Accertamento Integrativo: Cos’è e Come Difendersi Con l’Avvocato

Hai ricevuto un accertamento integrativo dall’Agenzia delle Entrate e non capisci perché ti venga contestato un nuovo importo dopo un precedente accertamento?
Si tratta di una particolare forma di verifica fiscale con cui l’Amministrazione, dopo aver già notificato un primo accertamento, riapre il procedimento per rettificare o integrare il reddito, quando emergono nuovi elementi di prova o informazioni aggiuntive.
L’accertamento integrativo, però, è legittimo solo in casi specifici e può essere annullato se emesso in assenza dei requisiti previsti dalla legge. Con l’aiuto di un avvocato esperto in diritto tributario è possibile bloccare la nuova pretesa fiscale e far valere i propri diritti.

Cos’è l’accertamento integrativo

L’accertamento integrativo è un atto emesso dall’Agenzia delle Entrate ai sensi dell’art. 43, comma 3, del DPR 600/1973 (per le imposte sui redditi) e dell’art. 57, comma 3, del DPR 633/1972 (per l’IVA).
Serve all’Agenzia per integrare o modificare un accertamento già notificato, quando successivamente vengono scoperti nuovi elementi che provano un reddito o un’imposta non dichiarata.

In sostanza, il Fisco può emettere un nuovo avviso solo se:

  • emergono fatti o prove nuovi non conosciuti al momento del primo accertamento;
  • questi elementi sono rilevanti ai fini della tassazione;
  • viene rispettato il termine di decadenza ordinario (generalmente 5 anni).

L’accertamento integrativo, dunque, non può servire a correggere errori del Fisco o a rafforzare una vecchia pretesa già impugnata, ma solo a integrare l’imposizione su basi nuove e concrete.

Quando l’Agenzia delle Entrate può emettere un accertamento integrativo

Il nuovo accertamento può essere emesso solo se l’Ufficio dimostra di aver acquisito elementi realmente nuovi rispetto al primo atto. Alcuni esempi:

  • controlli bancari o indagini finanziarie successive;
  • verbali della Guardia di Finanza ricevuti dopo il primo accertamento;
  • nuove informazioni da altri enti (INPS, INAIL, Dogane, Anagrafe Tributaria);
  • documenti contabili o contratti prima sconosciuti all’Ufficio.

Se l’Agenzia utilizza dati o elementi già noti o già in suo possesso al momento del primo accertamento, il secondo atto è illegittimo e può essere impugnato davanti alla Corte di Giustizia Tributaria.

Differenza tra accertamento integrativo e accertamento modificativo

  • L’accertamento integrativo introduce nuovi elementi di reddito o imponibile.
  • L’accertamento modificativo si limita invece a correggere errori materiali o di calcolo dell’atto originario.

Entrambi richiedono una motivazione chiara e la dimostrazione che l’Ufficio agisce entro i termini e nei limiti di legge.

Quando un accertamento integrativo è nullo o impugnabile

L’accertamento integrativo può essere annullato se presenta uno dei seguenti vizi:

  • mancanza di nuovi elementi effettivi (ripetizione dei vecchi rilievi);
  • violazione del principio di motivazione (l’Agenzia non spiega quali sono le nuove prove e quando sono emerse);
  • decadenza dei termini di accertamento (5 o 7 anni a seconda del tributo);
  • mancato rispetto del contraddittorio preventivo con il contribuente;
  • duplicazione di imposta sugli stessi redditi già oggetto del primo accertamento;
  • assenza di competenza territoriale dell’ufficio emittente.

In tutti questi casi, il contribuente può ottenere l’annullamento dell’atto davanti al giudice tributario.

Cosa deve contenere un accertamento integrativo valido

Per essere legittimo, l’accertamento integrativo deve riportare in modo chiaro:

  • la motivazione che giustifica la nuova emissione;
  • l’indicazione specifica dei nuovi elementi scoperti e la loro provenienza;
  • il collegamento con il precedente accertamento;
  • la data e la firma del funzionario competente;
  • il rispetto dei termini di decadenza.

Se anche uno di questi elementi manca, l’atto è viziato e impugnabile.

Come difendersi da un accertamento integrativo

Un avvocato esperto in diritto tributario e accertamenti fiscali può predisporre una difesa efficace, verificando:

  • se i nuovi elementi sono davvero “nuovi” o già conosciuti dall’Agenzia;
  • se il termine di decadenza è stato rispettato;
  • se l’Agenzia ha motivato adeguatamente l’atto e rispettato il contraddittorio;
  • se vi è una duplicazione di imposta rispetto all’accertamento precedente.

In base a queste verifiche, l’avvocato può:

  • impugnare l’avviso di accertamento davanti alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni dalla notifica;
  • chiedere la sospensione cautelare per bloccare la riscossione immediata;
  • richiedere l’annullamento totale o parziale dell’accertamento;
  • negoziare un accertamento con adesione per ridurre sanzioni e interessi.

Le strategie difensive più efficaci

  1. Contestare la mancanza di nuovi elementi: dimostrando che l’Agenzia usa dati già disponibili al momento del primo accertamento.
  2. Evidenziare la decadenza dei termini: se l’atto arriva oltre il quinto anno successivo alla dichiarazione.
  3. Richiedere la sospensione cautelare: per evitare cartelle e pignoramenti.
  4. Invocare la giurisprudenza della Cassazione: che ha più volte dichiarato nulli gli accertamenti integrativi basati su elementi non nuovi (Cass. n. 2485/2017, n. 2787/2020).

Come scegliere l’avvocato giusto per un accertamento integrativo

Affrontare un accertamento integrativo richiede competenze giuridiche e fiscali elevate. Ecco i criteri per scegliere il professionista adatto:

  • Specializzazione in diritto tributario e contenzioso fiscale;
  • Esperienza diretta in accertamenti integrativi, induttivi e presuntivi;
  • Collaborazione con commercialisti o revisori contabili, per l’analisi tecnica dei nuovi elementi;
  • Conoscenza aggiornata della giurisprudenza tributaria e dei termini di decadenza;
  • Capacità di gestione del contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate per risolvere la controversia anche in via preventiva.

Cosa succede se non ti difendi

Ignorare un accertamento integrativo o rispondere senza assistenza legale può portare a:

  • iscrizione a ruolo delle somme e cartelle esattoriali esecutive;
  • pignoramenti e ipoteche su conti e beni;
  • sanzioni elevate e interessi;
  • perdita del diritto di impugnazione entro 60 giorni.

Un’azione tempestiva, invece, consente di bloccare la riscossione e far valere la mancanza di nuovi elementi o la decadenza dei termini.

Quando rivolgersi a un avvocato

Devi contattare un avvocato se:

  • hai ricevuto un accertamento integrativo dopo un primo avviso di accertamento;
  • vuoi verificare se esistono davvero nuovi elementi o se l’Agenzia ha abusato dello strumento;
  • desideri impugnare l’atto e sospendere la riscossione;
  • ti serve assistenza per un accertamento con adesione o una definizione agevolata.

Un avvocato esperto in diritto tributario e contenzioso fiscale può:

  • controllare la legittimità dell’accertamento;
  • impugnare l’atto e chiedere la sospensione;
  • dimostrare l’assenza di nuovi elementi o la decadenza dei termini;
  • ottenere l’annullamento o la riduzione della pretesa fiscale.

⚠️ Attenzione: l’Agenzia delle Entrate può emettere un accertamento integrativo solo in presenza di reali elementi nuovi. Se usa dati già noti o scaduti, l’atto è illegittimo e annullabile. Con l’assistenza di un avvocato tributario esperto puoi bloccare la riscossione, impugnare l’avviso e proteggere la tua posizione fiscale.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, contenzioso fiscale e difesa contro gli accertamenti integrativi – spiega cos’è un accertamento integrativo, quando è valido o nullo e come difendersi con l’aiuto di un avvocato specializzato.

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Introduzione

L’accertamento integrativo è un avviso di accertamento “supplementare” che l’Agenzia delle Entrate può notificare al contribuente per lo stesso periodo d’imposta già accertato, allo scopo di integrare o aumentare la pretesa fiscale originaria . In altre parole, dopo un primo avviso di accertamento (ad esempio per l’anno 2020), l’Ufficio finanziario può emetterne un secondo sul medesimo anno se sopraggiungono nuovi elementi di evasione o imponibile non conosciuti in precedenza. Questo strumento, disciplinato dall’art. 43, comma 3, del D.P.R. 600/1973 per le imposte dirette e dall’art. 57, comma 4, del D.P.R. 633/1972 per l’IVA , consente al Fisco di rettificare in aumento un accertamento già notificato, ma è soggetto a condizioni rigorose a tutela del contribuente.

Nel prosieguo di questa guida analizzeremo cos’è l’accertamento integrativo dal punto di vista giuridico e pratico, quali sono i presupposti di legittimità e i limiti oltre i quali l’atto è nullo, e soprattutto come difendersi efficacemente. Verranno esaminate sia le strategie “deflative” (ossia le soluzioni amministrative per evitare il giudizio: autotutela, accertamento con adesione, reclamo/mediazione), sia i rimedi giudiziari (ricorso alle Corti di Giustizia Tributaria – ex Commissioni Tributarie – in primo e secondo grado, e ricorso per Cassazione). Il tutto con un taglio avanzato, riferimenti normativi aggiornati al 2025, e il supporto di sentenze recenti e casi pratici utili per avvocati, imprenditori e privati. L’ottica sarà quella del contribuente (debitore d’imposta) che si vede recapitare un accertamento integrativo e vuole capire come tutelare i propri diritti, annullando o riducendo un’eventuale pretesa illegittima.

Che cos’è un Accertamento Integrativo e in cosa differisce dagli altri

L’accertamento integrativo rientra tra le forme “speciali” di accertamento tributario che derogano al principio generale di unicità dell’azione accertatrice. In via ordinaria, infatti, una volta notificato un accertamento, l’ufficio esaurisce il suo potere impositivo per quel periodo d’imposta: non può ritornare una seconda volta sui medesimi elementi già contestati . Proprio per garantire certezza nei rapporti giuridici, vige la regola secondo cui l’Amministrazione finanziaria “esaurisce” il proprio potere impositivo su tutti gli elementi noti o conoscibili al momento del primo accertamento .

L’accertamento integrativo costituisce un’eccezione a tale regola: è infatti ammesso solo quando emergano elementi nuovi, effettivamente sopravvenuti dopo l’emissione del primo avviso . In tal caso, l’Ufficio può notificare un secondo avviso (o anche ulteriori, finché i termini non decadono) che non annulla né sostituisce il precedente, ma aggiunge una pretesa fiscale ulteriore per lo stesso tributo e anno d’imposta . Il primo accertamento resta valido; il secondo interviene in aggiunta, limitatamente ai nuovi fatti scoperti in seguito.

Da quanto detto, si comprende che l’accertamento integrativo si distingue nettamente sia dagli accertamenti “parziali” sia dalle rettifiche in autotutela:

  • Accertamento parziale (art. 41-bis D.P.R. 600/1973): è un primo accertamento “limitato” ad alcuni rilievi o a specifiche fonti (es. un controllo bancario, una segnalazione) e non copre interamente la posizione fiscale del periodo . Proprio perché parziale, la legge consente all’Agenzia ulteriori interventi sul medesimo anno senza dover dimostrare elementi nuovi: l’avviso successivo, infatti, non è considerato un integrativo in senso tecnico ma un ulteriore accertamento possibile “senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice” entro i termini . In pratica, se il primo avviso è emesso come accertamento parziale (viene esplicitamente indicato ex art. 41-bis), l’ufficio può emetterne un secondo sullo stesso anno anche basandosi su fatti già noti, purché diversi da quelli esaminati nel primo atto . Il secondo avviso in tal caso non richiede la specifica indicazione di elementi sopravvenuti nuovi. Questo meccanismo viene spesso utilizzato dal Fisco per “tenersi aperta la porta” a integrazioni: ad esempio contestando intanto alcuni redditi con un parziale, riservandosi di contestarne altri successivamente .
  • Accertamento integrativo (art. 43, c.3 D.P.R. 600/1973): si ha invece quando il primo avviso non era qualificato come parziale (dunque era un accertamento “ordinario” completo) e poi ne viene emesso un secondo proprio in base a sopravvenuti elementi nuovi . In tal caso vige l’obbligo di indicare espressamente nell’atto integrativo quali siano tali nuovi elementi e come l’ufficio ne è venuto a conoscenza, a pena di nullità . Se manca questa indicazione puntuale, l’atto è illegittimo per difetto di motivazione. In sostanza, dopo un accertamento “non parziale” l’Amministrazione non può semplicemente rivedere o correggere la propria pretesa: può riaprire la partita solo portando informazioni aggiuntive prima ignote e motivando adeguatamente al contribuente il perché della nuova richiesta.
  • Autotutela sostitutiva (ora limitata): si tratta della facoltà dell’ufficio di annullare in autotutela un proprio avviso viziato (ad es. perché contiene errori di calcolo o di diritto) ed emetterne un altro in sostituzione, eventualmente anche più oneroso. Questo strumento in passato è stato dibattuto: la Corte di Cassazione a Sezioni Unite nel 2024 ne aveva sancito l’ammissibilità, ritenendo che, entro i termini di accertamento e prima del giudicato, l’ufficio possa ritirare un atto viziato e sostituirlo con altro anche per maggior imponibile basandosi sugli stessi elementi già considerati . In quel caso (autotutela “in malam partem”) non occorrono “nuovi elementi”, perché si sta solo rivalutando diversamente la medesima situazione di fatto . La differenza rispetto all’integrativo è evidente: nell’autotutela sostitutiva il primo atto viene proprio annullato dall’ufficio e rimpiazzato, mentre l’integrativo lascia intatto il primo e gli si “affianca” con una richiesta aggiuntiva . Tuttavia, attenzione: a partire dal 2024 questa possibilità è fortemente limitata dalla legge. Il D.Lgs. 5 agosto 2023 n. 119 (riforma fiscale) ha introdotto nello Statuto del Contribuente l’art. 10-quater, che vieta all’ufficio di emettere in autotutela atti peggiorativi per il contribuente, salvo riemettere atti correttivi a favore in caso di errore materiale . Dunque oggi l’ufficio può sì annullare un proprio avviso illegittimo, ma solo per eliminarlo o rettificarlo in melius; non può più “rimangiarsi” un accertamento leggero per farne uno più pesante in assenza di fatti nuovi. Questa riforma del 2023–2024 rafforza molto il principio di unicità dell’accertamento e di fatto obbliga il Fisco a rispettare la regola dei nuovi elementi sopravvenuti se vuole integrare una pretesa . In altre parole, ciò che non sta in piedi come accertamento parziale o integrativo legittimo, non può essere recuperato per altra via.

In sintesi, l’accertamento integrativo “puro” è quello in cui: (a) c’era già stato un accertamento completo su un certo anno, (b) successivamente l’ufficio scopre qualcosa di nuovo, e (c) notifica quindi un secondo avviso indicando tali novità. Esso va distinto dall’ipotesi di accertamento parziale (che può essere seguito da altri avvisi senza prova di novità) e dall’ipotesi – ormai residua – di autotutela sostitutiva (oggi ammessa solo in bonis per il contribuente). Comprendere queste differenze è cruciale, perché la strategia difensiva cambia a seconda dei casi: ad esempio, contestare la mancanza di nuovi elementi è un’ottima difesa contro un integrativo, mentre sarebbe inutile contro un secondo avviso emesso a valle di un primo accertamento dichiarato “parziale”. Un avvocato esperto verificherà dunque innanzitutto che tipo di atto ha emesso l’ufficio e su quali basi, per identificare subito i possibili vizi formali e sostanziali.

Presupposti di legittimità dell’Accertamento Integrativo

Affinché un avviso di accertamento integrativo sia legittimo, devono sussistere tutte le seguenti condizioni (stabilite dalla legge e dalla giurisprudenza consolidata):

  • 1) Nuovi elementi sopravvenuti: l’accertamento può essere integrato solo se l’ufficio viene a conoscenza di fatti, dati o prove nuovi dopo la notifica del primo avviso . Questo è il cuore dell’istituto. I “nuovi elementi” vanno intesi sotto due profili:
  • Profilo temporale: l’elemento deve essere emerso successivamente all’emissione dell’atto originario . Non conta se il fatto era già esistente in sé (es. un conto bancario c’era anche prima), ciò che rileva è la conoscenza da parte dell’ufficio: deve trattarsi di informazioni non possedute né conoscibili con diligenza dall’ufficio durante l’istruttoria che ha portato al primo accertamento . Ad esempio, se dopo il primo accertamento arriva all’Agenzia una segnalazione della Guardia di Finanza, o se nuove verifiche bancarie svolte in seguito trovano movimenti prima ignoti, questi sono elementi temporalmente sopravvenuti. Viceversa, se l’elemento era già noto o facilmente accessibile all’Amministrazione finanziaria prima, non può giustificare un integrativo . La Cassazione n. 22825/2025 ha ribadito che l’integrativa è un’eccezione: “una volta notificato un accertamento, il potere impositivo si esaurisce per tutti gli elementi noti o conoscibili”, per cui solo “la sopravvenuta conoscenza di elementi effettivamente nuovi” consente un secondo atto .
  • Profilo oggettivo: l’elemento nuovo dev’essere rilevante sul piano impositivo, cioè idoneo a determinare un maggior reddito imponibile o imposta rispetto a quanto già accertato . Non basta un dettaglio marginale o un diverso parere su fatti noti. Deve trattarsi di informazioni aggiuntive e diverse da quelle considerate nel primo avviso , tali che incidano sul presupposto d’imposta (ad esempio redditi ulteriori non dichiarati, costi fittizi ulteriori scoperti, operazioni prima ignote, etc.). Non costituisce “elemento nuovo” – ed è quindi illegittimo l’integrativo – una mera “rivalutazione o più approfondita valutazione” di documenti già esaminati in precedenza . Su questo punto la giurisprudenza è ferma: un secondo accertamento non può basarsi su elementi già acquisiti nel primo, semplicemente riletti con più attenzione o con un’interpretazione diversa, perché ciò violerebbe il principio del ne bis in idem tributario e la stabilità dei rapporti . Ad esempio, è illegittimo un integrativo che pretenda nuove imposte riesaminando le stesse fatture o gli stessi conti già vagliati, magari contestando ora ciò che prima l’ufficio aveva omesso di contestare. In tal caso l’atto verrebbe annullato in quanto fondato “esclusivamente su una rivalutazione di fatti già noti … priva di qualsiasi elemento sopravvenuto” .
  • 2) Specifica indicazione in motivazione: l’avviso integrativo deve motivare espressamente in cosa consistono i nuovi elementi e come/quando l’ufficio ne è venuto a conoscenza . Questa indicazione puntuale è richiesta a pena di nullità dall’art. 43, co.3 D.P.R. 600/73. In pratica il secondo atto deve contenere un paragrafo dedicato ai “nuovi elementi sopravvenuti”, in cui l’ufficio elenca le nuove fonti (es. “dall’esame dei conti correnti XY emergono ulteriori ricavi non dichiarati” oppure “dal PVC della Gdf del [data] sono risultate fatture false ulteriori”, etc.) e chiarisce che tali elementi non erano stati considerati prima. Se questa motivazione manca o è generica, l’accertamento integrativo è nullo per difetto di motivazione . Ad esempio, un integrativo che si limiti a rideterminare il reddito senza menzionare alcun fatto nuovo concreto è annullabile perché non consente al contribuente di capire la ragione aggiuntiva della pretesa. Anche su questo aspetto vi sono pronunce: la Cassazione ha annullato avvisi integrativi completamente privi del riferimento a elementi sopravvenuti, sancendone la nullità per violazione dell’art. 43 . Dunque, verificare sempre se nell’atto sono indicati chiaramente i “nuovi elementi” e le fonti: se no, è un primo motivo di ricorso.
  • 3) Rispetto dei termini di decadenza: l’accertamento integrativo va notificato entro i medesimi termini previsti per un accertamento “normale” relativo a quell’anno. Il fatto che ci sia stato un primo avviso non estende né interrompe i termini: non esiste una “proroga” speciale per l’integrativo . In concreto, i termini attualmente vigenti (dopo la riforma dei termini introdotta dalla L. 208/2015) sono: 31 dicembre del 5° anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (se la dichiarazione per l’anno in questione è stata regolarmente presentata), oppure 31 dicembre del 7° anno successivo se la dichiarazione di quell’anno omessa o nulla . La tabella seguente riepiloga i termini ordinari di decadenza per gli accertamenti fiscali (applicabili anche agli integrativi):
Periodo d’impostaDichiarazione presentata?Termine decadenza accertamento (Agenzia Entrate)
Fino al 2015Sì (valido fino al 2015)4º anno successivo (es: 31/12/2020 per il 2015)
Fino al 2015No (omessa o nulla)5º anno successivo (es: 31/12/2021 per il 2015)
Dal 2016 in poiSì (nuova regola dal 2016)5º anno successivo (es: 31/12/2025 per il 2019)
Dal 2016 in poiNo (omessa o nulla)7º anno successivo (es: 31/12/2026 per il 2019)

Nota: la modifica introdotta dalla legge di Stabilità 2016 ha esteso di un anno i termini ordinari, passando da 4 a 5 anni (dich. presentata) e da 5 a 7 anni (dich. omessa) per i periodi dal 2016 in avanti . Ne è derivato un regime transitorio: ad esempio, l’anno d’imposta 2015 (dichiarazione 2016) si è prescritto al 31/12/2020 (4º anno), mentre l’anno d’imposta 2016 (dichiarazione 2017) si prescrive al 31/12/2023 (5º anno) se la dichiarazione era presentata, ovvero al 31/12/2024 (7º anno) se omessa . Eventi eccezionali possono aver prorogato singoli termini (ad es. la sospensione Covid nel 2020 aggiunse 85 giorni ai termini in scadenza nel 2020), ma al 2025 tali effetti straordinari sono ormai esauriti. Inoltre, se il contribuente presenta una dichiarazione integrativa a proprio favore (per correggere errori che riducono l’imposta) l’Amministrazione ha un anno in più limitatamente agli elementi integrati (art. 43-bis D.P.R. 600/73) .

Un accertamento integrativo notificato oltre il termine di decadenza è radicalmente nullo. Ad esempio, per l’anno d’imposta 2019 (dichiarazione presentata nel 2020) il termine ultimo era il 31 dicembre 2025: un avviso integrativo spedito nel 2026 sarebbe decaduto, anche se il primo accertamento era stato notificato magari nel 2023 . La decadenza va eccepita dal contribuente nel ricorso iniziale, indicando la data di notifica dell’atto e confrontandola col termine legale.

  • 4) (Dal 2024) Rispetto del contraddittorio endoprocedimentale: un’ulteriore condizione di legittimità è stata introdotta dalla riforma del 2023. Oggi la maggior parte degli accertamenti, integrativi compresi, deve essere preceduta da un “invito al contraddittorio” rivolto al contribuente, salvo eccezioni specifiche . In base al nuovo art. 6, comma 3-bis, dello Statuto del Contribuente (L. 212/2000, inserito dal D.Lgs. 218/2023), l’ufficio finanziario deve attivare un confronto con il contribuente prima di emettere l’avviso, inviandogli una comunicazione con i motivi dell’accertamento proposto e consentendogli di presentare osservazioni entro 60 giorni . Questo obbligo dal 2024 è generalizzato a tutti gli accertamenti “a tavolino” (quindi in assenza di verifica già conclusa con PVC), mentre negli accertamenti scaturiti da PVC di solito il contraddittorio è già garantito dal termine di 60 giorni dalla consegna del PVC stesso. In pratica, per un avviso integrativo l’iter ora dovrebbe essere: l’ufficio invia un invito al contraddittorio con allegata una bozza di atto integrativo e l’indicazione dei nuovi rilievi; il contribuente ha 60 giorni per controdedurre o aderire; trascorsi i 60 giorni (o in caso di urgenza, anche prima, ma solo se il termine di decadenza cadeva entro quel periodo, nel qual caso l’ufficio può notificare subito l’atto ma deve comunque garantire i 60 giorni di tempo per le osservazioni) , l’ufficio emette l’accertamento definitivo tenendo conto delle risposte ricevute. Se l’invito obbligatorio non viene fatto, l’atto emesso è affetto da annullabilità per violazione del contraddittorio, che il contribuente potrà far valere in giudizio (è un vizio relativo da eccepire a pena di decadenza, non rilevato d’ufficio) . Questo aspetto è nuovo e incide anche sugli integrativi: ad esempio, se un integrativo del 2025 arriva senza alcun preavviso e non era solo una continuazione di un precedente PVC, vi è motivo per eccepire l’omesso contraddittorio obbligatorio. Vale la pena di sottolineare che durante il contraddittorio l’ufficio invita spesso contestualmente a considerare un eventuale accertamento con adesione: il contribuente infatti può sfruttare la fase di interlocuzione per ottenere magari uno sgravio parziale in adesione ed evitare il contenzioso.

Riassumendo i principi di diritto sul punto, possiamo dire che:

«l’accertamento integrativo, previsto dall’art. 43, D.P.R. 600/1973 (e art. 57 D.P.R. 633/1972), rappresenta un’eccezione alla regola del “una volta accertato, è finita” e richiede quindi la sopravvenuta conoscenza di elementi effettivamente nuovi. Non è ammessa una rivalutazione di elementi già acquisiti, né un mero ricalcolo più approfondito di ciò che era noto, perché il potere impositivo residuo dell’ufficio si limita ai fatti nuovi. L’atto integrativo deve indicare specificamente tali elementi sopravvenuti e rispettare i termini di decadenza. Dal 2024, inoltre, la mancata attivazione del contraddittorio endoprocedimentale nei casi dovuti costituisce vizio procedurale che rende annullabile l’atto su eccezione del contribuente» .

Accertamento Integrativo dopo un Accertamento con Adesione: cosa si può (e non si può) fare

Un caso particolare merita attenzione: cosa succede se il primo accertamento è stato definito in adesione dal contribuente (ossia si è raggiunto un accordo transattivo con l’ufficio ai sensi del D.Lgs. 218/1997)? L’adesione perfezionata ha natura di accordo definitivo sulle materie contestate in quell’avviso, con efficacia assimilabile a un accertamento divenuto definitivo. Il contribuente, firmando l’adesione e pagando, rinuncia al ricorso e “chiude” la controversia su quei rilievi.

Tuttavia, ciò non impedisce in assoluto all’Amministrazione finanziaria di effettuare ulteriori accertamenti sullo stesso anno. Bisogna distinguere due situazioni:

  • Se l’accertamento definito in adesione era di tipo parziale (ex art. 41-bis), la legge prevede esplicitamente che la definizione non preclude la possibilità di altri accertamenti sul medesimo periodo d’imposta per altri elementi (art. 2, co. 4, lett. b) D.Lgs. 218/97) . Quindi, ad esempio, se una società ha definito con adesione un primo avviso parziale sui ricavi non dichiarati, l’ufficio può successivamente notificare un altro avviso (anche questo parziale) per altre poste, come costi indeducibili, senza dover dimostrare la sopravvenuta novità. In sostanza, l’adesione su un parziale non “blindatura” completamente l’annualità: ulteriori contestazioni indipendenti sono consentite ex lege. La Cassazione – Ordinanza n. 788/2025 – ha proprio confermato che nel caso di accertamento parziale definito con adesione, un secondo avviso (parziale) sullo stesso anno è lecito senza nuovi elementi, trattandosi di altra materia imponibile non coperta dall’accordo .
  • Se invece l’accertamento definito era un accertamento completo (non parziale), allora vale la regola generale: la definizione copre tutti gli elementi noti, e quindi l’ufficio potrà tornare sullo stesso anno solo se emergono nuovi elementi rilevanti (situazione corrispondente alla lettera a) dell’art. 2, co.4 D.Lgs. 218/97) . In mancanza di novità, l’adesione definitiva preclude ulteriori accertamenti su quel tributo e anno, perché l’accordo ha efficacia di giudicato sull’imponibile accertato. Dunque, accertamento “pieno” definito → integrativo ammesso solo con nuovi elementi sopravvenuti.

Va segnalato inoltre che la norma (art. 2, co.4 citato) contiene anche un’ipotesi (lett. c) relativa a soggetti collegati: la definizione dell’accertamento su un soggetto non impedisce accertamenti correlati su altri soggetti per lo stesso fatto. Ad esempio, se un socio di società di persone definisce in adesione il maggior reddito da partecipazione, ciò non impedisce all’ufficio di accertare la società di persone per adeguare il reddito di questa e viceversa ; oppure, se un accertamento IRPEF viene definito, l’ufficio può ancora emettere un accertamento IVA relativo ai medesimi fatti se quel tributo non era compreso nell’accordo . L’adesione, insomma, non ha natura di “transazione generale” che estingue ogni pretesa potenziale: ha effetto limitato a ciò che era contestato in quell’atto e su quel contribuente.

Esempio pratico: Tizio, imprenditore individuale, riceve nel 2022 un avviso di accertamento per l’anno 2019 e lo definisce con adesione (accettando un certo maggior reddito). Nel 2024 la Guardia di Finanza scopre ulteriori ricavi 2019 di Tizio non emersi prima. In questo caso, l’Agenzia può notificare un accertamento integrativo per il 2019 basato su tali nuove scoperte, poiché sono elementi sopravvenuti e l’adesione precedente riguardava altri rilievi. L’atto dovrà specificare i nuovi elementi (ad es. “ulteriori ricavi risultanti da indagini bancarie effettuate nel 2023”) e rispettare i termini (31/12/2025). Se invece l’ufficio tentasse di emettere un secondo avviso per il 2019 senza alcun fatto nuovo, magari rivalutando diversamente documenti contabili che già possedeva nel 2022 durante l’adesione, tale avviso sarebbe illegittimo. In passato, Cass. 21992/2015 annullò proprio un integrativo post-adesione in cui l’ufficio aveva solo “cambiato idea” su elementi già noti . Viceversa, Cass. 10817/2023 ha ritenuto legittimo un integrativo dopo adesione fondato su un nuovo PVC della G. di Finanza (dunque su prove sopravvenute) .

In pratica, se avete definito un avviso, potete stare ragionevolmente tranquilli che non arriveranno altri accertamenti sullo stesso anno a meno che non saltino fuori cose davvero nuove (evasioni ulteriori sfuggite al primo controllo). È buona norma, al momento di firmare un verbale di adesione, chiedere chiarimenti all’ufficio: spesso viene inserita una clausola che dichiara che l’accordo riguarda solo certi rilievi e “non preclude l’emissione di ulteriori atti ai sensi dell’art. 2, co.4” . Sapere questo in anticipo aiuta a non avere sorprese. In sede di adesione, se possibile, conviene cercare di estendere l’accordo a tutti gli aspetti noti in quel momento, anche chiedendo all’ufficio se vi sono altre verifiche in corso, così da magari attendere e definire tutto insieme . In ogni caso, in presenza di un accertamento integrativo dopo adesione, valgono tutte le tutele già viste: l’atto dovrà comunque rispettare la presenza di nuovi elementi sopraggiunti dopo l’adesione e non coperti da essa, altrimenti il contribuente avrà ottime chance di far annullare l’atto per violazione dell’accordo e assenza di novità .

Vizi e motivi di nullità dell’Accertamento Integrativo

Riassumendo quanto sopra, i principali vizi che possono affliggere un accertamento integrativo – e che costituiscono armi difensive importanti per il contribuente – sono i seguenti:

  • Mancanza di nuovi elementi sopravvenuti: se l’atto si basa in realtà su elementi già noti all’ufficio al momento del primo accertamento (o comunque già esaminati), è illegittimo. Questo è forse il motivo di ricorso più incisivo: dimostrare che quanto contestato nell’integrativo era già ricompreso o conoscibile in precedenza. Ad esempio, se il secondo avviso contesta costi non dedotti che erano chiaramente indicati nel bilancio che l’ufficio aveva già analizzato durante la prima verifica, non c’è vera novità. La Cassazione n. 22825/2025 ha sottolineato che, notificato un primo accertamento, il potere ulteriore è “deroga” e pertanto “subordinato alla sopravvenuta conoscenza di elementi effettivamente nuovi, non potendo giustificarsi con una diversa o più approfondita valutazione del materiale probatorio già acquisito” . Inoltre, ha chiarito che l’onere di provare la novità di tali elementi grava sull’Amministrazione finanziaria . In giudizio, quindi, il contribuente può limitarsi a eccepire la mancanza di novità, e l’ufficio dovrà dimostrare il contrario, spiegando quali sarebbero le informazioni nuove e perché non erano disponibili prima. Se non ci riesce, l’atto sarà annullato. (Nota: vale quanto detto prima sulla “novità relativa” nel caso di dati posseduti da altro ente: l’ufficio può sostenere che pur se l’amministrazione nel suo complesso li aveva, quel particolare ufficio non li conosceva. In tal caso si discute in concreto se c’è stata collaborazione tra enti, date di trasmissione dei dati, etc. Ad esempio, Cass. 10226/2024 ha ritenuto valido un integrativo basato su elementi noti alla Guardia di Finanza ma arrivati all’ufficio dopo il primo atto . Sarà quindi compito del contribuente, eventualmente, dimostrare che invece l’ufficio poteva già saperlo prima – onere non semplice).
  • Difetto di motivazione sui nuovi elementi: anche quando qualche elemento nuovo c’è, l’integrativo deve motivare chiaramente la sua pretesa aggiuntiva con riferimento a esso. Se l’avviso non indica affatto i nuovi elementi, oppure li menziona in modo vago e senza spiegare come incidono sul maggior imponibile, ciò costituisce vizio di motivazione (violazione art. 43 D.P.R. 600/73) e comporta la nullità dell’atto . Nella pratica forense, questo difetto può presentarsi in forme sottili: ad es. l’atto potrebbe citare genericamente “nuovi rilievi emersi dall’ulteriore attività istruttoria”, senza però specificare quali documenti o operazioni siano stati scoperti dopo. Oppure potrebbe riportare passivamente intere pagine di un PVC della Guardia di Finanza senza chiarire quali parti del PVC erano nuove rispetto all’accertamento precedente. Una difesa efficace può insistere sul fatto che manca l’esplicitazione dei nuovi elementi e della loro novità temporale, privando il contribuente del diritto di capire l’accusa aggiuntiva. I giudici, in tal caso, possono annullare l’atto per difetto assoluto di motivazione. Un appiglio normativo ulteriore è l’art. 7, co.1, L. 212/2000 (Statuto del contribuente), che impone la chiarezza e intelligibilità della motivazione degli atti tributari.
  • Notifica oltre i termini di decadenza: come detto, il rispetto dei termini è fondamentale. Se l’avviso integrativo arriva fuori tempo massimo (es: termine al 31/12/2025 e notifica effettuata a gennaio 2026), il potere impositivo è decaduto e l’atto dev’essere dichiarato nullo. In giudizio, il contribuente deve eccepire la decadenza già nel ricorso introduttivo, indicando con precisione la data di notifica (es. ricevuta PEC) e il termine che sarebbe scaduto. Trattandosi di termine di decadenza, è un vizio inesorabile: anche se ci fossero elementi nuovi e tutto il resto in regola, il ritardo da solo basta a travolgere l’accertamento.
  • Omissione del contraddittorio obbligatorio (atti dal 2024): per gli avvisi emessi dopo l’entrata in vigore dell’obbligo generalizzato di contraddittorio, la mancata attivazione del confronto preventivo costituisce motivo di annullabilità. In base all’art. 6, co. 5-ter, D.Lgs. 218/2023, l’assenza di contraddittorio produce un vizio relativo che il giudice può sanzionare su eccezione di parte . Quindi, se un accertamento integrativo rientrava tra quelli per cui era dovuto l’invito al contraddittorio (ossia la gran parte dei casi, salvo forse atti emessi a seguito di PVC già notificato prima, o casi di particolare urgenza motivata) e l’ufficio lo ha notificato senza alcun preavviso, il contribuente può contestare questa violazione processuale. Occorrerà farlo subito nel ricorso introduttivo, chiedendo l’annullamento dell’atto per violazione dei diritti di difesa ex art. 6, c.3-bis Statuto (come modificato) e delle norme attuative, evidenziando l’assenza totale di un invito a comparire. Importante: la legge qualifica questo vizio come “annullabilità relativa”, ciò significa che se il contribuente non lo solleva tempestivamente, il giudice potrebbe considerarlo sanato e non pronunciarlo d’ufficio . Dunque l’avvocato deve fare molta attenzione a verificare se l’atto integrativo fosse preceduto o meno dall’invito al contraddittorio. Se non lo fosse, va assolutamente inserito tra i motivi di ricorso. (Ad esempio, nel caso di integrativo completamente nuovo non collegato a un precedente PVC, l’invito è obbligatorio; se l’ufficio notifica direttamente l’atto a sorpresa, siamo di fronte a un vizio procedurale sostanziale e il contribuente è stato privato della chance di interloquire. In simili casi, la giurisprudenza tende ad annullare l’atto, purché si eccepisca la cosa a chiare lettere).
  • Altri vizi formali o procedurali: l’accertamento integrativo, al pari di ogni altro atto impositivo, deve rispettare tutte le regole formali previste dal diritto tributario. Quindi restano valide difese quali: incompetenza dell’organo che ha firmato l’atto (es. funzionario non legittimato), difetto di delega se a firmare è un delegato, vizio di notifica (es. notifica nulla o inesistente), violazione dell’art. 7 L.212/2000 sulla chiarezza motivazionale (oltre al punto specifico dei nuovi elementi), errori sull’intestazione del destinatario, ecc. Questi aspetti esulano dallo specifico “integrativo” ma vanno sempre controllati come in ogni accertamento. Ad esempio, se l’accertamento integrativo fosse emesso da un ufficio territorialmente incompetente (fuori provincia rispetto al domicilio fiscale del contribuente), potrebbe essere nullo. Oppure se manca la sottoscrizione del capo ufficio (o di un suo delegato con indicazione della delega), altro vizio. Queste evenienze non sono frequenti, ma è doveroso esaminarle tutte all’arrivo dell’atto.

In definitiva, il contribuente che riceve un accertamento integrativo deve passare al setaccio l’atto alla ricerca di qualsiasi vizio: mancanza di novità, motivazione carente, tardività, omesso contraddittorio, e così via. Nella sezione seguente vedremo come impostare in concreto queste difese e quali strumenti utilizzare (amministrativi o giudiziali) per far valere le proprie ragioni.

Cosa fare se si riceve un Accertamento Integrativo: strategie difensive

Passiamo ora dal piano teorico a quello pratico: quali passi deve compiere un contribuente che si veda notificare un avviso di accertamento integrativo? È fondamentale muoversi con tempestività e scegliere la strategia più opportuna tra quelle disponibili. Le azioni difensive si possono articolare in più fasi, che possiamo così sintetizzare:

  1. Verifiche preliminari sull’atto – da effettuare subito, appena ricevuta la notifica.
  2. Scelta della via difensiva – utilizzare strumenti “deflattivi” (autotutela, adesione, reclamo) oppure procedere direttamente col ricorso in Commissione Tributaria (oggi Corte di Giustizia Tributaria).
  3. Tutela nel processo – se si va in contenzioso, predisporre il ricorso motivato, richiedere eventualmente la sospensione della riscossione, e affrontare i gradi di giudizio successivi (appello, Cassazione).
  4. Gestione degli importi richiesti – considerare le opzioni per mitigare gli effetti economici: pagamenti in misura ridotta, rateizzazioni, compensazioni e (ove presenti per legge) definizioni agevolate di sanzioni o liti pendenti.

Esaminiamo ciascuna fase più in dettaglio.

1) Verifiche preliminari immediatamente dopo la notifica

Appena l’accertamento integrativo viene notificato (di solito tramite PEC se il contribuente ne ha una, altrimenti a mezzo raccomandata AR o messo notificatore), è cruciale attivarsi subito. In particolare si raccomanda di:

  • Controllare la data di notifica e calcolare le scadenze: individuare con precisione il giorno in cui l’atto è stato notificato (farà fede la ricevuta di avvenuta consegna PEC, oppure la data sull’avviso di ricevimento postale, o la relazione di notifica del messo). Da quella data decorrono i termini fondamentali: 60 giorni per presentare eventuale ricorso alla Commissione Tributaria ; lo stesso termine di 60 giorni vale anche per presentare un’eventuale istanza di accertamento con adesione (che come vedremo sospende i termini di ricorso) . Inoltre entro 60 giorni dalla notifica va effettuato il pagamento se si intende accettare l’atto senza ricorrere (per usufruire della riduzione sanzioni in acquiescenza, vedi oltre) e per evitare l’iscrizione a ruolo delle somme . Segnare queste scadenze in agenda è fondamentale. Attenzione al periodo di agosto: dal 1º al 31 agosto i termini processuali sono sospesi per legge (sospensione feriale), quindi un termine che cade in quel periodo va prorogato . Ad esempio, un avviso notificato il 10 luglio ha i 60 giorni che scadrebbero il 8 settembre, ma cadendo agosto nel mezzo, la scadenza effettiva slitta al 8 ottobre. Errori nel calcolo delle scadenze possono essere fatali (un ricorso tardivo è inammissibile).
  • Leggere attentamente la motivazione e individuare i “nuovi elementi” addotti: prendere il testo dell’avviso integrativo e confrontarlo con l’eventuale precedente accertamento (se lo avete a disposizione). Bisogna focalizzarsi in particolare sulla parte dove l’ufficio descrive le ragioni dell’integrazione. Cercate frasi tipo “a seguito di ulteriore verifica…”, “dalla successiva acquisizione di…”, “sono emersi elementi ulteriori quali…”. Identificate cosa l’ufficio considera elemento nuovo e quando/come lo ha ottenuto. Questa analisi è cruciale per capire se i presupposti di legge sono stati rispettati . Ad esempio, se nell’atto leggete: “a seguito di indagini finanziarie avviate il 10/01/2024 si accertano ulteriori ricavi per…”, allora chiaramente l’ufficio sta invocando un fatto sopravvenuto (indagini post primo avviso) – bisognerà poi verificare che quei conti bancari non fossero già oggetto del primo accertamento. Se invece la motivazione appare fumosa o priva di riferimenti temporali, potrebbe essere un segnale di debolezza dell’atto (ad es. “dall’esame più approfondito del bilancio si evince un ulteriore reddito imponibile…” – frase sospetta, perché non evidenzia alcun fatto nuovo). Prendete nota di ogni elemento citato e chiedetevi: “L’ufficio poteva già saperlo prima?”. Questa prima lettura orienta sulla linea difensiva: se saltano all’occhio evidenti mancanze (nessun nuovo elemento concreto, o elemento già noto), potete già ipotizzare un ricorso aggressivo su quei punti. Se invece effettivamente c’è un nuovo riscontro (es. nuovo processo verbale di constatazione mai visto prima), allora la difesa dovrà spostarsi più sul merito (valutare se quell’elemento è interpretato correttamente, se ci sono errori nel quantificarne gli effetti, ecc.).
  • Verificare eventuali vizi formali nella notifica o nel documento: controllate che l’atto sia stato notificato correttamente. Ad esempio, se via PEC, che l’indirizzo PEC sia quello registrato e che l’invio sia avvenuto nei termini (la data di consegna PEC deve essere entro il 31/12 del quinto o settimo anno, altrimenti è tardivo). Se via posta, la data di spedizione e consegna. Se via messo, la relata di notifica e l’eventuale affissione per irreperibilità, ecc. Verificate inoltre che l’atto sia intestato correttamente al contribuente giusto, con codice fiscale e domicilio esatti (può capitare, seppur raramente, che errori su generalità generino nullità). Controllate la firma in calce: dev’essere del Capo dell’Ufficio locale dell’Agenzia o di un suo delegato (in tal caso dev’essere indicata la delega). Un accertamento privo di firma o firmato da soggetto non autorizzato è nullo (art. 42 D.P.R. 600/73). Questi controlli sono tecnici ma un bravo difensore li esegue sempre, perché sebbene poco frequenti, certe sviste procedurali possono risolvere il caso prima ancora di entrare nel merito.
  • Controllare la presenza (o meno) dell’invito al contraddittorio: se l’atto è stato emanato nel 2025 o successivamente, chiedetevi: avete ricevuto prima dell’avviso una “Comunicazione di irregolarità” o un “Invito a comparire” dall’ufficio, contenente la proposta di accertamento integrativo? In caso affermativo, l’ufficio ha rispettato il nuovo obbligo di contraddittorio. In caso negativo, valutate se l’atto rientra tra quelli per cui l’invito era obbligatorio. Ad esempio, se l’integrativo trae origine da un PVC della Guardia di Finanza notificato in passato e già discusso, forse il contraddittorio non era dovuto in quanto c’era già stato a monte. Ma se l’integrativo è basato su nuove indagini interne o controlli d’ufficio (“a tavolino”), allora dal 2024 doveva precederlo un invito formale. Un integrativo arrivato senza preavviso potrebbe soffrire di omesso contraddittorio, che – come detto – è motivo di annullabilità se sollevato . Questa verifica è dunque importante: se vi accorgete di non aver avuto alcun invito e ritenete invece che ci volesse, segnalatelo subito al vostro legale, perché sarà uno dei motivi procedurali da includere nel ricorso.
  • Quantificare gli importi e verificare sovrapposizioni: analizzate le somme richieste nell’integrativo e comparatele con quelle eventualmente già pagate per il primo accertamento (se definito o non impugnato). L’integrativo di solito reca solo importi aggiuntivi (ulteriore imposta, ulteriori sanzioni). Assicuratevi che non vi siano duplicazioni: ad esempio, controllate che l’ufficio non stia richiedendo di nuovo qualcosa già versato col primo avviso. In genere non accade, ma se accadesse (es: il secondo atto ricalcola l’imposta includendo anche quella già versata), bisognerebbe segnalarlo. Fate anche attenzione al cumulo delle sanzioni: se con il primo atto avevate già pagato delle sanzioni e ora ce ne sono di nuove, si potrebbe discutere – in sede eventualmente di processo – di un assorbimento o continuazione dell’illecito tributario (questioni raffinate, che comunque il vostro avvocato valuterà). In questa fase, ciò che conta per voi è sapere a quanto ammonta il totale contestato sommando vecchio e nuovo, per decidere come procedere finanziariamente.

Le verifiche preliminari servono in sostanza a fotografare la situazione e raccogliere informazioni: quando scade il termine per reagire, quali difetti ha l’atto su cui puntare, quanto denaro è in gioco. Con questi dati, si può passare alla fase successiva, ovvero decidere la strada difensiva migliore.

2) Scelta degli strumenti di difesa: soluzioni amministrative vs. ricorso

Entro i 60 giorni dalla notifica, il contribuente deve decidere se attivare qualche strumento “deflattivo” (ovvero che eviti o sospenda il contenzioso) oppure se procedere direttamente con il ricorso al giudice tributario. Le opzioni principali sono:

  • Istanza di autotutela: è una richiesta informale (non c’è un modello rigido) rivolta all’ufficio emittente affinché annulli o rettifichi spontaneamente l’accertamento, qualora si ravvisino errori palesi o motivi di illegittimità. L’autotutela è di norma facoltativa per l’Amministrazione (tranne alcuni casi ora divenuti obbligatori per legge, come errori palesi indicati nell’art. 10-quater Statuto introdotto nel 2024) . Presentare un’istanza di autotutela non sospende i termini di ricorso né quelli di pagamento: è un tentativo bonario che però non tutela il contribuente dalle scadenze. In casi di accertamenti integrativi, si può tentare l’autotutela se, ad esempio, l’atto contiene un errore materiale (calcolo errato di imposta, duplicazione di imponibile, ecc.) oppure se si basa su evidenti scambi di persona o altri abbagli documentali. Se l’ufficio riconosce l’errore, può annullare in tutto o in parte l’atto. Tuttavia, non bisogna fare affidamento eccessivo sull’autotutela in caso di accertamento integrativo: se l’ufficio si è preso la briga di emetterlo, difficilmente lo ritirerà subito a fronte di mere contestazioni giuridiche da parte vostra. Va visto più come un’ultima chance di evitare il contenzioso se i funzionari, esaminando i vostri argomenti, li ritengono convincenti. In ogni caso, presentare un’istanza di autotutela non vi preclude affatto di ricorrere: potete farla parallelamente, ma ricordate di rispettare il termine del ricorso indipendentemente da come (e se) l’ufficio risponde.
  • Accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997): è uno strumento molto utile per ridurre le sanzioni e trovare un accordo con il Fisco. Consente al contribuente di incontrare l’ufficio, discutere i rilievi e concordare una definizione magari abbassando un po’ l’imponibile e applicando le sanzioni ridotte ad 1/3 del minimo . Per attivarlo, il contribuente deve presentare un’istanza di adesione entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso (lo stesso termine del ricorso) . La presentazione dell’istanza sospende automaticamente i termini per impugnare per 90 giorni , periodo durante il quale si svolge il contraddittorio con l’ufficio. In pratica, presentando l’istanza di adesione, i 60 giorni di ricorso si congelano e l’ufficio vi convocherà (di solito con lettera o telefono) per un incontro. All’incontro (o più di uno, se necessario) potrete esporre le vostre ragioni e magari ottenere uno sconto sull’imponibile accertato se ci sono margini di dubbio, oppure una riduzione delle sanzioni. Se trovate un accordo, verrà redatto un atto di adesione con le nuove somme dovute. I vantaggi dell’adesione: le sanzioni amministrative sono ridotte a 1/3 di quelle minime previste , quindi un grande risparmio sulla parte sanzionatoria; si evita il contenzioso (niente spese legali, niente incertezze della causa); si può di solito rateizzare il dovuto fino a 8 rate trimestrali (se l’importo è elevato). Gli svantaggi: rinunciate a far valere eventuali vizi formali (se l’atto era nullo per un vizio, con l’adesione lo state comunque pagando) e dovete pagare comunque la sostanza della pretesa, magari leggermente ritoccata. Conviene aderire? Dipende dalla forza delle vostre difese e dall’entità del rischio. Ad esempio, se l’integrativo ha chiaramente zero nuovi elementi ed è quindi annullabile in toto, non vi conviene aderire – meglio vincere in giudizio e non pagare nulla. Se invece la pretesa dell’ufficio è fondata nei fatti e temete di perdere, l’adesione vi fa risparmiare 2/3 delle sanzioni e chiudere subito la questione. Spesso si sceglie l’adesione per convenienza economica, non necessariamente perché si condivide l’accertamento, ma per evitare il “costo” del contenzioso (in termini di sanzioni piene, interessi di mora in caso di soccombenza, etc.). Nel caso di accertamento integrativo, l’adesione può essere una strada sensata ad esempio se l’elemento nuovo c’è ed è difficilmente contestabile nel merito (es. indagini bancarie che mostrano incassi non dichiarati per cui non avete giustificazioni). Incontrando l’ufficio, magari riuscite a far riconoscere deduzioni o circostanze attenuanti, ottenendo un ricalcolo più favorevole. Da ricordare: se optate per l’adesione, presentate l’istanza entro 60 giorni. Dopo averla presentata, attendete la convocazione. Nel frattempo, non fate decorre il termine di ricorso: avrete tempo dopo, se l’adesione fallisce, di proporre ricorso (i 60 giorni ripartono dal punto in cui erano stati sospesi). Inoltre, nulla vieta, durante i 90 giorni di sospensione, di trovare un accordo parziale e poi eventualmente impugnare solo la parte rimasta litigiosa (anche se tecnicamente l’adesione o è globale o salta, però potreste ad esempio concludere un’adesione su alcuni rilievi e l’ufficio annullare in autotutela gli altri – casi complessi che richiedono consulenza legale mirata). L’importante è essere consapevoli che se firmate l’adesione poi non potrete più impugnare quei rilievi: l’adesione perfezionata (pagamento della prima rata o unica entro 20 giorni) chiude definitivamente la controversia.
  • Reclamo e Mediazione (per importi fino a €50.000): se il valore della controversia (imposta + interessi da accertamento, esclusi interessi di mora e sanzioni) non supera €50.000, il ricorso introduttivo in Commissione Tributaria assume anche valore di reclamo. Significa che, quando presenterete ricorso, questo non verrà deciso subito dal giudice, ma verrà inviato all’ufficio territoriale competente affinché valuti una possibile mediazione . In pratica, per le liti “minori”, la legge (art. 17-bis D.Lgs. 546/1992) prevede un tentativo obbligatorio di accordo: l’Agenzia delle Entrate (diversa da quella che ha emesso l’atto, c’è di solito un apposito ufficio legale) esaminerà il vostro reclamo/ricorso e potrà formulare una proposta di mediazione entro 90 giorni. Se accettate la proposta o trovate un accordo nel frattempo, si redige un accordo di mediazione che chiude la lite. Il vantaggio specifico della mediazione è che le sanzioni vengono ulteriormente ridotte al 35% del minimo (lievemente più favorevole dell’adesione) e si evita il giudizio. Se invece dopo 90 giorni non c’è accordo, il reclamo produce effetto di ricorso e la causa prosegue in Commissione automaticamente. Cosa fare quindi in pratica? Se la vostra causa rientra sotto 50.000 €, dovete comunque predisporre un ricorso completo (con motivi, richieste, ecc.) da notificare entro 60 giorni all’ente impositore. Nello stesso atto potete inserire una proposta motivata di mediazione, magari offrendo il pagamento di un certo importo. La mediazione è utile se riconosciamo qualche fondamento all’ufficio e vogliamo magari chiudere con un compromesso: ad esempio, proporre di ridurre la pretesa del 30% e pagare il resto con sanzioni ridotte. Tenete presente che spesso gli uffici in mediazione offrono sconti sulle sanzioni e poco sull’imposta, quindi il beneficio principale è proprio la riduzione delle sanzioni al 35%. Se avete già la sanzione ridotta da adesione (1/3) è circa il 33%, quindi la differenza non è enorme (35% vs 33%). In ogni caso, il reclamo/mediazione è obbligatorio per legge sotto la soglia: non potete saltarlo. Anche se non volete accordarvi, dovete passare da lì, semplicemente attendendo i 90 giorni e poi la causa andrà avanti. Il consiglio è: valutate seriamente la mediazione se ritenete di poter ottenere un buon risultato (es. l’ufficio sa di avere qualche punto debole e può accettare di ridurre l’importo); altrimenti, utilizzatela solo come passaggio formale e preparatevi al giudizio.
  • Acquiescenza (pagamento con sanzioni ridotte a 1/3): c’è una ulteriore opzione, spesso poco attraente ma da menzionare: il contribuente può decidere di non impugnare l’avviso integrativo e pagarlo integralmente entro 60 giorni, beneficiando in tal caso di una riduzione delle sanzioni ad 1/3 (se non sono già state ridotte al minimo) ai sensi dell’art. 15 D.Lgs. 218/97. Questa scelta, detta “acquiescenza”, equivale ad accettare il provvedimento. Conviene farlo quando l’atto è corretto e magari contiene sanzioni pesanti: pagando subito si tagliano le sanzioni di due terzi. Nel caso dell’accertamento integrativo, però, spesso c’è margine di contestazione (se l’ufficio è ricorso a un integrativo, vuol dire che era a caccia di qualcosa di nuovo, ma potrebbe aver sbagliato valutazione). Difficilmente dunque il contribuente opterà per l’acquiescenza, a meno che le somme siano modeste e non valga la pena litigare. In pratica: se l’importo è piccolo, forse conviene pagare e chiudere; se è rilevante, conviene quasi sempre o tentare un accordo (adesione/mediazione) o fare ricorso per far valere i propri diritti.

La tabella seguente confronta i principali strumenti di difesa “pre-contenzioso”:

Strumento di difesaCome si attivaEffetti sui terminiVantaggi e Svantaggi
Autotutela (istanza)Istanza all’ufficio (in carta libera) entro 60 gg (consigliato)Nessuna sospensione dei termini di ricorso/pagamento.✅ Gratuita e informale; può portare all’annullamento immediato se l’errore è palese.<br>❌ Discrezionale: l’ufficio può ignorarla o rifiutare. Non tutela dalle scadenze (bisogna comunque ricorrere entro i 60 gg se non arriva riscontro).
Accertamento con adesioneIstanza di adesione entro 60 gg dalla notifica (modello libero indicando numero atto)Sospende il termine di ricorso per 90 gg . L’atto non diventa esecutivo finché la procedura è in corso.✅ Permette il dialogo col Fisco e possibili riduzioni imponibile.<br>✅ Sanzioni ridotte a 1/3 del minimo (66% di sconto sulle sanzioni).<br>✅ Rateizzabile fino a 8 rate trimestrali (se >€50.000 in 12 rate).<br>❌ Comporta rinuncia al ricorso sui rilievi concordati.<br>❌ Richiede il pagamento (integrale o 1ª rata) entro 20 gg dall’accordo.
Reclamo/Mediazione (solo se valore ≤ €50.000)Si propone direttamente con il ricorso da inviare entro 60 gg: l’atto di ricorso contiene l’istanza di mediazione .Sospende automaticamente la causa per 90 gg (termini di impugnazione già rispettati col deposito del ricorso).✅ Possibilità di accordo con ulteriore riduzione sanzioni al 35% (in luogo del 100% in caso di giudizio).<br>✅ Obbligatoria: permette comunque di “prendere tempo” per valutare soluzione.<br>❌ L’ufficio spesso in mediazione concede sconti limitati sull’imposta.<br>❌ Se fallisce, la lite prosegue in Commissione (tempi allungati di 3 mesi).
Acquiescenza (pagamento)Pagamento di tutte le somme dovute entro 60 gg dalla notifica e comunicazione all’ufficio del pagamento effettuato.Estingue la possibilità di ricorso (l’atto diventa definitivo subito dopo il pagamento).Sanzioni ridotte a 1/3 (come adesione) se pagamento entro 60 gg .<br>✅ Evita ogni contenzioso e ulteriori interessi di mora.<br>❌ Occorre pagare l’intero importo (salvo sanzioni ridotte) immediatamente.<br>❌ Perde ogni chance di contestare l’atto, anche se viziato.

Come si vede, gli strumenti deflativi offrono benefici soprattutto sulla componente sanzionatoria e sul tempo, a fronte di una rinuncia parziale o totale alla lite. Quando scegliere cosa? Dipende dalla valutazione caso per caso: – Se l’accertamento integrativo vi pare completamente infondato o nullo (per assenza nuovi elementi, ecc.), la via migliore è spesso preparare un ricorso forte e andare in giudizio, eventualmente dopo aver provato una mediazione se obbligatoria. Non vale la pena “regalare” soldi al Fisco su un atto annullabile. – Se l’accertamento ha un fondamento ma ritenete di poter spuntare un compromesso (es. ridurre imponibile o togliere alcune contestazioni minori), può essere saggio attivare l’adesione: magari ottenete uno sgravio e comunque pagate sanzioni 1/3, evitando anni di processo. – Se l’importo è basso e volete chiudere presto, la mediazione può farvi risparmiare qualcosa sulle sanzioni senza troppi costi. – Se avete liquidità e la violazione è palese (difficilmente difendibile), l’acquiescenza vi permette di risparmiare tempo e sanzioni (ma valutate sempre con un professionista se davvero non c’è chance di vittoria in giudizio, altrimenti è meglio combattere).

Nota: L’adesione non esclude del tutto il contenzioso: se durante il contraddittorio d’adesione vi accordate solo su alcuni punti, potreste comunque impugnare gli altri. Ad esempio, potreste firmare adesione per alcuni rilievi e l’ufficio annulla gli altri in autotutela, oppure se non trovate accordo su un punto specifico potete lasciar “saltare” l’adesione e impugnare. Insomma, esistono anche soluzioni ibride, ma vanno maneggiate con attenzione legale.

Importante: qualunque strada scegliate, rispettate i termini. Se avviate un’adesione ma poi l’accordo non si perfeziona, ricordatevi di presentare ricorso entro i termini (tenendo conto della sospensione di 90 gg). Se presentate reclamo/mediazione, assicuratevi di depositare il ricorso in Commissione nei modi corretti. Se puntate sull’acquiescenza, effettuate i versamenti entro 60 gg (altrimenti decade il beneficio e poi non potete più ricorrere perché il termine è passato).

3) Il ricorso in Commissione Tributaria e la fase di giudizio

Se si sceglie (o si arriva alla necessità) di far decidere la questione al giudice tributario, bisognerà predisporre un ricorso e affrontare il processo tributario che, nel caso di accertamento integrativo, seguirà le stesse regole di qualsiasi lite fiscale. Qui di seguito i punti chiave:

  • Competenza e organo giudicante: il ricorso va proposto avanti la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (nuova denominazione dal 2023 delle Commissioni Tributarie Provinciali) competente per territorio, normalmente quella della provincia in cui ha sede l’ufficio che ha emesso l’atto o dove ha domicilio fiscale il contribuente. La dicitura esatta nell’atto di ricorso oggi è “Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado di …”. Una volta era “Commissione Tributaria Provinciale di …”, e molti continuano informalmente a usare il vecchio nome, ma per scrupolo conviene aggiornarsi al nuovo (anche se gli atti intestati col vecchio nome sono accettati lo stesso). Nota: se avete impugnato con reclamo, l’atto era già impostato come ricorso; se avete fatto adesione e non concluso accordo, dovrete notificare il ricorso entro 30 giorni dalla fine dei 90 gg sospensione (o il residuo dei 60 gg iniziali, garantiti comunque in almeno 30 gg).
  • Notifica del ricorso: va notificato all’ente impositore (Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale XYZ, ufficio Accertamento, ad esempio) tramite PEC (se avete un difensore abilitato) o tramite ufficiale giudiziario/posta se siete senza difensore. Entro 30 giorni dalla notifica, il ricorrente deposita poi il ricorso presso la segreteria della Corte Tributaria (oggi si fa tutto via PEC su piattaforma SIGIT per i professionisti).
  • Contenuto del ricorso: qui andrete a sviluppare i motivi di impugnazione che avrete individuato. Ad esempio: (i) Violazione art. 43 DPR 600/73 per insussistenza di nuovi elementi sopravvenuti – l’atto integrativo è basato su elementi già noti (spiegare quali); (ii) Difetto di motivazione ex art. 42 DPR 600/73 e art. 7 L.212/2000 – mancata indicazione specifica dei nuovi elementi; (iii) Violazione termini di decadenza – avviso notificato oltre il termine; (iv) Violazione art. 6 co.3-bis L.212/2000 – omesso contraddittorio; (v) eventualmente, questioni di merito sulla ricostruzione dell’imponibile – es: quell’importo contestato non è reddito, oppure doppia imposizione su stesso reddito, ecc. E così via. Nel ricorso si chiede quindi l’annullamento integrale dell’atto (o parziale se contestate solo una parte) e la condanna dell’ufficio a rifondere le spese legali.
  • Sospensione della riscossione: presentare ricorso non sospende automaticamente l’obbligo di pagamento dell’accertamento. Come spiegato, di norma l’Agenzia Entrate Riscossione può comunque iscrivere a ruolo 1/3 delle imposte accertate anche se avete impugnato (c.d. riscossione provvisoria in pendenza di giudizio). In pratica, dopo 60 giorni dalla notifica dell’avviso, se avete fatto ricorso, l’atto non è definitivo ma l’Agenzia può comunque emettere una cartella o un’intimazione per riscuotere il 33% delle imposte (senza sanzioni) a titolo provvisorio. Per evitare ciò (soprattutto se l’importo è alto e la riscossione imminente vi creerebbe danno), potete presentare istanza di sospensione al giudice tributario. L’istanza di solito si inserisce nello stesso ricorso o in atto separato subito dopo. Dovrete motivare il “periculum in mora” (danno grave e irreparabile se costretto a pagare prima della sentenza) e il “fumus boni iuris” (cioè la fondatezza almeno apparente del ricorso). Se il giudice concede la sospensiva, l’Agenzia non potrà riscuotere finché la causa non sarà decisa in primo grado. La sospensione va richiesta tempestivamente (subito con il ricorso o poco dopo) perché il giudice fissi l’udienza a breve. Tendenzialmente, se l’importo è rilevante rispetto alle capacità del contribuente e il ricorso presenta motivi seri (es. evidente mancanza di nuovi elementi), le Corti concedono la sospensione. Se invece l’importo è modesto o la causa appare poco solida, possono negarla. In assenza di sospensione, preparatevi eventualmente a ricevere, scaduti 60 gg, una cartella per 1/3 del dovuto: anche quella potrà essere impugnata eventualmente, ma se il merito è in discussione conviene chiedere subito sospensione al giudice.
  • Discussione e sentenza di primo grado: la causa seguirà il suo iter (scambio di memorie, fissazione udienza). In udienza, voi o il vostro difensore potrete svolgere una breve discussione (oggi spesso il processo è cartolare o tramite trattazione scritta, ma si può chiedere di discutere oralmente). Nel caso di un integrativo, i punti focali da far valere al giudice saranno quelli esposti: insistere sull’assenza di nuovi elementi (magari producendo documenti che mostrano che i dati erano già nei bilanci, o già noti nel PVC precedente), evidenziare eventuali novità normative (omesso contraddittorio, ecc.), e sottolineare i principi giurisprudenziali (magari citando in memoria le sentenze Cassazione 2025 o altre) a supporto. La sentenza di primo grado potrà accogliere totalmente il ricorso (annullando l’atto), accoglierlo parzialmente (annullando in parte, ad es. riducendo l’imponibile contestato) oppure respingerlo.
  • Dopo il primo grado: se vincete, l’atto è annullato e l’Agenzia deve restituire l’eventuale 1/3 riscosso (con interessi). Se per disgrazia avevate pagato in adesione e poi il giudice annulla comunque, potreste chiedere il rimborso (ma attenzione: se avete firmato adesione, in teoria non eravate in giudizio – caso raro). Se perdete o siete solo parzialmente soddisfatti, potrete appellare in secondo grado alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado (ex Commissione Regionale) entro 60 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado. L’appello è un nuovo giudizio sul merito e/o sul diritto. In materia di integrativo, spesso l’appello viene proposto dall’Agenzia se perde in primo grado, quindi potreste trovarvi appellati vittoriosi da difendere la sentenza (in tal caso il vostro avvocato scriverà controdeduzioni per chiedere conferma dell’annullamento). Oppure se avete perso, sarete voi ad appellare per ribaltare il verdetto.
  • Secondo grado e Cassazione: in appello si può richiedere nuovamente sospensione (stavolta per il 2/3 residuo eventualmente, poiché dopo la sentenza di primo grado se è sfavorevole l’ufficio può riscuotere un ulteriore 50% circa, raggiungendo il 2/3 totale). La Corte tributaria deciderà e poi, se restano questioni di diritto controverse, si potrà ricorrere alla Corte di Cassazione (terzo grado, solo per motivi di legittimità). Ad esempio, se la controversia verteva sulla corretta interpretazione di “nuovi elementi” o sulla validità del contraddittorio, la parte soccombente in appello potrebbe andare in Cassazione. La Cassazione, come visto, ha già prodotto importanti sentenze in materia: le citerete a supporto già nei gradi di merito. È sempre preferibile vincere nei primi gradi per chiudere la partita prima e risparmiare tempo e spese.
  • Spese di lite: ricordate che chi perde può essere condannato a pagare le spese legali della controparte. Se voi vincete, chiedete sempre le spese: spesso i giudici le liquidano (anche se a volte compensano). In caso di soccombenza, potrebbe toccare a voi pagare le spese all’Agenzia (anche se nelle liti minori spesso sono compensate).

In generale, il contenzioso tributario su un accertamento integrativo non differisce da quello su qualsiasi accertamento. La differenza è tutta nei motivi specifici: qui avrete argomenti peculiari (nuovi elementi, unicità del potere accertativo, ecc.) che in altre cause non ci sono. L’importante è affidarsi a un professionista esperto in diritto tributario: saprà far valere le ultime pronunce (come quelle del 2024–2025 che abbiamo citato) e impostare correttamente sia le eccezioni formali (es. contraddittorio) sia le difese di merito.

Infine, dopo la Cassazione (se si arriva fin lì), l’eventuale vittoria definitiva vi dà diritto, oltre all’annullamento dell’atto, anche al rimborso di quanto eventualmente pagato in pendenza di giudizio, maggiorato di interessi. Al contrario, se alla fine dovesse risultare dovuto il tributo, dovrete versare il rimanente con interessi e sanzioni (le sanzioni, se non avete mai aderito o conciliato, resteranno piene, quindi conviene sempre valutare se trascinarsi fino alla fine o chiudere prima con sanzioni ridotte in accordo).

4) Gestione pratica degli importi dovuti (pagamenti, rate, compensazioni)

Parallelamente alla strategia processuale, il contribuente deve considerare come gestire gli importi richiesti, per evitare problemi di liquidità o misure cautelari (fermi, ipoteche) da parte dell’Agente della Riscossione. Alcuni consigli pratici:

  • Pagamenti parziali e rateazioni: se decidete di aderire, come detto potete rateizzare fino a 8 rate trimestrali (12 rate se l’imposta accertata supera €50.000). Anche senza adesione, se la cartella di 1/3 provvisorio vi arriva e non riuscite a pagarla in un’unica soluzione, potete chiedere all’Agente della Riscossione una dilazione (attualmente fino a 72 rate mensili ordinariamente). Attenzione però: se siete in causa e chiedete la rateazione del dovuto, ciò non equivale a rinuncia al ricorso (lo ha chiarito la Cassazione), ma dovete comunque poi richiedere la sospensione in caso di esito favorevole, altrimenti rischiate di pagare rate inutilmente. Diciamo che la rateazione può essere un’ancora di salvezza per evitare pignoramenti quando c’è di mezzo un importo elevato, in attesa della sentenza.
  • Sgravi in caso di vittoria: se ottenete una sospensione o poi vincete il ricorso, verificate che l’Agenzia delle Entrate Riscossione sgravi (annulli) le cartelle emesse. Può essere necessario comunicare la sospensione ottenuta al concessionario, perché amministrativamente sospenda la riscossione.
  • Compensazioni: se avete crediti tributari (ad esempio un credito IVA o IRPEF a rimborso) potreste valutare di compensare tali crediti con quanto richiesto dall’accertamento integrativo. Ma attenzione: un accertamento non pagato non è come un debito spontaneo, quindi non è possibile compensare direttamente con F24 un importo accertato. La compensazione è ammessa solo per somme iscritte a ruolo notificate (es. una cartella derivante dall’accertamento) e comunque entro certi limiti. È materia complessa: consultate il commercialista per eventuali opportunità di usare crediti fiscali in conto compensazione per evitare esborsi.
  • Ipoteca e altre misure: se l’importo contestato è molto alto e temete che l’Agenzia possa iscrivere ipoteca o richiedere sequestro conservativo, sappiate che ciò può avvenire per debiti oltre €50.000 e con autorizzazione (nel caso di sequestro). Anche per questo è utile chiedere al giudice la sospensione e dimostrare collaborazione (es. aderendo o pagando il dovuto provvisorio) per scongiurare atteggiamenti aggressivi dell’Amministrazione.

In sintesi, tenete sempre sotto controllo la posizione debitoria aperta dall’accertamento integrativo e sfruttate gli strumenti (rate, sospensioni) per gestirla, in parallelo alla difesa legale.

Domande Frequenti (FAQ) sull’Accertamento Integrativo

  • Domanda: Che differenza c’è tra un accertamento integrativo e un accertamento ordinario?
    Risposta: Un accertamento ordinario (o “generale”) è il primo accertamento emesso su un periodo d’imposta, che contiene tutte le contestazioni note in quel momento. L’integrativo invece è un secondo accertamento (o successivo) riferito allo stesso periodo e tributo, emesso dopo il primo per aggiungere nuovi redditi o imposte scoperte in seguito . In breve, l’integrativo integra o modifica in aumento un atto precedente valido, senza annullarlo, ma portando elementi nuovi sopraggiunti .
  • Domanda: Quando può essere emesso un accertamento integrativo?
    Risposta: Solo entro i termini di decadenza previsti dalla legge per l’accertamento di quell’anno (in genere 5 anni dopo la dichiarazione, 7 se omessa) . Fino a quella scadenza, l’ufficio può integrare un accertamento precedente se emergono nuovi elementi. Dopo la decadenza, ogni ulteriore pretesa è vietata. Inoltre, l’integrativo può uscire solo se c’è stata la “sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi” per l’ufficio . Se non ci sono elementi nuovi, l’ufficio – dal 2024 – non può neppure correggere il primo atto in peius (l’autotutela peggiorativa è interdetta) . Dunque, condizioni: entro il termine e con elementi nuovi.
  • Domanda: Cosa si intende esattamente per “nuovi elementi”?
    Risposta: Sono i fatti, dati o prove che l’ufficio finanziario non conosceva e non poteva conoscere prima della notifica del primo accertamento . “Nuovo” vuol dire sia temporalmente sopravvenuto (emerso dopo, ad esempio grazie a un controllo bancario successivo) sia oggettivamente ulteriore (non una rianalisi di cose già note, ma informazioni differenti) . Può trattarsi, ad esempio, di un nuovo processo verbale di constatazione (PVC) redatto dalla Guardia di Finanza dopo il primo avviso, o di dati bancari ottenuti in seguito. Anche un elemento che un altro ufficio dello Stato conosceva ma che non era stato comunicato all’ufficio accertatore originario può essere considerato “nuovo” per quest’ultimo . Non sono nuovi invece gli elementi già in possesso dell’ufficio al tempo del primo accertamento (anche se magari non li aveva considerati importanti): in tal caso l’integrativo è illegittimo . In pratica: nuovo = scoperto dopo, e aggiuntivo rispetto a quanto già contestato.
  • Domanda: L’Agenzia Entrate può emettere più di un accertamento sullo stesso anno?
    Risposta: Sì, può farlo in due casi: o tramite accertamento parziale (il primo atto era limitato e quindi ne possono seguire altri senza bisogno di novità, purché entro i termini) , oppure tramite accertamento integrativo vero e proprio, se emergono nuovi elementi dopo un accertamento completo . In assenza di questi presupposti, vige il principio di unicità dell’azione accertatrice: non si possono moltiplicare gli accertamenti per lo stesso tributo e periodo solo per rimediare a valutazioni incomplete. In passato il Fisco talvolta cercava di emettere un secondo avviso “correttivo” appellandosi all’autotutela, ma dal 2024 ciò è permesso solo se è a favore del contribuente, non per aumentare le pretese . Quindi , l’Agenzia può tornare sullo stesso anno, ma solo rispettando le regole (parziale o integrativo con nuovi elementi).
  • Domanda: Ho già definito con adesione un accertamento, possono farmene un altro per lo stesso anno?
    Risposta: Dipende. Se l’accertamento definito era parziale, la legge consente ulteriori accertamenti sull’anno anche senza nuovi elementi, perché l’adesione a un parziale non chiude la partita su tutto (copre solo i rilievi di quel parziale) . Se invece l’accertamento definito era completo, allora l’ufficio può tornare su quell’anno solo se saltano fuori nuovi elementi importanti che non erano compresi nell’accordo . Altrimenti l’adesione “blindava” l’anno per quel tributo. In pratica: aderire a un accertamento (soprattutto se ordinario) di norma mette fine alle contestazioni su quell’anno. Ma se più tardi emergono evasioni del tutto nuove, l’Agenzia può emettere un integrativo (es. nuovi redditi occulti scoperti dopo). In tal caso ovviamente non possono essere rilievi già discussi nell’adesione, ma cose diverse. Ad esempio, Cassazione ha ritenuto legittimo un integrativo emesso dopo un’adesione parziale, basato su un nuovo PVC bancario non disponibile prima . Viceversa, ha annullato integrativi post-adesione quando l’ufficio aveva solo rivalutato fatti già oggetto dell’accordo .
  • Domanda: Cosa succede se ignoro l’accertamento integrativo (non faccio ricorso nei 60 giorni)?
    Risposta: Se non presenti ricorso (né adesione, né pagamento) entro 60 giorni, l’accertamento integrativo diventa definitivo. Ciò significa che trascorso quel termine, l’importo accertato viene iscritto a ruolo e l’Agenzia delle Entrate Riscossione procederà a riscuotere coattivamente le somme. In realtà già nell’accertamento c’è scritto che è titolo esecutivo: decorso il termine, l’ufficio può inviare i dati all’Agente della Riscossione senza bisogno di ulteriore atto, e ti ritroverai una cartella esattoriale o un avviso di intimazione per pagare. A quel punto avrai perso la chance di contestare nel merito l’accertamento (essendo definitivo, non impugnato). Potrai solo eventualmente chiedere una rateazione al concessionario o provare un’istanza tardiva di autotutela (ma l’ufficio non è obbligato ad accogliere). In sintesi: non ignorare l’accertamento integrativo! O lo impugni o lo definisci, ma non lasciarlo scadere senza far nulla, altrimenti diventa un debito esigibile con possibili azioni di recupero (pignoramenti, fermi).
  • Domanda: Devo pagare subito quanto richiesto nell’accertamento integrativo?
    Risposta: No, non immediatamente (salvo tu voglia chiudere con acquiescenza). Dalla notifica hai 60 giorni per decidere il da farsi. Entro quei 60 giorni non sei obbligato a pagare nulla (l’atto non è ancora esecutivo fino alla scadenza del termine). Se presenti ricorso, la legge prevede che sia comunque dovuto in via provvisoria un importo pari ad 1/3 delle imposte accertate dopo i 60 giorni . In pratica, impugnando l’atto, eviti il pagamento integrale ma l’Agenzia potrà richiederti il 30% circa. Spesso l’accertamento integrativo stesso contiene un “invito a pagare” tale importo entro i 60 gg per evitare interessi, ma non è obbligatorio farlo subito. Molti contribuenti aspettano l’esito del primo grado. Tieni però presente che se non paghi nulla, dopo i 60 gg l’Agente della Riscossione può emettere cartella per il 1/3. Per evitare ciò, puoi chiedere al giudice tributario la sospensione (vedi sopra). In ogni caso, il saldo finale dovrà essere pagato solo quando la pretesa diventerà definitiva (dopo sentenza passata in giudicato o se non fai appello). Quindi nell’immediato: non devi pagare tutto, ma solo eventualmente 1/3 dopo i 60 gg, e anche quello lo puoi sospendere se ottieni provvedimento favorevole.
  • Domanda: Le sanzioni nell’accertamento integrativo come funzionano? Posso ridurle?
    Risposta: Nell’accertamento integrativo le sanzioni vengono irrogate come di consueto (p.es. 90% dell’imposta evasa per infedele dichiarazione, ecc., oppure sanzioni fisse se applicabili). Puoi però ridurle attraverso gli strumenti deflattivi:
  • con l’accertamento con adesione pagherai le sanzioni al 1/3 del minimo (66% di sconto);
  • con la mediazione/reclamo avrai sanzioni al 35% del minimo (65% di sconto) se trovi accordo;
  • con l’acquiescenza (pagamento senza ricorso) avrai sanzioni al 1/3 del minimo, come l’adesione ;
  • se invece fai ricorso e vinci totalmente, ovviamente niente sanzioni perché l’atto è annullato; se perdi, pagherai sanzioni piene (100%). In caso di soccombenza parziale, il giudice può rideterminare le sanzioni in base al nuovo imponibile, ma senza riduzioni premiali.

Quindi per ottenere riduzioni automatiche sulle sanzioni devi scegliere una definizione agevolata (adesione, acquiescenza o mediazione). Durante un giudizio ordinario, l’unica possibilità di ridurre le sanzioni è sfruttare eventuali condoni o definizioni speciali se previste (ad esempio in passato ci sono state sanatorie sulle liti pendenti con pagamento ridotto), oppure cercare di far qualificare la violazione in modo meno grave. Ma in linea generale, fuori dagli strumenti deflattivi, le sanzioni restano quelle applicate.

  • Domanda: Serve l’avvocato per difendersi da un accertamento integrativo?
    Risposta: Se il valore della controversia supera €3.000, , è obbligatorio il difensore tecnico (avvocato, commercialista o esperto abilitato) per presentare il ricorso. Ma a prescindere dall’obbligo, è fortemente consigliabile farsi assistere da un professionista esperto di diritto tributario. Gli accertamenti integrativi coinvolgono questioni complesse (normative e procedurali) e giurisprudenza sofisticata. Un avvocato tributarista saprà individuare i punti deboli dell’atto (magari citando la Cassazione più recente che voi non conoscete) e saprà gestire il dialogo con l’ufficio se fate adesione, nonché il processo in Commissione. Inoltre, se il valore è modesto, molti professionisti offrono comunque assistenza calibrata. Considerate che le spese legali possono esservi rifuse se vincete. Quindi, a meno che l’importo sia davvero minimo e decidiate di pagare, coinvolgere un avvocato è la scelta migliore per difendersi efficacemente.
  • Domanda: Quali sono le sentenze più importanti in materia di accertamento integrativo?
    Risposta: Possiamo citare alcune pronunce recentissime della Corte di Cassazione:
  • Cass. Sez. Unite n. 30051/2024, che ha delineato la differenza tra accertamento integrativo e autotutela sostitutiva (ma attenzione che poi il legislatore ha vietato l’autotutela peggiorativa nel 2024).
  • Cass. n. 10226/2024, che ha chiarito che un elemento noto ad un ufficio diverso può costituire elemento “nuovo” per l’ufficio accertatore, se questi non ne era a conoscenza .
  • Cass. n. 788/2025, che ha confermato come in caso di primo accertamento parziale definito in adesione, un secondo accertamento è ammesso ex lege senza nuovi elementi (perché rientra nell’ulteriore azione accertatrice consentita) .
  • Cass. n. 22825/2025, fondamentale, che ha ribadito il principio di diritto secondo cui l’integrativo è nullo se fondato su mera rivalutazione di elementi già noti, e ha anche sottolineato che è onere dell’ufficio provare quali siano i veri elementi sopravvenuti e perché non potuti conoscere prima . Questa sentenza tutela molto il contribuente e richiama il concetto di ne bis in idem tributario.
  • Possiamo citare anche Cass. n. 10817/2023 (legittimo integrativo post-adesione con nuovi PVC) e Cass. n. 21992/2015 (integrativo illegittimo per rivalutazione di fatti già oggetto di adesione) come esempi di orientamenti consolidati in materia .

Queste sentenze, insieme ad altre, sono riportate in fondo a questa guida nella sezione Fonti, e costituiscono i riferimenti giurisprudenziali più autorevoli ad oggi (Ottobre 2025) sull’argomento.

  • Domanda: Posso contestare in giudizio sia motivi formali (es. mancanza nuovi elementi) che il merito (es. l’ammontare dell’imposta)?
    Risposta: Assolutamente . Nel ricorso tributario puoi (anzi, dovresti) articolare tutti i motivi di illegittimità dell’atto: sia di legittimità (vizi procedurali, violazioni di legge, incompetenza, difetto di motivazione, ecc.) sia di merito fiscale (cioè contestare che effettivamente quei redditi siano imponibili, contestare calcoli, ecc.). La Commissione Tributaria può annullare l’atto per un vizio formale e a quel punto non esamina nemmeno il merito; ma se anche non ravvisa vizi formali, può comunque entrare nel merito e magari ridurre l’imponibile. Nel caso dell’integrativo, è buona tattica proporre motivi alternativi: ad esempio, in primis chiedi l’annullamento perché mancano nuovi elementi; in subordine, qualora il giudice ritenesse che nuovi elementi ci siano, allora eccepisci che l’importo accertato è sbagliato o sproporzionato (merito). Così hai più frecce al tuo arco.
  • Domanda: Cosa significa il “principio del ne bis in idem tributario” citato nelle sentenze?
    Risposta: È un principio di civiltà giuridica (derivato dall’art. 2 e 53 Cost.) per cui il contribuente non deve essere vessato due volte per la stessa cosa. In ambito tributario significa che non puoi essere accertato due volte sugli stessi fatti imponibili . L’accertamento integrativo è ammesso solo perché si presume che porti fatti diversi, altrimenti violerebbe questo principio. Le Sezioni Unite nel 2024 hanno anche richiamato il concetto di legittimo affidamento del contribuente: una volta ricevuto un accertamento e magari pagato, il contribuente ha diritto a una certezza finale, a meno che davvero qualcosa di nuovo emerga . Dunque il ne bis in idem in sostanza sorregge tutta la costruzione normativa: se l’ufficio vuole colpirti due volte, deve dimostrare che la seconda volta è diversa e giustificata da novità. Altrimenti, prevale la stabilità del rapporto d’imposta.

Conclusioni

L’accertamento integrativo è un istituto “a doppio taglio”: da un lato concede all’Amministrazione finanziaria un potere ulteriore per contrastare evasione non individuata al primo colpo, dall’altro lato è circondato da garanzie per evitare abusi e duplicazioni ingiuste di pretese. Dal punto di vista del contribuente (sia esso un privato, un professionista o un’impresa), ricevere un avviso integrativo può destare preoccupazione, ma come abbiamo visto esistono numerosi strumenti di difesa. Il primo passo è capire se l’atto è legittimo: verificare i termini, cercare i “nuovi elementi” e la loro effettiva novità, controllare la motivazione e le procedure seguite. Già in questa fase, l’ausilio di un avvocato tributarista è prezioso, perché riesce a individuare vizi anche nascosti.

Una volta analizzato l’atto, si può scegliere la strada migliore: dialogare con l’ufficio (adesione, mediazione) quando conviene, oppure fare causa senza indugio quando l’accertamento appare infondato. Le recenti evoluzioni normative (obbligo di contraddittorio, divieto di autotutela peggiorativa) e giurisprudenziali (sentenze Cassazione 2024–2025) hanno rafforzato la posizione del contribuente, riducendo gli spazi per il Fisco di “tentare il bis” su basi fragili. Oggi più che mai, un accertamento integrativo deve essere ben motivato e giustificato, altrimenti le Corti tendono ad annullarlo, riconoscendo il fondamentale principio di certezza del diritto tributario .

In conclusione, il contribuente che riceve un integrativo non è indifeso: ha strumenti per far valere le proprie ragioni e, con l’assistenza di professionisti qualificati, può spesso risolvere la vicenda con esito positivo – sia annullando totalmente un atto illegittimo, sia negoziando una soluzione equa e sostenibile. L’importante è agire con tempestività, cognizione di causa e fermezza nel far valere i propri diritti. Questa guida, aggiornata alle ultime novità normative di ottobre 2025, intende proprio fornire un quadro completo e avanzato per orientarsi in tali situazioni complesse.

Fonti e Riferimenti normativi e giurisprudenziali:

  • Normativa:
    D.P.R. 29/09/1973 n. 600, art. 43, comma 3: disciplina l’accertamento integrativo per le imposte sui redditi, consentendo integrazioni in aumento entro i termini di decadenza e “in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi”, con obbligo di indicazione specifica degli stessi .
    D.P.R. 26/10/1972 n. 633, art. 57, comma 4: analoga previsione per l’IVA (rettifiche integrative) .
    D.Lgs. 19/06/1997 n. 218, art. 2, comma 4: prevede le ipotesi di ulteriore azione accertatrice dopo un accertamento definito in adesione. In particolare: lett. a) nuovi elementi sopravvenuti; lett. b) accertamento parziale definito non preclude altri accertamenti sul periodo; lett. c) definizione su un soggetto/periodo non impedisce accertamenti correlati su soggetti o tributi connessi .
    Legge 27/07/2000 n. 212 (Statuto del Contribuente): art. 6, comma 3-bis (introdotto dal D.Lgs. 218/2023) che estende l’obbligo di contraddittorio preventivo a tutti gli avvisi di accertamento (salvo eccezioni) ; art. 10-quater (introdotto dal D.Lgs. 119/2023) che disciplina l’autotutela obbligatoria, vietando la sostituzione di atti impositivi in peius salvo nei casi favorevoli al contribuente ; art. 10-quinquies che prevede responsabilità erariale per il mancato esercizio dell’autotutela obbligatoria (collegato al precedente). Inoltre, art. 7 (obbligo di motivazione chiara) e art. 8 (divieto di duplicazione sanzioni) come principi generali spesso richiamati.
    D.Lgs. 31/12/1992 n. 546, art. 17-bis: disciplina il reclamo e mediazione tributaria, imponendo per le liti fino a €50.000 il tentativo di mediazione (sanzioni ridotte al 35%) .
    D.Lgs. 31/12/1992 n. 546, art. 68: regola la riscossione frazionata in pendenza di giudizio: 1/3 dopo il ricorso, 2/3 dopo sentenza di primo grado, saldo dopo sentenza definitiva .
  • Giurisprudenza:
    Cass., Sez. Unite Civili, sent. 21/11/2024 n. 30051: ha affermato principi in tema di autotutela tributaria in malam partem, distinguendola dall’accertamento integrativo . Le S.U. hanno chiarito che l’autotutela sostitutiva, esercitabile entro i termini e prima del giudicato, consente di annullare un atto viziato e sostituirlo con altro anche più gravoso basato sugli stessi elementi, mentre l’accertamento integrativo aggiunge un atto ulteriore basato su elementi nuovi . Hanno inoltre escluso che il semplice affidamento del contribuente sul primo atto (poi annullato) impedisca l’emanazione del nuovo atto più oneroso, salvo contraddittorio fuorviante dall’ufficio . (N.B.: dopo questa sentenza, il legislatore con D.Lgs. 119/2023 ha vietato l’autotutela peggiorativa.)
    Cass., Sez. V, ord. 16/04/2024 n. 10226: ha stabilito che “in tema di accertamento, l’integrazione o modificazione in aumento ex art. 43, co.3 DPR 600/73 è ammissibile anche ove la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi provenga da dati in possesso di un ufficio fiscale diverso da quello che ha emesso il primo avviso” . In pratica, un elemento noto ad altro ente (es. Gdf, altra Direzione) ma pervenuto successivamente all’ufficio accertatore costituisce elemento nuovo legittimante un integrativo. Questa ordinanza chiarisce la cooperazione tra uffici e ribadisce l’onere per l’Amministrazione di provare la non conoscenza precedente nonostante l’ordinaria diligenza.
    Cass., Sez. V, ord. 18/01/2025 n. 788: (menzionata in Ratio n. 23/09/2025 ) ha confermato la possibilità di un secondo accertamento parziale dopo un primo parziale definito in adesione, senza necessità di nuovi elementi, ai sensi dell’art. 2, co.4, lett. b) D.Lgs. 218/97 . Nella fattispecie, a una società che aveva definito un accertamento parziale sugli interessi attivi, l’ufficio aveva notificato un nuovo avviso parziale per interessi passivi indeducibili: la Cassazione ha ritenuto errata la CTR che ne aveva preteso la sopravvenienza di nuovi elementi, richiamando invece la norma che consente ulteriori accertamenti parziali sul medesimo periodo già definito .
    Cass., Sez. V, sent. 07/08/2025 n. 22825: pietra miliare recente, ha ribadito il principio per cui “una volta notificato un accertamento, il potere impositivo si esaurisce per tutti gli elementi noti o conoscibili; la possibilità di integrare l’accertamento è pertanto subordinata alla sopravvenuta conoscenza di elementi effettivamente nuovi, non potendo giustificarsi con una diversa o più approfondita valutazione di quelli già acquisiti” . La sentenza ha rigettato un ricorso dell’Agenzia avverso l’annullamento di un integrativo, evidenziando che in quel caso il secondo avviso si fondava esclusivamente su una rivalutazione di fatti già noti (sopravvenienza attiva da fusione già rilevata nei bilanci esaminati in precedenza) . Importante anche perché precisa che “nuovo elemento” include dati noti ad altro ufficio ma non a quello emittente , ma grava sull’Amministrazione l’onere di dettagliare quali siano tali elementi, da quali atti emergano e perché non considerati prima – onere non assolto dall’ufficio nel caso concreto, rendendo nulla la seconda pretesa. Confermato dunque il carattere eccezionale dell’integrativo e la funzione garantista del principio di unicità dell’accertamento e ne bis in idem tributario.
    Cass., Sez. V, ord. 21/04/2023 n. 10817: ha ritenuto legittimo un accertamento integrativo emesso dopo definizione in adesione, basato però su un nuovo PVC derivante da indagini bancarie sopravvenute . Ciò in applicazione dell’art. 2, co.4, lett. a) D.Lgs. 218/97 (nuovi elementi).
    Cass., Sez. V, sent. 28/10/2015 n. 21992: (antecedente ma rilevante) ha annullato un integrativo emesso dopo un accertamento con adesione, rilevando che l’ufficio si era limitato a riconsiderare i medesimi elementi già oggetto dell’accordo, in violazione del divieto di doppia imposizione sugli stessi fatti . Stabilì che l’adesione, salvo nuovi fatti, preclude ulteriori accertamenti sugli stessi rilievi.
    Cass., Sez. Unite, sent. 09/12/2015 n. 24823: (sul contraddittorio) aveva negato l’obbligo generalizzato di contraddittorio per gli accertamenti “a tavolino” in assenza di norma specifica, ponendo le basi per l’intervento del legislatore del 2023. Tale sentenza, oggi superata dallo Statuto modificato, spiegava che il contraddittorio era obbligatorio solo nei casi espressamente previsti (es. accertamenti doganali, o da PVC in ambito penale tributario). Ora la legge ha recepito l’orientamento opposto (obbligatorietà generalizzata ex ante).
    CTR Calabria (Catanzaro), sent. 2023 (confermata da Cassazione): (richiamata in Piazza Pitagora n.713/2023 ) ha evidenziato che la novità degli elementi nell’integrativo è da considerarsi presunta fino a prova contraria, onere che ricade sul contribuente dimostrare l’assenza di novità. Questo orientamento, sebbene supportato da Cass. 15161/2020, va coordinato con Cass. 22825/2025 che pone comunque a carico dell’ufficio l’onere di allegazione dei nuovi elementi nell’atto . Significa che il contribuente, in giudizio, deve quantomeno dedurre (e provare se possibile) che i supposti nuovi elementi erano già disponibili: una volta sollevato il dubbio, spetta poi all’ufficio controprovare la effettiva novità.

Hai ricevuto un accertamento integrativo dopo aver già ricevuto un precedente avviso dall’Agenzia delle Entrate? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un accertamento integrativo dopo aver già ricevuto un precedente avviso dall’Agenzia delle Entrate?
👉 Attenzione: questo tipo di atto viene emesso quando l’Amministrazione ritiene di aver scoperto nuovi elementi d’imposta e vuole integrare o modificare un accertamento già notificato.

In questa guida ti spiego cos’è un accertamento integrativo, quando è legittimo, e come difenderti con l’assistenza di un avvocato esperto in diritto tributario.


💥 Cos’è l’Accertamento Integrativo

L’accertamento integrativo è un nuovo avviso emesso dall’Agenzia delle Entrate per aggiungere o correggere un precedente accertamento già notificato.

È previsto dall’art. 43, comma 3, del D.P.R. 600/1973 (per le imposte dirette) e dall’art. 57 del D.P.R. 633/1972 (per l’IVA).

📌 L’Agenzia può emettere un accertamento integrativo solo se emergono nuovi elementi di fatto o di diritto non conosciuti (né conoscibili) al momento del primo accertamento.

In altre parole, non può ripetere un accertamento solo per correggere errori o aumentare la pretesa fiscale.


⚖️ Quando l’Accertamento Integrativo È Legittimo

Un accertamento integrativo è valido solo se sussistono tutte queste condizioni:

  • l’Agenzia ha scoperto nuovi elementi dopo l’emissione del primo accertamento;
  • tali elementi non erano conoscibili con l’ordinaria diligenza;
  • il nuovo atto integra o modifica il precedente, non lo sostituisce integralmente;
  • viene motivato in modo specifico, indicando quali sono i nuovi elementi e quando sono stati scoperti.

📌 Se manca anche solo uno di questi requisiti, l’accertamento integrativo è nullo per difetto di motivazione o di presupposto.


💠 Esempi Tipici di Accertamento Integrativo

  • 📂 Scoperta di nuovi conti correnti o investimenti esteri non noti all’Agenzia.
  • 💼 Individuazione di operazioni non fatturate o non dichiarate in seguito a indagini bancarie.
  • 🧾 Verifica della Guardia di Finanza che rivela ricavi occulti dopo il primo accertamento.
  • 📑 Correzione di errori materiali solo se collegati a nuove informazioni sopravvenute.

📌 Se l’Agenzia non indica con chiarezza i “nuovi elementi”, l’atto può essere impugnato e annullato.


⚠️ Le Conseguenze per il Contribuente

Un accertamento integrativo comporta:

  • 💰 Aumento del debito fiscale già accertato;
  • ⚖️ Nuove sanzioni calcolate sull’imposta aggiuntiva;
  • 📈 Interessi di mora ulteriori;
  • 🏦 Nuove iscrizioni a ruolo e possibile pignoramento se non si ricorre.

📌 Tuttavia, se l’accertamento è illegittimo o non motivato, può essere annullato integralmente dal giudice tributario.


🧩 Le Strategie di Difesa Possibili

1️⃣ Verificare la Presenza di “Nuovi Elementi”

La prima cosa da controllare è se l’Agenzia ha davvero scoperto fatti nuovi o se si limita a ripetere dati già noti.
📌 Se gli elementi erano già disponibili al momento del primo accertamento, l’atto è nullo.


2️⃣ Contestare la Mancanza di Motivazione

L’avviso integrativo deve spiegare da dove provengono i nuovi elementi, quando sono stati acquisiti e perché modificano il precedente accertamento.
📌 Un semplice rinvio al primo atto o al PVC non è sufficiente.


3️⃣ Impugnare il Nuovo Atto

Puoi presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni dalla notifica, chiedendo:

  • l’annullamento totale o parziale dell’accertamento;
  • la sospensione immediata dell’esecuzione;
  • la compensazione o cancellazione delle somme aggiuntive.

📌 Il giudice può sospendere la riscossione entro 48 ore, se il vizio è evidente.


4️⃣ Contestare la Doppia Imposizione

Se l’Agenzia tassa due volte lo stesso reddito (nel primo e nel secondo accertamento), si può eccepire violazione del principio del ne bis in idem fiscale.

📌 In tal caso, il secondo accertamento deve essere annullato integralmente.


🧾 I Documenti da Consegnare all’Avvocato

  • Copia del primo avviso di accertamento e del nuovo integrativo;
  • Verbali di verifica della Guardia di Finanza o dell’Agenzia;
  • Estratti conto bancari o documenti contestati;
  • Comunicazioni o avvisi di irregolarità collegati;
  • Eventuali memorie difensive già presentate.

📌 Solo confrontando i due atti è possibile verificare se il secondo accertamento introduce davvero elementi nuovi o se è solo una ripetizione.


⏱️ Tempi del Procedimento

  • Ricorso tributario: entro 60 giorni dalla notifica.
  • Sospensione cautelare: anche in 48 ore.
  • Decisione di primo grado: da 6 a 12 mesi circa.
  • Eventuale appello o Cassazione: per vizi di diritto o motivazione.

📌 Durante la sospensione, l’Agenzia non può riscuotere né procedere esecutivamente.


⚖️ I Vantaggi di una Difesa Legale Specializzata

✅ Annullamento dell’accertamento integrativo illegittimo.
✅ Blocco immediato della riscossione.
✅ Riduzione o cancellazione delle imposte aggiuntive.
✅ Tutela del contribuente contro doppie imposizioni.
✅ Assistenza tecnica completa fino alla Cassazione.


🚫 Errori da Evitare

❌ Ignorare l’avviso integrativo perché “simile al precedente”.
❌ Pensare che non si possa contestare un atto “correttivo”.
❌ Non richiedere copia del primo accertamento per confronto.
❌ Agire tardi o senza un avvocato tributarista esperto.

📌 Anche un piccolo errore può rendere definitivo un atto che invece poteva essere annullato facilmente.


🛡️ Come Può Aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza i due accertamenti e verifica se il secondo è legittimo.
📌 Ti assiste nella raccolta delle prove e nel confronto tecnico dei dati.
✍️ Redige ricorsi fondati su difetti di motivazione e carenza di nuovi elementi.
⚖️ Ti rappresenta davanti alle Corti di Giustizia Tributarie e in Cassazione.
🔁 Ti segue fino alla sospensione o all’annullamento definitivo dell’atto.


🎓 Le Qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato cassazionista esperto in diritto tributario e contenzioso fiscale.
✔️ Specializzato in difesa contro accertamenti integrativi e plurimi.
✔️ Gestore della crisi da sovraindebitamento, iscritto presso il Ministero della Giustizia.
✔️ Esperienza pluriennale nella tutela di imprese, professionisti e privati contro l’Agenzia delle Entrate.


Conclusione

Un accertamento integrativo può essere legittimo solo se fondato su nuovi elementi realmente scoperti dopo il primo atto.
Se invece è una semplice replica o un aggravamento ingiustificato, puoi impugnarlo e farlo annullare con una difesa mirata.

⏱️ Hai 60 giorni dalla notifica per agire: ogni giorno è prezioso.

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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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