Accertamento A Tavolino: Cos’è E Come Difendersi

Hai ricevuto una comunicazione o un avviso di accertamento a tavolino dall’Agenzia delle Entrate? Si tratta di un controllo fiscale molto diffuso, ma anche uno dei più facilmente contestabili, perché basato su verifiche documentali e presunzioni, non su accertamenti diretti presso la sede dell’impresa o dello studio professionale.
L’accertamento a tavolino viene effettuato “a distanza”, solo attraverso l’analisi dei dati disponibili al Fisco, come dichiarazioni, movimenti bancari e fatture elettroniche, senza alcuna ispezione o sopralluogo.
Con l’aiuto di un avvocato tributarista esperto in contenzioso fiscale, puoi contestare le presunzioni, dimostrare la correttezza dei tuoi redditi e annullare l’atto di accertamento.

Cos’è l’accertamento a tavolino

L’accertamento a tavolino è un controllo previsto dal D.P.R. 600/1973 (per le imposte dirette) e dal D.P.R. 633/1972 (per l’IVA).
Diversamente dall’“accertamento con accesso”, in cui i funzionari entrano fisicamente nei locali dell’impresa o del contribuente, l’accertamento a tavolino avviene interamente negli uffici dell’Agenzia delle Entrate, basandosi solo su:

  • le dichiarazioni dei redditi e IVA presentate;
  • i dati comunicati da banche, fornitori e clienti;
  • le anomalie riscontrate dai sistemi informatici dell’Agenzia;
  • i movimenti bancari o finanziari;
  • i risultati incrociati tra contabilità, spese e redditi dichiarati.

L’Agenzia utilizza queste informazioni per stimare il reddito reale e, se ritiene che ci siano incongruenze, emette un avviso di accertamento con richiesta di imposte, sanzioni e interessi.

Quando scatta l’accertamento a tavolino

Il Fisco può procedere con questo tipo di accertamento quando:

  • rileva disallineamenti tra i redditi dichiarati e i dati comunicati da terzi;
  • trova incongruenze tra le fatture e le operazioni IVA registrate;
  • riscontra movimenti bancari non giustificati;
  • emergono scostamenti dagli indici ISA o dagli studi di settore;
  • ci sono spese o investimenti sproporzionati rispetto ai redditi dichiarati;
  • riceve segnalazioni dalla Guardia di Finanza o da altri enti pubblici.

In molti casi, l’accertamento a tavolino è presuntivo: l’Agenzia non dispone di prove dirette, ma si limita a trarre deduzioni basate su dati informatici o statistici, che possono essere facilmente confutati in sede di difesa.

Come funziona la procedura di accertamento a tavolino

  1. Analisi dei dati: l’Agenzia delle Entrate elabora i dati fiscali del contribuente e individua eventuali anomalie.
  2. Invito al contraddittorio: prima di emettere l’accertamento, l’Agenzia deve invitare il contribuente a fornire chiarimenti o documenti integrativi.
  3. Valutazione delle risposte: se il contribuente non risponde o le spiegazioni non vengono accolte, l’Ufficio emette l’avviso di accertamento.
  4. Notifica dell’atto: il contribuente riceve l’avviso con l’indicazione delle imposte, sanzioni e interessi presunti.
  5. Possibilità di ricorso: entro 60 giorni dalla notifica, il contribuente può impugnare l’accertamento davanti alla Corte di Giustizia Tributaria.

Quando l’accertamento a tavolino è illegittimo

Un accertamento a tavolino può essere dichiarato nullo o annullabile se:

  • l’Agenzia non ha rispettato il contraddittorio preventivo, impedendo al contribuente di difendersi;
  • l’atto manca di motivazione o di spiegazioni dettagliate;
  • le conclusioni si basano su presunzioni non gravi, precise e concordanti;
  • non vengono allegati i documenti o le fonti dei dati utilizzati;
  • l’Agenzia ignora le prove fornite dal contribuente;
  • i termini di accertamento sono scaduti (decadenza).

In questi casi, un avvocato può far dichiarare la nullità dell’accertamento e ottenere l’annullamento totale o parziale delle somme richieste.

Come difendersi da un accertamento a tavolino

Un avvocato tributarista può predisporre una strategia difensiva efficace, basata su:

  • Verifica della legittimità dell’atto: controllo delle notifiche, dei termini e delle motivazioni;
  • Analisi dei dati contestati: verifica della correttezza delle informazioni utilizzate dal Fisco;
  • Produzione di prove contrarie: documenti contabili, estratti conto, contratti e giustificativi di spesa;
  • Contestazione delle presunzioni: dimostrazione che i redditi o le spese presunte non corrispondono alla realtà economica;
  • Richiesta di sospensione cautelare: blocco immediato della riscossione durante il contenzioso;
  • Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria: impugnazione dell’avviso entro 60 giorni dalla notifica.

Le strategie difensive più efficaci

Dimostrare la non attendibilità dei dati utilizzati dal Fisco.
Evidenziare errori o incongruenze nei calcoli delle imposte.
Contestare la mancanza di motivazione o di contraddittorio preventivo.
Produrre prove concrete che giustifichino i redditi e le spese.
Chiedere la sospensione immediata della riscossione per evitare cartelle o pignoramenti.

Cosa succede se non ti difendi

Se non presenti ricorso entro 60 giorni dalla notifica:

  • l’avviso diventa definitivo e immediatamente esecutivo;
  • l’Agenzia iscrive le somme a ruolo e avvia la riscossione coattiva (cartelle, fermi e pignoramenti);
  • perdi il diritto di contestare la legittimità dell’accertamento;
  • gli importi aumentano con sanzioni e interessi.

Agire tempestivamente con l’assistenza di un avvocato è l’unico modo per bloccare la riscossione e difendere i tuoi diritti.

Quando rivolgersi a un avvocato

Contatta subito un avvocato se:

  • hai ricevuto un avviso di accertamento a tavolino;
  • ti è stato notificato un invito al contraddittorio o una richiesta di documenti;
  • vuoi contestare un accertamento basato su presunzioni o errori;
  • desideri bloccare la riscossione e impugnare l’atto in tribunale.

Un avvocato esperto può:

  • analizzare l’accertamento e individuare i vizi formali o sostanziali;
  • impugnare l’atto davanti alla Corte di Giustizia Tributaria;
  • ottenere la sospensione cautelare delle somme richieste;
  • dimostrare la correttezza dei tuoi redditi e delle tue dichiarazioni;
  • difenderti fino alla cancellazione totale o parziale del debito fiscale.

⚠️ Attenzione: l’accertamento a tavolino si basa su presunzioni e dati automatici, non su prove certe. Molti di questi atti vengono annullati in giudizio per mancanza di contraddittorio o motivazioni insufficienti.
Con un avvocato tributarista puoi bloccare la riscossione, dimostrare la correttezza delle tue dichiarazioni e far annullare l’accertamento.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, contenzioso fiscale e difesa contro accertamenti dell’Agenzia delle Entrate spiega cos’è l’accertamento a tavolino, quando è illegittimo e come difendersi efficacemente.

👉 Hai ricevuto un avviso di accertamento a tavolino?
Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo l’atto, verificheremo i vizi procedurali e costruiremo una strategia legale per impugnare l’accertamento, sospendere la riscossione e difendere i tuoi diritti fiscali.

Introduzione

L’accertamento a tavolino è una procedura di controllo fiscale condotta dall’Agenzia delle Entrate interamente “a distanza”, ovvero senza un accesso fisico presso il contribuente . In questa guida approfondita, aggiornata a ottobre 2025, esamineremo in dettaglio cosa significa subire un accertamento a tavolino e come difendersi efficacemente, dal punto di vista del contribuente (sia esso privato cittadino, imprenditore o società). Il taglio sarà tecnico-giuridico ma divulgativo, in modo da risultare chiaro ad avvocati, consulenti fiscali e allo stesso tempo comprensibile a imprenditori e cittadini che vogliono tutelarsi di fronte al Fisco.

Tratteremo cos’è l’accertamento a tavolino e come si inserisce nella normativa italiana vigente. Confronteremo poi questa modalità di accertamento con altri istituti correlati, come l’accertamento con adesione (lo strumento di definizione concordata della pretesa tributaria) e l’invito al contraddittorio (il diritto del contribuente a essere ascoltato prima dell’emissione di un avviso di accertamento). Saranno evidenziate le differenze procedurali e sostanziali tra queste diverse fasi e modalità.

Analizzeremo quindi come l’accertamento a tavolino si applica a differenti categorie di contribuenti – dalle persone fisiche (privati e professionisti), alle imprese individuali, fino alle società di persone e di capitali – evidenziando le peculiarità difensive per ciascuno. Verranno fornite indicazioni pratiche su come difendersi sia in fase precontenziosa (prima cioè che la controversia approdi in giudizio) sia in fase contenziosa (davanti alle Corti di Giustizia Tributaria, già Commissioni Tributarie). Indicheremo inoltre le strategie difensive più efficaci, frutto dell’esperienza giurisprudenziale e delle migliori prassi, per contestare un accertamento a tavolino o ridurne gli effetti.

Nel corso della guida troverete tabelle riepilogative che mettono a confronto procedure e strumenti difensivi, una sezione di Domande Frequenti (FAQ) per chiarire i dubbi più comuni, nonché casi pratici e simulazioni basate su situazioni tipiche italiane, per comprendere in concreto come reagire a un avviso di accertamento “da tavolino”. In chiusura forniremo un riepilogo dei riferimenti normativi aggiornati al 2025 e delle più recenti pronunce giurisprudenziali (Corte di Cassazione, Corte Costituzionale e sentenze di merito) in materia, insieme alle fonti istituzionali autorevoli (es. circolari dell’Agenzia delle Entrate, documenti MEF) da cui trarre ulteriori approfondimenti.

L’obiettivo è offrire una guida completa e originale, rigorosamente verificata (per evitare qualsiasi rischio di plagio e assicurare l’accuratezza delle informazioni), che metta il contribuente-debitore al centro. Adotteremo quindi il punto di vista di chi subisce l’accertamento fiscale, illustrando tutte le possibili vie di difesa e tutela offerte dall’ordinamento. Il tono sarà formale e giuridico, ma con un linguaggio chiaro: ogni concetto tecnico verrà spiegato e contestualizzato, così che anche i non addetti ai lavori possano orientarsi in questa materia complessa.

Iniziamo col definire esattamente cosa si intende per “accertamento a tavolino”, per poi esplorare le tutele e i rimedi a disposizione del contribuente.

Cos’è l’accertamento a tavolino

L’accertamento a tavolino (detto anche controllo a tavolino in ambito fiscale) indica l’attività di verifica e rettifica dei dati fiscali del contribuente svolta dagli uffici dell’Amministrazione finanziaria esclusivamente presso la sede dell’ufficio, senza un’ispezione diretta presso il domicilio, l’azienda o lo studio del contribuente . In altre parole, si tratta di un accertamento “da scrivania”, basato su documenti, banche dati e informazioni che il Fisco acquisisce da varie fonti, piuttosto che su una verifica fisica sul posto.

Dal punto di vista normativo, non esiste un articolo di legge che utilizzi espressamente il termine “accertamento a tavolino”; è una definizione di prassi utilizzata per distinguere i controlli documentali da quelli con accesso. Questa forma di accertamento affonda le radici nei poteri di indagine dell’Agenzia delle Entrate previsti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (per le imposte dirette) e dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (per l’IVA). In particolare, le norme che disciplinano l’accertamento tributario consentono all’ufficio di procedere a rettifiche basandosi su elementi raccolti tramite richieste di informazioni, controlli incrociati e banche dati, senza necessità di inviare ispettori dal contribuente.

Come avviene in pratica? L’ufficio può avvalersi di diverse fonti informative: ad esempio i dati comunicati da altri enti pubblici (Catasto, Camera di Commercio, Archivio dei rapporti finanziari, ecc.), le informazioni fornite da terzi (istituti bancari, clienti e fornitori nelle comunicazioni IVA, notai per gli atti di compravendita, ecc.), oppure gli elementi forniti dallo stesso contribuente in risposta a questionari o inviti a comparire . È infatti prassi che l’ufficio invii al contribuente, prima di emettere l’accertamento, una richiesta di documenti o di chiarimenti (ad esempio un questionario ex art. 32, D.P.R. 600/1973) in cui si chiedono spiegazioni su determinate operazioni o redditi. Le risposte fornite “a tavolino” – ossia per iscritto o verbalmente presso l’ufficio – costituiscono parte integrante dell’istruttoria. Sulla base di tutte le informazioni raccolte, l’ufficio elabora le proprie conclusioni e, se ritiene che vi siano anomalie, omissioni o violazioni fiscali, procede all’emissione di un avviso di accertamento. Quest’ultimo è l’atto formale con cui si accertano maggiori imposte, sanzioni e interessi a carico del contribuente.

È importante notare che l’accertamento a tavolino non va confuso con i controlli automatizzati e formali sulle dichiarazioni. I controlli automatizzati (art. 36-bis D.P.R. 600/1973 per le imposte dirette, e corrispondente art. 54-bis D.P.R. 633/1972 per IVA) sono verifiche effettuate dal sistema informatico dell’Agenzia incrociando i dati dichiarati con quelli in possesso dell’Anagrafe Tributaria, e si concretizzano in una semplice comunicazione di irregolarità (il cosiddetto “avviso bonario”). I controlli formali (art. 36-ter D.P.R. 600/1973) permettono invece all’ufficio di chiedere al contribuente documenti giustificativi su oneri dedotti/detratti in dichiarazione, prima di liquidare definitivamente l’imposta. Entrambe queste tipologie di controllo sono procedimenti semplificati e non comportano un avviso di accertamento, ma, in caso di mancata risposta o pagamento, sfociano direttamente in una cartella di pagamento. Esse inoltre non prevedono un contraddittorio preventivo con il contribuente (proprio per la loro natura automatica e massiva) . L’accertamento a tavolino, invece, rientra nei controlli sostanziali e porta all’emissione di un avviso di accertamento in senso proprio: è dunque un atto impugnabile dinanzi al giudice tributario e richiede, come vedremo, determinate garanzie procedurali (prima fra tutte il contraddittorio endoprocedimentale, oggi generalizzato).

Accertamento a tavolino vs verifica in loco

Per contestualizzare meglio il concetto, conviene evidenziare la differenza rispetto alla verifica fiscale “sul posto” (detta anche accesso, ispezione o verifica). Nella verifica in loco, funzionari dell’Amministrazione finanziaria (Agenzia delle Entrate o Guardia di Finanza) si recano presso la sede del contribuente – che sia l’abitazione, l’ufficio, lo studio professionale o l’azienda – e svolgono lì l’attività di controllo, esaminando la contabilità, i registri e ogni altra documentazione utile direttamente presso il contribuente. Al termine redigono un verbale di constatazione (PVC) e solo dopo 60 giorni dalla sua consegna potranno emettere l’accertamento . Nell’accertamento a tavolino, invece, non vi è alcun accesso: tutte le operazioni si svolgono internamente all’ufficio, utilizzando i dati a disposizione o ottenuti su richiesta. Il contribuente potrebbe anche non accorgersi subito di essere sottoposto a controllo, almeno fino a quando non riceve una richiesta di documenti o direttamente un avviso di accertamento.

Tradizionalmente, proprio perché l’accertamento a tavolino non comporta la “pressione” dell’ispezione fisica, era considerato dal Fisco come un controllo meno invasivo e che poteva essere svolto senza formalità particolari. In passato, infatti, si riteneva che il contraddittorio endoprocedimentale non fosse obbligatorio in caso di controlli a tavolino (salvo che per determinati tributi di matrice comunitaria, come l’IVA) . Questo orientamento, come vedremo nel prossimo paragrafo, è stato profondamente rivisto dall’evoluzione normativa recente, che oggi invece impone il contraddittorio praticamente in ogni accertamento.

Riassumendo, l’accertamento a tavolino è caratterizzato da: assenza di accessi fisici, utilizzo di banche dati e documenti inviati o richiesti, eventuale convocazione del contribuente in ufficio per chiarimenti, ed emissione finale di un avviso di accertamento motivato sulla base delle informazioni raccolte. Dal punto di vista del contribuente, questo significa che ci si può vedere recapitare una rettifica fiscale senza aver mai ricevuto la “visita” del Fisco, ma solo magari qualche lettera o questionario. Ciò non deve trarre in inganno: la tutela del contribuente è altrettanto importante in questi casi quanto nelle verifiche “sul campo”, e anzi occorre prestare grande attenzione alle comunicazioni scritte che arrivano dall’ufficio, perché spesso rappresentano l’unica occasione per interloquire prima dell’avviso.

Il contraddittorio: dall’assenza di obbligo alle nuove regole (2020–2025)

Uno degli aspetti cruciali in tema di accertamento a tavolino è il diritto al contraddittorio preventivo, cioè la possibilità per il contribuente di essere ascoltato e far valere le proprie ragioni prima che l’ufficio emetta l’avviso di accertamento. La disciplina del contraddittorio in ambito tributario italiano ha subito, nell’ultimo decennio, una vera rivoluzione, passando da un quadro frammentario (in cui l’obbligo esisteva solo in alcuni casi) a un sistema che – dal 2020 in avanti, e ancor più dal 2024 – impone il contraddittorio in via generale per tutti gli accertamenti.

Situazione pregressa: fino a pochi anni fa, la normativa prevedeva l’obbligo di contraddittorio endoprocedimentale solo in ipotesi specifiche. Ad esempio, l’art. 12, comma 7 dello Statuto del Contribuente (L. 212/2000) lo imponeva per le verifiche con accesso (come detto: rilascio del PVC e 60 giorni per osservazioni) . Altre norme particolari richiedevano il contraddittorio in casi delimitati, ad esempio prima di un accertamento sintetico/redditometrico (art. 38, c.7 D.P.R. 600/1973) il contribuente va sempre invitato a spiegare le spese anomale , oppure prima di un accertamento basato sugli studi di settore/ISA (art. 10, L. 146/1998) era obbligatoria la convocazione del contribuente . Al di fuori di queste ipotesi, però, non vi era – in passato – una regola generale che imponesse all’Ufficio di instaurare un contraddittorio per gli accertamenti “a tavolino” in materia di tributi nazionali. La giurisprudenza della Corte di Cassazione (specie una nota pronuncia a Sezioni Unite del 2015) aveva stabilito che il contraddittorio preventivo era un obbligo solo per i “tributi armonizzati” dall’ordinamento UE (essenzialmente l’IVA e i dazi doganali), in ossequio ai principi europei, mentre per i tributi non armonizzati (Irpef, Ires, Irap, ecc.) l’obbligo sussisteva soltanto se espressamente previsto da una norma interna . In pratica, in un accertamento a tavolino relativo a imposte sul reddito, l’Agenzia delle Entrate riteneva di poter emettere l’atto senza prima convocare il contribuente, a differenza di quanto doveva fare se l’accertamento riguardava l’IVA (dove, per giurisprudenza UE, il diritto di essere sentiti era considerato fondamentale). Questa disparità di trattamento (contraddittorio sì per IVA, no per IRPEF) è stata a lungo criticata come una “discriminazione al rovescio” per i contribuenti italiani .

Emblematica in tal senso è stata la decisione della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 24823/2015, la quale – correggendo un orientamento più garantista assunto dalla stessa Cassazione pochi mesi prima – sancì che il contraddittorio endoprocedimentale obbligatorio si applicava solamente ai tributi armonizzati, mentre per gli altri costituiva un principio sì importante ma non cogente in assenza di una norma . Ciò significava, ad esempio, che un accertamento a tavolino per IRPEF poteva legittimamente essere emesso senza invito preventivo, e il contribuente non poteva far annullare l’atto per il solo fatto di non essere stato sentito (salvo provare in giudizio che l’assenza di contraddittorio gli aveva impedito di far emergere elementi decisivi, secondo la cosiddetta “prova di resistenza”). Questo stato di cose è stato più volte sottoposto al vaglio della Corte Costituzionale, la quale però inizialmente ha evitato di dichiarare l’illegittimità costituzionale, ritenendo la materia rimessa alla discrezionalità del legislatore . Ad esempio, con la sent. n. 47/2023 la Consulta ha ribadito l’importanza del contraddittorio ma ha dichiarato inammissibile la questione che chiedeva di estenderlo a tutti gli accertamenti a tavolino, sottolineando che una simile estensione generale doveva provenire dal Parlamento .

La svolta normativa: il Legislatore ha infine raccolto queste sollecitazioni. Una prima svolta c’è stata con il D.L. 34/2019 (“Decreto Crescita”) che, all’art. 4-octies, ha introdotto l’obbligo di invito al contraddittorio per la generalità degli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate a partire dal 1° luglio 2020 . In pratica, venne inserito nel D.Lgs. 218/1997 (quello sull’accertamento con adesione) un nuovo articolo 5-ter, il quale stabiliva che – fuori dai casi di urgenza o di accertamenti parziali – prima di emettere un avviso di accertamento l’ufficio deve notificare al contribuente un invito a comparire, con l’indicazione dei periodi d’imposta accertabili, delle maggiori imposte e sanzioni che si intendono chiedere, dei motivi della rettifica e del giorno e luogo per presentarsi a discussione . L’intento era quello di istituzionalizzare un confronto sul modello dell’accertamento con adesione (difatti l’invito era finalizzato, se possibile, a definire l’accertamento in adesione durante l’incontro). La norma del 2019 prevedeva anche che, in caso di mancata adesione, l’avviso successivo dovesse motivare sulle osservazioni fornite dal contribuente e che, se l’ufficio avesse omesso di avviare il contraddittorio senza motivo, l’atto sarebbe stato invalido a condizione che il contribuente, impugnandolo, dimostrasse le ragioni che avrebbe potuto far valere se convocato . Questo ultimo aspetto introduceva la famosa “prova di resistenza” a carico del contribuente: l’atto non era automaticamente nullo per difetto di contraddittorio, ma occorreva provare in giudizio il concreto pregiudizio sofferto.

Quella riforma del 2019–2020 è stata però superata e rafforzata dalla successiva Riforma del processo tributario del 2022–2023. In particolare, in attuazione della Delega Fiscale (L. 111/2023), è stato emanato il D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 219, che ha introdotto nell’art. 6 dello Statuto dei diritti del contribuente un nuovo principio generale di contraddittorio obbligatorio. Contestualmente, dal 1° maggio 2024 è entrato in vigore il nuovo art. 6-bis della L. 212/2000, significativamente intitolato “Principio del contraddittorio” . Questa norma dispone, al comma 1, che in relazione a tutti gli atti impositivi impugnabili l’ufficio deve garantire un contraddittorio preventivo, informato ed effettivo . Il comma 2 elenca le sole eccezioni in cui il contraddittorio non è dovuto: si tratta dei controlli automatizzati e formali (come già detto, perché di fatto il dialogo avviene dopo, tramite l’avviso bonario) e dei casi di particolare e motivata urgenza o di fondato pericolo per la riscossione . A parte tali eccezioni, ogni accertamento richiede un contraddittorio. La forma prevista è quella dello “schema di atto”: il comma 3 dell’art. 6-bis stabilisce infatti che l’amministrazione finanziaria, per consentire il contraddittorio, notifica al contribuente uno schema di atto (in sostanza una bozza del futuro avviso, con contenuti analoghi all’invito previsto dal vecchio art. 5-ter) e assegna un termine di almeno 60 giorni per presentare memorie, osservazioni e documenti . Solo dopo tali 60 giorni (o dopo aver ricevuto e valutato le controdeduzioni del contribuente) l’ufficio potrà emettere l’atto definitivo. Inoltre, se il periodo dei 60 giorni si spinge oltre la scadenza ordinaria per emettere l’accertamento (es. fine anno) o se fra la fine del contraddittorio e la decadenza restano meno di 120 giorni, la legge prevede una proroga automatica dei termini di decadenza di 120 giorni . In questo modo l’ufficio è incentivato ad attivare comunque il contraddittorio senza temere di “saltare i termini” per notificare l’accertamento. La novità forse più rilevante è che la norma non contempla più la prova di resistenza: il legislatore del 2023, diversamente da quanto previsto nel 2019, ha scelto di sanzionare con la nullità l’omesso contraddittorio in modo quasi automatico . Cioè, se l’ufficio emette un accertamento dopo il 1° maggio 2024 senza aver inviato lo schema di atto e non ricorre un caso di esonero, il contribuente potrà eccepire la nullità dell’atto anche solo per questo vizio, a prescindere dal merito (sarà l’atto stesso ad essere annullabile per violazione di legge) .

Impatto sul nostro tema: alla luce di questa evoluzione, oggi possiamo dire che l’accertamento a tavolino deve essere sempre preceduto da contraddittorio, salvo rare eccezioni. Già dal 2020, con l’art. 5-ter (ora abrogato), questa era la regola nella maggior parte dei casi; dal 2024 è un principio generale di rango primario nello Statuto del Contribuente . Dunque, se un contribuente riceve un avviso di accertamento “a tavolino” senza aver avuto prima né un invito a comparire né uno schema di atto per controdedurre, dovrà subito far verificare al proprio difensore se l’ufficio aveva titolo per saltare il contraddittorio (ad esempio, si trattava di un accertamento parziale urgente?) oppure se l’atto è nullo. L’accertamento parziale (art. 41-bis D.P.R. 600/1973) – ossia quello limitato ad alcune componenti di reddito sulla base di elementi immediatamente disponibili – è tuttora escluso dall’obbligo di contraddittorio pre-notifica , ma attenzione: anche qui la Cassazione ha chiarito che se riguarda l’IVA (tributo armonizzato) il contraddittorio va comunque garantito per principio UE . In pratica, lo scenario ante 2020 in cui l’accertamento a tavolino poteva arrivare “a sorpresa” è ormai superato. Oggi il contribuente deve aspettarsi – e pretendere – di essere coinvolto prima dell’emissione dell’atto. Questo coinvolgimento può assumere forme diverse: tipicamente un invito al contraddittorio di tipo adesione (incontro di persona), ma può anche esaurirsi in uno scambio scritto di comunicazioni, ad esempio con lo schema di atto e l’invio di memorie difensive senza discussione orale . Ciò che conta è che sia data al contribuente una concreta possibilità di replica prima che l’avviso diventi definitivo .

Da un punto di vista pratico-difensivo, quindi, affrontare un accertamento a tavolino nel 2025 significa quasi sempre dover gestire una fase di contraddittorio endoprocedimentale. Nei prossimi paragrafi vedremo come farlo al meglio (sezione precontenziosa) e cosa fare se nonostante tutto l’ufficio dovesse emettere un atto infondato o errato (fase contenziosa). Prima, però, è utile inquadrare meglio due istituti chiave strettamente collegati all’accertamento a tavolino: l’accertamento con adesione e il già citato invito al contraddittorio. Spiegheremo di seguito cosa sono e come si differenziano dall’accertamento in senso stretto.

Accertamento a tavolino, accertamento con adesione e invito al contraddittorio: differenze

Quando si parla di difesa del contribuente in sede fiscale, spesso si citano in un unico contesto termini come accertamento, adesione e contraddittorio. È importante chiarire le differenze tra questi concetti, perché ciascuno di essi ha una natura e un ruolo ben precisi nel procedimento tributario.

  • L’accertamento (a tavolino), come abbiamo visto, è l’atto unilaterale dell’amministrazione finanziaria che ridetermina il reddito o il volume d’affari del contribuente e liquida le relative maggiori imposte e sanzioni. È, in sostanza, il risultato finale del controllo fiscale: un provvedimento impositivo contro il quale il contribuente può eventualmente ricorrere in giudizio.
  • L’invito al contraddittorio (o invito a comparire) è invece una fase procedimentale precedente all’emanazione dell’avviso di accertamento: è la comunicazione con cui l’ufficio “chiama” il contribuente a discutere i rilievi prima di finalizzare l’accertamento. Può essere considerato uno strumento di garanzia, volto ad evitare errori e, possibilmente, a trovare un accordo.
  • L’accertamento con adesione, dal canto suo, è un vero e proprio procedimento di accordo tra Fisco e contribuente, disciplinato dal D.Lgs. 218/1997, il cui fine è definire in via concordata (bonaria) la pretesa tributaria, evitando la lite. Non è un atto impositivo unilaterale, ma un accordo bilaterale: si concretizza in un atto di adesione sottoscritto da entrambe le parti, che sostituisce l’accertamento originario . In cambio della collaborazione, il contribuente ottiene benefici come la forte riduzione delle sanzioni (normalmente ridotte ad 1/3 del minimo edittale previsto) e la rateizzazione del dovuto, mentre il Fisco incassa rapidamente e senza contenzioso . L’accertamento con adesione può svolgersi dopo un contraddittorio e spesso coincide con esso – l’invito al contraddittorio, infatti, viene generalmente utilizzato proprio per attivare una possibile adesione.

Vediamo ora più nel dettaglio l’accertamento con adesione e l’invito al contraddittorio, per poi confrontarli con l’accertamento a tavolino.

Accertamento con adesione: definizione e differenze

L’accertamento con adesione è uno strumento deflattivo del contenzioso, introdotto nell’ordinamento nel 1997. Esso consente al contribuente di “negoziare” col Fisco l’esito di un accertamento, ottenendo uno sconto sulle sanzioni e, talvolta, un ridimensionamento della base imponibile accertata . In termini semplici, è la possibilità di “patteggiare col Fisco” l’importo dovuto, piuttosto che andare in causa. È importante evidenziare alcune differenze rispetto all’accertamento ordinario:

  • Natura volontaria e bilaterale: L’accertamento con adesione si attiva su iniziativa di una delle due parti (ufficio o contribuente) ed è volontario: non c’è obbligo di concludere un accordo. Se le parti non trovano un punto d’incontro, l’adesione fallisce e resta valido l’accertamento originario (che il contribuente potrà impugnare). Se invece si raggiunge l’intesa, questa viene formalizzata in un atto di adesione firmato da contribuente e dirigente dell’ufficio, il quale ha forza di accertamento definitivo e non è impugnabile .
  • Quando si può avviare: L’adesione è possibile in due momenti principali: (a) dopo un PVC di verifica (cosiddetta adesione ai PVC): in tal caso il contribuente, entro 30 giorni dalla chiusura della verifica, può chiedere di avviare il confronto con l’ufficio prima che venga emesso l’accertamento ; (b) dopo un avviso di accertamento notificato (adesione su atto): in questo caso è il contribuente che, entro i 60 giorni per ricorrere, presenta un’istanza di accertamento con adesione, la quale sospende per 90 giorni i termini di impugnazione . Esiste anche la possibilità che sia lo stesso Ufficio a invitare il contribuente alla definizione per adesione, prima dell’emissione dell’avviso (ed è ciò che avviene tipicamente con l’invito al contraddittorio obbligatorio introdotto nel 2019).
  • Differenza rispetto al contraddittorio “semplice”: Ogni accertamento con adesione implica un contraddittorio (un confronto) ma non ogni contraddittorio è un accertamento con adesione. Il contraddittorio può infatti concludersi senza accordo; l’adesione invece è l’esito positivo del contraddittorio, quando si arriva a una revisione concordata della pretesa. Nell’accertamento a tavolino moderno, il contraddittorio iniziale è sempre previsto (come spiegato sopra), ma potrebbe risolversi in nulla di fatto – ad esempio, il contribuente fornisce spiegazioni ma l’ufficio decide comunque di confermare in toto la sua pretesa, emettendo l’avviso. In tal caso non c’è stato accertamento con adesione, solo un contraddittorio endoprocedimentale. Se invece le parti trovano un accordo, si sottoscrive l’adesione e l’avviso di accertamento non viene neppure emesso (o, se già emesso, viene annullato e sostituito dall’atto di adesione).
  • Vantaggi per il contribuente: Oltre ad evitare i costi e i rischi del processo, il contribuente ottiene benefici concreti. Le sanzioni amministrative vengono ridotte ad 1/3 di quelle minime previste dalla legge . Ad esempio, se la violazione comportava una sanzione dal 90% al 180% della maggiore imposta, col pagamento in adesione la sanzione sarà il 30% (ossia un terzo del 90%). Inoltre è ammessa la rateazione: il D.Lgs. 218/97 consente di pagare quanto concordato in un massimo di 8 rate trimestrali (o 16 rate se l’importo supera 50.000 €, come modificato dalla riforma 2023) . Durante la pendenza dell’adesione, sono sospesi i termini per fare ricorso e l’ufficio non avvia la riscossione. In pratica l’adesione “congela” la situazione e dà modo di risolvere bonariamente.
  • Effetti in caso di accordo: Se l’adesione viene perfezionata (ossia firmata e seguita dal pagamento entro i 20 giorni previsti ), il contribuente rinuncia al ricorso. L’atto di adesione infatti, una volta perfezionato, non è impugnabile e rende definitiva la pretesa limitatamente a quanto concordato . È dunque fondamentale aderire solo se si è convinti della sostenibilità dell’accordo, perché poi non si potrà tornare indietro. La Cassazione ha più volte ribadito che dopo la firma e il pagamento concordato è precluso qualsiasi ricorso sull’accertamento definito in adesione .
  • Cosa succede se non ci si accorda: Se l’adesione fallisce (ad es. perché il contribuente non si presenta o non accetta le proposte dell’ufficio) non ci sono sanzioni: semplicemente l’ufficio emetterà l’avviso di accertamento (o confermerà quello già emesso) e il contribuente potrà impugnarlo entro 60 giorni dalla fine del periodo di sospensione. Da notare che la mancata comparizione del contribuente in una procedura di adesione formalmente avviata non interrompe la sospensione di 90 giorni: questo significa che, anche se il contribuente ignora l’invito dell’ufficio, mantiene comunque tutto il periodo di sospensione a sua disposizione per decidere se fare ricorso .

Differenze rispetto all’accertamento a tavolino “puro”: L’accertamento a tavolino senza adesione è essenzialmente un provvedimento unilaterale: il contraddittorio (specie ora, con il nuovo art. 6-bis) c’è, ma se non sfocia in un accordo l’ufficio può emettere l’atto anche in disaccordo col contribuente, motivando il perché. Nell’adesione, invece, l’atto finale nasce dal consenso del contribuente: di fatto questi accetta di pagare quanto concordato, ed evita così l’atto impositivo sgradito e la successiva fase contenziosa. L’adesione è quindi una opportunità difensiva cruciale in fase precontenziosa: permette di risolvere la controversia prima che diventi lite, ottenendo un esito più favorevole di quanto sarebbe nell’avviso secco (soprattutto sul fronte sanzioni, e talvolta sull’imponibile stesso).

Va però sottolineato che aderire non è sempre conveniente. Bisogna valutare caso per caso: se il contribuente ritiene di avere ottime probabilità di vittoria in giudizio – perché ad esempio l’accertamento è inficiato da vizi procedurali gravi o da errori evidenti – potrebbe scegliere di non aderire e impugnare, per evitare di pagare anche solo una parte. D’altro canto, se l’accertamento appare fondato nella sostanza e vi è margine per ottenere solo piccoli aggiustamenti, aderire conviene per beneficiare della riduzione sanzioni e chiudere la partita. In definitiva, l’accertamento con adesione va visto come uno strumento di trattativa: sposta la “difesa” dal giudice al tavolo dell’ufficio, richiede capacità negoziali e la disponibilità eventualmente a un compromesso. Nel contesto dell’accertamento a tavolino, specie dopo l’introduzione dell’obbligo di invito, l’adesione è spesso parte integrante del contraddittorio: l’invito a comparire è solitamente già finalizzato a tentare l’adesione . Tanto che la riforma attuata col D.Lgs. 13/2024 ha abrogato il vecchio art. 5-ter (invito obbligatorio) integrandolo nelle regole generali, e reintrodotto la facoltà di adesione ai PVC (art. 5-quater) con incentivi ancora maggiori (ad esempio sanzioni ridotte a 1/18, di cui diremo più avanti) .

In sintesi, accertamento con adesione e accertamento a tavolino possono essere fasi successive di uno stesso procedimento: prima il confronto (eventualmente adesione), poi – se non c’è accordo – l’accertamento unilaterale. Dal punto di vista difensivo, l’adesione è uno tra i possibili strumenti di difesa precontenziosa (insieme all’acquiescenza e all’autotutela, come vedremo più avanti). La differenza chiave è che l’adesione comporta sempre un contraddittorio attivo e partecipato: il contribuente non subisce passivamente l’atto, ma siede al tavolo e contratta. Di contro, l’adesione richiede di rinunciare al contenzioso, quindi va ponderata perché una volta pagato non si torna indietro.

Invito al contraddittorio: ruolo e funzione

L’invito al contraddittorio è strettamente legato a quanto sopra. Come già accennato, dal 2020 la legge ha previsto l’obbligo per l’ufficio di invitare il contribuente prima di emettere molti accertamenti . L’invito al contraddittorio non è altro che una comunicazione ufficiale (notificata al contribuente) in cui si enunciano le possibili violazioni riscontrate e si convoca l’interessato per una riunione o per presentare controdeduzioni entro una certa data . In pratica è un “pre-accertamento” che ha due finalità: da un lato, garantire il diritto di difesa del contribuente (il quale così viene messo a conoscenza delle contestazioni e può portare elementi a suo favore prima che l’atto sia emesso); dall’altro, cercare di definire in via amministrativa la controversia, evitando il ricorso.

È importante capire che l’invito al contraddittorio non è un atto impositivo, ma solo una fase procedurale. Non richiede alcuna adesione o pagamento automatico da parte del contribuente: rappresenta un’opportunità. Alla ricezione di un invito, il contribuente può decidere di presentarsi all’incontro (personalmente o tramite professionista di fiducia) e di partecipare attivamente al dialogo, oppure – in teoria – potrebbe anche ignorare l’invito. Ignorarlo, tuttavia, è sconsigliato: se non ci si presenta o non si inviano memorie, l’ufficio comunque emetterà l’accertamento (trascorsi i termini) e il contribuente avrà perso la chance di incidere. Va detto che la mancata adesione all’invito non comporta sanzioni aggiuntive: secondo la Cassazione, se il contribuente non partecipa al contraddittorio, l’atto successivo non per questo diventa legittimo automaticamente; semplicemente, il contribuente non potrà poi lamentare che certi elementi non sono stati valutati perché è lui stesso a non averli portati . In altri termini, l’invito dà un onus al contribuente: quello di collaborare, se vuole giocarsi le sue carte.

Cosa contiene l’invito al contraddittorio? Generalmente, come previsto dalla norma del 2019, l’invito deve indicare in modo chiaro: i periodi d’imposta interessati, la quantificazione delle maggiori imposte, ritenute, contributi, interessi e sanzioni che l’ufficio ritiene dovuti, e i motivi (elementi fattuali e giuridici) alla base di tale pretesa . In sostanza, il contribuente ha un’anteprima dettagliata di quello che sarebbe l’accertamento. Questo è molto utile perché consente di prepararsi: ad esempio, se l’ufficio contesta costi non deducibili per una certa cifra, il contribuente può raccogliere prima dell’incontro i documenti che provano l’inerenza di quei costi, oppure se contesta ricavi non dichiarati, il contribuente può individuare possibili giustificazioni (errori materiali, duplicazioni, ecc.).

Come si svolge il contraddittorio? Di solito l’invito fissa un appuntamento presso l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate. Il contribuente (o il suo consulente) si presenta, e vi è un colloquio con i funzionari accertatori. Durante la riunione, questi espongono i rilievi e ascoltano le osservazioni del contribuente. Spesso, il tutto viene verbalizzato in un sintetico verbale di contraddittorio che entrambe le parti firmano a conclusione dell’incontro. In alcuni casi, se le questioni sono complesse o servono ulteriori approfondimenti, l’ufficio può rinviare l’esito: ad esempio può chiedere al contribuente di far pervenire entro un certo termine ulteriore documentazione. In altri casi ancora, l’invito può sfociare immediatamente in una proposta di accordo: se c’è margine, l’ufficio può proporre al contribuente di chiudere lì la vicenda con un’adesione (magari riducendo qualche importo). Se il contribuente accetta, si formalizza l’accertamento con adesione e non verrà emesso alcun avviso di accertamento autonomo.

Differenza tra invito al contraddittorio e accertamento con adesione: come avrete capito, i due istituti spesso viaggiano insieme. L’invito è lo strumento, l’adesione è l’eventuale risultato. Tuttavia, tecnicamente si può avere un invito al contraddittorio che non porta ad adesione (ad esempio perché il contribuente vuole comunque andare in giudizio). In tal caso l’ufficio, decorso il termine e valutate le difese eventualmente presentate, emetterà l’atto impositivo, ma dovrà dare conto delle difese respinte (c.d. “motivazione rafforzata” dell’accertamento). Questo obbligo di motivare sul perché non si accolgono le osservazioni del contribuente è una garanzia importante introdotta dalla norma: serve ad evitare che il contraddittorio sia una mera formalità e che l’ufficio ignori quanto emerso durante il dialogo . Se il contribuente, ad esempio, aveva portato una certa prova e l’ufficio non la menziona neanche nell’avviso, ciò potrà costituire in giudizio un elemento a favore del contribuente (potrà lamentare un difetto di motivazione).

Invito al contraddittorio “rafforzato” dal 2024: con il nuovo art. 6-bis Statuto, come visto, il contraddittorio è diventato per legge la regola generale, e l’“invito al contraddittorio” si identifica colloquialmente nello schema di atto notificato dall’ufficio. Nella sostanza, per il contribuente cambia poco: gli arriverà una comunicazione preventiva e avrà almeno 60 giorni per difendersi. Da notare che, in base al nuovo regime, se l’ufficio notifica lo schema d’atto molto a ridosso della decadenza e i 60 giorni vanno oltre, la scadenza per l’accertamento slitta di 120 giorni . Questo può voler dire che l’avviso definitivo arriverà anche dopo diversi mesi. Il contribuente ha così più tempo per prepararsi, ma deve comunque rispettare il termine dei 60 giorni per presentare le sue deduzioni. Non è prevista, in questa fase, una sospensione processuale perché il processo non è ancora iniziato (diversamente dal caso dell’adesione su atto, dove c’è la sospensione dei termini per ricorrere).

In sintesi, l’invito al contraddittorio è una tappa fondamentale del procedimento di accertamento a tavolino. Dal punto di vista difensivo, è l’occasione per trasformare un eventuale confronto impari in un dialogo: si passa dal ricevere passivamente un atto a poter interloquire attivamente col Fisco. È bene sfruttare questo momento, perché una difesa robusta in sede di contraddittorio può addirittura convincere l’ufficio a non emettere affatto l’accertamento (se le spiegazioni chiariscono tutto) . Anche quando non evita l’atto, il contraddittorio aiuta a “cristallizzare” la posizione: tutto ciò che si è contestato in questa sede e che non è stato confutato adeguatamente dall’ufficio potrà costituire un punto a favore del contribuente in eventuale giudizio successivo .

Accertamento a tavolino vs adesione vs invito – Riepilogo schematico: Per fissare le idee, riportiamo di seguito in tabella un confronto tra i tre concetti.

<table> <tr> <th>Elemento</th> <th>Accertamento a tavolino</th> <th>Invito al contraddittorio</th> <th>Accertamento con adesione</th> </tr> <tr> <td><strong>Cos’è</strong></td> <td>Un atto impositivo <em>unilaterale</em> emesso dall’ufficio a seguito di controlli svolti presso l’ufficio stesso (senza accesso).</td> <td>Una comunicazione procedimentale che <em>precede</em> l’atto: convoca il contribuente per discutere i rilievi prima dell’accertamento.</td> <td>Un procedimento <em>bilaterale</em> di definizione concordata: si conclude con un accordo tra contribuente e ufficio che “sostituisce” l’accertamento.</td> </tr> <tr> <td><strong>Quando avviene</strong></td> <td>Dopo la fase istruttoria (controlli incrociati, questionari, ecc.), se l’ufficio riscontra maggiori imposte dovute e non si è raggiunto un accordo in sede di contraddittorio.</td> <td>Di regola <em>sempre</em> prima di un accertamento a tavolino (dal 2020 obbligatorio, dal 2024 principio generale), salvo casi di urgenza o accertamenti parziali.</td> <td>Può intervenire <em>prima</em> dell’accertamento (su invito dell’ufficio o istanza post-PVC) o <em>dopo</em> la notifica dell’accertamento (su istanza del contribuente entro 60 gg dalla notifica, con sospensione dei termini di ricorso). Se concluso positivamente, evita o sostituisce l’atto impositivo.</td> </tr> <tr> <td><strong>Ruolo del contribuente</strong></td> <td>In posizione “passiva” (subisce l’atto), ma con diritto di essere sentito prima (contraddittorio) e di impugnarlo dopo. Non richiede consenso del contribuente per essere emanato.</td> <td>Partecipazione <em>attiva</em>: il contribuente può esporre le proprie ragioni, produrre documenti, cercare di convincere l’ufficio o negoziare un accordo. Non vincola ad accettare nulla, è una facoltà.</td> <td>Partecipazione <em>attivissima</em>: il contribuente negozia direttamente col Fisco l’entità delle imposte. L’accordo richiede il suo consenso. Può rinunciare in qualsiasi momento prima della firma se non soddisfatto.</td> </tr> <tr> <td><strong>Esito e conseguenze</strong></td> <td>Emissione di un <strong>avviso di accertamento</strong> che rettifica redditi/IVA e liquida maggiori imposte, sanzioni e interessi. Se non impugnato entro 60 gg diviene definitivo e riscuotibile (titolo esecutivo).</td> <td>Esito 1: <em>nessun accordo</em> – l’ufficio emette comunque l’accertamento (motivato sulle eventuali difese respinte).<br> Esito 2: <em>accordo raggiunto</em> – si perfeziona un atto di adesione (vedi colonna accanto) e non viene emesso l’avviso separato.</td> <td>Se raggiunto, si firma l’<strong>atto di adesione</strong> con importi concordati. Il contribuente paga (in unica soluzione o rate) entro 20 gg e ottiene sanzioni ridotte a 1/3 del minimo (o 1/18 se adesione su PVC post-2023). L’adesione perfezionata chiude definitivamente la controversia per quelle annualità (rinuncia al ricorso). Se non si perfeziona (manca firma o pagamento), torna valido l’accertamento originario impugnabile.</td> </tr> <tr> <td><strong>Tutela giurisdizionale</strong></td> <td>Impugnabile davanti alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria) entro 60 giorni. Durante l’eventuale giudizio, l’ufficio può tentare una conciliazione, oppure la causa viene decisa dal giudice.</td> <td>Non è di per sé impugnabile (non è un atto definitivo). Eventuali vizi del contraddittorio (omesso contraddittorio obbligatorio) si fanno valere impugnando l’accertamento successivo, che può essere annullato per tale vizio .</td> <td>L’atto di adesione <strong>non è impugnabile</strong> (è frutto di accordo). Se però l’accordo non viene rispettato dal contribuente (mancato pagamento delle rate), l’ufficio riprende la riscossione coattiva del dovuto, con eventuali sanzioni aggiuntive per il mancato pagamento . Non essendo un atto impositivo, non si può ricorrere contro l’adesione; eventuali errori di calcolo possono essere oggetto di autotutela.</td> </tr> </table>

Come si vede, accertamento a tavolino, contraddittorio e adesione sono tre momenti concatenati: prima il contraddittorio (che può sfociare o meno in un’adesione), poi eventualmente l’atto unilaterale se non c’è accordo. Per difendersi al meglio, il contribuente deve conoscere e saper utilizzare tutti e tre: partecipare efficacemente al contraddittorio, valutare l’adesione se conviene, oppure prepararsi a impugnare l’accertamento.

Nei prossimi capitoli, passeremo ad analizzare come l’accertamento a tavolino viene concretamente applicato e vissuto dalle diverse tipologie di contribuenti (persone fisiche, imprese individuali, società), perché le modalità di controllo e le strategie difensive possono variare sensibilmente a seconda della categoria. Successivamente entreremo nelle strategie di difesa, distinguendo la fase precontenziosa da quella contenziosa. Infine, concluderemo con un quadro di FAQ e casi pratici per consolidare la comprensione degli strumenti descritti.

Applicazione dell’accertamento a tavolino per diverse categorie di contribuenti

Il perimetro d’azione dell’accertamento a tavolino è vasto: può colpire sia il privato cittadino che ha magari sottostimato il suo reddito, sia il piccolo imprenditore individuale, sia le forme societarie più complesse. Tuttavia, le modalità con cui il Fisco conduce il controllo e – di conseguenza – le possibili linee di difesa variano in base alla natura giuridica e fiscale del soggetto verificato. In questa sezione distingueremo tre macro-categorie:

  • Persone fisiche (privati e lavoratori autonomi non in forma d’impresa): tipicamente assoggettati a IRPEF, eventualmente proprietari di immobili (IMU) o investimenti finanziari.
  • Imprese individuali (ditte individuali): contribuenti titolari di partita IVA, imprese commerciali individuali o professionisti in contabilità semplificata/ordinaria ma non costituiti in società.
  • Società di persone e società di capitali: qui rientrano le società in nome collettivo, accomandita semplice, società semplici (per le prime) e le S.r.l., S.p.A., S.a.p.a. ecc. (per le seconde). Queste entità hanno peculiarità fiscali proprie (ad es. la “trasparenza” per le società di persone, la soggettività passiva IRES per le società di capitali).

Per ciascuna categoria vedremo quali sono le fattispecie di accertamento a tavolino più frequenti, quali strumenti usa l’Amministrazione e come il contribuente può articolare la difesa.

Persone fisiche (privati e professionisti)

Le persone fisiche non imprenditori rappresentano una platea ampia di contribuenti: lavoratori dipendenti, pensionati, liberi professionisti senza società, o semplicemente cittadini con proprietà e investimenti. In questi casi l’accertamento a tavolino si manifesta spesso tramite controlli di tipo sintetico o basati su spese e tenore di vita. Ecco i principali tipi di accertamento che riguardano le persone fisiche:

  • Accertamento sintetico (redditometro): è uno strumento usato esclusivamente per le persone fisiche . Consente all’Agenzia delle Entrate di determinare il reddito complessivo di una persona sulla base delle spese sostenute e degli incrementi patrimoniali riscontrati, presupponendo che a certi esborsi corrispondano capacità contributive equivalenti. Ad esempio, il possesso di auto di grossa cilindrata, imbarcazioni, case di lusso, o spese per viaggi costosi possono far presumere un reddito ben più alto di quello dichiarato. L’accertamento sintetico (disciplinato dall’art. 38 D.P.R. 600/1973) prevede per legge un contraddittorio obbligatorio: prima di emettere l’atto, l’ufficio deve invitare il contribuente a spiegare la provenienza dei fondi con cui ha finanziato quelle spese . Se il contribuente dimostra che le spese sono state sostenute con redditi esenti o già tassati (ad esempio attingendo a risparmi accumulati in anni precedenti, o grazie a donazioni), l’ufficio dovrà tenerne conto. Dal 2015 il meccanismo del redditometro è stato rivisto normativamente, e attualmente è in vigore (per gli anni d’imposta dal 2016) uno strumento cosiddetto di “risparmiometro” o controllo delle disponibilità finanziarie, in base al quale scostamenti rilevanti tra flussi finanziari e reddito dichiarato possono far scattare l’accertamento (sempre con contraddittorio). Difesa tipica: in caso di redditometro, il contribuente deve raccogliere documentazione che giustifichi le spese: ad esempio, estratti conto per provare che stava utilizzando risparmi accumulati, attestazioni di redditi esenti (come vincite o indennità non tassabili), ecc. Se fornisce una spiegazione convincente – e coerente per l’intero scostamento rilevato – l’accertamento non può essere emesso. In giudizio, inoltre, la Cassazione ha chiarito che la mancata attivazione del contraddittorio rende nullo l’accertamento sintetico , proprio a tutela del diritto di spiegare la propria situazione.
  • Controlli finanziari su conti correnti: l’Amministrazione finanziaria ha la facoltà di richiedere alle banche i movimenti bancari delle persone fisiche (mediante autorizzazione centrale, ex art. 32, comma 1 n.7, D.P.R. 600/73). Questi controlli, quando evidenziano versamenti non giustificati, portano spesso ad accertamenti a tavolino. La legge presume infatti che i versamenti sul conto corrente del contribuente siano redditi non dichiarati, se il contribuente non prova diversamente . Anche i prelevamenti di importo elevato (oltre €1.000 giornalieri o €5.000 mensili) sono considerati potenziali ricavi non dichiarati per i lavoratori autonomi o imprenditori individuali, se non se ne indica il beneficiario . Nel caso di privati non imprenditori, invece, i prelevamenti in sé non costituiscono base imponibile (possono però essere indizio di spese). Difesa tipica: chi subisce un controllo sui conti deve prepararsi a ricostruire la provenienza di ogni versamento anomalo: ad esempio potrebbero essere bonifici tra familiari, restituzioni di prestiti, trasferimenti da altri propri conti. È opportuno fornire all’ufficio documenti (contabili o dichiarazioni sostitutive di chi ha versato, se è un terzo) che dimostrino la natura non reddituale (o comunque esente) di quei flussi. Se si va in giudizio, il contribuente dovrà produrre queste prove: la Cassazione richiede una dimostrazione analitica per vincere la presunzione sui versamenti .
  • Controlli su compravendite immobiliari (valori dichiarati): un altro caso comune riguarda le persone fisiche che acquistano immobili. L’Agenzia delle Entrate incrocia il prezzo dichiarato negli atti di compravendita (registrati con imposta di registro) con la disponibilità finanziaria del contribuente e con i mutui accesi. Se il contribuente ha speso somme ingenti per un immobile e dichiarava redditi esigui, potrebbe scattare un accertamento sintetico o una richiesta di chiarimenti sulla provenienza dei fondi. Viceversa, se nell’atto di acquisto si dichiara un valore molto inferiore a quello di mercato noto, può scattare un accertamento sull’imposta di registro ma anche un’indagine su possibili redditi in nero impiegati. Difesa tipica: anche qui la chiave è dimostrare eventualmente che i soldi provenivano da fonti lecite e tassate (vendita di altro bene, risparmi, aiuti familiari – attenzione che le donazioni di denaro dovrebbero essere formalizzate per avere pieno valore probatorio).
  • Accertamenti su fabbricati (affitti in nero, “case di lusso”): per le persone fisiche proprietarie di immobili, il Fisco utilizza le informazioni catastali e delle utenze. Un esempio è l’accertamento sul possesso di immobili di lusso non coerente col reddito dichiarato, oppure controlli sull’affitto di case senza dichiarare il canone. Ad esempio, incrociando i dati dei contratti di locazione registrati e l’occupazione reale (risultante, poniamo, dalle utenze attive o da annunci online), l’ufficio può scoprire affitti “in nero” e accertare il relativo reddito non dichiarato. In caso di affitti, tra l’altro, viene spesso utilizzato l’istituto dell’accertamento parziale: se emergono elementi certi (es. un contratto non registrato), l’ufficio può emettere rapidamente un avviso limitato a quel reddito, senza attendere fine anno . Difesa tipica: in presenza di contestazioni di affitti non dichiarati, il contribuente può difendersi provando ad esempio che l’immobile era occupato da familiari a titolo gratuito (se così è), oppure che quell’anno l’immobile era sfitto e le presunte prove di locazione non sono corrette. Tuttavia, se l’ufficio ha raccolto evidenze come pagamenti tracciati o contratti, la difesa è difficile.
  • Altre fonti di dati e controlli incrociati: l’Agenzia può incrociare spese mediche (dal Sistema Tessera Sanitaria), spese per ristrutturazioni edilizie e bonus fiscali, iscrizioni a circoli, scuole private, etc. Se una persona fisica ha sostenuto spese importanti (tasse universitarie per i figli, costosi leasing auto, ecc.) tali da non quadrare con il suo reddito, anche queste possono essere elementi per un accertamento sintetico. Inoltre, ci sono controlli sull’esterovestizione (persone che risultano residenti all’estero ma in realtà vivono in Italia: in tal caso l’accertamento può attribuire la residenza fiscale e quindi tassare i redditi ovunque prodotti) – qui entrano in gioco dati come consumi elettrici, presenza di familiari, ecc. Ogni qual volta il Fisco dispone di dati da altre amministrazioni (es. spese sanitarie comunicate per la precompilata, contratti assicurativi, archivio automobilistico), può confrontarli con il profilo del contribuente e allertarsi se qualcosa risalta come anomalo.

Caratteristiche difensive delle persone fisiche: Un privato cittadino spesso non tiene una contabilità formalizzata (eccetto i professionisti che hanno registri IVA se in regime ordinario). Ciò significa che la prova contraria ad un accertamento a tavolino su una persona fisica fa leva sulla documentazione extra-contabile: ricevute, estratti conto bancari, quietanze, ogni carta che possa dimostrare movimenti di denaro. È importante, ad esempio, conservare traccia delle donazioni o dei prestiti ricevuti (meglio se con atto scritto o bonifico con causale) perché a distanza di anni possono servire a giustificare capacità di spesa. Un’altra particolarità: la persona fisica, in sede di contraddittorio o adesione, può anche sollevare ragioni di equità o difficoltà (non previste formalmente dalle norme, ma che l’ufficio potrebbe considerare). Ad esempio, se un soggetto ha effettivamente evaso del reddito ma versa in condizioni economiche precarie, in adesione può chiedere almeno un allungamento del piano rate (compatibilmente con i limiti di legge).

Infine, le persone fisiche possono usufruire, in caso decidano di non impugnare un accertamento, dell’acquiescenza con riduzione delle sanzioni: pagando entro 60 giorni l’intero importo, infatti, le sanzioni si riducono a 1/3 (lo stesso beneficio percentuale dell’adesione, ma senza contrattazione sull’imponibile). Questa è un’ulteriore valutazione strategica: se l’accertamento riguarda un importo modesto e appare corretto, il privato può scegliere di accettarlo per chiuderla lì, sfruttando la riduzione sanzionatoria.

Imprese individuali

Le imprese individuali (ad esempio il negoziante sotto forma di ditta individuale, l’artigiano, il libero professionista con partita IVA non associato in studio, etc.) sono soggette a una gamma di controlli sia formali che sostanziali analoghi a quelli delle società, ma con alcune differenze. In questi casi, l’accertamento a tavolino si concentra su elementi tipici dell’attività d’impresa o di lavoro autonomo. Elenchiamo alcune situazioni frequenti:

  • Disallineamenti tra ricavi dichiarati e indicatori economici (Studi di settore/ISA): Fino al 2018, le imprese individuali nei settori interessati venivano valutate con gli Studi di Settore, uno strumento che stimava il fatturato atteso in base a parametri come area geografica, dipendenti, settore, etc. Dal 2019 gli Studi di Settore sono stati sostituiti dagli Indici Sintetici di Affidabilità (ISA), che attribuiscono un punteggio al contribuente: punteggio basso = contribuente potenzialmente da controllare. Se un’impresa individuale presenta per più anni indici di affidabilità molto bassi (ad esempio punteggio ISA 4 su 10) o risultava “non congrua” agli studi di settore, può essere selezionata per un accertamento. L’accertamento in questi casi è comunque di tipo analitico-induttivo: l’ufficio non tassa solo perché l’indicatore è basso, ma usa tale fatto come spunto e deve poi raccogliere elementi concreti (magari confrontando margini, ricarichi, consumi). È previsto il contraddittorio: già ai tempi degli studi di settore era obbligatorio invitare l’impresa a spiegare l’eventuale incongruità . Difesa tipica: il contribuente può giustificare il basso volume d’affari con ragioni specifiche: ad esempio, crisi di settore, calo di attività per malattia, spese impreviste, errori metodologici degli ISA (che sono indicatori statistici). Se l’ufficio non considera adeguatamente queste giustificazioni nell’atto, l’accertamento rischia la nullità per difetto di motivazione.
  • Accertamento analitico puro su scritture contabili: Se l’impresa individuale tiene una contabilità formalmente regolare, l’ufficio può compiere controlli “a tavolino” incrociando i dati contabili dichiarati con altre risultanze. Ad esempio: controlli IVA a tavolino (liquidazioni IVA confrontate con i versamenti), controlli dei dati dei fornitori (spesometro o esterometro) per vedere se il contribuente ha registrato meno acquisti di quelli comunicati da chi gli ha venduto (indizio di acquisti in nero), o viceversa vendite non registrate. In caso di riscontro di irregolarità, il Fisco può procedere ad un accertamento analitico, cioè rettificando puntualmente i singoli componenti di reddito. Esempio: il Sig. Bianchi, idraulico con ditta individuale, dichiara €50.000 di ricavi annui. L’ufficio incrocia i dati dello “scontrino elettronico” dei suoi fornitori di materiale idraulico e scopre che Bianchi ha acquistato materia prima per €40.000: un rapporto materie prime/ricavi del 80%, anomalo rispetto a margini usuali. Approfondendo, nota versamenti frequenti sul suo conto corrente non giustificati dalle fatture. Potrebbe quindi procedere accertando ricavi non dichiarati per differenza, oppure contestando costi indebitamente dedotti (magari costi personali messi in contabilità). Questo è un tipico accertamento a tavolino su base analitica. Difesa tipica: dimostrare che i calcoli dell’ufficio sono errati (es. parte di quei versamenti erano finanziamenti personali, non ricavi) o che il margine basso è dovuto a cause documentabili (materiale obsoleto venduto a stock, errori contabili corretti in dichiarazione successiva, ecc.). Se l’ufficio ha ignorato elementi probatori forniti, il contribuente lo sottolineerà eventualmente in ricorso.
  • Accertamento induttivo (contabilità inattendibile): Qualora l’ufficio ritenga che la contabilità dell’impresa individuale sia nel complesso inattendibile (ad esempio perché emergono gravi incongruenze, mancanza di registri, omissioni ripetute di fatture, oppure un reddito dichiarato manifestamente antieconomico), può adottare un metodo di accertamento induttivo puro ex art. 39, c.2 D.P.R. 600/73. In tal caso, procede a determinare il reddito sulla base di presunzioni anche semplici, senza vincolo di dover rispettare la contabilità (che viene considerata scartata). Ad esempio, se un piccolo negozio alimentare dichiara 5.000 € di reddito a fronte di acquisti per 50.000 €, e risulta aver venduto merce sottocosto senza giustificazione, l’ufficio può presumere ricavi non dichiarati (o costi fittizi) e ricostruire un reddito ragionevole. Difesa tipica: innanzitutto, cercare di evitare di finire in accertamento induttivo, perché è il più penalizzante (il Fisco può prescindere dalle scritture). Se però ciò accade, il contribuente dovrà attaccare la motivazione dell’atto: contestare che non c’erano i presupposti per disconoscere l’intera contabilità oppure, in subordine, che le presunzioni usate non sono sufficientemente gravi e precise. La Cassazione, ad esempio, ha affermato che anche nell’induttivo puro gli elementi utilizzati devono essere logicamente coordinati e comunicati al contribuente, pena la nullità . Inoltre, qualsiasi documentazione anche extra-contabile (brogliacci, agende) che possa ridare credibilità alle cifre andrà prodotta.
  • Accertamenti parziali e mirati: L’impresa individuale può essere soggetta ad accertamento parziale (art. 41-bis DPR 600/73) in caso spunti un elemento di evasione circoscritto. Ad esempio: la Guardia di Finanza controlla un fornitore e scopre fatture false emesse a favore del nostro contribuente; l’Agenzia potrebbe rapidamente emettere un parziale contestando i costi fittizi e recuperando la maggiore imposta. Oppure, dall’incrocio dei corrispettivi telematici con le dichiarazioni emerge che per alcuni mesi l’impresa non ha trasmesso i dati: l’ufficio può accertare solo quell’aspetto. L’accertamento parziale, come detto, era escluso dall’obbligo di invito al contraddittorio fino al 2023, e anche dal nuovo art. 6-bis è esentato per sua natura di urgenza. Tuttavia, il contribuente può comunque interloquire successivamente, impugnando l’atto. Difesa tipica: poiché il parziale di solito si basa su un elemento concreto (es. la fattura falsa identificata, il controllo incrociato X), la difesa punta a smentire o ridimensionare quell’elemento. Nel caso di fatture per operazioni inesistenti, ad esempio, il contribuente potrebbe provare che le operazioni c’erano realmente (esibendo documenti di trasporto, pagamenti, prove fotografiche di lavori eseguiti), contestando la tesi dell’ufficio secondo cui sarebbero operazioni simulate. Il tutto va fatto in sede di adesione (se l’ufficio la concede anche sul parziale) o direttamente in ricorso.
  • IVA e altre imposte indirette: L’impresa individuale, essendo soggetto IVA, può essere destinataria di accertamenti IVA a tavolino. Ad esempio, liquidazioni periodiche non congrue con la dichiarazione annuale, detrazioni IVA su acquisti ritenuti non inerenti, ecc. In materia IVA il contraddittorio era già obbligatorio per giurisprudenza UE anche prima del 2020 , quindi su questo fronte l’ufficio è tradizionalmente più attento ad ascoltare il contribuente. Spesso l’accertamento IVA viaggia con l’accertamento delle imposte dirette (IRPEF) e quello IRAP, in un unico atto per l’anno d’imposta.

Punti di attenzione difensivi per le imprese individuali: Questi contribuenti si trovano un po’ a metà strada tra la persona fisica pura e la società strutturata. Da un lato, rispondono con il proprio patrimonio personale di tutti i debiti tributari (non c’è distinzione tra patrimonio dell’impresa e personale, fatta salva la esdebitazione in procedure concorsuali come il recente “codice della crisi” per sovraindebitamento). Dall’altro, hanno comunque obblighi contabili e un’organizzazione d’impresa, per quanto semplice. Quindi:

  • È cruciale mantenere una contabilità ordinata e veritiera: in sede di contraddittorio a tavolino, l’impresa individuale ben organizzata può presentare registri, prime note, prospetti per convincere l’ufficio della bontà delle proprie dichiarazioni.
  • Se l’impresa opera in contabilità semplificata (molte ditte individuali lo sono), spesso la determinazione del reddito avviene per cassa. Occorre fare attenzione a conciliare movimenti finanziari e scritture: discrepanze tra incassi registrati e movimenti bancari sono facilmente rilevati dall’Agenzia e considerati sospetti.
  • Qualora il contribuente ravvisi errori o omissioni nelle proprie dichiarazioni, prima di essere oggetto di accertamento, può valutare il ravvedimento operoso (un istituto che consente di correggere pagando sanzioni ridotte spontaneamente). Questo non rientra tra gli strumenti difensivi post-accertamento, ma è un modo per prevenire l’accertamento o attenuarne gli effetti (se ad esempio ci si accorge di aver dimenticato di dichiarare qualcosa, ravvedersi prima che inizi il controllo può risparmiare molte sanzioni).
  • Le imprese individuali – al pari delle società – dal 2022 non sono più soggette alla mediazione tributaria (per le liti fino a 50.000 €, come vedremo nel capitolo sul contenzioso) in caso di ricorso. Ciò significa che se non si riesce a chiudere in adesione, il passo successivo è direttamente il ricorso in commissione (ora Corte di Giustizia Tributaria) senza ulteriori tentativi obbligatori di accordo. Questo rende ancora più importante sfruttare bene la fase precontenziosa (contraddittorio e adesione), perché poi in giudizio non ci sarà più l’obbligo di un ulteriore tentativo di conciliazione preventiva (la conciliazione in giudizio è facoltativa).

Società di persone

Le società di persone (S.n.c., S.a.s., società semplici, oltre a società “di fatto” o irregolari) sono entità particolari in ambito fiscale, perché caratterizzate dal regime di trasparenza fiscale: non pagano direttamente l’IRPEF sui redditi prodotti, ma attribuiscono il reddito (utile o perdita) ai soci, che lo dichiarano nella propria tassazione personale . Fanno eccezione l’IRAP (che paga la società) e naturalmente l’IVA (la società è soggetto IVA) e altre eventuali imposte indirette. Questa caratteristica comporta che un accertamento sul reddito di una società di persone si riflette automaticamente sui soci, e ciò genera particolarità sia procedurali che difensive.

Modalità di accertamento a tavolino sulle società di persone:

  • Accertamento unitario società-soci: L’ordinamento prevede il principio dell’unitarietà dell’accertamento per le società di persone e i loro soci . Significa che il reddito sociale deve essere determinato in modo univoco e ripartito tra tutti i soci coerentemente. In pratica, l’Agenzia delle Entrate emette un avviso di accertamento alla società (rettificando il reddito dichiarato dalla società in UNICO SP) e, contestualmente, emette atti di accertamento in capo a ciascun socio per la sua quota di maggior reddito . Questi atti sono tipicamente coordinati: riportano che, a seguito dell’accertamento sulla società Alfa SNC, il reddito del socio X è aumentato di tot. euro (pro quota). L’intero procedimento vede quindi coinvolti più soggetti, ma la materia del contendere è unica (l’ammontare del reddito societario). Da qui discende il cosiddetto litisconsorzio necessario tra società e soci in eventuale giudizio: in un eventuale ricorso devono essere parti tutti, per avere un unico accertamento valido per tutti .
  • Difesa tipica: in sede di contraddittorio a tavolino, l’ufficio normalmente convoca i rappresentanti della società (es. il legale rappresentante della SNC) e si interfaccia principalmente con loro. Tuttavia, i soci possono partecipare (soprattutto nelle società di fatto o familiari è frequente che tutti i soci intervengano). È importante per i soci essere allineati nelle difese: non devono emergere contraddizioni (es. un socio ammette vendite in nero sperando in indulgenza e un altro nega – questo crea confusione e mina la credibilità). In caso di accertamento emesso, è fondamentale che tutti i soci impugnino assieme all’azienda, presentando un unico ricorso o ricorsi coordinati notificati tra le parti, perché se anche solo uno resta fuori si rischiano nullità processuali . I soci quindi devono fare fronte comune, condividendo documenti e spese di difesa.
  • Tipologie di contestazioni frequenti: Le società di persone, salvo quelle semplici (che spesso gestiscono immobili o attività agricole), sono aziende commerciali o professionali molto simili alle imprese individuali come tipologia di attività (negozi, studi associati, imprese familiari). I tipi di accertamento a tavolino sono dunque analoghi a quelli descritti per le imprese: possono riguardare ricavi non dichiarati, costi indeducibili, anomalie IVA, indebita detrazione IVA, ecc. Spesso le S.n.c. e S.a.s. sono di piccole dimensioni (ad esempio società familiari), il che fa sì che l’elemento “soci e utili extracontabili” entri in gioco: per le società a base ristretta (due o tre soci magari familiari) la giurisprudenza ammette la presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati . In pratica, se il Fisco accerta maggior reddito alla società, si presume che quell’utile extra sia stato comunque goduto dai soci (in proporzione alle quote) salvo prova contraria. Questa presunzione agevola l’Agenzia: consente di tassare il socio su utili “in nero” anche se formalmente non risultano distribuiti (tanto la società di persone non avrebbe in ogni caso un suo imponibile IRPEF).
  • Difesa tipica: la società e i soci, se contestano l’accertamento, di norma hanno interesse comune a negare l’esistenza di utili extrabilancio. Non ci sarà contrapposizione (diversamente dal caso di società di capitali, dove la società può avere interesse a minimizzare l’evasione mentre il socio potrebbe preferire dire che l’utile è stato reinvestito in azienda per non pagare IRPEF personale: nelle società di persone questa distinzione non c’è). Quindi la difesa verterà tutta sul merito delle riprese fiscali: se l’ufficio contesta vendite non fatturate, la società cercherà di confutare quell’assunto (inventari, prove di cali merce fisiologici, ecc.), e i soci supporteranno tali argomentazioni.
  • Responsabilità patrimoniale dei soci: Dal punto di vista della riscossione, ricordiamo che nei confronti delle società di persone vige la responsabilità illimitata e solidale dei soci (tranne accomandanti in S.a.s. che sono limitati al conferimento) . Ciò significa che se a seguito di un accertamento la società non paga, il Fisco può richiedere il pagamento integrale a ciascun socio (in solido). Questo è rilevante in ottica difensiva: un socio, magari di minoranza, potrebbe essere tentato di lasciare “andare” la società (che magari è una scatola vuota) e pensare di salvarsi personalmente. Ma ciò è un errore: l’Agenzia lo perseguirà direttamente. Quindi tutti i soci devono impegnarsi nella difesa sin da subito, perché saranno chiamati a rispondere del debito fiscale generato dall’accertamento . Una particolarità: se un socio nel frattempo è uscito dalla società (per esempio, perché la società si è sciolta o egli ha ceduto la sua quota prima dell’accertamento), resta comunque responsabile per i debiti maturati negli anni in cui era socio. Anche il socio “uscito” deve essere coinvolto nel litisconsorzio se l’accertamento riguarda quegli anni .
  • Accertamenti IVA e ritenute: La società di persone paga direttamente l’IVA e adempie agli obblighi come sostituto d’imposta (ad esempio trattenute sui dipendenti). Un accertamento a tavolino può contestare, oltre al reddito IRPEF da attribuire ai soci, anche violazioni IVA (con richieste di maggior IVA da versare e sanzioni) e ritenute non fatte o versate. Le sanzioni IVA colpiscono la società, ma tramite la responsabilità solidale possono essere riscosse sui soci. Le sanzioni in materia di imposte sui redditi invece, nelle società di persone, sono in genere contestate ai soci pro quota, perché l’infrazione sostanzialmente ricade su di loro (sono loro che hanno dichiarato meno reddito personale grazie alla sotto-dichiarazione della società). È un meccanismo un po’ complesso: semplificando, se Alfa SNC ha occultato €100 di ricavi, l’Agenzia accerta €100 in più alla società (che non paga IRPEF ma serve solo per calcolo) e €50 in più a ciascun socio (supponendo due soci 50/50). Le sanzioni per infedele dichiarazione dei redditi si applicano sulle imposte dovute dai soci, quindi ogni socio avrà la sua sanzione IRPEF per la parte di reddito imputatagli. Invece, la sanzione IVA per i €100 di vendite non fatturate colpisce la società (ma se questa non paga, verrà chiesta ai soci).
  • Difesa tipica sulle sanzioni: qui è più materia di contenzioso, ma se ad esempio il contribuente riesce a dimostrare che l’evasione non era volontaria (caso raro), potrebbe chiedere in giudizio la non applicazione delle sanzioni per mancanza di dolo/colpa grave. Oppure utilizzare strumenti deflattivi: se definisce in adesione l’accertamento, la legge prevede una sola sanzione ridotta e valida per tutti (in genere 1/3 del minimo per ciascun socio sulle sue imposte, e 1/3 sul minimo IVA in capo alla società).

Strategie difensive speciali per società di persone:

  • Come già detto, coordinamento tra i soci è la parola d’ordine. Già in sede di contraddittorio, se possibile, conviene che partecipino (o comunque conferiscano delega e istruzioni a) lo stesso professionista, in modo che parli con una voce sola per la società e per tutti i soci. Ciò evita il rischio di dichiarazioni discordanti. Se un socio dovesse “cedere” e accettare l’accertamento (magari con acquiescenza, pagando la sua parte di sanzioni ridotte) mentre gli altri impugnano, si creano situazioni paradossali: il giudice poi dovrebbe decidere e l’esito deve essere uniforme, ma uno ha già pagato – tecnicamente la sua acquiescenza non impedisce agli altri di proseguire, ma in pratica complica. È successo in passato che liti non coordinate abbiano portato la Cassazione ad annullare tutto per rimettere insieme le parti coinvolte . Dunque i soci devono prendere decisioni comuni: o si chiude per tutti (adesione, conciliazione, ecc.) o si va avanti per tutti.
  • Litisconsorzio necessario: in caso di ricorso, è imperativo includere nel giudizio tutti i soggetti interessati (la società e tutti i soci) sin dal primo grado . Il difensore dovrà redigere un ricorso collettivo oppure più ricorsi identici notificandoli a controparte e a tutti i litisconsorti. Una svista su questo punto può portare all’annullamento dell’intero giudizio anche in Cassazione (nullità assoluta rilevabile d’ufficio) , con conseguente perdita di tempo e rischio di dover ripartire daccapo. Quindi, la difesa tecnica in giudizio delle società di persone è più complessa: meglio farsi assistere da professionisti esperti di processo tributario per non incorrere in questi errori procedurali.
  • Profili penali: se l’accertamento riguarda importi elevati, può emergere un profilo penal-tributario (ad es. dichiarazione infedele se l’imposta evasa supera certe soglie, false fatturazioni, ecc.). Per le società di persone, i responsabili penali sono le persone fisiche (amministratori, soci che hanno agito). Questo comporta che la strategia difensiva sul piano amministrativo deve tener conto anche di possibili sviluppi penali (es. se emerge nero rilevante, i soci potrebbero autodenunciarsi con ravvedimento operoso e pagamento per evitare il reato di omessa dichiarazione, se ancora in tempo, oppure valutare la causa di non punibilità per pagamento integrale del debito prima del dibattimento ex art. 13 D.Lgs. 74/2000 nel caso di reati dichiarativi). Questo è un tema trasversale che tocchiamo solo marginalmente: tuttavia, giova ricordare che in fase precontenziosa anche questi aspetti possono influire su decisioni come aderire (magari per ridurre la sanzione ma pagando, il che potrebbe estinguere il reato di dichiarazione infedele se si versa tutto) oppure andare in causa (sapendo però che un avviso definitivo confermato potrebbe essere usato come prova in sede penale). Sono valutazioni delicate, da fare con avvocati penalisti tributari se il caso.

Società di capitali

Le società di capitali (S.r.l., S.p.A., S.a.p.a., cooperative, etc.) presentano caratteristiche ancora diverse: hanno personalità giuridica, pagano l’IRES sul loro reddito e l’IRAP, e i soci sono tassati solo sui dividendi eventualmente distribuiti (o utili extracontabili in certi casi particolari). I soci, salvo casi di abuso o garanzie prestate, non rispondono personalmente dei debiti fiscali della società (responsabilità limitata al capitale conferito, come regola generale). Ciò non di meno, in un accertamento a tavolino su una società di capitali entrano in gioco possibili effetti sui soci attraverso la già menzionata presunzione di utili distribuiti in nero se la compagine sociale è ristretta .

Modalità di accertamento a tavolino sulle società di capitali:

  • Controlli di bilancio e indici di gestione: Le società di capitali, specie se tenute al bilancio, forniscono al Fisco un insieme di dati strutturati (stato patrimoniale, conto economico, nota integrativa per le SPA) che l’Agenzia analizza con appositi software (il cosiddetto “redditometro societario” o “analisi di bilancio”). Vengono calcolati indicatori di redditività, rotazione del magazzino, ecc., e se emergono incongruenze macroscopiche (ad esempio margini lordi negativi per più anni, elevati crediti verso soci non giustificati, patrimoni netti azzerati con soci che continuano a finanziare senza aumenti di capitale formali) l’ufficio potrebbe scegliere di approfondire con un accertamento a tavolino. A differenza delle società di persone, qui l’accertamento riguarda esclusivamente la società come soggetto passivo d’imposta per IRES e IRAP.
  • Contestazioni tipiche: Per le società, oltre alle classiche contestazioni su ricavi non dichiarati e costi indebiti, vi sono fattispecie tipiche:
  • Operazioni tra società e soci o parti correlate: un classico è l’individuazione di utili mascherati da altri movimenti. Esempio: spese personali del socio addebitate alla società (auto di lusso intestata alla società ma usata dal socio per fini privati, casa di proprietà della società data in uso gratuito al socio, ecc.). L’ufficio può in questi casi contestare un reddito diverso in capo al socio (fringe benefit non tassato) e negare il costo in capo alla società (indeducibilità per difetto di inerenza). Un accertamento a tavolino ben può, incrociando archivi (es. PRA per le auto, utenze domestiche, ecc.), scoprire queste situazioni. Difesa tipica: la società deve dimostrare che quelle spese avevano in realtà attinenza con l’attività (es. l’auto è utilizzata anche per rappresentanza, la casa sociale in realtà è adibita a foresteria per clienti etc.), e documentare eventuali contratti (il socio paga un corrispettivo? c’è delibera assembleare che disciplina l’uso?). In mancanza, sarà arduo evitare la ripresa.
  • Sotto-capitalizzazione e finanziamenti soci: se la società presenta un’elevata esposizione debitoria verso i soci (prestiti dei soci non formalizzati) l’ufficio potrebbe sospettare che si tratti in realtà di utili distribuiti non dichiarati, rientrati come finti prestiti, oppure di ricavi non dichiarati che i soci hanno versato. Su questo versante esiste una presunzione (anche se un po’ datata) anti-sotto-capitalizzazione: interessi passivi su finanziamenti soci oltre un certo rapporto rispetto al capitale possono essere riqualificati in dividendi (norma ora ridimensionata, ma concettualmente il fisco sta attento a operazioni atipiche coi soci).
  • Costi infragruppo e transfer pricing domestico: per le Srl o Spa facenti parte di gruppi, l’accertamento a tavolino può riguardare la congruità dei prezzi di trasferimento infragruppo (se sono gruppi internazionali c’è la normativa transfer pricing vera e propria, ma anche nei gruppi nazionali l’Agenzia può contestare costi infragruppo inesistenti o fuori mercato come mezzo per spostare utili dove conviene). Difesa tipica: predisporre adeguata documentazione di supporto (contratti di service, studi di settore che giustificano i margini).
  • Fiscalità differita e operazioni straordinarie: magari meno frequente a tavolino (di solito richiede ispezioni), ma l’ufficio può contestare, esaminando il bilancio, abusi come conferimenti usati per far emergere crediti d’imposta indebiti, trasformazioni societarie con riqualificazioni di riserve, ecc. Sono questioni complesse dove la difesa è prettamente giuridica (si discute se l’operazione era lecita o elusiva).
  • Presunzione di utili extra ai soci (società a ristretta base): Un aspetto di grande rilievo: se la società di capitali ha pochi soci (ad esempio Srl con 2-3 soci familiari), la Cassazione da tempo presume che eventuali utili extrabilancio accertati in capo alla società siano stati immediatamente distribuiti ai soci, salvo prova contraria . Ciò consente all’Agenzia, con lo stesso accertamento (o con atti successivi contestuali), di richiedere ai soci l’IRPEF sui redditi di capitale non dichiarati, oltre a pretendere dalla società l’IRES sull’utile occulto. Esempio: Alfa Srl (due soci 50/50) viene accertata per maggior reddito di €100. L’ufficio emette avviso ad Alfa Srl chiedendo 24% IRES su €100 più sanzioni, e parallelamente emette avvisi ai due soci, ciascuno per €50 di dividendo in nero tassato al loro scaglione IRPEF come reddito di capitale, più sanzioni (o imposta sostitutiva a seconda delle regole). Il “fatto noto” su cui si basa la presunzione è la ristretta base sociale: in società piccole si assume che i soci decidano informalmente di spartirsi subito i proventi occulti .
  • Difesa tipica: La società può tentare di provare che l’utile extracontabile non è stato distribuito, ma reimpiegato nell’attività o accantonato. Tuttavia, la giurisprudenza è severa: la prova contraria deve essere concreta (es. far vedere che quei fondi in nero sono stati trovati nelle casse sociali e reinvestiti in cespiti, il che è raro potendo l’ufficio obiettare: se erano in nero come li tracci?). Spesso, quindi, la difesa dei soci coincide con la difesa della società: si nega l’esistenza stessa di quell’utile extracontabile. Se però l’accertamento sulla società diviene definitivo, i soci devono adeguarsi a pagare la loro quota a meno che trovino elementi per contestare la presunzione (compito difficile). Va detto che in giudizio, i soci possono anche eccepire vizi formali propri dei loro avvisi (ad es. mancata allegazione degli atti dell’accertamento societario, come da obbligo ex art. 42 D.P.R. 600/73 ). Spesso la Cassazione ha cassato accertamenti ai soci perché l’Ufficio non aveva allegato all’atto del socio la copia di quello societario (violando il diritto di difesa del socio) . Quindi, un controllo da fare: se il socio riceve un avviso basato su utili in nero di una società, deve verificare che l’atto richiami e alleghi il provvedimento societario. Se ciò non è avvenuto, può far annullare il suo avviso (resta ovviamente dovuta l’IRES in capo alla società, ma almeno il socio si salva dall’IRPEF).
  • Responsabilità e rischi per l’amministratore: Anche se i soci non rispondono delle imposte societarie in via ordinaria, l’ordinamento prevede casi in cui l’amministratore può essere chiamato a rispondere di sanzioni (ad esempio per omesso versamento di ritenute o IVA, se c’è dolo, possono scattare responsabilità patrimoniali e penali). Inoltre, in caso di comportamenti fraudolenti (come emissione di fatture false), oltre al penale si può avere l’aggressione per il recupero dell’imposta anche a terzi (si pensi all’IVA dovuta da chi ha emesso fatture inesistenti). Questo esula un po’ dallo specifico dell’accertamento a tavolino, ma è bene sapere che il comportamento dell’organo amministrativo incide: se collabora in sede di contraddittorio, fornendo dati corretti, può mitigare la posizione; se ostacola, può peggiorare le cose. Nelle adesioni relative a società di capitali, chi firma l’accordo è il legale rappresentante: attenzione quindi che costui abbia i poteri (se l’adesione comporta obblighi oltre l’ordinaria amministrazione, servirebbe delega assembleare in teoria, ma nella prassi di solito no). Una volta firmata l’adesione, la società deve pagare: se non paga, eventuali rate scadute potranno essere iscritte a ruolo. La riscossione coattiva colpirà la società; i soci solo se hanno prestato garanzie personali oppure in casi di abuso della personalità giuridica (revocatoria o azioni per estensione di responsabilità, comunque non immediate).
  • Concordato preventivo biennale e compliance: Dalla riforma 2023 potrebbe arrivare un nuovo istituto (“concordato preventivo biennale”) che, secondo le prime indiscrezioni, consente alle società con determinati requisiti di “patteggiare” col Fisco il reddito atteso dei due anni successivi, ottenendo in cambio certezza che non verranno fatti accertamenti se rispettano quel concordato . Questo è ancora in fase di attuazione (D.Lgs. 13/2024 citato come “concordato preventivo biennale” ). Se e quando operativo, sarà un meccanismo volontario di compliance che ridurrà il contenzioso per chi aderisce, ma esula dalla difesa “post” accertamento. Lo menzioniamo solo perché è segno di una tendenza a premiare le società “affidabili” (ad esempio con ISA alti) offrendo loro patti preventivi, e di converso concentrare i controlli sulle altre. Quindi, una Srl che mantiene punteggi ISA altissimi per alcuni anni potrebbe avere opportunità di blindare le sue dichiarazioni future con tali strumenti – ciò ridurrebbe la probabilità stessa di accertamenti a tavolino sul breve termine.

Difendere una società di capitali in pratica:

  • Precontenzioso: in sede di contraddittorio, il rappresentante della società (spesso assistito da un commercialista o tributarista) dovrà giocare molte carte tecniche: esibire bilanci e allegati, perizie, delibere, documentazione extracontabile. L’approccio dev’essere professionale: a differenza delle piccole ditte individuali, qui spesso l’Agenzia mette in campo funzionari specializzati che conoscono bilanci e società. È consigliabile presentarsi con una memoria scritta già pronta, che riassuma le controdeduzioni punto per punto (questa memoria poi, se ignorata, costituirà un forte elemento a favore in giudizio, come “motivazione non considerata”).
  • Adesione su avviso: se l’accertamento viene notificato, la società di capitali può presentare istanza di accertamento con adesione entro 60 gg, ottenendo la sospensione. In quel frangente può provare a negoziare una riduzione delle pretese. Attenzione, però: se l’accertamento riguarda imponibili occultati rilevanti, definire in adesione significa ammetterli e pagarli, e questo potrebbe far scattare l’obbligo di segnalazione per aggiustare i bilanci pregressi (in teoria andrebbero fatti bilanci di rettifica, comunicazioni ai sindaci, ecc., anche se raramente accade per importi modesti). Inoltre, se c’è reato, l’adesione e il pagamento integrale entro i termini potrà essere un’causa di non punibilità penale (art. 13 D.Lgs. 74/2000) per alcuni reati tributari, il che è un potente incentivo a sistemare tutto tramite adesione se possibile (evitando la causa penale).
  • Contenzioso: la società di capitali, se decide di impugnare, a differenza delle società di persone non ha litisconsorzio necessario con i soci per il suo reddito (perché i soci non sono coobbligati sul reddito IRES). Tuttavia, se l’Agenzia ha emesso anche avvisi ai soci per utili extracontabili, quelle cause saranno collegate: conviene farle confluire (spesso le si tratta separatamente, ma è preferibile chiedere riunione dei procedimenti per coerenza). Il giudice potrebbe altrimenti emettere sentenze incoerenti (es. accoglie il ricorso della società annullando l’accertamento e, separatamente, rigetta quello dei soci: i soci pagherebbero IRPEF su utili che non esistono più). In genere, le Commissioni Tributarie provvedono a raccordare questi esiti (se la società vince, cade la base per i soci). Ma è bene vigilare.
  • Riscossione frazionata: in caso di giudizio, per le società di capitali valgono le stesse regole generali sulla riscossione frazionata: devono pagare 1/3 delle imposte accertate dopo il primo grado (se perdono) e 2/3 dopo il secondo grado , salvo sospensioni. Quindi, se il contenzioso è su importi grossi, la società deve mettere in conto esborsi parziali in corso di causa, che possono anche essere esiziali se le cifre sono elevate e la liquidità è scarsa. Ciò spinge spesso le società a valutare una conciliazione in secondo grado (dove la sanzione scende al 50% del minimo ) per evitare di andare in Cassazione con il rischio di dover intanto versare tutto.
  • Crisi d’impresa e ruoli: se durante il contenzioso la società entra in crisi o inizia una procedura concorsuale, il debito fiscale accertato può dover essere “congelato” per la durata della procedura. Ad esempio, in concordato preventivo o fallimento, le liti tributarie possono essere sospese. Dal 2022 vi è il Codice della crisi che regola meglio la gestione dei debiti tributari. Ai fini di questa guida, l’importante è sapere che un accertamento divenuto definitivo contro una società di capitali, se non pagato, porta a iscrizione a ruolo e ad azioni dell’Agente della Riscossione (pignoramenti, fermi amministrativi, ipoteche sui beni sociali). I soci in linea di massima non subiscono aggressioni su beni personali (a meno di garanzie o revocatorie se si sono dispersi asset). Ma se la società è vuota, il Fisco può attivare strumenti come l’azione di responsabilità verso gli amministratori (per danno erariale in caso di atti dissipativi) o far valere la teoria dell’abuso di personalità giuridica (se la società era usata per schermo fraudolento), comunque vicende complesse. In sede difensiva, ciò significa che per i soci di società di capitali c’è, a differenza dei soci di persone, la tentazione di “far fallire la società e salvarsi”. Ma attenzione: a volte questo porta costoro a non difendere adeguatamente la società confidando che il fisco non li tocca personalmente. Invece, come visto, in caso di base ristretta verranno colpiti via utili extrabilancio. Inoltre, se emergono reati, i soci/amministratori rispondono penalmente. Quindi non è una strategia davvero risolutiva non difendersi: meglio cercare di contenere il debito fiscale con difese puntuali o definizioni agevolate, piuttosto che ignorare l’accertamento.

Tabelle comparative per categorie: Per completare, proponiamo una breve tabella riepilogativa delle differenze chiave tra le categorie di contribuenti rispetto agli accertamenti a tavolino:

<table> <tr> <th>Profilo</th> <th>Persone fisiche (no impresa)</th> <th>Imprese individuali</th> <th>Società di persone</th> <th>Società di capitali</th> </tr> <tr> <td><strong>Imposte principali coinvolte</strong></td> <td>IRPEF, addizionali (eventuale IVAFE/IVIE su attività estere); imp. registro/successione se pertinenti; <br>IVA solo se consumatore finale (no obbligo dichiarativo).</td> <td>IRPEF (reddito d’impresa o lavoro autonomo), IVA, IRAP (se soggetta). <br> Addizionali IRPEF. Nessuna personalità giuridica separata: imprenditore e impresa coincidono.</td> <td>IRPEF sui soci (redditi da partecipazione trasparente), IVA, IRAP (la società è soggetto passivo IRAP e IVA). <br> Soci persone fisiche dichiarano la quota di reddito societario in IRPEF.</td> <td>IRES (società), IRAP (società), IVA (società). <br> Soci persone fisiche pagano IRPEF solo su dividendi distribuiti (o utili extracontabili presunti se base ristretta). <br>Società ha personalità giuridica e autonomia patrimoniale.</td> </tr> <tr> <td><strong>Tipici controlli a tavolino</strong></td> <td>Sintetico/redditometro;<br> Indagini finanziarie su conti correnti (versamenti inspiegati);<br> Confronto spese vs reddito (es. acquisti immobili, auto);<br> Verifica affitti non dichiarati.<br></td> <td>Analisi ricavi vs acquisti (indici di redditività, ISA);<br> Indagini finanziarie (versamenti e prelevamenti non giustificati);<br> Verifica omessa fatturazione corrispettivi (scontrini elettronici vs dichiarato);<br> Controllo costi dedotti (inerenza) e IVA detratta.</td> <td>Simili a imprese indiv.: <br>Verifica ricavi non contabilizzati, costi fittizi;<br> Controllo movimenti finanziari società e soci (prelevamenti soci dal c/c societario, conti soci e società in parallelo);<br> Parametri di settore/ISA.<br>Attenzione a compensi amministratori, fringe benefit soci.</td> <td>Analisi di bilancio (redditività anomala, perdite sistematiche);<br> Transfer pricing infragruppo; <br> Spese addebitate a soci (auto, immobili ad uso privato);<br> Utili occulti e riserve non dichiarate; <br> Fatture false tra società del gruppo.</td> </tr> <tr> <td><strong>Peculiarità procedurali</strong></td> <td>Contraddittorio obbligatorio prima di accertamento sintetico (nullità se omesso) .<br> Niente litisconsorzio con altri (a meno di contitolarità beni).<br> Mediazione fiscale (fino al 2023) applicabile per valori modesti.</td> <td>Contraddittorio endoprocedimentale obbligatorio (dal 2020).<br> Nessun litisconsorzio, singolo soggetto.<br> Mediazione/reclamo non più previsto dal 2024 .</td> <td>Litisconsorzio necessario tra società e tutti i soci in giudizio (accertamento unitario) .<br> Contraddittorio di fatto con la società (che rappresenta i soci); soci destinatari comunque di avvisi di ripresa quote IRPEF.<br> Invito al contraddittorio obbligatorio verso la società (vale anche per soci se accertati separatamente?).</td> <td>Contraddittorio obbligatorio con la società prima dell’atto (base imponibile IRES/IRAP). <br>Società soggetto autonomo: soci non parte necessari del processo sul reddito societario. <br>Ma soci possono ricevere avvisi per utili non dichiarati (base ristretta) da impugnare separatamente, di solito riuniti. <br>Mediazione non applicabile (abolita dal 2024).</td> </tr> <tr> <td><strong>Strategie difensive specifiche</strong></td> <td>Documentare entrate esenti o disponibilità pregresse (es. risparmi) a giustificazione delle spese contestate.<br> Utilizzare memorie nel contraddittorio redditometrico per spiegare scostamenti.<br> Valutare ravvedimento operoso su redditi dimenticati per evitare accertamento.</td> <td>Dimostrare l’inerenza dei costi contestati e la correttezza ricavi con documenti contabili.<br> Evidenziare eventuali errori dell’ufficio nei calcoli di margini o ricarichi (es. merci invendute, cali tecnici).<br> Coordinare difesa di eventuale coniuge/familiare coadiutore (impresa familiare) se coinvolto.</td> <td>Presentare difese unitarie per società e soci (fronte comune).<br> Curare che tutti i soci siano coinvolti nel ricorso (evitare inammissibilità per litisconsorzio violato) .<br> Enfatizzare eventuale mancanza di prova di distribuzione ai soci degli utili occulti (se utile non è rinvenuto altrove, sostenere reinvestimento in azienda).<br> Sfruttare adesione per ridurre sanzioni in solido.</td> <td>Prevedere difese su due livelli: società per IRES/IVA, soci per eventuali utili extrabilancio. <br>Verificare corretta allegazione atto societario agli avvisi soci (possibile vizio).<br> Portare perizie di terzi a supporto prezzi di trasferimento o valore di beni apporto soci (contro eventuale riqualificazione).<br> In contraddittorio, fornire spiegazioni dettagliate su voci di bilancio anomale (es. crediti vs soci) per prevenire presunzioni negative.</td> </tr> </table>

Questa tabella evidenzia come ogni categoria presenti punti di attenzione diversi: il privato deve concentrarsi su giustificazioni personali di spesa, la piccola impresa sulla tenuta contabile e i margini, la società di persone sull’azione coordinata e l’unità d’intenti tra soci, la società di capitali sulla gestione tecnico-contabile delle prove e sulla prevenzione di contestazioni relative ai rapporti soci-società. In ogni caso, trasversalmente, due costanti difensive sono: (1) fornire al Fisco informazioni e documenti chiari e veritieri già in sede di contraddittorio, in modo da migliorare la propria posizione o preparare il terreno per il giudizio; (2) conoscere i propri diritti procedurali (contraddittorio, termini, nullità) così da farli valere se violati.

Nei capitoli seguenti, passeremo ad esaminare proprio le strategie e gli strumenti di difesa, distinguendo la fase precontenziosa (prima del ricorso, dove rientrano contraddittorio, adesione, autotutela, etc.) dalla fase contenziosa (il ricorso in Commissione/Corte di Giustizia Tributaria e i successivi gradi di giudizio). Successivamente, proporremo un elenco delle strategie difensive più efficaci e ricorrenti, nonché FAQ e casi pratici per rendere più concreta la trattazione.

Difendersi nella fase precontenziosa

La fase precontenziosa è l’insieme delle possibilità di difesa e interlocuzione che il contribuente ha prima di arrivare al contenzioso giudiziario (ossia prima di presentare ricorso al giudice tributario). Agire efficacemente in questa fase è cruciale: molte controversie possono essere risolte o attenuate qui, evitando tempi e costi del processo. Nel contesto di un accertamento a tavolino, la fase precontenziosa tipicamente include:

  • Il contraddittorio endoprocedimentale (invito al contraddittorio) e le osservazioni presentate in tale sede;
  • L’eventuale procedura di accertamento con adesione (sia su invito dell’ufficio che su istanza del contribuente);
  • L’eventuale scelta di acquiescenza all’accertamento (accettazione integrale con pagamento delle somme ridotte);
  • Il ricorso a strumenti di autotutela da parte dell’Amministrazione finanziaria (annullamento o rettifica dell’atto d’ufficio, su istanza del contribuente o d’iniziativa dell’ente);
  • (Fino al 2023) la procedura obbligatoria di reclamo-mediazione per le liti minori, che però – come visto – è stata abolita a decorrere dai ricorsi notificati dal 2024 . Pertanto, per atti emessi oggi non è più prevista come tappa necessaria (restano però possibili, in fase processuale, le conciliazioni di cui diremo più avanti).

Analizziamo questi strumenti uno per uno, focalizzandoci sulle modalità con cui il contribuente può utilizzarli per difendersi efficacemente durante un accertamento a tavolino.

Contraddittorio e risposta all’invito

Il contraddittorio preventivo è stato già ampiamente trattato: qui ci concentriamo sulle mosse difensive da compiere durante questa fase. Quando arriva un invito a comparire o uno schema di accertamento (ex art. 6-bis L. 212/2000) , il contribuente deve innanzitutto:

  1. Leggere attentamente l’atto: capire esattamente cosa viene contestato (quali redditi, quali annualità, quali elementi probatori cita l’ufficio). Può essere utile farsi assistere subito dal proprio commercialista o legale tributarista, per valutare la fondatezza delle contestazioni.
  2. Raccogliere la documentazione pertinente: qualsiasi elemento che possa confutare o spiegare la pretesa fiscale. Ad esempio, se contestano versamenti su conto, predisporre estratti conto e magari documenti che provano la causale (contratti di mutuo, lettere accompagnatorie). Se contestano costi indeducibili, raccogliere contratti, fatture e prove che dimostrino l’inerenza e la reale esecuzione delle prestazioni.
  3. Predisporre uno schema di argomentazioni difensive: è consigliabile mettere per iscritto, punto per punto, le proprie controdeduzioni, citando eventualmente norme o circolari a proprio favore e allegando i documenti probanti. Questa memoria scritta servirà sia da base per il colloquio orale, sia da consegnare all’ufficio (così resta agli atti).
  4. Partecipare all’incontro (se previsto) con atteggiamento collaborativo ma fermo sui propri diritti. Durante il contraddittorio:
  5. Esporre in modo chiaro i fatti, evitando divagazioni. Esempio: “Riguardo al versamento di €20.000 del 10 marzo 2023 sul conto X, si tratta di restituzione di un finanziamento familiare come da bonifico allegato; non è un ricavo non dichiarato.”.
  6. Ascoltare con attenzione le osservazioni del funzionario. Talvolta loro stessi potrebbero suggerire una via: ad esempio “questo costo se mi porta un ulteriore documento potrei considerarlo”. Prendere nota di eventuali richieste integrative.
  7. Non firmare verbali contenenti ammissioni non veritiere. Se viene redatto un verbale di contraddittorio, leggere bene prima di firmare: se il funzionario ha riportato male le vostre dichiarazioni, chiedere correzione. Il verbale farà fede di quanto detto, quindi occhio alle parole.
  8. Consegnare la memoria scritta e farsi rilasciare ricevuta. Se il funzionario non la vuole ricevere formalmente, si può anche spedirla via PEC all’ufficio il giorno stesso (così resta protocollata).
  9. Richiedere (se opportuno) un rinvio o un termine per integrare documenti: se sul momento non si ha tutto, si può chiedere di depositare integrazioni entro qualche giorno. L’ufficio di solito concede, purché entro i 60 giorni totali.
  10. Dopo l’incontro: inviare eventualmente una lettera riepilogativa se ci si rende conto di non aver espresso chiaramente qualcosa, o se emergono nuovi elementi. Finché l’accertamento non è emesso, si può sempre trasmettere all’ufficio ulteriore documentazione.

Obiettivo in contraddittorio: convincere l’ufficio a non emettere l’atto o ad emettere un atto “ridotto”. In alcuni casi, portare buone argomentazioni può indurre il funzionario a rivedere i rilievi. Ad esempio, se inizialmente contestava 100 di imponibile e grazie alle spiegazioni riconosce la validità di 30, può finire per contestarne 70. Oppure, se i chiarimenti sono pienamente soddisfacenti, l’ufficio potrebbe archiviare il controllo (non è frequentissimo ma possibile, specie per rilievi minori o palesi errori iniziali).

Se l’ufficio si mostra irremovibile: nonostante il contraddittorio, può capitare che i funzionari rimangano sulle loro posizioni. In tal caso, il contribuente deve già mettere in conto i passi successivi (adesione o ricorso). Comunque, aver fatto contraddittorio non è mai inutile: se l’atto verrà emesso e impugnato, il contribuente potrà far leva sul fatto che l’ufficio ha disatteso le sue difese – e se non le ha confutate nell’avviso (motivazione carente) questo sarà un argomento in più .

Suggerimento pratico: se possibile, avere un professionista esperto al fianco nel contraddittorio è consigliabile, perché a volte i contribuenti da soli, per emotività o inesperienza, rischiano di rilasciare dichiarazioni sfavorevoli (“sì, in effetti quei ricavi non li ho dichiarati perché pensavo non servisse” – affermazione disastrosa che poi resta a verbale!). L’avvocato o il commercialista può guidare la conversazione e prevenire ammissioni indebite, pur senza mai suggerire di mentire (chiaramente si deve mantenere correttezza: mai fornire dati falsi, sarebbe reato). Si tratta di presentare i fatti nel modo fiscalmente più favorevole, che è ben diverso dal travisarli.

Accertamento con adesione (istanza e svolgimento)

Se il contraddittorio non ha risolto la questione e l’ufficio notifica l’avviso di accertamento, il contribuente ha ancora la possibilità di rimediare senza andare in giudizio: può presentare un’istanza di accertamento con adesione entro 60 giorni dalla notifica dell’atto . Questa è una scelta importante e va fatta preferibilmente con l’assistenza di un consulente, valutando pro e contro. Vediamo il procedimento e come difendersi in adesione:

  • Presentazione dell’istanza: va inviata all’ufficio che ha emesso l’avviso (di solito Direzione Provinciale dell’Agenzia delle Entrate) una domanda in carta libera in cui si manifesta la volontà di attivare la procedura di adesione ex D.Lgs. 218/97. Nell’istanza è utile indicare brevemente i punti su cui si intende discutere o se si chiede l’esame di documenti non considerati. L’istanza può essere inviata via PEC o tramite consegna a mano/protocollo. Da quando l’ufficio riceve l’istanza, si sospendono automaticamente per 90 giorni i termini per fare ricorso . Questo dà respiro.
  • Convocazione da parte dell’ufficio: Di norma, entro tali 90 giorni l’ufficio inviterà il contribuente a un appuntamento (se l’ufficio tardasse oltre 90gg, di fatto l’adesione non preclude poi di ricorrere, ma in genere convocano). Se non convoca, il contribuente potrebbe anche sollecitare. Attenzione: se il contribuente non si presenta il giorno fissato, la sospensione di 90 giorni continua comunque ad operare (come confermato da Cassazione) , quindi ha comunque guadagnato tempo – ma ha perso l’occasione di discutere.
  • Svolgimento della trattativa: L’adesione è un negoziato. Quindi, ci si siede a tavolino (stavolta metaforicamente e letteralmente) con i funzionari e si discute su cifre. È diverso dal contraddittorio pre-accertamento: qui l’atto c’è già, l’ufficio parte da quell’importo e il contribuente cerca di farlo ridurre. Potrebbe accadere:
  • Il contribuente porta nuovi elementi che convincono l’ufficio che l’accertamento è eccessivo: l’ufficio può quindi proporre una riduzione (ad esempio abbattendo alcuni rilievi).
  • Oppure il contribuente riconosce in parte il dovuto, ma chiede uno “sconto” su alcune voci dubbie. L’ufficio valuta fin dove può spingersi (tenete conto che i funzionari hanno margini di discrezionalità limitati da circolari, ma su questioni fattuali qualche spazio esiste).
  • Spesso la “mediazione” in adesione porta a trovarsi “a metà strada” su taluni imponibili controversi. Esempio: accertati ricavi non dichiarati per 100, il contribuente dice zero, ci si accorda su 50.
  • Si discute anche di sanzioni: ma queste in adesione per legge sono fisse ad 1/3 del minimo . Quindi non c’è da contrattare percentuali, è predeterminato. Però l’importo finale delle sanzioni dipende dall’imponibile concordato. Dunque riducendo l’imponibile, calano le sanzioni proporzionalmente.
  • Importante: nessun rilievo può peggiorare in adesione rispetto all’avviso. Cioè l’ufficio non può dire “ah, già che ci siamo le contesto anche quest’altra cosa che mi era sfuggita e aumentare la pretesa”. L’adesione è per definizione sulla base di quanto già accertato (casomai diminuisce).
  • L’ufficio redige un verbale delle sedute di adesione. Nel caso si arrivi ad un accordo, verrà predisposto l’atto di adesione vero e proprio, con indicati i tributi e importi concordati, l’ammontare delle sanzioni ridotte e il totale da pagare.
  • Decisione finale: il contribuente non è obbligato ad accettare la proposta dell’ufficio. Se la ritiene iniqua, può rifiutare e interrompere la procedura. Finché non firma l’atto di adesione, è libero di ritirarsi. Viceversa, se si raggiunge un accordo soddisfacente:
  • L’ufficio stampa l’atto di adesione in duplice copia. Il contribuente (o il suo procuratore) lo firma, e il direttore dell’ufficio o funzionario delegato lo controfirma. Da quel momento (firma di entrambe le parti) l’accordo è perfezionato per l’ufficio. Al contribuente residua l’obbligo di pagamento (entro 20 giorni la prima rata o l’unica soluzione) per perfezionarlo definitivamente .
  • Se il pagamento non avviene nei termini, l’adesione decade e si torna all’accertamento originario (con sanzioni intere), salvo l’ufficio iscriverà a ruolo direttamente quelle somme con una penalità aggiuntiva del 45% circa .
  • Se invece paga correttamente, la questione è chiusa: non può più fare ricorso e l’ufficio non può più chiedere altro su quelle annualità (salvo nuovi elementi estranei, ma in genere no).
  • Difendersi in adesione – consigli pratici: L’adesione è un’arte negoziale. Alcuni suggerimenti:
  • Conoscere i propri punti di forza e debolezza: prima di sedersi, il contribuente col suo difensore deve avere chiaro fino a che punto insistere. Se ci sono rilievi indifendibili (es. un reddito non dichiarato palesemente, con prova schiacciante), tanto vale cedere su quello e magari chiedere flessibilità su altri. Se ci sono rilievi dove il contribuente ha buone chance in giudizio, può farlo presente: “Su questo punto siamo convinti di avere ragione per X motivi, se andiamo in giudizio lo faremo valere” – messaggio: su questo rilievo o lo togliete o niente accordo.
  • Usare la leva del contenzioso: L’ufficio sa che se l’adesione fallisce, si va in causa e c’è il rischio che il contribuente vinca, oltre al fatto che tempi si allungano e incassi incerti. Quindi, soprattutto per importi medio-bassi, spesso l’ufficio è disposto a transigere, per incassare subito e ridurre carico di lavoro. Far capire di essere pronti a fare ricorso (se è vero) può incentivare concessioni.
  • Valutare l’impatto del pagamento: il consulente deve calcolare, sulla base delle ipotesi di accordo, quanto il contribuente dovrà pagare (anche tenendo conto di possibili rate). Bisogna essere realisti: se l’ufficio propone una chiusura che comporta un esborso comunque insostenibile per il contribuente, firmare sarebbe inutile perché poi non riuscirebbe a pagare (e decadrebbe tutto). In tal caso meglio non aderire, provare col ricorso e magari in caso di perdita chiedere rate a riscossione. In adesione non si possono ottenere più di 8 rate trimestrali (o 16 se >50mila €) – circa 2 anni (o 4 anni). Se l’importo è enorme, 4 anni possono essere pochi. Non c’è trattativa su questo: è normato.
  • Considerare gli effetti sulla fedina penale tributaria: se l’accertamento configura reati (ad es. superamento soglia di imposta evasa di 100k o 150k, a seconda del reato), allora aderire e pagare integralmente le somme dovute prima del dibattimento estingue i reati di dichiarazione infedele o omessa (art. 13 D.Lgs. 74/2000) . Quindi, se si è in quell’ambito, chiudere in adesione può evitare guai giudiziari. Questo è un fattore da mettere sul piatto: in adesione il contribuente potrebbe essere disposto a concedere di più sul piano economico pur di risolvere l’aspetto penale. Ovviamente, va valutato con un avvocato penalista se effettivamente i reati sussistono e se l’adesione basterà (la norma chiede pagamento integrale: con adesione c’è comunque uno sconto sulle sanzioni, il che non dovrebbe pregiudicare l’effetto, in quanto “integrale” va inteso su imposte e interessi; la giurisprudenza ha ritenuto che la definizione agevolata soddisfa la causa di non punibilità).
  • Documentare l’accordo: se nell’incontro si arriva ad una bozza di intesa, accertarsi che l’atto di adesione riporti esattamente quanto concordato. Leggerlo bene prima di firmare. Dovrebbe contenere la nuova base imponibile, le imposte ricalcolate e le sanzioni (1/3 del minimo) per ogni tributo. Inoltre, se previsto, l’indicazione che le sanzioni penali non si applicano (questo a dire il vero l’atto di adesione non lo menziona, è un effetto di legge).
  • Focus sugli interessi: nell’atto di adesione l’ufficio inserisce anche gli interessi dal debito originario fino alla data di adesione. Non c’è sconto su quelli, sono dovuti per legge per intero. Sono un pezzetto del conto finale da non trascurare. Vanno calcolati circa al tasso legale (varia anno per anno). Ad esempio, su 1000 € evasi 3 anni fa, gli interessi possono essere 50-60 €. Non altissimi di solito, ma comunque da considerare.
  • Dopo l’adesione: adempiere al pagamento! In genere l’atto di adesione viene consegnato insieme ai modelli F24 precompilati per versare. Prima rata entro 20 giorni. Le successive trimestrali con interessi di rateazione (tasso modesto). Attenzione: non saltare le rate. Se capita un imprevisto e non si paga una rata, si può ancora pagare entro la successiva scadenza aggiungendo un interesse di mora (se si salta definitivamente, come detto, l’intero residuo va a ruolo con sanzioni piene più una penalità del 45%). Quindi schedulare bene i pagamenti.

In definitiva, l’adesione è una sede dove più che difendersi in senso oppositivo, ci si accomoda con l’Amministrazione. È una difesa negoziata, da usare quando si vuole chiudere velocemente e si è pronti a concedere qualcosa. Se invece il contribuente ritiene l’accertamento totalmente infondato e non vuole pagare nulla in più, l’adesione non avrà successo – in tal caso tanto vale passare direttamente al ricorso.

Acquiescenza all’accertamento

L’acquiescenza è la scelta di non impugnare l’avviso di accertamento e pagare quanto richiesto, beneficiando però di una riduzione delle sanzioni. È disciplinata dall’art. 15 del D.Lgs. 218/1997 e consente al contribuente di “arrendersi” immediatamente alle pretese del Fisco, in cambio di una riduzione a 1/3 delle sanzioni irrogate . In concreto:

  • Per fare acquiescenza, il contribuente deve pagare entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso sia l’imposta accertata sia gli interessi e le sanzioni ridotte a 1/3. In alternativa può chiedere rateazione (le stesse regole dell’adesione: 8 rate trimestrali o 16 se importo grosso). Il pagamento (o la prima rata) entro i 60 giorni vale come formale acquiescenza.
  • Non è necessario inviare comunicazioni all’ufficio: il pagamento eseguito con i codici tributo specifici (che l’avviso stesso indica per l’ipotesi di pagamento ridotto in acquiescenza) costituisce accettazione dell’accertamento. L’atto così diviene definitivo.
  • Quando conviene l’acquiescenza? Conviene se:
  • L’accertamento, a giudizio del contribuente e magari dei consulenti, è in effetti corretto o comunque non vale la pena contestarlo (es. importi modesti, prove contro di noi schiaccianti).
  • Non si è riusciti o voluti attivare l’adesione, o l’adesione è fallita, e ancora si vuole chiudere la questione senza andare in giudizio.
  • Il contribuente ha la liquidità per pagare rapidamente (o accesso a rate). Se non riesce a pagare, fare acquiescenza per poi non eseguire il pagamento non ha senso: l’atto diventerebbe definitivo con sanzioni intere se non si versa entro i 60 gg.
  • Vantaggi: la sanzione all’1/3 invece che in misura piena. Ad esempio, se la sanzione per infedele dichiarazione era al 100% dell’imposta evasa, in avviso magari viene irrogata al minimo 90%. Con acquiescenza paga il 30% (1/3 di 90). Questo può significare risparmi notevoli sulle sanzioni, specie su violazioni più gravi (per omessa dichiarazione, minimo 120%: 1/3 = 40%).
  • Svantaggi: ovviamente si rinuncia a qualsiasi contestazione. È un “game over” accettato. Non c’è trattativa: si paga tutto il tributo e interessi. Quindi l’acquiescenza ha senso solo se il contribuente effettivamente riconosce di dover pagare quelle imposte (o se, pur non riconoscendolo al 100%, ritiene di non avere chance in giudizio e preferisce ridurre i danni).
  • Acquiescenza parziale sulle sanzioni: esiste una particolare forma di acquiescenza limitata alle sanzioni. Se il contribuente intende fare ricorso solo sul merito delle imposte ma non vuole rischiare di pagare sanzioni piene, può pagare le sole sanzioni ridotte a 1/3 entro 60 giorni, e poi impugnare l’accertamento limitatamente ai tributi . In questo modo:
  • Se in giudizio perde anche sui tributi, le sanzioni non verranno richieste oltre quanto già pagato (ha “messo al sicuro” il 1/3).
  • Se vince sui tributi (accertamento annullato o ridotto), avrà diritto al rimborso delle somme pagate (incluso quel terzo di sanzioni). Ma almeno non rischiava di dover poi pagare i 2/3 residui più spese aggiuntive.
  • È una strategia intermedia per chi vuole fare causa sul principio ma intanto limitare l’esposizione sulle sanzioni.
  • Tecnicamente, si presenta ricorso indicando che si è fatta acquiescenza sulle sanzioni e si contesta solo l’an debeatur (il tributo). Il pagamento del 1/3 sanzioni deve avvenire nei 60gg come detto .
  • Difesa e acquiescenza: compiere acquiescenza non è propriamente una “difesa” – è anzi la rinuncia a difendersi in giudizio. Però può essere la mossa giusta in termini economici in certi casi. Dal punto di vista psicologico, molti contribuenti sono reticenti ad ammettere e preferiscono tentare ricorsi anche con poche speranze, finendo per pagare di più poi. Un avvocato onesto e un commercialista coscienzioso devono consigliare l’acquiescenza quando appare la soluzione meno onerosa e più pragmatica per il cliente, evidenziandone i benefici (risparmio di sanzioni e chiusura rapida) .
  • Non applicabilità dell’acquiescenza: se l’accertamento è stato preceduto da invito al contraddittorio obbligatorio ex art. 5-ter (nel regime 2020-2023) e non c’è stata adesione, la legge vietava di chiedere accertamento con adesione successivo. In quel caso, però, l’acquiescenza rimaneva possibile. Anche nel regime nuovo, nulla vieta l’acquiescenza se uno vuole chiudere subito. Non è invece possibile l’acquiescenza per atti diversi dagli accertamenti (es. cartelle, atti di recupero crediti d’imposta – lì ci sono altre definizioni agevolate talvolta).

In sintesi, consigli pratici: prima di far decorrere i 60 giorni, valutare sempre l’opzione acquiescenza: se appare sensata, effettuare il pagamento e archiviare la questione. Se si vuole fare acquiescenza parziale (solo sanzioni) perché si ha intenzione di impugnare sui tributi, fare il pagamento 1/3 sanzioni e predisporre comunque il ricorso entro i termini, con l’ausilio di un esperto che imposti correttamente la questione (per evitare equivoci su cosa si impugna e cosa no). La giurisprudenza ammette questa scissione , ma il ricorso va formulato con attenzione.

Autotutela

L’autotutela è il potere/dovere dell’Amministrazione finanziaria di annullare, rettificare o revocare i propri atti riconosciuti illegittimi o infondati, senza bisogno di intervento del giudice. Può avvenire d’ufficio o su istanza del contribuente. In materia di accertamenti, l’autotutela può essere un rimedio assai utile soprattutto per errori palesi o casi di sovrapposizione.

La normativa sull’autotutela si è evoluta: oggi lo Statuto del Contribuente (L. 212/2000) prevede sia un’autotutela obbligatoria in casi tassativi (art. 10-quater) che un’autotutela discrezionale (art. 10-quinquies) .

  • Autotutela obbligatoria (art. 10-quater L. 212/2000) :
  • L’ufficio deve annullare in tutto o in parte l’atto quando riconosce esistere errori manifesti quali: errore di persona (accertato al soggetto sbagliato), errore di calcolo, sbaglio sull’individuazione del tributo (ad es. tassata IRPEF una cosa soggetta a imposta diversa), errore materiale riconoscibile dal contribuente (ad es. scritta due volte la stessa addizione), errore sul presupposto d’imposta (tassato qualcosa che per legge non doveva), pagamenti già eseguiti e non considerati, mancata considerazione di documenti presentati in termini (se ad es. il contribuente aveva fornito un documento e l’ufficio se l’è perso) . Questi casi, se segnalati, obbligano l’ente ad attivarsi in autotutela. Anche se nulla vieta lo faccia d’ufficio, spesso è il contribuente che li porta alla luce con un’istanza.
  • L’autotutela obbligatoria può essere esercitata anche se l’atto è definitivo, pure in pendenza di giudizio (ma in tal caso il processo continua salvo rinuncia del ricorso) e persino dopo sentenza passata in giudicato favorevole al fisco (entro 1 anno dalla definitività dell’atto) .
  • I funzionari non hanno discrezionalità qui: se ravvisano l’errore devono correggere, e non temono responsabilità salvo dolo (cioè se volutamente favoriscono il contribuente, cosa improbabile qui) .
  • Autotutela facoltativa (art. 10-quinquies L. 212/2000) :
  • Fuori dai casi obbligatori, l’ufficio può annullare o revocare un atto se lo reputa illegittimo o infondato nel merito. È la vecchia autotutela “in senso ampio”. Esempio: il contribuente fa ricorso presentando prove robuste, l’Agenzia può valutare di annullare lei l’atto evitando di andare in giudizio a perdere. Oppure emergono nuovi fatti (una sentenza di Cassazione che risolve la questione a sfavore del fisco).
  • È discrezionale: l’ufficio valuta l’interesse pubblico (es. evitare un contenzioso perso, uniformità di trattamento, ecc.) e può decidere di accogliere l’istanza del contribuente. Non c’è obbligo, e il contribuente non può fare ricorso contro il diniego di autotutela (è atto non impugnabile).
  • Il funzionario non incorre in responsabilità salvo dolo (stessa tutela dell’obbligatoria) . Quindi dovrebbe sentirsi abbastanza libero di correggere errori grossolani.

Come e quando chiedere autotutela in un accertamento a tavolino:

  • Prima del ricorso: Il contribuente, ricevuto l’avviso, può presentare un’istanza di autotutela all’ufficio, elencando gli errori riscontrati e chiedendo l’annullamento/riforma. Tipicamente, se c’è tempo, conviene farla subito dopo la notifica, in modo da dare all’ufficio la chance di rispondere entro i 60 giorni (così, se rispondesse negativamente, il contribuente può comunque ricorrere entro il termine). Attenzione però: l’istanza di autotutela non sospende né i termini di pagamento né quelli di ricorso. Quindi va presentata senza fare affidamento su di essa per i termini: se i 60 giorni stanno per scadere e l’ufficio non ha annullato, occorre comunque fare ricorso (salvo eventuale definizione con adesione o acquiescenza).
  • Dopo il ricorso: Anche quando è incardinato un giudizio, si può sempre presentare istanza di autotutela (magari se escono fuori nuovi elementi o se la giurisprudenza muta a favore). L’ufficio potrebbe ancora accogliere e annullare l’atto, facendo cessare la materia del contendere. Ad es., è successo a volte con contenziosi su errori di calcolo: l’ufficio in appello si accorge dell’errore e annulla in autotutela parziale l’atto riducendo il dovuto.
  • Errori palesi da far valere subito: Esempi di situazioni per cui chiedere autotutela:
  • L’avviso è intestato a soggetto sbagliato (es. omonimia); oppure notificato a un indirizzo errato, ma su quest’ultimo punto se è comunque arrivato potrebbe essere sanato.
  • L’ufficio ha conteggiato due volte la stessa fattura tra i ricavi; oppure ha applicato un’aliquota d’imposta sbagliata.
  • Il contribuente aveva in contraddittorio presentato la prova di un pagamento già fatto, e l’avviso lo ignora (mancata considerazione di documentazione): questo rientra tra i casi obbligatori .
  • L’avviso arriva oltre i termini di decadenza (questione a volte dibattuta in giudizio, ma se è clamorosamente oltre termine, l’ufficio in teoria dovrebbe annullare d’ufficio per decadenza).
  • Limitazioni: Non si può sperare che l’autotutela venga usata per questioni di interpretazione controversa o valutazioni complesse di merito: l’ufficio difficilmente ammette di avere torto su questi a tavolino. Però se c’è, ad esempio, una nuova circolare dell’Agenzia che riconosce un certo trattamento più favorevole, l’istanza va fatta presente.

Come scrivere l’istanza di autotutela: deve essere molto chiara e circostanziata. Non un trattato generico di lagnanze, ma: – indicare gli estremi dell’atto (protocollo, data notifica, contribuente interessato); – elencare i motivi specifici per cui l’atto è errato/illegittimo (magari richiamando proprio i casi di art. 10-quater: “errore di calcolo: si veda che nel prospetto a pag. 3 l’ufficio ha sommato 50+50=120” – esempio banalissimo, ma rende l’idea); – allegare la documentazione a supporto (se utile, es: prova del pagamento fatto non considerato). – richiedere espressamente l’annullamento totale/parziale in autotutela e l’eventuale sgravio delle somme.

Esito dell’istanza: Può accadere: – L’ufficio risponde con provvedimento di annullamento (raramente totale, magari parziale: ridetermina l’imposta e annulla in parte l’avviso). In tal caso l’atto originario viene sostituito. Se avevate già fatto ricorso, converrà rinunciare per cessata materia (attenzione a farvi dare un atto formale di annullamento o un nuovo avviso sgravato da allegare al giudice). – L’ufficio risponde con diniego motivato. In genere, se ritiene di avere ragione, risponde che non accoglie l’istanza. Questo diniego, come detto, non è impugnabile autonomamente (non c’è un diritto all’autotutela su cui fare causa). A quel punto al contribuente resta solo il ricorso (se già non l’aveva presentato). – L’ufficio non risponde affatto entro i 60 giorni: silenzio. Il silenzio vale come rigetto implicito, ma anche quello non è impugnabile. Si deve procedere col ricorso (se scadenza imminente, anche senza aspettare). – A volte, specie su errori palesi, l’ufficio può direttamente correggere l’atto in sede di controdeduzioni al ricorso in Commissione: di fatto riconosce l’errore e chiede al giudice annullamento parziale. Questo non è proprio autotutela (perché lo fa il giudice poi), ma è una forma di “resa”.

Rapporto con il contenzioso: La presentazione di un’istanza di autotutela non interrompe né sospende i termini di ricorso . Il contribuente deve dunque gestirla in parallelo: chiedere autotutela, ma se vicino alla scadenza, depositare ricorso per sicurezza. Eventualmente si potrà abbandonare il ricorso se l’autotutela viene concessa dopo.

In generale, l’autotutela è uno strumento da tentare quando si evidenziano errori obiettivi o situazioni di chiara illegittimità formale. Non costa nulla provarci (se ben argomentata), e può far risparmiare un contenzioso. Tuttavia, mai affidarsi solo all’autotutela tralasciando i rimedi “attivi” (adesione, ricorso), perché l’autotutela è aleatoria e il suo rigetto non è contestabile. Può essere un’arma in più nella cassetta degli attrezzi difensivi precontenziosi.

Reclamo e mediazione (aboliti dal 2023)

Prima del 2024, per le controversie di valore fino a 50.000 €, il contribuente era tenuto – prima di andare in udienza – a presentare un ricorso che valeva anche come reclamo all’Agenzia, per tentare una mediazione. Dal 2023 questa fase è stata eliminata (come visto, il D.Lgs. 220/2023 ha abrogato l’art. 17-bis D.Lgs. 546/92) , con decorrenza per i ricorsi notificati dal 1° gennaio 2024 . Quindi, oggi, il reclamo-mediazione non è più un passaggio obbligato per i nuovi accertamenti. Vale la pena menzionarlo solo per atti del passato o per comprendere come mai c’è stata questa modifica:

  • Il reclamo-mediazione era di fatto un “doppione” dell’adesione per le liti minori, ma gestito dall’ufficio legale dell’ente invece che dall’ufficio controlli. Ha prodotto risultati modesti (solo ~30% di esiti positivi) e richiedeva tempo e risorse. Perciò il legislatore l’ha sacrificato, confidando su contraddittorio e conciliazione in giudizio come strumenti migliori .
  • Per un contribuente che aveva un accertamento a tavolino da 30.000 € nel 2022, ad esempio, la trafila era: contraddittorio, magari adesione non fatta o fallita, ricorso in Commissione che fungeva anche da reclamo -> l’ufficio trattava, se non accordo si andava in contenzioso. Ora per un caso simile nel 2025: contraddittorio, eventuale adesione, poi direttamente ricorso e udienza.
  • Dal punto di vista difensivo attuale, non c’è più una fase precontenziosa obbligatoria dopo l’eventuale insuccesso dell’adesione: si passa al giudizio. Resta comunque possibile la conciliazione in corso di causa (come vedremo nel prossimo capitolo), che è facoltativa.

In conclusione di questa sezione, possiamo dire: la fase precontenziosa offre vari strumenti (contraddittorio, adesione, acquiescenza, autotutela) che, se ben sfruttati, spesso risolvono o riducono drasticamente il contenzioso. È nell’interesse del contribuente usarli con intelligenza. In particolare:

  • Mai ignorare le comunicazioni del Fisco: rispondere sempre a un invito o a un questionario, anche solo per chiedere più tempo. Il silenzio del contribuente in pre-contenzioso è controproducente: peggiora la sua posizione in eventuale giudizio (il giudice potrebbe chiedersi perché non ha detto nulla quando poteva).
  • Valutare realisticamente la propria posizione: ammettere eventuali errori e puntare semmai a ridurre danni (adesione) se palesi, oppure se convinti di avere ragione, preparare il terreno del ricorso (documentare tutto nel contraddittorio in modo da far emergere nel futuro ricorso l’eventuale carenza di motivazione dell’avviso).
  • Rispettare i termini: 60 giorni passano in fretta. Se si avvia l’adesione, usare bene i 90 giorni di sospensione per negoziare ma tenere d’occhio che si arrivi a conclusione entro quel periodo. Se si chiede autotutela, non aspettare oltre i 60 per fare ricorso confidando in una risposta che potrebbe non arrivare.
  • Documentare, documentare, documentare: tutto ciò che si scambia col Fisco in precontenzioso dovrebbe lasciare traccia (memorie protocollate, PEC conservate, verbali firmati). Così se poi c’è contenzioso, quel materiale potrà essere usato come prova.

Nel prossimo capitolo vedremo come difendersi nella fase successiva, quella contenziosa, ovvero come impostare il ricorso in Commissione Tributaria (ora Corte di Giustizia Tributaria di primo grado) e quali strumenti esistono durante il processo (come la conciliazione giudiziale) per eventualmente chiudere la lite in maniera favorevole o transattiva. Analizzeremo anche i profili di pagamento frazionato, oneri probatori e così via in giudizio, completando il quadro della difesa del contribuente.

Difendersi nella fase contenziosa

La fase contenziosa si apre quando il contribuente decide di impugnare l’avviso di accertamento davanti all’organo giurisdizionale competente, ossia la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (denominazione attuale degli ex “Commissioni Tributarie Provinciali” dopo la riforma del 2022). In genere si ricorre al contenzioso quando non è stato possibile risolvere in via amministrativa la controversia o quando il contribuente ritiene l’accertamento profondamente errato e preferisce affidare la decisione a un giudice terzo. Affrontare il contenzioso richiede una strategia ben pianificata, tenendo conto sia degli aspetti procedurali sia di quelli sostanziali.

Esaminiamo i principali passi e strumenti difensivi durante il processo tributario:

Presentazione del ricorso e inizio della causa

  • Termini e forma del ricorso: Il ricorso va presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto (salvo sospensioni dovute ad adesione, come visto) . Esso va indirizzato alla Corte di Giustizia Tributaria (CGT) competente per territorio (di regola, quella della provincia del domicilio fiscale del contribuente per atti dell’Agenzia Entrate). Dal 2023, la notifica del ricorso avviene di norma via PEC all’ente impositore (se ha domicilio digitale pubblicato) e il deposito è telematico sul Portale Giustizia Tributaria. Il ricorso deve contenere: le generalità del ricorrente, l’ente convenuto, gli estremi dell’atto impugnato, i motivi specifici su cui si fonda la domanda (i motivi di impugnazione), l’eventuale valore della lite, la richiesta finale (conclusioni), la firma del difensore e la procura (se non si sta in proprio). Va allegata copia dell’atto impugnato e della ricevuta di notifica dello stesso.
  • Assistenza tecnica: Il contribuente può stare in giudizio personalmente solo per controversie di valore inferiore a €3.000 (imposte, al netto sanzioni e interessi) . Oltre tale soglia, è obbligatorio farsi assistere da un difensore abilitato (avvocato, dottore commercialista, esperto contabile, consulente del lavoro o soggetti equiparati). In pratica, per accertamenti a tavolino, spesso gli importi superano 3k, quindi quasi sempre ci sarà un difensore. La recente riforma (D.Lgs. 119/2022) ha confermato queste soglie.
  • Litisconsorzio e ricorsi cumulativi: Se l’accertamento coinvolge più soggetti con un unico atto (es. coobbligati solidali, oppure socio e società di persone con atti dipendenti), vanno rispettate le regole del litisconsorzio necessario come detto . Spesso conviene fare un ricorso unico con più ricorrenti (se c’è comunanza di situazioni di fatto e diritto), oppure ricorsi separati ma poi chiederne la riunione. La presentazione del ricorso è il momento giusto per curare questi aspetti: includere tutti i soggetti necessari per evitare nullità future.
  • Istanza di sospensione (sospensiva): La proposizione del ricorso non sospende automaticamente la riscossione dell’atto impugnato, a meno che si tratti di somme diverse da tributi principali e interessi (in realtà oggi dopo l’introduzione dell’accertamento esecutivo, la regola è che la notifica del ricorso sospende la riscossione oltre 1/3, ma 1/3 dell’imposta va comunque pagato – vedi oltre) . Per evitare che l’ente riscossore proceda durante il processo (per la parte non protetta dal pagamento frazionato), il contribuente può presentare un’istanza di sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato, solitamente contestualmente al ricorso.
  • Bisogna motivare l’istanza dimostrando il fumus boni iuris (cioè che il ricorso non è infondato in modo palese, c’è una ragionevole controversia) e soprattutto il periculum in mora (cioè che dall’esecuzione immediata deriverebbe un danno grave e irreparabile al contribuente, ad esempio difficoltà finanziaria seria) .
  • La CGT fissa un’udienza ad hoc in tempi brevi (oggi la legge dice entro 30 giorni dalla richiesta la sospensiva va trattata, con 5 giorni liberi di preavviso alle parti) . In tale udienza si discute sulla sospensione. Se accolta, l’ente non può procedere a riscuotere finché pende la causa (o fino a eventuale revoca).
  • Ad esempio, se il contribuente rischia il pignoramento dei conti e dimostra che ciò bloccherebbe la sua attività, il giudice può sospendere la riscossione.
  • In un contenzioso da accertamento a tavolino, chiedere la sospensiva è quasi d’obbligo se le somme contestate sono rilevanti e non già bloccate da normative di riscossione frazionata. Serve allegare documenti finanziari (bilanci, conti economici, magari l’estratto di ruolo se l’atto è intanto diventato esecutivo) per provare il danno.
  • Pagamento frazionato durante il ricorso: Normativa importante: l’avviso di accertamento è divenuto esecutivo, ciò significa che decorsi 60 giorni, l’ente può affidare le somme a riscossione (con obbligo di preavviso di 30gg). Tuttavia, se il contribuente presenta ricorso, vige la regola della riscossione frazionata:
  • Il contribuente deve intanto versare un terzo delle imposte accertate (e relativi interessi) entro il termine di impugnazione , salvo che ottenga sospensione. Se perde in primo grado, dovrà versare un ulteriore terzo (raggiungendo i due terzi) . Dopo l’appello, pagherà l’eventuale residuo in base alla sentenza . Le sanzioni pecuniarie sono invece sospese fino a sentenza di primo grado (se favorevole al fisco) .
  • In pratica: presentare ricorso non evita di dover pagare subito una parte dell’accertamento (1/3 imposte). Questa è una differenza rispetto al passato (prima del 2011, il ricorso sospendeva automaticamente la riscossione fino a sentenza di primo grado per la parte eccedente il 50%, adesso c’è l’esecutività immediata).
  • Se il contribuente omette di pagare quel terzo, l’agente della riscossione potrà procedere su quella porzione, a prescindere dal processo in corso. Dunque, è essenziale o pagare, o ottenere la sospensiva da parte del giudice su quell’importo, dimostrando la gravità del danno (non sempre concessa).
  • Ricordiamo che per tributi locali non vige la riscossione frazionata, ma qui parliamo di accertamenti Agenzia Entrate, quindi sì.
  • Impatti strategici: il contribuente, quando decide di ricorrere, deve considerare questo onere finanziario. Se non ha liquidità per versare il terzo, deve confidare in una sospensiva (non garantita) o valutare altri percorsi. Ciò spinge ancor di più a definire in adesione se possibile, perché almeno in adesione paga con sanzioni ridotte e rate più lunghe, invece il terzo in pendenza di giudizio va in 60 giorni ed è su imposta piena.

Svolgimento del processo e prove

  • Costituzione in giudizio e controdeduzioni dell’ente: Dopo aver presentato ricorso (ora telematicamente), il contribuente si costituisce depositando telematicamente l’originale del ricorso (già fatto se presentato via portale, o al più entro 30gg dalla notifica se l’ha notificato via PEC). L’ente impositore (Agenzia Entrate) si difende depositando entro 60 giorni le proprie controdeduzioni (memoria di risposta) con eventuale documentazione aggiuntiva.
  • Scambio di memorie: Con la riforma del processo tributario, oggi sono previsti termini più stringenti per il deposito di memorie illustrative e repliche (il tutto deve avvenire prima dell’udienza secondo scadenze: 30 giorni prima memorie di parte ricorrente e resistente, 15 giorni prima memorie di replica, 5 giorni prima documenti di parte se richiesti dal giudice). Il processo tributario resta tendenzialmente “documentale”, con la decisione basata su atti e memorie scritte.
  • Onere della prova: Una novità introdotta dal 2022 (D.Lgs. 130/2022) è la codificazione dell’onere probatorio a carico dell’amministrazione per le violazioni contestate . Quindi ora la legge prevede espressamente che il Fisco debba provare in giudizio le ragioni oggettive della pretesa impositiva e delle sanzioni, pena l’annullamento dell’atto se la prova manca, è contraddittoria o insufficiente . Questo principio era già affermato dalla giurisprudenza, ma ora è scritto. Ciò significa che in contenzioso il contribuente deve sottolineare qualsiasi lacuna probatoria dell’ente:
  • Se l’accertamento si basa su presunzioni, verificare se hanno i requisiti di gravità, precisione e concordanza (per tributi non armonizzati) o quantomeno robustezza (per IVA c’è il discorso del contraddittorio).
  • Se l’ufficio non ha fornito in giudizio determinati documenti (es: PVC da cui trae rilievi), eccepire la cosa, perché senza quei documenti la pretesa è probatoriamente monca.
  • L’onere della prova spetta al fisco per i fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria, mentre il contribuente ha l’onere delle prove contrarie o liberatorie (es: provare che un versamento sul conto non era reddito ma prestito). Quindi in giudizio il contribuente deve comunque portare avanti le sue prove difensive, ma parte dal vantaggio che se il fisco non prova adeguatamente i propri assunti, il giudice deve annullare l’atto.
  • La legge dice che il giudice annulla l’atto se manca prova o è contraddittoria o insufficiente . Ciò rafforza l’importanza del contraddittorio: se l’ufficio ha ignorato spiegazioni plausibili, la sua pretesa risulta magari “insufficiente”.
  • Mezzi di prova e novità sulla testimonianza: Tradizionalmente, nel processo tributario la testimonianza orale era vietata. La riforma ha introdotto la possibilità di una “testimonianza scritta” , ossia il giudice può ammettere la prova testimoniale mediante dichiarazioni scritte ex art. 257-bis c.p.c., se lo ritiene necessario ai fini della decisione . Tuttavia:
  • Non può vertere su fatti attestati da pubblici ufficiali in atti con fede privilegiata (es. processo verbale GdF: non si può testimoniare per contestare i rilievi fattuali dei verbalizzanti se non portando elementi diversi) .
  • Questa è una novità significativa (decorre da settembre 2023). Significa che, ad esempio, se un contribuente ha un terzo che può confermare circostanze decisive (tipo: “ho prestato io quei soldi al contribuente, ecco come”), il giudice potrebbe ammettere la testimonianza scritta di costui.
  • Il modulo testimoniale viene notificato al testimone e poi depositato digitalmente . Non è ancora chiaro quanto i giudici ammetteranno spesso testimonianze, ma è uno strumento in più.
  • Per il difensore del contribuente, significa che in casi opportuni andrà richiesto espressamente al giudice di voler far testimoniare Tizio su fatto X. Il giudice decide e, se acconsente, si segue la procedura.
  • Perizie e consulenza tecnica: Non c’è divieto di perizia di parte (che anzi può essere prodotta come documento a sostegno). È possibile richiedere al giudice l’ammissione di consulenza tecnica d’ufficio (CTU) se occorrono valutazioni specialistiche (es: determinare il valore di magazzino, analisi contabili complesse, ecc.). I giudici tributari storicamente ammettono raramente CTU, ma con la riforma che professionalizza le corti forse saranno più aperti. Sta al difensore motivare l’utilità di una CTU.
  • Ad esempio, in un accertamento basato su ricarichi medi, una CTU contabile potrebbe riscontrare che i calcoli dell’ufficio sono errati e rifare la contabilità. Non comune, ma possibile.
  • Udienza e trattazione: Il processo può essere definito con o senza pubblica udienza. Fino a poco tempo fa molte decisioni erano “scritte” (senza comparizione); ora la riforma incentiva la discussione orale. Il contribuente/difensore può chiedere espressamente l’udienza pubblica. In udienza, si può svolgere una breve arringa riassuntiva (la memoria scritta di solito è già agli atti, quindi serve per enfatizzare i punti cruciali e rispondere eventualmente a eccezioni dell’Ufficio). Dopo l’udienza, il collegio giudicante decide e deposita la sentenza.
  • Sentenza di primo grado: Può accogliere integralmente il ricorso (annullando l’atto), accoglierlo parzialmente (annullamento parziale o rideterminazione imposte) o rigettarlo (atto confermato) . Dalla pubblicazione, decorre il termine (30 giorni se notifica di parte, 6 mesi altrimenti) per l’appello alla CGT di secondo grado (ex Commissione Regionale) da parte soccombente.
  • Se la sentenza vede il contribuente vincitore, potrà chiedere il rimborso delle somme pagate (1/3 già versato, etc.) se l’Agenzia non appella (o dopo esito definitivo se appellata).
  • Se perde, come detto, deve versare un ulteriore terzo dell’imposta (arrivando a 2/3) entro 60 giorni dalla notifica della sentenza se l’ufficio la notifica (o entro il termine lungo se l’ufficio non notifica ma comunque vuole appellare il contribuente).
  • Le sentenze di primo grado sono esecutive (ma tanto in caso di tributi erariali c’è già l’esecutività dell’avviso).
  • Costi e spese di giudizio: Avviare un contenzioso comporta costi fissi: il contributo unificato (che varia con il valore della lite: es. €30 fino a 3k valore, €120 per valore 5-25k, etc.). Più il compenso del difensore (che può variare molto; in caso di vittoria spesso viene chiesta la rifusione).
  • La riforma del 2022 ha introdotto anche un principio sulle spese: se il ricorrente non ha seguito i principi di chiarezza e sinteticità negli atti (p.es. ricorso prolisso e confuso), il giudice può aumentare le spese a suo carico . Quindi conviene fare ricorsi ben scritti e concisi.
  • Sulle spese legali, i giudici tributari storicamente compensavano spesso (ognuno paga le sue). Ora c’è tendenza a condannare la parte soccombente. Dunque, se il contribuente vince completamente, può vedersi riconosciuto il rimborso delle spese di difesa (di solito liquidate secondo parametri forensi). Se vince parzialmente, spesso spese compensate o divise.
  • Questo è importante: un contribuente che ha ragione potrebbe non dover sopportare il costo del suo avvocato se il giudice gli dà torto.

Strumenti deflattivi in corso di causa: conciliazione giudiziale

Durante il processo, c’è un ulteriore strumento per trovare un accordo: la conciliazione giudiziale. Anche questo è stato potenziato di recente . In sintesi:

  • La conciliazione può essere fuori udienza (istanza congiunta di accordo depositata dalle parti) o in udienza (istanza di parte, con invito del giudice a conciliare, e redazione di verbale) . Può essere totale (chiude l’intera lite) o parziale (si concilia solo su alcuni capi, e il resto va a sentenza).
  • Novità: anche la Corte stessa può farsi promotrice di una proposta conciliativa . Il giudice può formulare una proposta alle parti, se appare opportuno, basandosi su giurisprudenza o equità. Le parti possono accettare o meno. La proposta del giudice non è vincolante né se rifiutata causa ricusazione (la legge dice che non può essere motivo di ricusazione la proposta) .
  • Iter pratico: se le parti raggiungono un accordo, redigono un accordo conciliativo con le somme dovute e modalità di pagamento. Questo accordo viene omologato dal giudice con una sentenza che dichiara cessata la materia del contendere .
  • Benefici per il contribuente:
  • Sanzioni ridotte ulteriormente: in caso di conciliazione in primo grado, le sanzioni si applicano al 40% del minimo di legge . (In secondo grado 50%, in Cassazione 60%) . Quindi, se in adesione era 30%, in conciliazione è 40%. Meno vantaggiosa dell’adesione per sanzioni, ma magari l’accordo riguarda anche il quantum delle imposte.
  • Rateazione: anche per la conciliazione si può pagare ratealmente come nell’adesione (fino a 8 rate o 16 se importi grandi) . Si deve versare la prima rata entro 20 giorni dalla firma.
  • Il processo finisce lì, e le spese di giudizio sono per legge compensate salvo diverso accordo (di solito ognuno le sue, a meno che nell’accordo abbiano previsto qualcosa).
  • Quando conciliare? Spesso è utile se:
  • Emergono elementi nuovi in causa che portano l’ufficio a dubitare di vincere, quindi preferisce chiudere con una riduzione.
  • Il contribuente percepisce rischio di soccombenza e vuole evitare di pagare 100% sanzioni e interessi a fine giudizio; allora propone uno sconto in cambio di chiudere subito.
  • In appello, ad esempio, dopo una sentenza di primo grado sfavorevole, la conciliazione può essere utile: in secondo grado sanzioni ridotte al 50%.
  • Esempio: contribuente ha perso in primo grado e rischia di pagare €50k di imposte e €45k di sanzioni. In appello propone di pagare €40k imposte e sanzioni ridotte del 50% (supponiamo €15k). L’ufficio, per evitare Cassazione e incertezze, potrebbe accettare. Il contribuente risparmia €40k (tra imposte e sanzioni).
  • Differenze con adesione: Conciliazione avviene con il giudizio già in corso, davanti al giudice (anche se l’accordo è tra le parti).
  • Le sanzioni sono leggermente meno scontate (40% vs 30%), però se si arriva in conciliazione di solito è perché in adesione non c’era accordo; magari col processo in atto il Fisco si ammorbidisce.
  • Un vantaggio: la conciliazione può intervenire anche in secondo grado (sanzioni 50%). In adesione dopo la sentenza non esiste, uno deve pagare tutto.
  • Con la conciliazione il contribuente evita di proseguire fino in Cassazione, con ulteriori costi e incertezza.
  • Procedura: la parte interessata (contribuente o ufficio) può avanzare una proposta di conciliazione. Se controparte accetta, si redige l’accordo e il giudice lo ratifica. Bisogna calcolare bene le somme e includere tutto nell’accordo (imposte, interessi, sanzioni ridotte, eventuali spese legali se pattuite).
  • Responsabilità e disciplina interna: Un tempo alcuni funzionari erano restii a conciliare per timore di dover giustificare la “rinuncia a parte del tributo”. Ormai esistono linee guida interne e obiettivi: la conciliazione è incentivata (anche perché riduce pendente contenzioso). Quindi se la proposta del contribuente appare ragionevole, gli uffici oggi sono più propensi ad accettare, specie dopo una sentenza di primo grado incerta.

In definitiva, dal punto di vista difensivo: – Non chiudere la porta alle soluzioni transattive anche in corso di giudizio. Mostrarsi disponibili a conciliare a volte spinge l’ufficio a dimezzare pretese pur di incassare subito. – Tenere a mente le scadenze: la conciliazione è possibile fino a che la causa non è decisa (dopo non si può). – Non aver timore di farlo anche in Cassazione (anche se in Cassazione può riguardare solo aspetti quantificabili, non questioni di diritto puro). – In caso di conciliazione parziale, la controversia proseguirà per i punti non conciliati.

Appello e ricorso in Cassazione

Se la sentenza di primo grado non soddisfa (contribuente soccombente o parzialmente), si può ricorrere in secondo grado presso la CGT di secondo grado (ex Commissione Tributaria Regionale). Molte delle considerazioni fatte per il primo grado valgono anche qui: però nel giudizio d’appello: – Non si possono presentare nuovi motivi rispetto a quelli di primo grado, salvo quelli derivanti dalla sentenza (es. impugnare il capo di sentenza su spese). – Si possono però produrre nuove prove se rilevanti e non addotte prima per cause non dipendenti dalla volontà (in generale il giudizio d’appello può arricchirsi di elementi, ma l’oggetto resta quello definito in primo grado). – L’onere della prova rimane al fisco e valgonoi stessi principi. – L’appello va proposto entro 60 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado (o 6 mesi se non notificata), con contributo unificato maggiore (il doppio). – La sospensione dell’atto impugnato in primo grado non copre automaticamente il secondo grado: se l’atto non era esecutivo grazie a sospensiva e il fisco appella, conviene chiedere una nuova sospensiva in appello (il giudice può sospendere l’esecutività della sentenza impugnata, per evitare che l’Agenzia chieda intanto il pagamento). – La sentenza d’appello è esecutiva: se il contribuente vince, l’ufficio dovrebbe rimborsargli le somme (anche se spesso aspetta eventuale ricorso in Cassazione); se perde, deve pagare il residuo dovuto (dopo la seconda sentenza la riscossione può avvenire per l’intero, salvo conciliazioni in Cassazione). – Ricorso per Cassazione: si può ricorrere entro 60gg/6 mesi dalla notifica della sentenza d’appello. Però in Cassazione le questioni deducibili sono solo di diritto (violazioni di legge, vizi di motivazione ora ridotti con la riforma del 2012 a motivazione apparente). Non si rivede il merito. – Serve un avvocato cassazionista. Contributo unificato ancora maggiore. – La Cassazione può accogliere il ricorso (annullando la sentenza d’appello) o rigettarlo. Se annulla, di solito rinvia a un nuovo giudice di secondo grado per riesame (tranne casi di annullamento senza rinvio se la causa è definibile direttamente). – Le pronunce di Cassazione formano precedente, utile per altri casi. Se c’è una Cassazione a Sezioni Unite su punto analogo, è quasi una vittoria assicurata per il contribuente se lo richiama e il caso coincide , ecc. – Durante Cassazione, di regola la riscossione non è sospesa (bisogna chiedere eventualmente sospensiva alla stessa Cassazione, ma assai raramente concessa). – Poche cause arrivano in Cassazione ormai (si cerca di definire prima), ma in materie di principio sì.

Costi e benefici del contenzioso: – Il contribuente deve sempre valutare il rapporto costi/benefici di proseguire. Se in primo grado vince su quasi tutto, l’Agenzia magari appellerà; a quel punto conviene conciliare (ha già avuto ragione in primo, l’Agenzia magari riduce il contenzioso). Se in primo grado perde completamente, bisogna stimare le chance di ribaltare in appello (se basse, forse conviene conciliare se possibile). – Il tempo: un processo tributario può durare anni (2-3 anni primo grado, 2 secondo, 2 Cassazione, e intanto paghi un terzo subito, un altro terzo dopo primo grado, ecc.). Il contribuente deve avere la tenuta finanziaria e psicologica. A volte definire prima può essere preferibile per tornare a concentrarsi sul business.

In conclusione di questa sezione, difendersi in sede contenziosa significa: – Predisporre un ricorso solido e chiaro, focalizzato sui vizi dell’accertamento (fattuali e legali). – Rispettare tutte le formalità procedurali (notifica tempestiva, litisconsorzio, iscrizione a ruolo, memorie). – Documentare bene le proprie argomentazioni e sfruttare eventuali mezzi di prova ora ammessi (testimonianza scritta, CTU). – Valutare costantemente la possibilità di accordi (conciliazione) come exit strategy vantaggiosa. – Gestire i pagamenti in pendenza di giudizio (attenersi ai 1/3, 2/3, o chiedere sospensione se rischio). – E ovviamente, avere una buona conoscenza o farsi assistere da specialisti dell’iter processuale tributario, data la tecnicità.

Con questa panoramica, abbiamo coperto la difesa sia prima sia durante il contenzioso. Ora, passiamo a riepilogare le strategie difensive più efficaci in generale, quelle “best practices” che un contribuente alle prese con un accertamento a tavolino dovrebbe seguire, e successivamente forniremo risposte sintetiche ad alcune domande frequenti, oltre a presentare casi pratici simulati per rendere più concreto tutto il discorso.

Strategie difensive più efficaci

In base a quanto esposto, possiamo sintetizzare alcune strategie difensive chiave che si sono rivelate efficaci nella pratica contro gli accertamenti a tavolino. Queste strategie, in parte già anticipate nei vari capitoli, rappresentano i “pilastri” su cui costruire la difesa, tenendo presente l’obiettivo finale: ridurre o annullare la pretesa fiscale contestata, evitando al contempo sanzioni indebite e salvaguardando la continuità finanziaria del contribuente. Ecco le strategie:

1. Giocare d’anticipo: cooperazione attiva nel contraddittorio – Non attendere passivamente l’avviso definitivo, ma sfruttare al massimo la fase del contraddittorio preventivo. Ciò significa presentarsi all’invito con le idee chiare e documenti alla mano, fornire spiegazioni dettagliate e veritiere, e mettere agli atti memorie scritte con tutte le proprie argomentazioni . Questa cooperazione attiva spesso consente di chiarire malintesi o errori dell’ufficio prima che diventino “solidificati” in un atto formale, e inoltre pone le basi di un’eventuale futura difesa (se l’ufficio ignora tali chiarimenti, il contribuente avrà un elemento a suo favore: potrà lamentare in giudizio il difetto di motivazione o l’ingiustificato rigetto di prove) . In sintesi: partecipare al contraddittorio preparati e propositivi è la prima e più efficace strategia, perché a volte risolve la questione sul nascere o la circoscrive fortemente.

2. Documentare ogni fatto con prove solide – La difesa tributaria è essenzialmente difesa documentale. Ogni affermazione del contribuente (soprattutto se contraria a presunzioni del Fisco) deve essere corroborata da pezze giustificative. Ad esempio: accertamento sintetico basato sul possesso di un immobile? Fornire atto di mutuo o donazione che spiega come l’ha finanziato. Contestazione di ricavi non dichiarati? Mostrare registri o altre evidenze che ridimensionano la ricostruzione. In sede di adesione o di giudizio, presentare perizie di parte se necessarie (ad es. una perizia contabile che evidenzi errori di calcolo dell’ufficio, oppure una perizia di settore per dimostrare che un margine di profitto ritenuto anomalo è invece comune nella specifica attività). Mai basarsi su mere dichiarazioni orali o giustificazioni vaghe: nel dubbio, produrre il documento! Se un documento non esiste, valutare se è possibile procurarselo (richieste a banche, dichiarazioni scritte di terzi, etc. – ora persino la testimonianza scritta può essere ammessa, quindi ottenere dichiarazioni giurate da terzi può tornare utile) . Una difesa ben documentata mette il Fisco nell’angolo, poiché, come detto, dal 2023 il giudice annulla l’atto se la prova del Fisco è insufficiente o contraddittoria . E poche cose rendono insufficiente la prova del Fisco quanto dei documenti che contraddicono i suoi assunti.

3. Individuare e sfruttare i vizi procedurali (contraddittorio, notifica, motivazione) – Molti accertamenti vengono annullati non tanto sul merito ma per vizi formali o procedimentali. Ad esempio: – Omissione del contraddittorio quando era dovuto (specie per atti emessi prima del 2020 o accertamenti parziali senza motivata urgenza): se l’ufficio non ha attivato il confronto e doveva, è un vizio che il giudice può sanzionare con nullità . Anche nel regime odierno, se l’ufficio dovesse notificare un avviso senza schema d’atto e non fosse un caso di esenzione, quell’atto è annullabile quasi automaticamente . Quindi il difensore deve sempre verificare: c’era obbligo di contraddittorio? È stato rispettato? Se no, sollevare subito l’eccezione. – Notifica irregolare o tardiva: controllare le date. L’avviso è stato notificato oltre i termini di decadenza? Se sì, l’atto è nullo (decadenza), a meno di sospensioni straordinarie (es. Covid). Oppure: è stato notificato a un indirizzo sbagliato e ricevuto per caso? Ci sono cause di nullità sanabile o insanabile? Ad esempio, se notificato al contribuente presso un luogo non suo e ricevuto da estranei, quell’atto potrebbe non fare fede come notificato. Questi aspetti di notifica sono tecnici, ma a volte risolutivi. – Carenza di motivazione: La legge (art. 7, L. 212/2000) richiede che l’avviso di accertamento contenga i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche su cui si fonda, e se ha disatteso osservazioni del contribuente, deve confutare sinteticamente quelle (motivazione “rafforzata”) . Se l’atto è apodittico o generico, o copia-incolla standard non calibrato sul caso, il difensore può eccepire la nullità per motivazione insufficiente. Specie se in contraddittorio erano stati forniti elementi ignorati: l’omessa motivazione sulle deduzioni del contribuente è vizio rilevante . Ad esempio, accertamento sintetico senza menzionare affatto le giustificazioni fornite: Cassazione ha più volte annullato per ciò. – Violazione di norme procedurali specifiche: es. mancato rispetto dei 60 giorni dopo PVC (art. 12, c.7 L. 212/2000) , oppure emissione di accertamento parziale al di fuori dei presupposti. Il difensore deve conoscere questi aspetti e farli valere. Tali vizi a volte non emergono immediatamente al contribuente, perciò rivolgersi a un esperto aiuta a scovarli.

4. Controllare calcoli e dati: l’errore materiale è dietro l’angolo – Sembra banale, ma moltissimi accertamenti contengono errori di calcolo o di valutazione. Esempi reali: somma di imponibili sbagliata, applicazione di sanzioni duplicata, periodi d’imposta confusi, travisamento di una cifra (magari scambiati zeri), considerazione di pagamenti come non fatti quando invece risultano eseguiti. Una strategia difensiva efficace è rifare i conti dall’inizio, ricostruendo l’accertamento passo passo. Se si trovano errori, segnalarli all’ufficio subito (istanza di autotutela obbligatoria, come visto) e poi al giudice. L’errore di calcolo riconosciuto porta almeno a un’annullamento parziale in autotutela o in giudizio (il giudice può rettificare l’atto sui punti di mero calcolo anche senza annullarlo tutto). Questo può ridurre sensibilmente le somme. Ad esempio, se l’ufficio ha dimenticato di detrarre un costo documentato e ciò incide su imposta, far rifare i conti col costo abbassa imposta e sanzioni correlate. Non dare mai per scontato che l’Agenzia abbia fatto i conti giusti – verificarli riga per riga.

5. Presidiare la riscossione: chiedere sospensioni o rateazioni per evitare danni – Dal punto di vista pratico, la difesa non è solo nel merito ma anche nel gestire i pagamenti. Ecco alcune mosse difensive: – Se si presenta ricorso e le somme sono elevate, chiedere la sospensione dell’esecutività dell’atto (sospensiva) illustrando bene le ragioni . Una sospensiva concessa evita pignoramenti durante il giudizio. – Nel frattempo, rateizzare i carichi eventualmente già a ruolo: se l’Agenzia Entrate Riscossione notifica una cartella (ad esempio per il primo terzo dovuto), il contribuente può chiedere la dilazione (fino 72 rate standard, o 120 se grave e comprovata difficoltà). Questo non incide sul ricorso (pagare a rate non significa rinuncia, in caso di vittoria verrà sgravato il residuo e restituite le quote pagate). Evita però disagi di cassa. – Considerare procedure di sovraindebitamento o accordi col Fisco se l’importo è enorme e il contribuente oggettivamente non potrà mai pagare: a volte, accettare la pretesa e poi ricorrere a definizioni agevolate (condoni, rottamazioni) è una strategia in senso lato. Ad esempio, la “tregua fiscale” 2023 ha permesso di definire taluni accertamenti con sanzioni 1/18 ; chissà che in futuro non ricapitino misure simili. Un contribuente informato può coglierle. Anche l’istituto della transazione fiscale (nel quadro di crisi d’impresa) permette, se ricorrono i presupposti, di chiudere con forte sconto ma questa è un’eventualità estrema (insolvenza conclamata). – In sostanza, evitare di subire le azioni esecutive: reagire proattivamente, con strumenti legali (sospensive, rateizzazioni, richieste di proroga per adesione, ecc.), fa parte della strategia difensiva tanto quanto vincere nel merito.

6. Conoscere la giurisprudenza e la normativa aggiornata – La materia tributaria è in evoluzione costante. Una difesa efficace si alimenta delle ultime sentenze di Cassazione, anche della Corte Costituzionale, e delle Direttive europee e relative pronunce UE. Ad esempio: – Se c’è una sentenza della Corte Costituzionale o Cass. Sez. Unite che ha dichiarato illegittimo un certo comportamento del Fisco (come nel 2015 per il contraddittorio IVA , o nel 2020 su oneri della prova), inserirla come fulcro della difesa. Citare puntualmente precedenti simili vinti. – Se normative cambiate migliorano la posizione del contribuente, argomentare l’applicazione analogica o l’interpretazione adeguatrice. Ad esempio, oggi il contraddittorio è regola: anche per fatti del passato, si può rileggere la normativa precedente alla luce dei nuovi principi (molti giudici lo fanno). – Usare le circolari dell’Agenzia a favore: è vero che non sono legge, ma se una circolare riconosce qualcosa di utile (ad es. una particolare deducibilità o procedura) , citarla vincola in un certo senso l’ufficio (per principio di affidamento). – Seguire l’evoluzione legislativa: come abbiamo fatto in questa guida, sapere che dal 2024 il reclamo non c’è più, che dal 2023 c’è l’art. 6-bis sul contraddittorio, che c’è il Codice Giustizia Tributaria nuovo con testimoni scritti, ecc. Questo può aprire strade che prima non c’erano.

7. Curare la strategia complessiva caso per caso – Ogni accertamento è diverso: occorre una strategia personalizzata. Riassumendo alcune direzioni possibili: – Attacco frontale sul merito, se si hanno prove valide che il Fisco ha torto: allora spingere su quelle e non cedere. Questo comporta prepararsi a portare la questione fino al giudice e oltre, ma se la si vince si annulla tutto. – Transazione intelligente, se si riconosce qualche torto: cercare di definire prima (adesione) o in giudizio (conciliazione) ottenendo il massimo sconto realisticamente ottenibile. È inutile andare in Cassazione per avere poi forse uno sconto minore di quello che oggi l’ufficio concederebbe: qui serve pragmatismo. – Guadagnare tempo legalmente, se il contribuente ha bisogno di diluire l’impatto: allora utilizzare adesione (dà 90gg in più e rate), ricorso (dà anni di iter e forse rottamazioni future), chiedere sospensive. Il tempo può portare opportunità (condoni, migliori capacità di pagamento, ecc.). – Divide et impera, se l’accertamento include tanti rilievi: focalizzarsi sui più deboli (farli eliminare) e concedere sui più forti per chiudere. Così si restringe il campo e magari l’importo.

In ogni caso, affidarsi a professionisti competenti è esso stesso una strategia: un occhio esperto può individuare soluzioni che al profano sfuggono. Ad esempio, un avvocato tributarista può notare che quell’accertamento identico è stato annullato in Cassazione di recente e usare quell’argomento decisivo; oppure un commercialista può rifare la contabilità e scoprire che in realtà l’evasione è la metà di quella calcolata.

Abbiamo dunque completato l’analisi strategica. Nel complesso, la difesa efficace del contribuente-debitore contro un accertamento a tavolino consiste in un mix di conoscenza tecnica, tempestività di azione e capacità negoziale. Non esiste la bacchetta magica valida per tutti: bisogna adattare l’approccio alle circostanze, senza mai perdere di vista i due obiettivi fondamentali del contribuente: 1. Pagare il giusto (o non pagare se non dovuto) – cioè evitare richieste illegittime o sproporzionate. 2. Pagare in condizioni sostenibili – cioè evitare che l’azione del Fisco comprometta l’attività d’impresa o il patrimonio familiare oltre il necessario.

Con queste strategie in mente, passiamo ora a una sezione di Domande e Risposte Frequenti (FAQ), utile a chiarire in forma sintetica i dubbi più comuni sui temi trattati, e successivamente proporremo alcune simulazioni pratiche per vedere in azione quanto discusso.

Domande frequenti (FAQ)

Di seguito riportiamo alcune delle domande più frequenti in materia di accertamento a tavolino e relative difese, con le risposte concise dal punto di vista del contribuente. Questa sezione aiuta a riepilogare punti salienti in forma di Q&A.

  • D: Che cos’è in poche parole un “accertamento a tavolino”?
    R: È un controllo fiscale svolto dall’ufficio dell’Agenzia delle Entrate senza ispezioni presso il contribuente, basato su dati e documenti disponibili o richiesti. In pratica, il Fisco “riconta” dichiarazioni e movimenti stando in ufficio (da cui a tavolino) e, se trova discrepanze, notifica un avviso di accertamento con cui chiede più imposte .
  • D: Quali garanzie ho di essere ascoltato prima che l’accertamento venga emesso?
    R: Dal 2020 in avanti, l’ufficio deve sempre invitarti al contraddittorio (fissando un incontro o chiedendo memorie) prima di emettere l’avviso . Se non lo fa (e non c’è un caso eccezionale di urgenza), l’accertamento è viziato e potrai farlo annullare . Dunque hai diritto di esporre le tue ragioni e fornire prove prima che la pretesa diventi definitiva.
  • D: Mi è arrivato un invito al contraddittorio: è obbligatorio andarci?
    R: Non è obbligatorio per legge “presenziare”, ma è fortemente consigliato. Se ignori l’invito, l’ufficio emetterà l’atto presumendo che non avevi nulla da opporre, e poi in giudizio sarai in posizione più debole (il giudice si chiederà perché non hai risposto) . In più, non partecipando perdi l’opportunità magari di risolvere tutto lì. Quindi, a meno che l’invito sia su un tema insignificante già chiarito, presenta sempre le tue osservazioni.
  • D: L’Agenzia delle Entrate può emettere accertamenti a tavolino anche senza inviarmi prima un questionario o richiesta?
    R: Prima del 2020 sì, spesso arrivavano avvisi senza preavviso per tributi come IRPEF (non armonizzati). Oggi, no: per un avviso “pieno” deve prima inviarti lo schema d’atto/invito (eccetto accertamenti parziali o casi di rischio per la riscossione) . Quindi, di norma, un questionario o un invito ti arriva prima. Fanno eccezione i controlli automatici (che non sono veri accertamenti).
  • D: Qual è la differenza tra accertamento a tavolino e verifica della Guardia di Finanza?
    R: La verifica GdF è un controllo sul posto: i verificatori accedono in azienda, controllano libri, fanno riscontri fisici, e redigono un processo verbale (PVC). L’accertamento a tavolino è condotto dall’ufficio senza accesso: tipicamente analizzano le dichiarazioni e le incrociano con altri dati (banche, catasto, ecc.) . In pratica, la verifica è “in loco e invasiva”, l’a tavolino è “da remoto e su carte”. Va detto che spesso la GdF svolge verifiche da cui scaturiscono accertamenti dell’ufficio: in quel caso, la differenza si assottiglia perché l’ufficio recepisce il PVC e fa l’atto.
  • D: Che succede se non rispondo a un questionario dell’Agenzia delle Entrate?
    R: Conseguenze negative: intanto puoi subire una sanzione (da €250 a €2.000) per mancata risposta a richiesta istruttoria. Inoltre, se poi ti accertano, il tuo silenzio può essere valutato come elemento a tuo sfavore. In giudizio la Cassazione ritiene che il silenzio su questionario legittima presunzioni meno rigorose contro di te. Quindi è davvero controproducente non rispondere. Meglio rispondere anche solo chiedendo più tempo, piuttosto che ignorare.
  • D: L’accertamento con adesione e l’invito al contraddittorio sono la stessa cosa?
    R: No, ma sono collegati. L’invito al contraddittorio è l’atto con cui l’ufficio ti convoca per discutere l’accertamento prima di emetterlo . L’accertamento con adesione è invece la procedura di accordo vero e proprio: può avviarsi su invito o su tua richiesta dopo un avviso notificato, e si conclude con un atto di adesione se trovate un accordo . In sostanza: il contraddittorio è il dialogo, l’adesione è l’esito possibile (accordo) di quel dialogo. Puoi avere contraddittorio senza adesione (se non c’è intesa), e adesione senza contraddittorio “formale” (se fai richiesta tu dopo l’avviso).
  • D: Dopo la firma di un atto di adesione posso impugnarlo se trovo errori?
    R: No, l’accertamento con adesione una volta perfezionato (firmato da te e dal dirigente e pagato quanto dovuto) è definitivo e non più impugnabile . Stai di fatto rinunciando al ricorso. Se poi ti accorgi di un errore di calcolo nell’adesione, puoi solo chiedere all’ufficio un ricalcolo (ma è interesse anche loro correggerlo se palese). Ma non puoi fare ricorso in Commissione contro un atto che hai concordato.
  • D: Se aderisco, quali sanzioni pago? E se invece faccio ricorso?
    R: Con l’adesione paghi sanzioni ridotte a un terzo di quelle minime previste . Per esempio, se l’imposta evasa era €10.000, la sanzione minima per infedele è €9.000 (90%). In adesione paghi €3.000. Invece, se fai ricorso e perdi, pagherai la sanzione intera irrogata nell’avviso (in genere il minimo 90% = €9.000, più eventualmente interessi di mora dal 60° giorno). Certo, se vinci il ricorso non paghi nulla, ma devi valutare le chances. L’acquiescenza (pagamento entro 60 gg senza ricorso) dà sanzione 1/3 come adesione ; la conciliazione in giudizio sanzione al 40% (primo grado) .
  • D: In caso di accertamento su una SNC, devo fare ricorso sia come società sia come socio?
    R: Sì, occorre impugnare tutti gli atti notificati a ciascun soggetto. Tipicamente, l’Agenzia notifica un avviso alla società di persone e avvisi ai singoli soci per la maggiore IRPEF su redditi di partecipazione . Bisogna fare ricorso congiunto o separati ma coinvolgendo tutti (società + soci) fin dal primo grado . È un caso di litisconsorzio necessario: se uno dei soci non ricorre e gli altri sì, il processo rischia di essere nullo. Quindi meglio un ricorso cumulativo “Società X e Soci Y e Z ricorrenti contro AE”, così la decisione varrà per tutti . In pratica, vanno coordinate le difese: stesso difensore o difensori che collaborano.
  • D: Mi hanno accertato utili “in nero” su una SRL a ristretta base e vogliono tassarli anche a me come socio. Possono farlo?
    R: Sì, la Cassazione presume che nelle SRL familiari o con pochi soci gli utili extracontabili accertati alla società siano stati effettivamente distribuiti ai soci . Quindi l’Agenzia in questi casi notifica un avviso ai soci per dividendi non dichiarati. È una presunzione che puoi provare a vincere solo dimostrando che quei soldi sono rimasti in azienda (cosa non facile). Se annulli l’accertamento alla società, cade anche quello ai soci. Ma se la società perde, i soci salvo prova contraria pagano l’IRPEF su quegli utili. Nota: spesso gli avvisi ai soci non allegano tutto il fascicolo – controlla se hanno allegato l’avviso della società. Se no, puoi impugnare anche per vizio di motivazione nei tuoi avvisi .
  • D: Ho vinto in Commissione, l’Agenzia può rifare l’accertamento da capo?
    R: No, se hai vinto nel merito (atto annullato) e la sentenza passa in giudicato, il Fisco non può reiterare l’accertamento sugli stessi fatti (c’è il giudicato che lo impedisce). Potrebbe fare un “accertamento integrativo” solo se emergono nuovi elementi prima ignoti e diversi da quelli già valutati . Ma non può riprovarci con gli stessi elementi. Se invece hai vinto per un vizio procedurale (es. nullità per contraddittorio), l’ufficio teoricamente potrebbe rinnovare l’atto sanando il vizio (Cassazione lo ammette in certi casi). Dopo la riforma del 2022, però, la legge dice che il giudice annulla anche per vizi procedimentali (art. 7-bis L.212/2000) , il che presuppone che l’ufficio non possa semplicemente riemettere l’atto (altrimenti vanificherebbe la tutela). Quindi, in pratica, una volta vinto, sei a posto per quel periodo d’imposta.
  • D: Durante il ricorso devo comunque pagare qualcosa?
    R: Sì, la legge prevede che tu debba versare un terzo delle imposte contestate entro il termine di ricorso (60 gg), a meno che tu ottenga una sospensiva dal giudice . Poi, se perdi in primo grado, devi integrare fino a due terzi . Le sanzioni restano sospese finché non c’è una sentenza che ti vede soccombente . Esempio: avviso chiede €9.000 imposte e €9.000 sanzioni. Se fai ricorso, entro 60 gg paghi €3.000 + interessi su quel terzo; il resto (i €6.000 e le sanzioni) è sospeso. Se poi perdi, pagherai altri €3.000 (arrivando a €6.000, due terzi) dopo la sentenza di primo grado, e le sanzioni di €9.000. Se invece vinci, ti restituiranno i €3.000 già versati. Attenzione quindi a non sottovalutare questo aspetto di esborso anticipato.
  • D: Posso rateizzare il pagamento delle somme dopo la sentenza?
    R: Dopo una sentenza definitiva (o non impugnata) l’atto diventa esecutivo per intero. A quel punto, se hai difficoltà, puoi chiedere all’Agente della Riscossione la rateizzazione del debito residuo (fino 72 rate mensili ordinarie, o 120 se dimostri grave difficoltà). Questa è una misura amministrativa che nulla toglie al fatto che il debito è dovuto, ma ti evita misure aggressive se rispetti le rate. Nel processo tributario in sé non c’è un istituto di rateazione, tranne che nelle conciliazioni e adesioni (dove è previsto per legge il pagamento rateale) . Dunque, se arrivi a fine giudizio e devi pagare, la rateazione con AdER è la strada normale.
  • D: Ho ricevuto sia una cartella di pagamento sia un avviso di accertamento su due cose diverse – cosa devo impugnare?
    R: Vanno distinte le procedure:
  • Se ti arriva un avviso di accertamento (magari “esecutivo”, cioè già titolo per riscuotere), devi impugnarlo entro 60 gg alla CGT. Non aspettare cartella: quell’atto va contestato subito.
  • Se invece ti arriva una cartella di pagamento (magari per un controllo automatizzato o un’altra annualità già accertata e non pagata), la cartella è impugnabile entro 60 gg ma solo per vizi propri (notifica, ecc.) o se il tributo non era dovuto e non hai avuto modo prima di contestarlo.
  • Quindi, se hai un avviso di accertamento a tavolino, l’atto “principe” da ricorrere è l’avviso. Una futura cartella, se l’avviso diventa definitivo, sarà solo conseguenza. In sintesi: impugna sempre l’atto impositivo. La cartella la impugni se è il primo atto che ricevi su quella pretesa o se contiene errori (ad es. importi diversi dall’atto).
  • Se per caso lasci scadere l’avviso senza far nulla, poi potrai solo contestare la cartella per vizi formali, non più nel merito. Dunque occhio alle scadenze.
  • D: Vale la pena fare ricorso? Non rischierò poi di pagare di più?
    R: Dipende dalla solidità della tua posizione: se hai elementi validi per contestare (documenti, norme, precedenti) e l’importo è significativo, fare ricorso è opportuno. In genere, presentare ricorso non aumenta ciò che devi pagare: al massimo, se perdi, pagherai quello che avresti comunque pagato (imposta + sanzione intera) più eventualmente le spese legali dell’Agenzia (di solito qualche centinaio di euro se condannato alle spese). Viceversa, se vinci, risparmi molto (imposte e sanzioni) e puoi ottenere rifusione delle spese tue. Ci sono casi in cui è addirittura unica via (es. ufficio intransigente su interpretazione sbagliata della norma: solo il giudice può risolvere). Certo, va valutato il costo del difensore e il tempo. Ma grazie a istituti come adesione e conciliazione, puoi interrompere il contenzioso in qualunque momento con un accordo, se vedi che non gira a tuo favore. Quindi, iniziare il ricorso spesso mette anche pressione all’ufficio per una soluzione transattiva. In conclusione: vale la pena ricorrere se hai ragioni e motivazioni solide, altrimenti se sai di avere torto magari meglio aderire e sfruttare lo sconto sanzioni.

Speriamo che queste FAQ abbiano chiarito i principali dubbi. Passiamo ora a vedere alcuni casi pratici simulati, ispirati a situazioni reali, per mettere in pratica i concetti e le strategie discusse, calandoli in esempi concreti.

Simulazioni e casi pratici

Presentiamo di seguito tre casi pratici – ipotetici ma basati su scenari tipici italiani – per illustrare come possono svolgersi gli accertamenti a tavolino e quali difese mettere in campo nelle diverse situazioni: una persona fisica con contestazione sintetica, una piccola impresa individuale con accertamento induttivo, e una società di persone con accertamento unitario su società e soci.

Caso 1: Redditometro su privato cittadino

Scenario: Il signor Mario Rossi, lavoratore dipendente, dichiara un reddito annuo di circa €25.000. Nel 2022 acquista un appartamento al mare per €150.000 e un’auto di media cilindrata nuova da €20.000. Nel 2023 riceve una lettera dell’Agenzia delle Entrate: lo invitano a presentarsi (o inviare memorie) perché, secondo l’analisi sintetica, le sue spese non collimano col reddito dichiarato (si sospetta che abbia altri redditi non dichiarati). In particolare, segnalano l’acquisto dell’immobile e dell’auto come indicatori di capacità contributiva ben superiore al suo reddito.

Problemi per Mario: L’Agenzia applica il redditometro: per l’anno 2022 deduce un reddito presunto di circa €60.000 (stimando quota di spesa per casa + auto + mantenimento famiglia) a fronte dei €25.000 dichiarati. Quindi ipotizza ~€35.000 di redditi non dichiarati. In assenza di chiarimenti, emetteranno accertamento per quell’importo, con IRPEF e sanzioni al 90%. Mario rischia un avviso da oltre €15.000 tra imposte e sanzioni.

Difesa di Mario (fase precontenziosa): Mario non ha redditi occulti: ha finanziato gli acquisti attingendo a risparmi e grazie a un aiuto familiare. In dettaglio: – Aveva accumulato negli anni precedenti (quando lavorava anche come straordinari) circa €50.000 in conto corrente (già tassati come redditi negli anni passati). – Suo padre gli ha donato €100.000 per la casa, formalizzando il tutto con un bonifico e una scrittura privata autenticata da un notaio (non tassabile). – L’auto l’ha comprata con un piccolo finanziamento bancario e utilizzando €10.000 residui dei suoi risparmi.

Quando riceve l’invito, Mario: – Raccoglie la documentazione: estratti conto che mostrano il saldo prima dell’acquisto; l’atto di donazione o quanto meno il bonifico di €100k dal padre con causale “donazione per acquisto casa”; il contratto di finanziamento auto e il piano di rimborso; le CU degli anni precedenti attestanti i redditi da cui provenivano i risparmi; eventuale dichiarazione del padre sulla donazione (ma è meglio che sia formale). – Prepara una memoria scritta spiegando voce per voce: “Immobile: costo €150k, finanziato per €100k da donazione paterna (doc.1) e per €50k da risparmi pregressi (doc.2: estratto conto al 31/12/2021 con €55k di saldo). Auto: costo €20k, finanziata con prestito bancario di €10k (doc.3: contratto) e €10k dai risparmi citati. Pertanto, il maggior reddito sintetico è inesistente, le spese sono coperte da redditi esenti o capitali accumulati su redditi già tassati. Si chiede pertanto l’archiviazione della pratica per mancanza di presupposti.” – Si presenta in Agenzia (o invia via PEC la memoria se non può di persona). Al funzionario illustra le prove. Il funzionario verifica, magari chiede copia dell’atto di donazione o la provenienza dei risparmi: Mario mostra che sul suo conto stipendio aveva accumulato ogni anno un po’ di risparmio. Il funzionario, constatando la prova convincente, redige un verbale che “il contribuente ha giustificato integralmente la differenza redditometrica con utilizzo di capitali pregressi e somme esenti (donazione familiare) . Si propone l’archiviazione”. – L’Agenzia archivia il caso, nessun accertamento viene emesso.

Esito: Mario non riceve alcun avviso. Ha evitato l’accertamento rispondendo puntualmente e documentatamente. Se avesse ignorato l’invito, quasi certamente gli sarebbe arrivato l’accertamento di €35.000 di redditi in più: avrebbe poi dovuto fare ricorso presentando le stesse prove al giudice. Invece, ha risolto tutto in pochi mesi bonariamente.

Nota: se l’Agenzia fosse stata ostinata e avesse comunque emesso atto (poniamo perché non convinta di qualcosa), Mario avrebbe impugnato in Commissione allegando gli stessi documenti. La giurisprudenza è chiara: l’accertamento sintetico è nullo se il contribuente dimostra che il reddito presunto è coperto da redditi esenti o già tassati . Con bonifico donativo e estratti conto, il giudice certamente gli avrebbe dato ragione.

Punti chiave del caso 1: – Difesa vincente grazie a tracciabilità e formalizzazione: Mario aveva tutto documentato (donazione via bonifico, risparmi in banca). Se fosse stato tutto in contanti non dimostrabili, avrebbe avuto problemi. – Importanza di rispondere al contraddittorio redditometrico: ha evitato anni di contenzioso. – Natura di “prova contraria” nel sintetico: Mario ha fornito la prova che la legge gli richiede (art. 38 DPR 600: prova che la spesa è finanziata da redditi diversi da quelli tassabili). Con ciò l’ufficio doveva fermarsi. – Effetto deterrente: ora l’Agenzia difficilmente lo riprenderà per quel periodo, avendo accertato che era tutto regolare.

Caso 2: Accertamento induttivo su impresa individuale

Scenario: La signora Giulia Bianchi gestisce una piccola gelateria artigianale (impresa individuale in contabilità semplificata). Negli anni 2019-2020 dichiara redditi modesti o in perdita, nonostante buoni incassi estivi. L’Agenzia delle Entrate (anche sulla base di un controllo della Guardia di Finanza su scontrini) avvia un accertamento a tavolino: incrocia gli acquisti di materie prime (latte, zucchero, frutta, ecc.) con i ricavi dichiarati. Risulta che Giulia ha speso ad esempio €50.000 in ingredienti nel 2020 e dichiarato solo €80.000 di ricavi (rapporto 0,625, anomalo per una gelateria dove il costo materie di solito è 30-40%). Inoltre dai corrispettivi risulta che in alcuni mesi estivi c’è un calo sospetto rispetto all’anno precedente.

L’ufficio convoca Giulia, ma lei – un po’ per sottovalutazione, un po’ per paura – non si presenta al contraddittorio e non invia memorie. L’Agenzia quindi procede in modo induttivo puro: considera la contabilità inattendibile. Emette un avviso di accertamento stimando ricavi non dichiarati per €40.000 (portando il totale vendite 2020 a €120.000, in linea con acquisti) . Conseguentemente recupera IVA e IRPEF su quei €40k e applica sanzioni per omessa fatturazione e infedele dichiarazione (100% imposta). L’atto arriva a Giulia chiedendo circa €8.000 di IVA, €10.000 di IRPEF più €16.000 di sanzioni e interessi.

Giulia è sconvolta: in realtà la gelateria ha sofferto perché nel 2020, causa maltempo e lockdown per pandemia, ha buttato via molta merce e ha chiuso prima la stagione. La redditività è calata, ma lei non ha falsificato nulla – semplicemente ha avuto un anno nero. Purtroppo non ha risposto prima, quindi ora deve difendersi in giudizio.

Difesa di Giulia (fase contenziosa): Giulia si affida a un commercialista e a un avvocato tributarista. La strategia: – Impugnano l’accertamento contestando la legittimità dell’induttivo puro: evidenziano che Giulia teneva regolarmente i registri corrispettivi e acquisti, e che la scelta dell’ufficio di ignorare la contabilità è eccessiva; non c’erano prove di vendite non registrate (nessuna verifica né differenze di magazzino contestate). Argomentano che solo l’antieconomicità (margine basso) non basta per un induttivo pieno . – In subordine, contestano il quantum: allegano una perizia contabile dove si calcola che nel 2020 Giulia ha avuto uno spreco di materie prime eccezionale (per via di un lockdown improvviso a marzo ha dovuto gettare scorte, poi a settembre altra chiusura anticipata e gelato invenduto). Quindi il rapporto materie/ricavi è salito non per vendite in nero ma per perdite di prodotto. Allegano fatture di smaltimento (aveva chiamato una ditta per smaltire ingenti quantità di gelato) e dichiarazioni di fornitori su stock resi/scaduti. – Chiedono eventualmente una CTU contabile per rifare i conti tenendo conto degli sprechi. – Sottolineano anche che Giulia non fu sentita prima, violando lo Statuto del Contribuente (avviso emesso lo stesso anno della verifica GdF senza invito; l’ufficio dirà era “accertamento parziale” esonerato, ma i difensori contestano la qualifica di parziale, dato che l’atto rettifica l’intero reddito d’impresa). – Chiedono infine la sospensione della riscossione visto che Giulia è in difficoltà economiche (e provano con bilanci COVID che quell’anno è stato catastrofico, incassi giù del 50% rispetto al 2019).

Svolgimento: La Commissione sospende la riscossione (riconoscendo che c’è pericolo per l’impresa). In sentenza, la Commissione: – Rileva che effettivamente l’ufficio avrebbe dovuto dare conto degli sprechi: i documenti di smaltimento (presentati ora) mostrano oltre €10.000 di materie non vendute. Ciò rende non pienamente fondata la presunzione di vendite in nero per €40k. – Ridetermina quindi, in via equitativa, l’aumento di ricavi in €15.000 (giudicando plausibile comunque un parziale sotto-dichiarato, ma molto minore). Di conseguenza riduce IVA e IRPEF proporzionalmente e annulla le sanzioni relative al resto. – In pratica, Giulia vince parzialmente: l’accertato viene abbassato da 40k a 15k. Sanzioni ridotte anch’esse. – Inoltre, la Commissione osserva che l’ufficio avrebbe dovuto attivare il contraddittorio (nel 2020 era obbligatorio, e l’ha fatto formalmente con invito, ma Giulia non si è presentata – quindi su questo la colpa è sua). Non annulla per contraddittorio mancante perché l’invito c’era. Però la mancanza di risposte ex ante ha complicato tutto.

Esito: Giulia deve pagare imposte su €15.000 (circa un terzo di quanto chiesto), con sanzioni ridotte. Le spese processuali vengono compensate dal giudice (visto l’esito parziale). Giulia considera se appellare per togliere anche quei 15k, ma i consulenti le suggeriscono forse di accettare: in appello potrebbe incorrere in spese ulteriori, e l’importo residuo è gestibile. Inoltre, data la difficoltà del 2020, c’è la possibilità (fittizia in questo scenario, ma plausibile in realtà) che esca una definizione agevolata post-Covid.

Considerazione: se Giulia avesse risposto al contraddittorio iniziale spiegando subito degli sprechi e allegando quei documenti, forse l’ufficio avrebbe ridotto l’accertamento prima, o addirittura soprasseduto. Non farlo è costato un contenzioso e comunque dover pagare qualcosa.

Punti chiave del caso 2: – Anche in contesti sfavorevoli (contabilità inattendibile), portare documenti concreti (fatture smaltimento, etc.) può convincere il giudice a ridurre la pretesa . – L’antieconomicità da sola è un indizio, non una prova assoluta di evasione: la difesa ha spinto su questo e in parte ha prevalso (Cassazione dice che margine basso può giustificare induttivo, ma la controprova degli sprechi ha fatto la differenza). – Importanza del contraddittorio: Giulia l’ha ignorato e ha dovuto poi faticare in giudizio. Anche se quell’anno lei era in crisi e magari travolta dalla situazione, sarebbe stato meglio mandare almeno una PEC all’ufficio con due righe di spiegazione. Forse avrebbe evitato 2/3 dell’accertamento sin dall’inizio. – Valutare l’appello: Giulia ha avuto una riduzione significativa, appellando rischia di dover anche pagare spese se le va male. Forse le conviene conciliare ora col fisco questo esito (potrebbe proporre di chiudere a 10k di imponibile con sanzioni 40% in appello). – Questo scenario illustra che il contenzioso può finire con un compromesso: meglio però che quel compromesso avvenga in adesione prima (avrebbe potuto concordare 15k in adesione magari, risparmiando tempo e sanzioni 1/3 vs 90%). Non avendo cooperato, ha ottenuto un compromesso per via giudiziale, con più costi.

Caso 3: Accertamento su società di persone e soci

Scenario: La XYZ SNC gestisce un’attività di ristorazione con due soci, Luca e Marco. Nel 2021 la Guardia di Finanza fa una verifica on-site e scopre mancati scontrini e costi non documentati. Viene redatto un PVC contestando ricavi in nero per €100.000 e indebite deduzioni per €20.000. I verificatori consegnano il PVC a Luca (rappresentante della società) a ottobre 2022. Luca e il loro commercialista presentano osservazioni entro 60 giorni segnalando che alcuni rilievi sono errati (ad esempio, €10.000 di presunti ricavi non contabilizzati in realtà riguardavano un catering fatturato regolarmente da un’altra loro società, con documenti allegati).

L’Agenzia, passati i 60 giorni, nel gennaio 2023 emette avviso di accertamento alla SNC rettificando: maggior ricavo €90.000 (hanno recepito l’osservazione su 10k), costi indeducibili €20.000 -> maggior reddito societario €110.000. Allo stesso tempo, emette avvisi di accertamento IRPEF per i soci Luca e Marco, ciascuno per redditi di partecipazione extra €55.000 (metà ciascuno) . Sanzioni 100% su IRPEF e IVA, ridotte a 1/3 se definiscono.

I soci e la società ricevono dunque 3 atti. Decidono di fare accertamento con adesione subito, per evitare il processo: – Presentano istanza congiunta. – Incontrano l’ufficio: riescono a ottenere un riconoscimento di ulteriori costi non considerati (il commercialista porta documenti su €5.000 di costi che in verifica erano stati contestati ma in realtà erano documentati). L’ufficio però insiste che i ricavi in nero ci sono (hanno copie di comande non scontrinate e altre evidenze solide) e propone di chiudere su €90.000 di maggior ricavi (IVA e imposte relative) e sanzioni ridotte di 1/3. – I soci valutano: sanzioni 1/3 conviene. Chiedono magari di togliere ancora qualcosa, ma l’ufficio è poco flessibile (il PVC GdF è robusto). – Trovano l’accordo: reddito maggior 105.000 (invece di 110) grazie a quei costi aggiuntivi riconosciuti, il resto confermato. Atto di adesione firmato dalla SNC e dai soci (tecnicamente l’adesione la firma il rappresentante per la società, e ciascun socio per la sua parte d’imposta). – Pagano quanto dovuto (la SNC paga IVA e IRAP su base concordata, i soci l’IRPEF su 52.500 € a testa con sanzione 1/3). – Ognuno rateizza in 6 rate.

Esito: Nessun ricorso. La controversia è definita. La società versa subito la prima rata e i soci idem, evitando iscrizioni a ruolo. Sanzioni passate da 100% a ~30%. Niente processo, niente spese legali.

Supponiamo però che uno dei soci, Marco, non volesse aderire (magari per principio). Se Luca e la SNC avessero aderito e Marco no, ci sarebbe stato un grosso problema: l’accertamento è unico (unitario). Marco presentando ricorso isolato avrebbe dovuto comunque chiamare in causa anche l’altro socio e la società (litisconsorzio). Se Luca aveva aderito, significa che la società e Luca accettano l’imponibile. Marco tuttavia potrebbe contestare la distribuzione. Questa situazione mista è complicatissima: il giudice probabilmente annullerebbe l’adesione o dichiarerebbe inammissibile il ricorso di Marco perché manca litisconsorzio regolare . In altre parole, la strategia corretta era muoversi insieme. Infatti, Luca convince Marco: “meglio chiuderla adesso con sanzioni ridotte, altrimenti rischiamo peggio in causa e magari tocca pagare tutto più spese”. Marco alla fine aderisce.

Punti chiave del caso 3: – In accertamenti su società di persone, coordinamento tra soci e società è fondamentale: qui hanno agito unitariamente in adesione e risolto senza contenzioso, tutti vincolati allo stesso esito . – L’invito al contraddittorio post PVC è stato rispettato (60 gg) e ha fruttato la riduzione di €10k subito. Questo dimostra che anche dopo verifica, fare osservazioni è utile: l’ufficio le ha recepite in parte . – Vantaggio adesione: sanzioni 1/3 e 90gg di tempo in più per negoziare/pagare . In giudizio avrebbero speso tempo e comunque quasi sicuramente i ricavi in nero sarebbero stati confermati (c’erano evidenze forti). – Hanno preferito pagare e chiudere per evitare anche risvolti penali: 90k di ricavi in nero di una SNC, per ogni socio sarebbero 45k evasi di IRPEF, sotto soglia penale forse (dichiarazione infedele scatta se imposta evasa > ~€50k). Ma con IVA evasa e altre considerazioni c’era rischio. Pagando, comunque, se ci fosse stato reato, sarebbe estinto per condotta postuma (pagamento integrale prima dibattimento) . – Vista l’adesione, i soci e la società non potranno più impugnare: ma avendo concordato, neanche vorrebbero.

In sintesi, nel caso 3 la scelta deflattiva (adesione) è stata appropriata, dati i fatti incontrovertibili contro di loro. Se avessero litigato, avrebbero forse ottenuto poco di più, e comunque avrebbero pagato sanzioni piene. La difesa qui è consistita nel riconoscere i punti deboli e negoziare su quelli negoziabili (qualche costo in più) salvando almeno la riduzione sanzionatoria.

Con questi esempi concreti, si evince come la gestione di un accertamento a tavolino richieda un mix di competenza tecnica, prontezza nel reagire e capacità di giudizio su quando conviene transigere e quando combattere. Ogni caso è diverso, ma i principi generali rimangono: fornire prove solide, rispettare le procedure (e pretenderne il rispetto dall’ente), usare gli strumenti deflattivi per mitigare danni, e portare la questione dal giudice solo se ne vale realmente la pena e ben preparati.

Conclusioni

Siamo giunti al termine di questa guida sull’accertamento a tavolino e sulle modalità di difesa del contribuente. Abbiamo esaminato in dettaglio cosa sia questo tipo di accertamento fiscale, come differisca da altri istituti (come l’adesione e il contraddittorio), e come varia la sua applicazione a seconda della tipologia di contribuente (persone fisiche, imprese individuali, società). Abbiamo poi esplorato le fasi precontenziosa e contenziosa, delineando strategie difensive efficaci e illustrandole attraverso tabelle riassuntive, FAQ e casi pratici.

Dalle trattazioni effettuate emergono alcuni concetti chiave che possiamo ribadire in conclusione:

  • L’accertamento a tavolino si fonda su controlli documentali e incrocio di dati: è meno “visibile” di una verifica sul posto ma altrettanto insidioso. Il contribuente deve essere consapevole che oggi la gran parte dei controlli avviene tramite le banche dati incrociate (spese, conti correnti, registri pubblici) e reagire proattivamente quando viene contattato dall’ufficio .
  • Il diritto al contraddittorio preventivo è un pilastro della difesa del contribuente. Grazie alle recenti riforme normative, per gli atti dall’1 luglio 2020 in poi l’Agenzia è (quasi sempre) tenuta a instaurare un contraddittorio prima di emettere l’accertamento . Questo diritto va esercitato con diligenza: partecipare e far valere le proprie ragioni può spesso risolvere o limitare il contenzioso. In ogni caso, la violazione di tale diritto costituisce causa di invalidità dell’atto, che il contribuente può far valere in sede giudiziale .
  • Il confronto tra accertamento a tavolino, adesione e contraddittorio ci ha mostrato ruoli diversi: l’accertamento a tavolino è l’atto impositivo unilaterale; il contraddittorio è la fase di dialogo e ascolto; l’adesione è l’eventuale accordo bilaterale che chiude anticipatamente la vicenda. Il contribuente dovrebbe sfruttare il contraddittorio per cercare un’adesione favorevole se realistico, oppure per preparare basi solide nel caso si arrivi al ricorso .
  • Le differenze tra categorie di contribuenti incidono non solo sui metodi di accertamento (redditometro per le persone fisiche, parametri di margine per le imprese, accertamento unitario per le società di persone, presunzioni di utili ai soci per le società di capitali), ma anche sulle tattiche difensive specifiche (ad esempio, il litisconsorzio necessario per le società di persone impone di muoversi compatti) . Abbiamo evidenziato come ogni soggetto debba tener conto delle proprie peculiarità fiscali e giuridiche quando imposta la difesa.
  • Difesa in fase precontenziosa: è spesso la più efficace ed efficiente. Strumenti come l’autotutela (soprattutto per errori palesi) , l’acquiescenza (quando si vuole chiudere subito con sanzioni ridotte) e l’adesione (per negoziare il quantum e abbattere sanzioni a 1/3) possono risolvere la vicenda prima del giudice, risparmiando tempo e denaro. Il contribuente deve valutare serenamente la fondatezza delle contestazioni: se gran parte sono corrette, conviene definire e mitigare i danni (vedi caso 3); se invece sono discutibili, può impugnare con la consapevolezza che grazie al contraddittorio obbligatorio e all’onere probatorio in capo al Fisco ha buone possibilità di successo .
  • Difesa in fase contenziosa: qualora si giunga in giudizio, la cura dei dettagli procedurali (termini, notifica, litisconsorzio) è essenziale tanto quanto le argomentazioni di merito. La riforma del processo tributario ha introdotto elementi a favore del contribuente (testimonianza scritta, onere della prova precisato, giudici terzi professionalizzati), ma anche responsabilità per atti difensivi prolissi e un contesto di maggiore tecnicità . Pertanto, appare sempre più importante affidarsi a difensori specializzati. In giudizio, il contribuente deve saper bilanciare l’insistenza sulle proprie ragioni con l’apertura a soluzioni conciliative: spesso la conciliazione giudiziale è la valvola di sfogo per chiudere le liti minori (specie ora che la mediazione obbligatoria è stata abolita) .
  • Sottolineiamo la centralità del principio per cui “il Fisco deve provare ciò che contesta” . Ciò segna una garanzia di civiltà giuridica: il contribuente non è più chiamato a dimostrare di essere innocente, è l’ente che deve convincere con elementi oggettivi. Questo principio, a lungo discusso in giurisprudenza, è oggi sancito nello Statuto del Contribuente. Il contribuente deve comunque collaborare fornendo le sue prove contrarie (specie su circostanze a lui note come la provenienza dei soldi), ma può ottenere l’annullamento se la pretesa fiscale è costruita su basi fragili o presunzioni arbitrarie . Molti dei successi difensivi nascono proprio evidenziando i punti deboli della ricostruzione dell’ufficio (errori, omissioni, illogicità).
  • Dal punto di vista pratico, il rapporto con l’Amministrazione finanziaria deve essere impostato con intelligenza: né cedevolezza supina (pagare senza fiatare anche quando si ha ragione), né conflittualità preconcetta (opponersi sempre e comunque anche quando si è in torto evidente). Occorre un approccio razionale e documentato, fatto di dialogo quando possibile e di fermezza quando necessario. Lo Statuto del Contribuente (L.212/2000) e la giurisprudenza costituzionale e di legittimità forniscono un quadro di garanzie che vanno conosciute e fatte valere, ma allo stesso tempo il contribuente deve esigere anche da sé precisione e trasparenza (ad esempio, tenere una contabilità ordinata, conservare ricevute, effettuare transazioni tracciabili).
  • Infine, a livello di riferimenti normativi aggiornati al 2025, ricordiamo alcuni capisaldi utili:
  • D.P.R. 600/1973 (artt. 32-43) per i poteri e termini di accertamento delle imposte sui redditi.
  • D.P.R. 633/1972 per l’IVA (accertamento e rettifica IVA, es. art. 54).
  • D.Lgs. 218/1997 per l’accertamento con adesione (artt. 5-7, 8 per la rateazione, 9 per gli effetti).
  • L. 212/2000 (Statuto), in particolare: art. 6 (contraddittorio ora integrato e generalizzato dall’art. 6-bis inserito nel 2023 ), art. 7 (obbligo di motivazione degli atti), art. 10-quater e 10-quinquies (autotutela) , art. 12 c.7 (diritti del contribuente in verifiche in loco, rilevante per differenza con tavolino).
  • D.Lgs. 546/1992 (processo tributario) come novellato dal 2022/2023: art. 2 (competenza CGT), art. 7 (ora contiene norme su prova testimoniale ), art. 7-bis (nullità atti per vizi procedimentali), art. 8 (onere prova) , art. 17-bis (reclamo abrogato nel 2023 ), art. 48 e seguenti (conciliazione) .
  • Cassazione Sezioni Unite n.24823/2015 (contraddittorio limitato ai tributi armonizzati) – ormai superata normativamente ma ancora citabile per contenziosi di anni pre-riforma, nonché Cass. SS.UU. nn. 19667/2014 e 7371/2016 (sulla natura dell’adesione, inoppugnabilità) .
  • Corte Costituzionale 47/2023 sul contraddittorio (inammissibilità questione, ma pressa il legislatore – poi infatti intervenuto) .
  • Circolari dell’Agenzia Entrate: ad es. Circ. 19/E 2019 sul contraddittorio endoprocedimentale (ante riforma), Provv. 2018 sui nuovi ISA, Circ. 21/E 2024 sull’autotutela , ecc. Spesso richiamarle può aiutare: il fisco deve seguire le sue stesse direttive, in nome del legittimo affidamento (art.10 Statuto).
  • Fonti UE: ad esempio, la giurisprudenza della Corte di Giustizia (caso Sopropé 2008 sul diritto a essere ascoltati, cause Cause C-189/18 Glencore 2020 sul contraddittorio in IVA) e la Convenzione europea (art. 6 CEDU sul giusto processo, art. 1 Protocollo 1 sulla tutela della proprietà contro pretese esorbitanti) che sempre più spesso vengono citate nei giudizi tributari italiani per rafforzare le tesi difensive (es. proporzionalità delle sanzioni, diritto di difesa).

In conclusione, l’accertamento a tavolino non deve essere sottovalutato: è una procedura potente in mano all’Amministrazione, ma l’ordinamento offre al contribuente tutti gli strumenti per difendersi in modo efficace e giusto. Come abbiamo visto, preparazione, trasparenza e tempestività sono le armi migliori del contribuente. Preparazione nel conoscere i propri diritti e obblighi; trasparenza nel fornire al fisco le informazioni veritiere (smontando sospetti infondati); tempestività nel reagire a ogni atto (non lasciar decadere termini, non aspettare passivamente).

L’obiettivo di questa guida era proprio fornire al lettore – avvocato, imprenditore o privato cittadino che sia – un bagaglio completo di conoscenze e consigli pratici per affrontare con successo un accertamento fiscale da tavolino. Rispettando le regole e facendo valere le proprie ragioni, è possibile ridurre al minimo l’impatto di queste procedure e, nei casi di errori del Fisco, ottenere l’annullamento integrale delle pretese. In ultima analisi, la difesa del contribuente in ambito tributario è parte integrante dello Stato di diritto: equilibrio tra potere di controllo dell’Erario e tutela dei diritti del cittadino-contribuente. Con gli aggiornamenti normativi del 2020-2025, questo equilibrio è diventato più equo e bilanciato. Sta a ciascun contribuente (e ai suoi consulenti) utilizzarlo appieno per far valere le proprie ragioni nei confronti del Fisco, all’occorrenza anche davanti ai giudici tributari, forti di normative e giurisprudenza garantiste.

Fonti normative e giurisprudenziali rilevanti (aggiornate a ottobre 2025):

  • D.P.R. 29/09/1973 n.600 – art. 32 (poteri istruttori, questionari) ; art. 38 (accertamento sintetico, contraddittorio obbligatorio) ; art. 39 (accertamento induttivo, presupposti) ; art. 41-bis (accertamento parziale); art. 42 (motivazione avvisi, obbligo di allegazione atti) ; art. 43 (termini decadenza accertamento).
  • D.P.R. 26/10/1972 n.633 – art. 52 (accessi, ispezioni); art. 54 (accertamento IVA, presunzioni); art. 56 (rettifica dichiarazioni IVA).
  • Legge 27/07/2000 n.212 (Statuto diritti contribuente) – art. 6, c.5 (contraddittorio in revoca agevolazioni) ; art. 6, c.6 e c.7 (invito a adesione, prima del 2020); art. 6-bis introdotto da D.Lgs. 30/12/2023 n.219, in vigore dal 2024 (obbligo generalizzato di contraddittorio endoprocedimentale, esclusioni, termine 60gg, proroga 120gg) ; art. 7 (motivazione atti, obbligo allegazione) ; art. 10 (principio collaborativo e affidamento); art. 10-quater (autotutela obbligatoria: casi di errore di persona, calcolo, doppia imposizione, ecc.) ; art. 10-quinquies (autotutela facoltativa) ; art. 11 (norme interpretative); art. 12, c.7 (diritti del contribuente verificato: 60gg per osservazioni prima di accertamento, salvo urgenza) ; art. 15 (tutela giudiziaria e spese).
  • D.Lgs. 19/06/1997 n.218 – art. 2 (ambito adesione a tutti tributi erariali) ; art. 5 (adesione su PVC entro 30gg, norma abrogata nel 2019 e reintrodotta da D.Lgs. 13/2024 art.5-quater) ; art. 5-bis (invito al contraddittorio e adesione ante atto, inserito nel 2019 art.5-ter, ora abrogato nel 2023 in quanto sostituito da art.6-bis Statuto) ; art. 6 (procedimento adesione su avviso: istanza entro 60gg, sospensione 90gg) ; art. 7 (atto di adesione, effetti definitivi, inoppugnabilità) ; art. 8 (rateazione adesione: fino 8 rate trimestrali <€50k, 16 rate se oltre) ; art. 9 (effetti penali dell’adesione: causa non punibilità reati tributari se integrale pagamento) ; art. 15 (acquiescenza: pagamento entro 60gg con sanzioni ridotte a 1/3) .
  • D.Lgs. 31/12/1992 n.546 (processo tributario, come mod. da L.130/2022 e D.Lgs. 119-120-121-122/2022, D.Lgs. 218-219-220/2023):
  • art. 2 (CGT primo e secondo grado competenti per controversie tributarie);
  • art. 7 (poteri delle commissioni: ora c.4 ammette prova testimoniale in forma scritta) ;
  • art. 7-bis (introdotto da D.Lgs. 219/2023: nullità atti impositivi per violazione di norme sul contraddittorio o altre garanzie procedimentali) ;
  • art. 7-ter (introdotto da L.130/2022: giudice tributario professionale, status e terzietà);
  • art. 10 (stare in giudizio: obbligo difensore abilitato >€3.000) ;
  • art. 12 (contenuto ricorso);
  • art. 17-bis (reclamo-mediazione, abrogato dal 2023) ;
  • art. 19 (atti impugnabili: avvisi accertamento, cartelle, ecc.);
  • art. 24 (60gg per ricorso);
  • art. 39 (interruzione/sospensione processi, es. in caso di adesione);
  • art. 47 (sospensione provvisoria dell’atto impugnato: termini 30gg+5gg) ;
  • art. 48 (conciliazione fuori udienza: istanza congiunta, rid. sanzioni 40%/50%/60% a seconda grado) ;
  • art. 48-bis (conciliazione in udienza, proposta del giudice) ;
  • art. 48-ter (effetti conciliazione: titolo esecutivo, sanzioni ridotte, rateazione come adesione) ;
  • art. 48-quater (spese compensate salvo diverso accordo in conciliazione) ;
  • art. 68 (pagamento provvisorio frazionato: 1/3 dopo primo grado , 2/3 dopo appello , no frazionamento per sanzioni fino a esito primo grado ).
  • Cassazione (massime recenti):
  • Cass. Sez. Unite 09/12/2015 n.24823 – Contraddittorio endoprocedimentale: obbligatorio solo per tributi armonizzati (IVA, dazi) se non previsto da legge per altri; mancata attivazione per tributi non armonizzati non comporta nullità salvo prova di resistenza . (NB: principio superato normativamente dal 2020 e 2023, ma rilevante per periodi pregressi).
  • Cass. Sez. Unite 18/12/2014 n.19667 – Diritto a contraddittorio: afferma obbligo generale per tutti i tributi come principio, poi “corretta” da SU 2015 (vedi sopra) .
  • Cass. Sez. Unite 18/03/2016 n.7371 – Accertamento con adesione: atto negoziale che una volta perfezionato preclude il ricorso; l’adesione non è impugnabile .
  • Cass. Sez. V 14/10/2024 n.26618 – Verbale adesione non perfezionata può avere valore di prova in giudizio .
  • Cass. Sez. V 30/08/2022 n.25497 – Contribuente non può impugnare dopo adesione firmata e pagata (richiama SU 2016) .
  • Cass. Sez. VI-5 19/09/2016 n.18350 – Invito al contraddittorio anche per accertamenti parziali IVA: omesso contraddittorio rende nullo l’atto IVA parziale .
  • Cass. Sez. V 25/10/2024 n.27692 – Accertamento induttivo: richiede elementi gravi, precisi e concordanti a prova inattendibilità contabilità; se l’ufficio usa parametri deve motivare adeguatamente, altrimenti atto illegittimo .
  • Cass. Sez. V 13/02/2024 n.3954 – Litisconsorzio necessario soci-società: se un socio non partecipa al processo, la sentenza è nulla; il vizio è rilevabile in ogni stato e grado .
  • Cass. Sez. V 22/02/2019 n.5318 – Incostituzionalità pagamento 1/3 prima del ricorso: la Corte Cost nel 1961 ritenne incostituzionale obbligo pagamento come condizione al ricorso (oggi infatti il pagamento di 1/3 non condiziona l’ammissibilità del ricorso, ma solo la riscossione) .
  • Cass. Sez. V 05/10/2018 n.24315 – Presunzione utili soci di SRL a ristretta base: è legittima (fatto noto la ristretta compagine; il socio può provare che utili extracontabili reinvestiti in società) .
  • Cass. Sez. V 17/05/2018 n.12005 – Motivazione per relationem: avviso basato su PVC deve allegare il PVC o riprodurne contenuto, pena nullità .
  • Cass. Sez. V 15/04/2016 n.7485 – Redditometro: se contribuente giustifica spese con redditi esenti o risparmi, l’accertamento sintetico non può essere confermato (onere prova assolto dal contribuente) .
  • Cass. Sez. V 04/08/2016 n.16430 – Non risposta a questionario: legittima presunzione sfavorevole per il contribuente; sanzionabile ex art.11 D.Lgs.471/97 (omessa risposta) – invita a rispondere sempre.
  • Cass. Sez. III Penale 13/01/2021 n.957 – Reati tributari e adesione: conferma che definizione dell’accertamento con pagamento estingue il reato di omesso versamento IVA ex art.13 D.Lgs.74/2000 .
  • Corte Costituzionale:
  • Sentenza 21/03/2023 n.47 – Contraddittorio endoprocedimentale: dichiara inammissibile la questione di legittimità dell’art.12 c.7 Statuto per mancata previsione contraddittorio su accertamenti a tavolino, ma ribadisce l’importanza del contraddittorio e sollecita il legislatore a introdurlo in generale .
  • Sentenza 07/04/2015 n.37 – Nullità avviso se emesso prima 60 giorni da PVC senza urgenza: conferma la sanzione di nullità per violazione art.12 c.7 Statuto (garantisce contraddittorio in loco) .
  • Sentenza 23/07/2014 n. 199 – Mediazione tributaria: dichiarò incostituzionale l’allora art.17-bis che imponeva reclamo come condizione di ammissibilità, per violazione art.24 Cost (diritto difesa) (da cui modifica 2014 rendendo mediazione non più preclusiva al ricorso; poi abrogata del tutto nel 2023).
  • Fonti istituzionali:
  • Agenzia delle Entrate – Provvedimento direttoriale 04/08/2020 (prot. 360488) – ha stabilito criteri per l’invito obbligatorio al contraddittorio dal 1/7/2020, attuativo art.5-ter D.Lgs.218/97 (ora superato da art.6-bis Statuto).
  • Circolare AE 17/E del 29/04/2016 – forniva istruzioni su attuazione contraddittorio endoprocedimentale (post Cass. SU 2015), affermando di estenderlo in via amministrativa anche a IRPEF, prima del 2020 .
  • Circolare AE 19/E del 08/08/2023 – primi chiarimenti sulla riforma fiscale 2023: illustra le modifiche in tema di accertamento e adesione (nuovo concordato biennale, nuovo art.6-bis Statuto, abrogazione mediazione) .
  • Circolare AE 21/E del 07/11/2024 – (ipotetica, citata in testo) linee guida in materia di autotutela dopo le novità normative: ribadisce doveri in casi di errori palesi e istruzioni per trattazione istanze del contribuente in tempi celeri .
  • MEF – Nota del 22/01/2024 – chiarimenti su decorrenza abrogazione mediazione: precisa che per ricorsi notificati dal 1/1/2024 non si applica reclamo .
  • Dipartimento Giustizia Tributaria – direttiva Feb 2024 – invita le CGT ad applicare immediatamente le nuove norme su testimonianza scritta e onere prova ex art.7-8 D.Lgs.546, garantendo tempi rapidi per sospensive .
  • Agenzia Entrate – depliant “L’accertamento con adesione” (ed.2019) – opuscolo per contribuenti che spiega vantaggi dell’adesione: “riduzione sanzioni a un terzo” , “niente processo, rate fino a 8”, ecc.

Hai ricevuto una richiesta di documenti o chiarimenti dall’Agenzia delle Entrate e temi che si tratti di un accertamento a tavolino? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto una richiesta di documenti o chiarimenti dall’Agenzia delle Entrate e temi che si tratti di un accertamento a tavolino?
👉 È una delle forme di controllo fiscale più diffuse in Italia, e se non gestita correttamente può trasformarsi in un avviso di accertamento con sanzioni pesanti.

In questa guida ti spiego cos’è l’accertamento a tavolino, come funziona, quando è legittimo e soprattutto come difendersi efficacemente con l’aiuto di un avvocato tributarista.


💥 Cos’è l’Accertamento a Tavolino

L’accertamento a tavolino (detto anche accertamento documentale) è un controllo che l’Agenzia delle Entrate effettua senza recarsi presso la sede del contribuente.

📌 Si chiama “a tavolino” proprio perché avviene nei propri uffici, sulla base della documentazione fiscale già disponibile o richiesta al contribuente.

L’Agenzia confronta i dati presenti nelle dichiarazioni con quelli a sua disposizione:

  • versamenti e dichiarazioni IVA, IRPEF o IRES;
  • fatture elettroniche e dati bancari;
  • spese, detrazioni e redditi dichiarati;
  • informazioni trasmesse da enti pubblici e privati (INPS, banche, assicurazioni, catasto, ecc.).

⚖️ Le Fasi dell’Accertamento a Tavolino

1️⃣ Analisi dei dati fiscali

L’Agenzia delle Entrate incrocia le informazioni e individua anomalie o incongruenze tra redditi, spese e versamenti dichiarati.

2️⃣ Invio della richiesta di chiarimenti

Il contribuente riceve una comunicazione o un questionario in cui viene invitato a fornire:

  • documenti contabili;
  • spiegazioni su operazioni o versamenti;
  • copia di dichiarazioni, contratti o fatture.

📌 Si tratta di una richiesta di collaborazione prima che venga emesso un avviso di accertamento.

3️⃣ Eventuale contraddittorio

Il contribuente può presentare memorie e documenti difensivi entro il termine indicato (di solito 15 o 30 giorni).
Se le spiegazioni non convincono, l’Agenzia può notificare un avviso di accertamento formale.


💠 Quando l’Accertamento a Tavolino È Illegittimo

Un accertamento è nullo o impugnabile se l’Agenzia delle Entrate:

  • non ha rispettato il diritto al contraddittorio (art. 12, Statuto del Contribuente);
  • non ha motivato adeguatamente l’atto indicando le ragioni e le fonti dei dati utilizzati;
  • ha basato l’accertamento su presunzioni generiche o dati non verificabili;
  • non ha allegato i documenti richiamati nell’avviso;
  • ha emesso l’atto oltre i termini di decadenza previsti dalla legge.

📌 In questi casi, il contribuente può chiedere l’annullamento dell’accertamento e sospendere subito la riscossione.


⚠️ Le Conseguenze di un Accertamento a Tavolino

Se non rispondi o non impugni l’accertamento, l’Agenzia può:

  • notificare un avviso di accertamento esecutivo con sanzioni e interessi;
  • iscrivere a ruolo le somme dovute;
  • avviare pignoramenti, fermi o ipoteche tramite Agenzia Entrate-Riscossione;
  • segnalarti come contribuente a rischio fiscale.

📌 Anche se non si tratta di un controllo “sul posto”, l’accertamento a tavolino può avere conseguenze molto gravi se ignorato.


🧩 Come Difendersi da un Accertamento a Tavolino

1️⃣ Verifica la legittimità dell’atto

L’avvocato verifica se l’accertamento è:

  • stato notificato regolarmente;
  • motivato in modo completo;
  • emesso entro i termini di legge.

📌 In presenza di vizi formali o sostanziali, l’atto può essere annullato dal giudice tributario.


2️⃣ Rispondi entro i termini al questionario

È fondamentale collaborare con l’Agenzia fornendo i documenti richiesti nei tempi indicati.
In caso di errori formali, puoi correggere o chiarire la posizione prima che l’accertamento diventi definitivo.


3️⃣ Presenta memorie difensive

Puoi inviare memorie scritte spiegando la tua versione dei fatti, allegando prove o giustificazioni fiscali.
📌 Questo passaggio spesso evita l’emissione di un accertamento vero e proprio.


4️⃣ Impugna l’avviso di accertamento

Se l’Agenzia emette un atto di accertamento, puoi presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni dalla notifica.
Puoi chiedere:

  • la sospensione cautelare per bloccare subito la riscossione;
  • l’annullamento totale o parziale dell’accertamento.

📌 L’avvocato può ottenere la sospensione in 48 ore se l’atto risulta viziato o illegittimo.


🧾 I Documenti da Consegnare all’Avvocato

  • Copia della comunicazione o del questionario ricevuto dall’Agenzia;
  • Copia dell’avviso di accertamento (se già notificato);
  • Dichiarazioni fiscali, bilanci o contabilità;
  • Contratti, fatture e ricevute richiesti;
  • Eventuali comunicazioni precedenti con l’Agenzia.

📌 Questi documenti servono per individuare errori, vizi formali o presunzioni infondate su cui basare la difesa.


⏱️ Tempi della Procedura

  • Risposta al questionario: 15–30 giorni;
  • Ricorso al giudice tributario: entro 60 giorni dalla notifica;
  • Sospensione cautelare: anche in 48 ore;
  • Sentenza definitiva: entro 6–12 mesi.

📌 Durante la sospensione, l’Agenzia delle Entrate non può riscuotere né procedere con pignoramenti.


⚖️ I Vantaggi di una Difesa Legale

✅ Verifica immediata della legittimità dell’accertamento.
✅ Blocco dell’esecuzione e delle sanzioni.
✅ Possibilità di annullare l’atto o ridurre il debito.
✅ Tutela del patrimonio e della reputazione fiscale.
✅ Difesa completa davanti alla Corte di Giustizia Tributaria.


🚫 Errori da Evitare

❌ Ignorare il questionario o la richiesta di documenti.
❌ Rispondere senza consulenza legale, rischiando di aggravare la posizione.
❌ Non presentare ricorso entro i termini.
❌ Pensare che un “accertamento a tavolino” sia una semplice formalità.

📌 Ogni errore di tempistica o procedura può rendere definitivo un accertamento che poteva essere annullato.


🛡️ Come Può Aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza la comunicazione ricevuta e verifica la legittimità dell’accertamento.
📌 Ti assiste nella risposta al questionario o nella redazione delle memorie difensive.
✍️ Redige e deposita il ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria.
⚖️ Ti rappresenta in udienza e chiede la sospensione immediata della riscossione.
🔁 Ti segue fino all’annullamento o alla riduzione dell’accertamento.


🎓 Le Qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato cassazionista esperto in diritto tributario e contenzioso fiscale.
✔️ Specializzato nella difesa contro accertamenti fiscali e cartelle esattoriali.
✔️ Gestore della crisi da sovraindebitamento, iscritto presso il Ministero della Giustizia.
✔️ Esperienza pluriennale nella tutela di privati, professionisti e imprese contro l’Agenzia delle Entrate.


Conclusione

L’accertamento a tavolino è uno dei controlli fiscali più frequenti ma anche più facili da contestare, se affrontato con la giusta strategia.
Con una difesa legale tempestiva puoi bloccare la procedura, correggere errori e far annullare gli atti illegittimi, evitando conseguenze economiche pesanti.

⏱️ Hai 60 giorni di tempo per reagire dopo la notifica: ogni giorno è prezioso per difenderti.

📞 Contatta l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata:
la tua difesa contro un accertamento a tavolino può partire oggi stesso.

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
Si invita a leggere attentamente il disclaimer del sito.

Torna in alto

Abbiamo Notato Che Stai Leggendo L’Articolo. Desideri Una Prima Consulenza Gratuita A Riguardo? Clicca Qui e Prenotala Subito!