Azienda Di Motori Elettrici Trifase Con Debiti: Cosa Fare Per Difendersi E Come

Se gestisci un’azienda che produce, ripara o distribuisce motori elettrici trifase, motori asincroni, motori ad alta efficienza IE3/IE4, motori per pompe, ventilatori, impianti industriali e sistemi di automazione, e oggi ti ritrovi con debiti fiscali, debiti verso Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, la situazione può diventare rapidamente pericolosa per la continuità aziendale.

Il settore dei motori trifase richiede componentistica costosa, precisione, tempi stretti e continuità nelle forniture. Per questo un blocco causato dai debiti può fermare la produzione, interrompere riparazioni, generare ritardi gravi e far perdere clienti strategici.

La buona notizia è che, se intervieni subito, puoi bloccare pignoramenti, ristrutturare i debiti e salvare la tua azienda.

Perché le aziende di motori elettrici trifase accumulano debiti

Le cause più frequenti sono:

  • costi elevati di materiali, rame, statori, rotori, avvolgimenti e componenti
  • aumenti significativi dei prezzi dell’acciaio e dei materiali magnetici
  • magazzini complessi con motori e ricambi costosi
  • pagamenti lenti da parte di industrie, manutentori e impiantisti
  • ritardi nei versamenti di IVA, imposte e contributi
  • difficoltà nell’ottenere credito bancario adeguato
  • investimenti in collaudi, certificazioni e strumenti di misura
  • fornitori strategici che richiedono pagamenti rapidi

Tutti questi fattori possono generare crisi di liquidità e indebitamento crescente.

Cosa fare subito se la tua azienda è indebitata

Il primo passo è agire subito, senza aspettare che arrivino misure esecutive o nuove cartelle. Ecco cosa fare immediatamente:

  • far analizzare la situazione debitoria da un avvocato esperto in debiti aziendali
  • verificare quali debiti sono corretti, quali sono contestabili o prescritti
  • evitare accordi affrettati, pagamenti impulsivi o piani di rientro insostenibili
  • richiedere la sospensione di eventuali pignoramenti già avviati
  • attivare rateizzazioni realmente sostenibili con AE e INPS
  • proteggere fornitori critici e componenti essenziali per la produzione
  • evitare blocchi del conto corrente o riduzioni di fidi bancari
  • valutare strumenti legali per ridurre, ristrutturare o cancellare parte dei debiti

Una diagnosi professionale permette di capire quali debiti puoi ridurre, congelare o contestare.

I rischi concreti per un’azienda indebitata

Non intervenire significa esporsi a rischi seri:

  • pignoramento del conto corrente aziendale
  • fermo dei mezzi e delle attrezzature di officina
  • blocco delle forniture di motori, componenti e ricambi
  • impossibilità di completare riparazioni o commesse industriali
  • perdita di clienti chiave e appaltatori
  • danni alla reputazione tecnica e commerciale
  • crisi di liquidità e mancato pagamento dei dipendenti
  • rischio reale di chiusura dell’attività

Nel settore dei motori trifase, anche un fermo di pochi giorni può compromettere rapporti commerciali importanti.

Come un avvocato può aiutarti concretamente

Un avvocato specializzato può:

  • bloccare subito pignoramenti e misure esecutive
  • ridurre l’importo complessivo dei debiti tramite trattative mirate
  • ottenere rateizzazioni sostenibili con AE e INPS
  • annullare debiti prescritti, irregolari o mal notificati
  • dialogare con banche e fornitori per evitare sospensioni
  • proteggere magazzino, attrezzature e continuità produttiva
  • stabilizzare l’azienda mentre si ristrutturano i debiti
  • impedire che la crisi degeneri in insolvenza o chiusura

Una strategia professionale può salvare l’azienda anche in situazioni molto difficili.

Come evitare il blocco dell’attività

Per continuare a operare senza interruzioni è fondamentale:

  • intervenire subito
  • non negoziare con creditori senza una strategia precisa
  • proteggere fornitori essenziali e componenti critici
  • ristrutturare i debiti prima che arrivino pignoramenti
  • individuare debiti contestabili o calcolati male
  • tutelare la liquidità per garantire produzione e consegne

Così puoi evitare ritardi, fermi e perdita di clienti strategici.

Quando rivolgersi a un avvocato

È il momento di farlo se:

  • hai ricevuto solleciti, intimazioni o preavvisi di pignoramento
  • hai debiti crescenti con AE Riscossione, INPS o fornitori
  • rischi il blocco del conto corrente aziendale
  • la liquidità sta diminuendo rapidamente
  • non riesci più a sostenere le scadenze
  • vuoi evitare che la crisi sfoci in insolvenza o chiusura

Un avvocato esperto può bloccare le procedure, ristrutturare i debiti e mettere al sicuro la tua attività.

Attenzione: molte aziende meccaniche non falliscono per i debiti, ma per la mancanza di intervento tempestivo. Con una strategia adeguata puoi ridurre, rinegoziare o eliminare parte dei debiti, evitando il tracollo.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in debiti aziendali, riscossione e difesa di imprese industriali – ti aiuta a proteggere la tua azienda di motori elettrici trifase.

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Introduzione

Gestire un’azienda manifatturiera (ad esempio un’impresa che produce motori elettrici trifase) comporta responsabilità finanziarie significative. Quando l’azienda accumula debiti consistenti e fatica a pagarli, l’imprenditore si trova di fronte a una crisi di impresa. Questa guida avanzata – aggiornata a ottobre 2025 – fornisce un quadro completo delle soluzioni giuridiche per difendersi dai creditori e affrontare la situazione debitoria, con un linguaggio tecnico ma accessibile sia a professionisti legali sia a imprenditori e privati.

In particolare, esamineremo le strategie di tutela dal punto di vista del debitore (l’azienda indebitata e i suoi titolari), considerando strumenti stragiudiziali e giudiziali previsti dal diritto italiano (normativa fallimentare e del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza – CCII), incluse le procedure concorsuali più recenti come la composizione negoziata, il concordato preventivo (anche in versione semplificata) e la liquidazione giudiziale. Verranno trattate anche le azioni di difesa legale contro iniziative dei creditori (es. opposizione a decreti ingiuntivi, sospensione dei pignoramenti) e gli aspetti patrimoniali personali che possono coinvolgere l’imprenditore o i soci (responsabilità verso Fisco, banche, fornitori, INPS, ecc.). Il tutto supportato da fonti normative aggiornate e sentenze recenti, con tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione Domande & Risposte per chiarire i dubbi frequenti.

Premessa cruciale: la nuova normativa incoraggia l’imprenditore a non ignorare i segnali di crisi, ma ad attivarsi tempestivamente per trovare soluzioni sostenibili . Agire senza indugio (come impone l’art. 3 CCII) può fare la differenza tra salvare l’azienda o precipitare in una liquidazione disordinata. Nei prossimi paragrafi chiariremo cosa si intende per stato di crisi e stato di insolvenza, quali rischi derivano dalle varie tipologie di debito, quali sono le responsabilità legali degli amministratori e come strutturare un piano d’azione utilizzando gli strumenti offerti dalla legge italiana per ristrutturare i debiti o liquidare l’impresa in modo ordinato.

Crisi vs insolvenza: capire la gravità della situazione

Prima di decidere il da farsi, è fondamentale capire quanto è grave la situazione finanziaria dell’azienda, distinguendo tra crisi e insolvenza. Questi termini hanno precisi significati giuridici:

  • Stato di crisi: indica una fase di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile il successivo stato di insolvenza . In termini pratici, la crisi si manifesta con uno squilibrio nei flussi di cassa prospettici: l’azienda prevede di non avere liquidità sufficiente per far fronte regolarmente alle obbligazioni nei mesi futuri. È una situazione di tensione finanziaria che però può essere reversibile se affrontata per tempo. Ad esempio, la nostra ipotetica azienda di motori elettrici potrebbe trovarsi in crisi se registra un calo di ordini e un ritardo negli incassi che la mettono a corto di liquidità, pur avendo ancora un mercato e prospettive di ripresa. La crisi è dunque uno stato pre-insolvenza da monitorare attentamente.
  • Stato di insolvenza: è la condizione più grave, in cui il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni . Si manifesta con inadempimenti conclamati o altri fatti esteriori: es. protesti, pignoramenti subiti, fornitori non pagati da molto tempo, utenze tagliate per morosità, ecc. L’insolvenza significa che l’azienda non ha risorse sufficienti né accesso al credito per onorare i debiti alle scadenze, ed è generalmente irreversibile se non con un radicale risanamento o attraverso procedure concorsuali. Nel nostro esempio, se la ditta di motori trifase ha accumulato grossi arretrati verso tutti i principali creditori e non riesce più a procurarsi materiali perché i fornitori rifiutano ulteriori dilazioni, potremmo trovarci di fronte a insolvenza conclamata.

La distinzione è importante perché dal grado di difficoltà dipendono gli strumenti attivabili: quando c’è “solo” crisi, la legge privilegia soluzioni di risanamento e continuità (ad esempio accordi con i creditori, composizione negoziata); se invece l’insolvenza è ormai conclamata, si va verso procedure liquidatorie (liquidazione giudiziale, equivalenti al vecchio fallimento) . Tuttavia, anche in insolvenza, esistono procedure come il concordato preventivo che, se vi sono margini, mirano a evitare la cessazione completa dell’attività. L’imprenditore deve dunque fotografare con onestà la situazione – magari con l’aiuto di un professionista (commercialista, advisor) – per scegliere la strada giusta. Indici utili per valutare la crisi sono, ad esempio: flussi di cassa prospettici (Debt Service Coverage Ratio), entità dei debiti scaduti, perdite in bilancio che erodono il capitale, indicatori introdotti dal Codice della Crisi ecc. Se la situazione è compromessa, attendere passivamente può aggravare i rischi sia per l’azienda sia per l’imprenditore personalmente.

Tipologie di debiti e rischi connessi

Un’azienda indebitata normalmente ha esposizioni verso diverse categorie di creditori. Ciascun tipo di debito ha caratteristiche giuridiche e conseguenze specifiche, che richiedono approcci di difesa differenti. Esaminiamo i più comuni nel contesto italiano – debiti fiscali, debiti bancari, debiti verso fornitori, debiti previdenziali – evidenziando per ciascuno i rischi e le possibili soluzioni.

Debiti fiscali (verso Erario)

I debiti tributari includono tipicamente IVA non versata, imposte sui redditi, IRAP, ritenute fiscali non versate, ecc. Questi debiti sono in genere privilegiati: in caso di insolvenza, il Fisco (Agenzia delle Entrate e Agenzia Entrate Riscossione) ha diritto di essere soddisfatto prima di molti altri creditori sui beni dell’azienda. Inoltre, il mancato pagamento di talune imposte può comportare sanzioni amministrative elevate e anche conseguenze penali. Ad esempio, non versare l’IVA annuale dovuta oltre una certa soglia (attualmente €250.000) integra il reato di omesso versamento IVA (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000), perseguibile a carico dell’amministratore .

Dal punto di vista civilistico, l’azienda debitrice risponde dei tributi con il proprio patrimonio. Se è una società di capitali (Srl, Spa), i soci non ne rispondono di regola con i beni personali. Tuttavia, l’Amministratore ha precisi doveri: deve impiegare le risorse aziendali per pagare le imposte dovute. Se omette dolosamente di versare tributi avendo la liquidità per farlo, può essere chiamato a rispondere dei danni causati alla società e ai creditori . In altre parole, le sanzioni e interessi che colpiscono la società per il mancato pagamento diventano un danno di cui l’amministratore può essere civilmente responsabile. La Cassazione ha confermato questa impostazione: ad esempio, con sentenza n. 27610/2019, ha condannato un amministratore a risarcire alla società circa €330.000 corrispondenti a sanzioni tributarie e previdenziali dovute a quattro anni di omesse dichiarazioni – ritenendo tali sanzioni un danno diretto causato dalla sua gestione omissiva . Dunque, ignorare i debiti fiscali dell’azienda può ripercuotersi anche sul patrimonio personale di chi la amministra, in presenza di colpa grave o dolo.

Azioni del Fisco e difese: La riscossione dei tributi avviene tramite cartelle esattoriali emesse dall’Agenzia Entrate Riscossione (ex Equitalia). Se l’azienda non paga entro 60 giorni, il Fisco può attivare procedure esecutive come fermo amministrativo di veicoli, ipoteche su immobili aziendali, pignoramenti di conti correnti o beni. Per difendersi, l’azienda debitrice può:

  • Chiedere una rateizzazione del debito fiscale. Attualmente (anche grazie a riforme 2023-2024), è possibile ottenere piani fino a 72 rate mensili senza necessità di documentare difficoltà (per debiti sotto certi importi), e fino a 120 rate (10 anni) in caso di comprovata situazione di grave crisi . Dal 2025 sono state introdotte norme più flessibili: ad esempio, per richieste nel 2025-2026 l’Agenzia può concedere direttamente fino a 120 rate mensili . Vantaggio: la dilazione sospende le azioni esecutive e consente di pagare gradualmente il debito fiscale, alleggerendo la pressione immediata. È importante però rispettare le rate, altrimenti la decadenza dal piano riattiva le misure di riscossione.
  • Verificare la legittimità delle cartelle: se vi sono vizi (errori di notifica, prescrizione del tributo, calcoli sbagliati), è possibile presentare ricorso alle Commissioni Tributarie (oggi Corti di Giustizia Tributaria) entro 60 giorni dalla notifica della cartella. Ad esempio, cartelle notificate oltre i termini di decadenza o riferite a tributi già pagati possono essere annullate. Contestare efficacemente una cartella può bloccare l’azione esecutiva del Fisco.
  • Utilizzare la transazione fiscale nelle procedure concorsuali: come vedremo in seguito, se l’azienda accede a un concordato preventivo o a un accordo di ristrutturazione, può proporre una transazione fiscale (artt. 63 e 88 CCII) per trattare il debito tributario. Ciò permette, in linea di principio, di pagare parzialmente o dilazionare i tributi nell’ambito di un piano omologato . Se il Fisco dissentisse sulla proposta, il tribunale può comunque omologare il piano cram-down, purché sia garantito al Fisco un trattamento non inferiore a quello ottenibile in una liquidazione . In pratica, la legge consente di superare il veto del Fisco se l’offerta ai crediti erariali è equa (almeno quanto recupererebbero liquidando l’azienda). Questa possibilità, confermata anche dalla Cassazione a Sezioni Unite nel 2021, è un forte incentivo al risanamento concordato .
  • Attenzione agli omessi versamenti di ritenute e IVA: sono casi in cui, se superano soglie penali, conviene valutare il ravvedimento operoso o il pagamento entro i termini di legge per evitare guai peggiori. Ad esempio, l’omesso versamento di ritenute previdenziali (contributi INPS trattenuti ai dipendenti) oltre €10.000 annui è reato (art. 2, c.1-bis D.L. 463/1983 conv. in L. 638/1983); il reato si estingue se si paga integralmente il dovuto entro la citazione a giudizio. Quindi un imprenditore, se possibile, dovrebbe coprire prima i debiti “sensibili” (come IVA e ritenute) per evitare denunce.

Riassumendo, i debiti fiscali sono tra i più pericolosi: godono di privilegi, generano interessi e sanzioni elevati e attivano meccanismi di riscossione rapidi. Le armi difensive includono la dilazione amministrativa (per guadagnare tempo pagando a rate) e l’inclusione dei tributi in un piano concorsuale (per eventualmente ridurli), oltre alla vigilanza sulla correttezza formale delle pretese erariali.

Debiti bancari e finanziari

Molte aziende manifatturiere ricorrono a finanziamenti bancari (fidi di cassa, mutui, leasing finanziari per macchinari, ecc.). Questi debiti verso banche o società di leasing hanno peculiarità specifiche:

  • Spesso sono garantiti da pegno su beni mobili (es. pegno su macchinari, su magazzino) o da ipoteca su immobili (es. capannone industriale). In altri casi ci sono fideiussioni personali dei soci o dell’imprenditore. Ciò significa che, in caso di insolvenza, la banca può rivalersi direttamente sul bene dato in garanzia o sul garante, escutendolo. Ad esempio, se la nostra azienda di motori ha acceso un mutuo bancario garantito da ipoteca sul capannone, il mancato pagamento può portare rapidamente la banca a iniziare un’esecuzione immobiliare su quel capannone.
  • Le banche tendono ad essere creditori privilegiati de facto grazie alle garanzie. In sede concorsuale, un credito bancario ipotecario verrà soddisfatto con precedenza sul ricavato del bene ipotecato (fino a copertura del debito). Un credito garantito da fideiussione vedrà la banca agire anche contro il fideiussore (di solito l’imprenditore stesso o un familiare) in caso di inadempimento della società, colpendo il suo patrimonio personale.

Azioni tipiche delle banche: se l’azienda salta le rate o “sconfina” dal fido, la banca può revocare gli affidamenti e chiedere il rientro immediato di tutte le somme (esigendo l’intero capitale residuo del mutuo o dello scoperto di conto). Se l’azienda non paga, la banca procede con un decreto ingiuntivo o direttamente con il pignoramento del bene dato in garanzia (se il contratto di mutuo è un titolo esecutivo) e/o contro il garante. Ad esempio, dopo due/tre rate di leasing non pagate, la società di leasing può risolvere il contratto e riprendere il macchinario, chiedendo anche i danni.

Strumenti di difesa e soluzioni:

  • Rinegoziazione o moratoria del debito: In situazioni di difficoltà, è opportuno avvisare tempestivamente la banca e tentare un accordo di ristrutturazione del debito bancario. Le banche, soprattutto se intravedono prospettive di continuità aziendale, possono accettare di allungare i piani di ammortamento, concedere periodi di sospensione delle rate (moratorie) o consolidare esposizioni a breve termine in finanziamenti a medio termine. Ciò può avvenire in via stragiudiziale (accordo privato) oppure all’interno di procedure come la composizione negoziata, dove si può sottoscrivere una convenzione di moratoria tra la maggioranza delle banche e l’impresa . Se almeno il 75% delle banche (per credito) aderisce, il tribunale può estendere la moratoria anche alle banche dissenzienti , congelando per tutti le azioni esecutive per il tempo concordato.
  • Accordi di ristrutturazione ex art. 57 CCII: È uno strumento formale (omologato dal tribunale) che consente di ristrutturare esposizioni finanziarie con l’accordo del 60% dei creditori (per valore) . Si può modulare il pagamento dei debiti bancari, ad esempio prevedendo stralci parziali (haircut) o conversione di debito in capitale o finanza fresca da nuovi investitori. Le banche spesso aderiscono a tali accordi se intravedono che recupereranno di più rispetto a un fallimento dell’azienda. Esistono anche accordi “agevolati” col 30% delle adesioni, ma rinunciando alle misure protettive automatiche . In ogni caso, un accordo omologato vincola solo le banche aderenti; quelle estranee vanno pagate integralmente entro l’omologa (specie nell’accordo agevolato) . Questo strumento è utile se i debiti bancari sono concentrati in pochi istituti con cui si può trovare un’intesa.
  • Concordato preventivo: se il debito bancario è insostenibile ma l’azienda ha valore, col concordato è possibile proporre di soddisfare le banche in percentuale o con asset aziendali. Le banche con garanzie reali (pegni/ipoteche) sono creditori privilegiati: vanno soddisfatti almeno per il valore di stima della garanzia. Se il loro credito eccede tale valore, la parte eccedente diventa chirografaria e può essere falcidiata secondo le regole del concordato. Ad esempio, la banca ha un’ipoteca su un immobile che vale 100 a fronte di un credito di 150: nel concordato è privilegiata per 100 e chirografaria per 50 (su cui potrebbe prendere, ad es., 20% = 10). Le banche chirografarie votano come gli altri creditori sulla proposta concordataria. Importante: spesso per convincere le banche ad aderire a piani di risanamento serve prevedere l’intervento di un nuovo finanziatore o investitore, o la cessione dell’azienda a un soggetto terzo che se ne accolli i debiti finanziari (concordato in continuità indiretta).
  • Garanzie personali: se l’imprenditore o i soci hanno firmato fideiussioni, bisogna considerare che la banca potrà escutere immediatamente il garante in caso di insolvenza della società, senza dover aspettare il buon esito di un concordato. Il garante, una volta pagato, subentra nelle ragioni di credito (surroga) e diventa creditore verso la società. Per proteggere il patrimonio personale del garante, una strada può essere convincere la banca a rinviare o frazionare l’escussione, magari offrendo ulteriori garanzie (es. ipoteca su un bene personale) o un impegno di pagamento parziale upfront. Alternativamente, se il garante (es. l’imprenditore individuale) non ha modo di pagare, potrà valutare per sé stesso l’accesso alle procedure da sovraindebitamento (si veda oltre), come il piano del consumatore o la liquidazione del patrimonio, per trovare sollievo dai debiti personali derivanti da fideiussioni.

In sintesi, con i creditori finanziari è spesso determinante giocare d’anticipo: negoziare prima che la posizione sia deteriorata, eventualmente coinvolgendo un esperto (nelle composizioni negoziate) che illustri alle banche la convenienza di una soluzione concordata rispetto allo scenario liquidatorio. Le banche mirano a massimizzare il recupero: se si presenta un piano credibile, supportato da perizie o attestazioni indipendenti, sono più propense ad accettare ristrutturazioni del credito (allungamenti, riduzioni parziali, conversioni). Legalmente, strumenti come gli accordi di ristrutturazione o il concordato consentono di “costringere” anche eventuali dissenzienti a rispettare l’accordo approvato a maggioranza, evitando che un singolo istituto faccia saltare il banco.

Debiti verso fornitori e altri creditori chirografari

I debiti commerciali verso fornitori (materiali, componenti, servizi) e in generale i debiti non garantiti rientrano tra i crediti chirografari (senza privilegio né garanzia). Sono spesso numerosi e sparsi, ma individualmente di importo minore rispetto a banche o Fisco. Tuttavia, i fornitori impazienti possono rapidamente creare problemi: ad esempio sospendendo le forniture indispensabili per la produzione o iniziando azioni legali per recuperare i propri crediti.

Azioni tipiche dei fornitori: Un fornitore non pagato a lunga può mettere a rischio la continuità dell’azienda (se fornisce materie prime essenziali) oppure agire legalmente. Spesso, dopo qualche sollecito, si rivolgono a legali per ottenere un decreto ingiuntivo di pagamento. Il decreto ingiuntivo è un ordine del giudice che ingiunge di pagare entro 40 giorni; se l’azienda non fa opposizione, diventa definitivo ed esecutivo. Con quel titolo esecutivo, il fornitore può pignorare conti correnti, beni mobili o immobili dell’azienda (macchinari, merci) e persino chiedere il pignoramento presso terzi (es. dei crediti che l’azienda vanta verso i propri clienti) per soddisfarsi. Un’altra leva di pressione è la “mina” reputazionale: i fornitori potrebbero diffondere la notizia delle difficoltà, isolando l’azienda sul mercato.

Strumenti di difesa:

  • Verificare la legittimità delle pretese: se il fornitore agisce con decreto ingiuntivo, l’azienda può presentare opposizione entro 40 giorni dalla notifica, facendo valere eventuali contestazioni sul credito (lavori non eseguiti a regola d’arte, merce difettosa, fatture non dovute, ecc.). L’opposizione apre un giudizio ordinario in cui il giudice verifica nel merito l’esistenza del credito . Nel frattempo, se il decreto era provvisoriamente esecutivo, l’azienda può chiedere al giudice la sospensione dell’esecuzione in via d’urgenza . Ad esempio, se il fornitore ha ottenuto un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo (cosa possibile per crediti fondati su fatture accompagnate da estratti conto autenticati, ex art. 642 c.p.c.), l’azienda-debitore notificando l’atto di opposizione può contestualmente chiedere al giudice di sospendere l’efficacia esecutiva del decreto ingiuntivo sino all’esito del giudizio . Ciò evita che nel frattempo parta un pignoramento.
  • Negoziare transazioni: Spesso col fornitore si può trovare un accordo extragiudiziale per evitare la via legale. Ad esempio, riconoscendo il debito e proponendo un piano di rientro rateale (magari fornito di garanzie, come cambiali) oppure offrendo un saldo e stralcio (pagamento immediato di una percentuale ridotta, a fronte dell’abbandono di ogni pretesa ulteriore). È importante formalizzare questi accordi per iscritto. Se più fornitori sono in questa situazione, l’azienda può anche proporre un accordo plurilaterale: es. “pagherò il 50% a tutti voi entro 6 mesi, il restante 50% in 6 mesi successivi”. Questi accordi restano privati, ma se sottoscritti e rispettati evitano l’apertura di cause.
  • Includere i fornitori in un eventuale concordato o accordo di ristrutturazione: Essendo chirografari, i fornitori possono essere trattati in modo differenziato purché equitativo (trattamento uguale per tutti quelli della stessa classe). In un concordato preventivo, di norma ai creditori chirografari va assicurata una soddisfazione minima del 20% (nel caso di concordato liquidatorio) , salvo offerte inferiori con consenso individuale. Nel concordato in continuità non vige una percentuale minima per legge, ma bisogna dimostrare che la continuità d’impresa offre a tutti i creditori una prospettiva migliore che la liquidazione. I fornitori votano sul concordato: se la maggioranza approva, anche i dissenzienti sono legati dall’esito. In un accordo di ristrutturazione, se certi fornitori chiave non aderiscono, si può valutare di chiedere l’estensione forzata degli effetti ai dissenzienti appartenenti a una categoria omogenea (è possibile per legge se nell’ambito di quella categoria almeno il 75% dei crediti ha aderito, ex art. 61 CCII) . In pratica, se la maggior parte dei fornitori accetta l’accordo, si può vincolare anche gli altri.
  • Strumenti speciali per piccole imprese non fallibili: se l’azienda è sotto le soglie di fallibilità (si veda più avanti il concetto di “debitore minore”), potrebbe accedere al “concordato minore” o all’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento, che sono procedure semplificate dove i creditori chirografari (come i fornitori) votano con quorum ridotti (50%) e non c’è soglia minima di pagamento . Questi strumenti permettono di imporre ai fornitori un taglio dei crediti anche senza il loro consenso unanime, purché il piano sia approvato dalla maggioranza e omologato dal giudice.

In generale, coi fornitori la chiave è comunicare e mantenere la fiducia: se l’imprenditore mostra serietà (ad esempio proponendo pagamenti parziali immediati e il resto dilazionato, magari assistito da garanzie) molti fornitori preferiranno un accordo ragionevole piuttosto che azioni legali costose e dall’esito incerto. Bisogna inoltre evitare disparità di trattamento troppo evidenti tra fornitori, che potrebbero sfociare in azioni revocatorie in caso di fallimento (pagamenti preferenziali fatti a taluni fornitori e non ad altri, nei mesi antecedenti la procedura, possono essere revocati dal curatore in liquidazione giudiziale). Su questo torneremo parlando delle revocatorie.

Debiti previdenziali e contributivi (INPS)

Un capitolo a parte meritano i debiti verso gli enti previdenziali, principalmente INPS (contributi pensionistici e assistenziali obbligatori) e INAIL (assicurazione infortuni). In un’azienda di produzione con dipendenti, è facile accumulare debiti contributivi se si saltano i versamenti mensili dovuti. Tali debiti hanno anch’essi privilegio generale sui beni mobili del debitore, quindi in concorso vengono soddisfatti dopo il Fisco ma prima dei fornitori chirografari.

Dal punto di vista penale, l’omesso versamento delle ritenute previdenziali (cioè la quota trattenuta al dipendente in busta paga) oltre €10.000 annui è reato (art. 2 D.L. 463/1983), analogamente all’omesso versamento IVA per il Fisco. È punito con la reclusione fino a 3 anni o multa; ma la punibilità è esclusa se si paga il dovuto entro 3 mesi dalla contestazione o dall’accertamento. Anche qui, dunque, se l’imprenditore può racimolare risorse, pagare le ritenute dipendenti arretrate prima possibile conviene molto (si evita il penale). L’omesso versamento della quota a carico del datore di lavoro non è reato, ma comporta sanzioni civili pesanti (interessi e sanzioni fino al 30% annuo) .

Dal punto di vista civilistico, gli amministratori hanno l’obbligo di versare i contributi dovuti. Se non lo fanno, rispondono dei danni causati: la Cassazione ha affermato (sent. 27610/2019, già citata) che l’amministratore deve risarcire le sanzioni INPS comminate alla società per i mancati versamenti qualora le omissioni derivino da sua condotta colposa o dolosa . Nella sentenza citata, l’amministratore è stato ritenuto responsabile in solido di centinaia di migliaia di euro di sanzioni perché per anni non aveva versato né tasse né contributi, falsando la contabilità. Questo per ribadire che anche i debiti previdenziali possono riversarsi sul patrimonio personale dei gestori se frutto di mala gestio.

Azioni tipiche dell’INPS e difesa: L’INPS, per il recupero, si avvale anch’esso di Agenzia Entrate Riscossione (cartelle). Le azioni sono analoghe al Fisco: cartella, poi eventuali pignoramenti, fermi, ipoteche. Anche qui è possibile rateizzare i debiti contributivi con piani fino a 6 anni (72 rate) o 10 anni (120 rate) in caso di gravi difficoltà, analogamente ai tributi . Non esiste una vera e propria transazione previdenziale autonoma (in passato non era ammessa la falcidia dei contributi, a differenza delle tasse). Tuttavia, nel concordato preventivo attuale la legge consente la falcidia dei contributi INPS allo stesso modo delle imposte, con la stessa condizione: il trattamento proposto non deve essere inferiore a quello ottenibile in liquidazione . Quindi, mentre in passato l’INPS poteva opporsi rigidamente a qualunque taglio, oggi – recependo la Direttiva UE 2019/1023 – se il piano offre all’INPS almeno quanto riceverebbe dal fallimento, può essere imposto anche senza adesione dell’ente (è una forma di cram-down fiscale/previdenziale). Ad esempio, se l’azienda in liquidazione farebbe ricavare 10.000 € all’INPS su un credito di 50.000 €, un concordato che ne offre 10.000 € può essere omologato anche con parere contrario dell’INPS, perché non deteriore per l’ente.

Una particolarità: se l’azienda viene dichiarata fallita (liquidazione giudiziale) ed emerge che negli ultimi 3 mesi prima della sentenza l’imprenditore non ha versato i contributi trattenuti ai dipendenti, il curatore può chiederne la condanna per “omesso versamento di contributi” ex art. 324 CCII (già art. 217-ter L.F.). È una sanzione concorsuale che comporta il pagamento, a titolo di “massa”, di un importo pari alle ritenute non versate. Si tratta di responsabilità patrimoniale post-fallimentare che mira a punire l’imprenditore negligente.

In sintesi: i debiti INPS vanno tenuti in alta considerazione. Le armi difensive principali sono simili al Fisco: rateazione amministrativa per prendere tempo e diluire l’impatto finanziario, oppure includere i crediti INPS in un piano di concordato o accordo con eventuale parziale stralcio (secondo le regole vigenti). Da non dimenticare, infine, che l’INPS non può procedere al pignoramento della prima casa dell’imprenditore individuale alle stesse condizioni dell’Erario (vedi riquadro seguente).

Impignorabilità della prima casa (debiti fiscali/previdenziali): per legge l’Agente della Riscossione non può espropriare l’abitazione principale del debitore se questi possiede un solo immobile di residenza, non di lusso, e il debito complessivo è sotto €120.000 . Se il debito supera €120.000 e il debitore ha altri immobili, allora AER può iscrivere ipoteca e procedere a pignorare anche la casa principale . Questa tutela vale solo per i debiti verso lo Stato/enti pubblici: i creditori privati (banche, fornitori) possono pignorare la casa anche se è l’unica, salvo che sia in corso un procedimento concorsuale che sospenda le esecuzioni. Quindi, in presenza di debiti fiscali o contributivi, un imprenditore individuale con una sola casa di residenza ha una parziale protezione: il Fisco/INPS al massimo potrà iscrivere un’ipoteca a garanzia (che impedisce di vendere l’immobile) ma non potrà metterla all’asta a meno di superare le soglie dettate. Rimane però esposto verso gli altri creditori.

Riepilogo tipi di debito e difese possibili

Di seguito una tabella riepilogativa delle caratteristiche dei vari debiti aziendali e delle rispettive strategie di difesa/tutela per il debitore:

Tipo di debitoCaratteristiche e rischiAzioni tipiche del creditoreStrumenti di difesa del debitore
Fiscale (Erario)Privilegiato; genera sanzioni e interessi; soglie penali per IVA/ritenuteCartella esattoriale; ipoteche, fermi auto; pignoramenti beni/conti– Rateazione fino a 120 rate <br>– Ricorso se vizi cartella<br>– Transazione fiscale in concordato/accordo (stralcio parziale) <br>– Pagamento prioritario di IVA/ritenute per evitare reati
Contributivo (INPS)Privilegiato; sanzioni civili elevate; reato se omissioni > €10k su trattenuteCartella esattoriale; misure analoghe al Fisco– Rateazione analoga (72-120 rate)<br>– Inclusione in transazione fiscale (equiparato al Fisco) <br>– Pagamento delle ritenute dipendenti per evitare reato<br>– Attenzione a possibili azioni post-fallimentari (art. 324 CCII)
Bancario/FinanziarioSpesso garantito (pegno/ipoteca, fideiussione); crediti di importo rilevante; contratti con covenant restrittiviRevoca fidi e richiesta rientro immediato; decreto ingiuntivo; escussione di garanzie (pignoramento bene ipotecato; azione contro fideiussore)– Moratoria/dilazione mediante accordi stragiudiziali (standstill) <br>– Ristrutturazione del debito (nuovo piano ammortamento, riduzione tasso) negoziata con banca o tramite accordo ex art.57 CCII <br>– Concordato preventivo: possibile falcidia della parte chirografaria dei crediti bancari; soddisfo del garantito nei limiti valore garanzia<br>– Protezione patrimonio personale del garante (trattative con banca, procedure sovraindebitamento per il garante)
Fornitori (chirografari)Non garantiti; molti creditori diffusi; importi singoli minori ma rischio azioni legali diffuseDecreto ingiuntivo (40 gg. per opporsi); pignoramento di beni aziendali o crediti verso terzi; sospensione delle forniture indispensabili– Opposizione a ingiunzioni infondate (40 gg) e richiesta sospensione esecutività <br>– Accordi transattivi individuali (piani di rientro, saldo e stralcio)<br>– Concordato preventivo: pagamento parziale (min. 20% se liquidatorio) ; voto a maggioranza vincolante per tutti<br>– Accordo di ristrutturazione con estensione ai dissenzienti (75% aderenti nella categoria) <br>– Procedure sovraindebitamento per PMI sotto soglia (concordato minore) con quorum ridotto 50%

Responsabilità personali dell’imprenditore e dei soci

Una convinzione diffusa è che, con una società di capitali (come una S.r.l. o S.p.A.), i problemi restino confinati alla società e non intacchino mai il patrimonio personale di amministratori e soci. In realtà, pur essendo vero il principio della autonomia patrimoniale perfetta (i debiti sociali di norma non ricadono sui beni personali), esistono molte eccezioni previste da legge e giurisprudenza . È fondamentale che l’imprenditore conosca questi aspetti, perché difendersi dai debiti significa anche prevenire o minimizzare l’estensione della responsabilità oltre il perimetro aziendale.

Esaminiamo i vari casi:

Società di capitali (S.r.l., S.p.A.)

Nelle S.r.l. e S.p.A. vige il principio che soci e amministratori non rispondono con i propri beni dei debiti sociali, salvo casi particolari. Tuttavia:

  • Gli amministratori possono incorrere in responsabilità verso la società, verso i soci e verso i creditori sociali se violano i doveri di legge nella gestione. In particolare, l’art. 2476 c.c. (per Srl) e 2394 c.c. (per Spa) prevedono che gli amministratori rispondano verso i creditori quando, violando gli obblighi di conservazione del patrimonio sociale, il loro comportamento abbia causato l’insufficienza del patrimonio a soddisfare i debiti . Questa norma, potenziata dalla riforma del 2019, di fatto introduce un obbligo di attivarsi tempestivamente in caso di crisi: se l’amministratore non adotta assetti adeguati e non reagisce alla crisi, lasciando aggravare il dissesto, i creditori insoddisfatti potranno chiedergli i danni . Ad esempio, il Tribunale di Napoli, sentenza 18/9/2023, ha affermato che il semplice inadempimento verso un fornitore non è di per sé illecito dell’amministratore, ma se questi ha procrastinato il fallimento e accumulato debiti inutilmente, i creditori possono agire contro di lui . In pratica: un conto è la sfortuna economica, altro è la cattiva gestione colposa – solo nel secondo caso l’amministratore paga di tasca propria.
  • I soci di norma rischiano al massimo la perdita del capitale investito (azioni/quote). Però, se sono anche amministratori o se hanno compiuto atti di ingerenza gestoria, potrebbero essere coinvolti in responsabilità. Inoltre, in casi di abuso della personalità giuridica (es. società usata come schermo per frodare creditori), la giurisprudenza può “superare lo schermo” e colpire direttamente i soci (teoria del piercing the corporate veil, applicata ad esempio se c’è confusione tra patrimonio sociale e personale, sottocapitalizzazione dolosa, ecc.).
  • Obblighi di legge specifici: Il CCII ha introdotto per gli amministratori l’obbligo di istituire assetti organizzativi adeguati per rilevare la crisi e attivarsi (art. 3 CCII) . Se ciò manca, è un elemento di colpa grave in eventuali azioni di responsabilità. Ancora, quando la società ha perdite rilevanti che erodono il capitale (oltre 1/3, riducendolo sotto il minimo legale), gli amministratori e soci devono prendere provvedimenti (ricapitalizzare o liquidare): se omettono, e i creditori subiscono pregiudizio, ciò può fondare responsabilità verso i creditori.
  • Responsabilità tributaria e contributiva personalizzata: Alcune norme imputano direttamente agli amministratori (o liquidatori) certe obbligazioni fiscali/previdenziali. Un esempio chiave è l’art. 36 del DPR 602/1973: se una società viene liquidata/disciolta e il liquidatore o gli amministratori ripartiscono attivi ai soci lasciando impagati tributi, essi rispondono personalmente del debito fiscale non soddisfatto, fino a concorrenza delle somme indebitamente assegnate ai soci. Ciò significa che, se prima di fallire l’amministratore paga alcuni creditori e non il Fisco, o distribuisce utili ai soci quando c’erano debiti fiscali, potrà poi essere chiamato a pagare di tasca propria quelle imposte. Similmente, in caso di liquidazione volontaria, il liquidatore deve accantonare i fondi per pagare le imposte: se distribuisce ai soci ignorando il Fisco, ne risponderà.

Nel campo contributivo, la legge prevede che l’amministratore cessato possa essere esonerato da responsabilità per contributi non versati dopo la cessazione se prova che la morosità non dipende da sua colpa (ad es. Cass. 2020 n.34444 ha escluso colpa di amministratore uscente per omissioni contributive avvenute dopo la sua revoca). Ma resta il fatto che durante il mandato l’amministratore in carica è tenuto a versare contributi e imposte: l’accettazione della carica comporta doveri di vigilanza e controllo, e non basta dimettersi per sfuggire a tutte le responsabilità .

  • Reati fallimentari: se l’impresa arriva alla liquidazione giudiziale (ex fallimento), gli organi concorsuali verificheranno la presenza di condotte illecite dei gestori che configurino reati di bancarotta. Bancarotta fraudolenta (artt. 322 e segg. CCII, ex art. 216 LF) punisce, ad esempio, chi distrugge o occulta beni o scritture contabili, o dissipa risorse prima del fallimento per frodare i creditori . Anche pagare preferenzialmente un creditore a discapito di altri immediatamente prima del fallimento può costituire bancarotta preferenziale. Questi reati sono puniti con pene detentive severe (fino a 10 anni per la fraudolenta) . Inoltre, in caso di condanna per bancarotta scattano interdizioni (es. il divieto di tornare a ricoprire cariche societarie per 10 anni). Dunque l’imprenditore, nel tentativo di “mettere in salvo” beni dall’azienda in dissesto (magari trasferendoli a sé o a terzi compiacenti), rischia seriamente di peggiorare la sua posizione con conseguenze penali.

In conclusione per le società di capitali: difendersi dai debiti non significa solo “tentare la sorte” e sperare che restino in capo alla società. Bisogna agire con correttezza e trasparenza, attivando gli strumenti di legge per gestire la crisi. Un amministratore accorto, ad esempio, di fronte all’insolvenza incombente chiederà egli stesso un concordato preventivo o la liquidazione giudiziale, anziché attendere passivamente le azioni dei creditori: questo spesso limita la propria esposizione in termini di responsabilità (dimostra di non aver aggravato il buco). Al contrario, continuare ad accumulare debiti quando si sa di essere insolventi può essere visto come aggravamento doloso del dissesto, con conseguenze sia civilistiche (azione di responsabilità dei creditori ex art. 2476 c.6 c.c.) sia penali (bancarotta semplice).

Società di persone (S.n.c., S.a.s.) e ditte individuali

Se l’azienda di motori elettrici trifase fosse strutturata non come società di capitali ma, poniamo, come S.n.c. (Società in nome collettivo) o S.a.s. (Società in accomandita semplice), oppure semplicemente come ditta individuale, il quadro della responsabilità cambia radicalmente:

  • Nelle società di persone, i soci illimitatamente responsabili (tutti i soci della S.n.c. e i soli accomandatari nella S.a.s.) rispondono personalmente e solidalmente dei debiti sociali con tutto il loro patrimonio (art. 2291 c.c. per S.n.c., art. 2313 c.c. per S.a.s.). Ciò significa che se la società non paga, qualunque creditore (banca, fornitore, fisco…) può chiedere soddisfazione direttamente ai soci illimitatamente responsabili, anche senza dover prima escutere la società (in teoria c’è il “beneficio di escussione”, art. 2304 c.c., ma è spesso di scarsa protezione pratica: basta che la società appaia insolvente perché i creditori attacchino i soci). In uno scenario del genere, non c’è distinzione effettiva tra patrimonio aziendale e personale: i debiti dell’azienda sono in sostanza debiti dei soci. L’unica difesa è pagare o accedere a procedure concorsuali estese anche ai soci (nelle società di persone, il fallimento della società trascina il fallimento anche dei soci illimitatamente responsabili). Dunque, in questa guida, le strategie delineate per l’azienda valgono ipso facto anche per i soci.
  • Nell’impresa individuale, non esiste affatto distinzione: l’imprenditore è la stessa persona dell’azienda. Tutti i crediti verso l’impresa sono automaticamente crediti verso l’imprenditore. Se l’imprenditore individuale è sotto soglia di fallibilità (piccolo imprenditore), non può essere “fallito” nel senso tradizionale, ma può comunque subire tutte le azioni esecutive individuali sul suo patrimonio. In caso di dissesto grave, può accedere alle procedure di sovraindebitamento (piano del consumatore, accordo di composizione o liquidazione controllata) per gestire il proprio indebitamento personale.

In sintesi, per le società di persone e ditte individuali, difendersi dai debiti coincide con proteggere il patrimonio personale, perché è immediatamente aggredibile. Strumenti utili in questi casi includono: concordati preventivi estesi ai soci (nei pochi casi ammessi), oppure procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento per ottenere esdebitazione (liberazione dai debiti residui).

Fideiussioni, garanzie personali e patrimoni dei soci

Merita un cenno la situazione ibrida in cui, pur avendo una S.r.l. o S.p.A., i soci o amministratori abbiano prestato garanzie personali (fideiussioni, avalli cambiari) a favore dei creditori della società. Questo caso è frequentissimo: le banche quasi sempre chiedono la fideiussione dei soci o del rappresentante legale per concedere credito a piccole società; fornitori di beni di valore possono richiedere una garanzia personale del socio di controllo, ecc.

Se scattano queste garanzie, il socio o amministratore garantisce diventa co-obbligato verso quel creditore. Ad esempio, se un socio garantisce personalmente un mutuo bancario della Srl e la Srl non paga, la banca potrà indifferentemente (o cumulativamente) agire contro la Srl e contro il socio garante. Il garante non può opporre il beneficio di escussione (a meno che la fideiussione lo preveda espressamente, ma di solito no): risponde immediatamente.

Come difendersi? Le strategie possibili sono:

  • Negoziare una liberatoria o limitazione: in previsione di procedure concorsuali, talvolta si riesce a negoziare con il creditore garantito una liberatoria per il garante, specie se la procedura frutta un pagamento significativo. Ad esempio, se in concordato la banca recupera buona parte del credito, potrebbe rinunciare a escutere il socio per la quota residua. È opportuno formalizzare queste rinunce (accordo transattivo col creditore).
  • Patrimoni separati: se vi è tempo e modo (e soprattutto se fatto in bonis, non sull’orlo del fallimento, per evitare revocatorie), un imprenditore potrebbe costituire un fondo patrimoniale (per esigenze familiari) o affidare beni in un trust o società holding, per proteggere almeno parte del patrimonio personale dalle obbligazioni dell’impresa. Tuttavia, questi strumenti sono efficaci solo se attuati correttamente e in anticipo: se fatti quando i debiti sono già sorti e magari scaduti, rischiano di essere dichiarati inefficaci in pregiudizio ai creditori (azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c., entro 5 anni) o addirittura considerati atti distrattivi in caso di fallimento (bancarotta fraudolenta patrimoniale). La Cassazione è generalmente severa con trasferimenti di beni del debitore in difficoltà a familiari o entità correlate: li vede come possibili intenti fraudolenti. Quindi, pianificare per tempo la protezione di alcuni asset (come la casa con fondo patrimoniale, se ci sono i requisiti) è lecito; farlo all’ultimo momento prima del crack è pericoloso e spesso inutile.
  • Procedure personali: se il garante viene escusso e non riesce a pagare, come accennato, può ricorrere alle procedure di sovraindebitamento previste dal CCII (che nel frattempo ha assorbito la legge 3/2012). Ad esempio, un socio che abbia garantito debiti sociali potrebbe presentare un piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore se i debiti sono personali e non legati a sua attività di impresa (c’è dibattito se il garante di debiti aziendali sia considerabile consumatore; tendenzialmente no se era funzionale all’attività d’impresa, ma potrebbe fare un accordo di composizione come debitore civile). In tali procedure il garante proporrebbe ai propri creditori personali (tra cui quelli subentrati per la fideiussione) un piano di pagamento parziale, ottenendo la liberazione finale dai debiti (esdebitazione).

Da ricordare: le garanzie omnibus bancarie nulle – Negli ultimi anni ci sono state cause sulle fideiussioni bancarie dichiarate nulle perché conformi a schemi illegittimi (violazione antitrust rilevata da Banca d’Italia nel 2005). Se un socio ha firmato una fideiussione omnibus su modello ABI, potrebbe verificare con un legale se rientra tra quelle nulle e, in caso affermativo, opporsi all’escussione eccependo la nullità. La giurisprudenza (Cass. 29810/2017 e successive) ha aperto questa breccia, ma serve un giudizio per far valere la questione.

Strumenti per gestire la crisi d’impresa e tutelarsi dai creditori

Una volta analizzati i debiti e valutato il livello di crisi/insolvenza, l’imprenditore deve decidere come reagire. Le opzioni vanno dal tentare un risanamento dell’azienda (se c’è speranza di recupero) fino a pianificare una liquidazione ordinata (se non vi è alternativa alla cessazione). La legge offre una gamma di strumenti di regolazione della crisi che il debitore può attivare volontariamente, spesso beneficiando di protezioni (ad esempio lo stay delle azioni esecutive) durante il tentativo di soluzione . Si tratta di un complesso di procedure, alcune stragiudiziali (private o con assistenza di esperti), altre concorsuali giudiziali (davanti al tribunale).

Di seguito distingueremo le principali categorie: – Soluzioni stragiudiziali “pure”: negoziazioni private con i creditori senza intervento del tribunale (se non eventuale omologa finale). Es: piani di rientro informali, accordi bilaterali, piano attestato di risanamento. – Soluzioni stragiudiziali assistite: procedura di composizione negoziata della crisi, dove un esperto terzo aiuta nelle trattative, con possibilità di ottenere misure protettive temporanee. – Procedure concorsuali giudiziali (ristrutturatorie): concordato preventivo, accordi di ristrutturazione omologati (incluso il nuovo piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, PRO). – Procedure concorsuali liquidatorie: liquidazione giudiziale (ex fallimento) e, per i non fallibili, liquidazione controllata.

Analizziamo ciascuno strumento, quando usarlo e come contribuisce a difendere l’imprenditore dai creditori (o meglio, a gestire i debiti in modo ordinato).

Accordi stragiudiziali e piani di rientro informali

Prima di attivare strumenti “ufficiali”, è sempre possibile – e talvolta consigliabile – tentare accordi stragiudiziali diretti con i creditori. Questo approccio è informale: l’azienda elabora un piano di rientro, magari aiutata dal proprio consulente finanziario, e lo sottopone ai creditori (singolarmente o in gruppo).

Vantaggi: flessibilità totale (si può proporre qualsiasi cosa), riservatezza (non diventa pubblico nulla, a differenza di procedure concorsuali che finiscono in registri), niente costi giudiziari né necessità di attestatori o esperti. Se si riesce a ottenere il consenso di tutti i principali creditori, si evita la “stigma” di una procedura concorsuale.

Svantaggi: la vincolatività è limitata. Un accordo privato obbliga solo i creditori che lo sottoscrivono. Se anche un solo creditore resta fuori e agisce per vie legali, può compromettere l’intero piano. Inoltre, l’accordo non offre automaticamente protezione da azioni esecutive: un creditore non aderente può comunque iniziare un pignoramento. Non c’è moratoria legale se non concordata. E attenzione: pagare solo alcuni creditori in virtù di accordi privati e trascurarne altri potrebbe, in caso di fallimento successivo, essere soggetto a revocatoria come pagamento preferenziale.

In pratica, accordi stragiudiziali funzionano meglio quando l’indebitamento non è troppo diffuso: ad es. si hanno 3-4 banche da sistemare, 2-3 fornitori strategici, e pochi altri creditori. In tali casi, mettere tutti attorno a un tavolo e negoziare può portare a una soluzione tailor-made (es. le banche prorogano i mutui, i fornitori accettano un 70% a saldo, l’imprenditore apporta capitali freschi, ecc.). Se l’accordo riesce, si evita la procedura concorsuale. Se non riesce, sarà stato comunque un tentativo utile in vista di opzioni successive.

Un caso particolare di accordo stragiudiziale formalizzato è il Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII, ex art. 67 LF). Vediamolo.

Piano attestato di risanamento

Il piano attestato di risanamento è un documento di pianificazione finanziaria con cui il debitore predispone un programma di risanamento dell’azienda e stipula accordi con i creditori necessari a eseguirlo, corredando il tutto di un’attestazione di un professionista indipendente che certifichi la veridicità dei dati e la fattibilità del piano. Questo piano non passa dal tribunale, ma se realizzato correttamente offre un beneficio importante: gli atti posti in essere in esecuzione del piano sono protetti dalle azioni revocatorie in caso di fallimento successivo . In pratica, se l’imprenditore paga alcuni creditori secondo il piano o concede garanzie, tali atti non potranno essere dichiarati nulli dal futuro curatore (purché il piano sia idoneo a risanare e l’attestatore lo abbia attestato).

Usare un piano attestato serve dunque a mettere in sicurezza le intese raggiunte con i creditori, purché il risanamento poi riesca. Se l’azienda però fallisce lo stesso, almeno i pagamenti fatti durante il tentativo (che rispondevano al piano) non verranno “tolti” ai creditori che li hanno ricevuti. Dal lato dell’imprenditore, questo strumento non offre di per sé uno stay: i creditori devono essere convinti a collaborare, non sono obbligati. Quindi è adatto a situazioni in cui c’è consenso volontario abbastanza ampio e non c’è un’urgenza di bloccare aggressioni (perché se c’è un creditore aggressivo, potrebbe far saltare tutto).

In sintesi: piano attestato = soluzione privatistica, che richiede spalle larghe (bisogna poter risanare davvero) e creditori ragionevoli, ma consente di operare sottotraccia e con protezione anti-revocatoria. Spesso è utilizzato in combinazione con l’erogazione di nuova finanza (ad es. una banca concede nuovi fondi per rilanciare, a condizione di un piano attestato).

Composizione negoziata della crisi d’impresa

Introdotta col D.L. 118/2021 (poi confluita nel CCII agli artt. 12-25), la composizione negoziata è uno strumento innovativo e centrale per la gestione precoce della crisi. Si tratta di una procedura volontaria e riservata, su base stragiudiziale assistita, in cui l’imprenditore in difficoltà si affida a un esperto indipendente nominato da un’apposita commissione (di solito presso la Camera di Commercio) . L’esperto aiuta a facilitare le trattative con i creditori, cercando soluzioni di risanamento concordate.

Chi può accedere: qualsiasi imprenditore commerciale o agricolo, di qualunque dimensione, che si trovi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario (crisi in senso lato) o anche di insolvenza reversibile . Non possono accedere invece i soggetti non fallibili (consumatori, piccoli imprenditori sotto-soglia): questi ultimi hanno altri strumenti, come il concordato minore. In pratica una S.r.l. o S.p.A. può sempre chiedere la composizione negoziata, anche prima che la situazione degeneri.

Come funziona in breve: l’imprenditore presenta istanza tramite la piattaforma telematica dedicata (gestita dalle Camere di Commercio) , allegando informazioni sull’azienda, bilanci, una proposta di piano sommaria. Una commissione nomina un esperto (spesso un commercialista o altro professionista con competenze in ristrutturazioni) che convoca l’imprenditore e valuta le possibili strategie. Le trattative con i creditori avvengono in maniera libera, con la supervisione dell’esperto che cerca di mettere d’accordo le parti su possibili soluzioni (nuovi accordi, ristrutturazione del debito, cessione azienda, ecc.). La procedura è riservata: né i creditori né terzi possono divulgare la notizia delle trattative, per proteggere la reputazione dell’impresa.

Un grande vantaggio per il debitore è che, durante la composizione negoziata, può ottenere “respiro” dalle azioni esecutive: infatti l’imprenditore può chiedere al Tribunale di emettere misure protettive che sospendano o vietino temporaneamente ai creditori di iniziare o proseguire pignoramenti, sequestri, o di presentare istanza di fallimento . Questo stay iniziale dura fino a 4 mesi, prorogabili fino a 12 mesi su richiesta, se le trattative procedono . Il tribunale concede e proroga tali misure valutando periodicamente le relazioni dell’esperto sull’andamento delle trattative. Durante questo periodo di tregua, l’imprenditore mantiene la gestione ordinaria dell’impresa; per gli atti straordinari deve avere l’assenso dell’esperto (es. vendere un immobile, assumere nuovi debiti, ecc., altrimenti rischia decadenza dalla procedura). Inoltre può essere autorizzato dal giudice a contrarre finanziamenti prededucibili (che verranno rimborsati prioritariamente se poi si va in concorsuale) per sostenere l’attività corrente, oppure a cedere rami d’azienda o sciogliersi da contratti onerosi, se ciò aiuta a evitare il fallimento .

Le misure protettive sono un’arma potente: di fatto congelano le azioni dei creditori mentre si negozia. Va però notato che richiederle significa “ufficializzare” la crisi (perché serve il passaggio in tribunale, con iscrizione al registro delle imprese dell’esistenza della procedura). Se l’imprenditore preferisce mantenere un profilo basso e pensa di potercela fare senza protezione giudiziaria, può evitare di chiedere misure protettive. In tal caso la negoziazione resta del tutto fuori dai radar pubblici . Tuttavia, nella pratica, molti ricorrono alle misure protettive perché avere dei creditori aggressivi che pignorano nel frattempo renderebbe vano ogni sforzo di risanamento. È una scelta strategica.

Esiti possibili della composizione negoziata: il percorso negoziale può portare a diverse soluzioni :

  • Risanamento privatistico: l’impresa e uno o più creditori raggiungono un accordo contrattuale che assicura la continuità aziendale per almeno 2 anni. Esempio: una banca concede nuova finanza, i fornitori dilazionano i crediti, l’imprenditore apporta capitale – e l’esperto attesta che con questo contratto l’azienda sarà sostenibile per almeno due anni. In tal caso, la composizione negoziata si chiude con successo privatamente. Questo contratto di risanamento gode di benefici di legge (“misure premiali”) se depositato al registro imprese con la relazione finale dell’esperto: riduzioni di sanzioni e interessi su debiti fiscali, accesso a rateazioni straordinarie fino a 6 anni col Fisco, etc., come previsto dall’art. 25-bis CCII . Dunque, la legge incentiva chi, attraverso la negoziazione, trova accordi volontari per proseguire l’attività.
  • Convenzione di moratoria: come accennato, i creditori (specialmente finanziari) che rappresentano >75% di una categoria possono convenire di sospendere le azioni e posticipare le scadenze, dando tempo all’impresa di riprendersi . L’effetto può essere esteso ai dissenzienti di quella categoria (principio di maggioranza). Ciò è utile per congelare l’esposizione senza ancora ristrutturare in senso stretto, puntando sul fatto che col tempo e qualche aggiustamento operativo l’impresa torni solvibile.
  • Piano attestato “rinforzato”: Le parti possono costruire un piano di ristrutturazione (simile al piano attestato di cui sopra) e chiedere all’esperto di attestarlo nella relazione finale come idoneo al risanamento . Se questo accordo è poi pubblicato nel registro imprese, produce l’effetto di esonero da revocatoria dei pagamenti e atti compiuti in esecuzione (effetti ex art. 56 CCII, già art. 67 co.3 lett.d LF) . In pratica è un piano attestato costruito con la supervisione dell’esperto, quindi con maggiore credibilità. Serve a blindare accordi parziali raggiunti (es. rinegoziazione di alcuni debiti) dall’eventuale fallimento successivo.
  • Accesso a una procedura concorsuale: Se le trattative delineano una soluzione che richiede l’intervento dell’autorità giudiziaria per essere vincolante verso tutti (ad es. un taglio dei debiti che alcuni non accettano), l’imprenditore – con l’aiuto dell’esperto – può preparare il terreno per un concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione formale. In questo caso la composizione negoziata funge da “incubatore”: terminata la fase negoziale, entro 60 giorni l’imprenditore deposita la domanda di concordato o di omologazione dell’accordo . Così facendo, gode di iter semplificati e soprattutto mantiene gli eventuali stay già ottenuti (sono prorogati sino all’ammissione della nuova procedura) . Inoltre, solo se ha tentato la composizione negoziata, potrà eventualmente accedere al concordato semplificato (ne parliamo a breve).
  • Esito negativo: Può darsi che l’esperto, alla fine, constati che non si è trovato alcun accordo. In tal caso, la composizione negoziata si chiude senza successo. L’imprenditore a quel punto può comunque prendere atto del fallimento delle trattative e decidere di: 1) chiedere la liquidazione giudiziale (fallimento) per chiudere ordinatamente; 2) se ritiene di avere ancora margini, tentare un concordato “in bianco”; 3) se vi sono i presupposti, utilizzare la speciale via del concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio.

Una nota: Concordato semplificato post-negazione – Previsto dall’art. 25-sexies CCII, è attivabile solo se la composizione negoziata fallisce nel trovare accordi . L’imprenditore, entro 60 giorni dalla relazione finale negativa dell’esperto, può proporre al tribunale un piano di concordato liquidatorio unilaterale, senza votazione dei creditori. In questo concordato semplificato, i creditori non votano; possono solo eventualmente opporsi in sede di omologazione. Sarà il giudice a valutare se la proposta liquidatoria è migliore per i creditori rispetto alla liquidazione giudiziale; in tal caso, potrà omologarla anche senza il loro consenso . Questo strumento è una sorta di “ultima spiaggia” per chi ha provato la via negoziale inutilmente. La giurisprudenza sinora lo usa con cautela, perché temono un abuso (aziende che bypassano il voto dei creditori). Ad esempio, il Tribunale di Bergamo (6 dicembre 2023) ha negato l’accesso al concordato semplificato a un imprenditore, rilevando che in realtà sarebbe stato praticabile un ordinario accordo di ristrutturazione con transazione fiscale . Il tribunale ha sottolineato che il concordato semplificato è ammissibile solo se tutte le altre soluzioni sono impraticabili e la situazione è disperata. Dunque, va considerato un rimedio eccezionale.

In conclusione, la composizione negoziata è oggi un passaggio quasi obbligato per chi vuole tentare di salvare l’impresa evitando il fallimento. Anche il legislatore l’ha favorita: ad esempio, il “Correttivo ter” al CCII entrato in vigore a settembre 2024 ha ulteriormente rafforzato la possibilità di stralciare debiti tributari e contributivi in queste procedure e ha introdotto incentivi e chiarimenti per facilitarne l’uso . Dal punto di vista della difesa dai creditori, la composizione negoziata offre due vantaggi notevoli: 1) la protezione immediata del patrimonio con le misure protettive (sospensione pignoramenti, ecc.) ; 2) la possibilità di trovare soluzioni concordate con un perimetro di riservatezza, evitando il danno reputazionale di un fallimento e magari conservando la continuità aziendale (che spesso è l’unica via per rimborsare in misura significativa i debiti). Certo, richiede cooperazione e trasparenza: se l’imprenditore fornisce informazioni corrette e mostra buona fede, l’esperto e i creditori saranno più propensi ad accordarsi. Diversamente, la procedura può decadere (l’esperto può ritirarsi se vede mancanza di collaborazione o atti in frode).

La nostra azienda di motori elettrici trifase, ad esempio, potrebbe avvalersi della composizione negoziata appena nota di essere in difficoltà: verrebbe nominato un esperto, il quale metterebbe attorno a un tavolo la banca (per rinegoziare il mutuo magari garantito da ipoteca), i fornitori principali (per dilazionare i pagamenti e assicurare forniture future di componenti), l’Agenzia delle Entrate (per discutere un’eventuale transazione su IVA e imposte arretrate) e l’INPS (per diluire i contributi). Durante i 4-6 mesi di trattative, l’azienda sarebbe protetta da nuove esecuzioni, e potrebbe ottenere nuova finanza (ad esempio un finanziamento garantito dallo Stato per liquidità) con precedenza di rimborso. Se le cose vanno bene, si esce con un accordo globale e l’azienda riparte. Se vanno male, almeno si è guadagnato tempo per organizzare un eventuale concordato o, alla peggio, prepararsi alla liquidazione minimizzando i danni (vendendo scorte e crediti a valori congrui invece che finire all’asta, ecc.).

Accordi di ristrutturazione dei debiti (ex art. 57 CCII)

Gli accordi di ristrutturazione sono strumenti semi-concorsuali: in sostanza, il debitore negozia con una parte significativa dei creditori un accordo sul risanamento (che può prevedere dilazioni, accontentamenti parziali, ecc.), e poi chiede al Tribunale di omologarlo, rendendolo efficace erga omnes (cioè vincolante anche per eventuali creditori dissenzienti o non partecipanti, purché in minoranza). Sono disciplinati dagli artt. 57-64 CCII e discendono dall’istituto introdotto nel 2005 nell’ordinamento (art. 182-bis LF).

Condizioni generali: Per l’accordo “base” occorre l’adesione di almeno il 60% dei crediti totali . I creditori che firmano l’accordo accettano quanto concordato (spesso un pagamento parziale in certe scadenze). I creditori non aderenti devono essere comunque pagati per intero entro l’omologazione (quindi l’accordo non può riguardare tutti, altrimenti tanto vale fare un concordato). In sede di omologazione, il Tribunale verifica che l’accordo sia fattibile e non danneggi i non aderenti.

Il CCII prevede vari tipi particolari di accordo:

  • Accordo agevolato (art. 60 CCII): basta il consenso del 30% dei creditori , ma a due condizioni: il debitore non chiede misure protettive automatiche (quindi accetta il rischio di azioni dei non aderenti durante la trattativa) , e paga integralmente i creditori estranei entro l’omologa . In pratica, l’accordo agevolato è più facile come quorum ma più oneroso: devi avere liquidità per liquidare subito chi non firma e sei scoperto da pignoramenti finché non omologhi.
  • Accordo ad efficacia estesa (art. 61 CCII): consente di vincolare anche i dissenzienti di una certa categoria omogenea di creditori, se nella categoria c’è una maggioranza qualificata che ha aderito . Ad esempio, se hai 5 banche e 4 aderiscono (80%), l’accordo può essere esteso anche alla quinta banca che non voleva aderire, purché le altre quattro rappresentino almeno il 75% dei crediti bancari. Questo istituto è pensato soprattutto per accordi con le banche o obbligazionisti: evita che uno su pochi, in posizione minoritaria, blocchi tutto (holdout problem).
  • Accordo con intermediari finanziari: c’è una versione “snella” per i debiti finanziari diffusi (art. 62 CCII), mutuata dalla Direttiva UE, dove se il debitore raggiunge un certo consenso con banche/obbligazionisti e il piano è attestato, ottiene omologa e cram-down su eventuali dissenzienti in quell’ambito.
  • Transazione fiscale e contributiva: un accordo di ristrutturazione può includere la falcidia di debiti fiscali e contributivi, purché l’adesione di Agenzia Entrate/AER sia acquisita. Se non aderiscono, l’accordo può essere omologato lo stesso ma la parte fiscale rimane esclusa e il debitore deve pagarla integralmente (questo è a differenza del concordato, dove c’è un meccanismo di cram-down fiscale). Tuttavia, il correttivo 2024 pare aver chiarito la possibilità di omologa anche senza adesione formale se si rispetta l’alternativa liquidatoria .

In termini di vantaggi per il debitore: l’accordo di ristrutturazione, rispetto al concordato, è più rapido (non c’è voto di tutti i creditori, solo adesione individuale di alcuni), più flessibile (non devi per forza rispettare le parità di trattamento tra chi aderisce e chi no, perché chi aderisce accetta volontariamente un certo trattamento), e può essere riservato (fino alla richiesta di omologazione, dopodiché viene pubblicato). Inoltre, quando si deposita l’accordo per l’omologazione, il debitore può chiedere al tribunale misure protettive analoghe a quelle del concordato (sospensione delle azioni) . Spesso infatti gli accordi di ristrutturazione vengono “preconcordati” sotto traccia e poi, al momento del deposito in tribunale, il debitore chiede lo stay per evitare che qualche creditore isolato faccia saltare la fase finale.

Uno svantaggio è che richiedono comunque un consenso elevato di crediti (30% o 60%), quindi se hai troppi creditori indisciplinati non è lo strumento adatto. Inoltre non consente di coinvolgere forzosamente i piccoli creditori estranei: quelli vanno pagati fuori dall’accordo.

Quando usare dunque l’accordo? Tipicamente se il grosso dei debiti è in capo a pochi creditori “pesanti” con cui trovi l’intesa (es. banche). In quel caso, invece di fare un concordato che coinvolga tutti, risolvi con un accordo specifico e lasci fuori i piccoli (che magari paghi cash). È utile anche se vuoi evitare la rigidità del concordato (che impone percentuali minime e regole di par condicio intra-classi). Qui puoi trattare diversamente con ciascun aderente: magari alla Banca A dai un piano di rientro 5 anni al 70%, al fornitore B dai subito il 40%, ecc., e ciascuno firma la propria transazione.

Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO)

Novità introdotta nel 2022 (D.Lgs. 83/2022, recependo la Direttiva UE 2019/1023), il PRO è una procedura ibrida che si colloca a metà tra accordo di ristrutturazione e concordato . In pratica, il debitore propone un piano di ristrutturazione unilaterale ai creditori, suddivisi in classi, e lo sottopone direttamente al Tribunale per l’omologazione, anche senza accordo preventivo con i creditori . I creditori vengono però convocati in udienza e possono votare contro o depositare opposizioni; se non fanno opposizione, si considera consenso.

Il PRO consente di ottenere l’omologazione di un piano anche contro il dissenso di una o più classi, purché in ogni classe abbiano votato a favore i creditori di maggioranza (per valore) . È quindi una forma di cram-down interclassi che il concordato preventivo ordinario non permette (nel concordato, se una classe vota no, di regola salta tutto, a differenza del Chapter 11 americano; nel PRO invece c’è più flessibilità simile al modello UE).

Un altro tratto del PRO: esso deroga alcune rigidità. Ad esempio, si può proporre di alterare l’ordine delle prelazioni (pagare un chirografario prima di un privilegiato, ecc.) se la maggioranza approva . Si possono anche falcidiare i crediti privilegiati senza dover offrire necessariamente l’intero valore di realizzo della garanzia (nel concordato ordinario devi dare ai privilegiati almeno il valore di perizia del bene su cui hanno garanzia). È insomma concepito come un concordato “semplificato” su iniziativa del debitore .

Tuttavia, non bisogna confondere: il PRO è volontario e non sostitutivo del concordato. Si applica a imprese soggette a fallimento (non ai piccoli) che vogliono sfruttare una procedura più rapida e con meno formalità. Ad esempio, il PRO non richiede il rispetto del 20% minimo ai chirografari anche se è liquidatorio . Quindi un debitore potrebbe proporre un PRO liquidatorio offrendo, poniamo, il 5% ai chirografari – cosa non ammessa in un concordato preventivo liquidatorio normale – se però i creditori lo accettano (o non si oppongono).

Procedura pratica: si deposita il piano PRO al tribunale, insieme all’attestazione di fattibilità di un professionista. Il tribunale apre l’istruttoria, comunica ai creditori il piano, questi possono fare osservazioni o opposizioni. Se una classe non è d’accordo ma il giudice ritiene che il piano nel complesso sia conveniente e rispetti i criteri di legge, può ugualmente omologarlo (imponendolo ai dissenzienti). Il PRO è quindi molto potente, ma finora poco utilizzato (è complesso e ancora “nuovo” per prassi).

Dal punto di vista del difendersi dai creditori, il PRO fornisce un altro vantaggio: depositando la domanda di omologa PRO, si possono chiedere le misure protettive (sospensione di azioni esecutive) analoghe a concordato . In più, il PRO ha meccanismi particolari per il Fisco/INPS: il Correttivo ter 2024 ha chiarito che il debitore in PRO può proporre il pagamento parziale o dilazionato di imposte e contributi, allegando un’attestazione che quel trattamento non sia peggiore del fallimento; se Agenzia o INPS aderiscono entro 90 giorni, bene, sennò si può anche modificare la proposta . Insomma, si è cercato di rendere il PRO uno strumento cram-down a 360 gradi.

Quando valutare il PRO: se l’azienda ha una struttura di debito complessa con varie classi di creditori e si teme di non ottenere tutti i voti necessari in un concordato ordinario, il PRO permette di tentare la strada di un’omologa forzosa. Ad esempio, supponiamo una società con due banche ipotecarie, alcuni fornitori e debiti fiscali: con un PRO la società potrebbe proporre di vendere l’azienda a un investitore e distribuire il ricavato non seguendo perfettamente i privilegi (magari dare qualcosa anche ai fornitori, che nel fallimento non avrebbero nulla, riducendo un po’ i privilegiati) – questo piano potrebbe non piacere alle banche privilegiate, ma se nel complesso è più vantaggioso per la massa creditoria rispetto alle alternative, il giudice potrebbe omologarlo anche con il dissenso delle banche (purché si rispettino certe condizioni di legge, tipo il “best interest test” e il “no creditor worse off”).

In conclusione, PRO è uno strumento sofisticato, utile in mani esperte e per situazioni dove serva imporre una ristrutturazione top-down. Per il piccolo imprenditore medio, probabilmente concordato tradizionale o accordi standard restano più abbordabili. Ma in un’ottica avanzata, era doveroso citarlo.

Concordato preventivo

Il concordato preventivo rimane la procedura concorsuale per eccellenza per evitare la liquidazione giudiziale. Disciplinato dagli artt. 84-120 CCII, è l’evoluzione del concordato della vecchia Legge Fallimentare, con vari aggiornamenti.

In cosa consiste: il debitore in stato di crisi o insolvenza formula un piano di risanamento o liquidazione, con relativa proposta di trattamento dei creditori, e lo sottopone al voto di questi ultimi sotto supervisione del Tribunale . Se i creditori approvano a maggioranza e il Tribunale ritiene il piano fattibile e conforme alla legge, lo omologa. Il concordato omologato vincola tutti i creditori anteriori, anche dissenzienti, secondo i termini della proposta: in questo modo, l’imprenditore evita il fallimento e regola i debiti in base all’accordo raggiunto.

Tipologie di concordato:

  • Concordato in continuità aziendale: il piano prevede la prosecuzione dell’attività d’impresa, direttamente da parte del debitore (continuità diretta) o tramite trasferimento dell’azienda a un altro soggetto che la mantiene in esercizio (continuità indiretta) . La continuità deve portare beneficio ai creditori (maggiori ricavi e quindi maggiore soddisfacimento rispetto a una liquidazione). Nel concordato in continuità non c’è una soglia minima di pagamento dei chirografari (si presume che il valore generato dalla continuità compensi), ma vi sono vincoli: se la continuità è indiretta (vendita dell’azienda), bisogna garantire tutela ai dipendenti (art. 2112 c.c. mantiene i loro diritti) e seguire procedure competitive per la scelta dell’acquirente . Se la continuità è diretta, il debitore deve impegnarsi a condurre l’impresa secondo il piano, con eventuale monitoraggio di un commissario.
  • Concordato liquidatorio: il piano prevede la cessazione dell’attività e la liquidazione del patrimonio, ma in forma concorsuale controllata. La legge richiede alcuni requisiti stringenti per ammettere un concordato puramente liquidatorio, per evitare proposte “troppo al ribasso”: (a) almeno il 20% di soddisfo ai creditori chirografari (salvo abbiano consapevolmente accettato meno); (b) un apporto di risorse esterne pari ad almeno il 10% dell’attivo liquidatorio , per far sì che anche il debitore o terzi contribuiscano al risarcimento e non scarichino solo sui creditori la perdita (questo apporto può essere denaro fresco, conferimento di beni ulteriori, etc.). Se manca l’apporto o il 20%, il tribunale può comunque ammettere il concordato se c’è un interesse sociale rilevante (tipo preservare posti di lavoro via cessione, ecc.), ma tendenzialmente quei parametri vanno rispettati .
  • Concordato con classi: i creditori vengono suddivisi in classi omogenee per posizione giuridica o interessi economici. Ad esempio, si fa una classe banche ipotecarie, una classe fornitori chirografari, una classe dipendenti, etc. All’interno di ciascuna classe deve essere assicurato trattamento equo e paritario. Ogni classe vota separatamente; serve il voto favorevole di almeno la maggioranza dei crediti ammessi al voto in quella classe . Se una classe boccia la proposta, il concordato ordinario italiano non consente di scavalcarla (salvo la transazione fiscale di cui dopo); ecco perché il PRO era innovativo. Quindi l’azienda deve costruire classi sensate e cercare il consenso di tutte le categorie importanti.
  • Concordato con riserva (“in bianco”): uno strumento procedurale (art. 44 CCII) che consente al debitore di depositare un ricorso di concordato senza ancora il piano dettagliato . Lo scopo è ottenere subito le misure protettive (blocco delle azioni esecutive) e il tempo per predisporre il piano definitivo. Il tribunale fissa un termine (da 60 a 120 giorni, prorogabile a 180) per presentare la proposta e il piano completi. Nel frattempo, nomina eventualmente un commissario e emana provvedimenti per preservare l’attivo. Il concordato “in bianco” è utile quando l’azienda è sotto assedio di pignoramenti e ha bisogno di tempo per negoziare con investitori o elaborare un piano serio. Va usato con buona fede: se il debitore poi non presenta alcun piano o lo fa solo per allungare il brodo, il tribunale può revocare le protezioni e dichiarare il fallimento immediatamente.
  • Transazione fiscale e contributiva nel concordato: come già accennato, l’art. 88 CCII consente di includere nel piano concordatario il pagamento parziale/dilazionato di imposte e contributi . In caso di voto contrario del Fisco o dell’INPS, il tribunale può comunque omologare se ritiene soddisfatti i criteri (importo non inferiore al realizzo in liquidazione) . Questo è un cram-down settoriale introdotto per legge, confermato dopo il dibattito giurisprudenziale (Cass. Sez. Unite 8504/2021). Quindi l’imprenditore non deve più temere il veto assoluto dell’Erario: può proporre tagli a tasse e contributi e confidare nel giudice se questi enti fanno i difficili.
  • Concordato semplificato post composizione negoziata: ne abbiamo parlato sopra. È un caso speciale attivabile solo dopo una composizione negoziata infruttuosa, in deroga alle regole ordinarie (no voto creditori). Lo citiamo qui per completezza ma ricordiamo che è riservato alle ultime spiagge.

Come il concordato protegge il debitore: Innanzitutto, dal momento in cui si deposita la domanda di concordato (anche “in bianco”), scatta il divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio del debitore (automatic stay), nonché di acquisire titoli di prelazione se non concordati . Anche i contratti pendenti non possono essere risolti per il solo fatto del mancato pagamento di pregresse esposizioni (c’è una protezione contrattuale: i fornitori non possono interrompere forniture essenziali). Questa tregua legale consente all’impresa di continuare ad operare mentre si prepara il piano o mentre si vota. Gli eventuali pignoramenti già in corso restano sospesi.

Inoltre, l’ammissione al concordato segna il passaggio a una fase controllata: viene nominato un Commissario Giudiziale, che vigila sull’operato del debitore sino all’omologa. L’imprenditore rimane in carica (nel concordato, a differenza del fallimento, non c’è spossessamento totale) ma deve gestire sotto sorveglianza, evitando atti fuori dall’ordinaria amministrazione senza autorizzazione del tribunale.

Se il concordato viene omologato, il debitore ottiene la esdebitazione implicita: tutti i crediti anteriori restano soddisfatti nella misura prevista dal piano, i creditori non possono pretendere oltre. Ad esempio, se in concordato i fornitori hanno approvato di prendere il 30% e basta, dopo l’omologa non potranno più cercare il restante 70%. L’azienda potrà ripartire “pulita” dai debiti pregressi (salvo quelli eventualmente esclusi per legge come debiti erariali non falcidiati, ma in genere tutti sono dentro). Questo è forse il più grande beneficio: la fresh start dopo un concordato riuscito.

Difficoltà del concordato: convincere i creditori a votare sì. È fondamentale comunicare efficacemente che la proposta concordataria è più vantaggiosa per loro di ciò che otterrebbero dalla liquidazione giudiziale. Spesso si fa tramite perizia di un esperto indipendente che quantifica la percentuale attesa in fallimento e la confronta col concordato (c.d. “test di convenienza”). Se i creditori percepiscono che il concordato offre un 30% subito contro un ipotetico 10% tra anni in fallimento, saranno motivati a votare sì. Viceversa, se la proposta è giudicata non equa o poco credibile, verrà bocciata e si arriverà comunque al fallimento.

Ruolo del tribunale: anche con voto favorevole, l’omologazione non è automatica: il tribunale deve controllare legalità e fattibilità. Può rifiutare omologa se il piano è irrealizzabile o viola norme (ad es. se prevedeva di non pagare minimamente i privilegiati senza motivo). I creditori dissenzienti possono fare opposizione all’omologa, su cui decide la Corte d’Appello eventualmente.

Esempio pratico (semplificato): la nostra azienda Alfa Srl, dopo aver tentato la composizione negoziata, predispone un piano di concordato in continuità indiretta: ha trovato un investitore disposto a rilevare l’azienda (marchio, macchinari, avviamento) per €500.000. Con questo incasso pagherà: la banca ipotecaria (credito €300k) integralmente €300k; i debiti verso Fisco (€100k) e INPS (€50k) in misura ridotta (€50k al Fisco e €25k a INPS, cioè 50%, sfruttando la transazione fiscale); i fornitori chirografari (totale €200k) al 20% (€40k); i restanti €85k serviranno per spese di procedura e per apportare quel 10% di attivo extra richiesto. Il piano prevede che l’investitore mantenga 8 dei 10 dipendenti (continuità). I creditori votano per classi: Classe 1: banca ipotecaria (è soddisfatta 100%, voterà sì); Classe 2: Fisco+INPS (50% proposto, ma si fa valere che in fallimento prenderebbero forse 30%, dovrebbero accettare; se votano no, il tribunale potrebbe comunque imporsi, essendo >alternativa); Classe 3: fornitori (20% proposto vs 0% stimato in fallimento, probabile voto favorevole, comunque basta la maggioranza per vincolare i pochi che dissentono). Se tutto fila, il tribunale omologa: Alfa Srl cede l’attività all’investitore, incassa 500k e li distribuisce secondo il piano, dopodiché viene liberata dai debiti residui. La “vecchia” Alfa Srl poi verrà liquidata chiusa, ma senza fallimento. I creditori hanno ottenuto più che in uno scenario liquidatorio puro. I dipendenti in gran parte conservano il lavoro con il nuovo proprietario.

Questo esempio illustra come il concordato possa essere uno strumento di difesa potentissimo: l’imprenditore, con l’aiuto della legge, impone una soluzione ai creditori che – pur pagando loro meno del 100% – viene ritenuta accettabile in quanto migliore delle alternative. È un modo di prendere in mano la situazione e guidarla, anziché subire passivamente l’iniziativa dei creditori.

Va però ribadito: il concordato è un percorso delicato e complesso, dove sbagliare anche una formalità può portare al fallimento. Serve un team di consulenti esperti (legali, finanziari) e va preparato con cura (es. tenere buoni rapporti con i creditori chiave per ottenerne il supporto). Spesso, per micro-imprese, i costi del concordato possono essere proibitivi, ed è qui che casomai subentrano le procedure minori.

Liquidazione giudiziale (ex fallimento)

Quando non esistono soluzioni di risanamento percorribili – o quando il debitore vi rinuncia – l’epilogo è la liquidazione giudiziale, l’equivalente del vecchio fallimento (termine abolito). Questa procedura, prevista dagli artt. 121-270 CCII, viene aperta dal Tribunale su ricorso di un creditore, del debitore stesso o su iniziativa d’ufficio (ad es. segnalazione del PM), qualora l’impresa si trovi in stato di insolvenza attuale .

Effetti e svolgimento: Con la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale, l’imprenditore perde la gestione dell’azienda e la disponibilità dei beni: viene nominato un Curatore che amministra il patrimonio, e un Giudice Delegato che sovrintende la procedura . Il curatore provvede a raccogliere le domande di insinuazione al passivo di tutti i creditori, forma lo stato passivo (elenco di chi ha diritto e per quanto, distinguendo privilegiati e chirografari) e poi liquida i beni del fallito (vendita di immobili, macchinari, incasso crediti, ecc.). Il ricavato viene distribuito ai creditori secondo le cause di prelazione: prima i creditori prededucibili (es. crediti sorti in procedura, compensi degli avvocati del fallito per la procedura, ecc.), poi i privilegiati (stipendi, fisco, banche su beni ipotecati, ecc.), infine se rimane qualcosa i chirografari. Al termine, la società fallita viene cancellata e cessa di esistere; se si tratta di persona fisica, vediamo sotto.

Dal lato del debitore, la liquidazione giudiziale è l’evento più gravoso: comporta, oltre alla perdita dell’azienda, anche conseguenze come: – la spossessamento dei beni (che passano sotto il controllo del curatore); – eventuali indagini e azioni di responsabilità (il curatore può esercitare l’azione contro gli amministratori per mala gestio, come pure avviare revocatorie fallimentari per recuperare pagamenti o atti di disposizione compiuti prima del fallimento in frode ai creditori); – per le persone fisiche, l’annotazione in Centrale Rischi e Registro dei protesti (se c’erano effetti insoluti), e la possibilità di restrizioni come la perdita temporanea della capacità di esercitare impresa senza autorizzazione.

Tuttavia, la riforma ha introdotto anche elementi di “umanizzazione” del fallimento: – L’esdebitazione del fallito, che già esisteva, è diventata ancora più ampia e automatica: decorsi 3 anni dalla chiusura della procedura, il debitore persona fisica è automaticamente liberato dai debiti residui (salvo eccezioni per debiti alimentari, da risarcimento danni da illecito, e poche altre categorie) . Non occorre più un giudizio apposito per ottenerla (a differenza della vecchia legge). Quindi un imprenditore individuale o socio fallito, dopo tre anni dal termine, può ripartire pulito. – È prevista anche l’esdebitazione del debitore incapiente a certe condizioni, subito dopo il fallimento, per una sola volta nella vita: se un soggetto fisico è fallito e non si riesce a distribuire nulla ai creditori (perché non c’erano beni), può chiedere la liberazione dai debiti ugualmente, a patto di aver cooperato e non aver commesso atti di frode. Questa è una novità importante (art. 278 CCII) che consente di chiudere col passato anche a chi non ha nulla da dare. – Non c’è più lo stigma a vita del fallito: con l’esdebitazione, e il fatto che non viene più pubblicato il nome sui bollettini dei protesti passati 5 anni, l’ordinamento cerca di dare una seconda chance all’imprenditore onesto ma sfortunato.

Difendersi dai creditori con la liquidazione giudiziale può sembrare un ossimoro (il fallimento è subìto, non gestito). In realtà, in certi casi chiedere volontariamente la propria liquidazione giudiziale è una scelta strategica per il debitore: ad esempio, se l’alternativa è vedere i creditori aggredire disordinatamente i beni e magari rispondere di atti di aggravamento, presentare istanza di liquidazione permette di cristallizzare la situazione in modo ordinato, far nominare un curatore che gestirà equamente il patrimonio, e possibilmente evitare accuse di aggravamento. Soprattutto per i soci illimitatamente responsabili, avviare la procedura concorsuale può limitare i danni rispetto a infinite esecuzioni individuali.

Un altro scenario: l’imprenditore tenta un concordato ma questo fallisce (non approvato). Automaticamente il tribunale potrà aprire la liquidazione giudiziale. In quel caso è importante che l’imprenditore abbia operato correttamente nel concordato, perché eventuali atti fatti in malafede durante quella fase potrebbero condurre a azioni di responsabilità nel fallimento.

Dalla prospettiva del debitore persona fisica (es. un socio fallito), la consolazione è l’esdebitazione finale: dopo la tempesta, se ha cooperato lealmente, potrà tornare economicamente un individuo “pulito” senza trascinarsi debiti per sempre .

Ricapitolazione procedura concorsuali vs strumenti negoziali: L’ultima tabella confronta sinteticamente le principali caratteristiche delle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza:

StrumentoTipo (giudiziale/stragiud.)Soggetti ammessiFinalitàStay (protezione)Consenso richiesto
Composizione negoziata (artt.12-25 CCII)Stragiudiziale assistita (con esperto)Imprese (anche grandi o PMI; no consumatori)Risanamento tramite accordi con creditori, evitando l’insolvenzaSì, se richiesto al tribunale (max 12 mesi)Consensuale: accordi volontari (nessuna maggioranza imposta, salvo convenzione moratoria estendibile al 25% dissenzienti)
Piano attestato di risanamento (art.56)Stragiudiziale puro (privato)Imprese (fallibili)Ristrutturare debiti in modo privato, con attestazione per protezione revocatoriaNo (nessun stay automatico)Consensuale puro: serve accordo con ogni creditore coinvolto (nessun meccanismo impositivo)
Accordo di ristrutturazione (artt.57-64)Ibrido: negoziale + omologazione tribunaleImprese fallibili (anche grandi); non accessibile a piccoli consumatoriRistrutturazione debiti con accordo parziale e omologa giudizialeSì, su richiesta durante omologa (come concordato)60% crediti aderenti (base) ; 30% se “agevolato” senza stay ; estensione dissenzienti se >=75% categoria
PRO – Piano ristrutt. omologato (art.64-bis)Giudiziale (procedura concorsuale unitaria)Imprese sopra soglia in crisi/insolvenzaRisanamento con piano unilaterale del debitore omologato forzosamente (cram-down)Sì, su richiesta (misure protettive analoghe)Approvazione maggioranza in ogni classe votante (cram-down su classi dissenzienti possibili con condizioni)
Concordato preventivo (artt.84-120)Giudiziale (concorsuale)Imprese fallibili (sopra soglia) e imprenditori agricoli; non per consumatoriRisanamento (continuità) o liquidazione controllata, con accordo collettivoSì, automatico dalla domandaMaggioranza >50% crediti di ogni classe votante (no cram-down tra classi tranne transazione fiscale ); 20% min ai chirografari se liquidatorio
Concordato minore (artt.74-83)Giudiziale (concorsuale minore)Debitori non fallibili (piccoli impr., professionisti, consumatori con debiti “professionali”)Simile a concordato preventivo ma per piccole realtà (detto anche “concordato minore”)Sì, automatico su ammissioneQuorum ridotto: >50% crediti totali (non classi multiple) . Maggior flessibilità requisiti (no 20% minimo).
Liquidazione giudiziale (fallimento)Giudiziale (concorsuale liquidatoria)Imprese fallibili insolventi; estende soci illimitatiLiquidazione di tutti i beni e distribuzione ai creditori; cessazione attivitàSì, stay definitivo: spossessamento e divieto azioni individualiNessun consenso: procedura d’ufficio. Creditori partecipano solo al riparto secondo prelazioni.
Liquidazione controllata (sovraindebitamento)Giudiziale (liquidatoria minore)Debitori non fallibili insolventi (consumatori, piccoli impr.)Liquidazione patrimonio del sovraindebitato, con esdebitazione finaleSì, dalla nomina liquidatoreNessun voto, decide il giudice. Possibile istanza volontaria del debitore.
Esdebitazione del debitore incapienteGiudiziale (procedura speciale)Persona fisica non fallibile, nullatenente, meritevoleCancellazione dei debiti senza liquidazione, una volta nella vitaN/A (non riguarda esecuzioni)Su richiesta del debitore, valutazione equità da parte del giudice, auditi i creditori.

(Nota: la tabella include anche concordato minore e liquidazione controllata, di interesse per l’imprenditore “sotto soglia” o consumatore.)

Aspetti patrimoniali personali e tutela del debitore persona fisica

Dal punto di vista dell’imprenditore come persona fisica (che sia imprenditore individuale, socio, amministratore, o garante), difendersi dai debiti dell’azienda significa anche proteggere il proprio patrimonio personale nei limiti del possibile, restando però nei binari della legalità. Abbiamo già delineato molte situazioni in cui il patrimonio personale può essere chiamato in causa (fideiussioni, responsabilità per mala gestio, soci illimitatamente responsabili, ecc.). Qui sintetizziamo alcuni consigli e strumenti di tutela personale:

  • Separazione dei patrimoni: se non l’ha già fatto, l’imprenditore dovrebbe valutare strumenti per tenere separato il patrimonio familiare da quello d’impresa. Ad esempio, istituire un fondo patrimoniale per destinare beni (come la casa coniugale) ai bisogni familiari rende quei beni aggredibili dai creditori solo per debiti con finalità familiari. Quindi i debiti di impresa in teoria non potrebbero colpire il fondo (art. 170 c.c.), salvo che vengano dichiarati “contratti a scopo familiare” – difficile nel caso di debiti commerciali. Tuttavia attenzione: il fondo va costituito prima che i debiti sorgano o degenerino, altrimenti sarà soggetto a revocatoria (5 anni). Simile discorso per eventuali trust o società fiduciarie: efficaci se fatti in tempo di bonaccia; pericolosi se fatti quando la nave affonda, perché facilmente attaccabili come atti in frode.
  • Assicurazioni: alcune polizze assicurative possono mitigare i rischi personali dell’imprenditore. Ad esempio, polizze D&O (Directors & Officers) che coprono la responsabilità civile degli amministratori per atti compiuti in buona fede, possono aiutare a risarcire i creditori senza intaccare (interamente) il patrimonio personale, qualora l’amministratore sia citato per mala gestio. Esistono anche polizze per tutela legale, che coprono le spese di difesa in procedimenti civili o penali connessi all’attività d’impresa.
  • Dialogo con i creditori personali: se l’imprenditore ha debiti personali (es. perché garante escusso) e non è fallibile (come consumatore o debitore civile), può negoziare piani di rientro personali o ricorrere alle procedure da sovraindebitamento. Ad esempio, un ex imprenditore fallito dopo l’esdebitazione è libero dai debiti ex fallimento, ma potrebbe averne di nuovi (es. derivanti da altre cause): può utilizzare il piano del consumatore se la maggior parte dei debiti non è professionale, ottenendo magari l’omologa di un pagamento parziale. Il CCII permette anche la riabilitazione economica di soggetti sovraindebitati onesti attraverso questi meccanismi.
  • Evitare atti distrattivi: suona controintuitivo come “consiglio di tutela”, ma in realtà è fondamentale. Quando un imprenditore sente arrivare il “temporale” dei debiti, potrebbe essere tentato di nascondere beni (magari intestandoli a terzi, vendendoli sottoprezzo a un amico, o prelevando contanti dall’azienda). Questi atti non solo verranno probabilmente annullati da revocatorie o sequestri (essendo facilmente individuabili), ma espongono la persona a responsabilità penale (bancarotta fraudolenta) e a perdere i benefici come l’esdebitazione (chi ha frodato i creditori può vedersela negare). Quindi la vera difesa è non fare mosse avventate e seguire le procedure legali: è meglio usare un concordato per vendere i beni sotto controllo del giudice, piuttosto che vendere di nascosto e rischiare il carcere. È duro da accettare, ma è la realtà del diritto.
  • Pianificare la ripartenza: se proprio l’azienda attuale non si salva, l’imprenditore deve pensare a come ricominciare dopo la tempesta. La legge fallimentare un tempo imponeva interdizioni lunghe (non potevi tornare a fare impresa liberamente); oggi con l’esdebitazione e l’alleggerimento delle pene accessorie, è possibile tornare in pista. Ad esempio, un fallito esdebitato può costituire una nuova società e ripartire (ci sono comunque per qualche anno restrizioni per ruoli in società, ma superabili con autorizzazioni). Pianificare questo significa anche conservare il know-how e le relazioni: magari, pur perdendo l’azienda A, l’imprenditore ha mantenuto la fiducia di alcuni clienti e fornitori e potrà più avanti lanciare l’azienda B in modo più prudente. Una buona condotta durante la crisi (non avendo truffato nessuno) aiuta a preservare la reputazione personale, che è immateriale ma fondamentale per rinascere.

Domande frequenti (FAQ)

D: Qual è la differenza tra “stato di crisi” e “stato di insolvenza”?
R: Il Codice della Crisi definisce stato di crisi una situazione di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza futura, mentre lo stato di insolvenza è l’incapacità conclamata di pagare regolarmente i debiti esigibili . In pratica, la crisi è una fase di pre-allarme (es. carenza di liquidità prospettica, ma pagamenti ancora in corso grazie a espedienti); l’insolvenza è il default vero e proprio (es. non si pagano più stipendi, rate, fornitori da tempo). La distinzione è importante perché alcune procedure (come la composizione negoziata) si attivano già in crisi incipiente, mentre la liquidazione giudiziale richiede insolvenza conclamata.

D: La mia S.r.l. è indebitata ma io come amministratore non ho firmato garanzie. Posso stare tranquillo che non toccheranno i miei beni personali?
R: Relativamente tranquillo, ma con riserva. In una S.r.l. senza garanzie personali, i creditori possono rivalersi solo sul patrimonio sociale. Tuttavia, se Lei come amministratore ha aggravato la situazione con condotte imprudenti o dolose, potrebbe rispondere verso i creditori ex art. 2476 c.c. . Inoltre, per debiti fiscali e contributivi, l’amministratore può essere chiamato a rispondere delle sanzioni e interessi se aveva risorse e non ha pagato . E se la società fallisce, il curatore può citarla in giudizio per mala gestio. Quindi, l’autonomia patrimoniale regge se lei ha gestito con diligenza e correttezza; in caso di colpa grave, il “velo” della S.r.l. può essere penetrato da azioni di responsabilità.

D: Come funziona l’opposizione a un decreto ingiuntivo?
R: Se la sua azienda riceve un decreto ingiuntivo (ingiunzione di pagare), ha 40 giorni dalla notifica per presentare opposizione . L’opposizione si propone con atto di citazione davanti allo stesso tribunale e trasforma il procedimento in un giudizio ordinario di cognizione: il giudice riesamina il merito del credito come in una causa civile normale . Nel frattempo, se il decreto era provvisoriamente esecutivo, può chiedere al giudice la sospensione dell’esecuzione, cioè di bloccare temporaneamente l’efficacia esecutiva fino alla decisione . Se non si fa opposizione entro 40 giorni, il decreto passa in giudicato e diventa definitivo: a quel punto il creditore potrà procedere con pignoramenti senza più possibilità di contestare il merito (salvo la rara opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. se ad es. non è mai stato notificato correttamente) . Quindi è vitale, se avete motivi di contestazione, agire entro i termini e nel contempo valutare se pagare o negoziare per evitare l’esecuzione provvisoria.

D: Cosa si intende per misure protettive nella composizione negoziata?
R: Sono i provvedimenti emessi dal tribunale, su richiesta dell’imprenditore che accede alla composizione negoziata, per congelare le azioni esecutive e cautelari dei creditori durante le trattative . In pratica, un decreto del giudice sospende tutti i pignoramenti in corso e vieta di iniziarne di nuovi, e sospende anche le istanze di fallimento . Queste misure durano inizialmente fino a 4 mesi e sono prorogabili fino a 12 mesi massimo con controllo periodico . Consentono all’azienda di negoziare con i creditori senza l’assillo di vedere i beni pignorati uno dopo l’altro (un po’ come il “Chapter 11” americano). Vanno però richieste solo se necessarie, perché comportano l’ingresso del tribunale nella procedura prima del necessario (se non le chiedi, la composizione resta riservata e fuori dai registri).

D: Ho debiti sia come azienda sia personali (carta di credito, mutuo casa). Posso unire tutto in un’unica procedura per sistemarli?
R: Dipende. Le procedure concorsuali di cui abbiamo parlato (concordato, ecc.) riguardano i debiti dell’impresa. I debiti personali dell’imprenditore non rientrano nel concordato della società (a meno che l’imprenditore sia una ditta individuale, dove coincidono). Per i debiti personali esiste il percorso del sovraindebitamento: il piano del consumatore (se i debiti sono da privato) o l’accordo di composizione (se i debiti sono misti o se Lei è un ex piccolo imprenditore). Non può tuttavia mescolare i debiti sociali e personali insieme: dovrebbe avviare due procedure parallele, una per la società (ad es. concordato) e una per sé (piano del consumatore), se del caso. Un’eccezione è il concordato di gruppo: se avesse più società o Lei stesso fosse imprenditore, si potrebbe presentare un concordato congiunto. Ma debiti tipicamente “di famiglia” (mutuo casa, credito al consumo) vanno trattati con gli strumenti per persone fisiche.

D: Se la mia azienda fallisce, io come socio/amministratore posso aprirne un’altra subito dopo?
R: Come socio di capitale, sì in linea di massima. La legge non impedisce a chi era socio di una società fallita di partecipare ad altre società o aprirne di nuove, salvo il caso che abbia ricevuto pene accessorie (es. in una condanna per bancarotta c’è l’interdizione a esercitare impresa per 10 anni). Come amministratore, durante la procedura fallimentare potrebbe avere limitazioni (il tribunale può disporre che l’ex fallito non assuma cariche senza autorizzazione). Però, una volta ottenuta l’esdebitazione e chiusa la vicenda, può ricominciare. Attenzione però: i creditori ed il curatore potrebbero scrutinare la nuova attività se sospettano che vi sia un travaso di beni o commistioni col fallimento precedente. In pratica, nulla vieta di “ripulirsi” e ripartire (anzi l’ordinamento vuole il fresh start), ma farlo troppo in fretta o con zone grigie potrebbe attirarLe sospetti o azioni revocatorie. Il consiglio è di procedere nella massima trasparenza, magari coinvolgendo il curatore se ci sono asset rilevanti di mezzo.

D: Che succede ai contratti in corso (affitti, forniture in essere) se apro un concordato o fallisco?
R: Nel concordato, i contratti pendenti non si interrompono automaticamente. Il debitore può chiedere al tribunale di autorizzarlo a sciogliersi da alcuni contratti in corso o sospenderli, se ciò è utile per la ristrutturazione (es. un contratto di leasing troppo oneroso) . Il contraente controparte può chiedere garanzie di essere pagato per il periodo di sospensione. In caso di fallimento (liquidazione giudiziale), i contratti pendenti non di natura personale passano in mano al curatore, che decide se subentrare (continuarli) o scioglierli. Ad esempio, un affitto d’azienda: il curatore può proseguire l’affitto o interromperlo; un contratto di fornitura: il curatore valuta se serve continuare ad acquisire merci per eventuale esercizio provvisorio, ecc. Se il curatore si scioglie dal contratto, la controparte può chiedere danni in prededuzione per le prestazioni non ricevute. Quindi, aprire una procedura concorsuale consente spesso di liberarsi da contratti sfavorevoli, mentre dall’altra parte i partner contrattuali potrebbero risentirne (ma sono ammessi al passivo per l’eventuale credito).

D: I lavoratori dipendenti sono tutelati in caso di crisi dell’azienda?
R: Sì, in diversi modi. Se l’azienda avvia una procedura concorsuale e non riesce a pagare i dipendenti per le ultime mensilità o TFR, interviene il Fondo di Garanzia INPS a coprire questi crediti di lavoro. Inoltre, i crediti dei dipendenti per retribuzioni degli ultimi 6 mesi e TFR hanno privilegio generale mobiliare (sono pagati prima di altri crediti chirografari) e, se c’è fallimento, privilegio sul suo attivo. Nelle procedure in continuità, la legge impone di garantire la continuità anche occupazionale: se c’è cessione d’azienda in concordato, vale l’art.2112 c.c. e i lavoratori passano al cessionario mantenendo contratti e anzianità . In fase di composizione negoziata, se serve, l’imprenditore può chiedere la cassa integrazione straordinaria specifica per crisi (introdotta insieme alla composizione negoziata) per 12 mesi, così da alleggerire il costo del personale e preservare l’occupazione mentre cerca soluzioni. In sostanza, i lavoratori sono tra i più protetti: o l’azienda si salva (e loro mantengono il lavoro), o se chiude, hanno un paracadute per crediti arretrati e accesso agli ammortizzatori sociali.

D: Le procedure descritte valgono solo per debiti dell’impresa o anche per debiti personali (tipo quelli di un consumatore sovraindebitato)?
R: Il focus qui è sull’impresa. Tuttavia, come accennato, il Codice della Crisi ha assorbito la vecchia legge sul sovraindebitamento (L.3/2012) e ha previsto procedure ad hoc per soggetti non fallibili: il piano del consumatore (rinominato piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore), l’accordo di composizione della crisi per debiti civili/professionali e la liquidazione controllata del patrimonio. In linea di massima funzionano simile al concordato ma su scala minore e senza formalità come il voto (tranne nell’accordo). Se chi legge ha un problema di debiti personali (privati, non aziendali), può rivolgersi all’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) della propria provincia per valutare un piano del consumatore, che permette di pagare in base alle proprie possibilità e ottenere l’esdebitazione. Ma ribadiamo: un imprenditore commerciale fallibile (es. titolare di Srl) non può usare il piano del consumatore per i debiti della società, solo per eventuali debiti a lui intestati personalmente.

D: Cosa rischio penalmente se la mia azienda fallisce?
R: La semplice insolvenza non è reato. Diventa penale (reati di bancarotta) se emergono condotte fraudolente o irregolari: ad es. se prima del fallimento Lei ha sottratto beni dell’azienda o falsificato le scritture contabili, sarà accusato di bancarotta fraudolenta . Se ha solo aggravato l’insolvenza per colpa (es. ha continuato a ordinare merce sapendo di non poterla pagare, aumentando il buco), potrebbe configurarsi bancarotta semplice (meno grave ma pur sempre reato). Anche pagare alcuni creditori lasciando altri a bocca asciutta a ridosso del fallimento può costituire bancarotta preferenziale. Le pene vanno dalla multa/arresto per la semplice (fino a 2 anni) , alla reclusione 3-10 anni per la fraudolenta . Ci sono poi i reati tributari (omesso versamento IVA, indebite compensazioni) se presenti. Detto ciò, se Lei gestisce correttamente la crisi tramite concordato o liquidazione negoziata, difficilmente incorrerà in reati: anzi, seguire le regole delle procedure formali la mette al riparo dall’accusa di aver agito di nascosto. Molti imprenditori finiscono nei guai penali perché, presi dal panico, nascondono merci, distruggono documenti, o continuano a fare debiti in modo spericolato: questi comportamenti configurano reati. Se invece collabora col curatore, consegna i libri, non occulta nulla, il fallimento in sé non è una colpa.

D: Conviene aprire una nuova società e trasferirvi l’attività “sana”, lasciando i debiti nella vecchia società vuota?
R: È una manovra molto delicata e spesso illegittima. Trasferire l’unica azienda funzionante a una NewCo e lasciare i debiti nella OldCo che fallisce, se fatto a valori non di mercato o senza informare i creditori, può essere considerato un atto in frode e portare a revocatorie o azioni di responsabilità gravissime (oltre che, potenzialmente, bancarotta se la OldCo fallisce e si dimostra che l’attivo è stato distratto). Esiste la possibilità di “risanare tramite cessione d’azienda”, ma va fatta nelle regole: idealmente tramite una procedura (ad es. composizione negoziata + concordato) dove la cessione avviene con autorizzazione del tribunale e a condizioni eque . Così i creditori non possono lamentare la sottrazione di valore. Se invece Lei trasferisce magazzino, clienti e know-how alla NewCo senza corrispettivo congruo, i creditori potranno attaccare la NewCo (con un’azione revocatoria o addirittura considerandola una continuità economica e quindi far dichiarare fallita anche la NewCo in estensione). Quindi, attenzione: questo schema “bad company/good company” è percorribile solo se fatto con perizia di stima e preferibilmente con il benestare dei creditori o dell’autorità giudiziaria. Altrimenti è una falsa soluzione che espone a guai.

D: Ho sentito parlare di “allerta” e segnalazioni obbligatorie della crisi. Devo preoccuparmi se ho alcuni bilanci in perdita?
R: Il Codice della Crisi prevedeva un sistema di “allerta” e segnalazioni (gli OCRI) che però è stato in parte rivisto e attenuato. Attualmente, l’art. 25-octies CCII impone ad alcuni creditori pubblici (Agenzia Entrate, INPS, Agente Riscossione) di avvisare l’imprenditore se rilevano determinate soglie di ritardo nei pagamenti fiscali/contributivi, e poi eventualmente segnalare l’inerzia all’OCRI. Questo meccanismo è entrato in vigore solo di recente (metà 2022) e le soglie sono abbastanza alte (es. debiti tributari > €100.000 e >30% del volume d’affari). Se la sua azienda riceve tali avvisi, il consiglio è di attivarsi (ad es. chiedere la composizione negoziata). Riguardo ai bilanci in perdita: se le perdite intaccano il capitale oltre certi limiti, scattano gli obblighi di cui agli artt. 2446/2482-bis c.c. (perdite >1/3) o 2447/2482-ter (capitale sotto minimo legale). Questi obblighi non sono segnalazioni esterne, ma richiedono di convocare soci e prendere provvedimenti (ricapitalizzazione o trasformazione o liquidazione). Ignorarli espone gli amministratori a responsabilità. In sintesi: le procedure di allerta formali obbligatorie per ora sono sospese o blande, ma come best practice l’imprenditore dovrebbe monitorare indicatori come il DSCR (Debt Service Coverage Ratio) a 6-12 mesi. Se questo indicatore scende sotto 1 (significa che il cash flow prospettico non coprirà gli impegni finanziari), è segno di crisi e va agito “senza indugio” come dice il Codice .

D: In una composizione negoziata, i creditori sono obbligati a venire alle trattative o a rispettare la moratoria?
R: No, la composizione negoziata è volontaria. I creditori vengono invitati dall’esperto a partecipare alle trattative, ma non hanno un obbligo giuridico di aderire. Possono anche rifiutare il dialogo. Tuttavia, se il debitore ha ottenuto dal tribunale le misure protettive, i creditori soggetti a quelle misure devono astenersi da azioni esecutive e cautelari per il periodo stabilito . Questo non li obbliga a trattare, ma di fatto li induce a farlo, perché non potendo pignorare tanto vale sedersi al tavolo. Durante le trattative l’esperto cerca di convincere tutti che conviene trovare un accordo. In caso di convenzione di moratoria, se ad esempio il 80% dei creditori finanziari concorda di congelare le scadenze per 6 mesi, l’esperto può chiedere al tribunale di estendere quell’accordo anche al 20% dissenziente . Allora sì, quella minoranza è obbligata a rispettare la moratoria come se avesse aderito. Quindi, riassumendo: nessuno può costringere un creditore a negoziare attivamente, ma grazie alle misure protettive il creditore rimane “in standby” suo malgrado, e se la maggioranza firma accordi di moratoria, i dissenzienti possono essere vincolati.

D: Posso ottenere un finanziamento bancario durante la crisi o nessuno mi darà più credito?
R: È possibile ottenere nuova finanza, ma di solito in maniera protetta legalmente. Nella composizione negoziata, come visto, può chiedere autorizzazione per finanziamenti prededucibili : ciò rassicura la banca che quei soldi verranno rimborsati prioritariamente (anche in caso di fallimento successivo, i finanziamenti autorizzati dal giudice durante la negoziata sono in prededuzione ex art. 18 CCII). Idem nel concordato con riserva si può chiedere di contrarre finanziamenti interinali prededucibili. Inoltre esistono misure pubbliche: ad esempio, il Fondo di Garanzia PMI può garantire finanziamenti per crisi (fino a certi importi) se finalizzati a piani di risanamento. Certo, il credito in crisi costa: la banca applicherà tassi alti o chiederà garanzie statali. Ma se il piano è serio, si può trovare. Molte ristrutturazioni di successo includono un “fresh money” – denaro fresco – che può venire da banche, investitori o soci. La legge tutela chi mette soldi freschi nel concordato: sono crediti prededucibili e talora possono essere rimborsati anche prima degli altri con autorizzazione del giudice. Ad esempio, in alcuni concordati in continuità si vede che un nuovo investitore finanzia il circolante: quel credito sarà soddisfatto in prededuzione, ovvero esente da falcidie.

D: Una volta chiusa la procedura (concordato omologato o fallimento chiuso), se scopro che c’erano altri debiti non noti, possono rivalersi ancora?
R: Se la procedura è stata chiusa positivamente (concordato omologato e adempiuto, o esdebitazione post-fallimento), i creditori anteriori non possono più pretendere nulla oltre quanto previsto. Anche se emergesse un creditore dimenticato, se il suo credito era anteriore, è cancellato dall’esdebitazione (nel fallimento) oppure resta nei termini del concordato (nel concordato, se non si è insinuato per distrazione, potrà insinuarsi tardivamente fino a un anno dall’omologa di solito, ma solo per prendere quello che gli sarebbe spettato). Se invece parliamo di nuovi debiti sorti durante la procedura (ad es. forniture fatte durante il concordato in continuità), quelli vanno pagati regolarmente o sono in prededuzione se la procedura poi degenera in fallimento. In soldoni: la chiusura di concordato/fallimento fa piazza pulita del passato (salvo eccezioni come debiti alimentari, o obblighi risarcitori per danni da illecito che non si estinguono). Quindi è fondamentale, per chi ha concluso un percorso concorsuale, ripartire senza zavorre e non farsi poi trascinare da residui.

Conclusione

Affrontare una situazione di sovraindebitamento aziendale – come quella ipotetica di un’azienda di motori elettrici trifase sommersa dai debiti – richiede lucidità, conoscenza degli strumenti legali e spesso l’assistenza di professionisti qualificati. Questa guida ha illustrato le possibili strade per difendersi dai creditori e provare a invertire la rotta o quantomeno a gestire il naufragio in modo controllato e conforme alla legge.

Dal punto di vista pratico, il debitore dovrebbe: 1. Analizzare a fondo la situazione finanziaria (crisi vs insolvenza, mappatura debiti, attivi disponibili). 2. Interagire proattivamente con i creditori chiave per guadagnare tempo e fiducia. 3. Valutare gli strumenti descritti (composizione negoziata come primo approccio, oppure – se tardivo – un concordato preventivo o accordo di ristrutturazione). 4. Tutelare l’azienda durante le trattative (misure protettive, moratorie) in modo da evitare il collasso immediato per azioni esecutive. 5. Considerare gli effetti personali e prendere precauzioni lecite per il proprio patrimonio, senza mai sconfinare nell’illecito (che peggiorerebbe la situazione). 6. Seguire le procedure scelte con rigore e trasparenza, adempiendo agli obblighi informativi e di leale collaborazione imposti (ciò massimizzerà anche le chance di esdebitazione e di evitare guai giudiziari). 7. Coinvolgere esperti (avvocati d’affari, commercialisti esperti in crisi, advisor finanziari) perché la materia è troppo complessa per l’improvvisazione: ogni istituto ha le sue insidie procedurali e requisiti formali.

La crisi d’impresa, per quanto traumatica, può anche diventare un’occasione di “pulizia” e ripartenza se gestita appropriatamente. Come recita un detto tra risanatori: “la differenza tra un’azienda morta e una risanata sta in un bravo avvocato e un bravo commercialista”. Può suonare esagerato, ma il senso è che usando intelligentemente gli strumenti normativi un’impresa può sopravvivere a situazioni che altrimenti la distruggerebbero e, se proprio deve finire, può farlo limitando i danni collaterali.

In definitiva, difendersi dai debiti non significa scappare da essi, ma affrontarli di petto con gli scudi legali appropriati. Questa guida ha cercato di fornire proprio quegli scudi: dalla negoziazione protetta alla ristrutturazione giudiziale, dalla tutela del patrimonio alle tecnicalità delle opposizioni legali. Ogni situazione concreta richiederà di combinare tali strumenti in modo calibrato. L’auspicio è che, con queste conoscenze, l’imprenditore-debitore possa dialogare attivamente con i professionisti e prendere decisioni informate per il bene suo, della sua azienda e di tutti gli stakeholder coinvolti.

Fonti e riferimenti normativi (aggiornati al 2025)

  • Codice Civile, art. 2476 c.c. (responsabilità verso creditori sociali introdotta da D.Lgs. 14/2019) .
  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019 n.14, in vigore dal 15 luglio 2022) – artt. 3 (obbligo di rilevazione tempestiva della crisi) , 12-25 (Composizione negoziata), 56 (Piano attestato), 57-64 (Accordi di ristrutturazione) , 64-bis e seguenti (Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione – PRO) , 84-120 (Concordato preventivo) , 121-270 (Liquidazione giudiziale), 277-278 (Esdebitazione).
  • D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021 – Introduzione composizione negoziata e concordato semplificato .
  • D.Lgs. 83/2022 (Correttivo “bis” CCII) – Attuazione Direttiva UE 2019/1023, ha introdotto tra l’altro il PRO e modifiche su transazione fiscale.
  • D.Lgs. 136/2024 (c.d. “Correttivo ter” CCII) – Ulteriori disposizioni integrative in vigore dal 28/09/2024 , che chiariscono: disciplina del PRO (pagamento parziale di tributi/contributi con attestazione) , misure protettive e altre ottimizzazioni sulla composizione negoziata, facilitazioni su accordi fiscali e previdenziali .
  • R.D. 267/1942 (vecchia Legge Fallimentare) – abrogata dal CCII, ma rilevano ancora giurisprudenza e principi formatisi sotto di essa, soprattutto in materia di bancarotta (richiamata ora agli artt. 322 e s. CCII) .
  • Legge 3/2012 (composizione crisi da sovraindebitamento) – confluita nel CCII artt. 65-91 (Procedure di composizione per debitori minori).
  • Cassazione Civile Sez. Unite, 25/03/2021 n. 8504 – Principio di omologabilità del concordato con transazione fiscale anche senza adesione Fisco/INPS, purché soddisfazione non inferiore all’alternativa . Recepito poi negli artt. 63 e 88 CCII .
  • Cassazione Civile, 29/10/2019 n. 27610 – Responsabilità dell’amministratore per omessi versamenti contributivi e tributari: condannato a risarcire alla società €330 mila di sanzioni e interessi causati dalla sua gestione omissiva .
  • Tribunale di Napoli, Sez. Impresa, 18/09/2023 – Azione ex art. 2476 co.6 c.c.: l’inadempimento verso un creditore non basta per la responsabilità dell’amministratore verso creditori, occorre prova di condotta causativa del dissesto .
  • Tribunale di Bergamo, 06/12/2023 (Pres. De Simone) – Concordato semplificato post-composizione negoziata negato: lo strumento va considerato extrema ratio e non è ammesso se esistono soluzioni alternative praticabili (nel caso, un accordo di ristrutturazione con transazione fiscale) .
  • Codice di Procedura Civile – art. 644-648 c.p.c. (Decreto ingiuntivo e opposizione: termini 40 giorni, giudizio di merito e possibilità di sospendere esecutorietà) ; art. 650 c.p.c. (opposizione tardiva per caso fortuito/forza maggiore) ; art. 495 c.p.c. (conversione del pignoramento, possibilità di rateizzare importo dovuto in 18 mesi depositando 1/5 subito); art. 560-569 c.p.c. (procedure espropriazione immobiliare, rilievo impignorabilità prima casa per AER introdotta da DL 69/2013 conv. L.98/2013).
  • DPR 602/1973 – art. 36 (responsabilità patrimonio di amministratori/liquidatori per distribuzioni pregiudizievoli al Fisco) ; soglie di importo per iscrizione ipoteca e pignoramento da AER (art. 76 come modificato da DL 83/2015 conv. L.132/2015: divieto pignoramento prima casa se unico immobile non di lusso e debito < €120.000) .
  • D.Lgs. 74/2000 – art. 10-bis e 10-ter (reati omesso versamento ritenute > €150k e IVA > €250k).
  • D.L. 463/1983 conv. L. 638/1983 – art. 2 (reato omesso versamento contributi previdenziali trattenuti > €10k; soglia elevata a €10k da L. 205/2017).
  • D.M. 28/09/2021 n. 118 – Regolamento CIGS in caso di composizione negoziata (prevede possibilità di richiesta Cassa integrazione straordinaria per 12 mesi durante composizione negoziata per evitare licenziamenti).
  • Circolari e linee guida: Linee Guida del CNDCEC sulla Composizione Negoziata (settembre 2021); Note di Unioncamere sulla piattaforma online .
  • Agenzia Entrate Riscossione – FAQ e guide su rateizzazioni (v. Sito AER, sez. Rateizzazione: nuove soglie dal 2025, fino 120 rate senza bisogno di dimostrare difficoltà per debiti < €120k) ; Regole su pignoramento prima casa (sito AER) .

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Il settore dei motori elettrici trifase è particolarmente impegnativo: materiali costosi, rame, lamierini magnetici, lavorazioni meccaniche, avvolgimenti, equilibrature, test e certificazioni richiedono continui investimenti.
Basta un rallentamento nei pagamenti dei clienti per provocare una crisi immediata.

La buona notizia?
La tua azienda può essere salvata, protetta e rilanciata, se agisci nel modo giusto.


Perché un’Azienda di Motori Elettrici Trifase Finisce in Debito

Le cause più frequenti includono:

• aumento del costo del rame, acciai, lamierini e componenti elettronici
• ritardi nei pagamenti da parte di clienti industriali, OEM e integratori
• magazzino immobilizzato tra statori, rotori, motori montati e semilavorati
• lavorazioni esterne costose (tornitura, fresatura, equilibratura, verniciatura)
• investimenti necessari in banchi prova, strumenti e certificazioni
• costi energetici elevati
• ridefinizione o revoca delle linee di credito bancarie
• cicli produttivi lunghi e pagamenti a 60–90–120 giorni

Il debito quasi sempre nasce da mancanza di liquidità, non da mancanza di mercato.


I Rischi per una Azienda di Motori Elettrici con Debiti

Senza un intervento tempestivo rischi:

• pignoramento dei conti correnti
• blocco o revoca degli affidamenti bancari
• interruzione delle forniture di rame, componenti e materiali essenziali
• decreti ingiuntivi e atti esecutivi
• sequestro del magazzino e delle attrezzature
• impossibilità di produrre e collaudare motori
• ritardi nelle consegne e perdita di clienti strategici
• rischio concreto di fermo totale dell’attività

Un debito non gestito può paralizzare la tua azienda in pochissimi giorni.


Cosa Fare Subito per Difendersi

1) Bloccare immediatamente i creditori

Un avvocato esperto può:
• sospendere pignoramenti e atti esecutivi
• impedire il blocco dei conti correnti
• fermare richieste di rientro delle banche
• negoziare con fornitori critici
Prima si ferma la crisi, poi si costruisce il piano di salvataggio.

2) Analizzare i debiti ed eliminare ciò che non è dovuto

Nelle posizioni debitorie spesso emergono:
• interessi illegittimi
• sanzioni e more calcolate male
• errori della Riscossione
• somme duplicate
• posizioni prescritte
• commissioni bancarie non dovute
Una parte consistente del debito può essere abbattuta.

3) Ristrutturare i debiti con piani sostenibili

Le soluzioni comprendono:
• rateizzazioni fino a 120 rate per i debiti fiscali
• accordi di pagamento con fornitori strategici
• rinegoziazione degli affidamenti bancari
• sospensioni temporanee dei pagamenti
• utilizzo delle definizioni agevolate (se disponibili)
Obiettivo: recuperare liquidità senza fermare la produzione.

4) Utilizzare strumenti legali che proteggono l’azienda

Se i debiti sono elevati, sono disponibili procedure molto efficaci:
• PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
• accordi di ristrutturazione
• concordato minore
• liquidazione controllata (solo come ultima scelta)
Questi strumenti permettono di:
• bloccare TUTTI i creditori
• sospendere pignoramenti e decreti
• pagare solo una parte dei debiti
• mantenere attivi impianti, linee di assemblaggio e collaudi
• proteggere anche l’imprenditore

Sono strumenti legali, sicuri e riconosciuti dal Tribunale.

5) Proteggere produzione, forniture e magazzino

Per un’azienda di motori trifase è fondamentale:
• tutelare rame, rotori, statori, motori finiti e semilavorati
• evitare sequestri che bloccherebbero l’intera produzione
• garantire forniture continue da parte di produttori e trasformatori
• proteggere macchinari, avvolgitrici, banchi prova e strumenti tecnici
• rispettare le consegne per non perdere ordini ed appalti

La produzione deve continuare: è l’unico modo per superare la crisi.


Documenti da Consegnare Subito all’Avvocato

• Elenco dettagliato dei debiti
• Estratti conto bancari
• Estratto di ruolo (se presente)
• Bilanci e documentazione fiscale
• Lista fornitori strategici e insoluti
• Inventario magazzino (statore, rotore, rame, motori assemblati)
• Atti giudiziari ricevuti
• Ordini aperti e pianificazione della produzione


Tempistiche di Intervento

• Analisi iniziale: 24–72 ore
• Blocco dei creditori: 48 ore – 7 giorni
• Piano di ristrutturazione: 30–90 giorni
• Eventuale procedura giudiziaria: 3–12 mesi

Le protezioni possono scattare dai primi giorni.


Vantaggi di una Difesa Specializzata

• Stop immediato a pignoramenti e pressioni
• Riduzione reale e importante dei debiti
• Protezione di magazzino, macchinari e componenti
• Trattative efficaci con banche e fornitori
• Continuità produttiva garantita
• Salvaguardia del patrimonio personale dell’imprenditore


Errori da Evitare

• Ignorare solleciti e atti giudiziari
• Accendere nuovi debiti per pagare debiti vecchi
• Pagare un creditore e trascurarne altri
• Lasciare avanzare pignoramenti
• Affidarsi a società non qualificate o “miracolose”

Ogni errore aumenta il rischio di blocco aziendale.


Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

• Analisi completa del debito aziendale
• Blocco immediato delle azioni dei creditori
• Ristrutturazione del debito con piani su misura
• Attivazione di strumenti giudiziari di protezione
• Trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
• Tutela totale di azienda e imprenditore


Conclusione

Avere debiti nella tua azienda di motori elettrici trifase non significa essere destinati alla chiusura.
Con la strategia giusta puoi:

• bloccare subito i creditori
• ridurre i debiti in modo significativo
• salvare produzione e magazzino
• proteggere la continuità dell’azienda
• difendere il tuo futuro imprenditoriale

Il momento per agire è adesso.

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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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