quello è liquidatorio ma permesso proprio in virtù del fallimento di una composizione negoziata.

Nel concordato, i creditori votano: serve la maggioranza per teste e per valore (maggioranza dei crediti ammessi al voto, calcolati per valore, e se classi, la maggioranza delle classi). Se c’è almeno una classe dissenziente o una percentuale contraria significativa, l’omologazione può essere negata. Però il CCII e la direttiva insolvenza hanno introdotto la possibilità di omologazione anche con voto contrario del Fisco (che nel concordato conta come classe separata) – il famoso cram down fiscale. La Cassazione nel 2024 (sent. 27782) ha confermato che l’art. 180 l.f. (ripreso ora nell’art. 112 CCII) consente al giudice di omologare il concordato anche se l’Erario o l’INPS votano no, purché sia dimostrato che la loro soddisfazione nel concordato è migliore o almeno pari a quella che avrebbero in un fallimento . Questo ha superato il precedente “veto” erariale . Addirittura il correttivo 136/2024 ha allineato formalmente la norma del concordato a quella degli accordi: ora anche nel concordato il tribunale può prescindere dal voto negativo dei creditori pubblici se ritiene il piano più vantaggioso per loro rispetto alla liquidazione . Ciò rappresenta un cambio di paradigma notevole e un aiuto concreto alle aziende con forti debiti fiscali: l’imprenditore può proporre un concordato offrendo ad esempio il 30% al Fisco (con attestazione di convenienza) e, anche se l’AdE rifiuta, il giudice può comunque approvarlo d’ufficio. Questo riduce molto il potere di veto del Fisco e rende il concordato un’opzione più percorribile rispetto al passato .

I benefici del concordato preventivo includono: sospensione delle azioni esecutive sin dal deposito della domanda (basta presentare la domanda “in bianco” e il tribunale concede misure protettive iniziali fino 4 mesi, prorogabili, in cui i creditori non possono agire né risolvere contratti in essere unilateralmente) ; possibilità di sciogliere o sospendere contratti in corso con autorizzazione giudiziale se utili al risanamento (ad es. affitti troppo onerosi); finanziamenti prededucibili per sostenere l’impresa (nuova finanza concordataria che verrà rimborsata prima degli altri crediti se il concordato va a buon fine); e soprattutto la “esdebitazione” implicita: i creditori chirografari, a concordato omologato e poi eseguito (o comunque se il debitore adempie la percentuale promessa), non possono più pretendere il resto, anche se l’impresa prosegue la sua attività. In pratica il concordato è l’unico modo, oltre al fallimento, per “cancellare” legalmente i debiti residui senza pagarli integralmente.

Nel contesto di un’azienda come la nostra, il concordato preventivo sarebbe la scelta se: i debiti sono insostenibili integralmente ma l’attività ha prospettive di stare in piedi (allora concordato in continuità con eventuale new investor); oppure se non c’è speranza di prosecuzione e conviene vendere tutto ma c’è la disponibilità di un terzo a mettere un po’ di soldi in più per farlo via concordato e non fallimento (concordato liquidatorio con apporto). Spesso, nelle PMI, il concordato viene utilizzato anche come strumento di negoziazione forzata: l’imprenditore propone di pagare ad esempio 40% a tutti i chirografari in 5 anni; se questi sanno che in fallimento avrebbero forse 10%, conviene anche a loro votare sì. Con le nuove norme sul cram down fiscale, anche i debiti con Erario e INPS possono essere trattati dentro il concordato con una certa flessibilità (pur con i limiti percentuali accennati sopra da rispettare se vogliono assicurarsi l’omologa).

Concordato “minore” (artt. 74-83 CCII): Questo istituto è stato introdotto per i debitori non fallibili (imprenditori sotto soglia di fallibilità, professionisti, imprenditori agricoli, start-up innovative, etc.) ed ha preso il posto del vecchio “accordo di composizione della crisi” della legge sul sovraindebitamento. In sostanza è una procedura molto simile al concordato preventivo, ma semplificata: si svolge davanti al tribunale ma con l’ausilio necessario di un organismo di composizione della crisi (OCC) o del referente nominato dal tribunale; prevede anch’essa la soddisfazione parziale dei crediti con forme qualsiasi (liquidazione beni, pagamenti futuri su redditi, contributi di terzi) e necessita di un voto dei creditori (maggioranza per teste e per valore, art. 79 CCII) , con possibili meccanismi di cram down (ad es. art. 80 CCII prevede la possibilità di omologa nonostante il dissenso se il piano è equo e conveniente – la giurisprudenza in materia inizia a formarsi: cfr. Trib. Napoli 2023 citato, e Cass. 06/06/2025 su cram down concordato minore ). Il concordato minore è quindi analogo a quello preventivo ma dimensionato su procedure più snelle e costi minori, adatto per piccoli debiti. Ad esempio, un artigiano con debiti 300k € totali può proporre ai suoi creditori di pagarli al 20% in 4 anni e ottenere omologa se i creditori votano sì (o se il giudice rileva convenienza rispetto alla liquidazione controllata). Differenza chiave: nel concordato minore, come in tutte le procedure di sovraindebitamento, la meritevolezza del debitore gioca un ruolo: il giudice valuta se il debitore ha causato la situazione con colpa grave, frode, ecc. Un debitore in malafede potrebbe vedersi negare l’omologa. Nel concordato preventivo ordinario questa valutazione morale è meno accentuata (conta di più la convenienza economica per i creditori).

Liquidazione giudiziale (artt. 121-270 CCII): È la procedura che ha sostituito il fallimento . Viene aperta su richiesta del debitore o di un creditore (o d’ufficio in alcuni casi come insolvenza di società in liquidazione) quando l’imprenditore è insolvente (incapace di soddisfare regolarmente le obbligazioni) e non vi sono altre soluzioni di risanamento percorribili. La liquidazione giudiziale comporta lo spossessamento dell’imprenditore dai suoi beni: la gestione passa al curatore nominato dal tribunale, sotto la supervisione del giudice delegato e col controllo del comitato creditori. Il curatore raccoglie i beni, li vende e distribuisce il ricavato secondo le cause di prelazione. La novità del CCII è più terminologica (non si parla di “fallito” per ridurre lo stigma) , ma anche alcune innovazioni operative: maggiori poteri al curatore (può iniziare azioni di responsabilità senza dover attendere autorizzazioni) , anticipo del periodo sospetto per revocatorie alla data di ricorso (evitando corse dei creditori dell’ultimo minuto) , semplificazioni per le procedure minori (non è necessario il comitato creditori se attivo modesto) . Lo scopo della liquidazione giudiziale rimane liquidare l’attivo e poi chiudere l’impresa. Per il debitore persona fisica (imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile) è previsto il beneficio dell’esdebitazione di diritto: passati 3 anni dalla chiusura della procedura, ottiene la liberazione dai debiti residui ex art. 278 CCII, salvo eccezioni (questo recepisce il principio del fresh start europeo) . Quindi la liquidazione giudiziale, pur drastica, offre al piccolo imprenditore onesto la chance di ripartire dopo qualche anno senza zavorra debitoria. Per la società invece la procedura si chiude con la cancellazione della società (quindi fine soggetto giuridico). Nella nostra ipotesi, la liquidazione giudiziale potrebbe diventare inevitabile se: i debiti superano i parametri e non si riesce a trovare alcun accordo o concordato fattibile, oppure se l’azienda è ormai ferma e non c’è più ragione di tentare continuità. Va notato che le imprese minori (sotto soglie) non possono essere assoggettate a liquidazione giudiziale : se un creditore chiede il fallimento di una micro impresa sotto parametri, il tribunale dovrà dichiarare inammissibile la richiesta e semmai indirizzare verso la liquidazione controllata (v. infra). Le soglie attuali (art. 2 lett. d CCII) definiscono “impresa minore” quella con attivo annuo ≤ €300.000, ricavi ≤ €200.000 (media ultimi 3 anni) e debiti ≤ €500.000 . Se tutti e tre i requisiti sussistono, niente liquidazione giudiziale: quell’impresa, se insolvente, potrà accedere solo a concordato minore o liquidazione controllata .

Liquidazione controllata (artt. 268-277 CCII): È la procedura di liquidazione concorsuale riservata ai debitori non fallibili (imprese minori, consumatori, ecc.), che ha preso il posto della vecchia “liquidazione del patrimonio” della legge 3/2012. Può essere richiesta dal debitore sovraindebitato con ricorso al tribunale ; può anche essere chiesta dai creditori oppure disposta in casi di conversione di altre procedure (es. revoca di un concordato minore) . Nella liquidazione controllata, il tribunale nomina un liquidatore che ha funzioni analoghe al curatore: raccoglie i beni (anche i beni personali dell’imprenditore individuale, esclusi quelli impignorabili e il necessario per la vita dignitosa del debitore e della famiglia), li vende e ripartisce il ricavato. Al termine, se il debitore è persona fisica, ottiene l’esdebitazione di tutti i debiti residui non soddisfatti, a meno che non sia stato escluso per comportamento doloso o colposo grave . L’esdebitazione può essere negata se ad esempio il debitore ha commesso frodi; diversamente è pressoché automatica e immediata alla chiusura (a differenza del fallimento, dove c’era un giudizio separato). Dunque la liquidazione controllata è per il piccolo imprenditore ciò che il fallimento è per il grande, con l’aspetto positivo di una maggiore clemenza: la legge incoraggia anche il debitore nullatenente a usarla prevedendo, in aggiunta, l’esdebitazione del sovraindebitato incapiente (art. 283 CCII) – se uno proprio non ha nulla da liquidare e ragionevolmente nemmeno prospettive future, il tribunale può chiudere subito la procedura liquidatoria esdebitandolo, a certe condizioni (one‐shot discharge). Questa è una misura sociale per dare il fresh start ai debitori meritevoli che altrimenti rimarrebbero eternamente esposti.

Responsabilità del legale rappresentante durante le procedure concorsuali: Un punto da approfondire, richiesto dalla domanda, è il ruolo e le responsabilità del legale rappresentante (tipicamente l’amministratore di una s.r.l.) nell’ambito di queste procedure. Abbiamo già toccato alcuni aspetti: in composizione negoziata l’amministratore mantiene la gestione ma deve cooperare con l’esperto e agire nell’interesse dei creditori; in concordato, l’amministratore in continuità rimane in carica ma ogni atto straordinario richiede autorizzazione, e c’è vigilanza del commissario; in liquidazione giudiziale, l’amministratore perde i poteri (spossessamento) e deve consegnare i beni e le scritture contabili al curatore, oltre a collaborare spiegando lo stato aziendale. Gli obblighi di collaborazione e veridicità sono fondamentali: un amministratore che, durante un concordato, occulta beni o fornisce dati falsi, rischia la revoca della procedura e sanzioni anche penali (reato di frode in procedura concorsuale). Se la procedura sfocia in liquidazione giudiziale, l’operato pregresso dell’amministratore sarà sotto la lente: il curatore valuterà possibili azioni di responsabilità per mala gestio (ai sensi dell’art. 2476 c.c. per Srl, o art. 2393 e 2394 c.c. per Spa) e possibili azioni revocatorie di atti pregiudizievoli compiuti prima (pagamenti preferenziali, cessioni sottocosto, ecc.). Inoltre, potrebbe instaurarsi un procedimento penale per bancarotta (fraudolenta o semplice) a carico degli amministratori e organi sociali se emergono condotte illecite: ad esempio, tenuta dei libri irregolare, distrazione di beni, pagamenti preferenziali consapevoli in stato d’insolvenza, ecc. L’art. 330 CCII equipara varie violazioni degli amministratori (tra cui la violazione degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale, come la mancata istituzione di assetti adeguati) al reato di bancarotta semplice impropria in caso di successivo dissesto . Ciò significa che un amministratore che non aveva predisposto assetti adeguati può essere ritenuto colpevole di bancarotta semplice per imprudenza gestionale, qualora ciò abbia aggravato il crack . Viceversa, un amministratore che attiva per tempo le procedure di allerta o concorsuali e collabora con gli organi, solitamente evita conseguenze penali (anzi, può beneficiare di attenuanti). In conclusione, durante le procedure il legale rappresentante deve tenere una condotta trasparente e diligente: consegnare la documentazione, rispondere alle richieste degli organi, non intralciare. Se fa così, potrà aspirare a un esonero da responsabilità (o comunque a minimizzarle, circoscrivendole al fatto che l’insuccesso non è colpa sua se dimostra di aver fatto il possibile). In un concordato, ad esempio, l’amministratore potrebbe anche diventare il “attuatore” del piano dopo l’omologa, continuando a gestire la società sotto la vigilanza del liquidatore o commissario per eseguire il pagamento ai creditori. In tal caso la sua competenza e correttezza incide sull’esito: se non segue il piano, i creditori possono chiedere la risoluzione del concordato.

Ricordiamo, per completare il quadro, l’esistenza di una procedura speciale per aziende di grandissime dimensioni: l’Amministrazione Straordinaria delle Grandi Imprese in Crisi (D. Lgs. 270/99, legge Prodi-bis, e il “Decreto Marzano” per imprese oltre 500 dipendenti), ma riguarda colossi industriali e settori strategici. Non è il caso tipico di una PMI di tubi e raccordi, quindi la omettiamo.

Tabella riepilogativa – Principali procedure concorsuali e di sovraindebitamento:

ProceduraSoggetti destinatariFinalitàCondizioni di accessoEffetti principaliVantaggiSvantaggi/limiti
Composizione negoziata (stragiudiziale assistita)Imprese di qualsiasi dimensione in situazione di crisi incipiente (anche solo probabile insolvenza)Risanamento aziendale tramite accordi volontari facilitati da esperto indipendenteStato di crisi o insolvenza non ancora conclamata ma risanabile; istanza volontaria su piattaforma CCIAA; nominato esperto<br>(Possibile richiesta misure protettive temporanee)– Sospensione obblighi patrimoniali societari (ricapitalizzazione) durante trattative <br>– Possibile stay delle azioni esecutive su richiesta <br>– Esperto terzo facilita negoziazione con creditori<br>– Non spossessamento: gestione resta all’imprenditore– Riservatezza iniziale (niente iscrizione, salvo protezioni)<br>– Flessibilità: soluzioni ad hoc senza formalità concorsuali<br>– Può sfociare in accordo extragiudiziale o preludere a concordato se fallisce<br>– Istituti di sostegno: finanziamenti prededucibili autorizzabili, esenzioni fiscali su riduzioni debiti– Nessun vincolo per creditori: adesione volontaria<br>– Durata limitata (iniziativa cessa se non si conclude accordo in pochi mesi prorogabili)<br>– Necessario convincere individualmente i creditori (rischio opportunismo dissenzienti)<br>– Pubblicità e reputazione: se trapela, può allarmare partner commerciali (specie se misure protettive pubblicate)
Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII)Imprese in crisi o insolventi (anche fallibili)Risanamento extragiudiziale dell’impresa con protezione limitata (no omologa)Accordi raggiunti con creditori chiave; piano economico-finanziario attestato da professionista indipendente; pubblicazione al Registro Imprese per efficacia esimenti (facoltativa)– Nessuna procedura giudiziale: accordo privatistico<br>– Esenzione da revocatoria per atti e pagamenti eseguiti in attuazione del piano pubblicato <br>– Continuità aziendale mantenuta dall’imprenditore senza organi esterni– Rapidità e riservatezza (no tribunale, no commissari)<br>– Personalizzabile in base ai creditori coinvolti<br>– Non comporta lo stato di insolvenza “ufficiale”, meno impatto reputazionale<br>– Può anticipare e prevenire un fallimento (se funziona)– Richiede consenso effettivo dei principali creditori (nessuna imposizione a dissenzienti)<br>– Creditori non aderenti possono agire liberamente (vulnerabilità del piano)<br>– Non blocca azioni esecutive di terzi<br>– Necessita attestazione robusta per credibilità (costi professionali)
Accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 57 CCII) – ordinarioImprese (fallibili o non) insolventi o in crisiRistrutturazione del debito con omologazione giudiziale (vincola aderenti, tutela estranei)Consenso di creditori ≥ 60% del debito ; soddisfazione integrale degli estranei nei termini (max 120 gg dall’omologa) ; attestazione indipendente sul piano e sulla regolarità pag. estranei; possibile moratoria sui pagamenti– Stop alle azioni cautelari/esecutive dalla data di richiesta misure protettive (art. 54 CCII) durante omologa<br>– Vincola i creditori aderenti all’accordo secondo i patti<br>– Creditori estranei devono essere pagati per intero ma ottengono solo differimento breve (120 gg)<br>– Possibilità di includere transazione fiscale/contributiva (art. 63) con omologa anche in caso dissenso Fisco (dopo Cass. 2024)– Maggioranze ridotte rispetto a concordato (niente voto generale, bastano 60% o 30% se agevolato)<br>– Procedura più snella: no commissario, solo omologa giudice su consenso raggiunto<br>– Creditori finanziari possono essere crammed down (efficacia estesa) se maggioranza qualificata aderisce <br>– Meno costoso di un concordato (meno formalità)– I creditori estranei vanno pagati integralmente (non consente stralci generalizzati)<br>– Se un creditore rilevante non aderisce e non si può pagarlo per intero, accordo impraticabile (serve passare a concordato)<br>– Necessaria adesione attiva: convincere percentuale consistente di crediti (non teste), con trattative poss. complesse<br>– Pubblicità dell’accordo (registro imprese) comporta divulgazione della crisi
Accordo di ristrutturazione agevolato (art. 61 CCII)Imprese insolventi/crisiRistrutturazione concorsuale con quorum ridottoConsenso creditori ≥ 30% ; nessuna domanda di concordato presentata; creditori estranei soddisfatti integralmente e tempestivamente (120 gg)– Quorum adesione molto più basso (30%)<br>– Stesse tutele di accordo ordinario (omologa, stay provvisorio)– Come sopra, ma facilita imprese con pochi creditori disponibili<br>– Utile se molti creditori sono piccoli e vengono pagati comunque– Creditori estranei vanno pagati in tempi rapidissimi (nessuna dilazione lunga)<br>– Creditore pubblico richiede soglie pagamento (min. 30-40% tributi a seconda scenario)
Accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa (art. 61 co.3)Imprese settore finanziarioRistrutturazione con estensione vincolo a dissenzienti in categorie omogeneeAdesione ≥ 75% dei crediti finanziari di una certa categoria; tribunale può estendere accordo anche al residuo 25% dissenziente, salvo opposizione motivata– Evita il problema di singoli istituti dissenzienti tra molti (purché minoritari)<br>– Permette accordi con banche/universo finanziario più efficaci– Limitato a crediti finanziari (banche)<br>– Se le condizioni di estensione non sono rispettate (es. differenze di posizione giuridica), il giudice può negarla
Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO) (art. 64-bis CCII)Imprese insolventi (fallibili)Risanamento flessibile mediante omologazione giudiziale di un piano senza voto dei creditoriProposto dal debitore; deve assicurare trattamento non inferiore all’alternativa liquidatoria per ciascuna classe di creditori ; attestazione indipendente; omologato se giudice verifica condizioni e convenienza per creditori dissenzienti; possibile suddivisione in classi; possibile cram down classi dissenzienti se equo– Non richiede passaggio per voto assembleare dei creditori: procedura più rapida (creditori possono fare osservazioni/opposizioni, ma niente adunanza per voto)<br>– Ampia flessibilità su contenuti (può derogare a par condicio e all’art.2740 cc, con limiti) <br>– Adatto per soluzioni di ristrutturazione di tipo finanziario complesse<br>– Permette cram down interclassi simile al regime anglosassone (absolute/relative priority rules)– Bypassando il voto dei creditori, riduce il rischio di blocco da minoranze<br>– Cram down fiscale applicabile (omologa nonostante dissenso Erario se convenienza provata) <br>– Pianificabile dall’imprenditore su misura, ruolo del tribunale di garanzia equità– Procedura nuova, prassi non consolidata (elemento incertezza interpretativa)<br>– Creditore può opporsi in sede di omologa, il giudice deve valutare classe per classe: potenziali contenziosi sulla convenienza comparativa<br>– Richiede comunque complessa attestazione e spesso perizia valutativa (specialmente se prevede deroghe a priority rule)<br>– Pubblicità concorsuale analoga al concordato (stigma)
Concordato preventivo (artt. 84 ss. CCII) – continuità o liquidatorioImprese fallibili insolventi (o in crisi che vogliono utilizzare strumento)Regolazione concorsuale della crisi con possibile continuità aziendale (o dismissione)Stato di crisi/insolvenza; proposta depositata con piano dettagliato e attestazione di fattibilità e convenienza; ammissione dal tribunale; voto dei creditori (maggioranza >50% crediti ammessi al voto) ; omologazione giudiziale; se liquidatorio puro, apporto esterno ≥10% + soddisfacimento ≥20% chirografariStay: sospensione autom. di tutte le azioni esecutive e cautelari dalla data di ammissione (e già dalla domanda con riserva, su concessione) <br>– Gestione corrente rimane all’imprenditore (in continuità) sotto vigilanza commissario; atti straordinari autorizzati da giudice <br>– Possibilità di sciogliere contratti svantaggiosi o sospenderli (con autorizzazione)<br>– Pagamento parziale dei debiti secondo piano, residuo esdebitato all’omologa (per società: efficacia esdebitativa verso soci/fideiussori no, per persone fisiche sì con esdebitazione successiva)<br>– Transazione fiscale integrata (art. 88): possibile falcidia tributi e contributi con condizioni di convenienza, e cram down fiscale se Erario dissenziente <br>– Protezione fornitori: divieto di risoluzione forniture essenziali per insoluti pregressi <br>– Finanziamenti prededucibili autorizzabili per urgenze di cassa– Strumento potente per ristrutturare debiti anche in profondità (riduzioni percentuali e dilazioni lunghe)<br>– Salva l’azienda se in continuità: preserva valore economico e posti di lavoro<br>– Vincola tutti i creditori anteriori, anche dissenzienti, una volta omologato (effetto esdebitativo generale)<br>– Con le ultime riforme, superato veto fiscale: focus su convenienza economica <br>– Possibile “concordato in bianco” iniziale per congelare situazione mentre si prepara piano (30+60+60 gg)– Procedura complessa e costosa (commissari, legali, attestatore, spese tribunale)<br>– Tempistiche di alcuni mesi/anno per omologa; gestione sotto controllo stretto nel frattempo<br>– Requisito maggioranza creditori: rischio insuccesso se assemblea boccia (salvo cram down classi in certi casi, ma serve comunque approvazione di almeno una classe) <br>– Se liquidatorio, obbligo contributo esterno e soglia 20% a chirografi (limita possibili abusi liquidatori) <br>– Pubblicità elevata: iscrizione in RI, notifica a tutti i creditori, impatto reputazionale forte (clienti e fornitori lo verranno a sapere, possibile perdita fiducia)
Concordato minore (artt. 74 ss. CCII)Debitori non fallibili (imprese minori, imprenditori agricoli, professionisti, consumatori con debiti aziendali, enti no fall) in sovraindebitamentoRegolazione concorsuale del sovraindebitamento, analoga al concordato preventivo ma per piccoli debitoriSovraindebitamento (crisi o insolvenza) del debitore non soggetto a liquidazione giudiziale; proposta presentata con l’ausilio obbligatorio di OCC; riparto ai creditori anche parziale; giudice convoca creditori per esprimere voto (maggioranza semplice crediti ammessi) ; omologazione con eventuale cram down se minoranza contraria non è pregiudicata ; requisiti di meritevolezza (no frode, no colpa grave) valutati dal giudice– Strumento cucito su misura per piccoli debitori: procedure più snelle, costi inferiori rispetto a concordato maggiore<br>– Possibile includere crediti personali e aziendali in un unico piano (es. debiti personali garantiti da patrimoni, ecc.)<br>– Effetto esdebitativo: a omologa ed esecuzione, debiti residui cancellati<br>– Sospende azioni esecutive e cautelari durante esame (analoghe misure protettive su richiesta)<br>– OCC assiste e facilita predisposizione piano (supporto tecnico)– Accessibile anche a persone fisiche sovraindebitate (es. imprenditore cessato che vuole proporre concordato minore)<br>– Risanamento di piccole imprese senza passare per fallimento<br>– Maggioranze gestibili (se pochi creditori) e giudice può omologare anche con opposizioni se piano equo (cram down)<br>– Permette dilazioni e stralci con flessibilità come il concordato (anche vendite beni di terzi con consenso, ecc.)– Necessità che debitore sia “meritevole”: se ha violato leggi fiscali gravemente o frodato, giudice può negare omologa (concetto più stringente che nel concordato ordinario)<br>– Se creditori votano no compatti, difficile imporlo (cram down limitato ai casi dove c’è almeno convenienza rispetto liquidazione controllata)<br>– Partecipa OCC (costo aggiuntivo, anche se calmierato) e iter simile a concorsuale (convocazione, voto, omologa, quindi non del tutto riservato)<br>– Soglie di soddisfazione: non rigidissime come 20% concordato grande, ma giudice verifica che piano sia migliorativo rispetto a liquidazione, se no lo boccia
Liquidazione giudiziale (ex fallimento)Imprese soggette a fallimento (oltre soglie), insolventi irreversibilmenteLiquidazione integrale patrimonio sotto controllo giudiziario, cessazione attivitàInsolvenza accertata; iniziativa di creditore, debitore o PM; sentenza apre procedura nominando curatore, giudice delegato e comitato creditori (se necessario)– Spossessamento totale del debitore: curatore amministra e vende i beni <br>– Scioglimento di diritto dei contratti in corso non funzionali (dipendenti licenziati salvo esercizio provvisorio)<br>– Creditori concorrono sui realizzi secondo graduazioni; al termine, società cancellata<br>– Azioni di responsabilità contro amministratori e azioni revocatorie possibili da parte del curatore<br>– Persona fisica: esdebitazione automatica di residui entro 3 anni da chiusura (fresh start)– Soddisfa i creditori secondo giustizia paritaria (par condicio) sebbene spesso parziale<br>– Toglie la gestione a chi l’ha condotta al dissesto (tutela interessi creditori da ulteriori abusi)<br>– Possibilità di esercizio provvisorio o cessione azienda per salvare valore residuo se conveniente<br>– Esdebitazione del fallito facilita re-integrazione nella vita economica (non rimane debitore a vita)– Fine dell’impresa come entità: perdita di avviamento, posti di lavoro<br>– Tempi lunghi spesso per chiudere (anche se CCII mira a velocizzare con interventi curatore potenziati) <br>– Realizzo normalmente a valori ridotti (aste giudiziarie con ribassi)<br>– Amministratori sotto possibile procedimento penale (bancarotta) e stigmatizzazione pubblica (anche se il termine “fallito” è abolito, rimane impatto negativo)<br>– Soci perdono capitale, eventuali crediti postergati<br>– Per i creditori: spesso recuperi modesti, tempi lunghi, perdita rapporti commerciali futuri
Liquidazione controllata (ex liquidazione sovraindebitamento)Debitori non fallibili insolventi (impresa minore, consumatore, professionista)Liquidazione patrimonio sotto controllo tribunale, con liberazione debiti residuiSovraindebitamento conclamato; ricorso di debitore o istanza creditori (in certi casi); nomina liquidatore; inventario e liquidazione attivo; chiusura e esdebitazione per persona fisica– Spossessamento del debitore (beni conferiti nella massa, salvo impignorabili); il liquidatore gestisce vendite<br>– Apertura determina stop a azioni esecutive singole (i pignoramenti in corso vengono assorbiti)<br>– Distribuzione provento tra creditori secondo ordine cause prelazione<br>– Al termine, debitore persona fisica liberato dai debiti residui (salvo eccezioni per dolo) ; se debitore ente/società, estinzione soggetto<br>– Possibile esdebitazione dell’incapiente: se debitore nullatenente, può chiedere immediato esdebitazione senza liquidare nulla (one-shot per meritevole)– Anche piccolo imprenditore/privato può liberarsi dai debiti come nel fallimento (prima della legge 3/2012, i “non fallibili” restavano debitori a vita)<br>– Procedura semplice: spesso gestita da OCC e tribunale in via semplificata, costi minori<br>– Tempi relativamente rapidi per chiusura (pochi anni) e poi fresh start<br>– Debitore persona conserva comunque mezzi di sostentamento minimi (impignorabilità di stipendi fino a quota, ecc.)<br>– Creditori ricevono tutto il possibile dal patrimonio, senza preferenze indebite– Perde ogni controllo sui beni; se consumatore, può essere costretto a liquidare anche casa di abitazione salvo accordi (ma prima casa spesso è ipotecata, dunque liquidatore deve coordinarsi con banca)<br>– Rischio di dover liquidare anche asset personali emotivamente importanti (auto, etc.), a meno che irrilevanti per creditori e autorizzati a trattenere<br>– Incapienza: i creditori chirografari spesso ricevono zero o poco, anche più che in fallimento (perché qui di solito i patrimoni sono modesti)<br>– Requisiti di meritevolezza/assenza dolo valutati: se debitore ha frodato, esdebitazione negata e resta obbligato (anche se patrimonio liquidato, i debiti residui restano)

(Nota: la tabella semplifica alcune condizioni; per dettagli vedere riferimenti normativi specifici.)

Come si evince, la scelta di quale procedura adottare dipende da vari fattori: dimensioni dell’impresa (fallibile vs non fallibile), natura e entità dei debiti, prospettive di risanamento (c’è una speranza di salvataggio o no?), composizione del ceto creditorio (pochi grandi creditori con cui accordarsi vs miriade di piccoli), urgenza di bloccare le azioni esecutive, e anche considerazioni di costo e reputazione. Nella pratica, spesso l’imprenditore proverà prima le opzioni meno invasive (negoziazioni stragiudiziali, piani attestati) e, se falliscono, ricorrerà ad accordi o concordato, lasciando la liquidazione giudiziale solo come ultima risorsa. Vale la pena sottolineare che con il CCII c’è un fil rouge: favorire gli strumenti di allerta precoce e di composizione negoziale, mantenendo la liquidazione giudiziale come residuale . Lo si vede dall’art. 7 CCII che impone di dare priorità a domande di concordato e simili rispetto alle istanze di liquidazione, e dall’ordine delle norme (il fallimento, ora liquidazione giudiziale, è trattato dopo le procedure di risanamento). Questa filosofia risponde all’idea che salvare aziende (quando possibile) conviene al sistema Paese più che liquidarle, anche a costo di sacrificare parte dei crediti (che tanto nel fallimento sarebbero persi ugualmente).

E. Definizioni agevolate dei debiti fiscali e altri strumenti legislativi speciali

Oltre ai rimedi generali di natura concorsuale, il legislatore italiano, specie negli ultimi anni, ha introdotto varie misure legislative speciali per alleviare il peso dei debiti fiscali e contributivi o per favorire la regolarizzazione di posizioni debitorie. Queste misure – talora definite “pace fiscale” o definizioni agevolate – non fanno parte delle procedure concorsuali, ma possono essere utilizzate parallelamente o prima di esse, e in certi casi integrarsi nei piani di risanamento. Elenchiamo le principali:

1. Rottamazione delle cartelle esattoriali: Si tratta di provvedimenti con cui lo Stato consente ai debitori iscritti a ruolo (Agenzia Entrate-Riscossione) di estinguere i debiti versando solo l’importo residuo dovuto a titolo di tributo/contributo e gli interessi legali (talora ridotti), senza le sanzioni e senza gli interessi di mora e altre componenti accessorie. In sostanza, una remissione di sanzioni e interessi. Dal 2016 a oggi vi sono state diverse edizioni: Rottamazione 2016 (DL 193/2016), Rottamazione-bis 2017, Rottamazione-ter 2018, e l’ultima “Rottamazione-quater” introdotta con la Legge di Bilancio 2023 (L.197/2022). Quest’ultima consente di definire i carichi affidati a riscossione dal 2000 al 30/06/2022 pagando integralmente solo imposte e contributi e il 3% di interessi, con stralcio totale di sanzioni e interessi di mora e aggio. Il pagamento può avvenire in unica soluzione (31/10/2023) o in max 18 rate in 5 anni (fino al 2027) . La prima scadenza rateale è stata il 31/07/2023, poi 30/11/2023, e così via. Chi aderisce e rispetta i pagamenti beneficia anche del blocco di azioni esecutive su quei ruoli. Utilità per il debitore: se l’azienda ha cartelle esattoriali con multe e sanzioni considerevoli, la rottamazione può ridurre di parecchio (anche oltre il 30%) il debito complessivo . Ad esempio, un debito IVA di 100k genera magari 20k di sanzioni e 10k di interessi: con rottamazione paga ~100k + interessi legali ridotti. Certo, resta la quota capitale (che in un concordato invece potrebbe essere falcidiata), ma evita l’aggravio notevole delle sanzioni. Spesso può essere usata prima di un concordato per abbassare l’esposizione e quindi presentare un piano più leggero. Una criticità è che richiede comunque di pagare il capitale (dilazionato in 5 anni maxi), il che presuppone risorse adeguate o contributi di terzi. Nei casi di sovraindebitamento grave, la rottamazione può non essere sufficiente perché l’azienda non riesce comunque a pagare nemmeno il netto.

2. Saldo e stralcio per contribuenti in difficoltà economica: Misura una tantum attuata con la L.145/2018 (Bilancio 2019) per persone fisiche con ISEE basso (< €20.000) e debiti esattoriali da dichiarazioni non pagate. Permetteva di pagare solamente una percentuale ridotta del debito (16%, 20% o 35% a seconda dell’ISEE) con stralcio del resto, includendo anche tributo. È stata un’opportunità notevole per soggetti molto deboli economicamente. Questa misura specifica non è stata rinnovata nel 2023, ma è possibile che in futuro venga reintrodotta (si parla di rottamazione-quinquies con possibili criteri di “saldo e stralcio” per chi non ce la fa – se ne discute per il 2026) . Al momento, comunque, l’imprenditore sovraindebitato che sia anche persona fisica con redditi modesti può puntare più sullo strumento concorsuale per ottenere stralcio, visto che definizioni agevolate ad personam non sono attive (a parte appunto l’esdebitazione finale post liquidazione controllata).

3. Stralcio automatico mini-debiti: La Legge di Bilancio 2023 ha previsto l’annullamento automatico dei debiti affidati a riscossione dal 2000 al 2015 di importo residuo fino a €1.000 (per quota debito + sanzioni, al 1/1/2023). Questa misura ha cancellato d’ufficio miriadi di vecchie piccole cartelle (multe, bollo auto, piccoli tributi locali, ecc.). Quindi un imprenditore che aveva vecchie micro-pendenze anteriori al 2015 potrebbe essersi visto eliminare in blocco quelle voci. Ciò è utile per “pulire” la posizione e concentrare gli sforzi sui debiti più grandi. Non richiedeva domanda: l’ADER doveva effettuare lo stralcio entro il 31/03/2023.

4. Definizione agevolata liti fiscali pendenti: in varie leggi (2023 compresa) sono state offerte opzioni per chiudere contenziosi tributari in corso con sconto. Ad esempio, la L. 197/2022 prevedeva che il contribuente potesse definire le liti tributarie pagando una percentuale dell’imposta contestata (ad es. 90% in primo grado, 40% se aveva vinto in primo grado, 15% se vinta in secondo, e 5% se pendente in Cassazione, ecc.). Questo non incide direttamente sui debiti esattoriali “a ruolo”, ma se l’azienda ha contenziosi aperti col fisco, definendoli riduce l’importo dovuto e lo cristallizza senza ulteriori sanzioni. Integrare queste opportunità in un piano di risanamento è saggio: ad esempio, se un accertamento da 100k è in causa e potrei chiuderlo con 40k grazie alla definizione, conviene farlo e includere quei 40k nel fabbisogno del concordato piuttosto che lasciar pendere l’esito incerto.

5. Rateizzazioni ordinarie dei debiti fiscali/contributivi: Al di fuori delle misure straordinarie, ricordiamo che l’ordinamento consente sempre di chiedere dilazioni. L’Agenzia Riscossione consente piani fino a 6 anni (72 rate mensili) per importi fino a €120.000 senza dare prova di difficoltà, e piani fino a 10 anni (120 rate) se si prova grave e comprovata difficoltà. Anche l’INPS concede dilazioni amministrative di 24 rate (estendibili eccezionalmente). Questi strumenti servono se l’impresa è in bonis o comunque fuori da concorsuale; vanno sfruttati prima che i ruoli degenerino in pignoramenti. A volte, un piano di risanamento extra-giudiziale combina rateizzazioni con Fisco/INPS e accordi privati con fornitori/banche.

6. Contributo “saldo e stralcio” in concordato preventivo: Nel CCII c’è una norma (art. 88 co.5) che prevede che nel concordato liquidatorio il debitore persona fisica possa ottenere, se paga almeno il 5% ai chirografari, l’esdebitazione anche dei debiti per tributi che residuano. È una sorta di “fresh start” anticipato. Più in generale, qualsiasi concordato (o liquidazione controllata) se chiuso regolarmente porta all’esdebitazione dei residui. Questo per dire: i procedimenti concorsuali stessi diventano uno strumento di definizione agevolata, in un certo senso ex lege.

7. Fondi di garanzia e misure di sostegno: Non direttamente definizioni di debiti, ma meritano menzione strumenti come il Fondo di Garanzia PMI che può facilitare ristrutturazioni bancarie (ad es., banca propone nuova finanza per pagare debiti con garanzia statale, in contesto 182-bis) o il ricorso a finanza esterna agevolata (finanziamenti a tasso agevolato per imprese in crisi, talvolta previsti in normative emergenziali). Ad esempio, durante la crisi Covid furono previsti finanziamenti 6-10 anni garantiti dallo Stato per liquidità. Se l’azienda ne ha usufruito ma poi non riesce a restituirli, quei debiti bancari sono statali di riflesso; non c’è definizione agevolata diretta, ma in un concordato lo Stato (attraverso Mediocredito Centrale) potrebbe accettare falcidie su quelle garanzie attivate. Anche per debiti verso enti come l’Agenzia delle Dogane (accise, etc.) a volte esistono normative ad hoc (rateizzazioni lunghe).

In concreto, per la nostra azienda di tubi e raccordi, quali di queste misure sono rilevanti? Se ha cartelle esattoriali significative fino al 2022, la rottamazione-quater è stata un’opportunità (le cui prime rate sono in corso di pagamento nel 2023-2024). Se non ha aderito entro il 30/06/2023, ora quell’opzione è chiusa, a meno di proroghe o riaperture politiche (talvolta sono state riaperte). Ad ogni modo, nel contesto di un concordato, l’azienda può includere la transazione fiscale che di fatto è come una rottamazione “personalizzata” ma anche sul capitale (ad es. può offrire 50% dell’IVA contro un probabile 10% in fallimento, e il giudice può imporla al Fisco). Le definizioni agevolate vanno colte preferibilmente prima di attivare il concorso, perché durante una procedura concorsuale formalmente non si può aderire a rottamazioni (essendo i debiti cristallizzati nel passivo). Tuttavia, nulla vieta che un concordato depositato tenga conto di una rottamazione in corso: es. se l’azienda ha aderito a rottamazione e sta pagando le rate, nel piano di concordato lo segnala e predispone le risorse per proseguire i pagamenti (questo darebbe tranquillità al Fisco e agli altri creditori sul fatto che quell’importo agevolato verrà effettivamente saldato).

Attenzione alla decadenza dalle definizioni: vanno fatte considerazioni di cautela: le definizioni agevolate come rottamazione prevedono che, se il debitore salta una rata, l’agevolazione decade e tornano dovute per intero sanzioni e interessi come se nulla fosse . Questo può essere devastante: immaginare di aver pagato 5 rate su 18 di una rottamazione e poi saltare la 6°, fa perdere tutti i benefici e i soldi versati vanno imputati a acconto del debito integrale (che ridiventa immediatamente esigibile). Quindi, prima di aderire, occorre valutare bene la sostenibilità: meglio scegliere più rate di importo minore se possibile, per ridurre il rischio di insolvenza sulle rate . Se l’azienda è in crisi profonda e pensa di non riuscire comunque, forse è preferibile un concordato che preveda direttamente uno stralcio (dove se omologato e adempiuto almeno quello in percentuale, il resto non risorge).

Moratorie emergenziali: in casi eccezionali (calamità naturali, emergenze come il terremoto, pandemia) il governo può disporre sospensioni dei termini di pagamento di imposte o contributi. Questo non risolve i debiti ma li differisce. Esempio: durante Covid-19 molte imprese hanno potuto sospendere versamenti e poi rateizzarli. Al 2025, la fase emergenziale è superata, ma ci sono ancora strascichi: ad esempio, la legge 106/2021 consente di pagare in 4 anni il debito tributario maturato nel periodo emergenza, con decadenza se saltano più di tot rate. Un avvocato dovrebbe verificare se l’azienda ha in corso tali piani emergenziali e includerli nelle valutazioni (ad es. un piano emergenziale decaduto per mancato pagamento di rate può fare tornare esigibili somme cospicue che portano a cartelle e pignoramenti).

In conclusione, l’imprenditore indebitato deve essere informato di queste chance legislative: possono fare la differenza tra un insuccesso e un recupero. Ad esempio, se grazie a una rottamazione l’azienda risparmia 200k di sanzioni, forse quei 200k risparmiati bastano a convincere una banca a rifinanziarla; o magari rendono il concordato proponibile al 30% invece che al 10%, aumentando le probabilità di voto favorevole.

Una tabella rapida per ricordare alcune di queste misure:

Strumento agevolativoDescrizioneDisponibilità (2025)Effetto sul debitoNote
Rottamazione-quater (2023)Definizione cartelle 2000-2022: pagamento imposte/contributi senza sanzioni e interessi di mora (solo 3% di interessi da def.)Chiuso a nuove adesioni (scadenza domanda 30/6/2023). Rate fino al 2027 per chi ha aderito.Riduzione debito variabile (dipende dal mix sanzioni interessi). Nessuno stralcio su capitale.Debitore deve seguire piano pagamenti. Decadenza se salta 5 giorni oltre scadenza rata .
Stralcio automatico ≤€1000Cancellazione d’ufficio di ruoli minori 2000-15 (imposta+ sanz < 1k)Attuato nel 2023 (non richiede azione del debitore)Elimina micro-debiti pregressi (multe, tasse comunali, ecc.)Sgravio avvenuto 31/3/23. Controllare estratto Equitalia post-stralcio per sapere cosa resta.
Saldo e stralcio 2019 (persone fisiche)Poteva pagare 16-35% del dovuto in base ISEE, stralciando resto (cartelle fino 2017)Non attivo ora (misura one-off). Potrebbe essere riproposta (c.d. rottamazione-quinquies) per 2026.Riduzione drastica (anche capitale).Riservato a PF in difficoltà economica grave (ISEE <20k). Se reintrodotto, l’imprenditore persona fisica con debiti personali potrà valutare.
Definizione liti pendenti 2023Chiudi cause tributarie pagando % ridotta (15%, 40%, etc. a seconda esiti pregressi)Conclusa (domande entro 30/6/23). Nuove finestre possibili in future manovre.Taglio consistente su imposta contestata, annullamento sanzioni collegate.Utile se contenzioso in corso con fisco. Se perso treno 2023, valutare transazione fiscale in concorsuale come surrogato.
Rateizzazione ordinariaPiano 72 rate (6 anni) automatico fino €120k; fino 120 rate (10 anni) con prova difficoltàSempre disponibile su richiesta ad ADER prima di esecuzione (anche post-cartella se non decaduti termini)Nessun taglio, ma tempo per pagare diluito.Debitore in regola con rate ottiene DURC regolare per INPS. Decade se salta 5 rate (anche non consecutive).
Transazione fiscale/contributiva in concordato/accordoProposta nel piano di pagamento parziale di imposte e contributi (anche su capitale) con omologa giudizialeAccessibile nelle procedure concorsuali (CCII art. 63 accordi, 88 concordato). Rinforzata da D.Lgs 136/2024.Taglio su tributi e contributi. Richiede offerta min. 30-40% salvo miglior convenienza rispetto a fallimento .Oggi possibile anche con dissenso AE/INPS (cram down) . Necessaria attestazione convenienza da professionista .
Esdebitazione persona fisicaCancellazione debiti residui post procedura concorsuale (fallimento o liquidazione controllata)Prevista di diritto (fallimento, art.278) o su richiesta (liquidaz. controllata, art.282-283 CCII)Annulla il debito residuo non soddisfatto, salvo obblighi risarcitori/ alimentari e debiti penali.Nel fallimento: ottenibile dopo 3 anni da chiusura, se cooperato e nessuna frode. Nel sovraindebitamento: subito a chiusura se meritevole, anche senza pagare nulla (incapiente) . One-time per la vita (incapiente).

In sintesi, un imprenditore indebitato deve usare un po’ tutte le frecce al suo arco: definizioni agevolate per abbattere sanzioni e interessi, procedure concorsuali per tagliare quote di capitale inesigibili e proteggersi legalmente, e negoziazioni mirate dove è possibile trovare compromessi. La legge attuale offre strumenti dinamici, e la combinazione ottimale dipende dal caso concreto.

F. Esempi pratici di difesa del debitore

Per concretizzare quanto detto, immaginiamo alcune simulazioni di casi tipici e come il debitore può difendersi, adottando le strategie illustrate. I nomi e i dati sono di fantasia ma ispirati a situazioni reali, ed esclusivamente riferiti al contesto italiano e alla normativa vigente.

Caso 1: “Beta S.r.l.” – PMI manifatturiera in crisi di liquidità, debiti bancari e fornitori, ma attività salva.
La Beta S.r.l. è un’azienda di medie dimensioni (fatturato €2 milioni) che produce raccordi per impianti ad aria compressa. Negli ultimi due anni ha subito un calo di commesse e un forte aumento dei costi delle materie prime. Ha accumulato: €300.000 di debiti con banche (scoperti di c/c e rate leasing macchinari arretrate), €200.000 di debiti verso fornitori (diverse fatture scadute da oltre 90 giorni), €100.000 di debiti fiscali (IVA di due trimestri non versata e ritenute, già iscritte a ruolo con cartelle) e €50.000 di debiti verso dipendenti (TFR maturato e stipendi di un mese arretrati). L’azienda però ha buone prospettive: un nuovo contratto con un cliente estero partirebbe a breve e il portafoglio ordini futuro è robusto, a patto di superare l’impasse attuale. Come può difendersi Beta S.r.l.?

  • Analisi e prevenzione: Gli amministratori di Beta si rendono conto della situazione di tensione e, già qualche mese prima, hanno coinvolto un advisor finanziario. Hanno predisposto un cash flow forecast: senza interventi, entro 4 mesi la cassa sarebbe negativa per €200k. Hanno allora attivato la Composizione Negoziata della crisi, accedendo alla piattaforma e ottenendo la nomina di un esperto indipendente. Hanno informato le banche e i fornitori chiave di essere in trattativa assistita, chiedendo nel frattempo una moratoria di 90 giorni sui pagamenti. Le banche hanno accettato di non revocare gli affidamenti per quel periodo (anche perché confidano nel nuovo piano in elaborazione). I fornitori critici (acciaio, componentistica) accettano di continuare le consegne contro pagamento alla consegna + un piano a 6 mesi per le fatture arretrate (suggerimento dell’esperto, per evitare blocchi di produzione). Beta, intanto, riesce a incassare crediti per €80.000 offrendo sconti a due clienti che pagano prima: liquidi preziosa per tamponare stipendi e qualche fornitore. L’esperto aiuta Beta a formulare una proposta di risanamento: le banche allungherebbero i finanziamenti (mutuo 6 anni con garanzia Mediocredito Centrale su 80% dell’esposizione), i fornitori accetterebbero un pagamento parziale a saldo (ad es. 80% del dovuto in 12 mesi, stralciando il 20%), l’Erario riceverebbe la liquidazione IVA corrente e un piano di dilazione su cartelle. Viene chiesta al tribunale una protezione temporanea: il giudice ordina la sospensione di due pignoramenti già minacciati (un fornitore aveva depositato decreto ingiuntivo). Ciò stabilizza la situazione . Dopo 2 mesi di trattative, con il “ombrello” dell’esperto, Beta raggiunge un accordo stragiudiziale: le due banche principali firmano per consolidare i €300k di esposizione in un mutuo con 1 anno di preammortamento (niente rate per 12 mesi) assistito da garanzia pubblica; l’INPS concede dilazione 24 rate per i contributi arretrati (che Beta aveva saltato 2 mesi); 15 fornitori su 20 accettano uno schema di pagamento parziale (alcuni 100%, altri 80%, a seconda della strategicità – l’esperto aiuta a negoziare, convincendo che è meglio di far fallire Beta e recuperare forse 30% in 5 anni). 5 piccoli fornitori rifiutano. A questo punto, su consiglio legale, Beta decide di formalizzare un Accordo di ristrutturazione ex art.57 CCII per blindare l’intesa: i creditori aderenti rappresentano il 70% del totale debiti. Viene redatta la documentazione, un professionista attesta che i fornitori estranei (quelli 5 del 30% rifiutanti) saranno comunque pagati integralmente entro 120 giorni dall’omologa grazie ai flussi del nuovo contratto estero. Il tribunale omologa l’accordo ; i 5 fornitori dissenzienti ottengono quanto dovuto in 3 mesi (grazie anche all’anticipazione bancaria su quel nuovo contratto, che la banca ora concede dopo l’omologa). Beta S.r.l. così evita il fallimento: dopo 1 anno di respiro, inizia a pagare le rate alle banche secondo piano, e torna in bonis. I debiti fiscali nel frattempo beneficiano di una rottamazione (Beta aveva aderito alla Rottamazione-quater per le cartelle 2018-2021: elimina sanzioni e paga il resto in 18 rate , la cui onerosità è stata già computata nel piano finanziario presentato in composizione negoziata). L’amministratore di Beta ha preservato l’azienda, e ha evitato rischi di azioni di responsabilità (anzi, ha adempiuto al dovere di attivarsi tempestivamente). Questo scenario mostra come una combinazione di strumenti stragiudiziali (negoziazione assistita) e concorsuali leggere (accordo omologato), unita alle definizioni fiscali di legge, possa salvare una PMI con prospettive, difendendola dalle azioni esecutive individuali e tagliando il debito in eccesso consensualmente.

Caso 2: “Gamma SNC” – micro-impresa commerciale schiacciata dai debiti, senza beni rilevanti.
La Gamma SNC è una società di persone (2 soci) che gestiva un piccolo negozio di forniture pneumatiche. Ha chiuso l’attività a fine 2024 perché ormai insolvente: incassi calati, debiti aumentati. I soci hanno accumulato: €50.000 di debiti bancari (affidamento di c/c sconfinato, garantito personalmente da entrambi i soci), €80.000 di debiti con fornitori vari e affitto arretrato, €20.000 di debiti con il Fisco (IVA non versata, cartelle per IRAP e IRPEF soci), €15.000 di contributi INPS non pagati per i soci e dipendenti (questi ultimi licenziati, spettanze in parte coperte dal Fondo di Garanzia INPS). Non hanno immobili: uno dei soci vive in una casa in affitto, l’altro ha una casa di proprietà gravata da mutuo e ipoteca (intestata a lui e alla moglie). I pochi beni aziendali (scaffali, PC) sono di valore trascurabile. La società non è soggetta a fallimento (sotto tutte le soglie). I creditori però iniziano a farsi aggressivi: un fornitore ha ottenuto decreto ingiuntivo e minaccia pignoramento, la banca sollecita i garanti (soci) al rimborso immediato.

  • Soluzione sovraindebitamento: I soci, con l’aiuto di un OCC, decidono di attivare un procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento. Valutano due opzioni: concordato minore oppure liquidazione controllata. Dato che i soci vorrebbero evitare di perdere la casa (almeno il socio proprietario), e credono di poter offrire ai creditori una soddisfazione migliore vendendo volontariamente il magazzino residuo e lavorando per pagare una parte, scelgono di tentare un concordato minore. L’OCC li assiste nel redigere un piano: propongono di pagare il 30% dei debiti chirografari in 4 anni, utilizzando: la liquidazione del magazzino rimasto (merce stimata 10k, che un concorrente si offre di acquistare a 8k), il conferimento di €20.000 da parte di un parente come aiuto, e il reddito futuro di uno dei soci (che si è ricollocato come dipendente in altra azienda con stipendio 1.500€/mese) destinando €500 al mese ai creditori per 4 anni. Fanno i conti: possono raccogliere circa €8k (vendita merci) + €20k (aiuto familiare) + €24k (contributo reddito in 4 anni) = €52k per pagare i creditori. Il debito totale è €165k circa: €52k è circa il 31%. Stimano che se aprissero una liquidazione controllata, i creditori chirografari non vedrebbero quasi nulla (non ci sono beni immobili, la casa del socio proprietario è fuori per ipoteca e impignorabilità perché è prima casa senza ipoteche dell’ADER e crediti <120k, e comunque è cointestata moglie – presumono non attaccabile facilmente; i mobili e merci varrebbero solo per costi procedura). Dunque il 31% è nettamente superiore al ricavabile in liquidazione (che il perito OCC valuta forse 5%). I creditori, convocati dal giudice, votano: la banca vota sì (ragiona che 30% sui €50k = 15k subito è meglio che inseguire i soci nullatenenti per anni); i fornitori in buona parte non si presentano o delegano all’OCC – in mancanza di voto, si considera come non dissenso esplicito (nel concordato minore, il meccanismo di voto è per teste e per valore). Il risultato è che circa il 60% in valore dei crediti vota a favore o non si oppone attivamente. L’Erario (Agenzia Entrate) formalmente non aderisce (non risponde), ma l’OCC ha incluso regolarmente la proposta di falcidia IVA al 30% con relazione di convenienza (notando che l’IVA in caso di liquidazione sarebbe insoluta al 95%). Il giudice, verificato l’esito e l’assenza di opposizioni qualificate, omologa il concordato minore . Ciò produce: i soci versano subito i €28k (merce + aiuto familiare) e iniziano le rate mensili di €500. I pignoramenti in corso vengono revocati. I creditori, benché prendano 31 centesimi per euro, lo accettano perché intravedono l’impegno e la trasparenza (e l’alternativa era nulla). Dopo 4 anni, i soci avranno pagato la quota concordataria e otterranno l’esdebitazione di tutto il resto. Il socio con la casa la mantiene, impegnandosi a pagare regolarmente il mutuo (che non rientrava nel concordato perché considerato credito ipotecario su bene non liquidato: la banca mutuataria era soddisfatta essendo la moglie l’altra mutuataria e continuando a pagare). Questo caso mostra l’efficacia del concordato minore: ha difeso i debitori da azioni aggressive (sospese non appena presentata la domanda), ha permesso di stralciare debiti insostenibili mantenendo però un minimo di patrimonio (prima casa) salvo. Dal punto di vista del creditore pubblico: l’Agenzia Entrate era contraria in linea di principio allo stralcio IVA, ma il giudice ha ritenuto la proposta più vantaggiosa del fallimento e l’ha imposta comunque (con l’art. 80 CCII, analogo al cram down fiscale del concordato maggiore). I due soci, soddisfatto il piano, ripartiranno senza debiti e con la possibilità di rifarsi una vita lavorativa, pur avendo chiuso la società. Questa è una tipica storia di sovraindebitamento risolta con successo.

Caso 3: “Ex-Amministratore Marco” – responsabilità personali post-fallimento di una Srl.
Per il terzo esempio, poniamoci dal lato del legale rappresentante di una società fallita e vediamo come può difendersi da eventuali azioni dei creditori e del curatore. Marco è stato amministratore unico della “Delta S.r.l.”, un’azienda (non di tubi, ma sempre nel campo metalmeccanico) fallita nel 2024, lasciando debiti ingenti: €1 milione verso banche, €300k verso l’Erario (soprattutto IVA) e €200k verso fornitori. La procedura fallimentare (liquidazione giudiziale) è in corso, ma si prevede che i creditori chirografari recupereranno poco (c’è giusto un capannone ipotecato per le banche e qualche macchinario). Marco, da par suo, in passato aveva prestato fideiussione su un mutuo bancario di Delta (importo residuo €100k) e aveva gestito pagamenti preferenziali: nel 2022, quando Delta era già in sofferenza, pagò integralmente alcuni fornitori critici e lasciò indietro l’IVA. Nel 2025, Marco riceve brutte notizie: (a) la banca ha ottenuto un decreto ingiuntivo contro di lui come fideiussore per €80.000 (perché la banca nel frattempo ha escusso in parte ipoteca e rimane un gap di 80k); (b) l’Agenzia Entrate gli notifica un avviso di addebito ex art. 36 DPR 602/73 chiedendogli €50.000 come coobbligato per il debito IVA di Delta, sostenendo che negli ultimi 2 anni prima del fallimento ha fatto pagamenti preferenziali in conflitto con il principio di par condicio (hanno raccolto l’informazione che Delta pagò fornitori invece di versare IVA); (c) il curatore sta valutando un’azione di responsabilità ex art. 2476 c.c. contro di lui per mala gestio, e l’ha citato per danni di €200k, adducendo che quelle operazioni preferenziali e altre condotte (aver continuato l’attività in perdita, aggravando il buco) hanno leso il patrimonio sociale. Cosa può fare Marco per difendersi?

  • Difesa contro avviso Agenzia Entrate (€50k ex art.36): Marco si rivolge a un avvocato tributarista e analizza l’avviso. Notano che l’addebito dell’AE è generico: includono l’intero importo di IVA non versata (€100k) chiedendo a lui €50k come presunto danno. Osservano che la norma art.36 (speciale) prevede responsabilità di amministratori solo se (1) negli ultimi due esercizi prima della liquidazione hanno compiuto pagamenti o operazioni di liquidazione in violazione dell’art. 2740 c.c. (ossia soddisfacendo creditori in misura tale da pregiudicare il Fisco), e (2) la responsabilità è limitata alle somme distratte. Nel caso di Marco, egli ha effettivamente pagato ~€60k a fornitori nell’ultimo anno, lasciando l’IVA di pari importo insoluta. Ma non c’è evidenza che abbia occultato attivi o che la Delta abbia distribuito utili ai soci (non ci sono utili). Dunque la condotta rientra in teoria nella previsione (ha soddisfatto creditori diversi dal Fisco in pregiudizio del medesimo). Tuttavia, la giurisprudenza recente – Cassazione 2025 n.8686 – ha chiarito che non esiste responsabilità “automatica” per l’IVA evasa degli amministratori , a meno che non ricorrano esattamente le condizioni di art.36, e che tale norma è di stretta interpretazione . Nel suo caso, l’ufficio non ha nemmeno specificato bene il calcolo: chiede 50k forse ipotizzando equi distribuzione danno. Il legale di Marco presenta ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria) eccependo: (a) ultrattività della pretesa – l’avviso gli chiede anche IVA intera (violando il principio che la coobbligazione ex lege è civilistica e non crea nuovo debito tributario) ; (b) mancanza di prova del presupposto – il Fisco non dimostra quali atti concreti di pagamento preferenziale abbiano ridotto la garanzia generale, né che vi fosse stato un formale stato di liquidazione (Delta non era in liquidazione volontaria prima del fallimento, quindi l’applicabilità di art.36 è controversa, in quanto letteralmente parla di “ultimi due periodi d’imposta precedenti la messa in liquidazione” – qui c’è un fallimento, non liquidazione volontaria, e Cass. SU 2021 n.8504 ha interpretato restrittivamente tale ambito) ; (c) buona fede di Marco – la crisi di Delta era causata da crediti insoluti e aumento costi, lui pagò quei fornitori per tentare di salvare l’operatività, non per frodare il Fisco; richiama Cass. 2023 (ordinanza di legittimità) che ha escluso corresponsabilità ex amministratori per IVA in casi analoghi. Il ricorso viene accolto: la Corte tributaria annulla l’avviso, ritenendo non sufficientemente provati gli estremi e applicando il principio che “l’autonomia patrimoniale perfetta delle s.r.l. implica che i debiti tributari restano esclusivamente in capo alla persona giuridica, salvo specifiche ipotesi di responsabilità previste dalla legge, di stretta interpretazione” . Marco dunque si libera di quella pretesa fiscale personale grazie alla difesa puntuale.
  • Difesa contro decreto ingiuntivo su fideiussione (€80k banca): qui Marco è debitore in proprio perché ha firmato la fideiussione omnibus per i debiti bancari di Delta. La banca, ottenuta ingiunzione, potrebbe pignorare la sua casa. La casa di Marco però è prima casa non di lusso e il debito verso banca è privato (non soggetto ai limiti di 120k che valgono solo per Fisco). Quindi la banca può pignorare la casa e venderla, a meno che… L’avvocato di Marco individua una possibile scappatoia: la fideiussione fu firmata su un modulo standard predisposto dalla banca, contenente clausole note come “schema ABI 2003” (clausola di reviviscenza, di sopravvivenza, ecc.). Queste clausole furono dichiarate anticoncorrenziali dal Provvedimento Banca d’Italia n.55/2005 e Cass. 29810/2017 ha sancito la nullità parziale delle fideiussioni conformi a quello schema. Nel decreto ingiuntivo, la banca chiede €80k + interessi e spese. L’avvocato propone opposizione al D.I. deducendo la nullità delle clausole della fideiussione per contrasto con l’art.2 legge antitrust (intesa restrittiva vietata) e chiede rideterminazione dell’importo escludendo, ad esempio, la clausola di deroga all’art.1957 c.c. (che se applicata, implicherebbe decadenza della garanzia perché la banca non ha agito entro 6 mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale). Porta sentenze analoghe (Trib. Milano 2019 ecc. che hanno liberato fideiussori su questa base). La causa è lunga, ma intanto la provvisoria esecutorietà viene sospesa dal giudice perché l’eccezione non è manifestamente infondata e l’importo elevato. Ciò blocca la banca: non può pignorare fino all’esito del giudizio di opposizione. Nel frattempo, Marco cerca un accordo: offre alla banca una soluzione “estintiva”: propone di vendere lui stesso la casa (valore ~€120k con mutuo residuo €30k) e dare alla banca gran parte del ricavato netto in cambio di rinuncia all’eccedenza. L’idea: se la banca pignorasse, vendendo in asta la casa forse ricaverebbe €100k, di cui soddisferebbe il proprio credito €80k e l’eventuale residuo tornerebbe a Marco (ma dopo spese legali, etc., forse niente). Invece vendendo sul mercato potrebbe spuntare €120k, estinguere il mutuo (€30k) e restare ~€90k, di cui €80k alla banca e €10k a Marco per ripartire. La banca accetta l’accordo, vedendo che insistere in causa è incerto e lungo. Si fa un accordo transattivo omologato in tribunale con cessazione della lite: Marco vende la casa privatamente, la banca prende €80k, lui chiude il mutuo e rimane senza debito residuo. Questa è una soluzione creativa ma abbastanza comune in pratiche di esdebitazione: trasformare garanzie in pagamenti concordati.
  • Difesa nell’azione di responsabilità del curatore (€200k): Il curatore sostiene che Marco ha aggravato il dissesto pagando quei fornitori collegati e protraendo l’attività in perdita. Marco, tramite il suo legale, adotta una linea di difesa basata su due punti: (a) assenza di dolo o conflitto d’interessi – vero che pagò quei fornitori, ma non lo fece per interesse personale (non erano sue società né ha avuto vantaggi), anzi era per tentare di salvare Delta; ciò secondo la Cassazione esclude la mala fede e può rilevare sulla valutazione del danno ; (b) Business judgment rule – egli potrà sostenere che le scelte gestionali, seppur errate ex post, erano ragionevoli ex ante considerando le informazioni disponibili e lo scopo di evitare il fallimento; citerà l’orientamento Cass. 30031/2022 che dice che l’amministratore non risponde di scelte imprenditoriali se prese in buona fede, informate e nell’interesse sociale , a meno che la scelta non sia manifestamente irragionevole o in conflitto d’interessi (qui non ricorre). Inoltre, dimostrerà di aver predisposto assetti adeguati in azienda (ad esempio, aveva sistemi di controllo, bilanci tempestivi): se riuscirà, eviterà l’accusa di violazione di art. 2086 c.c. L’avvocato di Marco, per ridurre il danno risarcibile, evidenzierà che i pagamenti preferenziali in sé non hanno causato l’insolvenza – al più hanno spostato la composizione del passivo, e l’azione ex art. 2394 c.c. dei creditori per lesione garanzia generica richiede dimostrare che tali atti hanno aggravato il dissesto senza portare benefici. Egli mostrerà che se non avesse pagato quei fornitori la società sarebbe crollata mesi prima, forse con un passivo ancor maggiore per revoche di contratti, etc., quindi il nesso causale non è così diretto. In giudizio, il tribunale potrebbe tener conto di Cass. 23963/2025 (citata da controparte) che afferma che l’amministratore risponde anche se non c’è insolvenza accertata, se i suoi atti in conflitto d’interesse hanno danneggiato il patrimonio . Ma qui conflitto d’interessi non c’era. Al limite fu cattiva gestione. Marco offre comunque al curatore una transazione: propone di versare €20k attingendo a TFR personale e risparmi, pur senza ammettere responsabilità, per chiudere la vertenza. Il curatore, valutando la scarsa capienza di Marco (che ormai ha venduto casa per pagare banca e gli restano pochi beni) e l’aleatorietà della causa (non certa la condanna, date le giustificazioni di Marco e il costo della causa), accetta la transazione di responsabilità: Marco paga €20k alla massa fallimentare e ottiene liberatoria. Così, con €20k, evita una possibile condanna di €200k che lo avrebbe costretto al fallimento personale. Da notare: se il curatore non fosse stato conciliativo, Marco avrebbe potuto pensare a sua volta a una liquidazione controllata personale per liberarsi dai debiti derivanti da eventuale condanna (visto che l’azienda Delta è fallita, i creditori potrebbero poi aggredirlo in via extra concorsuale per differenza). Ma per fortuna risolve prima.

In conclusione, questo caso illustra varie difese post-dissesto: opposizione a richieste fiscali ingiuste, contestazione di fideiussioni, trattative anche in extremis per evitare conseguenze patrimoniali e, se necessario, ricorso agli strumenti di sovraindebitamento personali per azzerare i debiti. Marco, con scelte difensive oculate e cooperazione, è riuscito a contenere i danni personali derivanti dal fallimento della società. Non sempre va così (amministratori che hanno frodato restano ovviamente esposti a sanzioni), ma il nostro ordinamento oggi cerca di punire chi ha agito con dolo ma anche di tutelare chi, pur incapace di salvare l’azienda, ha agito senza mala fede. La Cassazione, ad esempio, ha affermato che l’amministratore non può essere ritenuto automaticamente colpevole per la sola omessa adozione di assetti se comunque ha preso misure ritenute adeguate ex ante (cfr. Trib. Roma 2020 cit.). Dunque, c’è spazio per difendersi efficacemente.

Questi esempi, pur semplificati, coprono uno spettro di situazioni: la piccola impresa risanabile, la micro impresa da liquidare con esdebitazione, e l’aspetto delle responsabilità personali del debitore. In ciascuno di essi, la conoscenza degli strumenti legali ha fatto la differenza tra subire passivamente le azioni dei creditori e invece governare la crisi verso un esito più favorevole.

Domande frequenti (FAQ)

D. I soci di una S.r.l. rispondono con i propri beni dei debiti sociali?
R. In linea generale no, i soci godono di responsabilità limitata: possono perdere al massimo il capitale investito nella società, ma non sono tenuti a ripagare i debiti aziendali con il loro patrimonio personale. Questo è un pilastro delle società di capitali (autonomia patrimoniale perfetta ex art. 2462 c.c.). Eccezioni: se un socio ha prestato garanzie personali (fideiussione, pegno di bene proprio) a favore di un creditore, allora risponderà nei limiti di quella garanzia. Inoltre, i soci potrebbero essere coinvolti se hanno ricevuto utili illegittimi o rimborso di capitale poco prima del dissesto: in caso di fallimento, il curatore può chieder loro la restituzione di quanto percepito (azione di restituzione utili ex art. 2476 c.c. o revocatoria di atti di distribuzione). Nel caso di società di persone (snc, sas), invece, i soci illimitatamente responsabili rispondono con tutto il patrimonio dei debiti sociali (art. 2291 c.c.), salvo patto contrario non opponibile ai terzi. Ma per la S.r.l., la regola è nessuna responsabilità personale dei soci per le obbligazioni sociali . Si tenga però presente che, a seguito di chiusura di una società insolvente, il Fisco potrebbe tentare di far valere l’art. 36 DPR 602/73 verso i soci di società di persone (ex soci illimitatamente responsabili) per debiti tributari non soddisfatti: la Cassazione a Sezioni Unite 2020 n. 28709 ha escluso una responsabilità automatica ex soci per debiti tributari, limitandola ai casi previsti (ad es. soci di società di persone già illimitatamente responsabili restano tali entro i limiti di legge) . In sintesi: il socio di S.r.l. non rischia i propri beni personali per i debiti sociali, a meno che non abbia assunto obblighi ulteriori (garanzie) o compiuto atti contrari alla legge (illecite distribuzioni, confusione di patrimoni).

D. L’amministratore di una società può essere costretto a pagare di tasca propria i debiti dell’azienda?
R. Normalmente no, se ha operato correttamente. L’amministratore non è garante dei debiti sociali per il solo fatto di esserlo. Tuttavia ci sono situazioni in cui può dover rispondere personalmente: – Azione di responsabilità: se con atti di mala gestione ha causato un danno al patrimonio sociale o ai creditori, può essere citato in giudizio (dal curatore fallimentare o dai creditori ex art. 2394 c.c.) e condannato a risarcire quel danno . Ad esempio, la Cassazione ha affermato che l’amministratore risponde se ha dolosamente favorito alcuni creditori (pagamenti preferenziali in conflitto d’interessi) provocando un danno alla massa . Non risponde invece per il normale rischio d’impresa o scelte gestionali errate ma in buona fede . – Debiti tributari in casi particolari: come spiegato, non c’è una regola generale di responsabilità tributaria personale . Fa eccezione l’art. 36 DPR 602/73: se prima dello scioglimento dell’azienda l’amministratore ha pagato altri ignorando il Fisco o ha occultato beni, può risponderne fino a concorrenza dell’importo distratto . Un esempio è l’amministratore-liquidatore che distribuisce attivi ai soci senza pagare le imposte: Agenzia Entrate potrà chiedere a lui e ai soci quei tributi insoluti. Ma fuori da tali ipotesi, l’Agenzia non può pretendere dall’amministratore le imposte della società – Cass. 8686/2025 lo ha ribadito chiaramente. – Debiti previdenziali: similmente, nessuna responsabilità salvo se non versa i contributi pur avendo le risorse e li dirotta altrove negli ultimi tempi. Anche qui c’è una norma (art. 239 bis legge Fall.) per cui se nella liquidazione societaria non si pagano contributi, i liquidatori/soci rispondono fino a concorrenza delle somme ricevute in pregiudizio. – Garanzie personali: se l’amministratore (spesso anche socio) firma fideiussioni o avalli per debiti sociali, quell’obbligo è suo come persona fisica. Capita con le banche (fideiussione per affidamenti) o locazioni (firma come garante). In tali casi, a differenza della gestione ordinaria, l’amministratore ha volontariamente assunto quell’impegno e ne risponde. – Sanzioni e illeciti: multe amministrative (es. sanzioni antinfortunistiche) possono colpire l’amministratore direttamente. Inoltre, se l’azienda fallisce, l’amministratore può subire condanne penali (bancarotta) che comportano confische e obblighi risarcitori, da pagare personalmente. Anche senza condanne, certi reati tributari prevedono confisca per equivalente sul patrimonio dell’amministratore (es. omesso versamento IVA oltre soglia: poteva portare a sequestro beni personali, ma la Cass. pen. 44519/2024 ha detto che se poi c’è una transazione fiscale approvata, la confisca va limitata al concordato ). In pratica, se l’amministratore agisce con diligenza e lealtà (art. 1176 e 2392 c.c.), e la società fallisce per cause di mercato o sfortuna, non dovrà pagare lui i debiti sociali. Al contrario, se viola i suoi doveri (non istituisce controlli, distrae fondi, preferisce indebitamente alcuni creditori, ritarda il fallimento aggravando il passivo), allora sì, può essere chiamato a risarcire. Esempio: Cass. 23963/2025 ha ritenuto inammissibile il ricorso di un ex amministratore condannato perché aveva trasferito risorse a una società estera a lui collegata, senza giustificazione, danneggiando la società e i creditori . Quindi la differenza la fa la condotta: non esiste garanzia legale universale a carico degli amministratori, ma responsabilità per colpa o dolo sì.

D. Ho una piccola ditta individuale sommersa dai debiti, ma mi han detto che “non posso fallire”: come posso liberarmi dai debiti?
R. È vero: gli imprenditori “minori” (sotto certe soglie di attivo, ricavi e debiti) e i non imprenditori (consumatori) non sono soggetti a fallimento (liquidazione giudiziale) . Ciò non significa che i debiti spariscano, anzi i creditori possono perseguire il debitore vita natural durante con azioni esecutive. Però, grazie alla legge sul sovraindebitamento (oggi inclusa nel Codice della Crisi), anche i piccoli debitori hanno procedure dedicate. Le opzioni sono: – un Concordato minore (se l’attività continua, per proporre un piano ai creditori, vedi caso 2 sopra), – un Piano di ristrutturazione del consumatore (se il debitore è persona fisica che ha debiti non professionali principalmente, simile a concordato ma senza voto: decide il giudice in base a meritevolezza e convenienza), – oppure la Liquidazione controllata dei beni (equivalente del fallimento). In quest’ultima, lei metterebbe a disposizione ciò che ha (beni, magari una parte di stipendio se c’è) e un liquidatore lo distribuirebbe ai creditori; dopodiché, otterrebbe l’esdebitazione, ossia la cancellazione dei debiti residui . È un vero “fresh start”. Non poter essere dichiarato fallito non è quindi un vantaggio se ha debiti insostenibili: prima del 2012 era un dramma, perché il piccolo debitore restava inseguito a vita senza via d’uscita. Oggi invece può rivolgersi a un OCC (Organismo Composizione Crisi) e accedere a queste procedure per risolvere la situazione in modo ordinato. Ad esempio, se lei è un commerciante con €100k di debiti e poche risorse, può proporre ai creditori un concordato minore pagando, poniamo, €20k in 4 anni e cancellando l’80% del debito. Se ciò non è fattibile, opterà per la liquidazione: venderà magari l’auto, i pochi beni, e poi in 4-5 anni sarà esdebitato. Ci sono anche misure di “esonero” totale (esdebitazione dell’incapiente) se proprio non ha nulla da dare: il tribunale chiude subito la procedura e la libera dai debiti, a patto che la situazione di nullatenenza sia genuina e non volontaria . In breve: non fallire non vuol dire “essere immune dai creditori”, ma vuol dire usare gli strumenti di sovraindebitamento per non restare per sempre soffocati dai debiti.

D. Meglio tentare un accordo stragiudiziale con i creditori o avviare subito un concordato preventivo?
R. Dipende dal caso concreto. In genere, vale la pena provare prima una soluzione stragiudiziale (o una composizione negoziata) se: – ci sono pochi creditori e ragionevolmente disponibili (ad esempio, 3 banche che convenute a tavolo potrebbero trovare un’intesa di ristrutturazione), – oppure se la crisi non è troppo avanzata e serve solo una dilazione per superare un periodo (in tal caso, un accordo privato evita i costi e la pubblicità di un concordato). Il vantaggio di restare sul piano stragiudiziale è che l’azienda evita lo stigma di una procedura concorsuale e conserva più flessibilità (nessun giudice che impone vincoli). Inoltre, un accordo privato può essere più rapido e cucito su misura. Tuttavia, ha due limiti: (a) se anche un solo creditore importante non aderisce, può vanificare tutto (basta una banca che dice no per far fallire un piano attestato, o un fornitore che fa istanza di fallimento per far saltare il banco); (b) non c’è tutela automatica: i creditori potrebbero concedere dilazioni e poi ci ripensano e aggrediscono, senza sanzione. Un concordato preventivo, invece, offre la protezione legale: una volta ammessa la domanda, i creditori sono bloccati e il piano, se approvato a maggioranza, diviene vincolante per tutti . Il concordato inoltre permette di imporre sacrifici (stralci, attese) anche ai dissenzienti, cosa che fuori dal tribunale non è possibile. D’altro canto, il concordato è pubblico (sarà noto a clienti e fornitori), costoso e impegnativo (serve un piano dettagliato, un commissario giudiziale che vigila, ecc.). Quindi, una regola empirica: – se la crisi è ancora “in culla” e la maggior parte dei creditori collabora, provi prima accordi negoziali (magari formalizzati in un piano attestato o un accordo omologato agevolato). – Se invece la situazione è già deteriorata (pignoramenti in corso, tanti piccoli creditori furibondi, rischio concreto di istanze di fallimento) conviene mettersi sotto il cappello di una procedura concorsuale per congelare il caos e gestirlo in modo coordinato. Ad esempio, se ha 50 fornitori e 5 di essi hanno già avviato decreti ingiuntivi, è quasi certo che non riuscirà a convincerli tutti a calmarsi extra-giudizialmente: il concordato in bianco può fermarli subito e poi le imporrà un percorso, ma almeno guadagna tempo e pari trattamento. Spesso si segue un approccio graduale: prima si tenta un workout stragiudiziale riservato (magari con composizione negoziata assistita), e se fallisce o non raggiunge adesioni sufficienti, allora si fa il “salto” nel concordato preventivo . Ciò è anche previsto dal Codice: l’esito negativo della negoziazione può condurre al concordato semplificato. Quindi non è un aut aut, ma un percorso: c’è chi deposita un concordato solo dopo aver testato la disponibilità dei creditori informalmente. Attenzione però a non aspettare troppo: se la situazione precipita (conto pignorato, produzione ferma), anche le chance del concordato si riducono. Quindi il suggerimento è: tentare la via negoziale, ma con tempi e obiettivi chiari; se vede che entro qualche mese non c’è accordo, passi al concorsuale prima che i creditori la anticipino (ad es. chiedendo essi stessi il fallimento). In definitiva, entrambe le strade sono difese del debitore, vanno scelte con strategia.

D. Ho debiti con il Fisco per IVA e ritenute non pagate: rischio conseguenze penali o sul mio patrimonio personale?
R. Sul penale: il reato di omesso versamento IVA scatta solo se l’IVA annua non versata supera €250.000 (per periodo d’imposta) – art. 10-ter D.lgs. 74/2000 – ed è punito con reclusione 6 mesi – 2 anni. Per le ritenute certificate (art. 10-bis) la soglia è €150.000. Quindi, se lei ha lasciato €50k di IVA non pagata, non è reato (resta violazione amministrativa con sanzioni). Sopra soglia sì, a meno che prima della dichiarazione dei redditi successiva non paghi il dovuto (causa di non punibilità). Quanto ai contributi INPS: la mancata corresponsione delle ritenute previdenziali dovute per i dipendenti oltre €10.000 annui era reato fino al 2015, poi depenalizzato a illecito amministrativo. Quindi l’amministratore potrebbe avere una sanzione amministrativa ma non penale, purché versi almeno entro 3 mesi dall’accertamento le somme dovute (c’è causa di non punibilità se si regolarizza tardivamente). In ogni caso, in sede di concordato o accordo, il piano di rientro dei debiti IVA ed INPS può includere la messa a norma (versamenti parziali in transazione fiscale): la giurisprudenza penale recente ha considerato la transazione fiscale come indice di mancanza di dolo nel reato di omesso versamento IVA, riducendo sanzioni e confische . Quindi, se sta sistemando i debiti col Fisco attraverso una procedura concorsuale, ciò può aiutarla anche sul fronte penale (dimostra volontà di porvi rimedio; talvolta il giudice penale attende l’esito del concordato prima di decidere).
Sul patrimonio personale: di per sé, come detto, il Fisco non può aggredire i beni personali dell’amministratore per l’IVA o le ritenute della società . Però può sicuramente aggredire i beni della società (ipoteche, pignoramenti). Se lei è un imprenditore individuale, allora non c’è distinzione patrimoniale: l’Agenzia Riscossione può ipotecarle casa (se ha debiti > €20k) o addirittura pignorarla (se debito > €120k, e non è prima casa? In realtà per l’ADER la prima casa di persona fisica non ipotecata a garanzia di crediti non è pignorabile, Dl 69/2013). Dunque se è ditta individuale e possiede casa: l’ADER non può pignorarle la prima casa salvo che abbia ipoteca volontaria o crediti > €120k (e anche lì c’è discussione) – quindi su questo c’è un paracadute legale . Un creditore privato invece (banca, fornitore) può aggredirla se ottiene titolo. In società di capitali, invece, i beni personali sono separati. A meno, come dicevamo, di quell’art.36 DPR 602 (per liquidazioni fraudolente) – ma è circoscritto e non automatico, e il trend giurisprudenziale è di applicarlo con cautela. Riassumendo: penale – rischi se somme evase grossi importi, ma rimediabile con condotte attive (pagamento, concordato). Patrimoniale personale – in linea di massima protetto, salvo normative speciali: la Cassazione ha escluso responsabilità dirette ex amministratori per IVA società , quindi dorma abbastanza tranquillo su quel fronte. Attenzione però: se lei ha incassato indebitamente somme che avrebbe dovuto versare al Fisco (ad es. ha trattenuto ritenute d’acconto e se le è intascate), in caso di fallimento il curatore può imputarle bancarotta preferenziale o misappropriazione. Bisogna sempre valutare il comportamento.

D. La mia azienda ha troppi debiti e decido di chiudere la società: è un modo per sfuggire ai creditori? Posso aprire un’altra società e ripartire da zero?
R. Chiudere senza pagare i debiti non libera la società dai debiti. Se lei mette la società in liquidazione volontaria e la cancella dal Registro Imprese senza soddisfare tutti i creditori, costoro potranno entro 1 anno chiedere al tribunale la riapertura della liquidazione o la dichiarazione di fallimento postuma (se emergono asset nascosti) . Inoltre, i creditori non soddisfatti possono cercare di aggredire i liquidatori o i soci se c’è stato qualcosa di irregolare: ad es., i soci hanno riscosso gli ultimi soldi e lasciato i debiti – questo comporta la loro responsabilità fino a concorrenza di quanto ricevuto (art. 2495 c.c. + art.36 DPR 602). Quindi “spegnere” la società insolvente non è per sé una via di fuga, anzi spesso peggiora la posizione degli organi sociali. Sul piano reputazionale, i debiti restano (la partita IVA sparisce ma i creditori possono colpire eventuali garanti, o se la società non fallisce rimarrà eterna debitrice – con i soci magari costretti a pagarli in caso di società di persone). Inoltre, se poi apre un’altra società e di fatto prosegue la stessa attività senza aver pagato i debiti precedenti, rischia l’azione revocatoria su eventuali passaggi di beni e anche di essere accusato di “abuso di personalità giuridica”: la giurisprudenza, in casi estremi di uso distorto dello schermo sociale per frodare i creditori, ha talora “oltrepassato” il velo societario e ritenuto i soci responsabili. Ad esempio, se lei trasferisce l’azienda da Alfa Srl indebitata a Beta Srl nuova e lascia Alfa vuota con i debiti, i creditori possono far dichiarare l’inefficacia del trasferimento d’azienda e aggredire Beta (ex art. 2560 c.c. risponde dei debiti aziendali se c’è cessione d’azienda e risultano dai libri contabili) . Ci sono anche reati possibili: bancarotta fraudolenta per distrazione se Alfa poi fallisce, e lei aveva trasferito beni a Beta sottopagati. Insomma, spegnere e riaccendere come nulla fosse non è legale né efficace. Meglio seguire le procedure regolari di gestione della crisi: se proprio l’azienda non è salvabile, la faccia fallire o vada in liquidazione controllata. Così i debiti vengono trattati secondo legge, e lei (se persona fisica) potrà ottenere esdebitazione. Aprirà un’altra società pulita dopo aver chiuso la precedente come si deve. Questa è la strada lecita. Farlo furbescamente (chiudo oggi SRL A e domani via i soliti clienti e fornitori in SRL B) è rischiosissimo: i creditori di A potrebbero ottenere un sequestro dei beni passati a B come atto in frode. Una volta la “fuga” poteva restare impunita in assenza di fallimento (nessuno se ne accorgeva), ma con le banche dati attuali e la possibilità di far fallire anche società già cancellate se l’istanza arriva entro 1 anno, non conviene. Quindi la difesa giusta non è “chiudo e scappo”, ma “affronto la chiusura attraverso le tutele legali”: concordato se c’è qualcosa da salvare, o liquidazione giudiziale/sovraindebitamento se c’è solo da liquidare e ripulirsi.

D. Una volta chiuso il concordato o la liquidazione, i creditori possono ancora perseguitarmi per i debiti residui?
R. No. Se la procedura si conclude regolarmente, la regola è la liberazione dai debiti residui (esdebitazione). Nel concordato preventivo, l’effetto esdebitatorio verso la società avviene con l’omologazione (i creditori ricevono la percentuale prevista e per il resto non possono agire oltre). Per la persona fisica socia o garante, attenzione: il concordato di una società non libera i garanti (se lei era fideiussore di un debito sociale falcidiato, quel creditore può chiederle la parte non pagata in concordato, a meno che il garante non abbia aderito all’accordo). Quindi i garanti devono tutelarsi facendo inserire nel piano magari una clausola di manleva o pagando anche loro una quota. Nelle procedure di sovraindebitamento del debitore persona, la legge prevede esdebitazione di diritto a fine liquidazione controllata , e nel concordato minore è implicita dopo l’adempimento. Nel fallimento, l’ex imprenditore deve chiedere l’esdebitazione al giudice a fine procedura ma è pressoché automatica se non ha avuto comportamenti fraudolenti (nel CCII addirittura avviene “di diritto” dopo 3 anni dalla chiusura) . Dunque, il bello delle procedure concorsuali per il debitore onesto è proprio poter voltare pagina senza code. Viceversa, se non avesse fatto nulla (nessun concordato, nessun fallimento) i creditori potrebbero inseguirlo o inseguire la società per decenni (prescrizioni permettendo). Attenzione: restano esclusi dall’esdebitazione alcuni debiti particolari, ad esempio quelli di natura personale come obblighi di mantenimento, risarcimenti per danni da fatto illecito o multe penali. Ma i debiti commerciali, bancari, fiscali, vengono tutti spazzati via dal fresh start concorsuale (salvo il Fisco in casi di frode conclamata potrebbe teoricamente opporsi per inesdebitabilità di quel debito tributario se il debitore ha frodato l’Erario – c’è una norma nel sovraindebitamento su questo). In pratica però, se lei segue la via legale e rispetta le condizioni, i creditori non potranno più pretendere nulla oltre quanto stabilito. Ad esempio, se concordato paga 40%, quel 60% stralciato non potrà essere rivendicato in futuro (il decreto di omologa fa stato). Se fallimento chiuso con zero, dopo esdebitazione quei creditori non possono riavviare esecuzioni (il giudice gli negherebbe azione). L’unico scenario in cui potrebbero tornare è se la procedura viene revocata per ragioni gravi (es. concordato ottenuto con dolo, scoperto poi: in tal caso l’omologa può essere revocata e i creditori riacquistano diritti per intero). Ma è un’eccezione limitata.

D. L’azienda è in crisi e le banche mi hanno segnalato a centrale rischi e non danno più fido: posso fare qualcosa?
R. Questo è un problema collaterale ma serio: durante la crisi, l’azienda perde accesso al credito. Non c’è una “difesa” legale se la banca revoca gli affidamenti secondo contratto. Tuttavia, con l’apertura di certe procedure, alcune norme impediscono reazioni drastiche dei fornitori/banche: – Nell’ambito del concordato preventivo o composizione negoziata con misure protettive, i creditori finanziari non possono revocare o modificare unilateralmente gli affidamenti concessi solo perché il debitore è in concordato . Devono mantenere le linee (nei limiti contrattuali) se il debitore le rispetta. Non possono cioè dire “siccome hai presentato concordato, ti chiudo il fido” – lo vieta l’art. 18 CCII. Questo per garantire continuità. Attenzione: se c’è giustificato motivo (ad es. debitore sconfina i limiti), allora possono, ma non a causa del concordato in sé. – In composizione negoziata, c’è un incentivo alle banche a mantenere il supporto: i finanziamenti nuovi erogati durante le trattative, se autorizzati, sono prededucibili (quindi la banca ha un rango di favore in caso di successiva procedura) . Questo può convincere la banca a dare liquidità in crisi, se crede nel risanamento. – La segnalazione in Centrale Rischi non è eliminabile per legge: riflette la situazione. Potrà essere aggiornata a sanata quando esce dal concorso. Se la banca viola normative (ad es. revoca fido senza preavviso dovuto in situazioni non concorsuali, o applica interessi usurari in crisi), quelle sono linee difensive specifiche (si può contestare con ABF o giudice). Ma in generale, se la crisi c’è, l’accesso al nuovo credito è difficile, va accettato. Ecco perché la legge incoraggia nuovi investitori o soci: a volte l’unica via è far entrare un socio con capitali freschi. Oppure, in sede di concordato, cedere l’azienda a un acquirente solido (che porti soldi con cui pagare i creditori). Quindi, la difesa indiretta qui è usare la procedura concorsuale per proteggere la continuità delle linee essenziali e provare a ottenere nuova finanza prededucibile. Ad esempio, Beta Srl del caso 1 se aveva cassa sotto zero, con la composizione negoziata poteva chiedere al tribunale di autorizzare un finanziamento prededucibile dal socio. Cioè, il socio presta €50k, che se la società poi fallisce, il socio ha diritto di riprenderli prima degli altri (lo dice l’art. 10 CCII). Non è una bacchetta magica, ma allevia. Purtroppo, con rating e regole bancarie, convincere banche a rifinanziare in crisi è difficile, se non c’è un robusto piano attestato e garanzie (tipo Fondo PMI). In sintesi: non c’è un rimedio legale per farle tornare affidata come nulla fosse – la credibilità va ricostruita col risanamento completato. Nel frattempo, proteggere quel poco di affidamento rimasto con le misure che la legge offre (divieto recesso contratti in corso, etc.) è la difesa.

D. In un concordato preventivo, i creditori possono votare contro e bloccare tutto? E se il Fisco non è d’accordo?
R. Nel concordato “grande”, serve il sì della maggioranza di crediti ammessi al voto (esclusi privilegiati soddisfatti per intero). Se non si raggiunge, il concordato non passa. Però c’è una novità: se la maggioranza per classi è raggiunta ma un creditore pubblico (Erario o INPS) con la sua classe vota no, il tribunale può comunque omologare forzosamente il concordato se ritiene che a quel creditore pubblico è stato offerto almeno quanto avrebbe dalla liquidazione . Questo è il cram-down fiscale . Non c’è invece cram down verso creditori privati dissenzienti: se la maggioranza non si forma, il concordato salta. A meno di approfittare di strumenti come il “PRO” (piano omologato senza voto) o il concordato minore (dove non serve proprio il voto ma c’è valutazione giudice). Nelle PMI spesso le teste creditrici non sono tantissime: se uno o due grandi contrari, bloccano. La Direttiva UE prevedeva meccanismi di cramdown tra classi anche per i privati (se un piano è approvato da tot classi e giudice lo considera equo, può imporlo alle classi contrarie), e qualcosa c’è: per esempio, in caso di più classi, il giudice può omologare se almeno una classe di creditori interessati ha approvato e il piano è conveniente per le classi dissenzienti (art. 112 c.2 CCII). In pratica succede raramente, perché di solito i creditori chirografari sono un’unica classe. Se in quell’unica classe c’è 49% di contrari, non si può forzare (se non col PRO). Quindi, i creditori privati possono bloccare se sono maggioranza contraria. Ecco perché la proposta di concordato va calibrata per convincere i più: offrire magari un 30% invece che 10% se serve a ottenere il sì. Per il Fisco, come detto, dal 2024 fortunatamente non ha più potere di veto assoluto: se sta offrendo almeno il valore di liquidazione o le soglie minime di legge (30-40%) e l’Erario per principio dice no, il giudice può passarci sopra . Questo è stato un grandissimo cambiamento perché prima spesso i concordati naufragavano per il no dell’Erario anche in piani ottimi (lo Stato a volte preferiva far fallire per prendere nulla piuttosto che dire sì a 30%). Ora non più – come evidenziato da Cassazione e dal nuovo art. 112 CCII modif. dal DLgs 83/2022.

D. Se la mia società va in liquidazione giudiziale (fallimento), potrò avviare un’altra attività in futuro o sarò bandito?
R. Non c’è più infamia perpetua. Già con la legge fall. c’era la riabilitazione dopo un anno dall’esdebitazione. Col Codice della Crisi, il legislatore mira al fresh start: se lei è persona fisica fallita, trascorsi 3 anni ottiene l’esdebitazione di diritto , e con essa cessano le incapacità. In passato esistevano pene accessorie (interdizione da attività commerciali, perdita elettorato) durante il fallimento. Oggi queste limitazioni sono molto attenuate: durante la liquidazione giudiziale, il fallito non può ricoprire cariche direttive in altre società senza informare (c’è una recente norma che evita che i falliti seriali amministrino altre società all’insaputa dei soci, credo art. 390 CCII), ma dopo la chiusura e l’esdebitazione il fallito torna come nuovo. Anzi, può anche prima: se c’è esercizio provvisorio, potrebbe collaborare. Non c’è la “gogna” di una volta. Anche i dati dei fallimenti oggi sono soggetti a privacy: la visura camerale annota la liquidazione in corso, ma dopo la chiusura il nome del fallito (se persona fisica) viene cancellato dal registro protesti etc su istanza. Dunque, potrà senz’altro avviare nuova attività: magari le banche saranno prudenti se sanno del precedente (lo storico creditizio un po’ rimane), ma legalmente non ha impedimenti, salvo la dichiarazione d’insolvenza in un eventuale concordato preventivo la obbliga a segnalare la cosa se chiede nuovo credito > €30.000 (covenant introdotto da Codice). In altre parole, se lei fallisce nel 2025, nel 2028 esdebitato potrà essere di nuovo amministratore di società, titolare di impresa etc., come se nulla fosse, a condizione di aver cooperato onestamente (se invece commette reati, è un altro discorso). Lo scopo della legge moderna è proprio evitare che l’ex fallito resti ai margini: la cosiddetta “fresh start rule” . Esempio: ora pure in liquidazione giudiziale si può ottenere la cancellazione dei dati negativi dalle banche dati creditizie trascorsi un tot, per favorire la ripartenza.

D. Cosa succede ai contratti in corso (affitti, forniture) se attivo una procedura concorsuale? Posso continuare l’attività normalmente?
R. Dipende dalla procedura: – In composizione negoziata, nulla impedisce di proseguire i contratti; se ha misure protettive, deve però pagare regolarmente le forniture successive. L’esperto può consigliare di sospendere volontariamente alcune cose (ma non c’è un potere unilaterale di scioglimento). – In concordato preventivo in continuità, i contratti in corso proseguono regolarmente. I contraenti non possono risolverli per la sola ragione del concordato . L’azienda può chiedere al tribunale di sciogliere o sospendere alcuni contratti se giudica che siano onerosi e ostacolino il risanamento (art. 95 CCII, ex art. 169-bis l.f.): es. un affitto di ramo d’azienda troppo costoso, può chiederne lo scioglimento anticipato con indennizzo a carico del passivo concorsuale (il locatore avrà un credito di danno). Questa è una facoltà utile per liberarsi da vincoli contrattuali sfavorevoli. Se invece la continuità non c’è (concordato liquidatorio), di solito i contratti cessano: il commissario/liquidatore li chiude e liquida il rapporto (es. licenzia dipendenti, risolve forniture). – In fallimento/liquidazione giudiziale, la regola è lo scioglimento dei contratti pendenti, salvo il curatore decida di subentrare se utili per aumentare l’attivo (esercizio provvisorio). Quindi la continuità in fallimento è l’eccezione: se l’attività non è immediatamente cessata e c’è esercizio provvisorio, i contratti essenziali continuano con curatore. Altrimenti, tutti i rapporti vengono risolti alla data di fallimento (con indennità di legge per controparte come credito prededutto per le prestazioni post-fallimentari eventualmente eseguite su richiesta del curatore nei giorni di mezzo). I dipendenti vengono licenziati, salvo il curatore li riassuma per provvisorio. Fornitori vengono avvisati di interrompere forniture. – In accordo di ristrutturazione e procedure di sovraindebitamento (concordato minore etc.), non c’è uno scioglimento automatico by law, ma il debitore può pattuire con la controparte modifica o cessazione. Se serve, può chiedere in concordato minore analogamente lo scioglimento (la norma credo valga anche lì). Conclusione: se la sua è una procedura in continuità (concordato), può proseguire l’attività quasi normalmente, sotto controllo. I fornitori dovranno rispettare i contratti in essere (non possono ad es. interrompere un contratto di fornitura pluriennale solo perché lei è in concordato, pena risarcimento). Però potrebbero chiedere misure di garanzia per continuare, se il tribunale le autorizza (es. pagamento anticipato delle forniture future – e in effetti la legge consente di non pagare i debiti pregressi dei fornitori e obbliga questi a continuare a fornire, ma pagare regolarmente il nuovo). Questo la agevola: avrà come fosse un COD (cash on delivery) per le nuove consegne, e i vecchi arretrati vanno nel passivo. Quindi sì, può continuare, ma con la nuova disciplina di pagamento. Se invece la procedura è liquidatoria, l’attività in sostanza finisce e i contratti vengono chiusi. La scelta tra continuità e liquidazione in concordato la fa lei nel piano (tenendo conto dei vincoli: se liquidazione pura, serve quell’apporto 10% etc.).

D. Può il debitore “barare” (nascondere attivi, manipolare dati) in queste procedure per tener qualcosa per sé?
R. Domanda scottante: no, non legalmente. Deve dichiarare e far valutare tutto il patrimonio. Se occulta beni o falsifica informazioni, rischia grosso: il giudice può non ammetterlo o revocare la procedura (es. scoprendo un conto estero non dichiarato, addio omologa) e in più commette reato (ricordiamo il reato di falso in attestazioni, o bancarotta fraudolenta se poi fallisce). Il sistema si basa sulla trasparenza: per questo c’è l’attestatore, il commissario, l’OCC, tutti soggetti che scrutano conti e atti per stanare eventuali ammanchi. Esempio: se l’amministratore ha dirottato soldi su un familiare prima del concordato, il commissario può attivare azione per recuperarli e segnalare la cosa, portando a eventuale non omologazione.
Certo, in passato alcuni debitori disonesti usavano il concordato per “ripulirsi” tenendo nascosto qualcosina: la legge ha stretto le maglie, ad es. i creditori possono proporre opposizione all’omologa se sospettano frodi. Oggi poi con l’incrocio delle banche dati, nascondere un bene è difficile (il PTT – portale telematico – consente di interrogare Catasto, PRA, conti correnti, ecc.). Quindi consigliabile non barare. Un debitore onesto può cercare di salvare qualcosa in modo lecito, ad esempio rivendicando i beni impignorabili (es. gli strumenti indispensabili per la sua professione può escluderli dal piano – artigiano tiene attrezzi) o negoziando con i creditori classi differenti (magari vuole tenere un macchinario: può proporre concordato in continuità dove quel macchinario non si vende ma lo utilizza per generare flussi e pagare, convincendo i creditori che è meglio così). Oppure, se persona fisica, può sfruttare la regola per cui la casa di abitazione non ipotecata rimane fuori dal fallimento (in liquidazione controllata non gliela fanno vendere se proprio non conviene – di solito se non c’è ipoteca e c’è famiglia dentro la vendono solo se è molto di valore e creditori ne traggono vantaggio). La miglior difesa del debitore è la buona condotta: i giudici e i creditori premiano la lealtà. Esempio reale: un imprenditore ha offerto in concordato tutto l’attivo meno un’auto utilitaria perché ne aveva bisogno per lavorare – i creditori hanno chiuso un occhio su quell’auto se il resto del piano era buono. Se avesse cercato di occultarla, magari gliel’avrebbero fatta vendere. Quindi conviene chiedere esplicitamente eventuali esenzioni (la legge le consente in parte: nel piano di liquidazione si può proporre di escludere alcuni beni se irrilevanti per soddisfare i creditori, col loro consenso).

D. Quali sono i costi di queste soluzioni? Non rischio di aggiungere spese su spese?
R. Le procedure concorsuali e di sovraindebitamento hanno costi: compensi per professionisti (avvocati, attestatori, OCC, commissari, liquidatori) e spese di giustizia. Questi costi sono però prededucibili, ossia pagati prima di tutti gli altri creditori, spesso anche anticipatamente (ad esempio, per ammettere un concordato il tribunale chiede un fondo spese). Quindi occorre prevederli nel piano. Per una piccola procedura da poche decine di migliaia di euro di attivo, i costi potrebbero assorbirne una fetta consistente. Bisogna valutarne la convenienza: se uno ha €50k di debiti e si può accordare a voce con i due creditori, meglio farlo e non aprire procedure costose. Se uno ha €5 milioni di debiti, i costi concorsuali (che magari saranno €50-100k) sono relativamente pochi per ottenere l’abbattimento di milioni. Nel sovraindebitamento, la legge ha tariffe calmierate per OCC e compensi ridotti, proprio perché si tratta di masse piccole. Comunque, spesso il beneficio di riduzione debiti supera di molto i costi. Ad esempio: concordato, debiti €1 milione ridotti a pagamento di €300k, costi procedura €50k → comunque risparmia €650k, net di costi. E in più si salva l’azienda. Poi alcuni costi si recuperano: l’IVA sui compensi del commissario è detraibile per l’azienda, ecc. Ci sono agevolazioni fiscali: le sopravvenienze attive da riduzione debiti in concordato sono esentasse (non paga IRES su quel “guadagno” per legge). Quindi lo Stato cerca di non vanificare il risanamento con tasse o costi eccessivi. In termini di “difesa”, va calcolato nel piano di fattibilità: se i costi rendono il piano inattuabile (troppi professionisti da pagare e pochi soldi per creditori), la procedura magari non verrà ammessa. Su questo un OCC o un attestatore serio avviserà subito: “guarda che forse non ti conviene il concordato, meglio un accordo semplice”. Si consideri però che anche l’alternativa di restare passivo ha costi: pagare decreti ingiuntivi con interessi legali alti e spese legali di controparte, crollo reputazione, eventuali spese di esecuzione, e – se finisce in fallimento – anche lì ci sono costi di procedura decurtati dall’attivo ma senza vantaggi per il debitore, a parte l’esdebitazione finale. Almeno nel concordato il debitore ha un ruolo attivo e può pianificare. Quindi direi: sì, difendersi legalmente ha un costo, ma la non difesa può costare di più. È come curarsi: una terapia può essere costosa, ma non curarsi può essere fatale (e costare la vita dell’impresa).

D. Il concordato preventivo funziona davvero o finisco solo per prolungare l’agonia?
R. Il concordato preventivo funziona se c’è un’azienda viva da salvare o un progetto concreto (ad es. un acquirente per i beni). Se è usato solo per “tirare a campare” e rinviare il fallimento senza un piano serio, di solito fallisce (il tribunale non omologa, o si risolve poi). Oggi i tribunali sono attenti: richiedono piani con basi solide e attuabili (l’attestatore deve essere rigoroso, e c’è tutto un screening). Quindi, se viene ammesso e approvato, vuol dire che c’è una buona prospettiva: in quell’ottica, il concordato è spesso la miglior soluzione possibile (creditori prendono qualcosa subito invece di aspettare anni magari niente, l’azienda continua e genera reddito, i dipendenti mantengono il lavoro, ecc.). Studi mostrano che le percentuali medie di soddisfo in concordato sono più alte che in fallimento e i tempi più brevi. Certo, non è la panacea: circa metà dei concordati finisce in risoluzione o fallimento comunque, storicamente. Per questo la riforma spinge ad attivarli presto: prima agisci, più chance hai di risanare. Se aspetta troppo, l’agonia prolungata è già avvenuta prima del concordato, e a quel punto nulla potrà resuscitare un’azienda decotta. Quindi direi: il concordato non serve a allungare il brodo, serve a cristallizzare la situazione e dare un colpo di timone. Se il timone c’è (nuovi investimenti, ristrutturazione efficiente, mercato che regge), l’azienda risorge. Altrimenti, almeno liquidi in modo ordinato e chiudi la partita – con la consolazione che i debiti residui non la seguiranno. Ci sono tantissimi esempi di successo: aziende uscite dal concordato e tornate sul mercato (Alitalia – poi fallita anni dopo per altre ragioni – ma in passato Parmalat, o piccole aziende locali). Ovviamente, non tutti ce la fanno. Ma consideri che la liquidazione giudiziale è definitiva: lì sì che c’è agonia, perché vendere tutto richiede tempo e l’impresa muore il giorno 1. Il concordato di solito dà un periodo (6 mesi-1 anno) in cui l’azienda può ancora generare cassa e valore, e magari convincere un investitore a entrare. In sintesi: se fatto con serietà, il concordato può essere una via di salvezza o quantomeno una “soft landing”. Non è un barbatrucco per evitare di pagare e continuare come nulla fosse (ha costi, obblighi severi). Va intrapreso con mentalità risanatoria, non dilatoria. La normativa attuale scoraggia l’abuso dilatorio (ad es. prevede che se non depositi il piano entro tot giorni, la protezione salta). Quindi la difesa del debitore sta nell’usare lo strumento con convinzione per raddrizzare la rotta, non per prendere tempo sperando in miracoli. Se lo fa così, le probabilità di “curare” la crisi aumentano molto.

Conclusioni

Trovarsi nel ruolo di debitore – sia come individuo indebitato sia come imprenditore alla guida di un’azienda sommersa dai debiti – è una situazione difficile, ma non senza vie d’uscita. Abbiamo visto che l’ordinamento italiano, soprattutto con le riforme più recenti, mette a disposizione una cassetta degli attrezzi completa per affrontare la crisi in modo ordinato e, quando possibile, ripartire. Il punto di vista del debitore è passato, negli ultimi anni, da una posizione di mera soggezione (subire passivamente le azioni dei creditori fino magari al fallimento punitivo) a una posizione più propositiva: oggi il debitore in buona fede ha la possibilità di prendere l’iniziativa – attivare procedure di allerta, negoziare, proporre piani di ristrutturazione o concordati – per risolvere o attenuare il problema debitorio prima che degeneri irreversibilmente. In questo senso, la difesa del debitore non è più intesa come stratagemma per sfuggire alle responsabilità, ma come insieme di tutele legali equilibrate volte a comporre la crisi nell’interesse di tutte le parti coinvolte.

Dal nostro approfondimento emergono alcune linee guida finali utili a imprenditori, privati e professionisti che si trovino ad affrontare debiti aziendali (ad esempio, nella nostra cornice iniziale, un’azienda di tubi e raccordi per aria compressa fortemente indebitata):

  • Agire tempestivamente e con trasparenza: La miglior difesa è l’azione precoce. Attendere l’ultimo minuto sperando nell’impossibile spesso porta solo a aggravare la situazione (più interessi, più azioni esecutive, meno fiducia). Come previsto dall’art. 2086 c.c., l’imprenditore deve dotarsi di strumenti di rilevazione della crisi e intervenire subito . Ammettere di avere un problema non è facile, ma è il primo passo per risolverlo. Le procedure di composizione negoziata sono state create apposta: utilizzarle quando si manifestano i primi segnali può fare la differenza tra un risanamento e un fallimento. Allo stesso modo, non cercare di nascondere la polvere sotto il tappeto: cooperare con consulenti e, se si arriva in tribunale, con gli organi nominati, è fondamentale. Un debitore collaborativo e sincero è spesso premiato dal sistema (omologhe concesse, sentenze a suo favore, ecc.), mentre l’occultamento e l’ostruzionismo portano a sanzioni severe.
  • Distinguere tra debiti e focalizzare le priorità: Non tutti i debiti sono uguali. Alcuni (es. stipendi dipendenti, debiti con fornitori strategici) vanno gestiti con assoluta priorità perché impattano direttamente sulla continuità aziendale e su obblighi etici/legali (si pensi agli stipendi non pagati: l’art. 2 CCII identifica proprio ritardi stipendi >30 giorni come indice di crisi ). Altri debiti (es. quelli bancari garantiti da ipoteche) possono essere rinegoziati con maggiore calma, forte della posizione del creditore. Mappare il rischio (chi può aggredire subito beni cruciali? Chi può presentare istanza di fallimento?) e il peso strategico (quali creditori devo assolutamente mantenere fedeli per proseguire l’attività?) consente di elaborare un piano di difesa razionale. Le tabelle e le sezioni di questa guida offrono criteri in tal senso. Spesso, una difesa efficace consiste nel trovare un equilibrio temporaneo (moratoria) con i creditori meno critici per potersi concentrare su quelli vitali.
  • Sfruttare a pieno gli strumenti concorsuali e le opportunità normative: Come visto, esistono molte procedure formalizzate – dal concordato al piano attestato, dal concordato minore alla liquidazione controllata – ciascuna con i propri pro e contro. Un debitore ben assistito dovrebbe scegliere lo strumento giusto al momento giusto e non esitare a usarlo. Ad esempio, oggi non c’è più ignominia nel chiedere un concordato preventivo: anzi, il legislatore lo incoraggia come alternativa al fallimento e la giurisprudenza lo supporta (si veda l’apertura delle pronunce sul cram-down fiscale ). Allo stesso modo, approfittare delle definizioni agevolate fiscali quando disponibili (rottamazioni, ecc.) può alleggerire notevolmente il peso debitorio senza pregiudicare eventuali successivi piani (anzi, come rilevato, l’importo scontato va a favore anche dei creditori, perché riduce il privilegio fiscale e libera risorse per i chirografari). La normativa, ad ottobre 2025, offre finestra di rottamazione-quater in corso: chi l’ha persa dovrebbe monitorare possibili riaperture legislative (si vocifera di una “quinquies” nel 2026) . In sostanza, essere aggiornati sulle opportunità di legge (condoni, rate straordinarie post-Covid, ecc.) fa parte della strategia difensiva: talvolta permettono di risolvere situazioni specifiche senza neanche dover entrare in concorso (es. definendo un contenzioso tributario con sconto 50%, ci si toglie un macigno e magari si evita il default).
  • Considerare le implicazioni sul patrimonio personale e sui garanti: Il debitore-azienda spesso coinvolge il debitore-persona (si pensi all’imprenditore che ha dato ipoteca sulla casa per un prestito aziendale, o al socio che ha firmato una fideiussione). Una difesa completa deve guardare oltre la società e proteggere, nei limiti del possibile, anche i beni personali. Ciò può voler dire: includere nel piano concorsuale clausole a tutela dei garanti (ad es., una percentuale maggiore ai creditori bancari a patto di esonerare i fideiussori per il residuo), oppure agire di rimessa – come nel caso di Marco – contestando legalmente le garanzie troppo gravose . Se l’azienda è destinata a fallire, il rappresentante può valutare una procedura personale di esdebitazione per non restare indefinitamente esposto. Qui emerge l’importanza di un’assistenza professionale integrata (legale societario + legale persona fisica): spesso si ragiona su un doppio binario, salvare il salvabile dell’impresa ma anche mettere in sicurezza la famiglia dell’imprenditore. La legge offre margini (impignorabilità prima casa entro certi limiti, esdebitazione totale del sovraindebitato meritevole, ecc.) e i tribunali hanno mostrato sensibilità nel non calcare la mano su chi non ha agito con dolo.
  • Imparare dalla crisi per prevenire in futuro: La “difesa” migliore è quella che rende la crisi un evento gestibile e magari non ripetibile. Una volta attraversata la burrasca (che sia con un concordato andato a buon fine, o con un fallimento chiuso con esdebitazione), il debitore dispone di molta più esperienza. È essenziale quindi implementare migliori pratiche per il futuro: tenere contabilità trasparente (onde evitare sanzioni), adottare politiche prudenti di indebitamento (per non ricadere in spirali pericolose), diversificare i fornitori e i clienti (per ridurre rischio di insolvenze a catena), e costituire quei “adeguati assetti” di cui tanto si parla – in parole povere, un sistema di controllo di gestione e allerta interna che non faccia più sfuggire la situazione di mano. Come dice un adagio giuridico, “rebus sic stantibus”: difendersi è bene, ma evitare di doversi difendere è meglio. E la riforma sulla crisi spinge proprio su questo: dalla composizione negoziata agli obblighi organizzativi, tutto mira a ridurre la necessità di arrivare a soluzioni estreme.

Concludendo, un’azienda di tubi e raccordi per aria compressa con debiti – per tornare al titolo proposto – può sicuramente “difendersi e come”: può mappare i propri debiti (bancari, fiscali, fornitori, contributivi) , identificare gli strumenti adatti (dalla transazione fiscale al piano di ristrutturazione attestato al concordato preventivo), coinvolgere le figure necessarie (avvocati, OCC, attestatori), e impostare una strategia che tenga conto sia delle norme (fonti normative e sentenze aggiornate che orientano le scelte) sia degli aspetti umani (relazioni con creditori, reputazione, tutela delle persone coinvolte). La normativa italiana aggiornata a ottobre 2025 offre un quadro avanzato, allineato alle migliori prassi europee, bilanciando l’esigenza di salvaguardare il tessuto imprenditoriale con quella di assicurare che chi presta denaro o fornisce beni non veda frustrati i propri diritti senza giusta causa. È un equilibrio delicato, ma gli esempi e i casi esaminati mostrano che, con competenza e buona fede, difendersi dai debiti si può, e talvolta da una crisi ben gestita può nascere un’impresa rinnovata e più robusta di prima. Come un impianto ad aria compressa ben raccordato, occorre collegare le giuste valvole legali alla pressione debitoria per evitarne l’esplosione e incanalarne la forza verso un nuovo ciclo di sviluppo.

Fonti e riferimenti

  • Codice Civile – Artt. 1176, 1218 (diligenza e responsabilità contrattuale); art. 2086 c.c. (obbligo di adeguati assetti organizzativi, introdotto da D.Lgs. 14/2019) ; artt. 2392-2394 c.c. (responsabilità amministratori verso società e creditori); art. 2476 c.c. (azione di responsabilità nelle s.r.l.); art. 2497 c.c. (direzione e coordinamento); art. 2462 c.c. (autonomia patrimoniale nelle s.r.l.); art. 2495 c.c. (cancellazione società e responsabilità post-liquidazione).
  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) – D.Lgs. 12 gennaio 2019 n.14, in vigore dal 15/7/2022, come mod. da D.Lgs. 17 giugno 2022 n.83 e D.Lgs. 13 ottobre 2023 n.136. Principali articoli citati: Art. 2 (definizioni di crisi, insolvenza, impresa minore – soglie attivo €300k, ricavi €200k, debiti €500k) ; Art. 3 (obbligo assetti e dovere gestori) ; Art. 7 (priorità strumenti di regolazione rispetto liquidazione) ; Artt. 12-25 quinquies (Composizione Negoziata della crisi: procedura, esperto, misure protettive) ; Art. 18 (divieto sospensione contratti per insoluti pregressi durante concordato preventivo) ; Art. 23 co.2-bis (transazione fiscale possibile anche in composizione negoziata) ; Art. 25-sexies (Concordato semplificato liquidatorio post-composizione negoziata); Art. 44 e 45 (domanda di concordato “in bianco” con riserva) ; Art. 48 (omologazione concordato preventivo) ; Art. 56 (Piano attestato di risanamento) ; Art. 57-64 (Accordi di ristrutturazione dei debiti ordinari, agevolati 30%, ad efficacia estesa – transazione fiscale art.63) ; Art. 64-bis (Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione “PRO”) ; Art. 80 (omologazione concordato minore anche con cram-down su creditori dissenzienti) ; Art. 84-88 (Concordato preventivo requisiti – continuità vs liquidatorio 20% min – trattamento crediti tributari e contributivi art.88) ; Art. 109-112 (voto e omologazione concordato preventivo: art. 112 modificato da D.Lgs. 83/2022 per cram-down PA) ; Art. 121 e 49 (esclusione liquidazione giudiziale per impresa minore) ; Art. 268-277 (Liquidazione controllata sovraindebitamento) ; Art. 278 (Esdebitazione automatica persona fallita dopo 3 anni) ; Art. 282-283 (Esdebitazione sovraindebitato e incapiente) ; Art. 330 CCII (bancarotta semplice impropria per violazione obblighi gestori, es. mancati assetti) .
  • Leggi speciali tributarie e fallimentari: DPR 29/9/1973 n.602 art. 36 (responsabilità liquidatori, amministratori e soci per tributi in caso di liquidazione societaria) ; D.Lgs. 74/2000 artt. 10-bis e 10-ter (reati omesso versamento ritenute e IVA); L. 3/2012 (vecchia legge sovraindebitamento, ora abrogata dal CCII); L. 197/2022 (Bilancio 2023: Definizione agevolata “rottamazione-quater”) ; DL 34/2019 conv. L.58/2019 (Saldo e stralcio 2019 per persone fisiche); DL 118/2021 conv. L.147/2021 (introduzione composizione negoziata e concordato semplificato); DL 69/2013 conv. L.98/2013 art.52 (divieto pignoramento prima casa da parte AE Riscossione per debiti < €120k); Codice Penale art. 216 ss. (bancarotta fraudolenta e semplice).
  • Sentenze giurisprudenziali di merito e legittimità (aggiornate):
  • Responsabilità amministratori e debiti: Cass. Civ. Sez. I, 27/08/2025 n. 23963 – Pagamenti preferenziali e atti in conflitto d’interessi: amministratore responsabile verso società anche se insolvenza non ancora accertata ; principio ribadito che doveri di diligenza/lealtà violati comportano risarcimento danni a patrimonio sociale e creditori. Cass. Civ. Sez. I, 21/10/2022 n. 30031 – Business Judgment Rule: amministratore non esente se scelte irragionevoli o in conflitto, ma non risponde per mere scelte gestionali ex ante sensate . Trib. Roma, 15/09/2020 – Mancati assetti = mala gestio (ma se misure predisposte ex ante adeguate, no responsabilità) . Trib. Milano, 29/02/2024 (decr.) – Mancata adozione assetti = grave irregolarità, causa di revoca amministratori . Cass. Civ. Sez. I, 18/05/2021 n. 13644 – conferma condanna amministratori per tardiva richiesta fallimento che aggravò dissesto (cit. in dottrina).
  • Responsabilità ex amministratore per debiti fiscali: Cass. Civ. Sez. V, 02/04/2025 n. 8686 – Esclusa responsabilità diretta ex amministratore per IVA non versata di S.r.l.: autonomia patrimoniale perfetta, art.36 DPR 602/73 non crea coobbligazione generale . Precisa che art.36 ha natura civilistica, eccezionale e non estensibile , e che nel caso di specie l’ex amministratore (Marco nel esempio) non era legittimato passivo per i debiti tributari società .
  • Cram down fiscale e omologazione concordato: Cass. Civ. Sez. I, 28/10/2024 n. 27782 – Concordato preventivo, l’art.180 l.fall/112 CCII consente omologazione anche se Fisco/INPS votano contro, se offerta è almeno pari a scenario liquidatorio . Afferma che si supera così il “veto” erariale in coerenza con nuovo Codice Crisi e Direttiva UE . Cita come conforme il DLgs 136/2024 che ha allineato norme concordato a quelle accordi . (Vedi anche Cass. SU 25/03/2021 n.8504 citata su interesse concorsuale vs fiscale ).
  • Transazione fiscale e percentuali di falcidia: Cass. Civ. Sez. I, 18/10/2024 n.34377 – accordo ristrutturazione con transazione fiscale: conferma necessità attestar convenienza e rispetto soglie introdotte da DL 69/2023. – Tribunale di Roma, 14/03/2023 – prima applicazione art.63 CCII: omologata transazione fiscale nonostante voto contrario AE, applicando parametri 30-40% (fonte dottrina).
  • Sovraindebitamento e concordato minore: Corte Appello Napoli, 15/06/2023 n.17103 – conferma omologazione concordato minore con cram down su creditori dissenzienti ex art.80 CCII.
  • Giurisprudenza su fideiussioni: Cass. Civ. Sez. I, 12/12/2017 n.29810 – nullità parziale fideiussioni ABI standard per violazione antitrust (richiamata nella FAQ) . ABF Milano, decisione n.6168/2019 – applicazione orientamento ABI a caso concreto (non pubblico).
  • Fonti istituzionali e dottrina specialistica:
  • Relazione Illustrativa al CCII – (Ministero Giustizia, 2019) per contesto finalità norme (favor continuativo vs liquidatorio) .
  • Ministero dello Sviluppo Economico – Guide e circolari: es. Circolare MISE 15/07/2022 su composizione negoziata (implementazione pratica); Linee Guida Commissione OCRI 2021 su adeguati assetti (citata in dottrina).
  • Agenzia Entrate – Circolare n.34/E del 29/12/2020 – gestione proposte transazione fiscale (rilevante per criteri convenienza) .
  • Massimario Corte di Cassazione 2023 – (sez. fallimentare) con commenti su novità CCII (accenni su art.7 CCII e nuovo art.180 l.fall).
  • Documenti vari: Relazione Corte di Cassazione su attuazione direttiva Insolvency n.1083/2019 (Massimario Cass. 2020 citato in search ) ; relazione illustrativa D.Lgs.83/2022 (per soglie concordato agevolato etc.).

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La tua azienda che produce, assembla o distribuisce tubi per aria compressa, raccordi pneumatici, tubazioni modulari, giunti rapidi, manichette, valvole, attrezzature per reti d’aria, filtri e accessori sta affrontando una situazione critica di debiti?
Hai esposizioni verso Agenzia delle Entrate, INPS, banche, fornitori o Agenzia Entrate-Riscossione?
Stai ricevendo solleciti, richieste di rientro, blocchi delle forniture, decreti ingiuntivi o minacce di pignoramento?

Il settore dell’aria compressa richiede materie prime costose, componenti specializzati, continui approvvigionamenti, magazzino sempre pieno e forniture rapide.
Un calo di liquidità o ritardi nei pagamenti dei clienti industriali può trasformarsi in una crisi molto seria.

La buona notizia?
La tua azienda può essere protetta, salvata e rilanciata, se intervieni subito e con metodo.


Perché un’Azienda di Tubi e Raccordi per Aria Compressa Finisce in Debito

Le cause più frequenti includono:

• aumento del costo di tubi in poliuretano, PA, PE, alluminio, acciaio zincato
• rincari dei raccordi, valvole e componenti pneumatici importati
• magazzino immobilizzato tra tubi, raccordi, valvole, filtri e semilavorati
• ritardi nei pagamenti da parte di industrie, manutentori e impiantisti
• lavori e installazioni da anticipare prima dell’incasso
• costi energetici e logistici in crescita
• riduzione delle linee di credito bancarie
• commesse con lunghi tempi di consegna e incasso

La vera causa del debito è quasi sempre la mancanza di liquidità, non la mancanza di lavoro.


I Rischi per un’Azienda di Aria Compressa con Debiti

Se non intervieni subito rischi:

• pignoramento dei conti correnti
• blocco degli affidamenti bancari
• sospensione delle forniture di tubi, raccordi e valvole
• decreti ingiuntivi, precetti e azioni esecutive
• sequestro del magazzino e dei materiali
• impossibilità di completare commesse o installazioni
• ritardi nelle consegne e perdita di clienti strategici
• rischio concreto di fermo totale dell’attività

Un debito non gestito può paralizzare l’azienda in pochi giorni.


Cosa Fare Subito per Difendersi

1) Bloccare immediatamente i creditori

Un avvocato specializzato può intervenire per:
• sospendere pignoramenti già avviati
• bloccare richieste di rientro delle banche
• evitare che i fornitori interrompano le consegne
• proteggere i conti correnti aziendali
Prima si mette in sicurezza l’azienda, poi si ristruttura.

2) Analizzare i debiti ed eliminare ciò che è illegittimo

Spesso emergono:
• interessi non dovuti
• more e sanzioni calcolate in modo errato
• importi duplicati
• debiti prescritti
• errori nei conteggi della Riscossione
• commissioni bancarie abusive
Molti debiti possono essere ridotti o eliminati.

3) Ristrutturare i debiti con piani sostenibili

Le soluzioni efficace includono:
• rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
• accordi di pagamento con fornitori strategici
• rinegoziazione delle linee di credito bancarie
• sospensione temporanea dei pagamenti
• utilizzo delle definizioni agevolate (se disponibili)
Obiettivo: recuperare liquidità senza fermare vendite e installazioni.

4) Utilizzare strumenti legali che proteggono l’azienda

Per situazioni debitorie importanti si possono attivare strumenti molto efficaci:
• PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
• accordi di ristrutturazione con i creditori
• concordato minore
• liquidazione controllata (solo ultima alternativa)
Questi strumenti permettono di:
• bloccare tutti i creditori
• sospendere ogni pignoramento
• pagare solo una parte dei debiti
• mantenere operativa l’azienda
• proteggere l’imprenditore a livello personale
Sono procedure sicure e approvate dal Tribunale.

5) Proteggere produzione, magazzino e forniture

Nel tuo settore è fondamentale:
• tutelare tubi, raccordi, valvole, filtri e componenti critici
• evitare sequestri che bloccherebbero l’intera catena produttiva
• mantenere attivi i fornitori più importanti
• garantire la continuità delle consegne
• proteggere attrezzature, compressori, strumenti e mezzi operativi
La produzione e le forniture devono continuare per permettere la ripresa.


Documenti da Consegnare Subito all’Avvocato

• Elenco completo dei debiti
• Estratti conto bancari
• Estratto di ruolo (se presente)
• Bilanci e documentazione fiscale
• Lista fornitori strategici e insoluti
• Inventario del magazzino (tubi, raccordi, valvole, componenti)
• Atti giudiziari ricevuti
• Ordini aperti e pianificazione delle consegne


Tempistiche di Intervento

• Analisi iniziale: 24–72 ore
• Blocco dei creditori: 48 ore – 7 giorni
• Piano di ristrutturazione: 30–90 giorni
• Procedura giudiziaria (se necessaria): 3–12 mesi

Le protezioni possono iniziare dai primi giorni.


Vantaggi di una Difesa Specializzata

• Stop immediato a pignoramenti e pressioni
• Riduzione reale del debito
• Protezione del magazzino e delle attrezzature
• Trattative efficaci con fornitori e banche
• Continuità produttiva e commerciale
• Salvaguardia del patrimonio dell’imprenditore


Errori da Evitare

• Ignorare solleciti e atti giudiziari
• Fare nuovi debiti per coprire debiti vecchi
• Pagare un creditore e trascurarne altri
• Lasciare avanzare decreti e pignoramenti
• Affidarsi a società non qualificate o “miracolose”

Ogni errore peggiora la crisi e accelera il blocco dell’attività.


Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

• Analisi completa della situazione debitoria
• Blocco immediato dei creditori
• Piani di ristrutturazione sostenibili
• Attivazione degli strumenti giudiziari di protezione
• Trattative dirette con banche, fornitori e Riscossione
• Tutela totale di azienda e imprenditore


Conclusione

Avere debiti nella tua azienda di tubi e raccordi per aria compressa non significa che devi chiudere.
Con una strategia tempestiva puoi:

• bloccare i creditori
• ridurre drasticamente i debiti
• proteggere magazzino e produzione
• mantenere la continuità aziendale
• salvare il tuo futuro imprenditoriale

Il momento giusto per agire è adesso.

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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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