Hai ricevuto un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate e hai notato che non è firmato o riporta una firma illeggibile o digitale senza indicazione del responsabile? Ti stai chiedendo se l’atto sia valido oppure nullo?
La firma del funzionario e la delega di firma sono elementi essenziali di ogni atto impositivo. Senza una sottoscrizione regolare, l’avviso è nullo per difetto di legittimazione, poiché non si può sapere chi lo ha realmente emesso e se il funzionario era autorizzato.
Questa guida spiega quando la mancanza o l’irregolarità della firma rende nullo l’accertamento e come difendersi efficacemente davanti al giudice tributario.
Perché la firma sull’avviso di accertamento è indispensabile
Ogni avviso di accertamento, secondo l’art. 42 del DPR 600/1973 (per le imposte dirette) e l’art. 56 del DPR 633/1972 (per l’IVA), deve essere firmato dal capo dell’ufficio o da un suo delegato.
La firma serve a garantire che l’atto:
- sia riconducibile a un pubblico ufficiale legittimato;
- provenga effettivamente dall’Agenzia delle Entrate;
- sia stato emanato da un soggetto con potere di accertamento;
- rispetti le regole di validità e trasparenza amministrativa.
Un atto privo di firma valida o sottoscritto da un soggetto non delegato è giuridicamente inesistente o nullo, perché manca l’elemento formale che ne attesta la provenienza.
Cos’è la delega di firma e perché è necessaria
Il capo dell’ufficio può delegare la firma degli avvisi di accertamento a funzionari interni, ma la delega deve essere:
- scritta e motivata;
- specifica per categoria di atti (es. accertamenti, sanzioni, rimborsi, ecc.);
- riferibile a un funzionario identificabile per nome e qualifica;
- esistente al momento dell’emissione dell’atto (non può essere successiva).
La delega deve inoltre essere esibita su richiesta del contribuente o del giudice. Se non viene prodotta o non esiste, l’atto è nullo.
Quando un avviso senza firma o delega è nullo
Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, l’avviso di accertamento è nullo quando:
- manca completamente la firma (né autografa né digitale);
- la firma è illeggibile o non riconducibile a un funzionario identificabile;
- l’atto è firmato da un funzionario non delegato o non appartenente all’ufficio competente;
- l’Agenzia non è in grado di produrre la delega di firma in giudizio;
- la firma digitale è presente ma senza attestazione di validità o riferimenti al firmatario.
In questi casi, la Cassazione ritiene che l’atto sia inesistente, perché privo del requisito minimo di provenienza da un soggetto dotato di potere.
Quando invece l’avviso è valido
L’avviso resta valido se:
- è firmato digitalmente da un funzionario delegato e la delega è regolare e verificabile;
- la firma è apposta in forma elettronica e risulta riconoscibile tramite verifica certificata;
- l’Agenzia delle Entrate dimostra in giudizio che il firmatario era effettivamente autorizzato con delega interna valida.
In altre parole, la validità dell’avviso dipende dalla prova dell’esistenza e legittimità della delega al momento della sua emissione.
Cosa deve contenere un avviso firmato correttamente
Un avviso regolare deve riportare:
- la firma autografa o digitale del capo dell’ufficio o del funzionario delegato;
- le generalità leggibili del firmatario (nome, cognome, qualifica);
- l’indicazione dell’ufficio emittente;
- la data di emissione;
- gli estremi del titolo impositivo e delle motivazioni fiscali.
Se mancano questi elementi, il contribuente non può comprendere chi ha emesso l’atto, e l’avviso è impugnabile per difetto assoluto di motivazione e legittimazione.
Come difendersi da un avviso senza firma valida o delega
Un avvocato esperto in diritto tributario può predisporre una difesa solida, fondata su specifiche eccezioni giuridiche:
- Richiedere copia della delega di firma.
L’Agenzia è obbligata a produrla su richiesta del contribuente o del giudice. - Verificare la provenienza dell’atto.
Se la firma è digitale, va verificata tramite certificato qualificato e cronologia temporale. - Eccepire la nullità dell’atto.
Se la firma o la delega mancano, si può impugnare l’avviso per violazione dell’art. 42 DPR 600/1973. - Impugnare l’avviso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria.
Il ricorso va presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso, con richiesta di sospensione immediata della riscossione. - Contestare la competenza territoriale o la legittimità del funzionario.
In molti casi, gli avvisi vengono firmati da dirigenti “facenti funzioni” senza valida nomina o autorizzazione.
Le strategie difensive più efficaci
Un avvocato tributario esperto può adottare diverse linee di difesa:
- Dimostrare l’inesistenza della firma o della delega: chiedendo al giudice di ordinare all’Agenzia la produzione dei documenti interni.
- Invocare la giurisprudenza di Cassazione che ha annullato atti privi di firma (Cass. n. 22803/2014, n. 8732/2020).
- Contestare la validità della firma digitale se priva di certificato o riconducibilità al firmatario.
- Richiedere la sospensione cautelare per bloccare le conseguenze esecutive dell’atto.
Cosa succede se non impugni l’avviso
Se non presenti ricorso entro i 60 giorni previsti:
- l’avviso diventa definitivo e immediatamente esecutivo;
- l’Agenzia può iscrivere il debito a ruolo e notificarti la cartella esattoriale;
- possono partire pignoramenti e blocchi dei conti;
- decade il tuo diritto di contestare la nullità della firma o della delega.
Quando rivolgersi a un avvocato esperto
Devi contattare un avvocato se:
- hai ricevuto un avviso privo di firma o con firma illeggibile;
- sospetti che il funzionario non fosse delegato o autorizzato;
- vuoi verificare la validità della firma digitale o della delega interna;
- intendi impugnare l’avviso e sospendere la riscossione.
Un avvocato esperto in diritto tributario e contenzioso fiscale può:
- accertare la legittimità dell’atto e la presenza della delega;
- presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria;
- ottenere la sospensione dell’avviso e la cancellazione della pretesa;
- tutelarti da eventuali atti successivi (cartelle, pignoramenti, ipoteche).
⚠️ Attenzione: un avviso privo di firma o firmato da un funzionario non delegato è nullo e impugnabile, ma solo se agisci entro i termini di legge. Agire tempestivamente con l’assistenza di un legale esperto può evitare la riscossione e far annullare l’intero accertamento.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, contenzioso fiscale e difesa contro avvisi illegittimi – spiega quando un avviso di accertamento senza firma o delega è nullo, quali sono i principi di legge e le sentenze della Cassazione da conoscere, e come difendersi efficacemente per ottenere l’annullamento dell’atto.
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Introduzione
Un avviso di accertamento fiscale privo di una sottoscrizione valida – ossia non firmato dal dirigente competente né da un funzionario munito di regolare delega – può considerarsi nullo? Questa domanda ricorre spesso nei contenziosi tributari e può fare la differenza tra un debito fiscale da pagare e un atto completamente annullabile. La questione coinvolge principi cardine del diritto tributario italiano, come la legittimazione degli atti amministrativi, e riguarda da vicino sia i contribuenti (debitori) sia i professionisti (avvocati tributaristi, commercialisti) che li assistono. In questa guida approfondiremo tutto quello che c’è da sapere sul tema, aggiornato a ottobre 2025, con il supporto di fonti normative e giurisprudenziali aggiornate.
Parleremo innanzitutto di cosa sia un avviso di accertamento e perché la firma di chi lo emette è così importante. Esamineremo il quadro normativo italiano – dall’art. 42 del DPR 600/1973 in poi – che impone la sottoscrizione dell’atto a pena di nullità. Approfondiremo la differenza tra il “capo dell’ufficio” tenuto a firmare e il funzionario delegato, spiegando cos’è la delega di firma, come deve essere conferita e quali limiti possiede.
Ampio spazio sarà dedicato alle conseguenze di una firma mancante o irregolare: quando l’atto è effettivamente nullo e cosa questo comporta per il contribuente. Analizzeremo come la giurisprudenza, inclusa la Corte di Cassazione, si è espressa sul punto: vedremo che i giudici supremi hanno più volte confermato che un avviso di accertamento privo della firma del capo ufficio o della delega valida è nullo, ponendo a carico dell’Amministrazione l’onere di provare la legittimità della firma in caso di contestazione .
Affronteremo anche i casi particolari legati all’era digitale: un avviso firmato digitalmente ha la stessa validità di uno cartaceo? Cosa succede se l’atto viene notificato via PEC in formato PDF senza firma digitale visibile o senza attestazione di conformità? Le più recenti pronunce (Cass. nn. 16293 e 16846 del 2024) hanno chiarito che un avviso digitalmente sottoscritto e notificato, se accompagnato dalle dovute garanzie di conformità, è valido a tutti gli effetti . Analizzeremo queste novità, inclusa la disciplina delle notifiche digitali tramite PEC e nuovi strumenti come INAD (Indice Nazionale degli Indirizzi Digitali) e la Piattaforma per le notifiche digitali, evidenziando cosa cambia – e cosa no – riguardo alla firma degli atti.
Non trascureremo altri enti impositori oltre all’Agenzia delle Entrate: parleremo infatti anche degli atti emessi dall’Agenzia Entrate-Riscossione (come le cartelle di pagamento), dai Comuni (avvisi di tributi locali, ingiunzioni fiscali) e dall’INPS (avvisi di addebito per contributi). Vedremo che la regola generale della necessaria sottoscrizione conosce eccezioni proprio per alcuni di questi atti (ad esempio le cartelle esattoriali), mentre per altri valgono principi analoghi all’avviso di accertamento classico.
Dal punto di vista del debitore, forniremo consigli pratici: cosa fare se si riceve un avviso apparentemente non firmato regolarmente? Come verificare l’esistenza di una delega e come far valere questo vizio in un ricorso? Esploreremo le strategie difensive possibili, compresa l’eventuale possibilità di eccepire la nullità anche dopo i termini ordinari (tema delicato), e gli strumenti per tutelarsi, come la richiesta di accesso agli atti o l’istanza di autotutela.
Inoltre, tratteremo brevemente i profili penali connessi: apporre una firma senza averne il potere o “inventare” una delega inesistente può integrare reati come il falso in atto pubblico? Vedremo in quali circostanze ciò può accadere e con quali conseguenze giuridiche.
Chiuderemo con domande e risposte frequenti, tabelle riepilogative e alcune simulazioni pratiche basate su casi reali semplificati, per fissare i concetti chiave in modo chiaro. L’obiettivo è offrire una guida di livello avanzato, ma dal taglio giuridico-divulgativo, utile sia ai professionisti (che troveranno riferimenti normativi e sentenze autorevoli aggiornate) sia ai privati e imprenditori che vogliono capire meglio i propri diritti di contribuenti di fronte a un atto fiscale potenzialmente viziato.
Cos’è l’avviso di accertamento e perché deve essere firmato
L’avviso di accertamento è l’atto con cui l’amministrazione finanziaria (tipicamente l’Agenzia delle Entrate) determina un’imposta o una maggiore imposta dovuta dal contribuente, spesso a seguito di verifiche o controlli sulla dichiarazione dei redditi, IVA, registro, ecc. Si tratta di un atto unilaterale e autoritativo con cui il Fisco comunica formalmente al contribuente un debito tributario, motivandone le ragioni (ad esempio maggiori redditi accertati, indebite detrazioni, ricavi non dichiarati, ecc.) e richiedendone il pagamento entro un certo termine (ordinariamente 60 giorni) salvo impugnazione.
Data la sua importanza (è il presupposto per iscrivere a ruolo le somme e avviare la riscossione coattiva se non viene pagato né impugnato), l’avviso di accertamento deve rispettare una serie di requisiti formali essenziali, previsti dalla legge a tutela del contribuente. Tra questi requisiti – oltre alla motivazione, all’indicazione dell’ufficio emittente, delle norme applicate, delle somme dovute, dei termini per impugnare, ecc. – vi è in particolare la sottoscrizione dell’atto da parte di un soggetto autorizzato.
In termini semplici, l’avviso deve essere “firmato” da chi ha il potere di emetterlo. Questa firma non è una mera formalità: rappresenta la provenienza autentica dell’atto dall’autorità competente e l’assunzione di responsabilità da parte di quest’ultima. Un atto privo di firma o con firma non autorizzata solleva dubbi sulla sua paternità (chi lo ha davvero emesso?) e sulla sua legittimità. Proprio per garantire la certezza giuridica, il legislatore ha stabilito che la mancata valida sottoscrizione dell’avviso comporta la nullità dell’atto stesso.
Il riferimento normativo centrale è l’art. 42 del DPR 29 settembre 1973, n. 600, che disciplina gli avvisi di accertamento in materia di imposte sui redditi (ma, per estensione, si applica anche agli accertamenti IVA e ad altri tributi erariali, come vedremo). Esso prevede espressamente chi deve firmare l’atto e sancisce una nullità testuale in caso di inosservanza. In particolare, l’avviso di accertamento “deve essere sottoscritto dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato”, sotto pena di nullità . Questa formula normativa indica chiaramente due possibilità legittime di sottoscrizione: o direttamente il capo dell’ufficio emittente (tipicamente il Direttore o dirigente preposto all’ufficio accertatore) oppure un funzionario di carriera direttiva che abbia ricevuto una delega formale dal capo ufficio stesso. Fuori da queste ipotesi, la firma non è considerata valida. Il comma 3 dell’art. 42 ribadisce infatti che la mancanza di tale sottoscrizione è causa di nullità dell’atto .
È importante notare che per “firma” si intende tradizionalmente la sottoscrizione autografa (firma manuale) in originale. Tuttavia, con l’evoluzione normativa e tecnologica, è oggi ammessa anche la firma elettronica qualificata/digitale al posto di quella autografa, come equipollente, purché apposta secondo le norme vigenti (su questo torneremo diffusamente più avanti, parlando di firma digitale e notifiche via PEC). Ciò che conta, in ogni caso, è che la sottoscrizione – fisica o digitale – sia riconducibile a uno dei soggetti legittimati (dirigente o delegato). Ad esempio, un avviso firmato digitalmente riporterà l’indicazione della firma digitale del funzionario incaricato e deve poter essere verificato come effettivamente sottoscritto dal certificato elettronico di quella persona.
In sintesi, la firma sull’avviso di accertamento svolge due funzioni fondamentali:
- Attestazione di provenienza: garantisce che l’atto proviene proprio dall’Ufficio finanziario autorizzato ad emetterlo (e non, ad esempio, da un qualunque impiegato privo di competenza o – peggio – da un estraneo). Il contribuente ha così la certezza che l’atto è ufficiale e “del Fisco”.
- Assunzione di responsabilità e legittimazione: chi firma l’atto, in qualità di capo ufficio o delegato, se ne assume la responsabilità e dichiara di averne il potere. La firma dunque “legittima” l’atto, nel senso che lo collega al potere decisionale dell’ente: un atto non firmato da chi di dovere è come se fosse emanato da un’autorità inesistente o incompetente, difetto che nel diritto amministrativo generalmente comporta nullità per difetto di attribuzione.
Alla luce di ciò, è comprensibile perché la giurisprudenza tributaria abbia costantemente ribadito l’importanza della firma nell’avviso di accertamento. Come vedremo, la Corte di Cassazione fin dagli anni 2000 ha affermato che l’avviso privo di valida sottoscrizione è inesistente o nullo e che in caso di contestazione spetta all’Amministrazione dimostrarne la regolarità, cioè esibire la delega se l’atto non è firmato dal dirigente ma da un funzionario delegato .
Prima di addentrarci in questi aspetti, riepiloghiamo il quadro normativo di riferimento e definiamo meglio chi sono i soggetti chiamati a firmare (capo dell’ufficio e funzionario delegato) e come funziona la delega di firma.
Quadro normativo: riferimenti essenziali sulla sottoscrizione degli atti
Per orientarsi correttamente, elenchiamo le principali fonti normative italiane che regolano la sottoscrizione degli avvisi di accertamento e di atti similari, evidenziando come tali norme impongano la firma e quali sanzioni sono previste in caso contrario:
- D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42: è la disposizione cardine per gli avvisi di accertamento tributari (imposte sui redditi). Al comma 1 stabilisce che l’avviso deve essere firmato dal capo dell’ufficio o da un funzionario direttivo da lui delegato; al comma 3 prevede espressamente la nullità dell’avviso in mancanza di tale sottoscrizione . Questa norma, pur riferendosi letteralmente agli accertamenti delle imposte dirette, si applica in via estensiva anche agli accertamenti IVA e in genere agli atti impositivi fiscali statali. Infatti, l’art. 56 del DPR 633/1972 (IVA) richiamando “i modi stabiliti per le imposte dirette” include implicitamente l’obbligo di sottoscrizione dell’art. 42 DPR 600/73 e la relativa sanzione di nullità .
- Legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), art. 7: dispone che ogni atto dell’amministrazione finanziaria debba indicare il responsabile del procedimento. La mancata indicazione del responsabile (che spesso coincide col firmatario) non comporta più nullità dall’anno 2011, ma resta un obbligo di trasparenza. Tuttavia, l’indicazione del responsabile non sostituisce la necessità della firma: un avviso può indicare il nome di un responsabile ma deve comunque recare la firma autografa o digitale di un soggetto autorizzato. Lo Statuto rafforza inoltre principi di collaborazione e buona fede, uno dei quali – interpretato dalla giurisprudenza – è che l’amministrazione debba facilitare l’accesso alle informazioni rilevanti (ad es. esibire la delega su richiesta), per cui la mancata esibizione della delega in giudizio è stata considerata violazione del dovere di leale collaborazione e vicinanza della prova .
- Legge 7 agosto 1990, n. 241, art. 21-septies: norma generale sul procedimento amministrativo, introdotta nel 2005, che sancisce la nullità dei provvedimenti amministrativi emanati in difetto assoluto di attribuzione o mancanti degli elementi essenziali. Una firma obbligatoria mancante potrebbe essere vista come mancanza di un elemento essenziale (l’atto non è perfezionato) e soprattutto come difetto di attribuzione, poiché chi ha emanato l’atto non aveva il potere per farlo. Anche se raramente invocata in contenziosi tributari (data la specificità dell’art. 42 DPR 600/73), questa norma generale conferma che un atto emanato da organo incompetente è radicalmente nullo.
- Norme speciali per tributi locali: la Legge 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 162 (Finanziaria 2007) ha innovato la materia degli accertamenti dei tributi locali (come ICI/IMU, TARSU/TARI, etc.), stabilendo che l’avviso di accertamento deve essere sottoscritto dal funzionario responsabile del tributo. Si tratta quindi del corrispettivo, a livello comunale, del capo dell’ufficio tributario. La norma non esplicita la nullità, ma la giurisprudenza ha chiarito che anche per i tributi locali la mancanza di firma del funzionario competente (o di chi ne fa le veci con regolare delega) comporta l’annullabilità/nullità dell’atto, in analogia con il principio generale desunto dall’art. 42 DPR 600/73 . Inoltre, una norma precedente – Legge 28 dicembre 1995, n. 549, art. 1, comma 87 – autorizza l’uso della firma a stampa per gli atti emessi con sistemi informatici, come approfondiremo in seguito (consentendo ai Comuni di apporre il nominativo stampato del funzionario al posto della firma autografa, purché nel rispetto di determinate condizioni).
- Norme per la riscossione coattiva – cartella di pagamento: la cartella di pagamento (utilizzata dall’agente della riscossione, oggi Agenzia Entrate-Riscossione, per riscuotere le somme iscritte a ruolo) ha una disciplina differente. L’art. 25 del DPR 29 settembre 1973, n. 602 prevede il contenuto della cartella e rinvia a un modello ministeriale approvato con decreto. In tale modello non è prevista la sottoscrizione autografa dell’esattore, ma solo l’intestazione e altri elementi identificativi . Di fatto, per le cartelle esattoriali la legge consente la firma meccanografica o nessuna firma, trattandosi di atti massivi. Come vedremo, la Cassazione ha infatti escluso la nullità delle cartelle prive di firma, ritenendo sufficiente che il documento sia chiaramente riferibile all’ente che lo ha emesso . Attenzione: ciò non significa che la cartella possa essere emessa da chiunque – deve sempre provenire dall’agente della riscossione competente – ma semplicemente che non occorre la firma manuale di un funzionario su ogni cartella.
- Norme in materia di contributi previdenziali – avviso di addebito INPS: dal 2011 l’INPS non si avvale più delle cartelle per il recupero dei contributi non versati, ma emette direttamente un avviso di addebito con valore di titolo esecutivo (introdotto dall’art. 30 del D.L. 78/2010). Il comma 2 dell’art. 30 D.L. 78/2010, convertito in L.122/2010, prevede espressamente che “l’avviso deve essere sottoscritto, anche mediante firma elettronica, dal responsabile dell’ufficio che ha emesso l’atto”. Anche qui è menzionata la firma digitale come equipollente. La legge elenca inoltre alcuni elementi obbligatori dell’avviso a pena di nullità (codice fiscale, causale, importi, ecc.) . Dunque, anche in ambito previdenziale vige l’obbligo di sottoscrizione da parte del dirigente responsabile; se l’atto è sottoscritto da un funzionario, vale la necessità di delega analoga al settore tributario.
- Codice dell’Amministrazione Digitale (D.Lgs. 82/2005): se parliamo di firme digitali e copie informatiche, vanno ricordati gli artt. 20 e seguenti del CAD. In particolare, l’art. 24 definisce la firma digitale e la sua efficacia, mentre l’art. 23 del CAD disciplina le copie analogiche di documenti informatici: una copia cartacea di un documento informatico sottoscritto digitalmente ha la stessa efficacia dell’originale se un pubblico ufficiale ne attesta la conformità . Questo diventa fondamentale quando un atto nasce digitale (firmato digitalmente) ma viene notificato in forma cartacea: senza l’attestazione di conformità, quella carta sarebbe una mera stampa senza valore probatorio. Le norme del CAD si intrecciano con quelle tributarie: ad esempio, dal 2017 è stato consentito notificare avvisi di accertamento via PEC e molti atti sono emessi in forma digitale – su ciò torneremo, per ora basti notare che la validità della firma digitale è riconosciuta purché siano rispettate le formalità previste dal CAD.
Queste sono le norme principali. In aggiunta, si potrebbe citare il Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle Entrate e varie delibere interne che disciplinano chi è il capo dell’ufficio e come può delegare (ad esempio, il Regolamento dell’Agenzia stabilisce che gli avvisi sono firmati dai Direttori Provinciali o da altri dirigenti titolari di uffici locali, non dal Direttore Generale centrale – quindi la delega avviene all’interno della direzione provinciale, etc.). Tali fonti interne confermano quanto già la legge prevede: il potere di firma può essere delegato ma mantenendo la competenza in capo a funzionari di livello adeguato.
Riassumendo:
- Regola generale: Gli avvisi di accertamento e atti similari devono essere sottoscritti dal dirigente competente o da funzionario delegato, altrimenti sono nulli.
- Eccezioni particolari: Alcuni atti di riscossione (cartelle, avvisi di mora) non richiedono firma autografa individuale, essendo sufficienti gli elementi stampati che li riconducono all’ente emittente.
- Equivalenze: La firma digitale è equivalente a quella autografa, e la firma meccanografica (a stampa) è ammessa in specifici casi previsti da norme (soprattutto per tributi locali e atti massivi) come valida sottoscrizione.
- Delega di firma: è ammessa ed è disciplinata, ma come vedremo deve rispettare certe condizioni di forma e sostanza per essere valida.
Nei paragrafi successivi analizzeremo dettagliatamente la figura del capo ufficio e del delegato, il meccanismo della delega, le pronunce giurisprudenziali che hanno chiarito questi aspetti, e poi passeremo alle varie situazioni particolari (firma digitale, PEC, atti di altri enti, ecc.).
Chi deve firmare l’atto: capo dell’ufficio vs. funzionario delegato
Abbiamo visto che la legge individua nel capo dell’ufficio il soggetto primariamente tenuto a sottoscrivere l’avviso di accertamento, con la possibilità che egli deleghi un altro funzionario di carriera direttiva. Ma chi è precisamente il “capo dell’ufficio”? E chi rientra tra i funzionari delegabili? È importante chiarire questi concetti:
- Capo dell’ufficio titolare della potestà di accertamento: in ambito Agenzia delle Entrate, tipicamente è il Direttore dell’ufficio locale che emette l’atto. A livello provinciale ci sono le Direzioni Provinciali (o Uffici Territoriali) dell’Agenzia delle Entrate, il cui dirigente è il capo dell’ufficio per gli avvisi di accertamento verso i contribuenti della sua zona di competenza. Nei grandi uffici può anche essere un “Capo Area Accertamento” o figura analoga, purché abbia qualifica dirigenziale. L’importante è che sia un dirigente formalmente investito della responsabilità di quell’ufficio (infatti l’art. 42 parla di “capo dell’ufficio”, non di qualsiasi impiegato). Nel caso di enti locali, il “capo ufficio” è di solito il Dirigente o Funzionario Responsabile del tributo designato dall’ente (es. il dirigente del Settore Tributi del Comune o funzionario apicale delegato a quella funzione se il Comune non ha dirigenti). In ambito INPS, sarà il Dirigente della sede o del settore che emette l’avviso di addebito. In sintesi, il capo dell’ufficio è colui che ha la competenza istituzionale ad emanare l’atto ed è investito del relativo potere decisionale. Deve trattarsi di norma di un dirigente di ruolo.
- Altro impiegato della carriera direttiva delegato: questa espressione (un po’ datata, risalente al 1973) si riferiva originariamente ai funzionari delle allora carriere direttive (ex IX livello, ora equiparabili a funzionari di livello F3 o qualifiche elevate) che, pur non essendo dirigenti, facevano parte dell’alta professionalità dell’ufficio. In sostanza, un funzionario delegato è un sottoposto gerarchico del dirigente, con qualifiche e competenze tecniche, al quale il dirigente può delegare la firma degli avvisi. Un esempio tipico in Agenzia Entrate è il “direttore tributario” di fascia F3, che potrebbe essere incaricato di firmare certi atti per il capo ufficio dirigente . Oppure, nella prassi attuale delle Agenzie fiscali, funzionari che ricoprono posizioni organizzative di vertice (ma non hanno qualifica dirigenziale) possono ricevere delega per firmare atti a nome del dirigente. Nei Comuni, se non c’è un dirigente, la legge consente che le funzioni dirigenziali siano attribuite a funzionari apicali: anch’essi, se formalmente individuati come responsabili del tributo, sono i “capi ufficio” di fatto; diversamente, potrebbero agire per delega di un dirigente generale.
Perché esiste la delega di firma? Principalmente per ragioni organizzative e di carico di lavoro. Un direttore di ufficio potrebbe non essere materialmente in grado di firmare migliaia di avvisi di accertamento ogni anno. Delegando la firma ad uno o più funzionari qualificati, si ottiene un decentramento burocratico senza però spossessare il dirigente del suo potere: l’atto firmato dal delegato rimane comunque un atto dell’ufficio, emanato sotto la responsabilità del dirigente delegante . Attenzione: la delega in questione è definita dalla Cassazione “delega di firma – e non di funzioni” . Ciò significa che il delegato non esercita in proprio la funzione autoritativa, ma solo firma in vece e per conto del capo ufficio. Il potere decisionale sostanziale resta in capo al dirigente (organo delegante), mentre il delegato compie un’attività materiale di sottoscrizione per rendere valido l’atto. È come se il delegato fosse “la mano” con cui il dirigente firma, su autorizzazione di quest’ultimo.
Proprio perché è delegazione di firma e non di funzioni, la delega non comporta un trasferimento totale del potere: l’atto firmato dal funzionario delegato è come se fosse firmato dallo stesso capo ufficio delegante, che ne rimane il titolare. Questo ha implicazioni pratiche importanti: ad esempio, in giudizio l’ente impositore resta l’Agenzia/direzione, non il singolo funzionario; e l’eventuale vizio di delega non incide sulla legittimazione processuale dell’ente, ma solo sulla validità sostanziale dell’atto (distinzione sottolineata da Cass. n. 17044/2013) .
Sostituzione e reggenza: Oltre alla delega formale di firma, esistono casi in cui un funzionario non dirigente può firmare senza delega in senso stretto, ossia quando esercita una funzione vicaria. Il riferimento è all’art. 20, comma 1, lett. a) e b) del D.P.R. 8 maggio 1987, n. 266 (regolamento dei concorsi del personale del Ministero delle Finanze), il quale prevede: (a) la sostituzione del dirigente in caso di sua assenza o impedimento temporaneo, e (b) la reggenza dell’ufficio vacante in attesa della nomina di un nuovo dirigente. In queste situazioni, un funzionario direttivo di ruolo può essere incaricato di sostituire il dirigente pro tempore. Se ciò avviene formalmente (con un ordine di servizio o provvedimento di incarico temporaneo), quel funzionario firma gli atti in qualità di sostituto del capo ufficio. Si tratta di ipotesi eccezionali ma importanti: ad esempio, se il dirigente è in ferie o malattia, o se la sede è scoperta e un funzionario è nominato reggente, costui può firmare gli avvisi senza necessità di delega, in virtù del suo incarico di supplenza. La Cassazione ha rimarcato che al di fuori di tali casi tassativi di sostituzione temporanea, la delega è obbligatoria . Quindi, un funzionario non dirigente può firmare senza delega solo se sta formalmente sostituendo un dirigente assente o ricoprendo temporaneamente quella funzione in attesa di titolare, e ciò deve risultare da atti ufficiali. Diversamente, se il funzionario non è né delegato né vicario reggente, la sua firma è apposta senza potere e rende nullo l’atto.
Gerarchia e qualifiche: Dalla normativa e dalla giurisprudenza risulta dunque che: – Il firmatario “naturale” è il dirigente (capo ufficio). – Possono firmare, su delega, soggetti di qualifica inferiore ma comunque elevata (ex carriera direttiva, oggi funzionari di livello non dirigenziale ma apicale). – Non potrebbe mai delegarsi la firma a un impiegato qualunque di categoria bassa: ciò violerebbe la legge. In pratica nelle Agenzie fiscali la delega è conferita solo a funzionari di livello adeguato (es. fascia F3 o equiparati). – L’atto delegato rimane atto dell’ufficio del dirigente: di solito nel frontespizio dell’avviso è indicato l’ufficio emittente e poi in calce si trova la firma del delegato con la dicitura “Per delega del Direttore” o formula simile. Questa dicitura non è obbligatoria per legge, ma spesso è presente a scanso di equivoci. Anche senza tale indicazione, se la firma è di un funzionario diverso dal capo noto, la delega si presume esistente (fino a prova contraria, come vedremo).
Esempio pratico: L’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Roma emette un avviso a carico del sig. Rossi. Il dirigente dell’ufficio è il Dott. Bianchi, ma l’atto risulta firmato dal Dott. Verdi, capo area accertamento (che è un funzionario direttivo, non dirigente). Questa firma è legittima solo se il Dott. Verdi ha ricevuto una delega di firma dal Dott. Bianchi. In assenza di delega, Verdi non avrebbe potuto firmare. Se però il Dott. Bianchi era andato in pensione e in attesa della nuova nomina il Dott. Verdi era stato incaricato come reggente dell’ufficio, allora Verdi firma come reggente senza necessità di delega, ma in virtù dell’incarico temporaneo. Nel caso invece di firma delegata, idealmente l’avviso dovrebbe recare la scritta “Firmato digitalmente da Mario Verdi per delega del Direttore ai sensi dell’ordine di servizio n…”. Se manca, comunque in giudizio si potrà dimostrare l’esistenza della delega.
Chiarito chi sono i possibili firmatari legittimi, passiamo ora ad analizzare come deve essere fatta la delega di firma, quali requisiti formali deve avere e quali limiti possono incidere sulla sua validità.
La delega di firma: requisiti di validità e limiti
La delega di firma per la sottoscrizione degli avvisi di accertamento è uno strumento indispensabile nella prassi, ma deve rispettare requisiti ben precisi per essere valida. In caso di contestazione, infatti, è sulla delega che si gioca la partita: se risulta irregolare o inesistente, l’atto firmato dal funzionario delegato sarà nullo. Vediamo gli elementi chiave della delega di firma nel contesto tributario:
1. Forma della delega:
La delega di firma deve essere conferita per iscritto dal capo dell’ufficio. Generalmente si sostanzia in un provvedimento amministrativo interno (ad esempio, un ordine di servizio, una determinazione dirigenziale o una lettera formale) in cui il dirigente titolare indica che delega il funzionario X (o la posizione X) alla sottoscrizione di determinati atti. Non è richiesta una forma solenne pubblica, ma deve trattarsi di un atto scritto e datato, proveniente dall’organo competente, così da poter essere esibito in caso di verifica. La Cassazione ha chiarito che la delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio interni . Non è necessario un decreto formale esterno o una pubblicazione, trattandosi di un atto organizzativo interno all’ufficio. Ciò è coerente col fatto che la delega di firma è priva di rilevanza esterna (burocraticamente interna). Ad esempio, il Direttore provinciale emetterà un ordine di servizio in cui “Considerate le esigenze di servizio, delega alla firma degli avvisi di accertamento per importi fino a €… il funzionario Caio”. Questo documento sarà protocollato e conservato agli atti.
2. Indicazione del delegato:
Un punto dibattuto in passato riguardava se la delega dovesse indicare nominativamente il funzionario oppure potesse essere generica per qualifica. Le pronunce più recenti della Cassazione hanno risolto il dubbio: la delega non richiede l’indicazione nominativa del delegato, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica o posizione organizzativa . In altre parole, il dirigente può delegare “il capo area controlli” o “il funzionario della posizione X”, senza necessariamente fare il nome, purché da ciò si possa poi ex post verificare chi rivestiva quella qualifica. Ad esempio, un ordine di servizio potrebbe delegare “il funzionario responsabile dell’Unità Operativa Accertamento n. 2”, il quale magari è Tizio al momento: ciò è valido, non occorre scrivere il nome di Tizio. L’importante è che sia determinabile il soggetto: deve cioè essere possibile, quando serve, capire chi era il destinatario della delega. La Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 11013/2019, ha chiarito che l’indicazione della qualifica rivestita è idonea, in quanto consente la successiva verifica di chi ha firmato e se corrisponde al delegato previsto . Pertanto, delega nominativa e delega per ruolo sono equiparate in termini di validità. Naturalmente, se la delega è per qualifica, è bene che l’amministrazione sia in grado di dimostrare chi ricopriva quel ruolo nel periodo di interesse.
3. Oggetto e limiti della delega:
La delega di firma può essere generale o delimitata per oggetto e anche per valore. Il delegante ha facoltà di stabilire in quali casi il delegato può firmare: ad esempio, potrebbe delegare la firma di tutti gli avvisi emessi dall’ufficio, oppure solo degli avvisi relativi a determinate imposte o annualità, oppure ancora solo degli avvisi fino ad un certo importo in contestazione (cosiddetti scaglioni di valore). Questo aspetto è cruciale, perché se il delegato firma un atto fuori dai limiti della delega, l’atto è irregolare. Esempio: se l’ordine di servizio delegava il Funzionario Rossi a firmare avvisi fino a 500.000 € di maggiore imposta, un avviso per 1.000.000 € firmato da Rossi sarebbe oltre soglia e quindi come non firmato da soggetto autorizzato. Proprio una recente pronuncia ha ribadito che è nullo l’accertamento sottoscritto dal funzionario delegato se l’atto supera il valore per il quale il direttore gli aveva conferito delega . Ciò significa che in giudizio non basta esibire una delega: occorre che essa copra l’atto specifico. Se l’atto esula dall’ambito delegato (per tipologia o importo), la firma del funzionario risulta apposta senza potere per quello specifico atto. La delega inoltre può essere temporanea o a tempo indeterminato: spesso viene conferita con validità fino a revoca. Non è necessario indicare una durata (la Cassazione ha detto che non serve specificare la durata ), ma naturalmente il delegante può revocarla o modificarla in ogni momento. In caso di mutamento del capo ufficio (ad esempio il dirigente va altrove e arriva un nuovo dirigente), generalmente le deleghe del predecessore decadono o comunque devono essere rinnovate dal successore, salvo il caso di continuità amministrativa. È buona prassi che il nuovo dirigente riemetta le deleghe, poiché la delega è un atto personalissimo: un funzionario delegato da un dirigente non è automaticamente delegato dal nuovo dirigente subentrato, a meno che quest’ultimo confermi la delega esistente. Questo dettaglio può essere fonte di eccezioni: se un avviso è firmato da Tizio in data X e il dirigente delegante Caio nel frattempo era cessato e non c’è prova che il successore Sempronio abbia confermato la delega, si potrebbe sostenere che Tizio al momento non avesse più titolo a firmare. La situazione di fatto e la documentazione interna sarebbero decisive in un caso simile.
4. Conservazione e reperibilità della delega:
La delega di firma, essendo atto interno, non viene normalmente allegata all’avviso notificato al contribuente. Quindi, il contribuente spesso non sa ex ante se il funzionario che ha firmato avesse delega o meno. Egli vede un nome diverso dal direttore e può solo presumere che vi sia stata delega. Per questo motivo, in caso di impugnazione, la legge di rito tributario (D.Lgs. 546/92) consente alle parti di depositare documenti anche in appello, e la Cassazione ha confermato che l’Amministrazione finanziaria può produrre la delega anche nel corso del giudizio di secondo grado senza preclusioni . Il contribuente, dal canto suo, può formulare sin dal ricorso l’eccezione di difetto di sottoscrizione (se l’atto non reca la firma del dirigente) e chiedere che l’ente produca copia della delega. In base ai principi di leale collaborazione e di “vicinanza della prova”, la Cassazione ha affermato che è onere dell’ufficio esibire la delega se contestata . Molte Commissioni Tributarie dispongono d’ufficio l’ordine di esibizione della delega quando viene sollevata la questione. Dunque, la delega deve essere facilmente reperibile negli archivi dell’ufficio. La mancata produzione, senza giustificato motivo, spesso induce i giudici a ritenere non provata la sua esistenza e quindi a dichiarare nullo l’atto impugnato . È bene sapere che il contribuente, se vuole avere copia della delega prima o indipendentemente dal giudizio, può provare a utilizzare strumenti come l’accesso agli atti amministrativi (legge 241/90) chiedendo all’ufficio copia del documento di delega riguardante il suo atto. L’ufficio potrebbe opporre diniego per ragioni varie, ma in diversi casi ha invece fornito la delega su richiesta (specie dopo un ricorso, per risolvere in autotutela). Ciò rientra nella strategia difensiva possibile.
5. Delega e sottoscrizione digitale/meccanografica:
Se l’avviso è firmato digitalmente, la delega soggiace agli stessi criteri visti sopra (chi può essere delegato, ecc.), ma logicamente il documento informatico sarà firmato con il certificato digitale del delegato. L’atto potrebbe riportare solo il nominativo del delegato e una dicitura tipo “Firmato digitalmente da…”. In tal caso, la verifica della delega avverrà allo stesso modo – l’ufficio dovrà esibire il provvedimento di delega intestato al delegato identificato. Nel caso di firma meccanografica a stampa (utilizzata spesso per i tributi locali), la delega è spesso prevista da un provvedimento che autorizza quel sistema: ad esempio, un dirigente comunale emette una determina in cui autorizza l’utilizzo della firma a stampa per gli avvisi, indicando il nominativo del funzionario responsabile e dichiarando che gli atti avranno la dicitura di firma a stampa. Tale determina funge in pratica anche da delega di firma (o da investitura formale). Abbiamo citato la L.549/1995 che consente la firma a stampa per i Comuni, ma richiede che vi sia un provvedimento dirigenziale che individui il funzionario e la procedura, e che gli estremi di tale provvedimento siano indicati negli avvisi . Se tali condizioni sono rispettate, la firma a stampa è valida ipso jure e non serve una delega ulteriore (di per sé è già una delega formalizzata). Se invece mancassero (es. il Comune usa firma a stampa senza aver adottato la determina organizzativa), l’atto potrebbe essere impugnabile per vizio di sottoscrizione.
Riassumendo i punti essenziali sulla delega di firma: essa va fatta per iscritto, può essere nominativa o per qualifica, può avere limiti di materia/valore, e deve essere esibita se contestata. Non è necessario indichi durata o motivi specifici: come detto, è un mero decentramento burocratico. La Cassazione a Sezioni Unite (in un passaggio di principio) e la sezione tributaria hanno più volte confermato che si tratta di delega di firma e non di funzioni, quindi: non serve atto di delega con indicazione analitica di tutte le ragioni, basta l’identificazione del delegato; l’atto delegato è imputato comunque all’organo delegante .
Delega irregolare o assente: conseguenze. Questo è il cuore della questione: cosa accade se la delega presenta vizi? Lo approfondiremo subito nel prossimo paragrafo, ma anticipiamo che la mancanza o invalidità della delega rende nullo l’avviso, poiché equivale alla mancanza della firma autorizzata. Ad esempio, se il funzionario ha firmato senza una delega, oppure con delega scaduta o fuori limite, l’atto è come privo di sottoscrizione legittima .
Esempio pratico 1: Il Direttore dell’Ufficio di Napoli delega con ordine di servizio n. 5/2023 “tutti i funzionari di Area Terza dell’Ufficio Controlli” a sottoscrivere atti per importi fino a €100.000. L’avviso ricevuto dal contribuente Caio (importo accertato €120.000) è firmato digitalmente da “Dott.ssa Alfa, funzionario verificatore”. Caio impugna eccependo difetto di delega perché l’importo eccede €100.000. In giudizio l’Agenzia produce l’ordine di servizio n.5/2023: si verifica che l’atto di Caio è effettivamente oltre soglia. Esito: l’avviso viene annullato perché firmato da soggetto non legittimato per quel importo (delegatio in parte excedens, totum invalidat). Se l’importo fosse stato €80.000, invece, la firma rientrava nei limiti e l’eccezione di Caio verrebbe respinta.
Esempio pratico 2: Il Comune di XYZ invia un avviso TARI 2021 firmato “per il Funzionario Responsabile Tributi: firma autografa omessa ai sensi dell’art. 3, c.87 L.549/95” con un nominativo stampato. Il contribuente Dubbi riceve l’atto e non vede una firma a penna. Impugna sostenendo nullità per difetto di firma. In giudizio, il Comune produce la determina dirigenziale del 2018 che autorizza la firma a stampa sugli avvisi TARI, nominando il funzionario responsabile (il cui nome coincide con quello stampato sull’atto) e specificando che la stampa avverrà con indicazione della norma. Esito: la Commissione ritiene valida la sottoscrizione a stampa, rigettando il ricorso di Dubbi, perché la procedura seguita è conforme alla legge speciale e quindi l’atto è riferibile al funzionario responsabile come se fosse firmato. Se il Comune non avesse prodotto alcuna determina o non l’avesse mai fatta, quell’avviso sarebbe stato privo di base legittima per la firma a stampa e probabilmente sarebbe stato annullato per vizio di forma sostanziale.
Nullità dell’avviso per difetto di firma o delega
Siamo giunti al punto cruciale: cosa comporta l’assenza di una firma valida sull’avviso di accertamento? La risposta è netta nella normativa e nella giurisprudenza: l’atto è affetto da nullità insanabile.
Ripetiamo il principio fondamentale, espresso dall’art. 42 DPR 600/73 e costantemente ribadito dalla Corte di Cassazione: l’avviso di accertamento è nullo se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di un funzionario da lui delegato . Questa nullità è una sanzione legale testuale, cioè prevista esplicitamente dalla legge, a differenza di altri vizi dove la nullità può essere discussa. Non siamo quindi in presenza di una mera irregolarità formale sanabile, ma di un vizio radicale che colpisce l’atto alla radice. Un avviso nullo è come se non esistesse giuridicamente (o come si dice in gergo, è “tamquam non esset”), e non può produrre effetti vincolanti per il contribuente.
Tuttavia, occorre capire come questa nullità viene rilevata e fatta valere concretamente nel processo tributario.
Onere di contestazione e onere della prova:
La nullità per difetto di firma non opera automaticamente in sede amministrativa, nel senso che l’ufficio che ha emesso l’atto difficilmente annullerà d’ufficio un proprio avviso perché si accorge di aver sbagliato firma (anche se teoricamente potrebbe farlo in autotutela). Nella pratica, è il contribuente che deve eccepire tale vizio proponendo ricorso alla Commissione Tributaria. Pertanto, il contribuente che riceve un avviso apparentemente irregolare deve attivarsi entro i 60 giorni (termine ordinario per il ricorso) per far valere la nullità in sede giudiziale.
Una volta che il contribuente contesta specificamente la mancanza di firma valida, spetta poi all’Amministrazione finanziaria l’onere di provare che l’atto è stato invece sottoscritto regolarmente. Questo orientamento è stato sancito da numerose sentenze di Cassazione: ad esempio la sentenza n. 5360 del 17/03/2016 (Cass. Sez. Trib.) ha affermato che se la sottoscrizione non è quella del capo ufficio titolare ma di un funzionario, incombe sull’Amministrazione provare, in caso di contestazione, il corretto esercizio del potere sostitutivo o l’esistenza della delega . Analogamente Cass. n. 24492/2015 ha richiamato il principio di “vicinanza della prova” in capo all’ente .
In termini pratici: il contribuente nel ricorso indica “l’atto è nullo perché firmato da Tizio che non risulta essere il capo ufficio né si dichiara delegato”; a questo punto l’Agenzia deve produrre la delega o dimostrare che Tizio era legittimato (ad esempio era il reggente). Se l’Agenzia non lo fa, il giudice presume che la delega non ci sia e annulla. Se invece l’Agenzia esibisce un documento di delega valido, la contestazione del contribuente viene superata (a meno che questi non riesca a dimostrare qualche ulteriore profilo, come delega fuori termine o altro).
Nullità assoluta vs. annullabilità:
Spesso si parla di nullità “assoluta” per questo vizio. In effetti, trattandosi di un requisito imposto a pena di nullità da una norma, siamo di fronte ad una nullità ex lege. La dottrina ha discusso se nel processo tributario esista una distinzione rigida tra nullità e annullabilità come nel diritto civile. Ad ogni modo, la giurisprudenza prevalente considera quella dell’art. 42 una nullità insanabile, che può essere rilevata anche d’ufficio dal giudice se emerge dagli atti. Ciò significa che, in teoria, anche se il contribuente non la eccepisse formalmente, qualora ad esempio l’atto prodotto in giudizio risultasse privo di firma, il giudice potrebbe dichiararlo nullo. Va detto però che casi del genere sono rari: di solito è la parte a doverlo sollevare.
Un aspetto importante è che nel processo tributario vige il principio della domanda: la Commissione Tributaria di regola si pronuncia sui motivi di ricorso proposti. Quindi è fortemente consigliabile che il contribuente eccepisca esplicitamente la nullità per difetto di firma nel ricorso iniziale, così da investire il giudice della questione. Se non lo fa e l’atto è comunque firmato (anche se magari delega assente, ma lui non lo sa), difficilmente la Commissione entrerà nel merito d’ufficio. Diverso sarebbe se l’atto fosse proprio privo di qualunque sottoscrizione visibile: in quel caso sarebbe macroscopico e il giudice potrebbe rilevarlo.
Sanabilità e rinnovazione:
La nullità per difetto di firma non è sanabile mediante comportamenti successivi delle parti. Ad esempio, il pagamento di un avviso nullo non lo convalida – anzi, teoricamente il contribuente potrebbe chiedere indietro quanto pagato perché versato in assenza di un valido titolo (anche se entra in gioco il fatto che magari il debito d’imposta in sé esisteva lo stesso). Parimenti, l’inerzia del contribuente non “convalida” l’atto nullo: tuttavia, attenzione, se il contribuente non impugna nei termini, l’atto diviene definitivo comunque. Questo è un punto delicato: un atto nullo va impugnato nei termini ordinari? In linea di principio, un atto nullo potrebbe essere impugnato anche oltre i termini, essendo nullo ab origine (quindi la nullità può essere fatta valere senza limiti di tempo, secondo alcuni). In pratica però, le Commissioni Tributarie e la Cassazione hanno spesso rigettato ricorsi tardivi anche se si deduceva un vizio di nullità, affermando che in materia tributaria i termini di impugnazione sono perentori anche per atti nulli (salvo il caso estremo di atto inesistente giuridicamente, concetto vicino ma distinto). La Cassazione ha avuto orientamenti oscillanti, ma prevale l’idea che un avviso nullo vada comunque impugnato tempestivamente: se ci si lascia sfuggire i 60 giorni, non sarà possibile in sede di riscossione eccepire la nullità, a meno di fare un’opposizione all’esecuzione (con esiti incerti). In altre parole, per evitare rischi, il contribuente deve reagire entro i termini anche contro atti viziati da nullità, perché il sistema tributario non contempla un rimedio d’ufficio per toglierli di mezzo.
È interessante notare però che l’Amministrazione ha la possibilità di emettere un nuovo avviso corretto se rileva l’errore, a patto di essere entro i termini decadenziali per l’accertamento. Ad esempio, se l’ufficio si accorge (o viene informato tramite ricorso) che un avviso emesso è nullo per difetto di firma, e se c’è ancora tempo per accertare (supponiamo entro fine anno), potrebbe annullare in autotutela l’atto viziato e notificarne uno nuovo con firma regolare. Questa rinnovazione è ammessa perché la nullità dell’atto originario significa che l’accertamento non si è perfezionato, quindi finché non scade il termine di decadenza, l’ufficio può riprovare (non essendoci “giudicato” o cosa giudicata su un atto nullo, in teoria). In giurisprudenza vi sono pronunce che hanno confermato la legittimità di un secondo avviso valido dopo il primo nullo notificato in tempo (purché il secondo arrivi entro i termini e rechi motivazione adeguata).
Nullità “totale” e parziale:
La mancanza di firma incide su tutto l’atto, che viene caducato nella sua interezza. Non esiste la possibilità di convalidare l’atto magari facendolo firmare dopo: se la firma manca al momento della notifica, l’atto è nato viziato. In teoria, l’ufficio non può neppure in corso di causa “ratificare” l’atto facendolo firmare dal dirigente: ciò costituirebbe un postumo non previsto. L’unica strada è, come detto, annullare e riemettere l’atto ex novo (se possibile).
Giurisprudenza di Cassazione:
Val la pena di citare qualche caso emblematico deciso dalla Corte Suprema, a testimonianza dell’approccio rigoroso:
- Cass. n. 14626/2000: già nei primi anni 2000 la Corte affermava che l’avviso sottoscritto da funzionario senza valida delega non soddisfa il requisito di sottoscrizione previsto a pena di nullità .
- Cass. n. 17400/2012: pronunciandosi su un caso di firma da parte di un funzionario, la Corte ha ribadito l’onere dell’Amministrazione di dimostrare la delega, rimarcando che il solo possesso della qualifica di “direttore tributario” (funzionario) non abilita alla firma se non c’è delega, e che la nullità scatta in difetto di tale prova . Questa ordinanza è spesso citata come leading case sul punto.
- Cass. n. 24492/2015: ha sottolineato il principio della vicinanza della prova – la delega è documento in possesso dell’ente, quindi è l’ente che deve produrlo in giudizio se il contribuente contesta, essendo per il contribuente di difficile accesso . Ha anche evidenziato l’obbligo di cooperazione della parte pubblica.
- Cass. n. 5360/2016: ha sancito che in mancanza di prova della delega, l’avviso è nullo ai sensi dell’art. 42 , richiamando l’orientamento ormai consolidato (v. citazioni nel testo: Cass. 18758/2014, 24492/2015, ecc.).
- Cass. n. 5200/2018: ha confermato che l’Amministrazione può produrre la delega anche in appello, perché riguarda la validità sostanziale dell’atto e non la legitimatio ad causam, quindi non viola il divieto di nuovi documenti in appello (che in realtà in processo tributario non vige in modo assoluto, grazie all’art. 58 c.2 D.Lgs.546/92) .
- Cass. n. 11013/2019: oltre a ribadire la natura di delega di firma (niente nome necessario, qualifica basta), in motivazione ha ricapitolato tutta la giurisprudenza, sottolineando che il difetto di delega rende nullo l’atto e che la presenza della firma non riguarda la legitimazione processuale (quindi non incide sul fatto che l’atto è impugnabile lo stesso) .
- Cass. n. 35072/2023 (ordinanza del dicembre 2023): ha nuovamente trattato un caso di delega, confermando i medesimi principi (stando al massimario: la delega ex art.42 è delega di firma, nessun bisogno di nome, etc., e onere alla PA di provarla in caso di contestazione – presumibilmente in linea con Cass. 2698/2025 di cui diremo tra poco) .
- Cass. n. 2698/2025 (ordinanza depositata il 4 febbraio 2025): ha richiamato espressamente i principi del 2019, ribadendo che la delega di firma può avvenire con ordini di servizio senza nome, bastando la qualifica, e che in caso di contestazione specifica il fisco deve provarla . Questa è una conferma recentissima in linea con la giurisprudenza consolidata.
Non mancano, in verità, decisioni di merito (Commissioni Tributarie) che talvolta cercavano di salvare gli atti con ragionamenti di “falso innocuo” o simili, ma la Cassazione ha tendenzialmente cassato tali tentativi: ad esempio qualche commissione aveva sostenuto che se la firma era illeggibile si presumeva valida, ma la Cassazione ha chiarito che la firma illeggibile va considerata valida solo se riconducibile comunque all’ufficio, a meno che il contribuente provi che chi ha firmato non era legittimato . Quindi la firma indecifrabile di per sé non annulla l’atto: si presume che l’abbia firmato un soggetto autorizzato (essendo su carta intestata, etc.), salvo prova contraria che quell’“scarabocchio” appartenga a persona non avente poteri . Ma una firma mancante o palesemente di soggetto non autorizzato (es. firma di un funzionario X quando il delegato era un altro) rende l’atto nullo.
Effetti della nullità:
Se un avviso viene dichiarato nullo dalla Commissione Tributaria o dalla Cassazione, esso viene annullato con effetto retroattivo. Significa che eventuali somme iscritte a ruolo in pendenza (ad esempio, l’ente potrebbe aver emesso una cartella dopo l’avviso se il ricorso era pendente da anni) devono essere eliminate, e nulla è dovuto in base a quell’atto. Il contribuente vittorioso tipicamente ottiene l’annullamento del debito accertato (salvo che l’ufficio non possa/abbia già emesso altro avviso valido in parallelo). Potrà anche aver diritto al rimborso delle spese di giudizio. Non esistendo il vizio, non c’è modo di “sanarlo”: l’unica via per il Fisco è ricominciare da capo con un nuovo atto se possibile.
Differenze con altri vizi formali:
È utile distinguere la nullità per difetto di firma da altri vizi formali minori. Alcuni errori negli avvisi (ad esempio un codice fiscale sbagliato, oppure la mancata indicazione del responsabile del procedimento – ormai non più causa di nullità, come detto) possono essere considerati meri errori formali che non ledono i diritti di difesa e quindi non portano all’annullamento dell’atto (principio di tassatività delle nullità e di strumentalità delle forme). Il difetto di sottoscrizione, però, è generalmente considerato vizio sostanziale grave, perché attiene alla stessa emanazione dell’atto. La Corte Costituzionale non è mai intervenuta direttamente su questo articolo in senso demolitorio, quindi la previsione di nullità rimane ferma.
Caso particolare: “dirigenti illegittimi” (assenza di qualifica dirigenziale)
Un inciso va fatto sul noto contenzioso dei dirigenti decaduti dell’Agenzia Entrate (a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale n. 37/2015). In quel caso, centinaia di avvisi erano stati firmati da funzionari che l’Agenzia aveva impropriamente attribuito a incarichi dirigenziali senza concorso. La Consulta dichiarò illegittime quelle nomine, portando alla questione: gli atti firmati da costoro in qualità di capi ufficio sono nulli? Diverse Commissioni Tributarie, specie a Milano, dissero di sì, riconoscendo la nullità assoluta dell’atto firmato da dirigente illegittimo perché in realtà privo del potere di firma . Si trattava di applicare l’art. 42 in una situazione particolare: formalmente c’era la firma del “capo ufficio”, ma quel capo ufficio non era un dirigente legittimo. La vicenda è complessa: l’Agenzia delle Entrate corse ai ripari nominando reggenti e delegando correttamente altri dirigenti, e la Cassazione successivamente con varie sentenze nel 2018-2019 arginò l’annullamento di massa. In particolare, alcune pronunce di Cassazione sostennero che il contribuente doveva comunque provare un interesse concreto e che non bastava l’illegittimità dell’incarico a travolgere l’atto se l’ufficio comunque esisteva e l’atto era riferibile all’ufficio. Ad esempio, Cass. n. 22810/2015 (post Consulta) e altre posero dei limiti, talora dichiarando inammissibili i ricorsi dei contribuenti per carenza di interesse se non provavano un concreto pregiudizio (tesi criticata da altri). Comunque, allo stato attuale, il capitolo “dirigenti illegittimi” si può dire chiuso da sanatorie normative; resta però un principio generale: il capo ufficio deve essere un dirigente legittimato, altrimenti nemmeno potrebbe delegare. La dottrina rilevò che fuori dai casi di reggenza e sostituzione, un non-dirigente non può assumere il ruolo di capo ufficio e dunque i suoi atti sarebbero nulli . In pratica quindi, la qualifica di chi firma è sostanziale: se uno firma “come capo” ma non poteva esserlo, è come firma senza potere. Questo aspetto, pur non ricorrente oggi, va citato per completezza: ha ribadito ulteriormente come il difetto di potere in capo al sottoscrittore porta a nullità radicale.
Conclusione su nullità per difetto di firma:
Per il contribuente, ottenere una dichiarazione di nullità dell’avviso equivale a vincere il merito senza neppure discutere delle imposte: l’atto viene annullato per vizio formale. Ciò però non significa automaticamente che il tributo non sia dovuto (il fisco potrebbe correggere l’errore e riprovarci, se in tempo). Ma in molti casi pratici, specie a distanza di anni, un vizio di forma come questo può far cadere definitivamente la pretesa fiscale. Per questo motivo è uno dei vizi più ricercati dalle difese tributarie: controllare sempre chi ha firmato l’atto e con quali poteri è diventato un passo obbligato per ogni avvocato tributarista.
Nei prossimi capitoli vedremo le problematiche connesse all’introduzione della firma digitale sugli avvisi e alle notifiche via PEC, nonché le particolarità riguardanti altri tipi di atti (cartelle, avvisi di altri enti), dove talora la regola della firma conosce adattamenti. Passeremo poi alle FAQ e alle tabelle riepilogative per consolidare quanto appreso.
Firma digitale sugli avvisi e notifiche via PEC: validità e cautele
Con la progressiva digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, anche gli atti impositivi sono sempre più spesso formati e notificati in via telematica. Ciò ha fatto sorgere nuovi interrogativi riguardo alla validità della sottoscrizione: una firma digitale vale quanto una firma autografa? Un avviso trasmesso via PEC senza firma visibile è valido o no? Sono questioni fondamentali, specie da quando – a partire dal 1° luglio 2017 – è stata estesa la possibilità per l’Agenzia delle Entrate di notificare gli avvisi di accertamento ai contribuenti dotati di domicilio digitale (PEC) e, analogamente, altri enti impositori hanno iniziato a usare la PEC per le notifiche.
Vediamo innanzitutto cos’è la firma digitale in questo contesto: si tratta di una firma elettronica qualificata basata su un certificato digitale, che garantisce l’autenticità, integrità e non ripudio del documento informatico. Per legge (D.Lgs. 82/2005, Codice dell’Amministrazione Digitale, eIDAS), la firma digitale ha lo stesso valore della firma autografa. Dunque, se un funzionario delegato firma digitalmente l’avviso, quell’atto è sottoscritto a tutti gli effetti, come se avesse la sua firma a penna. Non occorre stampare e firmare: il documento nasce elettronico e viene chiuso col sigillo digitale.
Come riconoscere un avviso firmato digitalmente?
Se l’atto viene notificato via PEC, può presentarsi in due modi: – come un file firmato digitalmente in formato .p7m (ad esempio “Avviso123.pdf.p7m”), che è l’incapsulamento del PDF con la firma digitale. Aprendo quel file con software apposito, si vede il documento e si verifica la firma (il software mostrerà certificato, nominativo del firmatario, ora di firma, etc.). Oppure, – come un semplice file PDF privo di estensione .p7m. In tal caso, o è un documento informatico con firma digitale visibile al suo interno (PDF con firma embedded, talora visibile come una segnatura in calce), oppure – ed è il caso più problematico – è una copia digitale di un originale analogico/digitale.
Molti contribuenti, quando ricevono via PEC un PDF dell’avviso, restano spiazzati non vedendo una firma autografa scansionata. Spesso l’atto PDF reca una dicitura tipo “Documento firmato digitalmente ai sensi del Codice Ammin. Digitale” oppure semplicemente riporta in calce il nome del funzionario e la scritta “Firma digitale”. Chi non è esperto può pensare: manca la firma! In realtà, se il PDF è stato generato digitalmente, la firma c’è ma è di tipo elettronico e magari non visibile come grafia. Se invece il PDF è una scansione di un documento cartaceo firmato a penna, ci dovrebbe essere l’immagine della firma. Dunque, bisogna distinguere:
- Avviso nativo digitale: l’atto è stato prodotto dal sistema informatico dell’ente e firmato digitalmente. In questo caso il documento originale è il file elettronico firmato. Se viene notificato via PEC, l’ente solitamente trasmette proprio il file firmato digitalmente (.p7m). Il destinatario può verificare la firma col proprio software o tramite portali di verifica. Se invece l’ente decide di notificare per posta questo avviso digitale, dovrà stamparlo e corredarlo di un’attestazione di conformità all’originale digitale, come richiede l’art. 23 CAD .
- Avviso formato su carta: l’atto è stato redatto e firmato a penna su supporto analogico. Se notificato a mezzo PEC (cosa possibile, perché l’ente potrebbe averlo scansionato per spedirlo digitalmente), occorre che la copia informatica della carta sia attestata conforme. In pratica qualcuno (il messo notificatore digitale o un pubblico ufficiale interno) deve attestare che il PDF allegato alla PEC è copia conforme dell’originale cartaceo firmato. Questa attestazione può essere inserita nel corpo della PEC o come documento separato.
Le problematiche giuridiche sono emerse quando gli enti hanno iniziato a notificare via PEC file PDF senza firma digitale né attestazione. In alcuni casi l’Agenzia Entrate-Riscossione o altri enti mandavano semplicemente la scansione pdf della cartella o dell’avviso, confidando che la PEC di per sé garantisse la provenienza. La giurisprudenza però ha avuto bisogno di chiarire che ciò non è sufficiente a considerare l’atto validamente sottoscritto e notificato, se manca la firma digitale o l’attestazione.
Due principi fondamentali vanno ricordati, alla luce della Cassazione recente:
(a) L’efficacia probatoria delle copie informatiche e analogiche:
– Una copia analogica (carta) di un documento informatico ha la stessa efficacia dell’originale digitale solo se c’è l’attestazione di conformità di un pubblico ufficiale autorizzato (art. 23 CAD) . Ciò significa che se l’ente stampa un avviso firmato digitalmente, deve far apporre una certificazione (tipicamente dal responsabile del procedimento o da un notaio, segretario, ecc. a seconda dei casi) che quella stampa corrisponde all’originale digitale. Altrimenti quella carta è giuridicamente una copia non autenticata, quindi contestabile.
- Una copia informatica (file) di un documento analogico (es. scansione PDF di un atto cartaceo firmato) ha parimenti bisogno di un’attestazione di conformità (art. 22 CAD) per avere valore. Se si allega semplicemente un PDF scansito a una PEC, serve che nella PEC o nel file ci sia scritto, ad esempio: “Si attesta che la presente copia informatica dell’avviso cartaceo originale, firmato dal dirigente XX il gg/mm/aa, è conforme all’originale”, con firma digitale di chi attesta (il messo notificatore o funzionario). In assenza di ciò, quel PDF è contestabile come non proviente sicuramente dall’originale integro.
La Cassazione ha affrontato proprio il caso di cartelle di pagamento notificate via PEC in PDF semplice non firmato digitalmente: inizialmente alcune commissioni dichiararono tali notifiche nulle per mancanza di firma digitale e attestazione. Ad esempio, Cass. n. 24440/2015 (non massimata) aveva dato ragione a un contribuente in un caso simile. Linea confermata da molte CTR: se l’allegato è un PDF non firmato digitalmente e il contribuente contesta la conformità, la notifica è nulla.
(b) Presunzione di riferibilità all’ente emittente e nuove aperture Cassazione:
Nel 2025 però la Cassazione ha operato una svolta (in parte basata su ragionamenti già presenti in passato per altri atti): con l’ordinanza n. 12997 del 15/05/2025 ha stabilito che la mancata firma digitale sull’allegato PDF della cartella notificata PEC non comporta l’invalidità della cartella, purché il documento sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo . Inoltre, la Corte ha osservato che il modello ministeriale non prevede la firma dell’esattore . In pratica, la Cassazione ha detto: la cartella è valida anche se il file PDF non è firmato digitalmente, perché ciò che conta è che il documento provenga chiaramente dall’ente (lo garantisce l’invio dalla PEC ufficiale, l’intestazione, i codici a barre identificativi, ecc.) e che la legge non richiede la firma autografa per la cartella stessa. Questa pronuncia è stata accolta con interesse perché smorza la rigidità di dover avere sempre la firma digitale su ogni allegato PEC, almeno per le cartelle esattoriali.
Tuttavia, attenzione: la stessa ordinanza 12997/2025 riconosce implicitamente che bisogna poter ricondurre senza dubbi il documento all’ente. Se ci fosse incertezza o contestazione sulla provenienza o integrità, il discorso cambierebbe. Inoltre, quell’ordinanza si basa sul fatto peculiare che la cartella non richiede firma in originale (come detto sopra). Diverso potrebbe essere per un avviso di accertamento dell’Agenzia Entrate, che invece richiede firma di un responsabile: in tal caso, inviare un PDF semplice senza firma digitale potrebbe essere più problematico.
Vediamo allora come la Cassazione ha affrontato i casi di avvisi digitali: – Cass. n. 24681 dell’11/08/2022: ha affrontato il caso di un avviso firmato digitalmente ma notificato via posta in copia cartacea priva di attestazione di conformità. Ha affermato che la sola indicazione “firmato digitalmente” sul cartaceo, senza attestazione, rende nullo l’avviso ai sensi dell’art. 42 . In pratica: se ti arriva a casa una stampa che dice “firmato digitalmente da Tizio” ma senza un certificato di un pubblico ufficiale che quella stampa corrisponde all’originale, l’atto è da considerarsi non sottoscritto regolarmente. Questa pronuncia ha messo in guardia gli uffici: o si allega l’attestazione o la notifica postale di atti digitali è insidiosa.
- Cass. n. 16846 del 19/06/2024: caso di avviso in liquidazione firmato digitalmente e notificato (probabilmente via PEC o via posta, il testo non è chiarissimo su come fu notificato, ma dice “l’atto notificato presentava, oltre alla firma digitale, l’attestazione di conformità all’originale”) . La società contribuente contestava la validità della firma digitale. La Cassazione ha colto l’occasione per chiarire due cose: 1) La firma digitale sugli avvisi è legittima e non c’è divieto di usare strumenti informatici per emettere avvisi (un riferimento era al fatto che fino al 2017, ante d.lgs. 217/2017, c’era qualche incertezza normativa sull’uso del digitale negli atti impositivi, ma la Corte ha detto che il divieto riguardava solo attività di controllo, non gli avvisi) . 2) La notifica può avvenire anche con mezzi diversi: l’importante è che se l’avviso è digitale e lo notifichi per posta cartacea, la copia analogica deve avere l’attestazione di conformità come prevede l’art. 23 CAD . E difatti in quel caso l’atto aveva l’attestazione, quindi la notifica postale è stata ritenuta valida. La Cassazione ha concluso affermando esplicitamente che un avviso firmato digitalmente nel regime vigente non è nullo per difetto di sottoscrizione e che la copia analogica dichiarata conforme tiene luogo dell’originale informatico ed è validamente notificata sia a mezzo PEC sia a mezzo posta . Questo è un passaggio cruciale: conferma che è possibile notificare via posta una stampa di un atto digitale (purché conforme), e parimenti è possibile notificare via PEC un atto analogico (purché con attestazione) o un atto digitale (purché come file firmato digitalmente).
- Cass. n. 16293 del 12/06/2024: caso simile, massima ricavabile (dal sito Def.finanze) è che una copia analogica di avviso firmato digitalmente e dichiarata conforme all’originale informatico ha la stessa efficacia probatoria . Quindi in linea con 16846/2024.
In base a queste linee, possiamo sintetizzare le regole attuali riguardo firma digitale e notifiche telematiche degli atti tributari:
- Un avviso di accertamento può essere validamente sottoscritto con firma digitale dal dirigente o funzionario delegato. Questa modalità è pienamente legittima e non inficia l’atto, anzi sta diventando la normalità per l’Agenzia Entrate. Non c’è più alcun dubbio su ciò (eventuali precedenti riserve normative sono superate).
- Se l’avviso firmato digitalmente viene notificato via PEC, la modalità migliore è allegare il file firmato (.p7m) o comunque un file che contenga la firma digitale embedded. In tal caso il destinatario riceve esattamente l’originale informatico. Non serve alcuna attestazione, perché sta ricevendo l’originale stesso. È opportuno che il contribuente sia in grado di aprirlo e verificarlo (ci sono portali online per verifica di firme digitali, es. quello di Agenzia per l’Italia Digitale, oppure software gratuiti).
- Se l’avviso firmato digitalmente viene notificato in forma analogica (raccomandata a/r o messo comunale che porta la copia cartacea), occorre attestazione di conformità stampata sul documento o allegata. In genere, gli uffici inseriscono in calce all’avviso stampato un riquadro dove un funzionario (diverso dal delegato firmatario, di solito un responsabile del procedimento di notificazione) dichiara che la copia su carta è conforme all’originale digitale e firma (autografa) tale attestazione. Quella firma sull’attestazione serve solo a certificare la copia, non è la firma dell’avviso ma basta per la validità probatoria. Senza attestazione, come visto, la Cassazione ritiene l’atto nullo per difetto di sottoscrizione (perché la firma digitale non è verificabile su carta e quindi è come se mancasse).
- Se l’avviso formato su carta (firma autografa) viene notificato via PEC, l’ente dovrebbe procedere a scannerizzare l’atto e allegarlo, ma accompagnato da un’attestazione di conformità digitale. Ad esempio, potrebbe predisporre un documento informatico (firmato digitalmente da un pubblico ufficiale) che attesta che il PDF allegato è copia conforme dell’originale cartaceo. In alcuni casi, l’attestazione può essere inserita nel corpo della PEC (il messaggio PEC può contenere un verbale di notifica del messo che attesta la conformità, il tutto firmato digitalmente e magari con marca temporale). Se manca questa attestazione e il destinatario contesta la conformità, la notifica rischia di essere dichiarata nulla. La Cassazione in passato (Cass. 10327/2019, Cass. 19119/2020, Cass. 21328/2020) ha annullato notifiche PEC di cartelle senza attestazione, definendo il procedimento come “inesistente” se l’atto è solo PDF non firmato e non attestato . Va detto però che Cass. 12997/2025, come illustrato, ha mitigato per le cartelle, puntando sul fatto che la cartella non richiede firma sull’originale, e quindi la copia PDF senza firma digitale non è considerata difetto di sottoscrizione. Resta però il problema della conformità: la Cassazione l’ha bypassato sostenendo che l’intestazione e provenienza bastano a riferire all’ente (in pratica considerando l’invio da PEC dell’ente come una sorta di attestazione implicita). È una teoria un po’ audace, ma è la più recente per quel caso specifico.
Conclusione pratica per il contribuente sulle notifiche via PEC:
– Se ricevi via PEC un avviso/cartella in formato PDF, controlla innanzitutto se l’allegato è un .p7m (firma digitale) o un semplice .pdf. Nel primo caso, tutto ok: sei sicuro che è firmato digitalmente (puoi conservarlo così com’è per prova). Nel secondo caso, verifica se il documento PDF ha indicazioni di firma (tipo una firma digitale visualizzata, o almeno nome del firmatario) e se c’è un file o testo di attestazione di conformità. Ad esempio, alcune PEC includono un file “relata di notifica” in cui c’è scritto che si attesta la conformità.
- Se manca la firma digitale e manca l’attestazione, allora hai buoni motivi per eccepire la nullità della notifica e/o dell’atto. Nel ricorso, dovresti specificare che l’atto notificato via PEC era un PDF privo di firma digitale e senza attestazione, quindi l’atto è privo di valida sottoscrizione e la notifica non dimostra la conformità all’originale . Supporto normativo: art. 23 CAD, art. 42 DPR 600/73.
- Tieni conto però delle differenze: se l’atto in questione è una cartella di pagamento, la controparte (Agenzia Riscossione) replicherà citando Cass. 12997/2025 che sostiene la validità comunque . Invece, se è un avviso di accertamento dell’Agenzia Entrate, è più facile che un PDF “muto” sia considerato irregolare, perché per l’avviso la firma è sempre necessaria. Quindi in tal caso sei in una posizione più forte.
- La PEC mittente: anche questo è rilevante. Assicurati che la PEC da cui proviene l’atto sia effettivamente quella ufficiale dell’ente (Agenzia Entrate, AdER, Comune, etc.) registrata nei pubblici registri (INI-PEC o INAD per PA). Se così non fosse, la notifica potrebbe essere inesistente indipendentemente dalla firma. Ma se hai ricevuto nell’indirizzo PEC giusto una mail da pec.agenziaentrate.gov.it, ad esempio, la provenienza è certa.
Profili di nullità dell’atto vs nullità della notifica:
Va aggiunto che c’è una distinzione tra: – Nullità dell’atto per difetto di sottoscrizione, e – Nullità (o inesistenza) della notifica per difetto di modalità.
Nel caso di PEC con PDF non firmato, alcuni giudici hanno parlato di nullità/inesistenza della notifica (perché non sarebbe stata consegnata copia conforme dell’atto) più che di nullità intrinseca dell’atto. La differenza tecnica è sottile ma può contare: se la notifica è nulla, l’atto può essere rinotificato; se l’atto è nullo, non servirebbe nemmeno rinotificarlo perché resta nullo. Comunque, in ricorso spesso si chiede l’annullamento dell’atto impugnato proprio per vizio di notifica o sottoscrizione. L’effetto per il contribuente vincente è simile: l’atto viene annullato dai giudici (per vizio proprio o di notifica). Ma se la pronuncia parla di vizio di notifica sanabile, l’ente potrebbe tentare di rinotificare l’atto (se i termini non sono scaduti o se si ritiene inesistenza e quindi notifica mai avvenuta, l’ente direbbe “posso notificare ancora”). Invece se viene accertata nullità dell’atto per difetto di firma, quell’atto non può più essere recuperato, serve farne un altro nuovo (se possibile).
Esempio pratico: Una SRL riceve via PEC un “Avviso di accertamento esecutivo” dall’Agenzia Entrate in semplice PDF con su scritto solo il nome del funzionario delegato e “firmato digitalmente”. Non c’è attestazione. La SRL impugna sostenendo che l’atto è nullo perché non firmato digitalmente in maniera verificabile e senza attestazione della copia. In primo grado la CTP accoglie: atto nullo ex art.42, sottoscrizione non comprovata. L’Agenzia appellando produce magari la copia di backup dell’originale digitale e l’eventuale delega, cercando di sanare. Ma in appello la CTR, se segue Cass. 24681/2022, confermerà che quell’atto alla notifica risultava non regolare e quindi la nullità originaria non può essere sanata ex post . L’avviso viene annullato definitivamente. L’Agenzia a quel punto potrebbe tentare un ricorso per Cassazione o, se ancora nei termini di decadenza (difficile magari se l’iter è durato anni), rifare l’accertamento.
Nuove piattaforme digitali (INAD, PND):
Un breve accenno: dal 2022 è operativo l’INAD (indice nazionale domicili digitali) per i cittadini e professionisti, e si sta implementando la Piattaforma Digitale Nazionale per le Notifiche degli atti PA. Questa piattaforma – gestita da Poste Italiane per conto di PagoPA – dovrebbe centralizzare l’invio degli atti digitali ai domicili digitali, con meccanismi di deposito se la PEC non è letta, avvisi via app IO, etc. Cosa cambia per il nostro tema? Nulla sul requisito di firma: l’atto dovrà comunque essere prodotto e firmato dall’ente come oggi (digitalmente se elettronico, o scansionato con attestazione). La piattaforma è solo un canale di notifica, evoluto ma neutro rispetto al contenuto. Garantirà forse meglio l’attestazione di consegna e la gestione delle mancate consegne, ma non deroga certo alla necessità che il provvedimento originario sia sottoscritto da chi di dovere. Quindi anche con Piattaforma Notifiche, se un Comune invia un’ingiunzione in PDF, dovrà sempre rispettare gli stessi requisiti di cui sopra (firma digitale o attestazione). La normativa sulle notifiche digitali (DL 76/2020 e attuativi) ha previsto che i documenti inviati attraverso la piattaforma siano messi a disposizione in area riservata in originale o copia conforme, ecc. – insomma, hanno cercato di blindare la conformità. Ma trattandosi di implementazione recente, staremo a vedere la giurisprudenza futura.
Conclusione su firma digitale e PEC:
In definitiva, un avviso firmato digitalmente è valido quanto uno firmato a penna, e la notifica via PEC non priva l’atto della sua efficacia, a condizione che sia eseguita correttamente. Il contribuente deve però vigilare: se riceve atti via PEC, non dia per scontato che tutto sia regolare. Ci possono essere vizi tecnici sfruttabili, ma la recente giurisprudenza tende a bilanciare formalismo e sostanza. Ad esempio, sembra ormai assodato che la sola indicazione di firma digitale senza attestazione su copia cartacea è vizio , ma l’assenza di firma digitale su cartella PEC non invalida se è chiaramente dall’ente .
Nel dubbio, se si intende impugnare per questo motivo, è bene citare i precedenti favorevoli più pertinenti: ad esempio Cass. 24681/2022 per avvisi Entrate, Cass. 21328/2020 per cartelle PEC (anche se ora c’è Cass. 12997/2025 contraria, si può provare a distinguere il caso), e soprattutto far emergere se c’è stata contestazione tempestiva (in genere, bisogna contestare la conformità appena possibile, non dopo anni).
Altri atti: cartelle esattoriali, avvisi di addebito INPS, ingiunzioni e atti locali
Come anticipato, non solo l’avviso di accertamento “classico” dell’Agenzia delle Entrate è soggetto al tema della firma. Molti atti di natura tributaria o contributiva, emessi da enti diversi, presentano analoghe problematiche, pur con specificità normative. In questa sezione analizziamo brevemente come si applicano (o differiscono) le regole di sottoscrizione e delega per i principali atti diversi dagli accertamenti fiscali statali:
Cartella di pagamento (Agenzia Entrate-Riscossione)
La cartella di pagamento è l’atto con cui l’agente della riscossione ingiunge al contribuente il pagamento di somme risultanti da un ruolo formato dall’ente creditore (es. Agenzia Entrate, Comune, INPS). È quindi un atto di natura diversa: non contiene una pretesa di merito nuova (il debito è già quantificato nel ruolo), ma è il veicolo per la riscossione coattiva. Tradizionalmente, la cartella veniva notificata in forma cartacea tramite ufficiale notificatore o posta. Oggi viene spesso notificata via PEC alle imprese e ai professionisti e, dal 2021-2022, anche ai cittadini che hanno un domicilio digitale registrato.
Riguardo alla firma, la cartella ha sempre fatto storia a sé: il modulo prestampato non prevedeva la sottoscrizione autografa del responsabile. Questo risale a ragioni storiche (l’enorme mole di cartelle emesse avrebbe reso impossibile una firma singola su ognuna; già il RD 639/1910 sulla riscossione prevedeva possibilità di firma a stampa). L’art. 25 DPR 602/1973 e il DM 321/1999 (regolamento di attuazione del ruolo) non obbligano a inserire la firma del dirigente dell’Agente di riscossione sul modello di cartella, richiedendo soltanto l’intestazione dell’ente e altri dati (numero cartella, estremi ruolo, ecc.). Al più, spesso nella cartella è indicato un “Responsabile del procedimento” (per ottemperare allo Statuto contribuente art.7), ma non c’è uno spazio firma per lui.
Di conseguenza, la giurisprudenza ha ritenuto che la cartella non necessiti di sottoscrizione. La Cassazione già anni fa (Cass. n. 13461/2012, Cass. n. 16836/2014) affermò che la cartella è valida anche senza firma, perché la sua efficacia deriva dall’intestazione e dal riferimento al ruolo . La logica è che la cartella è un atto di mera riscossione e che, essendo formata in base a modelli approvati, la sua provenienza dall’ente è garantita dall’intestazione e dal codice a barre univoco, ecc.
L’ordinanza Cass. 12997/2025 citata prima ha ribadito precisamente questo concetto, estendendolo al contesto digitale: “l’omessa sottoscrizione della cartella da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, la cui esistenza non dipende da un timbro o firma leggibile, ma dal fatto che il documento sia inequivocabilmente riferibile all’organo titolare del potere” . E richiama il dato normativo che il modello non prevede la firma .
Quindi, una cartella esattoriale non si può impugnare per “mancanza di firma”, perché non è richiesta e non è considerata elemento essenziale. Attenzione però: se per assurdo comparisse una firma falsa o un nome sbagliato, sarebbe un altro tipo di vizio (falso, ecc.), ma di solito non c’è proprio la firma.
Altri eventuali vizi formali nelle cartelle sono fuori dal nostro focus (es. mancata indicazione responsabile procedimento – un tempo ritenuta causa di nullità, poi superata normativamente nel 2011; errori nella relata di notifica, ecc.), ma non riguardano la sottoscrizione dell’atto.
Implicazioni pratiche: – Non si può far annullare una cartella sostenendo che non è firmata dal direttore di Agenzia Riscossione: la legge non lo richiede. – L’unico argomento possibile era sulla notifica via PEC: come detto, se il PDF non ha firma digitale né attestazione, alcuni tribunali annullavano la notifica (non per assenza firma dell’atto, ma per difetto di conformità). Ora con Cass. 12997/25 quell’argomento è in parte indebolito: la Cassazione dice che se contesti quell’aspetto, comunque l’atto resta valido. Però resta da vedere se faranno distinzione tra vizio della notifica e vizio dell’atto.
In conclusione, la cartella è un’eccezione alla “regola della firma”: è uno dei pochi atti amministrativi per cui l’ordinamento accetta una formazione senza firma autografa nominativa. Questo per prassi consolidata e normativa ad hoc.
Avviso di addebito INPS
L’avviso di addebito INPS (introdotto nel 2011) ha una natura peculiare: è emesso dall’ente previdenziale e ha valore di titolo esecutivo come la cartella. In un certo senso, sostituisce la cartella per i crediti contributivi INPS. Tuttavia, contrariamente alla cartella, la legge istitutiva (art. 30 D.L. 78/2010) ha esplicitamente previsto l’obbligo di sottoscrizione da parte del responsabile d’ufficio . Dunque, l’INPS deve apporre una firma (autografa o elettronica) di un suo funzionario dirigente su ogni avviso di addebito. In pratica, l’avviso di addebito INPS è più simile a un avviso di accertamento che a una cartella, dal punto di vista formale.
La domanda è: vale anche qui la nullità in caso di difetto di firma o delega? La risposta è sì, in teoria. Se un avviso di addebito risultasse firmato da un funzionario non dirigente senza delega, o privo affatto di firma, sarebbe viziato. Non ci sono tantissime sentenze di Cassazione sul punto specifico, anche perché le controversie in materia di contributi spesso vanno al giudice del lavoro (il quale potrebbe non enfatizzare il vizio formale come farebbe la Commissione tributaria). Ma alcune pronunce esistono:
Ad esempio, Cass. n. 41570/2021 (citata nei motori di ricerca) riguardava un avviso di addebito ENPALS/INPS. Non ho il dettaglio, ma possiamo supporre che la Cassazione abbia confermato gli stessi principi: cioè se la firma non è del responsabile e non c’è delega, l’atto è nullo (trattandosi di atto amministrativo impositivo, la logica è la stessa dello Statuto contribuenti e DPR 600).
Per scrupolo, vediamo se nella norma c’è qualche accenno alla nullità: il comma 2 di art. 30 DL 78/2010 elenca alcuni elementi con “a pena di nullità” (codice fiscale, causale, ecc.) , ma poi separatamente dice “L’avviso deve essere sottoscritto…”. Non chiarisce se la firma rientra nella nullità. Ma l’orientamento generale è che la firma è elemento essenziale dell’atto amministrativo, quindi si tende comunque a considerare la sua mancanza come vizio grave.
Certo, va considerato il giudice competente: le opposizioni a avviso di addebito vanno fatte davanti al giudice ordinario (sezione lavoro) entro 40 giorni, non in Commissione Tributaria. I giudici del lavoro talvolta hanno un approccio diverso sui vizi formali, a volte più indulgente verso l’ente se non c’è pregiudizio. Però la legge è chiara: va firmato dal responsabile, ergo un avviso INPS non firmato da chi di dovere può essere annullato.
Anche per l’INPS, analogamente all’Agenzia Entrate, esiste la possibilità di delega di firma interna (es. il dirigente di sede può delegare un funzionario C3 alla firma degli avvisi). Non abbiamo giurisprudenza dettagliata pubblica su ciò, ma è ragionevole applicare gli stessi criteri: delega scritta, qualifica, onere di provarla se contestata. Inoltre, INPS può firmare digitalmente (e credo lo faccia regolarmente, inviando avvisi via PEC soprattutto alle aziende). Quindi si applicherebbe anche qui il discorso delle copie conformi via PEC.
In sostanza, per un debitore di contributi INPS che riceve un avviso di addebito: può eccepire nullità se, ad esempio, l’atto è firmato da “Funzionario Gamma” ma senza delega del dirigente (o se non c’è proprio firma visibile sul modulo, ma di solito c’è stampato il nome del dirigente a cui si attribuisce l’atto). Casi reali: in passato a volte INPS inviava avvisi di addebito in formato cartaceo con firma meccanizzata (nome stampato del direttore provinciale, senza firma autografa). Questo è valido, perché la norma dice “anche con firma elettronica”: la stampa di nome se autorizzata può valere come meccanografica. Se però un avviso INPS arrivasse totalmente privo di nome del firmatario, sarebbe contestabile (ma dubito succeda, il format prevede il nominativo del direttore di filiale o chi per esso).
Nota: l’opposizione agli avvisi INPS spesso combina motivi sostanziali (non devo i contributi) e formali (vizi di notifica, ecc.). Il vizio di firma rientra tra quelli formali che se accolti evitano di discutere il merito. Non c’è una differenza concettuale rispetto a un avviso fiscale: se manca sottoscrizione autorizzata, l’avviso INPS è nullo.
Ingiunzione fiscale (enti locali)
L’ingiunzione fiscale è uno strumento di riscossione alternativo alla cartella, utilizzabile da Comuni o altri enti per tributi propri e sanzioni (fondato su RD 639/1910 e aggiornato dal DL 70/2011). L’ingiunzione viene emessa direttamente dall’ente creditore o da un concessionario locale e ha efficacia esecutiva. Si può considerare parente stretta della cartella, ma con base normativa diversa.
In tema di firma: l’ingiunzione deve essere sottoscritta dal funzionario autorizzato dell’ente creditore. In genere, se il Comune la emette in proprio, la firma è quella del dirigente finanziario o del funzionario responsabile entrate. Se la emette il concessionario privato (società di riscossione locale), vi sarà la firma di un dirigente di quella società in qualità di funzionario responsabile della riscossione per conto dell’ente (di solito nominato tale dal Comune).
La normativa specifica non la dettaglia molto (essendo un RD del 1910), ma per analogia e secondo il rinvio del DL 70/2011, si applicano in quanto compatibili le regole delle cartelle/ruoli. Tuttavia, essendo l’ingiunzione spesso emessa come atto dell’ente, molti Comuni preferiscono farla firmare dal proprio dirigente per dare più crisma.
Firma a stampa sugli atti locali:
Abbiamo anticipato che per i tributi locali una norma permette la firma meccanografica: l’art. 1 comma 87 L.549/1995. La Cassazione ha chiarito che i Comuni possono emettere avvisi di accertamento con firma a stampa alle condizioni di: atto prodotto da sistema informatico, nominativo del funzionario e fonte dati indicati in un provvedimento dirigenziale, estremi di tale provvedimento e della norma indicati sull’atto . Questo è stato ritenuto valido anche per gli atti emessi dai concessionari per conto dei Comuni, includendo quindi le ingiunzioni fiscali fatte da società concessionarie .
Infatti, Cass. n. 31707/2018 ha confermato che una società concessionaria può notificare atti (ingiunzioni) con firma a stampa del suo responsabile, se è stato previsto contrattualmente e con provvedimento che quell’operatore adotta firma meccanografica in base alla L.549/95. Quindi, in pratica: se ricevete un’ingiunzione dal Comune XYZ per multa o tassa, e in calce c’è il nome del responsabile stampato e la frase “Firma a stampa ex L.549/95, atto dirigente n. …”, è un atto validamente sottoscritto. Se invece mancasse del tutto la firma o il nome del responsabile, sarebbe contestabile.
Va detto che per le sanzioni amministrative (tipo multe stradali) esiste una norma analoga: l’art. 18 del DPR 602/1973 (per ingiunzioni su sanzioni) e l’art. 2-bis DL 564/1994, che consente anche lì firma meccanizzata. Ma stiamo complicando: in breve, la firma a stampa è ok negli atti locali se rispettano la procedura.
Qualora un atto locale (che sia avviso di accertamento IMU, ingiunzione TARI, sollecito, ecc.) non sia firmato affatto o sia firmato da persona non titolata (es. un impiegato qualsiasi), si può far valere nullità per difetto di sottoscrizione. Gli enti locali, però, spesso sanano le posizioni con normative ad hoc. Ad esempio, era dibattuto se l’avviso di accertamento IMU non firmato fosse nullo: la giurisprudenza lo ha assimilato a quello statale dicendo di sì, va firmato dal funzionario responsabile. Oggi, dopo la riforma della riscossione locale (avvisi accertamento esecutivi introdotti con L.160/2019), il funzionario responsabile tributi firma l’avviso che funge anche da titolo esecutivo. Anche questi avvisi esecutivi locali possono essere con firma digitale o a stampa a certe condizioni.
In sintesi, per il debitore locale: – Se ricevi un avviso di accertamento tributo locale (IMU, TARI, ecc.) controlla che sia firmato dal “Funzionario Responsabile” (il nome deve comparire). Se c’è dicitura di firma a stampa, verifica che citi la delibera o determina che la autorizza. Se manca la firma o il nome, puoi contestarlo (anche qui entro 60 gg alla Commissione Tributaria). – Se ricevi un’ingiunzione fiscale da Comune o concessionario, controlla che sia firmata almeno con nome stampato del responsabile della società/concessionario o del dirigente comunale. Se fosse priva di firma o solo con timbro senza nome, potresti eccepire nullità per mancanza elemento essenziale. Questo andrebbe fatto entro 30 giorni con ricorso al giudice ordinario se è sanzione, o 60gg a Commissione se tributo, a seconda della materia.
Poiché la guida è dal punto di vista del debitore, è bene sapere anche dove impugnare per far valere questi vizi: – Avvisi accertamento erariali, avvisi tributi locali: Commissione Tributaria (ora denominata Corte di Giustizia Tributaria di primo grado), entro 60 gg. – Cartelle di pagamento: Commissione Tributaria se si fa valere vizi propri come notifica (entro 60 gg dall’averne conoscenza, se è un estratto di ruolo; oppure come “opposizione ad esecuzione” in Tribunale dopo che iniziano esecuzione, ma tema complesso). – Avvisi di addebito INPS: ricorso al Tribunale sezione Lavoro, entro 40 gg (o 30 gg? mi sembra 40 per opposizione a titolo esecutivo contributi). – Ingiunzioni fiscali: se relative a tributi, Commissione Tributaria entro 60 gg; se relative a sanzioni amministrative (multe), Giudice di Pace o Tribunale entro 30 gg come opposizione ordinanza-ingiunzione.
Approfondire le competenze esula un po’, ma giusto da menzionare a latere che la nullità per firma difetta va fatta valere davanti al giudice competente per quell’atto.
Profili penali correlati alla firma di atti tributari
Dopo aver esaminato in dettaglio gli aspetti civilistici e amministrativi, dedichiamo una riflessione ai possibili risvolti penali connessi alla sottoscrizione (o mancata sottoscrizione) di atti come avvisi di accertamento, cartelle, ecc. Dal punto di vista del contribuente, la prima rassicurazione è che non vi è alcuna conseguenza penale diretta nel ricevere o impugnare un atto nullo per difetto di firma. Anzi, il contribuente che solleva tali eccezioni esercita un suo diritto di difesa. Invece, i profili penali riguardano eventualmente i comportamenti di chi emette l’atto in modo irregolare o fraudolento.
Consideriamo due possibili situazioni:
1. Firma apposta da soggetto non autorizzato consapevolmente (falso ideologico) – Se un pubblico ufficiale (es. un funzionario tributario) firma un atto pubblico attestando falsamente di avere l’autorità per farlo, potrebbe integrare il reato di falsità ideologica in atto pubblico (art. 479 Codice Penale). In questo contesto, l’atto pubblico è l’avviso di accertamento, e la falsità consiste nell’implicita attestazione che chi firma è delegato o titolato. In particolare, la Cassazione penale ha spesso affermato che la condotta del pubblico ufficiale che redige un atto contenente attestazioni non veritiere costituisce falso ideologico indipendentemente dal movente . Applicato al nostro caso: se il funzionario Tizio firma “per delega del direttore” sapendo di non avere in realtà alcuna delega, sta falsamente attestando l’esistenza di una delega. Questo potrebbe configurare il reato di cui all’art. 479 c.p., punito con reclusione fino a 2 anni (fino a 6 se atto fidefacente). Tuttavia, va detto che nella prassi è raro che tali condotte vengano perseguite penalmente, a meno che non vi sia dolo evidente e magari un contesto di abuso. Spesso la mancanza di delega deriva da negligenza organizzativa, più che da volontà fraudolenta di ingannare il contribuente. Inoltre, l’interesse pubblico offeso è relativo: un falso ideologico “interno” di questo tipo è certamente un illecito, ma non è detto che la Procura si attivi se non c’è clamore o denuncia.
2. Firma materialmente falsa (sostituzione di persona) – Un’altra ipotesi: un impiegato firma al posto di un dirigente imitandone la firma, senza alcuna delega né investitura. Questo sarebbe un falso materiale in atto pubblico (art. 476 c.p.) perché l’atto risulterebbe sottoscritto apparentemente dal dirigente mentre in realtà è firmato da un altro . Ad esempio, se un funzionario timbra la firma del dirigente o scannerizza un vecchio firma e la appone, spacciandola per sua, compie una falsificazione. Anche ciò è penalmente rilevante, con pene ancora più severe (reclusione da 1 a 6 anni). Nell’ambito di atti tributari, non si segnalano casi noti di questo genere – sarebbe un comportamento gravissimo e deliberato. Molto improbabile in contesti ordinari: più facile che ci sia stata delega imperfetta, non una firma contraffatta.
3. Abuso d’ufficio (art. 323 c.p.) – In passato, si poteva ipotizzare che il funzionario che emette un atto senza potere, recando danno ingiusto al contribuente, commettesse abuso d’ufficio (violazione di legge + danno ingiusto). Tuttavia, l’abuso d’ufficio è stato di recente abrogato (nel 2023 il Parlamento ha eliminato questa fattispecie ). Dunque, oggi non c’è più questa valvola di sfogo per punire comportamenti arbitrari di pubblici ufficiali, se non ricadono in altre figure di reato.
In definitiva, l’apparato penale può sanzionare casi estremi di falso:
- Falso ideologico: se nel contenuto dell’atto si afferma qualcosa di non vero riguardo all’investitura (es: “Delegato con provvedimento X” ma non è vero, o anche implicitamente firmando come “Direttore” chi direttore non è). Si tratterebbe di un reato commesso dal pubblico ufficiale autore. Il contribuente potrebbe, a rigore, sporgere denuncia se ravvisa una cosa del genere, ma ponderando l’utilità: di solito l’interesse principale è far annullare l’atto in via amministrativa, non punire penalmente.
- Falso materiale: se c’è una contraffazione di firma o sigillo. Ad esempio, un impiegato infedele potrebbe confezionare false cartelle o avvisi per estorcere denaro (ci sono stati casi di false cartelle inviate da truffatori per farsi pagare). Quella è attività criminale vera e propria (truffa, falso in atto privato se non atto pubblico a seconda, ecc.). Ma non è il nostro caso di atti genuini ma viziati da errore di firma.
Dal lato del contribuente: non c’è rischio penale nel non pagare un atto nullo (si paga sempre e solo se l’atto è dovuto). I reati tributari (es. omessa dichiarazione, infedele dichiarazione, omesso versamento) prescindono dall’avviso di accertamento: derivano da condotte proprie del contribuente come dichiarare il falso o non versare ritenute. Il ricevere un avviso nullo e non pagarlo non integra reato; semmai è l’atto in sé ad essere invalido.
Un contribuente potrebbe incorrere in reato se dovesse presentare un falso per contestare la firma, ad esempio esibisse una falsa delega (ma non ha senso, la delega ce l’ha l’ente, non il contribuente). Oppure se con una querela di falso in sede civile volesse sostenere che la firma apposta è stata falsificata; ma questa è procedura legale, non reato.
Riassumendo penalmente: per gli addetti ai lavori, firmare atti senza potere potrebbe costare caro in teoria: la firma “abusiva” può configurare un falso in atto pubblico. In pratica, gran parte di questi casi restano confinati nella disciplina amministrativa/disciplinare. Un funzionario beccato a firmare senza delega potrebbe subire sanzioni disciplinari interne o, se il fatto è grave e ripetuto, essere segnalato alla Corte dei Conti (per danno erariale se l’Ente perde gettito causa nullità). Ad esempio, se un intero stock di avvisi viene annullato per delega mancante, il dirigente responsabile potrebbe risponderne contabilmente per il gettito sfumato.
Va anche ricordato il concetto di “falso innocuo” in diritto penale: un’alterazione che non lede la fede pubblica perché l’atto avrebbe comunque prodotto lo stesso effetto. Alcuni potrebbero argomentare che se comunque l’atto proveniva dall’ufficio e il contribuente sapeva a chi rivolgersi, la firma mancante è un vizio formale innocuo. Ma la Cassazione penale tende a non applicare il falso innocuo a chi attesta falsamente poteri pubblici (es. un atto di PG firmato da chi non era PG è stato ritenuto non innocuo). Probabilmente, un funzionario che firmina atti fingendosi delegato non può invocare che “tanto l’ufficio era lo stesso”, perché la differenza di potere è essenziale. Quindi in caso di giudizio penale probabilmente sarebbe condannato, salvo lievità del fatto.
Esempio (ipotetico): Il funzionario X, privo di delega, firma 100 avvisi come se fosse delegato, generando nullità e costringendo l’ufficio a rimborsare spese di lite ai contribuenti vittoriosi. Se scoperto, potrebbe essere indagato per falso ideologico in atto pubblico. Se condannato, rischia una pena (spesso con sospensione condizionale se incensurato) e certamente la carriera ne risente. Questi casi ad ogni modo non sono pubblicizzati.
In conclusione per il lettore: questi profili penali rimangono sullo sfondo; servono a capire la serietà dell’obbligo di firma. Dal tuo punto di vista, puoi stare tranquillo che difenderti eccependo la nullità non ti espone ad alcun reato, anzi fai valere un tuo diritto. E se mai volessi “spaventare” l’ente, potresti in teoria minacciare di depositare un esposto per falso se emergesse che hanno dichiarato deleghe inesistenti. A volte questo può spronare l’ente a valutare bene se proseguire o mollare il caso. Ma è un’arma da usare con cautela e solo se convinti di malafede, altrimenti nei rapporti con l’ufficio può incrinare la possibilità di soluzioni bonarie.
Domande frequenti (FAQ) sulla validità della firma negli atti fiscali e tributari
D: Che cosa si intende per “firma valida” di un avviso di accertamento?
R: Si intende la sottoscrizione apposta dal soggetto legittimato, cioè il capo dell’ufficio competente (dirigente) o un funzionario della carriera direttiva munito di delega formale . Può essere una firma autografa in originale oppure una firma digitale su documento informatico. L’importante è che provenga da un soggetto autorizzato secondo l’art. 42 DPR 600/73. Una firma è “non valida” se chi ha firmato non aveva potere per farlo (manca delega, o non è il dirigente titolare, o la firma è inesistente).
D: Se l’avviso non è firmato dal capo ufficio ma da un funzionario, è automaticamente nullo?
R: Non automaticamente: è valido se quel funzionario era munito di delega di firma dal capo ufficio . In caso di contestazione, l’ufficio dovrà provare l’esistenza e regolarità della delega. Se invece il funzionario ha firmato senza delega, allora l’atto è nullo ex lege. Quindi, di fronte a una firma non dirigenziale, il contribuente può impugnare per difetto di delega: se l’ente non esibisce una delega valida, l’atto verrà annullato . Se invece esibisce delega e questa copre l’atto, la firma è considerata valida e il motivo di ricorso verrà respinto.
D: Come faccio, da contribuente, a sapere se c’è una delega di firma?
R: Spesso non lo sai al momento della notifica, perché la delega è un atto interno che non viene allegato. Alcuni avvisi riportano in calce frasi come “Firmato dal Funzionario XY su delega del Direttore prot. n… del …”, e questo è un indizio positivo (ti danno gli estremi della delega). Ma se non c’è alcuna indicazione, tu vedi solo un nome diverso dal dirigente. In tal caso, puoi presumere che serva una delega. In sede di ricorso, puoi specificare che “a quanto consta, il firmatario non risulta dirigente, e l’ufficio non ha comunicato l’esistenza di delega; si chiede dunque prova della delega, la cui mancanza comporta nullità ex art.42 DPR 600/73”. Inoltre, puoi presentare un’istanza di accesso agli atti all’Agenzia prima del ricorso, chiedendo copia dell’eventuale delega di firma riferita all’avviso ricevuto. L’ente potrebbe rispondere fornendotela, oppure no. In ogni caso, la certezza si avrà in giudizio: se l’ente la produce, allora c’era; se non la produce, presumibilmente non c’è o è irregolare.
D: La delega deve essere allegata all’avviso per essere valida?
R: No, non c’è obbligo di allegare la delega all’avviso. La sua validità non dipende dalla conoscenza immediata del contribuente. Sarà valida se esiste negli archivi dell’ufficio come atto firmato dal dirigente. Tuttavia, l’ufficio ha l’onere di esibirla in giudizio se richiesta . L’assenza di allegazione non inficia la delega, ma dal punto di vista pratico spesso la mancanza di trasparenza spinge il giudice a dubitare e a dare ragione al contribuente se l’ente non la mostra.
D: Una delega “generica” (senza nome, solo per funzione) è legittima?
R: Sì. La Cassazione ha chiarito che non serve il nominativo, basta che il provvedimento di delega individui il ruolo o la qualifica del delegato . Ad esempio, una delega al “Capo Team Accertamento 1” è valida, purché si possa capire chi ricopriva quel ruolo. Non è invece ammessa una delega del tipo “a chiunque incaricato di firmare”: deve sempre esserci un minimo di specificazione. In pratica le deleghe per ordine di servizio spesso elencano le posizioni (o nomi) delegati. L’assenza del nome non invalida se c’è la qualifica.
D: E se la delega è scaduta o il delegante è cambiato?
R: La delega di solito non ha scadenza se non indicata; però se il dirigente che l’aveva conferita viene sostituito, la delega in teoria decade, salvo ratifica del successore. Questa è una zona grigia: alcune Commissioni hanno annullato atti firmati da delegati dopo che il delegante era cessato, ritenendo che servisse nuova delega. Altre volte si considera valida finché non revocata espressamente. In linea prudenziale, ogni nuovo dirigente emette nuove deleghe. Se scopri che la delega esibita è firmata da un ex dirigente e al momento dell’atto c’era un altro dirigente in carica, puoi eccepire l’inefficacia di quella delega. Sarà il giudice a valutare. Non c’è una giurisprudenza univoca pubblica su questo dettaglio, ma l’argomento può essere speso.
D: Se manca la firma (o delega) l’atto è nullo “di diritto” o devo impugnarlo?
R: Devi comunque impugnarlo entro i termini. La nullità opera di diritto in teoria (cioè l’atto è invalido sin dall’inizio), ma ciò non toglie che se non lo impugni, quell’atto diventerà definitivo e l’ente tenterà di riscuoterlo. In sede di esecuzione forzata, tu potrai ancora sollevare il tema – magari con un’opposizione all’esecuzione – ma entreresti in un terreno accidentato di questioni procedurali. È molto più sicuro eccepire la nullità nel ricorso principale entro 60 giorni. Così avrai un giudice che si pronuncia sul vizio. Se invece lasci passare il tempo, l’ente darà l’atto per valido e difficilmente poi potrai far valere il vizio (le Commissioni tendono a dichiarare inammissibili i ricorsi tardivi anche se l’atto era nullo, a meno di inesistenza macroscopica). Quindi, la nullità non “auto-distrugge” l’atto, va fatta valere.
D: Posso ignorare l’atto nullo, tanto è nullo?
R: È un comportamento rischioso. Solo se fossimo di fronte a un atto inesistente (ad esempio notificato a una persona sbagliata o privo del tutto di intestazione e firma, un pezzo di carta qualunque) si potrebbe dire che non produce effetti. Ma la nozione di “inesistenza” è molto restrittiva e non esenta da cautela. Il consiglio pratico: mai ignorare, meglio impugnare e far valere la nullità in sede propria. Ignorare significherebbe attendere che l’ente proceda (iscriva a ruolo, mandi cartella) e poi opporsi sostenendo che il titolo era nullo. Si può fare, ma l’esito non è scontato e nel frattempo potrebbero insorgere problemi (fermo amministrativo, ipoteca, ecc.). Pertanto, anche se sei convinto al 100% che l’avviso è nullo perché manca firma, presentare ricorso nei termini è la via corretta per neutralizzarlo ufficialmente.
D: Se l’atto è nullo, devo comunque fare ricorso e pagare il contributo unificato?
R: Sì, devi fare ricorso (come detto). Purtroppo va pagato anche il contributo unificato previsto (che dipende dal valore della causa) e le eventuali spese per il difensore. In caso di vittoria, però, puoi chiedere la rifusione delle spese legali all’ente soccombente, che spesso viene disposta dal giudice. Quindi, se vinci per nullità, l’ufficio normalmente viene condannato a rimborsarti quel contributo unificato e magari parte delle spese di avvocato.
D: La firma digitale vale come una firma autografa?
R: Assolutamente sì. La firma digitale (o elettronica qualificata) apposta da un soggetto autorizzato è equivalente alla firma manoscritta per legge. Quindi un avviso firmato digitalmente dal dirigente o delegato è validissimo. Non è affatto un avviso “non firmato”. Anche se il PDF stampato può non mostrare un segno grafico, c’è una certificazione informatica dietro. Naturalmente bisogna poterla verificare: se ti arriva via PEC il .p7m puoi controllare con un software di verifica che risulta firmato da “Caio Rossi, funzionario Agenzia Entrate” con certificato valido. Quello è come vedere l’inchiostro.
D: Ho ricevuto via PEC un avviso in PDF con scritto “firmato digitalmente da …”. Devo fidarmi?
R: Se era un .p7m, puoi fidarti dopo verifica tecnica. Se era un semplice .pdf con indicazione di firma digitale, ci sono due possibilità: – o il file conteneva una firma digitale invisibile (puoi provare ad aprirlo con Adobe Reader e controllare le firme: a volte i PDF portano la firma nei “campi firma”), – oppure era una copia del documento digitale. In quest’ultimo caso, dovresti vedere se la PEC conteneva anche un attestato di conformità. Se non c’è, sei legittimato a non fidarti completamente e a contestare la regolarità. Però attenzione: spesso la dicitura “firmato digitalmente” viene apposta automaticamente sui documenti prodotti dal sistema dell’ente, per far capire che l’originale è digitale. Dunque la presenza di quella frase è un indizio che l’originale è elettronico. In genere, se l’hai ricevuto da una PEC ufficiale, è davvero emanato così. Se vuoi essere scrupoloso, potresti chiedere all’ente, anche informalmente, di inviarti il file originale con firma (molti uffici lo fanno: se chiami il funzionario e dici “ho un dubbio sulla firma digitale”, potrebbero inviarti il file con estensione .p7m per tua verifica).
D: La notifica via PEC di un atto privo di firma digitale è valida?
R: Dipende dall’atto. Per le cartelle di pagamento, la Cassazione dice di sì (valida) anche se il PDF allegato non è firmato digitalmente, perché la cartella non richiede firma e conta la riferibilità all’ente . Per un avviso di accertamento, invece, la firma è requisito essenziale: se l’ente notifica via PEC un semplice PDF senza firma digitale né attestazione di conformità, molte Commissioni lo considerano nulla la notifica o l’atto, perché non c’è prova che quell’allegato fosse sottoscritto regolarmente . Quindi, nel caso di avviso, la prassi virtuosa è di allegare sempre file firmati digitalmente o attestati. Se ciò non è avvenuto, il contribuente può eccepire la nullità. È possibile che in futuro la Cassazione estenda la tolleranza anche agli avvisi (dicendo: se arriva da PEC ufficiale e c’è indicazione di firma a stampa del funzionario, l’atto è imputabile all’ufficio e va bene). Ma al momento la giurisprudenza è più rigorosa con gli avvisi: meglio avere o la firma digitale verificabile o l’attestazione. Quindi, valutazione pratica: se ti arriva un PDF non firmato digitalmente di un avviso e tu hai intenzione di fare ricorso comunque (magari anche sul merito), inserisci certamente anche questo motivo di nullità. Hai buone chance che il giudice ti dia ragione su questo punto, evitandoti la discussione sul merito.
D: La cartella esattoriale deve essere firmata dal responsabile dell’Agente della riscossione?
R: No. Non è richiesta la firma autografa del responsabile sulle cartelle, per espressa previsione dei modelli di legge . Quindi la cartella non può essere annullata per mancanza di firma. In passato qualcuno ci ha provato, ma la Cassazione ha detto che vale la regola della riferibilità all’organo: se la cartella è intestata all’Agente e contiene tutti i dati, non occorre la firma. Ciò anche quando la cartella è notificata via PEC (vedi Cass. 12997/2025). Tuttavia, attenzione a non confondere: la cartella deve comunque riportare il nome del responsabile del procedimento (norma di Statuto contribuenti). Se manca anche quello, un tempo le cartelle venivano dichiarate nulle; ora dopo il 2011 questa omissione non è più causa di nullità automatica, ma può dar luogo al risarcimento di un eventuale danno da mancata conoscenza. In pratica oggi non invalida la cartella, secondo Cassazione, la mancanza del nominativo del responsabile (cfr. Cass. SU 11722/2010 e modifiche legislative). Dunque la cartella, a meno di errori grossolani, difficilmente è nulla per vizi di forma.
D: Gli avvisi di accertamento dei Comuni (IMU, TARI ecc.) devono essere firmati?
R: Sì, la Legge 296/2006 impone che siano sottoscritti dal Funzionario Responsabile del tributo . Quindi valgono principi simili: se li firma un delegato (es. il funzionario di un concessionario) serve delega del Comune; se li firma un assessore o altro non titolato, sono nulli. C’è però da dire che, per semplificare, molti Comuni usano la firma a stampa meccanografica su questi atti. Ciò è legittimo se fatto a norma (abbiamo spiegato sopra con L.549/95). Dunque non stupirti se l’avviso TARI ha solo il nome stampato del dirigente e la frase “firma autografa omessa ai sensi di legge”: è valido, non è un difetto. Se invece l’atto comunale fosse privo del tutto di nome e firma, sarebbe contestabile per nullità (il RD 1931 sull’ICI diceva che la sottoscrizione del funzionario è requisito, idem normative più recenti). Quindi sì, anche gli atti locali richiedono firma (in forma tradizionale o automatizzata autorizzata).
D: Ho ricevuto una multa (verbale) con firma digitale dell’agente accertatore: vale?
R: Sì, ormai anche i verbali di infrazione del Codice della Strada possono recare firma digitale o firma elettronica dell’agente accertatore. Ad esempio, i verbali redatti con tablet dalla Polizia Locale spesso recano firma digitale dell’operatore. La legge (art. 206 Reg. Codice Strada) consente l’utilizzo di sistemi con firma elettronica e ritiene validi i verbali così formati. Quindi non è più necessario vedere la penna su carta. Anche i documenti notificati via PEC per multe (es. verbali ZTL) recano firma digitale. Se arrivasse un verbale senza firma per niente, quello sarebbe nullo; ma se c’è firma digitale (anche se non vedi a video uno scarabocchio), è valido.
D: Quali sono le sentenze principali della Cassazione da citare in caso di ricorso su questi temi?
R: Eccone alcune utili: – Cass. 17400/2012: afferma nullità avviso non firmato da capo ufficio e onere prova delega . – Cass. 5360/2016: ribadisce gli stessi concetti (in caso di contestazione delega va provata, sennò nullità) . – Cass. 24492/2015: sul principio di vicinanza della prova – onere in capo all’ente . – Cass. 11013/2019: delega di firma non richiede nome, sufficiente qualifica, delega di firma ≠ di funzioni . – Cass. 16846/2024: valida firma digitale su avviso e copia analogica con attestazione . – Cass. 24681/2022: avviso nullo se notificato cartaceo con sola dicitura “firmato digitalmente” senza attestazione . – Cass. 12997/2025: cartella via PEC valida anche senza firma digitale, basta riferibilità all’ente . – Cass. 9627/2012: ok firma a stampa per tributi locali . – Cass. 31707/2018: firma a stampa ok anche per concessionario tributi locali . – Cass. 14195/2000 e 14626/2000: prime sul tema delega (sono citate spesso). – Cass. 23871/2015: accertamento catastale nullo senza delega (visto in Eutekne).
Citare una o più di queste nelle memorie rafforza l’argomentazione, mostrando che la Cassazione è allineata.
D: Cosa succede se il giudice rigetta il mio ricorso sul difetto di firma? Posso fare appello/cassazione?
R: Certo, se in primo grado ti va male e sei convinto che la firma fosse irregolare, puoi appellare in secondo grado (Corte Giust. Trib. di secondo grado) e far valere l’errore di diritto. Spesso le CTR (oggi CGT secondo grado) danno ragione ai contribuenti su questi vizi se le CTP li avevano sottovalutati. In ultima istanza, puoi anche proporre ricorso per Cassazione per violazione di legge (art. 42 DPR 600/73) se i giudici di merito non hanno applicato correttamente il principio. Dato che è una questione di diritto abbastanza chiara, la Cassazione tende a accogliere quando le norme non sono state rispettate. Ci sono state Cassazioni che hanno cassato sentenze di merito troppo indulgenti con il Fisco su deleghe mancanti.
D: Se vinco per nullità dell’atto, l’ente può ricaricare la tassa/tributo con un nuovo atto?
R: Dipende dai tempi. Se la decadenza (termine ultimo per accertare) non è ancora maturata, sì, l’ente può notificare un nuovo avviso “correttivo” con firma regolare, purché entro la scadenza legale. Ad esempio, per un avviso 2017 notificato nel 2022 e annullato nel 2025, ormai il termine era il 12/31/2022, quindi l’ente è decaduto: non può più chiedere quelle somme con un nuovo atto. Ma se fosse stata una questione di pochi giorni, poteva rifarlo. Per avvisi di addebito INPS, i termini sono di prescrizione, ma l’INPS se ancora in tempo può rinnovare. Quindi in alcuni casi pratici succede: il contribuente vince per vizio di forma e dopo qualche mese gli arriva un nuovo avviso identico ma firmato giusto. A quel punto, quel nuovo avviso è valido e va pagato o impugnato per altri motivi (non per la firma, che sarà ok). Non c’è violazione del “ne bis in idem” perché il primo atto era nullo quindi come se non fosse mai esistito: l’ente non sta duplicando una pretesa, sta riproponendola validamente la prima volta.
D: Se ho già pagato un avviso poi risultato nullo, ho diritto al rimborso?
R: Sì, in linea teorica sì. Un atto nullo non costituisce titolo per trattenere i soldi. Se hai pagato perché magari non sapevi del vizio e dopo, in un giudizio promosso da un coobbligato o d’ufficio, l’atto viene annullato, puoi fare istanza di rimborso all’ente per le somme versate in eccedenza non dovute. Se l’ente non rimborsa entro 90 gg, puoi fare ricorso in Commissione per ottenere il rimborso, allegando la sentenza che ha annullato l’atto (o comunque la prova della nullità). Di solito, ottenuta l’annullamento, l’ufficio stesso dovrebbe attivarsi per sgravare e rimborsare, ma non sempre accade automaticamente, quindi meglio presentare domanda formale di rimborso citando l’annullamento.
D: La mancanza di firma è motivo di ricorso anche contro un estratto di ruolo?
R: Questa è una domanda tecnica. L’estratto di ruolo è un documento riepilogativo interno di Equitalia/ADER che il contribuente può ottenere per sapere le cartelle a suo carico. Non è un atto impugnabile di per sé, ma la Cassazione ha ammesso l’impugnazione diretta dell’estratto come veicolo per contestare la cartella sottostante se, ad esempio, la cartella non è stata notificata regolarmente. Nel nostro contesto, siccome la cartella non deve essere firmata, non avrebbe senso contestare un estratto per “cartella non firmata”. Piuttosto si contesta magari notifica nulla. Invece, l’estratto potrebbe riportare un avviso di addebito INPS non notificato: in tal caso potresti impugnare l’estratto per far dichiarare inefficace quell’avviso per difetto di notifica o altro. Ma se vorresti contestare la firma, dovresti aver elementi. Non è lo strumento tipico per questo vizio. Dunque la mancanza di firma si fa valere direttamente contro l’atto, non tramite estratto di ruolo, salvo contingenze.
Tabelle riepilogative
Di seguito proponiamo due tabelle riassuntive. La Tabella 1 sintetizza, per i vari tipi di atti, chi deve sottoscriverli, come possono essere firmati (autografo, digitale, stampa) e le conseguenze in caso di firma mancante o irregolare. La Tabella 2 riepiloga invece le principali sentenze e norme citate, con il principio di diritto espresso, utile come riferimento rapido.
Tabella 1 – Sottoscrizione degli atti fiscali e simili: soggetti, modalità e nullità
| Tipo di Atto | Soggetto che deve firmare | Norma di riferimento | Modalità ammesse | Nullità se firma mancante/non valida? | Note |
|---|---|---|---|---|---|
| Avviso di accertamento (Agenzia Entrate) – imposte erariali (Irpef, Ires, IVA, ecc.) | Capo Ufficio (Dirigente) <br> o Funzionario direttivo delegato | DPR 600/1973, art. 42, c.1-3 <br> (richiamo per IVA: DPR 633/72, art.56) | – Firma autografa del dirigente <br> – Firma autografa del delegato (con delega) <br> – Firma digitale (del dirigente o delegato) <br> – Firma a stampa meccanografica solo se norma lo consente (per ora ammessa per tributi locali, non per agenzia)** | Sì – nullo a pena di nullità ex lege se non firmato da soggetto legittimato. <br> (Nullità testuale art.42) | Delega di firma possibile senza indicare nome, sufficiente qualifica . Onere prova delega sull’ente se contestata . |
| Cartella di pagamento (Agenzia Entrate-Riscossione, ex Equitalia) – ruolo imposte, sanzioni, contributi | Nessuna firma richiesta sul modello. <br> (Intestazione Agente + indicazione responsabile del procedimento) | DPR 602/1973, art. 25 (modello cartella DM 321/99) | – Firma autografa non prevista <br> – Firma digitale: tecnicamente possono sottoscriverla digitalmente ma non è obbligatoria ai fini validità <br> – Firma a stampa: il modulo prevede già intestazione e causale codificata | No – valida anche senza firma . La mancanza di firma non inficia l’atto (per Cassazione è sufficiente riferibilità organo). | Mancata firma non è vizio. <br>Attenzione però alla notifica PEC: se PDF non firmato né attestato, Cass. 2020 parlava di nullità notifica , ma Cass. 2025 ha detto atto valido comunque. |
| Avviso di accertamento tributi locali (IMU, TARI, ecc. – anche “avviso esecutivo”) | Funzionario Responsabile del Tributo (di regola Dirigente o posizione organizzativa) | L. 296/2006, art. 1, c.162 <br> (statuto comuni, Reg. entrate locali) | – Firma autografa del dirigente/funzionario resp. <br> – Delegabile a funzionari subordinati (se previsto da regolamenti interni, simile ad art.42) <br> – Firma digitale ammessa <br> – Firma a stampa: ammessa se sistemi informatici + determina dirigente che indica responsabile e fonte dati + indicazione in avviso di estremi delega e norma | Sì – nullità/annullabilità in analogia ad art.42. Giurisprudenza applica stessi principi: se non firmato dal soggetto competente è da annullare . | Cass. ha convalidato firma a stampa per tributi locali (Cass. 9627/2012, 12756/2019) . Se firma il concessionario per il Comune, deve essere nominato responsabile dal Comune e può usare firma a stampa se autorizzato . |
| Ingiunzione fiscale (R.D. 639/1910) – riscossione crediti enti locali (alternativa cartella) | Dirigente/Funzionario ente creditore oppure Responsabile del concessionario autorizzato | R.D. 639/1910, artt. 2 e 3 (come mod. da DL 70/2011) <br> (norme analoghe ruolo) | – Firma autografa del dirigente ente o del responsabile concessionario <br> – Firma digitale ammessa (molti concessionari la usano via PEC) <br> – Firma a stampa meccanografica ammessa in analogia L.549/95 se previsto e dichiarato sull’atto | Sì – se mancata sottoscrizione da soggetto legittimato, nullo. (Applicazione principi generali atti amministrativi). | Anche qui, nome del responsabile procedimento va indicato. <br> Se concessionario emette ingiunzione, firma in genere il suo direttore generale o procuratore. Deve avere delega dal Comune. |
| Avviso di addebito INPS (titolo esecutivo contributi) | Responsabile dell’ufficio emittente (Dirigente INPS) o delegato | DL 78/2010, art.30 co.2 (sottoscrizione richiesta) | – Firma autografa dirigente <br> – Firma digitale dirigente (INPS spesso firma digitalmente) <br> – Delega a funzionari: ammessa (firma del delegato con indicazione posizione) <br> – Firma a stampa: non esplicitata, ma INPS può aver sistemi massivi; in pratica di solito c’è nome stampato + firma digitale | Sì – nullità (annullabilità) se privo di firma del responsabile. <br> Norma cita elementi a pena nullità e richiede firma responsabile. Si interpreta che atto senza firma valida è nullo. | Competente a decidere è il Tribunale (giudice lavoro). Alcune sentenze hanno annullato avvisi INPS per vizi formali di notifica; la firma se mancasse sarebbe vizio grave. INPS appone almeno nome e qualifica su ogni avviso (anche prodotti massivamente). |
| Verbale di constatazione/ processo verbale Guardia di Finanza (atto endoprocedimentale, non impositivo definitivo) | Pubblico Ufficiale/i verbalizzanti (GdF, funzionari AdE) | CPP penale se rilievi penali; <br> L. 7/2000 (Statuto) art.7 impone nome e grado redattori | – Firma autografa agenti verbalizzanti <br> – Firma digitale (oggi GdF può firmare digitalmente verbali) <br> (No delega: i verbalizzanti sono quelli presenti all’operazione) | Non atto impositivo, non direttamente impugnabile. <br> La mancanza di firma su un PVC potrebbe inficiarne l’utilizzabilità come prova, ma non c’è nullità “ricorribile” in sé. | Il PVC non è un provvedimento ma un atto materiale. Se non firmato dagli operanti è inattendibile. Il contribuente può farlo rilevare in sede di accertamento (es: “il PVC è nullo, quindi accertamento basato su di esso è viziato”). |
Note: <small> in Tabella 1, “nullità” va intesa come vizio che comporta l’annullamento dell’atto su ricorso. “Nullità testuale” indica previsto espressamente a pena di nullità dalla legge; “annullabilità” di fatto analoga qui. <br> : per l’amministrazione finanziaria centrale (Agenzia Entrate) non risulta una norma equipollente alla L.549/95 per firme a stampa – infatti Cass. ha detto che L.549/95 c.87 è norma speciale non abrogata, ma riferita a enti locali. L’Agenzia Entrate, sui propri avvisi, o li firma autografo o digitale; su cartelle si avvale del fatto che non serve firma. </small>
Tabella 2 – Principali riferimenti normativi e giurisprudenziali (aggiornati a 2025)
| Riferimento | Oggetto/Principio |
|---|---|
| D.P.R. 600/1973, art. 42 | Sottoscrizione degli avvisi di accertamento tributari. Deve firmare il capo ufficio o funzionario delegato; nullità in mancanza . |
| Legge 212/2000 (Statuto contrib.), art. 7 | Obbligo indicare responsabile procedimento negli atti. (Mancanza non annulla l’atto dopo modifiche 2011, ma viola doveri informativi). |
| D.P.R. 602/1973, art. 25 | Cartella di pagamento. Contenuto secondo modello, nessuna firma richiesta dell’esattore; bastano intestazione e causale codificata . |
| D.L. 78/2010, art. 30 co.2 | Avviso di addebito INPS. Contenuti a pena di nullità (CF, causale, importi…); deve essere sottoscritto dal responsabile (anche con firma elettronica) . Notifica via PEC prioritaria (co.4). |
| Legge 549/1995, art. 1 c. 87 | Autorizza per enti locali l’uso di firma a stampa automatizzata su atti prodotti da sistemi informativi, previa indicazione del responsabile e provvedimento dirigente. Usata per accertamenti/ingiunzioni locali . |
| Cass. Civ. Sez. V n. 14626/2000 | Avviso nullo se firmato da funzionario senza valida delega. Solo possesso qualifica non basta . (Prima affermazione netta Cassazione). |
| Cass. Civ. Sez. V n. 17400/2012 | Ribadito art.42: avviso nullo se non firmato da capo ufficio o delegato; onere ad Agenzia di provare delega; solo qualifica non abilita firma . |
| Cass. Civ. Sez. V n. 24492/2015 | Principio di leale collaborazione e vicinanza della prova: la PA deve fornire copia delega se contestata perché documento in suo possesso di difficile accesso per contribuente . |
| Cass. Sez. Trib. n. 23871/2015 | Accertamento catastale. Nullo se l’Ufficio Territorio non esibisce delega firma del funzionario che ha firmato al posto del dirigente . Conferma estensione principio anche fuori imposte dirette. |
| Cass. Sez. V n. 5360/2016 | Onere della prova: se avviso firmato da funzionario (es. direttore tributario IX q.f.), spetta a AdE provare delega o potere sostitutivo; in mancanza l’atto è nullo . |
| Cass. Sez. V n. 5200/2018 | Delega può essere prodotta anche in appello (non attiene a legitimatio ma a validità atto). Il giudice può ammettere in secondo grado documenti delega se non prodotti prima . |
| Cass. Sez. V ord. n. 11013/2019 | Delega di firma natura e requisiti. Conferma: delega art.42 è delega di firma, non di funzioni; non richiede nome delegato né durata, basta indicazione qualifica, attuabile anche con ordine di servizio interno . Necessario comunque che su contestazione PA provi sussistenza delega (principio vicinanza prova) . (Cita molte Cass. precedenti consolidando). |
| Cass. Sez. V n. 31707/2018 | Firma a stampa concessionario tributi locali. Confermato che atti di concessionari possono recare firma a stampa del responsabile, se rispetta condizioni normative (L.549/95) . |
| Cass. Sez. VI ord. n. 2329/2021 | (Massimata su Misterlex) Ribadisce che avviso dev’essere sottoscritto da capo ufficio o funzionario delegato validamente . (Nullità se difetto delega, distingue da problema legittimazione processuale). |
| Cass. Sez. V ord. n. 24681/2022 | Firme digitali e copie. Attestazione art.23 CAD: copia analogica di documento informatico firmato digitalmente è valida solo con attestazione conforme. Avviso contenente solo dicitura “firmato digitalmente” senza attestazione è nullo ex art.42 (privo di sottoscrizione) . |
| Cass. Sez. V ord. n. 31160/2022 | (citata per confermare validità notifiche postali con avvisi ricevuti per estratto, ma nel nostro ambito rileva poco, tratta più di notifica postale e querela di falso su firme del postino. Non affronta delega direttamente). |
| Cass. Sez. V ord. n. 16846/2024 | Firma digitale su avviso. Conferma che firma digitale sugli avvisi è legittima (anche prima del 2018), il divieto di strumenti informatici ante 2017 non riguardava avvisi . Copia analogica con attestazione assume stessa efficacia dell’originale informatico; avviso digitale notificabile via posta se copia è attestata conforme . Insomma, avviso firmato digitalmente non è nullo per difetto firma. |
| Cass. Sez. V ord. n. 16293/2024 | (Simile a 16846: copia analogica di avviso digitale con attestazione conforme è efficace quanto originale ). |
| Cass. Sez. V ord. n. 12997/2025 | Notifica PEC cartella – firma digitale non necessaria. Afferma principio che omissione di sottoscrizione su cartella, sia cartacea che digitale, non comporta invalidità, purché documento riferibile all’organo emittente; il modello legale non prevede firma esattore . Pertanto cartella via PEC con PDF privo di firma digitale è valida (ha intestazione e provenienza certa). |
| Cass. Sez. V ord. n. 2698/2025 | (Ribadisce delega di firma natura interna, qualifica, etc., in linea con Cass.2019, citazione da StudioCerbone) . |
(Nota: le sentenze indicate come ordinanze degli ultimi anni spesso ribadiscono principi già affermati in sentenze; il numero di sez. V è per materia tributaria civile. I riferimenti Lx-Ly rimandano a estratti precisi citati nella guida.)
Simulazioni pratiche di casi risolti
Per calare la teoria nella realtà, presentiamo di seguito alcuni scenari pratici basati su casi realmente occorsi (con qualche semplificazione), illustrando come sono stati risolti in base ai principi esposti.
Caso 1: Avviso di accertamento firmato dal funzionario senza delega
Il Sig. Bianchi riceve un avviso di accertamento IRPEF dall’Agenzia delle Entrate. L’atto reca in calce la firma (digitale) del “Dott. Verdi”, indicato come Capo Team Controlli, ma non vi è menzione di delega da parte del Direttore dell’Ufficio. Bianchi, insospettito, presenta ricorso al giudice tributario eccependo la nullità dell’atto per difetto di valida sottoscrizione. Chiede all’Agenzia di produrre la delega del Dott. Verdi. In primo grado, l’Agenzia non produce nulla, sostenendo genericamente che Verdi aveva la qualifica necessaria e che comunque l’atto proveniva dall’ufficio legittimato. La Commissione accoglie il ricorso di Bianchi: dichiara nullo l’avviso ai sensi dell’art. 42 DPR 600/73, poiché la firma non è del capo ufficio e l’ente non ha provato l’esistenza di delega . L’amministrazione soccombente è condannata anche alle spese. (In appello, l’Agenzia prova a produrre tardivamente un ordine di servizio come delega, ma la CTR lo dichiara inammissibile per decadenza dalle prove – poiché avrebbe dovuto mostrarlo prima – e conferma la nullità. La Cassazione poi respinge il ricorso dell’Agenzia, ribadendo che la delega andava esibita tempestivamente e comunque la qualifica da sola non bastava ). Il Sig. Bianchi ottiene l’annullamento integrale della pretesa fiscale. L’Erario, essendo ormai scaduti i termini di accertamento, non può più emettere un nuovo avviso per lo stesso anno: quindi Bianchi, grazie a questo vizio formale, non deve pagare nulla.
Lezioni apprese: Sempre contestare formalmente la firma non dirigenziale se si sospetta mancanza di delega; l’onere di prova è del Fisco. In questo caso l’Agenzia ha perso perché non ha fornito la delega – forse perché non c’era, oppure perché era oltre soglia o mal formulata. La tempestività nella contestazione ha premiato il contribuente.
Caso 2: Avviso di accertamento firmato digitalmente – contribuente contesta firma inesistente perché su copia cartacea non visibile
La Srl Alfa riceve per posta un avviso di accertamento IVA, stampato su carta, che in calce riporta solo il nominativo “Dott. X, Direttore dell’Ufficio” senza firma a penna, ma con la dicitura: “Documento firmato digitalmente”. La Srl impugna l’atto lamentando che manca la sottoscrizione autografa e che la firma digitale non è stata allegata (in pratica quel foglio non prova la firma). In giudizio di primo grado, l’Agenzia produce l’originale informatico dell’avviso e l’attestazione di conformità che effettivamente era stata predisposta (era sul retro della pagina, che la Srl non aveva visto). Si dimostra così che il documento era stato firmato digitalmente dal Direttore e che la copia cartacea recapitata era correttamente attestata conforme dal messo notificatore (c’era un timbro con firma del messo e la frase di conformità, che però la Srl afferma di non aver notato). La Commissione respinge il ricorso della Srl Alfa: ritiene che l’avviso è validamente sottoscritto digitalmente e che l’attestazione di conformità soddisfa l’art. 23 CAD, quindi non c’è difetto di firma . La Srl Alfa si vede costretta a pagare l’imposta (salvo altri motivi di merito che nel frattempo aveva contestato e perso).
Lezioni apprese: La firma digitale ha piena validità, e l’ente che segue la procedura (attestazione su copia analogica) mette al riparo l’atto da nullità . Il contribuente che eccepisce “manca firma perché non vedo quella a penna” viene smentito quando l’ente esibisce i documenti giusti. Quindi, prima di contestare, meglio verificare bene se magari sul documento c’era un’attestazione o chiedere all’ente chiarimenti. In questo caso la Srl ha dovuto anche pagare le spese di lite per aver sollevato una questione infondata (dal punto di vista del giudice).
Caso 3: Cartella di pagamento notificata via PEC come PDF senza firma digitale – vizio della notifica
Il Sig. Rossi scopre tramite un estratto di ruolo di avere una cartella di pagamento emessa due anni prima, mai vista perché notificata alla PEC errata. Riesce a ottenere, su richiesta, copia della cartella: è un file PDF semplice, che nell’ultima pagina non presenta né firma digitale né firma autografa (solo il nome dell’Agente della riscossione e un codice a barre). Il Sig. Rossi impugna la cartella (o meglio l’estratto) per eccepire la nullità della notifica via PEC, sostenendo che la cartella inviata in PDF privo di firma digitale e senza attestazione di conformità non costituisce una notificazione valida . La Commissione Tributaria, in primo grado, accoglie il ricorso: dichiara la notifica inesistente e annulla di conseguenza la cartella (ancorché rileva che l’atto in sé sarebbe valido, ma la notifica non ha raggiunto lo scopo) . L’Agente della riscossione appella, forte di una recente Cassazione (12997/2025) uscita poco prima: la CTR in appello riforma la decisione, ritenendo invece sanata la notifica in quanto Rossi ha comunque avuto conoscenza dell’atto (sia pur via estratto) e soprattutto affermando, sulla scorta di Cassazione, che la cartella non richiede firma e l’invio PEC da casella ufficiale rende l’atto riferibile all’Agente . Dunque la CTR dichiara la cartella valida ed esigibile. Il Sig. Rossi si trova ora con un debito confermato e deve pagare, oltre alle spese.
Lezioni apprese: Qui vediamo l’evoluzione giurisprudenziale: qualche anno fa molti ricorsi come quello di Rossi erano accolti (invalidando notifiche PEC senza firma digitale) . Oggi, con l’orientamento 2025, il vento è cambiato: per le cartelle i giudici tendono a non annullare più in questi casi, ritenendo sufficiente la provenienza dell’atto e non essenziale la sottoscrizione . In generale, contestare la cartella per vizio di notifica PEC rimane possibile se la PEC era sbagliata o la cartella allegata non era proprio leggibile; ma il mero fatto che fosse un PDF non firmato digitalmente non basta più come un tempo, alla luce delle nuove pronunce. Il contribuente deve adeguare la sua strategia e magari concentrarsi su altri vizi (es. prescrizione, difetto notifica originaria del titolo, ecc.).
Caso 4: Avviso di addebito INPS firmato da funzionario non dirigente
Una società riceve da INPS un avviso di addebito per contributi non versati, firmato digitalmente da Mario B., che però non è il direttore di filiale INPS ma un funzionario. La società impugna l’atto davanti al Tribunale del Lavoro, eccependo che la firma non proviene dal responsabile dell’ufficio come richiesto dalla legge, e che l’INPS non ha documentato alcuna delega a favore di Mario B. Il Tribunale verifica che in effetti l’INPS non produce un formale atto di delega; inoltre risulta che Mario B. è un funzionario di area non dirigenziale. Pertanto il giudice accoglie l’opposizione e dichiara nullo l’avviso di addebito per difetto di sottoscrizione valida, richiamando in motivazione l’art. 30 co.2 DL 78/2010 e analogicamente l’art. 42 DPR 600/73. L’INPS è condannata alle spese e dovrà eventualmente riemettere l’atto (se ancora in termini, altrimenti perderà il credito).
Lezioni apprese: Anche se il contenzioso era in sede diversa (ordinaria), i principi sulla necessità di firma del responsabile/direttore valgono. L’INPS avrebbe dovuto far firmare il direttore oppure produrre delega; non l’ha fatto, quindi l’atto è stato annullato. Ciò conferma al contribuente che pure con enti diversi (INPS) può far valere questi vizi e che i giudici (qui del lavoro) accolgono simili ragioni, uniformandosi ai principi generali di validità degli atti amministrativi.
Caso 5: Concessionario locale – firma a stampa sugli avvisi
Un contribuente riceve da una società concessionaria del Comune un avviso di accertamento TARI per omesso versamento. L’atto è generato automaticamente e riporta in calce: “Firma a stampa ai sensi dell’art.1 c.87 L.549/95 – Dr. Z (responsabile concess.) – Determina Comune n.10/2020”. Il contribuente, ritenendo manchi la firma “vera”, impugna l’atto. In giudizio, però, la Commissione respinge il ricorso: ritiene la sottoscrizione regolare perché il concessionario ha utilizzato la firma a stampa in conformità alla norma, come attestato dalla citata determina comunale . La Commissione cita Cass. 9627/2012 e Cass. 31707/2018 a supporto . L’atto viene dunque considerato valido e il contribuente soccombe nel merito se non aveva altre ragioni.
Lezioni: Non tutti i “firme non autografe” significano irregolarità. Se c’è un fondamento normativo (firma a stampa autorizzata), il contribuente non ottiene l’annullamento. Occorre distinguere bene quando la firma è davvero mancante/abusiva e quando invece è apposta con modalità alternative lecite. In questo caso la presenza della dicitura con norma ed estremi dell’atto autorizzativo dovrebbe già segnalare al contribuente che la firma a stampa è valida . Impugnare solo su quel punto è stato controproducente (pagherà spese, ecc.). Quindi, saper riconoscere una firma a stampa legittima è importante: di solito l’atto lo dichiara esplicitamente, come qui.
Conclusioni
Abbiamo visto in modo approfondito come la validità di un atto impositivo dipenda anche (e in certi casi soprattutto) dalla regolarità formale della sua sottoscrizione. Dal punto di vista del debitore contribuente, conoscere questi aspetti è fondamentale per far valere i propri diritti: un vizio di forma come l’assenza di firma autorizzata può essere lo strumento risolutivo per annullare una pretesa fiscale altrimenti fondata nel merito.
Riassumendo i punti chiave della guida:
- La legislazione italiana impone che gli avvisi di accertamento e atti similari siano firmati dal dirigente competente o da un suo delegato, pena la nullità dell’atto . Ciò vale per gli atti dell’Agenzia delle Entrate (art.42 DPR 600/73) e per altri enti in termini analoghi (Comuni, INPS, ecc.). Fanno eccezione le cartelle di pagamento, per le quali la firma non è richiesta dal modello legale .
- La delega di firma è ammessa per ragioni organizzative, ma deve essere conferita formalmente e rispettare i requisiti: provenire dal capo ufficio, indicare almeno il ruolo del delegato, poter essere esibita in giudizio e contenere eventuali limiti di oggetto o valore . Il possesso di una qualifica alta non equivale automaticamente ad avere potere di firma: una delega specifica è sempre necessaria (salvo casi di reggenza) .
- In caso di contestazione in giudizio, spetta all’ente creditore provare che l’atto è stato sottoscritto regolarmente (ad esempio esibendo la delega) . Se non ci riesce, il giudice annullerà l’atto senza entrare nel merito delle somme (vizio assorbente).
- La transizione al digitale non elimina l’obbligo di firma, ma ne cambia le modalità: la firma digitale del dirigente/delegato è pienamente valida . Bisogna però garantire che il destinatario ne abbia evidenza: per questo le copie analogiche richiedono attestazioni di conformità , e le notifiche via PEC dovrebbero allegare documenti firmati digitalmente o comunque attestati. La giurisprudenza più recente cerca di bilanciare formalità e sostanza nelle notifiche telematiche, evitando annullamenti solo “formali” soprattutto per le cartelle . Resta tuttavia consigliabile per l’ente seguire pedissequamente le regole del CAD per non offrire il fianco a eccezioni.
- Gli atti di altri enti (Comuni, enti previdenziali) devono anch’essi essere sottoscritti dai rispettivi responsabili. Abbiamo visto come i Comuni possano utilizzare la firma a stampa previo provvedimento autorizzativo ; l’INPS deve far firmare i propri avvisi dai dirigenti (o delegare). In caso contrario, valgono le stesse sanzioni di nullità: in molti casi i giudici locali e del lavoro hanno esteso i principi dell’art.42 DPR 600/73 per analogia a queste situazioni.
- Dal punto di vista del contribuente (debitore), in sede di difesa conviene:
- Esaminare con attenzione l’atto ricevuto: identificare chi lo firma, con che qualifica e se c’è menzione di deleghe o normative (ad esempio “firmato digitalmente”, “firma a stampa ai sensi di…”, ecc.).
- Se vi sono dubbi sulla legittimità della firma, sollevare l’eccezione già nel ricorso introduttivo, chiedendo espressamente la prova della delega o della regolarità della sottoscrizione.
- Contestare anche eventuali vizi nella notifica telematica collegati alla firma (mancanza di firma digitale sull’allegato, mancanza attestazione), sapendo però che su questi la giurisprudenza non è più sempre favorevole come in passato.
- Nei ricorsi, citare la giurisprudenza di Cassazione pertinente , per rafforzare la legittimità della pretesa di nullità.
- Non aspettare: impugnare l’atto nei termini, perché confidare di far valere la nullità dopo la scadenza è un terreno incerto.
- In caso di vittoria, richiedere sempre le spese legali (il vizio è imputabile all’ente che ha sbagliato, quindi le spese di norma gli vengono accollate).
- Mantenere comunque comportamenti di buona fede: se l’ente produce la delega ed è valida, valutare di desistere sul punto per concentrarsi magari su altri motivi di merito, onde evitare di perdere credibilità davanti al giudice.
- Abbiamo anche considerato un profilo sanzionatorio: sebbene raramente applicato, il fatto di firmare atti senza potere può configurare reati di falso in atto pubblico. Ciò a testimonianza che non si tratta di formalità banali, ma di elementi a tutela della legalità dell’azione amministrativa. Per il contribuente vittorioso, sapere che certe condotte potrebbero essere illegali rafforza la percezione di aver subito un torto che andava riparato.
In definitiva, la domanda da cui eravamo partiti – “Un avviso di accertamento senza firma valida o delega: è nullo?” – trova una risposta chiara: Sì, nella generalità dei casi un atto impositivo privo di firma autorizzata è nullo, e i giudici tributari (così come quelli ordinari nei casi analoghi) tendono ad annullarlo su eccezione del contribuente, conformemente alle norme e alla giurisprudenza consolidata .
Questa nullità è uno strumento di garanzia: garantisce che ogni atto impositivo sia imputabile a un funzionario responsabile e competente. Dal lato pratico, consente di eliminare atti potenzialmente anche corretti nel merito ma viziati in origine – obbligando l’Amministrazione a operare con rigore formale, nell’interesse di tutti (pubblica amministrazione e cittadini contribuenti). Con l’avanzare della digitalizzazione, i principi restano gli stessi ma vanno applicati ai nuovi mezzi: la sfida attuale è conciliare l’efficienza delle notifiche telematiche con il rispetto delle regole di firma e conformità, sfida su cui la giurisprudenza sta ancora lavorando per trovare il giusto equilibrio.
In ogni caso, “tutto quello che devi sapere” sul tema lo possiamo condensare in un consiglio finale: controlla sempre la firma sugli atti che ricevi. Se qualcosa non torna – firma illeggibile, nome diverso, peculiare mancanza – approfondisci, chiedi, informa il tuo consulente o professionista. Potrebbe essere la chiave per risparmiare somme importanti evitando di pagare atti nulli.
E ricorda: la forma è sostanza, soprattutto quando si parla del potere della Pubblica Amministrazione verso i cittadini. Una firma mancante non è un cavillo, è una garanzia. Farla valere significa far rispettare lo Stato di diritto anche nell’ambito del fisco.
Fonti e riferimenti normativi e giurisprudenziali (aggiornate a ottobre 2025)
Normativa: – D.P.R. 29 settembre 1973, n.600, art. 42: Avvisi di accertamento in materia di imposte sui redditi. Stabilisce l’obbligo di sottoscrizione del capo ufficio o funzionario da lui delegato, a pena di nullità . – D.P.R. 26 ottobre 1972, n.633, art. 56: Accertamento IVA. Richiama per la firma le modalità degli accertamenti imposte dirette, quindi art.42 DPR 600/73 (nullità se manca firma delegata) . – D.Lgs. 30 giugno 1994, n.504, art.11 (vecchio) & Normativa IMU/TARI: disposizioni che nei tributi locali recepiscono obbligo firma funzionario responsabile (es. art.1 c.162 L.296/2006) . – Legge 27 dicembre 2006, n.296, art.1, c.161-163: introduce l’accertamento esecutivo per tributi locali. In particolare il c.162 prevede che l’avviso sia sottoscritto dal Funzionario responsabile del tributo . – D.P.R. 29 settembre 1973, n.602, art.25: Cartella di pagamento. Definisce contenuto e modello della cartella, approvato con decreto ministeriale (DM 321/1999); non richiede sottoscrizione autografa dell’esattore . – R.D. 14 aprile 1910, n.639: Testo Unico sulle Ingiunzioni fiscali. Disciplina l’ingiunzione di pagamento (riscossione enti locali). Richiede la firma dell’ufficiale che la emette (oggi interpretato come funzionario dirigente ente o concessionario autorizzato). – D.L. 31 maggio 2010, n.78, art.30 (conv. L.122/2010): Potenziamento riscossione INPS. I commi 1-2 introducono l’avviso di addebito INPS come titolo esecutivo dal 2011. Comma 2: elenca contenuto a pena di nullità e dispone che “l’avviso deve essere sottoscritto, anche con firma elettronica, dal responsabile dell’ufficio che ha emesso l’atto” . – Codice dell’Amministrazione Digitale (D.Lgs. 82/2005): artt. 20-23. Rilevante l’art.23: equiparazione copie analogiche di documenti informatici, se con attestazione di conformità ; art.22: copie informatiche di originali analogici; art.24: firma digitale e valore legale. – Legge 18 febbraio 1999, n.28 & DM 17/2000: normative su utilizzo firma digitale nelle PA, precursori del CAD. – Legge 28 dicembre 1995, n.549, art.3, c.87: consente a Regioni ed enti locali di adottare sistemi informatici per atti, con firma a stampa del responsabile, con indicazione fonte normativa. Norma speciale citata da Cassazione come base per firme meccanografiche valide . – Legge 7 agosto 1990, n.241, art.21-septies: nullità provvedimenti amministrativi per difetto assoluto di attribuzione o mancanza elementi essenziali. (Principio generale applicabile se manchi sottoscrizione come elemento essenziale). – Legge 24 novembre 2021, n. 159 (di conversione del DL 127/2021): ha modificato in parte l’abuso d’ufficio; poi la Legge 14 luglio 2023, n. 103 ha praticamente abrogato l’art.323 c.p. (rilevante perché citata nella guida circa profili penali) . – Delibera Comitato di Gestione AdE n.11 del 21/3/2011: (organizzazione AdE post-sentenza Corte Cost. 37/2015) – indica che solo dirigenti possono essere capi uffici, etc. (riferita in dottrina e sentenze su “dirigenti illegittimi”) . – Statuto Agenzia Entrate (Delibera 13/12/2000 n.6, art.6 lett.d): prevede nomina dirigenti e delega DG, ma con qualifica dirigenziale del delegato (tema discusso in Cass. 220/2014) .
Giurisprudenza:
- Corte Costituzionale n.37/2015: dichiarò illegittime norme su incarichi dirigenziali in Agenzia Entrate (art.8 c.24 DL16/2012), generando questione atti firmati da “dirigenti illegittimi”. (Conferma esigenza qualifica dirigenziale per capi ufficio) .
- Cass. SS.UU. 17/11/2010 n.11722: (sullo Statuto contribuente art.7) – afferma che omissione indicazione responsabile procedimento non comporta nullità dell’atto tributario (indirizzo poi normativizzato).
- Cass. SS.UU. 26/07/2004 n.13916: in materia di nullità atti amministrativi e rilevabilità (citata in dottrina per differenze nullità-annullabilità).
- Cass. Sez. Trib. 10/11/2000 n.14626: l’avviso è nullo se firmato da funzionario non delegato; possesso qualifica non basta .
- Cass. Sez. Trib. 27/10/2000 n.14195: sullo stesso solco di 14626/2000 (spesso citata insieme).
- Cass. Sez. Trib. 06/06/2002 n.8166: specifica su sostituzione reggenza (consentito in casi eccezionali, vedi DPR 266/87) .
- Cass. Sez. Trib. 10/07/2013 n.17044: distingue vizi di firma (nullità avviso) da difetto legitimatio processuale (che attiene art.11 D.Lgs.546/92) .
- Cass. Sez. Trib. 09/01/2014 n.220: esamina deleghe in AdE: ammette delega interna, ma dice che provenienza atto si presume valida finché non provato contrario (es. firma illeggibile si presume ok) .
- Cass. Sez. Trib. 30/04/2015 n.9079: (citata in Cass. 16846/2024) – afferma che norma L.549/95 c.87 su firma a stampa è speciale e non abrogata, consente firma nome stampato su avvisi cartacei per PA, come nel 1995, quindi atto valido .
- Cass. Sez. VI-5 ord. 14/02/2017 n.555/2017: conferma nullità avviso se non firmato da capo ufficio o delegato (massima in Riv. dir. trib. 2017).
- Cass. Sez. Trib. 13/06/2018 n.15442: sulla validità notifiche PEC atti tributari digitali (riconosce che non serve link univoco tra documento e notifica PEC).
- Cass. Sez. Trib. 05/10/2020 n.21328: notifica PEC cartella in PDF senza firma digitale è nulla se manca attestazione conformità (poi superata da Cass.2025).
- Cass. Sez. Trib. 25/11/2020 n.26831: su differenza inesistenza/nullità notifica via PEC (se manca allegato firma, etc., tendeva a nullità sanabile se conoscenza).
- Cass. Sez. Trib. 11/08/2022 n.24681: (già citata) avviso “firmato digitalmente” ma senza attestazione – nullo .
- Cass. Sez. Trib. 15/07/2022 n.22184: notifica cartella via PEC valida allegando PDF con attestazione: legittimo (conforme orient. Cass. 2020).
- Cass. Sez. VI ord. 02/02/2021 n.2329: delega firma non nominativa va bene, nullità se delega manca .
- Cass. Sez. Trib. 21/10/2022 n.31160: conferma corretto onere disconoscimento e valore relata notifica firmata postino; ribadisce su deleghe vicinanza prova, etc. (non directly on delega).
- Cass. Sez. Trib. 19/04/2019 n.11013: (ordinanza, contenuto in StudioCerbone) – delega firma natura e oneri prova .
- Cass. Sez. Trib. 29/03/2019 n.8814: (citata in Cass.2025) – delega firma non richiede nome né durata; sufficiente qualifica .
- Cass. Sez. Trib. 17/03/2016 n.5360: delega firma onere prova PA (citata StudioGinex) .
- Cass. Sez. Trib. 02/12/2015 n.24492: vicinanza prova (già citata).
- Cass. Sez. Trib. 16/11/2016 n.23281: su documenti in appello: delega può essere prodotta in appello (non vizio nuovo).
- Cass. Sez. Trib. 19/12/2018 n.32721: su firma digitale atti impos. – legittima anche pre-2018 (simile concetti Cass.2024).
- Cass. Sez. Trib. 14/12/2023 n.35072: – reitera delega art.42 natura firma e oneri (stesso principio Cass.2019).
Hai ricevuto un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate e hai notato che manca la firma del funzionario o è firmato da un soggetto diverso dal direttore dell’ufficio? Fatti Aiutare da Studio Monardo
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👉 Potresti avere in mano un atto nullo, impugnabile davanti al giudice tributario.
In questa guida ti spiego quando un avviso di accertamento senza firma o senza delega è illegittimo, quali sono le sentenze più importanti della Cassazione e come difenderti subito per ottenere l’annullamento dell’atto.
💥 Cos’è la Firma Negli Atti di Accertamento
La firma di chi emette un avviso di accertamento è un elemento essenziale di validità dell’atto amministrativo.
Serve a garantire che:
- l’atto provenga da un funzionario legittimato;
- vi sia assunzione di responsabilità sul contenuto dell’accertamento;
- il contribuente possa verificare chi ha emesso e sottoscritto il provvedimento.
📌 Senza firma o senza delega valida, l’avviso è viziato per difetto di sottoscrizione e può essere dichiarato nullo.
⚖️ Cosa Dice la Legge
L’art. 42 del D.P.R. 600/1973 (per le imposte dirette) e l’art. 56 del D.P.R. 633/1972 (per l’IVA) stabiliscono che:
“Gli avvisi di accertamento devono essere sottoscritti dal capo dell’ufficio o da un funzionario da lui delegato”.
Ciò significa che:
- la firma è obbligatoria;
- può firmare solo il direttore dell’ufficio o un funzionario formalmente delegato;
- la delega deve essere esistente, valida e antecedente alla firma dell’atto.
📌 Se manca la delega o non è provata, l’atto è nullo per carenza di potere.
💠 Quando l’Avviso È Nullo per Mancanza di Firma o Delega
Un avviso di accertamento è nullo nei seguenti casi:
- ❌ Nessuna firma in calce all’atto;
- ✖️ Firma illeggibile o non riconducibile a un soggetto identificabile;
- ⚠️ Firma apposta da un funzionario non delegato o con delega generica;
- 📄 Delega non esibita o inesistente agli atti del procedimento;
- 📅 Delega rilasciata dopo l’emissione dell’avviso.
📌 In tutti questi casi, l’accertamento non è valido perché privo di un elemento essenziale: la competenza del soggetto firmatario.
📚 Le Sentenze della Cassazione Più Importanti
La Corte di Cassazione ha ribadito più volte che:
- la mancanza della firma del funzionario competente rende l’atto inesistente o nullo (Cass. 22803/2015; Cass. 13126/2020);
- l’Agenzia delle Entrate deve provare l’esistenza della delega se il contribuente la contesta (Cass. 22810/2015; Cass. 2184/2021);
- la delega non può essere generica, ma deve indicare nomi e funzioni specifiche (Cass. 29162/2023).
📌 Queste pronunce consolidano il principio che la firma e la delega sono requisiti sostanziali, non semplici formalità.
⚠️ Le Conseguenze di un’Irregolarità nella Firma
Se l’avviso di accertamento è privo di firma valida o delega:
- 💰 il recupero delle imposte (IVA, IRPEF, IRES, IRAP) è illegittimo;
- ⚖️ il contribuente può impugnare l’atto per nullità assoluta;
- 🧾 l’atto è annullabile anche se il contenuto è corretto;
- 🕒 la nullità può essere rilevata d’ufficio in qualsiasi fase del giudizio.
📌 È un vizio formale ma di gravità sostanziale, perché incide sulla validità stessa dell’atto amministrativo.
🧩 Le Strategie di Difesa Possibili
1️⃣ Contestare la Sottoscrizione
Puoi eccepire che l’atto non è firmato o che la firma non è riconducibile a un soggetto legittimato.
📌 È sufficiente allegare copia dell’avviso e chiedere al giudice di verificare l’autenticità o la presenza della firma.
2️⃣ Richiedere la Prova della Delega
Se l’avviso è firmato da un funzionario diverso dal direttore, puoi chiedere che l’Agenzia esibisca la delega formale.
Se non viene prodotta, l’atto è nullo per carenza di potere.
3️⃣ Impugnare l’Avviso per Nullità
Il ricorso va presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto alla Corte di Giustizia Tributaria competente.
Puoi chiedere:
- la sospensione immediata dell’esecutività;
- l’annullamento integrale dell’avviso;
- la condanna alle spese dell’Agenzia per illegittimità dell’atto.
📌 Nei casi più chiari, il giudice può sospendere l’atto entro 48 ore.
🧾 I Documenti da Consegnare all’Avvocato
- Copia integrale dell’avviso di accertamento ricevuto;
- Busta o ricevuta di notifica;
- Eventuali comunicazioni o verbali di verifica;
- Atti precedenti collegati all’accertamento;
- Eventuali richieste o risposte dell’Agenzia delle Entrate.
📌 Questi documenti permettono di verificare la presenza o meno della firma e della delega, elementi centrali per l’impugnazione.
⏱️ Tempi della Procedura
- Ricorso: entro 60 giorni dalla notifica.
- Istanza di sospensione: decisione possibile in 48 ore.
- Udienza di merito: in 6–12 mesi circa.
📌 Durante la sospensione cautelare, l’Agenzia non può riscuotere né procedere esecutivamente.
⚖️ I Vantaggi di una Difesa Legale Specializzata
✅ Annullamento dell’accertamento per vizio formale grave.
✅ Blocco immediato della riscossione.
✅ Tutela del diritto di difesa e della legalità dell’azione amministrativa.
✅ Recupero delle somme già versate in base all’atto nullo.
✅ Assistenza completa fino alla chiusura del contenzioso.
🚫 Errori da Evitare
❌ Ignorare l’assenza della firma pensando sia un dettaglio.
❌ Non richiedere la prova della delega in giudizio.
❌ Presentare ricorsi generici senza eccepire il vizio formale.
❌ Agire tardi: dopo 60 giorni, l’atto diventa definitivo.
📌 Anche un piccolo vizio di firma può azzerare un intero accertamento, ma solo se viene eccepito tempestivamente.
🛡️ Come Può Aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Verifica la legittimità della firma e della delega del funzionario.
📌 Ti assiste nel ricorso per nullità e nella richiesta di sospensione urgente.
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⚖️ Ti rappresenta davanti alla Corte di Giustizia Tributaria e, se necessario, in Cassazione.
🔁 Ti segue fino all’annullamento definitivo dell’atto o alla chiusura della controversia.
🎓 Le Qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato cassazionista esperto in diritto tributario e contenzioso fiscale.
✔️ Specializzato in difesa contro avvisi di accertamento nulli per mancanza di firma o delega.
✔️ Gestore della crisi da sovraindebitamento, iscritto presso il Ministero della Giustizia.
✔️ Esperienza pluriennale nella tutela di imprese e contribuenti contro l’Agenzia delle Entrate.
Conclusione
Un avviso di accertamento senza firma valida o senza delega è un atto nullo per difetto di legittimazione, e può essere annullato in sede tributaria.
Con un’adeguata difesa legale puoi bloccare la riscossione, far dichiarare nullo l’atto e tutelare i tuoi diritti fiscali.
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