Hai ricevuto un’Intimazione di Pagamento da parte dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione?
È uno degli atti più pericolosi dell’intera procedura di riscossione, perché significa che il Fisco sta per passare subito alle azioni esecutive: pignoramenti, fermi amministrativi, blocco dei conti o ipoteche.
La buona notizia è che puoi difenderti, contestare l’atto e bloccare tutto, ma devi agire immediatamente, perché i tempi sono molto brevi.
Cos’è l’Intimazione di Pagamento
L’Intimazione è una comunicazione con cui l’Agenzia delle Entrate-Riscossione ti ordina di pagare le somme dovute entro 5 giorni.
Arriva quando:
le cartelle esattoriali sono scadute da tempo
è già passato il termine ordinario per pagare
l’Agenzia vuole avviare rapidamente misure esecutive
Riceverla significa che il Fisco può procedere senza ulteriori avvisi.
Cosa rischi se non intervieni subito
Se ignori l’Intimazione di Pagamento, l’Agenzia può avviare senza ulteriori comunicazioni:
pignoramento del conto corrente
pignoramento dello stipendio o della pensione
pignoramento dei crediti verso i tuoi clienti
fermo amministrativo della tua auto o dei tuoi mezzi
ipoteca sulla casa
blocco dei pagamenti da parte di terzi
Il rischio principale è la paralisi economica immediata.
Cosa fare subito per difenderti
Per prima cosa, non pagare alla cieca e non aspettare. Agisci così:
fai analizzare da un avvocato l’Intimazione e le cartelle collegate
verifica la prescrizione: molti debiti possono essere già estinti
controlla la notifica delle cartelle: se è irregolare, tutto l’atto è annullabile
richiedi la sospensione immediata della riscossione
non contattare l’Agenzia senza assistenza legale
non fare piani di rientro affrettati: spesso non sono necessari
Una revisione legale completa può portare all’annullamento totale o parziale del debito.
Perché molte Intimazioni di Pagamento sono illegittime
Un’Intimazione può essere nulla se:
si basa su cartelle prescritte
è stata emessa oltre i termini
le cartelle non sono state notificate correttamente
non contiene la specifica delle somme richieste
si riferisce a debiti già annullati, sospesi o errati
non tiene conto di ricorsi o procedure pendenti
L’Agenzia spesso invia intimazioni “automatiche” che non reggono un controllo legale.
Le strategie più efficaci per bloccare la riscossione
Un avvocato tributarista può agire subito per:
presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria
ottenere la sospensione cautelare per evitare pignoramenti
eccepire prescrizione, decadenza e vizi di notifica
dimostrare l’illegittimità dell’Intimazione
impugnare le cartelle collegate
gestire la trattativa per una rateizzazione sicura e sostenibile
ottenere l’annullamento in autotutela se l’atto è manifestamente errato
Il punto fondamentale è bloccare ogni azione esecutiva immediatamente.
Quando conviene rateizzare e quando invece contestare
La rateizzazione è utile solo quando il debito è valido e non ci sono irregolarità.
In moltissimi casi, invece, è meglio:
contestare la prescrizione
far annullare le cartelle errate
bloccare l’atto con la sospensione
impugnare l’Intimazione per vizio di notifica
fare un saldo e stralcio quando previsto dalla legge
Una consulenza legale ti permette di capire quale strada ti fa risparmiare di più.
Cosa succede se non ti difendi
Se ignori l’Intimazione, in pochi giorni puoi ritrovarti con:
conto corrente bloccato
stipendio pignorato
auto o mezzi in fermo amministrativo
ipoteca sul tuo immobile
credito congelato presso i tuoi clienti
impossibilità di lavorare
A quel punto difendersi diventa più difficile e molto più costoso.
Quando rivolgersi a un avvocato
Dovresti farlo immediatamente se:
hai ricevuto un’Intimazione di Pagamento
hai debiti con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione
temi pignoramenti o fermi amministrativi
hai già avuto problemi di riscossione in passato
vuoi verificare se il debito è valido o prescritto
vuoi impedire che l’Agenzia blocchi la tua attività o il tuo conto
Un avvocato tributarista può:
impugnare l’Intimazione
bloccare la riscossione
contestare le cartelle alla base del debito
ottenere riduzioni importanti
metterti al sicuro da pignoramenti imminenti
Attenzione: l’Intimazione è uno degli atti più pericolosi dell’intera procedura esattoriale.
Con la difesa giusta puoi fermare tutto, contestare gli errori dell’Agenzia e uscire dal debito in modo legale e definitivo.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso tributario e difesa contro la riscossione forzata ti spiega cosa fare subito per proteggerti.
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Che cos’è l’Intimazione di Pagamento e quando viene emessa
L’intimazione di pagamento (tecnicamente detta intimazione ad adempiere) è un atto formale inviato dall’Agente della Riscossione (oggi Agenzia delle Entrate-Riscossione, ex Equitalia) al contribuente per sollecitare il pagamento di somme iscritte a ruolo, prima di procedere con l’esecuzione forzata. Viene emessa solo in determinate circostanze: precisamente, ai sensi dell’art. 50 del D.P.R. 602/1973, quando sia trascorso più di un anno dalla notifica della cartella di pagamento (o di un atto esecutivo equivalente) senza che sia iniziata l’esecuzione . In tale caso, l’agente della riscossione deve notificare un avviso contenente l’intimazione ad adempiere entro 5 giorni al pagamento delle somme dovute risultanti dal ruolo . Si tratta dunque di un ultimo avvertimento: vengono concessi cinque giorni al debitore per pagare spontaneamente quanto dovuto, decorso il quale l’Agente potrà attivare immediatamente le procedure esecutive (pignoramenti, espropriazioni) e cautelari (ad esempio iscrizione di ipoteca o fermo amministrativo).
L’intimazione di pagamento viene notificata al contribuente con le stesse forme previste per la cartella esattoriale (generalmente tramite posta raccomandata con ricevuta di ritorno, PEC o messo notificatore autorizzato) . L’atto in sé elenca le cartelle o gli avvisi esecutivi a cui si riferisce, specificando gli importi (imposta/contributo, sanzioni, interessi, aggi e spese) richiesti e invita formalmente il debitore a versare tali somme entro 5 giorni dalla notifica. Spesso l’intimazione riporta in allegato il dettaglio delle pendenze (numero cartella/atto, ente creditore, anno di imposta o causale del debito, importo originario e attuale con interessi).
Dal punto di vista temporale, l’intimazione di pagamento ha efficacia limitata: se l’Agente della Riscossione non avvia l’esecuzione forzata entro un anno dalla notifica di tale intimazione, l’avviso perde efficacia e sarà necessario notificarne uno nuovo qualora si voglia procedere oltre . Ciò in virtù dello stesso art. 50 D.P.R. 602/1973, che impone una nuova intimazione ogni volta che è trascorso oltre un anno dall’ultimo atto notificato (cartella o intimazione precedente) senza che sia iniziata l’esecuzione. In altre parole, l’intimazione “aggiorna” il titolo esecutivo (la cartella/avviso) prolungandone la possibilità di azione esecutiva per un anno ancora; trascorso tale termine, servirà un ulteriore avviso per poter legittimamente proseguire.
Differenza dall’Avviso di Mora: Storicamente, prima della riforma del 1999, la legge prevedeva l’avviso di mora (art. 46 D.P.R. 602/1973, ora abrogato) che il concessionario doveva inviare sempre, quale preludio all’esecuzione forzata, indicando il dettaglio del debito e dando 5 giorni per pagare. Oggi l’intimazione di pagamento svolge la medesima funzione, ma solo quando necessario (ossia dopo un periodo di inattività superiore a un anno) . Se invece la riscossione coattiva inizia tempestivamente (entro un anno dalla cartella), la legge non richiede questo passaggio intermedio. In pratica, ad esempio, se una cartella esattoriale viene notificata e dopo 3 mesi l’Agente procede con un pignoramento, non vi sarà stata intimazione; viceversa, se dalla cartella sono passati diciamo 2 anni di inattività, l’Agente prima di pignorare dovrà inviare l’intimazione ex art. 50. In ogni caso, l’intimazione non sostituisce la cartella esattoriale né altri atti impositivi: è un atto eventuale e accessorio, finalizzato solo a sollecitare il pagamento e a “riattivare” il procedimento esecutivo .
Riferimenti normativi e funzione giuridica
La disciplina dell’intimazione di pagamento si rinviene principalmente nell’art. 50 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Testo Unico sulla riscossione delle imposte sul reddito). In base al comma 2 di tale articolo, “se l’espropriazione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, questa deve essere preceduta dalla notifica, da effettuarsi con le modalità previste dall’art. 26, di un avviso contenente l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni” . Dunque, per legge, l’intimazione ad adempiere è condizione necessaria di procedibilità dell’esecuzione forzata fiscale qualora sia trascorso oltre un anno dalla notifica della cartella (o dell’accertamento esecutivo). La giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito che l’assenza dell’avviso di intimazione in tali casi invalida gli atti esecutivi successivi: l’avviso ex art. 50 costituisce un passaggio obbligato, la cui mancanza comporta la nullità del pignoramento eventualmente eseguito . Ad esempio, la Corte di Cassazione ha affermato che l’intimazione “rappresenta un atto obbligatorio per l’attivazione della fase esecutiva” e la sua omissione vizia l’intero procedimento .
Un altro aspetto giuridico fondamentale riguarda la natura impugnabile dell’intimazione. L’art. 19 del D.Lgs. 546/1992 (sul processo tributario) elenca gli atti autonomamente impugnabili dinanzi alle Commissioni Tributarie (ora “Corti di Giustizia Tributaria”), includendo espressamente la cartella di pagamento e l’avviso di mora (oggi non più in uso) . L’intimazione di pagamento, pur non essendo nominata esplicitamente nell’elenco, è stata ricondotta all’avviso di mora per funzione e contenuto. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno chiarito che, al di là del diverso nome, l’atto di intimazione ex art. 50 DPR 602/73 “può essere assimilato, al di là dell’ininfluente differenza di denominazione, all’avviso comunemente denominato avviso di mora”, la cui impugnabilità davanti al giudice tributario è prevista dalla legge . Pertanto, oggi è pacifico che l’intimazione di pagamento rientra tra gli atti impugnabili dal contribuente ai sensi dell’art. 19, comma 1, lett. e) D.Lgs. 546/92, in quanto rappresenta un atto dell’agente della riscossione che esplicita una pretesa ben definita e precede l’esecuzione forzata . Come vedremo in dettaglio, ciò significa che chi riceve un’intimazione può (e in certi casi deve) proporre ricorso per contestarne la legittimità o il merito del debito richiesto.
Dal punto di vista funzionale, l’intimazione ad adempiere svolge una duplice funzione giuridica:
- Interruttiva dei termini di prescrizione: L’atto di intimazione è considerato un atto formale di messa in mora del debitore e quindi interrompe la prescrizione del credito sotteso . In quanto “sollecito di pagamento”, produce l’effetto di far decorrere un nuovo periodo prescrizionale dalla sua notifica, a tutela delle ragioni dell’erario (analogamente a come la cartella o altri atti interruttivi fanno). Questo è un punto importante: ad esempio, se una cartella IRPEF non pagata era soggetta a prescrizione decennale e al 8º anno dall’ultima notifica viene inviata un’intimazione, la prescrizione viene interrotta e ricomincia da capo dalla data di notifica di quest’ultima . L’intimazione dunque non solo precede l’azione esecutiva, ma serve anche a conservare efficacia al credito nel tempo, impedendone la prescrizione fintanto che l’agente prosegue con gli atti dovuti.
- “Cristallizzazione” della pretesa tributaria: Secondo l’interpretazione giurisprudenziale attuale (approfondita oltre), l’intimazione di pagamento “cristallizza” la posizione debitoria se non viene impugnata. In altri termini, se il contribuente non reagisce nei termini all’intimazione, il debito indicato in essa si consolida definitivamente, precludendo la possibilità di far valere successivamente eventuali vizi o cause estintive sorte in precedenza . Questo principio – frutto di una evoluzione giurisprudenziale recente – impone al debitore diligenza: ignorare l’intimazione significa accettare tacitamente la pretesa, con la conseguenza che non sarà più ammesso opporre, ad esempio, che la cartella era prescritta o nulla una volta che si passerà alla fase esecutiva (a meno di vizi propri dell’esecuzione stessa).
In sintesi, l’intimazione di pagamento è un atto inserito nel procedimento di riscossione coattiva tramite ruolo (o accertamento esecutivo) che mira a tutelare il contribuente dandogli un ultimo preavviso, ma serve anche a tutelare l’ente creditore mantenendo vivo il diritto alla riscossione prima di procedere con misure esecutive più invasive.
Ambito di applicazione e tipologie di debiti interessati
L’obbligo di notifica dell’intimazione di pagamento riguarda tutte le somme la cui riscossione è affidata all’Agente della Riscossione tramite la procedura del ruolo esattoriale (cartelle di pagamento) o atti assimilati. In particolare, si applica a tributi erariali (imposte dirette come IRPEF, IRES, imposte indirette come IVA, registro, bollo, etc.), ai tributi locali (IMU, TARI, Tosap, ecc., se riscossi tramite ruolo o accertamento esecutivo), ai contributi previdenziali affidati all’agente (contributi INPS e premi INAIL non versati, in genere oggetto di avvisi di addebito esecutivi) e ad altre entrate dello Stato o enti pubblici iscritte a ruolo (come sanzioni amministrative, recuperi di aiuti di Stato, ingiunzioni fiscali di varie nature).
Va evidenziato che dal 2011 in avanti molte entrate erariali e locali non vengono più accertate tramite cartella di pagamento, bensì con il cosiddetto accertamento esecutivo (per i tributi statali, introdotto dall’art. 29 del D.L. 78/2010 convertito in L.122/2010). Tale atto unico di accertamento, decorsi i termini per il pagamento volontario (di norma 60 giorni), vale esso stesso come titolo esecutivo, senza necessità di emissione di cartella. Anche in questo caso però si applica la regola dell’art. 50 DPR 602/73: se dall’accertamento esecutivo è trascorso oltre un anno senza che sia iniziata l’esecuzione, l’agente deve notificare l’intimazione di pagamento prima di procedere . Il termine annuale in questo caso decorre dalla notifica dell’accertamento esecutivo (poiché non vi è mai stata una cartella) . Ad esempio, per un avviso di accertamento immediatamente esecutivo in materia di IRPEF o IVA, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione dovrà inviare un’intimazione se vuole pignorare beni trascorso un anno da quando quell’avviso (nel frattempo divenuto definitivo) è stato notificato, altrimenti l’eventuale pignoramento sarà nullo per difetto di intimazione.
Nel caso dei tributi locali, a partire dal 2020 la legge ha introdotto una particolare procedura: gli enti locali notificano avvisi di accertamento esecutivi (che valgono come titolo) e, per importi fino a 10.000 euro, devono inviare un sollecito di pagamento al contribuente prima di attivare procedure esecutive o cautelari . In base alla L. 160/2019 (Legge di Bilancio 2020), “prima di attivare una procedura esecutiva e cautelare gli enti devono inviare un sollecito di pagamento” dando 30 giorni per pagare . Il Dipartimento delle Finanze (MEF) ha chiarito che questo sollecito deve essere emesso dall’ente impositore (Comune) e non dall’Agente della Riscossione, in quanto deve precedere l’affidamento del carico all’agente stesso . Tale adempimento (da effettuare con modalità tracciabili, es. raccomandata o PEC, anche per importi sotto 1.000€) si aggiunge al quadro della riscossione locale. Attenzione: questo sollecito “pre-ruolo” non va confuso con l’intimazione ex art. 50 DPR 602/73: si tratta di due atti diversi in fasi diverse. Per i tributi locali, quindi, potremmo avere: avviso di accertamento esecutivo notificato → (se importo <10.000, sollecito del Comune dopo 60 gg) → affidamento al concessionario (AER) → se trascorre oltre un anno senza esecuzione, intimazione di pagamento ex art.50 → esecuzione forzata. Il debitore di tributi locali dovrà tenere conto di entrambi i possibili avvisi nel valutare la regolarità della procedura (un’eventuale omissione del sollecito obbligatorio può essere motivo di contestazione dell’esecuzione, in quanto previsto a pena di improcedibilità dall’ordinamento locale).
Per quanto riguarda i contributi previdenziali (es. contributi INPS dovuti da datori di lavoro o lavoratori autonomi), dal 2011 essi sono riscossi con l’avviso di addebito INPS, atto esecutivo equivalente alla cartella. L’intimazione ex art.50 si applica anche a tali crediti: se l’INPS affida all’Agente della Riscossione il recupero e non si procede entro un anno, servirà l’intimazione prima del pignoramento. Si noti che i contributi hanno termini di prescrizione propri (5 anni, salvo cause di sospensione) e spesso l’intimazione per contributi molto datati può incrociarsi con eccezioni di prescrizione, come vedremo.
Infine, rientrano nell’ambito dell’intimazione anche altre entrate patrimoniali o sanzioni iscritte a ruolo. Un caso tipico sono le sanzioni amministrative (come le multe stradali del Codice della Strada) che, se non pagate entro i termini, vengono iscritte a ruolo dai Prefetti o dagli enti locali e notificate con cartella esattoriale. Anche per le multe vale l’obbligo dell’intimazione se la cartella è rimasta ineseguita per oltre un anno . Emblematico il caso di un pignoramento basato su multe del CdS: il Tribunale ha annullato il pignoramento perché l’Agente non aveva provato di aver inviato le intimazioni di pagamento relative a cartelle notificate anni prima . Questo conferma che l’istituto copre tutte le tipologie di ruoli, non solo i tributi in senso stretto, con la sola eccezione delle entrate per le quali si segue una diversa procedura (es. ingiunzione fiscale ex R.D. 639/1910, utilizzata da alcuni Comuni in alternativa al ruolo: in quel caso si applicano le regole proprie dell’ingiunzione, che però prevedono analogamente un precetto dopo un anno).
In sintesi, ogni qualvolta la riscossione coattiva avviene tramite cartella esattoriale o avviso esecutivo, l’agente della riscossione deve rispettare l’obbligo dell’intimazione se vuole procedere oltre i termini stabiliti. Il debitore, dal canto suo, dovrà verificare la presenza e la regolarità di tale atto nel timing degli eventi che lo riguardano, indipendentemente dalla natura del debito (tributo erariale, tributo locale, contributo, sanzione).
(Segue una tabella riepilogativa delle principali tipologie di debito, con indicazione del giudice competente in caso di opposizione – v. Tabella 2 più avanti.)
Procedura: dalla Cartella all’Intimazione all’Esecuzione Forzata
Per contestualizzare l’intimazione di pagamento nel procedimento di riscossione, è utile riassumere le fasi tipiche:
- Notifica della cartella di pagamento o atto esecutivo equivalente: Il debitore riceve una cartella esattoriale (per ruoli emessi dall’ente creditore) oppure un avviso di accertamento esecutivo/avviso di addebito. Da quel momento ha generalmente 60 giorni di tempo per pagare volontariamente. Se paga, il procedimento si chiude; se presenta ricorso e ottiene sospensione, la riscossione è sospesa; se nulla accade, la pretesa diviene definitiva e l’agente può procedere.
- Decorso infruttuoso del termine di pagamento: Trascorsi i 60 giorni senza pagamento né ricorso (o dopo la definitività conseguente a un ricorso respinto), la cartella/avviso costituisce titolo esecutivo. L’Agente della Riscossione può a questo punto attivare le misure cautelari (fermo amministrativo su veicoli, ipoteca su immobili) o iniziare l’esecuzione forzata (pignoramenti di beni mobili, immobili, crediti).
- Intervento dell’intimazione di pagamento: Se l’Agente non compie atti esecutivi entro il termine di 1 anno dalla notifica della cartella (o accertamento esecutivo), scatta l’obbligo di notificare l’intimazione ad adempiere (art. 50 c.2 DPR 602/73) prima di poter procedere . In pratica, l’agente deve “ri-attivare” il contribuente con un sollecito formale. L’intimazione fissa un nuovo termine breve (5 giorni) per il pagamento spontaneo, decorso il quale – se nulla è pagato – la strada è aperta all’esecuzione. Se invece l’agente avvia l’esecuzione entro l’anno dalla cartella, l’intimazione non è necessaria; qualora l’esecuzione iniziata entro l’anno non vada a buon fine e passi molto tempo, al successivo tentativo (oltre l’anno) si porrà di nuovo il problema di inviare un’intimazione, poiché la norma riguarda l’inizio dell’espropriazione e non il singolo atto.
- Inizio dell’esecuzione forzata: Trascorsi i 5 giorni dall’intimazione senza adempimento né provvedimenti sospensivi, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione può legittimamente procedere con gli atti esecutivi veri e propri. In ambito esattoriale, i pignoramenti tipici sono:
- Pignoramento mobiliare presso il debitore: oggi meno comune, consiste nel pignorare beni mobili nella disponibilità del debitore.
- Pignoramento presso terzi: il più frequente, ad esempio il pignoramento dei conti correnti, stipendi/pensioni, crediti verso terzi (clienti, locatari, etc.), che avviene mediante atto notificato sia al debitore sia al terzo (banca, datore di lavoro, ecc.) ai sensi dell’art. 72-bis DPR 602/73.
- Pignoramento immobiliare: sui beni immobili intestati al debitore (preceduto in genere da iscrizione di ipoteca se il debito supera una certa soglia).
L’intimazione di pagamento non viene notificata insieme al pignoramento (come avviene invece nell’espropriazione civile con il “precetto” allegato al pignoramento): nell’esecuzione esattoriale, l’intimazione è un atto a sé stante e deve precedere di almeno 5 giorni l’atto di pignoramento. Se il pignoramento viene avviato senza che sia stata notificata un’intimazione dovuta, esso è suscettibile di annullamento tramite opposizione agli atti esecutivi .
- Ulteriori atti se l’esecuzione non segue immediatamente: Come già accennato, l’intimazione ha efficacia limitata a 12 mesi . Se l’agente non riesce o non intende eseguire entro un anno dalla sua notifica, dovrà notificarne un’altra prima di procedere successivamente. In pratica potrebbe accadere che un debitore riceva intimazioni ripetute a distanza di anni: ad esempio una prima intimazione nel 2020 non seguita da pignoramenti, poi un’altra nel 2023 prima di attivarsi, ecc. Ogni intimazione va considerata alla stregua di un nuovo atto impugnabile e interruttivo della prescrizione.
- Prescrizione durante la procedura: È importante sottolineare che la notifica dell’intimazione interrompe la prescrizione del debito , come già detto. Dunque, eventuali termini di prescrizione in corso vengono spezzati e ricominciano da zero dalla data di notifica. La prescrizione pertanto difficilmente matura dopo che l’intimazione è stata inviata, poiché l’agente di norma procederà con un atto esecutivo entro i successivi 12 mesi. Più spesso la prescrizione può essere già maturata prima dell’intimazione (ad esempio, cartella notificata molti anni prima e poi nulla fino all’intimazione): in quel caso il debitore potrà eccepirla, ma come vedremo dovrà farlo tempestivamente impugnando l’intimazione stessa, altrimenti la possibilità andrà perduta .
In sintesi, il flusso procedurale dal punto di vista del debitore è il seguente: ricezione della cartella (o atto equivalente) → (nessun pagamento né ricorso) → eventuale stasi > 1 anno → ricezione di intimazione di pagamento → mancato pagamento entro 5 giorni → avvio dell’esecuzione forzata. In ogni momento di questo flusso il debitore ha strumenti per reagire o rimediare: dalla richiesta di rateizzazione o sospensione dopo la cartella, al ricorso contro l’intimazione, fino alle opposizioni contro i singoli atti esecutivi. È cruciale comprendere dove ci si trova nella sequenza, perché ciascuna fase ha termini e procedure proprie per la tutela del contribuente.
(Per una visione schematica, si veda anche la Tabella 1 sulla normativa e la Tabella 3 sui motivi di opposizione.)
Impugnabilità e giurisdizione: come e dove contestare l’intimazione
Si può fare ricorso contro un’intimazione di pagamento? Sì, l’intimazione è un atto autonomamente impugnabile dal debitore, ma occorre individuare il giudice competente in base alla natura del debito sottostante e ai motivi di contestazione.
Come premesso, per i debiti di natura tributaria (imposte erariali e locali), l’intimazione rientra tra gli atti impugnabili davanti al giudice tributario, oggi denominato Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (già Commissione Tributaria Provinciale). Il termine per proporre ricorso è di 60 giorni dalla notifica dell’atto, analogamente a quanto previsto per la cartella . La competenza territoriale è quella della Corte tributaria relativa al domicilio fiscale del contribuente (o altra prevista dalle regole tributarie generali). Il ricorso si propone dunque con atto scritto, allegando l’intimazione e indicando i motivi di impugnazione, e va notificato all’Ente impositore e all’Agente della Riscossione, quindi depositato presso la segreteria della Corte Tributaria.
Per i debiti NON tributari (ad esempio contributi previdenziali, sanzioni amministrative, altre entrate patrimoniali), la giurisdizione spetta al Giudice Ordinario. Questo perché, come stabilito anche dalle Sezioni Unite, ciò che conta è la natura del credito vantato dall’ente e non lo strumento formale di riscossione . In particolare, se il credito deriva da un rapporto di diritto privato (o pubblico ma non impositivo) – ad esempio contributi previdenziali obbligatori o sanzioni amministrative – le controversie sulla legittimità della riscossione rientrano rispettivamente nella giurisdizione del giudice del lavoro (per contributi) o del giudice civile ordinario (per sanzioni e altri crediti). Quindi, un’intimazione relativa a contributi INPS non pagati dovrà essere contestata davanti al Tribunale ordinario – sezione Lavoro, mentre un’intimazione su una multa stradale andrà contestata al Tribunale civile ordinario (non al Giudice di Pace, poiché siamo ormai in fase esecutiva).
In questi casi “ordinari”, l’azione tipica per contestare un’intimazione è configurabile come opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. (quando si contesta il diritto stesso di procedere ad esecuzione) oppure come opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. (se si fanno valere vizi formali dell’atto). La Cassazione ha riconosciuto che “ove alla notifica della cartella non segua, entro un anno, l’avvio dell’azione esecutiva, il debitore può sempre opporsi all’intimazione di pagamento […] trattandosi di opposizione pre-esecutiva ex art. 615, comma 1, c.p.c.” . Dunque il debitore può agire innanzi al giudice ordinario prima che inizi il pignoramento, per far accertare che non vi sono i presupposti per procedere (ad esempio perché il debito è prescritto, o perché manca la notifica della cartella, ecc.). Questa è definita opposizione “anticipata” all’esecuzione. Non vi è un termine fisso di legge per proporla, ma va fatta in tempi rapidi dopo la notifica dell’intimazione e comunque prima che l’esecuzione sia avviata (altrimenti, una volta notificato un atto di pignoramento, si dovrà eventualmente proporre opposizione all’esecuzione ex art. 615 co.2 entro gli attuali termini di legge, o opposizione agli atti ex art. 617 entro 20 giorni).
Da quanto detto emerge che il confine tra la giurisdizione tributaria e quella ordinaria nelle liti da riscossione è sottile e si basa sul tipo di credito e sul momento in cui si agisce. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno tracciato un principio di riparto: “alla giurisdizione tributaria spetta la cognizione sui fatti incidenti sulla pretesa tributaria […] verificatisi fino alla notificazione della cartella esattoriale o dell’intimazione di pagamento, se validamente avvenute, […]; alla giurisdizione ordinaria spetta la cognizione sulle questioni inerenti alla legittimità formale dell’atto esecutivo […] nonché sui fatti incidenti sulla pretesa […] successivi all’epoca della valida notifica della cartella esattoriale o dell’intimazione di pagamento” . In altre parole: – Tutto ciò che riguarda l’esistenza del debito tributario o la regolarità degli atti fino all’intimazione (compresa) è materia da giudice tributario. – Ciò che attiene invece alla fase esecutiva in senso stretto (vizi del pignoramento, atti successivi, oppure questioni sul credito insorte dopo l’intimazione) è materia del giudice ordinario.
Questo principio è stato affermato a chiare lettere anche per evitare che il contribuente si trovi disorientato: se ha ricevuto un’intimazione per crediti eterogenei (es. cartelle miste di imposte, contributi e multe), dovrà rivolgersi a giudici diversi per ciascuna partita . Purtroppo è così: l’intimazione non è di per sé unificatrice di giurisdizione, conta la natura del credito (per un’analisi più dettagliata v. Cass. SU n.11293/2021 cit. in ).
Riassumendo, contro un’intimazione di pagamento il debitore può: – Proporre ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni, se si tratta di tributi (erariali o locali). È la sede in cui far valere vizi dell’intimazione o contestazioni sul merito del tributo (prescrizione, pagamento già effettuato, decadenza, difetti di notifica, etc.). Questo ricorso si svolge secondo le regole del processo tributario. – Proporre opposizione al Tribunale ordinario (eventualmente sezione lavoro per contributi), se si tratta di crediti non tributari, tipicamente entro 20 giorni se già avviata l’esecuzione (opposizione agli atti ex art.617) oppure anche prima come opposizione all’esecuzione ex art.615 c.p.c. senza termine fisso, purché tempestivamente . In tale giudizio ordinario si possono far valere ad esempio l’intervenuta prescrizione quinquennale di una sanzione, la nullità della cartella presupposta, la mancanza di notifiche, ecc., analogamente a quanto si farebbe in sede tributaria per un tributo.
Importante: se il contribuente ha dubbi sulla giurisdizione (ad es. atto con crediti vari), in genere conviene impugnare l’intimazione in tutte le sedi potenzialmente competenti per non rischiare incertezze (presentando più ricorsi paralleli per le diverse parti del debito). Le SU della Cassazione hanno infatti sottolineato che ogni credito segue la sua giurisdizione anche se inserito in un’unica intimazione .
Obbligo di impugnazione dell’intimazione e conseguenze (cristallizzazione del debito)
Un punto nodale emerso recentemente è che l’impugnazione dell’intimazione per i debiti tributari non è solo una facoltà, ma in taluni casi è un vero e proprio onere per il contribuente. La Corte di Cassazione, Sez. Tributaria, con sentenza n. 6436 dell’11 marzo 2025 ha infatti enunciato il seguente principio di diritto: “in tema di contenzioso tributario, l’intimazione di pagamento di cui all’art. 50 DPR 602/1973 […] è impugnabile autonomamente ai sensi dell’art. 19, comma 1, lett. e), D.Lgs. 546/1992, sicché la sua impugnazione non è meramente facoltativa, ma necessaria, pena la cristallizzazione dell’obbligazione” . In altre parole, secondo la Suprema Corte, se il contribuente intende eccepire qualcosa riguardo a quel debito (come la prescrizione maturata nel frattempo, la mancata notifica della cartella, ecc.), deve farlo impugnando tempestivamente l’intimazione; se non lo fa, il debito diventa definitivo e non potrà più sollevare quelle eccezioni in sede successiva (ad esempio durante un’opposizione al pignoramento).
Questa posizione deriva dall’applicazione rigorosa di un meccanismo previsto dall’art. 19 del processo tributario: le decadenze da impugnazione. La Cassazione richiama in particolare l’art. 19, comma 3, ultima parte D.Lgs. 546/92, secondo cui la mancata notificazione di un atto autonomamente impugnabile (come una cartella non notificata) consente di impugnarlo unitamente all’atto successivo notificato. Ma se l’atto successivo non viene impugnato nei termini, la pretesa si consolida definitivamente . Applicando ciò all’intimazione: se una cartella era stata (supponiamo) mai notificata e quindi non impugnata a suo tempo, il contribuente può far valere quel vizio impugnando l’intimazione (atto successivo). Ma se nemmeno l’intimazione viene impugnata, non potrà poi, in sede di esecuzione, lamentarsi della cartella non notificata o di altre cause estintive sorte prima. Il credito diventa “cristallizzato”.
Questo orientamento del 2025 ha superato un precedente contrario: infatti una diversa sezione della Cassazione, con ordinanza n. 16743 del 17 giugno 2024, aveva sostenuto che l’intimazione di pagamento, pur interrompendo la prescrizione, non essendo espressamente menzionata nell’art. 19 D.Lgs. 546/92, rientrava tra gli atti la cui impugnazione è facoltativa e non obbligatoria . In quel caso la Cassazione (16743/2024) aveva addirittura affermato che il contribuente, se non aveva impugnato la prima intimazione, poteva comunque eccepire la prescrizione maturata nel frattempo impugnando la seconda intimazione ricevuta successivamente . Tuttavia, questo orientamento è rimasto isolato. Le Sezioni Unite della Cassazione, intervenute nell’ottobre 2024 (ord. SU n. 26817/2024), avevano già ricondotto l’intimazione all’avviso di mora e quindi tra gli atti impugnabili , e la sentenza n. 6436/2025 ha esplicitamente disatteso la tesi della facoltatività, consolidando la necessità di impugnazione .
Cosa significa in pratica per il debitore? Significa che se l’intimazione contiene importi che il debitore ritiene non dovuti (perché prescritti, perché la cartella non gli era mai stata notificata, perché già annullati o altro), è fortemente consigliato – anzi, necessario – proporre ricorso entro 60 giorni (giudice tributario) per far valere queste ragioni. In caso contrario, trascorsi i 60 giorni senza ricorso, l’intimazione non impugnata “convalida” la pretesa tributaria dell’ente . Così, se successivamente parte un pignoramento, il giudice ordinario non permetterà di riesaminare questioni come la prescrizione maturata prima: considererà quel debito definitivo e incontestabile (salvo solo verificare questioni formali del pignoramento stesso) . Questa conseguenza (la “cristallizzazione”) è stata sottolineata anche dalla rivista ufficiale dell’Agenzia Entrate, FiscoOggi, che avverte: “la Cassazione chiarisce che la prescrizione delle cartelle esattoriali va eccepita impugnando subito l’intimazione di pagamento” . Dunque, la fase dell’intimazione è un momento chiave: il debitore deve decidere se accettare la pretesa o contestarla, sapendo che il silenzio equivarrà ad un’accettazione irreversibile.
Va aggiunto che, per i debiti non tributari, il discorso è simile nella sostanza ma con modalità diverse: ad esempio, per le sanzioni amministrative, se un verbale/multa non fu mai notificato regolarmente, il destinatario potrebbe sollevare la questione solo in sede di opposizione all’esecuzione contro l’intimazione/pignoramento. Se non lo fa e lascia decorrere i termini dell’opposizione, poi non potrà più farlo. Insomma, l’intimazione segna un punto di non ritorno anche in ambito non tributario, perché dopo di essa l’esecuzione diventa concreta e molte eccezioni non sollevate per tempo restano precluse.
Conclusione su impugnabilità: Oggi l’intimazione di pagamento va considerata un atto impugnabile a pieno titolo. Per i tributi, è un ricorso tributario (entro 60 gg) e rappresenta l’ultimo momento utile per far valere questioni di merito sul debito (pena decadenza); per contributi e altre entrate, è anch’essa l’innesco per far partire un’azione in tribunale, preferibilmente prima che inizi l’esecuzione forzata. Questa impostazione garantisce anche una certezza: una volta superata la fase di intimazione senza ricorsi, l’Agente della Riscossione può procedere con maggiore speditezza, sapendo che la pretesa è ormai consolidata.
(Vedi “Domande Frequenti” più avanti per esempi di prescrizione non eccepita in tempo, ecc.)
Strategie difensive amministrative (prima del ricorso)
Dal punto di vista del debitore, “difendersi” da un’intimazione di pagamento non significa solo fare causa: vi sono diverse strategie stragiudiziali e strumenti amministrativi che possono essere messi in campo, spesso in parallelo o in via preliminare rispetto al ricorso. Queste soluzioni mirano a ottenere la sospensione o l’annullamento del debito senza l’intervento immediato del giudice, oppure a gestire il debito in modo sostenibile.
Autotutela e istanza di sgravio all’ente creditore
La prima strada da valutare è l’autotutela, ovvero la possibilità di chiedere direttamente all’ente titolare del credito di riesaminare e annullare (in tutto o in parte) la pretesa se risulta erronea o illegittima. In concreto si tratta di presentare un’istanza motivata all’ente impositore/creditore, indicandone gli estremi (ad esempio il Comune per una tassa locale, l’Agenzia delle Entrate per IRPEF, l’INPS per contributi, ecc.), spiegando perché l’intimazione è infondata e chiedendo l’annullamento del debito (il cosiddetto sgravio). È opportuno inviare tale istanza anche per conoscenza all’Agente della Riscossione, segnalando che si è chiesto all’ente di intervenire .
Esempio tipico: il contribuente ha già pagato le somme richieste ma risultano ugualmente iscritte a ruolo. In tal caso allegherà le ricevute di pagamento e chiederà l’annullamento perché il debito è già stato assolto . Oppure può darsi che la cartella sottesa sia stata annullata da una sentenza o da un provvedimento di sgravio precedente ma, per qualche disallineamento, l’Agente stia ancora tentando la riscossione: anche qui, si produrrà la documentazione e si chiederà l’annullamento.
L’ente creditore, verificati i fatti, può emettere un provvedimento di annullamento/sgravio, totale o parziale, del ruolo. Questo provvedimento viene comunicato all’Agenzia Riscossione come un ordine di eliminare (in tutto o parte) il carico iscritto a ruolo . Una volta ricevuto lo sgravio, l’Agente non procederà oltre con la riscossione per quella parte di debito . Se invece l’ente non riconosce l’errore e non annulla, l’Agente è obbligato per legge a proseguire , non avendo potere di decidere autonomamente sulla debenza: in tal caso il contribuente dovrà valutare il ricorso giudiziale.
L’istanza di autotutela non ha termini perentori: può essere presentata in qualsiasi momento (anche oltre i 60 giorni), poiché è un rimedio amministrativo e non processuale . Tuttavia, è fortemente consigliato attivarsi tempestivamente, idealmente entro i 5 giorni dell’intimazione o subito dopo, per cercare di bloccare sul nascere l’esecuzione. Non c’è garanzia che l’ente risponda in tempi brevi – o che risponda affatto – ma provare questa via mostra buona fede e talvolta può risolvere il caso senza contenzioso. Si tenga presente che presentare un’istanza di autotutela non sospende automaticamente i termini per ricorrere né l’azione esecutiva (a meno che l’Agente, per prassi interna, non attenda l’esito): quindi, se i giorni stringono, è prudente non fare affidamento solo sull’autotutela ma eventualmente presentare anche ricorso o altre istanze di sospensione.
Tra gli strumenti amministrativi collegati, c’è la possibilità di rivolgersi al Garante del Contribuente regionale: si tratta di un organo previsto dallo Statuto del Contribuente, a cui il debitore può inviare una segnalazione in carta libera esponendo l’irregolarità riscontrata (ad esempio, intimazione su tributo già pagato, oppure cartella mai notificata ma iscritta a ruolo) . Il Garante può sollecitare l’ente o l’agente a fornire chiarimenti o a rimediare se coglie un’ingiustizia, ma non ha potere di annullamento diretto. È comunque un’opzione aggiuntiva, soprattutto in caso di inerzia degli uffici.
In sintesi, l’autotutela è la richiesta bonaria di correzione di un errore. I suoi punti chiave: – Va indirizzata all’ente creditore (cioè chi materialmente vanta il credito: Comune, Agenzia Entrate, INPS, etc.), perché solo esso può disporre lo sgravio . L’Agenzia Riscossione infatti svolge un ruolo esecutivo e non entra nel merito della fondatezza del debito. – Deve essere corredata di prove (ricevute di pagamento, copie di provvedimenti di annullamento, sentenze, documenti che attestino l’errore). – Non sospende automaticamente la riscossione, salvo diversa indicazione dell’ente. Tuttavia, esiste uno strumento specifico di sospensione legale (vedi paragrafo successivo). – Se accolta, porta allo sgravio: l’intimazione (che è basata su quelle partite) verrà di fatto annullata dall’ente e l’Agente non procederà oltre . – Se respinta o ignorata, il contribuente dovrà percorrere altre vie (ricorso, opposizione). Dal 2013 una norma impone che, se l’ente risponde negativamente, debba comunicarlo al contribuente e all’Agente; se non risponde entro 220 giorni, scatta il meccanismo della sospensione legale di cui ora diremo .
Sospensione legale della riscossione (istanza ai sensi della L. 228/2012)
Accanto all’autotutela “classica”, la legge ha previsto una procedura speciale di sospensione della riscossione, introdotta dalla Legge n. 228/2012 (commi 537 e segg. art.1). In base a tale norma, il contribuente che ritenga la richiesta di pagamento non dovuta per determinati motivi può inviare una dichiarazione all’Agenzia delle Entrate-Riscossione entro 60 giorni dalla notifica dell’atto (cartella, intimazione, etc.) chiedendo la sospensione immediata. I motivi ammessi dalla legge sono tassativi, ad esempio : – Pagamento effettuato prima della formazione del ruolo (esibendo quietanze che provano il saldo del debito prima della cartella); – Provvedimento di sgravio o annullamento dell’ente già emesso sul debito (ma magari non ancora registrato dall’agente); – Presenza di una sentenza favorevole definitiva che annulla il debito; – Prescrizione o decadenza del debito già maturata prima della formazione del ruolo; – Qualsiasi altra causa di inesigibilità del credito (errore di persona, importo già annullato da legge di condono, duplicazione, ecc.).
Questa istanza si presenta preferibilmente tramite PEC o raccomandata, usando il modulo apposito disponibile sul sito di Agenzia Entrate-Riscossione. È una sorta di “autotutela rafforzata” regolata dalla legge, che impone all’agente di attivarsi. Infatti, ricevuta la dichiarazione, l’Agente della Riscossione sospende le procedure esecutive su quel debito in via amministrativa e inoltra la richiesta all’ente creditore competente per le necessarie verifiche. L’ente ha 220 giorni di tempo per rispondere : – Se entro 220 giorni l’ente conferma che il debito è dovuto (respingendo le motivazioni del contribuente), l’Agente ne dà comunicazione al debitore e può riprendere la riscossione. – Se l’ente non risponde affatto entro 220 giorni, il debito viene annullato di diritto (cancellato) . Si realizza un silenzio-assenso a favore del contribuente: l’Agente deve eliminare il carico dal ruolo e non riscuoterlo più. – Se l’ente risponde accogliendo parzialmente (es. riconosce uno sgravio parziale) l’Agente procederà di conseguenza, riscuotendo solo la parte residua.
Questa procedura dà quindi un forte strumento al debitore: in caso di inerzia dell’ente, dopo circa 7-8 mesi si ottiene la cancellazione del debito senza bisogno di andare in giudizio. Occorre però poter rientrare in uno dei casi previsti e presentare l’istanza entro 60 giorni dalla notifica dell’intimazione (o altro atto) . Se si è oltre i 60 giorni, l’istanza non è formalmente accoglibile dall’agente (sarà trattata come semplice autotutela, con meno tutele).
È importante notare che questa sospensione legale non va confusa con l’autotutela: sono due cose diverse. Nell’autotutela l’ente può ignorare l’istanza senza conseguenze giuridiche immediate; nella sospensione ex L.228/2012, invece, la legge stessa prevede la sospensione e l’annullamento se l’ente non risponde . Anche i canali a volte differiscono: l’istanza di sospensione si invia all’Agente della Riscossione, mentre l’autotutela si invia all’ente. Spesso è opportuno fare entrambe le cose in parallelo: ad esempio, nel caso di intimazione per cartella prescritta, il contribuente può inviare la dichiarazione di prescrizione ex L.228/2012 all’Agente (così blocca subito le azioni) e contestualmente fare ricorso in Commissione per sicurezza, oppure attendere l’esito sapendo che se l’ente non risponde il debito decade comunque.
In relazione alle intimazioni di pagamento, l’istanza ai sensi della L.228/2012 è pienamente applicabile (l’Agenzia Entrate-Riscossione la considera un “atto della riscossione” come la cartella ai fini della sospensione). Dunque, entro 60 giorni dall’intimazione il debitore può presentare la dichiarazione di sospensione legale indicando, ad esempio, che la cartella sottostante è prescritta perché sono passati più di tot anni senza atti. L’Agente, ricevuta l’istanza, sospende immediatamente ogni attività esecutiva su quel debito : ciò significa che, anche se i 5 giorni sono trascorsi, non procederà con pignoramenti finché la verifica è in corso. Questo tutela il contribuente nell’immediato. Se poi l’ente creditore non risponde entro i 220 giorni (circa 7 mesi), scatta l’annullamento ex lege e all’intimazione non seguirà più alcuna esecuzione permanente. Se invece l’ente risponde che la prescrizione non è maturata (ad esempio sostiene di aver inviato altri atti interruttivi validi), l’Agente comunicherà il rigetto e potrà riprendere le azioni: a quel punto al contribuente resterà la via del ricorso giudiziario per contestare l’eventuale errore dell’ente.
In conclusione, la sospensione legale ex L.228/2012 è uno strumento potente che il debitore dovrebbe usare quando ha prove solide che il debito non è dovuto (pagato, prescritto, annullato) e vuole congelare subito la riscossione senza attendere i tempi (più brevi) del ricorso in Commissione. Ha il vantaggio di poter portare alla cancellazione automatica del debito se l’ente non risponde, ma richiede comunque un po’ di attesa. Da notare che dal 2013 ad oggi questo istituto ha subito qualche modifica procedurale (inizialmente il termine di risposta era 90 giorni, poi portato a 220 giorni e la sospensione è divenuta “ex lege” e non più provvedimento discrezionale): come ricorda la dottrina, “dal 22 ottobre 2015 [con D.Lgs.159/2015] la presentazione dell’istanza non produce più una sospensione ‘provvisoria’ di 90 giorni, ma resta la finalità di generare il silenzio-assenso se l’ente non risponde entro 220 giorni” . Quindi attualmente l’effetto sospensivo è legale e dura fino a esito (o annullamento automatico).
Rateizzazione del debito (dilazione di pagamento)
Un’altra forma di “difesa” – nel senso di gestione del debito – è la rateizzazione o dilazione di pagamento. Se il contribuente riconosce di dover pagare ma non è in grado di saldare in un’unica soluzione entro i 5 giorni dall’intimazione, può chiedere all’Agente della Riscossione di pagare a rate, evitando così l’esecuzione immediata. La normativa sulla rateazione delle cartelle (art. 19 D.P.R. 602/1973 e succ. mod.) consente in genere di ottenere un piano fino a 72 rate mensili (6 anni) per debiti fino a €120.000 (soglia in vigore nel 2025), e piani straordinari fino a 120 rate (10 anni) per debiti superiori o in caso di grave e comprovata difficoltà economica. La domanda va presentata utilizzando i moduli di AER, dichiarando l’eventuale stato di difficoltà se richiesto.
Effetti sul procedimento: La presentazione di una richiesta di rateizzazione non sospende i termini per impugnare l’intimazione (quindi se vi sono vizi e si vuole contestare andrebbe comunque presentato ricorso entro 60 gg), ma di fatto l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, appena riceve una richiesta di dilazione, tende a sospendere le azioni esecutive in attesa dell’esito. In particolare, se la domanda di rateazione viene presentata entro i 5 giorni o poco dopo la scadenza dell’intimazione, è prassi che l’Agente non proceda con il pignoramento fintanto che valuta la richiesta. Una volta concessa la rateizzazione, pagando la prima rata il debitore è al riparo da misure esecutive e cautelari: la legge infatti vieta di avviare nuove azioni esecutive su debiti oggetto di rateizzazione in corso, a meno di decadenza del piano (inoltre eventuali fermi amministrativi possono essere sospesi e le ganasce non applicate per chi è in regola con le rate).
Per cui, una strategia consigliabile per chi non ha motivi di contestazione giuridica ma vuole evitare il peggio, è: chiedere immediatamente la dilazione. Ad esempio, se arriva un’intimazione per €50.000 e il debitore sa di doverli ma non dispone della somma, entro pochi giorni può presentare istanza di rateazione: l’Agenzia concederà verosimilmente 72 rate da circa €700/mese (salvo interessi), e così facendo il contribuente si mette al riparo dal pignoramento di conto o stipendio che altrimenti sarebbe scattato dopo il quinto giorno.
Bisogna però rispettare la dilazione: in caso di mancato pagamento delle rate, al raggiungimento del numero di rate non pagate che determina la decadenza (oggi 8 rate anche non consecutive, oppure 10 rate per piani concessi nel periodo COVID fino al 2021, secondo normative emergenziali), il beneficio decade e l’intero importo torna riscuotibile in unica soluzione . Se la decadenza avviene dopo più di un anno dalla notifica originaria della cartella, l’Agente prima di riprendere l’esecuzione dovrà comunque notificare una nuova intimazione (cosa che spesso fa nella pratica). Se invece la decadenza avviene relativamente presto e l’Agente intende pignorare subito, potrebbe farlo senza altro avviso se l’ultima intimazione (o cartella) è ancora “fresca” (ma per prudenza generalmente notifica un sollecito o intimazione anche in questi casi).
La rateizzazione non è una vera “difesa” in termini giuridici (implica riconoscere il debito e pagarlo), ma è certamente un modo per evitare o differire l’esecuzione trasformando un pagamento immediato in pagamenti diluiti. Dal punto di vista del patrimonio del debitore, può fare la differenza tra subire un pignoramento di un quinto dello stipendio o poter pagare volontariamente quote magari inferiori.
È utile ricordare che in caso di intimazioni relative a più cartelle, la domanda di rateazione può riguardare tutti i ruoli scaduti del contribuente (quindi anche quelli menzionati nell’intimazione): ottenendo un piano per l’intero debito, l’intimazione sarà “superata” dall’accoglimento della dilazione.
In conclusione, la scelta tra pagare, rateizzare, chiedere sgravio o ricorrere va ponderata rapidamente. Possono anche essere scelte combinabili: ad esempio, un contribuente può chiedere la rateazione per evitare il pignoramento ma contemporaneamente impugnare l’intimazione per far annullare parte del debito (se vince, pagherà solo la parte non annullata). Oppure può presentare autotutela e, nell’attesa, chiedere una sospensione legale e magari anche rateizzare la parte non controversa. L’importante è agire nei tempi giusti: i 5 giorni dell’intimazione e i successivi 60 giorni per il ricorso sono un arco temporale in cui il debitore deve mettere in campo tutte le mosse difensive possibili, consultandosi preferibilmente con un professionista (avvocato tributarista o esperto in crisi da sovraindebitamento) per scegliere la combinazione migliore.
Altre possibili tutele stragiudiziali
Oltre alle principali già elencate, si possono citare ulteriori strumenti che, sebbene più di nicchia, rientrano nel ventaglio difensivo del debitore:
- Verifica delle notifiche e accesso agli atti: Spesso il contribuente potrebbe non aver ricevuto una o più cartelle indicate nell’intimazione. È suo diritto chiedere all’Agente della Riscossione copia delle relate di notifica di tutti gli atti elencati nell’intimazione . Questa richiesta (che può avvenire tramite sportello o PEC) è utile per raccogliere elementi di prova: se emergono irregolarità (notifiche fatte a indirizzo errato, o mai effettuate, o viziate), potranno costituire motivi di ricorso efficaci. Ad esempio, Studio Legale Sgro consiglia: “Chiedere all’Agenzia delle Entrate-Riscossione la copia delle relate di notifica di tutti gli atti indicati nell’intimazione e farle visionare da chi conosce la materia” , proprio per individuare eventuali falle procedurali da sfruttare in difesa.
- Definizioni agevolate e sanatorie: Talvolta, in concomitanza con l’invio di intimazioni, sono vigenti normative di definizione agevolata (es. “rottamazione delle cartelle”, “saldo e stralcio” etc.). Ad ottobre 2025, ad esempio, potrebbe essere in corso la “Rottamazione-quater 2023” per chi vi ha aderito, oppure potrebbe prospettarsi una nuova definizione. Se il debito rientra in una sanatoria (o ad esempio è uno di quelli stralciati automaticamente dal legislatore, come i mini-ruoli sotto €1.000 del 2000-2015 annullati dalla L. 197/2022), il debitore deve segnalarlo immediatamente. Un’intimazione su un debito rottamato e con pagamenti in corso è illegittima: basta comunicare la ricevuta di adesione e le quietanze versamenti per ottenere la revoca dell’intimazione in autotutela. Se il debito invece rientra in un annullamento automatico, l’intimazione è stata mandata per errore: va fatto presente e l’agente la annullerà d’ufficio. NB: L’intimazione non viene inviata per debiti in rateazione attiva o in rottamazione attiva (poiché non considerati “scaduti” finché si paga regolarmente), ma errori possono capitare.
- Composizione della crisi da sovraindebitamento: Se il contribuente è una persona fisica sovraindebitata, oppure un’impresa non fallibile, e i debiti esattoriali sono insostenibili, c’è la possibilità di avviare una procedura di composizione della crisi (presso il Tribunale) chiedendo anche misure protettive. Ciò va oltre lo scopo di questa guida, ma si segnala che esistono strumenti (Piano del Consumatore, Ristrutturazione dei debiti) che possono includere anche i debiti fiscali e bloccare le azioni esecutive intanto. Sono vie complesse che richiedono l’assistenza di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) e vanno valutate caso per caso.
Difese giudiziali (ricorsi e opposizioni)
Quando l’azione amministrativa non è sufficiente o appropriata, il debitore può ricorrere alle difese giudiziarie, ovvero attivare un procedimento davanti al giudice per tutelare i propri diritti. Avendo già distinto la competenza tra giudice tributario e giudice ordinario, esponiamo le principali forme di tutela giudiziale contro un’intimazione di pagamento.
Ricorso tributario (Corte di Giustizia Tributaria)
Se l’intimazione riguarda tributi (imposte, tasse, contributi consortili assimilati ai tributi) la sede naturale di contestazione è il giudice tributario. Il ricorso tributario va proposto entro 60 giorni dalla notifica dell’intimazione . Deve essere rivolto nei confronti dell’ente impositore (es. Agenzia delle Entrate, Comune, Regione…) e dell’Agente della Riscossione, i quali staranno in giudizio rispettivamente tramite l’Avvocatura dello Stato (per Agenzia Entrate) o propri funzionari/delegati (per il Comune di solito l’avvocato comunale, per AER propri funzionari o avvocati). Il processo tributario è in parte scritto: il ricorrente notifica il ricorso e poi deposita atti, l’ente resiste con controdeduzioni, e vi sarà un’udienza di discussione avanti al Collegio giudicante.
Motivi di ricorso più comuni: Contestare un’intimazione equivale spesso a contestare il fondamento o la legittimità del debito richiesto. I motivi tipici sono: – Prescrizione del credito tributario: se al momento della notifica dell’intimazione il credito era già prescritto (ad es., cartella di 8 anni fa per un tributo locale con prescrizione quinquennale, e nessun atto in mezzo), il debitore eccepisce la prescrizione e chiede l’annullamento dell’intimazione perché relativo a un credito inesigibile per decorso del tempo. È importante, come già detto, sollevare l’eccezione in questa sede, perché diversamente sarebbe preclusa in seguito . – Mancata notifica della cartella o altro atto presupposto: il debitore sostiene di non aver mai ricevuto la cartella di pagamento cui l’intimazione si riferisce. In tal caso, l’intimazione sarebbe priva di valido presupposto. Il giudice dovrà verificare la notifica della cartella: onere dell’Agente è provare che la cartella fu notificata regolarmente (esibendo la relata o la ricevuta PEC). Se non ci riesce, l’intimazione verrà annullata perché si basava su un atto mai notificato (in pratica il ruolo non è divenuto esecutivo validamente) . – Vizi di notifica dell’intimazione stessa: ad esempio intimazione notificata a un indirizzo errato, oppure non notificata affatto (a volte l’Agente esegue un pignoramento e solo dopo il contribuente scopre che era stata emessa un’intimazione mai ricevuta; in tal caso quell’intimazione è nulla). Questi vizi, se provati, possono portare all’annullamento dell’intimazione e di conseguenza invalidare gli atti esecutivi successivi eventualmente già compiuti. – Vizi formali o di contenuto: l’intimazione di pagamento di solito è un atto abbastanza sintetico (riporta gli estremi delle cartelle e poco altro). La legge non richiede una motivazione approfondita, perché la motivazione risiede negli atti presupposti. Tuttavia se l’atto è completamente privo di elementi essenziali (ad es. non indica a quali cartelle si riferisce, o non indica l’ente creditore, etc.) potrebbe esserne eccepita la nullità per difetto di motivazione o indeterminatezza dell’oggetto. La giurisprudenza però è abbastanza rigorosa: ha chiarito che l’intimazione non deve contenere la dettagliata motivazione del tributo, essendo sufficiente il richiamo alle cartelle esattoriali cui si riferisce . Quindi motivi del genere hanno meno probabilità di successo, a meno di casi macroscopici. – Decadenza del potere di riscossione: un caso particolare è quando la cartella (o l’accertamento esecutivo) fu emessa tardivamente oltre i termini di decadenza previsti dalla legge. Se però la cartella non è mai stata impugnata, tale vizio originario non è più deducibile (è coperto da definitività). Può emergere solo se la cartella stessa era nulla e viene in gioco nel ricorso contro l’intimazione. Ad esempio, se si dimostra che la cartella non fu notificata e nel frattempo l’ente impositore aveva perso i termini per notificarla (anni di imposta troppo lontani), si potrebbe sostenere in giudizio che il credito era decaduto e dunque l’intimazione è illegittima.
Nel ricorso, il contribuente può chiedere alla Corte di Giustizia Tributaria anche la sospensione cautelare dell’intimazione impugnata, ai sensi dell’art. 47 D.Lgs. 546/92. Ciò è estremamente rilevante: presentare ricorso non sospende automaticamente la riscossione, quindi l’Agenzia Riscossione può comunque procedere con pignoramenti trascorsi i 5 giorni. Per evitare questo, bisogna depositare un’istanza di sospensione al presidente della sezione tributaria, dimostrando il fumus boni iuris (cioè che ci sono validi motivi di ricorso, es. evidente prescrizione) e il periculum in mora (cioè che nel frattempo subiresti un danno grave, ad es. pignoramento della casa) . Il giudice tributario di solito decide l’istanza di sospensione in 20–30 giorni, con ordinanza. Se accorda la sospensione, l’Agenzia Riscossione non potrà procedere fino alla sentenza di merito. Se la nega, il contribuente dovrà eventualmente ricorrere a altri mezzi (es. chiedere poi al giudice dell’esecuzione una sospensione, ma non sempre possibile, o accelerare il merito).
Esito del ricorso tributario: Se il ricorso viene accolto, la Commissione (Corte) Tributaria annulla l’intimazione di pagamento impugnata, con effetti che possono variare: – Se l’annullamento è motivato da un vizio formale dell’intimazione stessa, l’Agente dovrà eventualmente rimediare e potrà forse notificare una nuova intimazione corretta. – Se l’annullamento è motivato da vizi sostanziali del credito (es: prescrizione riconosciuta, cartella nulla per notifica invalida, ecc.), allora viene meno proprio la pretesa: l’ente impositore non potrà più riscuotere quelle somme. Ad esempio, se la Corte dichiara che il credito è prescritto già da prima, l’intimazione è annullata e il debito è estinto; se dichiara che la cartella non fu mai notificata e ormai il termine di notifica è decaduto, l’ente non può riprovarci e il debito è perso; se invece la cartella non fu notificata ma è ancora nei termini, l’ente potrebbe ritentare notifica valida (caso raro, perché spesso emergono dopo tanti anni). – Se il ricorso viene rigettato, l’intimazione resta valida e l’Agente potrà procedere. Il contribuente può appellare in Commissione Tributaria Regionale (ora Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado) entro 60 giorni, ma questo di norma non sospende l’esecuzione (servirebbe altra istanza di sospensiva in appello). Dunque un rigetto in primo grado può spalancare le porte al pignoramento, salvo eventuali accordi transattivi nel frattempo.
Costi e benefici: Il ricorso tributario comporta il pagamento del contributo unificato (esiguo in base al valore, es. €30 per debiti fino 2.500€, €60 fino a 5.000€, ecc., e a salire) e spese legali se ci si avvale di un difensore (obbligatorio per importi oltre €3.000). Se si vince, generalmente le spese vengono compensate o poste parzialmente a carico dell’ente soccombente; se si perde, si rischia la condanna alle spese a favore di Agenzia Entrate o Comune, ma in base a tariffe spesso contenute. Va valutato che impugnare un’intimazione anche solo per guadagnare tempo è spesso utile: anche se alla fine il contribuente dovrà pagare, magari avrà ottenuto mesi di respiro durante il processo, utilizzabili per trovare fondi o definire diversamente il debito (es. con una transazione o adesione a rottamazione, se aperta). In ambito tributario, talvolta durante il processo le parti possono trovare soluzioni (sgravio parziale da parte dell’ente, conciliazione, ecc.).
Opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi (giudice ordinario)
Per i crediti non tributari, come detto, la tutela giudiziale avviene col rito delle opposizioni all’esecuzione forzata. Qui i tempi sono spesso più stringenti: se l’intimazione è arrivata e il debitore aspetta, rischia di vedersi notificare un pignoramento e a quel punto: – Per contestare motivi di merito (es. inesistenza del diritto a procedere per prescrizione, avvenuto pagamento, ecc.) dovrà proporre opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c.. Se il pignoramento è già stato notificato, l’opposizione deve essere proposta entro l’inizio dell’esecuzione (nel pignoramento mobiliare immediato, coincide con la sua notifica, per il pignoramento presso terzi entro l’udienza di comparizione, ecc.). Se invece si agisce prima del pignoramento (opposizione “preventiva”), non c’è un termine ma occorre l’attualità del rischio di esecuzione. – Per contestare vizi formali dell’atto di pignoramento o di notifica delle intimazioni, va proposta opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. entro 20 giorni dalla notifica dell’atto che si intende contestare (20 giorni dal pignoramento per eccepirne difetti, oppure 20 giorni dalla data in cui si è avuta notizia di un vizio di notifica a monte) .
Nel contesto delle intimazioni, è frequente l’opposizione ex art. 615 c.p.c. perché spesso ciò che si vuole far valere sono cause di inesigibilità (prescrizioni, nullità della cartella, ecc.). Questa opposizione, se proposta prima del pignoramento, va citato in giudizio l’Agente della Riscossione e l’ente creditore dinnanzi al Tribunale competente per materia/valore. Ad esempio: – Per contributi INPS: competente il Tribunale in funzione di giudice del lavoro (materia previdenziale), trattandosi in sostanza di un’opposizione a ruolo ai sensi dell’art. 24 D.Lgs. 46/1999. Va depositata entro 40 giorni se si tratta di impugnare direttamente un avviso di addebito; ma se siamo alla fase di intimazione, in genere il termine dei 40 giorni è superato e si configurerà come opposizione all’esecuzione, proponibile finché l’esecuzione non è iniziata. – Per multe: competente il Tribunale civile ordinario (non sez. lavoro). Anche qui se l’opposizione verte su fatti estintivi (prescrizione quinquennale, mancata notifica verbale) si propone ex art.615 c.p.c. prima dell’esecuzione. Se verte su vizi puramente formali dell’intimazione (atto non firmato, carenza motivazione), si potrebbe teorizzare un’opposizione agli atti, ma in pratica è raro poiché i vizi di intimazione convergono anch’essi sul diritto a procedere.
Procedura: L’opposizione inizia con atto di citazione (o ricorso se sezione lavoro) in Tribunale. Si può chiedere al giudice ordinario una sospensione dell’efficacia esecutiva dell’intimazione/pignoramento in via d’urgenza (ex art. 624 c.p.c. o 615 co.2 se dopo pignoramento, o anche tramite ricorso cautelare ante causam se opportuno). I giudici ordinari valutano la sospensione se c’è fumus e periculum, in modo analogo al giudice tributario, ma tenendo conto che l’esecuzione forzata può progredire velocemente (es. il pignoramento può portare a assegnazione crediti in pochi mesi).
Esempio pratico: un soggetto riceve intimazione per contributi previdenziali del 2015, mai sollecitati prima: probabilmente prescritti (5 anni). Non avendo sede tributaria, propone opposizione al Tribunale lavoro, eccependo la prescrizione. Se l’INPS/Agenzia non dimostrano atti interruttivi nel frattempo, il giudice potrà accertare che il credito era prescritto e dichiarare inesistente il diritto a eseguire coattivamente. In parallelo, può aver chiesto al giudice di sospendere eventuali azioni: il giudice in genere, se riconosce fumus (ad esempio evidenti 8 anni di inattività) e periculum (pignoramento minacciato), emette ordinanza di sospensione.
Se l’Agente ha già eseguito un pignoramento, l’opposizione va rivolta contro di esso: – Se il motivo è che mancava l’intimazione obbligatoria, è un vizio formale dell’atto esecutivo (pignoramento eseguito senza condizione di procedibilità): la giurisprudenza lo inquadra come opposizione agli atti ex 617 c.p.c. entro 20 giorni dal pignoramento. Il Tribunale, ad esempio, in un caso del 2025 ha accolto proprio un’opposizione del genere dichiarando nullo il pignoramento “per omessa notificazione degli avvisi di intimazione” ex art. 50 . Il giudice ha ritenuto fondata la doglianza che l’Agenzia delle Entrate-Riscossione non aveva fornito prova documentale di aver notificato le intimazioni dovute, e ha quindi annullato l’intera esecuzione per vizio procedurale. – Se il motivo è sostanziale (es. prescrizione) ma si è atteso il pignoramento, la giurisprudenza dibatte se sia 615 o 617: in genere, prescrizione del credito è un fatto estintivo sostanziale, quindi andrebbe in un’opposizione all’esecuzione ex 615 c.p.c. (senza termine perentorio, ma da proporre prima che l’esecuzione giunga a conclusione). Spesso però, all’atto pratico, se uno solleva prescrizione dopo il pignoramento, i termini stringenti rischiano di far classificare l’atto come 617 tardivo. È un tecnicismo complesso: per sicurezza, meglio sollevare la prescrizione entro 20 giorni dal pignoramento in modo da essere dentro qualsiasi termine.
Interrelazione col giudice tributario: come già notato, se si arriva davanti al giudice ordinario con un debito tributario, la partita sul merito è ormai chiusa. Il giudice ordinario si limiterà a verificare che l’iter formale sia regolare (presenza o meno di intimazione, validità notifiche) ma non potrà ad esempio dichiarare prescritta un’imposta se il contribuente non l’ha eccepito a suo tempo in sede tributaria . Ecco perché, in un’opposizione ad esecuzione su cartella esattoriale, spesso il giudice ordinario dichiara inammissibili o respinge le eccezioni di merito sul tributo, affermando che dovevano essere fatte valere avanti al giudice tributario (principio della “cristallizzazione” visto). Ad esempio, Cass. 5 agosto 2024 n. 22108 ha ribadito che non si possono far valere in sede esecutiva fatti estintivi (prescrizione) anteriori, se l’intimazione non è stata impugnata ed è definitiva . Quindi, di fronte al giudice dell’esecuzione, il contribuente potrà far valere solo aspetti come: l’intimazione manca del tutto (quindi pignoramento nullo) , oppure l’intimazione non è stata notificata regolarmente (pignoramento nullo per notifica viziata degli atti presupposti), oppure eventi estintivi successivi all’intimazione (es. il debito è stato pagato dopo, oppure oggetto di rottamazione post-intimazione, etc.). Se invece prova a dire “il debito era prescritto già prima”, il giudice ordinario dirà: dovevi farlo quando l’intimazione te lo chiedeva; ora è tardi.
Sintesi sulle opposizioni: vanno calibrate bene: – Prima del pignoramento: opposizione 615 preventiva, giurisdizione secondo natura credito, utile per far valere tutto, incluso prescrizioni pregresse (in ambito non tributario, perché in ambito tributario va in Commissione, come visto). – Dopo il pignoramento: 615 c.2 e/o 617, con termini brevi e focus su aspetti più formali o su fatti successivi.
Esiti possibili in sede ordinaria
Se l’opposizione viene accolta: – Nel caso di opposizione all’esecuzione, il Tribunale dichiarerà che la procedura esecutiva non deve andare avanti per quel credito. In pratica annullerà il pignoramento se già avvenuto (o inibirà di iniziarlo, se opposizione preventiva) dichiarando inesistente il diritto dell’ente di procedere forzatamente. Ciò normalmente travolge anche l’intimazione (che era presupposto). – Nel caso di opposizione agli atti esecutivi accolta, annullerà l’atto viziato (es. il pignoramento) per irregolarità procedurale, di solito lasciando però salvo il credito: significa che l’agente potrebbe correggere l’errore e riprovare (ad es. notificare ora l’intimazione mancante e poi pignorare di nuovo). Spesso però, se l’agente ha saltato l’intimazione e il giudice annulla, l’agente notifica l’intimazione e intanto il debitore potrebbe nel frattempo aver trovato altra difesa o risorse. – In entrambi i casi, è usuale che se il contribuente vince, le spese processuali vengano poste a carico dell’Agenzia Riscossione soccombente. Ad esempio nel caso del Tribunale di Roma 2025 citato, l’Agenzia è stata condannata a rifondere le spese legali al debitore opponente .
Se l’opposizione viene respinta: – L’esecuzione può proseguire; se era sospesa, viene dissequestrata. Il debitore potrebbe appellare la decisione, ma l’appello delle opposizioni esecutive non sospende salvo diversa disposizione, quindi l’ente potrà completare il pignoramento (assegnazione somme, vendita di beni ecc.) prima che l’appello sia deciso, a meno che il debitore non ottenga una sospensione in appello (difficile). – Le spese saranno di norma a carico del debitore, anche se spesso in queste materie i giudici possono compensarle in caso di questioni controverse.
Da questa panoramica, risulta evidente l’importanza di giocare d’anticipo. È preferibile far valere le proprie ragioni prima possibile (in sede di ricorso tributario o opposizione preventiva) perché le chance di successo e gli strumenti cautelari sono maggiori. Agire dopo che il pignoramento è partito espone a più rischi e tempi stretti.
Domande frequenti (FAQ)
1. Che cos’è esattamente un’intimazione di pagamento?
È un atto formale inviato dall’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione) al contribuente, con cui si intima il pagamento di uno o più debiti entro 5 giorni, come ultimo avvertimento prima di iniziare la riscossione forzata . Viene emessa solo se è trascorso oltre un anno dalla notifica della cartella esattoriale (o accertamento esecutivo) senza che sia iniziata l’esecuzione . In pratica, è una sorta di “ultimatum” che precede pignoramenti, ipoteche, fermi amministrativi, e ha lo scopo sia di sollecitare il pagamento sia di rinnovare la legittimità dell’azione esecutiva (interrompe la prescrizione e dà un termine finale). Se il debitore paga entro 5 giorni, l’intimazione si chiude lì; se non paga, l’agente può procedere con gli atti esecutivi già dal sesto giorno successivo alla notifica.
2. Quando l’Agente delle Entrate-Riscossione deve inviare l’intimazione?
Ogni volta che vuole iniziare un’esecuzione forzata e siano trascorsi più di 12 mesi dalla notifica della cartella di pagamento (o dell’ultimo atto esecutivo notificato). Esempio: cartella notificata il 10 gennaio 2022, nessuna azione fino a marzo 2023 – a questo punto, per pignorare, l’agente deve inviare un’intimazione dando 5 giorni di tempo . Se invece il pignoramento è partito entro un anno dalla cartella, non era necessaria l’intimazione. Attenzione: se dopo la prima intimazione passa un altro lungo periodo di inattività (oltre un anno), servirà una nuova intimazione prima di riprendere la riscossione . Quindi l’agente potrebbe emettere intimazioni successive, in caso di prolungata inattività, per rispettare sempre il vincolo dell’anno.
3. L’intimazione di pagamento può essere impugnata? E davanti a chi?
Sì, il destinatario può fare ricorso contro l’intimazione. Se riguarda tributi (es. tasse statali o locali), va presentato un ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria) entro 60 giorni . Se riguarda contributi previdenziali (INPS) o altre entrate non tributarie, si deve agire davanti al Giudice Ordinario (Tribunale): tipicamente con un’opposizione ex art. 615 c.p.c. (opposizione all’esecuzione) perché si contesta il diritto a riscuotere, oppure ex art. 617 c.p.c. se si contestano vizi formali. In questi casi è bene muoversi subito, preferibilmente entro 20 giorni, e comunque prima che inizino i pignoramenti. Ad esempio, per contributi INPS non pagati un’opposizione andrà al Tribunale del Lavoro; per multe, al Tribunale civile ordinario. Ricordiamo che l’intimazione ha natura ibrida: a seconda del credito sottostante, la giurisdizione cambia .
4. È vero che se non impugno l’intimazione entro 60 giorni poi non posso più contestare nulla?
Per i tributi sì, è vero in larga parte. La Cassazione ha stabilito che l’intimazione di pagamento (equiparata all’avviso di mora) va impugnata tempestivamente se si vogliono eccepire difetti del debito, altrimenti il debito si consolida definitivamente . In pratica, se non presenti ricorso tributario entro i 60 giorni, poi non potrai in sede di esecuzione far valere, ad esempio, che la cartella era prescritta o non notificata: l’intimazione non impugnata “cristallizza” il debito . Dunque, è estremamente rischioso lasciar scadere il termine. Diverso è se hai pagato: in tal caso non c’è nulla da contestare. Per i debiti non tributari il principio dell’onere di immediata impugnazione è meno formalizzato, ma comunque se non reagisci l’esecuzione andrà avanti e alcune eccezioni (specie di merito) potrebbero poi essere respinte perché tardive. Ad esempio, per una multa prescritta: se non fai nulla all’intimazione e aspetti il pignoramento, dovrai agire d’urgenza e non è garantito che il giudice accolga l’eccezione (magari dirà che dovevi opporti subito). In sintesi: meglio impugnare nei termini ogni volta che c’è un valido motivo.
5. Cosa succede se ignoro l’intimazione di pagamento?
Trascorsi i 5 giorni senza pagamento né accordi (es. rateizzazione) o sospensioni, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione potrà procedere con le misure esecutive sul tuo patrimonio. Potresti dunque ritrovarti, dopo qualche settimana, con un pignoramento del conto corrente, del quinto dello stipendio/pensione, o di beni di tua proprietà. Inoltre, perdi la possibilità di contestare il debito in sede appropriata: come detto, trascorsi 60 giorni l’intimazione diventa definitiva e non potrai più impugnarla per far valere vizi precedenti (prescrizione, errori, etc.). In altre parole, ignorare l’intimazione equivale ad accettare la pretesa. Da quel momento in poi le uniche opposizioni possibili saranno molto limitate (principalmente vizi formali dell’esecuzione). Quindi, l’inerzia comporta sia l’azione esecutiva immediata sia la cristallizzazione del debito . Per questo è fortemente sconsigliato ignorare l’intimazione: è preferibile attivarsi in qualche modo (pagamento, ricorso, istanza di sospensione…) per evitare il doppio danno di subire l’esecuzione e di chiudersi le porte delle difese.
6. L’intimazione interrompe la prescrizione del debito?
Sì. L’intimazione di pagamento è considerata un atto di messa in mora formale e quindi interrompe i termini di prescrizione del credito cui si riferisce . Ad esempio, se la cartella riguardava contributi INPS (prescrizione 5 anni) e dopo 4 anni arriva l’intimazione, questa interrompe la prescrizione e da quel momento decorrono di nuovo 5 anni. Ciò significa che, anche se si impugna l’intimazione, se poi il giudizio dura anni l’ente non perde il diritto per prescrizione nel frattempo, perché l’intimazione ha segnato un nuovo “inizio”. Va anche detto che la prescrizione può maturare prima dell’intimazione: in molti casi l’intimazione arriva proprio perché il debito stava per prescriversi e l’agente, per prevenire, invia questo atto. Se ritieni che il credito fosse già prescritto quando ti è stata notificata l’intimazione, devi eccepirlo con ricorso, altrimenti l’atto stesso riattiva tutto e perdi l’eccezione.
7. Quali sono i termini di prescrizione per i vari tributi o contributi?
Dipende dalla legge specifica: – Imposte erariali (IRPEF, IVA, IRAP, ecc.): 10 anni dalla definitività, salvo diverse indicazioni. La Cassazione (SU 23397/2016) ha chiarito che resta il termine ordinario decennale perché non c’è un termine breve specifico per queste imposte. – Tributi locali (IMU, TARI, bollo auto, ecc.): generalmente 5 anni, sebbene per alcuni si discuta. Il bollo auto è 3 anni. IMU e TARI 5 anni. – Contributi previdenziali INPS: 5 anni (dal 2018 tutti i contributi prescritti in 5 anni, prima alcuni erano decennali ma la legge è stata uniformata). – Sanzioni amministrative (multe): 5 anni dal momento in cui la sanzione è definitiva (tipicamente dalla cartella, se il verbale non fu opposto entro 30/60 giorni). Questi termini decorrono da quando il titolo (cartella o avviso) è divenuto esecutivo. Ogni atto successivo di riscossione (intimazione, pignoramento) interrompe e fa decorrere da capo. Quindi, per vedere se un debito è prescritto al momento dell’intimazione, devi controllare l’ultimo atto valido e computare gli anni previsti. Esempio: cartella TARI notificata nel 2016, nessun atto fino al 2022 = 6 anni senza atti, prescrizione TARI 5 anni → nel 2022 era già prescritta, quindi l’intimazione del 2022 è illegittima per prescrizione (da eccepire con ricorso). Se invece nel frattempo c’era stato un sollecito nel 2018, allora nel 2022 non sono passati 5 anni pieni e non c’è prescrizione.
8. Come faccio a sapere se le cartelle indicate nell’intimazione mi sono state notificate in passato?
Puoi rivolgerti all’Agente della Riscossione e chiedere l’estratto di ruolo o copia delle relate di notifica di tutte le cartelle/atti elencati nell’intimazione. Tale richiesta può essere fatta allo sportello oppure via PEC. L’agente è tenuto a fornire la documentazione. In alternativa, puoi controllare nel tuo cassetto fiscale / area debiti sul sito di AER: spesso da lì è possibile vedere le date di notifica delle cartelle. Se scopri che una cartella risulta notificata in una data o modalità a te sconosciuta (ad es. per compiuta giacenza, o a un indirizzo vecchio), potrebbe esserci stato un vizio. In sede di ricorso, l’Agente dovrà provare la regolarità della notifica; se non ci riesce, la cartella sarà considerata non validamente notificata . Quindi raccogliere queste prove è fondamentale. Ci sono anche professionisti o servizi che possono ottenere un Estratto di Ruolo aggiornato per te, riepilogando tutte le cartelle pendenti e il loro stato.
9. Ho ricevuto un’intimazione, ma nel frattempo ho aderito alla rottamazione delle cartelle: cosa devo fare?
Se l’intimazione include cartelle per le quali hai già presentato domanda di Definizione Agevolata (rottamazione) e sei in regola con i pagamenti, l’intimazione è impropria (quei debiti sono sospesi per legge durante la rottamazione). In tal caso, contatta subito l’Agenzia Entrate-Riscossione segnalando la cosa (via PEC o agli sportelli) e allega copia della ricevuta di adesione alla rottamazione e delle ricevute delle rate pagate. Di solito l’Agente, verificato l’errore, provvede in autotutela a stralciare dall’intimazione quei debiti e non procederà oltre . È sempre bene avere documentazione pronta perché può capitare che, per tempi tecnici, l’intimazione sia partita prima che fossero aggiornate le adesioni. Se per assurdo l’agente volesse procedere lo stesso, hai motivo di ricorso (violazione dei termini della rottamazione), ma nella pratica amministrativa la segnalazione informale risolve. Lo stesso vale se la legge ha annullato d’ufficio alcuni debiti (es. lo “stralcio” dei mini-debiti fino 1.000 euro previsto da normative recenti): l’intimazione potrebbe includerli per inerzia, ma ormai non sono dovuti. Segnalalo e saranno rimossi.
10. Se presento ricorso o opposizione, l’esecuzione si blocca automaticamente?
No, non automaticamente. Nel processo tributario, il ricorso non sospende l’esecutività dell’intimazione (o della cartella) salvo che tu faccia un’apposita istanza di sospensione e questa venga accolta . Quindi, se presenti ricorso in Commissione ma non ottieni (o non chiedi) la sospensiva, l’Agente può legalmente procedere con i pignoramenti trascorsi i 5 giorni. Per evitare ciò, devi chiedere alla Corte Tributaria una sospensione cautelare urgente, motivando il pericolo (es. pignoramento della casa) e la fondatezza del ricorso (es. cartella mai notificata, quindi ricorso con ottime chance). In genere i giudici tributari concedono sospensioni in presenza di evidenti illegittimità e danno grave. Nel processo civile ordinario, similmente, l’opposizione all’esecuzione o agli atti non sospende l’esecuzione già avviata salvo provvedimento del giudice (art. 624 c.p.c. per sospendere il pignoramento). Quindi potresti dover chiedere al giudice ordinario la sospensione del pignoramento/intimazione. Concludendo: presentare ricorso non basta, devi muoverti per ottenere una sospensione dal giudice, altrimenti l’Agente può proseguire (a proprio rischio, perché se poi vinci dovrà restituire il maltolto, ma intanto subisci l’esecuzione).
11. Quali errori (vizi) dell’intimazione posso far valere per contestarla?
Riassumendo i principali: – Prescrizione del debito: se al momento dell’intimazione il debito era già prescritto (es. 5 anni senza atti per tributo locale), puoi eccepirlo in ricorso . Devi provare il decorso del tempo e l’assenza di atti interruttivi (l’onere di dimostrare eventuali notifiche spetta poi all’Agente). – Cartella mai notificata: se sostieni (e risulta) che la cartella esattoriale non ti è stata notificata correttamente, l’intimazione è illegittima perché non preceduta dall’atto presupposto . Questo è un motivo forte: dovrai contestare la notifica (es. indirizzo errato, irreperibilità non reale, ecc.) e l’Agente deve esibire documenti di notifica; se non lo fa o sono viziati, vinci. – Importo non dovuto o già pagato: se dimostri che il debito era stato pagato o annullato prima, l’intimazione non doveva proprio essere emessa. Puoi risolvere magari in autotutela (presentando le ricevute all’ente) oppure anche in giudizio se necessario. Ad esempio, intimazione per TARI già pagata: presenti le ricevute e il giudice annulla quell’intimazione. – Vizi formali dell’atto: meno comuni, ma ad esempio mancanza della firma del responsabile, difetto di motivazione assoluto (intimazione che non indica nemmeno quali cartelle sollecita). In genere, se manca l’indicazione degli estremi delle cartelle, l’atto è nullo per indeterminatezza. Se manca la firma digitale o olografa richiesta, potrebbe essere contestato. Questi vizi devono essere seri (non bastano piccole imprecisioni). – Notifica irregolare dell’intimazione: es. inviata a un indirizzo dove il contribuente non risiede più, o non consegnata correttamente. In tal caso, si può eccepire la nullità della notifica e, se viene fatta valere entro certi termini, costringere l’ente a rinotificare (nel frattempo ferma esecuzione). Spesso però questi vizi vengono sanati se il contribuente ha comunque avuto conoscenza dell’atto (es. lo ha saputo magari tardi ma sempre in tempo per difendersi).
12. L’intimazione può essere inviata anche per debiti diversi dalle tasse (tipo multe, contributi)?
Sì, la procedura è la medesima per qualsiasi ruolo esattoriale. Se hai multe non pagate, dopo la cartella può arrivare l’intimazione (ed è obbligatoria dopo un anno). Idem per contributi INPS. Abbiamo fatto esempi con tributi perché sono i più frequenti, ma la legge art.50 DPR 602/73 si applica a tutte le riscossioni a mezzo ruolo, indipendentemente dalla natura del credito . L’unica eccezione è quando l’ente non usa il ruolo ma l’ingiunzione fiscale (in quel caso c’è un atto analogo chiamato “precetto” dopo un anno). Dunque, se ricevi un’intimazione dall’Agenzia Entrate-Riscossione, possono esserci dentro: imposte, IVA, bollo auto, IMU, contributi previdenziali, multe stradali, sanzioni varie, ecc. L’atto in sé vale per tutti. Starà poi a te districare la competenza giudiziaria come detto.
13. Ho perso il termine per ricorrere di 60 giorni: posso fare ancora qualcosa?
Se sono passati i 60 giorni senza ricorso tributario, purtroppo per i tributi la pretesa è definitiva. Potrai solo attendere un eventuale pignoramento e tentare (con scarsissime possibilità) un’opposizione in extremis, ma come spiegato i giudici ordinari non ti riammetteranno facilmente eccezioni che dovevi sollevare prima. L’unica speranza è magari trovare un vizio di notifica dell’intimazione stessa (ad esempio l’hai scoperta tardi perché notificata male): in tal caso potresti eccepire che il termine non è mai decorso per te in quanto notifica nulla. È un terreno scivoloso, serve assistenza legale per valutare. In generale, trascorsi 60 giorni senza azione, l’intimazione non impugnata produce i suoi effetti (cristallizza il debito). Per i contributi o multe, se non hai agito subito puoi ancora eventualmente agire prima o dopo il pignoramento, ma come detto parti svantaggiato. In ogni caso, mai aspettare oltre: se hai perso i 60 gg ma non c’è ancora pignoramento, valuta la sospensione legale (entro 60 gg, quindi magari quel termine puoi rispettarlo) o almeno una rateizzazione per evitare guai peggiori.
14. Cosa significa che il credito si “cristallizza” se non impugno l’intimazione?
Significa che diventa definitivo e incontestabile, salvo il caso limite di vizi formali futuri. La Cassazione usa il termine “cristallizzazione dell’obbligazione tributaria” per indicare che, non avendo il debitore reagito, quel debito non potrà più essere messo in discussione in merito alla sua esistenza o validità. In pratica, l’intimazione non impugnata ha lo stesso effetto di una sentenza passata in giudicato: consolida il diritto dell’erario a riscuotere . Ad esempio, se una cartella era nulla ma non l’hai mai saputo e arriva intimazione: se non la impugni, poi non potrai più far valere la nullità di quella cartella; la dovrai pagare e basta. “Cristallizzare” vuol dire che rimane scolpito l’ammontare e la debenza. Questo termine si lega a quello di “consolidamento della pretesa”. È un concetto di origine giurisprudenziale, non scritto esplicitamente in legge, ma di fatto operativo. Ribadisce l’importanza di non lasciare cristallizzare nulla senza averci provato.
15. Possono iscrivere fermo amministrativo o ipoteca senza intimazione?
Il fermo amministrativo (blocco del veicolo) e l’ipoteca sono atti cautelari, non esecutivi in senso stretto, e la legge non richiede espressamente l’intimazione prima di adotarli. In passato Equitalia inviava comunque dei “preavvisi di fermo/ipoteca” (che non erano però l’intimazione art.50, ma semplici avvisi bonari). Oggi, l’Agenzia Riscossione normalmente invia un “preavviso di iscrizione ipotecaria” 30 giorni prima di iscrivere ipoteca, e un preavviso di fermo 30 giorni prima del fermo, in ottemperanza a normative specifiche. Questi preavvisi sono atti impugnabili (ci sono stati contenziosi sul fatto se fossero impugnabili: per l’ipoteca sì, per il preavviso di fermo pure secondo alcune sentenze). Tuttavia, la vera intimazione ex art.50 serve solo prima degli atti esecutivi (pignoramenti). Quindi, fermo e ipoteca possono essere iscritti anche oltre un anno dalla cartella senza intimazione. Questo non vìola la legge perché fermo/ipoteca non sono “espropriazione forzata” ma misure a tutela del credito. Attenzione però: alcune commissioni hanno ritenuto che se era passata più di un anno, prima di iscrivere ipoteca l’agente dovesse comunque sollecitare il pagamento (ad es. con intimazione o atto analogo). Non è pacifico. Diciamo che nel dubbio l’Agente tende a notificare un sollecito o intimazione anche prima di ipoteca se è passato molto tempo, ma non sempre. Quindi è possibile ricevere un’ipoteca a sorpresa anche oltre l’anno. In tali casi, si può impugnare l’ipoteca stessa (entro 60 gg in Comm. Trib.), eccependo eventualmente anche la mancata intimazione come argomento (anche se formalmente non prevista, potrebbe rafforzare la tesi di illegittimità per carenza di procedura).
Simulazioni pratiche
Di seguito alcuni esempi pratici che illustrano come un debitore può reagire a un’intimazione di pagamento in diverse situazioni.
Caso 1: Cartelle mai notificate e intimazione ricevuta
Situazione: Mario riceve un’intimazione di pagamento dall’Agente Riscossione contenente 5 cartelle esattoriali per IRPEF e IVA dal 2015 al 2017, per un totale di €50.000. Mario però non ha mai ricevuto tali cartelle: ne vede i numeri per la prima volta nell’intimazione.
Analisi: È probabile che le cartelle siano state notificate in modo irregolare (magari per compiuta giacenza a un indirizzo vecchio o a un omonimo). Mario non avendo saputo nulla prima, ha la prima occasione di difesa con questa intimazione.
Azione: Mario presenta entro 60 giorni un ricorso tributario alla Corte di Giustizia Tributaria, eccependo la nullità dell’intimazione perché le cartelle presupposte non gli sono state validamente notificate. Chiede anche la sospensione dell’intimazione, allegando il pericolo di un pignoramento sul conto. Nel ricorso dettaglia che in quelle annualità lui aveva cambiato indirizzo (e magari lo prova) e sostiene di non aver mai avuto conoscenza dei ruoli.
Esito possibile: In udienza, l’Agente Riscossione deve provare le notifiche delle cartelle. Supponiamo che riesca a produrre solo le relate con notifiche per posta risultate “compiuta giacenza” presso l’indirizzo dove Mario risiedeva anni prima. Mario replica che non ha mai trasferito la residenza ufficialmente (se diverso) o che comunque non ha ricevuto avvisi. La Corte Tributaria potrebbe ritenere la notifica nulla (ad esempio perché la compiuta giacenza non è valida se non c’era comunicazione, o perché l’indirizzo non era corretto) e quindi accoglie il ricorso, annullando l’intimazione. Ciò significa che i €50.000 non possono essere riscossi. L’ente dovrà, semmai, notificare di nuovo le cartelle (ma essendo del 2015-2017, nel 2025 sono probabilmente prescritte, 5 anni per IVA e IRPEF no ma 10 anni sì, qui siamo a 8-10 anni: IRPEF 2015 va in prescrizione 2026 in teoria, IVA 2015 pure 2025 ultimo giorno – scenario borderline). È possibile quindi che l’esito finale sia l’estinzione del debito per intervenuta prescrizione, o comunque un notevole ritardo per l’ente. Mario ha così evitato che dal sesto giorno l’Agenzia gli pignorasse il conto per €50.000 all’improvviso, e ha fatto valere un suo diritto di difesa fondamentale (notifica mancante).
Caso 2: Tributo locale già pagato, intimazione erronea
Situazione: Lucia riceve un’intimazione per €3.000 relativa a cartelle TARI (tassa rifiuti) 2019-2020-2021 del suo Comune. Dentro di sé, Lucia sa di aver sempre pagato regolarmente la TARI di quegli anni: conserva anche le ricevute dei modelli F24. Evidentemente c’è un errore: o i pagamenti non sono stati registrati, o il Comune ha iscritto a ruolo somme non dovute.
Azione: Lucia decide di agire subito in via amministrativa: prepara un’istanza di autotutela indirizzata al Comune (ufficio tributi) e per conoscenza all’Agenzia Riscossione, allegando le copie delle ricevute di pagamento TARI per gli anni in questione. Nella lettera chiede l’annullamento in autotutela delle cartelle (e quindi dell’intimazione) in quanto i tributi risultano già versati . Contestualmente, entro 60 giorni, presenta anche un ricorso tributario (per sicurezza, nel caso il Comune faccia orecchie da mercante), chiedendo l’annullamento per “totale assolvimento del debito prima della formazione del ruolo” e allegando le stesse ricevute. Nel ricorso chiede sospensione dell’intimazione.
Esito possibile: Il Comune verifica l’istanza e si accorge effettivamente di aver commesso un errore (magari un disallineamento di versamenti). Entro pochi giorni emette un provvedimento di sgravio totale delle cartelle TARI 2019-2021, inviando l’ordine all’Agente di non riscuoterle . L’Agenzia Riscossione, ricevuto lo sgravio, annulla l’intimazione (o la considera priva di oggetto) e non attiva alcuna esecuzione. Lucia, di fatto, ha risolto senza arrivare nemmeno all’udienza del ricorso (che infatti potrebbe dichiararsi cessata materia del contendere). In questo scenario, Lucia non subisce danni e il Comune corregge l’errore grazie alla segnalazione tempestiva (autotutela). Nel caso in cui il Comune fosse stato lento, Lucia avrebbe avuto la protezione della sospensione legale (se attivata) o del giudice tributario (se avesse concesso sospensiva) a evitarle problemi nei mesi di attesa. Questo esempio dimostra come documentare i pagamenti e agire in autotutela possa risolvere molte intimazioni dovute a errori.
Caso 3: Debito prescritto non eccepito in tempo (errore da evitare)
Situazione: Giuseppe riceve nel 2025 un’intimazione che si riferisce a una cartella IRPEF del 2012 di €10.000. Giuseppe ricorda vagamente quella cartella, sa di non averla pagata all’epoca, ma non ha mai ricevuto altro da allora. Egli pensa: “È passato tanto tempo, magari è andata in prescrizione”. Tuttavia, commette l’errore di non fare nulla entro 60 giorni, vuoi per indecisione, vuoi perché non sa come muoversi.
Evoluzione: Trascorsi i 5 giorni, l’Agente Riscossione, vedendo che Giuseppe non paga, inizia il pignoramento: gli blocca €10.000 sul conto corrente. A questo punto Giuseppe si allarma e consulta un avvocato, il quale conferma: il credito IRPEF 2012 era probabilmente prescritto (10 anni di prescrizione, dunque già nel 2023 sarebbe scaduto), ma Giuseppe avrebbe dovuto eccepirlo impugnando l’intimazione entro 60 giorni. Ormai l’intimazione è definitiva e il giudice ordinario dell’esecuzione non potrà annullare il pignoramento per prescrizione sopravvenuta prima, perché quella eccezione andava fatta in Commissione tributaria . L’avvocato tenta comunque un’opposizione all’esecuzione in Tribunale, ma il giudice, richiamando la giurisprudenza, la rigetta: l’intimazione non impugnata ha cristallizzato la pretesa, per cui la prescrizione non è opponibile ora . Giuseppe finisce per subire il pignoramento: i suoi €10.000 vengono prelevati e versati all’erario. Ha perso la somma e in più deve pagare spese legali.
Morale: Se Giuseppe avesse presentato ricorso entro i 60 giorni eccependo la prescrizione, quasi certamente il giudice tributario avrebbe annullato il debito (8-9 anni di inerzia su IRPEF -> prescritto). Avrebbe risparmiato €10.000. Non facendolo, ha perso per sempre la chance e ha dovuto pagare un debito che giuridicamente non era più dovuto. Questo caso evidenzia l’importanza cruciale di non ignorare l’intimazione e di far valutare subito da un esperto se ci sono motivi di opposizione, specie la prescrizione.
Caso 4: Intimazione per contributi INPS prescritti – opposizione vincente
Situazione: Una società riceve un’intimazione di pagamento nel 2025 per contributi INPS non versati del 2016, importo €20.000. La società sa di avere avuto difficoltà nel 2016 e di non aver pagato quei contributi, ma nota che sono passati 7-8 anni e nessuno si è mai fatto vivo prima di questa intimazione. Sapendo che i contributi previdenziali si prescrivono in 5 anni, intuisce che il credito potrebbe essere prescritto.
Azione: Dato che si tratta di contributi, il ricorso va fatto al giudice ordinario. La società, tramite un legale, propone immediatamente un’opposizione all’esecuzione (615 c.p.c.) davanti al Tribunale, sezione lavoro. Nell’atto di citazione indica che i contributi dal 2016 sono prescritti, visto che l’intimazione è il primo atto notificato dopo oltre 5 anni. Chiede al giudice di dichiarare che l’INPS non ha più diritto a esigere quelle somme e, nel frattempo, chiede in via d’urgenza la sospensione della riscossione. Notifica l’opposizione sia ad Agenzia Riscossione sia all’INPS.
Esito possibile: Il Tribunale fissa abbastanza presto un’udienza. L’INPS deve dimostrare eventuali atti interruttivi: produce ad esempio dei solleciti di pagamento inviati via PEC nel 2019 che però la società sostiene di non aver mai ricevuto (magari erano indirizzati a una PEC non attiva). Se il giudice ritiene che non vi sia prova valida di atti interruttivi tra 2016 e 2025, dichiara prescritti i contributi. Emana una sentenza in cui accoglie l’opposizione e stabilisce che l’intimazione è nulla e l’esecuzione non può aver luogo. Nel frattempo, avendo magari concesso la sospensione inaudita altera parte, nessun pignoramento è stato eseguito. Il risultato è che la società non dovrà pagare quei €20.000, avendo fatto valere un diritto (la prescrizione) in tempo utile e nella sede corretta (giudice del lavoro). L’Agenzia Riscossione e l’INPS dovranno rinunciare alla riscossione e pagare le spese di lite. Questo scenario è l’opposto del Caso 3: qui il debitore ha agito subito e ha ottenuto giustizia, anziché restare inerte.
Caso 5: Intimazione e rateizzazione per salvare il patrimonio
Situazione: Chiara è una piccola imprenditrice che riceve tre intimazioni in un mese, per un totale di €150.000, inerenti IVA e IRPEF di vari anni. Sa di doverli, ma non ha liquidità. Se l’Agenzia la pignorasse, rischia di vedere bloccato il conto aziendale e prelevati i fondi necessari per pagare fornitori e dipendenti. Non ci sono evidenti vizi da eccepire (i debiti sono recenti e regolari), quindi una causa non porterebbe esito utile se non forse guadagnare un po’ di tempo.
Azione: D’accordo col suo consulente fiscale, Chiara decide di chiedere una rateizzazione. Presenta subito (entro i 5 giorni) un’istanza di dilazione per l’intero importo, allegando la documentazione richiesta (bilanci, ecc., dato l’importo elevato). L’istanza viene protocollata all’Agenzia Riscossione il giorno 4. Per sicurezza, Chiara con l’aiuto di un legale presenta anche un ricorso tributario con istanza di sospensione, ma col proposito di rinunciarvi se la rateizzazione viene accettata (lo fa per avere un paracadute nel caso l’Agente facesse comunque un pignoramento).
Esito possibile: L’Agenzia sospende le azioni in attesa di decidere sulla rateazione. Dopo un mese, concede la dilazione in 72 rate (6 anni) da circa €2.100 ciascuna. Chiara inizia a pagare. A questo punto l’intimazione viene superata: l’Agente non eseguirà pignoramenti perché il debito è dilazionato e Chiara è in regola con i pagamenti. L’azienda di Chiara prosegue la sua attività senza shock finanziari immediati e Chiara ha 6 anni di tempo per saldare, evitando nel frattempo azioni esecutive. Il ricorso tributario viene abbandonato (Chiara rinuncia, tanto non le serve più). Questo caso mostra come la rateazione possa essere un efficace strumento di “difesa” nel senso di difendere la continuità aziendale o familiare: invece di vedersi portar via liquidità in un sol colpo, il debitore negozia un pagamento a rate sostenibile. Certo, alla fine pagherà tutto (più interessi di dilazione), ma evita le conseguenze disastrose di un pignoramento improvviso. È importante notare che Chiara ha agito subito, prima che l’esecuzione iniziasse: se avesse atteso un pignoramento, avrebbe dovuto prima farlo sospendere e poi chiedere rateazione (che dopo il pignoramento è discrezionale); muovendosi subito ha fatto valere il suo diritto alla dilazione.
Caso 6: Intimazione mista (tributi + contributi + multe) – problemi di competenza
Situazione: L’intimazione di pagamento di Marco comprende: €5.000 di IRPEF, €3.000 di contributi INPS e €500 di multe stradali. Totale €8.500. Marco, perplesso, vede che dovrebbe fare tre ricorsi distinti: uno in Commissione per l’IRPEF, uno al Tribunale lavoro per l’INPS, uno forse al Giudice di Pace per la multa (anche se in realtà, essendo ormai fase esecutiva, la multa andrebbe pure in Tribunale ordinario). Questa frammentazione lo spaventa, per costi e complessità.
Che fare: In situazioni simili, spesso la scelta è di attaccare prioritariamente la parte principale. Marco qui valuta che l’IRPEF è la quota maggiore e magari ha profili di illegittimità (ipotizziamo: IRPEF 5.000 è prescritta). Decide di fare ricorso in Commissione per far annullare quella. Per i contributi INPS 3.000, se non ha motivi di contestazione sostanziale, potrebbe rateizzarli (chiede rateazione solo su quelli, si può fare segmentando i carichi). Per le multe 500€, magari erano vecchie e prescritte anche quelle: può inserirle come motivo nel ricorso tributario spiegando al giudice che comunque quell’importo non è di sua giurisdizione ma che segnala la cosa. Oppure fa una piccola opposizione in Tribunale per la multa, ma forse non ne vale la pena per 500€.
Esito possibile: La Commissione tributaria accoglie il ricorso su IRPEF (debito annullato). La rateizzazione INPS viene concessa e Marco la paga. La multa da 500€ rimane, ma l’Agente, avendo riscosso il resto, potrebbe pignorargli 500€ dal conto successivamente (o iscrivere fermo a un veicolo, ma su 500€ magari nemmeno lo fa). Oppure Marco potrebbe persino decidere di pagare quei 500€ spontaneamente. Certo, in questo scenario Marco ha dovuto gestire vari fronti. Questa complessità è reale e infatti la dottrina critica il sistema attuale in cui un’intimazione unica può richiedere più giudizi . È auspicabile un intervento normativo per semplificare, ma finché non c’è, il debitore multi-debito deve districarsi con intelligenza, magari concentrando i ricorsi dove c’è più da guadagnare e trovando soluzioni amministrative sul resto.
Tabelle riepilogative
Di seguito presentiamo alcune tabelle riassuntive che condensano i punti chiave in forma schematica, per agevolare la consultazione.
Tabella 1: Principali riferimenti normativi sull’intimazione di pagamento
| Riferimento normativo | Contenuto rilevante (sintesi) |
|---|---|
| Art. 50, D.P.R. 602/1973 | Prevista la notifica di un avviso contenente intimazione ad adempiere entro 5 giorni se l’espropriazione forzata non inizia entro 1 anno dalla notifica della cartella di pagamento . Tale avviso (detto comunemente intimazione) è condizione necessaria prima di procedere al pignoramento trascorso l’anno. |
| Art. 19, c.1 lett. e), D.Lgs. 546/1992 | Elenca tra gli atti impugnabili dinanzi alle Commissioni Tributarie l’avviso di mora. Giurisprudenza e dottrina concordano nell’equiparare l’intimazione ex art.50 DPR 602/73 all’avviso di mora a fini di impugnabilità . In sostanza, l’intimazione di pagamento è un atto autonomamente impugnabile in sede tributaria. |
| Cass. Sez. Unite civ. n. 26817/2024 | Ha ribadito la natura e funzione dell’intimazione di pagamento: atto che “precede l’esecuzione” assimilabile all’avviso di mora ex art. 50, comma 2 DPR 602/73, dunque ricompreso tra gli atti impugnabili ex art.19 D.Lgs.546/92 . Conferma giurisdizione tributaria sulle impugnazioni di intimazioni per crediti tributari. |
| Cass. Sez. Trib. n. 6436/2025 | Ha sancito il principio che l’impugnazione dell’intimazione non è facoltativa ma necessaria: se non impugnata, il credito si consolida (cristallizza) e non si possono eccepire prescrizioni o altri vizi pregressi . Questo principio uniforma la giurisprudenza, superando precedenti difformi. |
| Cass. Sez. Unite civ. n. 7822/2020 | Ha fissato il riparto di giurisdizione in materia di riscossione coattiva: le questioni inerenti alla pretesa fino alla notifica della cartella/intimazione spettano al giudice tributario, mentre le questioni sull’esecuzione forzata (vizi del pignoramento, fatti estintivi successivi alla notifica intimazione) spettano al giudice ordinario . Questo orientamento concilia precedenti contrastanti (Cass. SU 34447/2019 vs Cass. SU 7822/2020). |
| Corte Cost. n. 114/2018 | (Pronuncia interpretativa di rigetto) Ha chiarito che la linea di confine tra giurisdizione tributaria e ordinaria in materia di riscossione va individuata nella notifica della cartella (tenuto conto dell’art.50 DPR 602/73): le questioni fino a quel momento sono tributarie . Ha portato a un adeguamento delle SU 2020/2021 sul tema della giurisdizione nelle opposizioni. |
| Legge 228/2012, art.1 commi 537-543 | Introduce la “sospensione legale” della riscossione su istanza del debitore: entro 60 gg dalla notifica della cartella/intimazione il contribuente può dichiarare all’agente che il debito non è dovuto (perché già pagato, prescritto, annullato, ecc.) e l’agente sospende la procedura. Se l’ente creditore non risponde entro 220 giorni, il debito è annullato di diritto . (Norma di grande utilità per bloccare intimazioni improprie). |
| Legge 160/2019, art.1 comma 795 | (Riscossione enti locali) Prevede che per i tributi locali fino 10.000€, dopo che l’avviso di accertamento diventa esecutivo, prima di attivare procedure esecutive/cautelari gli enti locali devono inviare un sollecito di pagamento dando 30 giorni di tempo . Tale “sollecito” va notificato con mezzi tracciabili e, secondo il MEF, deve essere emesso dall’ente stesso (non dall’Agente) . Questa disposizione opera prima del coinvolgimento dell’Agente e si aggiunge all’eventuale intimazione ex art.50 se trascorre un anno dall’affidamento. |
Tabella 2: Giudice competente e termini di impugnazione in base alla natura del debito (intimazione ex art.50)
| Tipo di debito (e riferimento) | Giudice competente per ricorso/opposizione | Termine per agire | Note |
|---|---|---|---|
| Tributi erariali (Stato) – es. IRPEF, IVA, IRAP, imposte registro, successione… | Giudice Tributario (Corte Giustizia Trib.) | 60 giorni dalla notifica | Ricorso tributario (D.Lgs.546/92). Difensore obbligatorio > €3.000. Sospensiva su istanza motivata . |
| Tributi locali (Comuni/Regioni) – es. IMU, TARI, bollo auto, sanzioni tributarie locali | Giudice Tributario (Corte Giust. Trib.) | 60 giorni | Ricorso analogo a tributi erariali. NB: Verificare rispetto L.160/2019 se l’ente doveva inviare un sollecito pre-ruolo; l’eventuale omissione può essere motivo aggiunto di ricorso. |
| Contributi previdenziali (INPS, INAIL) – obblighi contributivi | Giudice Ordinario – Tribunale (sez. Lavoro) | 40 giorni dall’atto esecutivo (avviso addebito) per opposizione a ruolo; altrimenti, opposizione ex art.615 c.p.c. ante esecuzione, tempestivamente | I contributi seguono regole speciali: l’avviso di addebito INPS va opposto in 40 gg. Se perso quel termine e arriva intimazione, si può fare opposizione all’esecuzione (615) in Tribunale lavoro prima del pignoramento . Termine non perentorio, ma agire presto. |
| Sanzioni amministrative (multe CdS, sanzioni autorità) | Giudice Ordinario – di norma Tribunale civile | 30 gg dall’atto originario se ricorso in opposizione ordinaria; altrimenti opposizione esecuzione (615) o atti (617) se in fase esecutiva | Se la multa è ancora oppugnabile (30 gg GdP dall’ingiunzione) si va dal Giudice di Pace. Ma quando siamo all’intimazione/cartella, i termini sono decorsi: rimane opposizione all’esecuzione in Tribunale per far valere p.es. prescrizione 5 anni o vizio notifica verbale. Il pignoramento di multe segue art.615 c.p.c. (anche preventiva) o 617 se vizi formali. Termine 20 gg dal pignoramento per 617. |
| Altre entrate patrimoniali (es. indennità, canoni, ingiunzioni per crediti non tributari) | Giudice Ordinario – Tribunale civile (o diverso secondo materia, es. TAR se rapporto pubblicistico) | Variabile: 60 gg se atto impugnabile davanti TAR; se ruolo ordinario, 20 gg/615 c.p.c. | Questa è una categoria eterogenea. Ad es. crediti per danno erariale: ruoli speciali → competenza Corte dei Conti? (casi rari). In generale, se non è tributo e non è contributo, la giurisdizione è ordinaria. L’intimazione in tali casi si può opporre in via esecutiva al Tribunale civile. |
(Legenda: GdP = Giudice di Pace; TAR = Tribunale Amm.vo Regionale. NB: in caso di dubbi sulla giurisdizione, valutare ricorsi paralleli per evitare decadenze.)
Tabella 3: Motivi di opposizione e strumenti di difesa corrispondenti
| Motivo di contestazione (difesa del debitore) | Strumento da utilizzare | Osservazioni sul onere della prova e giurisprudenza |
|---|---|---|
| Prescrizione del debito (maturata prima dell’intimazione) | Ricorso tributario (tributi) / Opposizione 615 c.p.c. (crediti non tributarî) | Il debitore deve eccepirla tempestivamente (entro 60 gg in ambito tributario) , indicando il tempo trascorso e l’assenza di atti interruttivi. Sarà poi l’ente/Agente a dover provare eventuali notifiche interruttive intervenute (esibendo relate di cartelle, intimazioni precedenti, solleciti) . Cassazione (SU 2016) ha stabilito che si applica il termine proprio di ogni tributo , quindi ad es. IVA/IRPEF 10 anni, tributi locali 5 anni, contributi 5 anni. |
| Mancata notifica della cartella di pagamento (o dell’accertamento esecutivo) | Ricorso tributario / Opposizione 615 c.p.c. (a seconda giurisdizione) | Il contribuente afferma di non aver ricevuto l’atto presupposto. In giudizio, l’Agente della Riscossione deve produrre le prove di notifica (relate, PEC, ecc.). Se non prova una notifica valida, l’intimazione viene annullata perché priva di valido fondamento . La Cassazione considera l’intimazione impugnabile proprio per far valere la mancata notifica degli atti precedenti . |
| Vizi di notifica dell’intimazione stessa (es. intimazione mai ricevuta o notificata a indirizzo sbagliato) | Opposizione 617 c.p.c. (entro 20 gg dal primo atto esecutivo che ne dà conoscenza) / ricorso tardivo se ammesso (vd. rimedi restitutori) | Se l’intimazione non viene notificata regolarmente e il debitore ne viene a conoscenza solo col pignoramento, potrà fare opposizione agli atti (entro 20 gg dal pignoramento) per nullità dell’atto presupposto non notificato. Il Tribunale accerterà la mancata notifica e potrà dichiarare nullo il pignoramento . Questo rientra nei vizi formali dell’esecuzione. L’Agente potrà poi rinotificare l’intimazione correttamente. |
| Errore materiale sul debito (importo già pagato, importo sgravato, doppia iscrizione) | Autotutela presso ente creditore + eventuale ricorso se ente inerte | Il debitore deve fornire prova dell’errore (ricevute di pagamento, provvedimenti di annullamento). Invia istanza di autotutela all’ente ; se non risolve, impugna l’intimazione allegando le prove. Normalmente, se l’evidenza è chiara (tributo versato nei termini), l’ente dispone lo sgravio e l’Agente sospende la riscossione . In giudizio, l’onere della prova del pagamento è del contribuente (esibisce ricevute); poi spetta all’ente confutare, ma di fronte a quietanze autentiche, la partita è vinta dal contribuente. |
| Decadenza del potere impositivo (cartella emessa fuori termine di legge) | Ricorso tributario (solo se cartella mai notificata o impugnata) | Se la cartella era stata notificata e non impugnata, la decadenza (violazione termini emissione) non può essere più fatta valere. Se invece la cartella non fu notificata e si eccepisce ciò, il contribuente può anche far presente che l’ente ha perso i termini per notificarla (ad es. cartella per anno 2010 emessa nel 2018 oltre decadenza): in tal caso l’intimazione verrebbe annullata perché l’ente non poteva più legittimamente iscrivere a ruolo quel credito. Sono eccezioni complesse, da valutare caso per caso, e che i giudici ammettono solo se la decadenza è palese e l’atto non fu mai notificato. |
| Vizi formali sostanziali dell’intimazione (atto incompleto, mancanza firma, difetto motivazione) | Ricorso al giudice competente (entro termini) / Opposizione atti (se già in esecuzione) | Esempi: intimazione priva dell’indicazione delle cartelle/ruoli cui si riferisce; atto non sottoscritto digitalmente; indirizzo e nominativo errati. Sono vizi che rendono nullo l’atto per violazione di prescrizioni legali (artt. 7 e 21 L.241/90 su motivazione, art. 2-quater D.L. 564/94 su firma digitale, ecc.). Il debitore deve evidenziarli nel ricorso. I giudici tributari valutano in concreto: se l’intimazione consente comunque di identificare il debito (es. allegato con elenco cartelle, anche se nella pagina principale non erano tutte menzionate) potrebbe ritenere il vizio non invalidante. Se invece è totalmente priva di elementi essenziali, ne dichiareranno la nullità. |
Tabella 4: Tempistiche e conseguenze – dal ruolo all’intimazione all’esecuzione
| Fase | Termine per il debitore | Azione dell’Agente | Note pratiche |
|---|---|---|---|
| Notifica cartella di pagamento | 60 gg per pagare o ricorrere | – | Se paghi entro 60 gg, nessuna aggiunta di sanzioni di mora; se ricorri (entro 60 gg) puoi chiedere sospensione al giudice tributario. Se non fai nulla, dal 61° giorno cartella esecutiva. |
| Dopo cartella, < 1 anno | – | Può avviare esecuzione senza intimazione | Possibili azioni: sollecito generico, telefonate (non atti formali), fermi/ipoteche (con preavviso 30 gg). Non è obbligato ad aspettare un anno: l’anno è soglia che fa scattare obbligo di intimazione successiva. |
| Trascorso 1 anno senza esecuzione | – | Deve notificare intimazione ad adempiere (5 gg) | L’intimazione interrompe prescrizione . Se mancante, eventuale pignoramento successivo è nullo . |
| Notifica intimazione | 5 gg per pagare (per evitare esecuzione); 60 gg per ricorrere (per contestare) | Dopo 5 gg può iniziare esecuzione (pignoramento) | Pagando entro 5 gg si evitano spese ulteriori. Possibile chiedere dilazione: se concessa prima del pignoramento, blocca esecuzione. Se decorsi 60 gg senza ricorso, debito consolidato . |
| Trascorsi 5 gg – fase esecutiva | – (20 gg se opposizione atti su pignoramento) | Avvio di pignoramento o altre misure | L’agente sceglie tipo di pignoramento (presso terzi, mobiliare, immobiliare) in base a convenienza. Può cumulare ipoteca/fermo (anche prima dei 5 gg, salvo abbia dato preavviso 30 gg). Se debitore fa opposizione in Tribunale, può ottenere sospensione pignoramento se motivi validi. |
| > 12 mesi da intimazione senza pignorare | – | Serve nuova intimazione (atto precedente inefficace) | L’intimazione “scade” dopo 1 anno se non seguita da esecuzione . Va rinotificata se l’agente vuole ancora riscuotere (tutto si ripete: nuovo 5 gg, nuovo ricorso possibile). |
| Pignoramento eseguito | 20 gg per eventuale opposizione agli atti (vizi formali) | – (segue esecuzione con giudice esecuzione) | Dopo pignoramento, il processo si sposta davanti al giudice dell’esecuzione (Tribunale civile). Possibili opposizioni ex 615 c.p.c. (finché esecuzione non conclusa) o 617 c.p.c. (entro 20 gg) per questioni su pignoramento. Se nessuna opposizione, si procede con assegnazione crediti o vendita beni. |
| Riscossione effettuata (pagamento spontaneo o forzato) | – | Conclusione | Se il debitore paga (volontario o tramite pignoramento), l’obbligazione si estingue. Se pagamento forzato avvenuto dopo ricorsi persi, può ancora valutare definizioni agevolate di mora/sanzioni se previste (di solito ex post no). |
(Le tempistiche indicate sono generali; situazioni particolari possono modificarle. È fondamentale per il debitore monitorare ogni scadenza – 5 giorni, 60 giorni, 20 giorni – per attivarsi opportunamente.)
Conclusioni
Dal punto di vista del debitore, l’intimazione di pagamento rappresenta un momento cruciale nel ciclo della riscossione coattiva. È il segnale che il Fisco sta per passare alle maniere forti, ma è anche l’ultima finestra temporale utile per attivare strumenti di difesa efficaci. In questa guida abbiamo esaminato in dettaglio cosa prevede la normativa italiana (aggiornata a ottobre 2025) e come la giurisprudenza più recente – incluse importanti pronunce della Corte di Cassazione – abbia delineato i confini e le opportunità di tutela del contribuente, con un taglio avanzato ma comprensibile anche per professionisti e imprese.
Riassumendo i punti chiave:
- L’intimazione di pagamento è un atto obbligatorio che l’Agente della Riscossione deve inviare quando vuole procedere a pignoramenti e simili dopo un periodo di inattività (>12 mesi) dalla cartella. Ignorarla è pericoloso: dal sesto giorno l’agente può pignorare conti, stipendi, beni, e dopo 60 giorni il debito si consolida definitivamente .
- Esistono soluzioni amministrative da attivare immediatamente: l’autotutela presso l’ente creditore per errori palesi (tributo pagato, doppia imposizione, ecc.) ; la sospensione legale ex L.228/2012 se si ha prova che il debito non è dovuto (blocco immediato e cancellazione in mancanza di risposte dell’ente) ; la rateizzazione per evitare l’aggressione dei beni e diluire l’impatto finanziario. Questi strumenti possono spesso risolvere o mitigare la situazione senza arrivare a sentenza.
- Sul piano giudiziale, è fondamentale scegliere il giudice competente e rispettare i termini. Per i tributi, il ricorso va al giudice tributario entro 60 giorni, e la Cassazione ci insegna che va fatto se si hanno eccezioni da far valere (prescrizione, nullità notifiche) pena perderle . Per contributi e altre entrate, occorre rivolgersi al giudice ordinario, con opposizioni all’esecuzione o agli atti a seconda dei casi, agendo tempestivamente (idealmente prima o immediatamente dopo l’inizio del pignoramento).
- La giurisprudenza recente – incluse Sezioni Unite 2024 e sentenze del 2025 – ha chiarito alcuni aspetti a lungo dibattuti: ha confermato che l’intimazione è impugnabile e va impugnata come un avviso di mora ; ha definito con precisione quando la questione è del giudice tributario e quando dell’ordinario ; ha riconosciuto effetti interruttivi e preclusivi dell’intimazione (cristallizzazione del debito) ; e continua a tutelare il contribuente sul piano dei vizi procedurali (es. annullando pignoramenti se manca la prova della notifica dell’intimazione) .
- Abbiamo visto anche esempi concreti e simulazioni: da come comportarsi se non si è mai ricevuta la cartella (impugnare l’intimazione per far valere la mancata notifica) , a cosa fare se il debito è prescritto (eccepirlo subito, perché dopo sarà tardi) , o se si scopre di averlo già pagato (autotutela immediata) . Il denominatore comune è la tempestività e la proattività.
Per il debitore, “difendersi” da un’intimazione significa innanzitutto non lasciarsi sopraffare dall’inazione o dallo sconforto. Al contrario, è il momento di prendere in mano la situazione: esaminare attentamente l’atto, magari con l’ausilio di un professionista, per verificare ogni possibile irregolarità o opportunità (prescrizioni, vizi, definizioni agevolate in corso). Significa attivare senza indugio le leve amministrative (chiedere spiegazioni, copie, presentare istanze di sospensione) e prepararsi, se necessario, alla via giudiziaria.
Questa guida ha cercato di fornire un quadro completo e aggiornato dell’argomento, con un linguaggio giuridico accurato ma anche con spiegazioni operative e tabelle riassuntive, per essere utile tanto all’avvocato tributarista quanto al cittadino informato o all’imprenditore che deve prendere decisioni rapide. Abbiamo incluso i riferimenti normativi essenziali e le sentenze più recenti e autorevoli (Cassazione e Corte Costituzionale) come base delle affermazioni fatte.
In conclusione, dal punto di vista del debitore l’intimazione di pagamento va vista non solo come un segnale di allarme (lo è senz’altro, indicando che il Fisco/Ente sta passando alla riscossione attiva) ma anche come una seconda chance: l’ultima occasione per regolarizzare la propria posizione (pagando o rateizzando) o per far valere i propri diritti (nel caso di pretese infondate). Affrontarla con consapevolezza e preparazione può fare la differenza tra trovare una soluzione sostenibile o subire passivamente conseguenze gravi sul proprio patrimonio. La legge offre strumenti di difesa sia sostanziali che procedurali – come abbiamo visto – e la giurisprudenza, se ben utilizzata, tutela chi ha ragione. Il debitore deve però attivarsi e far valere i suoi diritti nei modi e nei tempi giusti, trasformando l’intimazione da fine (della sopportazione) a inizio (di una reazione consapevole).
Fonti normative e giurisprudenziali
- D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 – art. 50 (comma 2): disciplina l’intimazione ad adempiere prima dell’esecuzione forzata. Stabilisce che se l’espropriazione non inizia entro un anno dalla cartella, essa dev’essere preceduta dalla notifica di un avviso con intimazione a pagare entro 5 giorni . (Testo vigente aggiornato al 2024).
- D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 – art. 19, comma 1, lett. e): elenca gli atti impugnabili in commissione tributaria, tra cui il ruolo e l’avviso di mora. La giurisprudenza ha interpretato in senso estensivo tale elenco includendovi l’intimazione ex art.50 DPR 602/73, in quanto atto assimilabile per funzione all’avviso di mora .
- Cass., Sez. Unite Civili, ordinanza n. 26817 del 16/10/2024: conferma la riconducibilità dell’intimazione all’avviso di mora e dunque la sua impugnabilità davanti al giudice tributario. Ribadisce che conta la funzione dell’atto (sollecitare il pagamento prima dell’esecuzione) al di là della denominazione . (Autorità: Suprema Corte a Sezioni Unite).
- Cass., Sez. Tributaria, sentenza n. 6436 dell’11/03/2025: principio di diritto: “l’intimazione ex art.50 DPR 602/73 è atto autonomamente impugnabile ai sensi dell’art.19 D.Lgs.546/92; la sua impugnazione non è facoltativa ma necessaria, pena la cristallizzazione del debito” . Conferma che per eccepire prescrizione o vizi delle cartelle sottostanti occorre ricorso avverso l’intimazione, superando un isolato precedente contrario del 2024.
- Cass., Sez. Unite Civili, ordinanza n. 7822 del 14/04/2020: fissa il discrimine di giurisdizione: tutte le contestazioni inerenti alla pretesa tributaria (anche fatti estintivi o vizi sostanziali) verificatisi fino alla notifica della cartella o dell’intimazione vanno al giudice tributario; questioni relative alla legittimità formale dell’atto esecutivo e fatti estintivi successivi spettano al giudice ordinario . (Recepisce i principi enunciati dalla Corte Cost. 114/2018).
- Cass., Sez. Unite Civili, sentenza n. 34447 del 04/12/2019: (precedente in materia di giurisdizione poi integrato dalle SU 2020) afferma che la cartella non impugnata in sede tributaria “determina il consolidamento della pretesa fiscale e l’apertura di una fase che sfugge alla giurisdizione tributaria”, demandando al giudice ordinario le vicende successive . Questo principio è stato poi coordinato con SU 7822/2020 nel senso sopra indicato.
- Cass., Sez. Unite Civili, sentenza n. 23397 del 17/11/2016: (materia di prescrizione) stabilisce che la prescrizione delle somme iscritte a ruolo segue il termine proprio del tributo/contributo sottostante (es. contributi previdenziali 5 anni, sanzioni amministrative 5 anni, tributi locali 5 anni, tributi erariali 10 anni se non diversamente previsto) . Chiarisce che la notifica della cartella non “trasforma” il termine di prescrizione breve in decennale di per sé, salvo eccezioni di legge.
- Cass., Sez. Trib., ordinanza n. 16743 del 17/06/2024: orientamento isolato (superato dalle SU e da Cass. 6436/2025) secondo cui l’intimazione non rientrando testualmente tra gli atti di cui all’art.19 D.Lgs.546 sarebbe impugnabile solo facoltativamente, non obbligatoriamente . Nella stessa, la Corte ammise che la prescrizione maturata dopo la prima intimazione poteva essere eccepita impugnando la seconda intimazione successiva. Tale posizione è stata successivamente espressamente disattesa.
- Cass., Sez. Trib., ordinanza n. 22108 del 05/08/2024: (richiamata in Cass. 6436/2025) ribadisce che, se l’intimazione non è impugnata, “il relativo credito si consolida e non possono essere fatte valere vicende estintive anteriori alla sua notifica” . Conferma il principio della preclusione delle eccezioni (come la prescrizione) non sollevate avverso l’intimazione.
- Cass., Sez. VI–5, ord. n. 15746/2018 e Cass. Sez. III, sent. n. 11452/2017: affermano che l’avviso di intimazione è condizione di procedibilità dell’esecuzione esattoriale (ex art.50 DPR 602/73) e la sua mancanza comporta la nullità del pignoramento . Confermano la necessità della prova della notifica dell’intimazione da parte dell’agente (in mancanza, esecuzione invalida).
- Tribunale Ordinario di Roma, Sez. III Civile, sentenza 25/07/2025 (R.G. 38817/2018): ha annullato un pignoramento presso terzi basato su cartelle per multe stradali, poiché l’Agenzia Entrate-Riscossione non ha fornito prova della notifica delle intimazioni ex art.50 DPR 602/73 relative a dette cartelle . Il Tribunale ha dichiarato la nullità derivata del pignoramento, sottolineando che l’avviso di intimazione è atto obbligatorio prima dell’esecuzione e la sua omissione invalida l’intera procedura .
- Corte Costituzionale n. 114/2018: ha tracciato la linea di confine tra giurisdizione tributaria e ordinaria nella riscossione, valorizzando l’art. 2 D.Lgs.546/92 e l’art.50 DPR 602/73. In particolare, ha stabilito che “le questioni insorgenti fino alla notifica della cartella esattoriale restano devolute alla giurisdizione tributaria” , premessa recepita dalle Sezioni Unite 2020/21.
- Legge 27/12/2019 n. 160 (Legge di Bilancio 2020) – art.1, commi 792 e 795: ha introdotto per i tributi locali l’istituto dell’accertamento esecutivo e ha previsto l’obbligo, per gli enti locali, di inviare un sollecito di pagamento entro 30 giorni prima di avviare procedure esecutive/cautelari per importi fino a €10.000 . Una circolare del Dipartimento Finanze (2020) ha chiarito che tale sollecito spetta all’ente impositore e non all’Agente della Riscossione . Questa norma è citata per evidenziare un ulteriore passaggio procedurale nella riscossione locale (non sostituisce l’eventuale intimazione ad adempiere ex DPR 602, che rimane dovuta se passa oltre un anno dall’accertamento esecutivo).
- Legge 24/12/2012 n. 228 (Legge di Stabilità 2013) – art.1 commi 537–543: ha introdotto la possibilità per il debitore di presentare all’agente della riscossione una dichiarazione sostitutiva entro 60 gg dalla notifica della cartella/atto, indicando che il debito non è dovuto per specifici motivi (pagamento, prescrizione, sgravio, sentenza, ecc.). In caso di mancata risposta dell’ente entro 220 giorni, il debito viene automaticamente annullato . Questa normativa (tuttora vigente) è alla base dell’istituto della “sospensione legale della riscossione” ed è stata applicata a numerosi casi di intimazioni improprie, con esito positivo per i contribuenti (silenzio-assenso).
Hai ricevuto un’Intimazione di Pagamento dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Hai ricevuto un’Intimazione di Pagamento dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione?
Hai trovato nella PEC o nella posta una lettera che ti intima di pagare entro 5 giorni somme riferite a cartelle esattoriali, oppure minaccia pignoramenti, ipoteche e fermi amministrativi?
👉 Non farti prendere dal panico: l’intimazione è un atto aggressivo, ma può essere bloccata, contestata o annullata se agisci in tempo.
In questa guida scoprirai cosa significa l’intimazione, cosa rischi se non fai nulla e le strategie legali più efficaci per difenderti subito.
💥 Cos’è l’Intimazione di Pagamento
L’intimazione è un atto con cui Agenzia delle Entrate-Riscossione ti ordina di pagare entro 5 giorni, perché:
- una o più cartelle sono scadute;
- l’ente vuole procedere con la riscossione forzata;
- il debito è stato già iscritto a ruolo;
- stanno per partire pignoramenti o ipoteche.
📌 L’intimazione è l’ultimo avviso prima dell’esecuzione forzata.
⚠️ Perché l’Intimazione è così pericolosa
Se non agisci immediatamente, l’Agenzia può procedere con:
- 🏦 pignoramento del conto corrente;
- 🧾 pignoramento dello stipendio o della pensione;
- 🚗 fermo amministrativo del veicolo;
- 🏠 ipoteca sulla casa o su immobili;
- 📉 blocco dei rimborsi fiscali;
- ⚖️ pignoramento presso terzi (clienti, affitti, crediti).
📌 Dopo i 5 giorni, il rischio diventa altissimo.
💠 Le Mosse da Fare Subito
1️⃣ Non ignorare l’intimazione
È un errore gravissimo.
Entro pochi giorni possono partire pignoramenti senza ulteriori avvisi.
2️⃣ Recupera l’Estratto di Ruolo
Serve per capire:
- da quali cartelle nasce il debito;
- se sono regolarmente notificate;
- se sono prescritte;
- se ci sono errori o duplicazioni.
📌 L’avvocato può ottenerlo in 24 ore.
3️⃣ Verifica se l’Intimazione è nulla
L’intimazione è spesso illegittima. È nulla se:
- si riferisce a cartelle mai notificate;
- arriva oltre i termini previsti (5 anni o 1 anno dopo la cartella);
- contiene errori nei dati;
- manca la motivazione;
- non rispetta la normativa sulla riscossione.
📌 Una grande percentuale delle intimazioni è annullabile.
4️⃣ Verifica la prescrizione dei debiti
La legge prevede:
- 5 anni → multe, contributi, tributi locali, cartelle esattoriali;
- 10 anni → imposte come IRPEF, IVA, IRES.
📌 Se non hai ricevuto atti negli ultimi anni, il debito può essere prescritto.
5️⃣ Richiedi la Sospensione Immediata dell’Intimazione
Si può chiedere:
- sospensione in autotutela;
- sospensione cautelare al giudice tributario.
📌 In casi urgenti, la sospensione può arrivare in 48 ore, bloccando ogni azione.
6️⃣ Presenta Ricorso (entro 60 giorni)
Il ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria permette di:
- annullare l’intimazione;
- annullare le cartelle collegate;
- bloccare ipoteche, fermi e pignoramenti;
- ridurre il debito.
📌 Il ricorso è lo strumento più efficace per difendersi.
7️⃣ Rateizzazione o Saldo e Stralcio
Se il debito è reale, puoi comunque:
- rateizzare fino a 120 rate;
- aderire a rottamazioni (quando attive);
- proporre un saldo e stralcio con forte riduzione.
📌 Prima, però, va verificata la legittimità dell’intimazione.
🧩 Documenti da Consegnare all’Avvocato
- L’intimazione ricevuta;
- Estratto di ruolo aggiornato;
- Copia delle cartelle collegate;
- Eventuali avvisi o comunicazioni precedenti;
- Estratti conto bancari (per verificare pignoramenti);
- Prove di eventuali pagamenti.
⏱️ Tempistiche Critiche
- Risposta o sospensione: entro 5 giorni
- Ricorso: entro 60 giorni
- Sospensione cautelare: 48 ore – 7 giorni
- Blocco pignoramenti: immediato con istanza urgente
📌 L’intimazione non consente ritardi: devi intervenire subito.
⚖️ I Vantaggi di una Difesa Specializzata
✔️ Blocco immediato di pignoramenti e ipoteche
✔️ Annullamento dell’intimazione irregolare
✔️ Riduzione o cancellazione del debito
✔️ Difesa completa contro Fisco e INPS
✔️ Protezione dei beni personali e familiari
✔️ Possibilità di ottenere un saldo e stralcio vantaggioso
🚫 Errori da Evitare
❌ Ignorare l’intimazione
❌ Pagare senza verificare la legittimità del debito
❌ Aspettare che arrivi un “altro avviso”
❌ Rivolgersi a consulenti non esperti
❌ Lasciare scadere i termini per il ricorso
📌 Dopo l’intimazione, l’Agenzia può iniziare a pignorare senza preavviso.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analisi immediata dell’intimazione
📌 Verifica della legittimità degli atti precedenti
✍️ Ricorsi urgenti e istanze di sospensione
⚖️ Difesa contro pignoramenti, fermi e ipoteche
🔁 Trattative per saldo e stralcio o rateizzazioni
🏦 Protezione del conto corrente e del tuo patrimonio
🎓 Le Qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato cassazionista esperto in riscossione e contenzioso tributario
✔️ Specializzato in cartelle esattoriali e atti aggressivi del Fisco
✔️ Gestore della crisi da sovraindebitamento
✔️ Esperienza pluriennale contro Agenzia Entrate-Riscossione
Conclusione
Ricevere un’Intimazione di Pagamento non significa che devi pagare tutto immediatamente.
Con una difesa tempestiva puoi bloccare la riscossione, annullare l’atto irregolare, ridurre il debito e proteggere il tuo patrimonio.
⏱️ Agisci ora: hai pochissimi giorni per difenderti.
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