Se gestisci un’azienda che produce, vende, noleggia o ripara compressori industriali, compressori rotativi a vite, compressori a pistoni, compressori oil-free, essiccatori, separatori, serbatoi aria e sistemi completi per aria compressa, e oggi ti ritrovi con debiti fiscali, debiti con Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, la situazione può diventare rapidamente critica per la sopravvivenza dell’attività.
Il settore dei compressori industriali richiede materiali costosi, ricambi specifici, forniture rapide, assistenza tecnica puntuale e contratti di manutenzione continuativi. Per questo un blocco causato dai debiti può fermare installazioni, interrompere manutenzioni e far perdere clienti di grande valore.
La buona notizia è che puoi ancora difenderti, ristrutturare i debiti e proteggere la tua azienda, se agisci subito e in modo strategico.
Perché le aziende di compressori industriali accumulano debiti
Le ragioni più comuni includono:
- costi elevati di motori, viti compressori, filtri, oli, moduli elettrici e ricambi
- rincari dei materiali e della componentistica importata
- pagamenti lenti da parte di industrie e impiantisti
- investimenti necessari in attrezzature, officina e mezzi di assistenza
- ritardi nei versamenti IVA, imposte e contributi INPS
- difficoltà nell’accesso al credito e riduzione dei fidi bancari
- obbligo di mantenere a magazzino pezzi costosi per assistenze urgenti
- fornitori strategici che richiedono pagamenti rapidi
Questi fattori possono portare rapidamente a crisi di liquidità e indebitamento crescente.
Cosa fare subito se la tua azienda è indebitata
Agire immediatamente è fondamentale per evitare il peggioramento della situazione. Ecco i primi passi da intraprendere:
- far esaminare la situazione debitoria da un avvocato specializzato in imprese indebitate
- verificare quali debiti sono corretti, quali sono irregolari o prescritti
- evitare accordi improvvisati o piani di rientro non sostenibili
- richiedere la sospensione immediata di eventuali pignoramenti
- avviare rateizzazioni realmente sostenibili con Agenzia delle Entrate e INPS
- proteggere fornitori critici e ricambi indispensabili
- evitare il blocco del conto corrente o il taglio dei fidi bancari
- valutare strumenti legali per ridurre, ristrutturare o rinegoziare il debito
Una diagnosi professionale permette di capire quali debiti ridurre, sospendere o contestare.
I rischi concreti per un’azienda indebitata
Sottovalutare il problema significa esporsi a rischi gravi:
- pignoramento immediato del conto corrente aziendale
- fermo di mezzi di assistenza, autocarri e attrezzature
- blocco delle forniture di ricambi essenziali (filtri, viti, oli, valvole)
- impossibilità di rispettare contratti di manutenzione programmata
- perdita di clienti industriali e appalti
- crisi di liquidità e mancato pagamento del personale
- danni alla reputazione aziendale
- rischio concreto di chiusura dell’attività
Nel settore dei compressori, anche un giorno di fermo può creare danni enormi ai clienti, con conseguenti penali e rescissioni.
Come un avvocato può aiutarti concretamente
Un avvocato esperto può intervenire tempestivamente per:
- bloccare procedure esecutive e pignoramenti
- ridurre il debito tramite trattative strutturate con creditori pubblici e privati
- ottenere rateizzazioni realmente sostenibili
- contestare debiti irregolari, calcolati male o prescritti
- mediare con banche e fornitori per evitare blocchi alle consegne
- proteggere magazzino, officina e continuità operativa
- stabilizzare la situazione mentre l’azienda ristruttura il debito
- prevenire l’insolvenza e salvare l’impresa
Una strategia professionale può salvare l’azienda anche in condizioni molto critiche.
Come evitare il blocco dell’attività
Per proteggere la continuità aziendale è essenziale:
- intervenire subito, senza rimandare
- evitare negoziazioni senza una strategia definita
- tutelare i fornitori più importanti e i ricambi essenziali
- ristrutturare i debiti prima che scattino pignoramenti
- identificare debiti contestabili o notificati in modo errato
- preservare liquidità per garantire assistenze, manutenzioni e consegne
Così puoi evitare ritardi, penali e perdita di clienti chiave.
Quando rivolgersi a un avvocato
È il momento di farlo se:
- hai ricevuto intimazioni, solleciti o preavvisi di pignoramento
- hai debiti con AE Riscossione, INPS, banche o fornitori
- rischi il blocco del conto corrente aziendale
- la liquidità si sta riducendo velocemente
- hai difficoltà a rispettare pagamenti e scadenze
- vuoi impedire che la crisi sfoci in chiusura
Un avvocato specializzato può bloccare subito le procedure, ristrutturare il debito e proteggere la tua azienda.
Attenzione
Molte aziende non falliscono per i debiti, ma per la mancanza di una strategia tempestiva. Con il supporto giusto puoi ridurre, rinegoziare o eliminare parte dei debiti, evitando il collasso.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in debiti aziendali e difesa di imprese industriali – ti aiuta a proteggere la tua azienda di compressori industriali.
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Introduzione
Un’azienda produttrice di compressori industriali, trovandosi schiacciata dai debiti, ha oggi a disposizione diversi strumenti legali per tentare il salvataggio o almeno gestire la crisi in modo ordinato. Negli ultimi anni l’ordinamento italiano ha rivoluzionato la disciplina delle crisi d’impresa: il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, in vigore dal 2022) ha introdotto procedure più flessibili e preventive, con aggiornamenti significativi fino all’ottobre 2025. Questa guida, pensata dal punto di vista del debitore (imprenditore o società in difficoltà), offre un’analisi avanzata – ma dal taglio pratico e divulgativo – delle possibili soluzioni per un’azienda indebitata. Ci rivolgeremo ad avvocati, imprenditori e privati interessati, utilizzando un linguaggio giuridico chiaro e supportato da fonti normative e giurisprudenziali aggiornate.
Tratteremo strumenti come il piano attestato di risanamento, gli accordi di ristrutturazione (inclusi quelli “agevolati” ed estesi ai sensi del Codice della Crisi ), il concordato preventivo (nelle varianti in continuità aziendale o liquidatorio), il nuovo concordato semplificato introdotto nel 2021-2022 per la liquidazione del patrimonio , e la liquidazione giudiziale (l’ex fallimento). Approfondiremo inoltre la responsabilità personale dell’imprenditore e degli amministratori: dal rischio di “fallimento personale” alle azioni di responsabilità civile verso i creditori, dalle possibili conseguenze penali (reati di bancarotta) alle azioni revocatorie contro atti pregiudizievoli compiuti prima della crisi. Il tutto sarà corredato da tabelle riepilogative, esempi pratici con dati finanziari realistici (riferiti a società di capitali come S.r.l. o S.p.A.) e una sezione finale di Domande e Risposte per chiarire i dubbi più frequenti.
Importante: Agire tempestivamente e nel rispetto delle regole è fondamentale. Le norme attuali impongono all’imprenditore di dotarsi di assetti adeguati per rilevare per tempo la crisi ed evitare che i debiti si aggravino ingiustificatamente. Ignorare la situazione può portare non solo al collasso dell’azienda, ma anche a gravi conseguenze personali (danni risarcitori e sanzioni). Procediamo dunque passo per passo nell’esaminare cosa fare per difendersi e come quando un’azienda di compressori industriali – o qualsiasi impresa – accumula debiti insostenibili.
Valutare la gravità della crisi e obblighi dell’imprenditore
Prima di scegliere uno strumento di risanamento, l’imprenditore deve valutare la gravità della crisi e conoscere i propri obblighi legali in tale frangente. Il Codice della Crisi definisce lo “stato di crisi” come la situazione che rende probabile l’insolvenza, manifestandosi con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi 12 mesi . L’“insolvenza”, invece, è lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori indicativi dell’impossibilità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (in pratica il conclamato default finanziario). Già a livello di “crisi” (ancor prima dell’insolvenza conclamata) il management ha il dovere di attivarsi.
Obblighi di reazione alla perdita di capitale: nelle società di capitali, gli amministratori hanno precisi doveri di intervento se il patrimonio netto scende sotto i minimi legali. Ad esempio, in una S.r.l. la perdita di oltre un terzo del capitale sociale impone di convocare l’assemblea per provvedimenti (riduzione e possibile ricapitalizzazione) ai sensi degli artt. 2482-bis e 2482-ter c.c.; la perdita totale del capitale attiva la causa di scioglimento ex art. 2484 c.c. e l’obbligo di mettere la società in liquidazione formale. Proseguire l’attività nonostante il capitale azzerato o una situazione di dissesto può integrare gestione illecita: la Corte di Cassazione nel 2024 ha ribadito che continuare ad assumere obbligazioni dopo la perdita integrale del capitale sociale costituisce “gestione temeraria” e genera responsabilità personale ex art. 2486 c.c. . In un caso esaminato, gli amministratori avevano continuato l’attività per due esercizi dopo l’azzeramento del capitale, contraendo nuovi debiti bancari e commerciali per centinaia di migliaia di euro: la Suprema Corte ha condannato tali condotte, chiarendo che una volta accertata la perdita del capitale, gli unici atti leciti sono sospendere l’operatività oppure attivare immediatamente gli strumenti di risanamento o la liquidazione . Ogni prosecuzione non giustificata da un concreto piano di risanamento configura un aggravamento colposo (o doloso) del dissesto, con danno pari all’incremento del passivo generato nel periodo e obbligo degli amministratori di risarcirlo.
Adeguati assetti organizzativi: l’art. 2086 c.c., come riformato nel 2019, impone all’imprenditore che opera in forma societaria o collettiva di istituire assetti amministrativi e contabili adeguati alla natura e dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e della continuità aziendale. Ciò significa che la società dovrebbe dotarsi di strumenti di monitoraggio finanziario (indicatori di liquidità, indici di sostenibilità del debito, ecc.) capaci di far emergere squilibri prima che diventino irreversibili. Ad esempio, un calo persistente del Debt Service Coverage Ratio o l’incapacità di far fronte a fornitori e fisco per diversi mesi sono segnali che l’assetto deve saper cogliere per allertare gli amministratori.
Dovere di preservare il patrimonio sociale: dal momento in cui emergono cause di scioglimento o lo stato di insolvenza, gli amministratori sono tenuti a un rigore ancora maggiore. L’art. 2486 c.c. stabilisce che, una volta verificata una causa di scioglimento (incluso il fatto che la società non possa più conseguire l’oggetto sociale, tipicamente per il dissesto), gli amministratori conservano solo i poteri per l’ordinaria amministrazione e rispondono personalmente dei danni causati da atti compiuti oltre tali limiti. In pratica, durante una crisi irreversibile, qualsiasi operazione che aggravi il passivo o diminuisca l’attivo senza valida giustificazione può essere imputata come mala gestio. La giurisprudenza ha elaborato il criterio del danno da prosecuzione abusiva: il danno risarcibile viene spesso quantificato nella differenza tra l’attivo netto al momento in cui si sarebbe dovuto interrompere l’attività e l’attivo netto (o attivo disponibile) al momento dell’effettiva apertura della procedura concorsuale . Ciò sprona l’imprenditore a non “tirare a campare” sperando in miracoli: se non c’è un piano concreto di rilancio, procrastinare l’inevitabile peggiora solo la posizione del debitore (e aumenta il rischio di azioni di responsabilità successivamente).
Ricapitolando, una società di compressori industriali con debiti crescenti deve subito chiedersi: la crisi è temporanea e gestibile con un po’ di respiro finanziario, oppure c’è insolvenza strutturale? Nel primo caso occorre attivare strumenti di allerta interna e negoziare soluzioni con i creditori prima che scadano i pagamenti cruciali. Nel secondo caso (insolvenza conclamata), rimandare l’azione espone a responsabilità. In entrambe le situazioni, il management ha l’onere di agire in modo informato e documentato: ogni decisione andrebbe supportata da analisi e verbali, per dimostrare – se necessario in giudizio – di aver operato con la diligenza richiesta.
Nel prossimo paragrafo passeremo in rassegna gli strumenti legali di regolazione della crisi previsti dalla normativa italiana aggiornata al 2025, con un occhio alla loro logica di funzionamento, ai requisiti e ai vantaggi per il debitore.
Strumenti di regolazione della crisi: panoramica
Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) prevede diversi strumenti di regolazione della crisi, che vanno da soluzioni negoziali e stragiudiziali a vere e proprie procedure concorsuali giudiziali. La scelta dipende dal grado di insolvenza, dalla disponibilità di accordo da parte dei creditori e dall’obiettivo (risanare l’azienda e continuare l’attività, oppure liquidare il patrimonio in modo controllato). Di seguito una panoramica:
- Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII): è un piano di risanamento elaborato privatamente dall’imprenditore, con l’attestazione di un professionista indipendente sulla veridicità dei dati aziendali e sulla fattibilità del piano . Non è una procedura concorsuale, quindi non richiede il voto dei creditori né l’omologazione del tribunale. Si fonda su accordi volontari con i creditori e offre benefici di legge (protezione da azioni revocatorie e da alcuni reati fallimentari) purché rispetti i requisiti normativi . È uno strumento flessibile e riservato, adatto a crisi gestibili fuori dalle aule di tribunale, quando si confida nella collaborazione della maggior parte dei creditori.
- Accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-60 CCII): sono accordi negoziati con una parte rilevante dei creditori (di regola almeno il 60% dei crediti, ma soglia riducibile al 30% per l’accordo agevolato e modulabile al 75% per accordi “ad efficacia estesa” limitatamente a specifiche categorie) . Vengono poi omologati dal tribunale, acquistando efficacia anche verso eventuali creditori estranei che non hanno firmato (entro certi limiti) . Hanno una prima fase negoziale privata e una seconda fase giudiziale di controllo e omologazione. Possono prevedere il blocco delle azioni esecutive su richiesta del debitore, ottenendo misure protettive durante la trattativa . Sono indicati quando serve un accordo formalizzato, con effetti vincolanti, ma il numero di creditori è gestibile e si riesce a raggiungere le percentuali richieste.
- Concordato preventivo (artt. 84 e ss. CCII): è la storica procedura concorsuale attraverso cui l’imprenditore in crisi o insolvente propone un piano ai creditori e lo sottopone al voto di questi e all’approvazione del tribunale. Può essere in continuità (se prevede la prosecuzione dell’attività, direttamente da parte del debitore o mediante cessione/affitto a terzi) oppure liquidatorio (se prevede la cessione o liquidazione integrale del patrimonio). Nel concordato in continuità non è previsto un livello minimo di soddisfacimento dei creditori chirografari, puntando sulla prosecuzione aziendale e la salvaguardia dei posti di lavoro . Nel concordato puramente liquidatorio la legge impone invece alcune soglie: un apporto di risorse esterne che aumenti di almeno il 10% l’attivo disponibile e il pagamento di almeno il 20% dell’ammontare dei crediti chirografari (e dei privilegiati degradati) . Il concordato comporta la sospensione delle azioni esecutive sin dal deposito della domanda (anche “in bianco”) e la nomina di un Commissario Giudiziale. Se approvato a maggioranza e omologato, vincola tutti i creditori anteriori, anche dissenzienti. È lo strumento adatto a crisi più gravi dove serve la protezione del tribunale e la cram-down sui creditori dissenzienti, inclusi quelli pubblici (oggi possibile in parte grazie alle norme sul cram down fiscale, v. oltre).
- Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII): è una procedura concorsuale introdotta nel 2021 come sbocco della composizione negoziata fallita. Consente all’imprenditore di proporre al tribunale un concordato “senza voto dei creditori”, finalizzato alla liquidazione dei beni, se l’esperto indipendente (nella fase di composizione negoziata) dichiara che le trattative con i creditori si sono svolte correttamente ma non hanno avuto esito positivo e che non vi erano soluzioni praticabili alternative . In sostanza è un “concordato liquidatorio d’ufficio”: il piano di liquidazione viene valutato ed eventualmente omologato dal tribunale dopo aver sentito le parti, senza passare per l’assemblea dei creditori. Il giudice nomina un ausiliario (figura analoga a un commissario) per esaminare la proposta ; all’udienza omologativa, se risulta che la proposta rispetta l’ordine delle cause di prelazione, è fattibile e non arreca pregiudizio ai creditori rispetto alla liquidazione giudiziale, assicurando un’utilità a ciascun creditore, il concordato è omologato nonostante l’eventuale dissenso dei creditori . Questo strumento, definito “di ultima istanza” dalla Cassazione , serve a evitare il fallimento quando una soluzione concordata non è stata possibile: di fatto impone ai creditori una liquidazione controllata, potenzialmente più rapida ed efficiente di un fallimento tradizionale. Lo vedremo meglio più avanti.
- Liquidazione giudiziale (artt. 121 e ss. CCII): è il nuovo nome del fallimento. È la procedura concorsuale d’ufficio avviata su istanza di creditori, del debitore o del PM quando l’insolvenza è accertata e nessuna soluzione alternativa è praticabile. Un curatore nominato dal tribunale prende in mano la gestione dell’azienda, che normalmente cessa l’attività (salvo esercizio provvisorio autorizzato in casi eccezionali), liquida tutti i beni e distribuisce il ricavato ai creditori secondo le prelazioni. È una procedura pienamente giudiziale, caratterizzata da tempistiche spesso lunghe e dal fatto che i creditori perdono l’iniziativa individuale (sostituita dall’accertamento del passivo e dal concorso). Per l’imprenditore-debitore rappresenta l’extrema ratio e comporta le conseguenze più gravose: spossessamento dei beni, possibili azioni revocatorie e denunce di bancarotta, nonché – per gli imprenditori individuali – l’annotazione come fallito e le relative incapacità personali (per le società, la società stessa viene dissolta a fine procedura). Dopo la chiusura, tuttavia, sono previste oggi forme di esdebitazione per il debitore persona fisica meritevole, ossia la liberazione dai debiti residui (ne parleremo).
- Composizione negoziata della crisi (artt. 17-25 quinquies CCII): non è una procedura in senso stretto ma un percorso volontario di negoziazione assistita entrato in vigore nel 2021 e confermato dal Codice della Crisi. L’imprenditore in condizioni di squilibrio o di crisi (anche potenziale) può chiedere la nomina di un esperto indipendente tramite la piattaforma telematica delle Camere di Commercio . L’esperto aiuta a facilitare le trattative con i creditori, mantenendo riservata la situazione. Durante la composizione negoziata, l’imprenditore può chiedere misure protettive del patrimonio (sospensione delle azioni esecutive) per un periodo iniziale di 120 giorni, prorogabile . La composizione negoziata non impone di per sé accordi: può sfociare in diversi esiti, tra cui:
- Un accordo stragiudiziale privato con alcuni o tutti i creditori.
- Un contratto di ristrutturazione o una convenzione moratoria (patti bilaterali o plurilaterali di rinvio dei pagamenti).
- L’accesso a uno degli strumenti concorsuali formali (accordo di ristrutturazione omologato o concordato preventivo).
- In caso di esito negativo ma di trattative svolte in buona fede, la possibilità di accedere al concordato semplificato come detto.
La composizione negoziata è uno strumento di allerta precoce e di gestione assistita della crisi, pensato per prevenire il fallimento. I dati dimostrano la sua crescente importanza: nel solo 2024, ad esempio, in Lombardia vi sono state 258 nuove istanze di composizione negoziata, in aumento dell’87% rispetto al 2023 . Complessivamente, da settembre 2021 a fine 2024, 1.723 imprese italiane hanno avviato una composizione negoziata, e in circa il 70% dei casi sono state richieste misure protettive per bloccare le azioni dei creditori durante le trattative . Ciò indica che molti imprenditori vedono questa procedura come una reale alternativa al fallimento, da attivare tempestivamente per salvare l’azienda (in Lombardia, nel 2024, grazie alla composizione negoziata 38 imprese sono state risanate, salvaguardando oltre 2.100 posti di lavoro ).
Di seguito useremo come filo conduttore il caso di un’ipotetica Alpha S.r.l., azienda produttrice di compressori industriali, per calare nella pratica questi strumenti. Supponiamo che Alpha S.r.l. abbia accumulato debiti per 5 milioni di euro (2 milioni verso banche, 1 milione verso fornitori, 1 milione verso l’Erario per IVA e tasse non pagate, 1 milione altri debiti vari), a fronte di un attivo composto da impianti industriali (valore stimato 1,5 milioni), magazzino e crediti commerciali (0,5 milioni), e dalla prospettiva di nuove commesse se riesce a ristrutturare. L’azienda ha subito un calo di fatturato del 30% nell’ultimo biennio e ha chiuso l’ultimo esercizio in perdita, erodendo il capitale netto. Vediamo come Alpha potrebbe utilizzare i vari strumenti:
(Nelle sezioni successive, ciascuno strumento verrà approfondito nei dettagli normativi, con riferimenti a casi reali e simulazioni numeriche ispirate al caso Alpha S.r.l.)
Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII)
Il piano attestato di risanamento è uno strumento nato nel 2005 e oggi disciplinato dall’art. 56 del Codice della Crisi . Si tratta essenzialmente di un piano aziendale di risanamento, predisposto unilateralmente dall’imprenditore in difficoltà, con lo scopo di ristrutturare l’indebitamento e riequilibrare la situazione finanziaria dell’impresa . La caratteristica fondamentale è che tale piano deve essere “attestato” da un professionista indipendente, il quale certifica due aspetti cruciali: (a) la veridicità dei dati aziendali esposti nel piano e (b) la fattibilità economica del piano medesimo . In pratica, un esperto esterno (tipicamente un commercialista o revisore con requisiti di indipendenza) esamina bilanci, situazione debitoria, ipotesi di piano industriale e finanziario, e rilascia una relazione di attestazione.
Natura e finalità: Il piano attestato non è soggetto ad alcun controllo o approvazione preventiva da parte del tribunale . Non c’è un procedimento giudiziario né un voto formale dei creditori. È un accordo privatistico, o meglio un insieme di accordi bilaterali tra l’impresa debitrice e i singoli creditori, coordinati da un piano comune. Ciò garantisce flessibilità e riservatezza: si può negoziare con ciascun creditore la ristrutturazione del proprio credito (ad esempio una dilazione, una remissione parziale, una conversione di debito in capitale, ecc.) senza pubblicità, evitando lo stigma di una procedura concorsuale. D’altro canto, l’efficacia del piano dipende interamente dal consenso dei creditori coinvolti: se uno o più creditori chiave rifiutano l’accordo, il piano da solo non può vincolarli. Dunque il piano attestato funziona soprattutto quando c’è un numero relativamente ridotto di creditori e un interesse comune a evitare il fallimento (ad esempio le banche che preferiscono recuperare più lentamente piuttosto che vedere l’azienda fallire, i fornitori disposti a sostenere il cliente strategico, ecc.).
Elementi essenziali del piano: L’art. 56 CCII elenca il contenuto minimo del piano attestato. In particolare, il piano deve avere data certa (esigenza per delimitare gli atti esecutivi successivi), e deve indicare almeno: – La situazione economico-patrimoniale e finanziaria dell’impresa (fotografia aggiornata dei debiti, crediti, cassa, ecc.). – Le cause della crisi e le strategie di risanamento previste (es. taglio costi, dismissione di rami d’azienda improduttivi, aumento di capitale, ristrutturazione del debito, nuove linee di credito). – Le proiezioni economico-finanziarie risultanti dall’attuazione del piano (flussi di cassa attesi, conto economico prospettico, indicatori di sostenibilità). – Gli accordi con i creditori necessari per attuare il piano, in coerenza con gli obiettivi del risanamento . – La relazione di attestazione del professionista indipendente che certifichi veridicità dei dati e fattibilità del piano.
Nel nostro esempio di Alpha S.r.l., potrebbe essere costruito un piano attestato come segue: – Debiti verso banche (€ 2 milioni): accordo per moratoria di 12 mesi e successiva ristrutturazione del debito su 5 anni, con riduzione del tasso d’interesse dal 6% al 3%. Le banche rinunciano a eventuali azioni esecutive immediate e accettano di attendere il piano, confidando nell’attestazione dell’esperto che prevede il ritorno a utili. – Debiti verso fornitori (€ 1 milione): accordo con i principali fornitori strategici per uno stralcio del 20% del dovuto (quindi pagamento del 80% del credito) e pagamento del residuo 80% dilazionato in 24 mesi. In cambio, Alpha S.r.l. garantisce la continuità degli ordini futuri e offre garanzie reali su alcuni macchinari (ad esempio, un macchinario libero da vincoli dato in pegno a garanzia dei nuovi pagamenti). – Debiti fiscali (€ 1 milione): richiesta di dilazione ex art. 19 DPR 602/1973 (agenzia delle Entrate Riscossione) su 6 anni, eventualmente sfruttando le normative emergenziali (se ancora vigenti) o la possibilità offerta dal TUIR di esenzione parziale da tassazione delle sopravvenienze attive se il piano è pubblicato (vedi oltre). Il piano prevede che l’Erario incassi integralmente IVA e ritenute dovute, ma con una rateazione lunga. – Altri debiti (€ 1 milione): eventuali debiti verso società collegate o soci vengono postergati (i soci rinunciano temporaneamente al rimborso finanziamenti soci) e eventuali debiti minori vengono pagati pro-quota in piccola percentuale immediatamente (per evitare che piccoli creditori facciano azioni legali). – Nuove risorse: i soci di Alpha S.r.l. si impegnano a immettere nuovo capitale o finanziamenti per € 300.000, destinati a sostenere il circolante e gli investimenti per migliorare l’efficienza produttiva. Tali risorse costituiscono “finanza esterna” al piano, importante sia per dare credibilità al risanamento sia per ottemperare alle norme fiscali (sopravvenienze attive esenti). – Proiezioni: il piano mostra che, grazie a un taglio costi del 15% (ottenuto razionalizzando i magazzini e riducendo straordinari), e al graduale recupero di mercato, l’EBITDA tornerà positivo dal prossimo esercizio e il DSCR (debt service coverage ratio) tornerà sopra 1 entro 2 anni, consentendo di onorare le nuove scadenze. L’attestatore conferma che i flussi di cassa prospettici sono adeguati a sostenere gli impegni verso i creditori ristrutturati nei 12 mesi successivi e oltre .
Ruolo e responsabilità dell’attestatore: Il professionista indipendente che attesta il piano riveste un ruolo chiave. La sua relazione conferisce credibilità al piano sia agli occhi dei creditori sia ai fini delle tutele di legge. Proprio per questo la legge e i tribunali richiedono rigorosità: l’attestatore deve verificare attentamente i dati contabili e le assunzioni del piano, segnalando rischi ed evidenziando ogni informazione rilevante. False attestazioni o omissioni gravi possono esporlo a responsabilità penali e civili. Ad esempio, la Cassazione Penale ha affermato nel 2023 che l’attestatore che omette dati rilevanti o fa valutazioni gravemente imprudenti può rispondere per falsità nelle attestazioni, analogamente a quanto avviene nel concordato preventivo . Inoltre, le Sezioni Unite civili già nel 2013 (sent. n. 1521/2013) avevano chiarito che l’attestatore è tenuto a un controllo completo e approfondito: ogni carenza informativa può pregiudicare l’efficacia del piano . In sintesi, il debitore deve fornire all’attestatore massima collaborazione e dati veritieri; dal canto suo l’attestatore deve agire con diligenza professionale elevata, perché sul suo giudizio si basano importanti effetti legali.
Effetti legali del piano attestato: Perché mai un imprenditore dovrebbe impegnarsi in questo esercizio e un creditore aderire, se il piano non è un procedimento giudiziario? La convenienza sta nelle “tutele” che l’ordinamento riconosce ai piani attestati, al fine di incoraggiarli come soluzione privata della crisi: – In primo luogo, gli atti e pagamenti compiuti in esecuzione del piano attestato godono di una speciale esenzione dalle azioni revocatorie fallimentari . Ciò significa che, se anche la società in futuro dovesse finire in liquidazione giudiziale (fallimento), il curatore non potrà chiederne la revoca ai sensi dell’art. 166 CCII (che riproduce l’art. 67 co.3 lett. d l.f.). Ad esempio, se nel nostro piano Alpha S.r.l. paga il 50% di un credito a un fornitore come da accordo, quel pagamento non potrà essere revocato come atto preferenziale, a condizione che sia specificamente indicato come esecutivo del piano e che il piano avesse concrete prospettive di successo. Attenzione: l’esenzione non è automatica e incondizionata. La Cassazione ha chiarito che “affinché gli atti esecutivi di un piano attestato siano esenti da revocatoria, il giudice deve valutare ex ante l’idoneità del piano a consentire il risanamento” . Se il piano era manifestamente inetto allo scopo (una sorta di fumus di abuso), gli atti possono perdere la protezione. Ad esempio, Cass. 9743/2022 ha cassato una decisione che considerava intoccabili dei pagamenti solo perché compresi in un piano: i giudici di legittimità hanno preteso un controllo di merito sull’attendibilità del piano stesso . Quindi, il debitore non può “abusare” del piano attestato per blindare atti altrimenti sospetti, inserendoli pro forma in un piano irrealistico . Inoltre, è necessario che gli atti e i pagamenti da proteggere siano specificamente indicati nel piano: un generico riferimento non basta . Nel nostro esempio, la remissione del 20% ai fornitori e la concessione del pegno ai nuovi pagamenti dovrebbero essere elencate puntualmente nel testo del piano per godere dell’esenzione.
- In secondo luogo, il CCII ha previsto anche un’esenzione sul fronte penale: gli atti e pagamenti eseguiti in adempimento del piano attestato non costituiscono reato di bancarotta preferenziale o semplice , se in seguito (malauratamente) l’impresa dovesse fallire. Ad esempio, pagare un fornitore piuttosto che altri, in situazione di dissesto, di norma potrebbe essere contestato come bancarotta preferenziale se poi c’è fallimento; ma se quel pagamento rientrava in un piano attestato volto a risanare, la legge esclude la punibilità (art. 324 CCII). Analogamente, la prosecuzione dell’attività in perdita potrebbe configurare bancarotta semplice per aggravamento del dissesto, ma se era parte di un piano di risanamento credibile attestato, l’amministratore non ne risponde penalmente . Questa protezione penale, introdotta dal Codice della Crisi, è un forte incentivo per l’imprenditore ad adottare soluzioni concordate prima di precipitare nel fallimento.
- Infine, vi è un beneficio fiscale: se il piano attestato viene pubblicato nel Registro delle Imprese, l’eventuale riduzione dei debiti ottenuta non è tassata come sopravvenienza attiva, nei limiti dell’art. 88 comma 4-ter del TUIR . Normalmente, infatti, se un creditore rimette un debito (ad esempio la banca rinuncia a parte del credito), l’importo condonato sarebbe un provento tassabile per l’azienda debitrice. Ma la legge fiscale prevede che nelle ristrutturazioni dei debiti omologate o in piani attestati pubblicati, tale “ricchezza” liberata non venga (in parte) tassata, riducendo l’onere fiscale del risanamento. Nel caso di Alpha, se la pubblicazione del piano è effettuata per usufruire di questo scudo fiscale, i condoni ottenuti (es. il 20% condonato dai fornitori) non aumenteranno l’IRES dovuta dall’azienda, aiutando il risanamento. Nota: la pubblicazione è facoltativa (il piano può restare riservato), ma diventa obbligatoria se si vuole il beneficio fiscale .
Iter pratico: predisporre un piano attestato richiede un intenso lavoro preparatorio: analisi finanziaria, predisposizione del piano industriale, nomina di un attestatore (scelto dall’azienda, ma che deve avere i requisiti di indipendenza di cui all’art. 2, co.1, lett. o CCII), ottenimento delle manifestazioni di assenso dai creditori chiave, stesura della relazione di attestazione. Una volta completato, il piano può (opzionalmente) essere depositato e iscritto nel Registro delle Imprese . Da notare che il deposito non equivale a un controllo giudiziario, serve solo a dare data certa e, come detto, per aspetti fiscali. Alcune prassi suggeriscono che depositare il piano possa anche avere un effetto “tranquillizzante” per eventuali verifiche successive, ma il cuore è l’accordo privato.
Possibili esiti: se il piano attestato ha successo, l’azienda torna in bonis senza mai passare dal tribunale. Ad esempio, Alpha S.r.l. riuscirà a rispettare la nuova tempistica di pagamenti, i creditori incasseranno secondo gli accordi, e l’impresa eviterà il fallimento. Se invece, nonostante il piano, la situazione precipita (ad esempio perché le vendite non riprendono come sperato), l’azienda potrebbe trovarsi insolvente. In tal caso, come anticipato, se verrà dichiarata la liquidazione giudiziale, il curatore dovrà rispettare la protezione per gli atti compiuti in esecuzione del piano (purché il piano non fosse manifestamente fasullo). Tuttavia, attenzione: il piano attestato non blocca individualmente i creditori non aderenti. Se un creditore non partecipe decidesse di agire per vie legali (decreto ingiuntivo, pignoramento) l’azienda non ha la protezione automatica che danno le procedure concorsuali. Per questo spesso il piano attestato è indicato quando praticamente tutti i creditori rilevanti sono d’accordo o comunque disposti ad attendere. Se c’è il rischio di azioni aggressive da qualche creditore estraneo, può essere necessario ricorrere ad un accordo omologato o a un concordato per ottenere una protezione globale (stay delle azioni).
Integrazione con altri strumenti: il piano attestato può talvolta innestarsi in altre procedure. Ad esempio, durante una composizione negoziata, si potrebbe delineare un piano attestato e sottoporlo all’attestatore; oppure un piano attestato può evolvere in un accordo di ristrutturazione se si decide di chiedere l’omologazione in tribunale per sicurezza. Il CCII, infatti, pur disciplinando il piano attestato come strumento a sé, lo include tra gli “strumenti di regolazione della crisi” e prevede la facoltà di pubblicarlo, quasi a metà strada tra il privato e il pubblico.
In sintesi, il piano attestato di risanamento è una soluzione snella e debtor-oriented, costruita su misura dell’impresa in crisi e fondata sulla fiducia: fiducia nell’attestatore indipendente e fiducia reciproca tra debitore e creditori. Quando funziona, consente di evitare l’ingresso in procedure più invasive, preservando il valore aziendale. Nel caso in esame, se Alpha S.r.l. riuscisse a coinvolgere tutte le banche, fornitori principali e il fisco nel piano attestato, potrebbe risanarsi entro pochi anni e tornare competitiva, mantenendo riservatezza sul proprio stato di crisi (cosa importante per non perdere commesse nel frattempo). Diversamente, se alcuni creditori non aderiscono o se la situazione richiede misure più incisive (ad esempio tagli di debito che solo un voto a maggioranza può imporre), allora bisognerà guardare allo strumento successivo: gli accordi di ristrutturazione con omologazione.
Accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-60 CCII)
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (ADR) rappresentano il punto di incontro tra la negoziazione privata e l’intervento del tribunale. La legge li definisce come uno strumento negoziale stragiudiziale soggetto ad omologazione nell’ambito della regolazione della crisi d’impresa . In pratica, l’imprenditore in crisi o insolvente può stipulare un accordo con una parte significativa dei suoi creditori per ristrutturare i debiti e, ottenendo il sigillo di omologazione dal tribunale, rendere l’accordo legalmente efficace e parzialmente vincolante anche verso i creditori non aderenti . Questa “ibridazione” tra contratto e provvedimento giudiziale è il tratto caratteristico degli ADR.
Requisiti di maggioranza: a differenza del piano attestato, qui la legge fissa soglie precise di consensi tra i creditori: – Accordo standard (ordinario): richiede l’adesione di creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali . – Accordo agevolato: introdotto nel CCII, è possibile con adesione minima del 30% dei crediti , ma con alcune limitazioni (non consente di chiedere misure protettive, ad esempio) . Si tratta di una versione “light” pensata forse per facilitare l’accesso a piccole imprese o situazioni specifiche dove però non si vuole o non si ha bisogno di bloccare tutti i creditori estranei. – Accordo a efficacia estesa (esteso): se i creditori aderenti rappresentano almeno il 75% di una certa categoria omogenea (es. il ceto bancario finanziario), l’accordo può essere esteso ai creditori dissenzienti appartenenti a quella stessa categoria . Questo meccanismo (già previsto dall’art. 182-septies l.f. e ora ripreso dal CCII) serve ad evitare che una minoranza di banche o obbligazionisti blocchi la ristrutturazione se la stragrande maggioranza è d’accordo. In pratica, con il 75% di consenso nella categoria, il tribunale può omologare l’accordo vincolandolo anche a chi non ha firmato, purché siano rispettate condizioni di parità di trattamento.
Procedimento di omologazione: come funziona un accordo di ristrutturazione? Vi sono due fasi: 1. Fase negoziale privata: l’imprenditore elabora un piano di ristrutturazione (spesso con l’ausilio di un professionista che redige anche qui una relazione di attestazione sulla fattibilità e sulla capienza dei creditori estranei). Avvia trattative con i creditori presentando proposte di accordo (ad esempio: pagamento parziale del loro credito, oppure dilazione, oppure conversione in strumenti finanziari). Quando ottiene le adesioni necessarie (per iscritto), compila l’accordo definitivo. 2. Fase giudiziale: il debitore deposita in tribunale la domanda di omologazione dell’accordo, allegando il testo dell’accordo firmato e tutta la documentazione (tra cui l’attestazione di un professionista sulla veridicità dei dati e sull’idoneità dell’accordo a assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei nei termini di legge, ex art. 57 CCII). L’azienda può scegliere di depositare una domanda “in bianco” per aprire subito la procedura e ottenere tempo per raccogliere le firme definitive , oppure presentare direttamente l’accordo già sottoscritto. In entrambi i casi, avviene la pubblicazione nel Registro delle Imprese del ricorso per omologazione e dell’accordo . Da quel momento, su richiesta del debitore, scattano le misure protettive: i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore, né ottenere sentenze dichiarative di insolvenza (fallimento) . Questo “scudo” è analogo a quello del concordato preventivo e serve a congelare la situazione mentre si finalizza l’omologazione. Nota: come anticipato, se si tratta di un accordo agevolato (30%), la legge NON consente di richiedere misure protettive , il che è logico perché con consensi così bassi sarebbe iniquo bloccare gli altri creditori.
Il tribunale fissa un termine per eventuali opposizioni: i creditori non aderenti (o altri interessati) possono depositare opposizione entro 30 giorni dalla pubblicazione della domanda . In assenza di opposizioni, o comunque una volta esaminate, il tribunale passa a valutare l’accordo. Se ritiene rispettati i requisiti di legge (soprattutto veridicità dei dati e assicurazione che i creditori estranei vengono pagati almeno quanto avrebbero preso in un fallimento, e integralmente se privilegiati per la parte di privilegio, salvo dilazioni) emette sentenza di omologazione . Da quel momento, l’accordo omologato è vincolante per tutti i creditori coinvolti e produce gli effetti esimenti previsti (anche i creditori estranei sono coinvolti in certi effetti, vedi sotto). Se invece il tribunale nega l’omologa (perché ad es. manca il requisito percentuale o l’accordo è contrario alla legge), su istanza di parte può contestualmente dichiarare l’apertura della liquidazione giudiziale , cioè fallire l’impresa (ciò avviene raramente, di solito se l’accordo era una manovra dilatoria).
Effetti dell’accordo omologato: quali benefici ottiene il debitore con un ADR rispetto a un mero piano attestato? – Sospensione delle azioni individuali: come detto, sin dalla pubblicazione della domanda di omologa, le esecuzioni e i pignoramenti sono sospesi . Questo garantisce respiro all’impresa e par condicio tra i creditori (nessuno può mettersi davanti agli altri mentre l’accordo è in via di definizione). – Vincolatività per i creditori aderenti: ovviamente, i creditori che hanno sottoscritto l’accordo sono vincolati ai nuovi termini (non potranno pretendere oltre quanto previsto dall’accordo omologato né agire esecutivamente, dovendo rispettare le scadenze concordate). – Effetti verso i creditori estranei: pur non essendo una “procedura collettiva” piena come il concordato, l’accordo omologato può avere effetti anche sui non aderenti. In particolare, questi non possono chiedere la risoluzione del contratto o la decadenza dal beneficio del termine per il solo fatto del mancato pagamento di pregresse esposizioni (una tutela implicita), e soprattutto: – Se l’accordo prevede pagamenti differiti dei creditori estranei, il tribunale può omologarlo ugualmente purché costoro siano pagati per intero entro 120 giorni dall’omologa (per i crediti già scaduti) o entro 120 giorni dalla scadenza originaria se successiva (regola mutuata dall’art. 57 CCII). Questo significa che l’accordo può anche includere la dilazione dei creditori non aderenti, purché entro limiti brevi e pagando l’integrale dovuto. – In generale, con l’omologa i creditori estranei non possono più presentare istanze di fallimento né iniziare o proseguire azioni esecutive per i crediti anteriori, a meno che l’accordo non venga meno (per risoluzione o annullamento). L’accordo omologato diventa quindi una sorta di scudo, simile al concordato, sebbene gli estranei conservino formalmente i loro diritti (ma sospesi). – Importante novità: il cram-down fiscale e previdenziale. Dal 2022-2023, il legislatore ha previsto che, qualora il Fisco o gli enti previdenziali non aderiscano all’accordo, il debitore possa comunque chiedere al tribunale di omologarlo forzosamente se sono soddisfatte certe condizioni (art. 63 CCII). In breve, se l’offerta fatta al Fisco/INPS è più conveniente della liquidazione e l’adesione di tali enti sarebbe decisiva per raggiungere le percentuali di legge, il tribunale può omologare l’accordo anche senza il loro consenso . Sono previsti alcuni paletti: ad esempio, l’accordo non deve essere meramente liquidatorio; almeno il 25% degli altri creditori deve aver aderito (oppure, se meno, occorre offrire ad Erario/enti almeno il 40% del loro credito, pagabile in max 10 anni) ; e, naturalmente, va dimostrato che il pagamento proposto al Fisco (ad es. 40% in 6 anni) è più conveniente di quanto il Fisco prenderebbe in un fallimento . Questa possibilità di cram-down del Fisco è stata applicata ad esempio dal Tribunale di Cagliari nell’8 novembre 2024: un accordo che prevedeva il pagamento in 6 anni del 40% dei debiti fiscali e 45% di quelli contributivi (percentuali superiori a quelle stimate in caso di liquidazione giudiziale) è stato omologato nonostante l’opposizione dell’Agenzia delle Entrate . Il tribunale ha valorizzato la salvaguardia della continuità aziendale e dei posti di lavoro, giudicando prevalente l’interesse al risanamento rispetto all’incasso integrale del credito erariale . Questa pronuncia è importante perché dimostra concretamente come un giudice possa forzare la mano agli enti pubblici a beneficio del risanamento, purché il piano sia serio e vantaggioso in ottica comparativa.
- Prededucibilità e protezione dei nuovi finanziamenti: se l’accordo prevede nuovi finanziamenti per l’impresa (spesso necessari per attuare la ristrutturazione), tali finanziamenti – se espressamente menzionati nell’accordo omologato – godono della prededuzione in caso di successivo fallimento (art. 99 CCII) e non sono soggetti a revocatoria. Ciò rassicura banche o soci che apportano liquidità fresh-money durante la ristrutturazione.
Esempio pratico (Beta S.p.A.): consideriamo un’altra azienda, Beta S.p.A., con debiti diffusi ma un buon potenziale industriale. Beta propone un accordo ai creditori in cui: – Le banche (70% dell’esposizione) accettano un refinancing: riceveranno il 80% dei loro crediti in 5 anni, con rinuncia al 20%, e si impegnano a erogare nuove linee di credito per € 500.000 per supportare il capitale circolante. – I fornitori (15% del debito) vengono pagati integralmente ma in 12 mesi, per non compromettere la filiera. – Il Fisco (15% del debito) viene coinvolto in una transazione fiscale: Beta offre il pagamento del 50% dei debiti IVA e contributi in 4 anni, mostrando che in caso di fallimento l’Erario recupererebbe forse solo il 20%. L’adesione del Fisco è determinante per superare il 60%: poniamo che l’AdE non aderisca formalmente. Beta allora chiede al tribunale l’omologazione in cram-down, offrendo evidenze che la proposta è conveniente. – Ottenute le firme delle banche e dei fornitori (che insieme sono l’85% dei crediti), Beta deposita l’accordo. Il tribunale concede misure protettive, bloccando un paio di creditori minori che stavano tentando ingiunzioni. L’Agenzia delle Entrate presenta opposizione sostenendo che 50% in 4 anni è troppo poco, ma Beta dimostra che in fallimento il realizzo sarebbe inferiore. Il tribunale omologa comunque l’accordo ai sensi dell’art. 63 CCII . A questo punto, l’accordo diviene operativo: Beta deve eseguirlo puntualmente. Se Beta non rispetterà le scadenze, i creditori potranno chiederne la risoluzione e a quel punto probabilmente si aprirebbe il fallimento. Ma se Beta segue il piano, in pochi anni uscirà dalla crisi pagando i creditori in base all’accordo.
Differenze rispetto al concordato preventivo: l’accordo di ristrutturazione è più agile e meno stigmatizzante di un concordato. Non c’è un vero voto assembleare, ma solo adesioni individuali (evitando magari dinamiche di massa). Non entra un commissario giudiziale a gestire l’impresa (gli amministratori restano al comando senza dover chiedere autorizzazioni per atti di ordinaria gestione, salvo impegni presi nell’accordo stesso). Non si applicano alcuni rigori propri del concordato – ad esempio, non vi è il requisito del 20% minimo ai chirografari, né l’obbligo di suddividere in classi tutti i creditori. Tuttavia, dal 2022 il confine tra accordi e concordato si è un po’ assottigliato: con la possibilità del cram-down fiscale e di interventi giudiziali, gli ADR somigliano a concordati semplificati per certi versi. Rimane la differenza che nell’ADR non si possono imporre stralci ai creditori non aderenti: questi devono essere pagati integralmente (salvo il cram-down del Fisco che è peculiare). Nel concordato invece si possono crammdownare anche i chirografari estranei con percentuali inferiori al 100%, a maggioranza.
Costi e tempi: un accordo di ristrutturazione comporta comunque dei costi (consulenze legali e finanziarie, attestatore, eventuali perizie per il tribunale) ma in genere inferiori a un concordato complesso. I tempi medi per l’omologa sono piuttosto rapidi se non ci sono opposizioni: la legge prevede una decisione entro 6 mesi dal deposito, ma spesso si conclude prima. Per contro, c’è la fase di trattativa pre-firma che può durare diversi mesi (dipende dal numero di creditori e dall’eterogeneità).
Conclusione sul caso Alpha S.r.l.: se nel piano attestato Alpha non fosse riuscita ad ottenere l’adesione di qualche banca, avrebbe potuto optare per un accordo di ristrutturazione. Ad esempio, con l’adesione del 60% dei crediti (magari banche + principali fornitori), avrebbe potuto chiedere al tribunale di omologare comunque l’accordo e beneficiare dello standstill legale verso gli altri creditori. Questo avrebbe garantito maggiore sicurezza. D’altro canto, il coinvolgimento del tribunale rende tutto pubblico (l’iscrizione al Registro Imprese informa il mercato che l’azienda è in ristrutturazione), con possibili ricadute reputazionali. L’azienda deve valutare questo trade-off.
Se nemmeno un accordo del 60% è fattibile – poniamo che i creditori siano troppi o troppo conflittuali – l’unica strada di salvezza potrebbe essere il concordato preventivo, dove la decisione è a maggioranza e vincola tutti. Ne parliamo nel prossimo paragrafo.
Concordato preventivo (continuità aziendale e liquidatorio)
Il concordato preventivo è la procedura concorsuale giudiziale per eccellenza alla quale l’imprenditore può ricorrere per evitare il fallimento, proponendo ai creditori un soddisfacimento parziale o dilazionato dei loro crediti. Lo chiamiamo “preventivo” perché interviene prima (e in luogo) della liquidazione fallimentare, con l’obiettivo di regolare la crisi in modo concordato. Il concordato è disciplinato dagli artt. 84 e seguenti CCII, che hanno innovato la vecchia legge fallimentare su alcuni punti.
Due anime: continuità vs liquidazione. Il concordato preventivo può presentarsi in due forme principali: – Concordato in continuità aziendale: il piano concordatario prevede che l’attività d’impresa prosegua, in mano allo stesso debitore (continuità diretta) o tramite un diverso soggetto (continuità indiretta, ad esempio cessione dell’azienda o affitto a un assuntore che la gestirà) . La logica è salvare i valori produttivi, i posti di lavoro e generare flussi per pagare i creditori nel tempo. Nel concordato in continuità, infatti, i creditori sono soddisfatti in misura non prevalente dal ricavato prodotto dalla continuazione dell’attività (il resto può venire da realizzo di beni non strategici, finanza esterna, ecc.). Questa forma di concordato è favorita dalla legge: non c’è una percentuale minima di pagamento dei chirografari richiesta e le regole di omologazione consentono maggiore flessibilità nel trattamento differenziato dei crediti, a patto di rispettare la cosiddetta Absolute Priority Rule tra classi sul valore di liquidazione . Ad esempio, se grazie alla continuità i creditori possono sperare in un 40% contro un 20% di scenari liquidatori, il concordato può essere omologato anche se qualche classe vota contro, purché nessuna classe riceva meno di quanto otterrebbe in liquidazione e il surplus sia distribuito in modo equo tra le classi (con eventuali eccezioni per risorse esterne) .
- Concordato liquidatorio: il piano prevede la cessione o liquidazione del patrimonio del debitore (in blocco o in modalità spezzatino) al fine di soddisfare i creditori con il ricavato, senza prosecuzione dell’attività da parte del debitore. In sostanza è un modo per liquidare sotto controllo giudiziario evitando il fallimento e potendo offrire ai creditori magari una percentuale un po’ superiore e tempi più rapidi. La legge però pone condizioni stringenti per ammetterlo, per evitare concordati liquidatori troppo penalizzanti: come già accennato, l’art. 84 CCII impone che la proposta preveda un apporto di risorse esterne pari ad almeno il 10% dell’attivo iniziale e assicuri il pagamento di almeno il 20% ai creditori chirografari . Inoltre, eventuali creditori privilegiati degradati (per incapienza della garanzia) vanno soddisfatti anch’essi almeno al 20% sulla parte non coperta . L’idea è che, mancando una prospettiva di continuità, il debitore debba mettere sul piatto qualcosa in più (spesso dai soci o da terzi) per giustificare la scelta concordataria rispetto al fallimento. Se tali soglie non sono raggiunte, il concordato liquidatorio non è ammissibile, a meno che arrivi comunque il voto favorevole dei creditori chirografari (ma col nuovo Codice, mi pare che abbiano abrogato la possibilità di abbassare il 20% col voto, rendendola regola fissa – infatti l’art. 84 comma 8 e 9 sono stati abrogati nel 2024). Quindi oggi il 20% sembra inderogabile.
Procedimento e voto: L’iter del concordato: – L’imprenditore presenta un ricorso al tribunale con la proposta, il piano dettagliato e tutti i documenti (elenco creditori, attestazione di un professionista indipendente sulla fattibilità del piano ex art. 87, ecc.). Può anche presentare un ricorso con riserva (concordato “in bianco”), ossia chiedere l’ammissione e ottenere tempo (fino a 60-120 giorni) per depositare il piano definitivo . In ogni caso, il ricorso viene pubblicato al Registro Imprese e da quel momento si attivano le misure protettive automatiche: stop ad azioni esecutive e cautelari, impossibilità di iniziare fallimenti, sospensione delle prescrizioni e decadenze . Il tribunale nomina un Commissario Giudiziale, che vigilerà sulla gestione dell’impresa durante la procedura. – Segue la fase di ammissione: il tribunale, esaminati sommariamente i documenti, ammette la società alla procedura e fissa l’adunanza dei creditori (o, con le nuove norme, dispone il voto in forma anche soltanto scritta/telematica entro certi termini senza adunanza fisica). Il Commissario redige una relazione per i creditori. – I creditori vengono suddivisi in classi se i crediti sono differenziati per posizione giuridica o interesse (nel concordato in continuità la classificazione è obbligatoria per legge se ci sono creditori con cause di prelazione parziali, ecc.). Ciascun creditore vota per la propria classe (se c’è classificazione). – Per l’approvazione serve il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Se ci sono classi, è sufficiente che la maggioranza per valore sia raggiunta nel complesso, indipendentemente dall’approvazione di ogni singola classe (qui bisogna considerare l’interazione con le regole di cramdown interclasse: il CCII prevede che ai fini dell’omologazione, se almeno una classe ha votato sì, il tribunale possa omologare anche se altre classi hanno votato no, purché valuti che la proposta non li pregiudica rispetto alla liquidazione e rispetta la priorità – di fatto implementando l’art. 11 della Direttiva UE 2019/1023). Quindi, a differenza della legge fallimentare vecchia, ora non serve più necessariamente l’approvazione della maggioranza in ogni classe, ma basta una classe consenziente e determinate garanzie (per concordati in continuità ciò è molto utile per superare opposizioni di classi dissenzienti). – Dopo il voto, se approvato, si passa all’omologazione da parte del tribunale. I creditori dissenzienti possono fare opposizione. Il tribunale verifica il rispetto della legge: il giudizio di omologazione include controlli di meritevolezza (assenza di atti in frode ai creditori, ad es. distrazioni dolose), fattibilità del piano e convenienza economica per i creditori dissenzienti (devono ricevere almeno quanto riceverebbero in liquidazione giudiziale, la cosiddetta best interest of creditors test). Se tutto è in regola, viene emesso decreto di omologa. In caso di voto negativo (mancanza di maggioranza) o diniego di omologa, il tribunale dichiara il fallimento (ora liquidazione giudiziale) su istanza di parte.
Effetti per il debitore: il concordato è una procedura complessa, ma offre vantaggi unici: – Protezione integrale dal rischio esecutivo e dalle azioni individuali: come visto, dal deposito la società è protetta (moratoria legale). – Conservazione (in continuità) dell’amministrazione sotto sorveglianza: il debitore rimane “in possession” dei beni, cioè continua ad amministrare l’azienda durante la procedura, seppur sotto vigilanza del Commissario e con alcune limitazioni (atti straordinari – es. cedere beni importanti – richiedono autorizzazione del tribunale). Questo permette di portare avanti l’attività e preservare valore. Nel concordato liquidatorio invece spesso si prevede la nomina di un liquidatore giudiziale dopo l’omologazione. – Forzatura delle minoranze: la maggioranza impone la soluzione anche ai contrari. Quindi il debitore può ristrutturare l’indebitamento anche contro il volere di alcuni creditori (cosa impossibile con strumenti stragiudiziali). Ad esempio, se una banca su cinque rifiuta l’accordo, in concordato può essere ugualmente obbligata ad accettare il pagamento parziale se la maggioranza approva. – Trattamento di tutti i crediti anteriori: il concordato coinvolge tutti i creditori chirografari e anche i privilegiati per la parte non coperta dalle garanzie. Consente quindi un fresh start a 360 gradi: al termine, i debiti anteriori sono regolati secondo il piano e il debitore ne è esdebitato (per le società, i crediti residui insoddisfatti restano non azionabili verso la società; per le persone fisiche, questi debiti residui possono essere cancellati tramite esdebitazione). – Possibilità di soluzioni complesse: il piano di concordato può includere operazioni straordinarie: vendita dell’azienda a un assuntore che si accolla i debiti in percentuale, conversione di crediti in equity (il nuovo codice permette proposte di soddisfacimento in natura ai creditori, compresa la partecipazione al capitale sociale del debitore – art. 86), trattamenti differenziati fra classi (ad esempio, mantenere i fornitori strategici pagandoli di più e falcidiare di più i creditori finanziari, se giustificato). Tutto ciò dà flessibilità per cucire addosso all’impresa la soluzione migliore, sempre nel rispetto delle regole di pari trattamento all’interno delle classi e di priorità tra cause di prelazione.
Esempio (Gamma S.r.l. in continuità): immaginiamo Gamma S.r.l., azienda simile ad Alpha ma con uno scenario un po’ più compromesso. Gamma presenta un concordato in continuità: mantiene la produzione di compressori, perché ha ordini importanti da evadere, ma necessita di ridurre il debito. Propone ai creditori chirografari un pagamento del 30% in 5 anni, derivante dai flussi generati dall’attività (stimati in un piano industriale dettagliato). I dipendenti e fornitori strategici saranno pagati al 100% in prededuzione (per continuità), le banche otterranno il 30% su loro crediti chirografari, mentre il Fisco (che ha privilegio su IVA e ritenute) verrà pagato almeno in misura pari al valore di realizzo dei beni su cui insiste il privilegio (spesso zero, se non ci sono beni, quindi potrebbe anche essere falcidiato in parte il privilegio se la legge lo consente – nota: la falcidia dei crediti fiscali privilegiati è ammessa nei limiti in cui il patrimonio altrimenti non copre tutto, come da art. 84 co.5 CCII ). I creditori votano: ipotizziamo che il 70% per valore voti sì e il 30% no (tra questi contrari magari qualche fornitore che preferiva essere pagato interamente). Il tribunale, verificato che i dissenzienti prendono comunque più del valore di liquidazione (che magari sarebbe 10%), omologa il concordato nonostante il dissenso di quella classe, applicando il cramdown interclasse. Gamma esegue il piano, e l’azienda continua l’attività sotto nuova sostenibilità finanziaria.
Esempio (Delta S.p.A. liquidatorio): Delta S.p.A. è invece decotta, senza possibilità di continuare. Presenta un concordato liquidatorio: un investitore terzo (assuntore) si offre di rilevare in blocco i cespiti di Delta pagando 1 milione, da distribuire ai creditori, e in più i soci di Delta mettono 200.000 € di denaro fresco (risorse esterne). L’attivo iniziale di Delta era 5 milioni (ma di valore di realizzo forse 1.2 milioni), quindi l’apporto esterno è di circa il 10% (200k su 1.2M attivo disponibile). Ai chirografari si prospetta un pagamento del 25% (sopra il minimo 20%). Il piano prevede di soddisfare per intero i crediti privilegiati (fino a concorrenza dei beni su cui insistevano) e di ripartire il resto pro quota ai chirografari. I creditori votano, approvano (d’altronde l’alternativa fallimento avrebbe dato 10-15%). Il tribunale omologa. Delta viene liquidata ma non formalmente fallita; a fine procedura, la società sarà cancellata senza debiti residui. I creditori hanno ottenuto il 25% subito invece di attendere anni di fallimento per forse 10%. Il socio investitore ha preso l’azienda senza debiti, potendola rifinanziare liberamente. Questo scenario mostra come un concordato liquidatorio ben congegnato possa convenire a tutti.
Concordato preventivo vs concordato semplificato: vale la pena distinguere il nuovo concordato semplificato (ex art. 25-sexies) di cui abbiamo parlato. Esso è solo liquidatorio e senza voto. Il concordato preventivo standard invece richiede il voto e può essere in continuità. Il semplificato è accessibile solo dopo composizione negoziata fallita, mentre il preventivo tradizionale è sempre accessibile, anche direttamente. Nel concordato semplificato non c’è soglia del 20% ai chirografari per legge – come visto, decide il giudice con equo soddisfo e utilità minima a ciascuno . Nel concordato preventivo liquidatorio invece c’è la soglia del 20%. Insomma, il semplificato è un’ancora di salvezza estrema per evitare il fallimento quando non c’è tempo o modo di ottenere un voto, mentre il concordato preventivo rimane lo strumento principe se si vuole coinvolgere i creditori attivamente ed eventualmente mantenere in vita l’azienda.
Dopo l’omologa: in entrambe le tipologie, una volta omologato il concordato, l’imprenditore deve eseguire fedelmente il piano. Se non lo fa, i creditori possono chiederne la risoluzione giudiziale (basta un inadempimento del 10% di quanto dovuto, art. 118 CCII). La risoluzione porta quasi certamente al fallimento (liquidazione giudiziale) dell’impresa, salvo che questa abbia comunque soddisfatto integralmente i creditori insinuati per allora – cosa rara. In caso di esito positivo, invece, l’azienda prosegue (se in continuità) oppure viene chiusa senza strascichi (se liquidatoria). Per le società, la chiusura della procedura non comporta un’esdebitazione in senso tecnico (la società estinta cessa di esistere e i debiti insoddisfatti rimangono inesigibili per inesistenza del soggetto obbligato). Per l’imprenditore individuale, invece, il concordato aperto a persona fisica prevede che eventuali debiti non soddisfatti restino a carico suo, ma il più delle volte vengono falcidiati dentro al concordato stesso.
In ogni caso, una volta completato un concordato con successo, il debitore ha evitato il fallimento, e questo è un vantaggio enorme anche in termini di reputazione e di limitazione delle responsabilità penali: ad esempio, non si applicano i reati di bancarotta perché la bancarotta presuppone la dichiarazione di fallimento. Gestire la crisi tramite concordato – per quanto oneroso – significa “mettere in sicurezza” l’imprenditore da sanzioni penali tipiche del fallimento (salvo ovviamente reati extra come false comunicazioni sociali, se commessi a monte, che restano perseguibili).
Il caso Alpha S.r.l. revisited: se Alpha, la nostra azienda di compressori, non fosse riuscita né col piano attestato né con un ADR (mettiamo che troppi piccoli creditori iniziavano cause e non aderivano), il concordato preventivo in continuità sarebbe stata la scelta obbligata. Avrebbe presentato un piano, magari trovando un investitore interessato a entrare in società (quest’ultimo potrebbe fungere da assuntore o da socio in aumento di capitale durante il concordato). I creditori avrebbero votato e, dati i numeri ragionevoli, probabilmente avrebbero preferito un 30-40% con azienda viva piuttosto che rischiare un fallimento. Alpha si sarebbe così liberata dal peso dei debiti e avrebbe potuto continuare a operare.
Se invece la situazione fosse disperata, Alpha avrebbe scelto di accedere alla composizione negoziata e, in caso di esito negativo, al concordato semplificato: su quest’ultimo ora spendiamo qualche parola specifica, benché molte caratteristiche le abbiamo anticipate.
Concordato semplificato per la liquidazione (art. 25-sexies CCII)
Il concordato semplificato è una procedura innovativa, introdotta prima in via temporanea dal D.L. 118/2021 (art. 18) e poi stabilizzata nel Codice della Crisi. È riservata alle imprese che hanno tentato senza successo la composizione negoziata della crisi. Lo scopo è offrire un’alternativa veloce al fallimento: una liquidazione del patrimonio concordata e controllata, senza bisogno del voto dei creditori. In sostanza, se l’esperto nominato nella composizione negoziata certifica nella sua relazione finale che le trattative si sono svolte correttamente e in buona fede, ma nessun accordo è stato possibile e nessuna altra soluzione praticabile è emersa, allora l’imprenditore può – entro 60 giorni dalla chiusura di quella fase – presentare una proposta di concordato per cessione dei beni al tribunale .
Le caratteristiche salienti: – Accesso vincolato: serve la relazione finale positiva dell’esperto (sulla correttezza delle trattative e sull’assenza di soluzioni) . Non è dunque liberamente avviabile: bisogna prima aver percorso la strada negoziale. Questo spiega perché è semplificato: si presume che molto del lavoro informativo sia già stato fatto con l’esperto, e che la situazione sia chiara. – Oggetto: solo liquidazione del patrimonio. La legge parla di “proposta di concordato per cessione dei beni” . Quindi niente continuità (se ci fosse prospettiva di continuità, si sarebbe trovata una soluzione in negoziazione magari, o comunque si andrebbe su concordato normale). Tuttavia, la liquidazione può includere la vendita dell’azienda in esercizio: infatti nulla vieta che il piano di liquidazione preveda di vendere l’intera azienda o rami di essa a terzi, così da massimizzare il valore. In tal caso, una certa continuità indiretta avverrebbe, ma fuori dal debitore originario. – Procedura lampo: presentato il ricorso con proposta, piano di liquidazione e documenti (analogo a un ricorso di concordato preventivo), il tribunale non apre alcuna fase di voto ma: – Nomina subito un ausiliario (tipicamente un commercialista o un esperto stimatore) che redige un parere sui presumibili risultati della liquidazione e sulle garanzie offerte . – Fissa direttamente l’udienza di omologazione, dando avviso a tutti i creditori (che ricevono copia della proposta e del piano) . I creditori possono presentare opposizione per iscritto fino a 10 giorni prima dell’udienza . – All’udienza, il tribunale verifica le condizioni e decide se omologare il concordato, emettendo un decreto motivato (esecutivo immediatamente) . – Criteri di omologazione: la soglia fondamentale è che la proposta non deve pregiudicare i creditori rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale e deve assicurare un’utilità a ciascun creditore . In altri termini, il giudice fa un confronto con lo scenario fallimentare: se con il concordato semplificato i creditori stanno uguale o meglio, allora si può approvare, anche se qualcuno è scontento. Inoltre, ogni creditore deve ottenere qualcosa (non possono essercene completamente tagliati fuori senza motivo – la norma dice utilità “specificamente individuata ed economicamente valutabile” per ciascuno, richiamando i concetti generali dei concordati). Viene verificato il rispetto delle cause di prelazione: i privilegiati non possono essere scavalcati, se non nei limiti delle regole concordatarie generali (ad es. applicando art. 84 co.5: ciascun privilegiato deve prendere almeno il valore di realizzo del bene sottostante) . In sintesi, il tribunale fa da surrogato del voto, controllando che nessuno venga trattato peggio di quanto sarebbe in fallimento e che la ripartizione rispetti le priorità. – Assenza di soglie quantitative: contrariamente al concordato preventivo liquidatorio, qui non c’è il requisito legale del 20%. Se la situazione è tale che ai chirografari tocca solo il 5%, ma in fallimento prenderebbero zero, il giudice può comunque omologare, perché non c’è pregiudizio e c’è un’utilità >0 per tutti. Questo rende il concordato semplificato accessibile anche a imprese completamente decotte purché ci sia almeno un piccolo attivo da distribuire (o anche solo benefici indiretti come la cessione di un contratto, ecc., purché appunto ogni creditore abbia qualcosa). – Gestione: durante il procedimento, l’imprenditore rimane di fatto alla guida, assistito dall’ausiliario (che però non gestisce, solo controlla e riferisce). Dopo l’omologa, le attività liquidatorie concrete potrebbero essere svolte dallo stesso ausiliario nominato liquidatore, oppure dal debitore sotto supervisione. La norma (art. 25-septies CCII) detta la disciplina della liquidazione: in buona sostanza, l’ausiliario assume compiti simili a quelli di un curatore per vendere i beni e distribuire il ricavato secondo il piano omologato. Non c’è una fase di accertamento del passivo giudiziale come nel fallimento; si segue l’elenco creditori depositato e corretto dal giudice in sede di omologa. – Impugnazioni limitate: contro il decreto di omologa del concordato semplificato è ammesso reclamo in Corte d’Appello entro 30 giorni e poi ricorso in Cassazione . Non essendoci voto dei creditori, l’unica sede di contestazione per loro è l’opposizione all’omologa e poi l’eventuale reclamo se perdono. Questo snellisce i tempi (non c’è tutta la trafila di approvazione/voto). – Conseguenze penali: omologando un concordato semplificato, anche qui l’impresa evita la dichiarazione di fallimento, quindi l’imprenditore non sarà soggetto ai reati fallimentari per i fatti antecedenti noti. Se però emergessero distrazioni o irregolarità gravi pregresse, potrebbero comunque esserci denunce – ricordiamo che i reati come la sottrazione di beni ai creditori possono essere perseguiti come bancarotta fraudolenta solo se c’è fallimento; in mancanza di fallimento, azioni dolose di spossessamento prima del concordato semplificato potrebbero configurare il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte o di fraudolento danneggiamento dei creditori ex art. 641 c.p. (che però è un reato minore se il fallimento non interviene). In pratica, scegliendo la via concordataria, l’imprenditore limita il rischio penale, purché si sia comportato correttamente durante la negoziazione.
Esempio conclusivo (Epsilon S.r.l. – concordato semplificato): Epsilon S.r.l. è un piccolo produttore di compressori artigianali, indebitato e incapace di proseguire. Tenta la composizione negoziata, ma i creditori chiave (banche e fornitori) non trovano un accordo sulle percentuali. L’esperto dichiara che Epsilon ha trattato in buona fede ma non c’è accordo fattibile. A questo punto Epsilon propone al tribunale un concordato semplificato: l’attivo consiste essenzialmente in un capannone e qualche macchinario, stimati € 300.000; il passivo è € 1.000.000. Propone di vendere tutto tramite l’ausiliario e ripartire il ricavato: ipotizzando che sui € 300.000 lordi, al netto di spese si ricavino € 270.000, prevede di pagare: – I creditori ipotecari sul capannone (la banca) fino a capienza (diciamo c’è un’ipoteca da €500.000, la vendita a 200.000 del capannone paga la banca al 40%). – I dipendenti (privilegiati) integralmente con il ricavato dei macchinari o con parte del ricavato generale. – Gli chirografari (fornitori) ricevono un conguaglio percentuale col residuo, ad esempio il 10% dei loro crediti.
I creditori vengono avvisati. La banca ipotecaria oppone che preferirebbe escutere da sé l’immobile, ma il giudice vede che col concordato prende comunque il valore di mercato (non c’è pregiudizio). I fornitori magari non si oppongono neanche perché 10% è sempre meglio di niente (in fallimento la banca avrebbe preso tutto il ricavato del capannone e a loro non sarebbe rimasto nulla). Il tribunale omologa, considerando che ciascun creditore prende pari o più del valore di liquidazione e tutti ricevono qualcosa. In pochi mesi l’ausiliario liquida i beni (eventualmente utilizzando procedure competitive semplificate) e distribuisce le somme. Epsilon viene poi cancellata. Nessun fallimento, nessun lungo procedimento: tutto concluso velocemente. Certo, i creditori non hanno potuto dire la loro sul piano (lo hanno subito), ma la legge bilancia ciò con il controllo rigoroso del giudice. Questo scenario è proprio quello che la Cassazione ha definito il concordato semplificato come “extrema ratio”: uno strumento residuale, da usare quando non sono praticabili soluzioni diverse . Non a caso la Cass. 9730/2023 ha inquadrato il concordato semplificato come rientrante nelle procedure concorsuali soggette alle regole di competenza territoriale fallimentare, scoraggiando tentativi di forum shopping (es. spostare sede poco prima per approfittare di tribunali ritenuti più benevoli): in quell’ordinanza la Suprema Corte ha ritenuto irrilevante il trasferimento di sede effettuato nell’anno antecedente il deposito del ricorso di concordato semplificato, confermando la competenza del tribunale della sede originaria .
Conclusione sulla scelta degli strumenti: l’imprenditore dovrà valutare attentamente quale strada imboccare, considerando il grado di consenso dei creditori, la fattibilità del risanamento e la necessità di protezione immediata. In genere: – se vi è crisi temporanea e accordo con molti creditori chiave, meglio un piano attestato (più rapido e riservato); – se serve vincolare legalmente e bloccare tutto, un accordo omologato o concordato preventivo in continuità è opportuno; – se la situazione è compromessa ma si vuole evitare il fallimento tradizionale, il concordato (anche semplificato se negoziazione fallita) consente una chiusura più ordinata.
Passiamo ora ad esaminare le responsabilità personali dell’imprenditore in queste vicende: perché scegliere strade concordate conviene anche (e soprattutto) per limitare i danni personali a soci e amministratori.
Responsabilità personale dell’imprenditore e degli amministratori
Quando una società si trova in grave difficoltà finanziaria, non sono in gioco solo i rapporti patrimoniali con i creditori, ma anche le possibili responsabilità personali di chi amministra o possiede l’impresa. È un aspetto cruciale per l’imprenditore (specie se piccolo e coincide magari con l’amministratore unico): capire cosa rischia personalmente in caso di insolvenza dell’azienda e come può difendersi. Affrontiamo i principali profili: responsabilità patrimoniale verso i creditori (azioni di responsabilità civile), responsabilità penale (reati concorsuali e tributari), azioni revocatorie che possono coinvolgere beni personali, e infine il tema del “fallimento personale” e dell’esdebitazione.
Debiti sociali e patrimonio personale del socio/imprenditore
Se l’azienda è esercitata tramite una società di capitali (S.r.l., S.p.A.), vige in generale il principio della autonomia patrimoniale perfetta: la società risponde delle proprie obbligazioni solo con il suo patrimonio (art. 2740 c.c.), e i soci non sono tenuti a ripianare i debiti sociali oltre il capitale sottoscritto. Pertanto, di regola, un socio di S.r.l. o azionista di S.p.A. non può essere costretto a pagare i creditori sociali con i propri beni personali. Questo è uno scudo importante: ad esempio se Alpha S.r.l. fallisse, i creditori non potrebbero aggredire la casa del socio al 50% (salvo eccezioni sotto menzionate). Tuttavia, ci sono situazioni in cui tale limite di responsabilità si assottiglia: – Garanzie personali: molto spesso, specialmente nelle PMI, i soci o amministratori rilasciano fideiussioni personali a favore delle banche o di altri creditori strategici. Ad esempio, il socio unico di una S.r.l. può aver garantito col proprio patrimonio un mutuo bancario della società. In caso di insolvenza della società, la banca escuterà la garanzia, aggredendo i beni personali del fideiussore (casa, conti correnti, stipendio, ecc.). Quindi, anche senza coinvolgere profili di mala gestio, l’imprenditore può trovarsi personalmente debitore per obbligazioni sociali garantite. – Sottocapitalizzazione e confusione patrimoni: se il socio ha di fatto mescolato le finanze personali con quelle sociali (ad esempio prelevando cassa aziendale per scopi privati senza regole, o facendo pagare alla società spese personali), oppure se la società è stata usata come schermo fittizio (un mero alter ego del socio, priva di sostanza economica e usata per frodare creditori), la giurisprudenza può talora “superare la distinzione” e ritenere i soci illimitatamente responsabili. In Italia non esiste una norma generale di piercing the corporate veil come in altri ordinamenti, ma attraverso concetti come l’abuso della personalità giuridica o l’estensione del fallimento ex art. 147 l.f. (in caso di società occultamente di fatto), alcuni casi estremi vedono i soci rispondere dei debiti sociali. Sono situazioni rare, legate in genere a frodi. – Società di persone e ditte individuali: qui ovviamente non c’è scudo, ma vale la pena ricordare che se l’azienda di compressori fosse in forma individuale o in SNC, il titolare/socio risponde con tutti i propri beni dei debiti d’impresa. In caso di fallimento di una ditta individuale, l’imprenditore persona fisica è dichiarato fallito personalmente, e il suo intero patrimonio (inclusi beni personali estranei all’azienda) va ai creditori. Questo è il fallimento personale vero e proprio. Nel caso di società di persone, falliscono anche i soci illimitatamente responsabili, confondendo patrimonio sociale e personale. Dunque scegliere la forma societaria di capitali protegge i soci dal fallimento personale, ma non sempre gli amministratori (anche non soci) sono immuni da conseguenze, come vedremo. – Debiti tributari e previdenziali: qui c’è un aspetto delicato. In linea generale, il debito fiscale è della società. Tuttavia, alcune specifiche fattispecie possono far sorgere una responsabilità personale. Ad esempio: – Omesso versamento di ritenute certificate oltre soglie penalmente rilevanti: è reato penale (art. 10-bis D.Lgs. 74/2000) dell’amministratore e, se condannato, la pretesa erariale può essere aggredita sui suoi beni tramite la sanzione penale pecuniaria. Anche senza entrare nel penale: se il liquidatore di una società distribuisce attivi ai soci lasciando impagati tributi, può essergli richiesto il pagamento fino alla concorrenza dei beni distratti. – Socio unico di S.r.l.: se una S.r.l. unipersonale fallisce e risulta che il socio unico non ha effettuato i conferimenti o ha deciso pagamenti contrari a legge, ci possono essere ipotesi di responsabilità diretta (il codice civile prevede ad es. per la S.r.l. unipersonale l’obbligo di versare interamente i conferimenti, pena responsabilità illimitata del socio per debiti sociali contratti nel periodo di inadempimento all’obbligo pubblicitario di unipersonalità). – Responsabilità del rappresentante legale per sanzioni tributarie: pur in un contesto societario, alcune giurisprudenza ritengono che le sanzioni amministrative tributarie possano, in caso di società cessata, essere addebitate agli amministratori (ma è un tema complesso, qui basti l’idea che se la società muore e non ha pagato sanzioni, il fisco può guardare agli amministratori in certi casi).
In sintesi, dalla prospettiva del debitore, creare una barriera tra patrimonio aziendale e personale è importante. Se la società è in crisi, il titolare dovrà: – Valutare le garanzie personali in essere e, se possibile, negoziare con i creditori garantiti soluzioni che liberino o attenuino la garanzia (ad esempio, spesso nel concordato i fideiussori chiedono di essere liberati in cambio di un miglior trattamento del credito garantito). – Evitare assolutamente di aggravare la confusione patrimoniale: non prelevare beni sociali per salvarli privatamente (sarebbe facilmente revocabile e potenzialmente penale), non pagare preferenzialmente i debiti garantiti dal socio a scapito di altri – almeno non fuori da un piano. – Considerare, se la situazione lo richiede, anche le procedure di sovraindebitamento personali per far fronte ai debiti personali. Infatti, mentre la società di capitali insolvente segue il suo percorso, il socio garante che si trovasse oberato di debiti a titolo personale (fideiussioni escusse, ad esempio) può accedere alle procedure per persona fisica non fallibile: il CCII include la ristrutturazione dei debiti del consumatore o il concordato minore per imprenditori sotto soglia, e la liquidazione controllata per persone sovraindebitate. Ad esempio, il socio di Alpha che avesse garantito i debiti bancari, se la banca escute e lui non è in grado di pagare, potrebbe presentare un piano del consumatore per diluire quel debito residuo, ottenendo magari l’esdebitazione finale.
Azioni di responsabilità civile verso amministratori e organi sociali
Un capitolo amaro per l’imprenditore è la possibile azione di responsabilità esercitata contro di lui (se amministratore) o contro altri amministratori e sindaci dalla curatela fallimentare (o dagli stessi creditori). Quando la società fallisce, il nuovo amministratore (il curatore) ha il dovere di valutare se la precedente gestione abbia commesso irregolarità che hanno danneggiato i creditori. Tipicamente, le contestazioni sono: – Violazione dell’obbligo di conservare il patrimonio sociale (art. 2486 c.c.): come già spiegato, continuare l’attività in presenza di causa di scioglimento senza attivare gli strumenti dovuti può cagionare danni. La Cassazione ha di recente affermato chiaramente che “proseguire l’attività dopo la perdita integrale del capitale integra gestione imprudente, con responsabilità ex art. 2486 c.c.” . In pratica, se l’azienda avrebbe dovuto essere messa in liquidazione nel 2022 e invece l’amministratore ha tirato avanti fino al 2024 aumentando il passivo, dovrà rifondere l’incremento del deficit. I giudici quantificano spesso questo danno come il maggior passivo accumulato o anche l’intero deficit fallimentare se l’insolvenza è aggravata dalle scelte gestionali. – Atti di mala gestio specifici: pagamenti preferenziali, distrazioni di denaro a favore di soci, vendita di beni a prezzo vil, tenuta irregolare dei conti, mancata riscossione di crediti, insomma qualsiasi atto od omissione che abbia leso il patrimonio sociale. Un esempio estremo lo abbiamo visto: il Tribunale di Milano ha condannato nel 2025 un amministratore che aveva distratto attivi (ceduto crediti a titolo gratuito per favorire un amico, e fatto bonifici a sé stesso senza giustificazione) e continuato l’attività con bilanci falsi dopo la perdita del capitale . Il risarcimento superava il mezzo milione di euro, da pagare sul patrimonio personale dell’amministratore . – Violazione di obblighi informativi o di vigilanza: i sindaci o amministratori non operativi potrebbero essere chiamati in causa se hanno omesso di vigilare e denunciare la cattiva gestione. Ad esempio, Cass. 29844/2024 (citata da alcune note) ha affrontato il tema della responsabilità degli amministratori non esecutivi: se questi non intervengono pur avendo percezione di atti dannosi, possono rispondere solidalmente. Anche i sindaci e revisori possono essere citati in solido se la loro omissione di controllo ha permesso il protrarsi di illeciti. – Azione dei creditori sociali (art. 2394 c.c.): oltre all’azione “generale” esercitata dal curatore, in certi casi anche i creditori individuali possono agire contro gli amministratori per atti che hanno pregiudicato il soddisfacimento dei loro crediti (specie se il fallimento non viene dichiarato). Questa azione però in fallimento viene assorbita dal curatore (principio della massa).
Il CCII all’art. 255 prevede espressamente che il curatore (nella liquidazione giudiziale) eserciti tanto l’azione sociale quanto l’azione dei creditori contro amministratori, sindaci e direttori generali. Dunque, in caso di fallimento, l’azione di responsabilità è quasi automatica nelle situazioni di dissesto: il curatore, su mandato dei creditori, cercherà di far valere qualunque condotta gestoria scorretta per raccogliere indennizzi da destinare alla massa. Le assicurazioni D&O (Directors and Officers) spesso coperte dalle società sono infatti attivate di frequente nei fallimenti per ottenere somme transattive.
Per l’imprenditore-amministratore questo significa che, oltre a perdere l’azienda, rischia di trovarsi con un debito enorme personale verso il fallimento. E qui non c’è scudo societario che tenga: se c’è una condotta colposa o dolosa, risponde illimitatamente col proprio patrimonio. Neanche la chiusura della procedura lo salva, perché queste condanne permangono verso la massa (anche se egli persona fisica può chiedere l’esdebitazione per i debiti residui verso la massa, ma non per il debito da azione di responsabilità? – questo è un punto tecnico complesso: l’esdebitazione in teoria copre anche i debiti derivanti da azioni di responsabilità se rimasti insoddisfatti, salvo dolo, ma lasciamo la fine).
Cosa può fare il debitore per mitigare questo? Agire correttamente e tempestivamente. Se l’amministratore: – attiva subito una procedura concorsuale (concordato) quando vede che la continuità non è più sostenibile, – informa correttamente i creditori, – non sottrae beni, anzi magari porta nuova finanza per ridurre il danno, – documenta ogni decisione con verbali, bilanci intermedi e relazioni di esperti,
avrà molte cartucce per difendersi da eventuali accuse postume. Ad esempio, se potrà mostrare che appena emersi i segnali di insolvenza ha depositato un concordato o avviato la negoziazione assistita, difficilmente gli si potrà imputare l’aggravamento del dissesto: ha agito diligentemente provando a regolare la crisi. Anche per questo la normativa enfatizza gli “adeguati assetti” e la tempestività: chi reagisce presto non solo ha più chance di salvare l’impresa, ma riduce il rischio di essere accusato di negligenza grave. Viceversa, il tipico imprenditore che “tira avanti” dissipando risorse nell’illusione di recuperare, senza formalizzare nulla, rischia poi condanne severe come quelle citate (danni da milioni).
Responsabilità penale: reati fallimentari e altri illeciti
Quando la crisi degenera nel fallimento, scatta l’allarme penale: il diritto penale fallimentare punisce da decenni gli amministratori di imprese fallite che abbiano compiuto atti lesivi dei creditori. I principali reati sono: – Bancarotta fraudolenta patrimoniale: se prima o durante il fallimento l’imprenditore (o amministratore) occulta, distrae, dissipa o sottrae beni del patrimonio a danno dei creditori. Ad esempio, vendere macchinari sottocosto a un prestanome, prelevare denaro dalle casse e farlo sparire all’estero, costituire garanzie fittizie a favore di qualcuno, sono tutti comportamenti che integrano bancarotta fraudolenta se poi l’impresa fallisce. La pena prevista è grave (reclusione da 3 a 10 anni) perché è assimilata a una forma di truffa ai creditori. – Bancarotta fraudolenta documentale: se l’amministratore ha falsificato o distrutto in tutto o in parte le scritture contabili, o le ha tenute in modo da non permettere la ricostruzione del patrimonio e del movimento d’affari. Questo è per punire chi cerca di nascondere i misfatti alterando la contabilità. – Bancarotta preferenziale: se, in stato di insolvenza già in essere, l’imprenditore paga o garantisce un creditore a scapito della par condicio, sapendo di favorirlo indebitamente. Ad esempio, pochi giorni prima del fallimento paga integralmente un fornitore amico lasciando gli altri a bocca asciutta. È punita (meno gravemente di quella fraudolenta patrimoniale, ma comunque reato) perché viola il principio di eguaglianza tra creditori in prossimità del concorso. – Bancarotta semplice: ipotesi meno grave (pena massima 2 anni) che colpisce condotte imprudenti o irregolari senza volontà fraudolenta, ad esempio: aver aggravato il dissesto con spese personali eccessive, aver omesso di tenere i libri senza intenti dolosi, oppure aver fatto operazioni manifestamente imprudenti. È un reato contravvenzionale che punisce l’imprenditore per semplice negligenza, in situazioni di dissesto. – Ricorso abusivo al credito: se l’imprenditore ha continuato a ricorrere al credito quando era già consapevole dell’insolvenza, aggravando il buco. Questo rientra in alcune ipotesi di bancarotta semplice o può essere ricondotto a fattispecie di truffa se vi è malizia.
Ora, questi reati presuppongono la dichiarazione di fallimento (liquidazione giudiziale). Se l’impresa evita il fallimento tramite concordato omologato o accordo, tali reati non vengono in essere (non c’è “stato di fallito”). Questo è un potentissimo incentivo per il debitore: gestire la crisi legalmente per evitare di incorrere in fattispecie penali. Inoltre, come visto, la legge esclude che certi atti fatti in esecuzione di un piano attestato o di un concordato possano costituire bancarotta preferenziale o semplice . Ad esempio, se nel corso di un concordato autorizzato dal giudice l’impresa paga dei fornitori per assicurarne la prestazione, non potrà poi venire incriminato per preferenza.
Tuttavia, attenzione: alcuni reati prescindono dal fallimento e possono colpire l’imprenditore anche prima: – Reati tributari: se l’impresa non versa IVA oltre €250k, o non versa ritenute oltre €150k, scatta il reato (artt. 10-ter e 10-bis D.Lgs.74/2000). Il fatto che poi faccia un concordato non estingue automaticamente il reato (a meno che paghi integralmente il debito tributario prima della dichiarazione di apertura del dibattimento penale – esiste causa estintiva col pagamento integrale tardivo). Dunque l’amministratore potrebbe trovarsi imputato per omesso versamento IVA, e la crisi di liquidità non è scusante assoluta (anche se si può invocare la forza maggiore se proprio non c’erano fondi, ma spesso è difficile). – False comunicazioni sociali (falso in bilancio): se negli anni pre-crisi l’amministratore ha truccato i bilanci, gonfiando attivi o mascherando perdite, può essere punibile ex art. 2621 c.c. indipendentemente dal fallimento. Anzi, è frequente che nei crack finanziari emergano bilanci falsi per nascondere la crisi: ciò comporta procedimenti penali a carico dei vertici societari. – Truffa ai creditori o sottrazione fraudolenta (art. 641 c.p. e art. 388 c.p.): se prima ancora di qualsiasi procedura un imprenditore occulta beni per non farli trovare ai creditori, può incorrere nel reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art.11 D.Lgs 74/2000 se lo fa verso il Fisco) o nel 388 c.p. (verso creditori privati) – però queste norme spesso cedono poi il passo alla bancarotta se interviene il fallimento.
Dunque l’imprenditore, per difendersi penalmente, deve: – Evitare comportamenti illeciti: non spostare beni a parenti, non “saccheggiare” l’azienda negli ultimi momenti, non falsificare documenti. La tentazione di mettere in salvo qualcosa per sé porta quasi sicuramente a guai più grossi dopo, e comunque con gli strumenti come piano attestato o concordato si può ottenere che i creditori accettino di lasciare qualcosa all’imprenditore (ad es. concordati che lasciano la prima casa fuori dall’attivo concordatario in certi casi, se i creditori acconsentono – in accordi stragiudiziali spesso i creditori possono accettare di non aggredire un immobile personale come parte dell’intesa, cose impossibili se invece l’imprenditore l’ha venduto di nascosto). – Documentare tutto correttamente: se poi fallisce, poter dimostrare di aver tenuto una contabilità ordinata, consegnare libri e scritture al curatore immediatamente e collaborare pienamente con le autorità. La collaborazione può influire anche su eventuali procedimenti penali (al minimo come attenuante). – Affidarsi ai professionisti e seguire le regole delle procedure concorsuali: ad esempio, nel corso di un concordato, qualsiasi atto straordinario dev’essere autorizzato dal giudice delegato. Se l’imprenditore segue pedissequamente le autorizzazioni (es. vende un bene dopo aver ottenuto il permesso), non potrà mai essere accusato di distrazione. Idem il pagamento di un creditore in concordato se autorizzato rientra in esecuzione di piano e non è reato. Quindi la cornice concorsuale funge da “parapetto legale” per l’imprenditore. – Considerare inoltre che il nuovo Codice prevede cause di non punibilità per chi adotti strumenti di allerta o di composizione prima che sia troppo tardi. Non in senso stretto nel codice penale, ma di fatto un imprenditore che mostri di avere attivato la composizione negoziata e negoziato con trasparenza potrebbe ottenere dagli inquirenti un trattamento più mite, rispetto a chi appare reticente.
Un capitolo a parte meriterebbe la responsabilità penale dei consulenti e attestatori: l’imprenditore deve sincerarsi che i professionisti con cui collabora operino correttamente. Un attestatore compiacente che certifichi cose false può portare a sanzioni penali e vanificare la procedura (esempio: attestazione infedele in concordato è punita e può condurre a revoca dell’omologa). Quindi l’imprenditore serio si circonderà di professionisti seri, per non incorrere in problemi ulteriori.
Azioni revocatorie e tutela del patrimonio
Le azioni revocatorie sono un meccanismo giuridico di protezione della par condicio che consente al curatore fallimentare (o talvolta al singolo creditore in sede ordinaria) di far dichiarare inefficaci certi atti compiuti dal debitore prima della procedura e che hanno pregiudicato i creditori. In parole semplici, il curatore può chiedere di restituire al patrimonio del fallimento pagamenti o beni usciti dal patrimonio poco prima del fallimento, in modo da poterli distribuire equamente a tutti i creditori.
Nel contesto della nostra guida: – Dal lato dell’imprenditore, l’azione revocatoria è una minaccia: transazioni che lui ha fatto in buona fede per cercare di salvarsi potrebbero essere capovolte dal curatore, costringendo i suoi partner (fornitori, banche) a restituire i soldi incassati. Ciò può mettere l’imprenditore in ulteriore difficoltà perché quei partner poi torneranno creditori (magari arrabbiati) nella procedura. – Esempi: l’imprenditore paga il debito a un fornitore 4 mesi prima di fallire per garantirsi forniture. Il curatore potrà revocare quel pagamento (se era non nei termini d’uso commerciale), costringendo il fornitore a restituire la somma alla massa fallimentare. Oppure l’imprenditore costituisce un’ipoteca a favore di una banca su un suo immobile personale a garanzia di un vecchio debito poco prima di iniziare le trattative: se poi fallisce entro 1 anno, quell’ipoteca è revocabile come atto a titolo gratuito o preferenziale. – La legge (artt. 163 e 164 CCII, ex art. 67 l.f.) individua un periodo sospetto prima della procedura durante il quale determinati atti sono revocabili. In generale: – Atti a titolo gratuito (donazioni, regali) compiuti nei due anni antecedenti la procedura: revocabili di regola . – Pagamenti di debiti non ancora scaduti e garanzie (pegno/ipoteca) su debiti preesistenti non garantiti compiuti nei sei mesi o un anno prima: revocabili. Ad esempio, se pago anticipatamente un debito che scade tra 3 mesi, quello è revocabile (perché il creditore ha avuto un vantaggio anormale). – Pagamenti di debiti scaduti fatti con mezzi anormali (non contanti, o con sconto notevole, etc.) nei sei mesi: revocabili. – In generale i pagamenti ordinari fatti alle scadenze normali con mezzi usuali non sono revocati (eccezione per i pagamenti eseguiti in modo regolare). – Atti in frode (per es. vendite simulate a prestanome) possono essere revocati anche oltre questi termini se provato il dolo. – L’imprenditore, per difendersi, dovrebbe quindi evitare in prossimità dell’insolvenza di fare operazioni che poi verrebbero annullate, rivelandosi inutili o dannose. Piuttosto, conviene incanalarle in un piano attestato o accordo, perché: – Gli atti compiuti in esecuzione di un piano attestato pubblicato o di un concordato approvato sono esenti da revocatoria . Abbiamo già parlato di questo scudo: se devo pagare un fornitore essenziale, meglio includerlo in un accordo attestato così il pagamento è protetto . – Durante la composizione negoziata, la legge prevede una protezione parziale: se l’esperto autorizza determinate operazioni urgenti nell’interesse della continuità, tali atti non sono revocabili (art. 20-quater D.L.118/21 ora recepito). Ad esempio, l’esperto può dire: “Sì, paga questo fornitore che fornisce materie prime vitali”; quel pagamento sarà considerato effettuato in un contesto protetto. – Anche in un accordo di ristrutturazione, se ben strutturato, i creditori estranei possono essere messi in stand-by; se poi l’accordo fallisse e si andasse a fallimento, è possibile che i pagamenti fatti sotto la protezione del tribunale (misure protettive) siano difficilmente revocabili, specie se necessari e autorizzati.
Un altro aspetto è proteggere i beni personali. Un imprenditore spesso si preoccupa: “Posso salvare la mia casa da questa situazione?”. Se la casa non è stata data in garanzia e l’imprenditore non è personale obbligato, in caso di fallimento della società la sua casa non è toccata dai creditori sociali. Se invece stiamo parlando dell’imprenditore individuale, la casa andrebbe nei beni liquidabili; tuttavia esiste una norma (art. 283 CCII) che nel sovraindebitamento consente al giudice di escludere la casa di abitazione con modesto valore se ciò non lede i creditori in modo apprezzabile. Nel concordato preventivo, nulla vieta che nel piano si proponga che i creditori chirografari vengano soddisfatti col patrimonio dell’azienda e che il patrimonio personale dell’imprenditore resti fuori, purché ciò sia dichiarato e i creditori lo accettino (per esempio, se i creditori votano a favore sapendo che il socio non mette la casa, implicitamente lo accettano; se non gli sta bene possono opporsi e il tribunale potrebbe non omologare se ritiene la proposta non conveniente).
Molto dipende dalla leva contrattuale: a volte i creditori chiedono sacrifici anche al socio come condizione per accordi (es. mettere ipoteca sulla sua casa come garanzia del piano). L’imprenditore deve valutare cosa rischia di più: se andare in fallimento, dove comunque i beni personali del socio (in S.r.l.) restano fuori ma l’imprenditore può subire azioni di responsabilità, oppure offrire spontaneamente parte del proprio patrimonio per ottenere un accordo migliore e niente azioni di responsabilità (perché i creditori rinunciano se il piano va bene).
Esempio pragmatico: Il socio di Alpha S.r.l. possiede un immobile personale. Nel piano/accordo potrebbe offrirlo in garanzia ipotecaria per i nuovi finanziamenti, oppure venderlo e mettere i proventi a beneficio dei creditori (risorsa esterna). Così facendo, forse convincerà più creditori ad aderire, eviterà il fallimento e quindi anche di essere citato per aver tenuto il piede in due scarpe. Se invece non mette nulla e la società fallisce, i creditori potrebbero dire al curatore: “Attacchiamoci a quel socio, aveva ritirato soldi gli anni scorsi come dividendi mentre ora lascia i debiti a noi”. Insomma, c’è un equilibrio sottile tra proteggere il patrimonio personale e dimostrare buona fede.
Da ultimo, notiamo che le azioni revocatorie possono colpire anche terzi: il curatore agisce contro il terzo che ha ricevuto il pagamento o il bene. Quindi, ad esempio, un familiare che abbia ricevuto in regalo dall’imprenditore un’auto un anno prima del fallimento, potrebbe vedersela revocare (e dover restituire l’auto o il valore). Questo per dire che i “passaggi familiari” in zona di crisi sono da evitare come la peste: i giudici li vedono subito come sospetti e li revocano (se non peggio, li considerano atti distrattivi dolosi con implicazioni penali).
Riassumendo i consigli dal punto di vista del debitore: – Trasparenza e lealtà: affrontare la crisi a viso aperto con i creditori nelle sedi proprie. Qualunque furbizia (pagare di nascosto, spostare beni) sarà probabilmente annullata e peggiorerà la fiducia. – Utilizzare gli strumenti legali (piani, accordi, procedure) che offrono protezioni normative alle operazioni compiute. – Agire per tempo: così da ridurre il numero di atti “sospetti” a ridosso dell’insolvenza. Se l’ultimo anno di gestione è pieno di anomalie, quasi ogni cosa potrà essere attaccata; se invece a un anno dalla crisi già eri in concordato, gli atti che fai sotto l’ombrello concorsuale saranno protetti.
Con questa analisi delle responsabilità e rischi personali, appare evidente che la gestione virtuosa della crisi – con l’ausilio delle normative aggiornate – non solo massimizza le chance di risanamento dell’azienda, ma difende anche l’imprenditore stesso da conseguenze gravissime. Nella sezione seguente, organizzeremo alcuni quesiti ricorrenti (FAQ) per fissare i punti principali in forma di domanda e risposta e fornire un quadro di rapida consultazione.
Domande e Risposte frequenti
D: Quando un’azienda si considera formalmente “in crisi” e quando invece “insolvente”?
R: Si parla di crisi quando l’impresa ha seri indizi di futura insolvenza, ad esempio flussi di cassa prospettici inadeguati a pagare i debiti entro 12 mesi . L’insolvenza è invece l’incapacità già manifesta di adempiere regolarmente alle obbligazioni, evidenziata da inadempimenti e protesti . In pratica: crisi = allarme rosso (probabile insolvenza futura); insolvenza = default attuale. Giuridicamente l’insolvenza conclamata è requisito per aprire il fallimento o il concordato, mentre la crisi (anche prima della insolvenza) permette di accedere ad allerta e composizione negoziata.
D: Quali segnali devono spingere l’imprenditore ad attivarsi?
R: Indicatori come perdite rilevanti che erodono il capitale, cronici ritardi nei pagamenti a fornitori, utilizzo costante di fidi al limite, DSCR sotto 1, insoluti su tasse o stipendi. La legge richiede di attivarsi tempestivamente: obblighi civilistici (2482-bis c.c. se perdite > 1/3 capitale) e dovere generale di non aggravare il dissesto . Se la banca rifiuta rinnovo fidi e minaccia revoca, se l’Erario segnala cartelle esattoriali impagate, è ora di agire (composizione negoziata, consulenza esperto).
D: Qual è la differenza tra un piano attestato di risanamento e un accordo di ristrutturazione?
R: Il piano attestato è un’iniziativa privata, non richiede l’intervento del tribunale né soglie di credito aderente. Si basa su accordi volontari con i creditori, accompagnati da un’attestazione professionale . Offre protezione da revocatoria e alcuni reati fallimentari , ma non sospende le azioni legali dei creditori estranei. L’accordo di ristrutturazione invece è un contratto con una maggioranza di creditori (di solito almeno 60% ) che viene omologato da un tribunale. Prevede quindi un procedimento giudiziale breve, con possibilità di misure protettive (stay) . Una volta omologato, vincola i creditori aderenti e può avere effetti su quelli non aderenti (dilazioni, cram-down fiscale) . In sintesi: piano attestato = flessibilità e riservatezza, ma efficacia limitata; accordo omologato = maggiore forza legale e tutela, ma formalità e soglie di adesione richieste.
D: Che vantaggi offre la composizione negoziata della crisi rispetto al passato?
R: La composizione negoziata (CNC) è un percorso introdotto di recente che consente all’imprenditore di affrontare la crisi prima di essere insolvente, con l’assistenza di un esperto indipendente. I vantaggi: riservatezza iniziale (nessuna pubblicità fino a eventuale richiesta di misure protettive), supporto di un professionista nel dialogo coi creditori, possibilità di ottenere dal tribunale la sospensione delle azioni esecutive (misure protettive) mantenendo la gestione in mano all’imprenditore . Inoltre, durante la negoziazione, l’esperto può aiutare a formulare proposte sostenibili e a certificare la bontà delle stesse. È un modo per evitare soluzioni drastiche se c’è margine di accordo. Le statistiche mostrano che molte PMI hanno salvato il business tramite la CNC . In passato, senza questa figura, si arrivava spesso tardi al concordato o si falliva direttamente. Ora c’è un “cuscinetto” di negoziazione assistita, incoraggiato anche da incentivi (es. esenzioni da responsabilità per chi la avvia per tempo).
D: Mentre tratto con i creditori o faccio la composizione negoziata, i creditori possono portarmi via i beni?
R: Se non fai nulla di formale, sì, i creditori singolarmente possono agire (pignoramenti). Ma se presenti una domanda di concordato “in bianco” o una domanda di omologa di accordo di ristrutturazione, ottieni automaticamente una protezione (il tribunale emette decreto e ferma le esecuzioni) . Anche nella composizione negoziata, puoi chiedere al tribunale misure protettive per bloccare azioni esecutive e cautelari durante le trattative . Nel frattempo i creditori non potranno iniziare nuovi pignoramenti né proseguire quelli in corso. Quindi esiste la possibilità di congelare la situazione per il tempo necessario a trovare l’accordo. Importante: se usi l’accordo agevolato al 30%, questo NON dà diritto a misure protettive ; analogamente, la sola trattativa privata senza composizione non ti protegge da decreti ingiuntivi o pignoramenti.
D: Posso includere anche i debiti fiscali e contributivi in un piano o accordo?
R: Assolutamente sì. La transazione fiscale e contributiva è prevista sia nei concordati che negli accordi di ristrutturazione (art. 63 CCII). Significa che puoi proporre al Fisco e agli enti previdenziali un pagamento parziale e/o dilazionato dei loro crediti. Per esempio, pagare solo il 50% di IVA e sanzioni o rateizzare in 6 anni. La novità importante è che, dal 2022-2023, se il Fisco rifiuta ma la tua offerta è oggettivamente migliore di ciò che il Fisco otterrebbe dal fallimento, il tribunale può omologare lo stesso (cram down fiscale) . Nel concordato preventivo c’era già una regola simile (il voto negativo dell’Erario può essere superato se esso prende almeno il 20% e comunque non meno di quanto prenderà in liquidazione). Dunque, sì: i debiti tributari si possono tagliare e riscadenzare, purché in misura ragionevole. Va preparata un’adeguata relazione di attestazione che dimostri la convenienza della proposta per l’Erario rispetto alla liquidazione . Attenzione: l’IVA e le ritenute non possono essere falcidiate nel concordato salvo che il patrimonio del debitore non le copra in alcun modo (sono crediti privilegiati “indisponibili” se c’è capienza nei beni su cui hanno privilegio, ma oltre quel limite sì). Nei fatti quasi ogni concordato/accordo serio include il Fisco, perché spesso è un creditore importante.
D: Durante un concordato preventivo, posso continuare a gestire l’azienda?
R: Sì, nel concordato in continuità l’imprenditore rimane in gestione dell’impresa sotto la vigilanza del Commissario Giudiziale. Gli atti di ordinaria amministrazione li può fare liberamente (pagare fornitori correnti, incassare crediti, proseguire produzione); per quelli di straordinaria amministrazione (vendere immobili, fare nuovi finanziamenti, transigere cause, ecc.) serve autorizzazione del tribunale o del giudice delegato. La continuità aziendale è anzi incoraggiata: l’azienda in concordato può stipulare nuovi contratti e i fornitori post-concordato vengono pagati come prededucibili (prioritari). Se invece è un concordato liquidatorio, tipicamente l’attività caratteristica viene sospesa e l’imprenditore opera solo per finalità liquidatorie, sotto controllo più stringente. In alcuni casi il tribunale può nominare un amministratore giudiziario sostituendoti (specie se dubita della tua correttezza), ma è raro nel concordato preventivo (più comune nel fallimento). Quindi l’imprenditore rimane “al timone”, ma con il volante servoassistito dal tribunale. Questo consente di preservare il know-how aziendale in mano a chi lo conosce meglio, ma allo stesso tempo garantisce ai creditori che non farà colpi di testa.
D: L’ammissione al concordato preventivo blocca anche i contratti in corso (tipo forniture, leasing)?
R: Blocca le azioni esecutive, ma i contratti in essere proseguono, salvo diversa scelta. Il CCII prevede che l’impresa in concordato può chiedere al tribunale di sciogliere o sospendere alcuni contratti se utile al piano (art. 97). Ad esempio, se hai un contratto di affitto oneroso, puoi domandare l’autorizzazione a scioglierlo e pagherai al proprietario un indennizzo (danno) come credito concorsuale. Però i fornitori non possono interrompere forniture essenziali solo perché sei in concordato: la legge tutela i contratti pendenti, soprattutto nella continuità (divieto di esecuzione forzata e di interrompere forniture essenziali ex art. 96 CCII) . Il concordato non è default contrattuale di per sé. In passato era frequente che i fornitori pretendessero pagamento anticipato appena sapevano del concordato – ora con la legislazione nuova e la prassi, c’è maggiore disciplina: se un fornitore essenziale (es. energia elettrica) minaccia distacco, il tribunale può ordinarne la continuazione alle condizioni preesistenti.
D: Se la mia azienda va in liquidazione giudiziale (fallimento), devo temere per i miei beni personali?
R: Se la tua azienda è una società di capitali, il fallimento riguarda solo la società, non te come persona fisica (a meno che tu abbia garanzie personali – in quel caso i creditori garantiti agiranno contro di te fuori dal fallimento). Però, come visto, devi temere le azioni di responsabilità: il curatore potrebbe citarti per danni , e se vince, quel debito per risarcimento graverà su di te e sui tuoi beni personali (casa, conti, ecc.). Inoltre devi temere possibili conseguenze penali (bancarotta) se hai fatto irregolarità. Se invece l’azienda era individuale o società di persone, il tuo patrimonio personale entra direttamente nel fallimento. In ogni caso, dopo un fallimento c’è la possibilità di esdebitazione: se sei persona fisica fallita (imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile), puoi chiedere al tribunale, a chiusura procedura, di essere liberato dai debiti residui non pagati . Il nuovo Codice prevede anche l’esdebitazione di diritto dopo 3 anni dalla chiusura per i fallimenti aperti dal 15/07/2022 in poi, senza bisogno di istanza (salvo eccezioni per malafede) . Inoltre esiste l’esdebitazione del debitore incapiente: se sei nullatenente e nulla viene distribuito, puoi ottenere comunque la liberazione dai debiti dopo 3 anni, una tantum nella vita . Le società invece non beneficiano di esdebitazione (ma essendo estinte, la questione non si pone). Quindi il fallimento per la persona fisica non è più ergastolo economico: c’è la riabilitazione economica se hai cooperato lealmente.
D: Quanto dura una procedura concorsuale?
R: Dipende. Un concordato preventivo oggi può durare 6-12 mesi per arrivare all’omologa, e poi il piano può estendersi per anni (es. pagamenti in 5 anni). Un accordo di ristrutturazione è più rapido: si può omologare in 4-6 mesi, e poi l’esecuzione segue il piano concordato (anche qui magari pagamenti in 2-3 anni). La composizione negoziata è pensata per essere breve: la legge prevede una durata iniziale di 3 mesi, prorogabile di altri 3 (massimo 6 mesi salvo casi eccezionali) . Il concordato semplificato ha tempi contenuti: dall’istanza all’omologa forse 2-3 mesi, poi la liquidazione effettiva dipende dalla vendibilità dei beni ma potenzialmente in pochi mesi si chiude. La liquidazione giudiziale (fallimento) purtroppo resta lunga, specie se ci sono molte cause o beni difficili da vendere: può durare diversi anni (la media storica era 5-7 anni, ma con il CCII si tenta di velocizzare). Quindi se l’obiettivo è chiudere presto la vicenda, meglio accordi o concordati, che almeno danno una timeline definita ai pagamenti. Il fallimento è più imprevedibile nei tempi, benché le nuove norme impongano chiusure più tempestive (possibilità di chiusura anticipata parziale ecc.).
D: Qual è l’impatto sul mio rating e possibilità di fare impresa in futuro?
R: Se risani l’azienda tramite concordato o accordo, in futuro potrai proseguire l’attività, ma certamente la reputazione creditizia ne risente: per qualche anno banche e fornitori saranno cauti. Tuttavia, non hai interdizioni legali (a differenza del fallito, che durante il fallimento ha limitazioni nei pubblici uffici e non può avere cariche in altre società se non autorizzato). Una volta eseguito il concordato, l’azienda può rifarsi un nome, specie se onora gli impegni verso i creditori. Se invece fallisci, come persona fisica finché dura il fallimento non puoi iniziare nuove attività senza informare i creditori, e se sei imprenditore individuale potresti avere difficoltà a ottenere fidi per molto tempo. Ma dopo l’esdebitazione, hai legalmente la fedina economica pulita, salvo il fatto che in Centrale Rischi restano a lungo le tracce dei default. Comunque, anche qui: meglio un accordo o concordato concluso onorevolmente, che consente di dire “ho ristrutturato i debiti”, rispetto a un fallimento con strascichi. Nota: i protesti cambiali restano 5 anni salvo riabilitazione; il concordato in sé non comporta protesti, il fallimento spesso è conseguenza di insoluti protestati.
D: Un concordato preventivo mi protegge anche da azioni di responsabilità o penali?
R: In linea di massima, sì in parte. L’apertura del concordato non blocca di per sé un’azione di responsabilità del socio/creditore contro gli amministratori, ma in pratica se il concordato va a buon fine, è raro che qualcuno promuova cause (perché i creditori hanno accettato la soluzione). Inoltre, se il concordato omologato viene eseguito, i creditori sociali sono soddisfatti per quanto previsto e difficilmente avranno danni residui da lamentare. Quindi l’azione ex art. 2394 c.c. dei creditori di solito viene meno se c’è concordato (non c’è insolvenza inadempiuta). Il curatore poi non c’è, quindi nessuno esercita l’azione ex art. 146 l.f.. Eventuali responsabilità verso la società potrebbero essere fatte valere dalla società stessa post-concordato, ma in genere i nuovi amministratori (se coincidono con i vecchi soci) non si fanno causa da soli. Insomma, il concordato disinnesca molte possibili azioni civili di responsabilità. Sul fronte penale, come detto, niente fallimento = niente bancarotta. Restano però eventuali reati tributari commessi prima (che il concordato non estingue a meno di integrale pagamento) o reati societari (falsi in bilancio) che emergessero. Ma c’è da dire che condotte che in fallimento sarebbero bancarotta (es. distrazioni) senza fallimento potrebbero non venire perseguite affatto, a meno che non integrino altre fattispecie. Dunque il concordato è un safe harbour pure per l’imprenditore, oltre che per l’azienda.
D: In caso di insolvenza, è consigliabile che l’imprenditore rinunci all’incarico di amministratore e faccia nominare un professionista esterno?
R: Non necessariamente. Alcuni pensano che togliersi prima del crac possa limitare i danni (come “non ero più io amministratore quando è fallita”). Ma ciò non ti esime da responsabilità per il periodo in cui hai gestito. Anzi, se scegli un prestanome dell’ultima ora, rischi di aggravare la situazione e incorrere in ulteriori censure (ad es. potresti essere accusato di amministrazione di fatto e il prestanome di comodo non ti salva dalle colpe). Invece, può essere utile coinvolgere un CRO (Chief Restructuring Officer) o un advisor nella gestione, ma mantenendo tu un ruolo attivo trasparente. Dare le redini a un professionista può rassicurare i creditori sulla serietà del risanamento, ma è spesso fatto all’interno delle procedure (ad es. nominando un coadiutore nel concordato). Dimissioni affrettate rischiano di apparire come tentativi di sottrarsi alle responsabilità. Solo in contesti di gruppi complessi si vede nominare un amministratore giudiziario volontario.
D: Se la società viene salvata o chiusa con procedure, l’imprenditore può subito aprire una nuova attività?
R: Sì, non c’è una preclusione legale se non c’è fallimento personale. Se hai fatto un concordato e l’azienda A è liquidata, nulla ti vieta di costituire una nuova società B e ripartire (magari con altro nome). Ovviamente i fornitori potrebbero essere diffidenti, e se B rileva l’azienda da A (nel concordato stesso) devi stare attento a farlo correttamente per non lasciare strascichi (ad es. evitare che i debiti di A migrino in B senza accordo, perché se no i creditori di A inseguono B con azioni di confusione patrimoniale). Ma in generale la legge incoraggia il fresh start: non vuole l’“ergastolo del fallito”. Quindi, specie dopo esdebitazione, puoi tornare a fare impresa. Anzi, l’esperienza mostra che molti imprenditori di successo hanno alle spalle fallimenti passati – l’importante è imparare dagli errori e questa volta predisporre assetti adeguati.
D: Conviene cercare di evitare a tutti i costi il fallimento?
R: Il fallimento (liquidazione giudiziale) è sempre l’ultima spiaggia perché comporta la perdita totale del controllo e alti rischi di responsabilità, come abbiamo visto. Ci sono casi in cui è inevitabile (insolvenza troppo avanzata, mancanza di qualsiasi proposta seria da fare ai creditori). Ma oggi, con gli strumenti disponibili, in moltissimi casi il fallimento può essere evitato o riservato a situazioni irrecuperabili o fraudolente. L’imprenditore deve mettersi nell’ordine di idee che il fallimento è la peggior soluzione: i creditori recuperano meno, l’azienda sparisce, lui può subire anni di procedure legali contro. Concordati e accordi invece offrono spesso esiti migliori in termini di recupero per i creditori e di tutela per il debitore. Inoltre c’è il “fallimento personale” come macchia sociale e professional: mentre dire “ho fatto un concordato e sto pagando i creditori al 30%” suona proattivo, dire “sono fallito” porta stigma. Quindi sì, conviene esplorare tutte le vie alternative (negoziazione, accordi, concordati) prima di arrendersi al fallimento. Solo se i creditori sono ostili e non c’è alcun piano fattibile, allora il fallimento diventa l’unica via (che in tal caso il debitore può anche assecondare presentando egli stesso istanza, perché talora un fallimento rapido è meglio di agonia senza soluzioni – e consente di far partire il countdown per l’esdebitazione personale).
D: I soci di società fallite possono essere escussi dai creditori sociali?
R: Se è una SNC o SAS (soci illimitatamente responsabili), sì: i creditori potrebbero attaccare anche i soci (in SAS solo accomandatari). Nel fallimento con soci illimitati, falliscono anche i soci contestualmente (art. 147 l.f.). In una S.r.l./S.p.A., no per i debiti sociali ordinari. Tuttavia, come detto, se i soci avevano fatto da garanti o avevano ricevuto utili o atti revocabili, indirettamente vengono colpiti. Esempio: un socio di S.r.l. aveva ricevuto distribuzione utili fittizi un anno prima; il curatore può chiedergli di restituirli come atto revocabile (utili distribuiti in periodo di perdita etc.). Quindi può dover restituire soldi. Inoltre, se il socio era amministratore, potrebbe essere citato. Ma se era socio puramente passivo e non ha fatto male, i creditori della società non possono aggredirlo per il solo fatto di essere socio.
D: Dopo quanto tempo si “cancella” una situazione di crisi superata?
R: Sul piano legale, subito: se omologhi un concordato o accordo e lo esegui, l’azienda risanata non ha più etichette di insolvenza. Però nel Registro delle Imprese resterà traccia della procedura concorsuale per un certo numero di anni (credo 5 anni visibili, poi archivio storico). Nei sistemi di informazioni creditizie, un concordato resta come evento negativo per alcuni anni, simile a un fallimento in termini di scoring (le banche vedono che c’è stato un default parziale). Tuttavia, superati magari 2-3 anni di buona gestione successiva, l’azienda può riacquisire fiducia. C’è anche la riabilitazione per il fallito persona fisica (che era nell’art. 144 l.f.), ma col CCII e l’esdebitazione automatica la riabilitazione civile è un po’ superflua. In generale, direi 5 anni dopo la chiusura di una procedura di insolvenza l’ombra si affievolisce.
Tabelle riepilogative
Di seguito, alcune tabelle riassuntive per confrontare gli strumenti principali e le responsabilità connesse:
Tabella 1 – Confronto Strumenti di gestione della crisi
| Strumento | Normativa | Caratteristiche | Ruolo del Tribunale | Soglia/Quorum | Effetti sui creditori |
|---|---|---|---|---|---|
| Piano attestato di risanamento | Art. 56 CCII | Piano negoziale unilaterale attestato da professionista. | Nessuno (facoltativa sola iscrizione registro imprese). | Nessuna soglia fissa (accordi individuali liberamente). | Vincola solo i creditori che aderiscono. Creditori estranei: nessun obbligo, possono agire (nessuna stay automatico). Atti esecutivi del piano esenti da revocatoria e bancarotta pref/s. |
| Accordo di ristrutturazione (ADR) | Artt. 57-60 CCII | Accordo contrattuale con creditori, omologato da giudice. | Omologazione da parte del tribunale (procedura camerale). | Soglia 60% crediti (standard); 30% (agevolato, senza misure protettive) ; 75% per estendere effetti a dissenzienti categoria . | Misure protettive su richiesta (stop azioni esecutive) . Vincola aderenti; estranei: devono essere pagati intero secondo scadenze legali, ma possibile dilazione 120gg. Cram-down fiscale possibile se offerta ≥ scenario liqu. . |
| Concordato preventivo | Artt. 84-120 CCII | Procedura concorsuale giudiziale con voto creditori su piano. | Tribunale ammette e omologa (decreto). Commissario nominato. | Maggioranza >50% crediti votanti (per valore). Classi obbligatorie se crediti diversi, con possibile cramdown interclasse se almeno una classe approva . | Stay automatico da ricorso (blocco azioni e interessi) . Vincola tutti i creditori anteriori all’omologa (anche dissenzienti). Possibile falcidiare chirografari anche drasticamente in continuità (no soglia 20% richiesta), soglia 20% in liquidatorio . Crediti privilegiati falcidiabili entro valore di realizzo garanzia . |
| Concordato “semplificato” | Art. 25-sexies CCII | Procedura concorsuale liquidatoria senza voto creditori. | Tribunale omologa direttamente dopo esame opposizioni creditori. Ausiliario nominato. | Nessun quorum richiesto (no voto). Accessibile solo con relazione finale esperto composizione negoziata positiva (trattative in bona fide). | Stay da pubblicazione ricorso (come concordato) . Distribuzione ai creditori decisa dal piano ma soggetta a controllo giudice: <br/>– nessun creditore pregiudicato vs fallimento ;<br/>– utilità sia assicurata a ciascuno . Omologa imposta anche se creditori contrari, se condizioni rispettate. |
| Liquidazione giudiziale | Artt. 121-270 CCII | Procedura concorsuale giudiziale (ex fallimento) liquidatoria integrale. | Tribunale dichiara apertura su insolvenza. Curatore gestisce; giudice delegato e comitato creditori sorvegliano. | Nessun quorum (procedura d’ufficio su istanza di creditori/debitore/PM). | Stay ex lege dalla sentenza (creditori concorrono nel riparto). Creditori chirografari spesso recuperano poco dopo anni. Al termine persona fisica può chiedere esdebitazione . Società si estingue con debiti residui inesigibili. |
Tabella 2 – Responsabilità dell’imprenditore (socio/amministratore)
| Profilo | Descrizione e rischi | Possibili difese/rimedi |
|---|---|---|
| Responsabilità civile verso società (azione sociale) | Amministratori rispondono verso la società per violazione dei doveri (diligenza, conservazione patrimonio). Nel dissesto, il curatore esercita l’azione: tipicamente per continuazione abusiva attività (danno = aggravio debiti) o atti di mala gestio (es. spese personali, distrazioni) . Possibili importi risarcitori ingenti (fino all’intero deficit). | – Agire tempestivamente (riduce aggravio). <br/>– Documentare di aver preso decisioni informate nel interesse società (Business Judgment Rule, se decisioni ragionevoli e non in conflitto di interessi, difende parzialmente). <br/>– In procedure concorsuali, richiedere al tribunale autorizzazione per atti rilevanti (evita contestazioni). <br/>– Assicurazione D&O (può coprire parte dei danni). |
| Responsabilità civile verso creditori (azione dei creditori sociali) | Se il patrimonio risulta insufficiente a soddisfare i creditori per colpa di gestione imprudente o violazioni di legge, amministratori possono rispondere verso i creditori ex art. 2394 c.c. (di solito esercitata dal curatore per massa). Esempio: omissione di capitalizzare la società e conseguente incapienza attivo . | – Evitare violazioni di norme che proteggono capitale e garanzie creditori (es.: rispettare obblighi di scioglimento/ricapitalizzazione, non fare pagamenti preferenziali illegittimi). <br/>– Nel concordato/accordo evitare di lasciare scoperti creditori in modo ingiustificato: se tutti prendono qualcosa approvando piano, difficilmente lamenteranno danni ulteriori. |
| Responsabilità penale – bancarotta fraudolenta | In caso di fallimento, condotte come distrazione/occultamento di beni, pagamenti preferenziali dolosi o irregolarità contabili rilevanti sono reati. Pena alta (fino a 10 anni). Include bancarotta documentale (libri contabili artefatti) e preferenziale (favorire alcuni creditori scientemente) . | – Evitare qualsiasi spostamento occulto di beni. <br/>– Tenere contabilità ordinata e reperibile (non distruggere o alterare libri!). <br/>– Non occultare debiti o crediti (trasparenza nei bilanci). <br/>– In pre-crisi, non pagare intenzionalmente un creditore a scapito di altri se già insolvente (o farlo solo nell’ambito di un piano legale). <br/>– Soluzioni concorsuali: niente fallimento = niente bancarotta. (Concordato esclude la dichiarazione di fallimento e quindi i reati fallimentari). |
| Responsabilità penale – altri reati | – Omessi versamenti fiscali (IVA > €250k, ritenute > €150k): reati tributari con pena fino a 2 anni. <br/>– Falso in bilancio: esporre fatti materiali non rispondenti al vero nei bilanci per ingannare soci/creditori (pena fino a 3-8 anni se rilevante). <br/>– Sottrazione fraudolenta al pagamento imposte: alienare beni per evitare che il Fisco li pignori (pena fino a 4 anni). <br/>– Usura bancaria passiva: (non è reato per l’imprenditore, semmai lo subisce, ma attenzione a non compiere illegalità finanziarie per reperire soldi). | – Per debiti fiscali: valutare transazione fiscale in concordato, e sapere che l’integrale pagamento anche tardivo estingue il reato di omesso versamento. Nel frattempo, documentare eventuale incapienza di liquidità (per difesa in giudizio). <br/>– Per falsi in bilancio: giocare a carte scoperte con consulenti e creditori. Non abbellire bilanci: meglio un bilancio brutto ma vero (ti aiuta anche nell’affrontare la crisi onestamente). Se i bilanci passati sono falsi, correggere con situazioni patrimoniali aggiornate certificate da esperto nel piano. <br/>– Evitare qualunque stratagemma su beni in fase di riscossione coattiva fiscale: meglio negoziare col Fisco (richiedere dilazioni) che spostare beni rischiando il penale. |
| Azioni revocatorie su atti pre-crisi | Il curatore (o nei concordati i creditori in sede di opposizione) possono far dichiarare inefficaci atti compiuti prima della procedura che hanno favorito alcuni creditori o sottratto garanzie alla massa. Es.: pagamenti anomali ultimi 6 mesi/1 anno, garanzie concesse a creditori preesistenti nell’anno prima . L’effetto è che chi ha ricevuto deve restituire (il debitore rientra in possesso di quel bene/somma da distribuire a tutti). | – Non confidare su “salvataggi” estemporanei: se stai pagando di corsa qualcuno poco prima del crack, probabilmente quel pagamento verrà revocato. <br/>– Piano attestato: inserisci lì i pagamenti cruciali, saranno esenti da revocatoria . <br/>– Ordinaria amministrazione: continua a pagare fornitori alle scadenze normali, stipendi, utenze: i pagamenti a termine e per servizi essenziali non sono revocabili (art. 166 CCII esenta pagamenti a condizioni d’uso). <br/>– Evita di dare garanzie ipotecarie “tardive” a qualche creditore escludendone altri senza passare da un accordo generale: un’ipoteca concessa in extremis può essere revocata entro 1 anno se il credito era antecedente. Meglio negoziare dilazioni invece che offrire pegni preferenziali all’ultimo minuto. |
Come emerge da queste tabelle, una gestione della crisi proattiva e trasparente è la chiave per limitare i rischi. Gli strumenti offerti dalla legge, opportunamente utilizzati, permettono all’imprenditore di “mettere in sicurezza” tanto l’azienda quanto sé stesso nei confronti dei creditori e della legge.
Conclusioni
Affrontare una pesante situazione debitoria per un’azienda di compressori industriali – magari un’impresa familiare cresciuta negli anni e poi colpita da crisi di mercato – è una sfida complessa ma non insormontabile. Oggi l’ordinamento italiano mette a disposizione dell’imprenditore onesto e diligente una varietà di soluzioni flessibili per difendersi dalle conseguenze peggiori dell’insolvenza, ed eventualmente ripartire dopo la crisi.
Il punto di vista del debitore, adottato in questa guida, ci ha mostrato che: – Esistono vie stragiudiziali (come il piano attestato) per risolvere la crisi in modo riservato, proteggendo però le operazioni effettuate (grazie all’attestazione) . – Se serve, si può ricorrere con fiducia alla tutela del tribunale attraverso accordi omologati o concordati preventivi, i quali congelano le azioni individuali e permettono di ristrutturare il debito con efficacia verso tutti . – Le recentissime innovazioni (composizione negoziata, concordato semplificato) sono state pensate proprio per prevenire il fallimento, con procedure agili e mirate alla conservazione del valore aziendale e dell’occupazione . – L’imprenditore, dal canto suo, ha dei doveri precisi: monitorare la salute finanziaria, attivarsi tempestivamente, evitare comportamenti opportunistici che violino la par condicio e la fiducia (perché sarebbero comunque annullati e sanzionati) . Deve anzi impostare una governance della crisi, preferibilmente con l’assistenza di professionisti (avvocati, commercialisti) esperti di risanamento, per scegliere la strategia giusta. – Sul piano personale, l’amministratore che gestisce con correttezza la crisi potrà dormire sonni più tranquilli: mettendo i creditori attorno a un tavolo invece che seminarli, riduce drasticamente il rischio di cause risarcitorie; scegliendo la trasparenza, si tiene lontano dai reati fallimentari e tributari; rispettando le priorità legali nei pagamenti (o facendole regolare al giudice nel concordato), evita di incorrere in atti impugnabili . – Anche se alla fine l’azienda non si salva e deve essere liquidata, farlo in modo concordato e semplificato (tramite concordato semplificato ad esempio) può permettere una chiusura più dignitosa e una rapida liberazione dai debiti residui, grazie alle norme sull’esdebitazione . L’imprenditore potrà così voltare pagina e, perché no, un domani riprovarci con un nuovo progetto imprenditoriale, portando con sé l’esperienza maturata.
In conclusione, “difendersi” dai debiti aziendali non significa sottrarsi alle proprie responsabilità, ma anzi affrontarle con gli strumenti giuridici appropriati e con una condotta collaborativa e leale. Il legislatore italiano – anche stimolato dalle direttive europee – ha imboccato la strada di un diritto della crisi più moderno, orientato al recupero dell’impresa e al second chance per l’imprenditore onesto, lasciando il fallimento giudiziale come ultima risorsa.
Un imprenditore di una PMI manifatturiera, come il produttore di compressori del nostro titolo, dovrebbe quindi vedere le procedure di composizione della crisi non come una resa, ma come degli strumenti di gestione strategica: attivarli per tempo può significare salvare l’azienda o quanto meno gestire la sua uscita dal mercato in modo ordinato e senza tracolli personali.
Ogni situazione concreta ha le sue peculiarità: i numeri di bilancio, la tipologia dei creditori (banche, fornitori, Erario), le prospettive del settore, la presenza di garanzie e così via. Pertanto, è fondamentale farsi assistere da consulenti esperti nel valutare la “ricetta” giusta (spesso potrebbe essere un mix: ad esempio composizione negoziata preliminare e poi concordato, oppure accordo di ristrutturazione per i grandi creditori e piccolo concordato per i restanti, ecc.). Ma ciò che è certo è che la passività o il ritardo non sono mai buoni consiglieri: le normative premiano chi agisce e sanzionano chi subisce inerte gli eventi.
Questa guida – aggiornata alle più recenti novità di ottobre 2025 – evidenzia come tramite un approccio informato e determinato un imprenditore-debitore possa non solo difendersi efficacemente dai debiti, ma addirittura trasformare una crisi in un’opportunità di rinnovamento, uscendo da una ristrutturazione con un’azienda più snella e competitiva, oppure chiudendo e ripartendo senza lo spettro di debiti eterni. In ogni caso, conosce i suoi diritti e doveri, e può interloquire con creditori e istituzioni (tribunale, OCC) in maniera propositiva, anziché subire passivamente le azioni altrui.
Come recita un vecchio adagio legale: “le leggi aiutano chi veglia, non chi dorme”. Ci auguriamo che questa trattazione fornisca all’imprenditore in difficoltà la consapevolezza e gli strumenti per vegliare attivamente sul destino della propria impresa, difendendola dai debiti nella maniera più intelligente e conforme alla legge.
Fonti normative e giurisprudenziali
- Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, e successive modifiche) – artt. 56 (Piani attestati), 57-60 (Accordi di ristrutturazione) , 84 (Concordato preventivo, incl. soglie 10%-20%) , 25-sexies e 25-septies (Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio) , 120-bis (Decisione organi societari su strumenti di crisi) , 166 e 324 (Esenzioni da revocatoria e reati per atti in esecuzione di piani attestati) , 63 (Cram down fiscale negli accordi) , 54 e 6 (Misure protettive e divieto azioni esecutive) , 94, 96 (Effetti domanda concordato su crediti e contratti) .
- D.L. 24 agosto 2021, n. 118 convertito in L. 147/2021 – artt. 2-17 (Composizione negoziata della crisi) e art. 18 (Concordato semplificato), confluiti nel CCII .
- Codice Civile – artt. 2086 (assetti adeguati e dovere di rilevare crisi), 2476 e 2392-2394 (responsabilità amministratori verso società e creditori), 2482-bis, 2484-2486 (perdita capitale, obblighi amministratori) .
- Legge Fallimentare (R.D. 267/1942) – artt. 67 (revocatoria fallimentare) , 146 (azione di responsabilità esercitata dal curatore), 147 (estensione fallimento a soci illimitati), 160-186 (concordato preventivo, previgente, per confronti storici). (Norme abrogate dal 15/7/2022, rilevanti per giurisprudenza formatasi ante CCII).
- Testo Unico Imposte sui Redditi (DPR 917/1986) – art. 88, c.4-ter (sopravvenienze attive da riduzione debiti escluse da imposizione in concordato/accordi/piani pubblicati) .
- Decreto Legislativo 74/2000 – artt. 10-bis, 10-ter (omesso versamento ritenute e IVA, soglie penalità), art. 11 (sottrazione fraudolenta al pagamento imposte).
- Codice Penale – artt. 216, 217, 218 R.D. 267/42 (reati di bancarotta fraudolenta, semplice, ricorso abusivo credito) (ancora vigenti per rinvio, in attesa riforma organica dei reati concorsuali); artt. 2621-2622 c.c. (false comunicazioni sociali).
- Cassazione Civile, Sez. I, 25 marzo 2022, n. 9743 – ha stabilito che per l’esenzione da revocatoria degli atti esecutivi di un piano attestato occorre valutare ex ante l’idoneità del piano a risanare l’impresa . (In caso concreto cassato automatismo di esenzione, richiedendo controllo giudice).
- Cassazione Civile, Sez. I, 12 aprile 2023, n. 9730 – ha chiarito che il concordato semplificato rientra tra le procedure concorsuali soggette alle norme sulla competenza territoriale fallimentare e può essere attivato solo come extrema ratio quando altre soluzioni non sono praticabili . (Caso di trasferimento sede un anno prima, giudicato irrilevante ai fini competenza) .
- Cassazione Civile, Sez. Unite, 23 gennaio 2013, n. 1521 – principio su ruolo e responsabilità dell’attestatore nelle procedure concorsuali (obbligo di verifica veridicità e completezza dati) estensibile anche ai piani attestati .
- Cassazione Civile, Sez. I, 5 luglio 2016, n. 13719 – ha affermato che un piano attestato privo di concrete chance di successo non protegge gli atti esecutivi dalla revocatoria . (Richiesta genuinità del piano, no piani “pro forma”).
- Cassazione Civile, Sez. I, 25 marzo 2022, n. 9743 – conferma principio di controllo giudiziale merito piano ai fini esenzione (già citato sopra) .
- Cassazione Civile, Sez. I, 30 gennaio 2020, n. 3018 – sul controllo di merito dell’idoneità del piano attestato (richiamo in Unijuris) .
- Cassazione Penale, Sez. V, 24 ottobre 2023, n. 36401 – ha ribadito che l’attestatore che omette informazioni rilevanti risponde per falso, confermando obblighi di diligenza (massima cit. in dottrina) .
- Cassazione Civile, Sez. I, 29 maggio 2024, n. 15054 – (ordinanza) ha affermato che proseguire l’attività dopo perdita integrale capitale configura responsabilità ex art. 2486 c.c., con danno pari ad aggravamento del dissesto . (Confermato principio di netta linea: amministratori responsabili per ogni nuovo debito post perdita capitale).
- Cassazione Civile, Sez. I, 20 novembre 2024, n. 29844 – ha affrontato responsabilità amministratori non esecutivi, rafforzando dovere di controllo (nota: “ruolo non esecutivo non esime da responsabilità se condotta omissiva” – rif. da notizie) .
- Tribunale di Milano, Sez. Fall., 10 marzo 2025, n. 6406 – caso di condanna di amministratore di S.r.l. per distrazione attivi e prosecuzione abusiva: amministratore condannato a risarcire ~€ 500k . (Emblematico su operazioni infragruppo senza causa e prelievi personali).
- Tribunale di Cagliari, Sez. Proc. Conc., 8 novembre 2024 – sentenza di omologa forzosa di accordo di ristrutturazione nonostante opposizione Agenzia Entrate (primo caso di cram-down fiscale applicato): accordo con pagamento 40% debiti fiscali in 6 anni omologato poiché più conveniente del fallimento . Il provvedimento ha delineato i requisiti di applicazione dell’art. 63 CCII (accordo non liquidatorio, adesione enti decisiva per percentuale, soddisfacimento ≥ 40% se pochi altri aderenti, convenienza rispetto a liquidazione) .
- Camera di Commercio di Torino – Schede “Piano attestato di risanamento” e “Accordi di ristrutturazione” (agg. 22/12/2023) – documenti informativi ufficiali che descrivono gli istituti introdotti dal CCII, con definizioni, presupposti e procedure. In particolare: definizione di piano attestato come atto unilaterale rivolto ai creditori con attestazione indipendente ; elementi costitutivi (piano, attestazione, accordi esecutivi) ; effetti protettivi (esenzione revocatoria e penale) ; definizione accordo ristrutturazione e percentuali (60%, 30%, 75%) ; procedura di omologazione con pubblicazione e opposizioni ; misure protettive in ADR (art. 54 CCII) e divieto misure in accordo 30% . (Fonti: to.camcom.it)
- Documentazione statistica (Camera Arbitrale MI) – Dati composizione negoziata 2024: 1723 imprese dal 2021, +87% istanze in Lombardia 2024 , 78% casi con misure protettive richieste , esiti con 38 imprese risanate in Lombardia salvando 2100 posti . (Indicano efficacia crescente strumento CNC).
La tua azienda che produce, installa o distribuisce compressori industriali, compressori rotativi a vite, compressori a pistoni, compressori oil-free, gruppi aria compressa, essiccatori e impianti completi si trova in una situazione di debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo
La tua azienda che produce, installa o distribuisce compressori industriali, compressori rotativi a vite, compressori a pistoni, compressori oil-free, gruppi aria compressa, essiccatori e impianti completi si trova in una situazione di debiti?
Hai esposizioni verso Agenzia delle Entrate, INPS, fornitori, banche, leasing o Agenzia Entrate-Riscossione?
Stai ricevendo solleciti, richieste di rientro, blocchi delle forniture, decreti ingiuntivi o minacce di pignoramento?
Il settore dei compressori richiede componenti costosi, cicli produttivi complessi, collaudi approfonditi, assistenza post-vendita impegnativa, investimenti in ricambi e continui approvvigionamenti.
Basta un ritardo nei pagamenti dei clienti per far crollare la liquidità e far esplodere i debiti.
La buona notizia?
La tua azienda può essere difesa, salvata e rilanciata, se intervieni subito e nella maniera giusta.
Perché un’Azienda di Compressori Industriali Finisce in Debito
Le cause più frequenti includono:
• aumento dei costi di componenti critici (gruppi vite, motori, filtri, valvole, elettronica)
• ritardi nei pagamenti da parte di industrie, EPC, manutentori e contractor
• magazzino immobilizzato tra compressori finiti, ricambi e semilavorati
• assistenza tecnica costosa da sostenere prima dell’incasso
• investimenti obbligati in test, certificazioni, strumenti e collaudi
• costi energetici, logistici e di trasporto elevati
• riduzione delle linee di credito bancarie e dei fidi
• lavori su impianti complessi con incassi molto dilazionati
Il punto non è la mancanza di ordini, ma la mancanza di liquidità immediata.
I Rischi per una Azienda di Compressori con Debiti
Se non intervieni rapidamente:
• pignoramento dei conti correnti
• blocco degli affidamenti bancari
• stop delle forniture di ricambi e materiali fondamentali
• decreti ingiuntivi, precetti e cause esecutive
• sequestro di magazzino, attrezzature e compressori in produzione
• impossibilità di completare installazioni e manutenzioni
• ritardi nelle consegne e perdita dei clienti principali
• rischio concreto di fermo totale dell’azienda
Un debito non gestito può paralizzare tutta l’operatività in pochi giorni.
Cosa Fare Subito per Difendersi
1) Bloccare immediatamente i creditori
Un avvocato specializzato può:
• sospendere pignoramenti già avviati
• impedire il blocco dei conti correnti
• fermare richieste aggressive delle banche
• intervenire per evitare lo stop dei fornitori
Prima si ferma il danno, poi si ricostruisce.
2) Analizzare i debiti e ridurre ciò che non è dovuto
Spesso i debiti contengono:
• interessi illegittimi
• importi duplicati
• posizioni prescritte
• errori della Riscossione
• sanzioni e more sbagliate
• costi bancari abusivi
Una parte consistente del debito può essere eliminata o ridotta.
3) Ristrutturare i debiti con piani sostenibili
Le soluzioni più efficaci includono:
• rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
• accordi di pagamento personalizzati con i fornitori
• rinegoziazione dei fidi e finanziamenti
• sospensioni temporanee dei pagamenti
• utilizzo delle definizioni agevolate (se disponibili)
Obiettivo: ripristinare la liquidità e non fermare la produzione.
4) Attivare strumenti legali che proteggono l’azienda
Quando i debiti sono pesanti puoi usare strumenti potenti:
• PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
• accordi di ristrutturazione
• concordato minore
• liquidazione controllata (ultima possibilità)
Questi strumenti consentono di:
• bloccare immediatamente ogni creditore
• sospendere pignoramenti e decreti
• pagare solo una parte dei debiti
• mantenere attive assistenza, installazioni e produzione
• proteggere il patrimonio dell’imprenditore
Sono procedure sicure, legali e approvate dal Tribunale.
5) Proteggere produzione, forniture e magazzino
Nel settore dei compressori è fondamentale:
• tutelare compressori, ricambi, filtri, gruppi vite e componenti critici
• evitare sequestri che bloccherebbero tutto
• mantenere attivi i fornitori nazionali ed esteri
• proteggere banchi prova, attrezzature e strumenti
• garantire continuità nelle consegne e nelle manutenzioni
Se la produzione si ferma, il debito cresce.
Se la produzione continua, l’azienda può rialzarsi.
Documenti da Consegnare Subito all’Avvocato
• Elenco completo dei debiti (fiscali, bancari, commerciali)
• Estratti conto bancari
• Estratto di ruolo (se presente)
• Bilanci e documentazione fiscale
• Lista fornitori strategici e insoluti
• Inventario magazzino (compressori, ricambi, semilavorati)
• Atti giudiziari ricevuti
• Ordini aperti e pianificazione della produzione
Tempistiche di Intervento
• Analisi preliminare: 24–72 ore
• Blocco dei creditori: 48 ore – 7 giorni
• Piano di ristrutturazione: 30–90 giorni
• Procedura giudiziaria (se necessaria): 3–12 mesi
Le protezioni possono scattare già nei primi giorni.
Vantaggi di una Difesa Specializzata
• Stop immediato a pignoramenti e pressioni
• Riduzione significativa dei debiti
• Protezione del magazzino e dei macchinari
• Trattative efficaci con banche e fornitori
• Continuità produttiva e commerciale
• Tutela del patrimonio personale dell’imprenditore
Errori da Evitare
• Ignorare solleciti o atti giudiziari
• Accendere nuovi debiti per coprire debiti vecchi
• Pagare un creditore ignorando gli altri
• Lasciare avanzare pignoramenti e decreti
• Affidarsi a società non qualificate o “miracolose”
Ogni errore rende la crisi più profonda e difficile da recuperare.
Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
• Analisi completa della situazione debitoria
• Blocco immediato delle azioni dei creditori
• Piani di ristrutturazione su misura
• Attivazione degli strumenti giudiziari di protezione
• Trattative dirette con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
• Tutela totale dell’azienda e dell’imprenditore
Conclusione
Avere debiti nella tua azienda di compressori industriali non significa essere destinato alla chiusura.
Con la strategia giusta puoi:
• bloccare i creditori
• ridurre drasticamente i debiti
• salvare produzione e magazzino
• proteggere l’azienda e il tuo futuro imprenditoriale
Il momento di intervenire è adesso.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata:
La difesa e il rilancio della tua azienda possono iniziare oggi stesso.