Hai ricevuto un avviso di accertamento per relationem dall’Agenzia delle Entrate o dalla Guardia di Finanza? Si tratta di un atto con cui il Fisco ti contesta maggiori imposte (IVA, IRPEF, IRES o IRAP) basandosi su documenti, verbali o atti esterni – spesso redatti da altri uffici o organi di controllo – senza riprodurne integralmente il contenuto.
Questo tipo di accertamento è frequente, ma anche altamente impugnabile, perché l’Agenzia deve rispettare precisi requisiti di motivazione e di allegazione. Se questi mancano, l’atto è nullo per difetto di motivazione.
Cos’è un avviso di accertamento per relationem
Un avviso di accertamento per relationem è un provvedimento con cui l’Agenzia delle Entrate motiva la pretesa fiscale “per riferimento” (relatio) a un altro atto o documento, come:
- un Processo Verbale di Constatazione (PVC) redatto dalla Guardia di Finanza;
- un verbale ispettivo di altro ufficio dell’Agenzia;
- un atto di accertamento verso un soggetto collegato (fornitore, cliente, società partecipata);
- una comunicazione dell’INPS o di altri enti pubblici.
In pratica, l’Agenzia non riscrive il contenuto delle verifiche, ma si limita a richiamarle, rinviando a un atto esterno che deve essere conosciuto o conoscibile dal contribuente.
Quando l’avviso per relationem è legittimo
L’avviso di accertamento per relationem è legittimo solo se rispetta rigidi requisiti di motivazione stabiliti dall’art. 42 del DPR 600/1973 e dall’art. 56 del DPR 633/1972 (per l’IVA).
È valido, quindi, solo quando:
- l’atto richiamato (PVC o documento) è stato notificato o consegnato al contribuente;
- la relazione tra il documento richiamato e la pretesa fiscale è chiara e logicamente comprensibile;
- l’Agenzia non si limita a un richiamo generico, ma spiega in che modo il contenuto dell’atto esterno incide sulla determinazione del reddito o dell’imposta.
Se anche uno solo di questi elementi manca, l’avviso può essere annullato per difetto di motivazione.
Quando l’avviso per relationem è illegittimo
La Corte di Cassazione ha più volte affermato che l’avviso è nullo se non permette al contribuente di comprendere “con precisione la pretesa impositiva e le sue ragioni”.
È quindi illegittimo quando:
- l’atto richiamato non è stato allegato né notificato;
- il richiamo è generico o incompleto (“si rinvia al verbale della Guardia di Finanza” senza ulteriori dettagli);
- l’avviso non spiega i calcoli fiscali o la ricostruzione del reddito;
- il contenuto del PVC o dell’atto esterno non è conoscibile dal contribuente;
- manca una motivazione autonoma da parte dell’Agenzia (copia-incolla non motivati o meri rinvii).
In questi casi, l’atto non rispetta l’obbligo di motivazione e può essere impugnato davanti alla Corte di Giustizia Tributaria per violazione del diritto di difesa.
Cosa contiene un avviso di accertamento per relationem
Generalmente, l’atto riporta:
- la base imponibile accertata e le imposte richieste;
- il riferimento al documento richiamato (es. PVC o verbale GdF);
- la motivazione “per relationem”, cioè la spiegazione che la pretesa deriva dall’altro atto;
- la firma del funzionario competente e l’indicazione dei termini per il ricorso (60 giorni).
L’avvocato deve verificare se il contenuto dell’atto è sufficiente per garantire una piena comprensione della pretesa tributaria.
Come difendersi da un avviso di accertamento per relationem
Un avvocato esperto in contenzioso tributario può predisporre una difesa tecnica efficace, articolata su più piani:
- Verifica della motivazione: se l’Agenzia ha omesso di allegare o notificare l’atto richiamato, l’avviso è nullo.
- Contestazione dei vizi procedurali: mancata notifica del PVC, errata sottoscrizione, carenza di potere dell’ufficio.
- Analisi del contenuto del PVC o dell’atto esterno: se l’Agenzia ha travisato i dati o le conclusioni, la pretesa è infondata.
- Violazione del contraddittorio: se il contribuente non è stato invitato a fornire chiarimenti prima dell’emissione dell’avviso, la procedura è nulla.
- Richiesta di sospensione della riscossione: per bloccare eventuali cartelle o azioni esecutive derivanti dall’accertamento.
Le strategie difensive più efficaci
Un avvocato tributario esperto può adottare una o più delle seguenti strategie:
- Eccepire la nullità dell’avviso per mancanza o insufficienza di motivazione (“l’atto è incomprensibile o privo di allegati essenziali”).
- Dimostrare l’inattendibilità dell’atto richiamato (errori nei calcoli, presunzioni infondate, rilievi generici).
- Contestare la mancata allegazione del PVC o di altri documenti utilizzati per la rettifica.
- Invocare la giurisprudenza della Cassazione in materia di obbligo di motivazione e diritto alla piena conoscenza dell’atto.
- Richiedere la sospensione cautelare dell’efficacia dell’avviso per evitare la riscossione immediata.
Come scegliere l’avvocato giusto per difendersi
Affrontare un accertamento per relationem richiede competenze giuridiche e tecniche avanzate. Ecco cosa valutare nella scelta del professionista:
- Specializzazione in diritto tributario e contenzioso fiscale;
- Esperienza documentata in casi di avvisi per relationem e accertamenti basati su PVC;
- Collaborazione con commercialisti e revisori, per analizzare correttamente i dati contabili e le presunzioni fiscali;
- Aggiornamento costante sulla giurisprudenza tributaria, in particolare sulle sentenze della Corte di Cassazione;
- Capacità di redazione tecnica, indispensabile per impostare un ricorso fondato su motivi di diritto.
Cosa succede se non ti difendi
Ignorare un avviso di accertamento per relationem o rispondere senza un legale può portare a:
- iscrizione a ruolo del debito e cartelle esattoriali esecutive;
- pignoramenti o fermi amministrativi;
- sanzioni e interessi elevati;
- decadenza dai termini per il ricorso (60 giorni) e perdita del diritto di difesa.
Un’azione tempestiva, invece, consente di bloccare la riscossione e far annullare l’atto viziato per carenza di motivazione.
Quando rivolgersi a un avvocato esperto
Devi contattare un avvocato se:
- hai ricevuto un avviso di accertamento che rinvia a un PVC o a un atto esterno;
- l’Agenzia non ti ha allegato o notificato il documento richiamato;
- vuoi presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria e sospendere la riscossione;
- desideri verificare la legittimità della procedura.
Un avvocato esperto in diritto tributario e accertamenti fiscali può:
- impugnare l’avviso per difetto di motivazione o vizi procedurali;
- ottenere la sospensione cautelare dell’atto;
- ridurre o annullare la pretesa fiscale;
- difenderti davanti ai giudici tributari o, se necessario, in Cassazione.
⚠️ Attenzione: un avviso di accertamento per relationem può sembrare formalmente corretto, ma se non rispetta i requisiti di legge è nullo e impugnabile. Con l’assistenza di un avvocato tributario esperto puoi bloccare la riscossione, contestare le presunzioni e far valere i tuoi diritti.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, contenzioso fiscale e difesa contro gli avvisi di accertamento – spiega come funziona un accertamento per relationem, quando è illegittimo e quali strategie legali adottare per annullarlo.
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Introduzione
L’avviso di accertamento è l’atto con cui l’Amministrazione finanziaria contesta al contribuente maggiori imposte, indicando gli elementi di fatto e le ragioni giuridiche alla base della pretesa fiscale. In base alla legge italiana, ogni avviso deve essere motivato in modo chiaro e completo, affinché il destinatario possa capire su quali presupposti si fonda la richiesta del Fisco e possa esercitare il proprio diritto di difesa . Tra le varie modalità di motivazione vi è la motivazione “per relationem”, ovvero mediante richiamo ad altri atti o documenti esterni. In questa guida analizziamo in dettaglio cosa significa un avviso di accertamento motivato per relationem, quando è legittimo e quando invece può essere considerato viziato, nonché quali strategie difensive e procedure di impugnazione sono a disposizione del contribuente (il “debitore” fiscale) per tutelarsi. Il tutto è aggiornato a ottobre 2025, tenendo conto sia delle più recenti sentenze della Corte di Cassazione, sia delle novità normative (come la riforma dello Statuto del Contribuente in vigore dal 2024) che hanno inciso su questi aspetti. Il taglio dell’esposizione è avanzato – adatto a professionisti legali, imprenditori e contribuenti evoluti – ma con un linguaggio chiaro e divulgativo. Troverete anche tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione di Domande e Risposte per facilitare la comprensione dei punti chiave, il tutto dal punto di vista di chi riceve l’atto e deve valutare come reagire.
Cos’è un avviso di accertamento per relationem
Un avviso di accertamento è detto “per relationem” quando la sua motivazione rinvia, in tutto o in parte, al contenuto di altri documenti o atti invece di riportare integralmente la spiegazione all’interno dell’atto stesso. In pratica, l’Ufficio fiscale motiva la rettifica dei redditi o dell’imposta richiamando un altro atto – ad esempio un processo verbale di constatazione (PVC) della Guardia di Finanza, una perizia tecnica, un verbale d’ispezione o altri accertamenti – che contiene gli elementi fattuali su cui si basa la pretesa tributaria.
Questa tecnica di motivazione “per relazione” è abbastanza comune nella prassi . Ad esempio, se una società è stata sottoposta ad una verifica fiscale e i verificatori hanno redatto un PVC dettagliato con tutte le violazioni riscontrate, l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate spesso fa riferimento al PVC stesso invece di riscriverne interamente il contenuto. Analogamente, in caso di accertamenti a tavolino basati su documentazione di terzi (come fatture emesse da altri soggetti, o indagini bancarie su conti di familiari), l’Ufficio può motivare l’avviso richiamando quelle risultanze esterne.
Perché si ricorre alla motivazione per relationem? Da un lato, per snellire l’atto impositivo: evita di duplicare documenti già esistenti e noti, riducendo la lunghezza dell’avviso. Dall’altro, consente all’ente impositore di fare economia di scrittura, incorporando per riferimento analisi tecniche o elementi complessi già fissati altrove . Tuttavia, il ricorso alla motivazione esterna deve rispettare precisi limiti giuridici, posti a garanzia del contribuente. La legge impone infatti che la motivazione dell’atto tributario sia sufficiente e chiara; il rinvio ad altri atti è ammesso solo se il contribuente ha comunque la possibilità di conoscere agevolmente il contenuto di tali atti e le ragioni della pretesa fiscale sin dall’origine.
In altre parole, la motivazione per relationem è legittima purché non pregiudichi il diritto del contribuente di sapere cosa gli viene contestato e perché. Diversamente, se l’avviso si limitasse a rimandare a un documento sconosciuto al destinatario, senza ulteriori spiegazioni, il contribuente si troverebbe nell’impossibilità di comprendere gli elementi essenziali della contestazione (“an” e “quantum” della pretesa) e quindi di difendersi adeguatamente. In questi casi, come vedremo, l’atto potrebbe essere considerato annullabile** per difetto di motivazione.
Quadro normativo: obbligo di motivazione e riferimento ad atti esterni
La disciplina italiana prevede espressamente l’obbligo di motivazione degli atti impositivi. I riferimenti fondamentali sono:
- Art. 7, comma 1 dello Statuto dei diritti del contribuente (L. 212/2000): stabilisce che “gli atti dell’amministrazione finanziaria… sono motivati”. Inoltre, dispone che “se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto che non è già stato portato a conoscenza dell’interessato, lo stesso è allegato all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale” . Questa norma è il cardine della motivazione per relationem: in sostanza, l’avviso può rinviare ad un altro documento, ma a pena di illegittimità deve allegarlo (o almeno riportarne gli elementi essenziali) se il contribuente non ne era già a conoscenza. L’obbligo di allegazione mira a garantire la trasparenza e la completezza delle informazioni fornite al contribuente .
- Art. 42 del DPR 600/1973 (accertamento imposte dirette) e Art. 56 del DPR 633/1972 (IVA): prevedono che l’avviso di accertamento debba essere sottoscritto dal capo ufficio (o da funzionario delegato) e motivato indicando i fatti e le ragioni giuridiche. In particolare, l’art. 42, co.2 DPR 600/73 contiene una formula analoga a quella del citato art.7 Statuto: se l’avviso “fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato, salvo che l’atto impositivo ne riproduca il contenuto essenziale” . L’art. 56, co.5 DPR 633/72 sancisce lo stesso principio per gli accertamenti IVA . Dunque, anche nella normativa tributaria speciale vige il divieto di “motivazione al buio”: l’avviso non può limitarsi a citare documenti esterni ignoti senza renderne edotto il destinatario.
- Art. 3 della L. 241/1990 (legge sul procedimento amministrativo): detta la regola generale secondo cui ogni provvedimento amministrativo dev’essere motivato, con l’indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche determinanti. Questa norma generale è stata a lungo un riferimento interpretativo anche per gli atti tributari; lo Statuto del contribuente inizialmente la richiamava. Va notato però che dal 2024 lo Statuto è stato modificato per accentuare la specialità del regime tributario, eliminando il rinvio formale alla L.241/90 e introducendo requisiti motivazionali specifici per gli atti fiscali (come vedremo tra poco) .
Oltre a queste fonti primarie, va menzionato il principio generale (affermato anche in giurisprudenza) secondo cui la motivazione dell’atto tributario deve mettere il contribuente in condizione di “conoscere la pretesa nei suoi elementi essenziali e di contestarla efficacemente” . Un avviso privo di motivazione o con motivazione insufficiente è affetto da illegittimità e può essere annullato dal giudice tributario . In passato la giurisprudenza parlava di nullità ex lege dell’atto privo di motivazione (sanzionando il vizio come insanabile); oggi si preferisce la categoria dell’annullabilità, nel senso che l’atto rimane efficace se non impugnato, ma su ricorso del contribuente viene annullato per violazione dell’obbligo di motivazione . La recente riforma legislativa ha infatti chiarito espressamente che la mancanza di motivazione comporta la “pena di annullabilità” dell’atto .
Novità 2024: maggiore rigore sul dovere di motivazione
Nel quadro normativo va inserita una rilevante novità: con il D.Lgs. 8 novembre 2023 n. 219 (attuativo della riforma della giustizia tributaria) sono state apportate modifiche allo Statuto del contribuente a partire da gennaio 2024. L’art. 7 dello Statuto è stato riscritto in parte, rafforzando gli obblighi di motivazione per gli atti emessi dal 2024 in poi. In particolare :
- Si chiarisce che l’obbligo di motivazione vale per tutti gli atti dell’amministrazione finanziaria autonomamente impugnabili dinanzi alle Corti di giustizia tributaria, “a pena di annullabilità”, e che tali atti devono indicare specificamente i presupposti, i mezzi di prova e le ragioni giuridiche su cui si fonda la decisione (vengono dunque esplicitamente richiesti i “mezzi di prova”, estendendo a tutti gli atti un requisito prima previsto espressamente solo per sanzioni e atti IVA) .
- È stato modificato il passaggio relativo al riferimento ad altri atti: ora la norma dispone che se la motivazione rimanda a un altro atto non già conosciuto dal contribuente, quest’ultimo va allegato, salvo che l’atto impugnato riproduca il contenuto essenziale dell’altro atto e indichi espressamente in motivazione le ragioni per cui i dati e gli elementi di quell’altro atto si ritengono sussistenti e fondati . In sostanza, rispetto al passato, è stato introdotto l’ulteriore onere per l’Ufficio di esplicitare il proprio giudizio sugli elementi tratti dall’atto richiamato: non basta più un rinvio passivo con copia del contenuto, ma bisogna motivare perché quei dati vengono ritenuti attendibili e pertinenti. Si vuole così evitare il rischio di una motivazione meramente “acritica” per relationem, imponendo all’ente impositore di manifestare il proprio vaglio critico sul materiale probatorio esterno.
- È inserito un nuovo comma 1-bis all’art.7, che sancisce il divieto di integrazione postuma della motivazione: “I fatti e i mezzi di prova a fondamento dell’atto non possono essere successivamente modificati, integrati o sostituiti se non attraverso un ulteriore atto…” . Ciò significa che, una volta emesso l’avviso, l’Ufficio non può colmare in giudizio eventuali lacune motivazionali o apportare nuovi elementi di giustificazione se non emettendo (quando possibile nei termini) un nuovo avviso. Questa previsione conferma legislativamente il principio che la motivazione dev’essere completa fin dall’origine e che il processo tributario ha natura impugnatoria (non di cognizione piena come un procedimento amministrativo): il giudice valuta la legittimità dell’atto al momento della sua emissione, senza ammettere correzioni ex post . In passato, qualche pronuncia di Cassazione aveva mostrato apertura verso la cosiddetta “motivazione postuma” – ad esempio ritenendo non invalidante un’integrazione successiva se non ledeva il diritto di difesa – ma tale orientamento è ora superato dalla nuova normativa . Analogamente, viene esclusa l’applicazione in ambito tributario dell’art.21-octies L.241/1990 (sul vizio di motivazione non invalidante in assenza di pregiudizio), essendo stata introdotta una disciplina ad hoc dell’invalidità degli atti tributari .
- Ulteriori commi (1-ter e 1-quater) aggiunti all’art.7 riguardano la chiarezza degli atti della riscossione, imponendo dettagli specifici sul calcolo degli interessi e prevedendo l’obbligo di notifica autonoma ai coobbligati. Queste disposizioni esulano dal tema della motivazione per relationem, ma completano il quadro di un rafforzamento complessivo delle garanzie di trasparenza verso il contribuente.
Implicazione pratica: le novità introdotte dal 2024 rendono ancora più stringente il dovere di motivazione. Un avviso motivato per relationem emesso dopo il 18 gennaio 2024 sarà illegittimo non solo se l’atto richiamato non è conosciuto né allegato, ma anche se – pur riproducendone il contenuto – omette di spiegare perché l’Ufficio considera fondati gli elementi in esso contenuti . Questo aumenta la tutela del contribuente, ponendo l’Amministrazione di fronte a un onere motivazionale più analitico. Nella sostanza, tuttavia, come vedremo, tali previsioni codificano principi che la Cassazione aveva già elaborato negli ultimi anni (ad es. la necessità che l’atto riproduca gli elementi essenziali dell’atto esterno e permetta di individuarne le parti rilevanti ai fini della motivazione ). Dunque la giurisprudenza maturata in materia di motivazione per relationem rimane pienamente attuale e anzi viene recepita nella legge.
Legittimità della motivazione per relationem: condizioni e limiti
Quando un avviso di accertamento è motivato mediante rinvio ad altri atti, la sua legittimità dipende dal rispetto delle condizioni poste dalle norme sopra citate e chiarite dalla giurisprudenza. In linea generale, si può affermare il seguente principio cardine:
Un avviso di accertamento per relationem è legittimo solo se il contribuente era già in condizione di conoscere il contenuto essenziale degli atti richiamati. In caso contrario (documenti esterni sconosciuti e non allegati né riassunti nell’atto), l’avviso risulta carente di motivazione e va considerato illegittimo .
Analizziamo più in dettaglio i requisiti e i limiti della motivazione per relationem, come delineati dalla Corte di Cassazione in numerose sentenze.
Atti già noti al contribuente o contenuto essenziale riprodotto
La prima condizione di legittimità è che l’atto richiamato sia noto al contribuente, oppure che l’avviso ne riproduca il contenuto essenziale. In tali ipotesi, la motivazione per relationem è considerata valida senza necessità di allegare materialmente il documento esterno . Il ragionamento è che se il contribuente ha già piena conoscenza di quel documento (perché, ad esempio, gli è stato precedentemente notificato) oppure se l’avviso stesso ne riporta le parti salienti, il diritto di difesa non è compromesso: il destinatario sa quali sono le ragioni fattuali della rettifica e può contestarle.
La Cassazione ha più volte ribadito questo principio. Ad esempio, con l’ordinanza n. 27835/2025 (Sez. V), la Suprema Corte ha affermato che la validità di un accertamento per relationem “non è compromessa se il contribuente era già a conoscenza dei documenti richiamati” . Nel caso esaminato (accertamento a una S.r.l. basato su PVC della Guardia di Finanza relativo alla stessa società), i giudici hanno chiarito che non vi era alcun elemento “a sorpresa”: il PVC redatto nei confronti della contribuente – contenente, tra l’altro, l’elenco delle fatture non contabilizzate – era stato notificato al legale rappresentante della società durante la verifica, quindi la società conosceva perfettamente i fatti contestati . Di conseguenza, l’avviso che si limitava a richiamare quel PVC (senza allegarlo di nuovo) è stato ritenuto pienamente legittimo. Ciò che conta è che il contribuente sia stato “messo in condizione di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali… e di contestarla efficacemente”, condizione soddisfatta dal fatto che il PVC era in suo possesso .
Un altro esempio: in materia di IVA, l’art.56 DPR 633/72 consente accertamenti basati su verbali altrui, ma la Cassazione (ord. n. 28756/2020) ha precisato che è legittimo un avviso che rinvia a verbali di ispezione presso terzi solo se il contribuente ne aveva conoscenza o conoscibilità, e purché il contenuto di tali verbali serva realmente a integrare la motivazione . In quella vicenda (fatture false tra società), l’Ufficio aveva allegato all’avviso vari estratti dei verbali di verifica compiuti presso le società terze, sicché il contribuente (una S.r.l.) era stato messo a parte degli elementi indiziari raccolti contro di lui . La Cassazione ha dunque censurato la CTR che aveva annullato l’avviso per difetto di motivazione, osservando che i documenti fondamentali erano stati in realtà allegati o trascritti, permettendo al contribuente e al giudice di valutare la fondatezza della pretesa .
Da ricordare: Non tutti i riferimenti ad atti esterni obbligano l’Ufficio a fornire copie o trascrizioni. Se l’avviso richiama atti già noti al contribuente (ad esempio: un PVC consegnato a fine verifica, un’istanza o dichiarazione firmata dallo stesso contribuente, una delibera di cui il contribuente ha avuto notifica, ecc.), non vi è vizio di motivazione anche se tali atti non sono allegati . Inoltre, se l’avviso riporta esso stesso le parti rilevanti del documento esterno – quelle “necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato” – allora il contribuente è considerato edotto e non occorre allegare l’originale. In tal senso, la Cassazione ha parlato di “contenuto essenziale” dell’atto richiamato: l’avviso deve riprodurre tutti i passaggi di quel documento che costituiscono il fondamento della rettifica, in modo che il contribuente e il giudice possano individuare senza incertezze gli elementi utilizzati dall’Ufficio . Se questa condizione è rispettata, il semplice riferimento a un documento esterno non compromette la validità della motivazione.
Eccezione per gli atti normativi: La giurisprudenza e la stessa legge escludono dall’obbligo di allegazione gli atti aventi natura normativa o regolamentare, come leggi, decreti, regolamenti, delibere comunali pubblicate ufficialmente . Tali fonti infatti si presumono conosciute da tutti (principio di conoscenza legale mediante pubblicazione) e comunque non attengono a specifici fatti da provare, ma al diritto applicabile. Dunque, se l’avviso fa riferimento, ad esempio, a una certa legge o a una delibera comunale di cui è reperibile il testo sulla Gazzetta Ufficiale o albo pretorio, non è tenuto ad allegarla . Quello che invece deve essere allegato (o riprodotto) è qualsiasi atto tecnico o accertativo specifico che contenga i fatti posti a base della pretesa tributaria e che il contribuente non ha già altrimenti. Nel dubbio, è onere dell’Ufficio fornire tale documentazione al contribuente.
Documenti sconosciuti e non allegati: vizio di motivazione
Se l’avviso di accertamento richiama un atto esterno di cui il contribuente non ha conoscenza e non ne riproduce adeguatamente il contenuto, senza allegarlo, si configura un difetto di motivazione. In questi casi, secondo l’orientamento consolidato della Cassazione, l’atto impositivo è “del tutto inadeguato” nell’esporre le ragioni della pretesa e deve essere dichiarato illegittimo . La motivazione per relationem, infatti, è ammessa solo entro il limite in cui non pregiudica la comprensibilità dell’atto. Se le informazioni cruciali risiedono in un documento esterno che il contribuente non ha modo di conoscere, l’avviso risulta carente e viola l’art.7 L.212/2000.
Un caso esemplare è stato affrontato dalla Cassazione nell’ordinanza n. 31389/2024 (Sez. V), relativa ad avvisi di accertamento ICI emessi da un Comune basandosi su una perizia di stima e su taluni contratti di compravendita . In quei provvedimenti, l’Ufficio comunale aveva solo menzionato genericamente l’esistenza di una “stima” e di “contratti depositati” a supporto dell’aumento di valore di terreni, senza allegare la perizia né i contratti, che infatti furono prodotti dall’ente solo nel corso del successivo giudizio . Ebbene, la Suprema Corte ha ritenuto fondato il motivo di ricorso dei contribuenti sul difetto di motivazione e ha annullato gli avvisi originari . Nelle motivazioni, la Corte ha enunciato chiaramente che:
- L’obbligo di motivazione per relationem implica che devono essere allegati all’avviso tutti gli atti richiamati “che non siano già integralmente e legittimamente conosciuti dal contribuente e siano necessari a comprenderne le ragioni” . Nel caso concreto, la perizia di stima redatta dal tecnico comunale era il documento cardine su cui si fondava la rettifica del valore: non allegandola né riportandone gli elementi essenziali, il Comune aveva impedito ai contribuenti di capire su quali dati specifici fosse stata calcolata la maggiore imposta . La generica allusione ad una “stima” senza ulteriori dettagli è stata giudicata del tutto insufficiente .
- La produzione tardiva di tale documento in appello non ha sanato il vizio originario. La Cassazione ha sottolineato che il processo tributario è un giudizio di impugnazione sull’atto e non consente di colmare ex post le lacune motivazionali: il contribuente dev’essere messo in grado di conoscere le ragioni già prima di presentare ricorso, non durante il processo . Accettare il contrario significherebbe violare la natura stessa del procedimento tributario e il diritto di difesa, costringendo il contribuente a impugnare al buio un atto di cui non conosce compiutamente i fondamenti.
- Anche i “contratti depositati” citati nell’avviso (atti di vendita utilizzati come comparativi di valore) avrebbero dovuto essere quantomeno riassunti nel loro contenuto economico essenziale, se non allegati. La loro mancata allegazione, unita alla mancata descrizione dei prezzi o elementi principali in essi contenuti, ha ulteriormente contribuito a rendere la motivazione incomprensibile riguardo alla base della pretesa . La Corte ha affermato che i contribuenti non erano stati posti in condizione di conoscere la pretesa impositiva, perché non avevano potuto sapere quali fossero i valori di confronto utilizzati dall’Ufficio .
In definitiva, la pronuncia del 2024 (così come altre precedenti conformi) sancisce che un atto impositivo che fonda le sue ragioni su documenti esterni specifici – come perizie, verbali, scritture private – è illegittimo se tali documenti non sono allegati né già nella disponibilità del destinatario . In tal caso la motivazione è carente e l’atto va annullato. L’Amministrazione non può “rimediare” a un simile difetto limitandosi a esibire i documenti in giudizio: occorrerebbe, semmai, emettere un nuovo avviso motivato correttamente (se i termini di decadenza lo consentono). Come si è detto, oggi questo principio è recepito anche a livello normativo dal nuovo comma 1-bis dell’art.7 Statuto, che impedisce integrazioni successive e richieste di prova aggiuntive non presenti nell’atto originario .
💡 Da notare: In passato esisteva qualche incertezza su casi limite, ad esempio se un atto poteva dirsi “già noto” al contribuente in virtù di conoscibilità anche senza notifica formale. La Cassazione ha usato talvolta il concetto di “conoscenza o conoscibilità” dell’atto richiamato . Ciò significa che, se il contribuente aveva modo di venire a conoscenza del documento con l’ordinaria diligenza (ad es. perché parte di un procedimento che lo riguardava, o perché depositato in pubblici registri accessibili), potrebbe non essere necessario allegarlo. Tuttavia, “conoscibilità” non va intesa in modo troppo vago: tipicamente si riferisce a situazioni in cui il contribuente ha partecipato all’iter formativo dell’atto richiamato o ne è destinatario indiretto. Ad esempio, la segnalazione della Guardia di Finanza a carico di un soggetto terzo potrebbe essere considerata conoscibile dal contribuente se quest’ultimo ne ha ricevuto notizia in sede di contraddittorio. Resta fermo che, in caso di contestazione, è l’Ufficio a dover provare che il contribuente era a conoscenza dell’atto esterno (o che l’atto riproduceva il suo contenuto). Se non ci riesce, l’avviso rischia l’annullamento per difetto di motivazione.
Ruolo del giudice e onere della prova del vizio motivazionale
Quando il contribuente impugna un avviso lamentando la carenza di motivazione per relationem, cosa deve dimostrare e come valuta la questione il giudice tributario? La Cassazione ha chiarito che non basta affermare genericamente “mancava l’allegato”. Bisogna provare in giudizio due elementi chiave :
- L’ignoranza dell’atto richiamato – Ossia che il documento a cui l’avviso rinvia era effettivamente sconosciuto al contribuente al momento della notifica dell’avviso, e che non era altrimenti nelle sue disponibilità. Ad esempio, se l’Ufficio sostiene che il contribuente avesse già il PVC, sarà quest’ultimo a dover contestare e provare il contrario (ad es. producendo una dichiarazione che non gli fu consegnato nulla, o evidenziando che il riferimento è a un atto di terzi di cui non poteva sapere). Di solito, se l’atto non è stato notificato né consegnato formalmente, la prova dell’“ignoranza” è in re ipsa; l’Ufficio potrebbe controbattere mostrando che l’atto era pubblico o accessibile. Ma in generale, è un fatto piuttosto oggettivo.
- La rilevanza di quel contenuto ai fini della motivazione – Il contribuente deve indicare qual è la parte di motivazione che è venuta meno per la mancanza dell’atto. In altre parole, deve convincere che “almeno una parte del contenuto di quegli atti, non riportata nell’avviso, era necessaria ad integrarne la motivazione” . Ad esempio, nel caso della stima non allegata, si evidenzia che senza quel documento non si conosce il criterio di valutazione usato; nel caso di un PVC di terzi non allegato, si sottolinea che l’avviso cita contestazioni fatte a un altro soggetto senza spiegarle compiutamente. Il giudice, dunque, deve verificare se effettivamente la motivazione dell’avviso, così com’è, risulta incompleta senza l’atto esterno: se la risposta è sì (cioè c’è un **“vuoto” logico nelle ragioni addotte, colmabile solo leggendo l’atto esterno), allora l’obbligo motivazionale non è stato assolto .
La Cassazione (sent. n. 26683/2009 e succ.) ha proprio affermato che “non basta che esistano atti ignoti cui l’avviso faccia riferimento; occorre la prova che almeno una parte del loro contenuto, non riportata nell’avviso, fosse necessaria a integrarne la motivazione” . Questa impostazione serve a evitare che ogni omissione formale di allegazione comporti automaticamente la nullità: se, poniamo, l’avviso cita un documento ma riporta già tutte le informazioni salienti di quel documento, la mancanza di allegazione può essere considerata irrilevante (il riferimento avrebbe “mero valore narrativo”) . Ad esempio, se nell’avviso si legge: “Il reddito è rettificato perché dalla perizia X (non allegata) risulta che l’immobile vale €100.000”, qui l’Ufficio ha riportato il dato essenziale (€100.000) e la fonte. In tal caso il contribuente, per contestare il vizio di motivazione, dovrebbe sostenere che nella perizia vi sono altri elementi (es. i criteri estimativi) determinanti e non illustrati. Se invece l’avviso si limitasse a dire: “…risulta una maggiore imponibile come da perizia”, senza indicare il risultato della perizia, l’assenza dell’atto allegato lascerebbe del tutto ignota la base della pretesa, e l’eccezione del contribuente sarebbe chiaramente fondata.
Il giudice tributario di merito, investito di una eccezione di difetto di motivazione per relationem, deve quindi verificare in concreto se l’avviso conteneva già i dati essenziali oppure no. Non basta all’Ufficio difendersi dicendo “il contribuente poteva venire a vedere il documento” o “lo abbiamo prodotto in giudizio”: la giurisprudenza è chiara nel ritenere che la completezza della motivazione va valutata ex ante, ossia al momento della notifica, e che l’allegazione in giudizio non sana il vizio . D’altro canto, non basta al contribuente invocare l’art.7 L.212/2000 in astratto: deve puntare il dito su cosa manca nell’avviso e perché ciò gli ha impedito la difesa.
Riassumendo i principi chiave elaborati dalla Cassazione in materia di motivazione per relationem:
- Conoscenza del documento richiamato – L’avviso per relationem è legittimo se il documento è già conosciuto (o immediatamente conoscibile) dal contribuente, oppure se il suo contenuto rilevante è riportato nell’avviso stesso . In questi casi la motivazione soddisfa l’obbligo legale.
- Documento ignoto non allegato – Se l’avviso rinvia a un atto sconosciuto al contribuente e non ne riproduce gli elementi essenziali, l’atto impositivo è viziato per difetto di motivazione . Non è validamente motivato perché il contribuente non può individuarne le ragioni.
- Rilevanza dell’atto esterno – L’obbligo di allegazione riguarda solo gli atti che servono a integrare la motivazione, cioè contengono fatti posti a fondamento dell’accertamento . Se il richiamo ha invece “mero valore narrativo” o riguarda elementi già del tutto riportati nell’atto noto, l’omessa allegazione non comporta nullità . In pratica: atti irrilevanti o ridondanti non vanno allegati (e non invalidano l’avviso se non allegati).
- Norme e atti pubblici – Non vanno allegati gli atti normativi o altri atti giuridicamente noti per effetto di pubblicità legale (regolamenti, delibere, ecc.), né vi è obbligo di allegare atti già noti perché provenienti dal contribuente stesso (es. suoi documenti) .
- Integrazione postuma vietata – La motivazione dell’avviso deve essere autosufficiente. L’Amministrazione non può supplire in corso di causa a eventuali mancanze originarie, e il giudice non può “condonare” la mancanza di motivazione ritenendo che tanto il contribuente l’ha scoperta durante il processo. La produzione dei documenti in giudizio serve solo ai fini probatori (per dimostrare la fondatezza nel merito), ma non può sanare un vizio di motivazione, in virtù sia della giurisprudenza costante , sia ora del nuovo art.7, co.1-bis L.212/2000 .
Di seguito una tabella riassuntiva che sintetizza le condizioni di legittimità della motivazione per relationem e le conseguenze sul piano della validità dell’atto:
Tabella – Legittimità della motivazione per relationem
| Situazione del documento richiamato | Validità della motivazione | Riferimenti |
|---|---|---|
| Documento già noto al contribuente (es. atto notificato o consegnato) | Motivazione valida anche se l’atto non è allegato. Nessun vizio: il contribuente conosce già i fatti. | Cass., ord. 27835/2025 ; Art. 7 L.212/2000 |
| Documento ignoto al contribuente e non allegato né riassunto | Motivazione inadeguata: l’avviso è annullabile per difetto di motivazione (violazione art.7 Statuto). | Cass., ord. 31389/2024 ; Cass. 2527/2002 |
| Contenuto essenziale riprodotto nell’avviso (atto esterno citato per estratto) | Motivazione valida. L’obbligo di allegazione è escluso, poiché il contribuente rinviene già nell’avviso tutti gli elementi necessari a comprendere la pretesa. | Cass., ord. 24417/2018 ; Art. 42 DPR 600/1973 |
| Richiamo ad atti normativi o atti già pubblici (leggi, regolamenti, delibere) | Motivazione valida senza allegazione. Le norme si presumono conosciute iure publicitatis; il richiamo è lecito purché sia chiaro a quale norma si riferisce. | Cass., sent. 25371/2008 ; Cass., ord. 13105/2012 |
| Documento richiamato non determinante (richiamo con mero valore narrativo) | Motivazione valida. Se l’atto esterno non è fondamento diretto della pretesa (es. citato a titolo di esempio o per contestualizzare) e l’avviso sta in piedi da sé, la mancata allegazione non incide. | Cass., ord. 28756/2020 (richiamo narrativo irrilevante) |
Nota: In caso di contenzioso, spetta al contribuente evidenziare se un documento non conosciuto era necessario per capire la motivazione e non è stato allegato . L’Ufficio potrà difendersi dimostrando che il contribuente in realtà lo conosceva oppure che l’avviso ne riporta già il contenuto saliente . Il giudice valuterà la questione al momento della notifica dell’atto, senza considerare eventuali integrazioni tardive.
Motivazione vs prova: il diverso piano della fondatezza nel merito
Fin qui abbiamo trattato il profilo formale della motivazione dell’avviso. È importante comprendere come esso si collega (e si distingue) dal profilo sostanziale della prova delle pretese fiscali. La Corte di Cassazione ha infatti tracciato una netta distinzione tra il requisito di motivazione dell’atto e l’onere probatorio in giudizio . In altre parole, un conto è verificare se l’avviso è motivato in modo legittimo (cioè se espone sufficientemente le ragioni), altro conto è stabilire se quelle ragioni reggono nel merito, ossia se l’accertamento è fondato e provato.
Questa distinzione emerge chiaramente nella già citata ordinanza 27835/2025, dove la Cassazione – oltre a confermare la validità di un avviso per relationem basato su PVC noto – ha ammonito che confondere il piano della motivazione con quello della prova è un errore di diritto . Cosa significa in concreto? Significa che anche se un avviso è motivato in modo corretto (ad esempio rinviando a un PVC conosciuto), l’Ufficio dovrà comunque provare in giudizio la fondatezza sostanziale della pretesa, producendo i documenti e gli elementi di prova a supporto delle sue contestazioni. La mancata allegazione di un documento noto non incide sulla validità dell’atto, ma attiene piuttosto all’onere di produzione documentale nel processo .
Nel caso in questione, la CTR regionale aveva annullato l’avviso ritenendo che, non essendo stati allegati alcuni verbali relativi a verifiche su clienti della società, vi fosse un vizio di motivazione/prova. La Cassazione ha invece chiarito che in quel caso la motivazione era sufficiente (quei verbali erano riepilogati nel PVC già notificato alla società) e che semmai l’assenza di allegati riguardava il profilo probatorio: l’ufficio avrebbe dovuto esibirli in giudizio per sostenere la propria tesi, ma ciò non inficiava la legittimità formale dell’avviso .
Possiamo trarre da ciò alcune considerazioni operative:
- Se un avviso è motivato per relationem con riferimento a un documento già noto, il contribuente difficilmente potrà ottenerne l’annullamento per vizio di motivazione. Tuttavia, in giudizio potrà attaccare la fondatezza di quel documento: ad esempio potrà sostenere che il PVC richiamato interpreta male i fatti, o che le prove ivi raccolte non sono sufficienti, ecc. In questo contesto, l’Ufficio ha l’onere della prova iniziale di dimostrare i fatti costitutivi della maggiore pretesa, e dovrà produrre in giudizio il PVC e ogni altro elemento raccolto . Una volta fornita tale prova (anche per presunzioni, se consentito), sarà poi onere del contribuente fornire controprove o elementi per infirmare quelle risultanze .
- Se un avviso è motivato in modo carente (documento ignoto non allegato), il contribuente può eccepirne l’illegittimità senza nemmeno entrare nel merito della pretesa. In tal caso, se il giudice accoglie la questione preliminare di difetto di motivazione, annulla l’atto a prescindere dalla fondatezza materiale (che neppure viene esaminata). Ad esempio, nel caso della perizia ICI non allegata, la Cassazione ha annullato gli avvisi direttamente per vizio formale, senza bisogno di valutare se il valore accertato fosse giusto o sbagliato . Attenzione: Se però il giudice di merito (CTP o CTR) dovesse respingere l’eccezione di difetto di motivazione e affrontare il merito, il contribuente dovrebbe essere pronto a contestare anche il merito. È sempre consigliabile, nei ricorsi, sollevare in via subordinata anche le censure di merito oltre ai vizi formali, per non trovarsi sguarniti qualora il vizio formale non venga riconosciuto.
- L’eventuale esistenza di un vizio motivazionale non esonera completamente dal considerare la materia del contendere. In Cassazione, ad esempio, occorre indicare entrambi gli aspetti se si vuole far valere che il giudice di merito ha sbagliato sia sul rito sia sul merito. Ma in primo e secondo grado, la regola è: i vizi propri dell’atto (come la carenza di motivazione) vanno esaminati prima del merito, in quanto assorbenti. Se accolti, l’atto è annullato e la pretesa tributaria cade senza bisogno di ulteriori valutazioni.
In sostanza, motivazione e prova sono due piani distinti ma consecutivi: un atto ben motivato è il presupposto di un giudizio sul merito; un atto non motivato si ferma prima, perché viene annullato. La Cassazione ha messo in guardia dal non mischiarli: un giudice non dovrebbe confondere una carenza di motivazione con una mancanza di prova o viceversa . Ad esempio, non si deve rigettare un ricorso per difetto di motivazione sostenendo che “tanto la prova c’è nei documenti prodotti in giudizio”: se la motivazione era carente ab initio, l’atto va annullato indipendentemente dalle prove sopravvenute. Di contro, non si deve annullare un atto formalmente motivato solo perché in giudizio inizialmente mancano prove: al limite, in quel caso, la pretesa verrà respinta nel merito, ma l’atto in sé era regolare.
Questo equilibrio è ben illustrato dall’affermazione: “la mancata allegazione di un documento richiamato non è un vizio di motivazione dell’atto, ma attiene al piano della prova” . Tradotto: se il documento era noto o il contenuto essenziale noto, la validità dell’atto non è inficiata dall’assenza di allegazione; tuttavia, l’ufficio dovrà presentare tale documento come prova per vincere la causa sul merito. Viceversa, se il documento non era noto e non è allegato, allora è vizio di motivazione e il discorso probatorio neppure si apre, perché l’atto viene travolto.
Un ulteriore concetto sul piano probatorio riguarda gli accertamenti basati su presunzioni (tipico ambito in cui spesso l’avviso è motivato per relationem al PVC). In un accertamento, ad esempio, analitico-induttivo per contabilità inattendibile, l’Ufficio può fondare la pretesa su presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti . Ciò rientra nella prova: significa che, motivando l’atto per relationem ad esempio al PVC, l’Ufficio adduce certe presunzioni (maggiori ricavi non contabilizzati, margini fuori linea, ecc.). In giudizio, una volta che l’Ufficio ha offerto tali elementi presuntivi, l’onere della prova si sposta sul contribuente, che dovrà dimostrare l’inesistenza dei fatti contestati o fornire una spiegazione alternativa convincente . Ad esempio, se l’avviso (e il PVC richiamato) presumono ricavi in nero perché sono stati trovati movimenti bancari non giustificati, il contribuente dovrà provare che quei movimenti non erano ricavi ma altro (finanziamenti soci, transiti infragruppo, etc.). Questa dinamica, tuttavia, attiene sempre al secondo stadio (il merito). Il primo stadio rimane la verifica che l’avviso sia correttamente motivato, cioè che il contribuente sappia quali presunzioni gli vengono opposte e su quali elementi fattuali poggiano.
Come difendersi: strategie pratiche dal punto di vista del contribuente
Passiamo ora al piano operativo della difesa. Dalla prospettiva del contribuente (sia esso un privato, un professionista o un imprenditore) che riceve un avviso di accertamento motivato per relationem, è fondamentale adottare un approccio lucido e strategico per tutelare i propri interessi. Di seguito esaminiamo come comportarsi e quali strumenti utilizzare, distinguendo i vari scenari possibili.
1. Analizzare subito l’atto e i documenti richiamati
Appena notificato l’avviso di accertamento, la prima mossa è leggerlo attentamente e identificare se e quali atti esterni vengono citati nella motivazione. Ad esempio: l’avviso menziona un “Processo Verbale di Constatazione del …”, oppure un “verbale di ispezione presso …”, o ancora “dati forniti dalla Guardia di Finanza” o “perizia tecnica n…”, etc. È cruciale capire:
- Se possiedo già tali documenti oppure no. Se, ad esempio, ero il soggetto verificato e ho sottoscritto il PVC, ne avrò certamente copia. Se invece si parla di un verbale redatto verso un’altra azienda, potrei non averlo mai visto.
- Se l’avviso riporta il contenuto di questi documenti o solo li menziona vagamente. Ad esempio, l’avviso riporta “dalla verifica risulta che Tizio ha omesso ricavi per €100.000” – questo è un contenuto; oppure dice solo “come da PVC n… si contesta omessa fatturazione” senza dettagli – questo è un semplice rinvio.
Fatta questa analisi preliminare, il contribuente può trovarsi in due situazioni:
- Documenti noti/disponibili: Se ho già copia dei documenti richiamati (o magari sono allegati all’avviso stesso), dovrò concentrarmi più sul merito delle contestazioni che sul vizio formale. Vuol dire che la motivazione è probabilmente conforme alla legge (atti noti o allegati), quindi sarà difficile annullare l’atto per questo motivo. Dovrò allora esaminare quei documenti per valutare la solidità della pretesa fiscale e preparare le controdeduzioni di merito (es. confutare la quantificazione, portare prove contrarie, evidenziare errori di calcolo, ecc.).
- Documenti ignoti/non disponibili: Se invece l’avviso cita atti di cui io non dispongo e non allegati, scatta un campanello d’allarme sulla motivazione. In tal caso una linea di difesa fondamentale sarà l’eccezione di nullità/annullabilità dell’atto per difetto di motivazione, ex art. 7 L.212/2000 e norme correlate . È bene però essere metodici: prima di impostare il ricorso su questo, conviene tentare di ottenere tali documenti. Come? Si possono seguire due strade:
- Richiesta all’Ufficio: il contribuente (o tramite il proprio difensore) può presentare un’istanza di accesso agli atti o una semplice richiesta informale all’ufficio che ha emesso l’avviso, chiedendo copia del documento richiamato. Talvolta, di fronte a una richiesta motivata, l’Agenzia delle Entrate rilascia copia del PVC o del rapporto citato. Se lo fa, si può valutare il documento ed eventualmente allegarlo al ricorso mostrando che è stato tardivamente ottenuto.
- Richiesta in contraddittorio: se l’importo è elevato e si valuta un’istanza di adesione (ne parleremo a breve), durante l’incontro si può chiedere all’ufficio di visionare quei documenti. Oppure, in mancanza di adesione, si può direttamente chiedere al giudice tributario (nel ricorso) di ordinare all’ente impositore di esibirli in giudizio. Comunque, il semplice fatto che il contribuente abbia dovuto chiederli evidenzia che non li aveva: questo rafforza l’argomento del difetto di motivazione.
In sintesi, la mappatura dei documenti è il primo passo: sapere cosa il Fisco ha usato contro di me e se io ho potuto vederlo. È buona prassi, già in sede di ricorso introduttivo, elencare gli atti richiamati dall’avviso e precisare per ciascuno se era conosciuto, allegato, o del tutto ignoto.
2. Impostare il ricorso: motivi di impugnazione
Una volta raccolte le informazioni, bisogna preparare il ricorso tributario (da presentare alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado, ex Commissione Tributaria Provinciale) entro i termini di legge. I motivi di impugnazione dovranno essere articolati con attenzione, tenendo conto di quanto rilevato sulla motivazione per relationem:
- Se è emerso un chiaro vizio di motivazione (documento essenziale non conosciuto né allegato), conviene inserirlo come primo motivo di ricorso, richiedendo l’annullamento totale dell’avviso per violazione dell’art. 7 L.212/2000, dell’art.42 DPR 600/73 (o art.56 DPR 633/72, se IVA) e dei principi di motivazione degli atti tributari . Occorre descrivere al giudice quale documento manca e perché la sua assenza ha impedito la comprensione dell’atto. Ad esempio: “L’avviso richiama il verbale XYZ mai notificato al ricorrente, limitandosi ad accennare a contestazioni ivi contenute, senza riportarne i contenuti essenziali. Così facendo l’Ufficio ha violato l’obbligo di motivazione degli atti impositivi, non avendo messo il contribuente in grado di conoscere gli elementi di fatto posti a base della pretesa”. Si citeranno le norme e magari sentenze rilevanti (Cass. n. 31389/2024, Cass. n. 12400/2018, etc.) a supporto.
- Contestualmente, è prudente aggiungere motivi di merito (secondari o subordinati). In caso di motivazione per relationem, spesso il merito concerne la fondatezza del documento esterno: ad esempio, “nel merito, il maggiore imponibile è infondato perché la perizia citata è errata nei criteri…”, oppure “il PVC presenta mere presunzioni non riscontrate…”, “le operazioni contestate non sono inesistenti, come provano…”, e così via. È importante farlo perché, se per qualche ragione il giudice non riterrà nullo l’atto per vizio formale, si passerà all’analisi di merito, e lì bisogna avere frecce al proprio arco. Inoltre, presentare le proprie ragioni di merito mostra al giudice una difesa a 360 gradi, segnalando che non si cerca solo un annullamento “processuale”, ma si hanno argomenti anche sul contenuto.
- Nell’argomentare il vizio di motivazione, può essere utile richiamare la recente evoluzione normativa (se l’atto è del 2024 o successivo), evidenziando che la legge oggi impone espressamente di allegare atti non conosciuti e di esplicitare i mezzi di prova, a pena di annullabilità . Anche se l’atto impugnato fosse anteriore alla riforma, sottolineare il quadro normativo aggiornato può avere un peso persuasivo, mostrando che la tesi del ricorrente è in linea con un orientamento ormai consolidato e con la volontà del legislatore.
- Va poi considerato l’onere della prova: il ricorrente dovrà, se possibile, documentare le proprie affermazioni. Se sostiene di non conoscere un atto, può allegare ad esempio un’istanza di accesso agli atti che ha dovuto presentare, o una risposta dell’ufficio che nega l’esibizione, così da provare al giudice la sua estraneità a quel documento. Inoltre, nel merito, se contrasta i contenuti del PVC o di altri atti, dovrà produrre eventuali documenti a suo favore (es. contratti, registri contabili, perizie di parte, testimonianze rese in sede penale, ecc.) o quanto serve per scalzare la pretesa.
- Non dimentichiamo di includere nel ricorso anche eventuali vizi di forma ulteriori: ad esempio, l’avviso è stato firmato da un funzionario non delegato? (nullità ex art.42 DPR 600/73), è stato notificato fuori termine? (decadenza), ecc. Questi sono motivi ulteriori che vanno sempre verificati e aggiunti se presenti. Spesso, però, nel caso di motivazione per relationem, il punto focale è proprio la motivazione, quindi è lì che ci si concentra.
In breve, il ricorso deve mettere in evidenza tutte le carenze dell’atto, partendo dalla motivazione insufficiente (se rilevante) e proseguendo con le contestazioni di merito. Dal punto di vista stilistico, per chiarezza, si può suddividere il ricorso in due macro-parti: “Vizi di legittimità dell’avviso” (in cui si tratta la motivazione per relationem, eventualmente unitamente ad altri vizi formali) e “Infondatezza nel merito della pretesa fiscale” (dove si attaccano i calcoli, i presupposti di fatto, l’applicazione di norme sostantive, etc.). Ciò aiuta il giudicante a orientarsi tra gli aspetti procedurali e quelli sostanziali.
3. Terminologia e riferimenti nel ricorso
Nel contestare la motivazione per relationem, è utile impiegare la corretta terminologia giuridica e fare i riferimenti puntuali:
- Citare espressamente l’art. 7, comma 1, L. 212/2000 e l’art. 42 DPR 600/1973 (o art.56 DPR 633/72 se IVA) che sanciscono l’obbligo di allegazione degli atti richiamati non conosciuti . Queste sono le basi normative della doglianza. Se l’atto è un accertamento locale (IMU/TARI ecc.), citare pure l’art. 7 Statuto che vale anche per gli enti locali e l’art. 1, c.162 L. 296/2006 (che richiede motivazione per gli atti dei comuni in materia tributaria, rinviando di fatto ai principi generali).
- Inquadrare il vizio come “violazione di legge” (ex art.360 n.3 c.p.c. in ottica Cassazione, ma in CTP/CTR basta dire violazione di norme di legge), e volendo come “eccesso di potere per difetto di motivazione” (categoria del diritto amministrativo analogicamente applicabile). Usare espressioni come: “violazione dell’obbligo legale di motivazione per relazione, posto dall’art.7 L.212/2000, in quanto l’atto impositivo si limita a rinviare ad un documento esterno non conosciuto dal contribuente, omettendo di allegarlo o riprodurne il contenuto essenziale”. Specificare poi: “Tale omissione ha impedito al contribuente di conoscere compiutamente i presupposti di fatto della pretesa, integrando un vizio di legittimità dell’atto che ne comporta l’annullabilità” .
- Richiamare giurisprudenza pertinente può essere molto efficace, soprattutto se recente e autorevole. Ad esempio: “Si richiama Cass. Sez. V, ord. 06/12/2024 n. 31389, la quale ha affermato che ‘un avviso di accertamento che fonda la pretesa su documenti esterni non allegati né previamente noti al contribuente è illegittimo per difetto di motivazione’. Nel caso deciso, la Corte ha annullato un avviso ICI proprio perché la perizia di stima richiamata non era stata allegata né il suo contenuto era stato esplicitato. Tale principio calza perfettamente al caso odierno…”. Analogamente, citare Cass. 27835/2025 a contrario se serve (motivazione ok se atto noto) per dire: “qui l’atto non era noto, quindi non rientra nella legittimità delineata dalla Cassazione”.
- Se il giudizio proseguirà in appello o in Cassazione, avere fin dall’inizio posto chiaramente questi riferimenti normativi e giurisprudenziali aiuta a preservare la questione. In Cassazione, ad esempio, il vizio di motivazione dell’atto è deducibile come error in iudicando su norme di diritto (art.360 n.3 c.p.c.), quindi conviene che sin dal ricorso in CTP si siano menzionate le norme violate, così che la questione di diritto risulti già delineata.
4. Valutare strumenti pre-contenzioso: adesione o acquiescenza
Dal punto di vista del contribuente “debitore”, c’è sempre da considerare l’opportunità di percorrere vie deflative del contenzioso. Ricevuto l’avviso, esistono strumenti come l’accertamento con adesione e l’acquiescenza:
- L’accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997) consente di avviare un confronto con l’ufficio prima di fare ricorso. La presentazione dell’istanza di adesione sospende tra l’altro il termine per impugnare per 90 giorni. Se si ravvisa un vizio di motivazione per relationem, è probabile che l’ufficio in sede di adesione lo minimizzi o non lo riconosca apertamente (difficilmente l’ente ammette il proprio errore formale concedendo l’annullamento in autotutela immediato). Tuttavia, l’adesione può essere utile per:
- Capire meglio le prove in mano all’ufficio (si può chiedere di visionare il fascicolo);
- Ottenere eventualmente una riduzione delle sanzioni o un ricalcolo degli imponibili qualora si preferisse chiudere evitando il processo. Ad esempio, se il difetto di motivazione è dubbio e il merito pure rischioso, il contribuente potrebbe valutare di trovare un accordo riducendo le somme dovute (l’adesione comporta sanzioni ridotte a 1/3).
- Usufruire della sospensione dei termini: i 60 giorni per ricorrere iniziano a decorrere ex novo dopo i 90 giorni (o la chiusura anticipata della procedura se non si raggiunge accordo). Questo dà più tempo per preparare la difesa.
Attenzione: se durante l’adesione l’ufficio fornisce i documenti prima mancanti (ad esempio consegna il verbale di terzi), ciò non sana retroattivamente la motivazione, ma toglie al contribuente l’argomento di non conoscere quei documenti dal momento della eventuale definizione. Se poi l’adesione fallisce, si torna al contenzioso potendo comunque far valere il vizio originario.
- L’acquiescenza (pagamento entro 60 giorni con sanzioni ridotte a 1/3, senza ricorso) è sconsigliabile se si ritiene di avere validi motivi di contestazione, come un vizio di motivazione. L’acquiescenza infatti preclude qualsiasi impugnazione successiva: è una scelta di pagare e chiudere. Può essere considerata solo se le somme contestate sono modeste e si preferisce evitare costi di giudizio, ma in caso di vizio formale spesso conviene invece impugnare perché c’è una concreta chance di annullamento totale.
- Un’altra ipotesi è l’autotutela: il contribuente potrebbe segnalare all’ufficio il vizio e chiederne l’annullamento in autotutela. Francamente, se non si tratta di un caso eclatante (tipo un ufficio che ha dimenticato di allegare un documento fondamentale), difficilmente l’Ente accoglierà l’istanza di autotutela prima del ricorso, specie se la giurisprudenza sul punto può sembrare controversa. Comunque presentare l’istanza non costa nulla e, in rari casi, qualche ufficio più prudente potrebbe scegliere di annullare o rinnovare l’atto (specie ora che la legge nuova è stringente). In ogni caso, l’istanza di autotutela non sospende i termini per ricorrere, quindi va fatta eventualmente in parallelo alla preparazione del ricorso, per non rischiare decadenze.
5. Presentazione del ricorso e richiesta di sospensione
Il ricorso va notificato all’Ufficio entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso (termine ordinario previsto dall’art. 21, D.Lgs. 546/1992). Nel caso si sia presentata istanza di adesione, come detto, i 60 giorni sono sospesi per un massimo di 90 giorni. Dal 2024, inoltre, c’è una novità: è stato abrogato l’obbligo del reclamo-mediazione per le liti di valore fino a €50.000. Pertanto, per ricorsi notificati dal 1° gennaio 2024 in poi, non è più necessario proporre preliminarmente il reclamo/istanza di mediazione per le cause di piccolo importo, ma si può ricorrere direttamente al giudice . Questo semplifica la procedura: fino al 2023 occorreva infatti attivare un reclamo col rischio di vederselo respinto tacitamente e poi instaurare il processo; ora tale passaggio è eliminato, rendendo ancora più immediato l’accesso al giudizio anche per le liti minori.
Assieme al ricorso, in caso di importi iscritti a ruolo (o esigibilità immediata dell’atto), il contribuente può chiedere la sospensione dell’atto impugnato. Dal 2011 infatti gli avvisi di accertamento sono divenuti esecutivi: trascorsi normalmente 60 giorni, se non c’è pagamento né ricorso con sospensione, l’Agenzia può affidare le somme a riscossione (per ora limitatamente a 1/3 degli importi, in caso di ricorso pendente). Quindi, per evitare di dover pagare o subire azioni esecutive durante il giudizio, è opportuno presentare istanza di sospensione giudiziale all’interno del ricorso (o con atto separato finché la causa è in corso).
Dal punto di vista difensivo, l’esistenza di un palese vizio di motivazione può essere un argomento a favore della sospensione: si può sostenere che vi è fumus boni iuris (probabilità di vittoria) perché l’atto appare prima facie illegittimo per violazione di legge (mancata allegazione di atto essenziale). Quanto al periculum in mora (danno dal pagamento), quello si deve sempre motivare (ad es. la riscossione metterebbe in crisi la liquidità dell’azienda, ecc.). Ottenere la sospensione cautelare evita che il contribuente debba anticipare somme durante la causa. Se però la sospensione non venisse concessa, attenzione: con le regole attuali, l’Agenzia Entrate-Riscossione potrebbe, decorsi 90 giorni dalla notifica dell’avviso, iniziare le procedure di riscossione di 1/3 del tributo più interessi e sanzioni (in passato vi era l’obbligo per il contribuente di pagare un terzo dopo la sentenza di primo grado sfavorevole; oggi con l’avviso esecutivo il meccanismo è differente, ma sostanzialmente l’Agente della riscossione può intervenire prima, salvo sospensioni).
In alternativa alla sospensione giudiziale, c’è la sospensione amministrativa in autotutela (da chiedere all’ente impositore): si può presentare istanza all’Agenzia delle Entrate affinché sospenda essa stessa la riscossione in attesa dell’esito del ricorso, specialmente se si ravvisa un errore palese. Non è un diritto soggettivo, ma l’Ufficio talvolta accoglie se riconosce la fondatezza del ricorso. Comunque, anche qui, vige la prudenza: meglio chiedere la sospensione al giudice, che può emettere un’ordinanza vincolante.
Ricordiamo che, una volta introdotto il ricorso in primo grado, se il contribuente vince (annullamento dell’atto), l’Agenzia può appellare in secondo grado; se invece perde, potrà appellare il contribuente. Nel frattempo l’eventuale sospensione concessa può essere confermata in appello o chiesta nuovamente. Alla fine, la parte soccombente in secondo grado potrà ricorrere per Cassazione per motivi di diritto. Tutto questo percorso dura anni; ecco perché ottenere l’annullamento già in primo grado per vizio di motivazione è un risultato eccellente per il contribuente, poiché tronca sul nascere la pretesa. L’Agenzia, dal canto suo, potrà solo sperare di riformare la decisione in appello o Cassazione, oppure – se ancora nei termini – emettere un nuovo avviso sanando il vizio (ma spesso i termini sono decorsi, soprattutto quando il contenzioso arriva in Cassazione).
Va inoltre detto che una sentenza passata in giudicato che annulla l’avviso per difetto di motivazione impedisce all’Ufficio di riprendere la stessa pretesa con altro atto, se nel frattempo sono scaduti i termini di decadenza accertativi. L’annullamento, infatti, non entra nel merito (quindi non preclude un nuovo accertamento sugli stessi fatti se fosse ancora in tempo), ma è anche vero che spesso l’accertamento impugnato è stato notificato a ridosso della scadenza dei termini. Ad esempio, accertamento 2017 notificato a fine 2022: se annullato nel 2025 definitivamente, non potrà esserne emesso un altro sul 2017 perché i termini sono scaduti al 31/12/2022, salvo cause di sospensione/raddoppio non presenti. Quindi, per il contribuente, vincere per vizio di motivazione significa il più delle volte chiudere definitivamente la partita su quell’annualità.
6. Difesa nel merito e approccio critico alle prove
Nel caso in cui il giudizio entri nel merito (perché il vizio di motivazione non viene riconosciuto o non viene fatto valere, oppure l’avviso era ben motivato), il contribuente deve essere pronto a contrastare nel merito le risultanze dell’atto richiamato. Ciò significa:
- Se l’accertamento per relationem si basa su un PVC della Guardia di Finanza: contestare punto per punto le conclusioni dei verificatori. Ad esempio, se sostengono esistenza di ricavi non dichiarati, portare documenti che spiegano quei movimenti; se parlano di costi indeducibili, dimostrare la inerenza e competenza; se contestano operazioni inesistenti, produrre contratti, DDT, prove dell’effettività delle transazioni. Importante: nelle operazioni soggettivamente inesistenti (fatture false con “teste di legno”), spesso il PVC di terzi è usato contro il contribuente: qui la difesa dovrà contestare la prova presuntiva portata dall’Ufficio (es.: “che la società fornitrice fosse una cartiera è affermato ma non provato adeguatamente; comunque la mia azienda ha svolto realmente le operazioni come provano i documenti e i pagamenti”). Tenere presente che la giurisprudenza, in caso di fatture false, richiede all’Ufficio una prova iniziale della falsità (anche per presunzioni, come citato sopra) e poi sposta al contribuente l’onere di dimostrare la bontà delle operazioni . Quindi preparare testimonianze, documenti di trasporto, eventuali perizie per avvalorare la propria posizione.
- Se l’accertamento per relationem si fonda su una perizia di stima: eventualmente procurarsi una controperizia da un tecnico di fiducia, evidenziando errori nella stima dell’Ufficio (ad esempio: la perizia comunale ha comparato immobili non omogenei, ha usato prezzi fuori mercato, ecc.). Nel caso citato di ICI, qualora il vizio formale non fosse bastato, gli eredi avrebbero dovuto far valere che il valore accertato era comunque errato. In un contenzioso, presentare una perizia di parte può convincere il giudice che, anche nel merito, la pretesa è infondata o eccessiva.
- Se il rinvio è a dati di terzi contribuenti (es. studi di settore di un settore simile, movimenti bancari di un familiare): contestare la pertinenza di tali dati. Ad esempio: “L’Ufficio assume, sulla base di movimenti bancari del socio, che tali ricavi siano imputabili alla società, ma ciò è un salto logico non supportato da prova: il socio ha redditi propri e quei movimenti non riguardano la società”. In pratica, evidenziare eventuali lacune logiche nelle presunzioni dell’Ufficio.
- Verificare la conformità procedurale: se l’avviso rinvia a un PVC di verifica, verificare che sia stata rispettata la procedura di chiusura verifica (es. l’osservanza del termine di 60 giorni dal rilascio del PVC prima dell’accertamento, ai sensi dell’art.12 c.7 Statuto). Questo non attiene alla motivazione, ma è un ulteriore vizio che potrebbe essere invocato. Ad esempio: “Il PVC GdF è del 1° giugno, l’avviso notificato il 30 giugno senza attendere 60 giorni per le memorie difensive: ciò comporta nullità dell’atto per violazione dell’art.12 c.7 L.212/2000” – una difesa aggiuntiva spesso trascurata ma potenzialmente vincente se il termine non è stato rispettato (salvo casi di particolare urgenza motivata).
In definitiva, dal punto di vista del contribuente, occorre predisporre una difesa su due binari: uno formale (sfruttando i vizi di motivazione per relationem se presenti) e uno sostanziale (smontando il più possibile la pretesa fiscale sul piano fattuale e giuridico). Questa strategia integrata massimizza le probabilità di successo: si punta all’annullamento dell’atto per vizio formale, ma si è pronti a combattere sul merito se necessario, potendo magari spuntare una riduzione dell’imposta accertata o convincere il giudice che l’ufficio non ha provato adeguatamente il suo assunto.
A supporto del contribuente ci sono anche degli indirizzi giurisprudenziali favorevoli su aspetti specifici del merito: ad esempio, Cassazione in tema di fatture false richiede prove stringenti all’ufficio (come visto), oppure in tema di accertamenti bancari impone che dopo aver individuato versamenti non giustificati si valuti anche l’eventuale applicabilità di soglie di non imponibilità ecc. Questi vanno invocati nei motivi di ricorso di merito pertinenti al caso concreto.
7. Esempi pratici di difesa in caso di motivazione per relationem
Per rendere più concreto quanto detto, esaminiamo due scenari pratici con le possibili linee di difesa del contribuente:
Caso pratico 1: Avviso basato su PVC noto al contribuente (società a cui viene contestato nero)
Scenario: Alfa S.r.l. riceve un avviso di accertamento per IRPEF-IRES e IVA 2021, con cui si recuperano ricavi non dichiarati per €200.000. La motivazione dell’avviso recita: “Dagli elementi risultanti dal Processo Verbale di Constatazione (PVC) redatto dalla Guardia di Finanza in data 10/09/2023 nei confronti di codesta società, notificato al legale rappresentante in pari data, emerge che… [seguono dettagli: “sono state rinvenute n.5 fatture emesse non contabilizzate, per importo complessivo €200.000”]… etc.”.* L’avviso non allega il PVC ma di fatto ne riporta le conclusioni (numero di fatture non dichiarate e importo). Alfa S.r.l. aveva effettivamente ricevuto copia del PVC al termine della verifica.
Difesa: In questo caso, come si evince, non c’è un vizio di motivazione: il PVC era noto (notificato) e l’avviso ne cita anche i contenuti salienti (5 fatture non dichiarate per €200.000). Dunque Alfa S.r.l. non potrà efficacemente impugnare l’avviso lamentando la violazione dell’art.7, perché l’obbligo motivazionale risulta adempiuto (atti richiamati conosciuti) . La sua difesa dovrà concentrarsi sul merito: ad esempio, potrà sostenere che quelle 5 fatture non erano “ricavi nascosti” ma errori di competenza (già dichiarate nell’anno successivo, magari documentando ciò), oppure contestare la qualificazione fatta dai verificatori (potrebbe dire: sono acconti già tassati, o duplicazioni, ecc.). Potrà anche valutare un’adesione per ridurre sanzioni, ma sul piano processuale punterà a dimostrare che la pretesa è infondata nei fatti.
Tuttavia, Alfa S.r.l. potrebbe, in subordine, sollevare comunque un motivo di ricorso sulla motivazione per relationem, ma con poche speranze: dovrebbe argomentare che il PVC conteneva magari ulteriori rilievi non riportati, ma se l’avviso ne ha riportati 5 per €200.000 e quelli sono esattamente i rilievi del PVC, non c’è carenza. Quindi la sua difesa formale non ha solide basi qui. Molto meglio dedicare spazio alla prova contraria sui rilievi: ad esempio, allegare documenti, contratti, perizie contabili che dimostrino che quel reddito in realtà non era dovuto.
Esito atteso: In mancanza di vizi formali, la partita di Alfa S.r.l. si gioca sul convincere il giudice della non debenza di quel imponibile. Se le prove a discolpa sono deboli, rischia di perdere; se invece riesce a spiegare quei movimenti, può vincere nel merito. La motivazione per relationem in questo caso non costituisce un appiglio vincente, perché legittima (PVC noto = motivazione ok ).
Caso pratico 2: Avviso basato su documenti di terzi non noti (fatture false – motivazione carente)
Scenario: Il sig. Tizio, professionista, riceve un avviso di accertamento IRPEF per il 2019 in cui gli vengono ripresi a tassazione costi per €50.000 e contestata IVA indebitamente detratta su alcune fatture di un fornitore. L’avviso motiva così: “Dall’attività di controllo incrociato svolta dall’Ufficio risulta che le fatture emesse dalla ditta Beta di Caio nei confronti del sig. Tizio sono relative a operazioni inesistenti, come da Processo Verbale di Constatazione redatto dalla Gdf nei confronti di Beta in data …, nonché come da verbali di constatazione relativi ad altre società coinvolte. Pertanto si rettifica il reddito imponibile disconoscendo costi per €50.000 e l’IVA detratta per €11.000”. L’avviso non allega alcuno di tali verbali; Tizio non ha mai visto né il PVC di Beta né i verbali delle altre società, essendo estraneo a quelle verifiche.
Difesa: Questo scenario presenta un classico caso di motivazione per relationem carente: l’Ufficio ha basato l’accertamento su verifiche fatte presso terzi (il fornitore e altre società), limitandosi a citarle genericamente e dando per assodato che le operazioni di Beta fossero false. Il sig. Tizio, però, non ha avuto alcuna conoscenza di quei atti (non essendo Beta né parte delle altre società). Ci sono quindi gli estremi per eccepire la nullità dell’avviso per difetto di motivazione, poiché fa riferimento a documenti esterni sconosciuti al contribuente senza allegarli né riportarne il contenuto . Nel suo ricorso Tizio sottolineerà che l’atto impositivo non gli consente di sapere su quali evidenze concrete l’Ufficio fonda l’accusa di fatture false: l’avviso non descrive alcun elemento specifico se non il rinvio a quei verbali. Egli invocherà quindi la violazione dell’art.7 Statuto e art.42 DPR 600/73, chiedendo l’annullamento dell’avviso.
Parallelamente, Tizio predisporrà una difesa nel merito: affermerà (e dovrà provare) che in realtà le operazioni con Beta erano reali. Ad esempio, esibirà i contratti, la corrispondenza, eventuali documenti di trasporto o consegna merci, pagamenti tracciati effettuati a Beta, insomma tutto quanto dimostri che i lavori/forniture ci sono stati effettivamente. Ciò per contrastare l’accusa di operazioni inesistenti.
Proceduralmente, Tizio potrebbe anche tentare di reperire il PVC di Beta: magari contattando Caio (titolare di Beta) se conosciuto, oppure chiedendo all’Ufficio in sede di adesione (se attivata). Ma se non riesce ad averlo prima del processo, pazienza: questo paradossalmente rafforza la sua posizione sul difetto di motivazione (“mi accusano sulla base di atti che nemmeno ho potuto vedere”).
Esito atteso: In una situazione del genere, il giudice tributario spesso dà ragione al contribuente sul vizio di motivazione. Ci sono molte sentenze di merito e di Cassazione che hanno annullato accertamenti per IVA su fatture soggettivamente inesistenti proprio perché l’avviso rinviava a PVC di altre società non allegati né conosciuti . Se il giudice condivide, emetterà sentenza di annullamento totale dell’atto per violazione dell’obbligo di motivazione. In tal modo Tizio vincerebbe la causa senza neppure bisogno di dimostrare oltre l’effettività delle operazioni (che comunque sarebbe bene abbia documentato, anche perché se l’Agenzia appellasse, la CTR potrebbe riesaminare anche il merito).
Se invece, malauguratamente, il giudice non rilevasse il vizio formale (ipotizziamo ritenesse sufficiente il riferimento per relationem, magari giudicandolo “conoscibile” o errore non invalidante), allora deciderebbe sul merito: a quel punto Tizio dovrebbe convincerlo che Beta non era una cartiera e che i lavori erano veri. Se Tizio ha buone prove, potrebbe ugualmente spuntarla nel merito, ma è un esito più incerto perché le cause su fatture false spesso vedono i contribuenti soccombenti se l’Ufficio porta indizi robusti (ad es. Beta risultata irreperibile, senza dipendenti, con documenti falsi). Invece l’eccezione di difetto di motivazione, se accolta, bypassa tutto questo.
È dunque evidente che per Tizio l’arma migliore è puntare sul vizio di motivazione per relationem. Questo costringerà l’Amministrazione, eventualmente, a rifare l’accertamento (se potrà) allegando quei PVC, oppure a fornire quegli atti e rifare la notifica. Ma se i termini sono scaduti, Tizio si libererà completamente della contestazione.
In conclusione, i due esempi mostrano che la difesa va calibrata sul contesto: nel primo caso il focus era sul merito (vizio formale inesistente), nel secondo caso sul vizio formale (clamorosamente presente). Un buon difensore valuta sempre entrambi gli aspetti, ma concentra gli sforzi dove c’è maggior valore per il proprio assistito.
Procedura di impugnazione davanti alle Corti di Giustizia Tributaria
Vediamo ora, in sintesi, gli aspetti procedurali per impugnare con successo un avviso di accertamento (per relationem o meno) dinanzi al giudice tributario. È importante avere chiari i passi e i tempi, perché una strategia difensiva ben costruita sul piano sostanziale deve poi tradursi in atti processuali tempestivi e regolari. Di seguito i punti salienti:
- Termine per impugnare: 60 giorni dalla notifica dell’avviso (non contando il giorno di notifica) . Se il 60° giorno cade di sabato, domenica o festivo, slitta al primo giorno successivo non festivo. Questo termine è perentorio: il ricorso presentato oltre è inammissibile. Fanno eccezione i casi di sospensione (es. adesione presentata) o di rimedi alternativi (es. cartella per omesso ricorso entro 60gg può essere impugnata entro 60gg da essa, ma sono situazioni particolari).
- Reclamo-mediazione: come già menzionato, per i ricorsi notificati dal 2024 non c’è più obbligo di reclamo per liti fino a €50.000 . Per i ricorsi fino al 2023, se uno ne avesse ancora pendenti in quella fascia, la procedura era: notifica del ricorso quale reclamo all’Ufficio, attesa 90 giorni, se nessuna mediazione interveniva il ricorso proseguiva automaticamente come tale. Ormai, comunque, questa è storia passata per le nuove controversie.
- Notifica del ricorso: il ricorso va notificato all’ente che ha emanato l’atto (Agenzia Entrate – Direzione Provinciale X, Comune Y ufficio tributi, etc.). La notifica può farsi via PEC (se il difensore/ricorrente è abilitato e l’ente ha domicilio digitale registrato) oppure tramite ufficiale giudiziario o servizio postale (raccomandata con ricevuta di ritorno). Attenzione: dal 2023 la riforma ha introdotto l’obbligo del Processo Tributario Telematico: oggi i ricorsi vanno depositati e gestiti sul portale SIGIT, e la notifica a mezzo PEC è la via preferenziale. Dunque, tipicamente, il difensore predisporrà il ricorso come atto digitale e lo notificherà all’indirizzo PEC dell’ufficio fiscale. Se il contribuente procede da solo (nei rari casi consentiti, solitamente di modestissimo importo) e non ha PEC, può ancora usare la notifica cartacea.
- Costituzione in giudizio: entro 30 giorni dalla notifica del ricorso, occorre depositare (telematicamente, di norma) presso la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado il fascicolo di ricorso, comprensivo di copia dell’atto impugnato, della ricevuta di notifica, degli eventuali documenti allegati e dell’indice. Con la riforma, le Commissioni Tributarie da metà 2022 hanno cambiato nome in Corti di Giustizia Tributaria (di primo e secondo grado), ma la funzione è la stessa. La competenza è in genere quella della provincia o regione in cui ha sede l’ufficio che ha emesso l’atto (salvo eccezioni territoriali).
- Assistenza tecnica: per controversie di valore superiore a €3.000 (importo imposta, al netto interessi e sanzioni) è richiesta l’assistenza di un difensore abilitato (avvocato, commercialista, o altri professionisti abilitati ex art.12 D.Lgs.546/92). Dato che qui parliamo di vicende spesso complesse, normalmente il contribuente si farà assistere da un avvocato tributarista o figura simile. Sotto €3.000, dal 2023 il contribuente può stare in giudizio da solo (prima il limite era €3.000 già, ora credo invariato), ma è raro e comunque sconsigliabile se ci sono temi giuridici complessi come la motivazione per relationem.
- Iter del giudizio: una volta costituito, l’ente impositore potrà a sua volta costituirsi depositando controdeduzioni (memoria di risposta) entro 60 giorni dal ricevimento del ricorso. Segue poi la fase decisionale: il processo tributario di primo grado può prevedere una discussione in pubblica udienza o essere deciso in camera di consiglio (sentenza “scritto-tratta”), a seconda se le parti ne hanno fatto richiesta e se il giudice lo ritiene opportuno. Per questioni complesse come queste, spesso si discute in udienza pubblica con la presenza dei difensori. La Corte emette quindi la sua sentenza.
- Gradi successivi: se la sentenza è sfavorevole, la parte soccombente può proporre appello alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (ex Commissione Regionale) entro 60 giorni dalla notifica o, se non notificata, entro 6 mesi dal deposito. In appello si possono riproporre le questioni non accolte e contrastare i motivi dell’altra parte se ha appellato. Infine c’è il ricorso per Cassazione contro la sentenza d’appello per motivi di legittimità (ad es. violazione di legge nella valutazione della motivazione per relationem, come è accaduto in varie Cassazioni citate). I termini per la Cassazione sono 60 giorni dalla notifica della sentenza di appello, o 6 mesi se non notificata.
- Spese di lite: se il contribuente vince (cioè l’avviso viene annullato), ha diritto di regola alla rifusione delle spese legali. Molti giudici però compensano le spese in primo grado per “novità della questione” o simili. Notare, a margine, che la Cassazione 2024 sul caso ICI ha compensato le spese di merito perché la giurisprudenza si è consolidata solo dal 2018 su questo tema . Ciò significa che prima qualche incertezza c’era, ma ora è granitica. In ogni caso, l’auspicio del contribuente è di farsi rimborsare almeno le spese vive e magari i compensi legali se ottiene vittoria piena.
Riassumiamo i passi procedurali in una tabella per maggiore chiarezza:
Tabella – Procedura di impugnazione dell’avviso di accertamento
| Fase | Descrizione e tempi |
|---|---|
| Notifica avviso di accertamento | Il contribuente riceve l’avviso (generalmente tramite raccomandata AR o PEC). Da questo momento decorrono 60 giorni per ricorrere, salvo sospensioni (es. adesione). |
| Valutazione pre-ricorso | Esame dell’atto, eventuale istanza di accertamento con adesione (sospende i termini fino a 90 gg) per tentare un accordo o prendere tempo. Possibile istanza di autotutela o accesso atti. |
| Preparazione ricorso | Redazione del ricorso introduttivo con indicazione di fatti, motivi di diritto (vizi motivazione, ecc.), richieste (annullamento atto, vittoria di spese). Allegati: copia atto impugnato, documenti difesa. |
| Notifica del ricorso | Entro 60 giorni (o termine sospeso) il ricorso va notificato all’Ufficio impositore (via PEC o ufficiale giudiziario/poste). |
| Costituzione in giudizio | Entro 30 giorni dalla notifica, deposito telematico presso la CGT di primo grado del ricorso notificato con allegati (e versamento contributo unificato se dovuto). |
| Istanza di sospensione | Contestuale al ricorso o con atto separato, il contribuente può chiedere la sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato per evitare la riscossione. Il giudice decide con ordinanza motivata (tipicamente in 1-3 mesi). |
| Fase istruttoria | Scambio di memorie: l’Ufficio resistente deposita controdeduzioni (entro 60 gg dalla notifica ricorso). Possibilità di memorie successive (30-20-10 gg prima dell’udienza) per repliche e repliche alle repliche, secondo D.Lgs.546/92 novellato. |
| Discussione e decisione | Eventuale pubblica udienza di discussione (se richiesta). La Corte emette la sentenza, depositata in segreteria. |
| Appello (secondo grado) | Entro 60 gg dalla notifica della sentenza di 1º grado, parte soccombente può appellare (ricorso in appello alla CGT di secondo grado). Analoga procedura di notificazione, deposito e decisione in secondo grado. |
| Ricorso per Cassazione | Entro 60 gg dalla notifica della sentenza d’appello, ricorso per Cassazione sui soli motivi di legittimità. In Cassazione non c’è esame del merito ma solo questioni di diritto (es. errata interpretazione art.7 L.212/2000, omesso esame fatti decisivi, etc.). |
| Definitività e riscossione | Se il contribuente perde, l’atto diviene definitivo e le somme dovute (al netto di quanto eventualmente già versato in pendenza di giudizio) devono essere pagate, altrimenti si procede con la riscossione coattiva (cartella/esecuzione). Se vince, l’atto è annullato e nulla è dovuto. |
Come si vede, il percorso contenzioso può essere lungo e complesso, ma in presenza di un vizio evidente come la motivazione per relationem mancante è frequente che la lite possa risolversi già nei primi gradi a favore del contribuente, risparmiandogli ulteriori fasi.
Domande frequenti (FAQ)
Di seguito proponiamo una serie di domande e risposte sintetiche sugli argomenti trattati, utili per chiarire i dubbi più comuni in materia di avviso di accertamento per relationem.
- D: Che cos’è, in parole semplici, un avviso di accertamento motivato “per relationem”?
R: È un avviso di accertamento la cui motivazione non è completamente espressa nell’atto stesso, ma rinvia (relaziona) al contenuto di un altro atto o documento. Invece di spiegare dettagliatamente tutti i fatti e i calcoli, l’ufficio dice essenzialmente: “le ragioni di questa pretesa fiscale sono quelle risultanti da quel documento”. Ad esempio, un avviso che dice: “ti richiedo queste imposte perché dal verbale della Guardia di Finanza risulta che hai nascosto redditi” sta motivando per relationem, cioè appoggiandosi al verbale per fornire le spiegazioni . - D: Questa forma di motivazione è consentita dalla legge?
R: Sì, la legge consente la motivazione per relationem, ma solo a precise condizioni. L’art. 7 dello Statuto del contribuente esplicitamente ammette il riferimento ad un altro atto, purché se ne alleghi copia all’avviso (se il contribuente non lo conosce già) o se ne riproduca il contenuto essenziale . In altre parole, l’ufficio può evitare di riscrivere tutto se il contribuente ha già quel documento o se l’avviso ne riporta i punti chiave. Ciò che non è consentito è che il contribuente rimanga all’oscuro: se non hai mai visto l’atto richiamato, l’ufficio deve allegartelo all’avviso, altrimenti l’avviso è viziato . - D: Perché il Fisco usa la motivazione per relationem?
R: Principalmente per comodità e completezza. Spesso l’accertamento fiscale scaturisce da lunghe verifiche o da indagini dettagliate (pensiamo a un verbale della Gdf di decine di pagine). Riprodurre integralmente tutto nell’avviso renderebbe l’atto molto voluminoso e ripetitivo. Richiamare il verbale permette di evitare ridondanze e anche di non tralasciare nulla (si incorpora per riferimento tutto ciò che è scritto nel verbale). È anche una scelta di economia procedimentale: il verificatore ha già messo nero su bianco i fatti nel PVC, l’accertatore li richiama senza riscriverli. Ovviamente, però, l’ufficio presume che il contribuente abbia quel PVC o possa leggerlo, altrimenti la relazione non funzionerebbe. - D: Quando un avviso motivato per relationem è considerato legittimo?
R: In base alla legge e alla Cassazione, è legittimo se il documento richiamato è già noto al contribuente o comunque facilmente accessibile, oppure se l’avviso ne contiene un’adeguata sintesi che permette di capire le ragioni della pretesa . L’importante è che, leggendo l’avviso (e i documenti che eventualmente lo accompagnano), il contribuente possa comprendere pienamente il “perché” e il “come” dell’accertamento – cioè quali fatti concreti sono contestati (ad esempio: “tot ricavi non dichiarati, risultanti da fatture X, Y, Z”) e su quali basi giuridiche (ad esempio: “perché quei ricavi andavano dichiarati nell’anno tot”, ecc.). Se queste informazioni essenziali ci sono, l’avviso è motivato a dovere anche se rimanda per approfondimenti al documento esterno. - D: E quando invece l’avviso per relationem è illegittimo?
R: Lo è quando si limita a richiamare un atto senza metterne il contribuente in condizione di conoscerlo . Tipicamente: a) l’atto richiamato non era mai stato notificato o comunicato prima; b) non è allegato all’avviso; c) l’avviso non ne riporta praticamente nulla del contenuto, se non un generico rinvio. In tal caso il contribuente riceve un avviso “misterioso”, che dice “vedi quel documento (che però tu non hai) per sapere perché devi pagare”. Questo contrasta col dovere di motivazione. Esempi: un avviso IMU che dice solo “terreno rivalutato come da perizia prot. X” senza allegare la perizia né spiegare i valori – viziato. Oppure un avviso IVA che dice “fatture false come da verbale Gdf a carico di Caio” senza altro – viziato. In breve: se c’è un elemento fondamentale della motivazione che risiede solo in un atto esterno non fornito né conosciuto, l’avviso è passibile di annullamento . - D: Serve che l’avviso riporti per intero l’atto richiamato per essere a posto?
R: No, non necessariamente per intero. La legge parla di “contenuto essenziale” . Significa che l’avviso deve riportare quei passi dell’atto esterno che sono necessari a comprendere le ragioni della decisione adottata. In pratica deve estrarne gli elementi salienti: ad esempio, se dal verbale esterno emergono 3 riprese fiscali, l’avviso dovrebbe elencarle; se c’è una perizia che conclude con un certo valore, l’avviso deve indicare quel valore e magari i criteri usati a grandi linee. Non serve invece che riporti tutto il testo parola per parola (anche se a volte l’ufficio, per cautela, copia ampi stralci). L’importante è che chi legge l’avviso possa farsi un quadro compiuto senza dover indovinare cosa c’è scritto altrove . Una curiosità: la Cassazione ha detto che qualora l’avviso riporti già in sé le parti essenziali dell’altro atto, l’obbligo di allegazione cade, perché è come se quell’atto fosse già “dentro” l’avviso . - D: Se l’atto richiamato è una legge o una delibera pubblicata, va allegata?
R: No. Gli atti normativi in senso lato (leggi, decreti, regolamenti, delibere comunali pubblicate all’albo) non vanno allegati, perché si presume che siano conosciuti essendo pubblici . Ad esempio, se l’avviso IMU dice “aliquota applicata come da delibera comunale 10/2020”, non è che devono allegare la delibera: quella è un atto normativo secondario, pubblicato, quindi ufficialmente conoscibile. Diverso sarebbe se la delibera avesse allegati tecnici con valori specifici e il Comune ne pretendesse l’applicazione senza citarli: in tal caso dovrebbe riportare almeno i valori. Ma in generale, gli atti a contenuto generale o normativo fanno eccezione all’obbligo di allegazione. L’importante è che il contribuente sappia quale delibera o legge si sta applicando (ovviamente l’avviso deve citarla con precisione). Anche sentenze o prassi non vanno allegate, di solito: se l’atto per dire cita una sentenza per giustificare una certa interpretazione, non c’è obbligo di allegarla (è un elemento giuridico, non fattuale). - D: Se manca l’allegato dovuto o la motivazione è lacunosa, l’avviso è proprio nullo?
R: Sì, è annullabile dal giudice. Più correttamente, la legge riformata parla di “nullità-annullabilità” (tecnicamente annullabilità) per difetto di motivazione . In termini pratici: il contribuente deve fare ricorso eccependo questa mancanza; il giudice, se gli dà ragione, pronuncia l’annullamento dell’atto impugnato. Quindi l’atto viene eliminato e la pretesa fiscale decade. Non è una nullità auto-esecutiva (non è che l’atto è come se non esistesse fin da subito: se non fai ricorso, pur viziato, diventa definitivo!). Bisogna impugnare nei termini, altrimenti anche un atto motivato male diventa definitivo e dovuto. Però è una nullità insanabile una volta fatta valere: non c’è sanatoria successiva con la produzione in giudizio del documento mancante . Su questo, come spiegato, la Cassazione è ferma e ora anche la legge lo conferma: la motivazione va valutata al momento dell’emanazione dell’atto. - D: L’ufficio può difendersi in giudizio dicendo “ma tanto poi il documento gliel’ho mostrato”?
R: Può provarci, ma non è una difesa valida sul piano della legittimità dell’atto. Far vedere al contribuente o al giudice il documento dopo non toglie che al momento della notifica l’atto era deficitario. La Cassazione ha chiarito che la produzione tardiva serve al massimo per la prova del merito, ma non sana il vizio di motivazione . Dunque, se l’ufficio ha mancato di allegare un atto essenziale, il giudice dovrebbe comunque annullare l’avviso, anche se in giudizio quel documento viene esibito. L’unico caso in cui la produzione in giudizio rileva è quando c’è discussione sul se il documento fosse conosciuto: ad esempio, l’ufficio potrebbe allegare la copia del PVC firmata dal contribuente per dire “vedete, ce l’aveva, firma qui”. Ma quello prova la conoscenza originaria, non è un’integrazione postuma, bensì una prova che l’obbligo di allegazione non c’era. Quindi va tenuta distinta la produzione come prova della conoscenza (lecita) dalla produzione come tentativo di “integrare” la motivazione mancante (non ammesso). - D: Quali sono le sentenze più importanti sull’argomento?
R: Ci sono diverse pronunce di Cassazione che hanno fatto scuola. Possiamo citarne alcune: - Cass. n. 1464/2000: una delle prime a sancire l’obbligo di allegazione degli atti richiamati non conosciuti (in quel caso una stima UTE in materia d’imposta di registro) .
- Cass. n. 11722/2010: ha ribadito i limiti della motivazione per relationem dopo l’entrata in vigore dello Statuto, escludendo la necessità di allegare atti noti o con contenuto trascritto.
- Cass. n. 2614/2016: caso di avviso IVA rinviante a PVC di terzo non allegato, ha dato torto al fisco richiamando l’onere per il contribuente di provare la mancata conoscenza e la necessità del contenuto (principio poi sviluppato) .
- Cass. n. 9323/2017: ha definito compiutamente cosa si intende per “contenuto essenziale” da riprodurre e sottolineato l’importanza di permettere a contribuente e giudice di individuare nel documento richiamato gli elementi motivazionali .
- Cass. n. 12400/2018: (Sez. VI-5) ha rimarcato che un avviso privo di congrua motivazione è illegittimo e tale difetto non è sanabile in giudizio .
- Cass. n. 24417/2018: ha chiarito che l’obbligo di allegazione riguarda atti il cui contenuto non sia già essenziale nell’avviso, escludendo invece gli atti con funzione probatoria ma non motivazionale .
- Cass. n. 28756/2020: ordinanza molto citata, relativa a fatture false (caso O.S. srl), dove si afferma testualmente: “in tema di accertamento per relationem, la legittimità dell’avviso postula la conoscenza o conoscibilità da parte del contribuente dell’atto richiamato, purché il suo contenuto serva a integrare la motivazione”. Stabilisce anche che il contribuente che chiede l’annullamento deve provare che quell’atto era sconosciuto e indispensabile per la motivazione .
- Cass. n. 4176/2019: (ordinanza) altro caso, ribadisce stessi concetti (motivazione per relationem legittima se documenti noti o allegati).
- Cass. n. 31389/2024: (ord. Sez. V del 6/12/2024) caso ICI, importantissima perché accoglie il ricorso dei contribuenti e annulla avvisi per difetto di motivazione – come illustrato – affermando principi a tutela del contribuente .
- Cass. n. 27835/2025: (ord. Sez. V del 19/10/2025) caso di PVC noto – valido. Ribadisce la non confusione tra motivazione e prova, e che l’atto è valido se il contribuente conosceva i documenti base .
Oltre alle Cassazioni, anche molte Commissioni/CGT di merito hanno deciso in linea con questi principi, spesso citando le stesse. Ormai possiamo dire che il filone è consolidato.
- D: Cosa può fare il contribuente se riceve un avviso che ritiene motivato in modo insufficiente?
R: Deve assolutamente impugnarlo entro 60 giorni, sollevando il vizio di motivazione come motivo di ricorso. Nel ricorso indicherà chiaramente che l’atto non spiega adeguatamente le ragioni e viola l’art.7 L.212/2000. È sconsigliato ignorare l’atto sperando che la nullità sia rilevabile d’ufficio in futuro: se non impugni, l’avviso – ancorché viziato – diventa definitivo e dovrai pagarlo. Quindi la mossa giusta è il ricorso alla CGT. In parallelo può presentare un’istanza di autotutela all’Ufficio esponendo il problema, ma senza fare troppo affidamento che l’ente annulli da sé (succede raramente, ma tentar non nuoce). Durante il giudizio, porterà avanti le sue ragioni, e se ha colto nel segno il giudice annullerà l’atto. In caso contrario, potrà appellare e poi ricorrere in Cassazione. L’importante è non lasciar scadere i termini di ricorso. - D: Ma se l’accertamento viene annullato solo perché mancava un allegato, il Fisco poi può rifarlo?
R: Dipende dai termini di decadenza. L’annullamento per vizio formale non preclude teoricamente un nuovo accertamento sullo stesso presupposto, perché non c’è “giudicato sul merito” (non è stato accertato che i soldi non erano dovuti, ma solo che l’atto era illegittimo). Tuttavia, l’ufficio può emettere un nuovo avviso solo se è ancora entro i termini per accertare quell’annualità. Spesso non lo è: di solito gli avvisi arrivano verso fine termini. Esempio: avviso 2020 per l’anno 2015, notificato a fine 2020. Se annullato nel 2022, i termini per accertare il 2015 sono scaduti al 31/12/2020. Quindi fine. Ci sono però eccezioni: se l’accertamento originario era stato notificato prima della scadenza e il termine è prorogato di un anno in caso di mancata adesione (norma anti-adesione strumentale), potrebbe esserci ancora spazio; oppure se c’è raddoppio dei termini per reato tributario, etc. Diciamo che nella maggioranza dei casi un annullamento a posteriori chiude il discorso. Va segnalato che la nuova formulazione dell’art.7 Statuto prevede che “i fatti e mezzi di prova a fondamento dell’atto non possono essere successivamente integrati se non con un nuovo atto, ove ne ricorrano i presupposti e non siano maturate decadenze” . Quindi la legge stessa ora dice: puoi riprovarci con altro atto solo se ancora in tempo utile. Se i termini sono “maturi”, il Fisco deve rassegnarsi. - D: Ricevere un avviso del genere comporta conseguenze immediate, devo pagare subito?
R: Non immediatamente, ma attenzione ai tempi. L’avviso di accertamento oggi vale anche come atto di intimazione a pagare se non fai ricorso (accertamento esecutivo). Significa che se entro 60 giorni dal ricevimento non paghi né presenti ricorso, scaduto quel termine l’importo diventa esigibile: l’Agenzia può incaricare l’Agente della riscossione di riscuotere coattivamente. In pratica, ti arriverà dopo circa 30 giorni un’intimazione e poi la cartella o direttamente l’atto di pignoramento (la procedura è stata semplificata). Se invece presenti ricorso, la riscossione è sospesa solo parzialmente: l’Agenzia, dopo 60 giorni dall’avviso, può intanto chiedere un versamento provvisorio pari al 1/3 delle imposte accertate (con le sanzioni ridotte a 1/3). Il contribuente può evitare di pagare questo 1/3 chiedendo al giudice tributario la sospensione dell’atto, come spiegato prima. Se la ottiene, niente pagamento in pendenza di causa; se non la ottiene, potrebbe dover pagare quel terzo per evitare fermi, ipoteche ecc. In caso di vittoria finale, le somme versate verranno restituite con interessi. Quindi, ricapitolando: non devi pagare “domani”, ma muoverti subito sì (con il ricorso), e valutare la sospensione per evitare esecuzioni mentre la causa è in corso. - D: In conclusione, qual è il vantaggio di individuare un vizio di motivazione per relationem?
R: Il vantaggio è potenzialmente enorme: significa poter far annullare l’accertamento in toto per un vizio procedurale, evitando di entrare nel merito fiscale (dove magari la posizione era più difficile). È una specie di “vittoria a tavolino” del contribuente. Naturalmente non è una scappatoia artificiosa, ma il sacrosanto rispetto di una garanzia prevista dalla legge: la trasparenza delle motivazioni. Vincere su un vizio di forma come questo comporta che il contribuente non deve nulla di quanto richiesto (salvo il Fisco possa reiterare l’atto nei termini, cosa rara come detto). Inoltre può aver diritto alle spese legali rifuse. Insomma, è come annullare la multa perché il verbale è compilato male: non significa che non si sia commessa l’infrazione, ma l’atto non vale. Il nostro ordinamento prevede queste tutele proprio per evitare che l’amministrazione agisca in modo arbitrario o poco chiaro. Dunque, individuare un vizio di motivazione per relationem dà al contribuente un’arma molto efficace in giudizio. E anche quando la causa verte sul merito, aver sollevato questa eccezione può mettere pressione all’ufficio, che sa di aver commesso un vizio e potrebbe essere più propenso a una soluzione transattiva o a perdere su questo fronte. In definitiva, dal punto di vista “difensivo” del contribuente, controllare sempre se l’avviso è motivato correttamente è uno dei primi compiti: se c’è un errore in tal senso, va sfruttato per la difesa.
Conclusioni
L’avviso di accertamento motivato per relationem è uno strumento di accertamento molto utilizzato, ma presenta delicate implicazioni in termini di tutela del contribuente. La normativa italiana, rafforzata di recente, impone che il contribuente sia messo in grado di conoscere subito e chiaramente le ragioni dell’imposizione, anche quando esse risiedono in documenti esterni. La giurisprudenza – ormai consolidata – ha tracciato un quadro ben definito: la motivazione per relationem è legittima solo entro confini precisi (atti noti o contenuto essenziale riprodotto), mentre al di fuori di tali confini l’atto impositivo è affetto da vizio di motivazione e deve essere annullato .
Dal punto di vista pratico del contribuente (sia esso un privato o un’azienda), ciò significa che occorre prestare la massima attenzione alla struttura dell’avviso ricevuto: se l’Ufficio ha “dato per scontato” che taluni elementi fossero noti, ma così non è, il contribuente ha il diritto di far valere questa mancanza. Difendersi da un accertamento per relationem richiede quindi un approccio sia tecnico-giuridico (conoscere le norme e le sentenze chiave, come quelle esposte) sia strategico (valutare la convenienza di eccepire vizi formali vs. transare, come muoversi proceduralmente, ecc.).
Abbiamo visto come i recenti sviluppi normativi (D.Lgs. 219/2023) abbiano recepito in legge i principi giurisprudenziali, sancendo espressamente l’annullabilità degli atti non motivati in modo puntuale e vietando qualsiasi integrazione postuma della motivazione . Questo conferisce ancora maggiore forza alle difese del contribuente in sede di contenzioso: oggi l’argomento “mancava l’atto allegato” non è affatto un cavillo, bensì un elemento che il giudice non può ignorare, essendo previsto a chiare lettere come causa di invalidità.
In definitiva, il punto di vista del debitore fiscale dev’essere sempre vigile su come il Fisco costruisce le proprie pretese. Un avviso per relationem può sembrare ostico da leggere, ma spesso rivela subito se c’è qualcosa che non torna (perché magari non allega nulla o è vago). Consultare un esperto legale tributario è senz’altro la scelta opportuna in questi casi, per farsi guidare nel far valere i propri diritti. Come abbiamo visto negli esempi, far valere un vizio di motivazione può salvare il contribuente da imposte non dovute e lunghe cause sul merito. E anche laddove il vizio non c’è, conoscere le regole del gioco permette di concentrare la difesa sui fronti giusti (contestare i fatti, le prove, i calcoli).
In un sistema tributario avanzato, la motivazione dell’atto non è una mera formalità, ma il primo e fondamentale passo di garanzia verso il cittadino: è l’atto scritto con cui lo Stato spiega perché vuole più tasse. Esigere che questa spiegazione sia completa e accessibile è non solo un diritto del contribuente, ma contribuisce anche a un rapporto più leale e trasparente tra Fisco e contribuenti. Dunque, sapere come funziona un avviso di accertamento per relationem e come difendersi non è solo un esercizio accademico, ma uno strumento concreto di tutela dei propri interessi economici e giuridici.
Fonti e riferimenti
Normativa:
- Legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente) – Art. 7, Chiarezza e motivazione degli atti. (Testo ante e post riforma 2023: “Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto che non è già stato portato a conoscenza dell’interessato, lo stesso è allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale…”; come modif. da D.Lgs. 219/2023 ha aggiunto l’obbligo di esplicitare le ragioni dei dati richiamati) .
- D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 – Art. 42, Avviso di accertamento (imposte sui redditi). (Requisiti formali dell’avviso: sottoscrizione del capo ufficio e motivazione con indicazione dei fatti e delle norme. Comma 2: obbligo di allegazione dell’atto richiamato non conosciuto, salvo riproduzione contenuto essenziale) .
- D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 – Art. 56, Avviso di accertamento (IVA). (Prevede analogamente che l’accertamento IVA sia motivato e che se fa rinvio a verbali o altri atti, questi devono essere notificati o comunicati al contribuente).
- Legge 7 agosto 1990, n. 241 – Art. 3, Obbligo di motivazione. (Principio generale dell’attività amministrativa: ogni provvedimento dev’essere motivato con indicazione di presupposti di fatto e ragioni giuridiche. Non direttamente applicabile nel processo tributario post-riforma, ma rimane principio generale di trasparenza) .
- D.Lgs. 8 novembre 2023, n. 219 – (Attuazione riforma giustizia tributaria, ha modificato l’art.7 L.212/2000 e introdotto i commi 1-bis, 1-ter, 1-quater, nonché gli artt.7-bis ss. sul regime di invalidità degli atti tributari) .
- D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 – (Testo sul processo tributario, per gli aspetti procedurali di impugnazione: art. 21 sul termine di 60 giorni per il ricorso; art. 12 sulla difesa tecnica; art. 32 su produzione documenti; art. 61 e 62 su appello e cassazione, ecc.).
- Decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, art. 29 – (Ha introdotto l’accertamento esecutivo, prevedendo l’esecutività degli avvisi decorsi i termini di impugnazione, con obbligo di pagamento di 1/3 in pendenza di giudizio, ecc.).
Giurisprudenza (Corte di Cassazione):
- Cass., Sez. V, Sentenza 22/02/2002, n. 2527 – In materia di imposta di registro, afferma la nullità dell’avviso motivato per relationem con rinvio a stima UTE non conosciuta dal contribuente .
- Cass., Sez. V, Sentenza 17/10/2008, n. 25371 – Principio: atti normativi (es. delibere comunali) esclusi da obbligo di allegazione perché notori .
- Cass., Sez. V, Ordinanza 25/07/2012, n. 13105 – Conferma esclusione atti a contenuto normativo dall’obbligo di allegazione .
- Cass., Sez. V, Sentenza 10/02/2016, n. 2614 – In fattispecie di avviso per omessa fatturazione rinviante a PVC di terzo non allegato: ribadito che contribuente deve provare che l’atto era sconosciuto e necessario per la motivazione; richiamo di atti ignoti rende avviso illegittimo .
- Cass., Sez. VI-5, Ordinanza 11/04/2017, n. 9323 – Delinea il concetto di motivazione per relationem: l’avviso deve riprodurre il contenuto essenziale dell’atto richiamato, consentendo a contribuente e giudice di individuare con precisione le parti rilevanti di detto atto .
- Cass., Sez. V, Ordinanza 05/10/2018, n. 24417 – Chiarisce che l’obbligo di allegazione riguarda atti con funzione integrativa delle ragioni dell’accertamento, mentre non sussiste per atti meramente richiamati a fini probatori il cui contenuto sia già riportato nell’avviso .
- Cass., Sez. VI-5, Ordinanza 21/05/2018, n. 12400 – Sancisce che l’avviso privo di congrua motivazione è illegittimo e la motivazione mancante non può essere integrata in giudizio, data la natura impugnatoria del processo tributario .
- Cass., Sez. V, Ordinanza 13/02/2019, n. 4176 – (Richiamata da dottrina) Conferma orientamento sulla motivazione per relationem: legittima se atto noto al contribuente, onere del contribuente di provare la mancata conoscenza e rilevanza dell’atto non allegato.
- Cass., Sez. V, Ordinanza 16/12/2020, n. 28756 – O.S. s.r.l. vs Agenzia Entrate. Principio di diritto: “In tema di accertamento tributario per relationem, la legittimità dell’avviso postula la conoscenza o conoscibilità da parte del contribuente dell’atto richiamato, purché il suo contenuto serva ad integrare la motivazione dell’atto impositivo…”. Inoltre, definisce l’onere del contribuente di provare che l’atto era sconosciuto e conteneva elementi non riportati nell’avviso, necessari alla motivazione .
- Cass., Sez. V, Ordinanza 02/12/2022 (interlocutoria) – (Men. in ord. 2024) Trasferisce questione alla Sez. V da Sez. VI sul tema motivazione per relationem per approfondimento (nel caso ICI poi deciso con ord. 31389/2024) .
- Cass., Sez. V, Ordinanza 06/12/2024, n. 31389 – Eredi N. vs Comune di Vigevano (ICI). Importantissima: annulla avvisi ICI per difetto di motivazione, perché l’avviso richiamava una perizia e “contratti depositati” non allegati. Enuncia che art.7 L.212/2000 consente motivazione per relationem solo per atti non già integralmente conosciuti, a condizione di allegazione o riproduzione contenuto essenziale . Precisa che la successiva produzione in giudizio non sana il vizio originario . Esclude obbligo allegazione per atti normativi e irrilevanti . (Ordinanza integrale riportata in LexCED) .
- Cass., Sez. V, Ordinanza 19/10/2025, n. 27835 – Agenzia Entrate vs SRL (accert. IVA/IRES rettifica su PVC). Conferma validità di avviso per relationem se documento (PVC) già notificato al contribuente. Distingue piano della motivazione (formalità atto) dal piano della prova in giudizio . Sottolinea che mancata allegazione di documento noto non è vizio di motivazione ma attiene alla prova . (Ordinanza integrale riportata in LexCED) .
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👉 È un atto complesso e spesso controverso, perché si basa su documenti e processi verbali di verifica non allegati integralmente all’atto, ma “richiamati” come motivazione.
In questa guida scoprirai cosa significa “accertamento per relationem”, quando è legittimo e soprattutto come difenderti efficacemente se la motivazione è carente o irregolare.
💥 Cos’è un Avviso di Accertamento per Relationem
Un avviso di accertamento è detto “per relationem” quando l’Agenzia delle Entrate non riporta integralmente la motivazione o le prove nell’atto, ma le richiama da altri documenti, come:
- un processo verbale di constatazione (PVC) redatto dalla Guardia di Finanza;
- una verifica fiscale precedente;
- un rapporto informativo interno;
- o altri atti di indagine allegati al fascicolo.
📌 In sostanza, l’accertamento si fonda su documenti “relazionati” che il contribuente deve poter conoscere integralmente per esercitare il diritto di difesa.
⚖️ Quando è Legittimo un Accertamento per Relationem
L’Agenzia può motivare “per relationem” solo se rispetta alcuni requisiti fondamentali, stabiliti dalla giurisprudenza della Cassazione e dallo Statuto del Contribuente (art. 7, L. 212/2000):
- il documento richiamato deve essere identificato chiaramente (data, numero, autore);
- deve essere allegato all’atto o già notificato al contribuente;
- la motivazione deve consentire di comprendere le ragioni dell’accertamento;
- non può limitarsi a formule generiche (“si rinvia al PVC”).
📌 Se anche uno di questi elementi manca, l’avviso è nullo per difetto di motivazione.
💠 Esempi di Accertamento per Relationem
- Un accertamento IVA o IRES fondato sul verbale della Guardia di Finanza non allegato.
- Un atto motivato “per rinvio” a un rapporto tecnico interno non accessibile.
- Un avviso che cita documenti “acquisiti da terzi” senza renderli conoscibili.
- Un accertamento emesso prima della conclusione del contraddittorio previsto dal PVC.
📌 In tutti questi casi, il contribuente può contestare l’illegittimità dell’atto per violazione del diritto di difesa.
⚠️ Le Conseguenze di un Atto per Relationem
Un accertamento per relationem può determinare:
- 💰 Recupero di imposte IVA, IRPEF, IRES e relative sanzioni;
- ⚖️ Presunzioni di ricavi non dichiarati o costi indeducibili;
- 🏦 Avvio della riscossione coattiva dopo 60 giorni;
- 🚫 Blocco del conto, pignoramenti o ipoteche in caso di mancato pagamento.
📌 Ma se la motivazione è insufficiente o i documenti non sono allegati, l’atto può essere annullato dal giudice tributario.
🧩 Le Strategie di Difesa Possibili
1️⃣ Contestare il Difetto di Motivazione
Il contribuente ha diritto a conoscere tutti i documenti richiamati nell’atto.
Se non sono allegati o notificati, l’accertamento è nullo per violazione dell’art. 7 dello Statuto del Contribuente.
📌 Cassazione costante: “Il rinvio per relationem è legittimo solo se l’atto richiamato è allegato o già conosciuto dal contribuente”.
2️⃣ Eccepire la Mancanza di Contraddittorio
In caso di verifica fiscale, l’Agenzia deve consentire al contribuente di presentare osservazioni entro 60 giorni dal PVC prima di emettere l’accertamento.
Se non lo fa, l’atto è viziato per violazione del contraddittorio endoprocedimentale.
3️⃣ Richiedere l’Accesso agli Atti
Puoi chiedere all’Agenzia copia integrale dei documenti citati “per relationem” per verificare cosa contiene realmente il fascicolo.
📌 Se emergono discrepanze o documenti non notificati, la difesa può impugnare l’atto per difetto di conoscibilità.
4️⃣ Presentare Ricorso Tributario
Puoi impugnare l’avviso entro 60 giorni dalla notifica, chiedendo:
- la sospensione dell’esecuzione;
- la dichiarazione di nullità per difetto di motivazione;
- in subordine, la riduzione o rettifica delle somme accertate.
📌 Il giudice può sospendere gli effetti dell’atto anche entro 48 ore se il ricorso è fondato.
🧾 I Documenti da Consegnare Subito all’Avvocato
- Copia dell’avviso di accertamento ricevuto;
- PVC o verbali di verifica richiamati nell’atto;
- Comunicazioni precedenti dell’Agenzia o della Guardia di Finanza;
- Eventuali memorie difensive già inviate;
- Documenti contabili o bancari utili a confutare le contestazioni.
📌 L’avvocato analizzerà se i documenti richiamati sono effettivamente allegati o conoscibili, condizione indispensabile per la validità dell’atto.
⏱️ Tempi del Procedimento
- Accesso agli atti: risposta in circa 30 giorni;
- Ricorso tributario: da depositare entro 60 giorni dalla notifica;
- Sospensione cautelare: possibile in 48 ore;
- Decisione di merito: entro 6–12 mesi circa.
📌 Durante la sospensione, l’Agenzia non può riscuotere né avviare pignoramenti.
⚖️ I Vantaggi di una Difesa Legale Specializzata
✅ Annullamento per difetto di motivazione.
✅ Sospensione immediata della riscossione.
✅ Possibilità di ridurre o azzerare le somme contestate.
✅ Tutela del diritto di difesa e del principio di trasparenza.
✅ Assistenza completa in ogni grado di giudizio.
🚫 Errori da Evitare
❌ Ignorare la notifica dell’accertamento.
❌ Pensare che l’Agenzia abbia sempre ragione.
❌ Presentare ricorsi generici o privi di prove documentali.
❌ Non richiedere copia integrale dei documenti richiamati.
📌 Senza accesso agli atti, non puoi conoscere né contestare davvero il contenuto della pretesa fiscale.
🛡️ Come Può Aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza la motivazione e verifica se l’accertamento è nullo per relationem.
📌 Ti assiste nella richiesta di accesso agli atti e nel contraddittorio con l’Agenzia.
✍️ Redige e deposita il ricorso per annullamento o sospensione dell’atto.
⚖️ Ti rappresenta davanti alla Corte di Giustizia Tributaria in ogni grado di giudizio.
🔁 Ti segue fino alla chiusura definitiva della controversia o alla definizione agevolata.
🎓 Le Qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato cassazionista esperto in diritto tributario e contenzioso fiscale.
✔️ Specializzato in difesa contro avvisi di accertamento motivati per relationem.
✔️ Gestore della crisi da sovraindebitamento, iscritto presso il Ministero della Giustizia.
✔️ Esperienza pluriennale nella tutela di imprese e contribuenti contro Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza.
Conclusione
Un avviso di accertamento per relationem non è sempre legittimo: se i documenti richiamati non sono allegati o notificati, l’atto può essere annullato per difetto di motivazione.
Con un’adeguata difesa legale puoi bloccare la riscossione, contestare le presunzioni e tutelare i tuoi diritti fiscali.
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