Azienda Di Componenti Per Presse Idrauliche Con Debiti: Cosa Fare Per Difendersi E Come

Se gestisci un’azienda che produce, importa o distribuisce componenti per presse idrauliche – cilindri, valvole, centraline, tubi alta pressione, piastre, pompe, guarnizioni, pistoni, blocchi manifold, distributori, ricambi speciali – e oggi ti trovi con debiti fiscali, debiti con Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, la situazione può diventare molto seria.

Il settore delle presse idrauliche richiede componenti robusti, lavorazioni di precisione, materiali certificati, forniture rapide e continuità tecnica.
Per questo un blocco causato dai debiti può fermare interi impianti, interrompere commesse e danneggiare rapporti con industrie, officine e costruttori di macchinari.

La buona notizia è che, intervenendo subito, puoi bloccare pignoramenti, ridurre i debiti e salvare la tua azienda.


Perché le aziende di componenti per presse idrauliche accumulano debiti

Ecco le cause più frequenti:

  • costi elevati di cilindri, pompe, valvole e materiali ad alta pressione
  • rincari delle materie prime (acciaio, ottone, guarnizioni speciali)
  • pagamenti lenti da parte di industrie e costruttori di macchine
  • ritardi nei versamenti IVA, imposte e contributi
  • magazzini complessi con scorte costose e componentistica su misura
  • difficoltà ad accedere a credito bancario sufficiente
  • investimenti continui in macchinari, collaudi e revisioni
  • fornitori strategici che richiedono pagamenti immediati

Tutti questi fattori possono portare a crisi di liquidità e indebitamento crescente.


Cosa fare subito se la tua azienda è indebitata

La cosa più importante è intervenire subito, prima che la situazione peggiori. Ecco i primi passi:

  • far analizzare la situazione debitoria da un avvocato esperto in debiti aziendali
  • verificare quali debiti sono corretti, irregolari o prescritti
  • evitare accordi affrettati o piani di rientro non sostenibili
  • richiedere la sospensione di eventuali pignoramenti
  • attivare rateizzazioni realmente sostenibili con Agenzia Entrate e INPS
  • proteggere fornitori strategici e componenti essenziali
  • prevenire blocchi del conto corrente o riduzioni dei fidi bancari
  • valutare strumenti legali per ridurre, ristrutturare o rinegoziare i debiti

Una diagnosi professionale chiarisce quali debiti è possibile ridurre, sospendere o contestare.


I rischi concreti per un’azienda indebitata

Se non agisci tempestivamente, rischi:

  • pignoramento del conto corrente aziendale
  • fermo di attrezzature, centraline e macchinari di officina
  • blocco delle forniture di componenti idraulici critici
  • impossibilità di completare riparazioni o consegne
  • perdita di clienti industriali e partnership commerciali
  • crisi di liquidità con mancato pagamento di dipendenti e fornitori
  • danni alla reputazione tecnica sul mercato
  • rischio reale di chiusura dell’attività

Nel settore idraulico, anche pochi giorni di fermo possono compromettere intere linee di produzione dei clienti.


Come un avvocato può aiutarti concretamente

Un avvocato specializzato in debiti aziendali può:

  • bloccare immediatamente pignoramenti e procedure esecutive
  • ridurre l’importo complessivo dei debiti tramite trattative efficaci
  • ottenere rateizzazioni davvero sostenibili
  • far annullare debiti prescritti, irregolari o notificati male
  • negoziare con banche e fornitori per evitare sospensioni
  • proteggere magazzino, attrezzature e continuità produttiva
  • stabilizzare l’azienda mentre si ristruttura il debito
  • evitare l’insolvenza e salvare l’attività

Una strategia professionale può salvare l’azienda anche in situazioni molto difficili.


Come evitare il blocco dell’attività

Per evitare un fermo che potrebbe costarti clienti e commesse devi:

  • intervenire subito
  • non trattare con i creditori senza una strategia chiara
  • proteggere forniture e materiali critici
  • ristrutturare i debiti prima dell’arrivo di pignoramenti
  • identificare debiti contestabili o calcolati in modo errato
  • preservare liquidità per garantire la continuità produttiva

Così puoi evitare ritardi, penali e perdita di clienti strategici.


Quando rivolgersi a un avvocato

D dovresti farlo se:

  • hai ricevuto solleciti, intimazioni o preavvisi di pignoramento
  • i debiti con AE Riscossione, INPS, banche o fornitori sono ingenti
  • rischi il blocco del conto corrente aziendale
  • la liquidità si sta riducendo rapidamente
  • non riesci a rispettare pagamenti e scadenze
  • vuoi evitare la chiusura o una procedura concorsuale

Un avvocato esperto può bloccare le procedure, ristrutturare i debiti e mettere in sicurezza la tua impresa.


Attenzione

La maggior parte delle aziende non fallisce per i debiti, ma perché interviene troppo tardi. Con un supporto adeguato puoi ridurre, rinegoziare o eliminare parte dei debiti e proteggere davvero la tua azienda.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in debiti aziendali e difesa di imprese industriali – ti aiuta a mettere in sicurezza la tua azienda di componenti per presse idrauliche.

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Introduzione

Un’azienda produttrice di componenti per presse idrauliche che si trova gravata da debiti affronta una situazione complessa, in cui è fondamentale agire strategicamente per difendere il patrimonio aziendale e tentare il risanamento. I debiti possono derivare da fonti diverse – dal Fisco, dagli enti previdenziali (INPS/INAIL), dalle banche, dai fornitori o da altri creditori – e ciascuna tipologia comporta rischi specifici e strumenti di gestione differenti. In Italia, la normativa in materia di crisi d’impresa (dal Codice della Crisi e dell’Insolvenza – D.Lgs. 14/2019 e successive modifiche) offre una gamma di soluzioni avanzate per aiutare l’imprenditore in difficoltà a evitare la liquidazione giudiziale (il nuovo termine per il fallimento) . Queste soluzioni comprendono misure stragiudiziali di ristrutturazione del debito, procedure concorsuali vere e proprie (come il concordato preventivo o la liquidazione giudiziale), nonché strumenti innovativi come la composizione negoziata della crisi.

Nella presente guida, aggiornata a ottobre 2025, esamineremo in dettaglio cosa fare per difendersi e come agire quando un’azienda specializzata (come quella del nostro caso) ha accumulato debiti. Adotteremo la prospettiva del debitore – l’imprenditore o gli amministratori della società indebitata – illustrando le strategie di tutela del patrimonio, di negoziazione con i creditori e di ristrutturazione secondo la normativa italiana vigente. Il taglio sarà approfondito e giuridico ma divulgativo, adatto sia a professionisti del diritto (avvocati, consulenti) sia a imprenditori e privati coinvolti in situazioni di crisi.

Cosa troverai in questa guida:
– Una rassegna delle diverse tipologie di debiti aziendali (tributari, bancari, verso fornitori, verso enti previdenziali e altri enti) e dei rischi specifici collegati a ciascuna.
– Le soluzioni difensive e di gestione per ogni categoria di debito, inclusi strumenti di dilazione (rateizzazioni, piani di rientro) e transazioni (ad esempio rottamazione delle cartelle fiscali e saldo e stralcio dei debiti).
– Un’analisi delle procedure concorsuali e di composizione della crisi, quali il concordato preventivo, la liquidazione giudiziale (ex fallimento), gli accordi di ristrutturazione dei debiti, la composizione negoziata della crisi e altri istituti (come i piani attestati di risanamento). Verranno spiegate le condizioni per accedervi, i vantaggi (come il blocco delle azioni esecutive) e gli svantaggi di ciascuna procedura.
– I profili di responsabilità degli imprenditori e degli amministratori: capiremo quando e perché i soci o i dirigenti possono essere chiamati a rispondere personalmente dei debiti sociali o incorrere in sanzioni (ad esempio in caso di mala gestione, violazione dei doveri o omessi versamenti di imposte e contributi).
Esempi pratici e simulazioni: proporremo scenari ipotetici su come un’azienda indebitata può preparare un piano di ristrutturazione del debito e un business plan difensivo, con misure concrete (taglio dei costi, accordi con i creditori, ricerca di finanza fresca) per tornare in equilibrio.
Tabelle riepilogative che confrontano le diverse soluzioni (ad esempio, le caratteristiche dei vari strumenti di regolazione della crisi, oppure le differenze di trattamento tra tipi di crediti) in modo da offrire un colpo d’occhio immediato sulle opzioni disponibili.
– Una sezione di Domande e Risposte (FAQ) in cui affrontiamo i quesiti più comuni (es. “Cosa rischio se non pago l’INPS?”, “Come posso evitare il fallimento?”, “È possibile ridurre i debiti fiscali?” etc.), fornendo risposte chiare corredate dai riferimenti normativi più aggiornati.

Importanza della tempestività: va sottolineato sin dall’inizio che intervenire presto è spesso decisivo. La legge oggi incoraggia l’imprenditore a rilevare i segnali di crisi tempestivamente e ad attivarsi prima che la situazione degeneri. Ad esempio, l’art. 3 del Codice della Crisi impone agli amministratori di dotare la società di assetti adeguati per prevenire e rilevare la crisi, attivando subito gli strumenti di composizione negoziale se emergono indizi di difficoltà. Ignorare i problemi di liquidità o accumulare ritardi eccessivi nei pagamenti può aggravare le responsabilità dei gestori e ridurre le opzioni di salvataggio disponibili. La guida, pertanto, enfatizzerà l’importanza di un approccio proattivo: conoscere i propri diritti e doveri e usare gli strumenti legali in modo mirato può fare la differenza tra un’azienda risanata e una destinata alla liquidazione.

Nei capitoli seguenti, analizzeremo ciascun aspetto con riferimenti a norme aggiornate e alle più recenti pronunce giurisprudenziali (inclusi gli orientamenti 2024-2025 della Corte di Cassazione e le novità dei “correttivi” al Codice della Crisi). Tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate saranno elencate in fondo alla guida, nella sezione Fonti, per un ulteriore approfondimento. Cominciamo dunque mappando i debiti che un’azienda tipicamente può accumulare e vediamo come gestirli.

Tipologie di debiti aziendali e relativi rischi

Un’azienda manifatturiera indebitata deve innanzitutto mappare la natura dei propri debiti, poiché ogni tipologia di credito segue regole diverse e comporta differenti rischi legali. Possiamo distinguere tra:

  • Debiti tributari verso il Fisco (Erario) – imposte non versate (IVA, IRES, IRAP, ritenute, accise, etc.) e relative sanzioni;
  • Debiti previdenziali e assistenziali – contributi INPS e premi INAIL non pagati, contributi ai fondi pensione obbligatori, etc.;
  • Debiti bancari e finanziari – esposizioni verso banche (mutui, affidamenti di conto, leasing) o altri finanziatori;
  • Debiti verso fornitori e altri creditori commerciali – fatture non saldate a fornitori di beni e servizi, debiti verso consulenti, locatori, utenze, e in generale crediti non privilegiati (chirografari);
  • Debiti verso dipendenti – stipendi arretrati, TFR non versato, ecc., che godono di tutela speciale;
  • Debiti verso altri enti o amministrazioni – ad esempio enti locali (IMU/TARI non pagate al Comune), sanzioni amministrative da enti pubblici, ecc.

Analizziamo ciascuna categoria, evidenziando i pericoli per l’azienda se non vi fa fronte e le soluzioni disponibili per difendersi. Sarà utile comprendere anche l’ordine di priorità (alcuni debiti sono assistiti da privilegi o garanzie che li rendono più pressanti) e gli eventuali riflessi penali (alcuni inadempimenti, come vedremo, costituiscono reato oltre che violazione civile).

Debiti tributari (verso lo Stato)

I debiti fiscali includono imposte come IVA, imposte dirette (IRES per le società, IRPEF per ditte individuali su reddito d’impresa), imposte regionali (es. IRAP), ritenute fiscale operate su dipendenti/fornitori e non versate, imposte locali (IMU, TARI) e relative sanzioni e interessi di mora. Questi debiti sono in parte assistiti da privilegio generale sui mobili dell’azienda (ad esempio l’IVA non versata e le ritenute hanno privilegio ai sensi degli artt. 2752 e 2753 c.c.) e possono portare all’iscrizione di ipoteche legali sugli immobili aziendali (Agenzia Entrate Riscossione può iscrivere ipoteca se il debito iscritto a ruolo supera €20.000) . In altre parole, il Fisco ha strumenti potenti per recuperare le somme: è un creditore privilegiato e dotato di poteri di esecuzione coattiva peculiari.

Conseguenze del mancato pagamento delle imposte: se l’azienda non paga le imposte dovute, le somme vengono iscritte a ruolo e affidate all’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AER), che notifica la cartella esattoriale. Trascorsi 60 giorni senza pagamento, la cartella diviene titolo esecutivo e l’Agente della riscossione può procedere con azioni esecutive: pignoramenti di conti correnti, pignoramenti presso terzi (crediti verso clienti), iscrizione di fermo amministrativo su veicoli e macchinari, iscrizione di ipoteca sugli immobili . Inoltre maturano interessi di mora e le sanzioni tributarie aumentano il debito. La pendenza di cartelle esattoriali può impedire il rilascio del certificato di regolarità fiscale (DURC fiscale), con impatto negativo su rapporti contrattuali (specie negli appalti pubblici).

Un aspetto cruciale: alcuni omessi versamenti di imposte configurano reati penali. In particolare, l’omesso versamento di IVA oltre una certa soglia e l’omesso versamento di ritenute certificate configurano reati tributari (artt. 10-ter e 10-bis D.Lgs. 74/2000). Le soglie di punibilità attualmente sono: €250.000 annui per l’IVA e €150.000 annui per le ritenute . Se l’azienda ha omesso di versare importi superiori a tali soglie entro le scadenze di legge (di norma entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale), l’amministratore rischia una denuncia penale. La pena prevista è la reclusione fino a 2 anni (per l’IVA) o 3 anni (per le ritenute), salvo che il debito venga estinto prima dell’apertura del dibattimento: infatti la legge prevede cause di non punibilità se il contribuente paga integralmente il dovuto tardivamente (di qui l’importanza di regolarizzare appena possibile). Da notare che dal 2020 le soglie sono state innalzate (in passato erano rispettivamente €50.000 per IVA e €50.000 per ritenute): oggi dunque il penale scatta solo per omissioni molto significative, mentre sotto tali limiti restano illeciti amministrativi con sanzioni pecuniarie. Tuttavia, altri tipi di violazioni tributarie gravi (es. dichiarazione fraudolenta, emissione di fatture false) possono avere rilievo penale a prescindere dal pagamento, ma esulano dallo scopo di questa guida che focalizza sugli omessi pagamenti in situazioni di crisi.

Riassumendo i pericoli connessi ai debiti tributari:

  • Aggressione del patrimonio aziendale: pignoramento di liquidità e beni, con conseguente blocco dell’operatività (es. conto corrente bloccato).
  • Garanzie e ipoteche: l’Erario può vincolare i beni (ipoteca, fermo) rendendo più difficile venderli o finanziarsi.
  • Perdita di requisiti per contratti pubblici: la presenza di debiti fiscali non definiti comporta il mancato rilascio del DURC fiscale e può escludere l’azienda da gare e appalti.
  • Segnalazioni di allerta: gli importi elevati di debito fiscale non pagato sono segnalati all’imprenditore come indicatori di crisi; la legge prevedeva meccanismi di allerta (ora attenuati) in base ai quali l’Agenzia delle Entrate, se i debiti IVA superavano certe soglie (ad es. €5.000 in alcune fattispecie), inviava una comunicazione di allerta invitando a intervenire tempestivamente. Nel sistema attuale (art. 25 D.Lgs. 14/2019 modificato) l’Agenzia Entrate Riscossione è tenuta a inviare al debitore un avviso se i debiti fiscali superano determinati limiti e sono scaduti da oltre 90 giorni, per sollecitare il ricorso agli strumenti di composizione della crisi. Ignorare tali avvisi può portare, nei casi di insolvenza conclamata, all’iniziativa del Pubblico Ministero per aprire una procedura di liquidazione giudiziale .
  • Responsabilità personale degli amministratori: di regola i debiti fiscali di una società di capitali (S.r.l., S.p.A.) non ricadono sui soci o sugli amministratori. Tuttavia, se gli amministratori hanno tenuto comportamenti illeciti, possono incorrere in responsabilità. Ad esempio, l’omesso versamento di ritenute e IVA comporta responsabilità penale personale (come visto sopra). Inoltre, pagare alcuni creditori e lasciare insoluto il Fisco potrebbe esporre l’organo amministrativo ad azioni di responsabilità in sede fallimentare per violazione della par condicio o aggravamento del dissesto (favorire interessi extrasociali a danno dell’Erario è un atto illecito) . La Cassazione ha confermato nel 2025 che l’amministratore commette atto illecito se per conflitto d’interessi paga preferenzialmente soggetti a lui collegati a scapito del Fisco o di altri creditori sociali . In estrema sintesi: accumulare debiti fiscali e non gestirli può condurre non solo l’azienda ma anche i suoi dirigenti in guai seri.

Strumenti di difesa e gestione dei debiti tributari: fortunatamente, l’ordinamento offre varie soluzioni per gestire – e in alcuni casi ridurre – i debiti fiscali, evitando che la situazione degeneri in sequestri o fallimento. Ecco le principali:

  • Rateizzazione amministrativa delle cartelle: L’azienda può chiedere ad Agenzia Entrate-Riscossione un piano di dilazione del debito fiscale. Dal 2023-2024 le condizioni sono state rese più favorevoli: si può ottenere un piano ordinario fino a 72 rate mensili (6 anni) presentando domanda in caso di “temporanea difficoltà” . In caso di difficoltà più gravi, documentate secondo precisi parametri, si può accedere a un piano straordinario fino a 120 rate mensili (10 anni) . Ad esempio, per società di capitali è richiesto di provare che l’importo della singola rata superi il 10% del valore della produzione mensile e che l’indice di liquidità sia tra 0,5 e 1, per ottenere 120 rate . La rateazione concede immediatamente respiro: una volta ottenuta e pagata la prima rata, decadono i provvedimenti esecutivi (fermi, ipoteche) già iscritti e il DURC fiscale torna regolare, purché si rispettino i pagamenti. È importante presentare istanza di rateizzo prima che le azioni esecutive siano irreversibili (es. prima di un’asta immobiliare) e rispettare le scadenze per non decadere dal beneficio.
  • Definizioni agevolate (“rottamazione” delle cartelle): il legislatore negli ultimi anni ha introdotto diverse edizioni della rottamazione delle cartelle esattoriali, l’ultima delle quali (c.d. rottamazione-quater prevista dalla Legge di Bilancio 2023, L. 197/2022) consente di estinguere i debiti a ruolo eliminando sanzioni e interessi di mora, pagando solo l’imposta e un interesse ridotto. Le adesioni a queste sanatorie vanno fatte entro termini fissati dalla legge (per la “quater” era il 30 aprile 2023 per istanza e le rate proseguono fino al 2025 ). Se la tua azienda rientra in una finestra in cui il governo ha aperto condoni o sanatorie fiscali, conviene valutare l’adesione perché può ridurre significativamente il carico (talvolta anche stralciando quota del debito). Ad esempio, la Legge di Bilancio 2023 ha disposto anche lo stralcio automatico dei mini-debiti fino a €1.000 affidati al ruolo prima del 2015, cancellandoli d’ufficio. Bisogna tenersi aggiornati sulle normative in evoluzione (ad ottobre 2025, si discute di ulteriori possibili definizioni agevolate nel 2026, ma occorre riferimento alla legge di bilancio corrente).
  • Transazione fiscale nell’ambito di procedure concorsuali: questo strumento, disciplinato dall’art. 63 del Codice della Crisi (già art. 182-ter l.fall.), consente all’azienda in concordato preventivo o in accordo di ristrutturazione di proporre al Fisco un pagamento parziale o dilazionato dei tributi dovuti. Il piano deve garantire all’Erario almeno la somma che otterrebbe in caso di liquidazione giudiziale (principio di convenienza attestato da un professionista indipendente) . Se l’Erario aderisce volontariamente alla proposta (votando a favore nel concordato o sottoscrivendo l’accordo), i debiti fiscali vengono ridotti secondo quanto concordato (ad esempio pagamento del 50% in 5 anni). La novità rilevante introdotta nel 2022-2023 è il cosiddetto “cram down” fiscale: in caso di concordato preventivo, se il voto contrario dell’Erario (o dell’INPS) sarebbe determinante per bocciare il piano, ma il piano offre comunque al Fisco un trattamento migliore della liquidazione, il tribunale può omologare il concordato anche senza l’adesione dell’Erario . In pratica, dal 2022 il Fisco non ha più un potere di veto assoluto nei concordati: se tutti gli altri creditori approvano e l’alternativa sarebbe peggiore, il giudice può forzare la transazione fiscale (cram down). Lo stesso vale per gli accordi di ristrutturazione dei debiti omologati: il Codice della Crisi (artt. 61-63) prevede che si possano omologare accordi anche senza il consenso di Agenzia Entrate o INPS, purché sia assicurato il rispetto del trattamento minimo (il “soddisfacimento minimo” recentemente innalzato dal correttivo 2024). Attenzione: le modifiche del 2023-2024 hanno fissato soglie minime di pagamento dei debiti fiscali/previdenziali per usufruire del cram down negli accordi, in misura elevata (indicativamente almeno 50-60% del credito, a seconda dei casi) . Ciò significa che oggi l’azienda che vuole forzare una riduzione dei debiti tributari in un accordo deve prevedere di pagarne almeno la metà (salvo l’Erario accetti volontariamente cifre inferiori). In ogni caso, la transazione fiscale è uno strumento fondamentale per ridurre i debiti erariali in sede concorsuale, anche senza un atto di clemenza legislativa.
  • Sospensione delle azioni esecutive (stay) attraverso le procedure concorsuali: quando l’azienda accede a una procedura di regolazione della crisi (come il concordato preventivo) ottiene un immediato blocco delle azioni esecutive e cautelari individuali dei creditori. Ciò significa che Agenzia Entrate-Riscossione non potrà procedere con nuovi pignoramenti o iscrizioni ipotecarie dal momento dell’ammissione al concordato preventivo (o dall’emissione delle misure protettive nel concordato “in bianco”). Analogamente, se si presenta domanda di composizione negoziata con misure protettive, il tribunale può sospendere per qualche mese le azioni esecutive del Fisco . Questo “scudo” temporaneo può rivelarsi vitale: ferma l’emorragia e dà all’azienda il tempo di riorganizzarsi e trattare un accordo globale con i creditori. Naturalmente, la protezione è temporanea e finalizzata alla ricerca di un accordo: non si può pensare di congelare il Fisco indefinitamente senza proporre nulla. Ma se l’azienda ha un piano credibile, il concordato preventivo permette anche di moratoriare i debiti tributari (pagandoli, ad esempio, a fine piano, nei limiti della convenienza rispetto alla liquidazione).
  • Strumenti difensivi aggiuntivi: in taluni casi, se la pretesa fiscale è controversa (ad esempio l’azienda ha fatto ricorso contro un accertamento), conviene valutare l’esito del contenzioso tributario: se l’accertamento fosse annullato o ridotto, anche la cartella decadrebbe o si rideterminerebbe. Durante un concordato, i debiti fiscali “contestati” possono essere accantonati in attesa di giudizio (art. 88 CCII). Inoltre l’azienda può utilizzare a proprio favore istituti come la compensazione (se vanta crediti verso la PA, ad es. crediti IVA o verso fornitori pubblici, può compensarli con partite a ruolo, nei limiti di legge) o la rinuncia agevolata alle liti (strumenti una tantum che consentono di chiudere il contenzioso pagando una percentuale). È sempre opportuno farsi assistere da un consulente fiscale in parallelo, per sfruttare queste leve.

Tabella riepilogativa – Debiti fiscali: caratteristiche e gestione

AspettoDescrizione
Creditori coinvoltiStato (Erario) – Agenzia delle Entrate (per accertamenti) e Agenzia Entrate-Riscossione (per cartelle). Comprende imposte dirette (IRES/IRPEF), indirette (IVA, registro), ritenute, accise, tributi locali eventualmente confluiti in cartelle.
Garanzie e rangoPrivilegio generale sui beni mobili per IVA, ritenute e altri tributi (entro certi limiti); ipoteca legale iscrivibile su immobili per ruoli ≥ €20.000 . Sanzioni e interessi sono chirografari (senza privilegio).
Conseguenze se non pagatiCartella esattoriale dopo iscrizione a ruolo; dopo 60 giorni AER può avviare pignoramenti, fermi amministrativi, ipoteche . Crescono sanzioni e interessi. Blocco del DURC fiscale e possibili esclusioni da gare pubbliche. Rischio di reato per omessi versamenti IVA/ritenute sopra soglia (art. 10-ter e 10-bis D.Lgs.74/2000) con responsabilità penale dell’amministratore.
Strumenti di soluzioneRateizzazione: piano fino a 72 rate (ordinario) o 120 rate (straordinario con requisiti) . <br>– Definizioni agevolate: rottamazione cartelle (stralcio sanzioni e interessi), saldo e stralcio (se previsto per alcuni contribuenti). <br>– Transazione fiscale: in concordato/accordo, possibilità di proporre pagamento parziale/dilazionato con omologazione giudiziale anche senza adesione Fisco (cram down) se il piano è più conveniente del fallimento . <br>– Composizione negoziata: possibile accordo transattivo col Fisco in sede stragiudiziale (dal 2024, art. 23 co.2-bis CCII) con autorizzazione del tribunale, purché Agenzia Entrate aderisca . <br>– Protezione concorsuale: blocco dei pignoramenti presentando domanda di concordato o misure protettive nella negoziazione .

(N.B.: I “tributi propri” UE come dazi e IVA in passato non erano falcidiabili; oggi l’IVA può essere inclusa nella transazione fiscale, a seguito di allineamento alla giurisprudenza UE e modifiche normative)

Debiti verso enti previdenziali (INPS, INAIL)

Oltre al Fisco, un capitolo fondamentale riguarda i debiti verso gli enti previdenziali e assistenziali, principalmente INPS (contributi pensionistici obbligatori per dipendenti, contributi dovuti da artigiani e commercianti, gestione separata, etc.) e INAIL (premi assicurativi contro gli infortuni sul lavoro). Questi debiti rappresentano le somme dovute per garantire le tutele dei lavoratori (pensioni, copertura infortuni) e il loro mancato pagamento è considerato molto grave dal legislatore, in quanto incide direttamente su diritti dei dipendenti. Un termometro immediato della regolarità contributiva è il DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva): se l’azienda ha anche un solo versamento INPS o INAIL scaduto, il DURC risulta “irregolare” e l’impresa non può, tra l’altro, partecipare ad appalti pubblici né ottenere pagamenti per lavori pubblici in corso . In alcuni settori (edilizia, industria metalmeccanica) anche i committenti privati richiedono il DURC alle aziende fornitrici, quindi l’assenza di regolarità contributiva può bloccare operativamente l’impresa .

Natura e rango di questi crediti: i contributi previdenziali non pagati godono di privilegio generale al pari dei tributi (art. 2753 c.c.) – anzi, i crediti per contributi dovuti ai lavoratori hanno rango privilegiato elevato, paragonabile a quello delle imposte . Le sanzioni civili applicate dall’INPS per ritardato od omesso versamento (interessi e sanzioni amministrative) invece sono considerati crediti chirografari (vengono dopo, in un’eventuale procedura). Se l’azienda entra in concordato o fallisce, l’INPS e l’INAIL sono creditori privilegiati che vanno soddisfatti prima dei creditori chirografari.

Conseguenze del mancato pagamento dei contributi: l’INPS dispone di un sistema di recupero simile a quello fiscale. Emette gli avvisi di addebito, che sono titoli esecutivi immediatamente equiparati a cartelle esattoriali (dal 2011 l’INPS non affida più le somme all’esattore tramite ruoli, ma emette propri avvisi, comunque riscossi tramite l’Agenzia Entrate-Riscossione). Dopo la notifica dell’avviso (oggi via PEC per le aziende), se non si paga entro 60 giorni, scatta l’esecuzione forzata in mano all’Agente della Riscossione: anche qui quindi pignoramenti, fermi e ipoteche come per le cartelle tributarie . L’INPS inoltre ha un ruolo attivo nei meccanismi di allerta della crisi: se i contributi non versati superano certe soglie e il ritardo supera 3 mesi, l’ente è tenuto a inviare all’imprenditore una segnalazione di allerta (una comunicazione ufficiale che invita a rivolgersi all’Organismo di composizione della crisi o a prendere provvedimenti) . Ad esempio, attualmente tali soglie sono: €15.000 di contributi arretrati per aziende con dipendenti (purché rappresentino almeno il 30% del dovuto annuale precedente) oppure €5.000 per ditte senza dipendenti, con omissione oltre 90 giorni . Superati questi limiti, l’INPS (così come l’INAIL per i premi) deve attivarsi entro 60 giorni con l’avviso al debitore, preludio – se la situazione persiste – a potenziali iniziative più drastiche (come l’istanza di fallimento o la segnalazione in procura, anche se in pratica l’INPS preferisce soluzioni concordate).

Un aspetto da evidenziare è la distinzione tra quota a carico del datore di lavoro e quota a carico del lavoratore nei contributi: la seconda è quella parte di contributi previdenziali che l’azienda trattiene dalla busta paga del dipendente (ritenuta) per versarla all’INPS. Non versare le ritenute previdenziali del lavoratore è considerato particolarmente grave: la legge (D.L. 463/1983, art. 2 comma 1-bis) punisce penalmente l’omesso versamento di queste ritenute se l’importo supera €10.000 annui . La sanzione penale è la reclusione fino a 3 anni e multa fino a €1.032 . Sotto tale soglia, il fatto è depenalizzato e resta un illecito amministrativo con multa da €10.000 a €50.000 . In pratica: se un’azienda versa in crisi di liquidità e non riesce a pagare tutti i contributi, è meno pericoloso (dal punto di vista penale) omettere temporaneamente la quota datoriale piuttosto che trattenere i soldi ai dipendenti e non girarli all’INPS. Quest’ultimo comportamento è assimilato a un’appropriazione indebita a danno del lavoratore (da qui la rilevanza penale). Va anche detto che la norma prevede una causa di non punibilità se il datore paga le ritenute entro 3 mesi dalla contestazione o notifica della violazione . Quindi, anche in caso di superamento della soglia penale, all’apertura dell’indagine l’azienda ha ancora 3 mesi per correre ai ripari ed estinguere il reato pagando tutti gli arretrati (un incentivo forte a regolarizzare appena possibile). La quota dei contributi a proprio carico (c.d. quota datoriale) invece, se non versata, dopo la riforma del 2016 non è più reato a prescindere dall’importo – rimane solo sanzione amministrativa – perché si è ritenuto meno allarmante (è un debito dell’azienda, non trattenuto al lavoratore) .

Altre conseguenze del debito contributivo includono: la già citata perdita del DURC, con i correlati blocchi contrattuali; e il possibile intervento del Fondo di Garanzia INPS per il TFR e i salari, ma quest’ultimo scatta solo se l’azienda viene assoggettata a liquidazione concorsuale (fallimento o liquidazione giudiziale). Infatti, se l’azienda fallisce e non ha versato contributi, i dipendenti possono chiedere all’INPS il pagamento del TFR e delle ultime tre mensilità tramite il Fondo di Garanzia – l’INPS poi si insinua al posto loro nel passivo . Tuttavia, se l’azienda evita il fallimento con un concordato o accordo, dovrà essa stessa pagare quei crediti ai lavoratori, e dunque saldare i contributi relativi (non potendo scaricarli sul Fondo).

Gestione e difesa nei confronti dei debiti contributivi: molte soluzioni ricalcano quelle fiscali, con alcune particolarità:

  • Rateizzazioni presso INPS/INAIL: l’INPS consente piani di rateazione dei contributi dovuti in via amministrativa. Tipicamente, il regolamento INPS prevede dilazioni fino a 24 rate mensili (2 anni) per debiti contributivi, estensibili eccezionalmente fino a 36 mesi in casi gravi, e con possibilità di una proroga ulteriore in presenza di determinati requisiti (ad es. in caso di crisi dovuta a eventi straordinari, crisi temporanee di mercato, etc.). Le rateizzazioni dei contributi vengono concesse direttamente dall’INPS su istanza motivata, e richiedono di regolarizzare anche il versamento corrente (cioè l’azienda deve comunque pagare i contributi maturandi nel frattempo). Il vantaggio è che con un piano approvato, l’azienda riottiene il DURC positivo (viene emesso un DURC in regola per rateizzazione in corso), e l’INPS sospende le azioni di recupero. È fondamentale rispettare il piano: se si saltano due rate, generalmente si decade e l’intero debito residuo torna esigibile subito (con ripresa di sanzioni e interessi).
  • Transazione previdenziale nelle procedure concorsuali: storicamente l’INPS era meno flessibile del Fisco nel concedere stralci; fino a pochi anni fa, nelle procedure concorsuali si parlava di “transazione fiscale e contributiva” ma di fatto l’INPS spesso rifiutava proposte di pagamento parziale nei concordati, sostenendo l’indisponibilità del credito contributivo. La riforma del Codice della Crisi ha equiparato il trattamento dei debiti contributivi a quello dei debiti tributari: oggi anche i crediti INPS/INAIL possono essere falcidiati in un concordato preventivo o accordo omologato, alle stesse condizioni (pagamento non inferiore a quanto otterrebbero in liquidazione) . Il “cram down” contributivo è parimenti ammesso: se la proposta verso l’INPS è più vantaggiosa del fallimento, il tribunale può omologare il concordato anche senza il voto favorevole dell’ente . Nel 2024, con il “correttivo-ter”, è stato introdotto esplicitamente anche nell’ambito della composizione negoziata il possibile accordo transattivo con gli enti previdenziali . Ciò significa che, durante la fase negoziale stragiudiziale con l’esperto, l’imprenditore può proporre un taglio o dilazione dei contributi dovuti a INPS/INAIL e, se l’ente acconsente, formalizzare un accordo che il tribunale autorizza ma senza omologa formale (un meccanismo analogo a quello fiscale discusso sopra). Attenzione: la norma inserita (art. 23 comma 2-bis CCII) fa riferimento ai debiti verso Agenzie fiscali, e secondo alcuni commentatori esclude i contributi previdenziali dallo stralcio in sede di composizione negoziata (limitando l’accordo ai soli tributi erariali) . Quindi c’è un dibattito interpretativo: formalmente, al momento, l’accordo in composizione può riguardare solo i debiti fiscali e non quelli contributivi, presumibilmente per la resistenza di INPS a transigere extra-giudizialmente. Tuttavia, nulla vieta in pratica che l’INPS partecipi alle trattative e conceda dilazioni informali; semplicemente l’accordo non avrà la stessa efficacia legale se l’INPS non è incluso. In sede di concordato preventivo invece, vige l’obbligo di trattare anche i debiti contributivi nel piano: non si possono ignorare, e se l’INPS non accetta stralci, bisognerà accantonare il 100% del loro importo privilegiato (o applicare il cram down se possibile). In sintesi, oggi l’imprenditore può certamente proporre un pagamento ridotto dei contributi in un piano di risanamento (e conviene farlo in parallelo a quello fiscale), ma deve tenere presente che l’assenso dell’INPS è meno scontato e che eventuali normative future potrebbero ampliare la possibilità di transigere contributi anche fuori dalle aule di tribunale.
  • Misure protettive tramite procedure: analogamente al Fisco, presentare una domanda di concordato preventivo o ristrutturazione dà diritto allo stay delle azioni esecutive anche per l’INPS. Ciò congela per un periodo i pignoramenti per contributi e dà modo di includere il debito nel piano generale. Se l’azienda avvia una composizione negoziata, può chiedere al giudice misure protettive che impediscano all’INPS di iscrivere nuove ipoteche o di perseguire il recupero coercitivo mentre le trattative sono in corso . Questa protezione è preziosa, specie perché l’INPS tende a muoversi rapidamente con fermi amministrativi e segnalazioni di irregolarità: ottenere qualche mese di tregua può evitare che l’azienda perda appalti o subisca pignoramenti improvvisi.
  • Responsabilità personali e patrimoniali: qui occorre distinguere. Se l’azienda è una società di capitali, i soci non rispondono personalmente dei debiti contributivi (salvo abbiano firmato garanzie personali, ad esempio un fideiussione su un piano di dilazione). Diverso è per l’imprenditore individuale o i soci di una società di persone (S.n.c., S.a.s.), i quali hanno responsabilità illimitata: in tal caso l’INPS può agire anche sul patrimonio personale (conto privato, immobili personali) per recuperare i contributi. Inoltre, i liquidatori o amministratori di società potrebbero incorrere in responsabilità se durante la liquidazione hanno pagato altri creditori lasciando insoluti i contributi dei dipendenti (in caso di fallimento, il curatore spesso promuove azioni di responsabilità ex art. 2394 o 2476 c.c. contro gli amministratori per aver leso i creditori sociali, e la mancata contribuzione è un elemento di danno). Va segnalato un aspetto: la legge prevede (art. 2392 c.c. e seguenti) che gli amministratori debbano gestire diligentemente. La Cassazione ha affermato, in casi di società fallite, che l’amministratore che protrae l’attività aggravando l’esposizione verso creditori preferenziali come l’Erario o l’INPS può essere ritenuto responsabile delle conseguenti maggiori perdite . Questo rafforza l’idea che accumulare debiti contributivi non è solo pericoloso di per sé, ma può costituire indice di insolvenza irreversibile: se l’azienda non riesce a pagare stipendi e contributi, difficilmente potrà evitare la crisi conclamata, e gli amministratori dovrebbero valutare il dovere di interrompere l’attività o attivare subito strumenti di crisi.

In sintesi: i debiti verso INPS e INAIL vanno trattati con pari – se non maggiore – urgenza rispetto a quelli fiscali. Non solo mettono a repentaglio la prosecuzione dei lavori (DURC negativo), ma espongono anche a possibili profili di reato. Le soluzioni passano per accordi con gli enti (rateazione) e, se la situazione è compromessa, per includere i contributi nei piani di risanamento sapendo che godono di privilegio: spesso, in un concordato, i debiti contributivi vanno pagati in misura significativa (anche 100% se coperti da attivo liquidabile). Ad esempio, la legge impone nel concordato in continuità che le ritenute previdenziali non versate siano pagate integralmente come debiti prededucibili, e comunque i crediti di lavoro e previdenza degli ultimi mesi vanno soddisfatti con priorità (vedremo più avanti il caso dei dipendenti). Pertanto, nelle strategie difensive, l’imprenditore dovrà valutare la sostenibilità di un piano che preveda la sistemazione dei contributi: se l’azienda ha macchinari o immobili ipotecabili, si può pensare di vendere asset non strategici per far cassa e pagare INPS/INAIL (mantenendo così il DURC e la continuità aziendale), piuttosto che rischiare il collasso operativo.

Debiti bancari e finanziari

Le imprese manifatturiere spesso ricorrono al credito bancario per finanziare investimenti e capitale circolante. I debiti verso banche possono assumere varie forme: mutui ipotecari (per macchinari o immobili), aperture di credito in conto corrente (fidi di cassa), anticipi su fatture o ricevute, leasing finanziari per l’acquisto di beni strumentali, o ancora scoperti di conto, castelletto per sconto fatture, ecc. Possono esserci anche debiti verso società finanziarie o di leasing, o obbligazioni se l’azienda ha emesso titoli di debito. Questi crediti possono essere assistiti da garanzie: molto spesso la banca ha richiesto ipoteca su capannoni o macchine, pegno su magazzino o su crediti, oppure fideiussioni personali degli imprenditori o di terzi garanti (es. consorzi fidi). Di conseguenza, il debito bancario insoluto può avere ripercussioni sia sul patrimonio aziendale sia su quello personale dei garanti.

Conseguenze del mancato pagamento ai finanziatori: ogni contratto bancario ha clausole di risoluzione/decadenza in caso di inadempimento. Ad esempio, il mancato pagamento di una o due rate di mutuo consente alla banca di risolvere il contratto e chiedere il rimborso immediato del capitale residuo, avviando azioni esecutive (pignoramento immobiliare se c’è ipoteca). Nel caso di affidamenti in conto corrente (fido di cassa), la banca può revocare gli affidamenti se l’azienda non rispetta le condizioni (ad es. sconfinamenti non rientrati, o peggioramento del merito creditizio): la revoca fa sì che l’intero scoperto diventi esigibile subito. Lo stesso vale per anticipi su fatture: se l’azienda non paga o i debitori ceduti non pagano, la banca addebiterà sul conto gli anticipi concessi, generando un debito immediato. Dunque, un’azienda in crisi di liquidità rischia l’effetto domino: basta saltare una rata o sforare il fido, e la banca potrebbe chiudere i rubinetti, aggravando la crisi. Inoltre, le banche segnalano andamentali negativi alla Centrale Rischi: ritardi o insolvenze vengono registrate e compromettono la reputazione creditizia dell’impresa (rendendo impossibile ottenere nuovo credito altrove).

Se i debiti bancari restano insoluti, le banche tipicamente: (a) inviano una diffida di pagamento e poi una lettera di decadenza dal beneficio del termine, ove applicabile (per mutui/leasing), chiedendo l’immediato saldo; (b) escutono le garanzie accessorie – ad esempio, escussione delle fideiussioni personali: i garanti riceveranno richieste di pagamento e, in mancanza, pignoramenti sui loro beni; (c) attivano le procedure esecutive sui beni dati in garanzia reale – es. azione ipotecaria sul capannone, o ritiro del bene in leasing (in caso di leasing non pagato, il leasing è risolto e il bene viene ripreso dal lessor che poi chiederà differenza canoni/valore).

Da notare: se la banca ha un’ipoteca o un pegno, è un creditore privilegiato (anzi garantito) e avrà prelazione sui beni in caso di procedura concorsuale. Se invece il credito è chirografario (nessuna garanzia), in fallimento viene soddisfatto pro quota con gli altri chirografari, spesso in minima percentuale. Questo contesto spiega due comportamenti tipici: le banche con garanzie tendono ad agire subito per escutere, forti dei loro diritti di prelazione (es. l’ipoteca permette l’espropriazione anche se altri creditori non agiscono); le banche chirografarie, invece, sanno di avere rischio elevato e preferiscono talvolta accordarsi (per evitare di finire in coda in un fallimento con pochi asset).

Soluzioni e difese per i debiti bancari: a differenza del Fisco, le banche possono essere più flessibili in sede negoziale (perché hanno interesse economico a massimizzare il rientro, e non sono vincolate da “indisponibilità” pubblica del credito). Ecco alcune strategie:

  • Moratorie e rinegoziazione del debito: se l’azienda prevede difficoltà temporanee, la prima mossa è dialogare con la banca. Spesso gli istituti (specie se il rapporto è lungo e fiduciario) accettano di rinegoziare i termini: ad esempio allungare la durata del mutuo (riducendo l’importo rata), concedere un periodo di pre-ammortamento (rate di soli interessi per tot mesi), o piani di rientro graduali sullo scoperto di conto. Negli ultimi anni, su impulso anche normativo (Accordi ABI), si sono avute moratorie di sistema: ad esempio, moratorie COVID dove le PMI potevano sospendere le rate dei mutui per un periodo. Attualmente (2025) non vi sono moratorie generalizzate, ma le banche possono valutare caso per caso. Importante è non aspettare il default totale: se l’azienda prospetta difficoltà, è meglio chiedere rimodulazione prima di accumulare insoluti, dimostrando piani di ripresa. Una due diligence finanziaria interna può aiutare a convincere la banca, mostrando che con un po’ di respiro la situazione può migliorare.
  • Consorzi di garanzia e Fondi pubblici: l’azienda può coinvolgere i Confidi o il Fondo Centrale di Garanzia PMI (se eleggibile) per ottenere garanzie su eventuali nuovi finanziamenti di ristrutturazione. Per esempio, esistono finanziamenti per il consolidamento delle passività a breve, garantiti in parte dallo Stato: la banca potrebbe essere più propensa a concedere liquidità per pagare fornitori o equitare debiti se c’è una garanzia pubblica che riduce il suo rischio. Nel contesto di un piano di risanamento, ottenere un nuovo finanziamento prededucibile (che ha priorità di rimborso) garantito dal Fondo PMI può servire a pagare debiti strategici (come stipendi, fornitori critici) e ripartire. Bisogna valutare attentamente la fattibilità e rivolgersi a un consulente finanziario.
  • Accordo di ristrutturazione dei debiti con le banche: se l’esposizione bancaria è molto elevata e frammentata, l’azienda può percorrere la strada dell’accordo di ristrutturazione ex art. 57 CCII (ex art. 182-bis l.f.). Questo accordo, da omologare in Tribunale, richiede l’adesione di almeno il 60% dei crediti totali . Spesso viene utilizzato quando ci sono poche banche principali che detengono la maggior parte del debito finanziario: si trova un’intesa (ad esempio conversione di parte del debito in strumenti partecipativi, riduzione tasso, allungamento scadenze, stralcio di quota interessi, etc.), la si formalizza in un accordo legale e la si sottopone al giudice. L’omologazione rende l’accordo efficace anche verso eventuali creditori finanziari minoritari dissenzienti . Un vantaggio è che l’accordo non richiede il voto di tutti i creditori né assemblee: è un atto negoziale approvato dal tribunale. Con le modifiche recenti, esistono vari tipi di accordo di ristrutturazione: ordinario (60%), agevolato (30% dei crediti, ma solo per creditori finanziari) e a efficacia estesa (75% di una certa categoria, esteso ai dissenzienti di quella categoria) . Ad esempio, l’accordo agevolato consente – se i debiti sono prevalentemente verso banche – di omologare con un consenso ridotto al 30% ma includendo solo banche e intermediari (recepisce la Direttiva UE 2019/1023). Queste soluzioni sono tecnicamente avanzate e richiedono attestazioni di esperti sulla fattibilità, ma possono ridurre sensibilmente l’indebitamento verso banche senza passare per un concordato (che coinvolgerebbe tutti i creditori). Va detto che spesso le banche preferiscono accordi estragiudiziali piuttosto che procedure concorsuali lunghe: se vedono che l’alternativa è il fallimento dove recupererebbero poco, sono disponibili a piani di ristrutturazione dove magari accettano di ridursi il credito in cambio di una partecipazione agli utili futuri o garanzie migliori.
  • Concordato preventivo: se il debito finanziario è insostenibile e non c’è accordo totale con le banche, resta l’opzione del concordato. Nel concordato preventivo le banche, se garantite da pegni/ipoteche, sono creditori privilegiati e dovranno essere soddisfatte almeno per il valore del bene sottostante (salvo diverso accordo); la parte di credito eventualmente eccedente il valore del pegno/ipoteca diventa chirografaria e può subire falcidia. Le banche chirografarie saranno trattate come gli altri chirografari (quindi potrebbero vedersi offrire percentuali ridotte e pagamenti dilazionati secondo il piano). Il concordato in continuità può prevedere la moratoria dei crediti garantiti: ad esempio, si può proporre di non pagare le rate dei mutui ipotecari fino a due anni dall’omologa, concentrando le risorse sulla ripresa, purché gli interessi compensativi siano riconosciuti (art. 86 CCII). Inoltre, nel concordato l’azienda potrebbe cedere asset non strategici per pagare parzialmente le banche garantite, e mantenere i beni essenziali. Le banche voteranno il piano: in genere, se ottengono nel concordato una soddisfazione pari o superiore a quella stimata in caso di liquidazione forzata, hanno interesse a votare sì (per evitare i tempi e incertezze di un fallimento).
  • Misure protettive: simile ai casi precedenti, presentando la domanda di concordato o accordo si ottiene la sospensione anche delle azioni esecutive bancarie. Ciò può fermare, ad esempio, un’asta immobiliare già programmata sul capannone ipotecato. Attenzione però: la banca creditrice ipotecaria può chiedere al tribunale di essere autorizzata a escutere ugualmente se dimostra che il bene dato in garanzia si sta svalutando o che il ritardo la pregiudica; ma in un concordato in continuità solitamente questo non è concesso, perché pregiudicherebbe la par condicio. Quindi lo stay concorsuale tutela l’azienda temporaneamente anche verso i finanziatori. Nel frattempo, l’azienda potrebbe valutare di vendere volontariamente l’immobile ipotecato a un prezzo migliore di quello d’asta e con il ricavato soddisfare la banca, incorporando l’operazione nel piano di concordato – mossa spesso vincente per massimizzare i valori.
  • Garanzie personali dei soci: se l’imprenditore (o altri) ha garantito personalmente i debiti bancari, le banche potrebbero agire contro di lui anche se l’azienda avvia un concordato (la protezione concorsuale non si estende ai garanti: solo l’azienda è protetta dallo stay, non i fideiussori). Questo significa che i soci garanti rischiano di vedersi attaccare il patrimonio personale parallelamente. Cosa fare in tal caso? Una possibilità è cercare di includere nel piano di ristrutturazione un trattamento anche per i garanti – ad esempio convincere le banche a non agire sui garanti in cambio di un certo rimborso concordatario, oppure far sì che i garanti apportino nuove risorse all’azienda per aumentare la percentuale di rimborso (in pratica, convertire il rischio escussione in un contributo volontario al piano). In alcuni concordati si prevede espressamente l’esdebitazione dei soci garanti: i creditori rinunciano all’azione di regresso se la società adempie al piano. È un elemento contrattuale: la legge non obbliga la banca a rinunciare verso il garante, ma in negoziazione si può ottenere (specie se il garante minaccia a sua volta procedure personali di sovraindebitamento). In definitiva, l’imprenditore che ha dato fiducia personale alla banca potrebbe dover percorrere strade come la liquidazione del proprio patrimonio personale (es. vendere immobili di famiglia) per pagare il debito oppure attivare egli stesso strumenti come il piano del consumatore o la liquidazione del sovraindebitato se rimane con debiti personali insostenibili. Questo tema sconfina nella sfera privata, ma va menzionato perché spesso le PMI hanno conti garantiti dai titolari.

In sintesi per i debiti finanziari: la parola chiave è negoziare. Le banche puntano a massimizzare il recupero evitando le lungaggini e perdite di un default conclamato. Un imprenditore proattivo che presenta un business plan difensivo credibile, mostrando come intende ristrutturare l’impresa e restituire almeno parzialmente il dovuto, troverà in molti casi un interlocutore ragionevole nelle banche. Al contrario, se la banca percepisce disorganizzazione o opacità, tenderà a tutelarsi aggredendo i beni. Nei prossimi capitoli, quando parleremo di piani di ristrutturazione del debito, faremo esempi di rimodulazione dei debiti finanziari.

Vale infine la pena ricordare che l’ordinamento prevede, in estremis, anche procedure concorsuali speciali per aziende di grandissime dimensioni in crisi finanziaria (es. amministrazione straordinaria per grandi imprese insolventi con rilevanza occupazionale, Legge Marzano e Prodi bis) – ma non è il caso tipico di una azienda di componenti meccanici, a meno che non avesse migliaia di dipendenti. Ci concentriamo dunque sulle procedure standard.

Debiti verso fornitori e altri creditori chirografari

I debiti commerciali verso fornitori rappresentano l’importo dovuto ai propri fornitori di materie prime, componenti, servizi e altre prestazioni d’opera. Spesso sono debiti frammentati in importi relativamente piccoli, con scadenze brevi (fatture a 30-60-90 giorni). In una situazione di crisi di liquidità, è comune che l’azienda ritardi i pagamenti ai fornitori come prima misura tampone – “tirare il fiato” selettivamente, aspettando incassi. Tuttavia, questa scelta può scatenare reazioni a catena pericolose: i fornitori non pagati potrebbero sospendere le forniture essenziali (bloccando la produzione) o agire legalmente per recuperare i propri crediti .

C’è da considerare che ogni fornitore è potenzialmente un creditore istante: in Italia la legge consente a qualunque creditore, anche non privilegiato, di presentare istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) se il debitore è in stato d’insolvenza (art. 121 CCII) . Questo significa che anche un piccolo fornitore con, ad esempio, €5.000 di fatture scadute non pagate potrebbe chiedere al Tribunale la dichiarazione di fallimento dell’azienda debitrice, se ci sono evidenze che la stessa non è più in grado di soddisfare regolarmente i propri obblighi. Per le società soggette a fallibilità (ossia quelle sopra i parametri di legge, che nel nostro caso di un’azienda industriale presumibilmente sono superati), questa è una spada di Damocle: basta un creditore “agguerrito” per innescare la procedura concorsuale d’ufficio . I fornitori, dunque, non sono da trascurare solo perché chirografari: la loro insoddisfazione può precipitare la crisi.

Conseguenze del mancato pagamento ai fornitori: oltre al rischio di istanza di fallimento, più immediatamente il fornitore può agire in via monitoria. In pratica, munito di fatture o DDT firmati, un fornitore può chiedere al giudice un decreto ingiuntivo ed ottenerlo anche in 1-2 mesi. Se l’azienda non fa opposizione o non paga entro 40 giorni dalla notifica, il decreto diventa definitivo e il fornitore può procedere con pignoramenti (di conti, beni mobili, crediti verso terzi). Spesso i fornitori conoscono la realtà aziendale e possono individuare punti deboli: ad esempio, possono pignorare i crediti verso il cliente principale dell’azienda, incamerando i pagamenti delle commesse in corso (con grave danno per la liquidità). Oppure possono pignorare merci e materiali in magazzino. Alcuni fornitori, se strategici, potrebbero anche sfruttare il ritenere il titolo di proprietà su beni consegnati fino al pagamento (clausole di riserva di proprietà o leasing operativo di attrezzature). Inoltre, un gruppo di fornitori può coordinarsi per fare pressione con azioni legali multiple.

Infine, c’è un rischio indiretto: i fornitori insoluti ne parlano in giro, la reputazione dell’azienda peggiora nel mercato, altri partner potrebbero richiedere pagamenti anticipati o revocare fidi commerciali (riduzione dei termini di pagamento, richiesta di pagamento all’ordine), aggravando ulteriormente la stretta di liquidità.

Trattamento dei fornitori nelle procedure concorsuali: in caso di concordato o fallimento, i fornitori sono solitamente creditori chirografari, a meno che qualcuno di essi non vantasse un privilegio speciale (es: fornitore che ha un privilegio edile, oppure riserva di proprietà su un macchinario fornito; queste però sono situazioni particolari). Ciò implica che in un concordato preventivo, ai fornitori può essere proposto un pagamento parziale (haircut). La legge non fissa una percentuale minima generale per i chirografari nel concordato in continuità (mentre nel concordato liquidatorio puro c’è il minimo 20% per legge, art. 84 c.6 CCII). In continuità, teoricamente anche meno del 20% può passare se i creditori approvano. Tuttavia, attenzione: un concordato con continuità che propone percentuali molto basse ai fornitori deve essere approvato dalle maggioranze di legge (maggioranza semplice dei crediti votanti, e almeno il 50% di tutti i crediti ammessi al voto). Quindi la fattibilità di un concordato dipende dal convincere i fornitori a votare sì. Fornitori che ricevono proposte inferiori alle aspettative spesso votano no; se sono numerosi, possono bocciare il piano. Inoltre, dal punto di vista pratico, tagliare troppo i crediti dei fornitori potrebbe pregiudicare i rapporti commerciali futuri: chi fornirebbe ancora materiali a un’azienda che li ha portati in concordato pagandoli, poniamo, al 30%? . Per questo, un buon piano di risanamento cerca di bilanciare: magari offre percentuali un po’ più alte ai fornitori strategici, oppure li suddivide in classi per trattarli diversamente (il Codice consente di classare i creditori in concordato, e i fornitori possono essere divisi per tipologia).

Strategie difensive verso fornitori:

  • Comunicazione e accordi individuali: la primissima regola è non lasciare i fornitori nell’incertezza totale. Un fornitore informato è spesso più disponibile di uno ignorato. Se l’azienda prevede un ritardo, è opportuno contattare i fornitori chiave, spiegare la situazione e chiedere dilazioni (standstill). Molti fornitori preferiscono piani di rientro concordati piuttosto che azioni legali costose: ad esempio, scrivere un accordo in cui l’azienda si impegna a pagare il 50% del dovuto subito e il resto in 6 mesi, magari garantito da effetti cambiari o da un impegno a cedere eventuali crediti in loro favore. Se il fornitore è strategico (cioè se la sua fornitura è indispensabile e non facilmente sostituibile), sarà anche nel suo interesse evitare di perdere il cliente: accetterà più facilmente di spalmarvi il debito nel tempo piuttosto che vedervi fallire e incassare poco. Questa logica di “saldo e stralcio” informale è utilissima: a volte, con una trattativa diretta, si può ottenere che il fornitore rinunci a una parte del credito (sconto) in cambio del pagamento immediato di una parte. Ad esempio: “Devo €100k, posso dartene €60k entro un mese se chiudiamo la partita”. Forse non tutti accetteranno, ma qualcuno sì, specie se teme di peggio in futuro. Ogni euro di debito stralciato qui è un euro in meno di massa debitoria in caso di procedura.
  • Gestire le forniture critiche: bisogna individuare quali fornitori hanno un impatto vitale sul ciclo produttivo (ad esempio il fornitore di acciaio speciale senza cui non potete fabbricare componenti) e prioritizzare i pagamenti verso di loro, se le risorse sono scarse. Questo attiene alla tattica aziendale: può essere necessario discriminare tra fornitori (il che in astratto viola la par condicio, ma finché non c’è procedura, l’imprenditore può scegliere chi pagare prima). Tuttavia, attenzione a non compiere atti irregolari: se poi c’è un fallimento, quei pagamenti preferenziali a taluni fornitori potrebbero essere revocati e l’amministratore accusato di favoritismi (bancarotta preferenziale). La scelta va quindi motivata da esigenze di continuità: pagare il fornitore X perché altrimenti l’azienda si ferma e tutti starebbero peggio. Se poi si va in concordato, simili pagamenti anteriori possono essere autorizzati dal Tribunale in continuità (art. 100 CCII consente di pagare fornitori strategici pregressi, con autorizzazione, per assicurare la prosecuzione dell’attività). Quindi, in una fase pre-concorsuale, l’imprenditore può legittimamente privilegiare alcuni pagamenti se è l’unico modo per evitare il collasso immediato, purché questo rientri in un disegno di risanamento. Un domani, in sede di giudizio, l’amministratore dovrà saper dimostrare che quell’atto era nell’interesse sociale e non un favoritismo (es. Cass. 2025 sull’amministratore che paga società estere sue lasciando a secco la società: condotta censurata perché in conflitto d’interessi ; ma pagare un fornitore essenziale può essere giustificato).
  • Composizione negoziata della crisi: questo nuovo strumento (ne parleremo diffusamente più avanti) è eccellente per gestire i fornitori. In fase di composizione negoziata, l’esperto indipendente nominato può facilitare un accordo collettivo con i principali fornitori, magari convocandoli attorno a un tavolo. Inoltre, grazie alle misure protettive ottenute dal tribunale, l’azienda può congelare per la durata delle trattative le azioni esecutive dei fornitori . In pratica: se un fornitore ha già un decreto ingiuntivo o minaccia pignoramento, l’azienda con la composizione può bloccare tutto e negoziare con calma. Non solo: nel contesto protetto, l’esperto può aiutare a convincere i fornitori che aderire a una ristrutturazione conviene anche a loro (perché magari spunta un investitore o un piano di rilancio che li manterrà come partner futuri). La composizione è confidenziale (non pubblica la notizia a tutti i creditori, a differenza di un concordato che appare sul registro imprese), quindi può servire a evitare panico nella filiera.
  • Conversione del debito fornitore in strumenti di “equity”: se l’azienda ha fornitori di grandi dimensioni per i quali siete un cliente significativo, potrebbe essere percorribile la strada di coinvolgerli nel salvataggio: ad esempio, proporre di convertire parte del loro credito in una quota di partecipazione nella società risanata o in strumenti finanziari partecipativi (obbligazioni convertende, warrant legati ai risultati futuri) . Questa soluzione è stata usata in alcune grandi ristrutturazioni (settori automotive e aerospazio, in cui i fornitori accettano di sostenere il cliente diventandone soci in parte, scommettendo sulla ripresa). Per una PMI questo è raro ma non impossibile: magari un fornitore che ha interesse a mantenere il rapporto può investire. Va predisposto con cura contrattuale, perché implica modifiche societarie (aumento di capitale, ecc.).
  • Istanza di preconcordato (“concordato in bianco”): se l’azienda teme seriamente un’istanza di fallimento da parte di fornitori, una mossa difensiva è presentare per tempo un’istanza prenotativa di concordato (art. 44 CCII, ex art. 161 co.6 l.fall.), ossia una domanda di concordato “con riserva” dove si comunica al Tribunale che si intende presentare un piano e si chiede tempo. Questo deposito impedisce nel frattempo la dichiarazione di fallimento su istanza dei creditori: qualsiasi ricorso di terzi viene sospeso in attesa. È un’arma legale potentissima per guadagnare tempo. La legge consente fino a 60+60 giorni di proroga per presentare il piano definitivo (in totale 120 giorni, estensibili a 180 in casi complessi). Durante questa fase l’azienda rimane in esercizio e può anche chiedere le misure protettive. Ovviamente, va utilizzata solo se c’è effettiva volontà di presentare un concordato o accordo, altrimenti trascorso il termine si aprirebbe comunque il fallimento (anzi, il Tribunale segnala il cattivo uso al PM). Ma come scudo anti-azione dei fornitori è molto efficace.
  • Attenzione alle azioni revocatorie: se un’azienda in crisi paga “di corsa” un fornitore vecchio perché minaccia azioni, e poi entro sei mesi fallisce, quel pagamento può essere revocato dal curatore (essendo pagamento preferenziale di crediti chirografari entro i 6 mesi dalla procedure, art. 166 CCII). Questo scoraggia i fornitori dall’accettare pagamenti parziali a ridosso di un crack, perché potrebbero doverli restituire. Tuttavia, in un concordato omologato non c’è revocatoria fallimentare (la procedura concorsuale la esclude) e anzi eventuali pagamenti eseguiti in esecuzione di un accordo di ristrutturazione o di una composizione negoziata esonerano da revocatoria e bancarotta preferenziale . Ciò sprona a formalizzare le intese in uno strumento legale: se i fornitori aderiscono a un piano attestato o accordo, i pagamenti concordati non saranno revocabili .

In definitiva, gestire i debiti fornitori richiede tatto e pianificazione. Sul piano umano e reputazionale, l’imprenditore deve cercare di comportarsi in modo corretto: evitare promesse false, evitare di pagare solo quelli amici ignorando gli altri, perché le notizie circolano e si rischia azioni aggressive dai trascurati. Mantenere un dialogo trasparente e onesto spesso evita di trasformare un creditore in litigante. Come regola pratica: se credete nel rilancio della vostra impresa, fatelo capire ai fornitori e coinvolgeteli, prospettando che conviene anche a loro sostenervi (per non perdere un cliente). Diversamente, se la situazione è irreversibile, può essere più corretto ammettere la difficoltà e accompagnare l’azienda a una liquidazione ordinata (i fornitori lo capiranno e magari preferiranno una soluzione concorsuale concordata a un fallimento improvviso).

Debiti verso dipendenti (retribuzioni, TFR, ecc.)

Tra i debiti che un’azienda può accumulare, quelli verso i dipendenti occupano un posto particolare. Si tratta dei salari non pagati, ferie maturate e non godute, tredicesime e altre competenze di lavoro dipendente, oltre al TFR (Trattamento di Fine Rapporto) maturato dai lavoratori. Questi crediti hanno una protezione speciale per ragioni sociali: godono di privilegi di grado elevato e di fondi di garanzia statali. In dettaglio, i crediti di lavoro godono del privilegio generale mobiliare di primo grado fino a una certa entità (le retribuzioni degli ultimi 12 mesi e il TFR fino al massimale di legge, circa €50.000 per lavoratore) ai sensi dell’art. 2751-bis n.1 c.c. . Inoltre, hanno privilegio speciale sugli immobili dell’azienda (art. 2776 c.c.) per le ultime mensilità dovute . Ciò significa che, in caso di procedura concorsuale, i dipendenti vengono soddisfatti prima di quasi tutti gli altri creditori, almeno entro quei limiti privilegiati. E se l’attivo dell’impresa non basta, come accennato c’è il Fondo di Garanzia INPS che interviene in fallimento per pagare TFR e ultime tre mensilità .

Conseguenze del mancato pagamento dei salari: sul piano operativo, se l’azienda non paga gli stipendi, rischia immediatamente scioperi, dimissioni e un crollo della produttività. Il personale è una risorsa critica: lavoratori non retribuiti difficilmente proseguono l’attività con impegno e molti potrebbero cercare impiego altrove. Legalmente, i dipendenti possono dimettersi per giusta causa (mancato pagamento dello stipendio è giusta causa) con diritto all’indennità sostitutiva di preavviso a carico dell’azienda. Inoltre, i sindacati o i singoli possono attivare ingiunzioni di pagamento (decreto ingiuntivo per salari, che essendo privilegiati può portare a pignoramenti rapidi) e anche denunce penali in casi estremi: ad esempio, se un datore “costringe” tacitamente i dipendenti a lavorare senza paga minacciando licenziamenti, ciò è stato qualificato come estorsione contrattuale. Anche l’Ispettorato del Lavoro può sanzionare amministrativamente l’azienda per ritardato pagamento delle retribuzioni (è previsto che il pagamento debba avvenire entro il 10 del mese successivo, salvo diversa contrattazione). Le sanzioni sono pecuniarie crescenti in base al numero di lavoratori coinvolti e ai giorni di ritardo. Non pagare i dipendenti, insomma, oltre a essere eticamente l’ultima cosa che un imprenditore vorrebbe fare, scatena allarmi immediati.

Trattamento dei lavoratori nelle soluzioni di crisi: dato il loro status privilegiato, qualsiasi piano di ristrutturazione serio deve prevedere il pagamento integrale o quasi dei debiti verso i dipendenti. La legge stessa impone alcuni minimi: nel concordato preventivo, per esempio, i crediti per stipendi dei 3 mesi antecedenti il deposito della domanda e i crediti per TFR maturati devono essere soddisfatti almeno al 40% se non integralmente (a meno che i lavoratori nella votazione accettino esplicitamente un trattamento inferiore) . Questa norma (art. 109 CCII) garantisce ai lavoratori un trattamento di favore anche rispetto ad altri privilegiati. In pratica, in un concordato, l’azienda deve comunque pagare tutti i salari arretrati recenti – spesso lo fa addirittura in prededuzione (prima di tutti, appena possibile) per ristabilire la “pace sociale” e mantenere la forza lavoro operativa . Il TFR maturato, se non può essere pagato integralmente subito, deve avere almeno il 40% di soddisfazione assicurata (salvo diverso accordo col lavoratore stesso). I lavoratori partecipano al voto nel concordato come creditori (anche se spesso, essendo pochi e con importi limitati, non determinano le maggioranze generali), ma la loro tutela è per legge sopraelevata. Nelle procedure liquidatorie (fallimento), i lavoratori vengono pagati dal curatore appena si realizzano attivi, con priorità, e se la procedura non copre tutto interviene come detto il Fondo INPS. Ciò rende i lavoratori i creditori meno esposti a perdite, paradossalmente, e per questo spesso più pazienti in fasi di crisi (sanno che in qualche modo il loro credito è protetto, almeno in parte).

Strategie e difese per i debiti verso il personale: l’unica strategia sensata è dare priorità ai lavoratori. Se l’azienda ha cassa per pagare qualcosa, paghi prima i dipendenti: mantiene operatività e riduce il debito privilegiato. In molti casi, le aziende in crisi cercano soluzioni condivise col personale: es. accordi sindacali per dilazionare il pagamento di arretrati (magari i dipendenti accettano di ricevere lo stipendio con 15 giorni di ritardo per qualche mese, per aiutare la cassa), oppure l’utilizzo di ammortizzatori sociali (Cassa Integrazione Guadagni) per alleggerire il costo del lavoro temporaneamente. L’ordinamento mette a disposizione, in situazioni di crisi aziendale, CIGS per crisi o contratti di solidarietà, e dal 2022 anche strumenti come il nuovo FIS (Fondo Integrazione Salariale) per PMI non coperte da CIG: ciò consente di ridurre l’orario e far pagare allo Stato parte della retribuzione. Questo allevia la pressione finanziaria e evita di accumulare debiti salariali (laddove la crisi è temporanea). Se invece la crisi è irreversibile, l’azienda deve considerare licenziamenti collettivi o cessazione dell’attività, in modo che i lavoratori accedano al Fondo di Garanzia. Tenere i dipendenti al lavoro senza paga a tempo indeterminato non è etico né sostenibile.

In un piano di ristrutturazione del debito, generalmente le voci legate ai dipendenti (salari arretrati, TFR, ferie) vengono classificate come debiti privilegiati da pagare integralmente o quasi. Per far ciò, l’azienda può destinare parte di eventuali nuova finanza o cessione di asset al pagamento immediato di questi crediti. Ad esempio, in molti concordati in continuità, al Day-One dall’omologa l’azienda paga subito gli stipendi arretrati di tutti (magari facendo ricorso a un finanziamento prededucibile accordato appositamente) e lascia eventualmente in falcidia concordataria solo elementi come il TFR (che i lavoratori incasseranno dal Fondo INPS poi). Questa pratica è incoraggiata anche dai tribunali, perché garantisce la tenuta del piano industriale (niente ripresa se i dipendenti sono in sciopero).

Conclusione sulle tipologie di debito: ogni tipologia di debito – fiscale, contributivo, finanziario, commerciale, lavoristico – presenta criticità proprie, ma anche possibili rimedi specifici. Un imprenditore ben informato, con l’aiuto di consulenti, deve orchestrare un piano organico in cui affronta simultaneamente tutti questi aspetti: ad esempio, potrebbe negoziare con le banche una moratoria, usare la liquidità risparmiata per pagare i dipendenti e i fornitori essenziali, avviare una transazione col Fisco per ridurre le cartelle e intanto presentare domanda di composizione negoziata per bloccare pignoramenti, il tutto coordinato in vista di un eventuale concordato preventivo. Questa visione olistica è impegnativa ma necessaria: focalizzarsi su un solo problema (es. pagare la banca ipotecaria) ignorando gli altri (es. dimenticarsi dell’INPS) può far saltare l’intero sforzo. Nel prossimo capitolo, entreremo proprio in queste procedure e strumenti giuridici che l’imprenditore indebitato può utilizzare per implementare il suo piano di salvataggio.

Procedure concorsuali e strumenti di gestione della crisi d’impresa

Quando i debiti superano la capacità di rimborso dell’azienda con i normali flussi, non bastano più le misure fai-da-te: diventa necessario ricorrere ai procedimenti previsti dalla legge per gestire la crisi o l’insolvenza. L’ordinamento italiano, specialmente dopo la riforma del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), offre una gamma diversificata di procedure, alcune da svolgersi in tribunale (concorsuali), altre in ambito stragiudiziale ma con supervisione o ausilio di esperti.

Le principali categorie di strumenti oggi sono:

  • Soluzioni stragiudiziali “attenuate”: il piano attestato di risanamento e la composizione negoziata della crisi (quest’ultima introdotta nel 2021 e ora disciplinata dagli artt. 12-25 CCII);
  • Procedure concorsuali in senso stretto (sotto l’egida del Tribunale): l’accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (ARD), il concordato preventivo (con eventuale suddivisione in concordato in continuità o liquidatorio) e la liquidazione giudiziale (ex fallimento);
  • Procedure di sovraindebitamento (per soggetti non fallibili, come imprenditori minori e persone fisiche): il concordato minore, il piano di ristrutturazione del consumatore e la liquidazione controllata (non direttamente rilevanti per la nostra azienda se è sopra soglia, ma importanti se l’imprenditore individuale fosse coinvolto).

Nell’ambito di questa guida, focalizzata su un’azienda di componenti per presse idrauliche presumibilmente di dimensioni medio-grandi (fallibile), ci concentreremo su composizione negoziata, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo e liquidazione giudiziale. Questi sono gli strumenti più pertinenti per difendersi dai creditori e ristrutturare il debito mantenendo l’attività viva, oppure – nei casi estremi – liquidarla in modo ordinato limitando i danni.

Analizziamo ciascuno, con le recenti novità normative fino al 2025 e qualche cenno alle pronunce giurisprudenziali che ne hanno delineato la portata.

Composizione negoziata della crisi d’impresa

La composizione negoziata è uno strumento innovativo e volontario introdotto col D.L. 118/2021 (convertito in L. 147/2021) e ora parte integrante del Codice della Crisi (artt. 12-25 CCII). Essa è concepita per aiutare le imprese in difficoltà prima che diventino insolventi irreversibili, attraverso un percorso di negoziazione assistita da un esperto indipendente. A differenza delle procedure concorsuali, la composizione negoziata:

  • Non comporta l’apertura di una procedura giudiziale pubblica di insolvenza (non c’è dichiarazione di insolvenza né sentenza di apertura);
  • È riservata e confidenziale: l’accesso e le trattative non vengono iscritti nel Registro delle Imprese salvo richiesta di misure protettive (in tal caso un sintetico avviso appare, ma senza il discredito di un fallimento);
  • L’imprenditore rimane in carica e conserva l’amministrazione dell’impresa (l’esperto non ha poteri sostitutivi, funge da facilitatore);
  • Mira ad una soluzione negoziata (accordi stragiudiziali, contratti, ristrutturazioni private) evitando se possibile la concorsualità.

Vediamo i punti salienti del funzionamento:

Accesso: può accedere alla composizione negoziata qualunque imprenditore commerciale o agricolo (società o ditta individuale) che si trovi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da far prevedere la crisi o l’insolvenza, ma per cui esiste una ragionevole prospettiva di risanamento (art. 12 CCII). Non ci sono soglie minime o massime: anche grandi imprese possono usarla, così come PMI. Si presenta un’istanza tramite una piattaforma telematica nazionale (gestita dalle Camere di Commercio), allegando informazioni sull’azienda, bilanci, situazione debitoria e un piano ipotetico di risanamento. Una commissione nomina un Esperto indipendente, scelto tra professionisti qualificati (commercialisti, avvocati, consulenti del lavoro con formazione specifica) iscritti in apposito elenco.

L’Esperto è il perno: entro 30 giorni dall’accettazione, convoca l’imprenditore e analizza la situazione. Quindi stila una prima valutazione: se ritiene che esistano concrete possibilità di risanamento, si procede con le trattative; altrimenti, se giudica che non c’è trippa per gatti (insolvenza irrimediabile), lo dichiara e il percorso termina (in tal caso l’esperto può invitare l’imprenditore a presentare domanda di liquidazione giudiziale). Se si prosegue, l’Esperto insieme all’imprenditore elabora un piano di azione e avvia contatti con i creditori principali.

Trattative protette: uno dei vantaggi chiave è la possibilità di ottenere misure protettive temporanee. Su istanza dell’imprenditore, il Tribunale può emettere un decreto che vieta ai creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari per la durata della composizione (inizialmente fino a 4 mesi, prorogabili) . Inoltre sospende l’obbligo di ricapitalizzazione per perdite e altre cause di scioglimento della società . Ciò crea un “ambiente protetto”: i creditori non possono aggredire l’impresa mentre si discute. In cambio, la legge richiede che l’imprenditore negozi in buona fede e i creditori collaborino lealmente – se emergono atti in frode (es. distrazione di beni) o se l’impresa prende tempo senza costrutto, le misure possono essere revocate .

Esito delle trattative: se hanno esito positivo, si formalizza un accordo con i creditori, che può assumere la forma che le parti preferiscono: un accordo stragiudiziale bilaterale o plurilaterale, un piano attestato di risanamento (ex art. 56 CCII), un accordo di ristrutturazione ex art. 57 CCII o altro. L’importante è che l’accordo raggiunto venga depositato presso la piattaforma nazionale (OCRI) e non è pubblicamente accessibile salvo accordo delle parti . Questo accordo produce gli effetti di un piano attestato di risanamento : ciò significa che, se successivamente l’impresa dovesse fallire, gli atti eseguiti in adempimento di quell’accordo non potranno essere revocati come pagamenti preferenziali, e l’imprenditore non sarà punibile per eventuale bancarotta semplice o preferenziale in relazione ad essi . È una sorta di “safe harbor” che tutela chi ha collaborato nella composizione.

Se invece non si raggiunge accordo, l’esperto chiude le operazioni e redige una relazione finale. A questo punto: l’imprenditore può decidere di accedere a una procedura concorsuale (concordato preventivo, accordo di ristrutturazione o chiedere la liquidazione giudiziale), e ha 60 giorni per farlo su invito dell’esperto . L’esperto, valorizzando il lavoro fatto, certificherà i dati aziendali raccolti, utili per eventuale concordato, mentre la fattibilità del piano di concordato dovrà essere attestata da un altro professionista indipendente . Se l’imprenditore non compare o non fa nulla dopo la composizione fallita, l’esperto deve segnalare al PM l’eventuale stato di insolvenza conclamata, e il PM potrà richiedere d’ufficio la liquidazione giudiziale (un meccanismo per evitare che si usi la composizione solo per ritardare la fine).

Novità 2024: il D.Lgs. 83/2022 e poi il D.Lgs. 136/2024 (c.d. “terzo correttivo”) hanno apportato miglioramenti. Tra le novità di rilievo introdotte nel 2024, vi è l’inserimento della transazione fiscale nel contesto della composizione negoziata . In particolare, dal 28 settembre 2024, l’imprenditore può proporre – durante la composizione – un accordo transattivo al Fisco per la definizione parziale dei debiti tributari . Questo accordo, disciplinato dal nuovo comma 2-bis dell’art. 23 CCII, permette di offrire all’Agenzia delle Entrate (ed Entrate-Riscossione, e Agenzia Dogane Monopoli) il pagamento anche dilazionato e ridotto dei tributi, con l’assenso dell’esperto e un controllo di regolarità da parte del tribunale . In pratica è un “mini-concordato fiscale stragiudiziale” che però richiede il consenso dell’Erario (non c’è cram down: se il Fisco rifiuta, non si può imporre) . Per farlo, serve una relazione asseverata di un professionista che attesti che lo Stato riceve almeno quanto otterrebbe da una liquidazione giudiziale , e il tribunale deve autorizzare l’esecuzione dell’accordo . Importante, questa norma consente di includere tutti i tipi di tributo (IVA compresa) nell’accordo , mentre restano esclusi per ora i tributi locali (di competenza di Comuni/Regioni) in attesa di decreti attuativi . Purtroppo, come anticipato, la norma esclude espressamente i debiti contributivi dall’accordo stragiudiziale (l’INPS non è menzionata tra i possibili aderenti) . Ciò è considerato da molti un’occasione mancata: la ratio è forse la scarsa propensione storica di INPS a transigere, ma l’effetto è di precludere uno stralcio contributivo volontario in composizione (l’INPS potrà al più concedere rate, ma non riduzioni).

Inoltre, il 2024 ha confermato e ampliato le “misure premiali” per chi accede tempestivamente alla composizione negoziata: l’art. 25-bis CCII, come modificato, prevede benefici fiscali (riduzione di sanzioni e interessi) per l’imprenditore che formalizzi un accordo o un piano attestato entro certi termini. Ad esempio, l’accesso alla composizione negoziata può consentire, se conclusa positivamente, di ridurre del 50% le sanzioni e interessi sui debiti fiscali e di ottenere dilazioni fino a 72 rate per i tributi senza garanzie (misure premiali già previste nel 2022, rafforzate dal correttivo). L’obiettivo è incentivare l’emersione anticipata della crisi: l’imprenditore che non aspetta di essere insolvente ma agisce subito ottiene uno sconto sul “peso” dei debiti tributari.

Vantaggi e limiti della composizione negoziata: questo strumento è stato definito un “laboratorio di soluzioni” . Dentro di esso, l’azienda può negoziare in modo flessibile ogni tipo di intesa: accordi con banche, dilazioni con fornitori, contratti per affitti d’azienda, ingresso di nuovi soci o investitori, ecc., il tutto sotto la regia di un esperto super partes e lontano dai riflettori di un tribunale fallimentare. I benefici principali:

  • Riservatezza: finché non si chiedono misure protettive, la composizione rimane segreta; e anche con misure protettive, la pubblicità è minima. Ciò tutela la reputazione dell’impresa (non appare come “in fallimento”).
  • Nessuna perdita di controllo: l’imprenditore rimane alla guida e nessuno può imporgli scelte senza il suo consenso. È uno strumento volontario e consensuale.
  • Costi contenuti: non ci sono procedure formali, niente curatore o commissario. I costi sono il compenso dell’esperto (stabilito per legge in base alla complessità, spesso modesto rispetto ai costi di un concordato) e le consulenze necessarie (avvocati, attestatori).
  • Stop alle azioni individuali: grazie alle misure protettive, l’impresa ottiene ossigeno immediato, come un piccolo automatic stay.
  • Possibilità di creatività negoziale: si possono trovare soluzioni su misura, ad esempio combinare più strumenti (un pezzo di debiti con accordo ex 57, altri con accordi privati, cessione di rami d’azienda, ecc.), senza i formalismi stringenti di una procedura concorsuale dove tutto deve stare dentro un unico piano votato.

Di contro, ci sono limiti:

  • Volontarietà = nessuna imposizione ai dissenzienti: se un creditore chiave non collabora, la composizione rischia l’insuccesso. Non c’è un meccanismo di voto a maggioranza come nel concordato, né la forza di un giudice per imporre la soluzione. Questo vuol dire che con la composizione non si può costringere un creditore a tagliarsi il credito: se una banca o l’Erario dice no ad un sacrificio, o si cambia proposta o la strada negoziale fallisce e dovrà subentrare il giudice con un concordato.
  • Scadenze brevi: benché prorogabile, la composizione negoziata è pensata per esiti rapidi (qualche mese). Non si può protrarre per anni; serve impegno intenso di tutti i soggetti in breve tempo. Se il caso è troppo complesso o se i creditori sono molto litigiosi, può non bastare.
  • Richiede fiducia e trasparenza: i creditori partecipano volontariamente solo se hanno fiducia nell’imprenditore e nell’esperto. Se in passato l’azienda ha compromesso il rapporto con i suoi partner (ad es. fornendo informazioni non veritiere), sarà difficile convincerli ora a trattare bonariamente.
  • Nessun esdebitamento “forzoso” finale: se l’accordo non si trova e l’azienda è insolvente, non esiste uno scarico dei debiti automatico nella composizione. Bisogna passare a liquidazione giudiziale oppure a un concordato semplificato.

Esempio pratico: la nostra “Azienda Alfa S.r.l.”, produttrice di componenti per presse, inizia a registrare tensioni di cassa: ha €500k di debiti fornitori scaduti, €300k di rate di leasing arretrate, e prevede di non riuscire a pagare €200k di IVA a dicembre. Il management intravede margini di recupero (ordini in crescita, ma incassi lenti) ma serve dilazionare il debito. Nel 2025 decide di accedere alla composizione negoziata. L’esperto nominato studia i numeri e dice: “mi sembra che in 5 anni potete rientrare, ma serve lo sconto di parte del debito e nuova finanza”. Convoca le 3 banche principali: 2 sono disponibili a prorogare i mutui e mantenere fidi, la terza è dubbiosa. Intanto, l’azienda chiede e ottiene misure protettive: per 4 mesi nessun creditore potrà pignorarla. Questo tranquillizza le banche (sanno che non parte un fallimento intanto) e i fornitori (che vedono un tentativo serio in corso). L’Esperto elabora insieme all’imprenditore uno scenario: propone ai fornitori un piano di rientro del 70% in 2 anni, alle banche chirografarie un accordo con abbattimento 20% ma con equity kicker (una piccola partecipazione nell’azienda risanata), all’Agenzia delle Entrate un accordo transattivo per pagare il 50% dell’IVA e IRAP in 6 anni (usando la nuova facoltà). L’INPS, avendo pochi contributi arretrati (€30k), viene subito pagata grazie a un finanziatore terzo (un socio che mette liquidità nuova, confidando nel rilancio). Nel giro di 3 mesi, si raccoglie l’adesione di fornitori rappresentanti l’80% del debito (alcuni piccoli non rispondono, ma pazienza: per loro c’è il trattamento di maggior favore come beneficiari passivi dell’accordo omologato ex art. 23 co.7 CCII). L’esperto redige una relazione finale positiva. Le banche e fornitori firmano un accordo unico di ristrutturazione depositato all’OCRI e approvato dal tribunale. Si evita il concordato, l’azienda esce dalla composizione con i debiti riscadenzati e ridotti. I pochi creditori che non hanno aderito comunque rimangono soggetti al fatto compiuto (beneficiano di eventuali pagamenti previsti per la loro classe se l’accordo è omologato come 57 CCII, o restano con pretese verso un debitore che però ha riallineato il resto della situazione). Questo esempio mostra come la composizione negoziata può risolvere una crisi evitando procedure lunghe. Se però, poniamo, una banca avesse detto no al 50% in 6 anni e avesse voluto subito tutto – a quel punto, non restava che il concordato preventivo per tagliarle il credito contro la sua volontà.

Tabella riepilogativa – Composizione negoziata

CaratteristicheDettagli
AccessoVolontario, su istanza dell’imprenditore (società o impresa individuale, anche agricola) che si trova in difficoltà ma con prospettive di risanabilità. Nessun requisito dimensionale minimo né stato di insolvenza dichiarato .
Figura chiaveEsperto indipendente nominato da commissione esterna (elenco camerale). L’esperto assiste e facilita, senza poteri gestori. L’imprenditore mantiene l’amministrazione ordinaria e straordinaria (salvo limitazioni concordate).
Effetti automaticiNessuna procedura concorsuale aperta, l’impresa continua ad operare normalmente. Possibile richiedere misure protettive dal tribunale (blocco azioni esecutive e cautelari dei creditori, sospensione obblighi di capitalizzazione) per la durata delle trattative . Tali misure durano inizialmente max 4 mesi, prorogabili fino a 12 in casi particolari, e cessano se emergono atti in frode o mancata prospettiva di accordo .
Esiti possibiliAccordo stragiudiziale raggiunto: contratti o accordi bilaterali/multilaterali con taluni o tutti i creditori, depositati ma non pubblici . Può assumere forma di piano attestato ex art. 56 CCII (protetto da revocatoria) . <br>– Accordo ex art. 23 co.7 CCII: accordo che risolve la crisi, autorizzato dal tribunale, con effetti di esenzione da revocatorie e reati minori . <br>– Passaggio a procedura: se niente accordo, l’imprenditore può presentare domanda di concordato preventivo o omologa di accordo di ristrutturazione (entro 60 giorni dalla chiusura) su invito esperto . Possibile anche il concordato semplificato per la liquidazione (entro 60 gg) se l’esperto attesta che non vi sono soluzioni diverse dalla liquidazione . <br>– Esito negativo senza iniziative: se l’imprenditore non intraprende nessuna azione e vi è insolvenza manifesta, l’esperto segnala al PM per l’eventuale istanza di liquidazione giudiziale .
Novità normativeDal 2024 è possibile includere nell’accordo anche la transazione fiscale stragiudiziale (riduzione debiti fiscali con consenso Fisco) . Introduotte soglie più alte di soddisfacimento minimo per eventuali successivi cram down (50-60%) negli accordi omologati . Rafforzate le misure premiali (dilazioni fino 6 anni e riduzioni sanzioni) per chi trova accordo in composizione .
VantaggiRiservatezza; flessibilità nelle soluzioni; costi ridotti; mantiene rapporti contrattuali attivi (nessuna risoluzione automatica dei contratti in corso); blocca aggressioni dei creditori mentre attiva; può prevenire il fallimento con soluzioni creative.
SvantaggiNessuna imposizione sui creditori dissenzienti (richiede consenso volontario); dipende fortemente dalla buona fede delle parti; durata limitata, non adatto a trascinare situazioni croniche; se fallisce, espone a possibile iniziativa ufficio per liquidazione; debiti non riducibili senza accordo esplicito (no cram down).

Concordato preventivo

Il concordato preventivo è la più nota procedura concorsuale “di risanamento” prevista dalla legge fallimentare italiana (oggi disciplinato dagli artt. 84-120 CCII). È una procedura giudiziale vera e propria, volta a evitare la liquidazione giudiziale mediante un accordo concorsuale con i creditori, approvato a maggioranza e omologato dal tribunale. In parole semplici, l’imprenditore propone un piano per sistemare i debiti (in tutto o in parte, immediatamente o nel tempo) e i creditori votano su questa proposta; se si raggiunge la maggioranza legale e il tribunale accerta la legalità e fattibilità, il concordato viene omologato e diventa vincolante per tutti i creditori (anche i dissenzienti) .

Vediamo gli elementi chiave e le varianti principali:

Tipologie di concordato: il CCII distingue principalmente tra:

  • Concordato in continuità aziendale (art. 84 co.3): il piano prevede la prosecuzione dell’attività dell’impresa (in gestione diretta o indiretta, cioè anche tramite affitto o cessione d’azienda a un terzo che la continui). L’obiettivo è salvare i valori aziendali come azienda funzionante, massimizzando la soddisfazione dei creditori col mantenimento del business (es. generando utili futuri per pagarli, o vendendo l’azienda come going concern).
  • Concordato liquidatorio (art. 84 co.4): il piano prevede solo la liquidazione del patrimonio dell’impresa, senza proseguirne l’attività, e la distribuzione del ricavato ai creditori. È simile a un fallimento concordato (il debitore offre ai creditori di liquidare i beni senza andare in fallimento, con una certa percentuale garantita). La legge richiede un apporto di risorse esterne o comunque che i creditori chirografari ottengano almeno il 20% (salvo specifiche eccezioni) in caso di concordato liquidatorio, altrimenti non è ammissibile (per evitare concordati liquidatori troppo penalizzanti rispetto al fallimento).

Esiste poi una particolare fattispecie, introdotta nel 2021: il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII) . Questo è riservato al caso di composizione negoziata fallita: l’imprenditore, entro 60 giorni dalla relazione finale negativa dell’esperto, può proporre un concordato “senza voto dei creditori” finalizzato a liquidare i beni. I creditori non votano, il tribunale convoca solo eventuali osservazioni e poi omologa se ritiene che i creditori non riceverebbero di più in un fallimento . È una norma di chiusura, usata raramente, per evitare la dichiarazione immediata di fallimento e consentire vendite più rapide e coordinate (ad esempio vendere in blocco l’intera azienda con continuità, cosa difficile in fallimento). Si chiama “semplificato” perché elimina la fase del voto, ma per il resto è simile a una liquidazione concordataria.

Iter del concordato preventivo ordinario: l’impresa (che dev’essere insolvente o in crisi, ma non ancora fallita) presenta un ricorso al tribunale con il quale deposita la proposta, il piano dettagliato e la documentazione richiesta (bilanci, elenco creditori, attestazione di un professionista indipendente sulla veridicità dei dati e fattibilità del piano). Il tribunale valuta l’ammissibilità: controlla requisiti formali e che il piano offra il rispetto delle soglie di legge (es. continuità adeguata, liquidatorio >20%, trattamento dei crediti privilegiati ecc.), quindi ammette la società al concordato e nomina un Commissario giudiziale. Da quel momento, gli amministratori conservano la gestione ordinaria ma sotto vigilanza; gli atti straordinari necessitano di autorizzazione del giudice delegato. Le azioni esecutive individuali sono sospese (automatic stay per legge verso tutti i creditori anteriori). Il commissario redige una relazione e convoca i creditori all’adunanza per il voto (oggi spesso il voto avviene anche per corrispondenza o piattaforma telematica, non necessariamente fisicamente in tribunale).

Classi e voto: la società in concordato può suddividere i creditori in classi secondo posizione giuridica omogenea (es. separare banche, fornitori, Fisco, dipendenti). Se ci sono classi, il voto avviene per classi. La proposta è approvata se la maggioranza dei crediti ammessi al voto vota a favore (maggioranza calcolata o in valore assoluto, oppure – se classi – come maggioranza di classi che rappresentino la maggioranza del debito complessivo, secondo regole del 112 CCII). I creditori muniti di garanzia reale (ipotecari/pegni) hanno diritto di voto solo se rinunciano in parte alla garanzia (altrimenti sono soddisfatti al 100% dal ricavato del bene e fuori dal voto). I crediti privilegiati che nel piano non sono soddisfatti integralmente possono votare limitatamente alla parte falcidiata.

Se la maggioranza approva, si passa all’omologazione: il tribunale verifica definitivamente la legalità e convenienza. Può anche superare eventuali opposizioni dei creditori dissenzienti, decidendo sui reclami. Una volta omologato, il concordato vincola tutti i creditori anteriori, anche chi non ha votato o ha votato contro . I debiti restano fissi secondo quanto stabilito dal piano (es: se prevedeva il 40% ai chirografari, il resto 60% è definitivamente perdonato – i creditori non potranno più pretenderlo, esdebitazione parziale dell’azienda). Il commissario diventa liquidatore giudiziale per eseguire il piano se esso prevede cessioni o pagamenti.

Condizioni particolari per l’ammissibilità: oltre al minimo 20% per concordato liquidatorio e al trattamento di favore per lavoratori citato prima, segnaliamo:

  • Nel concordato in continuità, è ammesso pagare creditori pregressi prioritariamente se funzionali alla prosecuzione dell’attività (es. fornitori strategici, come già accennato, previa autorizzazione); è ammessa la moratoria fino a 2 anni per i creditori privilegiati (es. banche ipotecarie, fornitori con r.p. su macchinari) purché siano mantenute le garanzie e pagati interessi legali nel frattempo (art. 86 CCII).
  • Il piano di concordato in continuità può anche prevedere finanza esterna (nuovi finanziamenti prededucibili) e vendite di beni durante la procedura, con le autorizzazioni opportune.
  • Nel concordato liquidatorio, è necessario che vi sia un apporto di risorse esterne che incrementi di almeno il 10% l’attivo liquidabile, se si vogliono vendere beni su cui gravano garanzie (questo per garantire che i chirografari abbiano un plus rispetto al fallimento, dove i garantiti prendono tutto il ricavato dei loro beni).

Concordato preventivo dal punto di vista del debitore: è un potente strumento di difesa perché:

  • Blocca le aggressioni dei singoli creditori non appena ammesso (e ancor prima, dal deposito del ricorso se si ottiene la protezione provvisoria, come anticipato). Questo consente di evitare il collasso immediato dovuto a pignoramenti.
  • Permette di ridurre legalmente i debiti: a differenza del tentativo negoziale, qui se la maggioranza approva, anche la minoranza è vincolata alla riduzione (come spiegato per il cram down fiscale e contributivo, il giudice può anche superare il dissenso di Erario/INPS sotto certe condizioni ). Quindi è lo strumento per imporre sacrifici a creditori non collaborativi, in modo ordinato.
  • Salva l’azienda come entità giuridica operativa: l’azienda, dopo aver adempiuto al piano, prosegue la sua esistenza senza i debiti pregressi (o con la parte residua falcidiata). Gli amministratori attuali possono rimanere (se non li sostituisce l’assemblea), benché soggetti alla supervisione durante il periodo di esecuzione.
  • Esdebitazione: la società in sé non “ha bisogno” di esdebitazione come la persona fisica, in quanto eventuali debiti residui chirografari non soddisfatti vengono estinti dall’effetto esdebitatorio dell’omologa (per le società si parla di effetto esdebitativo solo in liquidazione giudiziale quando vengono cancellate, ma in concordato i debiti esclusi dalla falcidia sono legalmente inesigibili per effetto del provvedimento di omologa che li ridetermina). Per l’imprenditore individuale, invece, il concordato produce esdebitazione parziale immediata.

Svantaggi del concordato: d’altro canto, è un procedimento complesso e oneroso. Richiede preparazione di una montagna di documenti, costi per l’attestatore, spese di giustizia (va pagato un contributo unificato e un 0,5% sul passivo, recentemente modulato, tranne esenzione per chi proviene da composizione negoziata), oltre al compenso del commissario e liquidatore che verranno determinati. Inoltre, comporta tempi lunghi: mesi per arrivare al voto e ulteriori per l’omologa, e poi anni per l’esecuzione integrale. Durante questo periodo l’azienda è sotto vincoli (non può fare ciò che vuole, c’è la vigilanza, rapporti contrattuali sotto osservazione). La pubblicità del concordato è elevata: iscrizione al Registro, comunicazioni ai creditori, possibili effetti sui contratti (alcuni contratti possono avere clausole risolutive se la controparte entra in concordato – la legge le dichiara nulle se basate solo sull’insolvenza, ma in rapporti B2B a volte l’altro cerca di recedere comunque). Il concordato poi ha esito incerto: se non si raggiungono le maggioranze, si rischia il fallimento (anzi, il tribunale in caso di mancata omologa dichiara la liquidazione giudiziale d’ufficio se l’insolvenza è conclamata ).

Giurisprudenza recente in tema di concordato: va notato che la Corte di Cassazione è intervenuta su vari aspetti, ad esempio confermando che nel concordato anche i crediti erariali e contributivi possono essere falcidiati in continuità (una questione un tempo dibattuta, ora risolta a favore della falcidiabilità con cram down anche in continuità ). Inoltre, tribunali di merito hanno chiarito che i debiti fiscali contestati vanno comunque considerati nel piano con accantonamento (Trib. Ferrara 28/5/2024 ha stabilito l’obbligo di trattare i debiti erariali anche se oggetto di contenzioso, accantonando l’importo in attesa di esito) . La Cassazione ha anche ribadito il principio di correttezza nel voto: ad esempio, una banca che vota contro un concordato semplicemente per interesse extraconcordatario (es. perché garantita da fideiussione di terzi e preferisce far fallire la società per escutere il terzo) potrebbe vedere censurata la sua posizione se il concordato è più vantaggioso per la massa. Insomma, c’è una spinta interpretativa verso l’utilizzo leale del concordato come strumento di soddisfazione migliore rispetto al fallimento.

Conclusione su concordato: è lo strumento principe di difesa “giudiziale” quando i creditori non sono unanimi. Per la nostra azienda di componenti, il concordato può essere l’ancora di salvezza se la composizione negoziata non produce accordo completo. Ad esempio, se rimane un gruppo di creditori irriducibili, l’azienda può presentare un concordato che li vincoli ugualmente: magari inserendo un investitore che apporta capitali freschi, vendendo parte dell’azienda e utilizzando i proventi per pagare i creditori in percentuale. È bene ricordare che il concordato deve essere credibile e sostenibile: l’attestatore e il tribunale devono convincersi che il piano è fattibile, altrimenti non lo omologano. Quindi non è un espediente per “far sparire i debiti” senza un serio sacrificio dell’imprenditore (spesso i soci devono rinunciare a tutti i loro diritti economici, perdendo il capitale investito e eventuali crediti soci convertendoli in fondo perduto, come segnale di condivisione dello sforzo). Con un concordato ben congegnato, l’azienda può emergere alleggerita e proseguire la sua attività, come successo in tanti casi di ristrutturazioni industriali di successo (si pensi a grandi gruppi salvati col concordato in continuità, mantenendo migliaia di posti di lavoro).

Tabella riepilogativa – Accordo di ristrutturazione vs Concordato (fonte comparativa per capire differenze)

ConfrontoAccordo di ristrutturazione (ARD)Concordato preventivo
Base normativaArtt. 57-64 CCII (omologato dal tribunale ma su base accordo privato).Artt. 84-120 CCII (procedura concorsuale completa con voto creditori).
Consenso richiestoAdesione di ≥60% dei crediti totali (standard) . Possibilità accordo agevolato con ≥30% crediti finanziari (solo banche) . Omologazione estende accordo ai non aderenti dissenzienti solo se soglia raggiunta.Approvazione maggioranza crediti (50%+). Tutti i creditori anteriori (anche dissenzienti) sono vincolati all’esito se omologato .
Forma e flessibilitàAccordo contrattuale, contenuto libero concordato con i creditori aderenti. Non prevede necessariamente pagamento parziale di tutti i creditori: alcuni possono restare estranei.Piano organico che deve considerare tutti i creditori. Struttura vincolata a regole di legge (classi, par condicio tra pari rango, rispetto cause prelazione o proposte alternative di cram down).
ProceduraDeposito ricorso per omologa presso Tribunale, ma niente voto: i consensi sono raccolti privatamente prima. Il tribunale verifica percentuali, meritevolezza e convenienza (che i dissenzienti non siano pregiudicati rispetto a fallimento). Tempi più rapidi e fasi meno rituali.Procedimento formalizzato: ammissione, commissario, voto in adunanza, omologa. Tempi medi più lunghi. Maggior controllo giudiziale in ogni passo.
Protezione dai creditoriL’imprenditore può chiedere misure protettive contestualmente al deposito dell’accordo per evitare azioni esecutive prima dell’omologa (simili a quelle del concordato). Ma fino al deposito, nessuna protezione automatica (in pratica, di solito si negozia riservatamente e solo all’ultimo si deposita).Dal ricorso di concordato (o preconcordato) scatta lo stay per legge. Forte protezione: i creditori chirografari e privilegiati per la parte falcidiata non possono iniziare/eseguire azioni. Contratti in corso non si risolvono per il concordato (clausole ipso facto nulle).
Costo e organiNon c’è commissario né voto, quindi costi minori. Serve però l’attestazione di un professionista sul piano (requisito di legge). Il tribunale nomina eventualmente un ausiliario per verificare consensi.Ci sono organi concorsuali: commissario (sempre) e giudice delegato, eventualmente comitato creditori. Costi: contributo unificato, marca fallimentare, compensi commissario/liquidatore secondo parametri. Pianificazione onerosa (anche qui serve attestazione professionista).
Ambito di applicazioneUtile se pochi creditori chiave controllano la maggioranza (es. banche) e sono d’accordo: rapido e meno invasivo. Permette di escludere creditori minori dal tavolo (che verranno pagati regolarmente o comunque non subiscono modifiche). Meno utile se creditori frammentati o contrastanti (difficile raggiungere 60% consensi).Adatto in situazioni di insolvenza più grave o quando serve imporre la soluzione a dissenzienti. Necessario se si vuole falcidiare crediti erariali/previdenziali in mancanza di adesione (cram down possibile solo in concordato). È l’unica via se non c’è accordo spontaneo sufficiente.

(Come si nota, spesso si tenta prima un accordo stragiudiziale; se fallisce o non è sufficiente, si passa al concordato).

Liquidazione giudiziale (ex fallimento)

La liquidazione giudiziale è il procedimento che dal 15 luglio 2022 ha sostituito la “dichiarazione di fallimento” . Di fatto, è la procedura concorsuale di tipo liquidatorio-coattivo avviata quando l’insolvenza dell’impresa non trova altre soluzioni. Si tratta di una procedura totalmente gestita dall’autorità giudiziaria, finalizzata a liquidare il patrimonio del debitore e ripartirlo tra i creditori secondo l’ordine dei privilegi. Viene aperta su istanza di uno o più creditori, del debitore stesso (raramente) o d’ufficio su segnalazione (tipicamente del PM). La pronuncia di apertura – la sentenza dichiarativa di liquidazione giudiziale – è analoga alla vecchia sentenza di fallimento.

Conseguenze per l’azienda: con l’apertura della liquidazione giudiziale, l’azienda perde la disponibilità dei propri beni: un Curatore nominato dal tribunale subentra nella gestione (nel caso di società, gli amministratori decadono dal potere di amministrare). Tutti i creditori anteriori devono presentare domanda di insinuazione al passivo e non possono più agire individualmente. Il curatore redige l’inventario, verifica i crediti insieme al giudice delegato (stato passivo), quindi prosegue con la vendita di tutti i beni (mobili, immobili, crediti, eventualmente rami d’azienda se si può esercitare provvisoriamente l’impresa per venderla meglio). Incassa e distribuisce ai creditori secondo l’ordine di prelazione. Al termine, se c’è incapienza, i creditori chirografari rimangono insoddisfatti (possono ottenere un titolo di credito fiscale per le perdite su crediti, ma null’altro). La società una volta chiusa la liquidazione viene cancellata d’ufficio dal Registro Imprese e cessa di esistere.

Durata: può essere molto lunga (dipende dalla complessità, può durare anni se ci sono molti beni o cause legali da svolgere). È una procedura costosa: spese legali, compensi del curatore (spesso percentuali sull’attivo realizzato), spese di giustizia.

Differenze rispetto al passato: il Codice della Crisi ha mantenuto l’impianto ma con alcune innovazioni: ad esempio, c’è maggior enfasi sulla possibilità per il curatore di cedere l’azienda in esercizio (per conservare il valore ed evitare il fallimento spezzatino), in linea con la direttiva UE. Ci sono nuovi strumenti come la liquidazione controllata per piccoli debitori civili e imprese minori, ma per soggetti fallibili la liquidazione giudiziale resta grosso modo il “fallimento” di una volta.

Per l’imprenditore debitore: la liquidazione giudiziale è ovviamente l’esito meno desiderabile. L’impresa viene spossessata, e i suoi beni venduti all’asta spesso a valori depressi. Tuttavia, a volte è l’unica via. Dalla prospettiva di chi vuole “difendersi”, la difesa in senso tecnico è limitata: se un creditore chiede il fallimento e l’insolvenza sussiste, il giudice lo dichiarerà salvo residua fattibilità di un concordato (un’istanza di concordato presentata prima può bloccare, come detto, o il giudice può concedere al debitore termpi per un tentativo di concordato in extremis).

Responsabilità dell’imprenditore nella liquidazione: va menzionato che l’apertura della procedura attiva vari profili di responsabilità:

  • Azione di responsabilità: il curatore può agire contro gli amministratori e i sindaci per atti di mala gestio che hanno causato danno ai creditori (ex art. 2394 c.c. per società di capitali) e per violazione dei doveri (ex art. 2476 c.c. per Srl). Abbiamo visto un esempio: Cass. 23963/2025 ha confermato la condanna di un amministratore che, ante fallimento, aveva eseguito pagamenti preferenziali e operazioni in conflitto d’interessi pregiudizievoli . Anche Cass. 8069/2024 ha affermato la responsabilità di un a.d. che ha proseguito l’attività con capitale azzerato invece di liquidare . Queste azioni mirano a ottenere risarcimenti in favore della massa (aumentando il patrimonio fallimentare). Dunque l’imprenditore deve sapere che comportamenti negligenti o opportunistici prima del fallimento possono costargli cari dopo, in termini di cause personali.
  • Bancarotta: la dichiarazione di liquidazione giudiziale comporta per gli amministratori e altre figure la possibile imputazione di reati concorsuali (bancarotta fraudolenta se hanno distratto beni, falsificato conti, preferito creditori volontariamente; bancarotta semplice se hanno aggravato la crisi per imprudenza). Questi profili esulano dal recupero crediti ma rientrano nei rischi personali: chi “fallisce” può subire pene severe se riconosciuto colpevole di condotte distrattive o dolose pre-fallimentari (fino a 10+ anni per bancarotta fraudolenta patrimoniale). Ad esempio, pagare preferenzialmente un fornitore a scapito degli altri a ridosso del fallimento configura bancarotta preferenziale (salvo fosse oggettivamente necessario e urgente per valore aziendale). L’esperto ruolo del penalista qui è cruciale per difendere l’imprenditore, ma la migliore difesa è prevenire: agire correttamente durante la crisi, tenendo contabilità regolare, non occultando beni o informazioni, e preferendo il concordato al “lasciar fallire” mentre magari si spostano asset altrove (pratica illecita).
  • Esdebitazione del debitore: il lato positivo, introdotto di recente (art. 278 CCII), è che l’imprenditore individuale o i soci illimitatamente responsabili, dopo la chiusura della liquidazione giudiziale, possono chiedere l’esdebitazione per ottenere la liberazione dai debiti residui non soddisfatti . Questa esdebitazione è un diritto pressoché automatico se hanno cooperato (non c’è opposizione rilevante dei creditori), e può essere concessa decorsi 3 anni dalla chiusura. Significa che, ad esempio, un artigiano individuale, dopo essere fallito e aver perso i beni, può ripartire da zero senza resti di debiti. Le società invece si estinguono, quindi l’esdebitazione riguarda le persone fisiche obbligate (es. i garanti personali, se entrano in procedura, o i soci di SNC e SAS, ecc.). Con la riforma 2022 questa esdebitazione è allargata (prima alcuni debiti come le sanzioni pecuniarie non erano esdebitabili, ora lo sono anch’essi salvo dolo). Ciò è comunque un rimedio postumo: per “difendersi” dai debiti residui se tutto è andato male.

In conclusione, la liquidazione giudiziale è da evitare se c’è chance di concordato: è meglio essere protagonisti di un piano concordato che subire la liquidazione. Tuttavia, se la situazione è compromessa e nessun piano è fattibile (o i creditori non collaborano affatto), l’imprenditore può dover accettare la liquidazione come epilogo, cercando però di massimizzare la collaborazione col curatore per mitigare responsabilità e magari ottenere l’esdebitazione a fine procedura. Dal punto di vista emotivo e pratico, è ovviamente una sconfitta imprenditoriale: l’azienda spesso sparisce (salvo venga venduta a terzi che la proseguono).

Quando conviene considerare la liquidazione giudiziale volontaria? In rarissimi casi un debitore può egli stesso chiedere il proprio fallimento (liquidazione). Può farlo per ottenere la parità di trattamento dei creditori e l’esdebitazione, se è chiaro che non può salvarsi. Ad esempio, un imprenditore senza eredi che vuole chiudere onorevolmente e far ripartire i dipendenti col Fondo di garanzia, ecc. In genere, però, la domanda la presentano i creditori.

Riassumendo: la liquidazione giudiziale è l’extrema ratio in cui i debiti vengono soddisfatti coattivamente smembrando l’impresa. Tutto ciò che nella guida abbiamo consigliato (ristrutturazioni, concordati, piani) mira ad evitarla o a renderla l’ultima opzione. È comunque parte del quadro e conviene conoscerne i tratti per comprendere sempre il cosiddetto “worst case scenario” (cosa accade se tutto fallisce). In sede di trattativa con i creditori, la consapevolezza di come starebbero in un fallimento aiuta: spesso dire ad un creditore “guardate che se mi fate fallire recupererete forse il 20%, mentre se accettate il mio piano ne avrete il 50%” è un argomento convincente . Quindi la minaccia credibile del fallimento (magari supportata dall’analisi del professionista indipendente) paradossalmente è un’arma di difesa negoziale del debitore.

Profili di responsabilità dell’imprenditore e degli amministratori

Affrontando la crisi aziendale dal punto di vista del debitore, è essenziale chiarire quali possano essere le responsabilità personali a carico di chi gestisce o possiede l’impresa indebitata. Spesso l’imprenditore, oltre al dramma economico, teme le conseguenze legali: “Diventerò responsabile con i miei beni?”, “Rischio sanzioni o addirittura la galera per i debiti accumulati?”. La risposta varia a seconda della forma giuridica dell’impresa e delle azioni (od omissioni) compiute durante la crisi. Distinguiamo tra responsabilità patrimoniale civile verso i creditori e responsabilità penale verso lo Stato/società.

Responsabilità patrimoniale (civile) verso i creditori:

  • Soci e titolari: per le società di capitali (S.r.l., S.p.A.), vige la regola della responsabilità limitata: i soci non rispondono con il proprio patrimonio personale dei debiti sociali (art. 2462 c.c. per Srl). Dunque, se la nostra azienda indebitata è una S.r.l., in linea di principio i creditori potranno rifarsi solo sul patrimonio della società stessa. Fanno eccezione i soci garanti: come visto, se un socio ha firmato fideiussioni o avalli per debiti sociali (tipico con banche), allora è personalmente obbligato verso quei creditori in forza di quella garanzia contrattuale. Altro caso: i soci accomandatari di una S.a.s. o i soci di S.n.c. rispondono illimitatamente per le obbligazioni sociali (ex art. 2291 c.c.). Quindi, se l’impresa è una società di persone, i soci dovranno mettere mano al portafoglio se l’impresa non paga: il creditore può escutere i soci una volta escusso il patrimonio sociale (beneficio d’escussione). Nel caso di ditta individuale, imprenditore e impresa coincidono: tutti i beni personali del titolare sono aggredibili dai creditori (casa, conto personale, salvo eventuale fondo patrimoniale o esenzioni di legge). L’imprenditore individuale può però proteggere la casa con il meccanismo del patto di famiglia o del Trust (oltre il tema di questa guida) o avvalendosi della limitazione di responsabilità ex art. 41 c.c. per beni non destinati all’impresa (ma in pratica poco usato). In generale, capire la forma giuridica è fondamentale: se sei socio di Srl, i tuoi beni sono al sicuro salvo tue garanzie o condotte illecite; se sei imprenditore individuale, no.
  • Amministratori di società: in situazione normale, gli amministratori di Srl/SpA non rispondono con patrimonio proprio dei debiti sociali, salvo abbiano fornito garanzie personali o salvo casi particolari (es. responsabilità verso i creditori sociali ex art. 2394 c.c.). Questa norma prevede che, in caso di fallimento (oggi liquidazione giudiziale) della società, se il patrimonio sociale risulta insufficiente a soddisfare i creditori, questi ultimi possono agire contro gli amministratori se il danno deriva dall’inosservanza da parte loro dei doveri di conservazione del patrimonio sociale. Tradotto: se gli amministratori hanno compiuto atti che hanno aggravato il dissesto o diminuito il patrimonio distraendolo, i creditori insoddisfatti possono chiedere risarcimento. Queste azioni, però, sono generalmente esercitate dal Curatore fallimentare in forma unitaria per tutti (evitando l’assalto della pluralità di cause). Cassazione 2025 citata distingue appunto l’azione contrattuale (sociale, art. 2476 c.c.) da quella extracontrattuale (2394 c.c.) e conferma che i creditori possono essere risarciti se l’amministratore violando i suoi doveri ha leso la garanzia patrimoniale. Esempi classici: continuare a comprare merci a credito quando la società è tecnicamente fallita, dissipando attivo che poteva essere usato per pagare i debiti – ciò potrebbe costituire danno risarcibile; oppure pagare un creditore extra bilancio (es. società collegata dell’amministratore) preferendolo agli altri, riducendo la massa attiva – anche qui, danno ai creditori. Non a caso, nell’ordinanza del 2025 l’amministratore era stato ritenuto responsabile per pagamenti preferenziali a società estere sue collegate . Altra ipotesi: violazione dell’obbligo di capitalizzazione e scioglimento. Se il capitale sociale va sotto il minimo per perdite e gli amministratori non convocano l’assemblea per gli opportuni provvedimenti (ricapitalizzare o liquidare), e la società contrae nuovi debiti in quel periodo, la giurisprudenza ritiene configurabile responsabilità verso i creditori per l’aggravamento del buco. Cass. 8069/2024 esprime un principio in tal senso: dopo una causa di scioglimento (perdita totale del capitale) gli amministratori dovrebbero compiere solo atti conservativi, non “nuova gestione d’impresa con rischio”, altrimenti rispondono del peggioramento . In quel caso, la Cassazione ha confermato che l’onere della prova circa la natura necessaria/liquidatoria degli atti dopo lo scioglimento spetta all’amministratore convenuto: se non prova che ha agito solo per preservare valore, verrà ritenuto responsabile per i nuovi debiti contratti. È dunque fondamentale, per un amministratore di società in crisi, non andare “oltre” il punto di non ritorno: se si è accertato che l’insolvenza è irreversibile, meglio attivare subito una procedura (concordato o liquidazione) piuttosto che proseguire l’attività accumulando debiti: ciò potrebbe fargli perdere il “paracadute” della responsabilità limitata.
  • Obblighi di segnalazione e assetti organizzativi: il Codice della Crisi (art. 3 e 375 CCII modificativo dell’art. 2086 c.c.) impone agli amministratori di dotare la società di assetti adeguati a rilevare la crisi tempestivamente e di attivarsi senza indugio. Se non lo fanno e la crisi peggiora, questo può essere valutato in sede di responsabilità. Ad esempio, se ignorano i segnali d’allarme e non attivano la composizione negoziata quando sarebbe stato opportuno, i creditori e il curatore potrebbero argomentare che hanno violato il dovere imposto dalla legge nuova, aggravando il dissesto. Tale profilo andrà delineandosi con la giurisprudenza futura (essendo norma recente), ma già ora l’art. 378 CCII prevede che la colpa grave dell’imprenditore nel non aver tempestivamente adottato le misure di cui agli artt. 3 e 375 c.c. possa rilevare per escludere o ritardare l’esdebitazione. Insomma, chi non si attrezza per la crisi e la lascia incancrenire verrà punito anche post-fallimento (niente esdebitazione immediata). Questo sprona gli amministratori a muoversi presto, come motto generale.

Responsabilità penale: oltre alla responsabilità civile verso i creditori, alcune condotte relative ai debiti costituiscono reato, con sanzioni personali (multa, reclusione). Abbiamo già citato:

  • Omessi versamenti tributari (IVA, ritenute) oltre soglia – reati tributari puniti con reclusione . L’amministratore può evitare il processo solo pagando entro termini (cosa che il giudice spesso attende finché possibile). In caso di concordato, se l’omologazione comporta il pagamento integrale del debito tributario contestato prima della sentenza penale, ciò estingue il reato per integrale pagamento (il concordato spesso prevede di sanare IVA e ritenute per evitare guai penali ai gestori). Viceversa, se nel concordato si prevede un stralcio di parte dell’IVA oltre soglia, formalmente il reato resterebbe (ma qui la giurisprudenza e la norma speciale sul concordato hanno creato condizioni di non punibilità se c’è omologa e soddisfazione almeno parziale; la questione è complessa e dibattuta sulla compatibilità col diritto UE – la CJUE nel 2016 disse che lo stralcio IVA in concordato con falcidia non preclude obbligatoriamente la punibilità penale se c’è dolo: tema tecnico). In pratica, spesso la procura concorda nel sospendere processi penali se l’impresa è in concordato e sta pagando come da piano.
  • Omesso versamento contributi >€10.000 – reato contravvenzionale punito con reclusione fino 3 anni . Anche qui c’è causa di non punibilità se paga entro 3 mesi da contestazione .
  • Reati fallimentari: con la liquidazione giudiziale, come detto, scattano i reati di bancarotta. Questi reati puniscono condotte quali: distrazione o appropriazione indebita di beni aziendali prima del fallimento (bancarotta fraudolenta patrimoniale); falsificazione dei libri contabili (bancarotta fraudolenta documentale); preferenze dolose ad alcuni creditori (bancarotta preferenziale); negligenza grave (bancarotta semplice, per es. spese personali sproporzionate, giochi d’azzardo, mancanza libri). Le pene variano, ma ad esempio la bancarotta fraudolenta può portare fino a 6-10 anni di reclusione. Se l’imprenditore segue percorsi di concordato o accordi, generalmente evita di incorrere in questi reati (non essendoci dichiarazione di insolvenza), e anche in caso di successivo fallimento, gli atti compiuti in esecuzione di concordato o accordi omologati non sono punibili come bancarotta (art. 324 CCII richiama esenzioni per chi ha fatto accordi preventivi) . Dunque, un ulteriore incentivo a preferire soluzioni concordate: fanno da “scudo penale” per molte condotte necessarie (pagare un fornitore durante la crisi in modo selettivo sarebbe bancarotta preferenziale se poi fallisci; ma se lo fai in esecuzione di un accordo ex art. 23 CCII, è esente ). In sostanza, la legge premia chi usa correttamente gli strumenti di composizione della crisi.

Conclusione sulla responsabilità: dal punto di vista del debitore in crisi, “difendersi” non significa solo salvare l’azienda, ma anche proteggersi da eventuali ricadute personali. Le linee guida sono:

  • Agisci tempestivamente e diligentemente: se vedi che l’impresa non regge, non accumulare passività ingovernabili; attivati con piani e procedure come richiesto. Ciò ti preserverà da accuse di negligenza o peggio.
  • Trasparenza e buona fede: non nascondere conti o beni. Tieni la contabilità aggiornata. Le operazioni opache o simulate (nascondere merce a casa di amici, vendere macchinari a prezzo vile a parenti, ecc.) sono scorciatoie che portano dritto alla bancarotta fraudolenta. Meglio includere tutto in un piano legale che cercare di salvare qualcosa “sotto banco”.
  • Consulta professionisti legali per la tua posizione personale: mentre elabori la strategia aziendale, chiedi al tuo avvocato di analizzare eventuali rischi penali e come mitigarli. Ad esempio, se hai omesso IVA negli ultimi anni, valutate se conviene far rientrare quell’IVA nel concordato con pagamento integrale per chiudere il penale. Oppure se temi un’azione di responsabilità, valuta se predisporre un accordo transattivo con eventuali futuri curatori (a volte i soci possono offrire “fresh money” nel concordato anche per essere liberati da potenziali cause future di responsabilità – è un non detto, ma succede che l’apporto dei soci serva anche a placare possibili rivalse).
  • Patrimonio personale: se sei socio di Srl e non hai dato garanzie, il tuo patrimonio è protetto. Se sei stato costretto a dare fideiussioni, sappi che la banca verrà a cercarti per la parte non pagata dal piano aziendale. Potresti valutare un piano del consumatore o procedura di sovraindebitamento personale per liberarti di quei debiti di garanzia (il CCII ha previsto che anche l’ex socio garante può accedere al concordato minore o al piano di ristrutturazione del consumatore per gestire quell’esposizione). Ad esempio, terminato il concordato della società, tu come persona potresti far riconoscere di essere sovraindebitato per via delle fideiussioni escusse e ottenere un’esdebitazione personale ulteriore.
  • Reati tributari e contributivi: non sottovalutarli. Se proprio non hai liquidità per pagare IVA o contributi, documenta attentamente le ragioni (crisi di liquidità imprevedibile, scelta obbligata per pagare stipendi) perché all’occorrenza una robusta difesa penale può puntare sull’assenza di dolo (ad esempio molte assoluzioni per omesso versamento IVA si basano sulla prova che l’imprenditore non poteva materialmente pagare senza far crollare l’azienda, e fino all’ultimo sperava in soluzioni). Inoltre, valuta la remissione in bonis: se arriva una cartella per IVA, prima che scattino i termini penali, cerca di dilazionarla (la rateazione impedisce il perfezionarsi del reato finché sei in regola con le rate) . Spesso la rateizzazione consente di dire “non c’è reato perché sto pagando a rate” (art. 13 D.Lgs.74/2000 concede causa di non punibilità se c’è un accordo di rate prima del dibattimento).
  • Assicurazioni: esistono polizze D&O (Directors & Officers) che coprono la responsabilità civile degli amministratori verso terzi. Se la tua società ne ha una, attivati per notificare tempestivamente eventuali pretese (molte polizze prevedono che gli amministratori siano coperti nei limiti per azioni di responsabilità). Non coprono atti dolosi né penali, ma possono coprire colpa grave.

In sostanza, l’imprenditore che affronta i debiti deve fare un doppio lavoro: risanare l’azienda e, parallelamente, non peggiorare la propria posizione giuridica. In tal senso, utilizzare gli strumenti legali adeguati è già di per sé la migliore difesa: un imprenditore che attiva una composizione negoziata, tratta in buona fede e – se necessario – porta l’azienda in concordato preventivo, difficilmente verrà poi accusato di comportamento dilatorio o doloso. Anzi, quell’imprenditore avrà seguito la “via maestra” prevista dalla legge e potrà anche aspirare, se tutto finisse male, a una esdebitazione e a un nuovo inizio senza macchie penali. Chi invece ignora la legge, continua a navigare a vista, magari fa sparire un macchinario sperando di salvarlo dal fallimento, rischia di trovarsi con debiti ancora presenti e per giunta con guai legali.

Esempi di piani di ristrutturazione del debito e modelli di business plan difensivo

Parliamo ora di soluzioni pratiche: come può un’azienda indebitata strutturare un piano di ristrutturazione credibile e quale deve essere il suo business plan difensivo per convincere creditori e eventuali investitori. Ogni crisi è diversa, ma ci sono elementi comuni nei piani di risanamento. Vediamo un esempio ipotetico, contestualizzato alla nostra azienda (componentistica per presse idrauliche), per capire i meccanismi.

Scenario di partenza (ipotetico): Alfa S.r.l., 50 dipendenti, 10 milioni di fatturato annuo, subisce un calo di ordini e difficoltà di incasso. Accumula 5 milioni di debiti: 2 mln con banche (mutuo + fidi), 1 mln debiti verso fornitori, 0,5 mln debiti tributari (IVA e imposte arretrate) e 0,3 mln contributi INPS non pagati; inoltre 0,2 mln di stipendi arretrati e TFR maturato. L’azienda ha però un portafoglio ordini in ripresa (grazie a nuovi contatti esteri) e possiede un capannone e macchinari per valore contabile 4 mln (valore di realizzo probabilmente 2 mln in blocco). I soci hanno esaurito il capitale circolante disponibile e non possono immettere liquidità significativa, ma sono disposti a perdere il capitale pregresso (1 mln di capitale sociale andato in fumo per perdite) pur di salvare la società. Come elaborare un piano di risanamento?

1. Analisi della situazione e diagnosi: il piano parte col fornire un’analisi onesta delle cause della crisi. Ad esempio: “Crisi dovuta a contrazione mercato auto 2023, aumento costo acciaio, ritardi incasso da 3 top-clienti” ecc. Questa diagnosi è utile anche ai creditori per capire che il management conosce il problema. Poniamo che la causa principale sia stato un investimento sbagliato in una linea di prodotto poi non decollata, che ha drenato cassa, unito a clienti insolventi.

2. Strategia di risanamento: si delinea la strategia: taglio dei costi, dismissioni non core, ricerca di nuova finanza, e ristrutturazione del debito. Ad esempio: chiusura di una filiale secondaria all’estero per risparmiare 200k/anno, riduzione personale di 5 unità (o contratti di solidarietà per 20% su tutti i dipendenti per un anno), vendita di immobili inutilizzati (un vecchio magazzino) per fare cassa di 500k, ingresso di un socio investitore se possibile. Nel nostro scenario, supponiamo di individuare un investitore interessato (un cliente strategico vuole entrare al 30% del capitale per assicurarsi forniture) con apporto di 1 mln fresco. Inoltre i soci attuali si dicono disposti a cedere controllo se necessario.

3. Proiezioni economico-finanziarie (business plan difensivo): qui bisogna tradurre in numeri i passi di cui sopra. Si fa un piano a 3-5 anni con conto economico, stato patrimoniale e flussi di cassa previsionali. È “difensivo” perché riflette ipotesi prudenti e mira a dimostrare la sostenibilità futura con i debiti ristrutturati. Ad esempio, il BP potrebbe mostrare che, con i costi ridotti e nuovi ordini, Alfa S.r.l. genererà EBITDA di 1 mln l’anno dal 2024 in crescita a 1.5 mln nel 2025, sufficiente per pagare le rate ai creditori ristrutturati. Si evidenziano gli indici di liquidità, DSCR (debt service cover ratio) >1, ecc. Questo business plan viene esaminato e asseverato da un professionista nella maggior parte dei casi (nelle procedure formali serve un attestatore, ma anche in fase negoziale è utile farlo verificare da un consulente terzo per dare credibilità).

4. Proposta ai creditori (il “chi dà cosa e quando”): sulla base dei flussi attesi e di eventuali ricavi straordinari (vendite di cespiti, apporto socio, investitore), si formula la proposta di soddisfacimento dei creditori. Esempio nel nostro caso: – Banche: sul mutuo ipotecario di 1 mln, proponiamo di allungare la scadenza di 5 anni, mantenendo interessi al tasso originario (quindi riduzione rata annua da 200k a 120k); sul fido scoperto di 1 mln, proponiamo un saldo al 80% (800k) in 5 anni senza interessi, con garanzia del nuovo investitore su eventuale default. Banca A e Banca B, che insieme hanno 2 mln, riceverebbero quindi ~1,8 mln in 5 anni. – Fornitori: proporremo di pagare il 40% dei loro crediti chirografari (400k su 1 mln) in 3 rate annuali (2024-2026), più un eventuale 10% extra nel 2027 se i ricavi superano certe soglie (clausola di earn-out per coinvolgerli nel recupero). Inoltre, ai 5 fornitori più importanti offriamo contratti futuri garantiti di fornitura (continuano a lavorare con noi) per recuperare fiducia. – Erario (Agenzia Entrate): il debito fiscale 500k verrà chiuso con transazione fiscale: pagamento integrale dell’IVA 300k in 30 rate (5 anni) e stralcio di sanzioni e interessi, pagamento parziale (50%) degli altri tributi 200k. Così il Fisco incassa diciamo 350k su 500k. L’attestatore dichiara che in fallimento l’Erario prenderebbe forse 100k, quindi è conveniente . – INPS: contributi 300k, si propone pagamento integrale della quota lavoratore (ritenute) 50k subito (non negoziabile perché penale), e pagamento del restante 250k dilazionato in 4 anni, con stralcio delle sanzioni civili. Di fatto l’INPS prenderebbe 250k + interessi legali, che è più di quanto recupererebbe in caso di liquidazione (dove forse vedrebbe il 20%). L’azienda chiederà contestualmente la rateazione amministrativa per allinearsi. – Dipendenti: pagamento immediato (entro 6 mesi) di tutte le retribuzioni arretrate e del 50% del TFR maturato, e il resto TFR (altro 50%) in 12 mesi. Il tutto garantito dall’apporto del nuovo socio da 1 mln (che verrà in gran parte impiegato per sanare dipendenti e fornitori iniziali). I dipendenti accettano contestualmente un contratto di solidarietà (riduzione orario 20% per 1 anno) per contenere il costo del lavoro nel 2024 e facilitare la cassa.

Questo insieme di proposte costituisce la “manovra” di ristrutturazione. Va presentata in forma coordinata: magari uno schema tabelle dove si vede debito iniziale vs debito finale vs tempistica e garanzie. Ad esempio:

Tabella – Sintesi Piano di Rientro Debiti

Categoria creditoriImporto inizialePercentuale propostaTempistica pagamentiGaranzie/Note
Banche ipotecarie1.000.000 €100% (allungamento)Rate mensili fino 2030Ipoteca su capannone confermata
Banche chirografarie1.000.000 €80%5 anni (rate semestrali)Garanzia personale nuovo socio
Fornitori chirografari1.000.000 €40% (+ eventuale 10%)3 anni (quote annuali)Clausola earn-out 10% entro 2027
Erario (Agenzia Entrate)500.000 €~70% (media)5 anni (trimestrale)Sanzioni e interessi stralciati
INPS-INAIL300.000 €~85%4 anni (trimestrale)Sanzioni civili stralciate
Dipendenti (salari/TFR)200.000 €100% salar., 50% TFRentro 6 mesi (salari) + 12 mesi (TFR)Da nuova finanza socio/investitore

(Cifre fittizie a scopo illustrativo)

5. Verifica legale e attuariale: bisogna verificare che questo piano rispetti i requisiti di legge: privilegiati (banche ipotecarie, dipendenti, Erario privilegiato) ricevono >= valore beni o comunque >= scenario di liquidazione (attestazione di convenienza); chirografari ricevono >=20% se è liquidatorio puro (nel nostro è in parte continuità: proseguono attività e pagano su ricavi, quindi la percentuale minima non è obbligatoria per legge ma di fatto 40% è offerta per convincimento). Inoltre, redigere clausole per eventuale miglior fortuna: se vendiamo un cespite a più del previsto, magari destinare extra provento ai creditori per aumentare percentuali (clausola di salvaguardia per equità). Tali accorgimenti aumentano la probabilità di accettazione e di omologazione.

6. Coinvolgimento di eventuali investitori terzi: nel piano è molto utile far emergere nuove risorse: nessun creditore ama tagliarsi il credito per pagare errori altrui; se vede che i soci/investitori mettono soldi nuovi, è più propenso. Nel nostro esempio c’è un investitore 1 mln e i soci magari rinunciano a crediti soci pregressi per 500k (di solito i soci hanno finanziato l’azienda: conviene trasformare quei crediti in capitale o postergarli). Questo segnale “allineamento di interessi” è cruciale. Spesso i creditori chiedono: “ma tu imprenditore, cosa metti sul piatto? perché devo fare sacrifici solo io?”. Quindi un business plan difensivo contiene anche la parte di sacrificio dell’azionista: rinuncia a dividendi futuri finché debiti non pagati, impegno a non percepire certi compensi, oppure immettere beni propri (metto a garanzia la villa di famiglia per garantire l’adempimento del concordato – talvolta accade).

7. Test di fattibilità e sensitività: l’attestatore o consulente verifica i punti deboli: e se le vendite non crescono come previsto? E se l’investitore si ritira? Occorre predisporre piani B: ad esempio, prevedere clausole che se nel 2025 fatturato <80% del target, l’azienda dovrà valutare asset aggiuntivi da cedere per mantenere il piano in carreggiata. Così i creditori vedono che c’è consapevolezza dei rischi. Ovviamente c’è un limite: un piano con troppe incertezze e condizionali rischia di non convincere. Serve equilibrio tra realismo e impegno credibile.

8. Formalizzazione legale: infine, si decide il “contenitore” giuridico: accordo stragiudiziale omologato? Concordato? Nel nostro scenario con Erario e INPS falcidiati, conviene fare un concordato preventivo in continuità: permette il cram down di Erario/INPS se non aderissero , e abbiamo già la maggioranza probabile con banche e fornitori (banche 2 mln e fornitori 1 mln – banche votano sì perché preferiscono l’accordo all’incerto, fornitori pure perché 40% è meglio che niente e continuano a lavorare; dipendenti 200k con 100% votano sicuramente sì; Erario e INPS insieme 800k magari no, ma li possiamo superare). Quindi depositiamo un concordato con quel piano, che confidiamo verrà approvato. Se invece le banche rappresentassero il 70% e sono già d’accordo, avremmo potuto anche optare per un accordo di ristrutturazione 182-bis per risparmiare tempo: in quell’accordo, convincendo banche e investitore e magari i fornitori principali a firmare, saremmo arrivati al 60% e avremmo omologato. Però l’Erario in un 182-bis deve aderire volontariamente o dobbiamo ricorrere alla transazione fiscale 182-ter (che fino al 2022 se Erario diceva no, saltava l’accordo; oggi col correttivo 2024, per ARD è introdotto un meccanismo simile al cram down se soglie soddisfatte ). Comunque, la scelta va calibrata con gli avvocati: concordato dà certezza erga omnes ma è più lungo e oneroso; accordo più rapido ma serve quell’adesione minima.

Modello di business plan difensivo – elementi chiave:

  • Conservativo nelle stime: meglio sottostimare ricavi futuri e sovrastimare costi, per poi fare meglio del previsto, che il contrario. I creditori diffidano di piani “troppo ottimistici”.
  • Focus sul cash flow: evidenziare come e quando l’azienda genererà cassa per pagare i creditori. Ad esempio, tavole mensili di flussi, mostrando che grazie alla riduzione fornitori l’azienda avrà x euro liberi ogni trimestre con cui paga le rate concordato.
  • Punti di break-even: mostrare il punto di pareggio operativo e come verrà raggiunto/mantenuto. Se ora l’azienda è in perdita, far vedere in che anno torna utile e grazie a quali misure.
  • Analisi SWOT del “nuovo corso”: evidenziare Strength, Weakness, Opportunity, Threats post-ristrutturazione. Esempio: Strength: riduzione costi fissi di 20%, nuovi investitore con rete commerciale; Weakness: indebitamento residuo comunque elevato, dipendenza 30% da un cliente principale; Opportunity: mercato eolico in crescita dove i nostri pezzi trovano sbocco; Threats: aumento tassi di interesse potrebbe peggiorare oneri finanziari di qui a 5 anni, ecc. Far vedere di essere consapevoli di ciò rassicura i creditori che la gestione futura sarà più accorta.
  • Impegni di monitoraggio: un business plan difensivo spesso include impegni a fornire report periodici ai creditori (soprattutto se c’è accordo stragiudiziale, i creditori vogliono essere aggiornati). Ad esempio: “Azienda Alfa invierà trimestralmente a banche e comitato fornitori un report su KPI finanziari e stato pagamenti piano, con eventuali misure correttive in caso di scostamenti >10%.” Ciò costruisce fiducia e consente di intervenire subito se qualcosa va storto.
  • Eventuali dismissioni integrative: identificare asset secondari che, se la situazione non migliorasse abbastanza, potrebbero comunque essere venduti come ulteriore salvaguardia. Esempio: “Nel 2026 valuteremo cessione di un ramo non core (linea XYZ) se necessario a rimborsare anticipatamente le ultime classi di creditori.” Questo per far capire che c’è un piano B.

Esempio di struttura di business plan difensivo (indice):
1. Executive Summary: Riassunto del piano di ristrutturazione e dei risultati attesi (un colpo d’occhio per i creditori).
2. Descrizione dell’azienda e cause della crisi: Cos’ha fatto Alfa Srl, dove e perché è andata in difficoltà.
3. Misure di risanamento operative: Taglio costi, riorganizzazione produzione, asset da dismettere, eventuali incrementi di prezzo sui prodotti, etc.
4. Piano industriale 2024-2027: Nuovi mercati, nuovi prodotti, come tornerà competitiva, includendo contributo del nuovo socio (es. know-how o rete commerciale).
5. Proiezioni finanziarie: Bilanci previsionali e flussi di cassa per 4-5 anni, con ipotesi e note esplicative.
6. Manovra finanziaria e trattamento creditori: Come verranno modificate le linee di credito, dettagli del piano di pagamento debiti (tabella come sopra e calendario).
7. Analisi di sensitività: Scenario base, scenario pessimistico (ricavi -10% rispetto stime) e scenario ottimistico, con impatto sulla capacità di pagamento.
8. Garanzie e governance: Eventuali garanzie aggiuntive (pegno su quote al nuovo investitore fino ad adempimento piano, covenant finanziari da rispettare, ecc.), e cambi di governance se investitore entra (p.es. nuovo CDA con rappresentanti creditori/investitore per vigilare).
9. Conclusioni e benefici attesi: Dare enfasi che il piano conviene a tutti: i creditori recuperano di più che in un fallimento (quantificato: e.g. 50% vs 20% ), i dipendenti mantengono il lavoro (evitando costi sociali), l’indotto preservato, etc.

Questo tipo di impostazione risponde alle classiche domande dei creditori: “Cosa è andato storto? Cosa fai per aggiustarlo? Come e quando mi paghi? Cosa succede se il mondo ce l’ha ancora con te?”. Un piano convincente risponde a tutto ciò, magari supportato da pareri di esperti terzi (il perito stima che vendendo quell’immobile si ottiene almeno €X; l’analista di mercato conferma che c’è domanda crescente per i prodotti; la due diligence legale dice che non ci sono contenziosi pendenti grossi se non accantonati).

Ruolo dell’attestatore (esperto indipendente): per un piano avanzato, l’attestatore funge un po’ da revisore critico: verifica che i numeri tornino, che le ipotesi siano ragionevoli e certifica due cose cruciali: 1) che i dati aziendali sono veritieri (nessun occulto buco); 2) che il piano è fattibile e idoneo a risanare in misura non inferiore all’alternativa liquidatoria. Nel concordato, questa relazione è richiesta ex lege (art. 87 CCII e seguenti). Il suo contributo aumenta la fiducia dei creditori, perché funge da garante super partes.

Per completare, facciamo un micro-esempio di un piano di ristrutturazione già attuato (immaginario):

Azienda Beta srl, settore metalmeccanico, aveva €4 mln debiti e fatturato 3 mln. Ha presentato un piano attestato in cui i soci hanno venduto un immobile non strumentale (€500k) e apportato €200k, con cui hanno pagato tutti i debiti IRPEF e IVA, e il 30% di quelli fornitori. Le banche hanno accettato di consolidare l’esposizione di €1 mln in un nuovo mutuo 7 anni garantito dal Fondo PMI. I fornitori hanno accettato il 70% di stralcio perché l’alternativa era perdere il cliente e forse incassare 10% in fallimento. I dipendenti si sono ridotti l’orario di 1 giorno/settimana per 6 mesi (con CIG a copertura) e hanno ricevuto tutti gli arretrati grazie alla nuova finanza. L’azienda ha dismesso la linea meno profittevole e si è concentrata su commesse ad alto margine. Dopo 2 anni, Beta srl è tornata in utile e ha già pagato metà del nuovo mutuo, riacquisendo fiducia sul mercato.

Questo dimostra che, se ben costruiti, i piani di ristrutturazione possono avere successo reale.

Domande Frequenti (FAQ)

Domanda: La mia azienda ha troppi debiti e un creditore ha minacciato di portare i libri in tribunale. Posso evitare il fallimento?
Risposta: Sì, hai diversi strumenti per evitare la liquidazione giudiziale forzata. Se la tua impresa ha prospettive di ripresa, puoi presentare una domanda di concordato preventivo e bloccare immediatamente le azioni dei creditori . Il tribunale, verificata la fattibilità di massima, sospenderà l’istruttoria pre-fallimentare e ti consentirà di proporre un piano ai creditori. Anche un semplice deposito di “concordato in bianco” (prenotativo) è sufficiente a congelare le istanze di fallimento per qualche mese, dandoti tempo di preparare il piano . In alternativa, se i debiti sono in gran parte verso pochi soggetti disponibili a trattare, potresti negoziare un accordo di ristrutturazione da far omologare, evitando il fallimento con il consenso di almeno il 60% dei creditori . Importante è agire prima che venga pronunciata la liquidazione giudiziale: una volta dichiarata, l’azienda perde la gestione. Però sappi che anche in extremis, se un creditore deposita istanza di fallimento, puoi fino all’udienza proporre un concordato o accordo; il tribunale, se ravvisa serietà, preferirà la soluzione concordataria (il Codice incoraggia soluzioni conservative). Quindi, sì, il fallimento si può evitare, ma devi muoverti in modo proattivo: analizza la fattibilità di un concordato preventivo, eventualmente con l’aiuto di un professionista, e deposita la domanda prima che sia troppo tardi.

Domanda: Ho debiti fiscali e con l’INPS molto alti. È vero che questi vanno pagati per forza integralmente? Posso ottenere sconti su tasse e contributi?
Risposta: Non sempre vanno pagati integralmente; oggi la legge consente di ridurre o dilazionare anche i debiti fiscali e contributivi in certi casi, ma con condizioni. Fuori dalle procedure, l’Agenzia Entrate-Riscossione concede dilazioni fino a 120 rate (10 anni) in presenza di grave difficoltà . Inoltre, periodicamente lo Stato approva definizioni agevolate (rottamazioni) che abbattono sanzioni e interessi: se il tuo debito rientra in quelle finestre, puoi risparmiare (ad esempio la rottamazione-quater 2023 ha tolto tutte le sanzioni). Però lo “sconto” sul tributo in sé (il capitale) extra-giudiziale in genere non lo puoi ottenere se non pagando via sanatoria legislativa. In sede di procedure concorsuali, invece, puoi proporre una transazione fiscale: nel concordato preventivo è permesso pagare parzialmente le imposte, a patto di dare al Fisco almeno quanto avrebbe preso in un fallimento . Se i creditori pubblici non aderiscono, il giudice può anche omologare il concordato lo stesso (cram down) se la proposta è conveniente . E dal 2024 anche negli accordi di ristrutturazione è stata recepita la possibilità di stralciare il debito erariale con determinate soglie minime (50-60%) . Per l’INPS vale analogo discorso: in concordato puoi falcidiare i contributi purché l’attestatore confermi che paghi almeno il valore di liquidazione . Fuori dalle procedure, l’INPS fa meno “sconti”: concede rate, ma lo stralcio di contributi è stato raramente accettato extra-giudizialmente. Con la composizione negoziata, comunque, dal 2024 puoi tentare un accordo transattivo anche col Fisco e (teoricamente) con gli enti previdenziali . Riassumendo: dilazioni certamente sì, riduzioni del capitale dovuto sì ma solo attraverso procedure concorsuali (salvo leggi speciali di condono). Non credere a chi dice “le tasse non si possono toccare”: oggi la normativa fallimentare ha superato quell’idea e prevede strumenti per trattare anche col Fisco, proprio per facilitare i risanamenti di impresa .

Domanda: Se avvio un concordato preventivo, posso continuare a gestire la mia azienda? I clienti scapperanno?
Risposta: Nel concordato in continuità, tu (imprenditore o amministratore) rimani alla guida dell’azienda, sotto la supervisione di un commissario nominato dal tribunale. Quindi puoi proseguire l’attività ordinaria, evadere gli ordini, pagare i fornitori correnti e incassare crediti, come di consueto. Gli atti di straordinaria amministrazione richiedono un’autorizzazione del giudice, ma questo non blocca la routine quotidiana: ad esempio, comprare materie prime rientra nell’ordinaria amministrazione se avviene secondo l’andamento normale. I tuoi clienti possono continuare a comprare da te, anzi i crediti che maturano durante il concordato sono prededucibili, cioè verranno pagati prima di altri debiti (incentivo a continuare rapporti). Tuttavia, devi gestire bene la comunicazione: quando sapranno del concordato (perché la notizia sarà pubblica), rassicurali che l’azienda sta ristrutturando per essere più solida e che c’è l’ok del tribunale a proseguire i contratti. La legge vieta ai clienti di rescindere i contratti solo perché sei in concordato (clausole risolutive basate sul concordato sono nulle). Un caso diverso è se devi cedere il ramo d’azienda o fare un concordato liquidatorio: lì l’attività non continua, e potrebbe esserci più preoccupazione. Ma se è in continuità, molti clienti nemmeno percepiranno differenze, se non per il nome del commissario sulle comunicazioni. La chiave è trasparenza: comunica con i partner maggiori, spiega che sei sotto protezione del tribunale e che stai pagando regolarmente la merce nuova (perché nel concordato devi pagare i fornitori per le forniture post domanda in prededuzione, cioè integralmente). Il commissario può anche autorizzare pagamenti di fornitori critici ante domanda per assicurare forniture . Quindi, con una gestione attenta, clienti e fornitori non devono scappare; certo, qualcuno potrebbe ridurre l’esposizione (il fornitore magari passa a pagamento anticipato per cautela), ma se vedono che c’è un piano serio, in genere restano: dopotutto, vogliono che tu esca dalla crisi e continui a generare business con loro.

Domanda: Ho ricevuto un decreto ingiuntivo da un fornitore e un altro ha pignorato il mio conto. Cosa posso fare per difendermi nell’immediato?
Risposta: Se il fornitore ha già un decreto ingiuntivo, hai 40 giorni dalla notifica per fare opposizione (se ci sono motivi validi, ad esempio contestare l’importo o la qualità della fornitura). L’opposizione trasforma il decreto in una causa ordinaria, guadagnando tempo. Se però il debito è certo e liquido, l’opposizione pretestuosa rischia solo costi e alla fine pagherai comunque (e intanto potrebbe arrivare il fallimento). Un modo più costruttivo: entrare in composizione negoziata con misure protettive – depositando l’istanza di composizione, puoi chiedere al tribunale di sospendere le azioni esecutive in corso . Così il pignoramento del conto viene congelato (o limitato) e l’ingiunzione non porta a esecuzione immediata. Questo ti dà respiro di qualche mese per negoziare. In parallelo, contatta il fornitore: a volte, se vedono la serietà (che hai coinvolto un esperto e protetto l’azienda, quindi non scappi), possono accettare un accordo. Ad esempio, offrire un pagamento parziale immediato e piano per il resto, in cambio del ritiro del pignoramento o sospensione dell’azione. In ultima analisi, presentare domanda di concordato preventivo ti protegge anch’esso: dalla data del ricorso, le esecuzioni in corso sono sospese di diritto e non se ne possono iniziare di nuove. Nel caso del conto già pignorato, se le somme non sono state ancora assegnate al creditore, resteranno bloccate in attesa; potrai chiedere al giudice del concordato di sbloccarne una parte per esigenze urgenti magari. Ricapitolando: opposizione giudiziaria se hai contestazioni reali; altrimenti procedura di crisi (composizione o concordato) per stoppare i pignoramenti; e sempre dialogo con il creditore (magari offrendo garanzie come pagherò cambiari, se servono a convincerlo a revocare l’azione e tornare a un accordo bonario). Ignorare il problema non è consigliabile: se il pignoramento va a segno, ti troverai senza liquidità in azienda, aggravando la crisi. Meglio usarlo come spinta per la soluzione strutturale.

Domanda: Cosa rischio personalmente come amministratore se la mia società fallisce?
Risposta: In caso di fallimento (liquidazione giudiziale), come amministratore puoi rischiare: (a) un’azione di responsabilità per danni verso i creditori se hai violato i tuoi doveri (ad es. non hai preservato il patrimonio, hai favorito qualcuno, hai continuato attività spericolata) ; e (b) possibili accuse penali di bancarotta. Se hai gestito onestamente ma la società è fallita per cause di mercato, difficilmente sarai condannato civilmente: devono provare una tua colpa grave o dolo. Tuttavia, spesso nel fallimento il curatore approfondisce: se ad esempio risulta che hai pagato un fornitore amico poco prima del fallimento e niente agli altri, potresti rispondere per violazione della par condicio con responsabilità ex art. 2394 c.c. e bancarotta preferenziale. Se hai tenuto una contabilità caotica o mancante, c’è il reato di bancarotta semplice o fraudolenta documentale. Se hai distratto beni sociali (magari ti sei fatto prestiti mai restituiti, o hai venduto beni sottocosto a terzi), bancarotta fraudolenta patrimoniale. Le pene, come detto, vanno da pochi mesi (bancarotta semplice) a molti anni (fino a 10 per la fraudolenta aggravata). Inoltre, anche senza reati, il fallimento comporta per te l’interdizione legale: non potrai gestire altre aziende per un certo periodo (di regola da 2 a 5 anni l’ineleggibilità a cariche societarie, stabilita nella sentenza di fallimento). Fortunatamente, se hai operato con correttezza e attivato gli strumenti giusti, puoi ridurre questi rischi. Ad esempio, se hai presentato un concordato ma poi è finito in fallimento per cause esterne, il fatto di aver cercato il concordato ti tutela in parte (alcuni atti fatti nel tentativo di risanamento non sono punibili come bancarotta ). E con la nuova legge, se hai dotato l’azienda di adeguati assetti amministrativi e segnalato la crisi per tempo, il tuo comportamento diligente gioca a tuo favore anche su possibili colpe. In sintesi, rischi su due fronti: economico (potresti dover risarcire danni se accertati) e penale. La miglior difesa è dimostrare di aver sempre agito nell’interesse sociale e non tuo personale. Se il fallimento fu inevitabile, ma hai gestito con trasparenza e pari trattamento, di solito non subisci condanne penali. Viceversa, se hai fatto “furbizie” (buco di bilancio occultato, ecc.), allora sì, rischi seriamente condanne. In pratica: agisci come se un domani un giudice esaminerà ogni tua decisione – se puoi giustificarla come volta a salvare l’impresa o almeno a non aggravare il dissesto, sei abbastanza al riparo. Se no, preparati a dover rendere conto.

Domanda: Qual è la differenza tra piano attestato di risanamento e concordato?
Risposta: Un piano attestato di risanamento (art. 56 CCII, ex art. 67 l.f.) è un accordo o insieme di atti predisposto dall’impresa per superare la crisi, che viene attestato da un professionista indipendente circa la sua veridicità e fattibilità. Non è un procedimento giudiziario: è un piano privato che, se funziona, evita la procedura. La sua utilità principale è che gli atti compiuti in esecuzione del piano non sono soggetti a revocatoria fallimentare (cioè, se poi l’azienda fallisce, i pagamenti fatti secondo il piano non possono essere ripresi). Inoltre, esonera da alcune responsabilità penali (es. niente bancarotta preferenziale per quei pagamenti). Ma non vincola i creditori dissenzienti: per funzionare deve essere accettato in pratica da tutti i principali creditori coinvolti. Il concordato preventivo, invece, è una procedura concorsuale giudiziale, in cui c’è un voto dei creditori e l’omologazione del tribunale; è vincolante per tutti i creditori anteriori , anche per chi non era d’accordo. In sintesi: il piano attestato è totalmente stragiudiziale e consensuale, il concordato è giudiziale e può essere cram-down sui dissenzienti. Il piano attestato ha meno pubblicità (spesso rimane riservato), costi inferiori, ma se anche un solo creditore importante non collabora, rischia di fallire. Il concordato è pubblico, costoso e lungo, ma permette di superare l’opposizione di minoranze. Spesso il piano attestato si usa quando l’azienda ha pochi debiti e vuole evitare lo stigma di una procedura (es. rinegozia privatamente con banche e fornitori, il professionista attesta che così si risana, e avanti). Il concordato invece è scelto quando c’è una pluralità ampia di creditori o si necessita la protezione legale (stay) e le maggioranze di voto. Si può anche vederli come passi successivi: provi prima un piano attestato (meno invasivo); se non basta, passi al concordato.

Domanda: Ho garantito personalmente il mutuo della mia S.r.l.: cosa succede se la società non paga? Posso tutelarmi?
Risposta: Se la società non paga le rate del mutuo, la banca potrà richiedere a te, come fideiussore, il pagamento (dopo aver escusso la società o parallelamente, a seconda del contratto). La tua garanzia personale rende il tuo patrimonio esposto: la banca può pignorare i tuoi beni personali (conto, stipendio, immobili) fino a concorrenza dell’importo garantito. Purtroppo, la procedura concorsuale della società (ad es. concordato) non libera automaticamente il garante: anche se la società stralcia parte del debito in concordato, la banca può chiedere ai garanti il residuo (salvo il concordato preveda diversamente con consenso banca). Per tutelarti, hai alcune opzioni: negoziare con la banca una liberatoria del garante nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione (ad esempio, potresti offrire qualcosa – se hai risorse – per chiudere la tua obbligazione; alcune banche accettano di liberare il garante se incassano subito una percentuale elevata del dovuto). Oppure, se la società va in liquidazione e tu ti trovi a dover pagare, potrai rivalerti sulla società (ma se è insolvente, servirà a poco) e poi valutare le procedure di sovraindebitamento personali. Dal 2021 il Codice della Crisi ti consente, come consumatore o piccolo imprenditore, di presentare un piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore per sistemare i tuoi debiti personali, compresi quelli da fideiussione, magari con un taglio. Devi dimostrare la meritevolezza (che ti sei indebitato per la tua impresa, non per colpa grave). Spesso gli ex garanti ricorrono a questa strada per evitare il tracollo familiare dopo il fallimento aziendale. Se invece hai patrimonio sufficiente, potresti pagare la banca e poi subentrare come creditore nel concordato della società (surroga), ma in pratica raramente recupereresti molto. In sostanza, come garante sei in una posizione delicata: il miglior approccio è prevenire, cioè fare il possibile perché la società adempia (ad esempio, includendo il debito mutuo per intero nel piano di concordato, così la banca è soddisfatta e non verrà da te). Se vedi che la società non ce la farà, coinvolgi la banca in trattativa: forse preferirà ristrutturare il debito aziendale e mantenere la garanzia piuttosto che far saltare tutto e rivalersi su di te (dipende dalla tua solidità). Se la banca dovesse escuterti e tu non riesci a pagare per intero, come persona fisica potresti pensare alla liquidazione controllata del tuo patrimonio (ex fallimento personale) con successiva esdebitazione. Ciò ovviamente è ultimo rifugio, perché comporta vendere i tuoi beni sotto supervisione di un OCC per cancellare i debiti residui. Riassumendo: come garante, cerca di far inserire nel piano di risanamento una clausola di esonero del garante a esecuzione avvenuta (spesso nei concordati le banche accettano di non procedere verso i garanti se ricevono la percentuale concordataria – ma serve un loro impegno scritto). E in parallelo, pianifica il tuo percorso personale di uscita dal debito se le cose vanno male (piano del consumatore, ecc.). Sempre meglio affrontare queste cose con un legale esperto in crisi, perché i diritti del garante nei concordati sono un tema tecnico (es: se la banca vota e prende 80% dal concordato, poi non può legalmente chiederti il 20% residuo? In linea di principio può, ma a volte votando la banca rinuncia tacitamente all’azione verso il garante per la parte stralciata – c’è giurisprudenza su punti simili). Quindi fatti assistere per sfruttare ogni spiraglio a tuo favore.

Domanda: Quanto dura e quanto costa una procedura di concordato preventivo?
Risposta: La durata varia molto a seconda della complessità e del tribunale, ma indicativamente: fase di ammissione 2-3 mesi (dalla domanda alla pronuncia di ammissione e nomina commissario), fase di voto altri 3-4 mesi (il commissario deposita relazione, si tiene l’adunanza creditori e raccolta voti), fase di omologazione 1-3 mesi (se non ci sono opposizioni, altrimenti di più). Quindi l’omologa potrebbe arrivare entro ~6-9 mesi dal ricorso, in casi lineari. Dopodiché c’è la fase di esecuzione del piano, che può durare anni: però l’azienda esce dall’emergenza già con l’omologa e riprende la gestione normale, solo che deve attuare gli impegni (pagare rate, vendere beni ecc.). Quindi per “durata della procedura” consideriamo fino all’omologa. I costi: c’è un contributo unificato di €lenzu (dipende dal passivo, circa €518 se passivo sotto 50 mln), una marca da €200. Poi i professionisti: il compenso dell’attestatore (può essere qualche decina di migliaia di euro per PMI), il commissario giudiziale e poi eventuale liquidatore (nel concordato in continuità, di solito il debitore resta liquidatore dei beni che vende sotto vigilanza commissario, quindi non c’è liquidatore a parte, ma in uno misto o liquidatorio sì). Il compenso del commissario è stabilito dal tribunale a percentuale sul passivo e sull’attivo, secondo un tariffario del DM 2022: per esempio, su passivo di 5 mln, il commissario potrebbe prendere su ordine di €30-50k (dipende da quanta attività svolge, classi di complessità). Ci sono poi i costi di pubblicazione (Gazzetta Ufficiale avviso, registro imprese, ecc. pochi cento euro) e i costi legali (l’avvocato che ti segue vorrà essere compensato: spesso vuole un anticipo perché dopo l’omologa i pagamenti verso i professionisti sono regolamentati – hanno prededuzione sì, ma dipende dal completamento dell’iter). In più, il tribunale di solito chiede un fondo spese da versare a disposizione per pagare pubblicazioni, notifiche e prime spese commissario (qualche migliaio di euro). Riassumendo, per una PMI con qualche milione di passivo, un concordato potrebbe costare – spannometricamente – tra 50 e 100 mila euro di spese procedurali e professionali (diluite nel tempo). Perché c’è anche il dopo: il commissario va pagato pure durante l’esecuzione se rimane nominato a vigilare. È un investimento, però spesso inevitabile per salvare l’azienda. Se i costi ti sembrano alti, considera quelli del fallimento: curatore e periti vari costano pure, solo che lì i tuoi creditori li pagano col tuo attivo (meglio spendere tu per evitare il default, insomma). Nota: esiste la possibilità di richiedere l’esonero dal pagamento del contributo unificato e diritti di cancelleria se il concordato deriva da composizione negoziata riuscita (norma “premiale” art. 20 CCII): quindi se arrivi al concordato passando dall’esperto, risparmi qualcosina su tasse. In conclusione, considera qualche mese per presentarlo, un annetto per ottenere l’omologa e alcune decine di migliaia di euro di costi diretti. Pianifica queste spese nel tuo piano di cassa (sono prededucibili, puoi pagarle prima di altri debiti con i flussi generati durante la procedura, con autorizzazione tribunale).

Domanda: Se la mia azienda proprio non è più salvabile, come posso chiudere limitando i danni?
Risposta: Se hai concluso che non c’è modo di risanarla (niente mercato, troppi debiti, nessun finanziatore), la scelta più saggia – per evitare conseguenze peggiori – è procedere a una liquidazione ordinata e trasparente. Puoi convocare l’assemblea dei soci (se società) per mettere la società in liquidazione volontaria, nominare un liquidatore che paghi i debiti con i beni fin dove possibile. Se però i debiti superano i beni (= insolvenza), devi valutare la liquidazione giudiziale “guidata”: ad esempio, potresti proporre un concordato liquidatorio offrendo ai creditori di liquidare tutto sotto il controllo del tribunale e chiudere la società con percentuale minima (almeno 20%) . Se i creditori la approvano, eviti la dichiarazione di fallimento ufficiale e concludi con un concordato (meno stigma, e con eventuali esenzioni penali come detto). In mancanza di tempo o risorse per il concordato, puoi tu stesso presentare istanza di liquidazione giudiziale (di fallimento) in tribunale, depositando i bilanci e l’elenco creditori. È un passo doloroso, ma il curatore apprezzerà la collaborazione e questo di solito evita accuse di mala gestio. Inoltre, come persona fisica (se sei un imprenditore individuale o socio illimitato), potrai poi chiedere l’esdebitazione dopo la chiusura , liberandoti dai debiti residui se hai cooperato. Ai dipendenti attivi il Fondo di garanzia INPS per TFR e stipendi, così loro sono tutelati (sempre se c’è una procedura concorsuale; senza, non potrebbero accedere al Fondo). Quindi, per limitare i danni: paga per quanto possibile i debiti più “sensibili” (es. tasse con ritenute, per evitare reati; stipendi se hai risorse morali per farlo); non fare favoritismi arbitrari (altrimenti il curatore li farà revocare); custodisci libri contabili in ordine e consegnali al curatore subito; e valuta di essere tu a fare il passo verso il tribunale anziché aspettare i creditori (questo denota buona fede). Se la chiusura è inevitabile, meglio controllarne i tempi: ad esempio, finisci le ultime commesse consegnabili (così incassi il più possibile), vendi scorte deperibili per monetizzare, e poi fai partire la procedura. Ogni euro recuperato prima è un euro in più per i creditori e rende la tua posizione più serena. Infine, affiàncati a un legale durante la liquidazione, perché dovrai rispondere a interrogatori del curatore, etc.; avere un consulente ti aiuta a non commettere ingenuità. Ricorda: fallire non è reato; lo diventano eventuali atti illeciti intorno ad esso. Se chiudi pulitamente, potrai in futuro ripartire senza macigni (anche grazie all’esdebitazione, se persona fisica).

Domanda: Cos’è e come funziona la “composizione negoziata per la soluzione della crisi”?
Risposta: È una procedura volontaria e riservata introdotta di recente (fine 2021) per aiutare l’imprenditore in crisi a trovare un accordo con i creditori senza passare subito dal tribunale . In pratica, fai domanda a una piattaforma e ti viene assegnato un esperto indipendente che ti assiste per un periodo (massimo 6 mesi circa) nel negoziare con i creditori principali. Puoi ottenere dal tribunale una protezione temporanea (le “misure protettive”) così i creditori non possono agire esecutivamente nel frattempo . L’esperto analizza la tua situazione, vi sedete al tavolo con banche, fornitori, ecc., e cercate un accordo (ad es. nuova scadenza pagamenti, rinunce a parte del credito, ingresso di investitori). Se trovate un’intesa, bene: la depositate ma non diventa pubblica, e hai risolto la crisi evitando procedure rumorose . Se non ci riuscite, l’esperto chiude la procedura; a quel punto tu potrai comunque accedere a un concordato o accordo formale con il vantaggio di aver già raccolto molti dati e magari consensi parziali . La composizione negoziata è confidenziale: nulla viene divulgato (tranne un avviso al registro imprese se chiedi protezione, ma senza dettagliare la crisi). Quindi i tuoi partner commerciali potrebbero non sapere nulla, a meno che tu stesso li coinvolga nella trattativa. È uno strumento agile: niente commissario, niente tribunale (se non per dare il via libera alle protezioni). E da settembre 2024 si può persino fare un mini-accordo col Fisco dentro la composizione (transazione fiscale stragiudiziale) , cosa prima non possibile. In sintesi: pensala come un “concordato ufficioso” in cui un professionista terzo aiuta te e i creditori a far emergere una soluzione win-win lontano dai riflettori e con la possibilità di stoppare gli attacchi nel frattempo. Per accedervi devi avere segni di crisi ma ancora speranza di risanamento – l’esperto se vede che sei spacciato può chiudere subito. Molte PMI la stanno usando con successo (nel primo anno centinaia di imprese l’hanno attivata e in diversi casi hanno evitato il fallimento con accordi su misura). Quindi, se sei in difficoltà ma vuoi provare a salvare l’azienda senza la rigidità di un concordato, la composizione negoziata è probabilmente lo strumento da tentare per primo.

Domanda: In un concordato preventivo, i creditori possono essere trattati in modo diverso? Ad esempio, posso pagare di più i fornitori piccoli e meno le banche?
Risposta: Sì, il concordato consente una certa differenziazione tramite le classi di creditori. Devi però rispettare le cause legittime di prelazione: i creditori con garanzie/prelazioni (banche ipotecarie, Fisco privilegiato, dipendenti) vanno soddisfatti per intero sul valore delle garanzie o del privilegio, salvo loro consenso a riduzione . I creditori chirografari (senza garanzia) possono essere suddivisi in classi in base a posizione giuridica o interessi omogenei (art. 87 CCII): ad esempio “fornitori strategici” in una classe, “banche chirografarie” in un’altra, “fornitori residuali” in un’altra. Puoi offrire percentuali e tempistiche diverse a classi diverse. L’importante è che la proposta rispetti il principio che nessuna classe riceve più di quanto le spetterebbe in liquidazione prima che una classe superiore sia pagata tutta (divieto di trattamenti deteriore ingiustificato). In pratica: puoi decidere di pagare i piccoli fornitori al 50% e le banche chirografarie al 30%, se c’è una giustificazione economica (es. i fornitori servono per continuare l’attività e devono essere incentivati a collaborare ). I creditori voteranno per classe: magari i fornitori votano sì entusiasti e le banche classe loro forse no, ma se globalmente c’è maggioranza, il tribunale può comunque omologare con cram down interclassi (il CCII 2022 prevede che il tribunale può approvare anche se una classe dissente, se è “maltrattata” ma non peggiorata rispetto al fallimento). Quindi, , il concordato è flessibile: consente una risposta calibrata alle esigenze. Molti concordati in continuità prevedono di pagare certi fornitori essenziali al 100% (in prededuzione magari) e dare invece ai creditori finanziari un taglio consistente – questo è ammesso se giustificato. Naturalmente, occorre trasparenza: devi descrivere nel piano le classi e le ragioni di trattamento differenziato (es. “I creditori chirografari fornitori continueranno rapporti commerciali, giustificando un trattamento migliorativo del loro credito rispetto alle banche chirografarie che invece sono finaziatori puri”). Il commissario e il tribunale valuteranno la correttezza di queste discriminazioni. Non puoi farlo arbitrariamente per favoritismi personali. Ad esempio, non potresti mettere un fornitore tuo amico da solo in una classe e pagarlo 100% senza ragione mentre gli altri 10% – verrebbe contestato. Ma per categorie omogenee puoi. In conclusione, il concordato permette trattamenti differenziati per classi di creditori chirografari, e questo è uno dei suoi vantaggi: puoi comporre interessi diversi e aumentare le chance di successo (pagando un po’ di più chi serve al futuro dell’azienda). Ovvio che ogni classe deve poi votare: se ne penalizzi troppo una, potrebbe bocciare il piano. Quindi è un gioco di equilibrio e consenso.

Domanda: Che cos’è il “concordato semplificato” e quando si applica?
Risposta: Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio è uno strumento introdotto dal D.L. 118/2021, ora art. 25-sexies CCII . È riservato alla situazione in cui hai tentato la composizione negoziata della crisi ma non sei riuscito a trovare un accordo con i creditori, e l’esperto lo attesta nella relazione finale. In quel caso, entro 60 giorni puoi depositare un piano di concordato senza necessità di approvazione dei creditori, che prevede semplicemente la liquidazione di tutti i beni ai creditori. Il tribunale comunica il piano ai creditori (possono fare osservazioni), ma non c’è voto. Il giudice omologa se ritiene che ai creditori venga dato almeno quanto otterrebbero in una liquidazione giudiziale . È “semplificato” perché salta la fase del voto e delle classi: è il tribunale che decide, ascoltate le parti. Serve principalmente a guadagnare tempo e valore nella liquidazione: ad esempio, puoi proporre di vendere l’azienda in blocco a un certo acquirente (evitando la dispersione tipica del fallimento) – se il tribunale vede che quell’offerta dà un ricavato migliore per i creditori rispetto all’asta fallimentare, può omologare il concordato semplificato anche se i creditori preferirebbero magari farti fallire. In pratica, è un “paracadute” dopo la composizione negoziata, da usare solo se non hai alternative di continuità. È poco comune sinora (perché gran parte delle volte o trovi un accordo, o se no il PM chiede il fallimento). Ma se ti trovassi con trattative fallite e un’unica soluzione residua (tipo vendere l’attività a un investitore X che però vuole farlo attraverso un concordato per evitare rischi di revocatorie ecc.), allora proponi questo concordato semplificato. Tieni presente: devi comunque dare ai chirografari almeno il 20% se non c’è apporto esterno (interpretando le regole generali del concordato liquidatorio, che il tribunale comunque considera). Anche in questo concordato c’è il controllo di fattibilità e la possibilità per creditori di opporsi in omologa. Quindi “semplificato” non vuol dire che il giudice ti approva qualsiasi cosa: deve essere una liquidazione migliorativa. È insomma uno strumento di nicchia. Se stai seguendo la via ordinaria (concordato preventivo tradizionale) non ti riguarda; se invece la negoziazione stragiudiziale fallisce e sei sull’orlo del fallimento, ricordati che hai quest’ultima carta per pilotare tu la liquidazione (forse vendendo in modo più efficiente i beni) anziché subire il fallimento puro.

Domanda: Una volta completato il concordato o la liquidazione fallimentare, i debiti che non sono stati pagati si cancellano?
Risposta: Dipende dal tipo di soggetto. Se parliamo della società, in un concordato preventivo gli eventuali debiti chirografari non pagati in base al piano vengono cancellati per effetto dell’omologa: il concordato ha efficacia esdebitatoria per la società, nel senso che il creditore perde per legge la parte eccedente (non potrà più pretenderla) . Quindi la società “ripulita” esce con solo i debiti nuovi (eventuali rate da pagare secondo piano, e i debiti successivi). In una liquidazione giudiziale (fallimento), la società viene dissolta e cancellata dal registro imprese una volta chiusa: giuridicamente cessa di esistere, quindi anche i debiti insoddisfatti restano senza soggetto debitore (in pratica i creditori non possono più nulla perché il soggetto è estinto). In entrambi i casi, dunque, la società non ha strascichi. Diverso per le persone fisiche: se l’impresa è individuale o se sei co-obbligato/socio illimitato, i debiti residui in concordato rimangono a tuo carico a meno che tu non abbia ottenuto l’esdebitazione specifica. Nel concordato preventivo, la legge (art. 280 CCII) prevede l’esdebitazione per l’imprenditore individuale: significa che se esegui il concordato, il giudice con decreto finale ti libera dai debiti residui chirografari non soddisfatti (salvo eccezioni come obblighi di mantenimento, che non si cancellano comunque). In pratica, c’è un parallelo con la disciplina del sovraindebitamento: la persona meritevole è liberata dai debiti rimasti. Nel fallimento, come dicevamo, dopo la chiusura puoi chiedere l’esdebitazione (art. 278 CCII) e otterrai la liberazione da tutti i debiti non pagati, tranne quelli espressamente esclusi (pochi, tipo debiti da sanzioni penali pecuniarie, e obblighi alimentari). Quindi per farla semplice: , se segui le procedure giuste, alla fine i debiti residui vengono cancellati o restano inesigibili. Non avviene automaticamente dall’oggi al domani per le persone fisiche: devi presentare istanza di esdebitazione e comportarti correttamente. Ma è quasi sempre concessa (negarla richiede malafede o frodi del debitore). Dunque, uno degli scopi della legge attuale è proprio dare una fresh start al debitore onesto. Per la società, come detto, non è proprio “esdebitazione”, è più un effetto naturale: l’omologa riduce legalmente il debito al dovuto concordatario; e nel fallimento, la società morta non può avere debiti (se però emergesse un debito nuovo dopo la cancellazione, si capisce che non c’è più soggetto, e al massimo i creditori potrebbero tentare di far riaprire la procedura in extremis, ma è raro). Quindi, completata la procedura, i creditori insoddisfatti non potranno perseguitarti oltre, né te né la tua eventuale nuova azienda. Questo è un forte incentivo a usare le procedure invece che restare in limbo con l’azienda zombi piena di debiti.

Domanda: Quali sono i segnali che dovrebbero farmi attivare subito la procedura di crisi?
Risposta: Ci sono vari campanelli d’allarme finanziari: per esempio, incapacità di pagare regolarmente stipendi e fornitori (appena iniziano i ritardi sistematici oltre i termini pattuiti, è segno di tensione di liquidità oltre il fisiologico), uso costante e anomalo dei fidi (se sei sempre al massimo dell’affidamento e chiedi sconfinamenti frequenti), aumento anomalo dell’indebitamento a breve (debiti verso fornitori molto superiori ai crediti verso clienti, segno che stai finanziando l’attività a spese altrui), indicatori di bilancio negativi (perdita di patrimonio netto oltre un terzo, indici di liquidità sotto 1, DSCR – debt service coverage ratio – inferiore a 1 cioè non generi cassa sufficiente per oneri debito, etc.). Anche segnali esterni: il mancato rilascio del DURC è un segnale serio che sei in arretrato con contributi; così come pignoramenti o protesti di cambiali/assegni a tuo carico. La nuova norma (art. 3 CCII) elenca alcuni parametri: per esempio, se hai debiti fiscali scaduti oltre certe soglie (es. IVA non versata per oltre €5.000) o contributi INPS arretrati oltre €15.000, e per oltre 90 giorni , dovresti valutare di attivare la composizione negoziata. Anche se la tua tesoreria previsionale (cash flow forecast) dice che tra 6 mesi non avrai soldi per le scadenze principali, è un segnale per muoversi ora (ad es. l’indice DSCR <1 a 6 mesi viene considerato indicatore di crisi). In generale, se senti che stai “tirando avanti” rinviando pagamenti da un mese all’altro, attingendo a ogni risorsa straordinaria (tipo vendi macchinari per pagare bollette), sei già in zona rischio. Molti imprenditori aspettano troppo per un mix di speranza e timore: speranza che la prossima commessa magica risolva tutto, timore di affrontare procedura concorsuale. La verità è che prima agisci, più strumenti hai e più sei tu a controllare la situazione, e non i creditori o un curatore. Quindi, appena più di un segnale appare insieme (es. finisci fido, salti IVA e non paghi 2 fornitori grossi): corri da un esperto di crisi e analizza con lui. Magari non servirà subito il concordato, ma una mossa come la composizione negoziata potrebbe evitare di arrivare all’insolvenza grave. L’obbligo di legge è per gli amministratori di monitorare questi segnali e “senza indugio” attivarsi . Quindi, ascolta la spia rossa del tuo cruscotto finanziario e non tirare dritto col nastro isolante sopra la spia!

Conclusione: Questa guida ha esplorato in profondità come un’azienda produttrice di componenti per presse idrauliche possa difendersi di fronte ai debiti e cercare soluzioni di risanamento. Abbiamo visto che la normativa italiana (aggiornata al 2025) fornisce molte armi al debitore che voglia attivamente affrontare la crisi: dalla negoziazione assistita con i creditori, fino alle procedure concorsuali più strutturate, senza dimenticare l’importanza della condotta diligente per evitare responsabilità personali.

Il punto di vista del debitore che difende la propria impresa è riassumibile in tre concetti chiave: prevenzione, trasparenza e strategia. Prevenzione, attivandosi appena la situazione degenera; trasparenza, tenendo un atteggiamento collaborativo con esperti e creditori onesti; strategia, scegliendo lo strumento giusto per ogni tipo di debito e coinvolgendo se possibile nuovi partner nel rilancio.

In un contesto economico sempre mutevole, sapersi muovere tra le opportunità offerte dalla legge può fare la differenza tra un’azienda salvata e un patrimonio di competenze disperso. Questa guida, con fonti normative e giurisprudenziali di riferimento, vuole essere un vademecum avanzato per imprenditori, professionisti e privati alle prese con la difficile sfida di risanare un’azienda indebitata, mostrando che, con gli strumenti adeguati, difendersi dai debiti e ripartire è un obiettivo realistico.

Fonti Normative e Giurisprudenziali (aggiornate a ottobre 2025)

  • Codice Civile: Artt. 2086 c.c. (assetti adeguati e dovere di intervento introdotto da D.Lgs.14/2019 art. 375), 2392 c.c. (responsabilità amministratori verso società), 2394 c.c. (azione dei creditori sociali), 2476 c.c. (responsabilità amministratori S.r.l.), 2447 e 2482-ter c.c. (riduzione capitale per perdite), 2486 c.c. (doveri degli amministratori dopo scioglimento) .
  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019):
  • Composizione negoziata: Artt. 12-25 CCII (modificati dal D.L.118/2021 conv. L.147/2021, D.Lgs.83/2022 e D.Lgs.136/2024). Art. 23 co.2-bis CCII introdotto dal D.Lgs.136/2024 consente transazione fiscale in composizione ; Art. 20 co.1 bis CCII (esonero contributo unificato se composizione→concordato). Art. 25-bis CCII (misure premiali fiscali per accesso tempestivo) .
  • Adeguati assetti e allerta esterna: Art. 3 CCII (obbligo assetti, segnalazione organi sociali), Art. 25 CCII (segnalazioni dei creditori pubblici qualificati: soglie debiti fiscali >IVA €5.000, contributi >€15.000, ecc., per invito a composizione) .
  • Piani attestati e Accordi di ristrutturazione: Artt. 56 CCII (piano attestato di risanamento, esenzione revocatoria) , 57-64 CCII (accordi di ristrutturazione, percentuali 60%, 30%, efficacia estesa 75%) ; Art. 63 CCII (transazione fiscale negli accordi – soglie soddisfacimento min. 50-60% per cram down, integrate da D.L. 13/06/2023 n.69 conv. L.103/2023 e D.Lgs.136/2024) .
  • Concordato preventivo: Artt. 84-120 CCII. Art. 84 CCII (tipi di concordato; requisiti concordato liquidatorio: almeno 20% ai chirografari e apporto esterno), Art. 85 (contenuto piano). Art. 86 CCII (moratoria pagamenti privilegiati fino 2 anni). Art. 88 CCII (trattamento crediti fiscali e contributivi nel concordato: ok falcidia se almeno quanto in liquidazione) ; Art. 88 co.2-bis CCII (cram down fiscale/contributivo: raggiungimento maggioranza dipende da voto pubblico e proposta conveniente) . Art. 109 CCII (trattamento minimo crediti lavoratori: ultimi 3 mesi e 40% TFR) . Art. 112 CCII (omologazione e cram down interclassi, introdotto da recepimento Dir.UE 2019/1023). Art. 25-sexies CCII (concordato semplificato post-composizione: senza voto, liquidatorio) .
  • Liquidazione giudiziale: Artt. 121-270 CCII. In particolare, Art. 121 (iniziativa istanza da creditori anche minori) , Art. 189 (azione di responsabilità del curatore contro amministratori e soci), Art. 324 CCII (esonero da bancarotta preferenziale per pagamenti in esecuzione di accordi o piani) . Art. 278 CCII (esdebitazione del sovraindebitato/fallito, ora estesa anche a sanzioni e debiti erariali residui).
  • Sovraindebitamento e procedura per ex garanti: Artt. 65-73 CCII (piano di ristrutturazione del consumatore), 74-83 (concordato minore), 268-277 (liquidazione controllata).
  • Leggi fiscali e previdenziali:
  • D.Lgs. 74/2000, art. 10-bis (omesso versamento ritenute oltre €150.000, reclusione fino 3 anni) ; art. 10-ter (omesso versamento IVA oltre €250.000, reclusione 6 mesi-2 anni) ; art.13 (non punibilità se integrale pagamento prima dibattimento) .
  • L. 4/2023 (Legge Bilancio 2023) art.1 commi 231-252 (Definizione agevolata 2023 – “rottamazione-quater”, stralcio mini-debiti ≤€1.000) .
  • D.Lgs. 8/2016 e L. 638/1983, art. 2 c.1-bis (omesso versamento contributi previdenziali trattenuti >€10.000, reclusione fino 3 anni e multa) , soglia sotto €10.000 = illecito amministrativo , non punibilità se pagamento entro 3 mesi da contestazione .
  • D.L. 18/2020 conv. L. 27/2020 (moratorie COVID per mutui PMI).
  • Giurisprudenza:
  • Cass. civ. Sez. I, 25/03/2024 n. 8069: Responsabilità dell’amministratore delegato per aver continuato attività con capitale azzerato, onere probatorio sugli amministratori per atti compiuti post causa scioglimento .
  • Cass. civ. Sez. VI, 03/09/2025 n. 23963: Azione di responsabilità ex art. 2476 e 2394 c.c. cumulativamente, ammessa contro amministratore di Srl fallita; confermata responsabilità per atti in conflitto d’interessi e pagamenti preferenziali a società riconducibili all’amministratore .
  • Cass. pen. Sez. V, 08/11/2016 n. 26988 (SS.UU.): Falcidiabilità dell’IVA in concordato – superamento divieto dopo sentenza CGUE 2016; indicata qui perché recepita poi in norme italiane (transazione fiscale include IVA).
  • Cass. pen., 24/01/2024 (Giurisprudenza Penale) – sui criteri di compartecipazione amministratore a omesso versamento (necessaria prova dolo per condanna penale) .
  • Tribunale di Ferrara, 28/05/2024: Nei concordati, i debiti tributari anche contestati vanno inseriti nel piano con accantonamento (non si possono ignorare) .
  • Corte di Cassazione SS.UU. 15/05/2015 n. 9935: Ha sancito che il voto nel concordato esprime anche adesione alla transazione fiscale implicita, salvo abuso (oggi superata in parte dal cram down legale).
  • Corte d’Appello di Milano, 02/10/2023: (esempio ipotetico) Ha confermato omologazione concordato in continuità con classi dissenzienti, applicando per la prima volta art.112 CCII sulla cram down interclasse.

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Il settore delle presse idrauliche è uno dei più delicati: materiali costosi, lavorazioni meccaniche di precisione, trattamenti termici, collaudi in pressione, forniture tecniche continue e cicli produttivi impegnativi richiedono liquidità costante.
Basta un ritardo nei pagamenti dei clienti per generare una crisi importante.

La buona notizia?
La tua azienda può essere protetta, salvata e rilanciata, se intervieni rapidamente e con la strategia corretta.


Perché un’Azienda di Componenti per Presse Idrauliche Finisce in Debito

Le cause più comuni includono:

• aumento dei costi di materiali (acciai speciali, pistoni, tenute, raccordi, tubazioni HP)
• lavorazioni esterne costose (tornitura, rettifica, cromatura, trattamenti termici)
• test idraulici e collaudi ad alta pressione da effettuare prima dell’incasso
• ritardi nei pagamenti da parte di clienti industriali, carpenterie e OEM
• magazzino immobilizzato tra componenti, semilavorati e unità assemblate
• costi energetici e logistici in aumento
• riduzione delle linee di credito bancarie
• commesse complesse con incassi dilazionati

Il problema non è la mancanza di ordini, ma la mancanza di liquidità immediata.


I Rischi per una Azienda Oleodinamica con Debiti

Senza intervenire subito rischi:

• pignoramento dei conti correnti
• blocco degli affidamenti e delle linee bancarie
• sospensione delle forniture di materiali critici
• decreti ingiuntivi, precetti e azioni esecutive
• sequestro di magazzino, semilavorati e attrezzature
• impossibilità di completare commesse o riparazioni
• ritardi nelle consegne e perdita dei clienti principali
• rischio reale di fermo totale della produzione

Un debito non gestito può bloccare tutto nel giro di pochi giorni.


Cosa Fare Subito per Difendersi

1) Bloccare immediatamente i creditori

Un avvocato esperto può:
• sospendere pignoramenti già avviati
• impedire che le banche blocchino i conti
• fermare richieste di rientro immediate
• evitare lo stop dei fornitori strategici
Prima si ferma l’emorragia, poi si ricostruisce.

2) Analizzare i debiti ed eliminare ciò che non è dovuto

Nelle posizioni debitorie spesso si trovano:
• interessi non dovuti
• sanzioni e more calcolate in modo errato
• somme duplicate
• debiti prescritti
• errori di calcolo della Riscossione
• costi bancari abusivi
Una parte importante del debito può essere ridotta o eliminata.

3) Ristrutturare i debiti con piani sostenibili

Le opzioni includono:
• rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
• accordi di pagamento con fornitori critici
• rinegoziazione di affidamenti bancari
• sospensione temporanea di pagamenti urgenti
• accesso a definizioni agevolate quando disponibili
Obiettivo: recuperare liquidità e non fermare la produzione.

4) Attivare strumenti legali di protezione dell’azienda

Per debiti elevati, sono disponibili soluzioni potenti:
• PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
• accordi di ristrutturazione
• concordato minore
• liquidazione controllata (come ultima opzione)
Questi strumenti consentono di:
• bloccare subito tutti i creditori
• sospendere pignoramenti e decreti
• pagare solo una parte dei debiti
• continuare a produrre e consegnare
• proteggere l’imprenditore a livello personale
Sono procedure sicure e approvate dal Tribunale.

5) Proteggere produzione, magazzino e catena delle forniture

Nel tuo settore è fondamentale:
• tutelare pistoni, cilindri, valvole, pompe e blocchi idraulici
• mantenere attivi fornitori di lavorazioni esterne
• evitare sequestri che fermano prove, collaudi e assemblaggi
• proteggere macchinari CNC, banchi prova e attrezzature
• garantire continuità nelle consegne verso clienti industriali
La produzione non deve fermarsi: è l’unico modo per uscire dalla crisi.


Documenti da Consegnare Subito all’Avvocato

• Elenco dettagliato dei debiti (bancari, fiscali, commerciali)
• Estratti conto bancari
• Estratto di ruolo (se presente)
• Bilanci e documentazione fiscale
• Lista fornitori strategici e insoluti
• Inventario del magazzino (componenti, semilavorati, unità assemblate)
• Atti giudiziari ricevuti
• Ordini aperti e piani di produzione


Tempistiche di Intervento

• Analisi preliminare: 24–72 ore
• Blocco dei creditori: 48 ore – 7 giorni
• Piano di ristrutturazione: 30–90 giorni
• Eventuale procedura giudiziaria: 3–12 mesi

Le tutele possono attivarsi fin dai primi giorni.


Vantaggi di una Difesa Specializzata

• Stop immediato a pignoramenti e pressioni
• Riduzione rilevante dei debiti
• Protezione del magazzino, delle attrezzature e dei semilavorati
• Trattative efficaci con fornitori e banche
• Continuità produttiva e commerciale
• Tutela del patrimonio dell’imprenditore


Errori da Evitare

• Ignorare solleciti o atti giudiziari
• Fare nuovi debiti per pagare quelli vecchi
• Pagare un creditore trascurando gli altri
• Lasciare avanzare pignoramenti e precetti
• Rivolgersi a società non qualificate o “miracolose”

Ogni errore aumenta drasticamente la crisi.


Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

• Analisi completa della situazione debitoria
• Blocco immediato dei creditori
• Piani di ristrutturazione su misura
• Attivazione degli strumenti giudiziari protettivi
• Trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
• Protezione totale dell’azienda e dell’imprenditore


Conclusione

Avere debiti nella tua azienda di componenti per presse idrauliche non significa essere destinati alla chiusura.
Con la strategia corretta puoi:

• bloccare subito i creditori
• ridurre i debiti in modo significativo
• salvare produzione e magazzino
• mantenere la continuità aziendale
• difendere il tuo futuro imprenditoriale

Il momento per agire è adesso.

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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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