Azienda Di Essiccatori Di Aria Compressa Con Debiti: Cosa Fare Per Difendersi E Come

Se gestisci un’azienda che produce, vende, noleggia o ripara essiccatori d’aria compressa, essiccatori a ciclo frigorifero, essiccatori ad adsorbimento, separatori acqua/olio, filtri per aria e sistemi di trattamento, e oggi ti trovi con debiti fiscali, debiti verso Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, la situazione può diventare molto pericolosa per la continuità operativa.

Il settore dell’aria compressa richiede componenti costosi, ricambi tecnici, interventi rapidi, assistenze programmate e continuità nelle forniture. Un blocco dovuto ai debiti può fermare manutenzioni, interrompere commesse e far perdere clienti fondamentali del mondo industriale.

La buona notizia è che, se agisci subito, puoi bloccare le procedure, ridurre i debiti e salvare la tua azienda.

Perché le aziende di essiccatori d’aria compressa accumulano debiti

Le cause più comuni includono:

  • costi elevati di scambiatori, valvole, filtri, refrigeranti e componenti tecnici
  • aumento dei prezzi della componentistica importata
  • pagamenti lenti da parte di industrie, manutentori e integratori
  • ritardi nei versamenti IVA, imposte e contributi INPS
  • magazzini complessi con ricambi costosi e delicati
  • difficoltà nell’ottenere linee di credito sufficienti
  • investimenti richiesti per strumenti di diagnosi, test e attrezzature
  • fornitori strategici che richiedono pagamenti immediati

Questi fattori possono portare a crisi di liquidità e indebitamento crescente.

Cosa fare subito se la tua azienda è indebitata

Agire in fretta è fondamentale per evitare blocchi e pignoramenti. Ecco cosa fare subito:

  • far analizzare la posizione debitoria da un avvocato esperto in debiti aziendali
  • controllare quali debiti sono corretti, contestabili o prescritti
  • evitare accordi improvvisati o piani di rientro impossibili da sostenere
  • richiedere la sospensione di eventuali procedure esecutive
  • ottenere rateizzazioni realmente gestibili con AE e INPS
  • proteggere fornitori critici e componenti indispensabili
  • evitare il blocco del conto corrente o la riduzione dei fidi bancari
  • valutare strumenti legali che permettono di ridurre o rinegoziare i debiti

Una diagnosi professionale chiarisce quali debiti puoi ridurre, sospendere o contestare.

I rischi concreti per un’azienda indebitata

Ignorare il problema significa esporsi a rischi molto seri:

  • pignoramento del conto corrente aziendale
  • fermo di attrezzature, mezzi e apparecchiature di assistenza
  • blocco delle forniture di filtri, valvole e ricambi essenziali
  • impossibilità di completare manutenzioni o consegne
  • perdita di clienti industriali strategici
  • crisi di liquidità e mancato pagamento dei dipendenti
  • danni alla reputazione tecnica dell’azienda
  • rischio concreto di chiusura dell’attività

Nel settore dell’aria compressa anche un breve ritardo può mettere in stop intere linee produttive dei clienti.

Come un avvocato può aiutarti concretamente

Un avvocato specializzato può:

  • bloccare immediatamente pignoramenti e altre misure esecutive
  • ridurre l’importo totale dei debiti tramite trattative mirate
  • ottenere rateizzazioni sostenibili con AE e INPS
  • annullare debiti irregolari, prescritti o notificati in modo errato
  • trattare con fornitori e banche per evitare sospensioni
  • proteggere magazzino, attrezzature e continuità operativa
  • stabilizzare l’azienda mentre si ristrutturano i debiti
  • evitare che la crisi sfoci in insolvenza o chiusura

Una strategia professionale può salvare davvero la tua impresa.

Come evitare il blocco dell’attività

Per mantenere attiva l’azienda e non perdere clienti importanti devi:

  • intervenire subito
  • evitare trattative senza una strategia precisa
  • salvaguardare fornitori essenziali e ricambi critici
  • ristrutturare i debiti prima dell’arrivo di pignoramenti
  • individuare debiti contestabili o calcolati male
  • preservare la liquidità per garantire assistenze e consegne

Così puoi evitare ritardi, penali e perdita di contratti strategici.

Quando rivolgersi a un avvocato

È il momento di farlo se:

  • hai ricevuto solleciti, intimazioni o avvisi di pignoramento
  • i debiti con AE Riscossione, INPS o fornitori stanno aumentando
  • rischi il blocco del conto corrente aziendale
  • la liquidità si sta riducendo rapidamente
  • hai difficoltà a gestire scadenze e pagamenti
  • vuoi impedire che la crisi porti alla chiusura

Un avvocato esperto può bloccare le procedure, ridurre i debiti e mettere in sicurezza l’attività.

Attenzione: molte aziende non falliscono per i debiti, ma per aver aspettato troppo. Con una strategia mirata puoi ridurre, rinegoziare o eliminare una parte dei debiti, salvando davvero la tua impresa.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in debiti aziendali e difesa di imprese industriali – ti aiuta a proteggere la tua azienda di essiccatori d’aria compressa.

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Introduzione

Una azienda produttrice di essiccatori per aria compressa che si trova schiacciata dai debiti affronta una situazione complessa e potenzialmente rischiosa. In Italia, l’ordinamento giuridico offre diversi strumenti, sia negoziali sia giudiziali, per aiutare l’imprenditore debitore a gestire la crisi, tutelare il patrimonio aziendale e, quando possibile, risanare l’attività. Questa guida – aggiornata a ottobre 2025 alla luce del nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza e delle più recenti sentenze – fornisce un approfondimento avanzato sulle strategie di difesa a disposizione di una società debitrice (in particolare una S.r.l.), con un taglio adatto sia a professionisti legali sia a imprenditori e privati cittadini coinvolti. Useremo un linguaggio giuridico ma divulgativo, includendo tabelle riepilogative, sezioni domande & risposte (Q&A), oltre a riferimenti normativi e giurisprudenziali aggiornati per orientare il lettore attraverso le norme italiane vigenti. Il punto di vista adottato è quello del debitore: analizzeremo cosa può fare un’azienda indebitata per difendersi dalle azioni dei creditori, come prevenire o gestire procedure concorsuali e quali responsabilità (anche penali) gravano sugli amministratori.

La crisi d’impresa: contesto normativo e definizioni

In Italia la condizione di un’impresa indebitata è inquadrata all’interno della disciplina organica introdotta dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, come modificato e integrato da vari decreti correttivi fino al 2024 ). Prima di affrontare le soluzioni, è utile chiarire alcuni concetti di base:

  • Crisi vs Insolvenza: il Codice distingue lo stato di crisi dallo stato di insolvenza. La crisi indica il deterioramento dell’equilibrio economico-finanziario dell’impresa, tale da rendere probabile l’insolvenza futura (ad es. difficoltà a far fronte regolarmente alle obbligazioni nei mesi a venire). L’insolvenza, invece, è lo stadio conclamato in cui l’azienda non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni correnti (p.es. insolvenza “attuale”, tipicamente accertata dal giudice in caso di fallimento o, come si dice ora, liquidazione giudiziale). In altri termini, la crisi è una situazione di squilibrio reversibile (se affrontata per tempo), mentre l’insolvenza è uno stato di dissesto conclamato .
  • Codice della Crisi e riforme recenti: Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) è entrato in vigore definitivamente nel luglio 2022 , abrogando la vecchia Legge Fallimentare del 1942. Successivamente è stato oggetto di tre interventi correttivi, l’ultimo dei quali – il D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (c.d. “Correttivo-ter”) – ha introdotto modifiche significative per rafforzare l’efficacia e l’efficienza delle procedure di gestione della crisi . In particolare, le novità del 2024 hanno riguardato strumenti come la composizione negoziata, gli obblighi di segnalazione precoce dei creditori pubblici qualificati, gli accordi di ristrutturazione, i piani di ristrutturazione soggetti a omologazione e vari aspetti del concordato preventivo . Queste riforme mirano a incentivare le imprese ad affrontare tempestivamente le difficoltà finanziarie, evitando che la situazione degeneri in insolvenza irreversibile.
  • Allerta e segnalazioni precoci: Un pilastro della nuova normativa è la prevenzione. L’art. 2086 c.c., modificato nel 2019, impone all’imprenditore che opera in forma societaria o collettiva di dotarsi di “assetti organizzativi adeguati” e strumenti per rilevare tempestivamente gli indizi di crisi e tutelare la continuità aziendale. Inoltre, dal 2023 sono operative le segnalazioni obbligatorie da parte di alcuni creditori pubblici (Agenzia Entrate, INPS, INAIL) quando i debiti scaduti dell’impresa superano soglie rilevanti (ad esempio, l’INPS segnala contribuzioni omesse oltre certi importi; l’Agenzia delle Entrate invia un avviso se l’IVA trimestrale non versata eccede €5.000 ed è superiore al 10% del volume d’affari ). Queste segnalazioni hanno lo scopo di mettere gli amministratori di fronte alla necessità di intervenire subito: ignorarle può aggravare la responsabilità degli amministratori stessi in caso di successivo dissesto. D’altro canto, la ricezione di tali allerte offre all’impresa l’opportunità di attivare strumenti di composizione della crisi (come si vedrà) prima che i creditori ricorrano a misure esecutive o istanze di fallimento.

In sintesi, il contesto normativo attuale incoraggia l’imprenditore a giocare d’anticipo sui problemi finanziari, utilizzando le procedure di regolazione della crisi messe a disposizione dal legislatore. Nel prosieguo, analizzeremo dapprima i tipi di debiti e i rischi che i creditori possono far valere, poi gli obblighi legali e le responsabilità che gravano sul debitore e sui gestori della società indebitata, e infine passeremo in rassegna gli strumenti pratici per affrontare la situazione (dalle soluzioni negoziali come piani di rientro o la composizione negoziata, fino alle procedure concorsuali come concordati o liquidazioni), senza trascurare gli eventuali profili penali connessi alla cattiva gestione della crisi.

Tipologie di debiti aziendali e relativi rischi per il debitore

Una azienda manifatturiera come quella del nostro esempio (produzione di essiccatori per aria compressa) può accumulare debiti di diversa natura: verso fornitori, verso banche, verso i dipendenti, verso il fisco e gli enti previdenziali, ecc. Ciascuna categoria di debito presenta caratteristiche giuridiche specifiche (ad esempio privilegi o garanzie) e può condurre a diverse azioni da parte dei creditori. È fondamentale che l’imprenditore comprenda quali rischi comporta ogni tipo di debito, per potersi difendere in modo adeguato.

Debiti verso fornitori e altri creditori chirografari

I debiti commerciali verso fornitori (es. per materie prime, componenti, servizi) costituiscono in genere crediti chirografari, cioè non assistiti da garanzie reali o privilegiate (salvo casi particolari come clausole di riserva della proprietà su beni forniti, che però attengono a singoli beni). I fornitori insoddisfatti hanno vari strumenti per tutelarsi:

  • Ingiunzione di pagamento e pignoramenti: Il fornitore può richiedere un decreto ingiuntivo al tribunale per ottenere rapidamente un titolo esecutivo. Se l’azienda non paga, il creditore munito di titolo può procedere a pignoramenti dei beni aziendali (macchinari, merci in magazzino, conti correnti) al fine di soddisfarsi coattivamente. Ad esempio, potrebbero essere pignorati i macchinari di produzione degli essiccatori o i veicoli aziendali, con grave impatto sull’operatività.
  • Azioni legali ordinarie: In caso di contestazioni sul credito, il fornitore può agire in giudizio per ottenerne il riconoscimento. Ciò comporta costi e tempi, ma se il credito è certo e l’insolvenza palese, le imprese fornitrici di solito optano per vie più rapide (ingiunzione non contestata o trattative).
  • Istanza di fallimento (liquidazione giudiziale): Un creditore insoddisfatto può chiedere al tribunale la liquidazione giudiziale (la procedura che ha sostituito il fallimento) dell’azienda debitrice. La legge richiede che il credito sia certo, scaduto ed esigibile e che l’insolvenza del debitore sia comprovata. Anche un singolo fornitore con un credito significativo e non pagato può avviare questa iniziativa. Per una S.r.l. che superi le soglie di “impresa minore” (vedi oltre), l’istanza di fallimento da parte di un creditore è uno dei pericoli maggiori: se accolta, l’impresa perde la disponibilità dei beni e l’attività finisce in mano a un curatore nominato dal tribunale.
  • Sospensione delle forniture e revoca di fidi: Un fornitore chiave potrebbe sospendere ulteriori consegne all’azienda debitrice (in assenza di pagamento anticipato), mettendo a rischio la continuità produttiva. Analogamente, se l’azienda gode di dilazioni di pagamento o fido commerciale, tali agevolazioni verranno revocate. Il danno qui è indiretto ma rilevante: la difficoltà di approvvigionarsi di materiali e servizi può bloccare la produzione e aggravare la crisi.

Come difendersi: Dal punto di vista del debitore, è essenziale mantenere il dialogo con i fornitori. Spesso, un accordo di rientro dilazionato (magari assistito da garanzie aggiuntive o dal riconoscimento del debito in forma di atto di transazione) può evitare l’azione legale immediata. Qualora un fornitore abbia già ottenuto un decreto ingiuntivo, l’azienda può valutare di opporlo (se vi sono contestazioni sul credito) per guadagnare tempo, oppure tentare una composizione stragiudiziale (ad esempio, offrendo un pagamento parziale immediato e il resto a scadenze concordate). Se la situazione di liquidità è gravemente compromessa, può essere opportuno considerare strumenti concorsuali che congelino momentaneamente le azioni esecutive (come la richiesta di misure protettive nell’ambito di una composizione negoziata o il deposito di una domanda di concordato preventivo “in bianco”, di cui diremo più avanti).

N.B.: I creditori chirografari, in caso di procedura concorsuale, sono quelli che rischiano di più perché saranno soddisfatti pro quota e solo dopo i creditori privilegiati. Ciò significa che essi hanno forte interesse ad attivarsi individualmente prima che la situazione sfoci in una procedura concorsuale formale, dove le loro possibilità di recupero calano sensibilmente. Questa consapevolezza può essere sfruttata dal debitore nelle trattative: ad esempio, convincendo il fornitore che una soluzione concordata (magari con un pagamento parziale immediato) sia preferibile al rischio di un concordato preventivo in cui il fornitore potrebbe ricevere solo una percentuale ridotta (o nulla).

Debiti verso dipendenti (retribuzioni e TFR)

I debiti verso i dipendenti, quali stipendi non pagati, tredicesime, trattamento di fine rapporto (TFR) ecc., rivestono un carattere delicato e fortemente tutelato dall’ordinamento. I dipendenti godono di privilegi speciali su alcuni beni del datore di lavoro e di un privilegio generale mobiliare sui beni mobili per le ultime mensilità di retribuzione. In particolare:

  • I crediti per retribuzioni degli ultimi 6 mesi e per TFR vantano un privilegio generale sui mobili dell’impresa (ex art. 2751-bis c.c.), che li rende preferenziali rispetto ai crediti chirografari in caso di concorso. Inoltre, il TFR e le ultime tre mensilità godono dell’intervento del Fondo di Garanzia INPS: se l’azienda viene assoggettata a liquidazione giudiziale (fallimento) o a concordato preventivo liquidatorio, l’INPS interviene a pagare ai lavoratori il TFR e gli stipendi arretrati nei limiti di legge, surrogandosi poi nelle loro posizioni creditorie.
  • I dipendenti possono adire il giudice del lavoro per ottenere decreti ingiuntivi o sentenze di condanna per le somme dovute. Data la natura alimentare delle retribuzioni, la legge consente esecuzioni forzate rapide: ad esempio, un lavoratore con busta paga impagata può ottenere un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo e pignorare immediatamente i conti aziendali.
  • Se più dipendenti restano impagati, c’è anche il rischio “sociale” di vertenze collettive (supportate dai sindacati) o denunce all’Ispettorato del Lavoro. Tali situazioni possono aumentare l’attenzione degli enti pubblici sull’azienda (ad esempio, portando a ispezioni sul rispetto delle normative), generando ulteriori problemi.
  • Un accumulo di debiti verso il personale può condurre anche a dimissioni di massa o scioperi, compromettendo la capacità operativa dell’azienda. Questo è un effetto indiretto ma che il debitore deve considerare: perdere maestranze qualificate perché non pagate può rendere poi vano qualunque piano di risanamento.

Come difendersi: È fondamentale per l’imprenditore dare priorità alle retribuzioni correnti, se possibile, perché i lavoratori sono creditori privilegiati ed esistono anche risvolti penali (ad esempio l’omesso versamento delle ritenute previdenziali, v. oltre). In caso di temporanea carenza di liquidità, può essere utile coinvolgere i dipendenti nella situazione di crisi, spiegando le difficoltà e magari concordando per iscritto una dilazione nei pagamenti (è possibile stipulare accordi individuali o collettivi in sede sindacale per posticipare il pagamento di alcune competenze, ad esempio). Tuttavia, tali accordi non eliminano il privilegio dei lavoratori né i potenziali profili penali per i contributi: servono più che altro a mantenere la cooperazione del personale.

Se la situazione precipita e l’azienda valuta un concordato preventivo, deve tener conto che nel piano concordatario i crediti dei dipendenti privilegiati devono essere soddisfatti integralmente (salve rinunce volontarie) oppure si può proporre di non pagarli integralmente solo se si offre ai lavoratori almeno quanto otterrebbero in una liquidazione fallimentare (e comunque i crediti per salari e TFR per legge vengono normalmente soddisfatti integralmente grazie al Fondo INPS). In un concordato in continuità, in ogni caso, è imprescindibile regolarizzare le retribuzioni correnti, perché una continuità aziendale con lavoratori non pagati non sarebbe autorizzata dal tribunale.

In sintesi, i debiti verso dipendenti sono quelli da gestire con massima cura: non solo per ragioni etiche e di clima aziendale, ma anche perché la legge li protegge con privilegio e interventi di garanti pubblici. Un imprenditore che lascia incancrenire questi debiti rischia rapidamente vertenze giudiziali e perdita del capitale umano, oltre a possibili responsabilità penali (si pensi all’omissione contributiva) e civili.

Debiti verso il fisco e gli enti previdenziali

I debiti fiscali (IVA, imposte sui redditi, IRAP) e i debiti previdenziali (contributi INPS, premi INAIL) costituiscono un’altra categoria critica. Questi creditori – detti “pubblici” – godono di poteri e privilegi particolari:

  • Agenzia delle Entrate Riscossione (ex Equitalia): È l’ente incaricato di riscuotere coattivamente i tributi non pagati. Una volta iscritti a ruolo, i debiti fiscali portano alla notifica della cartella esattoriale. Se l’azienda non paga né ottiene una dilazione, il concessionario può attivare misure esecutive senza bisogno di un giudice, come ad esempio: iscrivere ipoteca sui beni immobili dell’impresa, iscrivere fermi amministrativi sui veicoli, pignorare conti correnti, crediti verso terzi, o addirittura procedere con l’espropriazione immobiliare se vi sono immobili intestati all’azienda. Inoltre, alcuni debiti tributari (IVA in particolare) godono di privilegio generale sui mobili e di cause di prelazione su determinati beni (es. privilegio speciale sui beni oggetto di accisa, ecc.).
  • INPS e INAIL: hanno procedure analoghe per i contributi non versati. L’INPS, per esempio, dopo l’avviso di addebito può agire con esecuzioni forzate dirette. I crediti per contributi previdenziali sono assistiti da privilegio generale mobiliare e in parte da privilegio immobiliare su beni dell’azienda.
  • Soglie di rilevanza e segnalazioni: Come accennato, dall’inizio 2023 l’Agenzia Entrate e gli enti previdenziali inviano avvisi di segnalazione all’impresa (e all’organo di controllo, se esistente) quando i debiti scaduti superano determinate soglie: ad esempio, debiti IVA risultanti dalle liquidazioni periodiche superiori a €5.000 e al 10% del volume d’affari , oppure omissioni contributive sopra €50.000. Queste soglie relativamente basse significano che già nelle fasi iniziali della crisi i creditori pubblici possono intervenire “sollecitando” l’azienda a correre ai ripari. Se l’azienda ignora l’avviso e il debito rimane inadempiuto, l’ente potrebbe procedere con misure esecutive oppure, in casi estremi, valutare l’istanza di liquidazione giudiziale.
  • Istanza di liquidazione giudiziale da parte del Fisco: L’Amministrazione Finanziaria può chiedere il fallimento (ora liquidazione giudiziale) del debitore qualora vi siano debiti fiscali significativi non onorati. In passato era prassi di Equitalia avanzare istanza di fallimento per debiti sopra un certo importo (es. centinaia di migliaia di euro) e non pagati dopo cartella ed eventuale sollecito. Anche se formalmente non c’è una soglia minima di legge (basta l’insolvenza), nella prassi attuale l’Agenzia delle Entrate-Riscossione valuta il ricorso a tale misura quando il carico debitorio è rilevante e non ci sono prospettive di recupero in altro modo. Per l’impresa debitrice, subire un’istanza di questo tipo è estremamente pericoloso, in quanto i tribunali spesso dichiarano lo stato di insolvenza se il debito fiscale è ingente e cronicamente insoluto (specie se accompagnato da altri indizi di incapacità di pagamento).

Come difendersi: I debiti fiscali e contributivi possono essere particolarmente insidiosi perché, oltre alle azioni esecutive, possono sfociare in responsabilità personali (si pensi alle sanzioni amministrative contro gli amministratori per inadempienze tributarie, o addirittura a reati tributari in caso di omessi versamenti oltre soglia, su cui torneremo). Per tutelarsi:

  • Rateizzazioni e istituti deflativi: Prima di tutto, se l’azienda è in temporanea difficoltà ma non in default totale, conviene sfruttare gli strumenti offerti dalla legge per regolarizzare: si possono chiedere piani di rateazione del debito fiscale fino a 6 anni (72 rate) o 10 anni in certi casi gravi, che sospendono le azioni esecutive purché le rate siano pagate. Analogamente, per i contributi INPS sono previste dilazioni. Il rispetto di un piano di rateazione in corso, ad esempio, impedisce che si configuri il reato di omesso versamento IVA o ritenute (in quanto la giurisprudenza ritiene che il reato si consumi solo a fine termine senza pagamento ). Quindi, negoziare col Fisco un pagamento dilazionato è spesso la prima linea di difesa per evitare sia azioni immediate sia conseguenze penali.
  • Dialogo e transazione fiscale: In una fase più avanzata, se si opta per una procedura concorsuale (concordato preventivo o accordo di ristrutturazione), è possibile proporre una transazione fiscale, ossia un trattamento concordato dei debiti tributari e contributivi (tipicamente un parziale pagamento e/o una dilazione) all’interno del piano, soggetto poi ad omologazione del tribunale. Le norme sono rigorose: nel concordato preventivo, ad esempio, il Fisco può subire un cram-down (omologazione nonostante voto contrario) solo a condizioni stringenti. Con il correttivo 2024, sono state fissate soglie minime di soddisfacimento dei crediti erariali per consentire l’omologazione forzata: almeno il 50% del credito tributario (esclusi interessi e sanzioni) se i creditori pubblici sono meno del 25% del totale degli aderenti (altrimenti almeno 60% se il debito pubblico supera il 25% del totale) . Inoltre, non è ammesso un cram-down fiscale se l’erario rappresenta oltre l’80% del debito complessivo e tale debito fiscale deriva in gran parte da frodi o omessi versamenti seriali . Tradotto: il piano deve offrire al fisco una soddisfazione significativa, altrimenti il tribunale non potrà imporla contro il parere dell’erario.
  • Attenzione alle responsabilità personali: A differenza dei fornitori, i crediti fiscali possono, in casi specifici, “bypassare” la schermatura della società di capitali. Ad esempio, l’art. 36 del DPR 602/1973 prevede la responsabilità personale dei liquidatori per il pagamento delle imposte dovute dalla società nel limite di quanto distribuito ai soci durante la liquidazione . In pratica, se gli amministratori/liquidatori dissipano le risorse a favore dei soci invece di saldare i debiti tributari, possono esserne chiamati a rispondere fino all’ammontare del patrimonio indebitamente distribuito. Dunque, un amministratore deve evitare in ogni modo di pagare i soci o compiere atti distrattivi quando ci sono debiti fiscali insoddisfatti, altrimenti rischia azioni di responsabilità da parte dell’Erario o anche sanzioni per violazione del dovere di conservazione del patrimonio.

In conclusione, per difendersi dai creditori pubblici l’arma principale è la regolarizzazione (quando possibile) o l’inclusione di questi crediti in un piano di ristrutturazione serio. Ignorare il Fisco è pericolosissimo: oltre alle esecuzioni (ipoteche, pignoramenti) e all’eventuale istanza di fallimento, si rischiano ripercussioni penali (per omessi versamenti rilevanti) e misure cautelari come sequestri preventivi nel penale. Una azienda indebitata con il Fisco dovrebbe consultarsi con professionisti per valutare la strada di una transazione fiscale o, se i margini sono ridotti, di una definizione agevolata (se prevista da normative temporanee) per ridurre sanzioni e interessi. Importante: l’avvio di trattative con l’Agenzia Entrate (ad es. in composizione negoziata, come vedremo) può ora includere la proposta di transazione fiscale anche fuori dalle procedure formali, grazie alla recente riforma (Correttivo 2024) che ha ammesso tale possibilità nella Composizione Negoziata .

Debiti bancari e garanzie (mutui, finanziamenti, leasing)

Le banche e gli altri finanziatori (società di leasing, factor, obbligazionisti se vi sono bond emessi, ecc.) costituiscono una classe di creditori che spesso dispone di garanzie contrattuali: mutui ipotecari su immobili, pegni su beni mobili o su crediti, fideiussioni personali dei soci o amministratori, covenant contrattuali che in caso di deterioramento finanziario portano a revoca dei fidi. Le caratteristiche principali di questi debiti:

  • Garanzie reali: Se l’azienda ha acceso un mutuo garantito da ipoteca sul capannone o su altri immobili, la banca è creditore ipotecario e quindi in caso di insolvenza verrà soddisfatta con preferenza sul ricavato della vendita di quegli immobili. Analogamente, nel leasing l’istituto conserva la proprietà del bene e, in caso di inadempimento, può riprenderselo. Questo significa che tali creditori sono più tutelati e hanno minor incentivo a negoziare forti riduzioni, perché possono rivalersi sui beni vincolati. Tuttavia, se il valore del bene è inferiore al credito, per la parte residua essi rimangono creditori chirografari.
  • Scadenze e accelerazione: I contratti di finanziamento prevedono spesso clausole di decadenza dal beneficio del termine o covenant finanziari: al verificarsi di certi eventi (mancato pagamento di una rata, peggioramento degli indicatori di bilancio, apertura di procedure concorsuali), la banca può revocare l’affidamento o dichiarare immediatamente esigibile tutto il credito residuo. Quindi un’azienda in crisi spesso subisce la revoca degli scoperti di conto corrente, la richiesta di rientro immediato dei fidi e la comunicazione alla Centrale Rischi di Bankitalia del deterioramento (evento che a sua volta limita l’accesso ad altro credito). La riforma del 2024 ha cercato di mitigare comportamenti bancari eccessivamente automatismi: ora è stabilito che la mera notizia dell’accesso alla composizione negoziata non può di per sé giustificare la revoca degli affidamenti o la riclassificazione a sofferenza; le banche devono motivare specificamente le revoche . Inoltre, se durante la composizione negoziata l’imprenditore chiede misure protettive e il tribunale le concede, le banche che avevano sospeso le linee di credito devono riattivarle (a meno che ragioni prudenziali di vigilanza bancaria lo impediscano) . Questo è un aspetto innovativo volto ad evitare che l’accesso agli strumenti di risanamento causi automaticamente il collasso dei rapporti bancari.
  • Fideiussioni personali: Non di rado i finanziamenti bancari a PMI sono garantiti da fideiussioni dei soci o degli amministratori, oppure da garanzie pubbliche (es. Garanzia MCC o SACE). Se l’azienda non paga, la banca potrà escutere direttamente il garante (p.es. il patrimonio personale dell’imprenditore). Ciò sposta la pressione dal livello societario a quello personale: un socio garante, benché la S.r.l. lo proteggerebbe dai debiti sociali, si trova invece esposto personalmente. Dal punto di vista della difesa, il garante potrebbe cercare un accordo transattivo con la banca, separatamente dalla società, oppure la società stessa, se entra in una procedura concorsuale, potrebbe proporre nel piano il soddisfacimento almeno parziale di quei crediti garantiti (tenendo conto che, se il garante paga al posto della società, subentra surrogandosi nel credito).

Come difendersi: Con le banche, la parola chiave è negoziazione tempestiva. Appena si profilano difficoltà, conviene incontrare gli istituti di credito per rinegoziare i termini, chiedere moratorie (es. sospensione dei pagamenti dei mutui per 6-12 mesi, a volte possibile tramite accordi ABI in situazioni di crisi settoriale) o consolidamenti del debito. L’obiettivo è evitare la revoca immediata dei fidi che toglierebbe liquidità all’azienda. Se la banca è riluttante, l’azienda può far leva sulla prospettiva che, aderendo a un piano di risanamento, la banca potrebbe recuperare più che in un fallimento. Ad esempio, si può proporre alla banca un accordo extragiudiziale: pagamento graduale o conversione del credito in strumenti partecipativi (per grandi ristrutturazioni, a volte le banche accettano equity o strumenti finanziari partecipativi in cambio dell’abbattimento di parte del credito).

Nel contesto delle procedure di composizione negoziata o concordataria, le banche sono spesso interlocutori chiave: è difficile salvare un’azienda senza il supporto (o almeno la tolleranza) delle sue banche finanziatrici. Pertanto, durante una crisi, l’imprenditore dovrebbe predisporre un piano finanziario credibile da presentare ai finanziatori, mostrando come intende ristrutturare i debiti (ad esempio con nuovi apporti di capitale, dismissioni di asset non strategici per rimborsare parte dei mutui, ecc.). È essenziale mantenere la fiducia: se la banca percepisce che l’imprenditore sta affrontando la crisi con serietà e trasparenza, sarà più incline a collaborare (ad esempio rinunciando a escutere immediatamente le garanzie, concedendo standstill sugli interessi, ecc.).

Va notato che nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti (strumento ex art. 57 e ss. CCII) esistono modalità per coinvolgere le banche in modo efficace: il Codice prevede la possibilità di estendere gli effetti dell’accordo anche ai creditori finanziari dissenzienti se si raggiungono determinate maggioranze (i c.d. accordi ad efficacia estesa o accordi agevolati, dove la soglia di adesione può scendere al 30% per certe categorie di creditori finanziari ). Ciò significa che, se la maggior parte delle banche è d’accordo su una ristrutturazione, la minoranza dissenziente potrebbe essere obbligata ad accettarla. Questo ovviamente aumenta l’utilità di trovare un’intesa con la maggioranza degli istituti: in tal modo si può superare l’eventuale resistenza di pochi.

Riepilogo delle categorie di debito e azioni dei creditori

Per avere una visione d’insieme, la tabella seguente sintetizza le principali categorie di creditori di un’azienda e le relative tutele/privilegi e azioni tipiche in caso di inadempimento:

Categoria di creditoreTutele e privilegi sul creditoConseguenze tipiche se il debito non è pagato
Fornitori (chirografari)Nessuna garanzia reale o privilegio (salvo patti di riserva di proprietà su beni forniti) – Crediti chirografari in concorso.– Ingiunzione di pagamento e pignoramenti di beni o conti aziendali<br>– Interruzione forniture essenziali e revoca fidi commerciali<br>– Possibile istanza di liquidazione giudiziale (fallimento) se l’insolvenza è conclamata
DipendentiPrivilegio generale sui mobili (ultimi 6 mesi di stipendi, TFR) – Intervento Fondo di Garanzia INPS per TFR e ultime 3 mensilità – Crediti prededucibili in procedure se continuano la prestazione.– Decreti ingiuntivi rapidi per salari non pagati<br>– Azioni esecutive (pignoramento c/c) per singoli lavoratori<br>– Vertenze collettive e segnalazioni a ispettorati<br>– Dimissioni/scioperi che compromettono l’attività
Erario (Fisco)Privilegio generale (IVA) e speciale su beni aziendali per alcuni tributi – Procedura esattoriale coattiva senza giudice – Possibilità di ipoteche e fermi amministrativi – Segnalazione crisi oltre soglie.– Notifica cartelle esattoriali e intimazioni<br>– Ipoteca su immobili aziendali, fermi su automezzi<br>– Pignoramenti (anche presso terzi) tramite Agente Riscossione<br>– Istanza di fallimento se debito ingente e insoluto<br>– Sanzioni e interessi crescenti; possibili imputazioni penali (omessi versamenti) se superate soglie di punibilità
Enti previdenziali (INPS)Privilegio generale su mobili – Procedura di riscossione simil-Esattoria – Segnalazione oltre soglie.– Avvisi di addebito e pignoramenti su conti e beni<br>– Eventuale denuncia penale per omesso versamento ritenute > €10.000/anno (datore di lavoro)<br>– Possibile intervento del Fondo di Garanzia (che poi si rivale come creditore surrogato)
Banche e finanziatoriGaranzie reali su beni (ipoteche, pegni) per crediti specifici – Fideiussioni personali di soci/amministratori – Eventuali garanzie statali (MCC, SACE) – Privilegio speciale in caso di leasing (restituzione bene).– Revoca fidi e richiesta di rientro immediato su finanziamenti<br>– Escussione di garanzie (es. escussione fideiussioni personali, escussione pegni su crediti)<br>– Azioni esecutive giudiziarie sui beni ipotecati (esecuzione immobiliare) o ripossesso bene leasing<br>– Segnalazione a Centrale Rischi (deterioramento credito) con blocco ulteriore credito<br>– In caso di procedura concorsuale: insinuazione al passivo come creditori privilegiati (per parte garantita) e chirografari (per parte scoperta)

Nota: I creditori privilegiati (come dipendenti, Fisco con IVA, banche ipotecarie, ecc.) in una procedura concorsuale devono essere soddisfatti integralmente o, se ciò non avviene, la legge prevede che debbano ricevere almeno il valore di realizzo dei beni su cui hanno privilegio. I creditori chirografari invece spesso subiscono forti decurtazioni (cosiddette falcidie). Questo spiega perché un fornitore chirografario può essere più incline ad azioni aggressive immediate (sperando di incassare magari il 100% da solo, piuttosto che attendere di prendere il 20% in un concordato), mentre un creditore ipotecario è più tutelato e può attendere le vendite giudiziarie del bene ipotecato.

Doveri legali e responsabilità del debitore (amministratori e imprenditore)

Quando un’azienda versa in difficoltà finanziaria, non è solo questione di negoziare coi creditori: gli amministratori (o l’imprenditore individuale) hanno precisi doveri legali e possono incorrere in responsabilità personali se non gestiscono correttamente la crisi. In una S.r.l. come l’azienda di essiccatori d’aria compressa ipotizzata, i doveri gravano sul organo amministrativo; se l’impresa è individuale, pesano sull’imprenditore stesso. Vediamo i principali profili:

Obbligo di preservare il patrimonio sociale e divieto di aggravare il dissesto

Uno dei principi cardine del diritto societario italiano (rafforzato dal Codice della crisi) è che, una volta che la società si trova in una situazione che ne impone lo scioglimento o la liquidazione, gli amministratori non possono continuare la gestione come se nulla fosse. In particolare, l’art. 2486 c.c. stabilisce che dal momento in cui si verifica una causa di scioglimento della società (ad esempio la perdita del capitale sociale oltre il minimo legale, ex art. 2484 c.c., oppure l’insolvenza conclamata), gli amministratori assumono il ruolo di “custodi” del patrimonio residuo e possono compiere solo atti di ordinaria amministrazione, finalizzati alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. È loro fatto divieto di intraprendere “nuove operazioni” che possano pregiudicare i creditori.

La violazione di questo dovere comporta una responsabilità specifica verso i creditori sociali. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6893/2023, ha ribadito che gli amministratori di una S.r.l. rispondono verso i creditori per gli atti di gestione non conservativi compiuti dopo il verificarsi di una causa di scioglimento ex art. 2484 c.c. . Si tratta di una responsabilità di natura extracontrattuale, peculiare (non ricondotta al mero art. 2043 c.c., perché il danno deriva dall’inosservanza di un obbligo legale specifico degli amministratori come organi sociali). In quella decisione la Cassazione ha anche sottolineato che la violazione del divieto di “nuove operazioni” comporta l’obbligo di risarcire il danno ai creditori presuntivamente, senza bisogno per questi ultimi di provare nel dettaglio il danno sofferto, né per configurare la responsabilità occorre accertare il dolo o la colpa grave degli amministratori: è sufficiente che essi fossero consapevoli della situazione di scioglimento e abbiano ugualmente intrapreso nuove attività pregiudizievoli . In sostanza, è una forma di responsabilità oggettiva o per colpa presunta: l’amministratore che continua ad aggravare il dissesto della società dopo che questa era “legalmente morta” (perché ne sarebbe dovuta iniziare la liquidazione) risponde del peggioramento della situazione patrimoniale.

Esempio: se la nostra S.r.l. produttrice di essiccatori subisce una perdita tale da azzerare il capitale sociale (evento che obbliga per legge a ricapitalizzare o liquidare la società), gli amministratori non possono continuare la normale attività sperando in una ripresa senza fare nulla. Se, ad esempio, dopo tale momento contraggono nuovi debiti con fornitori sapendo di non poterli pagare, o alienano beni aziendali a prezzi non convenienti, stanno violando i loro doveri. In caso di fallimento, il curatore o i creditori potrebbero agire contro di loro chiedendo il risarcimento del danno, che viene quantificato – secondo un orientamento – almeno nella differenza tra il patrimonio netto alla data in cui avrebbero dovuto attivarsi e quello alla data del fallimento (criterio della postergazione temporale del fallimento). In pratica, tutto l’aggravamento del passivo nel periodo di prosecuzione illegittima può essere chiesto agli amministratori.

Dal 2019, l’art. 2086 c.c. comma 2 ha ulteriormente delineato i doveri organizzativi degli amministratori: essi devono attivarsi per rilevare tempestivamente la crisi e adottare gli strumenti idonei a superarla. Questo implica che ignorare i segnali di insolvenza incipiente può costituire inadempimento dei loro doveri. Ad esempio, se gli amministratori non convocano l’assemblea per gli opportuni provvedimenti di ricapitalizzazione o scioglimento in caso di perdita rilevante (violando gli artt. 2447 o 2482-ter c.c.), possono essere chiamati a risponderne.

Inoltre, il Codice della crisi ha introdotto un articolo molto importante, l’art. 120-bis CCII, che (recependo la Direttiva UE 2019/1023) attribuisce agli amministratori il potere-dovere di decidere l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi, anche contro la volontà dei soci e con protezione rispetto a possibili revoche. Nella situazione tradizionale, spesso i soci di maggioranza potrebbero ostacolare un concordato o un accordo di ristrutturazione perché comporta sacrifici per le loro partecipazioni (diluzioni, perdite, ecc.). Ora, l’art. 120-bis stabilisce che spetta agli amministratori (e dal 2024 anche agli eventuali liquidatori) assumere la decisione di accedere a una procedura di regolazione della crisi nell’interesse dei creditori, e a tal fine possono anche compiere atti straordinari (aumenti di capitale, modifiche statutarie, fusioni, scissioni) senza il consueto voto assembleare, purché autorizzati dal tribunale . Per evitare che i soci li rimuovano dall’incarico, la norma prevede che durante questo processo gli amministratori possano essere revocati solo per giusta causa, e la mera scelta di accedere a una procedura di crisi non costituisce giusta causa di revoca . Questa tutela rafforzata dura dal momento in cui la decisione dell’organo amministrativo (con il piano di crisi) è iscritta nel registro imprese, fino all’omologazione della procedura . Ciò significa che, se la nostra S.r.l. con debiti volesse proporre un concordato ma i soci non sono d’accordo, gli amministratori – valutato l’interesse dei creditori e il dovere di evitare il peggio – possono procedere comunque, con l’autorizzazione del tribunale, senza temere una revoca ritorsiva da parte dei soci. È una novità di grande rilievo: la legge privilegia la tutela dei creditori e della continuità aziendale rispetto all’autonomia decisionale dei soci nelle situazioni di crisi.

In caso di successivo fallimento (liquidazione giudiziale), un nuovo fronte di responsabilità può aprirsi: il curatore può esercitare l’azione di responsabilità verso gli amministratori ai sensi dell’art. 255 CCII (che ricalca il vecchio art. 146 L.F.), sia per conto della società che per conto dei creditori. Questa azione cumula la responsabilità contrattuale verso la società per mala gestio e quella verso i creditori per violazione dei doveri di conservazione del patrimonio. Cassazione e dottrina hanno chiarito che, in tali cause, grava sugli amministratori l’onere di provare di aver adempiuto diligentemente ai propri doveri. La Cass. 25631/2023, ad esempio, ha ribadito che la responsabilità degli amministratori verso la società è di natura contrattuale, quindi spetta alla società (o al curatore) allegare le violazioni e provare il danno, ma poi tocca all’amministratore dimostrare di aver agito in modo conforme ai doveri e che le uscite patrimoniali contestate erano giustificate nell’interesse sociale . In pratica, se il curatore evidenzia che durante la crisi sono usciti fondi ingenti dalle casse sociali senza apparente beneficio, l’amministratore dovrà convincere il giudice che quelle spese erano legittime (ad es. servivano a pagare debiti sociali o erano investimenti necessari). Questo capovolgimento dell’onere della prova indica quanto stringente sia il controllo sull’operato degli amministratori in fase di crisi.

Riassumendo i punti chiave dei doveri degli amministratori in crisi:

  • Rilevare subito la crisi e non occultarla (anche non facendo bilanci falsi: la falsa comunicazione sociale aggravata da intenti di occultamento sarebbe reato).
  • Adottare decisioni prudenziali: niente nuove iniziative imprenditoriali rischiose quando non si pagano i debiti correnti.
  • Non preferire alcuni creditori a discapito di altri in modo arbitrario: effettuare pagamenti mirati solo se funzionali a evitare danni peggiori e nel rispetto della par condicio (es. pagare fornitori strategici può essere lecito, ma pagare un debito verso un socio o una banca di nascosto e poco prima del fallimento può integrare profili di responsabilità civile e anche bancarotta preferenziale, come vedremo).
  • Convocare assemblea e informare i soci delle perdite rilevanti (obbligo ex artt. 2446-2447 c.c. per le S.p.A. e 2482-bis/ter per le S.r.l.) e, se del caso, ridurre il capitale o sciogliere la società. L’omessa osservanza di questi articoli è un classico capo di accusa nelle azioni di responsabilità contro amministratori.
  • Se l’insolvenza appare inevitabile, non tergiversare nel richiedere una procedura concorsuale: l’inerzia col solo fine di guadagnare tempo, magari prosciugando le casse quel che basta per rimandare il default, è vista molto negativamente dai giudici. Meglio attivarsi (concordato, accordo, composizione negoziata) piuttosto che far aggravare il buco.

In definitiva, dal punto di vista del debitore è importante capire che, a un certo punto, i propri ruoli cambiano: l’imprenditore non può più agire liberamente come proprietario, ma deve pensare come un custode nell’interesse dei creditori. Chi non lo fa rischia seriamente che, oltre al dramma aziendale, si aggiunga il dramma personale di rispondere coi propri beni (in sede civile) o addirittura con la propria libertà (in sede penale) per gli errori commessi.

Strumenti stragiudiziali e procedure concorsuali per gestire la crisi

Passiamo ora in rassegna le soluzioni pratiche a disposizione di un’azienda indebitata per regolare i debiti ed evitare le conseguenze più estreme (come la liquidazione coattiva o l’erosione del patrimonio personale dei garanti). Tali strumenti vanno da approcci stragiudiziali (accordi privati con i creditori) a procedure concorsuali giudiziali (concordati, liquidazioni), incluse le procedure ibride introdotte di recente (come la composizione negoziata). La scelta dello strumento dipende dalla gravità della situazione, dalla natura e consistenza dei debiti, dalla possibilità di risanare l’impresa oppure dalla necessità di liquidarla in modo ordinato.

Di seguito analizzeremo le varie opzioni, con un occhio di riguardo per i meccanismi di sovraindebitamento (dedicati alle piccole imprese e privati) e per le novità del Codice della crisi 2019-2025.

Soluzioni stragiudiziali informali (accordi con i creditori)

1. Moratorie e accordi individuali – Il primo livello, il più immediato e “informale”, è cercare di negoziare direttamente con i singoli creditori soluzioni di respiro: ad esempio, ottenere proroghe delle scadenze, piani di rientro dilazionati, talvolta con rinuncia a parte degli interessi o remissione parziale del debito. Questi accordi, se raggiunti, non coinvolgono l’autorità giudiziaria e possono essere strutturati con semplici scritture private. I vantaggi: flessibilità e riservatezza. Gli svantaggi: si basano sul consenso di ogni singolo creditore, per cui è sufficiente che uno importante non accetti, perché la crisi resti. Inoltre, se l’azienda ha molti creditori, negoziare con ciascuno può essere ingestibile.

2. Piano di risanamento “attestato” (art. 56 CCII) – È un’evoluzione sofisticata dell’accordo stragiudiziale. Consiste in un piano industriale e finanziario di risanamento predisposto dall’azienda, che prevede le misure per superare la crisi (rifinanziamenti, dismissioni, ristrutturazione debiti), il quale viene attestato da un professionista indipendente circa la sua veridicità e fattibilità. Questo piano attestato (in passato disciplinato dall’art. 67 L.F., ora dagli artt. 56 e 284 CCII) non richiede omologazione giudiziale, ma viene pubblicato nel Registro delle Imprese. La sua utilità principale è offrire una protezione rispetto alle azioni revocatorie: i pagamenti e le garanzie concessi in esecuzione di un piano attestato depositato sono esenti da revocatoria fallimentare ex art. 166 CCII . Ciò significa che i creditori possono aderire al piano (ad esempio accettando pagamenti parziali) senza il timore che, se poi l’impresa fallisce, il curatore gli revochi quanto incassato. Dal lato del debitore, il piano attestato serve a riconquistare la fiducia dei creditori: è come dire “ho un esperto che garantisce che, se seguite questo piano, rientrerete dei vostri crediti in misura migliore rispetto all’alternativa del fallimento”. Il Correttivo-ter 2024 ha precisato che nel piano debbono essere considerati anche gli aspetti di sicurezza sul lavoro e i costi ambientali connessi alla continuità, nonché la posizione dei lavoratori , a riprova dell’approccio olistico richiesto. Un limite del piano attestato è che non vincola i creditori dissenzienti: chi non è d’accordo resta libero di agire per conto proprio. È quindi efficace in situazioni dove c’è un numero ristretto di creditori e la maggioranza di essi collabora.

3. Accordo di ristrutturazione dei debiti (60%-75%) – È il primo step dove interviene il tribunale, sebbene con un ruolo limitato. L’accordo di ristrutturazione (disciplinato dagli artt. 57-64 CCII) prevede che l’azienda debitrice raggiunga un accordo con creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali (soglia standard; esistono varianti come l’accordo agevolato al 30% – ne parliamo tra un attimo). L’accordo, formalizzato per iscritto, viene sottoposto all’omologazione del tribunale. Il giudice non entra nel merito della convenienza economica (lasciata alle parti), ma verifica la legalità, l’idoneità a soddisfare integralmente i creditori estranei nei 120 giorni dall’omologazione e l’attestazione di un esperto sulla solvibilità dell’accordo. Se tutto è in regola, il tribunale omologa e l’accordo diventa efficace erga omnes per i creditori aderenti. I creditori non aderenti invece restano fuori: teoricamente potrebbero proseguire le azioni esecutive (per questo spesso il debitore cumula la domanda di omologa con una richiesta di misure protettive temporanee). Vantaggi: flessibilità (non c’è la rigida par condicio del concordato: si può pagare diversamente i creditori purché chi è fuori riceva il 100% entro 120 giorni), riservatezza parziale (meno pubblicità rispetto a un fallimento), rapidità. Svantaggi: bisogna convincere una larga maggioranza di creditori; inoltre, se uno importante resta fuori, potrebbe vanificare lo sforzo.

Accordi agevolati (30%) e ad efficacia estesa: Il Codice, anche per recepire la Direttiva europea, ha introdotto due varianti. L’accordo agevolato consente, per le imprese minori (quelle sotto soglie dimensionali) o in casi particolari, di ridurre la soglia di adesione al 30% dei crediti . Questo facilita l’accesso allo strumento per piccole realtà. L’accordo ad efficacia estesa, invece, consente di estendere l’accordo anche ai creditori finanziari non aderenti, a patto che questi fossero omogenei e che abbiano aderito i 3/4 (75%) di quella categoria. In altre parole, se la gran parte delle banche firma, la minoranza dissenziente viene trascinata nell’accordo su richiesta del debitore e con approvazione del tribunale (è una forma di cram-down settoriale). Queste innovazioni permettono al debitore di superare l’opposizione di pochi creditori dissenzienti, evitando che il loro rifiuto faccia fallire l’intera operazione.

Transazione fiscale negli accordi: Un punto spesso cruciale è il trattamento dei debiti fiscali negli accordi. Con la riforma 2024, è stato chiarito l’iter: l’adesione dell’erario deve arrivare entro 90 giorni dalla proposta (prorogabili di 60 o 90 gg se vi sono modifiche) ; se l’ente non risponde nei termini, il debitore può chiedere comunque l’omologazione e – come già visto – il tribunale può omologare l’accordo anche senza il consenso del Fisco se sono soddisfatte certe condizioni (accordo non liquidatorio, almeno 25% degli altri crediti aderenti, soddisfacimento Fisco ≥ 50% etc.) . Questo meccanismo è tecnicamente complesso, ma il suo senso pratico è: il debitore può includere l’erario nell’accordo offrendo un pagamento parziale; se il Fisco rifiuta, il giudice può imporglielo solo se l’offerta è sufficientemente alta e l’alternativa (fallimento) sarebbe peggiore per l’erario stesso. In mancanza di tali condizioni, l’accordo non passerà.

4. Composizione negoziata per la soluzione della crisi – Introdotta nel 2021 (D.L. 118/2021) e ora integrata nel Codice (artt. 12-25 CCII), la composizione negoziata è uno strumento innovativo e volontario che punta a facilitare le trattative con i creditori senza aprire (almeno inizialmente) una procedura concorsuale formale. Si tratta di un percorso in cui l’imprenditore in difficoltà richiede la nomina di un Esperto indipendente, scelto da un apposito elenco, il cui compito è aiutare a individuare una via di risanamento e condurre le negoziazioni con i creditori in modo neutrale e professionale.

La composizione negoziata non è una procedura concorsuale: l’imprenditore resta al timone dell’azienda (debtor in possession), l’iniziativa è riservata a lui (nessuno può obbligarlo ad attivarla) e l’esperto non ha poteri gestori ma solo di mediazione. Come recita la definizione ufficiale, “la composizione negoziata consente all’imprenditore, che si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario, di perseguire il risanamento dell’impresa con il supporto di un esperto indipendente, che agevoli le trattative con i creditori” . Si può accedere alla composizione negoziata anche se l’impresa è già insolvente, non solo in crisi incipiente (il correttivo 2024 ha esplicitato che possono accedervi pure imprenditori in stato di insolvenza conclamata, purché reversibile) .

Caratteristiche e fasi della composizione negoziata: – Si avvia presentando un’istanza tramite la piattaforma delle Camere di Commercio, allegando informazioni finanziarie e un piano di risanamento ipotetico. – Viene nominato un Esperto (di solito un commercialista o esperto di crisi), il quale dopo un primo esame iniziale convoca l’imprenditore e predispone un “programma di risanamento” sommario. – Si aprono quindi le trattative riservate con i creditori: l’esperto convoca i principali creditori (banche, fornitori strategici, Fisco se rilevante) cercando di farli convergere su soluzioni (es: allungamento dei termini di pagamento, riduzione dei tassi, iniezioni di finanza fresca, vendita di rami d’azienda, etc.). – Durante le trattative, l’impresa può chiedere misure protettive al tribunale (art. 18-19 CCII): ossia un decreto che congela temporaneamente le azioni esecutive e cautelari dei creditori. Questo “scudo” può durare inizialmente fino a 4 mesi (120 giorni) ed è prorogabile fino a un massimo di 240 giorni , per dare respiro alle negoziazioni. Il tribunale fissa un’udienza e pubblica il provvedimento di fissazione nel registro imprese , in modo che tutti i creditori ne siano a conoscenza e possano eventualmente opporsi. Le misure protettive impediscono nuovi pignoramenti e sospendono quelli in corso, ma l’impresa deve astenersi dall’aggravare la sua esposizione verso i creditori protetti. – L’imprenditore può anche chiedere al tribunale alcune autorizzazioni per atti di straordinaria amministrazione utili al risanamento (es. contrarre nuovi finanziamenti prededucibili, cedere l’azienda o rami di essa): l’art. 22 CCII consente al tribunale di autorizzare tali atti, e il correttivo 2024 ha chiarito che i finanziamenti erogati in base a queste autorizzazioni sono protetti (prededucibili) a prescindere dall’esito della composizione negoziata , e possono perfezionarsi anche dopo la chiusura della procedura se previsti. – Esito: Se le trattative vanno a buon fine, l’imprenditore e i creditori stipulano uno o più accordi (che possono assumere varie forme: nuovi contratti, patti modificativi dei precedenti, accordi di ristrutturazione ex art. 57 se si raggiungono le percentuali, o anche semplici transazioni bilaterali). La composizione negoziata in sé si chiude senza omologazione, con una relazione finale dell’esperto. In caso di esito positivo, l’imprenditore può proseguire l’attività sulla base degli accordi raggiunti. – Se invece non si trova una soluzione globale, l’esperto lo attesterà nella relazione finale. A quel punto l’imprenditore, per evitare il precipitare in liquidazione giudiziale, ha comunque alcune opzioni residue (art. 23 e 24 CCII richiamano queste possibilità): ad esempio, può chiedere l’omologazione di un accordo di ristrutturazione parziale se è riuscito ad avere l’adesione di parecchi creditori , oppure può predisporre un piano attestato unilaterale , o ancora – novità del D.L. 118/2021 – presentare un concordato semplificato per la liquidazione . Quest’ultimo è uno strumento speciale: se la composizione negoziata fallisce ma l’esperto ritiene che è l’unica via per evitare il tracollo disordinato, entro 60 giorni l’imprenditore può proporre al tribunale un concordato “senza voto dei creditori” (i creditori non votano, deciderebbe tutto il tribunale). Nel concordato semplificato l’azienda offre di liquidare il patrimonio ai creditori secondo un piano, e il giudice può omologarlo nonostante l’assenza di voto, purché siano rispettate le regole di legge (in primis il rispetto delle priorità di pagamento). Il correttivo 2024 ha integrato anche questo istituto (artt. 25-sexies e seguenti CCII) per prevedere, ad esempio, che anche nel concordato semplificato, se si formano classi, i crediti privilegiati degradati a chirografo rientrino nel classamento . Inoltre, in caso di omologazione del concordato semplificato, gli atti eseguiti in esso sono esenti da revocatoria fallimentare come avviene per gli altri concordati .

Perché considerare la composizione negoziata: Dal punto di vista del debitore, la composizione negoziata presenta vari vantaggi: – Consente di guadagnare tempo e bloccare le aggressioni dei creditori (grazie alle misure protettive) senza lo stigma immediato di un fallimento o di un concordato pubblico. – Mantiene la gestione in capo all’imprenditore (sotto supervisione leggera dell’esperto), evitando la perdita di controllo totale che avverrebbe in un fallimento. – È riservata: a parte l’eventuale pubblicazione delle misure protettive, le trattative possono restare confidenziali, proteggendo la reputazione dell’azienda durante il tentativo di risanamento. – Con la riforma 2024, ora include la possibilità di trattare transazioni fiscali anche in questa fase negoziale , laddove prima era un vuoto normativo. Ciò significa che l’imprenditore può proporre al Fisco di accettare un pagamento parziale/dilazionato nell’ambito di questa procedura, cosa molto utile per sbloccare la situazione con l’Erario senza dover per forza passare per un concordato preventivo. – La durata è ragionevole: l’incarico dell’esperto di base dura 180 giorni rinnovabili fino a altri 180 , quindi max ~1 anno, evitando di trascinare indefinitamente le incertezze. – Nessun requisito formale di percentuali di credito: l’imprenditore può tentare la composizione negoziata anche se non ha dalla sua una maggioranza di creditori (a differenza dell’accordo di ristrutturazione che richiede il 60%). È un tavolo di trattativa libero: ovviamente, se nessun creditore è collaborativo, fallirà, ma almeno non servono soglie di accesso.

Gli svantaggi/limiti: – Non c’è certezza di successo: è un “tentativo” di negoziazione, se i creditori restano rigidi si potrebbe solo ritardare l’inevitabile. – Richiede cooperazione attiva dell’imprenditore: bisogna fornire molte informazioni, dialogare in buona fede con l’esperto e con i creditori. Non è uno strumento per chi voglia perdere tempo in modo ostruzionistico: se l’esperto percepisce malafede o che non c’è spazio di risanamento, chiude anticipatamente (può dimettersi). – Le misure protettive tutelano dall’esterno, ma all’interno l’azienda deve comunque avere un minimo di liquidità per andare avanti in quei mesi; altrimenti, senza soldi nemmeno per le spese correnti, difficilmente l’esperto potrà convincere i creditori ad aspettare. – Se c’è un creditore dominante fortemente contrario (es. la banca principale o il Fisco con gran parte del debito), potrebbe boicottare le trattative. Tuttavia, almeno durante le misure protettive, non potrà far precipitare la situazione con esecuzioni.

In conclusione, la composizione negoziata è spesso raccomandabile per PMI come la nostra S.r.l. che si rendono conto di essere in crisi ma credono di poter recuperare con un po’ di respiro. È uno strumento giovane, ma i primi dati indicano che può evitare molti fallimenti, a patto che l’imprenditore vi entri per tempo (non quando ormai i giochi sono fatti). Inoltre, con l’entrata a regime del dovere degli amministratori di attivarsi, scegliere la composizione negoziata può dimostrare la diligenza dell’organo amministrativo, mettendolo al riparo da accuse di inerzia.

Nella tabella seguente riepiloghiamo i principali strumenti stragiudiziali/negoziali e le loro caratteristiche:

StrumentoDescrizioneAttivazione e requisitiEsito per i creditori
Accordi individuali (privati)Accordi informali con singoli creditori (dilazioni, transazioni) – Nessun intervento del tribunale.Libera negoziazione; serve consenso singolo per ogni creditore coinvolto.Solo chi aderisce è vincolato; i creditori non partecipanti conservano pieni diritti (possibili azioni esecutive separate).
Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII)Piano di risanamento globale, asseverato da un esperto indipendente su veridicità dei dati e fattibilità. Deposito nel Registro Imprese; esenzione da revocatorie per atti esecutivi del piano.Decisione dell’impresa; serve relazione di un professionista attestatore. Non richiede percentuali di adesione specifiche (anche unilaterale).Nessun vincolo diretto per i creditori: aderiscono volontariamente al piano sottoscrivendo nuovi accordi. Chi non aderisce resta fuori. I pagamenti ricevuti secondo il piano attestato sono però “sicuri” (non revocabili in futuro).
Accordo di ristrutturazione dei debiti (standard)Accordo giuridico-negoziale con i creditori che rappresentano ≥ 60% dei crediti totali. Viene omologato dal tribunale. Consente moratorie o stralci del debito con efficacia legale.Occorre il consenso formale di creditori rappresentanti il 60%. Deposito domanda al tribunale con documentazione e attestazione di fattibilità. Possibili misure protettive su richiesta.Vincola solo i creditori aderenti. I non aderenti devono essere pagati integralmente entro 120 giorni dall’omologazione (o come da scadenze accordate) per legge. Possibilità di estendere accordo a dissenzienti di categorie omogenee (p.es. banche) se condizioni rispettate.
Accordo “agevolato” (30%)Variante per alcune imprese (minori) o per accordi finanziari: soglia adesione ridotta al 30% (invece che 60%).Ammissibile nei casi previsti dal CCII (es. impresa minore). Procedura simile all’accordo standard, solo soglia diversa.Uguale all’accordo standard: vincola aderenti, richiede integrale pagamento estranei entro 120 gg.
Accordo ad efficacia estesaEstensione ai creditori finanziari non aderenti degli effetti dell’accordo, su richiesta debitore, se aderenti ≥75% di quella classe di creditori.Deve essere raggiunto accordo con ≥75% dei creditori di una data categoria (tipicamente banche). Il tribunale valuta ed estende l’efficacia.I creditori finanziari dissenzienti diventano vincolati al pari degli aderenti, secondo i termini dell’accordo omologato. I creditori estranei non finanziari restano fuori (se non soddisfatti per intero separatamente).
Composizione negoziataProcedura volontaria di negoziazione assistita da Esperto indipendente, finalizzata al risanamento. Non è concorso formale: l’imprenditore rimane in gestione. Possibile chiedere uno stay (blocco azioni) temporaneo.Attivata dall’imprenditore tramite piattaforma CCIAA. Accessibile a imprenditori iscritti (anche agricoli). Nessuna soglia di debito né di consenso iniziale. Durata indicativa 6 mesi prorogabili. Richiede collaborazione e trasparenza.Se riuscita, produce accordi vari (privati o accordi ex lege da omologare separatamente). Se fallisce, l’impresa può ripiegare su concordato semplificato o altre procedure. I creditori durante la negoziazione beneficiano di trattativa guidata e imparziale; quelli che aderiscono a eventuali soluzioni ne sono vincolati. Durante misure protettive, tutti i creditori sono temporaneamente congelati (nessuna azione esecutiva o revoca di contratti senza ok giudice).

Procedure concorsuali giudiziali (concordati e liquidazione giudiziale)

Se le misure negoziali non bastano o la situazione è troppo grave, si entra nell’ambito delle procedure concorsuali, dove interviene più direttamente il tribunale e si ha un effetto legale di “cristallizzazione” della situazione debitoria. Le principali procedure concorsuali che possono riguardare la nostra azienda S.r.l. sono:

1. Concordato preventivo – Il concordato preventivo è una procedura concorsuale volontaria (ossia attivata dal debitore) che consente all’impresa insolvente o in crisi di proporre ai creditori un piano per evitare la liquidazione giudiziale, mediante una soddisfazione parziale dei crediti secondo certe regole e la continuazione eventualmente dell’attività. Si chiama “preventivo” perché previene appunto il fallimento. Nel concordato: – L’azienda formula una proposta ai creditori (ad esempio: pagamento del 40% ai chirografari, integrale ai privilegiati, in 5 anni, mantenendo l’attività aperta; oppure cessione di tutti i beni con liquidazione, offrendo il ricavato da distribuire). – Deve depositare un piano dettagliato e corredato dalla relazione di un attestatore indipendente che dichiari la fattibilità del piano e l’idoneità ad assicurare la soddisfazione dei creditori. – Se il tribunale ammette il concordato, i creditori vengono suddivisi in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei (p.es. dipendenti in una classe, banche ipotecarie in un’altra, fornitori chirografari in un’altra). – I creditori votano sulla proposta: serve il voto favorevole della maggioranza dei crediti ammessi al voto (maggioranza assoluta del valore; se ci sono classi, conta la maggioranza in ogni classe e altre regole di quorum). Se ci sono più classi e alcune approvano e altre no, vi sono possibili omologazioni nonostante il dissenso di alcune classi (cram-down trasversale), a condizioni specifiche. Il correttivo 2024 ha chiarito che il concordato con continuità aziendale può essere omologato anche col voto contrario del Fisco e degli enti previdenziali (classi computate nelle maggioranze) e che, in mancanza di maggioranza di classi, basta l’approvazione di una sola classe “maltrattata” (impaired) purché i creditori di quella classe ricevano almeno quanto avrebbero avuto in liquidazione . Questo recepisce la possibilità di cram-down interclassi prevista dalla direttiva europea. – Il concordato può essere di due tipi: in continuità, se prevede la prosecuzione dell’attività (direttamente dal debitore o tramite affitto d’azienda, ecc.), oppure liquidatorio, se prevede la cessazione dell’attività e la mera liquidazione dei beni. Le regole differiscono: nel concordato liquidatorio la legge impone almeno il 20% di pagamento ai chirografari (salvo eccezioni) e non consente che i soci ottengano nulla se prima non si soddisfano interamente i creditori (principio di assoluta priorità). Nel concordato in continuità invece non c’è soglia fissa di percentuale, ma il piano deve dimostrare che i creditori ottengono di più che in una liquidazione e che l’azienda risanata può stare sul mercato. – Un vantaggio del concordato è che, una volta ammessa la procedura, tutte le azioni esecutive individuali sono bloccate, i contratti pendenti proseguono (con alcune facoltà di scioglimento o sospensione da chiedere al tribunale), e l’impresa opera sotto la vigilanza di un Commissario Giudiziale nominato dal tribunale. – L’imprenditore nel concordato in continuità rimane nella gestione sotto osservazione; nel concordato liquidatorio di solito viene nominato un liquidatore giudiziale per vendere i beni. – Se i creditori approvano e il tribunale omologa (accerta legalità, convenienza rispetto al fallimento e assenza di frodi), il concordato diventa vincolante per tutti i creditori anteriori (anche dissenzienti). La società esegue il piano e, se lo adempie correttamente, ottiene l’esentazione da ulteriori pretese per i debiti anteriori (viene “liberata” dai debiti eccedenti quanto pagato secondo il piano). – In caso di inadempimento grave, il concordato può essere risolto e i creditori possono agire (o si può aprire una liquidazione giudiziale di conversione).

Il concordato preventivo è quindi lo strumento classico per ristrutturare i debiti con l’autorità del tribunale. Nell’ambito della nostra azienda indebitata, un concordato potrebbe essere opportuno se c’è un piano credibile per proseguire l’attività (es. ingresso di un investitore, riduzione costi, nuovi mercati) ma serve abbattere una parte dei debiti per ripartire; oppure se non c’è più speranza di salvare l’azienda come going concern, un concordato liquidatorio ordinato può comunque massimizzare il ricavato per i creditori rispetto a un fallimento “disordinato” e permettere agli imprenditori di evitare i rigori del fallimento (ad esempio, evitare l’interdizione, i reati di bancarotta – poiché in caso di concordato eseguito regolarmente, non vi è dichiarazione di fallimento e quindi i reati fallimentari non si consumano).

Novità introdotte nel concordato dal 2022-2024: Il Codice della crisi ha rinnovato vari aspetti del concordato: – Ha eliminato la distinzione rigida che vigeva prima tra concordato con continuità diretta e indiretta, concentrandosi sul concetto che conti la salvaguardia dei valori aziendali (anche se attuata tramite cessione dell’azienda in esercizio). – Ha codificato il concetto di “valore di liquidazione”: ossia il minimo che i creditori devono ricevere. Il correttivo 2024 specifica che per valore di liquidazione si intende il netto ricavabile in una ipotetica liquidazione giudiziale, spese di procedura detratte, tenendo conto di un eventuale valore aggiunto se l’azienda potesse essere ceduta in esercizio . Questo valore funge da soglia per valutare la convenienza del concordato, la fattibilità e per regolare la priorità relativa. – È stato alzato il parametro per la “classe dei fornitori piccoli”: ora, nel concordato in continuità, si può inserire in una classe separata i piccoli fornitori definiti non più secondo impresa minore ex art. 2, ma con requisiti meno stringenti (fino a €5 milioni attivo, €10 milioni fatturato, 50 dipendenti) . Ciò per facilitare un trattamento differenziato dei fornitori minori, spesso cruciali per la continuità. – Viene richiesto di prevedere nel piano dei fondi rischi specifici per le garanzie pubbliche (es. SACE) escusse , così da non trascurare eventuali restituzioni allo Stato. – Sono state dimezzate le soglie per presentare proposte concorrenti dei creditori (ora basta il 5% dei crediti invece del 10%) , per incentivare l’uso di questo strumento di mercato (i creditori possono presentare essi stessi un piano alternativo se ritengono quello del debitore insoddisfacente). – Nel concordato in continuità, a tutela dei contratti in corso, è previsto ora che le protezioni contro la risoluzione operino già dalla presentazione della domanda (non si deve aspettare la concessione formale) , così ad esempio i fornitori non possano interrompere forniture essenziali appena sanno che è stato richiesto il concordato. – Il già citato art. 120-quater CCII regola il caso di concordato con attribuzioni ai soci (permettendo di determinare se i soci mantengono un qualche valore dopo la ristrutturazione, solo se apportano capitali freschi e con criteri trasparenti di valutazione) . – Infine, l’intero Titolo V del CCII disciplina la liquidazione giudiziale (ex fallimento) e prevede anche la possibilità di un concordato nella liquidazione giudiziale: i creditori, o un terzo, possono proporre durante un fallimento un concordato per chiudere prima la procedura. Il correttivo-ter 2024 ha innovato pure qui (p.es. introducendo il concordato di gruppo se più società sono fallite congiuntamente , e rendendo immediatamente esecutivo il decreto di omologazione di un concordato su basi fallimentari, senza dover aspettare il passaggio in giudicato ). Anche se ciò esula dal caso primario (in cui la nostra azienda vuole evitare di arrivare al fallimento), è utile notare che anche dopo un fallimento c’è spazio per soluzioni concordate.

2. Liquidazione giudiziale (ex fallimento) – Se l’impresa è insolvente e nessuna soluzione di concordato o accordo viene attuata in tempo, il tribunale ne dichiarerà la liquidazione giudiziale. Questa procedura implica: – La spossessione dell’imprenditore: la gestione dell’impresa e dei suoi beni passa al Curatore nominato dal tribunale. Gli amministratori decadono (perdono poteri) e i soci non possono più disporre dei beni sociali. – Viene accertato il passivo (i creditori presentano domanda di insinuazione al passivo; il curatore forma lo stato passivo, il giudice delegato lo rende esecutivo; eventuali contestazioni vanno in sede di opposizione). – Si procede alla liquidazione dell’attivo: il curatore vende i beni mobili, immobili, crediti, aziende intere o rami, secondo un programma di liquidazione approvato dal Comitato dei creditori e autorizzato dal giudice. Il correttivo 2024 ha fissato che di regola la liquidazione va completata entro 5 anni , per evitare fallimenti interminabili. – I creditori sono soddisfatti secondo l’ordine dei privilegi e, se l’attivo è insufficiente, ricevono percentuali ridotte. – A fine procedura, la società viene cancellata e i debiti residui insoddisfatti si estinguevano verso la società. Tuttavia, i debiti personali di eventuali coobbligati (es. soci garanti) restano a loro carico. – La liquidazione giudiziale comporta per gli imprenditori personali e per gli amministratori di società fallite alcune conseguenze personali: interdizioni legali temporanee, impossibilità di intraprendere nuova attività senza soddisfare i creditori anteriori (salvo esdebitazione), etc. Inoltre, apre il campo ai reati fallimentari se emergono condotte illecite pre-dissesto (ne parleremo tra poco). – Il Codice della crisi preferisce la continuità dove possibile, ma riconosce che in certi casi la liquidazione è necessaria. Ha comunque introdotto meccanismi per renderla più efficiente (ad es. obbligo di almeno un tentativo di vendita entro il primo anno e almeno due negli anni seguenti , possibilità di cedere in blocco le azioni di responsabilità e revocatorie come assets per far cassa, ecc.).

Va detto che una S.r.l. può essere non soggetta a liquidazione giudiziale se è molto piccola (le cosiddette imprese minori ex art. 2 CCII, che non superano congiuntamente certi parametri di attivo ≤ €300k, ricavi ≤ €200k, debiti ≤ €500k ). In tal caso, non “fallisce” ma può accedere alle procedure di sovraindebitamento. Nel nostro esempio, un’azienda che produce macchinari probabilmente supera tali soglie, ma se fosse sotto, le considerazioni finali sarebbero analoghe, solo che la procedura sarebbe la liquidazione controllata (la “versione mini” del fallimento).

3. Procedure da sovraindebitamento (per completezza) – Accenniamo infine agli strumenti specifici per debitori non fallibili o per le persone fisiche, introdotti dalla Legge 3/2012 e ora confluiti nel Codice (artt. 65-83 CCII e seguenti): – Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore: se il debitore è una persona fisica che ha contratto debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale (consumatore sovraindebitato), può proporre un piano ai creditori che viene omologato dal giudice senza voto dei creditori (basta che il giudice lo ritenga meritevole e conveniente rispetto alla liquidazione) . Questo strumento vale per soggetti come un ex imprenditore che ha dato fideiussioni personali, ad esempio. – Concordato minore: è l’equivalente del concordato preventivo ma per piccoli imprenditori non fallibili o professionisti. Richiede il voto dei creditori (qui le maggioranze sono semplificate: è sufficiente la maggioranza dei crediti ammessi al voto, senza classi rigide se non formate) . È destinato appunto all’impresa minore sotto soglie. Ad esempio, se la nostra fosse una ditta individuale artigiana con debiti, potrebbe accedere a un concordato minore invece che preventivo. – Liquidazione controllata del sovraindebitato: è la procedura concorsuale liquidatoria per i soggetti non fallibili (sostituisce la vecchia liquidazione del patrimonio L.3/2012). Viene nominato un liquidatore che fa il lavoro simile al curatore fallimentare . Alla fine, il debitore persona fisica può chiedere l’esdebitazione. – Esdebitazione: istituto importantissimo per il fresh start. Già col regime previgente un fallito persona fisica, se aveva cooperato e non aveva commesso reati, poteva ottenere la cancellazione dei debiti residui non pagati alla chiusura del fallimento (esdebitazione del fallito). Ora il CCII estende la possibilità anche al debitore incapiente (colui che nella liquidazione controllata non soddisfa nulla i creditori): se è meritevole, può essere esdebitato immediatamente anche se nulla è stato pagato, avendo però questo beneficio una tantum (non deve averlo già ottenuto nei 10 anni precedenti). L’idea è di dare alle persone sovraindebitate oneste una seconda chance, piuttosto che condannarle a debiti perpetui.

Nel contesto della nostra guida, le procedure da sovraindebitamento riguarderebbero l’imprenditore solo se: – la società fosse così piccola da rientrare come “minore” (concordato minore/liquidazione controllata), – oppure se l’imprenditore in proprio (o i garanti persone fisiche) volessero sistemare la propria posizione personale.

Per un approfondimento completo, ecco una tabella di raffronto tra le principali procedure concorsuali giudiziali:

ProceduraSoggetti ammessiCaratteristicheEsito per l’impresa/debitore
Concordato preventivo (ordinario)Imprese soggette a fallimento (incluse S.r.l.) in stato di crisi o insolvenza (anche imminente).– Proposta del debitore ai creditori per ristrutturare debiti o liquidare patrimonio, sotto controllo del tribunale.<br>– Necessario voto dei creditori (maggioranze richieste).<br>– Possibilità di continuità aziendale o di cessione dei beni.<br>– Nomina di un Commissario Giudiziale di vigilanza.<br>– Sospensione delle azioni esecutive individuali durante la procedura.Se omologato: l’impresa evita la dichiarazione di fallimento. In caso di continuità, prosegue l’attività secondo il piano; in caso di liquidazione, i beni sono venduti e la società poi si estingue.<br>I debiti restano estinti nei limiti delle percentuali pagate; l’impresa/debitore è liberato residualmente (salvo obblighi verso eventuali garanti per la parte tagliata).
Concordato “semplificato” per liquidazione (post-composizione negoziata)Imprese che abbiano tentato la composizione negoziata senza trovare accordo.– Proposta unilaterale del debitore per cedere/realizzare i propri beni a beneficio dei creditori, senza votazione degli stessi.<br>– Viene nominato un commissario e il tribunale valuta direttamente l’equità della proposta per i creditori.<br>– Procedura introdotta nel 2021 e confermata nel CCII (artt. 25-sexies e ss.).Se omologato dal tribunale: si procede alla liquidazione dei beni sotto controllo del commissario/curatore.<br>La società viene poi cancellata. Il vantaggio per il debitore è di evitare il fallimento e chiudere in modo più rapido e “indolore” la vicenda, con riduzione dei costi e senza istruttoria prefallimentare. I creditori ricevono il ricavato secondo la proposta (di solito poco differente da quanto avrebbero in fallimento, ma risparmiando tempo).
Liquidazione giudiziale (ex fallimento)Imprese soggette a fallimento, in stato di insolvenza accertato dal tribunale. (Non accessibile volontariamente dal debitore, ma dichiarata su istanza di creditori o d’ufficio).– Spossessamento dell’imprenditore: gestione affidata al Curatore.<br>– Formazione stato passivo (accertamento crediti) avanti al Giudice Delegato.<br>– Liquidazione di tutti i cespiti secondo un programma approvato.<br>– Distribuzione del ricavato ai creditori secondo l’ordine dei privilegi.<br>– Possibile esercizio provvisorio se azienda ha prospettive di cessione in blocco.<br>– Durata variabile (spesso alcuni anni, max ~5 anni salvo proroghe per complessità).L’impresa cessa di esistere al termine (cancellazione registro imprese).<br>Per l’imprenditore persona fisica, possibilità di esdebitazione (liberazione dai debiti residui) dopo la chiusura, se meritevole.<br>Per gli amministratori/soci di società fallita: possibili azioni di responsabilità e conseguenze penali se emerse irregolarità (bancarotta, ecc.).<br>I creditori incassano le somme liquidate pro-quota; eventuali crediti insoddisfatti restano inesigibili verso la società (ma non verso eventuali coobbligati).
Concordato minore (procedura da sovraindebitamento)Debitori non fallibili (imprese minori, enti non commerciali, start-up innovative) in crisi/insolvenza.– Molto simile al concordato preventivo ma con alcune semplificazioni procedurali.<br>– Richiede voto dei creditori (maggioranza del totale crediti ammessi, salvo classi se previste).<br>– Nomina OCC (Organismo Composizione Crisi) o ausiliario.<br>– Necessaria convenienza per i creditori rispetto alla liquidazione controllata.Se omologato: effetti analoghi a concordato preventivo, con esdebitazione finale del debitore persona fisica per i debiti non soddisfatti se adempie il piano.<br>Se liquidatorio, comporta cessazione attività dell’imprenditore.<br>Se in continuità, piccolo piano di risanamento monitorato dall’OCC.
Liquidazione controllata (sovraindebitamento)Debitori non soggetti a liquidazione giudiziale (consumatori, imprese minori, ecc.) insolventi. Può accedervi anche il debitore sovraindebitato persona fisica volontariamente.– Simile alla liquidazione giudiziale: nomina di un Liquidatore (spesso l’OCC) che gestisce e liquida l’attivo.<br>– Procedura semplificata e più snella rispetto al fallimento classico.<br>– Possibilità di esdebitazione al termine anche se creditori non sono stati soddisfatti integralmente (o per nulla, nel caso del “debitore incapiente”).Debitore persona fisica: a fine liquidazione, se ha cooperato, può ottenere cancellazione dei debiti residui (fresh start), con eventuale esclusione di debiti verso mantenimenti, etc.<br>Impresa minore: viene cancellata; soci non rispondono oltre conferimenti (salvo garanzie personali).<br>I creditori ricevono il riparto derivante dalla liquidazione, spesso modesto vista la piccola dimensione del patrimonio liquidato.

Come si vede, le procedure concorsuali sono varie e calibrate a seconda della dimensione e natura del debitore. La nostra azienda, essendo una S.r.l. commerciale presumibilmente non minore, ricadrebbe nel ventaglio concordato preventivo / liquidazione giudiziale per le soluzioni giudiziali. L’obiettivo del debitore è quasi sempre di preferire il concordato alla liquidazione giudiziale: il concordato è un approccio più consensuale e può consentire di salvare l’azienda (o parti di essa) e limitare le responsabilità (ad esempio, in caso di concordato l’imprenditore non è considerato “fallito”, con meno stigma e conseguenze anche reputazionali).

Tuttavia, se l’azienda è decotta (cioè senza alcuna prospettiva di risanamento) e priva di risorse per proporre un concordato serio, la liquidazione giudiziale rimane l’esito obbligato. In tal caso, l’attenzione del debitore si sposta sulla gestione della procedura fallimentare (collaborare con il curatore, evitare condotte che possano aggravare la propria posizione personale, ecc.) e sull’eventuale esdebitazione post-fallimentare come chance di ripartenza.

Profili penali nella gestione di un’azienda indebitata

Uno degli aspetti da non trascurare per un imprenditore in crisi sono le possibili conseguenze penali legate sia alla condotta tenuta durante la vita dell’azienda (specie nella fase di insolvenza) sia a specifiche violazioni finanziarie. Affrontiamo i principali ambiti di rischio penale:

Reati fallimentari (bancarotta e altri illeciti concorsuali)

I cosiddetti reati fallimentari tradizionalmente sorgono in capo all’imprenditore (e/o agli amministratori) quando interviene una dichiarazione di fallimento. Con l’entrata in vigore del Codice della crisi, la “dichiarazione di fallimento” è stata sostituita dalla sentenza che dichiara l’apertura della liquidazione giudiziale; tuttavia, la Cassazione penale ha confermato che questa rimane a tutti gli effetti la condizione perché si configurino i reati di bancarotta: in pratica, cambia il nome ma “l’elemento comune […] è l’accertamento giudiziale dello stato di insolvenza” . Dunque, se la nostra S.r.l. dovesse finire in liquidazione giudiziale, gli amministratori e chi ha agito in suo nome potrebbero essere chiamati a rispondere di vari reati commessi prima o durante la procedura.

I principali reati concorsuali sono disciplinati nel Titolo IX del CCII (che di fatto ricalca gli articoli storici della legge fallimentare): – Bancarotta fraudolenta (patrimoniale e documentale, art. 322 CCII): punisce con reclusione da 3 a 10 anni l’imprenditore dichiarato in liquidazione giudiziale che ha distratto, occultato, dissipato o falsificato beni, ovvero ha dolosamente esposto passività inesistenti (bancarotta fraudolenta patrimoniale), oppure che ha sottratto o falsificato i libri contabili o tenuto le scritture in modo da non rendere ricostruibile il patrimonio e il movimento degli affari (bancarotta fraudolenta documentale) . È il reato più grave e emblematico: mira a sanzionare chi, in previsione del fallimento o durante la procedura, occulta attivi o carica sul passivo elementi fittizi per frodare i creditori, nonché chi tiene contabilità caotica per nascondere magagne. Esempi pratici: l’amministratore che, vedendo avvicinarsi il crac, svuota il magazzino vendendo “fuori cassa” beni aziendali e tenendosi il ricavato commette distrazione; oppure chi regala beni a un’altra società di famiglia (operazioni a valori sproporzionati) per sottrarli ai creditori; o ancora chi “brucia i libri” o altera le fatture per non far capire dove siano finiti i soldi. Tutte queste condotte integrano bancarotta fraudolenta. Anche pagamenti preferenziali a certi creditori di nascosto potrebbero qualificare come distrazioni se fatti con dolo di favorire qualcuno a scapito di altri. – Bancarotta semplice (art. 324 CCII, ex art. 217 L.F.): punisce con pena più bassa (reclusione fino a 2 anni, salvo aggravanti) l’imprenditore dichiarato fallito che ha aggravato per colpa il dissesto. Ad esempio, se ha sostenuto spese personali eccessive durante la crisi, o ha consumato notevole parte del patrimonio in operazioni azzardate, o non ha tenuto i libri (ma senza dolo di frode). È una fattispecie più lieve, dove basta la colpa grave. Se l’imprenditore non ha fatto nulla di fraudolento ma è stato imprudente o negligente nella gestione portando l’azienda al crack, può essere accusato di bancarotta semplice. – Preferenze illecite: la vecchia “bancarotta preferenziale” (art. 323 CCII) punisce l’imprenditore che, prima o durante la procedura, favorisce taluni creditori a scapito di altri pagando o garantendo qualcuno sapendo dello stato di insolvenza. Ad esempio, un amministratore che poco prima del fallimento paga integralmente un fornitore amico e lascia impagati tutti gli altri compie un atto di preferenza. Questo è reato (punito come la semplice se senza frode). – Altri reati: il Codice prevede anche il reato di ricorso abusivo al credito (art. 325 CCII) se l’imprenditore ha continuato a prendere finanziamenti ingannando i creditori sulla solvibilità già compromessa; il reato di mancata consegna di beni o scritture al curatore (art. 327 CCII); la punibilità di atti compiuti dai soggetti diversi dall’imprenditore (ad es. direttori generali, liquidatori, membri del CdA) e anche dei garanti o finanziatori esterni che abbiano concorso nelle condotte illecite.

Nel nostro scenario, l’imprenditore che cerca di “difendersi” deve stare attento a non sconfinare in queste condotte. Ad esempio: – Potrebbe essere tentato di spostare scorte o macchinari a un’altra società (magari intestata a parenti) per salvarli dai creditori: ecco, quello sarebbe esattamente il prototipo della distrazione fraudolenta punita come bancarotta fraudolenta patrimoniale . – Oppure, volendo prendere tempo, potrebbe smettere di tenere i libri in ordine: grave errore, perché libri incompleti o confusi = bancarotta documentale, a meno che sia lieve negligenza. – Pagare sotto banco un creditore aggressivo per tenerlo buono, lasciando indietro gli altri? Anche questo, se fatto in stato di insolvenza conclamata, è reato (preferenza).

Nota importante: Se l’imprenditore riesce a evitare il fallimento attraverso un concordato o altra procedura, questi reati non si configurano. La bancarotta nasce solo con la sentenza di liquidazione giudiziale . Ad esempio, se l’azienda accede a un concordato preventivo, anche se in passato vi fossero state distrazioni di denaro, il reato di bancarotta non può essere contestato (non essendoci fallimento). Questo spiega perché a volte imprenditori che sanno di avere “skeletons in the closet” preferiscono tentare disperatamente un concordato: un concordato omologato potrebbe fungere anche da “scudo penale” rispetto a ciò che altrimenti verrebbe a galla in un fallimento. Attenzione però: se durante il concordato emergono fatti di frode ai danni dei creditori (es. bilanci falsi), il concordato può essere revocato e si apre comunque il fallimento con annessi reati.

Il consiglio per l’imprenditore indebitato dal punto di vista penale è chiaro: mantenere la legalità e la trasparenza. Non cedere alla tentazione di “salvare il salvabile” in modo clandestino, perché le probabilità che poi ciò sia scoperto in una procedura sono alte (i curatori e i creditori ficcano il naso ovunque). Meglio agire alla luce del sole, utilizzando le procedure concorsuali, dove c’è la possibilità di salvare l’impresa in modo lecito o almeno di liquidare senza incorrere in sanzioni.

A conferma dell’importanza: la Cassazione (Sez. VI penale) con sentenza n. 1296/2025 ha ribadito che ora il presupposto è la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale e che rimane la continuità di disciplina con l’art. 216 l.f. per la bancarotta fraudolenta . In pratica: cambiano i termini, ma chi fa sparire beni o falsifica conti continua a essere punito severamente, e il fallimento è solo la cornice in cui questi reati vengono valutati.

Reati tributari connessi ai debiti (omessi versamenti)

La crisi di liquidità spesso porta l’imprenditore a non pagare imposte o contributi. Ciò però, oltre alle sanzioni amministrative, può condurre a reati tributari, introdotti dal D.Lgs. 74/2000: – Omesso versamento di IVA (art. 10-ter D.Lgs.74/2000): se l’azienda non versa l’IVA dovuta annualmente (risultante dalla dichiarazione) per un importo superiore a €250.000 per periodo d’imposta, entro la scadenza per il versamento dell’anno successivo, commette reato punito con reclusione da 6 mesi a 2 anni . Ciò significa che se, ad esempio, l’IVA 2024 non versata entro il 27 dicembre 2025 eccede 250k, scatterà il penale. Durante la crisi, può accadere di utilizzare l’IVA incassata per pagare altro: ma attenzione alla soglia. Nota: se il debitore si attiva per rateizzare prima della scadenza del termine di presentazione della dichiarazione annuale IVA, evita la consumazione del reato . – Omesso versamento di ritenute dovute o certificate (art. 10-bis): qui la soglia è di €150.000 di ritenute (tipicamente IRPEF trattenuta su stipendi dei dipendenti o compensi) non versate entro il termine previsto l’anno successivo. Anche questo punito con reclusione fino a 2 anni. Quindi se la società, in crisi, paga gli stipendi ai dipendenti ma non versa le ritenute fiscali operate, accumulando più di 150k in un anno, l’amministratore rischia un procedimento penale. – Omesso versamento di contributi previdenziali: questo è normato da leggi diverse (art. 2 comma 1-bis D.L. 463/1983, come modificato nel 2016). In sintesi, il mancato versamento delle ritenute previdenziali (quota a carico dipendente) oltre €10.000 annui costituisce reato (punibile con reclusione fino a 3 anni o multa fino a 1.032 euro) . Sotto 10k è soggetto a sanzione amministrativa. Dunque, anche pochi mesi di contributi dipendenti non versati possono far superare i 10k (basta avere qualche dipendente), esponendo il datore di lavoro a denuncia penale. – Altri reati fiscali: se l’imprenditore, nel tentativo di evitare il pagamento di imposte, compie atti fraudolenti sui beni, potrebbe incorrere nel reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs.74/2000), punito con reclusione fino a 6 anni. Tipico caso: vendere simulatamente beni dell’azienda a terzi o trasferirli per evitare che l’Erario li pignori. Questo, anche indipendentemente dal fallimento, è reato. – Fatture false e altri delitti: meno pertinenti alla fase di crisi debitoria in sé, ma rileviamo che se per procurarsi liquidità l’azienda emette fatture false (ad esempio per ottenere finanziamenti o rimborsi IVA), ci sono reati specifici (dichiarazione fraudolenta, ecc.).

Difendersi su questo fronte: La migliore strategia è prevenire, ossia non superare le soglie di punibilità. Se la crisi costringe a scegliere cosa pagare, l’imprenditore dovrebbe conoscere questi paletti: ad esempio, piuttosto che non versare IVA per 300k e andare incontro a reato, può cercare di ridurre quell’esposizione magari versandone una parte o chiedendo dilazione (che, come detto, blocca il reato in corso). Per le ritenute e contributi, monitorare strettamente e non oltrepassare i 10k di omesso versamento annuo (magari pagando almeno i contributi dei dipendenti, perché qui la soglia è bassa e l’effetto penale pesante).

Va detto che la giurisprudenza talora ha riconosciuto in casi estremi la crisi di liquidità non colposa come esimente del dolo nei reati omissivi tributari (specie per l’IVA): se l’imprenditore prova che l’omissione è dovuta a circostanze a lui non imputabili, potrebbe escludersi la punibilità. Ma è un’ipotesi residuale e difficile da dimostrare (bisogna provare che non c’era modo di pagare e che l’imprenditore ha privilegiato spese imprescindibili come retribuzioni, etc., in buona fede). Non è una strategia affidabile contare su ciò. Molto meglio è attivarsi per sanare: la legge talora concede cause di non punibilità se si effettua il pagamento integrale del dovuto (con interessi e sanzioni) prima dell’apertura del dibattimento nel processo. Per esempio, per l’omesso versamento IVA, se si paga tutto il debito (anche tardivamente) prima del dibattimento, non c’è punibilità. Quindi, un imprenditore imputato potrebbe cercare di racimolare fondi e pagare per estinguere il reato – ma questo ovviamente è possibile solo se la somma è disponibile; in stati di decozione spesso non lo è.

Conclusione sul penale: Il panorama mostra una chiara linea guida: chi gestisce in modo corretto e trasparente la crisi, evitando favoritismi occulti e non sottraendo asset ai creditori, di solito riesce a evitare l’incriminazione. Viceversa, le furbizie o fughe in avanti (nascondere soldi, pagare selettivamente l’amico, non pagare mai tasse sperando in condoni) preparano il terreno a future accuse. E i reati di bancarotta fraudolenta, in particolare, comportano pene detentive pesanti e l’onta dell’interdizione dai pubblici uffici, etc.

Un imprenditore accorto, sapendo di essere in crisi, documenterà ogni scelta, chiederà magari consulenza legale prima di compiere atti delicati (es. vendere un immobile a un prezzo inferiore – potrebbe configurare distrazione se c’è insolvenza, a meno che il prezzo sia di mercato e serva a pagare i debiti garantiti). Agirà, in sostanza, come se un giorno dovesse giustificare davanti a un giudice ogni sua mossa: “Ho fatto X perché era nell’interesse dei creditori o per salvare l’impresa, non per me stesso”. Se questa giustificazione onesta esiste, difficilmente X sarà reato; se non esiste, probabilmente X era meglio non farlo.

Domande frequenti (FAQ) sulla difesa del debitore in crisi

Per chiarire ulteriormente alcuni dubbi comuni, ecco una serie di domande e risposte dal punto di vista dell’imprenditore debitore:

Q: Un’azienda può continuare ad operare nonostante i molti debiti?
A: Sì, un’impresa in crisi può continuare la propria attività – ed è spesso nell’interesse di tutti che lo faccia, se genera valore – purché ciò avvenga nel rispetto delle norme. Strumenti come il concordato in continuità o la composizione negoziata servono proprio a consentire la prosecuzione dell’attività mentre si ristrutturano i debiti. Tuttavia, se l’azienda è tecnicamente fallita (insolvente senza prospettive) e continua ad operare accumulando ulteriori debiti, gli amministratori rischiano responsabilità per aggravamento del dissesto. Dunque, si può operare durante la crisi ma seguendo un piano di risanamento credibile e sotto supervisione (di un esperto o del tribunale), non in maniera scriteriata.

Q: Un imprenditore di S.r.l. risponde con il suo patrimonio personale dei debiti sociali?
A: In linea di principio no: la S.r.l. è una società a responsabilità limitata, quindi i debiti della società non si estendono automaticamente ai soci o agli amministratori. I soci rischiano al massimo di perdere il capitale investito. Tuttavia, ci sono importanti eccezioni: se un socio ha prestato fideiussioni personali a garanzia di debiti (tipicamente verso banche o fornitori), allora quel socio/garante è obbligato personalmente. Inoltre, gli amministratori possono diventare responsabili personalmente verso i creditori in caso di mala gestio (azione di responsabilità ex art. 2476 c.c. nelle S.r.l.) o se violano i doveri nella fase di crisi (es. continuando l’attività oltre il dovuto, come visto). Infine, i debiti tributari possono ricadere su amministratori/liquidatori se questi, ad esempio, hanno distribuito attivi ai soci senza pagare le imposte dovute (responsabilità ex art. 36 DPR 602/73). In sintesi: la forma societaria protegge i soci in molti casi, ma non protegge dagli effetti di garanzie personali prestate, né dalle conseguenze di atti gestionali illeciti o gravemente negligenti degli amministratori.

Q: Come ci si comporta se un creditore minaccia di portare i libri in tribunale (istanza di fallimento)?
A: La presentazione di un’istanza di fallimento da parte di un creditore è un evento serio. Se l’impresa è effettivamente insolvente e non ha contromisure in atto, il tribunale potrebbe accoglierla. Tuttavia, il debitore ha alcune opzioni di difesa: – Opposizione in sede prefallimentare: presentandosi all’udienza e contestando l’insolvenza (ad esempio provando di aver pagato il creditore istante, o che il credito è contestato, o di avere liquidità sufficiente). – Depositare una domanda di concordato preventivo “in bianco” (ossia con riserva, art. 44 CCII): questo atto genera una sorta di “scudo” immediato, perché quando c’è una domanda di concordato pendente il tribunale di regola sospende la decisione sull’istanza di fallimento. Si ottiene tempo (fino a 60-120 giorni) per presentare un piano concordatario. È una strategia usata spesso per bloccare sul filo di lana un fallimento minacciato. Occorre però poi seguire con un serio piano di concordato. – Composizione negoziata: se non già tentata, potrebbe non bloccare formalmente l’istanza di fallimento, ma il debitore può informare il tribunale che ha avviato la procedura con un esperto e chiedere di differire la decisione sul fallimento in attesa dell’esito delle trattative. Il nuovo Codice incoraggia a privilegiare gli strumenti di risanamento, quindi è possibile ottenerlo, specie se i creditori principali sono favorevoli. In ogni caso, ignorare la minaccia è la scelta peggiore. Bisogna reagire prontamente con supporto legale, mostrando al giudice che esiste un’alternativa valida al fallimento (ad esempio, un piano di concordato in arrivo, o il pagamento del creditore istante, etc.).

Q: È possibile uscire “puliti” dai debiti e ripartire da zero?
A: Sì, l’ordinamento prevede meccanismi di esdebitazione che permettono a una persona onesta ma sfortunata di ripartire senza l’eterno fardello dei debiti. Per le società, essendo entità giuridiche, il discorso non si pone: una volta liquidate, i debiti insoddisfatti restano e i creditori li cancellano (non c’è persona fisica dietro che debba pagare, salvo garanzie personali). Per le persone fisiche (imprenditori individuali, soci illimitatamente responsabili, o anche i garanti di debiti sociali), invece, c’è la possibilità dell’esdebitazione: – Dopo un fallimento (liquidazione giudiziale) chiuso senza soddisfare tutti i creditori, il fallito persona fisica può chiedere di essere esdebitato dal tribunale (cioè che i debiti residui vengano cancellati), se ha collaborato, non ha frodato i creditori, e non è un recidivo. Il tribunale, sentiti i creditori, di solito concede l’esdebitazione liberando il debitore. – C’è anche l’esdebitazione del debitore incapiente introdotta di recente: se una persona sovraindebitata non ha nulla da liquidare, può ottenere una cancellazione dei debiti una volta nella vita, a certe condizioni etiche (meritevolezza, non aver contratto debiti con leggerezza, ecc.). Quindi, sì, un imprenditore onesto che però ha visto la sua azienda fallire può ottenere la “pulizia” dei propri debiti personali e ricominciare (ovviamente ricostruendosi la reputazione e rispettando eventuali periodi di inabilità temporanea). Ciò è fondamentale per evitare il fenomeno del “debitore a vita” e allineare l’Italia ai paesi dove il fallimento personale non è la fine di tutto ma un incidente da superare.

Q: La composizione negoziata è pubblica? I clienti e i concorrenti lo verranno a sapere?
A: La procedura di composizione negoziata è riservata: la semplice nomina dell’esperto e lo svolgimento delle trattative non sono resi pubblici. Solo se l’imprenditore richiede le misure protettive, il decreto di concessione viene pubblicato nel registro imprese per portarlo a conoscenza dei terzi . Anche in tal caso, comunque, non si chiama “procedura concorsuale” e potrebbe passare relativamente sotto traccia rispetto a un concordato (che viene pubblicato e notificato ai creditori). Inoltre, la legge vieta espressamente che le banche classifichino automaticamente l’azienda come “deteriorata” solo per il fatto che ha avviato la composizione negoziata . Quindi c’è uno sforzo di mantenerla confidenziale. Certo, se nelle trattative si coinvolgono molti soggetti, qualche notizia può trapelare, ma non c’è un’informativa ufficiale ampia. Questo aspetto di discrezione è proprio uno dei motivi per cui la composizione negoziata può essere preferibile: l’azienda cerca di risolversi i problemi “in casa”, senza che il mercato la etichetti subito come insolvente.

Q: Se l’azienda ottiene un concordato o un accordo omologato, i garanti personali (es. soci fideiussori) sono salvi?
A: Dipende. L’effetto diretto di un concordato o accordo riguarda il debitore principale e i suoi creditori. Se un socio ha prestato fideiussione, quella è un’obbligazione autonoma: in linea di massima, il concordato della società non libera il fideiussore se non è previsto. Tuttavia, spesso nei concordati si prevede che i creditori, accettando la transazione, liberino anche i coobbligati: se lo accettano esplicitamente, allora i garanti sono salvi. Altrimenti, il creditore potrebbe dire: “Ok, società, rinuncio al 30% del credito secondo il concordato, ma mi riservo di prendere il restante dal fideiussore”. Giuridicamente è possibile, perché l’obbligazione del fideiussore si riduce solo se il pagamento parziale avviene con soldi del debitore garantito e il creditore dà quietanza totale; altrimenti, per la parte non soddisfatta, il garante resta obbligato (salvo patto contrario in sede di accordo). Quindi, un socio garante deve stare attento: non basta il concordato della società per liberarlo; dovrebbe coinvolgersi nelle trattative e ottenere una liberatoria espressa. In certi accordi di ristrutturazione, i garanti offrono essi stessi un contributo economico in cambio dell’esonero dalla garanzia. Ad esempio: i soci mettono nuovi fondi nell’azienda per pagare i creditori, e i creditori accettano di liberare le fideiussioni. Se nessuno ne parla, la garanzia rimane e il creditore (anche dopo il concordato) potrebbe inseguire il fideiussore per la differenza condonata alla società.

Q: Quali sono i costi e i tempi di queste soluzioni?
A: I costi variano molto: – Un piano attestato richiede il compenso per l’attestatore e eventuali consulenti, ma non ha costi giudiziari. – La composizione negoziata ha costi ridotti: l’esperto è pagato secondo tariffe modeste (in parte a carico della camera di commercio e in parte dell’impresa, comunque sostenibili), non ci sono contributi unificati elevati da pagare (il Ministero ha fissato un contributo di poche centinaia di euro per l’accesso). – Un accordo di ristrutturazione e un concordato invece implicano costi di giustizia (contributo unificato, spese di pubblicazione) e costi professionali notevoli (attestatore, legali, commercialisti). Un concordato poi comporta anche il pagamento del commissario e del giudice delegato (in misura percentuale sul passivo). Diciamo che un concordato preventivo per una PMI può costare decine di migliaia di euro tra tutte le voci. – La liquidazione giudiziale anch’essa assorbe risorse: il curatore e gli organi della procedura vengono pagati dalla massa attiva recuperata, con percentuali progressive. Se l’attivo è modesto, a volte i creditori chirografari non prendono nulla e quelle risorse vanno a coprire le spese. In termini di tempo: – Un accordo stragiudiziale dipende dalle parti: potrebbe concludersi in pochi mesi se c’è intesa. – Una composizione negoziata è prevista per max 6 mesi rinnovabili fino a 12: l’obbiettivo è di solito definire entro un anno. – Un accordo di ristrutturazione giudiziale può richiedere 6-9 mesi dall’avvio alla omologa (molto dipende da eventuali opposizioni). – Un concordato preventivo, dalla domanda alla omologa, tipicamente va da 6 mesi (nei casi super veloci) a 1-2 anni (se complesso e con contenziosi). – Un fallimento/liquidazione giudiziale storicamente durava 5-7 anni in media; il legislatore sta cercando di ridurre, fissando target di 3-5 anni. Ma se ci sono liti pendenti (azioni legali, ecc.), può restare aperto molto a lungo (si può chiudere la procedura anche con cause non definite, lasciandole ai creditori, come previsto ora).

Dunque, chiaramente le soluzioni negoziali sono più rapide ed economiche, mentre quelle concorsuali giudiziali sono lente e costose – il che è un altro motivo per cui, se possibile, meglio prediligere le prime.

Q: Qual è la gerarchia corretta delle azioni da fare quando mi accorgo che l’azienda è sovraindebitata?
A: Una possibile scaletta di comportamento per un imprenditore-debitore potrebbe essere: 1. Analisi interna immediata: quantificare il debito complessivo, distinguere creditori per importanza e privilegio, valutare la cassa a disposizione, fare cash-flow forecast per capire se l’insolvenza è evitabile o già realtà. 2. Consulenza professionale: rivolgersi subito a un esperto (commercialista, advisor di crisi, avvocato) per avere un check up indipendente e disegnare possibili scenari. 3. Misure tampone: ridurre costi superflui, congelare investimenti non essenziali, ottimizzare magazzino, e soprattutto comunicare con i creditori chiave per tenerli calmi (mostrando che si vuole pagare e magari dando piccole soddisfazioni immediate se possibile). 4. Decidere lo strumento: se appare risanabile -> tentare composizione negoziata o piano attestato; se appare risanabile ma con taglio debiti -> concordato in continuità; se non risanabile ma con attivo sufficiente -> concordato liquidatorio; se proprio disastro -> prepararsi al fallimento ordinato (magari provando concordato semplificato). 5. Attuare il piano scelto: con disciplina e trasparenza. Se si entra in procedura, rispettare le regole, ad esempio nel concordato non disperdere asset, seguire le autorizzazioni; nella comp. negoziata, seguire i consigli dell’esperto. 6. Post-crisi: imparare dagli errori. Se l’azienda sopravvive ristrutturata, mantenere d’ora in poi assetti adeguati per prevenire ricadute. Se purtroppo l’azienda muore e l’imprenditore subisce un fallimento, collaborare pienamente con il curatore (questo può evitare rogne penali e favorire l’esdebitazione) e prepararsi a ripartire con una nuova attività (stavolta con maggior prudenza finanziaria).

Ogni caso è a sé, ma seguire questo schema mentale aiuta a non farsi travolgere dal caos della crisi e a mantenere il controllo (per quanto possibile) degli eventi.

In definitiva, “cosa fare per difendersi” quando un’azienda – come la nostra produttrice di essiccatori – è gravata dai debiti? Riassumendo in pochi punti chiave: – Conosci la tua posizione: quanti debiti, con chi, quali scadenze, quali garanzie? Mappa i pericoli immediati (pignoramenti, istanze di fallimento, ecc.). – Non perdere tempo: prima ti muovi (attivando procedure di soluzione della crisi), più chance hai di salvare l’impresa o comunque di gestire la chiusura dignitosamente. La normativa attuale premia chi agisce tempestivamente e punisce chi fa lo struzzo. – Proteggi il core business: se l’azienda ha un nucleo sano (clienti, know-how), valuta misure per salvare quello – ad esempio la continuità aziendale – anche a costo di sacrificare parte del patrimonio (liquidando beni non strategici per pagare debiti). – Usa gli strumenti legali a tuo favore: le leggi italiane offrono una cassetta degli attrezzi ben fornita (concordati, accordi, composizione negoziata, sovraindebitamento). Non aspettare che siano i creditori a portarti in tribunale; prendi tu l’iniziativa scegliendo lo strumento che meglio si adatta al tuo caso. – Trasparenza e buona fede: con creditori, tribunale, esperti. Ammetti i problemi, presentati come uno che vuole trovare soluzioni e non fregare il prossimo. Questa attitudine paga: i giudici saranno più inclini a dare misure protettive e termini, i creditori più disposti a trattare, e in caso di rovina totale, almeno ti risparmierai la gogna penale.

Difendersi dai debiti non significa evitare di pagarli a ogni costo, bensì gestirli in modo intelligente e legale per minimizzare le conseguenze negative per l’impresa e per l’imprenditore stesso. Non tutte le imprese in crisi ce la fanno, ma quelle che ce la fanno di solito avevano un piano, hanno chiesto aiuto e hanno usato bene gli strumenti giuridici disponibili.

Fonti normative e giurisprudenziali (agg. 2025)

  • Codice Civile (artt. 2086, 2446-2447, 2484, 2486, 2476 c.c.): Dovere di adeguati assetti e gestione conservativa in caso di crisi; obblighi degli amministratori in presenza di perdite rilevanti; responsabilità verso la società e verso i creditori. Cfr. Cass. civ. Sez. I, 08/03/2023, n. 6893 (Massima: responsabilità ex art. 2486 c.c. per atti compiuti dopo causa di scioglimento) .
  • D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), come modif. dai D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83, D.Lgs. 15 luglio 2022 n. 85, D.Lgs. 13 ottobre 2022 n. 149, e D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (terzo correttivo) . Parti rilevanti:
  • art. 2 (definizioni di impresa minore etc.),
  • artt. 12-25 (Composizione negoziata della crisi) ,
  • art. 25-sexies e segg. (Concordato semplificato per liquidazione) ,
  • artt. 56-64 (Piani attestati di risanamento e Accordi di ristrutturazione, incl. efficacia estesa) ,
  • artt. 65-83 (Procedure di sovraindebitamento: Piano del consumatore, Concordato minore, Liquidazione controllata) ,
  • artt. 84-120 (Concordato preventivo e in continuità) ,
  • art. 120-bis (Accesso alle procedure di regolazione della crisi deciso dagli amministratori, tutela contro revoca) ,
  • art. 166 (Esenzioni da revocatoria per atti in esecuzione concordati, computo periodo sospetto) ,
  • artt. 189 e 190 (rapporti di lavoro nel fallimento, semplificazioni) ,
  • artt. 324-341 (Disposizioni penali: Bancarotta fraudolenta, semplice, ricorso abusivo al credito etc.). Vedi Studio Previti, commento a Cass. Pen. Sez. VI, 13/01/2025, n. 1296 (conferma continuità art. 322 CCII con vecchio art. 216 L.F. sulla bancarotta fraudolenta) .
  • Cassazione civile – sentenze recenti su crisi d’impresa e responsabilità:
  • Cass., Sez. I, 1 settembre 2023 n. 25631: onere della prova nell’azione di responsabilità contro amministratori di S.r.l. ex art. 2476 c.c. – la società deve provare il danno e allegare le violazioni, l’amministratore deve provare di aver agito diligentemente .
  • Cass., Sez. I, 08 marzo 2023 n. 6893: responsabilità ex art. 2486 c.c. degli amministratori di S.r.l. verso i creditori sociali per aver proseguito attività aggravando il dissesto dopo il verificarsi di causa di scioglimento .
  • Cass., Sez. V Penale, 27 novembre 2023 n. 32790: in tema di responsabilità personale per debiti tributari società – interpretazione dell’art. 36 DPR 602/73 (gli amministratori/liquidatori rispondono se violano l’obbligo di pagare le imposte dovute prima di distribuire attivo ai soci) .
  • Legge fallimentare 1942 (RD 267/1942)(abrogata salvo disposizioni penali transitorie): per riferimento storico ai concetti di bancarotta fraudolenta (art. 216 L.F.), bancarotta semplice (217 L.F.), ecc., ora trasfusi negli artt. 322-323-324 CCII. Cfr. Cass. Pen. VI, 13/01/2025 n.1296: “la riforma del Codice della crisi non ha inciso sulla struttura dei reati fallimentari, sussistendo continuità normativa con la previgente disciplina” .
  • Legge 27 gennaio 2012, n. 3 (sovraindebitamento) – ora abrogata e confluita nel CCII, ma rilevante per giurisprudenza formatasi: ad es. meritevolezza del debitore civile, ecc. (Articoli di riferimento: piano del consumatore, accordo dei debiti, liquidazione patrimonio, esdebitazione del debitore incapiente introdotta dall’art. 14-quaterdecies L.3/2012 come modif. da D.L. 137/2020).
  • D.L. 118/2021 conv. in L. 147/2021 – Introduzione urgente della Composizione Negoziata. Rilevanti le Linee guida CNDCEC e il Decreto Dirigenziale Min. Giustizia 28/09/2021 sull’implementazione. Vedi definizione di composizione negoziata (Camere di Commercio) .
  • Decreto MEF 2021 – parametri per segnalazione di allerta dei creditori pubblici qualificati (in attuazione art. 25-novies CCII): soglie per IVA, INPS, INAIL da cui scatta obbligo segnalazione .
  • Normativa fiscale e penale tributaria:
  • D.Lgs. 74/2000, art. 10-bis (Omesso versamento ritenute > €150k) e art. 10-ter (Omesso versamento IVA > €250k) .
  • Legge 11/1983 n. 638 art. 2, comma 1-bis (convertito in L. 36/1983, come modif. da D.Lgs. 8/2016): Omesso versamento contributi previdenziali oltre €10.000 annui = reato .
  • D.Lgs. 74/2000, art. 11 (Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte).
  • Cfr. Cass. Pen. unite (sent. n. 37424/2013) – rilevanza del pagamento integrale del debito tributario prima del dibattimento come causa di non punibilità nei reati omissivi tributari.

La tua azienda che produce, assembla o distribuisce essiccatori d’aria compressa, essiccatori a refrigerazione, essiccatori ad adsorbimento, drenaggi, filtri e sistemi di trattamento aria sta affrontando una situazione di debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo

La tua azienda che produce, assembla o distribuisce essiccatori d’aria compressa, essiccatori a refrigerazione, essiccatori ad adsorbimento, drenaggi, filtri e sistemi di trattamento aria sta affrontando una situazione di debiti?
Hai esposizioni verso Agenzia delle Entrate, INPS, banche, fornitori o Agenzia Entrate-Riscossione?
Stai ricevendo solleciti, richieste di rientro, decreti ingiuntivi, sospensioni delle forniture o minacce di pignoramento?

Il settore degli essiccatori è complesso: richiede componenti costosi, gas refrigeranti, scambiatori, valvole, elettronica di controllo, test di funzionamento, certificazioni e continui approvvigionamenti.
Un rallentamento nei pagamenti dei clienti può trasformarsi rapidamente in una crisi di liquidità.

La buona notizia è che la tua azienda può essere salvata, difesa e rimessa in equilibrio se intervieni con una strategia solida e tempestiva.


Perché un’Azienda di Essiccatori Finisce in Debito

I motivi principali includono:

• aumento dei costi di componenti tecnici (compressori, scambiatori, valvole, filtri, gas)
• ritardi nei pagamenti da parte dei clienti industriali
• magazzino immobilizzato tra essiccatori finiti, ricambi e semilavorati
• assistenza tecnica da sostenere prima dell’incasso
• investimenti in strumenti di collaudo, normative e certificazioni
• costi energetici e logistici in crescita
• riduzione o revoca delle linee di credito bancarie
• cicli produttivi lunghi e incassi dilazionati

Il problema non è la mancanza di ordini, ma la mancanza di liquidità immediata.


I Rischi per una Azienda di Essiccatori con Debiti

Se non agisci rapidamente rischi:

• pignoramento dei conti correnti
• blocco degli affidamenti e dei fidi bancari
• stop delle forniture di componenti essenziali
• decreti ingiuntivi, precetti e azioni esecutive
• sequestro del magazzino, degli essiccatori finiti e dei semilavorati
• impossibilità di completare ordini e installazioni
• ritardi nelle consegne e perdita dei clienti più importanti
• rischio concreto di fermo totale dell’attività

Un debito non gestito può paralizzare tutto nel giro di pochi giorni.


Cosa Fare Subito per Difendersi

  1. Bloccare immediatamente i creditori
    Un avvocato specializzato può sospendere pignoramenti, impedire il blocco dei conti correnti, fermare richieste di rientro delle banche e intervenire per evitare che i fornitori interrompano le consegne.
    La priorità è mettere in sicurezza l’azienda.
  2. Analizzare i debiti ed eliminare ciò che non è dovuto
    Spesso tra i debiti compaiono interessi illegittimi, sanzioni calcolate male, importi duplicati, errori della Riscossione, posizioni prescritte e costi bancari eccessivi.
    Una parte consistente del debito può essere cancellata o ridotta.
  3. Ristrutturare i debiti con piani sostenibili
    Strumenti possibili: rateizzazioni fiscali fino a 120 rate, accordi con i fornitori strategici, rinegoziazione dei fidi bancari, sospensioni temporanee dei pagamenti, utilizzo delle definizioni agevolate quando disponibili.
    Obiettivo: recuperare liquidità e non fermare la produzione.
  4. Usare strumenti legali che proteggono l’azienda
    Per debiti elevati puoi utilizzare soluzioni come PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti, accordi di ristrutturazione, concordato minore o, solo come ultima scelta, la liquidazione controllata.
    Questi strumenti bloccano tutti i creditori, sospendono pignoramenti e permettono di pagare solo una parte dei debiti garantendo la continuità operativa.
  5. Proteggere produzione, magazzino e forniture
    Per un’azienda di essiccatori è fondamentale tutelare compressori, filtri, scambiatori, schede elettroniche e gas refrigeranti, mantenere attivi i rapporti con fornitori critici, proteggere macchinari e strumenti di collaudo ed evitare sequestri che bloccherebbero la produzione.
    La produzione deve continuare: è l’unico modo per superare la crisi e recuperare redditività.

Documenti da Consegnare Subito all’Avvocato

• Elenco completo dei debiti commerciali, fiscali e bancari
• Estratti conto bancari
• Estratto di ruolo
• Bilanci e documenti fiscali
• Lista fornitori critici e insoluti
• Inventario del magazzino (essiccatori, ricambi, componenti, semilavorati)
• Atti giudiziari ricevuti
• Ordini aperti e pianificazione della produzione


Tempistiche di Intervento

• Analisi preliminare in 24–72 ore
• Blocco dei creditori in 48 ore – 7 giorni
• Piano di ristrutturazione in 30–90 giorni
• Eventuale procedura giudiziaria in 3–12 mesi
Le misure protettive possono attivarsi già nei primi giorni.


Vantaggi di una Difesa Specializzata

• Stop immediato a pignoramenti e richieste aggressive
• Riduzione rilevante dei debiti
• Protezione del magazzino, dei macchinari e della produzione
• Trattative efficaci con banche e fornitori
• Continuità di produzione e consegne
• Salvaguardia del patrimonio personale dell’imprenditore


Errori da Evitare

• Ignorare solleciti e decreti ingiuntivi
• Fare altri debiti per coprire debiti precedenti
• Pagare un creditore trascurando gli altri
• Lasciare avanzare pignoramenti e atti esecutivi
• Affidarsi a società “miracolose” prive di competenza

Ogni errore peggiora la situazione e aumenta i rischi per l’azienda.


Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

• Analisi completa della posizione debitoria
• Blocco immediato di pignoramenti e pressioni
• Piani di ristrutturazione su misura
• Attivazione di strumenti giudiziari protettivi
• Trattative con banche, fornitori e Riscossione
• Tutela totale dell’azienda e dell’imprenditore


Conclusione

Avere debiti nella tua azienda di essiccatori per aria compressa non significa che devi chiudere. La strategia corretta ti permette di:

• fermare subito i creditori
• ridurre drasticamente i debiti
• proteggere magazzino, materiali e attrezzature
• mantenere la continuità produttiva
• preservare il futuro della tua attività

Il momento per intervenire è adesso.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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