Accertamento Fiscale A Social Media Manager: Come Difendersi

Hai ricevuto un accertamento fiscale dall’Agenzia delle Entrate per la tua attività di social media manager, consulente digitale o professionista del marketing online? È una situazione che oggi riguarda molti freelance e piccole agenzie del settore digitale, spesso oggetto di controlli fiscali su compensi non dichiarati, spese non deducibili o incongruenze nei versamenti IVA. Tuttavia, non tutte le contestazioni sono fondate, e con una difesa ben strutturata è possibile dimostrare la regolarità della propria posizione fiscale e annullare l’accertamento.

Perché l’Agenzia delle Entrate effettua accertamenti sui social media manager

Il lavoro dei social media manager, come di molti professionisti digitali, è spesso caratterizzato da prestazioni remote, pagamenti online e collaborazioni con clienti italiani ed esteri. L’Agenzia delle Entrate ha intensificato i controlli su queste attività per verificare:

  • la corretta dichiarazione dei compensi ricevuti, soprattutto da clienti esteri o tramite piattaforme digitali;
  • la fatturazione elettronica e il rispetto degli obblighi IVA;
  • la tracciabilità dei pagamenti (bonifici, PayPal, piattaforme di freelance o e-commerce);
  • la deducibilità delle spese professionali, come corsi, strumenti digitali e viaggi;
  • l’eventuale mancata apertura della partita IVA in presenza di attività continuativa.

Molte contestazioni nascono da semplici presunzioni o da controlli automatizzati, che non tengono conto della natura flessibile e digitale del lavoro autonomo online.

Cosa può contestare l’Agenzia delle Entrate a un social media manager

Le contestazioni più frequenti riguardano:

  • redditi non dichiarati derivanti da collaborazioni con clienti esteri o pagamenti su piattaforme online;
  • omessa o irregolare emissione di fatture elettroniche;
  • spese non deducibili o non documentate, come abbonamenti a software, corsi di formazione o strumenti di lavoro;
  • omesso versamento IVA o applicazione errata del regime forfettario;
  • assenza di partita IVA nonostante la continuità dell’attività;
  • mancata dichiarazione dei compensi percepiti tramite PayPal o conti digitali.

In molti casi, l’Agenzia interpreta in modo rigido le norme, applicandole a contesti di lavoro autonomo che non rientrano nei modelli tradizionali.

Cosa fare subito se hai ricevuto un accertamento fiscale

  1. Analizza attentamente l’avviso di accertamento: individua i periodi d’imposta e le motivazioni della contestazione.
  2. Verifica la notifica: controlla se l’atto è stato notificato entro i termini di legge (di norma, 5 anni dalla dichiarazione).
  3. Raccogli la documentazione completa: fatture, estratti conto, ricevute dei pagamenti online, contratti con clienti italiani e stranieri, e spese professionali sostenute.
  4. Non rispondere autonomamente: contatta subito un avvocato tributarista per analizzare la legittimità dell’accertamento e impostare una difesa mirata.
  5. Valuta un accertamento con adesione se l’Agenzia propone una soluzione agevolata per chiudere la posizione.

Le strategie difensive più efficaci per i social media manager

Un avvocato esperto in diritto tributario può impostare una difesa solida e personalizzata basandosi su:

  • Dimostrare la tracciabilità e la corretta dichiarazione dei compensi percepiti attraverso conti o piattaforme digitali;
  • Provare la natura professionale delle spese dedotte, anche se relative a strumenti digitali o formazione;
  • Contestare le presunzioni di redditi non dichiarati, fornendo la documentazione contrattuale e bancaria;
  • Evidenziare eventuali errori dell’Agenzia nella gestione IVA o nel calcolo dei contributi;
  • Richiedere l’annullamento dell’atto per difetti di motivazione, notifica o mancanza di contraddittorio;
  • Dimostrare la corretta applicazione del regime forfettario o delle agevolazioni per start-up digitali.

Errori più comuni commessi dal Fisco in questo tipo di accertamenti

  • Contestazioni basate su pagamenti online non identificati correttamente;
  • Doppia tassazione dei compensi già dichiarati in Italia ma percepiti dall’estero;
  • Mancata considerazione delle spese professionali digitali deducibili;
  • Applicazione errata dei regimi fiscali agevolati (forfettario o nuove iniziative produttive);
  • Violazioni del diritto al contraddittorio e mancata motivazione dell’atto di accertamento.

Questi errori possono portare all’annullamento dell’accertamento da parte della Corte di Giustizia Tributaria.

Cosa succede se non impugni l’accertamento

Trascorsi 60 giorni dalla notifica senza presentare ricorso o adesione, l’accertamento diventa definitivo e l’Agenzia può:

  • iscrivere il debito a ruolo e notificare la cartella esattoriale;
  • applicare sanzioni e interessi di mora;
  • procedere con pignoramenti o fermi amministrativi sui conti;
  • segnalare la posizione a INPS e Guardia di Finanza.

Agire tempestivamente è quindi essenziale per bloccare la riscossione e difendere la propria attività.

Quando rivolgersi a un avvocato esperto

Devi contattare un avvocato se hai ricevuto una lettera di compliance, un avviso di accertamento o una verifica da parte dell’Agenzia delle Entrate. Un avvocato esperto in diritto tributario e contenzioso fiscale per professionisti digitali può:

  • verificare la legittimità della procedura e delle presunzioni fiscali;
  • presentare un ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria;
  • sospendere la riscossione e bloccare le sanzioni;
  • trattare con l’Agenzia per una definizione agevolata;
  • difendere la tua attività e la tua reputazione professionale.

⚠️ Attenzione: molti accertamenti ai social media manager si basano su errori interpretativi o su dati parziali provenienti dalle piattaforme online. Con una difesa tempestiva e ben documentata, è possibile dimostrare la correttezza dei redditi dichiarati e annullare la pretesa fiscale.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, contenzioso fiscale e tutela dei professionisti digitali – spiega come difendersi in caso di accertamento fiscale ai social media manager, come contestare gli errori dell’Agenzia delle Entrate e come utilizzare gli strumenti legali per ridurre o annullare la pretesa tributaria.

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Introduzione

Il social media manager è oggi una figura professionale in rapida espansione: offre servizi di promozione digitale, pubblicità online, gestione di campagne sui social media e attività di comunicazione web. Anche se opera spesso da solo, con partita IVA individuale o occasionalmente, è tenuto a rispettare tutti gli obblighi tributari previsti per i professionisti. In particolare, deve dichiarare e tassare tutti i compensi percepiti, compresi quelli dall’estero (principio del “reddito mondiale”) . Il Fisco ha recentemente intensificato i controlli su questo settore: utilizza sofisticati incroci di dati (dichiarazioni dei redditi, esterometro/INTRASTAT, movimenti bancari, segnalazioni da piattaforme digitali ecc.) per individuare chi omette o sottodichiara compensi . Tra le irregolarità frequenti si segnalano: mancata dichiarazione di compensi esteri, qualificazione indebita di prestazioni come occasionali, omessa fatturazione o sottofatturazione di incassi, non contabilizzazione di benefici in natura (es. prodotti gratis in cambio di visibilità) . È quindi fondamentale che il social media manager conosca i propri obblighi (IRPEF/IVA, IVA semplificata, contributi previdenziali) e mantenga la contabilità documentale ordinata per poter dimostrare la veridicità delle dichiarazioni . In caso di avviso di accertamento, il contribuente (debitore) ha precisi diritti di difesa, previsti dallo Statuto del Contribuente e dal Codice tributario. Nelle sezioni seguenti si analizzano gli aspetti chiave dell’accertamento fiscale per un social media manager – sia libero professionista (regime forfettario o ordinario) sia titolare di ditta individuale – con simulazioni pratiche, tabelle riepilogative e domande/risposte utili.

Profilo fiscale del social media manager

Occasionalità vs continuatività: un social media manager che lavora senza partita IVA può fatturare con ritenuta d’acconto (20%) alle condizioni di lavoro occasionalmente svolto. Tuttavia l’art. 27 del DPR n.600/1973 e l’art. 67 del TUIR prevedono che superata la soglia dei €5.000 lordi annui o superato il limite di 30 giorni di prestazione per lo stesso committente, l’attività si presume continuativa e richiede l’apertura della partita IVA e l’iscrizione all’INPS Gestione Separata . In tale caso i redditi si configurano come lavoro autonomo abituale (art. 53 TUIR ) o addirittura come reddito d’impresa (art. 55 ss. TUIR) se l’attività è organizzata in forma d’impresa. Tabella 1 riepiloga le differenze operative:

AspettoPrestazione occasionaleRegime forfettario P.IVARegime ordinario P.IVA
Soglia IVA≤ €5.000 annui, max 30 giorni con stesso committenteNessun limite di reddito (fino a 65.000/85.000)Nessun limite
Apertura P.IVANon necessaria (ma obbligatoria se si supera 5.000€ o continuativamente)ObbligatoriaObbligatoria
IVAEsente (ritenuta del committente 20%)Esente (attività professionale)22% normalmente (reverse charge UE/extrarone)
Reddito imponibileImponibile al 100% con deduzione forfetaria al 22% (forfettario) o costi reali (ordinario)Coeff. di redditività (p.es. 78% per marketing)Ricavi – costi deducibili
Aliquota impostaIRPEF progressiva tramite ritenuta (20%)15% (5% per i primi 5 anni se nuovi inizi)IRPEF progressiva + addizionali
Contributi INPSSe continuativa, Gestione Separata su eccedenza oltre 5.000€Gestione Separata (ca. 25-27%)Gestione Separata o altra cassa professionale
Obblighi formalitàNessun libro contabile o registri IVA se occasionaleFattura elettronica facoltativa (bisogna comunicare all’Agenzia l’adesione al regime)Fatture elettroniche obbligatorie, registri IVA e contabilità semplificata o ordinaria

In particolare, con il regime forfettario (riservato a soggetti con ricavi/compensi fino a soglie stabilite) non si applica IVA né detrazioni, ma il reddito imponibile è determinato con un coefficiente di redditività (ad es. 78% se Ateco 73.11.02) . Nel regime ordinario, invece, si addebita IVA al 22% sui servizi (salvo reverse charge per clienti UE o fatture fuori campo per extra-UE) . In entrambi i casi si dovranno versare contributi previdenziali (Gestione Separata INPS se non si è iscritti ad altra cassa) in misura percentuale sul reddito dichiarato . Il contribuente deve poi registrare e conservare tutta la documentazione (fatture attive/ passive, estratti conto, contratti, ecc.) e, per operazioni con l’estero, compilare gli elenchi INTRASTAT o la comunicazione esterometro .

Ricavi dall’estero: ai sensi del principio del reddito mondiale, un compenso percepito da un cliente estero o tramite piattaforme digitali estere (es. Google, Meta, Amazon) va dichiarato e tassato in Italia . In tali casi la fatturazione segue regole particolari: per clienti UE con partita IVA si applica l’inversione contabile (fattura senza IVA), per clienti extra-UE si emette fattura “non soggetta a IVA” . È fondamentale, in caso di accertamento fiscale, poter dimostrare con documenti (fatture estere, conti correnti, estratti piattaforme) l’avvenuto incasso di tali compensi e l’eventuale versamento all’estero delle imposte se previsto dalla convenzione contro le doppie imposizioni. In assenza di prove, l’Ufficio potrebbe ritenere i ricavi esteri non dichiarati e procedere al recupero d’imposta e sanzioni.

Redditi in natura (barter): spesso nei social media e influencer marketing il compenso può consistere in prodotti, viaggi, servizi in cambio di visibilità. Tali benefit in natura vanno autotassati come redditi diversi (valore normale) se non tassati alla fonte . Ad esempio, un influencer che riceve un viaggio gratuito o merci come compenso deve dichiararne il valore come reddito imponibile, altrimenti rischia un accertamento per “redditi occultati” .

Ipotesi di irregolarità e controlli

I controlli del Fisco sui social media manager possono essere mirati o a campione. Segnali di rischio includono: reddito dichiarato ben inferiore alla media del settore, bonifici bancari o pagamenti cash ingiustificati rispetto al fatturato, frequenti aperture/chiusure di partita IVA, ampio ricorso a forfetizzazioni di spese, o presenza di conti esteri non giustificati da dichiarazioni (obbligo di monitoraggio fiscale sui conti correnti esteri). In particolare, la Direttiva UE DAC7 e normative nazionali hanno ampliato lo scambio di informazioni da parte delle piattaforme digitali (es. Instagram, YouTube) sulle transazioni degli “intermediari digitali” verso i fisco nazionali, rendendo più semplici accertamenti su redditi percepiti via social media.

Accertamenti tipici: in caso di sospetti di evasione, l’Agenzia delle Entrate può procedere sia con il cosiddetto “accertamento analitico-induttivo” (ritenute, scontrini, spese non giustificate) sia con l’“accertamento sintetico/redditometrico” (art.38 DPR 600/1973) basato sulla capacità di spesa. Nel primo caso, l’Ufficio rettifica singole voci di reddito o di costo. Nel secondo, calcola il reddito minimo presunto sulla base delle spese sostenute (ad es. acquisto di immobili o auto, risparmi accumulati). La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che in sede di accertamento sintetico il contribuente ha l’onere di provare che gli incrementi patrimoniali derivano da redditi già tassati o esenti e documentati . Ciò significa che, se a supporto del proprio tenore di vita il contribuente dimostra l’esistenza di altri redditi legittimi, l’eccedenza contestata può essere annullata.

Fasi di accertamento: un tipico controllo fiscale si articola in più fasi :

  • 1. Questionario/Comunicazione di verifica (art. 32 DPR 600/1973): l’Agenzia può inviare un modulo con domande sui redditi dichiarati, sulle operazioni più rilevanti (es. compensi oltre soglie, spese ecc.) e richiedere documenti. Il contribuente deve rispondere entro 30 giorni, allegando giustificativi (fatture, contratti, estratti conto) . Una mancata risposta o risposte evasive possono suggerire all’Ufficio di procedere con verifiche più approfondite.
  • 2. Accesso e verifica documentale (art. 33 DPR 600/1973): gli ispettori dell’Agenzia o della Guardia di Finanza possono effettuare accessi negli uffici o nei domicili fiscali del contribuente. Durante l’accesso possono essere redatti Processi Verbali di Constatazione (PVC) in cui si registrano eventuali irregolarità riscontrate (redditi non dichiarati, fatture carenti, costi personali spacciati per professionali). Il contribuente ha il diritto di assistere all’operazione, di richiedere copia del verbale o di replicare con proprie osservazioni in contraddittorio endo-procedimentale .
  • 3. Contraddittorio preventivo (art. 6-bis L.212/2000 introdotto dal D.Lgs. 219/2023): dall’inizio del 2024 vige l’obbligo generalizzato del contraddittorio informato ed effettivo prima di qualsiasi atto impositivo impugnabile . In pratica, l’Ufficio invia al contribuente un progetto di avviso di accertamento (schema di atto) con l’indicazione dei rilievi e dei calcoli, concedendo almeno 60 giorni per inoltrare controdeduzioni scritte e documenti a sostegno delle proprie ragioni . L’atto definitivo non può essere emesso prima del decorso di tale termine e dovrà motivare le ragioni dell’eventuale rigetto delle osservazioni. Se il contraddittorio non viene garantito, l’avviso di accertamento è annullabile .
  • 4. Avviso di accertamento (art. 36-bis DPR 600/1973 e art. 54-bis DPR 633/1972): se dopo le fasi precedenti permangono contestazioni, l’Agenzia notifica formalmente un avviso di liquidazione con le imposte calcolate (IRPEF e/o IVA), gli interessi e le sanzioni applicate. L’avviso deve contenere i criteri di calcolo e i motivi delle rettifiche. Da tale notifica decorrono i termini per impugnare l’atto nelle sedi giurisdizionali . Spesso l’avviso include anche l’invito a un accordo (adesione) o la possibilità di definizione bonaria.

Termini e decadenze: l’Agenzia può effettuare accertamenti fino a 5 anni dal periodo d’imposta (8 anni in caso di mancata presentazione della dichiarazione, 10 anni per frodi accertate). Dalla notifica dell’avviso di accertamento partono 60 giorni (o 90, a seconda del procedimento) per proporre ricorso in Commissione Tributaria . È essenziale rispettare questi termini, poiché un avviso non impugnato diventa definitivo ed esecutivo (Cartella di pagamento).

Strumenti di difesa nella fase pre-contestazione

Il contribuente può adottare vari rimedi stragiudiziali prima che l’atto fiscale diventi definitivo:

  • Risposta all’invito/Contraddittorio: se si riceve un invito a comparire o lo schema di atto per il contraddittorio, è fondamentale preparare un’articolata memoria difensiva. Conviene farsi assistere da un commercialista e/o avvocato tributarista. Nella memoria si possono allegare fatture, estratti conto bancari, contratti, perizie e qualsiasi prova a sostegno della correttezza della contabilità e dell’esistenza dei ricavi dichiarati. Ad esempio, se si sono sostenuti costi per campagne pubblicitarie su Facebook o Google, si dovrebbero produrre le relative fatture e dimostrare la corretta applicazione (eventuale inversione contabile) . In questa fase l’Amministrazione deve tenere conto delle osservazioni e motivare le proprie decisioni; una corposa memoria difensiva può far emergere errori formali o di calcolo dell’Ufficio prima dell’emissione dell’avviso.
  • Ravvedimento operoso (art. 13 D.Lgs. 472/1997): se durante il contraddittorio o prima di esso il contribuente si accorge di aver commesso omissioni o errori (es. omessa dichiarazione di alcuni compensi o ritardato versamento di IVA), può sanare la propria posizione versando spontaneamente le imposte dovute con una sanzione ridotta (ravvedimento operoso). Le riduzioni variano in base al tempo di ritardo (per es. riduzione delle sanzioni fino al 3,75% se la regolarizzazione avviene entro 30 giorni dalla scadenza) . Spesso conviene questa strada – che comporta sanzioni molto inferiori a quelle pienamente applicabili in un accertamento – piuttosto che attendere l’accertamento.
  • Accertamento con adesione (art. 5 D.Lgs. 218/1997): durante la fase di contraddittorio (o entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso) è possibile avviare una procedura di adesione col fisco. L’adesione è una specie di transazione fiscale: il contribuente e l’Agenzia trattano insieme per trovare un accordo sul quantum delle imposte dovute. Se si raggiunge l’intesa, il contribuente paga l’imposta otributo contestata (ridotta di almeno 1/3 rispetto all’avviso) e chiude ogni contenzioso . Questa soluzione è consigliata quando i rilievi dell’Ufficio appaiono fondati o difficili da contestare del tutto, in quanto riduce notevolmente il carico sanzionatorio e chiude la vicenda in via bonaria.
  • Accordo bonario (D.Lgs. 47/2014): qualora emergano questioni interpretative o di calcolo (per es. determinazione del reddito imponibile o dell’IVA dovuta), si può chiedere un’istanza di conciliazione giudiziale per trovare una soluzione evitando la controversia. Questa è un’opportunità meno nota, ma prevista dal Codice Tribunale quando vi sono dubbi di fatto/diritto sui valori delle poste.
  • Tutela formale preventiva: in ogni fase è consigliato conservare copia di tutta la corrispondenza con l’Agenzia (PEC, raccomandate, verbali) e prestare attenzione ai termini. Ad esempio, nel contraddittorio il contribuente ha l’onere di produrre i documenti in suo possesso; se un documento non viene prodotto in questa fase e riemerge solo in giudizio, l’Amministrazione potrebbe opporre eccezione di irreperibilità o di decadenza, costringendo il contribuente a oneri probatori aggiuntivi. D’altra parte, qualsiasi vizio formale del procedimento (notifiche irregolari, omissioni richieste, ecc.) può essere segnalato per chiedere l’annullamento dell’atto “indipendentemente dal merito” . In passato la Cassazione ha annullato avvisi anche per vizi formali di notifica o per mancato contraddittorio quando dovuto.

Strumenti di difesa giudiziali

Se l’avviso di accertamento è già stato notificato, il contribuente può impugnarlo in Commissione Tributaria entro 60 giorni . Il ricorso può contestare sia i vizi formali (invalidità di notifica, violazione dello Statuto del contribuente) sia il merito delle contestazioni (carenza probatoria delle rettifiche, errata qualificazione dei redditi, errata valutazione delle spese). In appello e in Cassazione si può far valere la normativa e la giurisprudenza più favorevoli. È bene ricordare che:

  • La Commissione Tributaria Regionale giudica in fatto e in diritto, ma le sue sentenze possono essere portate in Cassazione solo per questioni di diritto (non di fatto). Ciò significa che di solito si può ricorrere in Cassazione solo se si rileva una violazione di legge o un vizio nella motivazione.
  • Nei giudizi tributari vigono particolari regole di onere della prova: generalmente il carico di provare le contestazioni (redditi non dichiarati, spese non deducibili, base imponibile ecc.) grava sull’Amministrazione, tranne quando la legge stessa impone al contribuente obblighi di documentazione. Ad esempio, in un accertamento sintetico il contribuente dimostra l’alleggerimento del carico probatorio provando redditi già tassati .
  • In sede giudiziale esistono rimedi d’urgenza. Se l’avviso presenta vizi macroscopici (per es. assenza di contraddittorio obbligatorio), è possibile chiedere la sospensione cautelare dell’esecuzione (blocco di eventuali cartelle) e/o il risarcimento del danno da notifica irregolare (art. 15 L. 212/2000).
  • Se al termine del primo grado il contribuente subisce una decisione sfavorevole, può impugnare in appello (spesso in forma di ricorso “unico” all’appello, dal 2021 non c’è più ricorso alla CTR, ma ricorso unico al secondo grado). Se anche l’appello è negativo, solo questioni di diritto rilevanti possono arrivare in Cassazione.

In ogni caso, l’assistenza di un avvocato tributarista esperto può fare la differenza. Un difensore preparato saprà individuare le eccezioni procedurali (prescrizione, decadenze, mancanza di elementi essenziali dell’atto) e preparare un ricorso efficace sulla base della normativa (es. DLgs. 546/1992 che disciplina il processo tributario) e delle pronunce più recenti.

Simulazioni pratiche (casi di studio)

Caso 1: Prestazione occasionale con compensi esteri non dichiarati.
Mario è un social media manager che non ha partita IVA e presta servizi in modo occasionale. Durante il 2024 ha percepito €6.000 da un’azienda francese. Non avendo superato i €5.000 per ogni singolo committente (la prestazione è durata 20 giorni) ha applicato la ritenuta del 20%. Tuttavia, un controllo incrociando i flussi bancari segnala tale pagamento. L’Agenzia invia un questionario (art.32) chiedendo spiegazioni e documenti. Mario risponde che si è trattato di prestazione occasionale, fornendo contratto e fattura con ritenuta. L’ufficio contesta invece che l’attività è stata svolta in continuità (superati €5.000 complessivi) e che manca l’IVA dovuta poiché il cliente era UE (inversione contabile non applicata). A questo punto Mario potrebbe: (a) aprire partita IVA retroattivamente e versare l’IVA non assoluta (ravvedimento) sulle €6.000; (b) regolarizzare la posizione con versamento di IVA e imposta sostitutiva; (c) tentare il contraddittorio dimostrando le condizioni di occasionalità (ad es. assenza di programmato svolgimento continuativo) e di difficoltà di applicazione del reverse charge. Il vantaggio del ravvedimento (art.13 D.Lgs.472/97) è che le sanzioni si riducono notevolmente. Se già notifica di avviso, potrebbe valutare un accordo per l’adesione al pagamento del dovuto.

Caso 2: Regime forfettario e compensi “in nero”.
Lucia lavora come social media manager in regime forfettario (ricavi 2024 €50.000). Nel 2025 l’Agenzia incrocia i suoi incassi con bonifici bancari e scopre che ha ricevuto €10.000 in buoni Amazon e prodotti pubblicitari da un’azienda, senza fatturare alcun compenso. Inoltre, ha venduto servizi digitali a un soggetto italiano per €7.000 fatturando solo €5.000. L’Ufficio ritiene che i €10.000 di beni siano reddito imponibile e che i €2.000 non fatturati siano evasione. Lucia può portare fatture d’acquisto, contratti con l’azienda terza e documentazione bancaria per provare che i beni ricevuti erano legati alla sua attività (per esempio oggetti da recensire) e che la mancata fatturazione è stata un errore materiali. In fase di contraddittorio presenterà queste prove e, se necessario, chiederà di applicare il ravvedimento sul maggior reddito €2.000 per evitare sanzioni più gravi. Se l’atto di accertamento dovesse uscire, potrà impugnare rilevando carenze istruttorie o eccessi di potere.

Caso 3: Ditta individuale in regime ordinario e accertamento sintetico.
Giovanni, social media manager con partita IVA ordinaria, abita in una casa di lusso acquistata coi suoi risparmi. L’Agenzia calcola, tramite accertamento sintetico, che le spese e l’incremento patrimoniale superano i redditi dichiarati e determina un reddito presunto molto più alto. Giovanni dovrà dimostrare che ha avuto fonti lecite (ad es. un’ottima gestione di risparmi precedenti oppure un’eredità) o redditi esenti (come la cessione di titoli). Se non è in grado di produrre prove documentali dettagliate, rischia di vedersi recuperata in dichiarazione la differenza. In giudizio, però, secondo la Cassazione il peso della prova spetta all’Agenzia, che deve dimostrare il deficit di reddito rispetto alle spese sostenute; Giovanni potrà quindi chiedere di farsi indicare dall’Amministrazione le spese imputate al suo profilo reddituale . È importante anche verificare tempestivamente la prescrizione (accertamento su 5 anni) e assumere difesa per contestare eventuali errori di calcolo nel conto spese.

Domande frequenti

D: Se svolgo attività di social media manager saltuariamente, fino a quando posso evitare la partita IVA?
R: Puoi considerare occasionali le prestazioni fino a un massimo di €5.000 lordi annui per ciascun committente, purché non vi sia continuità. Superando tali limiti (o svolgendo un’attività abituale) dovrai aprire partita IVA . Ad esempio, collaborazioni brevi con clienti diversi, inferiori a €5.000 ciascuna, non obbligano al regime d’impresa. Oltre, l’Agenzia presumerà un’attività continuativa e potrebbe richiedere le imposte arretrate.

D: Come viene tassato il mio reddito se sono in regime forfettario?
R: Nel regime forfettario si applica un’imposta sostitutiva fissa (15% o 5% ridotto per 5 anni se condizioni agevolate) sul reddito imponibile calcolato applicando al fatturato un coefficiente di redditività (es. 78% per i servizi di marketing) . Non si addebita IVA né si scaricano i costi reali (viene applicata automaticamente una deduzione forfettaria del 22%). Ad esempio, con €10.000 di compensi lordi, il reddito tassabile sarà €7.800 e si pagheranno €1.170 di imposta al 15% .

D: Che succede se il fisco scopre che ho fatto prestazioni “in nero” (senza fattura)?
R: Se non hai emesso fattura per compensi ricevuti, l’Agenzia può ricostruire i redditi attraverso controlli indiretti (dati bancari, spese, segnalazioni) e notificare un avviso di accertamento per redditi presunti maggiori. In tal caso il contribuente dovrà giustificare la provenienza delle somme (art. 38 DPR 600/1973) o potrebbe vedersi tassare anche gettoni presunti di incassi. La violazione comporta imposte maggiorate e sanzioni (art. 13 DPR 600/1973 per omessa fatturazione).

D: Cosa fare se ricevo un questionario dell’Agenzia (art. 32 DPR 600/73)?
R: Rispondere entro il termine (normalmente 30 giorni) fornendo la documentazione richiesta. È un’occasione per chiarire subito eventuali dubbi sull’operato. Non ignorare il questionario: la mancata risposta è un segnale negativo e può portare all’accesso ispettivo.

D: Cos’è l’esterometro e quando devo inviarlo?
R: L’esterometro è una comunicazione periodica all’Agenzia delle Entrate di tutte le fatture emesse e ricevute verso soggetti non stabiliti in Italia (extra-UE) (dal 2022 sostituisce il vecchio spesometro per tali operazioni). Se emetti fatture fuori campo IVA verso clienti extra-UE, devi inviarlo mensilmente o trimestralmente. In alternativa, dal 1° gennaio 2022 è possibile trasmettere i dati delle fatture in fase di dichiarazione o attraverso SDI se fatturazione elettronica internazionale. L’omessa comunicazione può generare sanzioni e attirare controlli.

D: Quando conviene il ravvedimento operoso?
R: Il ravvedimento operoso (art. 13 D.Lgs. 472/97) conviene quando si scopre spontaneamente un’omissione fiscale (redditi non dichiarati, IVA non versata, ecc.) prima che l’accertamento sia concluso. Consiste nel versare quanto dovuto (imposte e contributi) più gli interessi e una sanzione ridotta (di norma alcune decine di euro invece del 30-90% normalmente applicabile). Più il ravvedimento è tempestivo (entro 30 giorni o entro 90 giorni, entro anno ecc.), minori saranno le sanzioni. È meno oneroso affrontare un ravvedimento che rischiare un avviso con sanzioni piene, e può evitare il contenzioso.

D: Cos’è e come funziona l’accertamento con adesione?
R: È una procedura transattiva (D.Lgs. 218/1997) in cui contribuente e Agenzia concordano amichevolmente l’importo d’imposta da pagare. Può essere proposta dal contribuente entro 60 giorni dall’avviso (o entro 30 giorni dallo “schema di atto” del contraddittorio). Se l’adesione va in porto, si chiude la controversia con un pagamento ridotto (minimo 1/3 in meno rispetto all’avviso) e senza sanzioni penali. È utile quando si ritiene di non vincere in giudizio e si vuole limitare il costo del contenzioso.

D: Se l’Agenzia non rispetta il contraddittorio preventivo obbligatorio, cosa succede?
R: Dal 2024, il contraddittorio endo-procedimentale (art. 6-bis Statuto del contribuente ) è obbligatorio per tutti gli avvisi impugnabili, salvo eccezioni tassative. Se l’Amministrazione ha omesso di seguire questa fase (non ha inviato schema di accertamento o non ha dato 60 giorni di tempo), l’avviso emesso è annullabile “a pena di nullità”. In pratica, il contribuente può far valere in giudizio la violazione dello Statuto e chiedere l’annullamento dell’atto per difetto di contraddittorio . Tuttavia, è fondamentale che il contribuente dimostri di aver subito un pregiudizio (Cass. n. 2795/2025 e Cass. 16873/2024) e di non aver avuto la possibilità di difendersi. Pertanto conviene documentare ogni fase: ad es. se si riceve un invito in ritardo o inesistente, segnalarlo tempestivamente.

D: In quali casi è obbligatorio il contraddittorio e quali atti ne sono esclusi?
R: L’obbligo del contraddittorio preventivo vale in generale per tutti gli atti imputativi impugnabili (avvisi di accertamento, liquidazioni, ecc.), sia per imposte dirette (IRPEF) sia indirette (IVA). Sono escluse solo alcune tipologie di atti definiti “automatizzati” o “di liquidazione formale” (elencati nel D.M. 24 aprile 2024) . Ad esempio, non richiedono contraddittorio gli avvisi di liquidazione automatici (art. 36-bis DPR 600/1973), i controlli formali sulle dichiarazioni (art. 36-ter DPR 600/1973), i redditometri automatici (art. 41-bis DPR 600/1973 per tributi diretti, art. 54-bis per l’IVA) basati su incroci di dati, e gli atti dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione (ruoli e cartelle) . Al di fuori di queste eccezioni, il mancato contraddittorio rende l’atto annullabile.

D: Ho tempo di fare qualcosa dopo l’invito al contraddittorio?
R: Sì: il contributo di memorie difensive è fondamentale. Se ricevi l’invito (o il PVC con allegato art. 12, comma 7) hai 60 giorni per produrre osservazioni. In questa fase devi raccogliere tutti i documenti utili a confutare le contestazioni o a ridurre l’imponibile (fatture, contratti, estratti conto). Puoi anche optare, anziché rispondere tramite memorie, di chiedere direttamente l’accertamento con adesione entro 30 giorni dall’invito . In generale, è preferibile sfruttare appieno il contraddittorio: una partecipazione attiva (memorie ben strutturate) di solito migliora la posizione del contribuente e ti consente di produrre prove che altrimenti, se introdotte solo in giudizio, potrebbero risultare in ritardo.

D: Entro quanto devo proporre ricorso contro un avviso di accertamento?
R: Contro l’avviso di accertamento definitivo hai 60 giorni di tempo dalla notifica per rivolgersi alla Commissione Tributaria Regionale . L’impugnazione deve essere formale (atto scritto) e contenere le ragioni di fatto e di diritto. Se non presenti ricorso entro tale termine, l’avviso diventa definitivo e si trasforma in ruolo di riscossione (cartella esattoriale esecutiva). Se necessario, in casi gravi, è possibile chiedere la sospensione cautelare del pagamento (es. per pregiudizio irreparabile) prima della scadenza, ma in ogni caso occorre rispettare la scadenza del ricorso.

Tabelle riepilogative

Tabella 2. Regimi fiscali e obblighi per il social media manager

Regime fiscaleReddito imponibileIVAContabilità e adempimentiSanzioni in caso di irregolarità
OccasionaleFino a €5.000 lordi/anno per cliente (art.27 DPR 600/73)No (ritenuta d’acconto 20%)Nessun obbligo di partita IVA (per ogni cliente di 30 giorni max, complessivi 5.000)Rettifica con IVA e contributi da versare + sanzioni (totali fino al 30-90% dell’imposta) se continuativi senza partita IVA
Forfettario Coefficiente di redditività (es.78%) del fatturato <br> Escluse spese forfettariamente calcolate (22% di “spese virtuali” non dichiarate)No (regime senza IVA) Nessuna registrazione IVA, semplificata<br> Fatture elettroniche facoltative (ma rilasciate in ogni caso)Sanzioni sul reddito dichiarato (omissioni IRPEF, mancate contribuzioni) e ammende fisse per posizione IVA irregolare (art. 11/2 DLgs 471/97)
OrdinarioRicavi – costi deducibili reali (l.r. arti e professioni, art.54 TUIR )Sì (22% su servizi in Italia; reverse charge su UE; autofattura estero) Fatturazione elettronica obbligatoria<br> Registri IVA, contabilità semplificata<br> Spesometro/esterometroOmissioni IRPEF e IVA contestate con maxi-sanzioni (fino al 200% dell’IVA se evasione accertata) e recupero contributi Inps; possibili nullità o riduzioni in caso di ravvedimento

Tabella 3. Panoramica dei rimedi difensivi

Momento proceduraRimedi disponibiliNormativa di riferimentoEffetti principali
Prima dell’avviso– Risposta a invito/contraddittorio endo-procedimentale (fino a 60 gg)Statuto Contribuente (art.6-bis L.212/2000)L’Ufficio deve considerare le osservazioni; può evitare l’avviso finale oppure presentare motivazione di diniego
– Regolarizzazione spontanea con ravvedimento operosoD.Lgs. 472/1997 (art.13)Possibilità di sanare errori con imposte dovute + interessi + sanzioni ridotte (<3,75% mensili)
– Accertamento con adesione (istanza “già con adesione”)D.Lgs. 218/1997 (art. 5)Conciliazione: imposte contestate pagate al 66% (sanzioni ridotte di 1/3)
– Accordo bonario (conciliazione interpretativa)D.Lgs. 47/2014Risoluzione delle controversie su interpretazioni di legge/calcolo senza contenzioso (meno comune)
– Verifica formale di difetti di procedura (es. notifica irregolare)Statuto Contribuente (art.7)Possibile annullamento “indipendentemente dal merito” se manca elemento essenziale dell’atto
Dopo notifica avviso– Ricorso in Commissione Tributaria (60 gg)D.Lgs. 546/1992Contenzioso tributario; sospensione termini di decadenza in caso di reclamo/revisione
– Istanza di sospensione cautelare/reclamo (contro avviso o cartella)Art. 15 L.212/2000; Codice Trib.Blocca temporaneamente l’esecuzione (con decreto motivato dal giudice) in presenza di gravi vizi o pregiudizi
– Risarcimento danni per mancato contraddittorio o notifica (art. 15 Statuto)L. 212/2000Risarcimento del danno subito per violazione grave dei diritti del contribuente nell’azione amministrativa trib.
– Ricorso in appello/Cassazione (su questioni di fatto e di diritto)D.Lgs. 546/1992, art. 52Esame delle ragioni di nullità/violazione di legge; annullamento o modifica dell’accertamento se fondate

Hai ricevuto un accertamento fiscale dall’Agenzia delle Entrate come social media manager, content creator, o consulente di marketing digitale? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un accertamento fiscale dall’Agenzia delle Entrate come social media manager, content creator, o consulente di marketing digitale?
Ti contestano redditi non dichiarati, spese non deducibili o movimentazioni anomale sui conti correnti?
👉 Non sei solo: il Fisco negli ultimi anni ha intensificato i controlli sui professionisti del digitale, spesso basandosi su presunzioni o errori dei committenti, ma con una difesa legale tempestiva e ben costruita puoi annullare o ridurre le sanzioni e proteggere il tuo lavoro e la tua reputazione professionale.

In questa guida scoprirai come funziona un accertamento fiscale per i social media manager, quali sono le contestazioni più frequenti e le migliori strategie per difenderti in modo efficace.


💻 Perché i social media manager vengono sottoposti ad accertamento fiscale

L’Agenzia delle Entrate considera quella del digital marketing una categoria “a rischio evasione”, perché spesso i compensi arrivano da più clienti (italiani o esteri) e non sempre vengono gestiti in modo uniforme.
Le principali cause di accertamento sono:

  • Compensi non dichiarati o dichiarati in modo incompleto (fatture mancanti o errate);
  • Pagamenti ricevuti su conti personali o da piattaforme estere (PayPal, Stripe, Wise, ecc.) non dichiarati al Fisco;
  • Disallineamenti tra fatturato dichiarato e movimenti bancari;
  • Errori nella gestione dell’IVA o del regime forfettario;
  • Spese di pubblicità o software ritenute non inerenti o non documentate;
  • Pagamenti in criptovalute o valute estere non monitorati;
  • Collaborazioni con clienti esteri non correttamente dichiarate nel quadro RW.

📌 In molti casi si tratta di errori formali, mancanza di consulenza fiscale adeguata o problemi di tracciabilità, non di evasione reale.


⚠️ Cosa rischia un social media manager in caso di accertamento

Un accertamento fiscale può comportare:

  • recupero di IRPEF, IVA e contributi non versati;
  • sanzioni fino al 240% dell’imposta dovuta;
  • accertamenti bancari retroattivi su più annualità;
  • blocco o pignoramento dei conti correnti;
  • in casi estremi, denuncia per dichiarazione infedele o omessa dichiarazione (D.Lgs. 74/2000).

👉 Tuttavia, se l’Agenzia delle Entrate si basa solo su presunzioni o incongruenze, la contestazione è annullabile: serve una difesa legale che dimostri l’origine lecita e tracciata dei redditi.


🧩 Le strategie legali per difendersi da un accertamento fiscale

💠 1. Richiedi copia del PVC (Processo Verbale di Constatazione)

Se hai subito una verifica o un controllo, chiedi subito il verbale completo.
Un avvocato esperto può:

  • verificare la regolarità della procedura di accertamento;
  • controllare eventuali errori di notifica o mancanza di prove;
  • accertare se i dati usati derivano da fonti digitali non ufficiali (ad esempio PayPal o Stripe) non correttamente interpretate.

📌 Se manca un verbale regolare o l’accertamento si basa su presunzioni generiche, può essere annullato.


💠 2. Controlla la corrispondenza tra incassi e fatture

Il Fisco spesso confonde pagamenti legittimi (es. rimborsi spese, anticipi, sponsorizzazioni) con redditi non dichiarati.
La difesa legale può:

  • confrontare estratti conto, fatture e dichiarazioni fiscali;
  • dimostrare che i pagamenti erano già fatturati o soggetti a ritenuta;
  • spiegare l’origine di movimenti su conti esteri o piattaforme digitali.

📌 Se il pagamento è già tassato o dichiarato, non può essere conteggiato una seconda volta.


💠 3. Dimostra l’inerenza delle spese contestate

L’Agenzia delle Entrate tende a disconoscere molte spese dedotte.
Puoi difenderti provando che le spese sono realmente collegate all’attività professionale, come:

  • acquisti di software e strumenti digitali;
  • abbonamenti a piattaforme pubblicitarie o social;
  • corsi di formazione e aggiornamento;
  • viaggi e trasferte di lavoro.

📌 Le spese sostenute per la promozione o la gestione dell’attività sono integralmente deducibili, se documentate.


💠 4. Presenta una memoria difensiva entro 60 giorni (art. 12, L. 212/2000)

Hai 60 giorni dal verbale di constatazione per presentare osservazioni scritte.
Il tuo avvocato può:

  • fornire prove contabili, contratti e documentazione digitale;
  • contestare errori di interpretazione dei movimenti online;
  • dimostrare la trasparenza e buona fede nella gestione dei compensi.

📌 Una memoria ben strutturata e accompagnata da prove può bloccare l’accertamento prima che diventi definitivo.


💠 5. Richiedi l’accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997)

Se alcune irregolarità sono effettive ma lievi, puoi proporre una definizione agevolata per chiudere la vertenza.
Questa procedura consente di:

  • ridurre le sanzioni fino a un terzo;
  • rateizzare gli importi dovuti;
  • evitare un lungo processo tributario.

📌 È la scelta giusta se vuoi sistemare la posizione fiscale senza compromettere l’attività.


💠 6. Impugna l’avviso di accertamento davanti al Giudice Tributario

Se l’accertamento è infondato, puoi presentare ricorso entro 60 giorni dalla notifica.
L’avvocato potrà:

  • chiedere la sospensione dell’atto e delle sanzioni;
  • contestare vizi formali, calcoli errati o presunzioni prive di base probatoria;
  • dimostrare che i redditi digitali erano già dichiarati o non imponibili.

📌 Oltre il 40% degli accertamenti nei professionisti del digitale viene annullato o ridotto dai giudici tributari.


📋 Documenti fondamentali per la difesa

  • Copia del PVC e dell’avviso di accertamento;
  • Fatture, contratti e ricevute digitali;
  • Estratti conto bancari e PayPal/Stripe/Wise;
  • Dichiarazioni fiscali e registri IVA;
  • Prove delle spese professionali (abbonamenti, licenze, pubblicità);
  • Comunicazioni e-mail o PEC con clienti e fornitori.

⏱️ Tempi e fasi della difesa

  1. Analisi della documentazione e del verbale: 1–2 settimane.
  2. Memoria difensiva o adesione: entro 60 giorni.
  3. Ricorso al Giudice Tributario (se necessario): entro 60 giorni dall’accertamento.
  4. Decisione o accordo finale: 6–12 mesi mediamente.

🎯 Risultati concreti:

  • Annullamento totale o parziale dell’accertamento.
  • Cancellazione o riduzione delle sanzioni.
  • Blocco delle cartelle e sospensione dei pagamenti.
  • Tutela della reputazione e della posizione fiscale.

⚖️ I vantaggi di una difesa legale specializzata

✅ Blocco immediato delle procedure di riscossione.
✅ Riduzione legale delle imposte e delle sanzioni.
✅ Possibilità di chiudere la vertenza senza processo.
✅ Tutela del patrimonio personale e dell’attività digitale.
✅ Difesa tecnica contro Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza.


🚫 Errori da evitare

  • Ignorare l’avviso di accertamento o rispondere da soli.
  • Pagare subito per paura, senza verificare i calcoli.
  • Non conservare fatture digitali o documenti contabili.
  • Dichiarare compensi esteri senza monitoraggio RW.
  • Lasciare scadere i termini (60 giorni per difendersi).

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza l’accertamento e i flussi economici digitali contestati.
📌 Ti consiglia la strategia più efficace: memoria difensiva, adesione o ricorso tributario.
✍️ Redige e deposita gli atti per bloccare l’accertamento e le sanzioni.
⚖️ Ti rappresenta nei rapporti con Agenzia delle Entrate, Guardia di Finanza e Giudici Tributari.
🔁 Ti accompagna fino alla chiusura definitiva del procedimento fiscale o alla regolarizzazione completa della tua attività online.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e digitale.
✔️ Specializzato nella difesa di freelance, social media manager e professionisti del web sottoposti ad accertamenti fiscali.
✔️ Gestore della crisi da sovraindebitamento iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Un accertamento fiscale a un social media manager non significa evasione: spesso deriva da errori formali o disallineamenti digitali.
Con una difesa legale tempestiva e competente, puoi dimostrare la correttezza dei redditi dichiarati, bloccare sanzioni e cartelle, e proteggere la tua attività e la tua immagine professionale.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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