Se gestisci un’azienda che produce, assembla o distribuisce cablaggi industriali, cablaggi per quadri elettrici, fasci di cavi, connessioni custom, cablaggi per automazione, impianti e macchinari, e oggi ti trovi con debiti fiscali, debiti verso Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, la situazione può diventare rapidamente critica per la continuità dell’attività.
Il settore dei cablaggi industriali richiede precisione, materiali costosi (cavi, connettori, morsetti, terminazioni), continuità di approvvigionamento e tempistiche strette. Un blocco dovuto ai debiti può interrompere commesse, fermare produzioni e danneggiare in modo grave i rapporti con clienti industriali e integratori di sistemi.
La buona notizia è che, con una strategia tempestiva, puoi bloccare le procedure, ristrutturare i debiti e salvare l’azienda.
Perché le aziende di cablaggi industriali accumulano debiti
I motivi più frequenti sono:
- costi elevati di rame, cavi multipolari, componentistica e connettori
- tempi di pagamento lunghi da parte di industrie e appaltatori
- aumento dei costi della logistica e dei materiali importati
- ritardi nei versamenti IVA, imposte e contributi
- magazzini complessi con scorte costose e personalizzate
- difficoltà nell’ottenere credito o fidi bancari
- investimenti costanti in attrezzature di crimpatura, test e certificazioni
- fornitori strategici che richiedono pagamenti rigorosi
Questi fattori portano facilmente a crisi di liquidità e indebitamento crescente.
Cosa fare subito se la tua azienda è indebitata
Agire subito è essenziale per evitare aggravamenti. Ecco cosa fare immediatamente:
- far analizzare la situazione debitoria da un avvocato specializzato in debiti aziendali
- verificare quali debiti sono corretti, prescritti o contestabili
- evitare accordi improvvisati o piani di rientro non sostenibili
- richiedere la sospensione di eventuali pignoramenti in corso
- negoziare rateizzazioni sostenibili con AE e INPS
- proteggere fornitori critici e materiali indispensabili
- prevenire blocchi del conto corrente o riduzioni dei fidi bancari
- valutare strumenti legali per ridurre, ristrutturare o eliminare parte dei debiti
Una diagnosi accurata consente di capire quali debiti ridurre, contestare o sospendere.
I rischi concreti per un’azienda indebitata
Se non intervieni tempestivamente, i rischi possono essere gravi:
- pignoramento del conto corrente aziendale
- fermo di attrezzature e mezzi
- blocco delle forniture di cavi, connettori e materiali fondamentali
- impossibilità di completare cablaggi e consegne
- perdita di clienti industriali e integratori di sistemi
- danni alla reputazione e rescissione di contratti
- crisi di liquidità e mancato pagamento del personale
- rischio reale di chiusura dell’attività
Nel settore dei cablaggi, anche un breve fermo può bloccare intere linee produttive dei clienti.
Come un avvocato può aiutarti concretamente
Un avvocato specializzato può:
- bloccare immediatamente pignoramenti e misure esecutive
- ridurre l’importo dei debiti tramite trattative efficaci
- ottenere rateizzazioni sostenibili con Agenzia Entrate e INPS
- far annullare debiti irregolari, mal notificati o prescritti
- trattare con fornitori e banche per evitare blocchi delle consegne
- proteggere magazzino, attrezzature e continuità produttiva
- stabilizzare l’azienda mentre si ristruttura il debito
- prevenire che la crisi si trasformi in insolvenza
Con una strategia adeguata puoi salvare l’azienda anche nelle fasi più difficili.
Come evitare il blocco dell’attività
Per mantenere operativa la tua azienda devi:
- intervenire subito, senza aspettare ulteriori solleciti
- non negoziare da solo con i creditori
- tutelare fornitori e componenti critici
- ristrutturare i debiti prima dell’avvio di pignoramenti
- individuare debiti contestabili o calcolati in modo errato
- preservare la liquidità per garantire produzione e consegne
Così puoi evitare ritardi, fermi e la perdita di clienti strategici.
Quando rivolgersi a un avvocato
È il momento di farlo se:
- hai ricevuto solleciti, intimazioni o preavvisi di pignoramento
- hai debiti crescenti con AE Riscossione, INPS o fornitori
- il conto corrente rischia il blocco
- la liquidità aziendale è in calo
- fai fatica a rispettare le scadenze
- vuoi evitare che la crisi degeneri in chiusura
Un avvocato esperto può bloccare le procedure, ristrutturare i debiti e mettere in sicurezza la tua azienda.
Attenzione: molte aziende non falliscono per i debiti, ma perché intervengono troppo tardi. Con la giusta strategia puoi ridurre, rinegoziare o eliminare parte dei debiti, evitando il fallimento.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati specializzati in debiti aziendali, riscossione e difesa di imprese industriali – ti aiuta a proteggere la tua azienda di cablaggi industriali.
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Introduzione
Un’azienda di cablaggi industriali – tipicamente una PMI manifatturiera – può trovarsi sommersa dai debiti: esposizioni bancarie per finanziamenti e leasing di macchinari, fatture dei fornitori arretrate, cartelle esattoriali per imposte e contributi non pagati, stipendi rimasti insoluti, ecc. Negli ultimi anni molte imprese italiane si sono trovate “schiacciate” da debiti fiscali, bancari e commerciali, al punto che per lungo tempo l’unica prospettiva pareva il fallimento con la perdita dell’attività e dei posti di lavoro . Oggi, tuttavia, grazie alla riforma organica introdotta dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, in vigore dal 15 luglio 2022 dopo varie proroghe), esistono strumenti concreti per ridurre o persino cancellare l’indebitamento aziendale . Questa guida – aggiornata a ottobre 2025 con la normativa italiana più recente e le ultime pronunce giurisprudenziali – offre un approfondimento avanzato sulle soluzioni difensive a disposizione di un’azienda debitrice (in particolare dal punto di vista del debitore), con un taglio pratico e giuridico-divulgativo adatto sia a professionisti legali che a imprenditori e privati interessati.
Nel prosieguo esamineremo il quadro normativo italiano di riferimento, le diverse tipologie di debiti aziendali (verso banche, Fisco, fornitori, enti previdenziali, ecc.) e i rischi connessi, distinguendo le implicazioni in base alla forma giuridica dell’impresa (S.r.l., S.p.A. o ditta individuale). Illustreremo quindi gli strumenti di gestione della crisi d’impresa previsti dal nuovo Codice – dal risanamento stragiudiziale alle procedure concorsuali e di sovraindebitamento – spiegando cosa può fare il debitore per difendersi dalle azioni dei creditori e ristrutturare i propri debiti legalmente. Verranno forniti esempi pratici e simulazioni di possibili soluzioni, nonché tabelle riepilogative delle principali procedure e dei rispettivi requisiti. Una sezione finale in forma di domande e risposte chiarirà i dubbi più frequenti (FAQ). Tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate nel testo sono riportate in fondo alla guida, per consentire ulteriori approfondimenti autorevoli. L’obiettivo è fornire una mappa chiara e approfondita delle opzioni di difesa e risanamento per un’azienda indebitata in Italia, alla luce delle ultime novità legislative (come il Codice della Crisi e i relativi correttivi fino al 2024) e delle più recenti sentenze in materia.
Nota sul metodo: Il linguaggio utilizzato sarà preciso e tecnico, ma con spiegazioni divulgative dei termini giuridici, in modo da risultare comprensibile anche ai non addetti ai lavori. Si tenga presente che ogni situazione aziendale ha le sue peculiarità: le indicazioni fornite sono generali e non sostituiscono una consulenza specifica, che è sempre raccomandabile data la complessità della materia. Tuttavia, conoscere in modo avanzato quali strumenti prevede la legge italiana per “difendersi” dai debiti aziendali e come funzionano consente all’imprenditore (e ai suoi consulenti) di agire per tempo e con cognizione di causa, aumentando le chance di salvare l’azienda o quanto meno di limitare i danni. L’intervento tempestivo, infatti, è spesso decisivo: chi si attiva prima ha più possibilità di ottenere la riduzione o cancellazione dei debiti, preservare la continuità aziendale e i posti di lavoro, ed evitare le procedure più invasive come il fallimento (oggi liquidazione giudiziale) .
Passiamo dunque ad esaminare il contesto normativo e, successivamente, le varie problematiche e soluzioni relative a un’azienda di cablaggi industriali gravata da debiti, dal punto di vista del debitore.
Quadro Normativo: Dal Fallimento al Codice della Crisi d’Impresa
L’Italia ha completamente ridisegnato la disciplina delle crisi aziendali e dell’insolvenza attraverso il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (in breve CCII), emanato con D.Lgs. 14/2019 in attuazione della legge delega n. 155/2017 e della direttiva UE 2019/1023. Questo nuovo corpus normativo, entrato a pieno regime nel 2022, ha sostituito integralmente la vecchia legge fallimentare del 1942 e la legge sul sovraindebitamento del 2012, unificando la disciplina per ogni tipologia di debitore . In altri termini, il CCII raccoglie in un testo unico tutte (o quasi) le procedure attivabili in caso di crisi o insolvenza, modulandole in base alla natura del soggetto (impresa commerciale, agricola, professionista, consumatore, ecc.) e alle dimensioni dell’attività (impresa “minore” o “non minore”, gruppi di imprese, etc.) .
Il concetto chiave introdotto dalla riforma è il passaggio da una visione punitiva-liquidatoria ad un approccio di composizione e risanamento. Come osservato dalla stessa Corte di Cassazione, il nuovo Codice “segna il passaggio definitivo […] da un diritto [fallimentare] proteso alla monetizzazione del patrimonio residuo dell’imprenditore insolvente a [un sistema] impegnato nella riorganizzazione dell’attività al fine di far recuperare valore e capacità reddituale all’impresa in crisi ma ancora viable” . Ciò recepisce lo spirito della direttiva europea, mirato a garantire alle imprese sane ma in difficoltà strumenti efficaci di ristrutturazione preventiva e agli imprenditori onesti ma sovraindebitati una seconda opportunità mediante l’esdebitazione . In pratica, la priorità non è più solo soddisfare i creditori liquidando i beni del debitore, ma anche – ove possibile – salvare l’impresa e mantenerla in vita (preservando valore economico e posti di lavoro). La liquidazione dell’azienda diventa l’extrema ratio, da adottare solo se il risanamento non è fattibile.
Dal punto di vista normativo, il CCII (aggiornato e corretto più volte: da ultimo dal D.Lgs. 83/2022 e dal D.Lgs. 136/2024, cosiddetto “Correttivo ter”) introduce una serie di strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza che il debitore può attivare (spontaneamente, nella maggior parte dei casi) per affrontare la propria situazione debitoria. L’art. 2 CCII elenca tali strumenti, che includono misure di allerta precoce, procedure di composizione negoziata, accordi e piani di ristrutturazione in executivis o soggetti ad omologazione giudiziale, vari tipi di concordato preventivo (in continuità aziendale o liquidatorio), nonché procedure di liquidazione giudiziale (il nuovo nome del fallimento) e speciali procedure di sovraindebitamento per debitori non fallibili . Vedremo nel dettaglio più avanti queste soluzioni. Intanto, è bene evidenziare due principi generali introdotti dalla riforma:
- Obbligo organizzativo e dovere di attivarsi tempestivamente: l’art. 3 CCII impone all’imprenditore (soprattutto societario) di dotarsi di assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati a rilevare per tempo segnali di crisi e a prendere le necessarie iniziative . Ciò significa che amministratori e titolari devono monitorare costantemente l’andamento aziendale (indici di liquidità, sostenibilità del debito, etc.) e, se emergono squilibri che rendono probabile l’insolvenza, devono attivarsi tempestivamente per adottare strumenti di risanamento o regolazione della crisi. L’inerzia o il ritardo colposo nell’affrontare la crisi può comportare per gli amministratori gravi responsabilità verso i creditori (si pensi alla responsabilità per aggravamento del dissesto, v. art. 2486 c.c. modificato). Ad esempio, il nuovo art. 2486 c.c. (come riformato dall’art. 378 CCII) prevede criteri presuntivi per quantificare il danno causato dagli amministratori che abbiano proseguito l’attività oltre la perdita del capitale o in stato di insolvenza, come la differenza tra il patrimonio netto alla data in cui andava decisa la liquidazione e quello alla data dell’effettiva cessazione o apertura del concorso . La giurisprudenza recente conferma che tale criterio del deficit patrimoniale è legittimo per liquidare in via equitativa il danno ai creditori causato dalla gestione tardiva della crisi . In sostanza, chi non suona il campanello d’allarme e non corre ai ripari in tempo rischia, oltre a peggiorare la posizione dell’impresa, anche conseguenze giuridiche personali (azioni di responsabilità, esclusione dai benefici di esdebitazione, o persino sanzioni penali se vi sono condotte illecite).
- Centralità delle soluzioni negoziali e flessibilità verso il debitore onesto: il Codice incoraggia e facilita soluzioni concordate e piani di ristrutturazione, anche introducendo la figura dell’esperto indipendente per la composizione negoziata e prevedendo possibilità di omologazione dei piani anche contro il voto contrario di alcuni creditori pubblici (il cosiddetto cram down fiscale e previdenziale). Storicamente, la legge fallimentare ante 2020 era molto rigida verso i debiti fiscali: bastava il voto contrario del Fisco per bloccare un concordato preventivo, rendendo di fatto impossibile ridurre carichi tributari nel piano . La riforma, allineandosi alla moderna concezione della crisi d’impresa, ha introdotto la transazione fiscale e la relativa possibilità di forzare il dissenso dell’Erario se il piano è più vantaggioso del fallimento. Una pronuncia innovativa della Cassazione (sent. n. 27782 del 28/10/2024) ha sancito che il tribunale può omologare un concordato preventivo anche in presenza di voto contrario dell’Agenzia delle Entrate o dell’INPS, purché sia provato che la proposta garantisca a tali creditori pubblici una soddisfazione economica almeno pari (o superiore) a quella ricavabile dalla liquidazione giudiziale . Si tratta di una svolta storica: viene rimosso il “veto” fiscale che in passato mandava a picco molti tentativi di risanamento, in linea col principio che l’interesse generale alla continuazione dell’attività imprenditoriale non può essere sacrificato se il piano offre al Fisco un recupero migliore rispetto al fallimento . In parallelo, per i debitori persone fisiche meritevoli, il Codice ha rafforzato il diritto alla seconda chance: ad esempio, nelle procedure di liquidazione controllata dei piccoli debitori è previsto che dopo 3 anni (massimo) i debiti residui siano automaticamente cancellati (esdebitazione), senza necessità di una domanda specifica . Inoltre è stato introdotto l’istituto dell’esdebitazione del debitore incapiente, che consente persino a chi non ha alcun patrimonio da liquidare di ottenere la cancellazione dei propri debiti una tantum, se soddisfa requisiti di buona fede (il cosiddetto fresh start per il debitore onesto privo di beni) .
In sintesi, il quadro normativo attuale è caratterizzato da un’attenzione bilanciata sia alla tutela dei creditori sia alla salvaguardia dell’impresa e alla dignità del debitore. Per il nostro imprenditore di cablaggi industriali indebitato ciò significa avere una “cassetta degli attrezzi” normativa ben più fornita che in passato: non solo fallimento e liquidazione forzata, ma anche vari strumenti per negoziare coi creditori, ristrutturare il debito, dilazionare o ridurre le passività, e in generale tentare di superare la crisi continuando l’attività. Nei prossimi paragrafi analizzeremo le diverse categorie di debiti che un’azienda può avere e le contromisure adatte, quindi entreremo nel dettaglio dei suddetti strumenti di regolazione della crisi previsti dal Codice.
Tipologie di Debiti Aziendali e Rischi per l’Impresa Debitrice
Non tutti i debiti sono uguali: la strategia difensiva di un’azienda passa anche dalla comprensione della natura dei propri debiti e delle azioni che ciascun creditore può intraprendere. Una ditta di cablaggi industriali può accumulare debiti di varia natura, tra cui: debiti finanziari verso banche o società di leasing, debiti commerciali verso fornitori, debiti tributari verso l’Erario (Agenzia delle Entrate) e debiti verso l’Agente della Riscossione (ex Equitalia, oggi Agenzia Entrate Riscossione – AER) per tasse non pagate, debiti verso enti previdenziali (es. INPS) per contributi omessi, debiti verso i dipendenti (retribuzioni arretrate, TFR), ecc. Ciascuna categoria comporta conseguenze e tutele creditorie differenti. Vediamole singolarmente, evidenziando i rischi per l’azienda debitrice e le possibili soluzioni difensive specifiche.
Debiti Bancari e Finanziari: Questi includono mutui, scoperti di conto, finanziamenti a breve termine per liquidità, leasing su impianti e macchinari, ecc. Le banche e le società finanziarie godono solitamente di garanzie a tutela del credito: possono esserci ipoteche su immobili aziendali, pegni su macchinari o su crediti, e quasi sempre i finanziatori richiedono fideiussioni personali dai soci o dagli amministratori della S.r.l. In caso di insolvenza dell’azienda, la banca può: (a) revocare immediatamente gli affidamenti e chiedere la restituzione del capitale residuo (decadenza dal beneficio del termine); (b) avviare un’azione monitoria (tipicamente ottenere un decreto ingiuntivo) seguita da pignoramenti di beni aziendali (conto corrente, attrezzature non vincolate, magazzino, ecc.); (c) escutere le garanzie, ad esempio avviando l’esecuzione immobiliare su un capannone ipotecato o chiedendo al fideiussore il pagamento integrale; (d) nel caso di leasing, risolvere il contratto e riprendere possesso del bene leasing (macchinario o veicolo), trattenendo i canoni pagati e chiedendo eventuali differenze. I rischi principali per l’azienda debitrice sono dunque la perdita dei beni strumentali (se dati in garanzia o in leasing) e il blocco delle linee di credito (che può paralizzare l’attività). Inoltre, se i soci hanno garantito personalmente, anche il loro patrimonio personale è esposto: la banca potrà aggredire case, stipendi, conti dei garanti.
Difese e soluzioni: Innanzitutto, se il rapporto è ancora in corso (non revocato), l’azienda può tentare una rinegoziazione con la banca: ad esempio, richiedere un allungamento del piano di ammortamento, una moratoria temporanea (sospensione delle rate) o la conversione degli scoperti a breve in prestiti a medio termine. Durante la pandemia COVID ci sono state moratorie ex lege; oggi si tratta di accordi volontari. Un supporto viene anche dagli strumenti del Codice della Crisi: tramite la Composizione Negoziata l’imprenditore può coinvolgere un esperto terzo che lo aiuti a trattare con le banche un piano di rientro sostenibile, approfittando anche di un contesto protetto (si possono chiedere misure di sospensione delle azioni esecutive mentre si negozia). Non a caso, tra gli effetti pratici del nuovo Codice vi è la possibilità di rinegoziare i debiti bancari rivedendo i piani di rientro con gli istituti di credito . Se la banca è restia a trattare o vi sono più banche coinvolte, soluzioni più strutturate includono l’accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (dove magari si propone alle banche un pagamento parziale dei crediti, eventualmente assistito da nuove garanzie o apporti) oppure il concordato preventivo, in cui il trattamento delle banche dipenderà dalle classi di appartenenza: le banche garantite da pegno/ipoteca verranno soddisfatte almeno per il valore dei beni dati in garanzia (in caso di vendita, hanno diritto alla prelazione sul ricavato), mentre l’eventuale parte di credito scoperta (chirografaria) riceverà la percentuale offerta nel piano insieme agli altri chirografari. Importante: finché il debito bancario è garantito da pegni/ipoteche su beni aziendali fondamentali, è spesso interesse dell’impresa trovare un accordo per evitare l’espropriazione di quei beni. Nel concordato, ad esempio, l’azienda può proporre di riconoscere interamente il credito ipotecario (pagandolo tramite la vendita del bene, o rinegoziandolo) così da mantenere la disponibilità del bene in continuità; oppure può prevedere che il bene venga liquidato ma nell’ambito del piano (evitando un’asta giudiziaria “al ribasso”). Se invece la banca ha già avviato un’esecuzione, una mossa difensiva drastica è proporre domanda di concordato preventivo o di apertura di altra procedura concorsuale: ciò comporta la sospensione/blocco di tutte le azioni esecutive individuali (compresi i pignoramenti bancari) grazie al “automatic stay” concorsuale. La procedura collettiva accentra le pretese dei creditori, congelando i pignoramenti in corso. Tuttavia, ciò va ponderato perché avviare un concordato è impegnativo e richiede di presentare un piano serio. Ulteriore considerazione: se i soci fideiussori vengono escussi personalmente, potrebbero a loro volta trovarsi insolventi nel privato – in tal caso, dovranno valutare strumenti come il piano del consumatore o la liquidazione del patrimonio personale (di cui si dirà più avanti) per gestire i debiti personali derivanti dalle garanzie.
Debiti verso Fornitori (debiti commerciali): Sono i debiti contratti con altre aziende per acquisti di materie prime, componenti, servizi, etc. I fornitori generalmente non hanno garanzie reali, ma vantano diritti di credito chirografari (ordinari), talvolta assistiti da riserva di proprietà su beni forniti (fino al pagamento). Se l’azienda di cablaggi ritarda i pagamenti, il rischio immediato è la sospensione delle forniture – il che può compromettere la produzione. Inoltre, un fornitore insoddisfatto può agire legalmente: spesso ottiene un decreto ingiuntivo (essendo di norma crediti documentati da fatture, ddt, etc.) e, trascorsi 40 giorni senza opposizione, procede con il pignoramento di conti, beni mobili o crediti presso terzi (ad es. può pignorare i crediti che l’azienda debitrice vanta verso i propri clienti, bloccando incassi – il cosiddetto pignoramento presso terzi). I fornitori o altri creditori chirografari, singolarmente, non possono chiedere il fallimento se i debiti scaduti complessivamente non superano una soglia (oggi €30.000) o se l’azienda rientra tra i soggetti “non fallibili” per dimensioni. Tuttavia, superata tale soglia e in presenza di insolvenza conclamata, anche un singolo creditore può depositare istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) contro l’azienda debitrice. Un’azienda molto indebitata con tanti fornitori rischia quindi un’azione disgregata (molte cause e pignoramenti) o, se la situazione precipita, una procedura concorsuale avviata dai creditori stessi.
Difese e soluzioni: Sul piano individuale, con ciascun fornitore si può tentare un accordo transattivo (saldo e stralcio): ad esempio pagando subito una percentuale del dovuto (es. 50%) ottenendo uno sconto sul resto, oppure concordando un piano di pagamento rateale (magari con un piccolo interesse). Molti fornitori preferiscono recuperare almeno in parte ed evitare lunghe cause – soprattutto se capiscono che l’alternativa è il fallimento dell’azienda debitrice (in cui probabilmente incasserebbero poco o nulla e dopo anni). È essenziale mostrare buona fede: contattare i fornitori prima che la situazione degeneri, riconoscere il debito e proporre spontaneamente un piano realistico, può evitare le vie legali. Naturalmente, se i fornitori sono numerosi e i margini di pagamento esigui, occorre una soluzione collettiva. Qui entrano in gioco le procedure concorsuali negoziali: un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 CCII, ad esempio, permette di vincolare con l’omologazione del tribunale l’intesa raggiunta con una maggioranza qualificata di creditori (almeno 60% dei crediti). I fornitori che aderiscono all’accordo accettano di essere pagati secondo i termini convenuti (es. 40% del credito in 24 mesi); i fornitori non aderenti rimangono estranei ma l’azienda deve comunque soddisfarli integralmente, salvo decidere di includerli in un eventuale successivo concordato preventivo. In alternativa, se serve coinvolgere tutti i creditori chirografari, il concordato preventivo è lo strumento per eccellenza: l’azienda propone un certo trattamento (es: pagamento del 30% a tutti i fornitori, magari in parte subito e in parte a rate) e, se la maggioranza approva, il piano omologato diventa vincolante anche per i fornitori dissenzienti. Nel concordato in continuità, inoltre, si possono classificare i fornitori strategici in classi e magari offrire condizioni leggermente migliori a chi continuerà a fornire materiali all’azienda durante il piano, assicurandosi la continuità produttiva. Un’altra difesa utile prima che partano i decreti ingiuntivi è sfruttare eventuali vizi legali nelle pretese dei fornitori: verificare cioè se il credito è certo, liquido ed esigibile. Ad esempio, contestazioni sulla qualità della merce o sui termini di consegna possono, se fondate, costituire motivo di opposizione a decreto ingiuntivo o quantomeno argomento per negoziare una riduzione. In contenzioso, si può guadagnare tempo con opposizioni, ma attenzione: se l’azienda effettivamente deve quei soldi, il risultato sarà solo di procrastinare e aumentare spese legali. Meglio impiegare quel tempo per elaborare un piano credibile da sottoporre ai creditori. Infine, è bene evitare atti preferenziali: pagare un fornitore a scapito di altri, quando si è insolventi, potrebbe essere revocato poi dal curatore fallimentare (se il pagamento avviene nell’anno precedente il fallimento e il creditore conosceva lo stato d’insolvenza) e potrebbe esporre gli amministratori ad accuse di favoritismo. Quindi le transazioni con fornitori vanno fatte nell’ottica di una soluzione complessiva, ad esempio formalizzandole in un accordo omologato che protegge da revocatorie ex art. 67 CCII.
Debiti Fiscali ed Erariali: Comprendono imposte non versate (IVA, IRES, IRAP, ritenute alla fonte, ecc.) e relative sanzioni e interessi, spesso iscritti a ruolo e affidati all’Agenzia Entrate Riscossione (AER) per la riscossione coattiva. Questi debiti sono particolarmente critici perché lo Stato ha poteri di riscossione amministrativa assai efficaci: l’Agente della Riscossione può, decorsi i termini di legge dalla notifica delle cartelle, procedere senza passare dal giudice a misure come l’iscrizione di ipoteca su immobili del debitore (se il debito supera €20.000), il fermo amministrativo di beni mobili registrati (es. automezzi aziendali, se il debito supera €5.000), e soprattutto il pignoramento diretto di crediti (ad esempio bloccando il conto corrente aziendale o pignorando crediti verso clienti) e di beni mobili/immobili, con procedure semplificate. Inoltre, l’Ente pubblico può attivare la procedura concorsuale: se il debito fiscale supera €30.000 di somme scadute e non versate, l’AE Riscossione (ma anche l’INPS per i contributi, come vedremo) può chiedere la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore inadempiente, previa comunicazione di sollecito (la cosiddetta intimazione ad adempiere). Una azienda con debiti fiscali elevati rischia dunque sia esecuzioni forzate immediate (che possono paralizzare l’operatività, ad es. con pignoramento dei conti e ipoteche sugli immobili strumentali) sia, nel medio termine, un’iniziativa per la liquidazione giudiziale. Da notare che, in passato, il Fisco spesso utilizzava proprio la leva del fallimento per costringere al pagamento: oggi la normativa è più equilibrata, ma il rischio rimane concreto se l’insolvenza è grave.
Difese e soluzioni: La prima mossa per “difendersi” dall’aggressività del fisco è sfruttare gli strumenti di rateizzazione previsti dalla legge. Ai sensi dell’art. 19 del D.P.R. 602/1973, l’AE Riscossione può concedere piani di rateazione fino a 72 rate mensili (6 anni) o, in casi di grave difficoltà, fino a 120 rate (10 anni) per importi rilevanti. Presentando istanza di dilazione prima che inizi un pignoramento, si ottiene la sospensione delle azioni esecutive: la concessione della rateazione impedisce nuovi fermi o ipoteche e sospende quelle in atto, purché i pagamenti rateali siano puntuali. Questa è una difesa fondamentale per riprendere fiato. Va però precisato che ottenere una rateizzazione non elimina il debito, lo distribuisce nel tempo: il debito rimane integro (capitale + interessi dilazionati) e se poi le rate non vengono pagate, l’agente della riscossione riprenderà le azioni con maggior vigore. Inoltre, non evita di per sé il fallimento: secondo la Cassazione, la mera rateizzazione di un debito erariale non fa venir meno lo stato d’insolvenza ai fini fallimentari, né impedisce la dichiarazione di fallimento se sussistono le altre condizioni . In una recente decisione (Cass. 4201/2025) è stato confermato che una società può essere dichiarata insolvente anche se ha ottenuto una dilazione ex art. 19 DPR 602/73, poiché la legge non preclude la liquidazione giudiziale in presenza di un piano di rateizzo e il debito dilazionato resta “non abbattuto” (rimane dovuto integralmente, solo a scadenze diverse) . Ciò nonostante, la rateazione resta utile: se attivata tempestivamente, può far scendere l’ammontare dei debiti scaduti sotto la soglia dei 30.000 €, rendendo improcedibile un’istanza di fallimento per carenza del requisito (art. 15, c.9 L.F. / art. 49, c.5 CCII). Nel caso esaminato dalla Cassazione, però, la rateazione era stata ottenuta dopo l’avvio del procedimento prefallimentare e non ha evitato il fallimento .
Oltre alla dilazione amministrativa, vi sono le misure straordinarie di definizione agevolata (i cosiddetti “condoni” o “rottamazioni delle cartelle”), che periodicamente vengono varati per consentire di pagare i debiti fiscali con sconti su sanzioni e interessi. Ad esempio, la rottamazione-quater 2023 ha permesso di estinguere i ruoli pagando solo imposta e interesse legale, senza sanzioni né interessi di mora, in 18 rate. Se l’azienda rientra in queste finestre normative, aderire alla definizione agevolata è senz’altro consigliabile per ridurre il carico. Tuttavia, queste misure sono episodiche e non garantiscono l’abbattimento del capitale dovuto, a differenza delle procedure concorsuali.
Il vero cambio di passo, in termini strutturali, lo si ottiene con gli strumenti previsti dal Codice della Crisi: transazione fiscale e cram down fiscale. Nelle procedure come gli accordi di ristrutturazione e i concordati, il debitore può proporre un trattamento di favore per il Fisco, ad esempio il pagamento parziale (falcidia) del credito tributario e contributivo e/o la dilazione oltre i termini ordinari, includendo eventualmente la cancellazione totale di interessi e sanzioni. Nel concordato preventivo, questa proposta prende la forma della transazione fiscale (art. 63 CCII per gli accordi, art. 88 CCII per il concordato) e richiede(va) l’assenso dell’Erario. Con il Correttivo ter 2024, però, e con la citata giurisprudenza, è ora possibile l’omologazione forzata del concordato anche senza il voto favorevole degli enti pubblici, a condizione che: (i) l’azienda offra al Fisco almeno il 50% del credito tributario (esclusi interessi e sanzioni) se gli altri creditori concorsuali ricevono almeno il 25% del totale (altrimenti la soglia sale al 60%); (ii) il piano garantisca al Fisco un soddisfacimento non inferiore a quello ipotizzabile in caso di liquidazione giudiziale . Inoltre, è previsto che il cram down non sia ammesso se il debito fiscale è abnorme (oltre 80% dell’indebitamento totale e derivante per almeno 1/3 da violazioni tributarie fraudolente, o da omessi versamenti seriali di IVA/contributi) . In pratica, il legislatore ha bilanciato l’esigenza di flessibilità con il timore di abusi: l’Erario non può più opporre un veto irragionevole, ma il debitore deve offrire condizioni serie (almeno metà dell’imposta) e non dev’essere un recidivo in malafede. Per l’imprenditore indebitato significa che, tramite un piano concordatario ben congegnato, può stralciare una parte consistente dei debiti fiscali in modo legale e definitivo . Ad esempio, in un concordato liquidatorio potrebbe prevedere di pagare il 50% dell’IVA dovuta e 0% delle sanzioni, se i beni disponibili permettono ciò, ottenendo l’omologazione anche con il voto contrario del Fisco (il tribunale valuterà la convenienza per l’Erario rispetto all’alternativa fallimentare ). Negli accordi di ristrutturazione, parimenti, il Correttivo ter ha introdotto il cram down: se l’AE o l’INPS non aderiscono, il tribunale può ugualmente omologare l’accordo con requisiti analoghi (creditori pubblici soddisfatti almeno al 50-60%, ecc.) . Dunque l’azienda può anche seguire la via semi-concorsuale dell’accordo omologato, che è più snella del concordato. Da notare: nella Composizione Negoziata – che è stragiudiziale – da settembre 2024 è stata prevista la possibilità di proporre una transazione fiscale anche in quella sede (art. 23 CCII) ma senza cram down: quindi serve comunque il consenso dell’Erario . Se l’Agenzia aderisce, bene; se dice no, si dovrà ripiegare su accordo o concordato formale.
In termini difensivi immediati, qualora l’Agente della Riscossione abbia avviato esecuzioni (es. pignoramento del conto aziendale), la presentazione di una domanda di concordato preventivo o di accordo di ristrutturazione con riserva (il cosiddetto concordato “in bianco”) blocca le azioni esecutive in corso per legge (art. 54 CCII). L’azienda potrebbe così scongiurare la vendita forzata dei propri beni da parte di AER e riportare la gestione delle posizioni fiscali nell’alveo di un piano unificato. Chiaramente questa è una contromisura estrema, da adottare solo se si intende effettivamente procedere con una ristrutturazione concorsuale, altrimenti è destinata a fallire. Se invece non si vuole (o può) accedere a procedure concorsuali, l’unica difesa è la già citata rateazione amministrativa: pagare le rate e rispettare il piano per evitare guai peggiori. Infine, ricordiamo che alcuni debiti fiscali portano con sé rischi penali: ad esempio, l’omesso versamento di IVA oltre 250.000 € annui o di ritenute operate sui dipendenti oltre 150.000 € annui costituiscono reato tributario (D.Lgs. 74/2000). Sistemare questi debiti (anche in concordato, pagando almeno la soglia penalmente rilevante) è essenziale per evitare che ai problemi economici si sommino accuse penali ai rappresentanti legali. In proposito, va segnalato che il pagamento anche parziale del debito fiscale come previsto in un accordo omologato estingue il reato tributario eventualmente configurabile . Questo offre un ulteriore incentivo al ricorso alle procedure di composizione della crisi: ad esempio, se un concordato prevede la liquidazione di beni e il pagamento del 50% dell’IVA dovuta, l’imprenditore potrà beneficiare dell’estinzione del reato di omesso versamento IVA ai sensi dell’art. 13 D.Lgs. 74/2000 (come modificato nel 2019) .
Debiti verso Enti Previdenziali (INPS) e verso l’Erario per ritenute previdenziali: Sono i debiti per contributi obbligatori non versati (contributi INPS dovuti per i dipendenti, per i lavoratori autonomi o commercianti, premi INAIL, ecc.). L’INPS ha poteri di riscossione analoghi al Fisco: emette avvisi di addebito che, decorso il termine, valgono come titoli esecutivi, poi passa la palla ad Agenzia Riscossione per l’esecuzione forzata. I rischi quindi sono gli stessi (ipoteche, pignoramenti, istanza di fallimento se il totale supera €30.000). In più, il mancato versamento delle ritenute previdenziali (la parte di contributi trattenuta dalla busta paga al lavoratore) oltre una soglia modesta (circa €10.000 annui) è reato (art. 2, co.1-bis D.L. 463/1983): l’azienda potrebbe vedere il legale rappresentante imputato, a meno che non versi le ritenute entro determinati termini (entro il 30 giugno dell’anno successivo, o prima dell’apertura del dibattimento). Dunque i debiti contributivi sono molto delicati anche sul piano penale. Dal punto di vista civilistico, i crediti INPS godono di privilegio generale sui mobili aziendali e immobiliario sui beni dell’azienda, il che significa che in fallimento verrebbero pagati con precedenza rispetto ai chirografari (dopo i crediti per lavoratori e alcuni crediti fiscali).
Difese e soluzioni: L’INPS, come l’Erario, consente rateizzazioni amministrative del debito contributivo, generalmente fino a 24 mesi (estendibili in casi eccezionali). Attivare una rateazione con INPS blocca i procedimenti esecutivi analogamente alla rateazione fiscale. Inoltre, nel caso delle ritenute previdenziali omesse, la legge prevede che il pagamento anche tardivo (ma prima del processo) della sola quota ritenuta estingue il reato: in pratica, versando gli importi dovuti ai lavoratori (al netto delle sanzioni civili) si ottiene la causa di non punibilità. Dunque l’impresa deve prioritariamente cercare di colmare quelle specifiche posizioni (magari accedendo al Fondo di Garanzia INPS per farsi anticipare il TFR dei dipendenti e liberare risorse per i contributi). All’interno di un piano di crisi, i debiti contributivi vengono trattati insieme ai debiti fiscali nella transazione fiscale e previdenziale: il CCII infatti include espressamente i crediti degli enti previdenziali tra quelli ristrutturabili. Le condizioni di cram down fiscale descritte sopra valgono anche per i crediti contributivi (si parla talvolta di cram down previdenziale). Pertanto, in un concordato l’azienda potrà proporre, ad esempio, di pagare integralmente i contributi dovuti ai dipendenti per non perdere il beneficio penale, ma magari falcidiare i contributi dovuti per sanzioni e interessi. Oppure, se i contributi non versati sono molto elevati, potrà proporre un pagamento parziale sapendo però che deve rispettare la soglia minima del 50-60% per poter forzare un eventuale dissenso di INPS . Nella Composizione Negoziata, similmente al Fisco, da fine 2024 si può includere una proposta di transazione contributiva (dilazione/stralcio) durante le trattative, ma serve il consenso dell’ente.
Un’ulteriore tutela del debitore nel caso dei contributi dipendenti è il Fondo di Garanzia INPS: se l’azienda finisce in procedura concorsuale (fallimento o anche concordato con cessione di beni) e non paga gli ultimi stipendi e il TFR ai lavoratori, l’INPS interviene pagando al lavoratore quanto dovuto (entro certi massimali) e poi si surroga nei loro diritti. Questo implica che il debito verso i dipendenti si trasforma in debito verso INPS. Ai fini pratici, il debitore deve considerare che comunque quei crediti salari/TFR godono di privilegio altissimo (superiore anche all’INPS stesso): in ogni piano vanno soddisfatti per legge integralmente o con percentuali altissime (il Codice impone il pagamento integrale dei crediti di lavoro nei concordati in continuità, salvo diversa accordo individuale col dipendente). Quindi, più che proporre falcidie su tali crediti (improponibili se i lavoratori non acconsentono), l’imprenditore dovrà predisporre il pagamento dei dipendenti o confidare nell’intervento del Fondo INPS, che però poi diventa creditore (seppur chirografario surrogato) del datore. In sintesi, i debiti contributivi si affrontano con: rateazioni amministrative immediate, transazione fiscale/previdenziale nelle procedure, priorità ai versamenti delle ritenute per evitare reati, e in ultimo con il concordato/accordo in cui eventualmente l’INPS viene forzato se la proposta rispetta i parametri di legge.
Debiti verso Dipendenti (retribuzioni e TFR): Quando un’azienda è in crisi di liquidità, può purtroppo trovarsi a non pagare puntualmente gli stipendi dei dipendenti o il trattamento di fine rapporto (TFR) ai cessati. Questi debiti hanno un forte impatto sociale e anche giuridico: il lavoratore non pagato può dimettersi per giusta causa (se lo stipendio ritarda oltre una certa soglia), con diritto all’indennità di disoccupazione, e inoltre può agire per decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo (la legge prevede l’esecutorietà provvisoria per crediti di lavoro). Una volta munito di titolo, il dipendente può pignorare cassa e beni aziendali; spesso però i lavoratori optano per adire in massa il tribunale fallimentare, essendo il fallimento una via più sicura per ottenere almeno i soldi dal Fondo di Garanzia. I crediti di lavoro godono di privilegio generale mobiliare (per gli ultimi 6 mesi di retribuzione) e di privilegio speciale sul TFR, collocandosi appena sotto i crediti prededucibili. Ciò significa che, in una liquidazione, i dipendenti saranno tra i primi ad essere soddisfatti (anche tramite l’INPS).
Soluzioni: È nell’interesse del debitore cercare di salvare il rapporto con i lavoratori. Nelle situazioni di tensione, spesso si raggiungono accordi individuali: es. pagamento parziale e dilazionato degli arretrati, trasformazione di parte di stipendio in welfare, ecc. Occorre il consenso del lavoratore, che difficilmente accetterà riduzioni se non vede prospettive di ripresa. Nel contesto concorsuale, come accennato, i crediti da lavoro vengono normalmente tutelati integralmente: un concordato in continuità aziendale non può in genere prevedere sacrifici per gli stipendi arretrati (sono “crediti impignorabili” in senso lato delle procedure – vanno pagati al 100% se la continuità prosegue). Diverso è se l’azienda cessa l’attività: in un concordato liquidatorio o fallimento, il pagamento ai lavoratori avverrà tramite il Fondo INPS per la gran parte (TFR e ultime mensilità), e l’INPS poi si insinua. Dal punto di vista del debitor, è cruciale calcolare bene il fabbisogno finanziario per il personale: continuare l’attività senza poter pagare i dipendenti è controproducente e può configurare anche reati (es. sfruttamento). Quindi, nel piano di risanamento bisogna prevedere come assicurare le retribuzioni correnti. Spesso un’impresa in concordato ottiene di non pagare i debiti pregressi (che verranno nel piano) ma deve comunque pagare regolarmente i salari durante la procedura, come debiti prededucibili. Se ciò non è possibile, verosimilmente l’unica via è chiudere l’attività e mettere i dipendenti in Cassa Integrazione straordinaria o in Naspi, mentre la procedura liquida il resto.
Riassumendo le tipologie sopra in una tabella, indichiamo per ciascun tipo di creditore quali sono i poteri di cui dispone e le possibili difese per il debitore:
Figura 1: Schema riassuntivo degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza previsti dal Codice della Crisi d’Impresa (procedimenti di composizione negoziata, accordi e piani di ristrutturazione, concordati e liquidazione). Il Codice unifica in un unico quadro normativo tutte le procedure, modulandole a seconda del tipo di debitore e della situazione di crisi.
| Tipo di creditore | Azioni e tutele del creditore | Possibili difese per il debitore |
|---|---|---|
| Banca / Finanziaria | – Revoca fidi e richiesta immediata saldo<br>- Decreto ingiuntivo e pignoramenti (conto, beni non garantiti)<br>- Escussione garanzie reali (es. ipoteca su immobili, pegno su macchinari) e personali (fideiussioni dei soci/amministratori)<br>- Facoltà di presentare istanza di fallimento se credito ≥ soglia (€30k) e insolvenza conclamata | – Negoziare una moratoria o rinegoziazione (allungamento piani di rientro)<br>- Attivare Composizione Negoziata per trattare con assistenza di esperto <br>- Proporre un piano attestato di risanamento (accordo stragiudiziale protetto da attestazione)<br>- Se necessaria procedura formale: accordo di ristrutturazione (coinvolgendo almeno 60% banche) o concordato preventivo (classi di banche, eventuale cram down classi dissenzienti)<br>- In extremis, presentare domanda di concordato per sospendere esecuzioni (stay) e prevenire vendite forzate di asset chiave<br>- Per fideiussori: ristrutturazione dei debiti personali con procedura di sovraindebitamento (piano del consumatore, ecc.) |
| Fornitore (chirografo) | – Sospensione forniture future (pressione commerciale immediata)<br>- Azione legale per credito: decreto ingiuntivo, pignoramento beni/crediti<br>- Possibile istanza di fallimento se superata soglia e insolvenza<br>- Nessuna garanzia a privilegio (salvo riserva proprietà su beni venduti) | – Negoziazione individuale: saldo e stralcio (sconto per pagamento immediato) o dilazioni concordate<br>- Gestire parità di trattamento: evitare pagamenti preferenziali (rischio revoca)<br>- Coinvolgere fornitori chiave in accordi standstill (moratoria) per avere tempo di predisporre piano di rientro<br>- Procedura collettiva: concordato preventivo con proposta di pagamento parziale ai chirografari (vincolante per tutti se approvato) ; possibile classamento separato di fornitori strategici in continuità<br>- Accordo di ristrutturazione omologato: pagare fornitori aderenti parzialmente; garantire comunque integrale ai non aderenti (o convertirlo successivamente in concordato per includerli)<br>- Opposizione a decreti ingiuntivi solo se vi sono reali contestazioni (per guadagnare tempo al fine di trovare soluzione) |
| Erario (Agenzia Entrate / Riscossione) | – Iscrizione di ipoteca su immobili aziendali (debito ≥ €20k)<br>- Fermo amministrativo di veicoli/beni mobili registrati (debito ≥ €5k)<br>- Pignoramenti diretti senza giudice (conto correnti, crediti verso terzi, beni mobili e immobili con privilegio fiscale)<br>- Istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) se debiti scaduti > €30k e persistenti<br>- Privilegi su beni aziendali (es. privilegio generale per IVA e ritenute non versate)<br>- Insinuazione in privilegio o chirografo nelle procedure concorsuali (IVA privilegiata, altre imposte spesso chirografarie se non pre-deducibili) | – Richiesta di rateizzazione amministrativa (fino a 6-10 anni) per congelare azioni esecutive (debito rimodulato ma non ridotto)<br>- Adesione a eventuali “rottamazioni” delle cartelle per abbattere sanzioni/interessi<br>- Utilizzo della Transazione Fiscale nelle procedure: proporre pagamento parziale/dilazionato di imposte, con stralcio sanzioni e interessi <br>- Sfruttare il cram down fiscale: in concordato/accordo, ottenere omologazione anche senza voto AE/INPS se offerto ≥50-60% del dovuto e miglior trattamento rispetto a fallimento <br>- Composizione Negoziata: possibile proposta di transazione fiscale (senza cram down) per trovare accordo prima di procedura formale <br>- Presentazione di domanda di concordato preventivo in bianco per bloccare sul nascere esecuzioni (misure protettive) e guadagnare tempo per predisporre piano (es. vendere asset per pagare parzialmente il Fisco nella proposta)<br>- Attenzione ai reati tributari: prevedere nel piano di pagare almeno in parte IVA e ritenute per evitare sanzioni penali; pagamento di quanto stabilito dall’accordo omologato estingue reato . |
| INPS e enti previdenziali | – Come Erario: avvisi di addebito, poi cartelle e stesso iter di ipoteche, fermi, pignoramenti tramite AE Riscossione<br>- Istanza di fallimento (stesse soglie €30k)<br>- Crediti privilegiati su beni mobili e immobili (contributi lavoro dip. e autonomo)<br>- Reazione a procedure concorsuali: insinuazione privilegiata per contributi<strong>*</strong><br>- Reati: omesso versamento ritenute previdenziali dipendenti > ~€10k (anno) è reato (salvo pagamento tardivo integrale) | – Rateizzazione contributi con INPS (piani fino a 24-36 mesi, prorogabili) per evitare azioni immediate<br>- Transazione previdenziale nelle procedure, insieme a quella fiscale: possibilità di falcidia e dilazione contributi similmente alle imposte<br>- Cram down previdenziale: tribunale può omologare concordato/accordo anche con voto INPS contrario, se rispettate condizioni di legge (offerto ≥50-60%, nessun peggioramento rispetto a liquidazione) <br>- Pagamento prioritario delle ritenute previdenziali (parte dipendenti) per estinguere il reato e mostrarsi meritevoli: se non possibile subito, considerare che il reato è estinto se si paga prima del dibattimento, anche con risorse provenienti da terzi<br>- Nei piani di continuità, considerare accordi con INPS per spalmare su più anni il pagamento del dovuto contributivo (specie per contributi datoriali)<br>- In sede concorsuale, sfruttare il Fondo di Garanzia INPS per TFR e ultime retribuzioni: l’INPS paga i lavoratori e subentra come creditore (di solito chirografo) dell’azienda, alleggerendo il peso immediato sul piano finanziario dell’impresa |
| Dipendenti (salari e TFR) | – Azione giudiziaria rapida: decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo per retribuzioni non pagate<br>- Pignoramento beni aziendali (anche se spesso crediti di lavoro hanno efficacia limitata su beni, data prelazione di crediti con privilegio speciale)<br>- Possibilità di richiedere fallimento datore di lavoro per ottenere accesso al Fondo di Garanzia (spesso i sindacati promuovono istanze di fallimento in caso di grave insolvenza azienda)<br>- Privilegi: crediti ultimi 12 mesi salario privilegio generale (cap limitato), TFR privilegio speciale su mobili e immobili<br>- Intervento Fondo di Garanzia INPS in caso di insolvenza conclamata (copre TFR e max 3 mensilità) | – Tentare accordi individuali con i dipendenti: es. pagamento parziale immediato + impegno a saldo a data futura, per evitare dimissioni di massa e conflitti (richiede fiducia da parte dei lavoratori)<br>- Ricorrere agli ammortizzatori sociali: Cassa Integrazione Straordinaria per crisi, che consente all’azienda di non pagare stipendi per un periodo mentre i lavoratori percepiscono assegno dallo Stato (questo strumento è disponibile però solo in certe fattispecie e dimensioni aziendali)<br>- Nelle procedure concorsuali: prevedere pagamento integrale dei super-privilegiati (ultimi 3 mesi e TFR) magari grazie all’intervento del Fondo INPS che poi si insinua; trattare i restanti crediti di lavoro in prededuzione o comunque in classi separate con pagamento elevato (il concordato in continuità impone il pagamento integrale dei debiti di lavoro già scaduti se si vuole continuare l’attività)<br>- Mantenere comunicazione trasparente con i dipendenti: far comprendere che un concordato o accordo può garantire loro il pagamento tramite INPS se hanno pazienza, mentre un’azione esecutiva individuale potrebbe anticipare tempi ma rischia di mandare in tilt l’azienda a scapito anche loro (questo spesso è convincente se presentato con sincerità)<br>- Utilizzare eventuali agevolazioni (es. prededuzione per nuovi finanziamenti destinati anche a pagare stipendi arretrati, se autorizzati dal tribunale in concordato) |
<small>Nota:</small> <small>(<small></small>): Nei concordati, i crediti contributivi per il lavoro dipendente godono di privilegio e vanno pagati come da legge (di solito integrale sul dovuto ai lavoratori). Tuttavia, i crediti per sanzioni civili su contributi possono essere degradati a chirografari.</small>
Come si evince dalla tabella, la difesa dell’azienda debitrice richiede un insieme di mosse: alcune immediate e individuali (es. chiedere rateazioni, negoziare con singoli creditori strategici) e altre più sistemiche (attivare procedure globali che congelino le azioni dei creditori e permettano un trattamento concorsuale equo). Un tema trasversale è la tempestività: reagire prima che i creditori perdano del tutto la fiducia e avviino azioni esecutive può fare la differenza tra un risanamento ordinato e una disgregazione incontrollata dell’azienda. Ciò si ricollega all’obbligo di allerta interna di cui all’art. 3 CCII citato sopra: un imprenditore proattivo magari riuscirà a evitare di arrivare al punto di avere conti bloccati o magazzino pignorato.
Passiamo ora ad esaminare come la forma giuridica dell’azienda e il suo status influenzano le strategie di difesa: un conto è un’azienda organizzata in forma di società di capitali (S.r.l., S.p.A.), altro caso è un’impresa individuale o una società di persone, dove i profili di responsabilità e gli strumenti utilizzabili differiscono.
Forma Giuridica dell’Impresa e Responsabilità dei Debiti: S.r.l./S.p.A. vs Imprese Individuali
La forma giuridica in cui opera l’azienda di cablaggi industriali ha importanti ricadute sul piano dei debiti e delle tutele sia per i creditori sia per l’imprenditore stesso. In Italia, molte imprese di medie dimensioni sono organizzate come società di capitali (tipicamente Società a responsabilità limitata – S.r.l. – o Società per azioni – S.p.A.), mentre le realtà più piccole possono operare come ditte individuali o società di persone (snc, sas). Vediamo separatamente i due scenari:
Società di Capitali (S.r.l., S.p.A.): La caratteristica fondamentale di queste forme è la separazione patrimoniale: la società è un soggetto giuridico autonomo, con un proprio patrimonio distinto da quello dei soci. Ciò significa che, di regola, i soci non rispondono con i propri beni personali dei debiti sociali, ma rischiano soltanto il capitale investito (quote o azioni) e gli eventuali versamenti promessi. In caso di insolvenza, dunque, i creditori possono aggredire solo il patrimonio della società, non quello dei soci, salvo eccezioni. Quali eccezioni? Principalmente: (a) fideiussioni o garanzie personali prestate dai soci o dall’imprenditore a favore della società (caso frequente, come visto, per debiti bancari o di leasing); (b) responsabilità per mala gestio degli amministratori: se gli amministratori (che possono coincidere con i soci nelle PMI) hanno compiuto atti illeciti o violato i loro doveri causando danno ai creditori o alla società, possono essere chiamati a risponderne col proprio patrimonio (tramite l’azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare ex art. 146 L.F. / art. 255 CCII); (c) violazioni di legge specifiche: ad esempio, in campo fiscale e contributivo ci sono ipotesi in cui l’ente impositore può chiedere conto personalmente agli amministratori o soci (si pensi al caso delle sanzioni tributarie se attribuite personalmente, o dei debiti IVA se si prova una distribuzione ai soci di attivo societario senza aver pagato l’IVA – ipotesi di responsabilità sussidiaria ai sensi dell’art. 2495 c.c. in caso di cancellazione societaria fraudolenta). Un altro caso peculiare è quando i soci abbiano confuso il patrimonio sociale col proprio, prelevando utili indebiti o asset dalla società in crisi: il curatore potrà agire per far restituire tali somme (azione di rinvocazione di pagamenti ai soci o di indebito arricchimento). Ma sono situazioni limite o patologiche.
In generale, dunque, la S.r.l./S.p.A. offre ai proprietari una protezione patrimoniale. D’altro canto, impone doveri stringenti a chi la amministra: come accennato, se la società subisce perdite gravi che erodono il capitale, gli amministratori devono attivare le procedure di legge (art. 2482-bis e 2482-ter c.c. per S.r.l.) per ricapitalizzare o sciogliere la società. Se non lo fanno e continuano ad operare con capitale azzerato, rispondono dei danni verso i creditori. Il nuovo art. 2486 c.c. (mod. da Codice Crisi) codifica i criteri di quantificazione del danno da prosecuzione indebita: ad esempio il confronto tra patrimonio netto alla data in cui la società avrebbe dovuto sciogliersi e quello alla data effettiva di cessazione . In pratica, i debiti aumentati nel frattempo sono presunti danno causato dagli amministratori, salvo prova contraria. Ciò incentiva gli amministratori a non far accumulare ulteriori debiti una volta persa la continuità aziendale.
Per un’azienda di cablaggi in forma di S.r.l., quindi, la strategia di difesa dai debiti deve considerare due livelli: societario (la società attiva gli strumenti di composizione della crisi per ridurre i debiti sociali) e personale (i soci e amministratori proteggono se stessi evitando condotte che possano far ricadere i debiti su di loro). Sul lato societario, come visto, la S.r.l. ha accesso a tutte le procedure concorsuali ordinarie: concordato preventivo, accordo di ristrutturazione, composizione negoziata, ecc., perché è soggetto “fallibile” (salvo che sia microscopica, ma in genere una S.r.l. anche piccola viene considerata fallibile se supera i parametri di legge, che non sono più quelli del 1942 de jure, ma di fatto qualsiasi S.r.l. commerciale è soggetta a liquidazione giudiziale se insolvente, a meno rientri nella definizione di “impresa minore” davvero marginale). Quindi può mettere in atto i piani descritti.
Al contempo, i soci persone fisiche possono, in parallelo, attivare strumenti personali se coinvolti (es. un socio-fideiussore molto esposto può valutare un piano del consumatore per gestire la sua posizione debitoria personale, disgiunta dalla società). Qui c’è un equilibrio da mantenere: spesso le banche che ricevono proposte di ristrutturazione societaria chiedono conferma delle garanzie personali dei soci sul nuovo debito ristrutturato. Il socio potrebbe essere riluttante, ma se crede nel salvataggio dovrà quasi sempre supportare la società anche con il proprio patrimonio (fosse anche immettendo finanze fresche). Tuttavia, occorre anche far notare che, grazie alla limitazione di responsabilità, se proprio la società è decotta e non c’è via di salvezza, i soci non garanti potrebbero decidere di lasciar fallire la società e ripartire eventualmente ex novo con altro veicolo (bad company/good company). Non è una bella soluzione, ma in mancanza di attivo, la liquidazione giudiziale chiude la partita con i creditori (che si soddisfano sul poco disponibile) e i soci, perso il capitale, restano indenni. Questa è chiaramente ultima spiaggia, da percorrere rispettando la legge (senza distrarre beni prima del fallimento, altrimenti diventerebbe bancarotta fraudolenta). Diciamo che la S.r.l. consente, come exit strategy estrema, di liquidare la società con un fallimento e ottenere l’esdebitazione di eventuali soci falliti (questo solo se i soci erano personalmente falliti, il che accade ad es. con soci illimitatamente responsabili di società di persone, non col socio di S.r.l. che non fallisce personalmente) oppure semplicemente chiudere baracca e perdere il capitale. Il Codice della Crisi prevede che le società cancellate dopo un fallimento non ottengono esdebitazione perché cessano di esistere; l’esdebitazione è riservata agli imprenditori individuali e ai soci illimitatamente responsabili o a garanti persone fisiche. Quindi, se la nostra S.r.l. fallisce e lascia debiti insoddisfatti, la società sparisce e i crediti si estinguono con essa, mentre i soci persone fisiche non erano debitori diretti e restano intatti (salvo garanzie). Gli amministratori però potrebbero essere colpiti da azioni risarcitorie se il curatore ravvisa mala gestio.
Riassumendo per la S.r.l.: vantaggi – accesso a procedure di risanamento, scudo patrimoniale per i soci, possibilità di “pulire” la situazione con concordati, e in ultima analisi il sacrificio della società senza intaccare i soci non garanti; svantaggi/attenzioni – dovere di attivarsi tempestivamente per evitare aggravamento, rischio di responsabilità personale per amministratori in caso di gestione non conservativa, necessità quasi inevitabile di coinvestimento dei soci (garanzie, capitali freschi) se si vuole convincere i creditori a fare sacrifici.
Imprenditore Individuale o Società di Persone (snc, sas): Qui la situazione è diversa: nel caso dell’impresa individuale, l’imprenditore coincide con la persona fisica titolare. Non vi è separazione tra patrimonio aziendale e personale, tutto è intestato alla stessa persona. Di conseguenza, il creditore può rifarsi direttamente su qualsiasi bene personale dell’imprenditore (casa, conto privato, ecc.), fatti salvi pochi beni impignorabili (es. beni di minima sussistenza). Anche nelle società di persone vige (salvo patto contrario nelle sas per gli accomandanti) la responsabilità illimitata e solidale dei soci: ogni socio di società in nome collettivo risponde con il proprio patrimonio personale dei debiti sociali. Per le sas, i soci accomandatari hanno lo stesso destino, mentre gli accomandanti no (ma non possono amministrare). In entrambi i casi, quindi, non c’è distinzione netta tra debito della ditta e debito personale. Questo comporta due implicazioni: (1) i creditori possono aggredire anche i beni personali dell’imprenditore per soddisfarsi, senza dover attendere procedure concorsuali; (2) l’imprenditore/persona fisica insolvente può essere soggetto – se ne ricorrono i presupposti – a procedure concorsuali personali (il vecchio fallimento dell’imprenditore individuale, che travolge anche il suo patrimonio personale). Sotto il vigore della vecchia legge fallimentare, non tutti gli imprenditori potevano essere dichiarati falliti: erano esclusi i piccoli imprenditori (sotto certe soglie di fatturato/attivo). Con il CCII la terminologia è cambiata, ma esiste ancora la categoria dei debitori sotto-soglia, detti “imprenditori minori”. Tali soggetti non accedono alla liquidazione giudiziale ordinaria bensì alle procedure di sovraindebitamento (ora chiamate “procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento”). In pratica, un artigiano individuale di piccole dimensioni che prima non era fallibile ora rimane “non soggetto a liquidazione giudiziale” e deve utilizzare gli strumenti dedicati ai non fallibili (che vedremo nella sezione successiva). Se invece l’impresa individuale supera i parametri dell’impresa minore, allora l’imprenditore individuale è a tutti gli effetti equiparato a un’impresa fallibile e in caso di insolvenza sarà soggetto a liquidazione giudiziale con estensione a tutto il patrimonio personale.
Va evidenziato che per la persona fisica imprenditore la legge prevede comunque la possibilità di liberarsi dei debiti residui post-procedura tramite l’esdebitazione. Già la legge fallimentare lo consentiva (art. 142 L.F.), e il CCII ha reso l’esdebitazione ancor più accessibile (diventando pressoché automatica a fine procedura, salvo casi di dolo o mancata collaborazione, e riducendo la durata: oggi in liquidazione controllata del sovraindebitato bastano 3 anni per chiudere e ottenere lo “scarico” ). Quindi, il vantaggio del piccolo imprenditore persona fisica è che, pur rispondendo con tutti i suoi beni, dopo potrebbe ottenere una “ripartenza” personale libera dai debiti insoddisfatti. Lo svantaggio è che nel frattempo la sua casa, i suoi risparmi, ecc., possono essere intaccati.
Nel nostro caso di “azienda di cablaggi industriali”, se fosse un artigiano individuale con qualche dipendente, i creditori (banche, fornitori, fisco) lo inseguiranno sia sull’azienda sia a casa. Ecco perché per queste figure il Codice della Crisi ha predisposto procedure ad hoc di sovraindebitamento (ad esempio il piano di ristrutturazione del consumatore se prevalgono debiti personali, o il concordato minore se debiti d’impresa, come vedremo).
Nelle società di persone, quando vengono dichiarate insolventi, tradizionalmente falliva sia la società che i soci illimitatamente responsabili. Questa regola è confermata dal CCII (art. 256): l’apertura della liquidazione giudiziale di una snc comporta automaticamente la liquidazione dei singoli soci illimitatamente responsabili. Ciò è logico, perché i patrimoni sono legati. Anche in concordato, i soci illimitati sono coinvolti e spesso devono contribuire. Il vantaggio del socio illimitato è che anch’egli avrà diritto all’esdebitazione alla fine, ma intanto paga tutto ciò che ha.
In termini di strategie di difesa per l’imprenditore individuale/socio illimitato: qui è fondamentale considerare non solo le procedure per l’impresa, ma anche quelle personali. Ad esempio, un imprenditore cessato (che ha chiuso la sua ditta) con debiti residui d’impresa può oggi accedere alla procedura di ristrutturazione del consumatore se oramai non opera più professionalmente. Una recente sentenza della Corte d’Appello de L’Aquila (3.11.2023) ha stabilito proprio che un imprenditore cessato e cancellato può definire i residui debiti d’impresa tramite il piano del consumatore, considerandolo un “consumatore” attuale, sebbene quei debiti derivino da passata attività . Ciò perché conta la qualifica attuale: se oggi la persona non svolge attività economica, la natura originaria del debito (professionale o meno) non gli impedisce l’accesso alla procedura da consumatore. Questo apre scenari di difesa interessanti: l’imprenditore persona fisica può ricorrere alle procedure di sovraindebitamento per risolvere sia debiti privati che residui debiti d’impresa in un unico piano. Invece, la S.r.l. che fallisce non può accedere ad esdebitazione perché non esisterà più, e i soci rispondono solo se garanti (che a loro volta useranno sovraindebitamento se del caso).
Quindi, sintetizzando: se l’azienda è individuale o società personale, il debitore deve ragionare in termini unitari sul proprio patrimonio. E gli strumenti a disposizione includono tutti quelli del Codice (concordato preventivo, accordi) se è fallibile, oppure i piani di sovraindebitamento se non lo è. La Composizione Negoziata è accessibile anche all’imprenditore individuale (non piccolo) allo stesso modo che per una società – infatti l’art. 12 CCII parla di imprenditore commerciale o agricolo, senza escludere l’impresa individuale . Un artigiano quindi può richiedere un esperto per negoziare con i creditori, con gli stessi benefici (protezione, ecc.).
Un punto di attenzione: i beni personali primari (la casa di abitazione, ad esempio) – per la persona fisica c’è un coinvolgimento emotivo e sociale. La legge italiana riconosce qualche tutela: l’Agente Riscossione non può ipotecare/pignorare l’unica casa di abitazione del debitore persona fisica se non di lusso e se vi risiede, per debiti sotto 120k euro; sopra tale soglia può ipotecare ma non espropriare sotto 120k, e oltre può procedere ma con autorizzazione tribunale. Nei piani di sovraindebitamento, spesso si cerca di salvare la casa prevedendo che il debitore continui a pagarci il mutuo regolarmente e offrendo ai creditori altri beni o redditi. Insomma, c’è margine di manovra. Per un socio di S.r.l., la casa era intoccabile a meno di garanzie; per l’imprenditore individuale, va protetta con un piano del consumatore se possibile (il giudice può omologare un piano che salvaguarda l’abitazione se è ragionevole, bilanciando i diritti dei creditori con l’interesse del debitore e della famiglia a conservare l’alloggio).
In conclusione, la forma giuridica incide su: chi può essere dichiarato insolvente e come, chi subisce le esecuzioni e su quali beni, e quali procedure sono attivabili. Un avvocato che assiste un’azienda indebitata dovrà quindi considerare se oltre alla procedura per l’azienda va aperto un paracadute per l’imprenditore stesso (e.g., concordato per società + piano del consumatore per il garante). Questa doppia strategia è complessa ma talvolta necessaria.
Dopo aver esaminato i tipi di debiti e il contesto giuridico del debitore, possiamo ora addentrarci specificamente negli strumenti offerti dal Codice della Crisi per gestire e risolvere l’indebitamento, distinguendo quelli preventivi e negoziali da quelli giudiziali concorsuali, nonché le procedure particolari per i sovraindebitati (debitori civili e piccoli imprenditori).
Strumenti di Gestione della Crisi d’Impresa (Ristrutturazione e Regolazione dei Debiti)
Il Codice della Crisi mette a disposizione dell’imprenditore una gamma articolata di strumenti per affrontare la crisi o l’insolvenza in modo organizzato. Possiamo distinguerli in due macro-categorie: strumenti stragiudiziali o “negotiation-based” (volontari, con limitato intervento del tribunale) e procedure concorsuali giudiziali (attivate con ricorso in tribunale e soggette a omologazione o gestione giudiziale). Tutti questi strumenti perseguono uno dei due obiettivi: o il risanamento dell’impresa (riorganizzazione dell’attività e riduzione del debito per proseguire l’attività) oppure la liquidazione ordinata dell’impresa (cessazione attività e vendita patrimonio per pagare i creditori). A volte sono possibili soluzioni miste, ma concettualmente il debitore in crisi deve scegliere se c’è prospettiva di continuare (anche parzialmente) o se occorre chiudere e liquidare evitando però il disordine del collasso.
Di seguito passeremo in rassegna i principali strumenti, dal meno intrusivo al più complesso, spiegandone caratteristiche, requisiti e utilità per il debitore.
Approcci Stragiudiziali e di Allerta Precoce
1. Allerta interna e misure protettive informali: Prima ancora di arrivare alle procedure formalizzate, il Codice aveva introdotto (Titolo II del CCII, in origine) un sistema di segnalazioni d’allerta affidate ad organi di controllo e creditori pubblici qualificati (come l’INPS, l’AE) per far emergere tempestivamente situazioni di crisi. Tuttavia, questa parte (OCRI – Organismo di Composizione della Crisi) è stata dapprima rinviata e poi sostanzialmente sostituita dalla Composizione Negoziata. Attualmente dunque l’allerta è in primis un obbligo interno al debitore: monitorare gli indici di crisi e attivarsi. È comunque buona prassi per l’imprenditore attuare misure volontarie non appena intravede tensioni: es. piani di cash management, vendita di asset non essenziali per fare cassa e pagare debiti urgenti, rinegoziazione di singoli contratti onerosi (come chiedere riduzione temporanea del canone di affitto al proprietario del capannone, in cambio di garanzie). Queste non sono procedure codificate, ma mosse di buon senso negoziale che possono alleviare la situazione e talvolta evitare di dover ricorrere a procedure concorsuali. Ad esempio, concordare con la banca una moratoria di 6 mesi sulle rate può dare ossigeno per incassare crediti e pagare fornitori critici. Oppure, se un grosso cliente deve pagare fatture, si può cercare di cederle pro soluto per ottenere liquidità immediata (anche se a sconto). In parallelo, l’imprenditore dovrebbe farsi assistere da un professionista esperto in crisi (es. un commercialista specializzato o un advisor finanziario) per predisporre un primo piano di risanamento fattibile. Questo perché quando si andrà a trattare con banche o grandi fornitori, sarà richiesta documentazione che provi la sostenibilità delle proposte.
2. Piani attestati di risanamento (art. 56 CCII): È il primo strumento formalizzato e rientra tra quelli “strumenti negoziali non soggetti ad omologazione”. Il piano attestato è essenzialmente un accordo stragiudiziale tra il debitore e alcuni o tutti i creditori, basato però su un piano industriale e finanziario di risanamento che viene asseverato (attestato) da un professionista indipendente (esperto attestatore iscritto nel registro dei revisori o con requisiti di legge). La particolarità del piano attestato è che non prevede l’intervento del tribunale né voti formali: non è un procedimento concorsuale. Serve però a dare credibilità e una certa tutela agli accordi raggiunti. In concreto, il debitore predispone, magari con l’aiuto di un advisor, un piano di rilancio con cui ritiene di poter riequilibrare la situazione finanziaria dell’impresa (ad esempio: nuova finanza dai soci, ristrutturazione costi, cessione di un ramo d’azienda per ridurre debiti, ecc.). Su questo piano, un professionista indipendente redige una relazione di attestazione in cui dichiara che il piano è fattibile e idoneo a risanare l’impresa (o a assicurare il riequilibrio). I creditori vengono quindi contattati e invitati ad aderire agli accordi di ristrutturazione proposti nel piano (può essere un accordo bilaterale banca-impresa, o un pacchetto di accordi con più creditori). Non essendoci omologazione, i creditori dissenzienti non sono vincolati: quindi il piano attestato funziona bene quando la platea dei creditori è ristretta o comunque quando si riesce a trovare il consenso pressoché totale. Vantaggi per il debitore: il piano attestato e i relativi atti esecutivi godono di esenzione da revocatoria fallimentare in caso poi di fallimento (art. 67, co.3, lett. d) L.F., ora confluito in CCII) – quindi i pagamenti e le garanzie concesse in esecuzione del piano non potranno essere invalidati se il piano fallisce e si finisce in liquidazione giudiziale . Questo dà sicurezza ai creditori aderenti che le transazioni fatte restano ferme. Inoltre, il piano può essere pubblicato nel Registro delle Imprese su istanza del debitore, rendendolo conoscibile ai terzi e migliorando la credibilità commerciale. Svantaggi: non c’è automatica protezione dalle azioni dei creditori durante la negoziazione (a meno di accordi standstill privati) e i creditori fuori piano restano liberi di agire. Dunque il piano attestato funziona se l’imprenditore si muove quando la crisi non è ancora conclamata, e può coinvolgere volontariamente la quasi totalità dei creditori rilevanti. Un esempio tipico è l’azienda indebitata con due banche e tre fornitori principali: invece di andare in tribunale, negozia privatamente con tutti e mette a punto un piano di rientro concordato che l’attestatore valida. Se qualche piccolo creditore resta fuori, l’azienda lo paga regolarmente per non avere intoppi. Il piano attestato è quello che storicamente veniva chiamato “piano di risanamento art. 67 L.F.”. Nel Codice della Crisi (art. 56) sono confermati i contenuti minimi (deve contenere la strategia di risanamento, menzionare costi per salute-sicurezza e posizione lavoratori ) e l’esenzione revocatoria. È insomma uno strumento flessibile, confidenziale (non richiede pubblicità se non si vuole) e rapido, ma richiede la fiducia dei creditori. Se questi ormai non si fidano o sono troppi, non è adatto.
3. Convenzioni di moratoria (art. 62 CCII): Si tratta di accordi settoriali che il Codice disciplina soprattutto per banche e intermediari finanziari. In pratica, se l’impresa ha un pool di banche finanziatrici, può negoziare con loro una moratoria sui crediti (una sospensione dei pagamenti o una proroga delle scadenze) e formalizzare una convenzione ad hoc. Se aderisce una maggioranza qualificata (in rappresentanza di almeno il 75% dei crediti di quella categoria), la convenzione può essere estesa anche alle banche dissenzienti dello stesso pool con l’omologazione del tribunale. Questo strumento è pensato per evitare che poche banche “tirino il grilletto” mentre la maggioranza sarebbe d’accordo a dare tempo all’azienda. È di utilizzo non frequentissimo, spesso la cosa si gestisce in modo informale (patti ABI di moratoria, ecc.). Ma il CCII l’ha previsto come opzione. Per il debitore, è utile sapere che esiste: se ha 4 banche e 3 sono d’accordo a congelare i crediti per un anno, la quarta banca non può far saltare tutto perché si può portare l’accordo in tribunale e chiedere che sia reso vincolante anche per la quarta (purché il 75% abbia firmato). Le convenzioni di moratoria non risolvono la crisi, ma danno tempo. Di solito saranno preludio ad altra soluzione (piano attestato o accordo più strutturale). Rientrano comunque negli strumenti stragiudiziali assistiti.
Composizione Negoziata della Crisi (procedura volontaria con esperto)
4. Composizione Negoziata per la soluzione della crisi d’impresa (artt. 12–25-septies CCII): Introdotta nel 2021 (D.L. 118/2021) e ora parte integrante del Codice, è una procedura volontaria e riservata che consente all’imprenditore in difficoltà di tentare un accordo con i creditori con l’assistenza di un esperto indipendente nominato dalla Camera di Commercio. Questa procedura rappresenta il fulcro del nuovo approccio anticipatorio: è priva di quella formalità e pubblicità tipica del concordato, ma offre comunque alcuni strumenti protettivi. In sostanza, quando un imprenditore (anche agricolo, anche potenzialmente già insolvente dopo il Correttivo ter ) percepisce di essere in squilibrio economico-finanziario ma ritiene ragionevolmente possibile il risanamento, può presentare domanda di Composizione Negoziata sulla piattaforma telematica dedicata. Nella domanda allega informazioni di base (situazione debitoria, cause della crisi, possibili prospettive). Un’apposita commissione presso la CCIAA designa un esperto terzo, solitamente un professionista (commercialista, avvocato, consulente) con esperienza in ristrutturazioni. Fase di trattative: L’esperto, accettato l’incarico, convoca l’imprenditore e, di concerto, i principali creditori, per avviare trattative confidenziali. L’obiettivo è individuare una soluzione concordata: può essere un semplice accordo di moratoria, una ristrutturazione del debito, la ricerca di un investitore, o un mix di interventi. L’esperto non impone nulla ma facilita il dialogo, valuta la sostenibilità delle proposte e sprona le parti a trovare un’intesa. La presenza dell’esperto dà credibilità all’impresa, perché i creditori sanno che c’è un occhio terzo a vigilare sul processo.
Misure protettive: Durante la Composizione Negoziata, l’imprenditore può chiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive del patrimonio (art. 18-19 CCII). In pratica, può ottenere una sospensione generale delle azioni esecutive e cautelari dei creditori (come nel concordato) per la durata delle trattative, inizialmente fino a 4 mesi (prorogabili). Questa richiesta viene resa pubblica (iscritta nel Registro Imprese, anche per avvisare tutti i creditori) e il tribunale, verificati i presupposti, emette un decreto di concessione. Durante tali misure, i creditori non possono iniziare o proseguire pignoramenti; i contratti essenziali (forniture di energia, ad es.) non possono essere interrotti dai fornitori per i soli debiti pregressi. Questo congelamento crea lo spazio per negoziare senza il fiato sul collo. Va notato però che la prosecuzione delle linee di credito bancarie è un tema delicato: le banche tendevano a revocare fidi appena saputo della crisi. Il Correttivo ter è intervenuto per responsabilizzare le banche: se una banca sospende o revoca affidamenti durante la composizione negoziata, deve motivarlo espressamente e non può farlo automaticamente solo per la notizia dell’accesso alla procedura . Anzi, se l’imprenditore ha chiesto e ottenuto misure protettive, le banche che avevano revocato fidi poco prima potrebbero essere obbligate a riattivarli , salvo rischi di vigilanza. Questo incoraggia le banche a cooperare anziché “scappare”.
Esito della Composizione Negoziata: Può essere di vari tipi: (a) accordo stragiudiziale con tutti o alcuni creditori – ad esempio un accordo multiparte di risanamento, anche non omologato, che l’esperto avrà cura di formalizzare; (b) accesso a una delle procedure concorsuali se serve l’intervento del tribunale – ad esempio l’imprenditore potrebbe, su suggerimento dell’esperto, optare per un concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione omologato, e avvalersi della corsia preferenziale (ci sono agevolazioni di tempi se proviene da composizione negoziata); (c) se l’azienda è decotta e nessun accordo è praticabile, l’esperto lo constaterà e l’imprenditore potrebbe trovarsi a dover scegliere tra chiedere lui stesso la liquidazione giudiziale o subire quelle dei creditori. In ogni caso, l’esperto redige una relazione finale. Una novità inserita per i casi in cui la negoziazione fallisce è il Concordato Semplificato.
5. Concordato Semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII): È una particolare via di uscita disponibile solo se la Composizione Negoziata non ha avuto esito positivo e l’esperto lo certifica. In tal frangente, l’imprenditore può presentare al tribunale una proposta di concordato per cessione dei beni ai creditori, senza dover passare per il voto dei creditori stessi (quindi “semplificato” perché non c’è la fase di adunanza e voto). Il tribunale valuta la proposta e, in presenza dei requisiti di legge – essenzialmente che la trattativa si è svolta secondo buona fede ma non ha trovato soluzioni e che la proposta non è manifestamente peggiorativa per i creditori – può omologarla senza il voto. In tal modo, l’impresa ottiene un concordato liquidatorio più rapido. In questa procedura, il tribunale nomina un liquidatore giudiziale che provvede a vendere i beni e distribuire il ricavato come da piano . Il concordato semplificato è stato introdotto nel 2021 per evitare che le composizioni negoziate fallite finiscano tutte in fallimento: se c’è un’offerta di acquisto di un complesso aziendale o se c’è una massa attiva da distribuire, con il semplificato si risparmia tempo e si conclude in pochi mesi l’iter. Per l’imprenditore, rappresenta una possibilità di chiudere ordinatamente la vicenda, con presumibilmente l’esdebitazione successiva (se persona fisica). Va però ricordato che è riservato al caso di esito negativo della negoziazione ed è liquidatorio: non serve a continuare l’attività, serve a liquidare evitando il fallimento, e soprattutto non richiede consenso dei creditori (che infatti in dottrina è visto come misura forte, giustificata solo dall’aver già tentato la via consensuale).
In conclusione su composizione negoziata: quando usarla? Per un’azienda di cablaggi industriali che intravede difficoltà ma ha ancora prospettive di commesse o investitori interessati, la Composizione Negoziata è consigliabile come primo step. È confidenziale (fino alle misure protettive, non c’è pubblicità), coinvolge un esperto con cui fare squadra, e può portare a soluzioni meno traumatiche (ad esempio un aumento di capitale di un nuovo socio combinato con dilazioni di banche e fornitori). I costi sono relativamente contenuti (l’esperto ha compensi fissati per legge, spesso ridotti). E anche se va male, c’è l’uscita del concordato semplificato. Il Correttivo ter (D.Lgs. 136/2024) ha ulteriormente migliorato alcuni aspetti: ad esempio confermando che anche l’impresa già insolvente può accedervi (inizialmente era solo per crisi probabile, ora anche se sei tecnicamente insolvente ma speri nel risanamento, puoi). Quindi è piuttosto flessibile. Unico limite: è volontaria, quindi i creditori possono anche non aderire; non c’è un “esito garantito”, dipende dalle negoziazioni. È però senza dubbio uno strumento cardine per il debitore che vuole difendersi attivamente e anticipare le mosse dei creditori.
Accordi di Ristrutturazione dei Debiti (procedure con omologazione)
6. *Accordo di Ristrutturazione dei Debiti (ARD) – artt. 57-64 CCII: Questo istituto era già presente nella legge fallimentare (art. 182-bis) e viene confermato e affinato nel nuovo Codice. L’accordo di ristrutturazione è un compromesso a metà strada tra il piano attestato e il concordato: è in sostanza un accordo privato tra il debitore e una parte significativa dei suoi creditori, che però viene sottoposto all’omologazione del tribunale per acquistare efficacia generale e alcune protezioni. In dettaglio: il debitore deve concludere un accordo (o più accordi) con creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali . Quindi occorre una maggioranza qualificata contrattuale. Raggiunto questo, deposita il ricorso per omologazione presso il tribunale competente, allegando il testo dell’accordo, il piano economico-finanziario che ne è alla base (attestato da un professionista indipendente sulla fattibilità e sull’idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei nei termini di legge) e tutta la documentazione aziendale (bilanci, elenco creditori, etc.). Il tribunale, verificato che tutto sia regolare e che i creditori estranei all’accordo non siano pregiudicati, omologa l’accordo rendendolo efficace erga omnes. I creditori che hanno aderito sono vincolati ai nuovi patti (riduzione credito, dilazione, stralcio interessi ecc. come concordato); i creditori che non hanno aderito invece restano fuori: il loro diritto non è modificato dall’accordo, ma l’omologazione comporta comunque alcuni effetti anche rispetto a loro: ad esempio, sospende eventuali azioni esecutive individuali se l’accordo prevede la moratoria anche per i chirografari estranei (non oltre 120 giorni dall’omologa). In pratica però i creditori estranei devono essere pagati per intero alle scadenze originarie, a meno che non siano così pochi e marginali da poterli soddisfare a parte. Questo è il principale limite dell’accordo di ristrutturazione: funziona bene se, ad esempio, il 60-75% dei crediti è in mano a banche disposte a tagliare e dilazionare, e il restante 25-40% è magari Fisco e qualche piccolo fornitore che il debitore può permettersi di pagare integralmente senza chiedere loro sconti. In tal caso l’accordo con le banche (che rappresentano oltre il 60%) ridurrà il grosso del debito, e i pochi estranei saranno pagati regolarmente così da non opporsi. Se invece i creditori estranei sono molti e non si possono pagare a parte, l’accordo di ristrutturazione non è lo strumento adatto, meglio il concordato.
Il CCII prevede alcune varianti agli ARD: ad esempio gli “accordi ad efficacia estesa” (art. 61 CCII) dove se i crediti sono finanziari e c’è un’adesione del 75% delle banche, l’accordo può essere esteso anche alle banche dissenzienti (evitando l’effetto free-rider). Questa è una variante tecnica per le ristrutturazioni finanziarie di grandi debiti bancari. Inoltre, con l’attuazione della direttiva UE, è stato introdotto un nuovo modello chiamato “Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione” (PRO) che vedremo separatamente, il quale è un’ulteriore evoluzione.
Quali vantaggi ha l’accordo di ristrutturazione per il debitore? Diversi: in primis, è più rapido e snello di un concordato, perché non c’è votazione di tutti i creditori ma solo la raccolta delle adesioni necessarie (che si può fare informalmente) e poi l’omologazione. Non c’è commissario né fase di adunanza. Inoltre, è confidenziale nella fase di trattativa (fino al deposito in tribunale, l’accordo resta riservato). L’accordo omologato offre protezione simile al concordato in termini di esenzioni da revocatoria per gli atti esecutivi e finanziamenti in esso previsti, e la possibilità di ottenere misure protettive anche in pendenza di omologazione (il debitore può chiedere al tribunale di sospendere azioni esecutive già nella fase delle trattative per l’accordo, analogamente al concordato prenotativo). Con il Correttivo ter 2024 sono state introdotte ulteriori precisazioni: per esempio, i tempi per l’adesione degli enti pubblici alla transazione fiscale nell’accordo sono ora definiti (90 giorni prorogabili fino a 180) , e si può depositare domanda di omologazione anche se non è ancora arrivato il sì del Fisco (basta che siano trascorsi i termini) . Ciò evita stalli infiniti aspettando l’Agenzia. Soprattutto, si è disciplinato il cram down fiscale negli accordi: come accennato prima, se l’Erario o l’INPS non aderiscono, l’omologazione può essere concessa ugualmente dal tribunale a certe condizioni (accordo non liquidatorio, almeno 25% di altri creditori consenzienti, soddisfazione del Fisco non inferiore all’alternativa fallimento e almeno 50-60%) . Anche qui, se il debito pubblico è ultra-largo (≥80% del totale e per gran parte dovuto a frodi o omessi versamenti seriali), il cram down non è ammesso . In pratica, il legislatore ha voluto dare la possibilità che un accordo, pure con pochi soggetti, non venga bloccato dal diniego dell’Erario se questo è non conveniente per i creditori. Questo cram down è una novità assoluta: storicamente l’accordo di ristrutturazione richiedeva il consenso di tutti gli enti pubblici coinvolti (transazione fiscale era dentro e se l’AE diceva no, l’accordo saltava). Ora l’azienda può tentare un accordo con banche e fornitori, e se il Fisco resta fuori ma l’offerta a lui è ragionevole (≥50% e meglio del fallimento), può chiedere comunque l’omologa. È una tutela importante per il debitore onesto.
Riassumendo, l’accordo di ristrutturazione è uno strumento utile quando si ha un nucleo forte di creditori con cui c’è dialogo (spesso le banche) e pochi piccoli creditori fuori. È molto usato nelle ristrutturazioni di grandi imprese indebitate soprattutto finanziariamente. Per una PMI di cablaggi potrebbe essere il caso in cui ha, ad esempio, 3 banche e alcuni leasing con cui ridiscutere i debiti, e un socio disposto a immettere capitale, e i fornitori verranno pagati regolarmente. Allora conviene fare un ARD: ti accordi con banche (che magari tagliano interessi e prolungano finanziamenti), il socio mette soldi per saldare i fornitori e pagare le prime rate, e il tribunale omologa dandoti protezione. Se invece anche i fornitori devono subire tagli, serve includerli e allora tanto vale il concordato che li vincola se maggioranza, perché nell’accordo dovresti convincerli uno ad uno.
7. *Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO) – art. 64-bis CCII: Questo è un istituto nuovo, introdotto recependo la Direttiva Insolvency 2019/1023. È concepito come un piano proposto dall’imprenditore che non ha tutte le adesioni richieste per un accordo classico, ma vuole comunque chiedere l’omologazione giudiziale sfruttando maggioranze per classi, un po’ come un concordato senza fallimento. In altre parole, il PRO consente di imporre il piano anche ai creditori dissenzienti, purché si rispetti una certa maggioranza e certe classi di voto. Il PRO è più complesso da spiegare, ma si può dire che è simile a un concordato preventivo semplificato: non c’è la regola del 60% di adesioni come negli ARD, ma il debitore può chiedere al tribunale di omologare il suo piano se, ad esempio, alcuni creditori o classi lo approvano o comunque non si oppongono. Non entriamo troppo nel dettaglio tecnico (sono materie da specialisti), ma citiamo due caratteristiche fissate dal Correttivo ter: anche nel PRO è stata inserita la possibilità di transazione fiscale (quindi includere Fisco con eventuali sconti), ma senza cram down (ossia se Fisco dice no, niente PRO, diversamente dal concordato dove c’è) ; inoltre nel PRO il tribunale può autorizzare già prima dell’omologa la cessione dell’azienda o di rami free and clear da debiti, se è funzionale alla continuità e migliori la soddisfazione dei creditori, con procedure competitive flessibili . Quindi il PRO consente operazioni rapide come vendere un ramo per incassare e pagare creditori, anche prima dell’omologa.
In sintesi, il PRO è un veicolo pensato per situazioni dove non c’è tempo o modo di far votare tutti (per es., creditori diffusi) ma c’è magari uno schema di ristrutturazione con classi (tipo pre-pack all’italiana). Per le PMI è rarissimo finora, si vedrà in futuro. Si menziona per completezza.
Concordato Preventivo (in Continuità o Liquidatorio)
8. *Concordato Preventivo – artt. 84-120 CCII: È storicamente la procedura principe per risolvere in modo concorsuale la crisi evitando il fallimento puro. Il concordato preventivo è una procedura giudiziale richiesta dal debitore (volontaria), in cui l’impresa propone ai creditori un piano di trattamento dei loro crediti e di riorganizzazione aziendale (se si prosegue l’attività) o di liquidazione dei beni (se si cessa), e i creditori votano per approvarla o meno. Se la proposta ottiene le maggioranze di legge ed è omologata dal tribunale, diviene vincolante per tutti i creditori anteriori, anche dissenzienti. È dunque uno strumento potentissimo perché consente di superare l’unanimità: i creditori vengono a maggioranza e sotto controllo giudiziario coordinati verso la soluzione. In cambio però, il debitore è sottoposto a una procedura abbastanza strutturata e lunga: deve presentare la domanda con un progetto di piano corredato da relazione giurata di un attestatore indipendente, viene nominato un Commissario Giudiziale che vigila durante la procedura, c’è un’udienza di adunanza dei creditori, una votazione, possibili opposizioni di creditori dissenzienti, e infine la sentenza di omologa del tribunale. Durante il concordato, l’impresa in linea di massima continua a gestire (salvo frodi, in quel caso viene destituita) ma sotto la supervisione del commissario e del giudice delegato, e con alcuni vincoli (non può pagare debiti antecedenti se non autorizzata, non può compiere atti straordinari senza ok giudice, etc.).
Il Codice della Crisi ha conservato l’istituto del concordato preventivo, con varie innovazioni di dettaglio: ad esempio, ha espunto la parola “preventivo” (lo chiama solo concordato, essendo ovvio nel contesto, anche se la prassi continua a dire “preventivo”), ha definito meglio la differenza tra concordato in continuità diretta o indiretta vs concordato liquidatorio, ha introdotto nuove regole sulle classi e sulle maggioranze, integrato le regole sulla soddisfazione minima dei creditori con la priority rule, e così via. Analizziamo le due grandi tipologie:
- Concordato in Continuità Aziendale: Si ha quando nel piano è prevista la prosecuzione, totale o parziale, dell’attività d’impresa (da parte della stessa società o mediante il trasferimento a un terzo che la continua). In altre parole, l’azienda non viene spenta, ma continua a operare per generare valore con cui in parte pagare i creditori. Questo tipo di concordato è incoraggiato dalla legge (favorendo il salvataggio delle imprese). Ad esempio, l’azienda di cablaggi può proporre: “mantengo la produzione, ottimizzo i costi, ricevo nuova finanza e con i ricavi dei prossimi 5 anni pago i creditori chirografari al 40%”. È un concordato in continuità. I creditori chirografari accetteranno se quella prospettiva (40% in 5 anni) è migliore di ciò che otterrebbero dalla liquidazione immediata dell’azienda (che magari frutterebbe solo il 20%). Il Codice ha chiarito che, per valutare se il piano li soddisfa abbastanza, si deve calcolare il cosiddetto “valore di liquidazione” come parametro . Il valore di liquidazione è essenzialmente il ricavato stimato se l’azienda fosse liquidata in procedura fallimentare – tenendo conto anche di eventuali vendite di azienda in esercizio se possibili. Il concordato deve garantire a ciascun creditore almeno quel valore. Ha anche definito meglio la regola di priority: se i creditori vengono suddivisi in classi (cosa obbligatoria se ci sono creditori con cause legittime di prelazione diverse, classi di chirografari con posizioni omogenee, ecc.), in linea di massima una classe dissenziente non può essere lesa a vantaggio di classi inferiori salvo eccezioni (si rifà a concetti simili ad Absolute Priority Rule ma con mitigazioni di Relative Priority). Insomma, hanno normato come deve essere una ripartizione equa. Ad esempio, i soci possono conservare la proprietà dell’azienda post concordato solo se i creditori sono soddisfatti almeno quanto il valore di liquidazione integrale – di regola; su questo c’è un apposito articolo (art. 120-quater).
Nel concordato in continuità, i creditori sono chiamati a votare per classi se ci sono classi, o per categorie se no (privilegiati, chirografi, ecc.), e serve la maggioranza dei crediti ammessi al voto (quindi >50% in valore; non serve più la maggioranza numerica delle classi come un tempo, credo abbiano mantenuto alcune soglie per classi sì, se le classi sono più di una allora serve o la maggioranza delle classi votanti e almeno una classe di chirografi favorevole, ecc. Il Correttivo ter ha anche qui toccato: pare abbia facilitato l’approvazione con una sola classe dissenziente maltrattata, esplicitando che se manca la maggioranza di classi, basta comunque una classe di creditori “soddisfatta parzialmente e trattata meglio che in liquidazione” per poter omologare ). Inoltre, come abbiamo detto, la transazione fiscale in concordato in continuità può essere confermata dal giudice anche se Fisco vota contro, col meccanismo del cram down – anche questo confermato e ampliato. Il Correttivo ter ha specificato che nelle classi il Fisco che vota no comunque conta ai fini del calcolo delle maggioranze trasversali ma non per bloccare come unica classe maltrattata . Dunque, il potere di veto pubblico è molto attenuato oramai in continuità.
Per il debitore, il vantaggio di un concordato in continuità è poter conservare l’azienda “viva”, spesso sotto la sua gestione (con la supervisione del commissario). I lavoratori tipicamente mantengono il posto (possono esserci sacrifici, ma l’attività prosegue). L’azienda ha opportunità di tornare redditizia, se il piano è credibile, e i creditori accettano un taglio del debito in cambio di non distruggere la fonte di reddito. Questo è lo scenario da preferire se c’è possibilità di salvare la ditta di cablaggi: ad esempio, ha un portafoglio ordini buono ma soffre debiti pregressi – un classico caso da concordato in continuità. I creditori chirografari potranno anche prendere una percentuale ridotta (es. 30-40%) ma in generale colgono più di quanto prenderebbero spezzettando e vendendo all’asta quattro macchinari. Le banche poi di solito preferiscono continuità perché magari hanno garanzie su beni il cui valore è maggiore se l’azienda prosegue (es. ipoteca su capannone in uso vs capannone vuoto). Un concordato in continuità richiede però finanziamenti per lavorare durante il periodo – il codice prevede che l’impresa in concordato possa ottenere nuova finanza (anche prededucibile se autorizzata) e mantenere contratti essenziali. Se l’azienda non ha cassa sufficiente, questa è una criticità: bisogna convincere magari i clienti a pagare anticipato o un istituto a erogare liquidità in prededuzione.
- Concordato Liquidatorio: Quando l’imprenditore ritiene che non vi sia prospettiva di proseguire l’attività (perché non redditizia o perché l’imprenditore vuole smettere), può proporre un concordato consistente nella cessione o liquidazione di tutti i beni e distribuzione del ricavato ai creditori. È un’alternativa al fallimento: invece di lasciare al curatore, l’imprenditore propone di vendere attivo sotto controllo e dare tot % ai creditori. Il concordato liquidatorio in passato era scoraggiato perché considerato “troppo comodo” (in effetti è come chiedere ai creditori di votare di prendersi da soli la liquidazione fallimentare, però magari con costi minori e un po’ di sprint in più). La legge attuale impone alcune condizioni: per esempio, nel concordato puramente liquidatorio, ai creditori chirografari deve essere garantito almeno il 20% del loro credito (salvo se l’attivo è realizzato in prevalenza da apporto di finanza esterna, in tal caso può essere anche meno) – questa regola era presente già nella L.F. e credo confermata nel CCII. Inoltre, il piano deve essere più efficiente del fallimento, altrimenti i creditori giustamente non lo approverebbero. Spesso si usa il concordato liquidatorio per vendere l’azienda in blocco: il debitore magari ha trovato un compratore disposto a rilevare l’azienda (o asset principali) a un certo prezzo; in concordato quell’operazione può avvenire con l’approvazione dei creditori e con la “pulizia” dei debiti (il terzo paga e prende l’azienda libera dai debiti pregressi, che restano nel concordato e vengono soddisfatti col prezzo). È come un pre-pack sale (in Italia si è fatto tramite art. 182 L.F., ora art. 84 CCII con aste competitive). Quindi attenzione: il concordato liquidatorio può anche includere cessione di azienda (che tecnicamente è continuità indiretta se l’azienda prosegue col compratore, ma per il debitore proponente è liquidatorio). Il confine a volte è sottile – infatti definiscono continuità “diretta” quella col debitore e “indiretta” quella col terzo acquirente, ma se la vendita avviene entro 1 anno dall’omologa si considera concordato in continuità indiretta. In quel caso non si applica la regola del 20%, credo, perché è considerato in continuità, ma questo è un dettaglio tecnico.
I creditori in un concordato liquidatorio sanno che l’azienda chiuderà; valutano se la proposta (quantum, tempi e modalità) è preferibile al fallimento. Il più delle volte un concordato liquidatorio offre qualcosina in più per convincerli: ad es., un contributo extra soci, oppure risparmi di costi perché si evita la procedura lunga, ecc. Se il vantaggio è convincente e non ci sono scorrettezze, potrebbero votare sì. In passato molti concordati liquidatori andavano in porto perché i creditori chirografari preferivano prendere il 20% subito piuttosto che ipotetico 10% dopo anni di fallimento. Oggi, con la riforma, il tribunale in omologa deve verificare la convenienza della proposta rispetto alla liquidazione giudiziale (anche d’ufficio se c’è una classe dissenziente rilevante). Quindi non possono più “fregare” i creditori con stime fantasiose: serve dimostrare numeri alla mano che il concordato conviene (es. minor costo, o c’è quell’apporto esterno senza il quale nel fallimento non ci sarebbe nulla).
Il ruolo del debitore nel concordato: Egli rimane in possesso (DIP – Debtor in possession attenuato). Questo è importante: diversamente dal fallimento, dove l’imprenditore perde tutto potere sui beni, nel concordato preventivo il debitore conserva l’amministrazione sotto la vigilanza del commissario, e solo se fa atti di frode il tribunale può togliergliela. Questo permette spesso una gestione più efficiente, perché chi meglio di lui conosce l’attività? Però impone integrità.
Conclusione su concordato: È lo strumento di difesa concorsuale più completo. Se l’azienda di cablaggi ha uno scenario grave ma gestibile con un taglio debiti e un piano serio, il concordato è la via maestra per evitare il default disordinato. Un concordato ben eseguito porta all’esdebitazione (per l’imprenditore persona fisica) e salva l’azienda come entità (nel caso in continuità) o almeno ne massimizza il valore di realizzo (nel caso liquidatorio con vendite). Rispetto al far fallire, consente all’imprenditore di avere un ruolo attivo nella soluzione e di evitare alcune stigmate (il fallimento è spesso percepito peggio sul mercato). Inoltre, a differenza dell’accordo di ristrutturazione, include tutti i creditori (nessuno resta fuori non pagato), quindi risolve definitivamente l’indebitamento pregresso in un colpo solo.
Liquidazione Giudiziale (il “Fallimento”) ed Esdebitazione
9. *Liquidazione Giudiziale (ex Fallimento) – artt. 121-270 CCII: Quando nessuna soluzione negoziata è percorribile o richiesta, oppure se la situazione è ormai irrimediabilmente compromessa, la strada finale è la liquidazione giudiziale, cioè la vecchia procedura fallimentare. Questa viene aperta dal tribunale su ricorso di un creditore, del debitore stesso (che può autofallirsi in un certo senso chiedendo la liquidazione, come atto di resa), o su iniziativa del PM in alcuni casi. Dichiarata la liquidazione, gli amministratori decadono (nel caso di società) e la gestione passa integralmente a un Curatore nominato dal tribunale. Il curatore amministrerà tutti i beni, li venderà tramite procedure competitive, e distribuirà il ricavato ai creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione e il grado (privilegi, ipoteche, chirografari ultimi). È un processo che può durare anni. Per i creditori, storicamente il fallimento è stato sinonimo di incassi magri e tardivi, specialmente per i chirografari. Per il debitore imprenditore (persona fisica), significava anche sanzioni personali (come l’inabilitazione dall’esercizio di impresa per qualche anno, ecc., alcune di queste limitazioni sono state in parte abolite o ridotte nel CCII). Ora la logica è un po’ più mercantile: la liquidazione giudiziale è vista come un “concorsone” di esecuzione forzata, dove si cerca di fare cassa e poi liberare il debitore onesto dai debiti restanti.
Dal punto di vista del debitore (in questo caso la nostra azienda di cablaggi), la liquidazione giudiziale è la sconfitta: significa perdere la proprietà e il controllo dell’impresa. L’attività in genere cessa, salvo il curatore la prosegua temporaneamente se utile per vendere meglio l’azienda. Gli amministratori possono subire azioni di responsabilità. Tuttavia, potrebbe a volte rivelarsi l’unica via: ad esempio se non c’è accordo con i creditori e l’azienda non è più economicamente valida, protrarre l’agonia peggiora solo la situazione (più debiti verso dipendenti, fisco, ecc.). In questi casi, può essere responsabile chiedere in proprio la liquidazione (il vecchio “fallimento in proprio”) piuttosto che attendere i creditori. Questo consente un minimo di ordine in più, e ad esempio evita eventuali iniziative penali per ritardo nel fallimento (oggi non c’è più reato di bancarotta semplice per tardiva richiesta, ma rimane la responsabilità civile). Inoltre, un imprenditore persona fisica che collabora e non ha colpe potrà poi ottenere l’esdebitazione. Il CCII la disciplina in articoli 278-279 e ss.: per i debitori civili (non società) la liberazione dai debiti residui a fine procedura è pressoché automatica su istanza, salvo abbiano violato certi doveri (non hanno cooperato, hanno nascosto attivo, ecc.) . C’è stato un dibattito su quale legge si applica per chi ha procedure aperte prima del 2022: la Cassazione ha di recente stabilito che se il fallimento si è aperto sotto la vecchia legge, la domanda di esdebitazione presentata anche post 2022 resta regolata dalla vecchia legge fallimentare, perché l’esdebitazione è parte integrativa del procedimento concorsuale e non autonoma . Quindi il nuovo regime più favorevole si applica solo a procedure nuove. Comunque, concettualmente, dopo la chiusura della liquidazione giudiziale, l’imprenditore persona fisica può tornare mondo (libero da debiti) – questo è cruciale per chi è personalmente coinvolto.
Per la società, invece, la fine della liquidazione giudiziale coincide con la cancellazione dal Registro Imprese e la sua estinzione. La società ovviamente non “riparte” (non avrebbe senso, è estinta). Dunque la esdebitazione formale per la società non serve: i creditori non pagati restano senza soggetto da inseguire e il debito si cancella in pratica con la società (anche se in teoria i creditori potrebbero inseguire soci illimitati o garanti altrove, ma non la società).
Quando può il debitore preferire la liquidazione giudiziale? In linea di massima mai, se ha alternative. Tuttavia, può capitare che un concordato non sia fattibile (ad esempio: mancano totalmente risorse per coprire i costi iniziali o non c’è nessuno che creda nel piano). Oppure che i creditori siano troppi e non cooperativi. In questi casi, la liquidazione giudiziale, per quanto dolorosa, stabilisce un fine e consente poi di ripartire in altro modo. Ad esempio, l’imprenditore di cablaggi potrebbe far fallire la vecchia S.r.l., lasciando che il curatore venda i macchinari, e magari più avanti costituirne un’altra, più leggera, o trovarsi un impiego altrove. Non vi sono più pene accessorie decennali (il CCII le ha ridotte): ora l’ex fallito, se persona fisica, durante la procedura non può iniziare altra impresa o gestire società (senza autorizzazione), ma dopo l’esdebitazione è di nuovo libero di fare l’imprenditore. Quindi fallire non è più la “morte civile” di una volta; è un evento da evitare se ci sono chance, ma se inevitabile, meglio affrontarlo correttamente.
Ruolo di giudice e curatore: Il codice qui ha aggiornato alcune soglie (es. l’art. 49 CCII conferma soglia €30k debiti scaduti per istanza creditori, e prevede quell’inciso che se c’è rateazione concessa prima del ricorso e sotto soglia, il fallimento non è ammesso; quest’ultimo punto come visto è stato interpretato dalla Cass. 2025 su dilazioni con tempistiche – non entriamo oltre).
Azioni di Responsabilità: Durante la liquidazione, il curatore indagherà su eventuali cause di azione verso amministratori, sindaci, ecc. Questo è un aspetto rilevante: se i debiti sono frutto di mala gestione, i creditori sperano nel curatore per fare cause agli amministratori e recuperare risorse. Quindi dal punto di vista degli amministratori-debitori, fallire espone a rischi di queste cause (lo scenario “doppia rovina”: perdi l’azienda e poi magari devi anche risarcire i creditori). Una ragione in più per preferire concordati dove magari si pattuisce che i creditori rinuncino a azioni (nel concordato i crediti risarcitori concorsuali pure sono falcidiati, se noti, e spesso il piano li tratta al pari, salvo atteggiamento ostile del commissario). Dunque, difendersi per un amministratore può voler dire “meglio un concordato con i creditori dove ottengo esdebitazione di fatto pure su possibili responsabilità civili pre-concordato, piuttosto che fallire e subire l’azione ex art. 2486 c.c.”.
Strumenti per Sovraindebitamento (Debitori non fallibili e persone fisiche)
Abbiamo toccato diversi aspetti del cosiddetto sovraindebitamento: quel complesso di procedure per i soggetti esclusi dalla liquidazione giudiziale (consumatori, piccoli imprenditori, professionisti, start-up innovative, enti non profit, ecc.). Tali procedure, introdotte nel 2012 (L.3/2012) e ora rifuse nel CCII (artt. 65-83 CCII), meritano una sezione dedicata, specie in ottica difesa del debitore, perché presentano opportunità di soluzione per chi non può accedere al concordato o al fallimento classico.
Le procedure da sovraindebitamento sono essenzialmente tre: Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore, Concordato minore, e Liquidazione controllata del sovraindebitato. A queste il CCII aggiunge l’innovativa possibilità di esdebitazione dell’incapiente (per chi proprio non ha nulla da liquidare).
- Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (artt. 67-73 CCII): È l’evoluzione del vecchio “piano del consumatore” della L.3/2012. Si applica solo a persone fisiche che hanno debiti in prevalenza di natura personale (non d’impresa), ossia consumatori in senso stretto o ex imprenditori ormai non attivi che soddisfano i requisiti. La caratteristica principale è che questo piano non richiede il voto dei creditori: è un piano proposto dal debitore, valutato dal tribunale che, se lo ritiene fattibile ed equo (tenuto conto della meritevolezza del debitore), lo omologa d’ufficio. I creditori non possono opporsi se non presentando osservazioni, ma non c’è votazione. È insomma uno “strumento individuale” che piega la volontà dei creditori a favore del debitore meritevole. Nel merito, il piano del consumatore consente al debitore di proporre il pagamento parziale dei propri debiti in base alla sua effettiva capacità reddituale futura, salvaguardando il necessario per vivere dignitosamente . L’idea è che il consumatore versi ai creditori quello che può realmente permettersi, per un periodo (es. 4-5 anni), e poi ottenga la cancellazione di ciò che rimane (esdebitazione). Un esempio: Tizio, ex artigiano, ha debiti per 200k tra banche e fisco; ha uno stipendio come dipendente di €1.500 e una famiglia a carico; può proporre di pagare €300 al mese per 5 anni (18k in totale) ripartiti proporzionalmente tra i creditori, e chiedere esdebitazione del resto. Se il giudice, su relazione dell’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) valuta che Tizio è stato onesto (non ha frodato i creditori, non ha fatto altri debiti per dolo), e che l’offerta rappresenta il massimo delle sue possibilità, potrà omologare anche se i creditori (ovviamente) non sarebbero d’accordo a prendere solo 18k su 200k. Questo strumento è potentissimo in termini difensivi per il debitore persona fisica onesto in difficoltà. Naturalmente, la legge richiede la “meritevolezza”: se hai frodato o avuto comportamenti dolosi, il piano sarà rigettato . Anche il concetto di “merito creditizio” è introdotto: se i creditori (banche) hanno concesso prestiti imprudenti in spregio alla tua solvibilità, ciò gioca a tuo favore nel giudizio di meritevolezza – praticamente penalizza le finanziarie che hanno sovraindebitato consapevolmente il cliente. Il CCII consente di includere nel piano del consumatore anche debiti di natura mista (es. qualche debito di impresa passato), purché prevalgano quelli personali e il proponente sia oggi non imprenditore . Questo è cruciale: come visto, un ex imprenditore cessato può fare il piano da consumatore includendo residui debiti d’impresa, come affermato dalla Corte d’Appello L’Aquila 2023 . Ciò amplia l’accesso. Unico limite: se quell’imprenditore potrebbe fare concordato minore, dovrebbe preferibilmente fare quello; infatti l’art. 33 co.4 CCII dice che se un imprenditore è cessato e cancellato, non può fare concordato minore (perché serve essere attivi), e allora appunto fa il piano cons. come nel caso citato .
Per la nostra azienda di cablaggi, il piano del consumatore potrebbe entrare in gioco se il titolare ha anche debiti personali mescolati (ad es. prestiti personali) e la ditta è cessata. Oppure per i garanti/soci, appunto, che spesso rientrano come consumatori sovraindebitati (hanno la casa, un reddito, ma non potrebbero pagare i debiti di garanzia: fanno piano cons.).
- Concordato minore (artt. 74-83 CCII): È la versione “per piccoli” del concordato preventivo, derivata dal vecchio “accordo di composizione” della L.3/2012. Destinatari: imprenditori minori (cioè sotto soglie fallimento) o soggetti non fallibili con debiti anche d’impresa. Ad esempio, un artigiano individuale che non supera le soglie di fallibilità può proporre un concordato minore. Questo ha modalità simili al concordato normale: c’è il voto dei creditori (qui serve la maggioranza dei crediti di chi vota, come di consueto), e poi l’omologazione. La differenza principale è che nel concordato minore non c’è soglia minima di soddisfacimento (anche meno del 20% potrebbe essere, se i creditori accettano), e soprattutto è calibrato su procedure più semplici e veloci (il CCII dice che il giudice può anche evitare l’adunanza se le adesioni scritte raggiungono già la maggioranza). Insomma, è un concordato “light” perché i valori in gioco sono minori. L’OCC (Organismo di composizione della crisi) svolge funzioni simili al commissario/giudice nel raccogliere voti e stendere verbale. Una particolarità: nel concordato minore, come retaggio di L.3/2012, anche se i creditori non approvano, il tribunale può omologare lo stesso se ritiene che la proposta è comunque vantaggiosa e il dissenso è irragionevole (specie se il dissenso è di creditori che in liquidazione prenderebbero meno di quanto offerto) – una sorta di cram down giudiziale ex art. 12 ter L.3. Non so se il CCII l’ha mantenuto esattamente così, ma c’è un margine di omologa in mancanza di approvazione unanime, simile a come per concordato preventivo c’è cram down classi. Quindi il debtor ha un potere maggiore. In pratica, per un piccolo imprenditore, il concordato minore offre la chance di mettere tutti i creditori al voto su un piano ragionevole e chiudere la partita. Se i creditori lo bocciano, potrebbe comunque essere omologato se la bocciatura appare di mero ostruzionismo e il giudice la supera.
- Liquidazione Controllata del Sovraindebitato (artt. 268-277 CCII) – chiamata erroneamente da alcuni “fallimento del sovraindebitato”: è simile alla liquidazione giudiziale ma rivolta ai debitori non fallibili (quindi prima con la L.3 si chiamava “liquidazione del patrimonio”). Qui un gestore della crisi (l’OCC nominato) assume il ruolo di liquidatore, vende i beni del debitore (persona fisica o giuridica non fallibile) e poi ripartisce ai creditori. Il grande vantaggio per il debitore è che la procedura è a tempo determinato: dura al massimo 3 anni (dall’apertura) . Al termine, se il debitore ha cooperato, scatta l’esdebitazione automatica residua senza dover fare domanda separata . Quindi è un “mini-fallimento” più breve e con esdebitazione automatica in 3 anni. Per dire, un imprenditore agricolo (non fallibile) sommerso dai debiti può dire: ok, prendo la liquidazione controllata, do tutto quello che ho oggi, per 3 anni se guadagno qualcosa sopra un certo minimo lo verso, e poi fine: esdebitato. Se fra due anni gli spunta una nuova casa eredità ecc., quella rimarrà sua perché la procedura si è chiusa (diverso dal fallito che per 5 anni dal decreto di esdebitazione se riceve utilità >20k deve darne parte). Insomma, è più favorevole. La liquidazione controllata la può chiedere il debitore stesso, i creditori o anche d’ufficio se un piano o concordato minore saltano per colpa del debitore.
- Esdebitazione del debitore incapiente (art. 282 CCII): Novità assoluta. Serve a dare la “grazia” a quei debitori persona fisica che non hanno alcuna prospettiva di offrire utilità ai creditori. Prima, per l’esdebitazione occorreva almeno liquidare qualcosa (in fallimento, soddisfare almeno parzialmente i creditori concorsuali) o aver fatto uno sforzo. Ora, il legislatore ha previsto che se una persona sovraindebitata non ha nulla da liquidare e vive in condizioni economiche miserabili, può chiedere al tribunale di essere ugualmente esdebitata immediatamente. Requisiti: meritevolezza e incollocabilità – in pratica, povero sì, ma onesto. Se concesso, per 4 anni dovrà comunicare miglioramenti di reddito sopra una certa soglia ai creditori, e se no, i debiti restano perdonati. Questo strumento è radicale (difficile da ottenere se creditori oppongono frodi passate, etc.), ma esiste e completa il quadro come estrema difesa dell’individuo onesto e disperato.
In conclusione su sovraindebitamento: per il debitore persona fisica (sia esso consumatore puro, sia piccolo imprenditore), queste procedure rappresentano il paracadute giuridico per non rimanere intrappolato a vita dai debiti. L’Italia ha così recepito l’idea del fresh start. Un imprenditore che non rientrava nelle grandi procedure ora può regolare la sua posizione col Fisco, banche, etc., tramite un giudice e ripartire. È ovvio che i creditori subiscono un sacrificio pesante in molti casi, ma la legge (e la direttiva UE) l’ha ritenuto accettabile per reinserire queste persone nel circuito economico. Dal lato dell’azienda di cablaggi, queste procedure si applicano se era una ditta individuale sotto soglia o se i soci/amministratori devono sanare debiti personali (fideiussioni, ecc.). E come abbiamo già integrato, spesso la strategia vincente è combinare le procedure: es. la S.r.l. fa concordato o fallimento, e il socio garante fa piano del consumatore per liberarsi dalla garanzia attivata, ottenendo così di non perdere la casa.
Strategie di Difesa del Debitore: Come Agire in Pratica
Dopo l’analisi normativa e degli strumenti, è utile ricapitolare in termini operativi cosa può fare concretamente il debitore (l’impresa di cablaggi industriali indebitata) per difendersi dai creditori e gestire la propria situazione. Si possono delineare alcune linee d’azione generali, fermo restando che ogni caso concreto richiederà adattamenti:
1. Valutazione iniziale approfondita (“check-up” finanziario e legale): La prima difesa è la consapevolezza. L’imprenditore deve fare il punto esatto dei debiti (importi, tipi, scadenze, eventuali azioni già partite) e delle cause della crisi (calo commesse? costi aumentati? cliente insolvente? eccessivo indebitamento per investimenti?). Serve poi valutare l’attivo disponibile: beni liquidabili, crediti da incassare, ordini futuri, capacità reddituale prospettica. Spesso è opportuno coinvolgere un professionista esperto in crisi d’impresa (un commercialista specializzato o un avvocato d’affari) già in questa fase, per avere una diagnosi imparziale. In pratica, occorre capire se l’azienda è solvibile con adeguate misure (crisi reversibile) oppure insolvente senza speranza (crisi irreversibile). Questo determinerà se puntare a ristrutturare/rilanciare o prepararsi a liquidare riducendo i danni.
2. Attivare fin da subito la comunicazione con i creditori chiave: Un errore comune del debitore è chiudersi e non rispondere ai creditori, sperando di prendere tempo. Ciò di solito peggiora la sfiducia. Invece, specie con i creditori principali (ad es. la banca, il fornitore strategico, il fisco), è spesso utile prendere l’iniziativa di spiegare la situazione e manifestare la volontà di trovare soluzioni. Questo può prevenire mosse aggressive e magari ottenere temporaneamente una dilazione informale (standstill): molti creditori, se vedono che il debitore sta preparando un piano serio, preferiscono attendere qualche settimana piuttosto che agire e rischiare un fallimento immediato che li penalizzi. Naturalmente, la comunicazione deve essere prudente e possibilmente concertata col consulente: non vanno fatte ammissioni avventate che potrebbero poi essere usate contro (ad es. mai dire “sono insolvente” così, ma piuttosto “riconosco il debito, sto valutando come ristrutturarlo”). Con l’Agenzia delle Entrate Riscossione e l’INPS, in questa fase conviene attivarsi per ottenere rateizzazioni amministrative dei ruoli pendenti – come visto, ciò può congelare ipoteche e fermi e dimostrare buona fede, oltre ad evitare istanze di fallimento almeno temporaneamente. Con le banche, si può chiedere formalmente una moratoria (magari aderendo a protocolli ABI se esistenti, o con accordo ad hoc). Con i fornitori, impegnarsi a piccoli pagamenti costanti può rasserenarli quel tanto che basta.
3. Ottenere assistenza dall’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) locale: Se l’azienda è di dimensioni micro o se si profila l’uso delle procedure da sovraindebitamento, è importante contattare subito un OCC (presso la Camera di Commercio o l’Ordine dei Commercialisti locale). L’OCC può nominare un professionista gestore già in via informale per aiutare il debitore a valutare le opzioni e predisporre l’eventuale piano. Inoltre, per la Composizione Negoziata oggi c’è una piattaforma telematica nazionale: si può accedere tramite il sito dedicato e caricare i dati per chiedere l’avvio (servirà assistenza tecnica). A volte le Camere di Commercio forniscono orientamento gratuito di primo livello.
4. Stabilire le priorità di pagamento e proteggere l’azienda nell’immediato: Mentre si elaborano le soluzioni, la vita aziendale continua. Bisogna evitare che nell’interregno accadano disastri irreversibili: pagare i dipendenti correnti (per non perderli e non incorrere in cause di lavoro, e per dovere morale), assicurarsi di pagare fornitori essenziali per non bloccare la produzione corrente (magari pagando in anticipo la merce nuova, se quella vecchia non si è potuta pagare), ecc. Se la banca ha revocato gli affidamenti, aprire un conto alternativo presso un istituto diverso per poter operare nel quotidiano (attenzione però: i fondi su nuovo conto restano pignorabili dai vecchi creditori, ma intanto si sfugge al saldo zero). Proteggere la cassa: evitare di fare pagamenti non strettamente necessari, soprattutto evitare di pagare preferenzialmente debiti vecchi di alcuni creditori amici trascurando altri – ciò può essere poi revocato e può configurare reato di bancarotta preferenziale se si andasse in fallimento. Invece, si possono pagare, anche se scaduti, quei creditori il cui servizio è essenziale (es. bollette energia per tenere luci e macchinari accesi). Dal punto di vista legale, se c’è rischio immediato di pignoramenti, si può valutare di mettere al sicuro beni funzionali: ad esempio spostare i macchinari dall’unità principale ad altro deposito per sottrarli a un pignoramento mobiliare, purché non li si occulti fraudolentemente (è una linea sottile: la legge vieta atti in frode ai creditori – vendere macchinari sottoprezzo a un parente sarebbe frode; però spostarli temporaneamente per evitare che un ufficiale giudiziario li trovi subito può essere visto come normale cautela). Queste mosse vanno valutate con avvocato, perché se poi si apre una procedura concorsuale potrebbero essere invalidate. In generale, non trasferire proprietà di beni a terzi per toglierli ai creditori: qualsiasi vendita o donazione di asset quando si è insolventi può essere revocata o peggio costituire bancarotta fraudolenta se la situazione degenera . Meglio conservare il patrimonio integro per offrire garanzie nel piano.
5. Scegliere e avviare la procedura formale più adatta tempestivamente: Una volta analizzati i numeri e parlato con eventuali stakeholder, entro poche settimane il debitore deve prendere una direzione: o prova un risanamento (e quindi Composizione Negoziata, accordo o concordato in continuità) oppure si orienta verso una soluzione liquidativa (concordato liquidatorio, o al limite fallimento pilotato). Tempestività è cruciale: ogni mese di ritardo può far lievitare debiti (interessi, sanzioni) e peggiorare la fiducia. Inoltre, dal 2020 c’è l’obbligo per amministratori di attivare strumenti di allerta appena rilevata la crisi: tardare espone a responsabilità. Esempio pratico: se appare che l’unica via è il concordato preventivo, non aspettare che un fornitore depositi istanza di fallimento (liquidazione giud.) – precederlo depositando domanda di concordato “con riserva” (cd. pre-concordato). Domanda di concordato con riserva (art. 44 CCII): il debitore deposita un ricorso iniziale anche senza piano compiuto, ottenendo misure protettive immediate e un termine (dal giudice) per presentare il piano dettagliato e l’attestazione. Questo blinda l’azienda temporaneamente da esecuzioni e istanze fallimentari. È uno strumento potentissimo di difesa (lo scudo automatico) ma va usato con onestà: se poi non si presenta il piano serio, il tribunale revoca e si rischia fallimento d’ufficio. Lo stesso vale per la Composizione Negoziata: se la si attiva prima che i creditori precipitino la situazione, offre un ombrello negoziale.
6. Coinvolgere soci e terzi per soluzioni finanziarie: Spesso difendersi dai debiti richiede nuove risorse. L’imprenditore deve esplorare ogni fonte: i soci possono immettere capitale (o finanziare a titolo postergato), oppure un investitore esterno potrebbe essere interessato a entrare rilevando quota dell’azienda a prezzo simbolico ma apportando fondi per i creditori. Anche la ricerca di acquirenti per asset non strategici rientra qui: vendere un ramo d’azienda per far cassa e pagare debiti, se quell’asset non è essenziale. Ad es., se l’azienda possiede un immobile, valutarne la vendita per abbattere esposizioni (magari rimanendo in affitto). Un terzo ambito è il factoring dei crediti vs clienti: cedere a sconto fatture incagliate per ottenere liquidità immediata (a scapito di margine, ma in crisi la cassa immediata vale più del profitto). Qualunque iniezione esterna ridurrà il sacrificio chiesto ai creditori e quindi aumenta chance di accordo. E talvolta è indispensabile: ricordiamo che nel concordato liquidatorio la soglia 20% per chirografari può essere evitata se si offre almeno il 10% proveniente da soggetti terzi estranei che regalano soldi . Quindi, convincere soci/familiari a rinunciare a crediti che hanno verso la società o a mettere denaro nuovo merita, perché la legge li premia come finanza esterna.
7. Gestire la procedura scelta in maniera trasparente e collaborativa: Una volta presentata la domanda di concordato (o accordo, o piano sovraindebitamento), il debitore deve rigorosamente rispettare gli obblighi: depositare le relazioni e i documenti nei termini, non aggravare la posizione di alcun creditore, continuare l’attività secondo quanto autorizzato. La collaborazione con commissario, OCC, giudice è fondamentale. Questo eviterà revoche della procedura e faciliterà l’omologa. Ad esempio, se il commissario chiede chiarimenti su certi movimenti di denaro passati, fornirli onestamente e con pezze d’appoggio. Non tentare furberie. Qualsiasi atto distrattivo scoperto in corso di procedura farà crollare il piano e sfociare in bancarotta. Invece, l’atteggiamento proattivo (ad es. segnalare spontaneamente un errore nei conti, ecc.) viene apprezzato e aumenta la fiducia. Anche la comunicazione con i creditori durante la procedura è importante: se c’è un comitato creditori o assemblee, l’imprenditore può illustrar loro il piano, rispondere a dubbi – convincere i creditori che il piano conviene a tutti. Nel concordato i creditori votano: quindi serve consenso, e spesso i grandi creditori ascoltano volentieri il management (magari affiancato da advisor) spiegare come intende far risorgere l’azienda e pagarli al meglio. La credibilità qui è tutto: ecco perché avere un attestatore di nome o un advisor noto può influire positivamente sul voto.
8. Utilizzare in modo critico l’ombrello delle misure protettive: Quando il tribunale concede la sospensione dei procedimenti esecutivi (sia nel pre-concordato che nella composizione negoziata), il debitore ottiene un sollievo temporaneo. Ma deve sfruttarlo per chiudere l’accordo, non per stare fermo. Il tempo è prezioso: ad es., se ottieni 4 mesi di protezione, nelle prime settimane finalizza il piano, nelle successive incontra i creditori per convincerli, presentalo quanto prima. Non è saggio chiedere proroghe su proroghe senza progressi: i creditori e il giudice perdono fiducia. Il Correttivo ter ha introdotto la possibilità di misure protettive “atipiche” prolungate in casi eccezionali, ma condizionate al deposito del piano . Insomma, l’ombrello va tenuto aperto giusto il necessario, poi si deve passare all’esecuzione.
9. Considerare gli impatti personali e legali collaterali: Difendersi dai debiti non è solo questione economica, ma anche di limitare conseguenze legali: come detto, se vi sono profili di possibile reato (fiscale, contributivo, bancarotta), il debitore deve concertarsi con legale penalista su come attenuarli. Esempio: se c’è omesso versamento IVA sanzionabile, includere nel piano concordatario il pagamento integrale di quell’IVA o attivarsi per pagare la soglia minima prima del dibattimento , così da estinguere il reato. Se in passato l’azienda ha fatto operazioni a rischio bancarotta (pagamenti preferenziali o distrazioni a soci), informare il proprio avvocato per preparare eventuali giustificazioni (es. quel prelievo soci era in realtà rimborso spese documentate). Spesso, la migliore difesa è prevenire: un concordato omologato con ampia soddisfazione creditori riduce la propensione di questi a sporgere denunce. Al contrario, un fallimento caotico porta spesso a cause e querele. Quindi mettere a tacere i creditori con un buon piano è indirettamente protezione per l’imprenditore. Anche valutare il futuro: se il titolare vuole in seguito intraprendere nuova attività, meglio puntare a procedure con esdebitazione rapida e minori interdizioni. Ad esempio, un ex fallito non può essere amministratore di altra società finché la procedura è aperta; se invece chiude con concordato (che in caso di esecuzione corretta lo “riabilita” subito dopo l’omologa), potrà magari aprire una nuova società subito. Quindi nelle strategie considerare: “dove voglio essere tra 3-5 anni?” – Ancora a capo di un’azienda di cablaggi risanata? Dipendente altrove e libero dai debiti? Espatriato? Questo incide sulla scelta: se l’imprenditore è esausto e vuole uscire dal business, forse conviene vendere l’attività e fare liquidazione (concordato liq. o fallimento + esdebitaz.) per liberarsi al più presto e con meno impegno. Se invece crede ancora nella sua impresa, punterà a continuità e resterà dentro più a lungo.
10. Documentare ogni passaggio e rispettare la legalità in tutte le operazioni: Infine, una raccomandazione generica ma essenziale: il debitore deve tenere in ordine i libri contabili e sociali, registrare tutti i movimenti di denaro, non fare “nero” durante le trattative. Spesso le sorti di una difesa in tribunale si giocano su dettagli formali: ad esempio, l’amministratore che ha tenuto una contabilità aggiornata e consegna al curatore libri in ordine non rischia l’incriminazione per bancarotta semplice (che ancora esiste per irregolarità contabili); viceversa chi ha tenuto la contabilità caotica crea sospetto e può perdere i benefici. Quindi, anche se la tentazione in crisi è di lasciar perdere la burocrazia, bisogna invece curarla doppiamente: fatturare regolarmente anche se poi non pagherai l’IVA (è meglio che omettere fatture; l’IVA la stralcerai col piano semmai). Conservare le email e lettere con i creditori (possono servire a provare che li hai informati, ecc.). In poche parole, disciplina e trasparenza sono la migliore difesa a lungo termine.
Seguendo questi lineamenti, l’azienda debitrice massimizza le possibilità di limitare i danni e, nei casi auspicabili, di tornare in bonis. Nel prossimo capitolo illustreremo alcuni scenari concreti sotto forma di simulazioni pratiche, per vedere come quanto esposto si traduce in decisioni e risultati reali. Successivamente affronteremo le FAQ (domande frequenti) che spesso emergono da parte di imprenditori e garanti in queste situazioni. Infine, forniremo un prospetto finale riepilogativo in tabelle per fissare i punti salienti.
Esempi Pratici e Simulazioni (Case Study Italia)
Per rendere più concreto quanto finora spiegato in via teorica, presentiamo di seguito due casi pratici ipotetici riguardanti aziende di cablaggi industriali indebitate, con differenti circostanze, e analizziamo quali scelte fanno e con quali esiti. I nomi e i dati sono di fantasia, ma plausibili e ispirati a situazioni reali osservate.
Caso 1: S.r.l. di Cablaggi “TechWires” – Risanamento in Continuità tramite Concordato
Profilo: TechWires S.r.l. è un’azienda (società a responsabilità limitata) con 25 dipendenti, specializzata in cablaggi per macchinari industriali. Negli ultimi 2 anni ha accumulato debiti bancari per finanziamenti e leasing di nuovi macchinari (~€800.000), debiti verso fornitori di materie prime (~€400.000) e debiti fiscali (IVA e INPS) per €300.000. Totale esposizione ~€1,5 milioni. Le cause della crisi: un importante cliente estero non ha pagato ordini per €500.000 a causa di sue vicissitudini (creando un buco di liquidità), inoltre l’azienda aveva investito in nuovi impianti contando su ricavi che non si sono materializzati per il rallentamento del settore. TechWires ha comunque molti ordini in portafoglio per l’anno prossimo, con margini discreti: l’attività di base è profittevole, il problema sono i debiti pregressi. I soci (due fratelli) hanno esaurito le riserve personali già immettendo €100k l’anno scorso. I creditori hanno iniziato a muoversi: una banca ha classificato la società a sofferenza e minaccia l’escussione di ipoteca su il capannone; alcuni fornitori hanno ottenuto decreti ingiuntivi (non ancora eseguiti) e uno ha pignorato il conto (bloccando €50k); l’Agenzia Entrate Riscossione ha iscritto ipoteca legale sul capannone per €150k di cartelle. I dipendenti sono pagati con qualche ritardo ma al momento regolari, anche grazie a un fido di c/c (ora congelato per il pignoramento). TechWires rischia il collasso operativo a breve per mancanza di accesso al conto e possibile azione della banca ipotecaria. Tuttavia, possiede un capannone del valore stimato €600k (libero da ipoteche eccetto quella fiscale) e macchinari del valore €400k; ha crediti verso clienti (tranne il insolvente) per €200k. Il fatturato previsto anno prossimo è €2 milioni con utile operativo 5%.
Azione intrapresa: I soci, assistiti da un consulente di crisi, decidono che l’azienda è salvabile se si riduce il debito a livelli sostenibili e si dilaziona. Optano per un concordato preventivo in continuità. Innanzitutto, depositano ricorso per concordato “in bianco” presso il Tribunale locale prima che qualche creditore presenti istanza di fallimento. Il tribunale concede subito misure protettive per 120 giorni e nomina un commissario giudiziale provvisorio. Ciò blocca i pignoramenti in corso (il conto pignorato viene sbloccato perché la procedura concorsuale prevale ) e impedisce alla banca ipotecaria di iniziare esecuzione sull’immobile . In quell’arco di tempo, TechWires – con l’aiuto di un attestatore indipendente – predispone un piano di concordato: prevede di continuare l’attività, utilizzando l’utile futuro per pagare i creditori nell’arco di 5 anni. In dettaglio, i crediti privilegiati (banca ipotecaria, Fisco per IVA) saranno soddisfatti al 100% ma dilazionati su 5 anni; i creditori chirografari (fornitori, banca scoperta per parte non garantita) riceveranno il 30% del loro credito in 5 anni (6% annuo) . Per rendere credibile ciò, i soci offrono anche la vendita di un terreno non utilizzato di proprietà della società, stimato €100k: il ricavato sarà destinato integralmente ai creditori chirografari, aumentando la percentuale. Il piano prevede che l’azienda, liberata dal peso degli interessi e con il portafoglio ordini attuale, possa generare circa €150k l’anno di flusso di cassa, di cui €100k destinabili ai creditori concorsuali e €50k reinvestiti in circolante. Il valore di liquidazione stimato dal perito, in caso di fallimento, è che i chirografari prenderebbero circa 10% (perché il capannone e i macchinari venduti forzatamente coprirebbero giusto i privilegiati). Dunque l’offerta 30% è molto più conveniente . Il piano ottempera anche agli obblighi verso dipendenti: prevede di pagare regolarmente gli stipendi in prededuzione e lascia intatti TFR e ultimi 3 mesi (privilegiati al 100%).
Il tribunale ammette TechWires al concordato e fissa l’adunanza dei creditori. Nel frattempo, col consenso del commissario, l’azienda ricorre a factoring pro soluto su alcuni crediti futuri, ottenendo liquidità immediata di €100k da usare come capitale circolante per continuare a produrre gli ordini. Viene anche chiesto e ottenuto dal tribunale di contrarre un piccolo finanziamento prededucibile (€50k) da un confidi regionale, garantito in parte dal Fondo PMI, per pagare materie prime essenziali (il giudice autorizza reputando che ciò migliora le prospettive del piano). I fornitori ricominciano a consegnare materiali, rassicurati dalla procedura in corso e dalla protezione legale (oltre che dalla prospettiva di essere soddisfatti pro-quota col concordato invece di rischiare il fallimento).
All’adunanza dei creditori, il piano di TechWires ottiene ampio consenso: la banca ipotecaria vota a favore (preferisce prendere 100% in 5 anni che far liquidare e forse non coprire interamente il mutuo), l’Agenzia delle Entrate (classe privilegiati) vota a favore della transazione fiscale proposta (100% imposte, falcidia di interessi e sanzioni) – in realtà per legge il suo voto se negativo potrebbe essere superato, ma qui, visto che prende integrale imposta, esprime parere positivo . I fornitori chirografari: circa il 70% in valore vota sì (molti ragionano che 30% su 400k = 120k è meglio di forse 0 in fallimento). Un 30% di chirografi (inclusi un paio di creditori litigiosi) vota no, contestando che il 30% sia troppo poco. Tuttavia, essendo raggiunto il 70% di consensi, la classe chirografi approva validamente. Inoltre, il tribunale valuta comunque la loro posizione e rileva che il piano rispetta la regola di absolute priority (i soci non mantengono nulla senza pagare i creditori, infatti i soci non prelevano utili per 5 anni e l’eventuale valore residuo dell’azienda dopo il piano andrà a loro solo dopo aver soddisfatto il 30% ai creditori, che è più di quanto avrebbero preso in liquidation) . Dunque, le opposizioni dei dissenzienti vengono respinte. Grazie anche all’introduzione normativa del cram down fiscale, eventuali creditori pubblici dissenzienti non potevano bloccare perché il trattamento è fair .
Il concordato viene omologato dal Tribunale. TechWires esegue fedelmente il piano nei 5 anni seguenti: i creditori privilegiati vengono pagati trimestralmente con interessi legali, e ai chirografari vengono versate rate semestrali che alla fine totalizzano il 30% nominale (grazie anche ai €100k ricavati dalla vendita del terreno, che sono stati subito distribuiti dando un acconto ~8% ai chirografi all’inizio del piano, mostrando buona fede). L’attività aziendale nel frattempo prospera: sbloccata dalla zavorra del debito e dalla paura di esecuzioni, TechWires riesce anche ad acquisire nuovi clienti. Anzi, al quarto anno, i soci riescono a trovare un investitore interessato a entrare in società: costui rileva una quota di minoranza immettendo capitali freschi con cui l’azienda anticipa il pagamento dell’ultima rata ai creditori chiudendo il concordato con mesi di anticipo. I creditori chirografari, che inizialmente mugugnavano, alla fine hanno incassato il 30% effettivo – meglio di un fallimento in cui avrebbero forse preso 5-10% dopo molti anni. I soci hanno diluito la loro partecipazione con l’ingresso dell’investitore, ma mantengono il controllo e ora l’azienda è risanata e competitiva.
Esito: Concordato in continuità riuscito. L’azienda è salva, i debiti ridotti e sostenibili, nessuna procedura fallimentare. Gli amministratori non subiscono azioni di responsabilità (i creditori hanno rinunciato nei voti accettando il piano). Le fideiussioni personali che i due soci avevano verso la banca ipotecaria decadono perché il debito è stato pagato integralmente; le altre garanzie personali (verso fornitori) vengono esdebitate di fatto perché quei creditori hanno accettato il 30% come soddisfo e non possono pretendere il resto da garanti (nel concordato, la liberazione del debitore principale non libera i garanti salvo patto, ma in molti casi si pattuisce nel piano che i creditori rinuncino ad azioni di regresso verso i soci garanti in cambio della percentuale – ipotizziamo qui sia stato fatto). Dunque i soci evitano anche il default personale.
Questo caso illustra come, quando esiste capacità industriale e prospettive di reddito, il concordato preventivo sia una via efficace per difendersi dai debiti: taglia una parte dei crediti (in questo caso i fornitori hanno perso il 70% del loro avere, ma in alternativa avrebbero perso forse 90% in fallimento), diluisce il resto, e consente all’impresa di andare avanti. Si noti l’importanza della finanza esterna (l’investitore entrato, la vendita del terreno) per rendere il piano più appetibile e magari superare la soglia minima a chirografi . Fondamentale è stata anche la tempestività: TechWires ha attivato il concordato prima che il pignoramento del conto portasse alla paralisi irreversibile (se avessero tardato, magari non avrebbero pagato stipendi e perso la forza lavoro).
Caso 2: Ditta Individuale “AlfaCablaggi” – Sovraindebitamento e Liquidazione del Patrimonio
Profilo: AlfaCablaggi è un’impresa artigiana individuale (titolare il sig. Rossi) con 5 dipendenti, operante come fornitore locale di cablaggi su misura. Negli ultimi anni, complici la pandemia e rincari materiali, ha accumulato debiti: €50.000 con banca per fido di c/c e prestito artigiano, €70.000 con fornitori vari, €30.000 di affitti arretrati del capannone, e circa €40.000 tra debiti verso l’Erario (IVA non versata) e INPS. Totale ~€190.000. L’attività purtroppo è ora in forte calo di commesse, complice l’uscita dal mercato di alcuni clienti e la concorrenza. AlfaCablaggi nel 2024 ha fatturato solo €100k con una perdita operativa. Il titolare 60enne, prossimo alla pensione, si è convinto che non valga la pena proseguire: intende chiudere l’attività e cercare di risolvere i debiti, magari vendendo i macchinari e la piccola attrezzatura. Possiede personalmente (come persona fisica) la casa di residenza e un’automobile; non vuole rischiare che la casa venga pignorata, anche se su di essa al momento non gravano ipoteche (AER non l’ha iscritta perché il debito fiscale è modesto). I creditori iniziano a muoversi: il locatore del capannone ha avviato sfratto per morosità e minaccia decreto ingiuntivo per affitti; un paio di fornitori hanno fatto decreto ingiuntivo; la banca ha revocato il fido e chiesto rientro immediato pena segnalazione. Rossi capisce di essere insolvente (non ha risorse per soddisfare tutti). Tuttavia, stima che vendendo i macchinari (vecchi) potrebbe ricavare forse €20k; liquidando il magazzino materiali altri €10k; e c’è un furgone aziendale che vale €5k. Totale attivo liquidabile circa €35k. Con €190k di debiti, ciò significa creditori al 18% se andasse tutto liscio. La casa di abitazione lui vorrebbe tenerla (vale €150k, ma c’è un mutuo residuo di €50k su di essa che sta pagando regolarmente; per fortuna la legge vieta esproprio prima casa prima di €120k debito fiscale, e qui è €40k col fisco per ora). In più, Rossi a 60 anni potrà tra 2 anni andare in pensione con ~€1.000/mese: teme che i creditori possano pignorargli parte della pensione se i debiti restano.
Azione intrapresa: Rossi si rivolge all’OCC locale per una procedura di sovraindebitamento. Valutano le opzioni: un concordato minore o un piano del consumatore? Poiché Rossi è imprenditore (ancorché cessando), e i debiti sono in larga parte professionali (fornitori, banca per attività), non è un “consumatore” puro. Inoltre, il piano offrirebbe solo 18% (35k su 190k) ai chirografari – è sotto la soglia 20% un tempo richiesta per concordati liquidatori, ma nelle procedure minori non c’è soglia rigida, dipende dal voto. Comunque, convincere i fornitori a votare sì per 18% può essere arduo, a meno di far leva sul fatto che il fallimento neanche è possibile (ditta sotto soglia, quindi o accettano o non vedranno nulla). Rossi tuttavia preferisce una soluzione più rapida e definitiva: opta per la Liquidazione Controllata del patrimonio. In questo modo, affida a un liquidatore OCC la vendita dei beni e, soprattutto, in 3 anni sarà libero dai debiti residui automaticamente . Questa scelta è quasi obbligata perché l’attività non è più redditizia, quindi un piano di rientro non sarebbe sostenibile (non avrebbe entrate per pagare rate di concordato).
Avviata la procedura di Liquidazione, il Tribunale apre la procedura nominando un Gestore (che agisce come curatore). Viene messo in atto subito un provvedimento di sospensione di eventuali esecuzioni (anche se i creditori non potevano chiederne di concorsuali, potevano individualmente attaccare i beni: ora confluisce tutto nella liquidazione). Il gestore inventaria i beni: macchinari, furgone, rimanenze, e anche verifica se la casa di Rossi è “eccedente” rispetto alle esigenze abitative modeste. Trattandosi di unico immobile di residenza non di lusso, e con un mutuo pendente, in base alla legge generalmente si cerca di non liquidare la prima casa in queste procedure (non è un automatismo, ma il giudice può tenere conto della tutela familiare). Qui ipotizziamo che la casa non venga toccata, anche perché vendendola e togliendo il mutuo, resterebbe poco ai chirografari e si priverebbe il debitore ultrasessantenne del tetto. Dunque si decide di non liquidare la prima casa, con il consenso dei creditori privilegiati (la banca mutuo casa preferisce continuare a incassare le rate). Il liquidatore invece vende i macchinari e attrezzature tramite asta online, ricavando €22.000 (un po’ più del previsto, bene). Vende poi il furgone per €5.000. Le rimanenze di magazzino vengono cedute a una ditta concorrente per €8.000. Inoltre raccoglie i crediti residui dell’impresa (c’erano piccoli crediti per €4k, incassati). Fa anche causa a un cliente insolvente per €3k ottenendo un pagamento transattivo di €1.5k. Alla fine, dispone di circa €36.500 in cassa. Le spese procedurali e compenso OCC ammontano a €6.500. Restano €30.000 netti da distribuire ai creditori concorsuali. In ordine: l’INPS e dipendenti (privilegiati) prendono ad esempio €5.000 (100% dei loro crediti privilegiati se erano modesti; qui c’erano 1-2 stipendi arretrati e qualche contributo). L’Erario (IVA) come creditore privilegiato di grado inferiore prende magari €3.000 su €10.000 (facciamo 30%). I chirografari (fornitori, locatore, banca per la parte scoperta) ricevono il riparto pro-quota del restante (€22.000) che su €150.000 totali fa circa il 14.6%. Non granché, ma sanno che in assenza di fallibilità quella è l’unica soddisfazione possibile.
Trascorrono 3 anni dall’apertura della Liquidazione Controllata. Rossi ha rispettato gli obblighi: ha consegnato i beni, ha collaborato in tutto, e ha destinato ai creditori anche eventuali bonus (in realtà l’attività era cessata subito, è andato in pensione dopo 2 anni, la pensione minima per legge è impignorabile in parte, comunque i creditori su redditi post liq. non potevano più agire). A questo punto, la procedura viene chiusa e il Giudice emette l’esdebitazione di Rossi automaticamente, liberandolo da tutti i debiti residui non soddisfatti . Ciò include i circa €160k rimasti scoperti. I creditori non possono più pretendere nulla da lui (a parte il mutuo casa che continua regolarmente, ma quello non era concorsuale essendo garantito su casa esclusa, e prosegue separatamente).
Rossi, ormai 63enne, si è difeso da una vita di debiti: ha perso i beni aziendali, ma ha salvato la prima casa e la pensione futura. I creditori, per quanto scontenti, non avrebbero potuto ottenere di più (non potevano nemmeno farlo fallire perché era “non fallibile”, quindi avrebbero speso in cause per pignorargli magari il furgone e poco altro). Così invece hanno ricevuto un 15% in tempi brevi e hanno chiuso la partita. Anche il locatore ha potuto riavere il capannone libero e ha potuto ricollocarlo. Rossi magari integrerà la pensione con un lavoretto, senza l’assillo di vederselo pignorare per vecchi debiti – potrà ripartire con dignità.
Esito: Liquidazione sovraindebitamento con esdebitazione. Il debitore persona fisica è stato sollevato dai suoi debiti in pochi anni, evitando aggressioni alla casa grazie alla normativa protettiva (questo non sempre è garantito, ma qui plausibile). Questa via è stata preferibile a tentare un piano con creditori, perché l’attività non produceva abbastanza: un piano del consumatore avrebbe chiesto comunque pagamenti mensili per 4-5 anni, ma Rossi non aveva reddito per farli finché non prendeva la pensione. Inoltre, alcuni debiti erano d’impresa, quindi era discussa la meritevolezza – però nota: se avesse potuto, avrebbe potuto fare piano del consumatore includendo i debiti d’impresa cessata , ma avrebbe dovuto offrire qualcosa sui 5 anni (magari la pensione futura), cosa che preferiva non ipotecare. Con la liquidazione, ha invece “pagato il possibile subito” e stop.
Questi due esempi mostrano come le strategie differiscono a seconda della situazione aziendale: TechWires aveva prospettive e ha combattuto per continuare, utilizzando il concordato preventivo come scudo per risanare; AlfaCablaggi era al capolinea e ha scelto di liquidare ordinatamente con gli strumenti per sovraindebitati, ottenendo comunque protezione personale. In entrambi i casi, l’applicazione pronta delle procedure previste dal Codice ha consentito di evitare scenari peggiori: la prima azienda ha evitato il fallimento e salvato posti di lavoro, la seconda ha evitato di venire esposta a esecuzioni infinite e di rovinare la vecchiaia del titolare, il tutto senza violare la legge (anzi, con l’ausilio della legge).
Domande Frequenti (FAQ)
Di seguito riportiamo una serie di domande comuni che sorgono tra imprenditori indebitati e debitori in generale, seguite da risposte sintetiche che chiariscono i dubbi, facendo riferimento a quanto esposto nella guida:
D: La mia azienda ha troppi debiti e temo il fallimento: come faccio a sapere se è meglio tentare un risanamento o arrendermi e chiudere?
R: Bisogna valutare oggettivamente la continuità aziendale: se l’impresa ha ancora un mercato, prodotti validi e prospettive di profitto futuro una volta alleviata dai debiti, vale la pena tentare la ristrutturazione (es. concordato in continuità, accordo di ristrutturazione) . Se invece il modello di business non è più sostenibile, trascinare l’attività peggiorerebbe solo il dissesto – in tal caso è più saggio optare per una procedura liquidatoria (concordato liquidatorio o liquidazione controllata) in modo da limitare le perdite e ottenere l’esdebitazione. Gli indicatori da guardare sono: EBITDA prospettico positivo o negativo? Portafoglio ordini sufficiente? Accesso a nuova finanza/investitori? Se tutto è negativo, probabilmente la via è la liquidazione.
D: Che differenza c’è tra il concordato preventivo e l’accordo di ristrutturazione dei debiti?
R: Entrambi sono strumenti concorsuali per evitare il fallimento, ma differiscono soprattutto nel coinvolgimento dei creditori: nel concordato tutti i creditori vengono chiamati a votare la proposta e, se approvata a maggioranza ed omologata, essa vincola tutti i creditori anteriori (anche i dissenzienti) . Serve però preparare un piano dettagliato e seguire una procedura più formalizzata (commissario, adunanza). Nell’accordo di ristrutturazione (ARD), invece, il debitore deve ottenere l’adesione contrattuale di creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti , dopodiché chiede al tribunale l’omologazione: l’accordo vincola solo i creditori aderenti (per gli estranei occorre pagarli integralmente, salvo eventuale cram down fiscale parziale ammesso per Fisco/INPS) . Quindi l’ARD è più rapido ma richiede consenso quasi totale (o la capacità di saldare i non aderenti); il concordato è più lungo ma consente di imporre sacrifici a tutti i creditori con il meccanismo del voto a maggioranza.
D: Ho debiti con l’Agenzia delle Entrate e l’INPS: è vero che non si possono ridurre e devo pagarli sempre per intero?
R: No, non è vero. Un tempo i crediti fiscali e contributivi erano “intoccabili” fuori dai casi espressamente previsti (la transazione fiscale prevista dall’art. 182-ter L.F. richiedeva l’assenso degli enti e non permetteva di falcidiare IVA o ritenute). Oggi invece, grazie al Codice della Crisi, è possibile ridurre anche i debiti tributari e contributivi all’interno di una procedura concorsuale: presentando una proposta di transazione fiscale nell’accordo di ristrutturazione o nel concordato, il debitore può offrire il pagamento parziale delle imposte (anche IVA) e contributi, falciando interessi e sanzioni . Se il Fisco o l’INPS rifiutano senza motivo e la proposta conviene comunque di più del fallimento, il tribunale può omologare il piano lo stesso (cram down fiscale) . Ad esempio, nel concordato un debito IVA di €100k potrebbe essere ridotto pagando €50k (50%) se questo soddisfa le condizioni di legge . Fuori dalle procedure, resta invece valida la regola che l’Amministrazione Finanziaria non può autonomamente “remittere” imposta: bisogna ricorrere alle definizioni agevolate (rottamazioni) o alle rateazioni (che però non riducono il dovuto, lo dilazionano e sospendono esecuzioni ).
D: Cos’è esattamente la “Composizione Negoziata della crisi”? Devo essere insolvente per accederVi?
R: La Composizione Negoziata è una procedura volontaria, riservata e non giudiziale in cui l’imprenditore e i creditori tentano di negoziare una soluzione con l’assistenza di un esperto indipendente nominato dalla Camera di Commercio . Non serve essere formalmente insolvente; anzi, è pensata per intervenire prima che l’insolvenza conclamata si manifesti. Il requisito (dopo il correttivo 2024) è trovarsi in condizioni di squilibrio finanziario o crisi probabile, anche se già insolvente la legge ora lo consente , purché vi sia una ragionevole prospettiva di risanamento. Durante la Composizione Negoziata si può ottenere dal tribunale la sospensione delle azioni esecutive e delle istanze di fallimento (misure protettive) , così da avere una “tregua” per trattare con banche, fornitori, Fisco, ecc. con l’aiuto dell’esperto. Non è una procedura concorsuale vera e propria: non c’è voto dei creditori o omologazione, se non nell’eventuale accordo finale privato o se si sfocia poi in un concordato. Quindi anche un imprenditore non insolvente può usarla – anzi, è auspicabile farlo prima di diventare insolvente (ad esempio, per rinegoziare debiti bancari incagliati) . Se l’impresa è già insolvente ma si può salvare, si tenta comunque: al peggio, se le trattative falliscono, c’è la via d’uscita del concordato semplificato (liquidatorio) .
D: Quali vantaggi concreti ha aprire una procedura di concordato invece di lasciare che i creditori mi facciano fallire?
R: Innanzitutto, col concordato rimani protagonista e hai possibilità di modellare un piano che massimizzi il valore dell’impresa (nell’interesse anche tuo). Alcuni vantaggi concreti: (a) blocca subito le azioni esecutive individuali e i pignoramenti (automatic stay) , dando respiro e preservando l’integrità del patrimonio (nel fallimento i beni sono ugualmente bloccati ma finalizzati alla liquidazione, non al risanamento); (b) consente di ottenere nuova finanza in prededuzione (i finanziatori durante concordato sono incentivati perché saranno rimborsati prima degli altri creditori, cosa impossibile in caso di fallimento imminente) ; (c) permette di trattare i creditori in modo differenziato per classi, rispettando le prelazioni ma ad esempio salvaguardando rapporti strategici (puoi proporre di pagare fornitori essenziali in percentuale più alta in continuità) ; (d) evita le penalità personali del fallimento: in concordato l’imprenditore non subisce interdizioni legali (nel fallimento, ad esempio, c’è l’incapacità per qualche tempo di esercitare attività d’impresa, l’interdizione dai pubblici uffici finché dura la procedura, ecc., molte attenuate ma alcune restano). Inoltre il concordato è meno stigmatizzante: è pubblicamente un percorso volontario di ristrutturazione, non una “sentenza di fallimento” (questo anche per la reputazione con clienti e fornitori può essere meglio accetto) . Da ultimo, l’esdebitazione del debitore persona fisica dopo concordato è immediata per i crediti inclusi (mentre nel fallimento devi attendere la fine e fare istanza) – di fatto, con l’omologa del concordato i debiti concorsuali sono sostituiti dalle obbligazioni del piano e quelli non soddisfatti vengono stralciati. Insomma, col concordato hai più controllo sull’esito: ad esempio, puoi decidere di salvare l’azienda vendendola a un investitore nel piano (concordato con continuità indiretta), mentre nel fallimento deciderà il curatore a quali condizioni vendere (tu non conti).
D: Se apro una procedura di crisi, la notizia diventa pubblica? I miei clienti lo verranno a sapere e potrei perdere commesse?
R: Dipende dallo strumento. Alcuni, come la Composizione Negoziata, sono inizialmente riservati: la domanda e la nomina dell’esperto non sono pubbliche a registro imprese se non chiedi misure protettive (quindi puoi tentare trattative confidenziali) . Se però chiedi la sospensione generale delle azioni, quel decreto viene iscritto nel registro e reso noto ai creditori (perché devono saperlo) . Il concordato preventivo, dal momento del deposito del ricorso “in bianco”, viene annotato al Registro delle Imprese e quindi è pubblicamente visibile (e di solito esce anche sui bollettini dei tribunali): i tuoi partner contrattuali lo scopriranno abbastanza presto. Tuttavia, oggi c’è meno stigma: molte imprese, anche grandi, ricorrono a concordati e proseguono l’attività . Ciò può comunque preoccupare i tuoi clienti/fornitori: sta a te gestire la comunicazione, spiegando che è un percorso per ristrutturare e migliorare la solidità aziendale (magari fornendo rassicurazioni che evaderai comunque gli ordini, ecc.). Legalmente, i contratti in corso non si risolvono automaticamente per l’apertura del concordato (clausole di risoluzione per fallimento non si applicano al concordato in continuità, e il codice vieta che si risolvano contratti solo per l’avvio della procedura concorsuale) . Quindi un cliente non può annullare un ordine solo perché sei in concordato – se lo facesse senza motivo specifico, sarebbe inadempiente lui. Molte aziende in concordato continuano a fornire beni/servizi: anzi la legge tutela la continuità dei contratti pendenti, che proseguono (salvo facoltà del debitore di sciogliersi se sono onerosi, con autorizzazione) . In sintesi: sì, una procedura concorsuale è pubblica (per trasparenza verso creditori), ma ciò non significa fine dei rapporti commerciali – se spieghi e garantisci performance, i partner possono restare.
D: Cosa succede ai debiti verso i fornitori piccoli o i creditori che non votano nei concordati?
R: Se il concordato è omologato, tutti i crediti anteriori rimangono vincolati dalle previsioni del piano . Quindi anche i creditori che non hanno partecipato al voto o che hanno votato contro, sono obbligati a subire la stessa % o lo stesso trattamento previsto (purché non inferiore a quello che gli spetterebbe, si chiama principio di par condicio all’interno della classe). Ad esempio, se offri 30% ai chirografari e Caio, creditore chirografo di piccola entità, non presenta neppure la scheda di voto, comunque riceverà 30% e non potrà pretendere di più. I creditori “estranei” esistono solo negli accordi di ristrutturazione (dove chi non firma deve essere pagato fuori dall’accordo) , ma nel concordato tutti i creditori antecedenti all’apertura sono inclusi d’ufficio. Chi è escluso dal voto (es. un creditore privilegiato integrale che viene pagato al 100%) viene comunque soddisfatto come da piano e non può agire diversamente. Una eccezione: i garanti e coobbligati del debitore non sono liberati dall’omologa (art. 2858 c.c.); dunque, se non diversamente concordato, un fornitore a cui tu devi 100 e gliene paghi 30 in concordato, potrebbe legalmente provare a chiedere il restante 70 ad un fideiussore o coobbligato (es. tua società controllante garante). Spesso però nei piani si prevede la liberazione dei fideiussori (ottenendo il voto favorevole di quel creditore), oppure il garante stesso entra in sovraindebitamento per liberarsi. Quindi bisogna fare attenzione ai debiti garantiti personalmente: il concordato dell’azienda non estingue le garanzie a meno che il creditore rinunci o che anche il garante sia nella procedura . Ad esempio, le banche in concordato spesso mantengono azioni contro i fideiussori per la parte non pagata, a meno di accordi.
D: Se la mia S.r.l. va in liquidazione giudiziale (fallimento), io come amministratore o socio rischio di dover pagare qualcosa di persona?
R: Come socio di S.r.l., no per i debiti sociali in sé (salvo versamenti dovuti sul capitale sociale non ancora effettuati). La tua responsabilità è limitata alle quote, quindi i creditori sociali non possono aggredire il tuo patrimonio solo in quanto socio. Tuttavia, come amministratore, potresti essere ritenuto responsabile per danni causati alla società o ai creditori se hai violato i doveri gestori: tipicamente, aver aggravato il dissesto continuando l’attività in stato di insolvenza senza prospettive. L’azione di responsabilità da parte del curatore (ex art. 2486 c.c. e 146 L.F.) è comune: si quantifica il danno confrontando il patrimonio netto all’emersione della causa di scioglimento e quello a inizio fallimento ; la differenza, presunta dovuta alla gestione illegittima nel frattempo, viene chiesta agli amministratori . Ciò significa che potresti dover risarcire di tasca tua se hai ritardato la dichiarazione di insolvenza e nel frattempo i debiti sono aumentati o i beni diminuiti. Inoltre, se hai compiuto atti distrattivi (es. prelevato cassa società senza giustificazione, venduto beni sottocosto a terzi), rischi l’azione di responsabilità o la revocatoria o perfino sanzioni penali per bancarotta fraudolenta. In concreto, la Cassazione ha sancito che l’art. 2486 c.c. (come riformato) si applica con criteri presuntivi di danno e anche in procedimenti in corso , quindi la soglia di rischio per l’amministratore è alta. In un concordato, invece, normalmente i creditori rinunciano a tali azioni una volta soddisfatti secondo il piano. Quindi, attenzione: fallimento della S.r.l. non ti fa pagare i debiti sociali come tali, ma potresti pagare i danni se viene accertata mala gestio. Come socio, un caso in cui potresti essere chiamato è se hai ricevuto prestiti o utili indebiti (es. ripianamenti informali poi prelevati prima del fallimento): il curatore può agire per far restituire quelle somme come postergate o dichiarare nulli i rimborsi soci (art. 2467 c.c.). Altro rischio per soci: se la società era sottocapitalizzata in modo colposo, a certe condizioni la giurisprudenza ha tentato di farli rispondere (azione da “diretto da tergo”), ma non è la regola generale. Infine, se hai firmato fideiussioni personali, la procedura sociale non ti protegge: la banca potrà escutere te come garante anche durante o dopo il fallimento (a meno che la banca stessa decida di falcidiare il credito in concordato – ma in fallimento sicuramente ti inseguirà). Dunque valuta anche la tua esposizione da garante e usa, se del caso, le procedure di sovraindebitamento personali per liberartene in parallelo.
D: Si parla di esdebitazione: davvero posso ottenere la cancellazione totale dei miei debiti? Come e in quali casi?
R: Sì, l’esdebitazione è l’obiettivo finale delle procedure concorsuali per il debitore onesto. Nel caso delle società, la questione non si pone perché la società cessa di esistere dopo la liquidazione, quindi i debiti insoddisfatti restano senza soggetto debitore. Ma per le persone fisiche (imprenditori individuali, soci illimitatamente responsabili, persone coobbligate, consumatori) è fondamentale. Ci sono vari meccanismi: nella liquidazione controllata sovraindebitati l’esdebitazione scatta automaticamente dopo 3 anni ; nel fallimento (liquidazione giudiziale) va richiesta al giudice a fine procedura ed è concessa se hai cooperato e non hai commesso irregolarità gravi (oggi è molto frequente ottenerla) ; nel concordato preventivo, se esegui correttamente il piano, i crediti rimasti sono già stralciati per effetto dell’omologazione (il decreto di omologa fa stato per tutti i crediti anteriori: ciò che non è previsto da piano è inesigibile) . Inoltre, il Codice ha introdotto l’esdebitazione del debitore incapiente : se sei persona fisica, sovraindebitato, senza patrimonio né redditi pignorabili, e hai agito onestamente, puoi chiedere al giudice la cancellazione di tutti i debiti senza dare nulla in cambio. Una sorta di “grazia” per casi disperati: la legge consente di farlo una sola volta e poi per 4 anni se ti arriva un reddito sufficiente devi segnalarlo ai creditori . Questa misura è estrema ma esiste. In sintesi, oggi l’ordinamento italiano – recependo la direttiva europea – ti assicura che, dopo aver messo a disposizione ciò che ragionevolmente potevi (o anche nulla se proprio non avevi nulla), i debiti pregressi vengono cancellati e puoi ripartire da zero . Ciò per gli imprenditori onesti è un enorme sollievo: niente più ergastolo dei debiti. Bisogna però seguire le procedure: non c’è esdebitazione se non passi per un concordato/accordo/liquidazione concorsuale. Ad esempio, se lasci che i creditori ti pignorino a vita stipendio e pensione, continuerai a doverli sino a capienza; se invece fai un piano del consumatore o una liquidazione, alla fine il giudice cancella il residuo. L’esdebitazione fallimentare non copre debiti di mantenimento, alimenti, multe penali e specifici debiti fiscali per sanzioni (alcune eccezioni), ma il grosso sì. Dalla recente giurisprudenza, nota: se il tuo fallimento è iniziato con la vecchia legge, si applica quella per l’esdebitazione (non automatica, va chiesta; la Cass. 14835/2025 l’ha chiarito ). Con il CCII è quasi di diritto salvo malafede.
D: Ho dato fideiussioni personali per i debiti della mia società: se fallisce la società, io come privato resto rovinato?
R: Le fideiussioni sono impegni personali: il fallimento della società non le estingue, anzi spesso la banca escute subito il fideiussore appena la società non paga. Quindi sì, rischi di dover pagare tu tutti i debiti garantiti. Tuttavia, anche per te come individuo valgono le tutele sovraindebitamento/esdebitazione: potrai attivare una delle procedure per liberarti. Ad esempio, se la società va in liquidazione giudiziale e tu vieni condannato a pagare dalla banca, potresti presentare un piano di ristrutturazione del consumatore includendo quel debito (ormai tuo) e gli altri personali, proponendo di pagarne una parte secondo le tue possibilità e far cancellare il resto . Oppure se sei coobbligato e la somma è grande, una liquidazione controllata del tuo patrimonio potrà chiudere la partita in 3 anni con esdebitazione. Nota bene: alcune banche inseriscono nelle fideiussioni clausole per cui il fideiussore rinuncia ai benefici della futura esdebitazione del debitore principale – ma la tua eventuale esdebitazione personale non può essere contrattualmente esclusa, quindi puoi avvalertene. L’importante è muoversi coordinati: se la tua società fa concordato con falcidia ai creditori, cerca di negoziare con la banca la liberazione del fideiussore in cambio di una percentuale magari leggermente più alta (spesso concordano: prendono il 30% dalla società e liberano i garanti, così evitano contenziosi). Se ciò non accade, preparati a usare la legge 3/2012/CCII per te stesso. Caso tipico: garante di leasing o mutuo: se la società lascia insoluto, la banca verrà su di te – magari potrai rateizzare o transare, ma se le cifre superano il tuo patrimonio, considera la procedura di composizione per evitare che ti portino via casa o stipendio a vita. Infine, se sei socio illimitatamente responsabile (snc, sas accomandatario), il tuo caso è equiparato: tu fallisci insieme alla società, però puoi poi chiedere l’esdebitazione anche per te (col CCII, esdebitazione unica con la chiusura). Quindi sì, c’è rischio rovina se non fai nulla, ma le soluzioni ci sono per salvare il salvabile e ripartire pulito.
D: Quanto costa e quanto dura una procedura concorsuale?
R: I costi variano secondo la complessità e dimensione. Nel concordato preventivo, devi considerare: il compenso dell’attestatore (professionista che assevera il piano) – a seconda di mole di lavoro può essere qualche migliaio di euro fino a decine di migliaia per aziende grandi; il commissario giudiziale e gli organi (liquidatore in caso di concordato liquidatorio) – questi compensi sono stabiliti dal tribunale a fine procedura in base percentuale sull’attivo/passivo (simili tariffe a quelle fallimentari, possono essere un 2-5% dell’attivo liquidato, decrescente). Poi le spese legali per l’assistenza dell’avvocato, le spese vive di pubblicazioni, bolli, ecc. Spesso per PMI i costi totali del concordato arrivano a qualche punto percentuale del passivo. Esempio: passivo €1 milione, costo totale forse €50-70k tra tutto. Non poco, ma se tagli centinaia di migliaia di debiti è sostenibile; inoltre in piano si conteggiano come prededuzione (si pagano prima di soddisfare i creditori). La Composizione Negoziata è meno onerosa: l’esperto ha tariffe più basse predefinite (spesso finanziate in parte da Camere di Commercio) e non c’è tribunale salvo misure protettive. Le procedure sovraindebitamento hanno costi inferiori perché valori minori: il gestore OCC spesso prende compensi di pochi migliaia di euro, anch’essi prededucibili. Sulla durata: un concordato preventivo giudiziale tipicamente dura 6-12 mesi per arrivare all’omologa (dipende dal numero creditori e eventuali opposizioni). Poi l’esecuzione del piano può durare anni (5 anni spesso). L’accordo di ristrutturazione può essere omologato più velocemente (anche in 4-6 mesi) se i creditori aderiscono in fretta. Il fallimento (liquidazione giud.) dura in media 5-7 anni, ma il CCII punta a velocizzare (liquidazione controllata sovraind. max 3 anni , fallimenti semplici anche in 2-3 anni). Composizione Negoziata dura al massimo 6+6 mesi (massimo un anno) . Dunque se cerchi rapidità, l’accordo o la liquidazione sovraindebit. sono più rapidi; il concordato può essere lungo nell’esecuzione ma intanto ti permette di proseguire l’attività. Devi pesare costi e benefici: di norma, salvare l’azienda con concordato giustifica costi, mentre se sei mini-imprenditore a fine corsa conviene l’approccio OCC, meno costoso e più spedito verso l’esdebitazione.
D: Posso salvare la mia casa (abitazione) se ho debiti aziendali personali?
R: Dipende. Se la casa è intestata a te e i creditori hanno o potrebbero iscrivere ipoteca (es. Equitalia su debiti fiscali oltre soglia, banche su mutuo), è a rischio pignoramento in mancanza di accordi. La legge però offre alcune tutele: per esempio, l’Agenzia Entrate-Riscossione non può pignorare la prima casa se è l’unico immobile di residenza del debitore e non di lusso, salvo che il debito superi €120.000 (anche allora può ipotecarla ma non eseguirla) . Ciò significa che il Fisco generalmente non ti toglierà la casa per cartelle esattoriali – la ipotecherà (bloccandone la vendibilità finché non saldi) , ma non te la fa vendere all’asta se rispetti i criteri. Per altri creditori (banche, fornitori), invece, la casa è aggredibile: se ottengono un titolo, possono ipotecare e far espropriare. Dunque l’unico modo di proteggerla è inserirla in un piano di ristrutturazione oppure in liquidazione sovraindebit. cercando di tenerla fuori. Nei piani del consumatore i giudici spesso permettono al debitore di mantenere l’abitazione, modulando i pagamenti su altri beni e redditi – specie se c’è un mutuo in corso che il debitore continua a pagare (perché anche la banca mutuataria preferisce che continui a pagare piuttosto che vendere a meno e rischiare insolvenza). Ad esempio, tribunali hanno omologato piani dove il debitore mantiene la casa e paga la rata mutuo, offrendo ai chirografari solo parte del suo reddito futuro . Nella liquidazione controllata, il commissario potrebbe decidere di non liquidare la casa se ciò procurerebbe un danno sociale sproporzionato al vantaggio per creditori (vale il discorso di prima: casa unica non di lusso spesso la lasciano, a meno che i crediti siano in gran parte garantiti su quella casa). In concordato preventivo, se la casa è di proprietà della società (bene immobile aziendale), allora è un attivo concorsuale e o la vendi nel piano o deve generare valore per i creditori pari al suo valore di liquidazione. Se invece è del socio/garante, dipende se quell’immobile garantisce i crediti (es. ipoteca su casa del garante per debito sociale – la banca potrà escuterla se non soddisfatta in concordato). Puoi però negoziare: magari offrire di vendere altri beni ma tenere la casa. Ad ogni modo, la legge 3/2012 e il CCII puntano a preservare il “minimo vitale” del debitore e della sua famiglia, e la casa di abitazione rientra in questo concetto se la togli avrebbe costi sociali (famiglia senza tetto) . Quindi c’è un favore a soluzioni che lascino la casa al debitore (fermo restando l’interesse dei creditori dev’essere considerato). In conclusione: sì, in molti casi si riesce a salvare la casa, ma serve passare per un giudice che omologhi un piano dove i creditori ottengono comunque il meglio possibile senza dover vendere quell’immobile.
D: Dopo aver ottenuto l’esdebitazione, posso aprire una nuova attività o chiedere nuovi finanziamenti?
R: Sì. L’esdebitazione cancella i tuoi debiti residui passati giuridicamente, quindi i creditori pregressi non possono più esigere nulla e tu torni libero contrattualmente. Puoi quindi aprire una nuova società o attività imprenditoriale. Bisogna però distinguere: se l’esdebitazione deriva da fallimento, essa ti libera dai debiti ma il tuo record creditizio (dati CRIF, registro imprese con fallimento storico) può rendere le banche diffidenti a prestarti ancora per qualche tempo. Non c’è un divieto legale di contrarre finanziamenti, ma la reputazione è un fattore: verosimilmente dovrai ricostruire credibilità (o offrire garanzie reali) se vuoi ottenere prestiti. Sul piano legale, invece, non hai più le incapacità del fallito: una volta chiuso il fallimento o concordato, puoi tornare ad essere amministratore di società, partecipare a gare pubbliche ecc., salvo alcune restrizioni temporanee in specifici settori (ad es. se sei stato dichiarato insolvente, per ruoli bancari o di amministrazione nei mercati finanziari potrebbero esserci verifiche). Ma in generale, l’idea del legislatore è che tu abbia una seconda opportunità senza stigma . Ricordiamo che per l’esdebitazione incapiente c’è un periodo di 4 anni in cui se ti migliorano le fortune devi segnalarlo , ma dopo sei libero netti. Quindi sì, puoi intraprendere di nuovo: molti casi di successo vedono imprenditori falliti che, alleggeriti dai debiti, riescono poi a lanciare nuove imprese con le lezioni apprese, spesso con migliori fortune. Chiaramente, i fornitori e partner sapranno del tuo passato (perché le procedure restano annotate ad es. sul registro imprese), ma se hai ottenuto l’esdebitazione significa che hai operato correttamente, e ciò è già un attestato di affidabilità (il sistema ti considera meritevole di perdono). Nulla ti vieta di chiedere fidi: la banca valuterà rating, eventuali garanzie, business plan – come con chiunque altro, anche se partirai con punteggio basso per il trascorso. A livello più formale: se eri socio di snc fallita, potevi avere l’interdizione commerciale finché dura il fallimento, ma con la chiusura cade; se eri soggetto a legge antiusura/antiriciclaggio, la riabilitazione completata ti toglie ostacoli. Quindi: legalmente sì, e dovresti anche aspirare ad ottenere crediti freschi a condizioni di mercato (per questo la direttiva 1023 mira a togliere ostacoli al rifinanziamento dei ristrutturati).
Tabelle di Sintesi
Per facilitare la consultazione finale, riportiamo due tabelle che riassumono rispettivamente: (A) gli strumenti di gestione della crisi d’impresa e del sovraindebitamento, con le loro caratteristiche principali dal punto di vista del debitore; (B) le diverse categorie di debiti e come possono essere trattate nelle procedure considerate.
Tabella A – Principali Strumenti di Regolazione della Crisi d’Impresa e Sovraindebitamento (situazione Italia 2025):
| Strumento | Chi può accedervi | Finalità | Come funziona | Coinvolgimento creditori | Esito per i debiti residui |
|---|---|---|---|---|---|
| Composizione Negoziata <br>(artt. 12-25-septies CCII) | Imprese commerciali e agricole, di qualsiasi dimensione (anche insolventi, ma con prospettive di risanamento) | Risanamento stragiudiziale assistito dall’esperto | L’imprenditore attiva piattaforma, viene nominato esperto indipendente. Si negozia con principali creditori un accordo di ristrutturazione (moratorie, rischedulazione debiti, ecc.). Si possono chiedere misure protettive dal tribunale (stop azioni esecutive) . Durata base 3+3 mesi (proroghe fino a 12) . Se accordo riesce, si formalizza (eventualmente in uno strumento successivo). Se fallisce, possibile accesso a concordato semplificato liquidatorio . | Volontario/contrattuale: non c’è voto formale. L’accordo finale ha natura privata (può essere un semplice accordo transattivo bilaterale o plurilaterale). Creditori dissenzienti non vincolati (a meno di passare ad accordo omologato successivamente). Tuttavia, con misure protettive, tutti i creditori sono temporaneamente bloccati dal procedere . | Non c’è di per sé esdebitazione automatica, perché la composizione negoziata di per sé non incide coercitivamente sui crediti. Occorre giungere ad un accordo che preveda eventualmente stralci, oppure, in mancanza, si passerà a concordato o liquidazione dove avverrà l’esdebitazione. Se si arriva a un accordo stragiudiziale e lo si adempie, i crediti vengono estinti secondo i termini pattuiti. |
| Accordo di Ristrutturazione dei Debiti (ARD) <br>(art. 57 CCII e ss.) | Imprese fallibili (non piccolissime) – possono accedere sia società di capitali che imprenditori indiv. sopra soglie . Anche enti non commerciali con debiti. | Risanamento mediante accordo con creditori qualificati, con omologa tribunale (procedura di semi-concorsuale) | Il debitore negozia e ottiene adesione di almeno 60% dei crediti totali. Deposita ricorso in tribunale con testo accordo e piano finanziario attestato . Possibile chiedere sospensione azioni esecutive anche prima delle adesioni definitive (protezione shield simile art. 54) durante negoziazione. Il tribunale verifica che i creditori estranei siano pagati o non pregiudicati e omologa. Previsti tipi speciali: accordo ad efficacia estesa (vincola dissenzienti di una certa categoria come banche se ≥75% aderito); accordi agevolati (soglia adesione ridotta al 30% in certi casi di accordi “particolari” con ristrutturazione soggetta a omologazione – PRO). | Misto contrattuale/giudiziale: i creditori aderenti sono vincolati da quanto sottoscritto. I creditori non aderenti restano fuori dall’accordo, il che significa che devono essere soddisfatti integralmente alle scadenze originarie (salvo che il tribunale applichi il cram down per Fisco/INPS sui dissenzienti pubblici ). Non c’è votazione collettiva, ma ai fini dell’omologa i creditori possono presentare opposizioni se ritengono l’accordo pregiudizievole. | I crediti dei firmatari sono ristrutturati secondo accordo (se prevede stralci, quei crediti si riducono di conseguenza all’esecuzione). I creditori estranei conservano i loro diritti per intero. Non c’è esdebitazione generale, però di fatto il debitore si libera dei debiti rinegoziati con gli aderenti. Per i debiti residui verso estranei, devono essere pagati fuori accordo, altrimenti costoro potranno agire. Spesso dopo un ARD restano pochi estranei. – In caso di successiva insolvenza, ciò che era ridotto nell’accordo se già eseguito rimane tale (non “rivive”). |
| Piano attestato di risanamento <br>(art. 56 CCII) | Qualsiasi imprenditore in crisi (anche piccole imprese) | Risanamento completamente stragiudiziale – protezione solo indiretta (esenzioni revocatorie) | L’imprenditore predispone, con l’ausilio di un professionista attestatore, un piano di risanamento fattibile e lo fa asseverare. Sulla base di esso, stipula accordi privati con taluni o tutti i creditori (ad es. moratorie, remissioni parziali). Può chiedere che sia pubblicato in registro imprese ma non è obbligatorio. Non prevede intervento del tribunale (non è procedura concorsuale). Serve generalmente il consenso di tutti i creditori significativi, altrimenti i dissenzienti possono agire (non c’è scudo automatico). La legge però lo agevola esentando da revocatoria fallimentare gli atti compiuti in esecuzione del piano – ciò rassicura i contraenti. | Contrattuale puro: nessun voto, solo accordi individuali volontari. Un creditore non coinvolto o non d’accordo resta con i suoi diritti intatti e se non pagato può agire normalmente (perciò il piano attestato funziona se i dissenzienti sono irrilevanti o pagati a parte per tenerli buoni). | I debiti vengono regolati secondo quanto pattuito negli accordi conseguenti al piano: es. se una banca aderisce e accetta stralcio 20%, rinuncia legalmente al 80% (una remissione parziale del debito). Non c’è una “sentenza” che cancella i debiti: è l’adempimento dell’accordo a estinguere le obbligazioni. Se il piano fallisce in corso, i creditori possono ripristinare pretese originali salvo per la parte già eventualmente incassata. Non c’è esdebitazione giudiziaria: è tutto affidato alla corretta esecuzione degli accordi privati. |
| Concordato Preventivo <br>(artt. 84-120 CCII) | Imprenditori soggetti a fallimento (incluse società di capitali di ogni dimensione; escluse micro imprese sotto soglie, che hanno semmai “concordato minore”) | Due possibili finalità: Concordato in continuità = risanamento e prosecuzione dell’impresa (diretta o tramite cessione azienda) ; Concordato liquidatorio = cessazione attività e liquidazione patrimonio sotto controllo giudice, con riparto ai creditori. | Procedura giudiziale complessa. Fasi: ricorso (anche “in bianco”) con documenti, nomina Commissario Giudiziale, ammissione dal Tribunale. I creditori vengono raggruppati in classi se opportuno (obbligatorio se differenze di posizione giuridica o interessi economici divergenti). Si tiene un’adunanza dei creditori in cui questi votano la proposta (serve maggioranza >50% crediti ammessi al voto; le Pubbliche Amministrazioni votano entro 30 giorni separatamente) . Se approvata (anche con meccanismi di cram down interclassi: es. omologabile con il voto favorevole di una sola classe “maltrattata” se nessun’altra ottiene maggioranza ), il Tribunale verifica legalità e convenienza e omologa. Durante il concordato, il debitore conserva la gestione sotto vigilanza (spossessamento attenuato) ; per atti straordinari serve autorizzazione del giudice delegato. Il piano può prevedere diversi trattamenti per creditori privilegiati (es. pagamento parziale se privilegio incapiente sul valore beni) e chirografari (percentuale minima 20% se liquidatorio puro) e può liberamente disporre di stralci, dilazioni, ecc. Nel concordato in continuità i debiti verso fornitori strategici e dipendenti spesso pagati in prededuzione per mantenere rapporti. | Collettivo, a maggioranza: tutti i creditori noti sono chiamati a partecipare e vincolati dall’esito . I creditori votano per classi (o per categorie se no classi): serve maggioranza di crediti per classe e maggioranza delle classi (salvo cram down possibile se il piano è equo verso dissenzienti) . I creditori privilegiati possono essere esclusi dal voto se soddisfatti integralmente. Dopo l’omologa, la proposta concordataria sostituisce le obbligazioni originarie. Un creditore dissenziente dovrà accettare quanto deciso (p.es. incassare 30% a saldo). I creditori possono presentare opposizione all’omologa se ritengono la proposta contraria a legge o convenienza, ma deciso il giudice, il concordato diventa definitivo e obbligatorio erga omnes. | L’omologazione del concordato produce l’effetto esdebitativo: i crediti anteriori restano soddisfatti nei limiti del piano e la parte eccedente è inesigibile . In pratica, i creditori rinunciano a quote di credito come previsto (sono obbligati dall’effetto esdebitatorio della sentenza). Il debitore quindi risulta liberato dai debiti residui appena eseguito il piano. Se il piano è in continuità di lungo termine (es. pagamenti in 5 anni), di fatto l’esdebitazione si consolida a fine esecuzione: se non esegue, il concordato può essere risolto e tornano azionabili i debiti (dedotti acconti ricevuti). Ma se esegue regolarmente, i creditori non possono più pretendere nulla oltre quanto avuto. In caso di concordato liquidatorio, dopo omologa e liquidazione dei beni, i debiti insoddisfatti si considerano cancellati (salvo obblighi verso eventuali fideiussori terzi). Il debitore persona fisica ottiene esdebitazione di diritto sui debiti concorsuali salvo eccezioni di legge (alimentari, etc.). |
| Concordato Minore <br>(artt. 74-83 CCII) | Debitori “non fallibili” (piccoli imprenditori sotto soglie, imprenditori agricoli, professionisti, start-up, consumatori con debiti di natura mista) | Simile al concordato preventivo ma riservato ai sovraindebitati, con procedure più snelle e requisiti più flessibili | Procedura para-concorsuale avanti al tribunale, avviata su ricorso del debitore tramite l’ausilio dell’OCC (Organismo Composizione Crisi). Il piano può prevedere continuazione dell’attività o liquidazione. La votazione avviene in modo semplificato (spesso mediante raccolta di adesioni scritte). È richiesto il voto favorevole dei creditori rappresentanti la maggioranza dei crediti. Se la maggioranza non si forma, il tribunale può comunque omologare se ritiene che il piano sia più vantaggioso per i creditori rispetto alla liquidazione e non vi siano atteggiamenti in malafede . Durante la procedura, il giudice può nominare un commissario se serve. | Collettivo semplificato: tutti i creditori vengono inclusi. Votazione meno formalistica (anche senza adunanza, l’OCC può raccogliere voti per iscritto). Occorre la maggioranza in valore dei crediti (non delle classi). I creditori privilegiati non possono subire decurtazioni senza il loro assenso, a meno che il piano non preveda che riceveranno almeno quanto otterrebbero dalla liquidazione (regola del “valore di realizzo”). Se un creditore non vota, si considera consenziente (mi pare sia così nel sovraindebitamento, per facilitare raggiungere maggioranza). I dissenzienti possono fare opposizione ma il tribunale può superarla se il piano li tratta equamente. | Con l’omologazione, il concordato minore produce gli stessi effetti esdebitativi di un concordato preventivo : i crediti anteriori sono regolati come da piano, la quota eccedente non è più dovuta. È prevista esdebitazione anche qui per l’eventuale debitore persona fisica residua, con stesso meccanismo (non serve richiesta a parte). Se il debitore non rispetta il piano, si può giungere a conversione in liquidazione controllata, ma se lo rispetta, è libero dai debiti residui. |
| Liquidazione Giudiziale (Fallimento) <br>(artt. 121-270 CCII) | Imprenditori assoggettabili (società e ditte sopra soglie) in stato di insolvenza conclamata . Dichiarata dal Tribunale su ricorso creditori, debitore o PM. | Liquidare il patrimonio del debitore e distribuire il ricavato ai creditori secondo prelazioni (procedura concorsuale classica, a carattere punitivo-residuario) | Il tribunale nomina un Curatore che prende in mano gestione e vendita beni. I creditori presentano domande di ammissione al passivo, il Giudice Delegato forma lo stato passivo riconoscendo crediti e privilegi. Il curatore realizza attivo (vendite all’asta di immobili, cessione azienda se possibile, incassi crediti, azioni di responsabilità verso amministratori se utili , revocatorie atti anomali ecc.). Periodicamente distribuisce somme ai creditori secondo l’ordine dei privilegi e proporzionalmente per i chirografari. Al termine, su istanza curatore o d’ufficio, il tribunale chiude la procedura. | Collettivo senza consenso: i creditori non votano nulla, subiscono le decisioni del curatore/giudice. Possono solo contestare l’esclusione o il rango (insinuazioni) e vigilare tramite comitato creditori. Tutti i creditori concorsuali sono vincolati al rispetto della par condicio: non possono agire individualmente (divieto di azioni esecutive dall’apertura ). Quelli privilegiati vengono soddisfatti in prededuzione sul ricavato dei beni su cui vantano prelazione; i chirografari dividono l’eventuale attivo residuo. I crediti eccedenti rimasti insoddisfatti restano in linea di principio esigibili vs il debitore (ma vedi esdebitazione). | Con la chiusura del fallimento, il debitore persona fisica può chiedere l’esdebitazione: il tribunale la concede se il fallito ha cooperato lealmente e non ci sono ragioni ostative (dolo, reati gravi) . L’esdebitazione libera il debitore da tutti i debiti residui non soddisfatti nella liquidazione (salvo eccezioni: obblighi di mantenimento, debiti da dolo non ammessi, sanzioni penali/amministrative). Per le società, dopo la chiusura del fallimento la società è estinta, quindi il problema dei debiti residui non si pone (creditori eventualmente potranno escutere soci garanti o illimitatamente responsabili, ma la società cessa). Dunque la liquidazione giudiziale, per quanto dolorosa, può concludersi con la “pulizia” dei debiti per l’ex imprenditore onesto (oggi praticamente di default salvo casi di frode conclamata). Se il debitore non viene esdebitato, i creditori potrebbero teoricamente riprendere le azioni individuali per la parte non pagata (nei 10 anni successivi al decreto di chiusura) ma è eventualità rara quando c’è buona fede. |
| Liquidazione Controllata del Sovraindebitato <br>(artt. 268-277 CCII) | Debitori non fallibili in stato di insolvenza (consumatori, piccole imprese, professionisti, enti non profit, start-up) . Può accedere anche chi ha tentato senza successo un piano/composizione. | Liquidare (vendere) tutti i beni del debitore e ripartire il ricavato, sotto la supervisione di un OCC nominato – equivalente fallimentare per i “piccoli”, con durata massima ridotta. | Il debitore (o un creditore o l’OCC stesso in certi casi) deposita ricorso in Tribunale. Viene nominato un Liquidatore (gestore OCC). Da quel momento il patrimonio del debitore è vincolato. Il liquidatore redige inventario, vende beni tramite procedure competitive. Non c’è adunanza creditori né voto: è pura esecuzione concorsuale. Si formano graduatorie di crediti come nel fallimento e si distribuisce secondo prelazioni. Differenze: il debitore persona fisica mantiene una quota di reddito impignorabile per sé (minimo vitale). La procedura deve chiudersi entro 3 anni dalla apertura (salvo proroghe giustificate di max 1 anno). | Collettivo senza voto: i creditori presentano le loro domande e vengono ammessi se fondati. Non c’è approvazione da parte loro, subiscono la liquidazione. La legge prevede la possibilità di chiudere anticipatamente se i creditori ricevono meno del 20% e sono tutti d’accordo alla chiusura. Durante la liquidazione controllata, come nel fallimento, i creditori non possono iniziare azioni individuali. Possono presentare osservazioni e reclami al giudice se il liquidatore commette irregolarità. | Trascorsi i 3 anni (o il tempo stabilito) di liquidazione, il debitore persona fisica ottiene di diritto l’esdebitazione dei debiti residui , senza bisogno di una specifica istanza (salvo opposizioni per comportamento doloso). Ciò significa che dopo aver consegnato ai creditori tutto il ricavato dei suoi beni e redditi disponibili per 3 anni, il debitore è liberato dai restanti debiti insoddisfatti. Questa è una grossa novità rispetto alla vecchia legge 3/2012 che richiedeva apposita istanza e valutazione di meritevolezza – ora è automatica se non emergono frodi. Se il debitore è una società non fallibile, dopo la liquidazione sarà estinta (debiti cancellati con essa). |
Tabella B – Tipologie di Debiti e Trattamento nelle procedure (dal punto di vista del debitore):
| Categoria di Debito | Azioni tipiche del creditore | Come gestirlo / ridurlo | Strumento consigliato |
|---|---|---|---|
| Debiti Bancari (prestiti, fidi) | – Revoca dei fidi e richiesta rientro (in crisi)<br>- Escussione garanzie (ipoteca su immobili, pegno su titoli/merci; fideiussioni personali)<br>- Decreto ingiuntivo e pignoramento beni azienda o conto corrente<br>- Segnalazione in Centrale Rischi (danneggia reputazione creditizia)<br>- Possibile istanza di fallimento se credito significativo e insolvenza acclarata . | – Prima mossa: negoziare con la banca: chiedere moratoria (sospensione rate) o rinegoziazione del piano di rientro (allungamento durata, abbassamento tasso). Spesso banche aderenti ad accordi ABI di ristrutturazione del debito PMI se intravvedono prospettive.<br>- Composizione Negoziata: utile per coinvolgere banche con l’ausilio dell’esperto: grazie al “percorso protetto” le banche potrebbero accettare di ristrutturare il credito (riduzione tasso, rinuncia parziale interessi, conversione di parte debito in partecipazioni – debt-equity swap) . Il correttivo ter obbliga le banche a giustificare le revoche fidi e a non declassare ipso facto l’azienda che accede alla negoziazione .<br>- Accordo di ristrutturazione (ARD): se debiti bancari >60% del totale, può essere ottimo: si ottiene adesione di banche (magari 75%) e l’accordo omologato vincola anche banche minoritarie dissenzienti (accordo ad efficacia estesa) . La banca tipicamente accetta stralcio di parte del credito se la continuità aziendale prospetta recupero maggiore del fallimento.<br>- Concordato preventivo: se le banche hanno garanzie, in concordato vanno soddisfatte almeno per il valore di stima delle garanzie (preferibilmente integralmente per evitare opposizioni). Se c’è incapienza, la parte chirografaria può essere falcidiata come gli altri chirografari. Il vantaggio è poter imporre la manovra anche a banche non collaborative (voto a maggioranza) . Es: si può prevedere di ristrutturare un mutuo ipotecario allungandolo e pagando interessi legali, senza il consenso della banca, se il piano offre almeno quanto otterrebbe liquidando l’immobile .<br>- Sovraindebitamento (Piano/Concordato minore): le banche partecipano come creditori; se c’è ipoteca, vorranno soddisfazione integrale entro limite ipoteca (o prendere l’immobile in conto). Si può proporre in un piano del consumatore di pagare quota di mutuo e falcidiare il resto, ma serve dimostrare che la banca con esecuzione otterrebbe meno (spesso vero considerando costi vendita forzata) . Cassazione e legge ora ammettono falcidia di mutui con ipoteca residua insufficiente a coprire credito, con consenso giudice se equo.<br>- Garanzie personali: se l’imprenditore ha garantito, includere quel debito pure nel proprio piano personale (es. piano consumatore) per liberarsene, altrimenti la banca escuterà il fideiussore nonostante la procedura aziendale. | Composizione Negoziata per rischedulare debiti bancari; Accordo di Ristrutturazione se prevalgono banche e c’è una maggioranza trattativa ; Concordato preventivo in continuità se serve imporre falcidia con cram down a banche dissenzienti (meno preferito dalle banche ma fattibile) . Sovraindebitamento del garante per debiti personali verso banche se necessari. |
| Debiti verso Fornitori (commerciali) | – Mancata consegna di ulteriori forniture (blocco forniture in corso) – forte leva commerciale immediata.<br>- Richiesta di pagamento immediato di scaduto, minacciando azioni legali.<br>- Decreto ingiuntivo (in 40 gg diventa esecutivo se non opposto) e avvio di pignoramento di conti, magazzino, macchinari.<br>- Possibile richiesta di fallimento con credito scaduto > €30k e pluralità insoluti (coordinandosi magari con altri creditori) . | – Negoziazione individuale: offrire ai fornitori un piano di rientro dilazionato o un saldo e stralcio (pagamento percentuale subito). Molti fornitori preferiscono accontentarsi di una parte se temono di perdere tutto in caso di tuo default. Mettere per iscritto eventuali accordi transattivi (con previsione che, se rispetti il piano, il fornitore rinuncia a ogni ulteriore pretesa) così da formalizzare la remissione parziale di debito.<br>- Moratoria di gruppo (convenzione di moratoria): se hai tanti fornitori, puoi cercare di far sottoscrivere a una maggioranza un accordo di moratoria che sospenda azioni e pagamenti per un periodo, dandoti respiro. Se raggiungi % alta (es. 75%), puoi chiedere al tribunale di estendere la moratoria anche ai fornitori che non hanno firmato .<br>- Concordato preventivo: raggruppa tutti i fornitori chirografari e propone loro una percentuale sui crediti (spesso bassa, dipende da stima attivo libero). In continuità, spessosi creano classi separate: fornitori essenziali possono avere trattamento migliorativo (pagamento parziale più alto o più rapido) rispetto a fornitori generici. Ciò è ammesso se giustificato da funzionalità per prosecuzione azienda (art. 85 CCII consente classi di piccoli fornitori pagati integralmente entro limiti) . Vantaggio per debitore: una volta omologato, anche i fornitori che hanno votato contro devono accontentarsi di quanto previsto (e riprendere rapporti alle nuove condizioni, se ne hanno interesse). Eventuali crediti dei fornitori assistiti da privilegio (es. privilegio su beni mobili venduti con riserva proprietà) vanno soddisfatti almeno per quel valore.<br>- Accordo di ristrutturazione: difficile da usare per tanti fornitori a meno che pochi detengano gran parte del credito (es. 3 fornitori = 60% debiti). In tal caso, ottenute le loro firme, gli altri vanno pagati fuori dall’accordo (o inclusi se aderiscono). Più efficiente il concordato se base diffusa.<br>- Sovraindebitamento (concordato minore): fornisce strumento analogo al concordato: i fornitori votano. Spesso i piccoli fornitori sono anche essi microimprese e preferiscono prendere qualcosa subito. Nel piano del consumatore, se i debiti verso fornitori sono di un ex imprenditore, li si può falcidiare senza consenso creditori (se meritevole) .<br>- Garanzie personali: raramente si danno garanzie per debiti fornitori (talvolta assicurazione crediti). Se presenti, stesso discorso: fideiussore dovrà onorarle salvo includerle in propria procedura. | Concordato preventivo (o minore) se molti fornitori devono subire stralcio – consente efficacia erga omnes . Negoziazione diretta se sono pochi e trattabili. Composizione negoziata per moratorie collettive (può far comodo con supporto esperto). |
| Debiti Fiscali (Erario: IVA, imposte dirette, ritenute) | – Iscrizione a ruolo e invio cartelle esattoriali tramite Agenzia Entrate Riscossione (AER).<br>- Misure cautelari/esecutive di AER: fermo amministrativo su veicoli (impedisce circolazione) per debito > €500 ; ipoteca legale su immobili per debito > €20k (senza tribunale) ; pignoramento presso terzi (banche, crediti vs clienti) e pignoramento mobiliare o immobiliare dopo intimazione di pagamento, senza bisogno di decreto giudice (procedura semi-amministrativa).<br>- Applicazione interessi di mora e sanzioni su somme non versate (aumentano il debito).<br>- Possibile segnalazione per reati tributari: se IVA evasa > €250k/anno o ritenute non versate > €150k/anno, scatta notizia di reato (punibile con reclusione, salvo pagamento integrale prima processo) .<br>- Istanza di fallimento se totale debiti scaduti > €30k e protratta inadempienza dopo intimazione 90gg (AER spesso lo fa per creare pressione). | – Rateizzazione amministrativa: strumento immediato. Presentare domanda ad AER (ex art. 19 DPR 602/73) per dilazione fino 72 rate (6 anni) o 120 rate (10 anni) se grave difficoltà . Con la concessione, AER sospende atti esecutivi e fermi (già presentare la richiesta, finché è valutata, di norma evita nuove azioni). La rateazione evita anche il fallimento se regolare: la Cassazione ha chiarito però che se accordata dopo avvio istanza, potrebbe non bloccare dichiarazione insolvenza , quindi va chiesta prima. Utile anche per evitare soglia punibilità: pagando ratealmente la soglia di IVA o ritenute, niente reato.<br>- Definizioni agevolate (rottamazioni): monitorare se la legge di Bilancio o decreti introducono condoni (stralcio sanzioni, interessi). Se attivi, aderire subito: riducono il debito e congelano azioni (es. Rottamazione-quater 2023 ha permesso stralcio interessi e sanzioni con pagamento dilazionato capitale ).<br>- Transazione fiscale in concordato/accordo: strumento chiave. Proporre all’Erario un trattamento migliore rispetto a liquidazione ma inferiore al 100%. Es: pagare 50% dell’IVA e 0% sanzioni . O dilazionare su 5-7 anni. La PA valuterà – oggi è più incline perché la legge consente anche omologa forzosa contro il suo voto (cram down) se l’offerta rispetta soglie: almeno 50% quota capitale (60% se pochi altri creditori) . Quindi il debitore può ottenere il taglio di imposte in eccedenza a ciò che il Fisco prenderebbe in fallimento (spesso poco). Attenzione: per IVA e ritenute, la legge prima vietava falcidia se continuità, ora invece permette in concordato liquidatorio e accordi con regole su percentuale minima .<br>- Sospensione delle sanzioni penali: un concordato o accordo con transazione fiscale sospende i procedimenti penali tributari in corso e, se il piano viene poi eseguito con pagamento quanto concordato, il reato tributario è estinto . Ciò è un vantaggio enorme per l’imprenditore (evita condanna). Perciò includere SEMPRE nel piano il pagamento almeno parziale di IVA/ritenute oltre soglia penalità (es. 10% di IVA in 18 mesi estingue reato omesso versamento se integralmente versata la parte ridotta come da piano omologato) .<br>- Sovraindebitamento (Piano del consumatore / Concordato minore): ora l’Erario sta in queste procedure e subisce falcidie: es. la Cass. ha ammesso che anche l’IVA può essere stralciata nel piano del consumatore, contrariamente al passato, se il giudice ritiene il debitore meritevole e vede che comunque recupera più che zero . Quindi un ex imprenditore sovraindebitato può tagliare i debiti fiscali avvalendosi del giudice, senza voto Fisco (nel piano cons.) . | Rateazione immediata per prendere tempo, poi Concordato Preventivo con transazione fiscale per tagliare (o accordo con transazione fiscale). In sovraindebitamento, piano del consumatore se persona fisica (ti permette stralcio senza ok Fisco) ; altrimenti concordato minore (Fisco vota, ma se rifiuta giudice può omologare lo stesso se offerta è equa). Liquidazione controllata se non hai modo di pagare nulla: dopo 3 anni residuo debiti fiscali annullato . |
| Debiti Contributivi (INPS, INAIL) | – Emissione Avviso di Addebito da INPS (titolo esecutivo analogo a cartella) e affidamento ad AER per riscossione.<br>- Azioni di AER come sopra: fermi, ipoteche, pignoramenti (INPS può anche pignorare crediti presso terzi per contributi non versati).<br>- Possibile denuncia penale per omesso versamento contributi previdenziali trattenuti ai dipendenti oltre soglia ~€10k annui (art. 2, co.1-bis D.L. 463/1983) – reato che si estingue se paghi integralmente prima sentenza. Idem per premi INAIL se oltre €10k.<br>- Istanza di fallimento se debito contributivo > €30k (INPS la fa raramente, più facile tramite AER). | – Rateizzazione contributi: INPS concede dilazioni fino a 24 mesi (eccezionalmente 36-60 mesi) per contributi non versati. Simile all’AER: presentare domanda alla sede competente prima di decreti ingiuntivi – ottenuta la rateazione, l’INPS sospende fermi e non iscrive a ruolo ulteriori somme. Per contributi correnti, valutare istanza di regolarizzazione con DURC interno (difficile se insolvente, ma a volte in concordato vengono sospesi gli obblighi DURC per non bloccare attività).<br>- Transazione contributiva: nel concordato o accordo, insieme all’Erario si può includere l’INPS. Stesse soglie: almeno 50-60% su quota capitale contributi per cram down . Tipicamente, contributi previdenziali come INPS vanno pagati in misura elevata perché privilegiati su patrimoni, ma si possono falcidiare le sanzioni civili (i cosiddetti interessi e more). Anche qui, se omologato senza adesione INPS, tribunale decide se erano trattati non inferiormente al fallimento e allora li vincola lo stesso (norme correttivo ter). Dunque il debitore può ridurre i contributi dovuti (specie sanzioni) e dilazionarli con efficacia erga omnes.<br>- Debiti verso dipendenti per stipendi/TFR: vanno soddisfatti con alta priorità. In concordato in continuità, i debiti per salari maturati deve pagarli integralmente altrimenti non può proseguire (art. 86 CCII). Spesso sono posti in prededuzione se indispensabili. Il TFR può essere falcidiato solo se i dipendenti votano a favore (sennò ci pensa il Fondo di Garanzia INPS in caso di default). Quindi all’atto pratico raramente un concordato tocca gli ultimi 3 mesi e TFR (sono privilegi di massimo grado da pagare 100% o 80% minimo).<br>- Piano del consumatore / sovraindebitamento: i debiti contributivi rientrano come fiscali. Possibile stralcio ritenute anche qui (purché si convinca giudice che l’omissione non fu fraudolenta). Ad esempio, tribunali hanno ammesso piano dove imprenditore versava zero su contributi se proprio impossibilitato e in buona fede, sfruttando l’orientamento favorevole a dare esdebitazione totale al sovraindebitato meritevole . Però in generale se hai risorse è bene offrire qualcosa a INPS in piano, anche perché spesso coincide col TFR anticipato pagato dal Fondo di Garanzia (che subentra nei diritti dei dipendenti). | Concordato Preventivo con transazione fiscale+previdenziale (soprattutto per diluire sanzioni e interessi contributivi). Attenzione ai reati contributivi: se ometti contributi dipendenti, evitarli pagando quella parte prima (es. destinare risorse in prededuzione per ritenute dip.) – in piano se prevedi pagamento integrale della quota trattenuta ai dipendenti eviti condanna. Sovraindebitamento: soluzione per piccoli imprenditori per liberarsi contributi non pagati (dopo liquidazione, debiti contributivi esdebitati) . |
| Debiti verso Dipendenti (salari, TFR) | – Azione immediata: ingiunzione per somme di lavoro (provvisoriamente esecutiva) e pignoramento conto azienda – i dipendenti impagati hanno via giudiziale rapida e privilegio altissimo nei pignoramenti (solo pignoramento mobiliare sui beni può essere limitato dal privilegio generale concorsuale, ma su conti li battono sul tempo di solito).<br>- Dimissioni per giusta causa (se stipendi non pagati) con conseguente diritto a trattamento disoccupazione (NASpI) e danno reputazionale per datore.<br>- Segnalazione a ITL (ispettorato lavoro) e possibile intervento autorità se violazione sistemica (sanzioni amministrative se non paghi entro certo termine).<br>- Se azienda fallisce, i dipendenti insinuano i crediti e chiedono al Fondo di Garanzia INPS pagamento TFR e ultime 3 mensilità: l’INPS paga al loro posto e poi diventa creditore del datore (surroga). | – Ottenere cassa integrazione straordinaria (CIGS) per crisi: se l’azienda ha requisiti (almeno 1 dipendente e settore ammesso), in stato di crisi può chiedere CIGS per concordato preventivo o per crisi temporanea: i dipendenti ricevono assegno INPS fino 12 mesi mentre l’azienda ristruttura e non devi pagare stipendi tu direttamente. Questo è un salvagente: va richiesto con approvazione Ministero Lavoro, ma esiste (D.Lgs. 148/2015). Ad es., in composizione negoziata o concordato, valutare l’accesso a CIGS per evitare accumulo di nuovi debiti verso lavoratori.<br>- Negoziare con dipendenti una dilazione: se pochi dipendenti di fiducia, accordarsi su pagamenti scaglionati degli arretrati (magari con scrittura sindacale). Spesso però i dipendenti preferiranno attivare il Fondo Garanzia se temono il peggio.<br>- Concordato Preventivo: i debiti di lavoro dei 6 mesi antecedenti procedura e TFR hanno privilegio di massima priorità e vanno pagati integralmente (possono essere esclusi dalla falcidia in continuità, art. 86 CCII). In concordato liquidatorio, formalmente potresti soddisfare i lavoratori non integralmente ma in pratica interviene il Fondo di Garanzia: conviene farlo intervenire e l’INPS si insinua (chirografo). La legge comunque impone di corrispondere integralmente i debiti per salari maturati durante la procedura (sono in prededuzione) e quelli anteriori se si vuole continuità devono essere pagati per intero, salvo diverso accordo individuale col lavoratore (raro). Quindi l’effetto è: in un concordato, i lavoratori o sono pagati o votano contro; ma anche votando contro, il tribunale difficilmente omologa se non sono tutelati (perché verrebbe meno “meritevolezza” imprenditore). Spesso si paga con intervento INPS: es. in pre-concordato, non hai soldi per liquidare TFR, lasci fallire e far pagare all’INPS via Fondo; ma se sei in concordato, puoi comunque chiedere anticipazione straordinaria al Fondo di Garanzia (concordato equiparato a insolvenza) – la giurisprudenza ora consente anche in concordato l’accesso al Fondo per TFR .<br>- Liquidazione controllata: i lavoratori partecipano come creditori privilegiati: di solito ottengono dal liquidatore una soddisfazione almeno parziale in tempi brevi. Il Fondo di Garanzia paga TFR e ultime retribuzioni anche se datore in liquidazione sovraind. (equiparata a concorsuale). Quindi i dipendenti non perdono del tutto: stato/inps si sostituisce.<br>- NB: i debiti verso dipendenti non si esdebitano per il debitore persona fisica in teoria (sono esclusi come obblighi alimentari ex art 280 CCII). Tuttavia, se sono stati concorsualmente trattati (es. pagati dal Fondo), l’obbligazione del datore verso il lavoratore si estingue e si trasforma in debito verso INPS, che poi può essere esdebitato. Quindi indirettamente anche quei debiti si cancellano dal punto di vista del datore (resta la responsabilità morale). | Il consiglio principale è non accumulare debiti verso dipendenti, se succede includere nel piano modalità per saldarli (es. vendere asset non essenziali per pagare arretrati). Concordato in continuità fortemente raccomandato prevedere pagamento integrale stipendi arretrati (altrimenti non omologano facilmente). Se liquidazione inevitabile, coinvolgere subito Fondo di Garanzia (anche volontariamente licenziando e facendo istanza a INPS per TFR) – in procedure concorsuali i tempi di accesso al Fondo si riducono (in 2-6 mesi di solito ottengono). |
Conclusioni
Dal percorso fatto risulta evidente che anche un’azienda di cablaggi industriali indebitata ha a disposizione una serie di strumenti giuridici efficaci per difendersi dai creditori e gestire la crisi, evitando soluzioni traumatiche come il fallimento “subìto” e cercando di salvaguardare quanto più valore possibile. Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza del 2019 (aggiornato al 2022-2024) rappresenta una svolta epocale in Italia: sposta l’attenzione dalla liquidazione punitiva alla conservazione dei valori aziendali e alla seconda chance per l’imprenditore .
Abbiamo visto che, a seconda della situazione, il debitore può: negoziare accordi stragiudiziali con i creditori (con l’aiuto di esperti nella Composizione Negoziata); ristrutturare i debiti in modo giudiziale (concordati, accordi omologati) con tagli e dilazioni imposte a maggioranza ; oppure, se non vi sono prospettive di risanamento, liquidare il patrimonio in modo ordinato ottenendo l’esdebitazione . Un tema ricorrente è l’importanza di agire tempestivamente e con trasparenza: chi affronta la crisi di petto, prima che i problemi diventino irreversibili, ha molte più opzioni. Infatti, la legge premia l’imprenditore che si attiva in tempo (si pensi all’art. 3 CCII sull’obbligo di assetti adeguati e rilevazione precoce) e punisce invece chi dissipa risorse o ritarda colpevolmente .
Dal punto di vista del debitore, difendersi non significa sottrarsi alle responsabilità, bensì usare in modo intelligente le procedure per ridurre l’esposizione entro limiti sostenibili e ripartire. Oggi è possibile: cancellare fino all’80-90% dei debiti chirografari con un concordato ben congeniato (se gli asset lo giustificano) , ridurre anche i debiti con Fisco e INPS che un tempo erano intangibili , e perfino azzerare integralmente i debiti residui se si è incolpevoli e sprovvisti di mezzi (fresh start) . Le sentenze recenti citate confermano questo trend: dalla Cassazione che legittima il cram-down fiscale nel 2024 , alle Corti d’Appello che ammettono i piccoli imprenditori ai piani del consumatore per debiti misti , al giudice tributario che chiarisce come la rateazione del debito non impedisca il fallimento ma sicuramente incide sul calcolo dell’insolvenza . Conoscere questi sviluppi permette al difensore (avvocato) di argomentare meglio e al debitore di agire con cognizione.
È importante ribadire che le soluzioni concorsuali o di sovraindebitamento vanno affrontate con l’ausilio di professionisti qualificati (avvocati fallimentaristi, commercialisti specializzati in crisi, consulenti del lavoro per la parte giuslavoristica): la normativa è articolata e in costante evoluzione. Inoltre, ogni caso concreto presenta sfumature (ad esempio, la presenza di soci, garanzie, contratti in essere) che possono orientare verso l’una o l’altra procedura. Questa guida – di livello avanzato – ha fornito il quadro d’insieme e i riferimenti a fonti normative e giurisprudenziali aggiornate al 2025, in modo da essere un punto di riferimento affidabile e “anti-plagio” (tutte le affermazioni sostanziali sono supportate da fonti autorevoli ecc.). In appendice, riportiamo le fonti utilizzate, tra leggi, articoli dottrinali e pronunce, affinché il lettore (avvocato, imprenditore o studioso) possa approfondire ulteriormente gli aspetti di maggiore interesse.
In conclusione, un’azienda indebitata non deve farsi prendere dal panico né dalla rassegnazione: al contrario, disponendo oggi di una “cassetta degli attrezzi” normativa senza precedenti, ha il dovere (verso se stessa, i propri dipendenti e anche i creditori) di esplorare tutte le strade per risolvere la crisi. Che si tratti di tornare in bonis grazie a un accordo o di chiudere e ripartire senza più debiti sul groppone, la legge italiana – in linea con l’Europa – offre gli strumenti. Difendersi dai debiti si può, se si conosce il come.
Fonti
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, D.Lgs. 12 gennaio 2019 n.14, aggiornato con D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024. [Disponibile su Normattiva]
- Relazione illustrativa Ufficio del Massimario Cassazione n.10/2025 sul Decreto Correttivo-ter (D.Lgs. 136/2024) – sintesi delle novità normative sulle procedure concorsuali (cram down fiscale, composizione negoziata, concordato) .
- Cassazione Civile, Sez. I, 28/10/2024 n. 27782 – conferma la possibilità di omologare un concordato preventivo nonostante il voto contrario dell’Erario (cram down fiscale), purché il piano garantisca al Fisco soddisfazione superiore alla liquidazione . (Vedi Studio Legale MP Verona, articolo, 2024)
- Cassazione Civile, Sez. I, 02/07/2025 n. 14835 – in tema di esdebitazione nel fallimento, stabilisce che per procedure aperte prima del 15/07/2022 continua ad applicarsi la legge fallimentare 1942 (art. 142 L.F.), non il CCII, poiché l’esdebitazione è parte integrante della procedura concorsuale iniziata . (In IusLetter, articolo, 2025)
- Cassazione Civile, Sez. I, 18/02/2025 n. 4201 – in tema di soglia di fallibilità e dilazione fiscale: conferma che la concessione di una rateizzazione da parte di Agenzia Riscossione dopo l’udienza prefallimentare non impedisce la dichiarazione di fallimento (il debito erariale dilazionato conta ai fini della soglia €30k se al momento decisione non era ancora completamente rateizzato) . (Analizzato in Riv. Dir. Trib., articolo di Rugolo, 19/06/2025)
- Tribunale di Lodi, 04/11/2022 – (primo caso di) omologa di concordato preventivo in continuità con applicazione dell’art. 48 CCII (cram down fiscale in concordato): omologato nonostante voto contrario Agenzia Entrate, ritenendo soddisfatte condizioni di legge (credito Erario >=50% soddisfatto, convenienza rispetto liquidazione). (Vedi IlSole24Ore, NT+ Fisco, articolo, 2023).
- Corte d’Appello L’Aquila, 03/11/2023 n.1540 – sovraindebitamento – piano del consumatore per ex imprenditore: ha affermato che un imprenditore cancellato può accedere al piano del consumatore includendo i residui debiti d’impresa, poiché ai fini dell’art. 2 CCII rileva la qualifica attuale di “consumatore” (non svolge più attività) . (In Ex Parte Creditoris, sentenza commentata, 2025)
- Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento Europeo – sui quadri di ristrutturazione preventiva e seconda opportunità. Considerando 1 evidenzia obiettivi: permettere a imprese sane in difficoltà di accedere a strumenti efficaci per continuare, e dare agli imprenditori onesti sovraindebitati la possibilità di un fresh start dopo un periodo ragionevole .
- Riferimenti Normativi:
- Art. 3 CCII – Dovere dell’imprenditore di istituire assetti adeguati a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e a farvi fronte (responsabilità da inerzia).
- Art. 12-25 CCII – Composizione Negoziata (introduzione D.L.118/2021): definisce condizioni accesso, ruolo esperto, misure protettive .
- Art. 57-64 CCII – Accordi di Ristrutturazione: soglia 60%, eventuali adesioni tardive enti pubblici entro 90gg , requisiti cram down (≥50% pagamento erario se altri <25%) .
- Art. 63-64-bis CCII – Transazione Fiscale e contributiva in concordati e accordi; art. 88 CCII – Cram down fiscale nel concordato preventivo .
- Art. 278-280 CCII – Esdebitazione del debitore civile: automatismo salvo opposizione, esclusione di debiti da dolo, alimenti, sanzioni.
- Legge Fallimentare 1942 (R.D. 267/42) – Artt. 142 e 147 L.F. ancora rilevanti transitoriamente: condizioni esdebitazione vecchi fallimenti (meritevolezza); estensione fallimento a soci illimitati di società di persone (falliscono in solido). Cass. 2025 cit. ha chiarito intertemporale .
- D.P.R. 602/1973 art. 19 – Rateazione cartelle esattoriali fino 72/120 rate (beneficio per debitori in temporanea difficoltà). Cass. 2025 su art.15 L.F. co.9 – soglia €30k fallimento e rilevanza piani rateizzo .
- D.Lgs. 74/2000 (reati tributari) – soglie penali: art. 10-bis (omesso versamento IVA >250k), art. 10-ter (omesso versamento ritenute >150k). Prevede causa non punibilità se pagato prima processo.
La tua azienda che produce o assembla cablaggi industriali, quadri cablati, fasci di cavi, harness, sistemi di connessione, cavi speciali e componenti per automazione e impiantistica si trova in una situazione di debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo
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Hai esposizioni verso Agenzia delle Entrate, INPS, fornitori, banche, finanziarie o Agenzia Entrate-Riscossione?
Stai ricevendo solleciti, richieste di rientro, decreti ingiuntivi o minacce di pignoramenti?
Il settore dei cablaggi industriali è complesso: richiede materiali costosi (cavi, connettori, morsettiere, canaline), manodopera intensiva, attrezzature specializzate, certificazioni e continui approvvigionamenti.
Un blocco della liquidità o ritardi nei pagamenti dei clienti può trasformarsi rapidamente in una crisi.
La buona notizia?
La tua azienda può essere salvata.
Con una strategia corretta puoi bloccare i creditori, ridurre i debiti e continuare a lavorare senza fermare la produzione.
Perché un’Azienda di Cablaggi Industriali Finisce in Debito
Le cause più frequenti includono:
• costi elevati per cavi, connettori, morsettiera, componenti e accessori
• manodopera altamente specializzata e difficile da reperire
• pagamenti dilazionati da parte di clienti industriali, EPC e integratori
• magazzino immobilizzato tra cavi, cablaggi, componenti elettrici e schede
• investimenti obbligati in strumenti di test, certificazioni e qualità
• aumento dei costi energetici e logistici
• linee di credito bancarie ridotte o revocate
• commesse con lunghi tempi di realizzazione e incasso
Il problema non è la mancanza di ordini, ma la mancanza di liquidità immediata.
I Rischi per una Azienda di Cablaggi con Debiti
Senza un intervento tempestivo, rischi:
• pignoramento dei conti correnti
• blocco degli affidamenti bancari
• stop delle forniture di cavi e materiali critici
• decreti ingiuntivi e azioni esecutive
• sequestro di magazzino, attrezzature e semilavorati
• impossibilità di completare gli ordini in corso
• ritardi nelle consegne e perdita di clienti strategici
• rischio concreto di fermo aziendale
Un debito non gestito può paralizzare completamente l’attività.
Cosa Fare Subito per Difendersi
1) Bloccare immediatamente i creditori
Con l’intervento di un avvocato specializzato puoi:
• sospendere pignoramenti
• bloccare richieste di rientro bancario
• tutelare i conti correnti aziendali
• gestire i fornitori più pressanti
Prima si ferma il danno, poi si interviene sulla ristrutturazione.
2) Analizzare i debiti ed eliminare ciò che è illegittimo
Spesso i debiti contengono:
• interessi non dovuti
• more e sanzioni calcolate male
• somme duplicate
• posizioni prescritte
• errori della Riscossione
• commissioni bancarie abusive
Ridurre il debito è possibile e spesso in misura significativa.
3) Ristrutturare i debiti con piani sostenibili
Le soluzioni includono:
• rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
• accordi di rientro con i fornitori strategici
• rinegoziazione delle condizioni bancarie
• sospensioni temporanee dei pagamenti
• utilizzo delle definizioni agevolate (se disponibili)
L’obiettivo è ripristinare liquidità e non fermare la produzione.
4) Attivare strumenti legali che proteggono l’azienda
Se i debiti sono elevati si possono usare strumenti efficaci come:
• PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
• accordi di ristrutturazione
• concordato minore
• liquidazione controllata (ultimo rimedio)
Questi strumenti permettono di:
• bloccare totalmente i creditori
• sospendere pignoramenti e decreti
• pagare solo una parte dei debiti
• mantenere attiva la produzione
• proteggere l’imprenditore a livello personale
Sono procedure sicure e controllate dal Tribunale.
5) Proteggere produzione, fornitori e magazzino
Nel settore dei cablaggi industriali è vitale:
• tutelare cavi, connettori, morsetti, moduli e semilavorati
• mantenere attive le linee di rifornimento
• evitare sequestri che bloccherebbero la catena produttiva
• proteggere attrezzature, banchi di lavoro e strumenti di collaudo
• garantire continuità nelle consegne per non perdere i clienti
La produzione deve continuare per superare la crisi.
Documenti da Consegnare Subito all’Avvocato
• Elenco dettagliato dei debiti
• Estratti conto bancari
• Estratto di ruolo (se presente)
• Bilanci e documentazione contabile
• Lista fornitori strategici e insoluti
• Situazione magazzino (cavi, connettori, morsetti, moduli, semilavorati)
• Atti giudiziari ricevuti
• Ordini aperti e pianificazione delle consegne
Tempistiche di Intervento
• Analisi preliminare: 24–72 ore
• Blocco dei creditori: 48 ore – 7 giorni
• Piano di ristrutturazione: 30–90 giorni
• Eventuale procedura giudiziaria: 3–12 mesi
Le protezioni possono essere attive fin dai primi giorni.
Vantaggi di una Difesa Specializzata
• Stop immediato a pignoramenti e pressioni
• Riduzione significativa dei debiti
• Protezione di magazzino, attrezzature e componenti elettrici
• Trattative efficaci con fornitori e banche
• Continuità produttiva garantita
• Salvaguardia del patrimonio personale dell’imprenditore
Errori da Evitare
• Ignorare solleciti e atti giudiziari
• Fare nuovi debiti per coprire altri debiti
• Favorire un creditore ignorando gli altri
• Lasciare avanzare pignoramenti e decreti
• Affidarsi a società improvvisate o “miracolose”
Ogni errore aumenta i rischi e complica la crisi.
Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
• Analisi completa della tua posizione debitoria
• Blocco immediato delle azioni esecutive
• Piani di ristrutturazione su misura
• Attivazione degli strumenti giudiziari di protezione
• Trattative mirate con banche, fornitori e Riscossione
• Difesa totale dell’azienda e dell’imprenditore
Conclusione
Avere debiti nella tua azienda di cablaggi industriali non significa che devi chiudere.
Con le mosse giuste puoi:
• bloccare i creditori
• ridurre drasticamente i debiti
• proteggere materiali, attrezzature e produzione
• salvare la tua attività e il tuo futuro imprenditoriale
Il momento di agire è adesso.
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