Azienda Di Lavorazione Plastica Con Debiti: Cosa Fare Per Difendersi

Hai un’azienda di lavorazione plastica che sta affrontando debiti fiscali, bancari o verso fornitori? Le difficoltà nel settore manifatturiero, l’aumento dei costi delle materie prime, le commesse non incassate e la pressione fiscale possono far crescere rapidamente la situazione debitoria.
Ma anche nelle situazioni più gravi è possibile difendersi, bloccare la riscossione e ridurre l’importo dovuto. Con l’aiuto di un avvocato tributarista esperto in crisi d’impresa e diritto industriale, puoi tutelare l’azienda, evitare pignoramenti e ristrutturare i debiti in modo legale e sostenibile.

Perché le aziende di lavorazione plastica accumulano debiti

Il settore plastico è uno dei più colpiti dagli aumenti dei costi energetici e delle materie prime. Le cause più frequenti di indebitamento sono:

  • ritardi nei pagamenti da parte di clienti e committenti;
  • aumento dei costi di energia e trasporti;
  • riduzione dei margini di profitto;
  • accumulo di cartelle esattoriali, IVA e contributi arretrati;
  • finanziamenti bancari o leasing industriali non più sostenibili;
  • crediti non riscossi o insolvenze nella filiera produttiva.

Senza una gestione legale immediata, questi debiti possono portare a azioni esecutive, blocchi dei conti aziendali, ipoteche e rischio di chiusura.

Cosa fare subito se la tua azienda ha debiti

  1. Non ignorare gli avvisi. Ogni cartella, decreto ingiuntivo o atto di pignoramento ha scadenze precise. Se non agisci, l’atto diventa esecutivo.
  2. Richiedi subito un’analisi legale dei debiti. Un avvocato può verificare la prescrizione, la legittimità o gli errori di calcolo nelle somme richieste.
  3. Blocca la riscossione. È possibile chiedere al giudice la sospensione cautelare per fermare temporaneamente cartelle e pignoramenti.
  4. Tratta con banche e fornitori. Con una trattativa legale puoi ridurre l’importo complessivo del debito e dilazionarlo nel tempo.
  5. Proteggi i beni aziendali e personali. Esistono strumenti giuridici per separare il patrimonio personale da quello d’impresa e difendere la continuità produttiva.

Le principali soluzioni legali per aziende indebitate

  • Saldo e stralcio aziendale. Accordo con creditori o banche per chiudere i debiti pagando una parte dell’importo dovuto (anche il 30-40%), con cancellazione del residuo.
  • Rateizzazione con Agenzia delle Entrate-Riscossione. È possibile ottenere piani fino a 120 rate mensili, sospendendo le azioni esecutive.
  • Composizione negoziata della crisi d’impresa. Nuovo strumento del Codice della Crisi che consente di trattare con i creditori sotto la guida di un esperto nominato dalla Camera di Commercio.
  • Procedura di sovraindebitamento (Legge 3/2012). Permette alle piccole imprese e ditte individuali di ridurre o cancellare i debiti residui, se dimostrano difficoltà strutturali.
  • Opposizione ad atti esecutivi illegittimi. Se ricevi un pignoramento o una cartella viziata, un avvocato può bloccare immediatamente la procedura.
  • Rinegoziazione dei finanziamenti bancari. Possibile ridurre interessi, spese e tassi usurari, ristrutturando l’esposizione.

Quando i debiti possono essere ridotti o annullati

Puoi ottenere una riduzione del debito se:

  • sono presenti cartelle prescritte o mai notificate correttamente;
  • la banca ha applicato interessi anatocistici o usurari;
  • la somma richiesta include sanzioni illegittime o duplicazioni di imposte;
  • il credito è stato ceduto a una società di recupero crediti che non dimostra la titolarità effettiva;
  • l’azienda è oggettivamente insolvente, e il giudice può omologare un piano di ristrutturazione con riduzione delle somme dovute.

Le strategie difensive più efficaci

  • Verificare ogni atto di riscossione per vizi di notifica o prescrizione;
  • Contestare importi e calcoli errati, interessi o penali eccessive;
  • Chiedere la sospensione immediata della riscossione in presenza di ricorso;
  • Avviare un saldo e stralcio per chiudere i debiti pagando solo una parte;
  • Presentare una composizione negoziata o un piano di risanamento aziendale;
  • Tutelare i beni strumentali e la continuità produttiva con strumenti legali specifici.

Perché rivolgersi a un avvocato specializzato in crisi d’impresa

Un avvocato tributarista con esperienza nel settore industriale può:

  • verificare la legittimità dei debiti e dei contratti;
  • bloccare pignoramenti e cartelle;
  • negoziare piani di riduzione o rientro sostenibili;
  • attivare procedure di composizione della crisi e saldo e stralcio;
  • difendere l’azienda davanti alla Corte di Giustizia Tributaria e al Tribunale.

Grazie a un’azione tempestiva è possibile ridurre drasticamente i debiti e salvaguardare il futuro dell’impresa e dei lavoratori.

Cosa succede se non ti difendi

Ignorare la situazione comporta conseguenze gravi e spesso irreversibili:

  • cartelle esattoriali e pignoramenti di conti e beni aziendali;
  • fermi e ipoteche su macchinari e immobili;
  • blocco dei rapporti bancari e della linea di credito;
  • perdita dei clienti e della continuità produttiva;
  • responsabilità personale dell’imprenditore per debiti tributari o contributivi.

Difendersi subito significa guadagnare tempo, bloccare la riscossione e trattare in posizione di forza.

Quando rivolgersi a un avvocato

Contatta un avvocato se:

  • la tua azienda ha ricevuto cartelle, pignoramenti o solleciti bancari;
  • non riesci più a pagare fornitori, tasse o rate di leasing;
  • vuoi bloccare le procedure esecutive e ristrutturare i debiti;
  • desideri proteggere i beni aziendali e la continuità produttiva.

Un avvocato esperto può:

  • impugnare gli atti illegittimi e sospendere la riscossione;
  • trattare saldo e stralcio o accordi di rientro con banche e creditori;
  • attivare la composizione negoziata o la procedura di sovraindebitamento;
  • ottenere la riduzione o la cancellazione parziale dei debiti residui.

⚠️ Attenzione: anche se i debiti sembrano insostenibili, molte aziende di lavorazione plastica riescono a risollevarsi grazie a una gestione legale corretta e tempestiva. Con l’aiuto di un avvocato puoi bloccare le azioni dei creditori, ridurre l’esposizione fiscale e ripartire in modo regolare e protetto.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, crisi d’impresa e difesa delle aziende manifatturiere – spiega cosa fare se la tua azienda di lavorazione plastica ha debiti, come fermare la riscossione e quali strumenti legali usare per difenderti subito e salvare la tua attività.

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Introduzione

Un’azienda di lavorazione della plastica che si trova schiacciata dai debiti affronta una sfida cruciale: come difendersi legalmente e finanziariamente per evitare il collasso. In Italia, la gestione della crisi d’impresa è stata rivoluzionata negli ultimi anni dall’entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019), operativo dal 15 luglio 2022, e dai successivi interventi correttivi (in particolare il D.Lgs. 83/2022 e il D.Lgs. 136/2024). Queste norme, emanate anche in attuazione della Direttiva UE 2019/1023 sull’insolvenza, hanno introdotto nuovi strumenti di allerta e risanamento, modificato le procedure concorsuali tradizionali e rafforzato gli obblighi degli imprenditori in difficoltà.

Scopo di questa guida: fornire una trattazione avanzata – ma dal taglio pratico e divulgativo – su come un imprenditore debitore possa difendersi dai creditori e gestire legalmente la crisi di una società di capitali operante nel settore della plastica. Ci rivolgeremo sia a professionisti (avvocati, consulenti) sia a imprenditori e privati interessati, adottando un linguaggio giuridicamente accurato ma comprensibile. Analizzeremo:

  • Le diverse tipologie di debiti (fiscali, previdenziali, verso fornitori, verso banche, ecc.) e le relative conseguenze giuridiche;
  • Gli obblighi legali degli amministratori e dei soci quando l’azienda è in crisi (come le normative civilistiche sulla perdita di capitale e i doveri di governance ex art. 2086 c.c.);
  • Gli strumenti di composizione della crisi a disposizione dal punto di vista del debitore: soluzioni stragiudiziali (accordi privati, piani attestati) e procedure concorsuali (composizione negoziata della crisi, concordato preventivo – in continuità o liquidatorio – e, se necessario, la liquidazione giudiziale ex fallimento);
  • Le strategie difensive per proteggere il patrimonio dell’impresa (e personale di soci/amministratori) durante le azioni esecutive dei creditori;
  • Alcune domande e risposte frequenti (“FAQ”) per chiarire i dubbi più comuni;
  • Tabelle riepilogative e simulazioni pratiche (esempi concreti in ambito italiano) per illustrare come applicare gli strumenti giuridici nelle situazioni reali.

Punto di vista adottato: quello del debitore, ossia come l’azienda indebitata (tipicamente una S.r.l. o S.p.A. a responsabilità limitata) può attivarsi per uscire dalla crisi tutelando la continuità aziendale e minimizzando le perdite. In questo contesto, “difendersi” non significa eludere i debiti in modo fraudolento (atteggiamento che sarebbe controproducente e sanzionato), ma utilizzare correttamente gli strumenti normativi per riequilibrare la situazione finanziaria, negoziare con i creditori, evitare azioni esecutive disordinate e, se possibile, salvare l’impresa. La legge italiana, specie con le riforme recenti, offre infatti varie vie d’uscita legali alla crisi che, se utilizzate tempestivamente, possono scongiurare la chiusura definitiva e consentire il risanamento.

Aggiornamento normativo: questa guida è aggiornata a ottobre 2025 e tiene conto delle più recenti evoluzioni legislative e giurisprudenziali. Oltre al Codice della Crisi e ai suoi decreti correttivi (da ultimo il Terzo Correttivo D.Lgs. 136/2024, in vigore dal 28 settembre 2024), verranno citate le sentenze più autorevoli (Cassazione, Corti d’Appello, tribunali specializzati) che fino al 2025 hanno interpretato temi chiave come la responsabilità degli amministratori, il trattamento dei crediti fiscali nelle procedure concorsuali, l’omologazione forzata dei concordati, ecc. Tutte le fonti normative e giurisprudenziali utilizzate sono elencate in fondo alla guida, nella sezione Fonti e Riferimenti, per consentire ulteriori approfondimenti.

Nei paragrafi che seguono esamineremo dapprima la natura dei debiti che tipicamente gravano su un’azienda manifatturiera in difficoltà e i rischi legati a ciascuno. Successivamente, chiariremo quali sono i doveri legali di chi gestisce la società quando si prospetta l’insolvenza, così da evitare comportamenti che possano aggravare la posizione debitoria o sfociare in responsabilità personali. Entreremo poi nel vivo descrivendo i percorsi di soluzione della crisi, dal più precoce e informale (p.es. una composizione negoziata stragiudiziale) fino alle procedure concorsuali vere e proprie (concordato preventivo e, quale extrema ratio, liquidazione giudiziale), evidenziandone requisiti, vantaggi e limiti in ottica difensiva per il debitore. Troverete anche confronti tabellari (ad es. tra concordato in continuità e concordato liquidatorio) e casi concreti, per comprendere “sul campo” come una società può agire. Infine, con una sezione di FAQ, risponderemo ai quesiti più comuni: “I creditori possono pignorare i macchinari durante la procedura?”, “Cosa rischiano i soci personalmente?”, “Come posso trattare i debiti IVA?”, ecc.

In sintesi, l’obiettivo è fornire alle aziende indebitate – e ai loro consulenti – una mappa chiara e aggiornata delle possibili azioni da intraprendere per difendersi legalmente dai debiti, sfruttando le opportunità offerte dalla normativa italiana vigente ed evitando passi falsi. Procediamo dunque dal generale al particolare, iniziando dai vari tipi di debito che un’azienda di lavorazione plastica può aver accumulato e dal perché è fondamentale riconoscerne la natura e le implicazioni.

Tipologie di debiti di un’azienda e relative conseguenze

Un’azienda di lavorazione plastica può accumulare debiti di diversa natura. Ciascun tipo di debito è soggetto a regole proprie quanto a priorità di pagamento, possibilità di riscossione forzata, eventuali sanzioni per il mancato pagamento e rischi di coinvolgimento personale degli amministratori o soci. Per “difendersi” in modo efficace, il debitore deve innanzitutto capire che tipo di debiti ha e quali sono le implicazioni legali specifiche. Esaminiamo le categorie principali:

Debiti fiscali (Erario)

I debiti verso l’Erario comprendono imposte non pagate (IVA, IRES, IRAP, ecc.), ritenute fiscali non versate (ad esempio le ritenute IRPEF operate sulle buste paga dei dipendenti) e altre tasse. Questi debiti sono particolarmente insidiosi per vari motivi:

  • Privilegi e riscossione coattiva: i crediti tributari godono in genere di privilegio generale sui beni mobili del debitore e, in taluni casi, di privilegio speciale (es. ipoteche iscrivibili da Agenzia Entrate-Riscossione su immobili o macchinari). Il Fisco, tramite l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ADER), può attivare procedure esecutive specifiche: ad esempio iscrivere ipoteca sugli immobili aziendali, pignorare conti correnti, bloccare eventuali rimborsi fiscali spettanti, o addirittura disporre il fermo amministrativo su veicoli. Queste azioni possono mettere in ginocchio l’operatività aziendale. È importante notare che, una volta iscritti a ruolo, i debiti fiscali vengono riscossi da ADER con poteri paragonabili a quelli di un ente pubblico, anche senza passare per un giudice (il titolo esecutivo è la cartella esattoriale stessa).
  • Sanzioni e interessi: il mancato pagamento delle imposte genera sanzioni amministrative (multe) e interessi di mora che fanno lievitare rapidamente l’importo dovuto. Ad esempio, l’omesso versamento IVA o ritenute comporta sanzioni dal 30% in su dell’imposta non pagata, oltre interessi. In caso di ritardi prolungati, il debito fiscale può crescere ben oltre il capitale iniziale.
  • Possibili conseguenze penali: Alcuni debiti fiscali, se superano soglie di rilevanza penale, espongono gli amministratori a reati tributari. In particolare, l’omesso versamento IVA oltre una certa soglia (attualmente €250.000 per periodo d’imposta) o l’omesso versamento di ritenute certificate oltre €150.000, sono previsti come reati (puniti con la reclusione) ai sensi del D.Lgs. 74/2000. Quindi, se la società non versa queste imposte, l’amministratore rischia una denuncia penale, a meno che non paghi entro determinate scadenze (generalmente, entro la dichiarazione annuale successiva per l’IVA, entro 3 mesi dalla notifica di un invito a pagare per le ritenute).
  • Responsabilità personale di amministratori e liquidatori: In alcuni casi, i debiti fiscali “bucano” il velo societario e possono essere richiesti personalmente agli amministratori. Ciò avviene ad esempio se l’amministratore ha omesso di versare imposte dovute utilizzando quelle somme per altri fini: in tal caso, la giurisprudenza lo considera responsabile verso l’Erario per danno erariale. Ugualmente, se durante la liquidazione della società il liquidatore paga taluni creditori di grado inferiore lasciando impagate le imposte (che sono credito privilegiato), può essere chiamato a risponderne personalmente ex art. 36 D.P.R. 602/1973. Inoltre, come vedremo, quando una società viene cancellata dal registro imprese con debiti fiscali pendenti, Agenzia Entrate e INPS possono agire contro ex amministratori e soci entro 5 anni, specie se c’è stata mala gestio (ad es. se si prova che hanno distratto attivi o male amministrato).

In sintesi, i debiti fiscali hanno la priorità su gran parte degli altri debiti in caso di insolvenza e dotano il Fisco di armi affilate per il recupero forzoso. Dal punto di vista del debitore, “difendersi” significa qui: attivarsi per tempo con gli strumenti di regolarizzazione (richiedere una rateizzazione appena possibile, aderire a eventuali definizioni agevolate/“rottamazioni” se previste dal legislatore, valutare la transazione fiscale nell’ambito di procedure concorsuali) e evitare condotte omissive reiterate che possano sfociare nel penale. Nelle sezioni successive approfondiremo come il concordato preventivo o gli accordi di ristrutturazione possano includere una transazione col Fisco per ridurre o dilazionare questi debiti.

Debiti contributivi e previdenziali (INPS, INAIL)

Accanto ai debiti fiscali troviamo spesso quelli previdenziali, ossia i contributi obbligatori dovuti agli enti come INPS (previdenza e assistenza dei lavoratori dipendenti) e INAIL (assicurazione infortuni). Anche questi hanno caratteristiche che il debitore deve considerare attentamente:

  • Privilegi e poteri di riscossione: I crediti per contributi previdenziali godono di privilegio generale sui mobili dell’azienda (spesso con precedenza persino sui crediti fiscali per alcune componenti) e vengono riscossi anch’essi tramite l’Agente della Riscossione, con cartelle esattoriali analoghe a quelle fiscali. Ciò significa che INPS e INAIL possono attivare pignoramenti di beni o crediti della società per recuperare i contributi non versati. Ad esempio, il mancato pagamento dei contributi ai dipendenti può portare l’INPS a pignorare i conti aziendali o a iscrivere ipoteca su immobili, con effetti devastanti sulla liquidità.
  • Sanzioni civili: Il ritardato o omesso versamento dei contributi comporta sanzioni civili (interessi di mora e somme aggiuntive) molto onerose, che si accumulano col passare del tempo. L’INPS applica infatti un meccanismo di sanzioni crescente fino al 60% annuo per omissioni non sanate, rendendo il debito contributivo un “debito che cresce” se non viene fermato tramite una dilazione o definizione.
  • Responsabilità penale del datore di lavoro: Esiste il reato di omesso versamento di ritenute previdenziali (art. 2, D.L. 463/1983, conv. in L. 638/1983) se l’omissione supera una certa soglia (attualmente intorno a €10.000 annui). Ciò significa che se la società non versa i contributi trattenuti in busta paga ai dipendenti, l’amministratore può subire un procedimento penale. Tale reato, a differenza di quello fiscale IVA, può essere estinto pagando integralmente i contributi dovuti entro termini stabiliti (spesso entro la prescrizione di 3 mesi dalla contestazione). Ma resta un ulteriore fronte di rischio penale per l’imprenditore.
  • Escussione personale e patrimoniale: Analogamente ai debiti erariali, anche per i contributi previdenziali la legge e la giurisprudenza prevedono ipotesi di responsabilità personale. Un esempio: se la società viene meno (liquidata o fallita) e risultano contributi non pagati, l’INPS può chiedere ai liquidatori o amministratori il pagamento, qualora emerga che il mancato versamento è dipeso da loro colpa grave o violazione dei doveri gestori. Inoltre, i contributi non versati per i dipendenti rientrano nel novero dei crediti per cui, in caso di chiusura della società senza soddisfacimento, l’ente può agire contro i soci illimitatamente responsabili (nelle società di persone) o, nelle società di capitali, contro chi ha ricevuto attivi indebitamente in fase di liquidazione. Da notare che l’INPS, attraverso il Fondo di Garanzia, spesso interviene per pagare ai lavoratori TFR e ultime mensilità non corrisposte in caso di insolvenza dell’azienda, e poi subentra (surroga) come creditore nei confronti della società stessa: questo rende l’INPS un creditore privilegiato di primo piano nelle procedure concorsuali.

Per “difendersi” dai debiti contributivi, un’azienda dovrebbe: ricorrere immediatamente a piani di rateazione con l’INPS (di solito possibili fino a 24/36 rate salvo eccezioni) per congelare sanzioni e interessi; monitorare attentamente che il mancato pagamento di contributi non superi soglie penalmente rilevanti; e, se si entra in una procedura concorsuale, considerare la transazione sui contributi (strumento analogo a quello fiscale) per ridurre sanzioni e dilazionare il dovuto nel piano concordatario. In concordato preventivo o accordo di ristrutturazione, infatti, è possibile proporre il pagamento parziale dei contributi (inclusi quelli non versati) purché l’ente previdenziale aderisca o, in certi casi, anche senza il suo assenso se viene garantito almeno il valore di liquidazione. Ne riparleremo trattando del cram-down fiscale e contributivo.

Debiti verso fornitori e altri creditori chirografari

La terza tipologia classica di debiti è quella commerciale: debiti verso fornitori di materie prime, imballaggi, servizi, consulenze, bollette energetiche, e in generale tutti i creditori chirografari (cioè senza garanzie reali o privilegio legale). Per un’azienda manifatturiera come quella plastica, i fornitori chiave potrebbero essere chi fornisce granuli di plastica, additivi, macchinari in manutenzione, energia elettrica, trasporti, ecc. Questi debiti hanno caratteristiche diverse da quelli fiscali/previdenziali:

  • Nessuna prelazione intrinseca: I creditori commerciali ordinari sono chirografari puri, il che significa che non hanno alcun diritto di preferenza sul patrimonio del debitore. Se l’azienda fallisce (liquidazione giudiziale), saranno soddisfatti solo dopo che tutti i crediti privilegiati (Stato, dipendenti, banche con ipoteca, ecc.) siano pagati, e spesso ricevono percentuali basse o nulla. Questo giuridicamente si traduce in una posizione debole in caso di concorso con altri creditori.
  • Azione individuale rapida: Al contempo, i fornitori possono essere molto rapidi nell’agire individualmente. Un creditore commerciale insoddisfatto può emettere fatture e, se non pagato, ottenere un decreto ingiuntivo in tempi brevi e procedere a pignoramenti di beni o conti correnti dell’azienda. Ad esempio, un fornitore di materiale plastico che vanti €50.000 può, in poche settimane, ottenere un titolo esecutivo e pignorare il conto bancario aziendale, bloccando di fatto la liquidità necessaria per l’attività. Ciò rende i debiti commerciali pericolosi perché anche un solo fornitore aggressivo può precipitare l’azienda nella paralisi finanziaria.
  • Interruzione delle forniture e danno commerciale: A differenza di Fisco e banche, i fornitori hanno un’altra leva: smettere di fornire beni essenziali. Se l’azienda produttrice di plastica accumula arretrati verso il fornitore di resina o verso il gestore dell’energia elettrica, questi potrebbero sospendere le forniture. L’interruzione di materie prime o energia può fermare la produzione, innescando un circolo vizioso. Il debitore dunque ha interesse a negoziare con i fornitori magari prima che questi interrompano i rapporti (ad esempio proponendo pagamenti parziali di saldo e stralcio o piani di rientro dilazionati in forma privata, per mantenere il rapporto commerciale).
  • Assenza di strumenti privilegiati di riscossione: A differenza del Fisco, i creditori privati non hanno poteri speciali: devono passare attraverso il tribunale per ottenere un titolo (ingiunzione) e coinvolgere un ufficiale giudiziario per il pignoramento. Questo offre al debitore qualche possibilità di difesa legale: ad esempio, opporsi al decreto ingiuntivo entro 40 giorni se vi sono contestazioni sul credito, o utilizzare strumenti come la richiesta di sospensione in caso di trattativa in corso. Inoltre, se l’azienda accede a una procedura concorsuale, scatta il blocco delle azioni esecutive individuali (automatic stay), che impedisce ai fornitori di proseguire nei pignoramenti – ma di questo benefico “scudo” parleremo più avanti nelle sezioni sulla composizione negoziata e concordato.
  • Possibili garanzie contrattuali: Alcuni fornitori potrebbero essersi tutelati con garanzie specifiche. Ad esempio, se l’azienda ha acquistato un macchinario in leasing o con riserva di proprietà, il fornitore/leasing avrà il diritto di riprendersi il bene in caso di mancato pagamento (il bene non è pienamente di proprietà dell’azienda finché non salda tutte le rate). Oppure, un fornitore potrebbe aver ottenuto una fideiussione personale dal socio amministratore. In tal caso, il debito commerciale sconfina nella sfera personale: il fornitore insoddisfatto potrà aggredire direttamente il patrimonio personale del garante (casa, conto privato). Bisogna quindi mappare eventuali garanzie personali o reali che assistono i debiti commerciali: se esistono, quel particolare creditore è di fatto un privilegiato (es. il leasing su un macchinario potrà riprendersi il macchinario stesso, sottraendolo agli asset aziendali disponibili per gli altri creditori).

In generale, dal punto di vista del debitore, gestire i debiti verso fornitori significa: comunicare tempestivamente con loro, evitare che perdano completamente la fiducia (cosa che li spinge ad azioni legali immediate), e se possibile strutturare accordi transattivi. Una strategia comune è il “saldo e stralcio”: offrire al fornitore una percentuale (es. 50%) del credito in un’unica soluzione, magari reperendo liquidità urgente, in cambio della rinuncia al restante e del prosieguo del rapporto. Molti fornitori preferiscono recuperare subito una parte e mantenere il cliente, piuttosto che rischiare un lungo contenzioso o il fallimento in cui recupererebbero forse zero. Tali accordi vanno gestiti con attenzione (meglio per iscritto, con quietanza liberatoria). Qualora però i debiti commerciali siano troppi per poterli comporre singolarmente, occorrerà passare a soluzioni più strutturate (concordato preventivo o accordi di ristrutturazione) che permettono di imporre ai fornitori collettivamente un pagamento parziale dei loro crediti in modo ordinato e proporzionale, sotto controllo del tribunale.

Nota: Nel contesto di una procedura concorsuale, i fornitori chirografari saranno normalmente trattati come un’unica classe (o più classi omogenee) e potrebbero vedersi offrire, ad esempio, il pagamento di una percentuale dei loro crediti (es. 20-30%) dilazionata nel tempo. Essi votano su tale proposta ed è necessario ottenere le maggioranze previste perché il piano sia approvato. In caso di concordato liquidatorio, la legge indicava storicamente una soglia minima del 20% per i chirografari, ma nel nuovo Codice questa soglia non è più fissata ex lege – rimane però il fatto che un’offerta troppo bassa difficilmente verrà omologata, poiché potrebbe essere considerata non conveniente rispetto alla liquidazione fallimentare. Discuteremo oltre i dettagli delle percentuali nei concordati.

Debiti bancari e finanziari

Un’azienda di lavorazione plastica spesso ha in essere finanziamenti con banche o altri istituti (leasing, società di factoring, fornitori di credito commerciale). Questi debiti finanziari hanno peculiarità proprie:

  • Presenza di garanzie reali o personali: Le banche generalmente erogano credito assistito da garanzie. La più comune è l’ipoteca su immobili della società (ad esempio sul capannone industriale) o su beni registrati (es. automezzi), oppure il pegno su macchinari e attrezzature costose. Inoltre, non di rado il socio di maggioranza o l’amministratore presta fideiussione personale a garanzia del mutuo o fido bancario. Ciò significa che il debito bancario spesso non è un puro chirografo: la banca creditrice ha uno status di creditore privilegiato (se assistita da garanzia reale ipotecaria o pignoratizia) e/o ha un’azione diretta sul patrimonio personale del garante. In caso di insolvenza, le banche con ipoteca potranno rivalersi sul ricavato della vendita dell’immobile fino a soddisfazione (hanno privilegio speciale sul bene), e qualunque residuo debito non coperto dalla vendita potrà essere chiesto al fideiussore. Per il debitore, questo implica che difendersi dai debiti bancari è anche proteggere il patrimonio personale garantito e i beni gravati da ipoteca.
  • Facilità di escussione delle garanzie: Se la società smette di pagare le rate di mutuo o leasing, la banca può (dopo i dovuti preavvisi contrattuali) procedere rapidamente a escutere la garanzia. Ad esempio, per un mutuo ipotecario non pagato, la banca può avviare un pignoramento immobiliare e far vendere all’asta il capannone. Oppure, in caso di leasing, la società di leasing può ottenere dal tribunale un decreto di riappropriazione del bene in leasing (macchinario, mezzo) e rivenderlo, imputando il ricavato a riduzione del debito. Questi processi, sebbene seguano iter giudiziari, sono relativamente spediti e particolarmente devastanti per l’impresa: la perdita di un capannone o di un macchinario chiave può fermare definitivamente la produzione. Inoltre, l’escussione di una fideiussione permette alla banca di aggredire immediatamente anche i beni del socio garante (ad esempio pignorandone la casa di abitazione, se non è esente, o altri immobili).
  • Necessità di preservare la continuità dei rapporti finanziari: A differenza di un fornitore, la banca non “smette di fornire materia prima” ma può revocare gli affidamenti. Se l’azienda ha un conto corrente con scoperto (fido di cassa) o linee di credito a breve termine (anticipo fatture, castelletto), in caso di deterioramento della situazione finanziaria la banca può revocare tali affidamenti anche senza insolvenza conclamata. La revoca dei fidi equivale a richiedere immediatamente il rientro delle somme utilizzate: l’azienda si trova improvvisamente senza liquidità per le spese correnti. Questo è uno scenario tipico: tensione finanziaria -> sconfinamenti -> la banca revoca affidamenti -> l’azienda non riesce a rientrare -> escussione garanzie e crisi acuta.
  • Clausole finanziarie (covenants): Alcuni prestiti bancari a medio-lungo termine prevedono clausole contrattuali (covenants) legate ai bilanci: se l’azienda scende sotto certi indici patrimoniali o reddituali, il prestito può diventare revocabile o può essere dichiarato decaduto dal beneficio del termine. Dunque l’aggravarsi dei debiti può innescare automaticamente la richiesta di rimborso anticipato di finanziamenti in essere.

Per un’azienda indebitata con le banche, le strategie difensive includono:

  • Rinegoziazione o moratorie: contattare la banca prima del default formale, per rinegoziare il piano di ammortamento (ad esempio ottenendo una moratoria dei pagamenti per alcuni mesi, possibile in certe situazioni magari supportate da normative di settore) o per allungare le scadenze. Le banche sono a volte disponibili a concordare piani di ristrutturazione del debito (ad esempio consolidare vari debiti in uno solo più lungo, riducendo la rata) se vedono prospettive di recupero e se il debitore agisce in modo trasparente con l’aiuto di un professionista.
  • Utilizzo di garanzie pubbliche o consorzi fidi: in certi casi, l’azienda può accedere a garanzie pubbliche (es. il Fondo di Garanzia PMI gestito da Mediocredito Centrale) o ai Confidi di categoria, per ottenere nuova finanza o per ristrutturare il debito esistente. Se l’impresa ha i requisiti, coinvolgere tali enti può dare alla banca maggior comfort per non revocare il credito e anzi ridefinire le condizioni.
  • Strumenti concorsuali di blocco delle azioni: qualora la situazione sia compromessa e la banca minacci esecuzioni (es. asta immobiliare), l’azienda può valutare di ricorrere subito a una procedura concorsuale (come il concordato “in bianco” o la composizione negoziata con misure protettive) per ottenere un congelamento giudiziale delle azioni esecutive. Dal momento del provvedimento di protezione, la banca non può procedere all’escussione dell’ipoteca o del pegno senza autorizzazione del tribunale. Ciò crea uno spazio di negoziazione: ad esempio, la banca potrebbe essere indotta ad accettare nel concordato un trattamento leggermente inferiore (una parziale falcidia del credito garantito, se il valore del bene è minore del credito) piuttosto che affrontare una lunga procedura.
  • Protezione del garante personale: se un socio ha garantito personalmente il debito, deve essere consapevole che la procedura concorsuale della società non lo protegge dalle azioni sul suo patrimonio (il “beneficio dello stay” non si estende ai fideiussori, salvo rare eccezioni). Tuttavia, egli potrà a sua volta valutare procedure personali di soluzione del sovraindebitamento se venisse escusso per importi che non riesce a pagare (ad esempio la liquidazione controllata del suo patrimonio come persona fisica, ex legge sovraindebitamento). Nel caso delle società di persone, i soci illimitatamente responsabili beneficiano invece di una estensione della protezione concorsuale in certe procedure: ad esempio, se una SNC accede al concordato, i soci possono essere inclusi nel divieto di azioni esecutive grazie ad apposite disposizioni di legge (che il D.Lgs. 136/2024 ha chiarito, estendendo le misure protettive ai soci illimitatamente responsabili e ai fideiussori nelle procedure di composizione negoziata). Nel caso di S.r.l./S.p.A., però, i soci non sono responsabili dei debiti sociali, quindi i creditori (eccetto garanzie personali) non possono attaccarli – vedi oltre.

In sintesi, i debiti bancari vanno gestiti cercando di preservare i beni dati in garanzia ed evitare la revoca dei fidi. Se l’azienda ha prospettive di risanamento, conviene coinvolgere presto le banche in un dialogo (magari nell’ambito di una composizione negoziata assistita da esperto) per trovare un accordo sostenibile: le banche stesse, difatti, potrebbero preferire ristrutturare il credito piuttosto che escutere subito e causare il default, specie se intravedono la possibilità di recuperare più nel tempo con l’azienda in funzione. Nel contesto di un concordato o accordo di ristrutturazione, la banca come creditore ipotecario potrà ricevere quanto ottenibile dalla vendita del bene a garanzia (spesso il 100% del valore di perizia del bene) o, se il piano prevede la prosecuzione dell’attività, può accettare di spalmare il pagamento su più anni. Inoltre, il nuovo Codice consente, in caso di più banche, soluzioni maggiormente coordinate: ad esempio, con accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, se una maggioranza qualificata di banche concorda la ristrutturazione, l’accordo può essere esteso anche alle banche dissenzienti con l’omologazione del tribunale (evitando che poche banche dissenzienti facciano saltare tutto). Questo è un elemento di forza per il debitore che tratta con un ceto bancario numeroso.

Debiti verso dipendenti e TFR

Infine, cenno ai debiti che un’azienda può avere verso i propri dipendenti: stipendi arretrati, tredicesime non pagate, trattamento di fine rapporto (TFR) maturato. Questi debiti, sebbene spesso di importo inferiore rispetto ad altri, hanno un peso giuridico e “sociale” significativo:

  • Privilegi ipersociali: I crediti dei lavoratori dipendenti godono del massimo livello di privilegio. In particolare, le ultime retribuzioni degli ultimi 3 mesi precedenti la procedura concorsuale (fino a un massimale per mese) e il TFR maturato hanno privilegio generale sui mobili super privilegiato, collocandosi ai primi posti nell’ordine dei pagamenti, subito dopo pochissimi crediti come le spese di giustizia. Questo significa che in caso di fallimento o concordato, i dipendenti saranno pagati prima di molti altri creditori (compresi alcuni crediti fiscali minori, ecc.). Inoltre, in caso di concordato, normalmente i piani prevedono il pagamento integrale di questi crediti (o vi è l’intervento del Fondo di Garanzia INPS).
  • Fondo di Garanzia INPS: Esiste un meccanismo di tutela pubblico: se un’azienda fallisce o chiude senza aver pagato stipendi e TFR, i dipendenti possono rivolgersi al Fondo di Garanzia dell’INPS che anticipa loro il TFR e le ultime tre mensilità, per poi surrogarsi come creditore privilegiato nella procedura. Questo garantisce ai lavoratori un ristoro relativamente rapido e scarica l’onere sulla procedura concorsuale. Nella pratica, quindi, spesso i dipendenti non agiscono direttamente esecutivamente contro l’azienda se c’è un conclamato stato di insolvenza, ma attendono l’intervento del Fondo.
  • Azioni individuali e pressione sindacale: Tuttavia, prima di arrivare al fallimento, i dipendenti possono ovviamente agire per vie legali (ingiunzioni di pagamento in sede di lavoro) e soprattutto esercitare pressioni con scioperi o vertenze collettive. Un’azienda manifatturiera ferma perché i dipendenti sono in sciopero per stipendi non corrisposti entra in ulteriore crisi. Inoltre, se un dipendente ottiene un decreto ingiuntivo per stipendi arretrati, può iscrivere ipoteca giudiziale sugli immobili dell’azienda (i crediti di lavoro sono infatti privilegiati ma anche ipotecabili giudizialmente).
  • Responsabilità degli amministratori: Il mancato pagamento continuativo degli stipendi può configurare a carico degli amministratori violazioni di legge (in casi estremi, reati come la estorsione se hanno costretto i lavoratori a prestare attività senza retribuzione sotto minaccia di licenziamento). Inoltre, in caso di fallimento, una gestione che abbia accumulato debiti verso i dipendenti senza informare o prendere provvedimenti può costituire elemento di mala gestio valutato nel giudizio di responsabilità.

Dal punto di vista del debitore, “difendersi” significa qui soprattutto assicurare la tenuta del capitale umano in azienda. Se la crisi di liquidità impedisce di pagare regolarmente gli stipendi, è fondamentale comunicare con i lavoratori, magari concordare temporanei differimenti di paga (se supportati dai sindacati), ed evitare discriminazioni (pagare solo alcuni e altri no), perché ciò potrebbe comportare problemi legali. Nelle procedure concorsuali, i debiti verso dipendenti sono in genere prioritari: un concordato preventivo ben fatto dovrebbe prevedere il pagamento integrale dei lavoratori (salvo forse tagli a crediti per dirigenti o amministratori, che sono trattati diversamente se di importo elevato). Va anche ricordato che, in caso di cessione o trasferimento dell’azienda, la legge (art. 2112 c.c. e disposizioni speciali del Codice della Crisi) tutela i lavoratori, prevedendo che il loro rapporto continui con l’acquirente salvo diverse previsioni autorizzate dal tribunale in concordato.

In altre parole, i debiti verso i dipendenti sono quelli a cui il legislatore tende a dare massima tutela: l’imprenditore deve tenerne conto sia per ragioni giuridiche sia etiche, includendoli tra i primi da soddisfare appena la situazione lo consente (anche per mantenere la forza lavoro motivata durante il risanamento).

Tabella riepilogativa – Tipi di debiti e principali caratteristiche

Per ricapitolare le differenze tra i vari debiti, presentiamo una tabella sintetica:

Tipo di DebitoEsempi e CaratteristicheAzioni dei CreditoriRischi per il Debitore
Fiscale (Erario)IVA, IRES, IRAP, ritenute. Privilegio generale (talora speciale). Sanzioni e interessi elevati.Cartella esattoriale; ipoteche, fermi amministrativi; pignoramenti senza passare dal giudice.Blocchi conti; lievitazione importi; responsabilità penale (omesso versamento IVA/ritenute) e personale (danni erariali).
Previdenziale (INPS/INAIL)Contributi dipendenti, premi assicurativi. Privilegio generale altissimo. Sanzioni civili molto onerose.Cartella esattoriale; pignoramenti e ipoteche analoghi a Fisco. Azioni di surroga (INPS paga lavoratori e si surroga).Aumenti per sanzioni; reato omesso versamento contributi; responsabilità personale di amministratori/liquidatori se mala gestio.
Fornitori (Commerciali)Forniture materie prime, servizi, bollette. Crediti chirografari (no garanzie salvo patto riserva proprietà).Decreto ingiuntivo rapido; pignoramenti di beni, merci, conti; sospensione forniture essenziali.Blocco produzione se forniture cessano; esecuzioni individuali disordinate; rischio di fallimento su istanza di più creditori.
Banche e FinanziarieMutui, leasing, scoperti. Spesso ipoteche su immobili o pegni su beni; fideiussioni personali di soci.Azione esecutiva sulle garanzie: es. espropriazione immobiliare, rivalsa su macchinari (leasing) e sui garanti (fideiussione). Revoca fidi immediata per insolvenza.Perdita di asset strategici (capannoni, macchinari) all’asta; escussione beni personali dei garanti; riduzione credito (revoca linee) e conseguente crisi liquidità.
Dipendenti (Lavoro)Stipendi arretrati, TFR, ferie maturate. Privilegi super-privilegiati (pagati prima di quasi tutti).Decreti ingiuntivi in tribunale lavoro; ipoteche giudiziali; vertenze sindacali, scioperi. Fondo di Garanzia INPS interviene in caso di fallimento.Tensione sociale in azienda; possibile stop produzione; in concorso vanno comunque pagati (interviene INPS ma poi surroga). Eventuale responsabilità per amministratori (mala gestio se accumulati deliberatamente).
Altri (Erario locale, ambiente, ecc.)Es. IMU/TARI comuni, sanzioni amministrative, debiti verso enti diversi. Spesso privilegi minori o chirografari.Riscossione tramite ingiunzioni fiscali locali; poteri esecutivi simili a fornitori (tramite concessionari).Possono iscrivere fermi su macchinari (in caso di enti locali), ma peso economico spesso minore. Da gestire per evitare aggravio sanzioni.

(Legenda: “responsabilità personale” = rischio di dover pagare coi beni personali; “chirografo” = senza prelazione; “mala gestio” = cattiva gestione; “surroga” = subentro di un ente nel credito pagando il creditore originale.)

Obblighi legali degli amministratori e dei soci in caso di crisi

Quando un’azienda accumula debiti e versa in una condizione di crisi finanziaria, non è solo esposto ai rischi esterni (azioni dei creditori), ma anche a rischi di tipo interno e legale se gli organi sociali non si comportano correttamente. La legge italiana impone agli amministratori (e in parte ai soci) una serie di obblighi e doveri nel momento in cui la società si trova in difficoltà economico-patrimoniale. Tali obblighi servono ad evitare che la crisi degeneri in insolvenza irreversibile e che il patrimonio sociale venga ulteriormente depauperato a danno dei creditori.

Vediamo i principali doveri legali e le responsabilità connesse, specialmente riferite alle società di capitali (S.r.l. e S.p.A.):

Adeguati assetti e dovere di monitorare la crisi (art. 2086 c.c.)

Dal marzo 2019, con la riforma portata dal Codice della Crisi, è stato introdotto nell’art. 2086 c.c. un secondo comma che impone all’imprenditore societario di: “istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa e della perdita della continuità aziendale”. Questo significa che gli amministratori hanno il dovere legale di dotarsi di strumenti interni (sistemi di contabilità analitica, controlli di gestione, indicatori finanziari periodici) per cogliere per tempo i segnali di crisi (indebitamento crescente, calo di liquidità, ecc.) e attivarsi di conseguenza. Se essi omettono di farlo e procedono “al buio” fino al tracollo, possono essere ritenuti responsabili.

Cosa implica in pratica? Che già molto prima di arrivare all’insolvenza conclamata, gli amministratori devono monitorare indici come: il rapporto tra mezzi propri e debiti, la capacità di far fronte alle scadenze nei 6-12 mesi successivi (cash flow prospettico), eventuali ritardi nei pagamenti ai fornitori o nel versamento di IVA/contributi. Il Codice della Crisi originariamente prevedeva anche un sistema di segnalazioni esterne da parte di creditori pubblici (c.d. “allerta”), poi sostituito dalla composizione negoziata volontaria di cui diremo a breve. Ma il nucleo dell’art. 2086 c.c. resta: l’imprenditore diligente deve prevenire la crisi e, se emergono segnali, non aggravare il dissesto.

La violazione di questo dovere può essere contestata in sede di azione di responsabilità: ad esempio, un curatore fallimentare potrà sostenere che gli amministratori non avevano predisposto adeguati assetti e non hanno reagito di fronte a indicatori di crisi già evidenti un anno prima del fallimento, continuando ad accumulare debiti. Ciò configura un inadempimento dei doveri gestori, con richiesta di risarcimento danni verso di loro (danno che spesso coincide con l’aggravamento del passivo in quel periodo di inerzia).

Obblighi in caso di perdita del capitale sociale (art. 2446, 2447, 2482-bis e 2482-ter c.c.)

Per le società di capitali, un segnale formale di crisi è la perdita del capitale sociale. La legge (codice civile) stabilisce che se dalle risultanze di bilancio emerge:

  • Una perdita > 1/3 del capitale (per S.p.A. art. 2446, per S.r.l. art. 2482-bis), gli amministratori devono senza indugio convocare l’assemblea e riferire la situazione. Se entro l’esercizio successivo la perdita non si riduce a meno di 1/3, l’assemblea deve ridurre il capitale in proporzione alle perdite.
  • Se la perdita è tale da azzerare il capitale o scendere sotto il minimo legale (per S.p.A. sotto €50.000, per S.r.l. sotto €10.000, art. 2447 c.c. e 2482-ter c.c.), la società deve essere sciolta o il capitale immediatamente ricostituito a una cifra almeno pari al minimo per legge.

Queste norme significano che quando il patrimonio netto della società diviene negativo o fortemente ridotto dalle perdite, la situazione non può essere ignorata: o i soci ricapitalizzano (immettendo nuovi fondi) o bisogna liquidare la società. Proseguire l’attività con capitale azzerato è vietato.

Gli amministratori che non adempiono a questi obblighi (ad es. non convocano l’assemblea, o continuano l’attività nonostante la causa di scioglimento ex art. 2484 c.c. per perdita integrale del capitale) espongono sé stessi a responsabilità personali gravissime. In particolare, l’art. 2486 c.c. stabilisce che, dal momento in cui si verifica una causa di scioglimento (come la perdita totale del capitale), gli amministratori assumono il ruolo di “conservatori” del patrimonio sociale ai fini della liquidazione: possono compiere solo atti di ordinaria amministrazione, conservativi. Ogni nuova obbligazione che contraggono in quella fase può essere considerata contraria ai doveri di conservazione. Il terzo comma dell’art. 2486 (introdotto dalla riforma) prevede criteri presuntivi di danno: salvo prova contraria, il danno causato dall’amministratore che ha proseguito attività in perdita si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto effettivo all’apertura della liquidazione e il patrimonio netto risultante se la società si fosse sciolta tempestivamente. In altre parole, tutto l’aggravamento delle perdite in quel periodo è imputato agli amministratori.

In sede fallimentare, infatti, è tipico l’esercizio di azioni di responsabilità ove si contesta che “la società avrebbe dovuto essere messa in liquidazione già da data X, ma gli amministratori hanno continuato l’attività fino a data Y aggravando il dissesto”. La Cassazione ha chiarito che gli amministratori rispondono verso la società e i creditori per l’inosservanza di questi obblighi, e che anche in assenza di insolvenza formale vi è responsabilità se le condotte hanno pregiudicato il patrimonio sociale o i creditori. Addirittura Cass. civ. n. 30031/2022 ha affermato: “L’amministratore di una s.r.l. risponde per violazione dei doveri di diligenza e lealtà anche in assenza di accertato stato d’insolvenza, ove le condotte poste in essere — come pagamenti preferenziali o operazioni in conflitto d’interessi — abbiano arrecato un pregiudizio al patrimonio sociale o aggravato la posizione dei creditori.”. Dunque continuare a pagare alcuni creditori a scapito di altri, o erodere risorse in operazioni discutibili, con società in decozione, costituisce illecito.

Per l’imprenditore debitore ciò significa: appena il capitale risulta eroso dalle perdite, occorre correre ai ripari. Se i soci non sono in grado di ricostituire il capitale, la strada corretta sarebbe attivare una liquidazione ordinaria (o cercare un concordato preventivo che eviti la dispersione totale). Continuare a operare “come nulla fosse” mentre il patrimonio è negativo equivale a “giocare d’azzardo con i soldi dei creditori”, cosa che la legge punisce. In un’ottica difensiva, potrebbe sembrare controintuitivo avviare presto la liquidazione o un concordato: l’imprenditore spesso spera in una ripresa e tira avanti. Ma dal punto di vista legale, prendere atto e attivare tempestivamente una procedura di regolazione della crisi è in realtà una forma di difesa – perché limita la responsabilità personale. Se invece l’amministratore persevera e poi arriva il fallimento, i creditori (tramite il curatore) quasi certamente lo chiameranno a rispondere dei maggiori debiti contratti in quel periodo di “zona grigia”.

Divieto di aggravare il dissesto e par condicio creditorum

Un altro obbligo generale, non sempre scritto ma desumibile dai principi, è il divieto per gli amministratori di aggravare volontariamente il dissesto e di violare la par condicio creditorum. Quest’ultima è il principio per cui, in insolvenza, i creditori devono essere trattati equamente e proporzionalmente ai loro diritti di prelazione. Pagare preferenzialmente alcuni creditori quando la società è già insolvente, lasciando altri scoperti, può costituire atto di mala gestio. Ad esempio, se un amministratore, consapevole che la società non potrà soddisfare tutti, decide di pagare integralmente un fornitore “amico” (magari perché interessato a mantenere rapporti postumi) a discapito degli altri, sta compiendo un atto in frode alla par condicio. Nel successivo fallimento, quel pagamento può essere revocato come atto preferenziale e l’amministratore può essere citato per danni. Cassazione ord. 23963/2025 ha ribadito che costituisce illecito dell’amministratore far prevalere un interesse extrasociale pregiudizievole per la società, ad esempio operando pagamenti preferenziali verso società a lui riconducibili. Anche in assenza di insolvenza dichiarata, tali condotte possono violare i doveri e generare responsabilità.

Inoltre, in caso di fallimento, pagare alcuni creditori e non altri nei mesi precedenti può integrare il reato di bancarotta preferenziale (art. 216 L. Fall., ora art. 322 CCII): se l’imprenditore, insolvente, paga qualcuno alterando le graduatorie legali dei crediti, commette reato. Lo stesso vale per atti di distrazione o sottrazione di beni aziendali a beneficio proprio o di terzi: è la classica bancarotta fraudolenta patrimoniale, punita severamente col carcere.

Riassumendo le responsabilità principali degli amministratori in crisi:

  • Mancata organizzazione e reazione tempestiva: può portare ad azione di responsabilità per gestione negligente (artt. 2392 e 2476 c.c. per S.p.A. e S.r.l. rispettivamente).
  • Mancata attivazione per perdita capitale: azione di responsabilità ex art. 2486 c.c. con risarcimento del maggior deficit.
  • Pagamenti preferenziali o operazioni dolose: azioni di responsabilità (art. 2394 c.c. verso creditori) e possibili reati (bancarotta preferenziale/fraudolenta).
  • Prosecuzione abusiva dell’attività: possibile configurazione del reato di omesso deposito di istanza di fallimento (in passato si discuteva di bancarotta semplice, oggi il CCII non prevede esattamente l’obbligo di auto-fallimento, ma la sostanza è che il ritardo colposo aggrava la posizione dell’organo gestorio). Una recente pronuncia, App. Milano 16 giugno 2023, ha confermato la responsabilità dell’amministratore per ritardo nella presentazione dell’istanza di fallimento se ciò ha aggravato il passivo.

Doveri dei soci e azioni di responsabilità verso di essi

Nelle società di capitali normalmente i soci non amministratori non hanno doveri gestionali, ma possono comunque incorrere in responsabilità in alcune ipotesi: ad esempio, se approvano fraudolentemente bilanci non veritieri per occultare perdite, o se deliberano distribuzioni di utili fittizi. I soci che hanno effettivo controllo possono essere chiamati a rispondere in solido con gli amministratori per aver diretto le scelte dannose (è il caso delle cosiddette direzioni occulte o ingerenze dei soci in gestione che causano danni). Tuttavia, più frequentemente, i soci rischiano sul piano patrimoniale quanto segue:

  • Obbligo di restituire utili o acconti percepiti illegalmente in presenza di perdite (art. 2433 c.c. per S.p.A. e corrispondente per S.r.l.). Se i soci hanno incassato dividendi in un anno in cui la società in realtà era in perdita, i creditori e il curatore possono chiederne la restituzione.
  • Restituzione di assegnazioni in liquidazione: come detto, se una società viene liquidata distribuendo attivo ai soci senza pagare i creditori, i soci sono tenuti a restituire quanto ricevuto per soddisfare i creditori insoddisfatti, entro il limite di 5 anni dalla cancellazione.
  • Fideiussioni personali: se i soci hanno garantito debiti sociali, diventano debitori a tutti gli effetti verso i creditori garantiti in caso di inadempimento della società.

Nel contesto di “difesa” del debitore, un socio di S.r.l. dovrebbe ad esempio evitare di prelevare somme in momenti di difficoltà (prestiti infruttiferi fatti dalla società al socio, anticipi su utili non maturati): tali movimenti saranno certamente scrutinati in caso di procedura concorsuale e potranno dar luogo ad azioni restitutorie o revocatorie. Se già avvenuti, conviene restituirli spontaneamente appena si entra in procedura, per ridurre la propria esposizione.

Un’ultima notazione: liquidazione volontaria vs. fallimento. Spesso i soci di S.r.l. pensano di “sfuggire” al fallimento chiudendo volontariamente la società con ancora debiti. Ma, come abbiamo visto, la cancellazione dal Registro Imprese non estingue automaticamente i debiti sociali. I creditori possono agire contro soci e liquidatori entro 5 anni. Inoltre, i creditori possono persino chiedere al tribunale la riapertura della liquidazione o il fallimento post-cancellazione se spuntano attivi non liquidati o irregolarità. Quindi, la strategia di liquidare “facilmente” la S.r.l. lasciando i debiti al vento è assai pericolosa: meglio affrontare la crisi in modo trasparente in una procedura concorsuale, che offre regole chiare e, se ben condotta, anche un’esdebitazione finale (quantomeno per l’imprenditore individuale; per le società l’esdebitazione in senso tecnico non serve, essendo estinte, ma di fatto con la chiusura fallimentare i debiti residui non sono più esigibili da nessuno).

In breve: gli amministratori hanno il dovere di agire tempestivamente e con correttezza di fronte alla crisi, attivando gli strumenti di composizione previsti dalla legge piuttosto che attendere passivamente o, peggio, compiendo atti di favoritismo o distrazione. Farlo non solo tutela i creditori, ma tutela loro stessi da responsabilità personali. Nel prossimo capitolo vedremo proprio quali strumenti l’ordinamento mette a disposizione per regolare la crisi dell’impresa: conoscerli è fondamentale per sapere cosa fare quando i debiti diventano insostenibili.

Strumenti per la composizione della crisi e dell’insolvenza

La normativa italiana, specialmente dopo la riforma del Codice della Crisi, offre una gamma articolata di strumenti per affrontare in modo ordinato la situazione di un’impresa indebitata. Tali strumenti vanno dalle soluzioni stragiudiziali volontarie (accordi privati, piani attestati), passando per procedure ibridi come la composizione negoziata della crisi, fino alle procedure concorsuali giudiziali vere e proprie (concordato preventivo e liquidazione giudiziale). La scelta dipende dalla gravità della situazione, dalla stato in cui si trova l’impresa (semplice difficoltà, crisi incipiente o insolvenza conclamata) e dagli obiettivi (salvare l’azienda come “going concern” oppure liquidare tutelando il più possibile il debitore).

Illustreremo qui i principali strumenti, con un focus su come essi possono essere utilizzati dal debitore per difendersi e risolvere la crisi, mantenendo dove possibile il controllo della situazione.

Soluzioni stragiudiziali informali: accordi e piani attestati

1. Accordi transattivi privati con i creditori: La via più immediata, se la crisi non è troppo estesa, è tentare accordi individuali o plurilaterali con i creditori al di fuori di procedure formali. Ad esempio, l’azienda può negoziare con ciascun fornitore un piano di rientro (pagamento dilazionato) o uno stralcio del debito (pagare meno dell’intero importo, ma subito). Questi accordi non coinvolgono il tribunale, sono meramente contrattuali. Vantaggi: riservatezza, flessibilità totale dei contenuti (ciò che le parti concordano, vale). Svantaggi: se i creditori sono molti, è difficile ottenere l’adesione di tutti; rimane sempre il rischio che qualche creditore dissenziente agisca per conto proprio, vanificando gli sforzi. Inoltre non c’è protezione legale (un creditore può firmare un accordo e poi comunque agire se cambia idea, a meno di predisporre transazioni formali irrevocabili).

Spesso, però, accordi di questo tipo sono preludio o parte integrante di soluzioni più strutturate: ad esempio, convincere i fornitori principali a uno stralcio anticipa il successivo concordato. È bene formalizzare gli accordi con documenti scritti, firme digitali o PEC, e magari condizionarli reciprocamente (“se aderisce l’80% dei creditori chirografari, allora l’accordo è efficace”).

2. Piano di risanamento attestato (art. 56 CCII, ex art. 67 L.F.): È uno strumento stragiudiziale previsto dalla legge, consistente in un piano di risanamento dell’azienda asseverato da un esperto indipendente, il quale attesta la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano stesso. Il piano attestato non richiede l’assenso di tutti i creditori né l’omologazione del tribunale; è sostanzialmente un documento unilaterale dell’imprenditore, validato da un professionista. La sua utilità principale sta nel fatto che, se realizzato e portato a termine, protegge da azioni revocatorie fallimentari: i pagamenti e le operazioni compiute in esecuzione di un piano attestato non sono soggetti a revocatoria in caso di successivo fallimento (art. 166, co.3, lett.d) CCII). In parole semplici, se l’azienda segue questo piano e poi comunque fallisce, i creditori non potranno farsi annullare i pagamenti ricevuti secondo il piano.

Il piano attestato è utile quando c’è consenso informale della maggior parte dei creditori, pur senza accordo formale. Ad esempio: l’azienda elabora un piano finanziario di rientro debiti a 5 anni, l’esperto attesta che è credibile, e l’azienda lo comunica ai creditori chiave. Se costoro si allineano spontaneamente (magari continuando a lavorare con l’impresa e accettando i pagamenti secondo piano), si può risanare l’azienda senza passare dal tribunale. È uno strumento piuttosto “soft”, adatto a situazioni in cui la fiducia dei creditori è ancora presente e la crisi non è ancora degenerata in conflitto aperto. Non offre però alcun meccanismo coercitivo: se un creditore non vuole adeguarsi, resta libero di agire.

3. Accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 CCII, ex art. 182-bis L.F.): Qui entriamo in un territorio a metà tra stragiudiziale e giudiziale. L’accordo di ristrutturazione è un patto tra il debitore e una parte dei creditori, che viene però omologato dal tribunale e diventa vincolante. Caratteristiche salienti: – Deve coinvolgere creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti (accordo “standard”), oppure – con le modifiche introdotte nel 2022 – anche solo il 30% in certi accordi “agevolati” (quando i restanti debiti non rientrano in determinate categorie, per es. solo finanziari) per accedere alle protezioni in pendenza di omologa. – I creditori che aderiscono sottoscrivono l’accordo accettando riduzioni o dilazioni dei loro crediti. I creditori non aderenti restano estranei: dovranno essere pagati integralmente entro la scadenza dell’accordo, ma intanto beneficiano anch’essi dello stay (una volta depositato l’accordo per omologa, il tribunale può sospendere azioni esecutive anche dei dissenzienti). – Una volta raggiunte le adesioni richieste, l’accordo viene presentato al tribunale per l’omologazione. Il tribunale verifica che l’accordo sia idoneo a soddisfare i creditori estranei (ad esempio, che siano pagati integralmente entro 120 giorni dall’omologa) e che non vi sia lesione dei loro diritti. Se tutto è regolare, omologa l’accordo e questo acquista efficacia verso tutti i firmatari. I creditori estranei rimangono estranei (devono essere soddisfatti fuori accordo come da legge). – Varianti: accordo ad efficacia estesa (art. 61 CCII) che consente, se l’accordo ottiene percentuali alte di adesione in una certa classe di creditori finanziari, di estenderlo anche ai dissenzienti di quella classe con l’omologa (un meccanismo di cram-down settoriale, utile quando c’è una banca o due dissenzienti ma la maggior parte delle banche è d’accordo); accordi agevolati con soglia ridotta al 30% come detto, e accordi misti con intervento di terzi o convenzioni di moratoria.

L’accordo di ristrutturazione è un potente strumento se l’azienda riesce a ottenere il consenso della maggioranza qualificata di crediti. Ad esempio, se 3 banche su 4 (che hanno il 80% dell’esposizione finanziaria) accettano di riscadenzare i mutui, l’accordo può essere omologato e legare anche la 4ª banca dissenziente (se si rientra nelle fattispecie di efficacia estesa). Per i debiti fiscali e previdenziali, esiste la possibilità di integrarli nell’accordo tramite la transazione fiscale/contributiva: l’aderenza dell’ente pubblico conta ai fini della percentuale.

Dal punto di vista del debitore, l’accordo di ristrutturazione ha vantaggi: è negoziato in autonomia (non sottopone l’impresa a gestione concorsuale), è relativamente rapido da omologare rispetto a un concordato, e sospende le azioni esecutive durante l’omologazione (previa richiesta al tribunale). Svantaggio: richiede appunto di convincere un’ampia fetta di creditori uno a uno, quindi presuppone già un buon livello di trattativa. Inoltre i creditori piccoli dissenzienti potrebbero comunque creare problemi, benché isolati.

In sintesi sulle soluzioni stragiudiziali: sono preferibili quando la crisi è ancora gestibile e c’è cooperazione dai creditori. Hanno il beneficio della discrezione (nel caso di piani attestati o accordi prima del deposito in tribunale, l’azienda evita il “marchio” pubblico di insolvenza) e della flessibilità (si può adattare il piano alle singole posizioni). Tuttavia, se la situazione è ormai compromessa (molti creditori, scenari conflittuali, rischio imminente di azioni esecutive multiple), occorre passare a strumenti più incisivi, che offrano una protezione legale complessiva al debitore. Il principale di tali strumenti introdotti di recente è la Composizione Negoziata.

Composizione negoziata della crisi d’impresa

La composizione negoziata per la soluzione della crisi è uno strumento innovativo, introdotto col D.L. 118/2021 (conv. L. 147/2021) e ora disciplinato dagli artt. 12-25 CCII. Si tratta di una procedura volontaria e stragiudiziale in cui l’imprenditore in difficoltà, ma ancora non insolvente in modo irreversibile, richiede l’assistenza di un esperto indipendente per cercare di negoziare con i creditori un accordo di risanamento. È, in sostanza, un percorso di allerta precoce e mediazione:

  • Accesso: può accedervi qualunque imprenditore commerciale o agricolo (anche sotto soglia di fallibilità) che si trovi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da rendere probabile la crisi o l’insolvenza, ma ancora reversibili. Non serve essere insolventi conclamati; anzi, è preferibile muoversi prima. Si presenta un’istanza tramite una piattaforma telematica gestita dalle Camere di Commercio, allegando informazioni sull’azienda, bilanci, una proposta iniziale di piano di risanamento e i risultati di un test pratico di verifica. Dal 2023, per l’accesso è richiesto anche aver predisposto un progetto di piano di risanamento secondo check-list ministeriale (Decreto 21 marzo 2023 Min. Giust.). L’istanza è rivolta a una Commissione che nomina l’esperto.
  • Esperto e negoziazione: l’esperto è un professionista indipendente (iscritto in un apposito elenco) con competenze in materia di crisi d’impresa. Il suo compito è esaminare la situazione aziendale e favorire le trattative tra l’imprenditore e i creditori. Importante: l’esperto non ha poteri decisori, non può imporre accordi, ma redige rapporti e orienta le parti verso soluzioni. La procedura è confidenziale: l’esistenza della composizione negoziata non è resa pubblica (a meno che l’imprenditore richieda misure protettive al tribunale, come vedremo). Le parti coinvolte (imprenditore e creditori aderenti al tavolo) sono vincolate alla riservatezza. Questo è cruciale per evitare allarmismi nel mercato.
  • Obiettivo e durata: entro un periodo di norma di 180 giorni (estensibile di ulteriori 180 su richiesta motivata), l’esperto aiuta a individuare una soluzione. Possibili esiti:
  • La conclusione di un accordo stragiudiziale con alcuni o tutti i creditori (ad es. un accordo di ristrutturazione dei debiti o anche semplici accordi bilateralI, a seconda del caso).
  • L’accesso a una procedura concorsuale: se la negoziazione fa emergere che serve un concordato o altra procedura, l’imprenditore può depositare domanda di concordato preventivo (anche semplificato) con il “supporto” dell’esperto che riferisce. In certi casi, l’esperto può attestare elementi utili per un successivo concordato semplificato.
  • L’archiviazione senza accordo: se non si trova una quadra, la procedura si chiude. L’esperto redige una relazione finale, che in caso di esito negativo può essere comunicata (dopo 60 giorni) al tribunale delle imprese se ravvisa irregolarità gestionali gravi.
  • Poteri speciali durante la composizione: pur essendo stragiudiziale, l’imprenditore può chiedere al tribunale alcune misure per facilitare le trattative:
  • Misure protettive: consiste nel bloccare, per la durata delle negoziazioni, le azioni esecutive e cautelari dei creditori. Il debitore deposita un’istanza di misure protettive in tribunale (sezione specializzata), e se non ci sono abusi il tribunale le concede subito per 30-60 giorni, estensibili. Da quel momento nessun creditore può iniziare o proseguire pignoramenti o sequestri sui beni aziendali. Ciò crea un ambiente “congelato” in cui trattare senza la pressione di procedure in corso. Le misure protettive sono pubblicate (registro imprese), dunque in quel momento la vicenda diventa conoscibile dai terzi.
  • Autorizzazioni a finanziamenti prededucibili: l’imprenditore in composizione negoziata può chiedere al tribunale di autorizzare nuova finanza (es. un prestito ponte) che sarà considerata prededucibile (prioritaria) in caso di successiva procedura. Questo incentivo serve a trovare risorse fresche per il risanamento. Può inoltre essere autorizzato a disfarsi di beni non strategici per fare cassa, con tutela che tali atti non saranno revocabili.
  • Trattamento dei contratti: durante la composizione negoziata, l’imprenditore può chiedere di sospendere o sciogliere contratti in essere che risultino troppo onerosi o non più funzionali al risanamento (dietro autorizzazione del tribunale). Ad esempio, locazioni o forniture divenute esose.
  • Novità normative 2024: Il Terzo Correttivo (D.Lgs. 136/2024) ha introdotto migliorie: ad esempio ha esplicitamente previsto la possibilità di una transazione fiscale nell’ambito delle trattative (prima era incerto se si potesse falcidiare l’IVA in una composizione negoziata, ora sembra chiaro di sì tramite accordo con l’Erario). Ha inoltre semplificato alcuni oneri documentali di accesso e chiarito l’ambito delle misure protettive (estendendole, come già accennato, anche ai soci illimitatamente responsabili e garanti su richiesta).

La composizione negoziata, dal punto di vista del debitore, è uno strumento formidabile di difesa se usato tempestivamente: consente di prendere l’iniziativa nella crisi, mostrando ai creditori la volontà di trovare soluzioni, e contemporaneamente mette un freno al caos delle aggressioni individuali. È però volontaria: i creditori non sono obbligati a trovare un accordo. Molto dipende dalla credibilità del piano e dalla bravura dell’esperto nel mediare. I dati disponibili indicano che un numero crescente di imprese vi fa ricorso e che, quando attivata in tempo, porta a risultati positivi. Ad esempio, nel solo 2024 in Lombardia 38 imprese hanno concluso con successo la composizione negoziata, salvaguardando oltre 2.100 posti di lavoro. A livello nazionale, dal 2021 a fine 2024 circa 1.723 imprese hanno presentato istanza; in oltre il 78% dei casi è stata richiesta la protezione del tribunale (segno che il blocco delle esecuzioni è ritenuto cruciale). La maggior parte delle imprese che accedono sono S.r.l. (70,7%) e S.p.A. (17,9%), spesso micro-piccole aziende, a conferma che lo strumento è sfruttato soprattutto dalle PMI. Questo strumento è percepito sempre più come una reale alternativa al fallimento e non come uno stigma.

Esito della composizione negoziata: se porta a un accordo stragiudiziale, bene – l’azienda può proseguire. Se non porta a nulla, l’imprenditore non è comunque peggiore di prima: avrà però fatto emergere la crisi e difficilmente potrà continuare con la sola inerzia. In caso di fallimento successivo, l’aver esperito la composizione negoziata potrebbe essere visto positivamente (ha tentato il risanamento) a differenza di chi non ha fatto nulla. Inoltre, la legge prevede un premio: se dopo la composizione negoziata fallita l’imprenditore propone un concordato liquidatorio, la soglia di pagamento minima per i chirografari è ridotta (dal 30% al 20% – mentre come detto oggi la soglia fissa non c’è più, questa previsione rimane come indicativa). Ancora, se la composizione fallisce ma l’azienda è comunque da liquidare, è possibile accedere al concordato semplificato.

Concordato preventivo

Il concordato preventivo è la più nota e tradizionale procedura concorsuale a disposizione dell’imprenditore commerciale per evitare la liquidazione giudiziale (fallimento) attraverso un accordo giudiziale con i creditori omologato dal tribunale. Nel Codice della Crisi, il concordato preventivo conserva i tratti fondamentali ma con importanti innovazioni (classi, continuità vs liquidatorio, cram down interclassi, ecc.). Dal punto di vista del debitore, il concordato è uno strumento di difesa strutturato: consente di congelare l’esecuzione dei debiti e proporre un pagamento parziale e dilazionato, ottenendo esdebitazione della società (di fatto) a fine procedura.

Due forme principali: – Concordato in continuità aziendale: se prevede che l’azienda continui a operare (direttamente dal debitore o tramite cessione/affitto a un terzo che prosegue l’attività). L’obiettivo qui è risanare mantenendo il valore produttivo. Può essere in continuità diretta (stessa società prosegue) o indiretta (si prevede la cessione a un assuntore che la porterà avanti). – Concordato liquidatorio: se prevede solo la liquidazione del patrimonio dell’impresa e la cessazione dell’attività. È volto a distribuire in modo ordinato l’attivo ai creditori, evitando il fallimento ma senza salvare l’azienda come entità operativa.

Esistono anche forme miste (una parte in continuità e una parte di liquidazione di beni non strategici).

Procedura (a grandi linee): L’imprenditore presenta un ricorso al tribunale allegando un piano concordatario e una proposta ai creditori. Alternativamente può presentare un ricorso “in bianco” (concordato con riserva) indicando solo la volontà di accedere e presentando poi piano e proposta entro termini perentori. Il tribunale verifica i requisiti e, se li ravvisa, ammette l’azienda al concordato, nominando un Commissario Giudiziale (figura di vigilanza) e disponendo la convocazione dei creditori per il voto sul piano.

Una volta ammesso al concordato, scattano gli effetti protettivi: divieto di azioni esecutive individuali, i creditori non possono iniziare né proseguire pignoramenti o altri atti di esecuzione né sequestri; anche le cause civili relative a crediti restano sospese o devono proseguire nella sede concorsuale. L’azienda continua a operare sotto la gestione dell’imprenditore (debtor in possession), ma con la supervisione del Commissario e con limitazioni: gli atti di straordinaria amministrazione richiedono autorizzazione del giudice delegato. In pratica l’imprenditore resta in carica, ma con “il freno tirato” e sotto controllo.

I creditori sono suddivisi in classi secondo posizione giuridica ed interessi omogenei (ad esempio: classe privilegiati ipotecari, classe chirografi fornitori, classe chirografi finanziari, ecc.). Ciascuna classe vota sull’approvazione del concordato. Servono maggioranze per teste e per valore? In realtà il CCII ha rivisto le regole: se c’è una sola classe di creditori votanti, basta la maggioranza del 50% dei crediti ammessi al voto. Se ci sono più classi, conta l’approvazione della maggioranza delle classi (non di ogni singola classe come era una volta) purché almeno i 2/3 in valore del totale dei crediti votanti siano favorevoli. È introdotta anche la possibilità di omologazione anche in caso di dissenso di classi (c.d. cram down interclassi) ma solo per concordati in continuità e in presenza di certe condizioni: in sostanza il tribunale può omologare contro il voto negativo di una o più classi se ritiene che il piano sia comunque vantaggioso e conforme ai criteri di legge. Ad esempio, se tutte le classi approvano tranne una classe di chirografari minoritaria che vota no, il giudice potrebbe ugualmente omologare se quella classe ottiene almeno quanto il valore di liquidazione e nessuna classe di rango inferiore riceve più di essa (Relative Priority Rule).

  • Nel concordato in continuità: non c’è una soglia legale di soddisfacimento per i creditori chirografari (la vecchia regola del 20% non si applica), ma va garantito che ottengano almeno quanto otterrebbero dalla liquidazione fallimentare (principio del best interest test). Si applica la Relative Priority Rule (RPR): il piano può distribuire l’extra-valore generato dalla continuità non seguendo rigidamente l’ordine dei privilegi, purché nessun creditore di grado superiore riceva meno (in percentuale) di uno inferiore. Ciò consente, ad esempio, di pagare parzialmente i chirografari anche se i privilegiati non sono pagati al 100%, se ciò è giustificato dal maggior valore generato dal proseguimento dell’impresa. È ammessa la cram-down fiscale: il tribunale può omologare il concordato anche senza voto favorevole del Fisco per IVA e tributi, purché l’erario riceva almeno quanto otterrebbe da una liquidazione e un attestatore indipendente confermi questa condizione. Questo supera il vecchio divieto di falcidia dell’IVA: oggi anche l’IVA può essere parzialmente non pagata in un concordato, se si offre il “delta” di liquidazione e il giudice concorda.
  • Nel concordato liquidatorio: l’azienda cessa attività, i beni sono venduti singolarmente o in blocco, e si ripartisce il ricavato secondo le regole ordinarie di prelazione (Absolute Priority Rule rigorosa: i chirografari prendono solo se i privilegiati sopra di loro sono soddisfatti interamente). Tecnicamente il CCII non impone percentuali minime fisse, ma di fatto richiede almeno che i creditori non ricevano meno del 10-20% se c’è apporto di finanza esterna. In passato era 20%, ora questa soglia è stata formalmente eliminata, ma rimane la logica che un concordato liquidatorio deve offrire qualcosa di significativo ai chirografari – altrimenti fallimento sarebbe preferibile. Importante: nel liquidatorio puro non è previsto il cram down interclassi generalizzato; se una classe privilegiata vota no, il concordato non può essere omologato (salvo eccezioni come l’erario unico dissenziente? Il dibattito è tecnico). Questo in pratica rende più rigido il concordato liquidatorio rispetto a quello in continuità.
  • Effetti finali: se il concordato è approvato dai creditori (o comunque omologato dal tribunale), esso diviene vincolante per tutti i creditori anteriori (anche dissenzienti). I crediti vengono soddisfatti secondo le percentuali e modalità previste dal piano. La società, una volta eseguite le obbligazioni concordatarie, è liberata dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali (l’omologa impedisce di agire per la parte stralciata del credito). In caso di inadempimenti successivi, i creditori potranno chiedere la risoluzione del concordato, che di solito porta al fallimento. Ma se tutto va bene, il concordato adempito chiude la crisi con la “riabilitazione” dell’impresa (se in continuità, prosegue l’attività risanata; se liquidatorio, la società viene poi cancellata senza debiti pendenti formalmente reclamabili).

Per l’imprenditore-debitore, il concordato preventivo rappresenta spesso l’ultima linea di difesa attiva prima del fallimento. Consente infatti di ristrutturare i debiti sotto l’ombrello del tribunale mantenendo l’iniziativa: il piano lo propone il debitore, non i creditori. Vantaggi: – Sospende tutti i pignoramenti, ingiunzioni, ecc., dando respiro e ordinando la situazione. – Permette di tagliare in modo legale i debiti (ad esempio, pagare i chirografari solo parzialmente) ottenendo il consenso richiesto. – Permette, in continuità, di preservare l’azienda e i posti di lavoro, con il controllo giudiziario a garanzia dei creditori. – Dà certezza sul futuro: una volta omologato e eseguito, i creditori non possono più avanzare pretese oltre quanto concordato.

Svantaggi o difficoltà: – È un percorso formale, pubblico (l’ammissione a concordato è iscritta al registro imprese, dunque la reputazione ne risente). – Richiede costi (compensi del commissario, spese legali, attestatore del piano). – La preparazione dev’essere accurata: occorre un piano industriale e finanziario credibile, asseverato da un professionista attestatore. Il tribunale non ammette piani irrealistici (ad es. vendite di beni a valori gonfiati senza basi concrete). – I tempi: l’intera procedura, dall’idea all’omologa definitiva, può durare diversi mesi (tipicamente 6-12 mesi solo per l’omologa, più gli anni di esecuzione), durante i quali l’azienda è in una sorta di “amministrazione controllata”. – Non tutti i soggetti possono accedere: i piccoli imprenditori sotto soglia, i professionisti e i consumatori, non sono ammessi al concordato preventivo (per essi esistono procedure ad hoc di sovraindebitamento, come il “concordato minore” e la “ristrutturazione dei debiti del consumatore”). Quindi una ditta individuale artigiana molto piccola potrebbe dover usare altre vie e non il concordato classico.

Caso pratico comune: un’azienda plastica che abbia troppi debiti e rischi di pignoramenti sceglie il concordato. Presenta domanda “in bianco” per bloccare subito i creditori, poi prepara un piano: decide magari di cedere un ramo d’azienda a un investitore (continuità indiretta) che paga un certo prezzo; quell’introito, sommato alla liquidazione di cespiti non strategici, consente di offrire ai creditori il 40% sui chirografari in 3 anni. I privilegiati (banche con ipoteca) prendono i beni dati in garanzia o concordano nuova scadenza. I dipendenti sono pagati dal fondo INPS e l’INPS rientra come creditore privilegiato. Il Fisco accetta di falcidiare sanzioni e interessi, prendendo il 50% di IVA e contributi in 4 anni (transazione fiscale approvata). I creditori votano sì (per loro l’alternativa fallimento darebbe forse 20%). Il tribunale omologa: l’azienda cede il ramo, paga man mano i creditori secondo piano e riemerge senza i debiti eccedenti. I soci mantengono la proprietà (salvo equity diluita se l’investitore è entrato). Questo scenario, complesso ma fattibile, mostra come il concordato può salvare il salvabile.

Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio

Il concordato semplificato è una novità collegata alla composizione negoziata. Introdotto con il D.L. 118/2021 e ora all’art. 25-sexies CCII, è una procedura riservata ai casi in cui la composizione negoziata si conclude senza accordo. In tale ipotesi, l’imprenditore può proporre al tribunale un concordato senza il voto dei creditori, avente ad oggetto la liquidazione dei beni. In altri termini: è uno strumento per evitare il fallimento quando la negoziazione è fallita, permettendo al debitore di liquidare in modo concordato (ma semplificato) il proprio patrimonio.

Caratteristiche: – L’accesso è condizionato: può farlo solo chi ha esperito la composizione negoziata e non è riuscito a risanare, ma ha ancora da disporre del patrimonio. Il ricorso va presentato entro 60 giorni dalla chiusura della composizione negoziata. – La proposta prevede di liquidare tutti i beni dell’impresa, distribuendo il ricavato ai creditori secondo le prelazioni di legge (in ciò simile a un fallimento). Deve indicare percentuali di soddisfacimento stimate. – Nessun voto dei creditori: qui sta la differenza: i creditori non vengono chiamati ad approvare la proposta. Il tribunale valuta il piano, sente eventualmente il commissario giudiziale nominato e i creditori possono presentare osservazioni, ma non c’è una votazione. Se il tribunale ritiene che la proposta sia fattibile e più conveniente per i creditori rispetto alla liquidazione giudiziale (il famoso criterio di convenienza), può omologarla anche senza consenso dei creditori. In pratica è un concordato “imposto dall’alto” – da qui la definizione di concordato semplificato. – Durante il procedimento, l’imprenditore può chiedere misure protettive simili a quelle del concordato ordinario per bloccare i creditori. – Viene nominato un liquidatore giudiziale (di solito l’esperto stesso o altra persona) che provvede a vendere i beni secondo il piano e distribuire ai creditori il ricavato. – Non essendoci voto, questo strumento bypassa le resistenze dei creditori ma tutela comunque i loro interessi con il controllo giudiziale di convenienza.

Il concordato semplificato è definito da alcuni un “non-fallimento”: serve infatti a chiudere l’impresa senza passare dal fallimento, quando ormai non c’è chance di salvarla ma c’è il rischio che i creditori non trovino accordo in concordato preventivo. È un istituto ancora poco applicato (anche perché richiede il passaggio dalla composizione negoziata: una condizione che sinora limitava i casi). Rimane una soluzione residuale: la legge stessa la qualifica come “conclusione non fisiologica” del percorso, da usare se proprio la negoziazione non ha prodotto un risultato concordato.

Per il debitore, può essere utile in scenari di stallo: ad esempio, la società è decotta, i creditori non si accordano per un concordato ordinario, ma l’imprenditore vuole evitare il fallimento (che potrebbe comportare per lui più rischi, es. sui profili penali o di responsabilità). Con il semplificato ottiene un liquidatore scelto dal tribunale ma sotto la cornice di un concordato, e dopo la liquidazione l’azienda si estingue con i debiti stralciati. Certo, l’azienda in quanto attività economica non viene salvata (si vendono i beni e si chiude), però il debitore magari evita lo stigma del fallimento e una procedura più lunga.

Va detto che i tribunali valutano in modo molto rigoroso queste proposte: essendo senza voto dei creditori, è fondamentale che il piano offra loro almeno ciò che prenderebbero da un fallimento normale. Se il tribunale dubita della convenienza o intravede atti in frode, può rigettare l’omologa. Ad esempio, il Tribunale di Palermo nel 2023 ha rigettato un concordato semplificato rilevando che l’azienda aveva compiuto atti in pregiudizio (pagamenti non autorizzati) durante la composizione negoziata. Dunque il debitore deve presentarsi con le carte in regola e trasparenza massima.

Liquidazione giudiziale (ex Fallimento)

Se nessuno degli strumenti di cui sopra viene attivato dal debitore o va a buon fine, l’esito probabile è la liquidazione giudiziale, ossia la procedura concorsuale d’ufficio che prende il posto del vecchio fallimento. Dal punto di vista del debitore, questa è la situazione più difficile, perché la gestione passa completamente di mano e l’obiettivo non è più salvare l’impresa, ma liquidare il patrimonio nell’interesse dei creditori.

Caratteristiche principali: – Viene aperta dal tribunale su ricorso di un creditore, del pubblico ministero o anche dello stesso debitore (fallimento in proprio), se esiste lo stato di insolvenza (incapacità di pagare regolarmente i debiti). Per le società, spesso è un creditore insoddisfatto che deposita istanza. – Una volta dichiarata con sentenza, la società entra in liquidazione giudiziale: gli amministratori sono spossessati, la gestione passa al Curatore nominato dal tribunale, un professionista indipendente. I beni e i crediti dell’azienda formano la massa attiva che il curatore deve raccogliere e trasformare in denaro. – Si apre lo stato di insolvenza conclamata: tutti i creditori devono presentare le loro domande di insinuazione al passivo entro termini stabiliti (di solito 30-60 giorni prima dell’udienza di verifica). Il tribunale accerta lo stato passivo, distinguendo i crediti per rango (prededucibili, privilegiati, chirografari) e quantificando importi ammessi. – L’impresa solitamente cessa l’attività immediatamente, salvo il curatore valuti di esercitarla provvisoriamente per non perdere valore (art. 211 CCII). Ad esempio, se c’è merce deperibile in produzione che venduta finita vale di più, può farla finire. Ma di norma in un contesto di fallimento, la reputazione dell’azienda è compromessa e i contratti essenziali (forniture, clienti) vengono meno, quindi la prosecuzione è limitata e temporanea. – Il curatore procede a vendere i beni: all’asta pubblica o con altre modalità competitive, secondo le norme dettate dal Codice e dal giudice delegato. Il ricavato confluisce nell’attivo fallimentare. – I creditori ottengono soddisfazione in base ai gradi di privilegio: prima le spese della procedura (prededuzioni, come compenso del curatore, eventuali finanziamenti prededucibili autorizzati ecc.), poi i crediti privilegiati (dipendenti, fisco, banche garantite, ecc.) nell’ordine, infine i crediti chirografari in proporzione se residua qualcosa. – Al termine, la società viene cancellata e i debiti insoddisfatti restano inesigibili per mancanza del soggetto debitore (ma come visto, in alcuni casi i creditori possono cercare soddisfazione presso garanti o soci per 5 anni).

Per il debitore (società e amministratori): la liquidazione giudiziale comporta diverse conseguenze: – Perdita totale del controllo: l’imprenditore non gestisce più nulla, consegna i libri al curatore. Questo può essere vissuto come un sollievo (fine dello stress gestionale) ma anche come una sconfitta. Inoltre, eventuali scelte del curatore (es. vendere l’azienda in blocco a un prezzo ritenuto basso) non possono essere contrastate se non seguendo i canali di osservazioni nella procedura. – Possibili azioni del curatore: come anticipato, il curatore ha facoltà di agire contro gli amministratori e i responsabili per ottenere risarcimenti al patrimonio fallimentare. Quindi i rischi di azione di responsabilità e di revocatorie diventano concreti. Ad esempio, pagamenti effettuati dalla società nei 6 mesi prima della procedura a favore di creditori chirografari possono essere revocati (il creditore deve restituire quanto ricevuto al fallimento, tornando a insinuarsi come creditore). Atti dispositivi a titolo gratuito fatti negli ultimi 2 anni (es. donazioni) o a titolo oneroso con parte correlata possono anch’essi essere revocati. Quindi, eventuali favoritismi o spostamenti di beni fatti prima, vengono aggrediti. L’amministratore può essere chiamato a rispondere dei danni da tardiva richiesta di concordato/fallimento o da gestione dissennata. – Bancarotta: contestualmente, si apre la fase penale in potenza. La sentenza di liquidazione è comunicata alla Procura. Se emergono irregolarità gravi, gli amministratori rischiano l’incriminazione per reati fallimentari (bancarotta fraudolenta documentale se mancano scritture, patrimoniale se beni distratti, preferenziale se fatti pagamenti preferiti, semplice se incompetenza o negligenza gravi hanno aggravato il dissesto). Le pene per bancarotta fraudolenta possono arrivare anche a 6-10 anni di reclusione nei casi più seri. Questo è un forte deterrente: chi guida un’azienda in crisi deve sforzarsi di tenere contabilità in ordine e non fare mosse illecite, altrimenti il fallimento può portare non solo alla perdita dell’azienda ma anche della libertà personale in casi estremi. – Interdizioni: storicamente, la dichiarazione di fallimento comportava per l’imprenditore varie interdizioni (divieto di assumere cariche societarie, incapacità ad esercitare attività d’impresa senza autorizzazione, ecc.). Il CCII ha in parte rivisto queste conseguenze, ma in ogni caso la reputazione creditizia è devastata: ottenere nuovo credito o fiducia per intraprendere un’altra attività diviene arduo. Finché la procedura è aperta, l’imprenditore è visto come “ex fallito”. Al termine, le persone fisiche possono chiedere l’esdebitazione: se il fallimento chiude con insufficienza attivo, il fallito persona fisica viene liberato dai debiti residui (novità: nel CCII è quasi automatica, salvo cattiva fede, anche senza pagamenti, per incentivare il fresh start). Tuttavia, questo riguarda l’imprenditore individuale o i soci illimitatamente responsabili. Per le società di capitali, l’esdebitazione non è concetto applicabile: la società una volta estinta cessa e i debiti si estinguono con essa (restando però azionabili su garanti).

Quando la liquidazione giudiziale è inevitabile? Quando l’insolvenza è ormai definitiva e nessuna proposta seria può essere fatta. Ad esempio se il patrimonio è esiguo e non c’è modo di offrire qualcosa ai creditori in concordato, oppure se l’imprenditore ha perso la fiducia di tutti i creditori. A quel punto, far iniziare il fallimento può anche essere una “soluzione” per chiudere una vicenda: i creditori recuperano il possibile con par condicio e l’imprenditore, se persona fisica, dopo potrà ripartire senza debiti (anche se con difficoltà).

Da notare che anche il debitore può chiedere il proprio fallimento (liquidazione giudiziale). Può sembrare strano, ma in certi casi è razionale: ad esempio, di fronte a una valanga di decreti ingiuntivi e pignoramenti, l’amministratore può dire “meglio un fallimento ordinato che la giungla delle esecuzioni”, così almeno si attua la par condicio e lui cessa ogni operatività riducendo i rischi di responsabilità ulteriore. Questo può essere anche strategico per evitare l’accusa di aver ritardato eccessivamente la richiesta di procedura.

In conclusione, la liquidazione giudiziale è il punto finale se il debitore non riesce a difendersi con gli strumenti di risanamento. Dal punto di vista di “cosa fare per difendersi”, arrivare al fallimento significa aver esaurito le cartucce difensive. Tuttavia, anche in fallimento l’imprenditore può difendersi in altro senso: collaborando col curatore, fornendo le informazioni necessarie, segnalando eventuali attivi nascosti o crediti da recuperare. Una collaborazione attiva può evitare guai peggiori (es. il curatore noterà la buona fede e magari non solleciterà azioni penali per bancarotta semplice). Inoltre il debitore può difendersi legalmente nelle sedi opportune: ad esempio, opporsi a uno stato passivo se qualche credito ingiusto è insinuato, o difendersi nelle azioni di responsabilità contestando le accuse. Ma queste sono difese passive in seno alla procedura concorsuale.

Strategie pratiche di difesa dal punto di vista del debitore

Dopo aver esaminato gli strumenti formali, è utile riepilogare alcune strategie pratiche che un imprenditore può adottare nel concreto per difendersi dai debiti e gestire la crisi a proprio vantaggio (per quanto possibile):

  • 1) Agire tempestivamente: Il tempismo è tutto. Prima il debitore affronta la realtà dei debiti, maggiori saranno le opzioni. Attendere passivamente aggrava la posizione e riduce gli strumenti disponibili. Ad esempio, la composizione negoziata può riuscire solo se l’impresa non è già collassata; un concordato preventivo riuscirà solo se c’è ancora abbastanza valore nell’azienda. Non aspettare l’ultimo euro in cassa prima di chiedere aiuto. Inoltre, attivarsi presto riduce la probabilità di incorrere in violazioni di legge (es. non si accumulano troppi debiti fiscali penalmente rilevanti, non si superano i 12 mesi di ritardo su perdite di capitale, ecc.).
  • 2) Coinvolgere professionisti esperti: Un imprenditore di rado possiede tutte le competenze legali e finanziarie per navigare una crisi. Affidarsi sin dai primi segnali a un commercialista esperto di crisi o a un avvocato fallimentarista consente di pianificare le mosse. Questi consulenti possono analizzare la situazione, predisporre piani di risanamento credibili, contattare i creditori con cognizione di causa e attuare le procedure correttamente (ad esempio, preparare l’istanza di composizione negoziata con i documenti giusti, evitare errori formali nel ricorso di concordato, ecc.). Inoltre, avere un professionista terzo aumenta la fiducia dei creditori nelle proposte (un conto è l’imprenditore che dice “ti pago il 50%”, un conto è un advisor che presenta un piano attestato).
  • 3) Preservare la liquidità e il valore aziendale: In crisi, ogni euro conta. Un debitore accorto taglia subito le spese non essenziali, vende asset superflui per fare cassa prima che vengano pignorati, protegge gli asset strategici (ad esempio, mantiene manutenzione minima ai macchinari per non farli deperire – saranno la garanzia per ripartire o vendere meglio). Anche sul personale, valuta se attivare ammortizzatori sociali (cassa integrazione) per ridurre il costo del lavoro temporaneamente. Tutto ciò aumenta la probabilità di successo di un eventuale piano di risanamento e comunica ai creditori che l’imprenditore sta facendo la sua parte (“sacrifici in casa propria”). Attenzione però: non svendere beni sottocosto a parenti o terzi compiacenti! Tali atti sarebbero facilmente attaccabili come frode (revocatoria o bancarotta). Ogni dismissione va fatta a valori di mercato e documentata.
  • 4) Trattare con i creditori chiave in modo trasparente: Spesso i creditori principali (banche, fornitori strategici, fisco) apprezzano la trasparenza. Tenere nascosta la crisi fino all’ultimo peggiora la reazione (i creditori si sentono traditi e diventano più aggressivi). Invece, un approccio può essere: convocare un incontro con la banca esponendo sinceramente le difficoltà e presentando un abbozzo di piano (es. “posso pagare gli arretrati in 12 mesi se mi lasci liquidità sul fido”), oppure parlare col fornitore critico spiegando che lo si vuole continuare a pagare se concede sconto o dilazione. Chiaramente c’è il rischio che un creditore così allertato acceleri azioni legali: bisogna valutare il rapporto di fiducia. Ma se c’è storica collaborazione, può funzionare. E con la composizione negoziata, questa trasparenza è istituzionalizzata: sedersi a un tavolo con tutti i creditori principali, alla presenza di un esperto indipendente, è un modo efficace di mettere le carte in tavola e cercare soluzioni win-win.
  • 5) Evitare mosse che configurino reati o frodi: Su questo, vale la pena ribadire: mai nascondere libri contabili, manipolare i bilanci, distrarre beni aziendali verso sé stessi o parenti, pagare “fuori sacco” alcuni a discapito di altri quando si è ormai insolventi, creare documenti falsi o posticci. Queste azioni possono sembrare di breve beneficio (ad es. l’imprenditore che si fa restituire un finanziamento soci prima del fallimento pensando di salvare qualcosa, o che “regala” un macchinario a un amico per non farlo finire ai creditori), ma le conseguenze penali e civili sono pesantissime se la cosa viene a galla – e di solito viene a galla in procedura. Meglio seguire la regola della par condicio e, se si devono compiere scelte dolorose (pagare A e non B), farlo con criteri oggettivi e giustificabili (es. pagare anticipatamente un fornitore perché fornisce materia prima essenziale per completare un ordine che genererà cassa per pagare altri creditori – questa può essere una scelta difendibile, soprattutto se autorizzata in concordato).
  • 6) Valutare l’apporto di finanza o garanzie esterne: Se l’imprenditore o i soci dispongono di risorse personali, può valere la pena immetterle nell’azienda per risollevarla, purché ciò avvenga nelle forme corrette. Ad esempio, un socio può finanziare l’azienda durante la composizione negoziata se autorizzato, ottenendo prededuzione (così quei soldi se la cosa fallisce vengono rimborsati prima di altri crediti). Oppure un parente può fornire una garanzia aggiuntiva per ottenere un nuovo prestito bancario finalizzato al risanamento. Questi sacrifici personali a volte fanno la differenza tra un concordato che offre il 30% ai creditori e uno che offre il 50% (quindi magari accettabile). Naturalmente, bisogna stare attenti a non “buttar soldi al vento”: se l’azienda è irreversibilmente decotta, versare altri soldi dei soci sarebbe inutile. Ma se c’è un piano credibile, un apporto di finanza esterna migliora le chance di successo e i creditori lo guardano con favore (è segno che i soci ci credono e si assumono parte delle perdite). Inoltre nel CCII è previsto che la presenza di almeno il 10% di finanza esterna nel concordato liquidatorio consente deroghe (prima era la soglia per offrire meno del 40% ai chirografari); oggi non c’è soglia fissa, ma comunque la finanza esterna rimane un elemento apprezzato.
  • 7) Usare le “scappatoie” normative a proprio vantaggio: “Scappatoia” qui non in senso illegale, ma nel senso di sfruttare opportunità: ad esempio, se il legislatore approva una “rottamazione” delle cartelle fiscale (sconto sanzioni e interessi) come avvenuto nel 2023, aderire subito può ridurre il debito fiscale e alleggerire il carico complessivo. Oppure se viene introdotto un “concordato preventivo biennale” (che è in realtà una misura fiscale per chi ha pagato acconti in eccesso – da non confondere col concordato concorsuale), valutarne l’utilizzo per abbassare le pretese del Fisco. Insomma, restare informati su norme agevolative temporanee (ce ne sono state molte in periodi post-Covid) e coglierle al volo è parte della difesa: ogni euro di debito cancellato per legge è un euro in meno di cui preoccuparsi. Anche strumenti come la “composizione della crisi da sovraindebitamento” (oggi in parte assorbiti nel CCII) possono essere una soluzione per imprenditori non fallibili o garanti escussi: la cosiddetta “esdebitazione del sovraindebitato meritevole” permette persino la cancellazione totale dei debiti non pagati a certe condizioni (la cosiddetta “fresh start” per il debitore civile). Se un socio-fideiussore resta con un debito personale ingestibile, può valutare di percorrere quella strada (legge 3/2012 e succ. mod., ora integrata).
  • 8) Considerare il turnaround o la cessione dell’azienda: “Difendersi dai debiti” non significa per forza mantenere la stessa struttura societaria a tutti i costi. A volte può convenire cedere l’azienda o parte di essa a terzi più solidi, con l’effetto di soddisfare i debiti e preservare l’attività in mani diverse. Ad esempio, un concorrente o un investitore potrebbe rilevare l’azienda plastica indebitata assumendosi parte dei debiti o pagando un corrispettivo che va ai creditori (classico caso del concordato con continuità indiretta). L’imprenditore originale magari perde la proprietà, ma l’impresa (intesa come posti di lavoro e avviamento) si salva, e lui si libera dai debiti. Se l’obiettivo è salvaguardare l’attività produttiva e onorare almeno in parte i debiti, questa può essere una soluzione onorevole. Il CCII facilita queste operazioni con norme specifiche: offerte concorrenti, ecc. L’importante è non fare il “passaggio clandestino” di asset a una newco prima della procedura (sarebbe frode), bensì effettuare eventuali cessioni all’interno di un quadro concordatario autorizzato dal tribunale per renderle opponibili e legittime.

In conclusione di questa sezione strategica, potremmo dire che difendersi dai debiti per un imprenditore indebitato significa combinare buon senso imprenditoriale e conoscenza delle tutele legali. Né l’una né l’altra da sole bastano: il buon senso (tagliare costi, parlare coi creditori) senza la cornice legale potrebbe non proteggere abbastanza (un creditore malfidato ti fa fallire lo stesso); la procedura legale senza una gestione aziendale accorta rischia di fallire (un concordato basato su un piano inattuabile verrà bocciato). Bisogna quindi muoversi su entrambi i fronti.

Vediamo ora, prima di concludere, un paio di esempi pratici che illustrano come un’azienda di lavorazione plastica con debiti potrebbe applicare queste strategie.

Esempi pratici di gestione della crisi (simulazioni)

Esempio 1: Risanamento tramite composizione negoziata e concordato in continuità

PlastiCo S.r.l. è un’azienda toscana (50 dipendenti) che produce componenti plastici per l’industria automobilistica. A causa di un calo di commesse e di investimenti errati in macchinari, nel 2024 accumula debiti: €500.000 con fornitori di materie prime, €300.000 con la banca (mutuo ipotecario sul capannone), €200.000 tra IVA e contributi non versati, più vari debiti minori. Il fatturato è in forte calo, l’EBITDA è diventato negativo. La società è in crisi ma non ancora insolvente totale: sta pagando a singhiozzo i fornitori (alcuni con ritardi di 120 giorni), è in arretrato di due mensilità coi dipendenti e non paga IVA da due trimestri. Il direttore di banca convoca l’amministratore segnalando gli sconfini sul fido.

A questo punto i soci di PlastiCo, consigliati dal commercialista, decidono di attivare la Composizione Negoziata. Presentano istanza a novembre 2024 sulla piattaforma. La commissione nomina un esperto indipendente, il dott. Rossi, che inizia ad esaminare i conti. PlastiCo ottiene subito dal tribunale, su richiesta contestuale, l’attivazione di misure protettive per 3 mesi: questo blocca un pignoramento che nel frattempo un fornitore aveva avviato e impedisce all’Agenzia Entrate di iscrivere ipoteca per l’IVA non pagata.

L’esperto convoca la banca e i fornitori principali (che insieme rappresentano il 70% dei debiti commerciali) a un tavolo. Dopo analisi, emerge che l’azienda ha ancora un portafoglio clienti valido, ma serve una ristrutturazione: i soci sono anche disposti a immettere €100.000 freschi se i creditori fanno sacrifici. Proposta emersa nelle trattative: la banca accetta di non revocare il mutuo e anzi di estenderne la durata di 5 anni (riducendo la rata), i fornitori accettano uno stralcio del 30% del loro credito (prenderanno 70% in 24 mesi), l’Agenzia delle Entrate tramite l’istituto della transazione fiscale è disponibile a abbattere sanzioni e interessi, prendendo l’IVA in 5 anni senza more. I dipendenti ottengono che una mensilità arretrata sia pagata subito e l’altra dilazionata sui successivi stipendi. In cambio di questi sacrifici, i soci immettono €100.000 (derivanti da vendita di un immobile personale) come finanziamento prededucibile autorizzato dal tribunale. Inoltre l’azienda decide di vendere un vecchio impianto inutilizzato, ricavando €80.000.

Dopo 4 mesi di negoziato, l’esperto redige una relazione finale positiva: c’è un accordo quadro verbale su questi termini. Tuttavia, per renderlo vincolante e risolvere anche i creditori minori non presenti al tavolo, si opta per un Concordato Preventivo in continuità basato su quel piano. A maggio 2025 PlastiCo deposita ricorso di concordato con il piano: continua l’attività, i soci mantengono la gestione ma sotto controllo del commissario. Il piano prevede: pagamento integrale dei debiti privilegiati (banca e fisco) in 5 anni grazie a nuovi flussi e apporto soci; pagamento del 70% ai chirografari (fornitori) in 2 anni, e 0% ai chirografari residuali se non impugnano (in realtà tutti i fornitori significativi erano al tavolo e aderiranno). Le classi sono: classe 1 Banca (privilegiata ipoteca) pagata a 100% ma su tempi più lunghi; classe 2 Fisco (privilegiato) paga IVA al 100% in 5 anni, abbatte sanzioni (transazione approvata dalla maggioranza di crediti pubblici); classe 3 Fornitori chirografari 70%; classe 4 Altri chirografari minori 20% (grazie a finanza esterna). I dipendenti sono fuori concordato perché già sistemati (comunque il TFR era a posto).

I creditori votano: banca e fisco favorevoli (sono sicuri di avere 100% seppur dilazionato, meglio di un fallimento lento); fornitori – c’è qualche dissenso di piccoli fornitori non al tavolo, ma rappresentano solo il 10% del credito di classe, la maggioranza approva. Il concordato passa le maggioranze e viene omologato dal tribunale. PlastiCo, protetta durante l’esecuzione, può ottenere anche nuovi ordini (la crisi essendo gestita aumenta la fiducia dei clienti). Nei due anni seguenti paga regolarmente le percentuali concordate (il commissario vigila sul rispetto). I creditori ottengono quanto promesso. L’azienda nel 2027 esce ufficialmente dal concordato, risanata: ha dimezzato il debito, dilazionato il resto, i soci hanno perso una parte di denaro ma hanno salvato l’impresa che torna profittevole grazie anche al calo oneri finanziari. Nessun fornitore può più agire per il restante 30% stralciato (è “tagliato” dall’omologa). La banca vede il suo credito rientrare senza sofferenze e mantiene un cliente.

Questo esempio mostra un caso di success story dove la difesa dai debiti è avvenuta con una combinazione di negoziazione assistita e procedura concorsuale, e soprattutto grazie alla tempestività: PlastiCo ha agito prima di accumulare troppi arretrati (solo qualche mese di ritardi) e prima che i creditori perdessero la fiducia. L’esperto terzo ha facilitato l’accordo. Fondamentale il ruolo proattivo dei soci (apporto di capitale) e l’uso dello scudo protettivo per bloccare sul nascere azioni esecutive, evitando pignoramenti che avrebbero potuto far saltare tutto (si pensi se fosse stato pignorato il conto, gli stipendi non sarebbero stati pagati e i dipendenti magari avrebbero fatto istanza di fallimento).

Esempio 2: Liquidazione giudiziale dopo condotte errate dell’imprenditore

Consideriamo ora un caso opposto, per comprendere cosa non fare e le relative conseguenze.

Plastecno S.p.A. è un’azienda del medesimo settore. Il suo amministratore unico, presa dalla paura di perdere controllo, decide di nascondere la crisi. Quando iniziano i problemi di liquidità nel 2023, smette di pagare i contributi e l’IVA per avere cassa, ma non lo dice a nessuno. Continua a ordinare materiale ai fornitori senza rivelare i ritardi pregressi. Paga però puntualmente un fornitore particolare, la AlphaPlast, gestita dal cognato, con l’idea di tenerlo “al sicuro”. Nel frattempo, vende sottocosto un macchinario usato a una nuova società estera a lui collegata (lo scopo è riaverlo dopo il fallimento). Non convoca l’assemblea nonostante le perdite abbiano azzerato il capitale (violazione artt. 2447/2482-ter c.c.), anzi, maschera la perdita in bilancio grazie a una sopravvalutazione delle rimanenze (trucca un po’ i conti). Cerca di evitare seccature magari pagando piccoli creditori rumorosi e ignorando i grossi.

Nel 2024 i debiti esplodono e i fornitori seri smettono di consegnare. Un paio di essi ottengono decreti ingiuntivi e pignorano il conto aziendale: l’azienda è paralizzata. L’amministratore, ancora in denial, non cerca né accordi né procedure concorsuali. A ottobre 2024 uno dei fornitori, stufo, presenta istanza di fallimento. L’imprenditore cerca di opporsi in tribunale dicendo che ci sono trattative in corso, ma è falso e non credibile. Il tribunale dichiara la liquidazione giudiziale (fallimento) di Plastecno S.p.A.

A questo punto, l’azienda è tolta all’amministratore, che anzi viene convocato dal curatore per rendere conto. Il curatore scopre vari scheletri: – Ci sono debiti IVA e INPS ingenti e, a fronte, prove che l’amministratore deliberatamente li ha lasciati indietro per pagare altri (c’è email interna “paghiamo AlphaPlast per intero, niente per INPS”). – Il macchinario venduto all’estero risulta ceduto a prezzo nettamente inferiore a mercato e per di più l’acquirente è riconducibile all’amministratore (tramite un fiduciario). Il curatore sospetta una distrazione di bene. – I bilanci erano falsati sulle rimanenze, e la perdita reale era già > minimo capitale due anni prima: quindi l’amministratore ha agito in ultra-attività per lungo tempo. – Si nota che nei mesi pre-fallimento ha pagato solo alcuni fornitori (AlphaPlast ha ricevuto €100k) e altri zero: pagamenti preferenziali evidenti. – Molti documenti contabili sono confusi o mancanti perché l’amministratore non teneva una contabilità ordinata.

Il curatore e il comitato dei creditori avviano: – Un’azione di responsabilità contro l’amministratore per aver aggravato il dissesto (chiedono €1 milione di danni corrispondenti ai debiti aumentati negli ultimi 2 anni di gestione irregolare). – Un’azione revocatoria per recuperare i €100k pagati ad AlphaPlast entro 6 mesi dalla procedura (bancarotta preferenziale) e per far annullare la vendita del macchinario all’estero, considerata atto in frode ai creditori. Il giudice revoca il pagamento preferenziale (AlphaPlast deve restituire i €100k alla massa) e dichiara inefficace la cessione del macchinario (il macchinario, se recuperabile, torna al fallimento, altrimenti l’acquirente deve pagarne il valore). – Segnala alla Procura le irregolarità: parte un’indagine penale. L’amministratore viene rinviato a giudizio per bancarotta fraudolenta documentale (conti non chiari), bancarotta fraudolenta patrimoniale (distrazione del macchinario, distrazione di fondi per pagamenti preferenziali a soggetti collegati) e bancarotta semplice (per non aver chiesto il fallimento e aver aggravato il dissesto). Rischia diversi anni di reclusione.

Nel frattempo la procedura fallimentare liquida i beni: quel poco che c’è (altri macchinari, magazzino) viene venduto, ma il ricavato copre a malapena i crediti privilegiati (in primis un’ipoteca della banca e l’INPS). I fornitori chirografari ricevono quasi zero. L’azienda è chiusa, i dipendenti licenziati già dal curatore (che attiva il Fondo di Garanzia per i loro TFR e stipendi arretrati).

L’amministratore, oltre al processo penale, si trova con la richiesta di risarcimento: magari il tribunale civile lo condanna a risarcire €500.000 (per differenza patrimonio netto prima/dopo la mala gestio). Ovviamente lui non ha quella somma, fallirà pure come persona fisica se aveva ditte individuali.

In questo scenario negativo vediamo come le azioni difensive non intraprese (nessun accordo, nessuna procedura protettiva) e le condotte scorrette abbiano portato al peggior esito: fallimento disordinato, dispersione di valore (macchinario svenduto), creditori inferociti e insoddisfatti, e responsabilità personale e penale per l’imprenditore. Tutto ciò poteva forse essere evitato se già due anni prima Plastecno avesse: riconosciuto la perdita di capitale, tentato un concordato preventivo (magari vendendo l’azienda a un competitor nell’ambito del concordato), oppure avesse almeno scelto un fallimento pilotato con domanda in proprio (evitando certe bancarotte fraudolente).

L’esempio sottolinea i rischi di un approccio passivo/occultatore: i debiti non spariscono coprendoli, anzi esplodono più tardi in maniera incontrollabile. Per difendersi davvero, meglio giocare a carte scoperte nelle sedi opportune.

Domande frequenti (FAQ)

Di seguito rispondiamo ad alcune domande comuni che imprenditori e amministratori si pongono quando la propria azienda è indebitata e in crisi. Le risposte sintetizzano quanto esposto nella guida, fornendo riferimenti normativi e pratici essenziali.

Domanda: “Qual è la differenza tra crisi e insolvenza? Devo aspettare di essere insolvente per fare qualcosa?”
Risposta: No, “crisi” e “insolvenza” sono concetti diversi. La crisi è uno stato di difficoltà economico-finanziaria che potrebbe sfociare in insolvenza se non affrontata (es.: carenza di liquidità, squilibri di bilancio che fanno prevedere problemi nei pagamenti futuri). L’insolvenza, invece, è lo stato conclamato in cui l’impresa non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (es.: non paga stipendi e fornitori da mesi, i debiti superano attivo, ecc.), e di solito è accertata dal tribunale quando dichiara il fallimento. È fondamentale muoversi già in fase di crisi, senza attendere l’insolvenza conclamata. Gli strumenti come la composizione negoziata e i piani attestati nascono proprio per intervenire in fase di crisi incipiente. Il Codice della Crisi obbliga gli amministratori a rilevare tempestivamente la crisi: se aspettano l’insolvenza irreversibile, restano poche opzioni (concordato o fallimento) e aumenta il rischio di responsabilità. Quindi: meglio agire appena si manifesta la crisi, ad esempio con un piano di risanamento o allertando i soci per ricapitalizzare, piuttosto che aspettare di non avere più soldi in cassa.

Domanda: “La mia è una piccola S.r.l. (fatturato €200k). Posso accedere alle stesse procedure concorsuali di una grande impresa?”
Risposta: In linea di massima sì, le S.r.l. anche piccole sono soggette a concordato preventivo e fallimento se superano le soglie di non fallibilità (attivo > €300k, ricavi > €200k, debiti > €500k, riferite agli ultimi esercizi – valori indicativi storici). Nel suo caso (€200k fatturato), potrebbe essere considerata piccolo imprenditore non fallibile se non supera i parametri dell’art. 2 CCII. Se non è fallibile, non può accedere al concordato preventivo e non può essere dichiarata in liquidazione giudiziale. Però il Codice della Crisi prevede per i “non fallibili” le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento: ad esempio il concordato minore (simile a un concordato preventivo ma semplificato per piccoli) o la liquidazione controllata (simile al fallimento per non fallibili). Quindi tutte le imprese, grandi o micro, hanno degli strumenti concorsuali: se sopra soglia useranno concordato/fallimento, se sotto soglia useranno concordato minore/liquidazione controllata. La composizione negoziata invece è aperta a tutti, indipendentemente da dimensioni (anche l’imprenditore agricolo o minore può accedervi). In sintesi: nessuna impresa rimane senza tutela – cambia solo il tipo di procedura a seconda della dimensione.

Domanda: “Durante la composizione negoziata o il concordato, la mia azienda è protetta dai creditori? Possono pignorarmi macchinari o conto?”
Risposta: Sì, uno dei vantaggi chiave di queste procedure è il cosiddetto “automatic stay”, cioè il blocco delle azioni esecutive individuali. Nel caso della composizione negoziata, devi chiedere al tribunale le misure protettive: una volta concesse, nessun creditore può iniziare o proseguire pignoramenti o sequestri per tutta la durata autorizzata (tipicamente 4 mesi prorogabili). Nel concordato preventivo, la protezione è ancora più robusta: dal momento in cui il ricorso è pubblicato nel Registro Imprese, scatta il divieto di azioni esecutive e cautelari (pignoramenti, ipoteche giudiziali, sequestri) da parte dei creditori chirografari e privilegiati per crediti anteriori. Le eventuali procedure esecutive già in corso vengono sospese. Dunque, i macchinari, il capannone, i conti correnti sono al sicuro dai nuovi pignoramenti mentre sei sotto protezione. Fanno eccezione alcuni casi particolari: ad esempio, in concordato un creditore ipotecario su un bene non indispensabile all’attività può chiedere di procedere, ma di regola il tribunale blocca tutto fino all’omologa. Anche le cause civili ordinarie per crediti restano sospese, perché i crediti vanno accertati nel passivo concordatario. Attenzione: la protezione opera solo per i debiti anteriori. Quindi, se durante la procedura contrai nuovi debiti (per forniture correnti autorizzate), quei nuovi creditori potrebbero agire salvo diverso accordo (in genere però i nuovi debiti sono in prededuzione e vengono pagati regolarmente). In definitiva, concordato e composizione negoziata ti danno uno “scudo” contro le aggressioni individuali, permettendoti di respirare e riorganizzarti.

Domanda: “Cosa succede se propongo un concordato ma i creditori non lo approvano? Rischio qualcosa di peggio?”
Risposta: Se il concordato non ottiene le maggioranze necessarie e non può essere omologato, di solito si apre il fallimento (liquidazione giudiziale). Infatti, il tribunale, preso atto del voto negativo, dichiara l’insolvenza e la liquidazione, a meno che esista un piano B (per es. un accordo di ristrutturazione depositato contestualmente). Questo accade quasi automaticamente se c’era già istanza di fallimento pendente o se il Pubblico Ministero l’aveva chiesto in subordine. Quindi il rischio concreto di un concordato non approvato è finire comunque in liquidazione giudiziale. Ora, potresti chiederti: la posizione dell’imprenditore peggiora per aver “provato” il concordato? Tendenzialmente no: anzi, averci provato in buona fede dimostra diligenza. Certo, durante il concordato hai magari consumato risorse (spese legali, tempo) e la situazione può essersi ulteriormente deteriorata. Ma legalmente non vieni punito perché il piano non è passato (salvo tu l’abbia presentato in malafede o con frode, in tal caso il tribunale potrebbe anche emettere sentenza di fallimento per atti in frode). Quindi la regola è: piano bocciato = fallimento, purtroppo. Da qui l’importanza di calibrarlo bene e magari, prima di sottoporlo al voto, negoziare informalmente coi creditori maggiori per assicurarsi del loro assenso. Nota: con le nuove norme è più facile ottenere l’omologa anche senza l’approvazione unanime (grazie al cram-down interclassi, se solo una classe dice no ma le altre sì, il tribunale può forzare l’omologa). Ciò riduce il rischio di bocciatura rispetto al passato. Tuttavia, se proprio c’è ampio dissenso (es. la maggioranza dei creditori vota contro), allora non c’è via di scampo: il concordato sfuma e si va alla liquidazione giudiziale.

Domanda: “Se la mia società fallisce (liquidazione giudiziale), io come amministratore o socio dovrò pagare i debiti rimasti?”
Risposta: In genere no, se parliamo di una società di capitali (S.r.l. o S.p.A.), i soci non rispondono con il proprio patrimonio dei debiti sociali (principio della responsabilità limitata). E l’amministratore, in quanto tale, nemmeno, a meno che non emergano profili di responsabilità specifica (come abbiamo trattato: responsabilità per mala gestione, atti distrattivi, violazioni di legge). Quindi, quando la società è dichiarata fallita e poi chiusa, i debiti sociali residui restano insoddisfatti e di regola nessuno potrà chiederli ai soci o all’ex amministratore. Tuttavia, ci sono eccezioni importanti: – Se i soci hanno ricevuto attivi in sede di liquidazione volontaria prima del fallimento, il curatore potrà agire per far restituire quelle somme (fino a concorrenza dei debiti). – Se un socio ha prestato fideiussioni personali (ad esempio alla banca), la banca può escutere il socio-garante anche dopo il fallimento, per intero. Il fallimento della società non estingue le garanzie personali dei terzi. – L’amministratore può essere chiamato a risarcire danni: se il curatore vince l’azione di responsabilità, l’amministratore dovrà pagare con il suo patrimonio il danno riconosciuto (che verrà usato per pagare i creditori). Se non paga volontariamente, il curatore può pignorarne i beni personali. Ecco perché avere una polizza D&O o patrimoni separati può mitigare, ma in definitiva se c’è colpa grave l’amministratore rischia esborsi personali. – Debiti verso l’Erario per sanzioni amministrative possono in certi casi essere posti a carico personale (ad es. se l’ente prova che l’amministratore ha commesso frodi tributarie). Così come contributi previdenziali non versati trattenuti ai dipendenti possono essere perseguiti personalmente come danno erariale.

Però, esclusi questi scenari, la società fallita si porta via i suoi debiti. I creditori non soddisfatti nel fallimento non possono aggredire i soci (se parliamo di soci non garanti di S.r.l./S.p.A.) né gli amministratori in assenza di sentenze di responsabilità. Una volta che il fallimento è chiuso, la società viene cancellata e i debiti residui sono inesigibili erga omnes. L’ordinamento prevede inoltre l’esdebitazione per l’imprenditore individuale e per i soci illimitatamente responsabili: costoro, a determinate condizioni di meritevolezza, dopo la chiusura del fallimento ottengono dal tribunale la cancellazione di tutti i debiti residui personali. In conclusione: se sei socio di S.r.l. e non hai garanzie, probabilmente non pagherai di tasca tua i debiti sociali post-fallimento; se sei amministratore, pagherai solo se hai sbagliato al punto da essere condannato a risarcire.

Domanda: “I debiti fiscali (IVA, tasse) possono essere cancellati o ridotti in una procedura? Mi dicono che l’IVA va pagata sempre…”
Risposta: Fino a qualche anno fa vigeva un tabù: l’IVA non poteva essere falcidiata nei concordati, doveva essere pagata integralmente. Ma le cose sono cambiate. Oggi è possibile ridurre o dilazionare anche i debiti fiscali (compresa l’IVA) nell’ambito di un accordo di ristrutturazione o di un concordato preventivo, purché sia rispettato il principio che al Fisco venga offerto almeno quanto avrebbe ottenuto in un fallimento. In pratica, si fa una transazione fiscale: l’Agenzia delle Entrate può votare a favore di un concordato che propone di pagarle solo una parte del credito. Se vota contro ma il piano offriva il valore di realizzo, il tribunale può comunque omologare (cram down fiscale). Questo è stato confermato da una svolta giurisprudenziale della Cassazione nel 2021 e recepito nel Codice della Crisi. Ad esempio, se hai €100k di IVA non pagata, e nel fallimento stimi che l’Erario prenderebbe 20k, puoi proporre in concordato di pagare magari 30k (il 30%) e ciò può essere omologato anche se l’Erario fosse contrario, perché prende comunque più di 20k. Certo, è più elegante ottenere il consenso dell’Erario presentando istanza di transazione fiscale con dettagli; le circolari AE incoraggiano gli uffici a valutare il merito del piano e approvare se credibile. Quindi, in sintesi: sì, i debiti fiscali si possono stralciare legalmente nelle procedure di crisi. Resteranno comunque privilegiati in parte (l’IVA è privilegio speciale sui beni aziendali); dunque se il piano offrisse troppo poco, l’Erario potrebbe giustamente opporsi dicendo “nel fallimento prenderei di più vendendo quei beni”. Ma non c’è più l’obbligo di assoluto integrale pagamento di IVA/ritenute come un tempo. Fuori dalle procedure concorsuali, invece, la riduzione è possibile tramite le definizioni agevolate/rottamazioni varate di tanto in tanto (es. “Rottamazione-quater 2023” ha permesso sconti su sanzioni/ interessi). In via ordinaria, l’Agenzia Entrate-Riscossione può accordare rateizzazioni fino a 6 anni (72 rate) o 10 anni (120 rate straordinarie) per debiti fiscali, ma non lo stralcio del capitale. Solo per sanzioni amministrative c’è margine a volte di annullamento per particolare tenuità (ma riguarda multe, non imposte). Dunque il modo più efficace per “cancellare” parte dei debiti fiscali è inserirli in un piano concorsuale ben fatto.

Domanda: “Sono amministratore e socio al 50% di una S.r.l.: cosa rischio personalmente se l’azienda va male? Possono prendersi la mia casa o i miei beni personali?”
Risposta: In una S.r.l., di regola, il tuo rischio come socio è limitato al capitale investito (quote sociali). I tuoi beni personali sono separati da quelli della società. Quindi i creditori della società non possono toccare la tua casa, auto, conto privato, salvo tu abbia commesso azioni particolari: – Garanzie personali: se hai firmato fideiussioni per debiti sociali (molti amministratori le firmano per i fidi bancari, leasing, affitti), allora per quei debiti garantiti i creditori possono benissimo aggredire il tuo patrimonio personale indipendentemente dalla S.r.l. (in caso di inadempimento della società). Quindi verifica: se la tua casa è ipotecata a garanzia di un mutuo sociale, la banca può espropriarla se la S.r.l. non paga. Se hai dato garanzia omnibus, ogni esposizione con quella banca ti riguarda personalmente. – Responsabilità per mala gestione: come amministratore, se violi i tuoi doveri e ciò provoca danni, potresti essere chiamato a risarcire, come spiegato prima. Il caso tipico: prosegui l’attività in perdita aggravando il buco (violazione art.2486 c.c.), poi la società fallisce e il curatore ti fa causa per, diciamo, €200k di danni. Se il giudice ti condanna, quel debito di risarcimento è tuo personale: dovrai pagarlo coi tuoi beni (casa inclusa se non è totalmente impignorabile – ricordiamo che la prima casa non è impignorabile in Italia, lo è solo in parte per Equitalia se certi requisiti; un creditore privato può pignorarla eccome). Quindi una condanna risarcitoria ti mette i creditori (in quel caso il fallimento o i soci della S.r.l.) alle calcagna su patrimonio tuo. – Debiti erariali dopo chiusura società: se la S.r.l. viene cancellata con debiti tributari, l’Agenzia Entrate può tentare di recuperarli da te amministratore o dai soci entro 5 anni, ma deve provare che c’è stata colpa grave o violazioni (es. hai chiuso distribuendo attivo ai soci senza pagare il Fisco, o hai omesso di versare imposte dovute). In tal caso, potresti ricevere cartelle o accertamenti intestati a tuo nome per quei debiti, e sarebbero equiparati a tuoi debiti personali. Ci sono sentenze che parlano di una “fictio iuris” per cui la società si considera esistente ai fini fiscali per 5 anni post-cancellazione e in quel periodo l’AdE notifica agli ex amministratori e soci. Dunque c’è questo rischio particolare in ambito tributario. – Reati e sanzioni personali: se vieni condannato in sede penale (es. bancarotta fraudolenta) il tribunale può imporre obbligo di restituzione ai creditori e sanzioni pecuniarie a tuo carico. Esempio: in sentenza di bancarotta, il giudice può stabilire un risarcimento danni a favore del fallimento che è titolo esecutivo contro di te.

Riassumendo: finché gestisci bene e non firmi garanzie, la tua casa e i tuoi beni sono al sicuro dai creditori sociali. Se però hai garantito, oppure gestisci male e ti fanno causa, oppure compi irregolarità specie fiscali, allora , rischi il patrimonio personale. Una buona pratica è separare nettamente conti personali e aziendali (mai usare soldi societari per spese personali e viceversa, se non tramite atti formali): confondere le casse espone ad azioni per abuso di personalità giuridica o comunque è vista malissimo dal tribunale. La cassaforte personale resta intatta se mantieni la distinzione e rispetti le regole. In caso di dubbi (ad es. se la banca ti chiede per forza una fideiussione), valuta di limitare l’importo garantito o di offrire garanzie reali (pegno su un tuo titolo, ecc.) per evitare di mettere a rischio tutto il tuo patrimonio.

Domanda: “Durante il concordato preventivo posso continuare a gestire l’azienda? I clienti e fornitori lo verranno a sapere?”
Risposta: Nel concordato preventivo resti in possesso e gestione dell’azienda, sotto supervisione. Non vieni sostituito da un curatore (come avverrebbe in fallimento); si nomina un commissario giudiziale che vigila e relaziona al giudice, ma tu amministratore continui a operare. Tuttavia, per gli atti straordinari (ad esempio vendere un macchinario, accendere un nuovo mutuo, cedere un ramo d’azienda) dovrai chiedere autorizzazione al tribunale. Per l’ordinaria amministrazione (acquistare materie prime per commessa, incassare crediti, pagare forniture correnti autorizzate) puoi agire, tenendo informato il commissario. Se commetti irregolarità (tipo vendere beni di nascosto, o preferire un creditore violando il piano), il tribunale può revocare l’intera procedura di concordato e dichiarare il fallimento. Quindi c’è libertà condizionata: puoi proseguire l’attività – anzi è lo scopo del concordato in continuità – ma con “il fiato sul collo” del commissario e del giudice.
Quanto alla pubblicità, sì, il concordato è una procedura pubblica. L’iscrizione al Registro delle Imprese del ricorso di concordato è un fatto pubblico e molti lo verranno a sapere (fornitori, banche e clienti spesso fanno visure o lo apprendono per vie informali). Inoltre i creditori riceveranno formale comunicazione per il voto. Quindi non c’è segretezza, diversamente dalla composizione negoziata (che è riservata finché non chiedi misure protettive, ed eventualmente puoi provare a negoziare confidenzialmente). Nel concordato, i partner d’affari lo scopriranno quasi sicuramente. Questo a volte crea preoccupazione: i clienti potrebbero temere forniture incerte, i fornitori potrebbero chiedere pagamento anticipato per nuove consegne. Tuttavia, oggi il concordato in continuità è visto un po’ meno negativamente di un tempo, perché viene inteso come un tentativo di salvare l’impresa e onorare i debiti in parte. È utile, se possibile, comunicare attivamente a clienti/fornitori la situazione spiegando che l’azienda continua a operare sotto protezione e con un piano serio, rassicurandoli sulla regolarità delle forniture future. In certi casi si offrono garanzie sui pagamenti “post-ricorso” (che sono prededucibili, quindi dovrebbero essere onorati comunque). Insomma, la gestione commerciale durante il concordato richiede tatto e trasparenza: continuerai a gestire, ma devi anche fare public relation per mantenere la fiducia.

Domanda: “Posso evitare il fallimento liquidando volontariamente la società o vendendo tutto prima?”
Risposta: La liquidazione volontaria (decisa dai soci) è certamente un’opzione se la società ha problemi, ma non è una bacchetta magica per evitare di pagare i debiti. Se la tua società è solvente (paga tutti i debiti) puoi liquidarla senza coinvolgere il tribunale: vendi i beni, paghi i creditori e chiudi. Ma se la società ha troppi debiti, la liquidazione volontaria rischia di finire in un fallimento comunque: il liquidatore infatti dovrebbe accorgersi che il patrimonio non basta e informare il tribunale. Inoltre, come visto, cancellare una società con debiti pendenti espone soci e amministratori a pretese per 5 anni e all’eventuale riapertura del fallimento. Quindi “vendere tutto prima” di fallire può integrare atti in frode. Ad esempio, se vendi i beni a terzi e incassi e distribuisci ai soci lasciando i debiti, il tribunale può dichiarare il fallimento postumo (entro 1 anno dalla cancellazione, ex art. 10 L.F. ora art. 33 CCII) e revocare quelle distribuzioni ai soci. Insomma, liquidare volontariamente conviene se riesci a raggiungere un accordo con i creditori durante la liquidazione (come in un concordato stragiudiziale): se tutti accettano di prendere tot e liberarti, allora ok. Ma se anche un solo creditore resta scontento, potrebbe far istanza di fallimento durante o dopo la liquidazione.
Diverso è vendere l’azienda (intesa come complesso) a terzi prima di problemi: se fatto a prezzo equo e pagate i debiti col ricavato, va benissimo. Ma se vendi l’azienda sottoprezzandola per salvare l’attività altrove e non pagare i creditori, questa vendita sarà attaccabile. In un concordato preventivo invece puoi vendere l’azienda “pulita” a un acquirente che la prosegue, e i debiti restano nel concordato prendendo quello che c’è: questo è lecito perché avviene sotto controllo del giudice. Farlo prima informalmente può essere considerato frode ai creditori (anche penalmente).
Quindi, evitare il fallimento si può, ma non con furbizie unilaterali: va fatto o trovando un accordo con i creditori (es. transazione globale) oppure tramite procedure concorsuali alternative (concordato, accordo ristrutturazione). La semplice cancellazione volontaria non cancella i debiti, e anzi rischi di aggravare la tua posizione. In parole povere: meglio un concordato ben fatto che una finta liquidazione male orchestrata.

Conclusione

Affrontare una grave situazione debitoria in un’azienda di lavorazione plastica (o in qualsiasi impresa) è un compito complesso e spesso doloroso. Tuttavia, la normativa italiana odierna – arricchita dal nuovo Codice della Crisi – offre una cassetta degli attrezzi completa per gestire la crisi in modo ordinato, bilanciando la tutela dei creditori con le chance di risanamento del debitore. Il filo conduttore è la tempestività e buona fede: un imprenditore che si attiva per tempo, predisponendo piani seri, coinvolgendo i creditori con trasparenza e utilizzando gli strumenti concorsuali appropriati, potrà nella maggior parte dei casi evitare gli esiti peggiori (come la dispersione totale del patrimonio in mille esecuzioni o le sanzioni personali).

Dal punto di vista del debitore, “difendersi” dai debiti non significa dunque sfuggire ai propri obblighi, ma collaborare col sistema per trovare soluzioni sostenibili: che sia un accordo, un concordato o – se inevitabile – un fallimento gestito correttamente, l’importante è evitare l’improvvisazione e l’occultamento. Abbiamo visto come il nuovo approccio privilegi gli strumenti di allerta e composizione negoziata proprio per intercettare la crisi quando è ancora risolvibile, e come le procedure classiche (concordato, fallimento) siano state modernizzate per dare maggiore flessibilità e anche rigore (con più responsabilità per chi agisce scorrettamente).

In concreto, il punto di vista del debitore deve essere: informarsi, farsi assistere e non indugiare nell’inerzia. Ogni situazione di crisi fa storia a sé, ma i principi generali rimangono: tutela del patrimonio aziendale, parità di trattamento dei creditori, eventuale sacrificio del patrimonio personale in misura ragionevole se serve a salvare l’impresa (o quantomeno a pagare i debiti in misura concordata). Difendersi efficacemente significa in definitiva prendere in mano le redini della crisi, anziché lasciarsene travolgere.

Speriamo che questa guida, con le sue oltre diecimila parole di spiegazioni, esempi, tabelle e riferimenti, possa servire da bussola a imprenditori, professionisti e stakeholder nel navigare le acque tempestose dell’insolvenza aziendale. Ricordiamo sempre che oltre alle norme qui citate, contano molto le persone: giudici, curatori, esperti negoziatori, consulenti. Stabilire con loro un dialogo franco e costruttivo è parte integrante della difesa di un debitore onesto.

In chiusura, un motto latino ben si adatta a questo contesto: “Praemonitus, praemunitus” – preavvisato, premunito. Chi riconosce per tempo i segnali di allarme e agisce (pre-munendosi degli strumenti e consigli giusti) è già a metà dell’opera di difesa. Al contrario, ignorare i problemi o agire d’astuzia porta spesso dal frying pan into the fire, come gli esempi hanno mostrato.

Oggi la legge offre una chance anche al debitore in difficoltà, nel rispetto dei creditori: saperla cogliere è la chiave per trasformare una potenziale catastrofe in un caso di risanamento o quanto meno in una chiusura dignitosa e senza strascichi irreparabili.

Fonti normative e giurisprudenziali

(Elenco delle principali fonti citate o utilizzate nella guida, per approfondimenti giuridici.)

  • Codice Civile – Artt. 2086 c.c. (dovere assetti adeguati e rilevazione crisi); 2446-2447 c.c. (perdita capitale S.p.A.); 2482-bis/ter c.c. (perdita capitale S.r.l.); 2485-2486 c.c. (obblighi dopo causa di scioglimento e criteri di danno); 2495 c.c. (effetti cancellazione società e responsabilità post-estinzione); 2392, 2476 c.c. (responsabilità amministratori verso società); 2394 c.c. (azione dei creditori sociali).
  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019) – Artt. 2 (definizioni di crisi e insolvenza); 12-25 (Composizione negoziata della crisi); 25-sexies (Concordato semplificato); 40-54 (procedure di allerta, poi sostituite); 56 (Piani di risanamento attestati); 57-64 (Accordi di ristrutturazione dei debiti); 84-120 (Concordato preventivo: in continuità e liquidatorio, classi e voti, omologazione cram-down); 121-147 (Liquidazione Giudiziale ex fallimento); 153-169 (Effetti del fallimento su atti pregressi, azioni revocatorie); 189-197 (Esdebitazione del sovraindebitato e del fallito).
  • Decreti correttivi al CCII: D.Lgs. 147/2020; D.Lgs. 83/2022 (attuazione Direttiva UE 2019/1023, introduzione cram-down fiscale e relative priority rule); D.Lgs. 136/2024 (terzo correttivo, modifiche a composizione negoziata e segnalazioni).
  • D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021 – Introduzione Composizione Negoziata e Concordato Semplificato.
  • Legge Fallimentare (R.D. 267/1942) – per riferimenti storici: art. 160 e 186-bis (vecchio concordato preventivo, continuità), art. 67 (piani attestati), art. 182-bis (accordi ristrutturazione), art. 216 (bancarotta fraudolenta), art. 217 (bancarotta semplice), art. 239 (azione di responsabilità verso amministratori falliti).
  • Legge 3/2012 sul sovraindebitamento (come integrata nel CCII per concordato minore, ristrutturazione consumatore, liquidazione controllata).
  • D.P.R. 602/1973 – Art. 36 (responsabilità dei liquidatori per pagamento debiti di ordine inferiore prima di tributi).
  • D.Lgs. 74/2000 – Reati tributari: art. 10-bis (omesso versamento IVA > soglia), art. 10-ter (omesso versamento ritenute > soglia).
  • L. 638/1983 – Omesso versamento contributi previdenziali (soglia penale ~€10k).
  • Codice Penale – Artt. 2621 e segg. (false comunicazioni sociali), 216-217 L.Fall ora nel CCII (bancarotta fraudolenta e semplice), 223 L.Fall (responsabilità penale amministratori per reati societari fallimentari).
  • Sentenza Cass. Civ. Sez. Unite n. 6070/6071/2013 – Estinzione della società con cancellazione e legittimazione ad causam; effetti successori sui soci.
  • Cass. Civ. Sez. Unite n. 17791/2016 – Differimento quinquennale effetti estinzione per notifiche tributarie (art. 28 co.4 D.Lgs 175/2014).
  • Cass. Civ. Sez. Unite n. 8500/2021 – Transazione fiscale: ammissibilità cram-down, giurisdizione su diniego (confermato in CCII).
  • Cass. Civ. Sez. Unite n. 8504/2021 – Giurisdizione ordinaria vs tributaria su accordi fiscali nel concordato.
  • Cass. Civ. ord. n. 30031/2022 – Responsabilità amministratore s.r.l. anche prima dell’insolvenza per atti lesivi (pagamenti preferenziali, conflitto interessi).
  • Cass. Civ. ord. n. 23963/2025 – Conflitto di interessi dell’amministratore e atti extrasociali pregiudizievoli; conferma risarcibilità verso fallimento.
  • App. Milano, 16 giugno 2023 – Condanna amministratori per ritardo richiesta fallimento (ultrapetizione su art. 2486 c.c. danno da ritardo).
  • Trib. Bologna, 6 giugno 2013 – Liquidatore responsabile se distribuisce attivo ai soci prima di pagare creditori privilegiati (caso di pagamento soci vs fisco).
  • Trib. Palermo, decreto 29 febbraio 2024 – Rigetto omologa concordato semplificato per atti in frode durante composizione negoziata.

Hai un’azienda di lavorazione plastica in difficoltà economica, schiacciata da debiti con banche, fornitori o Agenzia delle Entrate? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai un’azienda di lavorazione plastica in difficoltà economica, schiacciata da debiti con banche, fornitori o Agenzia delle Entrate?
👉 Non sei solo: in questo settore, i costi di energia, materie prime e manodopera hanno messo in crisi molte imprese.
Ma con la giusta strategia legale, puoi bloccare i creditori, ridurre i debiti e salvare l’azienda o chiuderla in modo ordinato senza subire danni personali.

In questa guida ti spiego cosa fare se la tua azienda di lavorazione plastica ha debiti, quali soluzioni legali esistono e come difenderti subito e bene con l’aiuto di un avvocato esperto in diritto tributario e crisi d’impresa.


💥 Quando un’Azienda di Lavorazione Plastica È in Crisi

I segnali più comuni di una crisi aziendale sono:

  • difficoltà a pagare bollette energetiche, fornitori o leasing su macchinari;
  • cartelle esattoriali o pignoramenti da parte del Fisco;
  • ritardi nei contributi INPS e IVA;
  • revoca di affidamenti bancari o fidi;
  • calo di commesse e aumento dei costi di produzione;
  • difficoltà nel pagamento degli stipendi ai dipendenti.

📌 Prima intervieni, più soluzioni legali hai a disposizione per evitare la chiusura forzata o il fallimento.


⚖️ Cosa Rischia un’Impresa Indebitata

Se non agisci in tempo, puoi subire:

  • 🏦 Pignoramenti sui conti aziendali o sui crediti verso i clienti;
  • 🚗 Fermi amministrativi e sequestri sui mezzi aziendali;
  • 💰 Cartelle esattoriali, ipoteche o intimazioni di pagamento;
  • ⚖️ Azioni giudiziarie dei fornitori o delle banche;
  • 🚫 Blocco della produzione e chiusura dell’attività.

📌 Tuttavia, la legge offre strumenti precisi per proteggere l’azienda e ristrutturare i debiti, evitando il tracollo economico.


💠 Le Soluzioni Legali per Difendersi dai Debiti

1️⃣ Piano di Ristrutturazione Aziendale

È una procedura legale che consente di:

  • ridurre o rateizzare i debiti con Fisco, banche e fornitori;
  • sospendere pignoramenti e azioni esecutive;
  • riorganizzare i flussi finanziari per mantenere la produzione attiva.

📌 È ideale per le aziende che vogliono continuare a operare e hanno ancora ordini o clienti.


2️⃣ Accordo di Ristrutturazione dei Debiti

È un accordo giudiziale con i creditori che permette di:

  • ottenere tempi di pagamento più lunghi;
  • ridurre le somme dovute;
  • evitare la dichiarazione di insolvenza o fallimento.

📌 Una volta omologato dal Tribunale, tutti i creditori devono rispettarlo.


3️⃣ Composizione della Crisi da Sovraindebitamento

Prevista dal Codice della Crisi d’Impresa (D.Lgs. 14/2019), consente anche alle piccole e medie imprese non fallibili di:

  • pagare solo una parte dei debiti (spesso il 20–40%);
  • ottenere la cancellazione dei debiti residui;
  • bloccare azioni e pignoramenti.

📌 È una procedura molto usata dalle aziende artigiane e manifatturiere.


4️⃣ Liquidazione Controllata

Quando la situazione è compromessa, si può chiudere l’azienda in modo ordinato e cancellare i debiti personali dell’imprenditore.
📌 È l’unica via per azzerare completamente i debiti e ricominciare da capo senza rischiare la bancarotta.


⚠️ Come Bloccare Subito i Creditori

Con l’aiuto di un avvocato esperto puoi:

  • chiedere al giudice la sospensione immediata di pignoramenti e azioni esecutive;
  • impugnare cartelle esattoriali o decreti ingiuntivi;
  • trattare un saldo e stralcio con banche e fornitori;
  • proporre un piano di rientro approvato dal Tribunale.

📌 Agire subito è fondamentale: se lasci passare troppo tempo, la banca o il Fisco potrebbero aggredire conti e beni aziendali.


🧾 I Documenti da Consegnare all’Avvocato

  • Bilanci e contabilità aziendale;
  • Elenco di debiti e creditori (banche, fornitori, Fisco);
  • Estratti conto bancari e finanziari;
  • Cartelle esattoriali, precetti, decreti o pignoramenti;
  • Contratti di leasing o forniture;
  • Documentazione su eventuali immobili o macchinari aziendali.

📌 Questi documenti servono per analizzare la reale esposizione debitoria e scegliere la strategia migliore.


⏱️ Tempi delle Procedure

  • Analisi preliminare e blocco delle azioni esecutive: 2–3 settimane;
  • Richiesta di sospensione al Tribunale: anche in 48 ore;
  • Accordo o piano di ristrutturazione: 1–3 mesi;
  • Cancellazione dei debiti residui: entro 6–12 mesi.

📌 Durante la procedura, i creditori non possono agire né richiedere nuovi pagamenti.


⚖️ I Vantaggi di una Difesa Legale Specializzata

✅ Blocco immediato di cartelle, pignoramenti e decreti.
✅ Riduzione legale dei debiti fino al 70–90%.
✅ Tutela di beni, impianti e mezzi aziendali.
✅ Protezione del patrimonio personale dell’imprenditore.
✅ Assistenza completa fino alla chiusura o rilancio dell’azienda.


🚫 Errori da Evitare

❌ Ignorare cartelle o decreti ingiuntivi.
❌ Continuare a lavorare accumulando altri debiti.
❌ Pagare solo alcuni creditori peggiorando la situazione.
❌ Non affidarsi a un avvocato esperto in crisi d’impresa.

📌 Prima agisci, più possibilità hai di salvare l’azienda o chiuderla in modo ordinato senza perdere tutto.


🛡️ Come Può Aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza la situazione economica e individua la procedura più efficace.
📌 Ti assiste nella sospensione delle azioni esecutive e nel dialogo con i creditori.
✍️ Redige piani di ristrutturazione, accordi o proposte di saldo e stralcio.
⚖️ Ti rappresenta davanti al Tribunale e all’Agenzia delle Entrate.
🔁 Ti segue fino alla riduzione o cancellazione definitiva dei debiti.


🎓 Le Qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato cassazionista esperto in diritto tributario, bancario e crisi d’impresa.
✔️ Gestore della crisi da sovraindebitamento, iscritto presso il Ministero della Giustizia.
✔️ Specializzato nella difesa di imprese manifatturiere e artigiane indebitate.
✔️ Esperienza pluriennale nella tutela di aziende contro banche, fornitori e Agenzia delle Entrate.


Conclusione

Avere un’azienda di lavorazione plastica con debiti non significa che tutto sia perduto.
Con l’aiuto di un avvocato specializzato puoi bloccare i creditori, ridurre i debiti e salvare l’attività o chiuderla legalmente senza perdere i tuoi beni.

⏱️ Ogni giorno è importante: agisci subito prima che la situazione diventi irreversibile.

📞 Contatta l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata:
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Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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