Ditta Individuale In Crisi: Cosa Fare E Come Difendersi Dai Debiti

La tua ditta individuale è in crisi e non riesci più a far fronte ai debiti con fornitori, banche o Agenzia delle Entrate? Non sei solo: migliaia di imprenditori italiani si trovano ogni anno nella stessa situazione, spesso travolti da imposte, cartelle esattoriali, contributi INPS e calo di fatturato.
La buona notizia è che esistono strumenti legali e soluzioni concrete per difendersi, salvare l’attività o chiuderla in modo ordinato, evitando pignoramenti, segnalazioni e danni irreversibili al proprio patrimonio. Con l’assistenza di un avvocato esperto in diritto tributario e crisi d’impresa puoi gestire i debiti e tutelare i tuoi beni in modo strategico e legittimo.

Quando una ditta individuale è considerata in crisi

Si parla di “crisi” quando la ditta non è più in grado di:

  • pagare regolarmente fornitori, dipendenti, contributi o tasse;
  • mantenere un flusso di cassa sufficiente per le spese operative;
  • onorare mutui, leasing o finanziamenti bancari;
  • gestire i debiti accumulati con Agenzia delle Entrate o INPS;
  • sostenere il carico fiscale rispetto ai ricavi effettivi.

In questi casi, il titolare risponde personalmente e illimitatamente con il proprio patrimonio, a differenza delle società di capitali. Ciò significa che anche la casa, il conto corrente o i beni personali possono essere pignorati dai creditori.

Le principali cause della crisi di una ditta individuale

  • calo del fatturato o perdita di clienti strategici;
  • aumento dei costi di gestione o delle materie prime;
  • indebitamento bancario eccessivo;
  • errori nella pianificazione fiscale o contabile;
  • cartelle esattoriali e sanzioni accumulate nel tempo;
  • eventi straordinari (malattia, pandemia, lavori sospesi).

Comprendere le cause è il primo passo per costruire una strategia di difesa mirata e sostenibile.

Cosa succede quando una ditta individuale accumula troppi debiti

Se la situazione non viene gestita tempestivamente, il titolare può trovarsi esposto a:

  • cartelle esattoriali e pignoramenti da parte dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione;
  • fermi amministrativi e ipoteche su auto e immobili;
  • pignoramento del conto corrente o dei compensi;
  • azioni legali dei fornitori per recupero crediti;
  • revoca dei fidi bancari e segnalazione nelle centrali rischi.

Tuttavia, prima che la crisi diventi irreversibile, la legge consente diverse forme di tutela e ristrutturazione del debito, anche per le ditte individuali.

Come difendersi e gestire la crisi della ditta individuale

Un avvocato specializzato in diritto tributario e crisi d’impresa può valutare la tua situazione complessiva e individuare la soluzione più adatta tra:

  1. Rateizzazione o sospensione delle cartelle – possibilità di ottenere piani di pagamento fino a 120 rate o sospendere temporaneamente la riscossione in presenza di ricorsi o procedure in corso.
  2. Rottamazione e saldo e stralcio dei debiti – riduzione o cancellazione parziale di sanzioni e interessi per debiti fiscali o contributivi.
  3. Accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento – procedura prevista dal Codice della Crisi d’Impresa che consente anche agli imprenditori individuali di proporre ai creditori un piano di rientro sostenibile o una riduzione concordata del debito.
  4. Liquidazione controllata del patrimonio – strumento per chi non può più proseguire l’attività e vuole liberarsi dai debiti residui dopo la chiusura della ditta.
  5. Opposizione o sospensione degli atti esecutivi – in caso di pignoramenti, ipoteche o cartelle irregolari, è possibile ottenere la sospensione o l’annullamento degli atti illegittimi.
  6. Piano di risanamento fiscale – riorganizzazione dell’attività e riduzione del carico tributario con l’assistenza di un avvocato tributarista e di un consulente fiscale.

Le strategie difensive più efficaci

  • Verificare la legittimità delle cartelle esattoriali e degli atti notificati;
  • Chiedere la sospensione della riscossione se sono in corso ricorsi o contenziosi;
  • Proporre un piano di rientro personalizzato ai creditori pubblici e privati;
  • Valutare la composizione della crisi o la liquidazione controllata per ottenere la liberazione dai debiti residui;
  • Dimostrare l’inesigibilità o prescrizione dei crediti fiscali più vecchi;
  • Impugnare atti viziati o non motivati davanti alla Corte di Giustizia Tributaria.

Come salvare il patrimonio personale del titolare

Anche se la ditta individuale non ha una personalità giuridica distinta, è possibile adottare misure per proteggere il patrimonio personale, come:

  • trasformare la ditta in società di capitali (Srl) per limitare la responsabilità futura;
  • intestare i beni familiari a soggetti non debitori (se fatto prima della crisi);
  • ricorrere alla composizione negoziata della crisi per evitare procedure esecutive;
  • ottenere la sospensione giudiziale dei pignoramenti in presenza di una procedura di sovraindebitamento.

Ogni caso richiede una valutazione legale personalizzata per scegliere la strategia più efficace.

Quando la ditta può essere salvata

Non tutte le crisi portano alla chiusura. Con l’aiuto di un avvocato e di un consulente fiscale è possibile:

  • rinegoziare debiti e forniture;
  • sospendere le azioni esecutive in corso;
  • ottenere riduzioni di imposte o sanzioni;
  • mantenere l’attività aperta con un piano di ristrutturazione sostenibile.

Molte ditte riescono a tornare operative proprio grazie a una gestione tempestiva e legale del debito.

Quando è necessario chiudere la ditta

Se l’attività non è più redditizia, può essere conveniente chiudere la partita IVA e avviare una procedura di liquidazione controllata o saldo e stralcio.
Questo consente di:

  • evitare ulteriori debiti futuri;
  • bloccare le azioni esecutive in corso;
  • ottenere la liberazione completa dai debiti residui dopo la liquidazione.

Chiudere in modo ordinato è spesso meglio che subire pignoramenti e sanzioni per anni.

Come scegliere l’avvocato giusto per difendersi

Affrontare la crisi di una ditta individuale richiede un legale con esperienza in:

  • diritto tributario e riscossione fiscale;
  • sovraindebitamento e procedure di composizione della crisi;
  • contenzioso tributario e opposizione ad atti esecutivi;
  • negoziazioni con banche, fornitori e Agenzia delle Entrate-Riscossione;
  • tutela del patrimonio personale e familiare.

Un avvocato esperto può aiutarti a bloccare i pignoramenti, ridurre i debiti e salvare ciò che conta davvero.

Cosa succede se non ti difendi

Ignorare la crisi e non intervenire comporta conseguenze gravi:

  • pignoramenti di beni, stipendi e conti correnti;
  • ipoteche sulla casa o sull’attività;
  • blocco dei rapporti bancari e commerciali;
  • iscrizione nelle banche dati dei cattivi pagatori;
  • impossibilità di aprire nuove attività o accedere a finanziamenti.

Agire subito, invece, ti permette di fermare la spirale debitoria, difenderti legalmente e ricominciare.

Quando rivolgersi a un avvocato

Devi contattare un avvocato se:

  • la tua ditta ha ricevuto cartelle, solleciti o atti esecutivi;
  • non riesci più a pagare fornitori, tasse o contributi;
  • vuoi sospendere pignoramenti o trattare con i creditori;
  • stai valutando la chiusura dell’attività o la ristrutturazione del debito.

Un avvocato esperto in diritto tributario e crisi d’impresa può:

  • esaminare la tua situazione e bloccare gli atti illegittimi;
  • proporre piani di rateizzazione, saldo e stralcio o composizione della crisi;
  • difenderti in giudizio contro Agenzia delle Entrate o Riscossione;
  • tutelare il tuo patrimonio e ottenere la liberazione dai debiti residui.

⚠️ Attenzione: la crisi di una ditta individuale non è irreversibile. Con una difesa tempestiva e una strategia legale mirata puoi evitare pignoramenti, ridurre i debiti e salvare la tua attività o il tuo patrimonio personale.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, riscossione e difesa in situazioni di crisi d’impresa – spiega cosa fare quando una ditta individuale è in difficoltà e come difendersi dai debiti con l’assistenza di un avvocato specializzato.

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Introduzione

Una ditta individuale in crisi si trova ad affrontare debiti che non riesce più a pagare regolarmente. In Italia, l’imprenditore individuale risponde con tutto il proprio patrimonio dei debiti della sua attività (c.d. responsabilità patrimoniale illimitata ex art. 2740 c.c.), incluse quindi proprietà personali come la casa, i risparmi e i beni mobili . Questa caratteristica rende cruciale, per il titolare di una ditta in difficoltà, conoscere quali strumenti di legge esistono per risanare la situazione debitoria o proteggere i beni essenziali, e come difendersi dalle azioni esecutive dei creditori.

Aggiornamento normativo: Negli ultimi anni la materia è stata profondamente riformata dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.lgs. 14/2019), entrato in vigore nel 2022 e successivamente modificato dal decreto correttivo del 2024 (D.lgs. 136/2024) . Queste norme, insieme alle più recenti sentenze della giurisprudenza, hanno introdotto nuove procedure e tutele – dall’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento (ora concordato minore) alla liquidazione controllata, fino all’innovativa composizione negoziata della crisi – pensate per offrire all’imprenditore onesto ma sfortunato una “seconda opportunità” .

Nei paragrafi che seguono analizzeremo in dettaglio cosa può fare una ditta individuale sovraindebitata per difendersi dai creditori, evitando ove possibile l’aggressione ai beni personali (in primis la prima casa) e arrivando, nei casi previsti, alla cancellazione dei debiti (esdebitazione). Troverai inoltre tabelle riepilogative, domande e risposte frequenti (FAQ) e casi pratici simulati (ad esempio: un artigiano con debiti fiscali; una ditta individuale con ipoteca sulla casa) per facilitare la comprensione delle soluzioni disponibili.

Rischi e responsabilità patrimoniale dell’imprenditore individuale indebitato

Prima di esaminare le soluzioni, è importante capire i rischi concreti che un imprenditore individuale affronta in caso di insolvenza. A differenza delle società di capitali (come s.r.l. o s.p.a.), la ditta individuale non ha personalità giuridica distinta dalla persona fisica che la conduce. Ciò comporta che tutti i debiti dell’attività ricadono direttamente sul titolare, il quale ne risponde illimitatamente con tutti i suoi beni presenti e futuri (art. 2740 Cod. Civ.) . In pratica: se la ditta non paga un fornitore, un finanziamento o le tasse, il creditore può rivalersi anche sui beni personali dell’imprenditore (conti bancari personali, immobili intestati al titolare, automobile privata, ecc.).

Esempio: Mario è un artigiano titolare di una ditta individuale. Oltre ai macchinari e alle attrezzature della ditta, Mario possiede un’automobile personale e la casa di abitazione intestata a sé medesimo. Se la sua ditta contrae debiti che non riesce a pagare, i creditori potranno pignorare sia i macchinari aziendali sia l’auto personale e, in talune circostanze, la casa di Mario, poiché non c’è distinzione tra patrimonio dell’impresa e patrimonio dell’imprenditore.

Responsabilità e coniugi/familiari: I debiti della ditta individuale sono debiti personali dell’imprenditore. Ciò significa che né il coniuge né altri familiari ne rispondono, a meno che non abbiano prestato garanzie personali (fideiussioni) o coobbligazioni. Tuttavia, se marito e moglie sono in comunione dei beni, i creditori potrebbero aggredire i beni comuni (salvo quelli esclusi ex art. 177 c.c.). Per tutelarsi, talvolta gli imprenditori costituiscono un fondo patrimoniale o utilizzano trust/fiduciarie, destinando beni (come la casa) a fini familiari nella speranza di sottrarli ai creditori. Attenzione: queste forme di protezione patrimoniale offrono garanzie limitate. Ad esempio, il fondo patrimoniale non protegge dalla maggior parte dei debiti d’impresa, perché tali obbligazioni sono considerate contratte per scopi estranei ai bisogni della famiglia e quindi i creditori possono comunque far valere le loro ragioni . Inoltre, atti dispositivi compiuti quando la crisi era già in atto (ad es. donare la casa ai figli, vendere beni a parenti, ecc.) possono essere revocati dal giudice su istanza dei creditori se compiuti in frode alle loro ragioni.

Conseguenze tipiche dell’insolvenza: se la ditta individuale entra in una situazione di insolvenza (incapacità di pagare regolarmente i debiti), i creditori possono intraprendere azioni legali di recupero forzoso. In particolare:

  • Decreti ingiuntivi e precetti: il creditore insoddisfatto può ottenere un decreto ingiuntivo dal giudice ed emettere un precetto intimando il pagamento entro 10 giorni.
  • Pignoramenti mobiliari: trascorso inutilmente il termine del precetto, può iniziare il pignoramento di beni mobili dell’imprenditore (macchinari, attrezzature, merci) o dei suoi conti correnti, nonché di eventuali crediti verso terzi (es. pignoramento di crediti che la ditta vanta sui clienti). Vedremo più avanti i dettagli e i limiti di queste esecuzioni.
  • Pignoramento immobiliare: i creditori possono iscrivere ipoteca sugli immobili del debitore e, in difetto di pagamento, avviare l’espropriazione immobiliare mettendo all’asta la casa o altri fabbricati di proprietà del titolare della ditta. Ci sono tuttavia alcune tutele particolari per la prima casa del debitore (si veda il paragrafo dedicato), specialmente se il creditore è l’erario (Agenzia Entrate Riscossione).
  • Segnalazioni e pregiudizi sul credito: l’inadempimento prolungato può comportare segnalazioni al CRIF o Centrale Rischi (impedendo l’accesso a nuovi finanziamenti) e, per debiti fiscali, iscrizione a ruolo e cartelle esattoriali. Inoltre, il fallimento (oggi liquidazione giudiziale) non si applica al piccolo imprenditore sotto soglia, ma ove applicabile costituirebbe un’ulteriore conseguenza grave (si veda oltre).

In sintesi, la ditta individuale in crisi rischia il proprio patrimonio a 360 gradi. È dunque essenziale agire per tempo, valutando le soluzioni offerte dalla legge per fermare le esecuzioni e ristrutturare o ridurre i debiti. La normativa italiana, specie con il nuovo Codice della crisi, ha previsto procedure ad hoc per i debitori non fallibili (come i piccoli imprenditori) volte a gestire il sovraindebitamento in modo ordinato, con l’obiettivo finale di permettere al debitore di ripartire liberandosi dai debiti pregressi (principio della fresh start sancito anche dalla Direttiva UE 2019/1023 ).

Sovraindebitamento: definizione e ambito di applicazione

Con sovraindebitamento si intende, secondo la legge italiana, la situazione di crisi o insolvenza di un debitore civile che non può accedere alle ordinarie procedure concorsuali riservate alle grandi imprese (fallimento, concordato preventivo, ecc.) . In pratica, il concetto include:

  • Consumatori insolventi (persone fisiche che hanno debiti personali, non legati ad attività d’impresa).
  • Piccoli imprenditori commerciali “non fallibili”, ossia ditte individuali o società di persone di dimensioni sotto le soglie di fallibilità previste (attivo ≤ 300.000 €, ricavi ≤ 200.000 €, debiti ≤ 500.000 €) .
  • Imprenditori agricoli, tradizionalmente esclusi dal fallimento.
  • Professionisti e lavoratori autonomi con debiti professionali (es. un avvocato con studio individuale indebitato) .
  • Enti non commerciali (associazioni, fondazioni, ONLUS) e start-up innovative esenti da fallimento .
  • Ex imprenditori cessati, cioè persone che avevano un’impresa individuale poi chiusa/cancellata dal Registro Imprese, con debiti residui sia personali che legati alla ex attività .

Queste categorie non possono (o non possono più) essere dichiarate fallite secondo la legge. Ad esse si applicano quindi le speciali procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento previste dal Codice della crisi (che ha sostituito la previgente Legge 3/2012). L’obiettivo di tali procedure è duplice: da un lato regolare la crisi in modo equo tra tutti i creditori (evitando l’anarchia delle esecuzioni singole), dall’altro alleviare il debitore onesto consentendogli, a certe condizioni, di ripagare parzialmente i debiti e ottenere la cancellazione di quelli insostenibili (esdebitazione) .

Crisi vs insolvenza

La normativa distingue lo stato di crisi dallo stato di insolvenza (art. 2, co.1, lett. a) e b) CCII). In breve:

  • Si ha crisi quando il debitore, pur essendo ancora adempiente, prevede di non poter far fronte regolarmente ai propri debiti nei successivi 12 mesi con le risorse e i flussi di cassa prospettici . È una situazione di difficoltà che anticipa l’insolvenza vera e propria.
  • Si ha insolvenza quando il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, per inadempimenti protratti o altri fatti esteriori (ad es. mancanza di liquidità cronica, pignoramenti in corso, ecc.) .

Nella pratica, il sovraindebitato è spesso già insolvente o lo diventa nel giro di poco. La legge incentiva ad agire già allo stadio di crisi incipiente, prima che l’insolvenza conclamata aggravi il dissesto (esempio tipico: contrarre nuovi debiti per pagare i vecchi, effetto “a palla di neve” che rinvia ma aggrava il default) .

Chi può accedere alle procedure di sovraindebitamento?

Come detto, le procedure sono riservate ai debitori non fallibili. In sintesi :

  • Consumatori (persona fisica che ha contratto obbligazioni per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale) .
  • Imprenditori minori (piccoli imprenditori commerciali sotto soglia) .
  • Imprenditori agricoli (sempre esclusi dal fallimento ex art. 2135 c.c.).
  • Professionisti e artisti (non soggetti a fallimento).
  • Start-up innovative non fallibili.
  • Enti non profit (associazioni, fondazioni non commerciali).
  • Ex imprenditori cessati (persone che hanno chiuso l’impresa). Importante: se l’impresa è cessata da oltre 1 anno, la legge pone dei limiti: in particolare l’art. 33 CCII esclude le procedure di ristrutturazione (concordato) per chi è cancellato dal Registro Imprese da oltre 12 mesi . In tal caso l’ex imprenditore potrà comunque accedere alla liquidazione controllata ed esdebitazione, ma non al concordato minore (lo vedremo nel dettaglio più avanti).

Novità sulla definizione di consumatore: Il Codice della crisi ha lievemente modificato la definizione di consumatore. In passato si richiedeva che la persona avesse contratto debiti “esclusivamente” per scopi estranei all’attività d’impresa. Oggi il termine “esclusivamente” è stato rimosso (art. 2, co.1, lett. e, CCII) . Ciò consente una maggiore flessibilità: ad esempio, un ex piccolo imprenditore che abbia chiuso la partita IVA e sia rimasto con debiti misti (in parte d’impresa, in parte personali) può essere trattato come consumatore limitatamente ai debiti personali, se questi prevalgono e la crisi finanziaria è dovuta principalmente alla sfera privata . Alcune pronunce di merito confermano questa possibilità, ammettendo al piano del consumatore ex imprenditori con debiti promiscui quando il grosso dell’indebitamento è personale/familiare.

Orientamento restrittivo della Cassazione: Va però segnalato che la Corte di Cassazione ha adottato finora un criterio più rigido. Secondo una sentenza del 2016 (Cass. 1869/2016) e successive conferme, basta anche un solo debito di natura imprenditoriale perché il soggetto non possa qualificarsi “consumatore”, neppure se l’attività è cessata . La Cassazione ha ribadito questa linea anche dopo il nuovo Codice: con ordinanza del 23 luglio 2023, n. 22699, ha ritenuto che la modifica lessicale del CCII non cambi la sostanza e ha confermato l’esclusione del soggetto con qualunque debito d’impresa dalle procedure da consumatore . Ciò significa che, secondo la Suprema Corte, un ex imprenditore con debiti “misti” non può accedere al piano del consumatore, ma dovrà utilizzare il concordato minore o la liquidazione controllata. Tuttavia, giurisprudenza di merito recente (2024-2025) mostra aperture: alcuni tribunali (Vicenza, Ancona, Modena, Napoli Nord, Pordenone) hanno ammesso ex imprenditori alle procedure di composizione considerando prevalente la finalità personale o la natura liquidatoria del concordato minore anche post-cessazione . In sede pratica, dunque, c’è un contrasto tra un filone pro-debitore a livello locale e l’orientamento restrittivo di legittimità; il debitore con debiti promiscui deve esserne consapevole, perché l’esito può dipendere da quale giudice esamina il caso .

Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (Codice della Crisi)

Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) prevede diverse procedure giudiziali per gestire il sovraindebitamento dei soggetti ammessi . Tali procedure, che sostituiscono quelle introdotte dalla L.3/2012, sono:

  1. Ristrutturazione dei debiti del consumatore (artt. 67-73 CCII) – ex piano del consumatore, riservato ai consumatori in senso stretto (persone fisiche non imprenditrici) .
  2. Concordato minore (artt. 74-83 CCII) – ex accordo di composizione dei debiti, destinato a imprenditori minori, professionisti, start-up, enti non fallibili che non siano consumatori .
  3. Liquidazione controllata del sovraindebitato (artt. 268-277 CCII) – ex liquidazione del patrimonio, procedura liquidatoria giudiziale applicabile a qualsiasi debitore sovraindebitato (consumatore o non) .
  4. Esdebitazione del debitore (artt. 278-284 CCII) – istituto che permette la cancellazione dei debiti residui a favore del debitore persona fisica meritevole, a conclusione di una procedura liquidatoria. Include due figure innovative: l’esdebitazione “di diritto” (automatica dopo 3 anni dalla chiusura della liquidazione controllata, salvo eccezioni) e l’esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII), che consente in casi estremi la cancellazione dei debiti anche senza alcun pagamento ai creditori .
  5. Procedure familiari (art. 66 CCII) – possibilità introdotta dal Codice di presentare un unico piano o concordato per più membri della stessa famiglia in sovraindebitamento, con coordinamento delle posizioni (utile ad es. per coniugi coobbligati su mutui, ecc.).

Vediamo ora in dettaglio le prime tre soluzioni (ristrutturazione, concordato minore, liquidazione) e poi il meccanismo dell’esdebitazione. Queste procedure richiedono l’assistenza di un organismo di composizione della crisi (OCC) o di un professionista gestore nominato dal tribunale, che aiuterà a predisporre la proposta e redigerà una relazione sulla situazione del debitore.

Ristrutturazione dei debiti del consumatore (Piano del consumatore)

Cos’è: È un piano presentato da un consumatore sovraindebitato al tribunale, per ristrutturare i propri debiti senza necessità di accordo preventivo coi creditori. In sostanza, il consumatore formula una proposta unilaterale di pagamento – ad es. dilazionato o parziale – che, se giudicata ammissibile e meritevole dal tribunale, può essere omologata e resa vincolante per tutti i creditori (anche dissenzienti).

Presupposti soggettivi: Può accedere a questa procedura solo chi rientra nella definizione di consumatore (persona fisica che ha contratto debiti per scopi estranei ad attività imprenditoriali o professionali) . Dunque è escluso l’imprenditore individuale in attività, così come l’ex imprenditore se i debiti d’impresa sono rilevanti (vedi discussione sopra sulla nozione di consumatore e suoi limiti). Un artigiano o commerciante con partita IVA non può presentare un piano del consumatore; se però ha cessato l’attività e i suoi debiti residui sono per lo più personali (es. familiari, di consumo), allora potrebbe qualificare come consumatore (salvo il rischio di interpretazione restrittiva già visto).

Meritevolezza e buona fede: Diversamente dalle altre procedure, la ristrutturazione del consumatore richiede per legge un giudizio di meritevolezza del debitore (art. 69 CCII). Il tribunale ammette al piano solo il consumatore che non ha causato la propria insolvenza con colpa grave, malafede o frode. In passato questa valutazione era molto stringente (il c.d. “triplice test di meritevolezza” secondo la giurisprudenza ante riforma); oggi la normativa, anche su impulso della Direttiva UE, tende a interpretarla in modo più equilibrato, focalizzandosi su comportamenti dolosi o gravemente imprudenti. Ad esempio, se i debiti derivano da spese voluttuarie sproporzionate o il debitore ha occultato beni, l’accesso al piano può essere negato. Viceversa, la Cassazione ha chiarito che non basta aver contratto debiti oltre le proprie risorse per essere tacciati di malafede: se le banche hanno concesso prestiti in modo irresponsabile senza verificare il merito creditizio, il debitore non va considerato automaticamente colpevole . In un’importante pronuncia del 2022, ad esempio, la Suprema Corte (ord. n. 28225/2022) ha statuito che il giudice deve valutare se l’eccessivo indebitamento del consumatore è dipeso anche da finanziatori imprudenti in violazione dell’art. 124-bis TUB (dovere di valutazione del merito creditizio) e, in tal caso, non può negare il piano solo per la leggerezza del debitore .

Contenuto del piano: Il consumatore, con l’ausilio dell’OCC, elabora un piano che indica come intende risanare la propria situazione debitoria. Può prevedere le più varie soluzioni, ad esempio: – pagamento parziale dei debiti (stralcio) in percentuale, se le risorse non consentono il pagamento integrale; – dilazione del pagamento su più anni, eventualmente con rate crescenti; – liquidazione volontaria di alcuni beni (es. vendita di un immobile o di un’autovettura) per ricavarne somme da distribuire ai creditori; – mantenimento di determinati beni ritenuti necessari (la legge consente, ad esempio, di escludere dal piano la casa di abitazione se il debitore può continuare a pagare il relativo mutuo regolarmente fuori dal piano).

Non è obbligatorio offrire il pagamento integrale a tutti i creditori: anche i debiti verso il Fisco o le banche possono essere ridotti. In passato c’erano limiti sulla falcidia di taluni crediti (ad es. l’IVA e le ritenute fiscali non versate erano ritenute infalcidiabili, cioè da pagare integralmente, diversamente dagli altri debiti) ma la Corte Costituzionale con sentenza n. 245/2019 ha dichiarato illegittimo vietare la falcidia dell’IVA per i soggetti sovraindebitati . Oggi dunque anche l’IVA e i debiti tributari possono essere trattati nel piano con pagamento parziale, purché la proposta sia seria e vantaggiosa rispetto all’alternativa liquidatoria. In pratica, il piano deve assicurare ai creditori almeno quanto otterrebbero in una liquidazione dei beni del debitore (principio del miglior soddisfacimento). Spesso per i crediti fiscali si applica la “transazione fiscale” (art. 63 CCII), cioè l’Agenzia delle Entrate può esprimersi sull’accettazione del trattamento proposto; tuttavia nel piano del consumatore non vi è un vero voto dei creditori, dunque il loro dissenso può emergere solo eventualmente con opposizione all’omologa.

Procedimento e omologazione: Presentata la domanda con il piano e la documentazione (elenco debiti, elenco beni, redditi, attestazione OCC, ecc.), il tribunale: – verifica ammissibilità e meritevolezza iniziale; – può concedere misure protettive (su richiesta) per sospendere o vietare azioni esecutive dei creditori durante la pendenza della procedura (art. 54-ter CCII, applicabile a tutte le procedure minori); – fissa un’udienza in cui i creditori e gli enti (es. Fisco) possono eventualmente fare osservazioni o opposizione; – valuta il piano nel merito e, se lo ritiene fattibile e conveniente per i creditori rispetto all’alternativa, procede all’omologazione, rigettando le eventuali opposizioni dei creditori dissenzienti qualora il piano rispetti la legge.

Non essendoci voto dei creditori, il giudice ha un ruolo centrale di controllo di legalità e merito. Se omologato, il piano diventa obbligatorio per tutti i creditori inclusi, anche se qualcuno aveva espresso dissenso. Da quel momento, il debitore dovrà eseguire il piano sotto la sorveglianza dell’OCC. Al completamento dei pagamenti previsti, il tribunale dichiarerà l’esdebitazione del consumatore, cioè la cancellazione definitiva di tutti i debiti anteriori rimasti eventualmente non pagati (salvo quelli espressamente esclusi per legge, come le obbligazioni alimentari, i risarcimenti da illecito e i debiti eventualmente non inseriti per dolo).

Vantaggi e svantaggi: La ristrutturazione del consumatore permette di: – Tagliare il debito a misura delle capacità effettive del debitore (fresh start), senza dover liquidare tutti i propri beni (a differenza della liquidazione). – Mantenere, in certi casi, beni essenziali (es. l’abitazione, se sostenibile separatamente). – Bloccare immediatamente le azioni esecutive appena la procedura viene aperta (e anche prima, con la richiesta di misure protettive). – Non subire il voto dei creditori: è il giudice che decide, il che aiuta quando alcuni creditori siano irriducibili.

Di contro: – È riservata ai consumatori (esclusi imprenditori in attività). – Richiede la meritevolezza: se il giudice ravvisa comportamenti gravemente scorretti del debitore, l’accesso viene negato. Ad esempio, un caso di malafede trattato di recente dalla Cassazione: un debitore aveva falsato il proprio merito creditizio ottenendo prestiti con informazioni non veritiere; il suo piano del consumatore è stato rigettato e la Cassazione ha confermato che la malafede blocca l’omologazione . Nella pronuncia (Cass. ord. 6869/2025) si sottolinea che omissioni dolose o frodi verso i creditori giustificano il diniego del piano . – Non c’è interazione diretta con i creditori: ciò è un’arma a doppio taglio, perché se da un lato il debitore non dipende dal loro assenso, dall’altro i creditori contrari possono far valere le proprie ragioni in sede di omologa, rallentando il procedimento con eventuali cause di opposizione.

Esempio pratico: Paolo, dipendente, si è indebitato per €50.000 tra prestiti e carte di credito, che non riesce più a pagare dopo aver perso il lavoro. Nessun bene da vendere tranne un’auto vecchia. Tramite un OCC propone un piano del consumatore offrendo di rimborsare €20.000 in 4 anni usando un nuovo stipendio (circa il 40% del debito), dichiarando il resto inesigibile. Il giudice verifica che Paolo non ha tenuto condotte maliziose (si è indebitato per far fronte a spese mediche, non per gioco d’azzardo, ad esempio) e che i creditori prenderebbero zero in un’alternativa liquidatoria (Paolo non ha immobili né altri beni). Omologa dunque il piano nonostante l’opposizione di una finanziaria, ritenendolo vantaggioso e fattibile. A fine piano, Paolo sarà liberato anche del restante 60% di debiti.

Concordato minore (per imprenditori sotto soglia e non consumatori)

Cos’è: Il concordato minore è la procedura analoga, per i piccoli imprenditori e soggetti non consumatori, al concordato preventivo delle imprese maggiori. Si tratta di una proposta di accordo ai creditori, formulata dal debitore sovraindebitato e sottoposta ad un voto di approvazione da parte dei creditori stessi (richiede la maggioranza dei crediti ammessi al voto) . Se i creditori approvano e il tribunale omologa, l’accordo diventa vincolante per tutti. È quindi una procedura di natura concorsuale a tutti gli effetti, seppur “minore” in quanto riservata a debitori di piccole dimensioni.

Soggetti ammessi: Qualsiasi debitore in sovraindebitamento che non sia un consumatore. In particolare rientrano : – Imprenditori minori (sotto le soglie di cui sopra). – Imprenditori agricoli. – Professionisti e autonomi con P.IVA. – Start-up non fallibili. – Enti non commerciali. – Imprenditori cessati da meno di 1 anno (se >1 anno, art. 33 CCII vieta concordato). La legge infatti dice che l’imprenditore cancellato dal registro imprese non può presentare domanda di concordato ; ciò è interpretato come un’inammissibilità trascorso 1 anno dalla cessazione , in parallelo alla regola per cui il fallimento può essere iniziato entro 1 anno dalla cessazione (art. 33 co.1). La Cassazione, con ordinanza del 2023 ex art. 363-bis c.p.c., ha confermato questa preclusione rigorosa: un ex imprenditore cessato da oltre 12 mesi non può accedere al concordato minore . L’unica eccezione è prevista in caso di procedura familiare congiunta con altri debitori non consumatori (art. 66 CCII), dove un consumatore può “partecipare” ad un concordato minore familiare se uno dei familiari è non consumatore .

Requisiti di onorabilità: Il debitore che chiede il concordato minore non deve aver già beneficiato di esdebitazione nei 5 anni precedenti, né aver ottenuto esdebitazioni per due volte in totale . Inoltre, non può accedere chi ha commesso atti in frode ai creditori, ad esempio distrazione di beni (questa è causa generale di inammissibilità in tutte le procedure ex art. 69, co.1, lett. d, CCII).

Continuità aziendale o apporto esterno: Il concordato minore può avere due forme: – Concordato in continuità: prevede la prosecuzione dell’attività imprenditoriale o professionale durante e dopo la procedura . È tipico quando il debitore vuole ristrutturare l’impresa e continuare a lavorare, magari riducendo il debito e dilazionandolo. – Concordato liquidatorio: prevede la cessazione e liquidazione dei beni del debitore per pagare i creditori (un’alternativa “pilotata” alla liquidazione controllata). Nel concordato minore liquidatorio, la legge richiede però che vi sia almeno un apporto di risorse esterne che aumenti in modo apprezzabile la soddisfazione dei creditori (per evitare concordati meramente liquidatori senza valore aggiunto).

Contenuto della proposta e classi: La proposta di concordato minore è molto flessibile: può offrire qualsiasi forma di soddisfacimento dei crediti, anche parziale, e può prevedere una suddivisione dei creditori in classi con trattamento differenziato . Ad esempio, il debitore può proporre: – di pagare integralmente i creditori privilegiati entro certi tempi (salvo falcidia se consentita dalla legge per quelli degradabili); – di pagare una percentuale ai chirografari, magari con l’apporto di denaro di un parente o con i proventi futuri dell’attività; – di cedere ai creditori alcuni beni (immobili, ecc.) lasciando però in tutto o in parte indenne la prima casa, se c’è un accordo su ciò o se viene soddisfatto il valore equivalente con altre risorse.

È possibile, ad esempio, proporre di mantener fede ai debiti garantiti da ipoteca (come il mutuo casa) continuando a pagarli regolarmente, mentre si chiede ai creditori chirografari uno stralcio. Oppure, se la casa è gravata da ipoteca e non si riesce a mantenere il mutuo, il concordato potrebbe prevederne la vendita concordata con soddisfacimento del creditore ipotecario (magari con un patto di saldo e stralcio se il ricavato è inferiore al debito).

Procedura di voto: Una volta depositata la domanda di concordato minore tramite OCC e verificata l’ammissibilità, il tribunale convoca i creditori perché votino sulla proposta . Hanno diritto di voto i creditori chirografari e quelli privilegiati degradati o parzialmente soddisfatti. La maggioranza richiesta è la maggioranza dei crediti ammessi al voto (conteggio per somma di denaro, non per teste) . Non è necessario l’unanimità: i creditori dissenzienti possono essere cram-down, ossia vincolati dall’omologazione se la maggioranza approva.

Se l’accordo ottiene la maggioranza prescritta, il tribunale omologa il concordato (salvo eventuali opposizioni di creditori dissenzienti, che il giudice valuta). Da notare: la meritevolezza non è richiesta espressamente nel concordato minore, a differenza del piano del consumatore. Ciò non significa però anarchia morale: la Cassazione ha affermato che anche nelle procedure di concordato o accordo occorre valutare il comportamento del debitore in relazione alle cause del sovraindebitamento . In una recente decisione (Cass. 30538/2024) è stato cassato l’omologazione di un accordo perché il giudice di merito aveva ignorato le gravi violazioni fiscali reiterate del debitore pensando che la meritevolezza contasse solo per i piani del consumatore . La Suprema Corte ha chiarito che il contegno del debitore va considerato in tutte le procedure, sebbene nel concordato minore non vi sia un filtro “morale” formalizzato . In pratica: atti in frode, violazioni rilevanti di legge o un indebitamento creato dolosamente possono comunque portare il giudice a non omologare per contrarietà all’ordine pubblico o abuso del diritto, anche se i creditori hanno votato a favore.

Effetti e vantaggi: Con l’omologazione: – Il concordato produce gli stessi effetti vincolanti di un concordato preventivo: i creditori sono tenuti a rispettare l’accordo e le eventuali garanzie eccedenti vengono liberate. – Le azioni esecutive individuali sono vietate (c’era già lo stop cautelare con le misure protettive sin dall’apertura della procedura). – Il debitore, se previsto, continua la sua attività sotto il controllo del gestore (nel concordato in continuità). – A esecuzione del concordato, il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione per i debiti residui insoddisfatti, come nel piano del consumatore.

Un vantaggio notevole è che qui i creditori partecipano e votano: se la maggioranza approva, c’è una sorta di “consenso del mercato” sulla soluzione. Questo rende l’omologa più lineare, riducendo i rischi di opposizione (anche se il dissenziente può sempre lamentare qualche irregolarità, ma di norma il voto maggioritario lo protegge). Inoltre consente di gestire anche situazioni con asset aziendali complessi o creditori numerosi con posizioni eterogenee, grazie allo strumento delle classi (obbligatorie ad es. se vi sono creditori garantiti da fideiussioni di terzi – art. 74 CCII – per decidere se e come soddisfarli in modo differenziato) .

Gli svantaggi rispetto al piano del consumatore: – Procedura più articolata: bisogna convincere i creditori. Se la maggioranza non vota a favore, il concordato non passa. Ciò implica un lavoro di negoziazione e preparazione più complesso (spesso l’OCC o il professionista contatta i principali creditori prima di formalizzare la proposta, per tastare il terreno). – Tempi leggermente più lunghi (c’è tutta la fase del voto). – Il debitore deve rassegnarsi a fornire una disclosure completa ai creditori (elenco beni, cause d’insolvenza, ecc.) e ad accettare un certo grado di perdita di controllo, soprattutto se la procedura prevede liquidazione di beni o supervisione sull’attività.

Caso pratico: Luigi ha una piccola impresa individuale (fatturato 150.000 €/anno) e un debito complessivo di 300.000 € (100.000 € con banca garantiti da ipoteca su un capannone, 50.000 € con fornitori, 150.000 € di debiti fiscali). L’attività è ancora potenzialmente valida ma oppressa dai debiti pregressi. Luigi, tramite OCC, presenta un concordato minore in continuità proponendo: vendere il capannone (stimato 120.000 €) e pagare con il ricavato la banca ipotecaria (stralciando il debito ipotecario da 100k a 80k accordati con la banca, che accetta perché così evita asta), destinare i restanti 40k ai crediti fiscali, e continuare l’attività per 5 anni versando ai creditori fornitori e all’erario il 30% dei loro crediti, con l’aiuto di un socio finanziatore che apporta 20k freschi (risorse esterne). In tal modo, i chirografari ricevono circa il 30-35% del dovuto. I creditori votano: la banca (garantita) non vota perché soddisfatta separatamente; l’Erario e i fornitori votano favorevolmente perché l’alternativa (liquidazione) darebbe loro forse il 10-15%. Raggiunta la maggioranza, il tribunale omologa. Luigi cede il capannone, paga gli importi concordati e continua la sua impresa con un debito molto ridotto e sostenibile, libero da ipoteche e con un nuovo socio. Dopo l’esecuzione, i residui debiti fiscali e fornitori sono cancellati.

Liquidazione controllata del sovraindebitato (ex liquidazione del patrimonio)

Cos’è: La liquidazione controllata è la procedura concorsuale liquidatoria prevista dal Codice per i debitori sovraindebitati. Funziona in modo analogo al vecchio fallimento (ora chiamato liquidazione giudiziale per le imprese maggiori) e alla liquidazione del patrimonio della L.3/2012. In parole semplici, il debitore mette a disposizione tutto il suo patrimonio liquidabile che verrà venduto sotto la supervisione di un liquidatore nominato dal tribunale, e il ricavato verrà distribuito proporzionalmente ai creditori. Al termine, il debitore persona fisica potrà ottenere l’esdebitazione delle eventuali somme non pagate.

Chi può accedere: Tutti i debitori sovraindebitati, senza distinzione. La liquidazione controllata infatti è l’“ultima spiaggia” sempre possibile, sia per il consumatore sia per l’imprenditore minore, sia – importantissimo – per l’ex imprenditore cessato da oltre un anno. Se un ex titolare di ditta individuale ha chiuso l’attività da molto tempo, non potrà proporre un concordato minore (inammissibile ex art. 33 co.4 CCII ), ma potrà comunque accedere alla liquidazione controllata per liberarsi dei debiti . In tal senso la Cassazione ha sottolineato che, pur precludendo il concordato agli ex imprenditori tardivi, la legge lascia intatto il diritto all’esdebitazione tramite liquidazione: l’impossibilità di concordato “non preclude affatto l’esdebitazione, anzi con il nuovo Codice diviene un vero diritto decorso il triennio dalla liquidazione” .

Iniziativa: Una caratteristica importante è che la liquidazione controllata può essere avviata sia dal debitore volontariamente, sia dai suoi creditori o dall’OCC. Cioè, se il debitore non prende iniziative e i creditori vogliono evitare di inseguirlo con mille pignoramenti, possono essi stessi chiederne la liquidazione giudiziale controllata (purché soggetto ammissibile). Questa possibilità era prevista anche dalla L.3/2012 ma raramente utilizzata; resta comunque un pungolo affinché il debitore cooperi.

Come funziona: Proceduralmente, la liquidazione controllata ricorda un fallimento semplificato: – Il debitore deposita un’istanza di liquidazione al tribunale (tramite OCC), allegando l’inventario dei beni, l’elenco dei creditori e i documenti contabili. – Se la richiesta è ammissibile (ad es. il debitore non deve aver già ottenuto esdebitazione in tempi recenti, né aver commesso frodi evidenti), il tribunale apre la procedura con decreto. Da quel momento: – I beni del debitore (tranne quelli impignorabili per legge, vedi oltre) diventano vincolati alla procedura. – Viene nominato un Liquidatore giudiziale, che sostituisce il debitore nella gestione del patrimonio (il debitore perde la disponibilità dei beni, similmente all’effetto del fallimento). – Si apre lo stato passivo: i creditori vengono invitati a presentare domanda di ammissione al passivo entro una certa data, e il liquidatore forma l’elenco dei crediti. – Sono sospese e vietate tutte le azioni esecutive individuali dei creditori. I pignoramenti in corso si spengono e confluiscono nella procedura collettiva. – Il liquidatore procede a vendere i beni del debitore secondo le regole (aste giudiziarie, cessione beni mobili, ecc.) e a ripartire il ricavato tra i creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione (privilegi, ipoteche, poi chirografi). – Al termine, presenta il conto finale e il giudice chiude la procedura.

Durante la liquidazione controllata, il debitore ha obblighi di cooperazione (deve mettere a disposizione i beni, fornire ogni informazione, non nascondere né distruggere nulla, segnalare eventuali sopravvenienze come vincite o eredità, ecc.). Non c’è tuttavia un requisito di meritevolezza per l’accesso: anche il debitore che abbia colpe può essere liquidato (d’altronde i creditori hanno interesse comunque a liquidare i beni). Eventuali condotte illecite del debitore potranno semmai comportare sanzioni o, in casi estremi, il diniego dell’esdebitazione in sede di chiusura.

Beni esclusi: Non tutti i beni del debitore vengono toccati. Restano esclusi: – I beni legalmente impignorabili (artt. 514 e 515 c.p.c.), ad esempio: abiti, effetti personali, mobili di casa indispensabili, generi di prima necessità, stipendi/pensioni nei limiti impignorabili, strumenti di lavoro indispensabili entro un certo valore, ecc. Tali beni non entrano nemmeno nella massa attiva. – Inoltre, eventuale prima casa? Su questo punto, la legge 3/2012 prevedeva la possibilità per il giudice di escludere la casa di abitazione dalla liquidazione se il ricavato ipotizzabile fosse molto esiguo rispetto ai crediti o se un familiare offrisse di accollarsi il mutuo residuo (art. 14-terdecies L.3/2012). Il nuovo Codice non contiene una norma identica, ma lascia margine al debitore di accordarsi coi creditori per tener fuori la casa (cosa più tipica però di un concordato che di una liquidazione). Nella liquidazione pura, se la casa è di proprietà del debitore ed è libera o comunque pignorabile, in linea di principio verrà venduta dal liquidatore per soddisfare i creditori. Tuttavia, se la casa è gravata da mutuo e il suo valore di mercato è basso (magari inferiore al debito ipotecario), può accadere che nessuno la compri e quindi di fatto il debitore la conservi (il liquidatore infatti non è obbligato a svendere a ogni costo, e se il bene non è liquidabile utilmente può essere escluso). Esempio: se il debitore ha come unico immobile la casa di residenza con mutuo residuo molto alto vicino al valore dell’immobile, potrebbe non convenire venderla perché il ricavato andrebbe tutto alla banca ipotecaria; in tali casi talora la liquidazione si chiude lasciando la casa e il mutuo al debitore, che magari trova un accordo con la banca.

Durata: La liquidazione controllata ha una durata variabile, in genere 3-4 anni, collegata anche a un requisito per l’esdebitazione: la legge prevede infatti che l’esdebitazione “automatica” per il debitore persona fisica scatti dopo 3 anni dalla chiusura della procedura (ridotti a 1 anno se si trattava di liquidazione senza beni attivi, ex art. 282 CCII). Questo implica che usualmente la procedura liquidatoria dura almeno qualche anno per completare vendite e riparti.

Esdebitazione finale: Una volta chiusa la liquidazione, il debitore persona fisica ha diritto all’esdebitazione dei debiti residui (art. 282 CCII), salvo che: – sia stato meno che minimamente cooperativo (ad es. ha sottratto attivi, violato obblighi informativi) o abbia agito in frode; – oppure abbia già goduto di esdebitazione in passato (l’esdebitazione non è concessa più di una volta ogni 5 anni, e mai più di due volte in totale ).

Nel nuovo Codice l’esdebitazione post-liquidazione è pressoché automatica (“di diritto”): decorso il termine, opera salvo opposizione di creditori o diniego per ragioni specifiche. Questo è un forte incentivo per il debitore a sottoporsi alla liquidazione: sa che dopo un periodo di 3 anni potrà ripartire pulito dai vecchi debiti .

Esdebitazione del debitore incapiente: Una novità assoluta è l’art. 283 CCII, che consente al debitore persona fisica nullatenente (o con beni di valore trascurabile) di ottenere l’esdebitazione senza dover liquidare nulla, purché: – sia meritevole (insolvenza non dovuta a frodi o colpe gravi); – non abbia disponibilità di liquidità o patrimonio da offrire (al massimo, viene impegnato a versare ai creditori, nei 4 anni successivi, somme se sopravvenissero redditi oltre una certa soglia di sussistenza).

Questa procedura, detta anche “esdebitazione dell’incapiente”, è un rimedio estremo per dare sollievo al debitore onesto ma totalmente privo di risorse, evitando di aprire una liquidazione formale priva di sostanza. È concesso una sola volta nella vita e non copre i debiti alimentari, da illecito e quelli esclusi ex lege. Rappresenta il recepimento del principio dell’“fresh start” anche per i casi più disperati.

Confronto tra procedure di sovraindebitamento:

Di seguito una tabella riepilogativa che confronta i tratti salienti delle tre procedure (piano del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata):

CaratteristicaPiano del ConsumatoreConcordato MinoreLiquidazione Controllata
Soggetti ammessiSolo consumatore (no debiti d’impresa, salvo marginali)Debitori non consumatori (impr. minori, prof., enti, ecc.)Qualsiasi debitore sovraindebitato (cons. o non)
Accesso se impresa cessata >1 anno (come consumatore se debiti personali prevalenti)No (domanda inammissibile se impresa cessata da >12 mesi) (nessuna preclusione temporale)
Voto dei creditoriNo (decide il giudice) (maggioranza crediti > 50%)No voto (liquidazione imposta per legge)
Ruolo del tribunaleValuta meritevolezza e convenienza, omologa se tutto ok anche con creditori contrariVigila sulla regolarità, omologa se voto favorevole (può cramdown opposizioni minori)Nomina liquidatore, supervisiona l’intera procedura
Meritevolezza del debitoreRichiesta (filtro all’ingresso: no colpa grave/frode)Non richiesta formalmente, ma condotta valutata in omologaNon richiesta per l’accesso, rileva solo per eventuale diniego esdebitazione finale
Effetto sugli atti dei creditoriSospende e poi vieta esecuzioni individuali (dalla data di ammissione, o prima se misure protettive concesse)Uguale: sospensione dall’apertura, eventuali misure protettive già dalla domandaUguale: sospensione da apertura procedura; i creditori non possono agire se non via liquidazione
Durata indicativa3-5 anni (durata dei pagamenti previsti)Variabile (di solito 3-5 anni se continuità, meno se liquidatorio)Variabile 2-4 anni circa (dipende dalla complessità liquidazione)
Esito finale per i debitiEsdebitazione a fine piano (debiti residui cancellati)Esdebitazione a fine concordato (debiti residui cancellati)Esdebitazione dopo 3 anni dalla chiusura (salvo eccezioni)
Vantaggi principali per debitore– Riduzione debito senza accordo creditori<br>– Conservazione di alcuni beni essenziali<br>– Procedura relativamente rapida– Possibile continuare attività aziendale<br>– Coinvolgimento attivo dei creditori (più probabile accordo sostenibile)<br>– Flessibilità (classi, stralci con consenso)– Accessibile a chiunque, anche casi disperati<br>– Permette scarico completo dei debiti anche se nessuna capacità di pagamento immediata<br>– Prevista automaticità di esdebitazione
Svantaggi / Rischi– Accesso limitato ai soli consumatori<br>– Rischio diniego se debitore ritenuto in malafede<br>– Creditori possono fare opposizione in omologa (allungando i tempi)– Necessaria approvazione dei creditori (rischio esito negativo)<br>– Procedura complessa simil-concorsuale (costi e tempi maggiori rispetto a piano)<br>– Non disponibile se attività cessata da >1 anno (in tal caso resta solo liquidazione)– Perdita totale del patrimonio non necessario<br>– Gestione in mano al liquidatore (debitor passivo)<br>– Tempi di liquidazione e riparto possono essere lunghi<br>– Se debitore ha agito fraudolentemente può perdere diritto a esdebitazione

(Fonti: Codice della crisi artt. 67-83, 268-277, 282-283; Linee guida Trib. Livorno 2024; Cass. 2024 n.30538; Cass. 2023 n.22699)

Come si evince, ogni procedura ha il suo campo di applicazione e i suoi pro e contro. In generale, un piccolo imprenditore in attività tenterà di solito un concordato minore (sperando di salvare l’azienda e ristrutturare il debito) o, se proprio impossibile, opterà per la liquidazione controllata per chiudere tutto e ripartire da zero. Un ex imprenditore con solo debiti personali cercherà di qualificarsi come consumatore per fare un piano del consumatore; se ciò non riesce (perché giurisprudenza glielo nega), dovrà ripiegare sulla liquidazione controllata. Un consumatore puro sceglierà il piano del consumatore se ha un reddito o patrimonio sufficiente a offrire qualcosa ai creditori, altrimenti (se è nullatenente) potrà valutare direttamente l’esdebitazione da incapiente.

Come difendersi dalle azioni esecutive dei creditori

Affrontare i debiti non significa solo attivare le procedure concorsuali viste sopra. In molti casi il debitore, nell’attesa o nella speranza di soluzioni, si trova a dover gestire azioni esecutive già minacciate o avviate dai creditori (pignoramenti, ipoteche, ecc.). Vediamo quali strumenti esistono per difendersi dai debiti “giorno per giorno”, in termini di rimedi alle esecuzioni forzate e di protezione di determinati beni.

Misure protettive e sospensione delle azioni (automatic stay)

La prima linea di difesa per un debitore che avvia una delle procedure di composizione della crisi è la possibilità di ottenere la sospensione temporanea delle azioni esecutive da parte dei creditori. Nel Codice della crisi sono previste le misure protettive del patrimonio (artt. 54-ter e 54-quater CCII), applicabili sia al piano del consumatore che al concordato minore (nonché alle grandi imprese in concordato preventivo). In pratica: – Dal momento in cui il debitore deposita la domanda di accesso alla procedura (piano o concordato) può chiedere al tribunale di ordinare ai creditori di non iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul suo patrimonio. – Il tribunale emette un decreto che pubblica l’istanza e concede le misure in via provvisoria, sospendendo i pignoramenti in corso (fermo restando che dovranno poi convergere nella procedura concorsuale se aperta) . Entro 30 giorni deve confermarle o revocarle in contraddittorio con i creditori, valutando se la richiesta di concordato/piano è seria e non abusiva . – Durante il periodo di protezione (rinnovabile e comunque limitato nel tempo, es. fino a 4 mesi salvo proroghe), i creditori non possono iscrivere ipoteca giudiziale, né iniziare pignoramenti. Eventuali termini di prescrizione o decadenza a favore dei creditori restano sospesi per non penalizzarli e riprendono dopo.

Questa “calma temporanea” serve a creare lo spazio per predisporre e presentare il piano/concordato e per evitare che, nel frattempo, qualche creditore porti via i beni migliori pregiudicando la par condicio. Esempio: Tizio sta per presentare un piano del consumatore; un suo creditore ha già pignorato l’auto e minaccia di pignorare lo stipendio. Con le misure protettive, Tizio ottiene che quel creditore e altri non possano proseguire né iniziare esecuzioni. Se poi il piano verrà omologato, i pignoramenti decadranno; se invece la procedura dovesse sfumare, i creditori riprenderanno le azioni (ma almeno nel frattempo Tizio ha tentato la via della ristrutturazione).

Anche nella composizione negoziata (di cui parleremo a breve) è prevista la possibilità per l’imprenditore di ottenere misure protettive dal tribunale mentre negozia con i creditori (art. 18 D.L. 118/2021 conv. L.147/2021).

Al di fuori delle procedure concorsuali, l’unico modo di fermare un’esecuzione è tramite un’opposizione giudiziale all’esecuzione (artt. 615 e 616 c.p.c.) o al precetto, ma ciò è possibile solo se vi sono vizi formali o sostanziali del titolo esecutivo o del precetto (es. il debito è già pagato, il pignoramento è stato eseguito su beni impignorabili, ecc.). L’opposizione sospende l’esecuzione solo se il giudice concede esplicitamente la sospensione in presenza di gravi motivi. Si tratta dunque di rimedi difensivi da valutare caso per caso con l’avvocato, ma che non risolvono il problema del debito: spostano solo la questione su un piano legale, eventualmente dilatorio.

In ogni caso, avviare una trattativa o iniziare una procedura di sovraindebitamento in molti frangenti consente al debitore di guadagnare tempo e protezione, nonché di evitare il peggio (come la vendita all’asta della casa) se agisce tempestivamente.

Esecuzioni mobiliari: pignoramento di beni mobili, conti e stipendio

Quando un creditore munito di titolo (es. decreto ingiuntivo reso esecutivo) avvia un pignoramento mobiliare, significa che colpisce: – Beni mobili fisici di proprietà del debitore: ad esempio, l’ufficiale giudiziario si presenta presso l’abitazione o la sede della ditta e inventaria arredi, macchinari, merci, veicoli, ecc. per poi venderli all’asta. – Conti correnti: il pignoramento presso terzi, tipicamente l’istituto bancario dove il debitore ha il conto, per bloccare le somme fino a concorrenza del credito. Idem per carte prepagate o depositi. – Crediti verso terzi: ad esempio, il creditore può pignorare i crediti che la ditta vanta verso i propri clienti (questo avviene notificando l’atto sia al debitore che al suo debitore terzo, intimando a quest’ultimo di non pagare più il suo creditore originario ma il pignorante). – Stipendi o pensioni: se il titolare della ditta ha anche uno stipendio (o è pensionato) o la moglie/marito lavoratore ha cointestato il conto, si possono pignorare le somme dovute dal datore di lavoro o dall’ente pensionistico, nei limiti di legge.

Limiti legali alle esecuzioni mobiliari: La legge italiana prevede diverse tutele per evitare che il pignoramento lasci il debitore in miseria: – Beni impignorabili: l’art. 514 c.p.c. elenca beni mobili assolutamente impignorabili, ad esempio: abbigliamento, biancheria, letto, tavoli per pasti, armadi, elettrodomestici di base (frigo, fornelli, lavatrice), utensili di cucina, oggetti di culto, decorazioni al valore, animali da compagnia e da affezione, commestibili per un mese, carburante per riscaldamento per 3 mesi, e così via. Quindi il creditore non può portare via al debitore il letto o il frigo di casa, per intenderci. Anche strumenti di lavoro indispensabili per l’attività professionale sono impignorabili nei limiti di quanto occorre per svolgere il lavoro e salvo che il pignoramento sia richiesto dal creditore che fornì i mezzi per acquistarli (es. il furgone dell’artigiano di solito è salvo, tranne se a pignorarla è la banca che finanziò proprio quel furgone). Se però tali beni hanno un valore rilevante e vi sono altri beni più che sufficienti a garantirne il sostentamento, il giudice può autorizzarne la vendita con riserva al debitore di una parte del ricavato (art. 515 c.p.c.). – Conti correnti e depositi: il pignoramento di somme di denaro ha anch’esso dei limiti. Se il debitore è una persona fisica e sul conto affluiscono stipendio o pensione, la legge tutela almeno l’ultimo emolumento accreditato prima del pignoramento (impignorabile) e, per le somme successive, ne rende pignorabile solo una quota (vedi oltre). Inoltre, su conti cointestati, la giurisprudenza ritiene che il pignoramento colpisca solo la quota di pertinenza del debitore (presuntivamente il 50% se due cointestatari, salvo prova diversa). – Stipendi e pensioni: l’art. 545 c.p.c. dispone che gli stipendi, i salari, le pensioni e in generale le indennità legate al sostentamento sono pignorabili nei limiti di 1/5 (un quinto) dell’importo, al netto delle ritenute. Quindi se il debitore ha un lavoro dipendente, il creditore può pignorare al massimo il 20% del suo stipendio mensile (salvo che ci siano più pignoramenti concorrenti: ad es. c’è un limite di metà dello stipendio cumulativo). Per le pensioni, è inoltre impignorabile la parte corrispondente all’assegno sociale aumentato della metà (circa 1,5 volte l’assegno sociale): in pratica su una pensione modesta la quota pignorabile potrebbe essere quasi zero. Queste soglie servono a garantire un minimo vitale al debitore. – Redditi da lavoro autonomo: se il titolare di ditta è un autonomo, i crediti futuri verso i clienti non sono facilmente pignorabili (si possono pignorare quelli già esistenti). Non c’è un salario fisso mensile, quindi i limiti di 1/5 non si applicano in modo diretto. Tuttavia, eventuali compensi periodici potrebbero essere assimilati (giurisprudenza fa analogie se l’autonomo riceve pagamenti periodici da un committente principale).

Opposizione agli atti esecutivi: Il debitore può contestare singoli atti del pignoramento (ad es. la stima dei beni mobili, o l’assegnazione) se irregolari, ma queste sono questioni tecniche specifiche. Generalmente, se il debito è dovuto, opporsi serve solo a ritardare e difficilmente evita la vendita.

Strategie pratiche: – Se si ha liquidità su conti, una mossa ovvia prima che scattino pignoramenti è spostare le somme su conti non intestati al debitore (es. coniuge, figli) o prelevarle in contanti. Attenzione però: queste operazioni, se fatte in malafede per sottrarre risorse ai creditori, potrebbero portare conseguenze (revocatoria delle donazioni ai familiari, contestazioni in sede di procedure concorsuali, ecc.). Ma è comprensibile che, ad esempio, un debitore prelevi dal conto lo stipendio appena arriva per evitare il successivo pignoramento. – Evitare di accumulare troppi beni pignorabili sul proprio nome: ad es. se si hanno due auto, valutare di venderne o intestarne una al coniuge se questi non ha debiti. Ciò va fatto quando ancora non c’è in atto un’esecuzione, altrimenti sarebbe facilmente revocabile. – Per macchinari o merci aziendali: a fronte di un pignoramento mobiliare presso l’azienda, spesso c’è spazio per negoziare con il creditore una soluzione (tipo: evitare la vendita all’asta svantaggiosa e piuttosto trovare un acquirente concordato o fare un pagamento parziale per liberare i beni). Il giudice dell’esecuzione può sospendere l’asta se c’è la prospettiva di un accordo. – Conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.): il debitore esecutato può chiedere di sostituire i beni pignorati con una somma di denaro pari al debito e spese, depositandola in tribunale (o offrendo un piano in rate garantite). Questo consente di liberare i beni dal vincolo. Ad esempio, se pignorano l’auto e la casa, il debitore potrebbe evitare la vendita depositando l’importo dovuto. È però una soluzione praticabile solo se si riesce a racimolare l’importo (o ottenerlo da terzi) e conviene farlo prima che lievitino i costi.

Esecuzione immobiliare: il pignoramento e la vendita della casa

Il rischio maggiore per un debitore persona fisica è la perdita della propria casa di abitazione a causa dei debiti. In Italia, la regola generale è che la casa (o altri immobili) del debitore sono pignorabili da parte di qualunque creditore munito di titolo esecutivo, fatta eccezione per alcune limitazioni quando il creditore è l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia). Analizziamo la questione in due scenari: creditori privati (banche, fornitori, ecc.) e creditore Fisco.

Creditore privato (banca, finanziaria, persona fisica): In linea di principio, non c’è una protezione legale che impedisca al creditore di pignorare la prima casa del debitore. Se ad esempio la banca vanta un credito non pagato: – Se la banca ha un’ipoteca volontaria (come nel caso del mutuo), potrà agire in via esecutiva sull’immobile ipotecato non appena il debitore è in mora. L’esistenza dell’ipoteca dà al creditore ipotecario un diritto di prelazione sul ricavato e la possibilità di espropriare l’immobile. – Se non c’è ipoteca, la banca (o altro creditore chirografario) può comunque pignorare la casa, ma dovrà attivare un procedimento di esecuzione ordinario. Venduta la casa, il ricavato andrà ai creditori secondo l’ordine: prima eventuali creditori ipotecari (se ad es. c’era già un’ipoteca di terzi o un’ipoteca giudiziale registrata), poi i chirografari in proporzione.

Non esiste un divieto generalizzato di pignorare l’unica casa per i creditori privati. Questo significa che, a differenza di altri Paesi, da noi la “homestead exemption” (esenzione della casa di abitazione) non è prevista salvo procedure concorsuali particolari o interventi ad hoc. L’unica tutela è pratica: spesso le case all’asta vengono vendute a valori inferiori al mercato, quindi un creditore potrebbe preferire negoziare un saldo e stralcio col debitore invece di pignorare (soprattutto se il debito è piccolo e l’immobile è gravato da mutuo). Ma se il debito è rilevante, il creditore non esiterà a colpire l’immobile.

Creditore Agenzia Entrate-Riscossione (Fisco): Qui la legge ha introdotto importanti limiti dal 2013 (D.L. 69/2013 “decreto del fare”, che ha modificato l’art. 76 del DPR 602/1973) . In sintesi, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione non può pignorare l’unico immobile adibito ad abitazione principale del debitore, se: – è l’unico immobile di proprietà del debitore (oltre pertinenze); – il debitore vi risiede anagraficamente; – non è di lusso (quindi non accatastato A/8 o A/9, né villa/castello) .

Questa è la tipica situazione della prima casa. Se tutte queste condizioni sono rispettate, la prima casa è impignorabile per i debiti fiscali . Attenzione: ciò vale solo per l’agente della riscossione, non per altri creditori . Una banca può comunque pignorare la prima casa, la norma limita solo il Fisco.

Se invece: – il debitore possiede più immobili (es. seconda casa, terreno, ecc.), oppure la casa non è sua residenza o è di lusso, – allora l’Agente di riscossione può procedere a pignorare immobili, ma solo a certe condizioni: – Il debito fiscale totale superi 120.000 € . – Sia stata precedentemente iscritta ipoteca e siano passati almeno 6 mesi senza pagamento . – Inoltre, dal 2017 il valore complessivo dei beni immobili del debitore deve superare 120.000 € (per evitare espropriazioni di case di modesto valore) .

Se il debito fiscale è invece sotto 120.000 €, l’Agenzia non può far vendere all’asta immobili; se è sopra 20.000 € può iscrivere ipoteca ma senza esecuzione . Quindi ad es. per €50.000 di cartelle il Fisco può ipotecare la casa, ma non metterla all’asta (finché il debito resta sotto 120k).

Effetto di altri creditori: Importante, la norma dice “l’agente della riscossione non dà corso all’espropriazione”. Ma se un altro creditore (es. la banca) pignora la casa, allora anche l’Agente Fiscale può intervenire nella procedura e partecipare al ricavato, senza che valgano i limiti di cui sopra . In pratica, se la casa va comunque all’asta per iniziativa di un creditore privato, il Fisco non è più tenuto a stare fermo: potrà inserirsi e recuperare parte del suo credito dal ricavato.

Protezione della prima casa nelle procedure concorsuali: Nei piani del consumatore o concordati minori, il debitore può cercare di “salvare” la prima casa: – Ad esempio, proponendo di continuare a pagare il mutuo e quindi di lasciare l’ipoteca intatta fuori dalla procedura, in modo che la casa non venga toccata. – Oppure trovando un accordo col creditore ipotecario (es. vendere la casa fuori asta ad un prezzo di mercato migliore, col consenso della banca, ottenendo magari uno stralcio del debito residuo – ciò a volte è più conveniente anche per la banca stessa rispetto all’asta).

Nella liquidazione controllata, come detto, non c’è un automatismo di tutela prima casa (salvo che l’attivo sia nullo). Ma va considerato che se il debitore è in bonis (non ancora in procedura) e vede avvicinarsi il rischio di pignoramento, può valutare un’ultima risorsa: richiedere la rinegoziazione o il “fondo salva-casa” introdotto col 2023 (Legge 197/2022 art.1, commi 476-480, c.d. fondo garanzia prima casa in asta), per cui un debitore persona fisica la cui prima casa è all’asta può ottenere la sospensione dell’asta e l’erogazione di un nuovo mutuo, garantito dallo Stato, per riacquistare la casa a importo calmierato. È una misura rivolta a situazioni specifiche (asta già in corso, requisiti ISEE, ecc.), ma merita menzione come ulteriore strumento di salvataggio della casa.

In sintesi sulla casa: Per difendere l’abitazione, il debitore ha queste opzioni: – Pagare o ristrutturare il debito ipotecario per tempo (es. tramite le procedure di sovraindebitamento, o accordi con la banca). – Sfruttare le tutele di legge se il creditore è il Fisco (impedendo pignoramento se è l’unica casa). – In extremis, valutare cessioni a terzi di fiducia molto prima che inizino i guai (ma con rischio revocatoria se fatte in frode). – Utilizzare eventuali strumenti agevolativi (fondo salva-casa). – Se l’asta è avviata, cercare un accordo con chi ha pignorato: ad es. spesso le banche accettano vendite private concordate col debitore sospendendo l’asta, perché all’asta pubblica tipicamente incassano di meno. Un debitore può dire: “ho trovato un acquirente che compra casa mia a 100 anziché 80 che forse è il prezzo d’asta, chiudiamo il debito e liberiamo l’ipoteca”. Questa strada extragiudiziale è un tipo di accordo transattivo.

Accordi stragiudiziali con i creditori: soluzioni negoziali fuori dal tribunale

Oltre alle procedure giudiziali fin qui esaminate, un imprenditore individuale in crisi può tentare di negoziare accordi direttamente con i creditori per ristrutturare o ridurre il debito, senza coinvolgere il tribunale. Tali accordi (stragiudiziali) possono essere informali o formalizzati in contratti, a seconda dei casi. Ecco alcune forme tipiche:

  • Saldo e stralcio: Consiste nell’offrire a un creditore il pagamento immediato (o in breve termine) di una certa somma a saldo di tutto il debito, inferiore al dovuto nominale. È molto comune con banche o finanziarie su crediti deteriorati: ad esempio, si deve €50.000 ma se ne offrono €20.000 subito in cambio della liberatoria completa. Se il creditore ritiene che con azioni legali recupererebbe meno (o in più tempo), può accettare. L’accordo va messo per iscritto, spesso su moduli standard del creditore.
  • Dilazione di pagamento (piano d rientro): Il debitore chiede più tempo per pagare e il creditore può concedere una rateizzazione extra-giudiziale, magari con nuovi termini e interessi. Spesso i creditori concordano piani di rientro con cambiali o con riconoscimento di debito del debitore (che se poi non paga, facilita al creditore ottenere un titolo).
  • Accordo plurilaterale con creditori: Se l’impresa ha più debitori, può cercare di stipulare un accordo con tutti o gran parte di essi, stabilendo una percentuale di taglio del debito e nuove scadenze, evitando la procedura formale. Questo è però difficile da raggiungere senza la pressione di una procedura giudiziale, perché il singolo creditore è incentivato a “tirarsi fuori” per prendere il 100% anziché aderire a uno stralcio. Spesso un accordo collettivo riesce solo se c’è un mediatore e i creditori riconoscono che l’alternativa è il fallimento/liquidazione in cui prenderebbero meno.

Piano attestato di risanamento: Per imprese (anche di piccole dimensioni) esiste uno strumento chiamato piano attestato di risanamento (art. 56 CCII, ex art. 67 L.Fall.) in cui l’imprenditore predispone un piano di risanamento e ottiene da un professionista indipendente una attestazione di veridicità e fattibilità, allo scopo di ristrutturare i debiti. Se questo piano viene eseguito e reso noto (ma non omologato dal tribunale), gli atti posti in essere in attuazione del piano godono di esenzione da revocatoria fallimentare. È uno strumento principalmente per evitare che eventuali pagamenti o ristrutturazioni fatti in extremis possano essere annullati in caso di successivo fallimento. Per le ditte individuali “non fallibili” il piano attestato ha un’utilità limitata, ma qualora si trovino a rischio di liquidazione giudiziale (se magari superano soglie o per procedura unitaria art. 65 CCII) può essere considerato.

Accordo di ristrutturazione dei debiti (ard) ex art. 57 CCII: Questo è un procedimento giudiziale ma semplificato rispetto al concordato preventivo, destinato ad imprese (non al consumatore). Viene menzionato qui perché è un ibrido: prevede un accordo privato con creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti e l’omologazione di tale accordo in tribunale per renderlo efficace anche verso i non aderenti (limitatamente a loro sospendere azioni esecutive, o nel caso di “accordi estesi” ex art. 61 CCII, vincolarli se soddisfatti in misura minima garantita). Tuttavia, gli accordi di ristrutturazione in senso tecnico del Codice sono pensati per imprese soggette a liquidazione giudiziale (cioè sopra soglia); per i piccoli sovraindebitati si utilizza il concordato minore analogo. Dunque una ditta individuale sotto soglia di solito non farà un “ard” ma direttamente un concordato minore.

Vantaggi degli accordi stragiudiziali: – Sono più rapidi e flessibili: niente udienze, niente occ, niente pubblicità (si evita l’etichetta di “insolvente” che procedure pubbliche comportano). – Possono rimanere riservati (mentre i procedimenti concorsuali finiscono in registri pubblici). – Possono essere ritagliati su misura con ciascun creditore (ogni creditore accetta un suo accordo magari diverso dagli altri, cosa impossibile in un concordato dove tutti devono stare alle stesse regole salvo classi). – Costano meno in termini di spese legali e di gestione.

Svantaggi e rischi:Non vincolano i dissenzienti: se ho 5 creditori e solo 3 accettano lo stralcio, gli altri 2 possono comunque aggredirmi e mandare all’aria l’equilibrio. Non c’è il principio di maggioranza come nelle procedure giudiziali. – Possono mancare di “tenuta”: se il debitore non ha un attestato di un professionista che il piano è fattibile (come avviene nei concordati), i creditori potrebbero dubitare e anche dopo aver firmato, se il debitore salta una rata tornano all’esecuzione subito. – Revocatoria: un accordo stragiudiziale con cui, ad esempio, pago un creditore al 50% potrebbe essere contestato da altri creditori se poi finisco comunque in fallimento/liquidazione entro 2 anni, come atto in frode o pagamento preferenziale. Solo il concordato o accordo omologato dà protezione da revocatoria.

In genere, si tenta la via stragiudiziale quando la situazione non è ancora irreversibile, ossia quando con qualche sacrificio e aiuto esterno il debitore può pagare una parte significativa del dovuto e i creditori hanno fiducia. Ad esempio, se la ditta ha un indebitamento sostenibile con un po’ di respiro sulle scadenze, si fa un accordo di moratoria e tutti aspettano. Oppure se c’è un immobile vendibile, si vendono e si paga il 70% ai creditori e quelli rinunciano al 30% residuo pur di incassare subito.

Se invece i debiti sono troppo elevati rispetto alle capacità, oppure ci sono troppi creditori che non cooperano, la soluzione formale con il tribunale (concordato/piano) diventa necessaria.

La composizione negoziata della crisi d’impresa

Una importante novità, introdotta nel 2021 e ora parte integrante del sistema di gestione delle crisi, è la Composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa. Si tratta di uno strumento extragiudiziale assistito, pensato per imprenditori (anche individuali) in difficoltà finanziaria, volto a facilitare la negoziazione con i creditori con l’aiuto di un esperto terzo indipendente.

Contesto normativo: Introdotta col D.L. 118/2021 (convertito in L. 147/2021) e poi confluita nel Codice della Crisi (artt. 12-25-quater CCII), la composizione negoziata ha sostituito le precedenti idee di “procedura di allerta” obbligatoria con un approccio volontario e riservato. Le modifiche del terzo correttivo 2024 hanno ulteriormente raffinato questo istituto .

Chi può accedervi: Qualsiasi imprenditore commerciale o agricolo (di qualsiasi dimensione, quindi anche la piccola ditta individuale) che si trovi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tale da far presumere la crisi o l’insolvenza, ma ancora reversibile. Non è necessario essere già insolventi; anzi, l’idea è di agire precocemente. Possono accedere anche le imprese in stato di insolvenza conclamata, purché ragionevolmente risanabili, ma non quelle per cui sia già aperta una procedura concorsuale o già depositata una istanza di fallimento (salvo rinuncia).

Come si attiva: L’imprenditore presenta istanza tramite una piattaforma telematica nazionale (gestita dalle Camere di Commercio) fornendo dati su bilanci, debiti, cause della crisi, ecc. Viene nominato da una commissione un Esperto indipendente, di solito un commercialista o professionista iscritto negli elenchi, che ha il compito di agevolare le trattative tra l’imprenditore e i suoi creditori. L’esperto esamina la situazione e convoca le parti.

Svolgimento: La composizione negoziata è riservata e stragiudiziale. Non c’è l’intervento diretto del tribunale (salvo per specifici provvedimenti ausiliari, vedi sotto). L’imprenditore mantiene la gestione dell’impresa (non c’è spossessamento) ma deve gestire in buona fede e consultare l’esperto per atti di straordinaria amministrazione. Con l’aiuto dell’esperto si elaborano possibili soluzioni: – rinegoziazione dei debiti (es. allungamento scadenze, riduzioni); – ricerca di nuova finanza o investitori; – cessione dell’azienda o di rami per fare cassa; – altre operazioni di risanamento.

Misure protettive: L’imprenditore, se necessario, può chiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive durante la negoziazione . Ad esempio, bloccare temporaneamente le azioni esecutive dei creditori che partecipano, per condurre trattative serene. Il tribunale emette un decreto di protezione che viene iscritto al registro imprese (quindi la controparte sa che l’azienda è in composizione negoziata) e vale generalmente per 4 mesi, rinnovabili. Le misure vanno poi confermate dal tribunale dopo l’udienza di conferma, altrimenti cessano . Durante la protezione i creditori non possono iniziare o proseguire esecuzioni né acquisire garanzie (pena nullità).

Esito delle trattative: La composizione negoziata può concludersi in vari modi: – Accordo stragiudiziale con uno o più creditori: ad esempio un accordo di ristrutturazione firmato privatamente. Può essere poi eseguito privatamente, oppure sottoposto ad omologa come accordo ex art. 57 CCII (se si raggiungono le percentuali richieste). – Contratto di ristrutturazione con intermediari finanziari: se l’esperto riesce a far accordare solo banche e finanziari (soggetti vigilati) e l’imprenditore ha bisogno di un finanziamento, quell’accordo può essere omologato ai sensi dell’art. 23 CCII vincolando eventuali dissenzienti tra le banche (strumento più settoriale). – Concordato preventivo semplificato: se le trattative falliscono ma c’è comunque la prospettiva di liquidare l’azienda, l’imprenditore entro 60 giorni può proporre al tribunale un concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII) senza voto dei creditori (decide il tribunale). Questo istituto è stato introdotto nel 2021 come “paracadute” per chi, pur senza accordo coi creditori, volesse evitare il fallimento liquidando tutto in modo ordinato. Viene omologato se soddisfa almeno in misura non inferiore i creditori rispetto alla liquidazione fallimentare. – Accesso ad altra procedura concorsuale: ad esempio, durante la negoziazione l’imprenditore potrebbe elaborare un piano e decidere di presentare un concordato minore o un concordato preventivo formale. – Archiviazione: se non si trova nessuna soluzione e l’imprenditore non ha prospettive, l’esperto dichiara chiusa negativamente la composizione. A quel punto i creditori possono tornare a agire, ed eventualmente chiedere essi stessi la liquidazione giudiziale (fallimento) se l’impresa è insolvente e fallibile.

Vantaggi della composizione negoziata:Tempestività e riservatezza: L’imprenditore può muoversi per tempo, senza subito dover “dichiarare” lo stato di crisi pubblicamente, e sondare possibili accordi sotto la guida di un esperto. – Flessibilità nelle soluzioni: Non ci sono vincoli formali rigidi come nelle procedure giudiziali; si può trovare qualsiasi accordo creativo purché soddisfi le parti. – Costi relativamente contenuti: Non ci sono curatori o commissari da pagare (l’esperto ha compenso definito per legge, spesso inferiore rispetto ai costi di procedure lunghe). – Protezione legale mirata: Si possono ottenere benefici simili all’automatic stay, e anche contrarre finanziamenti prededucibili (protetti in caso di fallimento successivo) previa attestazione esperto e autorizzazione tribunale – ciò aiuta a trovare nuova finanza in sicurezza.

Svantaggi o limiti:Volontarietà dei creditori: L’esperto non può obbligare i creditori a fare sconti; se uno o più creditori restano rigidi, la negoziazione non produce un risultato globale vincolante per tutti. Serve comunque, spesso, in caso di dissensi, transitare a una procedura di concordato preventivo per imporre la soluzione. – Richiede un imprenditore collaborativo e trasparente: Se l’imprenditore nasconde informazioni o non segue i consigli dell’esperto, la composizione fallisce (l’esperto può anche segnalare al tribunale condotte pregiudizievoli e far cessare le protezioni). – Non cancella i debiti da sola: Diversamente da un concordato omologato, la composizione negoziata di per sé non è un titolo che modifica i debiti. Serve comunque formalizzare accordi contrattuali o successivamente omologare qualcosa.

Esempio d’uso: Maria ha una ditta individuale commerciale con 10 dipendenti. Gli affari sono calati e accumula debiti: 200k con banche, 100k con fornitori, 50k col fisco. Vuole evitare di portare i libri in tribunale e licenziare tutti. Attiva la composizione negoziata: viene nominato un esperto. Chiede misure protettive per 4 mesi (bloccando due decreti ingiuntivi dei fornitori). Con l’aiuto dell’esperto, elabora un piano: un investitore locale è disposto a entrare con 100k, le banche accettano di allungare i mutui di 5 anni, i fornitori maggiori si convincono a uno sconto 30% se pagati in parte subito con i soldi dell’investitore e in parte in 6 mesi, l’Agenzia Entrate dà ok a una rateazione ordinaria in 72 rate. Maria quindi raggiunge accordi bilaterali con tutti: alcuni debiti ridotti, altri diluiti. Poiché c’è la maggioranza dei creditori finanziari e vuole blindare l’accordo, chiede l’omologa come accordo di ristrutturazione ex art.57 CCII: in tribunale il 75% dei creditori ha aderito, il giudice omologa estendendo gli effetti anche ai pochi fornitori minori non firmatari (assicurando loro trattamento non inferiore a quello dei pari grado aderenti). Maria così evita il fallimento, salva l’azienda e dopo l’esecuzione degli accordi torna in bonis. Se la composizione fosse invece fallita (poniamo che i fornitori non accettino sconti), Maria avrebbe potuto ripiegare su un concordato preventivo semplificato liquidatorio vendendo l’azienda a un terzo e pagandoli quel che viene.

Importante: La composizione negoziata è uno strumento relativamente nuovo e in evoluzione (il 3° correttivo 2024 ha introdotto semplificazioni procedurali, ad es. sul ruolo delle camere di commercio) . Rappresenta comunque per la ditta individuale in crisi un’opportunità da considerare, specialmente quando la prospettiva di risanamento esiste ma serve un “moratorium” temporaneo e una regia terza per convincere i creditori. Se invece la situazione è già compromessa al punto che c’è poco da negoziare (es. troppi debiti per poche risorse), probabilmente conviene saltare direttamente a un concordato minore o liquidazione.

Casi pratici e simulazioni

Di seguito proponiamo alcuni casi pratici simulati, ispirati a situazioni reali, per illustrare l’applicazione concreta degli strumenti descritti. Ogni caso evidenzia le scelte possibili dal punto di vista del debitore e gli esiti attesi.

Caso 1: Artigiano con ingenti debiti fiscali

Scenario: Giovanni è un artigiano edile (ditta individuale). Negli ultimi anni, complici crisi di settore e pandemia, ha accumulato debiti con il Fisco: circa €120.000 tra IVA non versata e ritenute, più €30.000 di contributi INPS e €20.000 di multe e tasse locali, in totale €170.000 verso l’erario. Inoltre deve €40.000 a fornitori e €15.000 alla banca (fido scoperto). Possiede un furgone e attrezzature (valore €15.000) e nessun immobile di proprietà (vive in affitto). Ha però un conto corrente dove transita il suo reddito mensile (circa €2.000) su cui Agenzia Entrate Riscossione ha già iscritto fermo amministrativo sul furgone e minaccia pignoramento.

Problemi: Giovanni non è fallibile (i ricavi e debiti sono sotto soglia, ed è imprenditore minore) quindi rientra nel sovraindebitamento. Il peso maggiore è il debito fiscale. Alcune cartelle sono già state notificate ed è scaduto il termine, quindi AER potrebbe procedere a breve con pignoramenti di conto e stipendio. Giovanni teme che se iniziano a prendergli 1/5 dei guadagni (circa 400€/mese) non riuscirà a proseguire l’attività.

Soluzioni valutate:

  • Rottamazione o saldo stralcio fiscale: Giovanni verifica se rientra in qualche definizione agevolata. Purtroppo, la “rottamazione-quater” si è chiusa e comunque l’importo è elevato. Potrebbe richiedere una rateizzazione ordinaria delle cartelle (72 rate), ma sarebbero circa €2.300/mese – insostenibile. Un saldo e stralcio amichevole col Fisco è improbabile senza un contesto formale.
  • Procedura di sovraindebitamento (concordato minore): Essendo imprenditore (non consumatore), Giovanni può proporre un concordato minore. Prepara con un OCC un piano: offrire ai creditori di pagare, in 5 anni, il 40% dei debiti, quindi circa €90.000 in totale, pari a €1.500 al mese, utilizzando i ricavi futuri. Ciò richiede di aumentare un po’ l’operatività, ma Giovanni conta su nuovi contratti di lavoro. Propone di trattare tutti i chirografari (fornitori, banca) al 30%, mentre per il Fisco – che ha privilegio su IVA e ritenute – propone di pagare il 60% (quindi circa €102.000 su €170.000). Ha chiesto a un parente di mettere €20.000 una tantum sul piatto (risorse esterne) per convincere i creditori. I creditori vengono divisi in classi: Erario/INPS in una classe privilegiata (falcidiati al 60% nei limiti consentiti), banca e fornitori in classe chirografi (30%). L’OCC attesta che in una liquidazione forzata i creditori prenderebbero quasi nulla (Giovanni non ha immobili e il furgone vale poco), quindi il 40% complessivo offerto è migliorativo. Si presenta domanda di concordato minore con misure protettive per bloccare intanto i pignoramenti fiscali.
    • Esito possibile: I creditori votano. L’Agenzia Entrate in passato nei piani del consumatore non votava ma qui è concordato: verosimilmente aderisce perché 60% su IVA e ritenute è accettabile (grazie anche al precedente della Corte Cost. sul possibile stralcio IVA). Fornitori e banca preferiscono 30% subito che niente in caso di fallimento. Si raggiunge la maggioranza e il tribunale omologa il concordato. Giovanni si mette in regola e in 5 anni paga il dovuto; l’attività prosegue e lui ottiene esdebitazione sul restante 60% Erario e 70% fornitori non pagato.
    • Nota: se i creditori non avessero approvato, Giovanni avrebbe potuto comunque convertire la procedura in liquidazione controllata, liquidando i pochi beni e chiedendo esdebitazione dopo 3 anni. Avrebbe però perso l’attività (che in liquidazione chiude).
  • Composizione negoziata: in alternativa al concordato, Giovanni avrebbe potuto tentare la composizione negoziata, magari per ottenere una dilazione del debito fiscale: ad esempio l’Agenzia potrebbe accettare un pagamento in 10 anni invece che 5 (cose non possibili con strumenti ordinari). Tuttavia, data la pluralità di creditori, una procedura concorsuale dà certezza di coinvolgere tutti.

Strategia scelta: Giovanni opta per il concordato minore. Durante la procedura, grazie alle misure protettive, evita il pignoramento del conto e dello stipendio che stava per arrivare . Ottiene così di versare una parte dei suoi futuri redditi ai creditori in modo sostenibile, senza subire il tracollo immediato per mano del Fisco. A fine percorso, avrà pagato circa €90k su €225k di debiti totali, e sarà libero dal resto.

Caso 2: Ditta individuale con ipoteca sulla casa di abitazione

Scenario: Carla gestisce una piccola impresa commerciale come ditta individuale. Anni fa, ha acceso un mutuo ipotecario da €200.000 con la banca, dando in garanzia la casa di proprietà (dove risiede con la famiglia). La ditta da due anni è in forte calo di fatturato; Carla ha esaurito i risparmi e ora è indietro di 6 rate del mutuo, oltre ad avere €50.000 di debiti verso fornitori e €30.000 di debiti fiscali. La banca ha inviato la lettera di decadenza dal beneficio del termine per le rate scadute e minaccia l’azione esecutiva sull’immobile. I fornitori hanno già ottenuto decreti ingiuntivi. La casa vale circa €250.000 sul mercato, ma all’asta probabilmente verrebbe aggiudicata intorno ai €180.000-200.000. Carla vorrebbe salvare la casa, ma il debito totale (€280.000 circa) supera nettamente le sue possibilità attuali (fatturato dimezzato, ecc.).

Problemi: La banca, avendo ipoteca, è in posizione forte: può pignorare la casa anche se è prima casa, poiché è un creditore privato (la protezione prima casa non si applica ai privati) . Carla rischia concretamente la perdita dell’abitazione. D’altra parte, anche se vendesse la casa volontariamente a €250k, dovrebbe restituire €200k alla banca e con i residui €50k non coprirebbe tutti gli altri debiti (€80k). Inoltre rimarrebbe senza casa. Carla è sposata, il marito è co-mutuatario ma non proprietario; hanno due figli minori.

Possibili vie:

  • Tentare una rinegoziazione del mutuo o una moratoria: Carla può cercare di convincere la banca a darle tempo, magari allungando la durata del mutuo per abbassare la rata, o chiedere il “fondo GASPARINI” per sospendere le rate per 12 mesi (se ha requisiti). Questo però risolve poco: ormai è insolvente su più fronti.
  • Concordato minore o piano del consumatore: Carla come imprenditrice non è consumatore, quindi sarebbe un concordato minore. Purtroppo, la massa debitoria è grande e concentrata sulla banca. In un concordato, la banca ipotecaria non può essere trattata alla pari dei chirografari: ha diritto a almeno il ricavato dall’immobile. Carla potrebbe proporre un concordato dove:
  • cede volontariamente la casa e fa vendere al miglior prezzo (sperando di ottenere €250k e non il minor importo dell’asta);
  • con quei €250k paga per prima la banca (200k) chiudendo il mutuo, e usa i €50k restanti per dare un 50% ai fornitori (che sono 50k) e soddisfare parte dei debiti fiscali (30k).
  • inoltre offre ai creditori un extra di €20k che suo marito ricava dal TFR o prestito familiare. In tal modo fornitori e Fisco prenderebbero circa l’70-80% (non male rispetto a un fallimento dove la banca avrebbe preso tutto dalla casa e a loro nulla). Questo concordato sarebbe liquidatorio (Carla di fatto liquida tutto il patrimonio) con l’apporto esterno di 20k. I creditori probabilmente approverebbero perché la banca è soddisfatta interamente, e gli altri prendono la maggior parte dei loro crediti in contanti subito – meglio di inseguire Carla legalmente. Carla però perde la casa in questa ipotesi, perché deve venderla per soddisfare i creditori. Rimarrebbe in affitto.
  • Procedura di liquidazione controllata: è l’alternativa se Carla vede che non c’è margine di accordo. Se attivasse la liquidazione giudiziale del suo patrimonio:
  • Un liquidatore venderebbe la casa all’asta. La banca verrebbe soddisfatta fino a concorrenza (probabilmente incasserebbe ad es. 180k dall’asta, subendo una perdita se il credito era 200k; ma la banca può anche intervenire e consigliare un prezzo base).
  • I fornitori e Fisco prenderebbero briciole (se qualcosa avanzasse).
  • Carla però, dopo 3 anni, otterrebbe l’esdebitazione del residuo non pagato (compreso il residuo mutuo non coperto).
  • In pratica Carla in 3 anni potrebbe ripartire senza debiti, ma sicuramente senza casa.
  • Accordo stragiudiziale con la banca – fondo salva casa: Dato che Carla e famiglia tengono molto alla casa, una opzione è sfruttare il meccanismo del “Fondo Salva Casa” recentemente introdotto (Legge 197/2022). In breve: se la casa è finita all’asta, il nucleo familiare del debitore (o un terzo designato da loro) ha la possibilità di riacquistarla ad un prezzo pari al minimo tra il debito residuo e il 50% del valore di perizia d’asta, ottenendo un mutuo garantito dallo Stato. Nel caso di Carla:
  • Il mutuo residuo è €200k; supponiamo valore perizia €250k, il 50% è 125k. Quindi il prezzo d’acquisto col fondo salva casa sarebbe il minore dei due, cioè €125k.
  • Carla potrebbe convincere la banca a non procedere subito esecutivamente ma a consentirle di accedere a questa misura. Il che significherebbe che la casa verrebbe riassegnata alla famiglia con un nuovo mutuo di 125k (molto minore del precedente), e la banca originale incasserebbe 125k coperti in parte dallo Stato (soffrendo quindi un 75k di perdita che però se all’asta forse avrebbe avuto comunque).
  • I debiti fornitori e fisco resterebbero, ma sarebbero ridotti e Carla potrebbe gestirli a parte (magari poi con una liquidazione ad hoc per quelli). Questo scenario è molto complesso nei dettagli applicativi e richiede che l’asta sia già pendente; inoltre la banca deve essere d’accordo a inserirsi nel meccanismo. È quindi incerto.

Strategia scelta: Carla, consigliata dal suo avvocato, decide di evitare la guerra legale con la banca e di intraprendere negoziazioni dirette (composizione negoziata). In particolare, propone alla banca un accordo: vendere privatamente la casa a un conoscente per €250.000 (valore pieno di mercato) entro 3 mesi, anziché farla vendere all’asta dove ricaverebbe di meno. Dal prezzo, €200k vanno alla banca a estinzione mutuo; la banca accetta di rinunciare agli interessi di mora e spese per far quadrare. I restanti €50k Carla li usa per fare offerte transattive: offre ai fornitori il 50% a saldo (25k totali) e all’Agenzia Entrate chiede di spalmarle i 30k su rate lunghe (o paga una parte e chiede stralcio su sanzioni). I fornitori, vedendo che Carla altrimenti andrebbe in fallimento e prenderebbero zero (perché la banca con ipoteca divorerebbe tutto), accettano 0,50 sul euro. La casa viene venduta, Carla trasloca in affitto, ma si libera di tutti i debiti pagando complessivamente 250k di cui 200k alla banca, 25k ai fornitori, 5k al fisco (il resto rateizzato). L’attività può continuare senza quei debiti sul groppone (dovrà però valutare se sostenere l’affitto). Carla considera doloroso perdere la casa, ma razionalmente era l’unico asset per uscire dalla crisi.

Alternativa non scelta: Carla avrebbe potuto tentare un piano del consumatore sostenendo di essere ormai una ex imprenditrice (magari cessando la partita IVA) e quindi consumatore per i debiti personali (tra cui il mutuo). In tal caso avrebbe potuto proporre di tenersi la casa e pagare mutuo regolare, ma stralciare gli altri debiti. Tuttavia, ciò sarebbe stato forse dichiarato inammissibile perché il grosso del debito derivava dall’attività d’impresa, e la Cassazione su questo è rigida . Inoltre il mutuo aveva ipoteca, difficile da alterare in un piano senza consenso banca. Quindi il compromesso extragiudiziale si è rivelato più praticabile.

Caso 3: Ex imprenditore cessato con debiti personali e d’impresa

Scenario: Marco aveva una piccola impresa di trasporti (ditta individuale), che ha chiuso nel 2023 per le troppe perdite. Si è cancellato dal Registro Imprese a giugno 2023. Rimangono però molti debiti non pagati della sua attività: €80.000 con fornitori, €50.000 con una banca (scoperto di conto) e €40.000 di cartelle esattoriali. Marco attualmente lavora come dipendente (è tornato a fare l’autista per una ditta altrui) e guadagna €1.400 al mese; non ha immobili (vive in casa in affitto), possiede un’auto utilitaria, pochi risparmi. I creditori lo stanno inseguendo come persona fisica (avendo responsabilità illimitata): uno dei fornitori ha già avviato un pignoramento del 1/5 dello stipendio (280€/mese). Marco vorrebbe liberarsi da questo fardello di debiti e ricominciare, magari più avanti aprendo una nuova attività, ma con queste trattenute sullo stipendio andrebbe avanti decenni a pagare interessi.

Problemi: Essendo trascorsi meno di 12 mesi dalla cessazione, teoricamente Marco è ancora considerato un imprenditore per le procedure. Però all’atto pratico la sua impresa non esiste più: non ha più beni d’impresa da salvare, e i debiti sono residui. Può presentarsi come consumatore? La gran parte dei debiti (fornitori, banca) erano d’impresa, quindi la Cassazione direbbe no. Potrebbe fare un concordato minore? In teoria sì, perché entro 1 anno dalla cessazione, art. 33 CCII non lo vieta (il divieto scatta oltre un anno). Quindi Marco potrebbe tentare un concordato minore, ma: – Non ha alcun attivo da offrire (né beni, né entrate significative salvo lo stipendio minimo per vivere). – Un concordato che offre quasi zero verrebbe bocciato dai creditori.

La soluzione allora è probabilmente la liquidazione controllata del sovraindebitato: – Marco presenta domanda di liquidazione controllata subito. Elenca i pochissimi beni: un’auto vecchia (che verrà verosimilmente lasciata impignorabile se gli serve per andare al lavoro, essendo modesto valore), il saldo di conto (€1.000) ecc. – Il tribunale apre la procedura: nomina un liquidatore, che in effetti trova poco da liquidare. Forse vende l’auto per €3.000. – Tutte le azioni esecutive cessano: il fornitore che stava pignorando lo stipendio dovrà interrompere (Marco gioverà di 280€ in più al mese). – Si chiude la liquidazione molto rapidamente perché non c’è molto da fare. Dopo la chiusura, dopo 3 anni, Marco ottiene l’esdebitazione di diritto per i circa €167.000 di debiti rimasti . Diventano inesigibili, e Marco è liberato.

Nel frattempo (tra chiusura e 3 anni) se emergesse che ha qualche capacità contributiva, i creditori potrebbero opporsi all’esdebitazione, ma se la sua situazione resta precaria, hanno poco appiglio. Marco deve comunque comportarsi correttamente (es. non nascondere un’eredità se la riceve in quel periodo).

Esdebitazione incapiente: In questo caso specifico Marco potrebbe addirittura chiedere l’esdebitazione senza aver nulla da liquidare (art. 283 CCII) subito. Essendo persona fisica, se dimostra di essere incapiente (nessun patrimonio liquidabile oltre agli impignorabili) e la sua insolvenza non deriva da atti di frode o colpa grave, il tribunale potrebbe – sentiti i creditori – accordargli l’esdebitazione immediata di tutti i debiti, con la condizione che per i successivi 4 anni debba versare ai creditori il 10% di eventuali redditi eccedenti una certa soglia (il minimo vitale). Questa è una opportunità nuova per i casi estremi. Attenzione: va richiesta una sola volta e se poi il soggetto torna ad indebitarsi, non c’è una seconda chance su questo canale.

Scelta di Marco: Decide di percorrere la liquidazione controllata + esdebitazione standard, poiché preferisce offrire comunque quel poco (l’auto, etc.) ai creditori, in segno di buona fede, e attendere 3 anni. Apre la procedura a inizio 2024 e sa che entro il 2027 potrà essere un uomo “pulito” dai debiti. Nel frattempo aggiusta la sua vita, con lo stipendio integro (tolto il pignoramento) e, imparata la lezione, accumula qualche risparmio per il futuro. Le sentenze e l’OCC gli hanno spiegato che questa procedura è pensata proprio per dare ai debitori onesti una seconda opportunità senza lo stigma del fallimento .

Domande frequenti (FAQ)

D1: Cosa significa esattamente “sovraindebitamento” per la legge italiana?
R: Il sovraindebitamento è lo stato di crisi o insolvenza in cui si trovano i debitori “civili” non soggetti a fallimento o liquidazione giudiziale . Include perciò privati consumatori, piccoli imprenditori sotto soglia, professionisti, imprese agricole, enti non commerciali, ecc. In pratica, quando una persona o piccola impresa non riesce più a pagare i debiti e non può accedere a procedure concorsuali maggiori (come il fallimento), si parla di sovraindebitamento.

D2: Ho una ditta individuale con troppi debiti, posso “fallire”?
R: Dipende dalla dimensione della tua impresa. Le ditte individuali sotto certe soglie (attivo ≤ €300k, ricavi ≤ €200k, debiti ≤ €500k) non vengono dichiarate fallite . Se sei sotto soglia (o sei imprenditore agricolo, professionista, ecc.), non si applica il fallimento ma puoi usare le procedure di sovraindebitamento (piano del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata). Se invece la tua impresa individuale supera quelle soglie, allora sei fallibile e in caso d’insolvenza i creditori potrebbero chiederne il fallimento (oggi detto liquidazione giudiziale). Anche in quel caso però il Codice della crisi predilige soluzioni alternative (come concordato preventivo) se proponi un piano.

D3: Posso accedere al “piano del consumatore” anche se ho debiti d’impresa?
R: In teoria no, il piano del consumatore è riservato a chi ha debiti contratti per scopi estranei all’attività imprenditoriale. Se hai debiti derivanti dalla tua attività di ditta individuale, dovresti usare il concordato minore. C’è solo un’eccezione: se hai chiuso l’attività e i debiti d’impresa residui sono molto marginali rispetto ai tuoi debiti personali, alcuni tribunali potrebbero farti accedere come consumatore . Ma la Cassazione è restrittiva: anche un solo debito d’impresa può farti perdere lo status di consumatore . Quindi, salvo casi di confine, il piano del consumatore puro non è accessibile a chi ha debiti aziendali attivi.

D4: Quali debiti si possono includere in queste procedure? Anche quelli con lo Stato (tasse, multe)?
R: Si, tutti i debiti possono essere ricompresi, inclusi quelli fiscali e previdenziali, nonché debiti bancari, fornitori, privati. Le procedure di sovraindebitamento mirano a regolare in modo unitario tutto l’indebitamento. In passato c’erano limiti sulla falcidia di IVA e ritenute (che dovevano essere pagate per intero), ma la Corte Costituzionale ha eliminato quel divieto nel 2019 . Quindi oggi puoi proporre anche allo Stato un pagamento parziale delle imposte dovute (di solito mantenendo un certo minimo accettabile, ad es. spesso l’Agenzia chiede almeno il 20% sui tributi se vuoi lo stralcio, ma dipende). Tieni presente che per debiti fiscali e contributivi c’è la “transazione fiscale”: l’accordo sul loro trattamento dev’essere specifico e, nel concordato, l’omologa richiede il loro assenso se offri meno di certi importi. Comunque, cartelle esattoriali, IVA, multe, ecc. possono tutte rientrare nel piano/concordato o nella liquidazione controllata.

D5: I creditori devono accettare il piano o concordato che propongo?
R: Nel piano del consumatore, non c’è voto: deciderà il giudice se omologare, e i creditori possono solo eventualmente fare opposizione per contestare la convenienza o la tua meritevolezza, ma se il giudice dà ragione a te, il piano viene imposto . Nel concordato minore, invece, i creditori votano: serve la maggioranza (più del 50% dei crediti) . Se la ottieni, i dissenzienti saranno comunque vincolati dall’omologazione. Se non la ottieni, la proposta fallisce. Quindi devi cercare di formulare una proposta abbastanza appetibile da convincere almeno i creditori principali. Nella liquidazione controllata non c’è negoziazione: i creditori non devono accettare nulla, si esegue la legge e basta (liquidazione dei beni e riparto). Tuttavia i creditori possono opporsi poi alla tua esdebitazione se ritengono che tu abbia colpe, ma è un altro discorso.

D6: Quanto dura l’intera procedura?
R: Dipende dal tipo: – Un piano del consumatore o concordato minore normalmente arriva a omologa in circa 4-6 mesi (varia da tribunale e complessità). Poi c’è la fase di esecuzione: se il piano prevede pagamenti in 4 anni, la procedura si protrae per quel periodo sotto controllo OCC, e poi si chiude con l’esdebitazione. Quindi dalla presentazione alla chiusura finale possono passare 4-5 anni in totale, anche se la parte “giudiziale” attiva è solo iniziale. – Una liquidazione controllata può durare qualche anno per completare vendite e riparti, ma spesso i casi personali semplici (pochi beni) si chiudono anche in 1-2 anni. L’esdebitazione scatta dopo 3 anni dalla chiusura, quindi se la liquidazione dura 2 anni e chiude, poi aspetti altri 3: in totale 5 anni dalla domanda per avere la liberazione definitiva. Se però non hai nulla e chiedi l’esdebitazione incapiente, potresti chiudere tutto anche in meno di un anno. – La composizione negoziata ha per legge una durata iniziale di 3+3 mesi (prorogabile in totale fino a 12 mesi su autorizzazione). Quindi in massimo un anno dovresti concludere le trattative.

D7: Che succede se durante la procedura non riesco a rispettare il piano?
R: Se è un piano del consumatore già omologato e poi non paghi le rate o vieni meno agli impegni, i creditori o il gestore possono chiedere la revoca dell’omologazione. Significa che il piano salta, le protezioni cessano e i creditori riprendono i loro diritti come prima (possono pignorare, ecc.). Analogamente nel concordato, se non rispetti la proposta omologata, il tribunale su segnalazione può dichiarare la risoluzione del concordato e si torna punto e a capo, anzi peggio: a quel punto di solito scatta il fallimento/liquidazione giudiziale su istanza di creditori. Dunque, è fondamentale proporre solo piani sostenibili. Se dopo l’omologa sopraggiunge un imprevisto grave (es. malattia, nuovo crollo di reddito) che impedisce l’esecuzione, puoi tentare di modificare il piano rivolgendoti al giudice per un aggiustamento, ma non sempre è concesso (deve essere una modifica contenuta e comunque i creditori potrebbero dover essere riascoltati). Nella liquidazione controllata, invece, tu non hai obblighi di pagamento (vende il liquidatore); se non collabori o nascondi beni, rischi di perdere l’esdebitazione ma la procedura va avanti lo stesso.

D8: Dopo l’esdebitazione, i miei vecchi debiti sono proprio cancellati?
R: Sì, l’esdebitazione cancella verso di te ogni obbligo di pagare i debiti rimasti insoddisfatti nella procedura . Ciò vale per la generalità dei debiti antecedenti. Fanno eccezione per legge: – obblighi di mantenimento/alimenti e risarcimenti da fatti illeciti non vengono esdebitati (devono comunque essere pagati); – sanzioni penali e amministrative pecuniarie (multe) pure non sono cancellate; – debiti fiscali dichiarati inesigibili per incapienza con esdebitazione incapiente potrebbero tornare esigibili se entro 4 anni trovi risorse (ma solo in quella procedura particolare). Per il resto, banche, fornitori, fisco (per la parte non soddisfatta) non potranno più pretendere nulla da te, nemmeno in giudizio. L’esdebitazione può essere revocata a posteriori solo se si scopre che hai mentito o nascosto deliberatamente beni durante la procedura. Altrimenti è definitiva: è il tuo fresh start.

D9: Come incide tutto questo sulla mia “fedina” creditizia o imprenditoriale?
R: L’apertura di una procedura di sovraindebitamento viene registrata nei pubblici registri (Registro delle Imprese se impresa, altrimenti registro delle procedure tenuto dai tribunali) e spesso anche nelle banche dati creditizie. Quindi per un po’ di anni il tuo nominativo risulterà aver fatto un concordato o liquidazione. Questo può rendere difficile ottenere credito nell’immediato futuro. Tuttavia, il concetto di fresh start post-esdebitazione mira proprio a togliere lo stigma: una volta chiuso il procedimento e ottenuta l’esdebitazione, dovresti essere riabilitato anche sul piano civilistico. Ad esempio, se eri un imprenditore soggetto a fallimento e fallivi, c’era interdizione per alcuni anni. Invece nelle procedure da sovraindebitamento non c’è interdizione, e l’esdebitazione ti libera da limitazioni. Resta il fatto che, a livello di merito creditizio, le banche potrebbero essere caute nel prestarti soldi subito dopo. Ma molti trovano che, senza più debiti a carico, si riesce pian piano a ricostruire la propria affidabilità.

D10: Mi conviene rivolgermi a un avvocato o posso fare da solo con l’OCC?
R: In teoria la legge non obbliga ad avere un avvocato per presentare queste procedure: basta rivolgersi a un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) della tua zona (spesso istituito presso le Camere di Commercio o ordini professionali) . Lì ti verrà assegnato un gestore/esperto che ti aiuterà a predisporre la domanda e il piano. Tuttavia, per le questioni legali e strategiche (scelta della procedura giusta, tutela dei beni, eventuali opposizioni dei creditori, ecc.) è molto consigliabile farsi assistere da un avvocato esperto in crisi debitorie. Il costo dell’OCC e del professionista verrà inserito tra le spese della procedura (di solito sono onorari calmierati). Dato che in gioco c’è il tuo patrimonio e il risultato ti segnerà per gli anni a venire, investire in una buona assistenza legale è opportuno. Occhio invece a sedicenti “società debiti” che chiedono parcelle esose in anticipo: affidati a OCC pubblici o a professionisti di fiducia.

D11: Possono togliermi la prima casa se ho debiti?
R: Sì, purtroppo possono, a meno che il tuo unico creditore sia l’Erario e tu abbia i requisiti di impignorabilità (unica casa, non di lusso, residenza, e debito < 120k) . Molti pensano che “la prima casa non si tocca”, ma quella tutela esiste solo per i debiti fiscali (e anche lì con soglie) . Un creditore privato (banca, condominio, finanziaria) può far pignorare e vendere all’asta la tua abitazione senza particolari impedimenti . L’unico modo per evitarlo è trovare una soluzione prima: ad esempio con un piano del consumatore puoi eventualmente prevedere di non vendere la casa e continuare a pagare il mutuo, congelando gli altri debiti; con un accordo col creditore ipotecario potresti rinegoziare; o con una composizione negoziata ottenere una moratoria. Se sei già in esecuzione immobiliare, puoi tentare la carta della conversione del pignoramento (pagare tu il debito residuo per bloccare asta) o il citato fondo salva-casa (riacquisto agevolato). Ma son tutte misure da valutare caso per caso. In generale, meglio muoversi appena vedi che non riesci a pagare, piuttosto che aspettare l’ufficiale giudiziario alla porta.

D12: Dopo quanto tempo dalla chiusura della mia attività non posso più accedere al concordato minore?
R: Dopo 1 anno. La regola (art. 33, co.4 CCII) dice che le domande di concordato minore o accordi di ristrutturazione presentate da un imprenditore dopo più di un anno dalla cancellazione sono inammissibili . Significa che se hai chiuso la ditta da oltre 12 mesi, non puoi usare quelle procedure di ristrutturazione: o le fai entro l’anno (quando sei ancora considerato “imprenditore minore”), oppure, trascorso l’anno, ti rimane solo la liquidazione controllata. È una norma discutibile e infatti alcuni tribunali stanno cercando soluzioni creative per eccezionalmente ammettere concordati tardivi, ma la Cassazione la interpreta in modo tassativo . Quindi pianifica di conseguenza: se hai cessato l’attività ma vuoi sistemare i debiti con un concordato, muoviti entro il primo anno.

D13: Durante la procedura posso continuare a gestire la mia attività?
R: Dipende dalla procedura: – Nel piano del consumatore sì, continui come prima (tanto è pensato per persone fisiche non imprenditori attivi, ma se hai un lavoro o un’attività, la continui). – Nel concordato minore, sì in genere continui la gestione se il concordato è in continuità. Avrai però il vincolo di non fare atti straordinari senza autorizzazione e di attenerti al piano. Se il concordato è liquidatorio, invece, probabilmente prevederà la cessazione e liquidazione dell’attività. – Nella liquidazione controllata, no: i tuoi beni e eventualmente l’azienda entrano in mano al liquidatore nominato dal tribunale. Se c’era un’impresa in esercizio, di solito viene chiusa salvo casi eccezionali in cui il liquidatore la conduce temporaneamente per non perderne valore (ma è raro per piccole ditte). – Nella composizione negoziata, , tu rimani al timone della tua impresa sotto la supervisione dell’esperto; l’obiettivo è proprio risanarla.

In sostanza, se vuoi continuare a far vivere la tua ditta, devi puntare a un concordato in continuità o a una composizione negoziata. Le altre ipotesi implicano la fine dell’attività.

D14: Quanto costa avviare una procedura di sovraindebitamento?
R: Ci sono delle spese fisse modeste (marche da bollo, contributo unificato intorno a €98 per iscrivere a ruolo). I costi maggiori sono gli onorari dell’OCC/gestore e dell’eventuale avvocato. L’OCC ha tariffe stabilite dal DM 202/2014, dipendenti dal lavoro svolto e dall’attivo/passivo; spesso per un sovraindebitamento semplice possono essere qualche migliaio di euro. L’avvocato pratica un compenso da concordare (anche qui variabile). In genere, però, queste spese vengono inserite nel piano e diluite, oppure in liquidazione sono pagate in prededuzione (prima dei creditori). Se il debitore è proprio incapiente, alcuni OCC operano quasi “a risultato”, venendo pagati solo se c’è recupero. Esistono anche convenzioni con il patrocinio a spese dello Stato in alcuni casi. Quindi il costo non deve spaventarti: la filosofia è aiutare il debitore in difficoltà, non aggravarlo. La legge infatti prevede che gli organismi pubblici possano ridurre o modulare i compensi in base alla situazione.

D15: Se un creditore non viene avvisato o “dimenticato” nella procedura, che succede?
R: Devi dichiarare tutti i creditori noti. Se ne ometti in malafede, rischi l’improcedibilità o revoca. Se ne ometti per errore: – nel piano o concordato, il creditore “dimenticato” non è vincolato dall’omologa (non essendo stato informato né soddisfatto). Quindi potrebbe pretendere il pagamento per intero. In qualche caso il giudice può rimediare riaprendo la procedura per includerlo, ma è spinoso. Meglio evitare omissioni. – Nella liquidazione, se emerge un creditore dopo, può insinuarsi anche tardivamente finché non è chiuso lo stato passivo. Post esdebitazione: un creditore non avvisato potrebbe teoricamente agire, ma se era esigibile prima e rientrava tra quelli cancellabili, si potrebbe sostenere che è comunque esdebitato (questo è un punto un po’ controverso: la legge 3/2012 diceva che l’esdebitazione riguarda i debiti “implicati” nella procedura, quindi se uno non era neanche implicato, non sarebbe coperto). Sicuramente se sai di un creditore, includilo.

D16: Ho sentito parlare di piani familiari o congiunti. Posso fare una procedura unica con mio marito/moglie?
R: Sì, l’art. 66 CCII prevede la procedura familiare unità: coniuge, parenti entro il 4° grado o affini entro il 2° grado conviventi o coobbligati possono presentare un’unica proposta/piano se lo stato di crisi ha origine comune . Utile per esempio se marito e moglie hanno contratto debiti insieme (mutui cointestati ecc.). In tal caso si fa un accordo o piano unico familiare. Se almeno uno è consumatore e l’altro no, la procedura sarà considerata concordato minore familiare (per includere il non consumatore) . È una possibilità interessante per evitare duplicazione di procedure.

Fonti (Normativa e Giurisprudenza)

  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza – D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, entrato in vigore il 15 luglio 2022, e successivi correttivi: D.lgs. 17 giugno 2022, n. 83 (Correttivo bis) e D.lgs. 13 settembre 2024, n. 136 (Correttivo ter) . [In particolare, artt. 2 (definizioni di crisi, insolvenza, consumatore, imprenditore minore), 12-25-quater (composizione negoziata), 54-ter (misure protettive), 57-64 (accordi di ristrutturazione), 65 (procedimento unitario), 66 (procedure familiari), 67-73 (ristrutturazione debiti consumatore), 74-83 (concordato minore), 268-277 (liquidazione controllata), 278-284 (esdebitazione).]
  • Legge 27 gennaio 2012, n. 3 (vecchia legge sul sovraindebitamento) – rilevante per procedure aperte prima del 15/7/2022 e per interpretazioni giurisprudenziali poi confluite nel Codice .
  • Codice Civile – art. 2740 (responsabilità patrimoniale illimitata del debitore) e art. 2135 (imprenditore agricolo non fallibile).
  • Codice di Procedura Civile – art. 514 e 515 (beni mobili impignorabili), art. 543 e 545 (pignoramento presso terzi e limiti di pignorabilità di stipendi/pensioni), art. 495 (conversione pignoramento), art. 499 (intervento in esecuzione).
  • D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 – art. 76 (limiti all’espropriazione immobiliare da parte dell’Agente Riscossione: impignorabilità prima casa, soglia €120.000, ecc.) ; art. 77 (iscrizione ipoteca oltre €20.000).
  • D.L. 24 agosto 2021, n. 118, conv. in L. 147/2021 – (introduzione Composizione Negoziata, poi integrata nel CCII) .
  • Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento Europeo e Consiglio – (“Direttiva ristrutturazione e insolvenza”), recepita dall’Italia nel Codice della crisi; sancisce principi di fresh start e procedure preventive .
  • Ordinanza Corte di Cassazione, Sez. I, 23 luglio 2023, n. 22699 – conferma interpretazione restrittiva su definizione di consumatore nel CCII: l’ex imprenditore con debiti anche parzialmente d’impresa non può accedere al piano del consumatore .
  • Ordinanza Corte di Cassazione, Sez. I, 27 novembre 2024, n. 30538 (Pres. Ferro, Est. Terrusi) – stabilisce che la condotta del debitore (cause del sovraindebitamento, eventuali atti in frode o mala gestio) va valutata in tutte le procedure di composizione, non solo nel piano del consumatore .
  • Sentenza Corte di Cassazione, Sez. I, 14 marzo 2025, n. 6869 – caso di piano del consumatore rigettato per malafede: conferma che omissioni dolose sulle proprie obbligazioni (ad es. ottenere credito con false informazioni) giustificano il diniego dell’omologazione .
  • Ordinanza Corte di Cassazione, Sez. I, 7 settembre 2022, n. 28225 – in tema di meritevolezza del consumatore: il giudice, nel valutare l’accesso al piano, deve considerare anche l’eventuale violazione da parte delle banche del dovere di valutare il merito creditizio; un sovraindebitamento causato anche da credito imprudente non rende il consumatore automaticamente colpevole .
  • Sentenza Corte di Cassazione, Sez. Un., 1 febbraio 2016, n. 1869 – (precedente su L.3/2012) escludeva già che un ex imprenditore con debiti anche parzialmente d’impresa potesse qualificarsi consumatore .
  • Sentenza Corte di Cassazione, Sez. I, 20 febbraio 2020, n. 4329 – in ambito fallimentare, affronta anch’essa la nozione di consumatore ribadendo esclusione in caso di debiti d’impresa (richiamata da Cass. 22699/2023) .
  • Corte Costituzionale, sentenza 29 novembre 2019, n. 245 – dichiarata l’illegittimità costituzionale del divieto di falcidia dell’IVA nelle procedure di sovraindebitamento , aprendo la strada a trattare IVA come gli altri crediti (resta invece in discussione la falcidia delle ritenute non versate, su cui la norma impone ancora integrale pagamento per concordati fallimentari, ma nella composizione sovraindebitamento alcuni tribunali l’hanno ammessa considerando l’analogia con IVA e principi costituzionali).
  • Tribunale di Bergamo, ord. 14 febbraio 2023 (ex art.363-bis c.p.c. in materia di ex imprenditore) – caso che ha portato alla pronuncia Cass. 22699/2023; conferma preclusione concordato minore per imprenditore cessato oltre l’anno .
  • Tribunale di Vicenza, 13 marzo 2025; Tribunale di Ancona, 3 aprile 2025; Tribunale di Modena, 7 aprile 2025 – pronunce di merito innovative che hanno ammesso concordati minori proposti da ex imprenditori oltre l’anno di cessazione, valorizzando finalità liquidatoria e seconda opportunità, in parziale contrasto con Cassazione .
  • Linee guida Tribunale di Livorno per le procedure di sovraindebitamento (versione gennaio 2024) – documento che sintetizza le nuove procedure CCII: definizioni e requisiti di accesso (es. elenco ristrutturazione consumatore, concordato minore, liquidazione controllata, esdebitazione) .

La tua ditta individuale è in crisi e non riesci più a sostenere debiti, fornitori o tasse? Fatti Aiutare da Studio Monardo

La tua ditta individuale è in crisi e non riesci più a sostenere debiti, fornitori o tasse?
👉 Non sei solo: ogni anno migliaia di imprenditori si trovano nella stessa situazione, ma oggi esistono strumenti legali per salvare l’attività o chiuderla senza essere travolti dai debiti.

In questa guida ti spiego cosa fare se la tua ditta individuale è in difficoltà, come difenderti dai creditori e dal Fisco, e quali soluzioni legali puoi attivare con l’aiuto di un avvocato esperto in crisi d’impresa.


💥 Quando una Ditta Individuale è in Crisi

Si parla di crisi d’impresa quando la ditta individuale non è più in grado di far fronte regolarmente ai propri debiti — fiscali, bancari o verso fornitori.

I segnali più comuni sono:

  • ritardi nel pagamento di tasse, contributi o fornitori;
  • cartelle esattoriali non pagate;
  • richieste di rientro da parte della banca o della finanziaria;
  • pignoramenti su conti o beni aziendali;
  • blocco della liquidità o insolvenza verso i dipendenti.

📌 Ignorare la crisi porta solo al peggioramento della situazione.
Con un intervento tempestivo, invece, è possibile bloccare le azioni esecutive e trovare una soluzione sostenibile.


⚖️ Responsabilità del Titolare della Ditta Individuale

A differenza delle società, la ditta individuale non ha personalità giuridica distinta dal titolare.
Questo significa che:

  • i debiti aziendali sono anche personali;
  • i creditori possono agire sui beni del titolare (conto, auto, casa non protetta da fondo patrimoniale);
  • l’imprenditore risponde illimitatamente con tutto il proprio patrimonio.

📌 Tuttavia, la legge offre strumenti per proteggere i beni personali e ristrutturare i debiti in modo legittimo.


💠 Soluzioni per Gestire o Cancellare i Debiti

1️⃣ Piano di Rientro o Rateizzazione

Puoi chiedere una rateizzazione dei debiti fiscali o bancari fino a 72 o 120 rate, dimostrando la temporanea difficoltà.
📌 Ti consente di bloccare nuove azioni e mantenere operativa la ditta.


2️⃣ Accordo di Ristrutturazione del Debito

È una procedura giudiziale che permette di:

  • rinegoziare i debiti con i creditori;
  • sospendere pignoramenti e azioni esecutive;
  • proseguire l’attività con un piano sostenibile.

📌 È una soluzione ideale per imprese ancora attive ma in forte tensione finanziaria.


3️⃣ Composizione della Crisi da Sovraindebitamento

Prevista dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019), consente anche alle ditte individuali non fallibili di:

  • ottenere una riduzione o cancellazione parziale dei debiti;
  • sospendere pignoramenti e azioni esecutive;
  • chiudere la posizione con un piano approvato dal Tribunale.

📌 È una delle procedure più efficaci per ripartire senza essere schiacciati dai debiti.


4️⃣ Liquidazione Controllata (ex Liquidazione del Patrimonio)

Se l’attività non è più sostenibile, puoi chiedere la liquidazione dei beni residui per estinguere i debiti in modo ordinato e ottenere l’esdebitazione (cioè la cancellazione dei debiti residui).

📌 È una soluzione estrema, ma ti permette di chiudere definitivamente i debiti e ricominciare da zero.


⚠️ Come Difendersi da Pignoramenti e Fisco

Un avvocato specializzato può aiutarti a:

  • bloccare i pignoramenti con un ricorso urgente;
  • verificare vizi o prescrizioni nelle cartelle esattoriali;
  • contestare atti illegittimi dell’Agenzia delle Entrate;
  • attivare la sospensione delle procedure esecutive tramite il Tribunale;
  • proporre un piano di ristrutturazione omologato che vincola tutti i creditori.

📌 Agire subito è essenziale: dopo la notifica di un pignoramento, ogni giorno conta.


🧾 I Documenti da Consegnare all’Avvocato

  • Copia di cartelle esattoriali, decreti ingiuntivi o precetti;
  • Estratti conto bancari e finanziari;
  • Elenco dei debiti verso fornitori e creditori;
  • Bilanci o dichiarazioni dei redditi degli ultimi anni;
  • Comunicazioni dell’Agenzia delle Entrate o della banca.

📌 Questi documenti servono per ricostruire la situazione economica e scegliere la strategia legale più adatta.


⏱️ Tempi delle Procedure

  • Piano o accordo di ristrutturazione: 2–3 mesi.
  • Composizione della crisi da sovraindebitamento: 3–6 mesi.
  • Liquidazione controllata: fino a 12 mesi.

📌 Durante la procedura, tutti i pignoramenti vengono sospesi e nessun creditore può agire autonomamente.


⚖️ I Vantaggi di una Difesa Legale Specializzata

✅ Blocco immediato delle azioni esecutive.
✅ Riduzione o cancellazione dei debiti.
✅ Protezione del patrimonio personale e familiare.
✅ Possibilità di continuare l’attività o chiudere senza fallire.
✅ Ritorno alla piena solvibilità economica.


🚫 Errori da Evitare

❌ Ignorare cartelle e pignoramenti.
❌ Pagare solo alcuni creditori creando squilibri.
❌ Chiedere prestiti per coprire debiti vecchi.
❌ Aspettare troppo: dopo certe scadenze, non si può più accedere a procedure agevolate.

📌 Prima agisci, più possibilità hai di salvare la tua impresa e proteggere i tuoi beni.


🛡️ Come Può Aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza la situazione economica e individua la strategia più adatta.
📌 Ti assiste nella presentazione di istanze di sospensione e piani di ristrutturazione.
✍️ Redige e deposita ricorsi per bloccare azioni esecutive e pignoramenti.
⚖️ Ti rappresenta davanti al Tribunale e nei rapporti con l’Agenzia delle Entrate.
🔁 Ti accompagna fino alla definizione o cancellazione dei debiti.


🎓 Le Qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato cassazionista esperto in diritto tributario, bancario e crisi d’impresa.
✔️ Gestore della crisi da sovraindebitamento, iscritto presso il Ministero della Giustizia.
✔️ Specializzato nella difesa di ditte individuali e piccoli imprenditori in difficoltà.
✔️ Esperienza pluriennale nella tutela contro Fisco, banche e creditori privati.


Conclusione

Una ditta individuale in crisi può ancora salvarsi — o chiudere in modo ordinato — se si agisce per tempo e con l’assistenza giusta.
Con una strategia legale mirata puoi bloccare i creditori, ridurre i debiti e proteggere i tuoi beni personali.

⏱️ Ogni giorno conta: intervenire subito può fare la differenza tra fallire o ripartire.

📞 Contatta l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata:
la tua difesa contro i debiti della ditta individuale può partire oggi stesso.

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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