Gestisci un negozio di giocattoli o articoli per bambini e ti trovi in difficoltà economica a causa di debiti con il Fisco, l’INPS, i fornitori o le banche? È una situazione che oggi colpisce molti commercianti del settore, messi in crisi dalla riduzione dei consumi, dalla concorrenza delle grandi catene e dalle vendite online. Quando si accumulano cartelle esattoriali, contributi arretrati o finanziamenti non pagati, la gestione dell’attività può diventare estremamente complessa. La buona notizia è che la legge mette a disposizione strumenti concreti per rateizzare, ridurre o cancellare i debiti, tutelando la tua impresa e il tuo patrimonio personale.
Perché molti negozi di giocattoli si indebitano
Le cause dell’indebitamento nel settore dei giocattoli sono legate principalmente ai costi fissi elevati e alla stagionalità delle vendite. I periodi di maggiore incasso, come il Natale, non bastano spesso a coprire le spese annuali per affitto, forniture, tasse, contributi e personale. Inoltre, la concorrenza delle piattaforme online e dei discount ha ridotto i margini di guadagno, mentre i ritardi nei pagamenti da parte dei clienti e i costi di gestione crescenti hanno compromesso la liquidità di molte imprese. Molti titolari, per mantenere l’attività, rimandano il pagamento di tasse e contributi, accumulando interessi e sanzioni che nel tempo aggravano il debito.
Cosa succede se non paghi tasse o contributi
Quando le imposte o i contributi non vengono pagati, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione e gli enti previdenziali possono avviare procedure di recupero forzato. Le più frequenti sono la notifica di cartelle esattoriali, i pignoramenti dei conti correnti o degli incassi POS, i fermi amministrativi sui veicoli, le ipoteche sugli immobili e i sequestri dei crediti verso clienti o fornitori. Gli importi aumentano progressivamente per effetto di sanzioni e interessi, mettendo ulteriormente sotto pressione la tua attività. Se il negozio è una ditta individuale o una società di persone, rispondi personalmente dei debiti, con il rischio di compromettere anche i tuoi beni familiari.
Cosa fare subito se il tuo negozio ha debiti
Il primo passo è ottenere una visione completa della tua posizione debitoria. Richiedi all’Agenzia delle Entrate-Riscossione l’estratto di ruolo aggiornato per conoscere importi, annualità e creditori. Successivamente, verifica la legittimità delle cartelle: molti atti contengono errori di notifica, importi prescritti o somme non dovute che un avvocato può contestare. Se i debiti sono corretti, puoi chiedere la rateizzazione fino a 120 rate mensili, sospendendo nel frattempo le azioni esecutive. È utile anche controllare se è disponibile una definizione agevolata (rottamazione), che consente di pagare solo il capitale, eliminando sanzioni e interessi. Se hai già ricevuto pignoramenti o ipoteche, puoi ottenere la sospensione immediata con un ricorso o un’istanza di autotutela.
Le soluzioni legali per chi non riesce più a pagare
Se il debito è troppo alto o la tua attività non riesce più a sostenere i costi, puoi accedere alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, prevista dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019). È una procedura legale rivolta a piccoli imprenditori, commercianti e lavoratori autonomi che consente di bloccare pignoramenti, sospendere le azioni dei creditori e ottenere la cancellazione totale o parziale dei debiti residui (esdebitazione). È uno strumento riconosciuto dai tribunali italiani e rappresenta una concreta possibilità per salvare l’attività o chiuderla in modo ordinato, senza lasciare pendenze fiscali o bancarie.
Come difendersi da banche, finanziarie e fornitori
Molti negozi di giocattoli si trovano anche indebitati con banche o fornitori per l’acquisto di merce, arredi o allestimenti. In questi casi puoi chiedere la rinegoziazione dei contratti, la sospensione temporanea delle rate o proporre un saldo e stralcio per chiudere i debiti a un importo ridotto. È possibile inoltre contestare clausole abusive o tassi usurari nei contratti e impugnare decreti ingiuntivi o pignoramenti entro i termini previsti dalla legge. Un avvocato esperto può assisterti nelle trattative con banche e creditori, proteggendo i beni aziendali e mantenendo la continuità della tua attività.
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
Con una strategia legale ben pianificata puoi sospendere pignoramenti e riscossioni, ottenere la rateizzazione o la cancellazione dei debiti, proteggere la casa e i beni personali, salvaguardare il magazzino e mantenere aperto il negozio. In molti casi è possibile ristrutturare la posizione debitoria e rilanciare l’attività commerciale, preservando la reputazione e la clientela.
Quando rivolgersi a un avvocato esperto
Devi rivolgerti a un avvocato se hai ricevuto cartelle o intimazioni di pagamento, se i debiti fiscali o bancari sono diventati insostenibili o se rischi pignoramenti e blocchi dei conti aziendali. Un avvocato esperto in diritto tributario e crisi d’impresa può bloccare la riscossione, impugnare gli atti illegittimi e guidarti nella procedura di esdebitazione fino alla cancellazione definitiva dei debiti. Agire in tempo è fondamentale per salvare la tua attività e difendere il tuo patrimonio personale.
⚠️ Attenzione: ignorare cartelle o avvisi di pagamento può portare rapidamente a pignoramenti, blocchi dei conti e perdita dei beni aziendali. Intervenire subito è l’unico modo per salvare la tua impresa e garantire la continuità del negozio.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, riscossione e tutela delle attività commerciali – spiega cosa fare se gestisci un negozio di giocattoli con debiti, come bloccare la riscossione e come cancellare legalmente le somme dovute grazie agli strumenti previsti dalla legge.
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Introduzione
Un negozio di giocattoli in crisi finanziaria può trovarsi ad affrontare una serie di problemi complessi: creditori che sollecitano pagamenti, fornitori che minacciano azioni legali, affitti arretrati, debiti fiscali e la prospettiva delle procedure concorsuali. Questa guida, aggiornata a settembre 2025, fornisce un quadro approfondito e pratico delle soluzioni legali disponibili in Italia per gestire la crisi di un’attività commerciale (in particolare un negozio di giocattoli) dal punto di vista del debitore, con un linguaggio rigoroso ma divulgativo. Verranno illustrati strumenti di risanamento aziendale, procedure concorsuali (sovraindebitamento, concordati, ristrutturazione, fallimento/liquidazione giudiziale) e strategie difensive contro le azioni dei creditori (ingiunzioni di pagamento, pignoramenti, ecc.), senza trascurare gli aspetti fiscali (cartelle esattoriali, rottamazioni, rateizzazioni con l’Agenzia delle Entrate) e i rapporti con soggetti chiave come fornitori, banche e locatori. Troverete inoltre tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione di Domande & Risposte frequenti, il tutto corredato dalle fonti normative e giurisprudenziali più recenti.
La crisi d’impresa di un negozio: strumenti per gestire i debiti
La normativa italiana offre diverse soluzioni per affrontare una situazione di crisi d’impresa o insolvenza, con l’obiettivo di risanare l’azienda quando possibile, oppure di liquidare il patrimonio in modo ordinato garantendo, se possibile, una liberazione dai debiti residui (esdebitazione). Dal 2022 è in vigore il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, “CCII”), che ha riformato in modo organico la materia, sostituendo la legge fallimentare del 1942 e integrando anche le procedure di sovraindebitamento per i piccoli debitori. In questa sezione esamineremo gli strumenti di regolazione della crisi oggi disponibili, distinguendo tra soluzioni stragiudiziali (accordi volontari senza aprire una procedura concorsuale formale) e soluzioni concorsuali (procedure giudiziali vere e proprie, soggette al controllo del tribunale). È fondamentale individuare il percorso appropriato in base alla dimensione dell’impresa e alla gravità dell’insolvenza, poiché alcune procedure sono riservate a piccoli imprenditori (non fallibili) mentre altre si applicano alle imprese di maggiori dimensioni (soggette alla liquidazione giudiziale, ex fallimento).
Sovraindebitamento e “piccoli” imprenditori: il nuovo concordato minore
Se il negozio di giocattoli è gestito da un piccolo imprenditore (ad esempio un’impresa individuale o una società al di sotto di certe soglie dimensionali) e si trova in una situazione di insolvibilità o crisi irreversibile, può accedere alle procedure di sovraindebitamento previste dal CCII, eredi della vecchia Legge 3/2012. Il sovraindebitamento si riferisce alla situazione in cui un debitore “civile” o comunque non soggetto a fallimento non è più in grado di pagare i propri debiti. Il nuovo codice ha introdotto in particolare il concordato minore, distinto dal concordato preventivo ordinario destinato alle imprese maggiori . Possono accedere al concordato minore tutti i debitori sovraindebitati non assoggettabili a liquidazione giudiziale (art. 2, co.1, lett. c, CCII), quindi ad esempio: persone fisiche non consumatrici (professionisti, piccoli imprenditori individuali), imprese sotto le soglie di fallibilità (attivo ≤ €300.000, ricavi ≤ €200.000, debiti ≤ €500.000) , imprenditori cessati (che abbiano chiuso l’attività ma restano con debiti personali) e altre categorie esclusi dal fallimento (imprenditori agricoli, startup innovative, enti non profit) . In sostanza, anche un piccolo negozio di giocattoli gestito in forma individuale o di piccola società può rientrare tra i soggetti ammessi al concordato minore.
Cos’è il concordato minore: è una procedura giudiziale che consente al debitore sovraindebitato di proporre un piano di ristrutturazione ai creditori, con pagamento anche parziale dei debiti e liberazione dal residuo impagato a esecuzione avvenuta . L’obiettivo è evitare la liquidazione totale, privilegiando una soluzione negoziata e continuativa se possibile (ad esempio il proseguimento dell’attività) . La procedura è simile al concordato preventivo ma semplificata e calibrata su realtà più piccole (da cui il nome “minore”): il debitore mantiene l’iniziativa, presenta una proposta di accordo che viene votata dai creditori e omologata dal tribunale. A differenza del vecchio “piano del consumatore” della L.3/2012 (riservato ai debiti personali del consumatore), il concordato minore richiede il voto dei creditori in apposita adunanza, analogamente ad un concordato preventivo . Se però il debitore è un consumatore puro (debiti contratti per scopi estranei all’attività d’impresa), continuerà ad esistere un percorso separato di piano di ristrutturazione del consumatore, che non richiede il voto dei creditori in quanto i debiti di consumo hanno una disciplina propria.
Come funziona in pratica: il titolare del negozio (debitore) deposita in tribunale una proposta di concordato minore con un piano dettagliato su come intende pagare i creditori (ad esempio, pagamento parziale in percentuale, eventuale dilazione, cessione di beni non essenziali, ecc.). Il piano deve assicurare che i creditori ottengano almeno quanto otterrebbero in una liquidazione dei beni (principio di convenienza). I creditori privilegiati (es. ipotecari, pegno, privilegi fiscali) non possono essere alterati nei loro diritti se non nei limiti in cui sarebbero in ogni caso insoddisfatti: in altre parole, se un bene non copre interamente il credito privilegiato, la parte scoperta diventa chirografaria e può essere falcidiata . I creditori chirografari (non garantiti) votano sul piano; per l’approvazione serve il voto favorevole di almeno il 60% dei crediti ammessi al voto (maggioranza per teste e per valore). Una volta raccolto il consenso, il tribunale omologa l’accordo, anche superando l’eventuale dissenso di creditori che hanno votato contro purché la proposta sia conveniente: il CCII prevede infatti un meccanismo di cram-down giudiziale (art. 80, co.3) per forzare l’omologazione nonostante il voto contrario di creditori, incluso l’Erario o l’INPS, se il trattamento proposto risulta non inferiore a quello realizzabile in caso di liquidazione . Questo significa, ad esempio, che se l’Agenzia delle Entrate rifiutasse la proposta ma il piano offre al Fisco almeno la stessa percentuale che otterrebbe da una liquidazione dei beni, il tribunale può ugualmente omologare il concordato minore nonostante il diniego (cram-down fiscale) .
Debiti fiscali e previdenziali nel concordato minore: a differenza del concordato preventivo ordinario, nel concordato minore non è prevista una separata “transazione fiscale” da negoziare con il Fisco: tutti i debiti, incluse imposte e contributi, sono ricompresi nel piano unico . Ciò permette di proporre la falcidia (riduzione parziale) anche di debiti tributari normalmente “inderogabili” come IVA e ritenute, possibilità apertasi con le riforme degli ultimi anni . In passato, IVA e ritenute dovevano essere pagate integralmente salvo accordi specifici; oggi invece, se il debitore non ha risorse sufficienti, può offrire il pagamento parziale di tali imposte in sede di concordato minore, al pari degli altri debiti . L’Agenzia delle Entrate partecipa come un normale creditore: riceve la proposta e vota se accettarla . È buona prassi offrire al Fisco una percentuale congrua (idealmente almeno pari a quella indicata nelle linee guida delle transazioni fiscali negli accordi di ristrutturazione, ad es. pagare l’IVA in misura significativa, riducendo soprattutto sanzioni e interessi) . Se il Fisco vota contro ma la percentuale offerta è ragionevole (non inferiore al realizzo in caso di esecuzione forzata), il giudice – come detto – può omologare comunque superando il dissenso ingiustificato . Attenzione però: una volta omologato, il piano fa stato anche nei confronti dell’Erario; se poi il debitore non rispetta le rate concordate col Fisco, l’Agenzia potrà chiederne la risoluzione (annullamento) e si perderebbero i benefici . Durante l’esecuzione del piano, il debitore deve quindi essere rigoroso nei pagamenti concordati e anche mantenersi in regola con gli obblighi fiscali correnti (nuove imposte, contributi maturati dopo l’omologa, che vanno pagati regolarmente: i nuovi debiti sono esclusi dal piano e, se accumulati, possono portare a problemi e persino alla risoluzione del concordato) .
Altre procedure da sovraindebitamento: oltre al concordato minore, il CCII prevede per i debitori civili due alternative: il piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (riservato alle persone fisiche che hanno debiti per scopi estranei all’attività d’impresa) e la liquidazione controllata del patrimonio. Il piano del consumatore segue logiche simili al concordato minore ma, come in passato, non richiede voto dei creditori: è il giudice a valutarne l’omologazione, basandosi su fattibilità e meritevolezza del debitore (ad esempio un privato o piccolo imprenditore che abbia agito con diligenza). La liquidazione controllata, invece, è la procedura liquidatoria prevista per i sovraindebitati non fallibili, analoga al fallimento ma su scala ridotta: un liquidatore nominato dal tribunale (gestore della crisi) vende i beni del debitore e distribuisce il ricavato ai creditori. Questa procedura era chiamata “liquidazione del patrimonio” nella L.3/2012 ed è ora integrata nel Codice. Al termine della liquidazione controllata, la persona fisica (ad esempio il titolare del negozio individuale) può chiedere l’esdebitazione, cioè la cancellazione dei debiti rimasti insoddisfatti.
Esempio pratico: Tizio gestisce un piccolo negozio di giocattoli come ditta individuale. Ha debiti totali per 400.000€, di cui 50.000€ con fornitori, 100.000€ con banche (prestito garantito da ipoteca su casa), 50.000€ di affitti arretrati e 200.000€ verso l’Erario (IVA e contributi). L’attività non genera utili sufficienti e Tizio è insolvente. Non essendo “fallibile” (rientra nelle soglie da sovraindebitamento), Tizio si rivolge all’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) e presenta una proposta di concordato minore: offre di liquidare alcuni beni (ad esempio una seconda auto e scorte di magazzino non essenziali) e di pagare in 5 anni il 30% dei debiti chirografari, garantendo però il pagamento integrale dell’ipoteca (tramite la vendita dell’immobile dato in garanzia) e offrendo al Fisco il 20% del debito IVA e contributi (percentuale pari a quanto ricaverebbe vendendo i beni disponibili). I creditori votano: fornitori e il Fisco accettano la proposta (preferendo incassare il 20-30% anziché rischiare il nulla in caso di liquidazione); la banca ipotecaria è soddisfatta dalla vendita dell’immobile; il locatore chirografario vota a favore perché riceverà parte degli affitti arretrati. Il tribunale omologa il concordato minore. Tizio esegue il piano, paga le rate concordate e, a fine procedura, ottiene l’esdebitazione dal debito residuo non pagato.
Composizione negoziata della crisi d’impresa
Tra le novità più rilevanti del diritto concorsuale italiano vi è la Composizione Negoziata della Crisi, introdotta nel 2021 (D.L. 118/2021, conv. in L. 147/2021) e ora disciplinata nel Codice della Crisi. Si tratta di uno strumento volontario e stragiudiziale che consente all’imprenditore in difficoltà di intraprendere, con l’ausilio di un esperto indipendente, un percorso di negoziazione con i creditori per risanare l’azienda ed evitare soluzioni traumatiche come il fallimento . La composizione negoziata non è una procedura concorsuale in senso stretto: l’imprenditore mantiene la gestione dell’impresa (non c’è spossessamento) e l’obiettivo è di raggiungere accordi volontari con i creditori, eventualmente sfociando in uno degli strumenti formali (accordo di ristrutturazione o concordato) solo se necessario. In pratica, è un “percorso protetto” di trattativa, con la supervisione di un esperto terzo nominato dalla Camera di Commercio competente, che aiuta a valutare la situazione e a facilitare le trattative .
Chi può accedervi: qualunque imprenditore commerciale (di qualsiasi dimensione, anche le micro imprese e le SRL che rappresentano la maggioranza dei casi ) che si trovi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rendono probabile la crisi o l’insolvenza, ma non ancora in stato di insolvenza irreversibile conclamata. La norma parla di imprenditore che “si trova in condizioni di difficoltà tali da rendere probabile la crisi o l’insolvenza” (art. 12 CCII): quindi si può attivare anche in fase di pre-crisi o crisi iniziale. In realtà, l’accesso è possibile anche se l’impresa è già insolvente, purché ci sia ragionevole prospettiva di risanamento (insolvenza reversibile). Il Codice della Crisi e i successivi correttivi del 2023-2024 hanno chiarito alcune condizioni: ad esempio, è stato eliminato ogni dubbio sul fatto che anche se un creditore o il PM ha già presentato istanza di liquidazione giudiziale, ciò non impedisce all’imprenditore di avviare una composizione negoziata . Questa modifica (introdotta dal “correttivo-ter”, D.Lgs. 136/2024) evita interpretazioni restrittive: in passato alcuni tribunali negavano l’accesso in presenza di istanze di fallimento pendenti, temendo un uso dilatorio della composizione negoziata; oggi la legge consente di provarci comunque, perché lo scopo è incentivare ogni tentativo di salvataggio.
Come si attiva: l’imprenditore (ad esempio il titolare di una SRL che gestisce il negozio di giocattoli) presenta una istanza tramite la piattaforma online gestita dalle Camere di Commercio (portale “Composizione Negoziata” di Unioncamere). Deve allegare informazioni contabili, un progetto di piano di risanamento e indicare le cause della crisi. Viene quindi nominato un esperto indipendente (spesso un commercialista o un avvocato con specifica formazione) da parte di una commissione apposita. L’esperto, dopo un primo esame, convoca l’imprenditore e comincia ad analizzare la situazione aziendale, elaborando assieme a lui una strategia di risanamento. Non c’è pubblicità legale iniziale (la procedura è confidenziale, a tutela della reputazione dell’impresa). Su richiesta dell’imprenditore, però, possono essere pubblicate misure protettive: il tribunale, su istanza, può infatti disporre la sospensione o il divieto di iniziare azioni esecutive e cautelari da parte dei creditori durante la composizione negoziata (art. 18 CCII). Questo consente all’azienda di negoziare senza l’assillo di pignoramenti o sequestri in corso. È un aspetto fondamentale: circa il 78% delle imprese che hanno utilizzato la composizione negoziata fino al 2024 ha richiesto tali misure protettive, proprio per congelare le azioni esecutive durante le trattative . Tali misure hanno durata iniziale fino a 4 mesi (prorogabili di altri 4) e devono essere confermate dal giudice, che verifica che la trattativa abbia prospettive e che non sia solo un espediente dilatorio.
Svolgimento della negoziazione: una volta ottenute (eventualmente) le protezioni, l’imprenditore con l’aiuto dell’esperto predispone un piano provvisorio e approccia i creditori chiave (banche, fornitori principali, Fisco, ecc.) per esplorare soluzioni. Il ruolo dell’esperto è cruciale: deve essere super partes, individuare le cause della crisi, suggerire interventi (ad esempio taglio di costi, cessione di rami d’azienda non redditizi, ricapitalizzazione, ricerca di investitori) e facilitare la comunicazione tra le parti. L’esperto redige relazioni periodiche per monitorare i progressi e, se valuta che non ci siano margini di risanamento, può concludere anticipatamente la procedura. La composizione negoziata è pensata per essere rapida: l’esperto al termine redige una relazione finale. Entro la fine del percorso, vi sono varie possibili esiti:
- Accordo stragiudiziale con tutti o parte dei creditori: ad esempio, l’imprenditore riesce a ottenere accordi individuali (transazioni) con fornitori e banche, ristrutturando il debito in via privata. In tal caso la procedura si chiude con successo e senza bisogno di omologazione giudiziaria, salvo eventualmente un “accordo di ristrutturazione” formale se serve efficacia verso dissenzienti.
- Accesso a una procedura concorsuale semplificata: se gli accordi privati non sono sufficienti, il debitore può decidere di depositare un concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione dei debiti sfruttando il lavoro preparatorio svolto. In particolare, il Codice incentiva che, in caso di esito infruttuoso della negoziazione ma con possibili acquirenti o soluzioni liquidatorie, il debitore presenti entro 60 giorni un concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII) senza necessità di voto dei creditori . Questo concordato semplificato è una novità: se durante la composizione negoziata non si trova un accordo, ma c’è la possibilità di liquidare i beni con maggior tutela dei creditori rispetto al fallimento, l’imprenditore può proporre al tribunale un piano liquidatorio che verrà valutato dal giudice ed eventualmente omologato senza passare per l’adunanza dei creditori (che in questo caso non votano).
- Liquidazione giudiziale: se la situazione è compromessa e non si raggiunge alcuna intesa, l’esperto lo segnala; il debitore o i creditori potranno far partire la normale procedura fallimentare (liquidazione giudiziale). Va notato che durante la composizione negoziata il debitore può sempre “tirarsi indietro” e decidere volontariamente di presentare un concordato o di liquidare l’azienda. Anche i creditori, se non sono in regime di misure protettive, potrebbero nel frattempo avanzare istanza di fallimento; però, come detto, le misure protettive generalmente lo impediscono temporaneamente. Con la fine della negoziazione, se non c’è soluzione, è probabile la sfoci in insolvenza conclamata.
Vantaggi della composizione negoziata: è uno strumento flessibile e confidenziale, che permette di guadagnare tempo e bloccare azioni esecutive mentre si tenta un salvataggio. L’impresa continua ad operare, con la fiducia che deriva dal coinvolgimento di un esperto e, a volte, con alcuni incentivi normativi: ad esempio, durante la negoziazione l’imprenditore può ottenere autorizzazione del tribunale per finanziamenti prededucibili (nuova finanza protetta che verrà ripagata con priorità) e per la cessione di beni aziendali non strategici. Inoltre, la legge prevede una sorta di “scudo” per l’imprenditore: finché segue le indicazioni dell’esperto, non potranno essergli contestate con facilità le responsabilità per aggravamento del dissesto (ad esempio l’azione di responsabilità per tardiva richiesta di fallimento potrebbe essere mitigata dall’aver tentato la composizione negoziata in buona fede).
I dati degli ultimi anni mostrano che la composizione negoziata sta gradualmente entrando nelle prassi: nel 2024 in Lombardia ci sono state 258 nuove istanze (+87% rispetto al 2023) e complessivamente dal 2021 a fine 2024 oltre 1.723 imprese a livello nazionale hanno provato questo strumento . La maggior parte erano S.r.l. micro e piccole imprese (oltre il 70% con meno di 10 dipendenti) . Ciò dimostra che anche attività come un negozio di giocattoli, spesso costituite come S.r.l. a base familiare, possono utilmente tentare questa via. Anche se non tutte le negoziazioni vanno a buon fine, molti casi si risolvono con esiti positivi: nel 2024, solo in Lombardia, 38 imprese hanno completato con successo un risanamento tramite composizione negoziata, salvando più di 2.100 posti di lavoro . Questo conferma che, se utilizzato tempestivamente, lo strumento può evitare il tracollo, preservando la continuità aziendale.
Esempio pratico: La “Giocattoli Felici S.r.l.” ha subito un forte calo di fatturato e accumulato 150.000€ di debiti (fornitori non pagati e rate di mutuo arretrate). Pur non essendo insolvente in modo irreversibile, l’equilibrio finanziario è compromesso. L’amministratore richiede a luglio 2025 l’accesso alla composizione negoziata. Viene nominato un esperto che, analizzando la situazione, rileva che l’azienda può essere salvata riducendo i costi (chiusura di un punto vendita secondario), vendendo l’automezzo aziendale poco utilizzato e ottenendo una dilazione dei debiti. Grazie alle misure protettive, i fornitori sospendono le azioni legali mentre si tratta. L’esperto convoca separatamente le banche e i fornitori principali: la banca accetta di rimodulare il mutuo allungandone la durata (riducendo la rata mensile), i fornitori concordano un saldo a stralcio (pagamento del 50% del dovuto in 12 mesi) e contestualmente riprendono le forniture a condizioni leggermente riviste. Il magazzino in eccesso viene liquidato con una vendita promozionale, generando liquidità. Dopo 3 mesi, la “Giocattoli Felici” raggiunge accordi con tutti: l’esperto verifica che la società, con questi accordi e i tagli di costi, può tornare in equilibrio. La composizione negoziata si chiude con successo senza bisogno di procedure giudiziali. I debiti verso i creditori aderenti sono ridotti e dilazionati secondo gli accordi, e l’azienda evita il fallimento. Nel corso della trattativa, inoltre, l’azienda ha beneficiato del blocco dei pignoramenti e di un piccolo finanziamento di emergenza autorizzato dal tribunale (ripagato come prededucibile).
Piani attestati di risanamento (accordi stragiudiziali protetti)
Un altro strumento stragiudiziale a disposizione dell’imprenditore indebitato è il piano attestato di risanamento, disciplinato (nel solco dell’art. 67, co.3, lett. d) della vecchia legge fallimentare) anche dal Codice della Crisi. Si tratta di un accordo privato tra il debitore e uno o più creditori, basato su un piano di risanamento dell’impresa asseverato da un esperto indipendente. In altre parole, l’imprenditore in crisi può predisporre un piano di riorganizzazione aziendale e ristrutturazione dei debiti (ad esempio, nuovi finanziamenti, riduzione di costi, dismissione di asset, e accordi di dilazione o riduzione con i creditori), incaricando un professionista di redigere una relazione di attestazione che certifichi la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, ossia la capacità di risanare l’esposizione debitoria entro un termine ragionevole.
Il vantaggio principale di un piano attestato di risanamento è che costituisce una forma di “ombrello” legale: gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del piano di risanamento non sono soggetti a revocatoria fallimentare in caso di successivo fallimento (art. 166, co.3, CCII). Ciò significa che un creditore che accetti di partecipare al piano (ad es. rinunciando a parte del credito in cambio di un pagamento parziale immediato) non rischia, se l’azienda poi fallisce comunque, di dover restituire le somme incassate. Questa protezione incentiva i creditori a fidarsi del piano, perché vengono messi al riparo dall’azione revocatoria per atti che di norma sarebbero sospetti (pagamenti preferenziali, ecc.). Tuttavia, a differenza dell’accordo di ristrutturazione e del concordato, il piano attestato non richiede omologazione del tribunale né coinvolge tutti i creditori obbligatoriamente: è un accordo su base volontaria, spesso usato quando i creditori principali (es. banche) sono pochi e consenzienti.
Caratteristiche: il piano attestato deve avere contenuto idoneo a risanare l’impresa (di solito con prospettiva di continuità aziendale) e indicare tempi e modalità di superamento dell’indebitamento. L’attestatore indipendente (in genere un commercialista o revisore) verifica i numeri e la ragionevolezza delle assunzioni. Il piano viene poi pubblicato facoltativamente nel Registro delle Imprese (se si vuole ufficializzarne la data ai fini delle esenzioni da revocatoria). Di solito, l’imprenditore negozia con alcune banche la ristrutturazione dei finanziamenti (allungamento dei termini, remissione parziale di interessi, ecc.) e con alcuni fornitori chiave delle dilazioni o riduzioni, ottenendo in cambio magari il pagamento parziale immediato grazie a nuovi apporti di capitale o finanziamenti. Tali nuovi finanziamenti vengono erogati proprio confidando nella protezione legale offerta dall’attestazione: chi mette soldi nel piano attestato sa di avere maggiori garanzie che quelle operazioni non verranno annullate in futuro.
Limiti: il piano attestato non offre, di per sé, alcun meccanismo per obbligare un creditore dissenziente a partecipare. È basato sul consenso individuale dei creditori coinvolti. Pertanto funziona meglio in situazioni in cui la platea dei creditori è ristretta e favorevole (tipicamente banche o obbligazionisti organizzati). Inoltre, durante la preparazione e attuazione del piano non scatta un automatico blocco delle azioni esecutive: se un creditore non aderente decide di agire, il piano attestato non lo può impedire (a differenza di un concordato preventivo o di una composizione negoziata con misure protettive). Per questo, spesso il piano attestato viene impiegato quando la crisi non è ancora sfociata in insolvenza conclamata e c’è fiducia reciproca con i creditori, oppure in combinazione con accordi temporanei di moratoria (accordi di standstill in cui i creditori si impegnano a non escutere per un certo periodo mentre si negozia).
Quando conviene usarlo: se il negozio di giocattoli ha prevalentemente debiti verso la banca e magari un paio di fornitori principali, ed esiste un progetto credibile di rilancio (ad esempio ingresso di un nuovo socio finanziatore), un piano attestato potrebbe essere la via più rapida e meno costosa, evitando di passare per il tribunale. Ad esempio, banche e fornitori possono convenire di ridurre il debito a fronte di un pagamento immediato di una percentuale, finanziato dall’ingresso di un investitore, con tutti gli accordi formalizzati nel piano attestato. Questo consente di evitare il “marchio” di una procedura concorsuale e di mantenere riservata la crisi, proteggendo al contempo i creditori che collaborano.
Accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 57 e ss. CCII)
Gli accordi di ristrutturazione sono uno strumento intermedio tra il piano attestato (completamente stragiudiziale) e il concordato preventivo (totalmente concorsuale). Si tratta di accordi negoziati con i creditori che coinvolgono una maggioranza qualificata di essi e che vengono poi omologati dal tribunale, acquistando efficacia vincolante anche per eventuali creditori dissenzienti (in misura limitata). Nella sostanza, l’imprenditore elabora un piano di ristrutturazione e lo sottopone ai creditori principali: se riesce a ottenere l’adesione di almeno il 60% dei crediti (per valore), può chiedere al tribunale l’omologazione dell’accordo . A differenza del concordato, qui non c’è un voto in adunanza generale: le adesioni vengono raccolte singolarmente (firma dell’accordo da parte dei creditori che accettano). Una volta raggiunta la soglia, l’accordo viene depositato in tribunale, che controlla il rispetto delle norme (ad es. che i creditori non aderenti vengano comunque soddisfatti in misura non inferiore alla liquidazione, principio di cram-down simile a quello del concordato). Se tutto è regolare, il giudice omologa e l’accordo diviene vincolante per i creditori aderenti e, in certi casi, anche per alcuni non aderenti (ad esempio, i creditori finanziari dissenzienti possono essere coinvolti se si raggiungono percentuali particolari per categoria).
Il Codice della Crisi ha introdotto vari tipi speciali di accordi di ristrutturazione, per aumentarne l’appeal: ad esempio, gli accordi ad efficacia estesa (che permettono di estendere gli effetti anche a creditori della stessa categoria che non hanno firmato, come le banche dissenzienti, a condizione che chi ha aderito rappresenti almeno il 75% dei crediti di quella categoria); gli accordi agevolati (che abbassano la soglia di adesione al 30%, ma limitati a certe categorie di creditori come le banche, e richiedono comunque il pagamento integrale dei non aderenti); e gli accordi di ristrutturazione con riserva (una sorta di “pre-accordo” simile al concordato in bianco, per bloccare le azioni esecutive mentre si raccolgono le adesioni).
Procedura: per utilizzare questa via, il negozio (in forma societaria o imprenditoriale) deve trovarsi in crisi o insolvenza imminente. In genere, si predispone un piano e un professionista indipendente lo attesta circa fattibilità e convenienza per i creditori. Si avviano trattative confidenziali con i creditori principali. Quando almeno il 60% (in valore) del totale dei crediti ha firmato l’accordo, si deposita il tutto in tribunale insieme all’attestazione. Il tribunale può adottare misure protettive anche in questa fase (simili a quelle del concordato) per congelare le azioni esecutive mentre pende l’omologazione. Se alcuni creditori non hanno aderito, essi rimangono estranei: però l’omologazione impedisce che possano intralciare l’esecuzione dell’accordo (ad esempio, i creditori estranei non possono avviare o proseguire azioni esecutive finché l’accordo viene eseguito regolarmente). Inoltre, se tali creditori estranei sono destinati a essere pagati integralmente (come richiesto di solito), essi di fatto vengono soddisfatti e non hanno motivo di agire.
Differenze col concordato: l’accordo di ristrutturazione è più snello poiché coinvolge solo i principali stakeholder consenzienti, senza passare per un voto assembleare. Non c’è un commissario giudiziale né spossessamento. È però necessario assicurare che i creditori non aderenti siano pagati integralmente oppure non ricevano meno di quanto avrebbero dal fallimento (questo per tutela e per evitare abusi). Spesso viene utilizzato quando il debitore ha poche banche esposte e può convincerle a un piano di rientro, mentre magari intende pagare integralmente i piccoli fornitori per non danneggiare il business. In tal caso, con l’accordo di ristrutturazione, le banche aderenti si vincolano alla ristrutturazione del debito (taglio o dilazione), e i fornitori estranei vengono pagati regolarmente durante l’esecuzione dell’accordo.
Transazione fiscale: un caso particolare è quando tra i creditori c’è il Fisco o enti previdenziali. Per includere anche tali enti in un accordo di ristrutturazione, la legge prevede uno specifico iter di transazione fiscale (art. 63 CCII): si deve presentare all’Agenzia delle Entrate o all’INPS una proposta di trattamento dei loro crediti (ad esempio pagamento parziale di imposte e contributi), e ottenere la loro adesione formale. Tradizionalmente il Fisco è meno incline a accettare tagli, ma la normativa più recente consente, come accennato, anche un cram-down sui crediti erariali negli accordi: se l’Erario rifiuta irragionevolmente ma la proposta gli offre almeno determinate percentuali (non inferiori al 30% per alcuni tributi, o comunque alla quota di realizzo in liquidazione), il tribunale può omologare lo stesso l’accordo . Questo è stato previsto proprio per evitare che un singolo diniego blocchi accordi altrimenti vantaggiosi per tutti.
Esempio pratico: La società “ToyLand S.r.l.” ha un debito complessivo di 1 milione di euro, di cui 700.000€ verso tre banche e 300.000€ verso fornitori vari. La società elabora un piano per cui un investitore apporterà 300.000€ freschi, con cui pagare parzialmente le banche; le banche dal canto loro accettano di stralciare il 30% del credito e di riscadenziarne il resto a tasso ridotto. I fornitori minori verranno pagati integralmente col flusso di cassa generato in due anni. Si ottiene l’adesione scritta delle tre banche (che rappresentano il 70% del debito totale, quindi >60%). La società deposita un accordo di ristrutturazione dei debiti con attestazione. Il tribunale, verificato che i fornitori estranei all’accordo saranno soddisfatti al 100% e che l’accordo è conveniente, lo omologa. Da quel momento, l’accordo è vincolante: le banche perdono il diritto di agire al di fuori di quanto pattuito e sospendono le azioni esecutive intraprese; i fornitori, che comunque vengono pagati integralmente nei termini previsti, non possono opporsi all’esecuzione del piano. L’azienda così esce gradualmente dalla crisi senza passare per un concordato preventivo.
Concordato preventivo (per imprese medio-grandi)
Il concordato preventivo è la più nota procedura concorsuale di tipo negoziale prevista dall’ordinamento. Si tratta di una procedura giudiziale su iniziativa del debitore, il quale, trovandosi in stato di crisi o insolvenza, propone ai propri creditori un accordo collettivo per evitare la liquidazione fallimentare. A differenza degli strumenti visti finora, il concordato preventivo è riservato alle imprese soggette a fallimento (oggi liquidazione giudiziale). Tipicamente, un negozio di giocattoli rientra in questa categoria se è gestito da un imprenditore commerciale sopra le soglie di fallibilità oppure con debiti significativi. In concreto, secondo il nuovo codice, è soggetto a liquidazione giudiziale l’imprenditore commerciale insolvente che non provi di avere i requisiti di piccolo imprenditore (art. 121 CCII) e il cui debito scaduto superi la soglia minima di €30.000 . Quindi se il negozio ha debiti superiori a 30mila euro e non è micro-piccolissimo, può essere assoggettato a fallimento e quindi può accedere al concordato preventivo (che funge da alternativa al fallimento stesso) . Si noti che la soglia di €30.000 di debiti scaduti, già prevista dalla legge fallimentare, è stata confermata dal Codice della Crisi come condizione oggettiva: nessuna liquidazione giudiziale può essere aperta per debiti inferiori a tale importo (di recente la Cassazione ha ribadito che questa soglia va accertata al momento della dichiarazione di fallimento) . Inoltre, restano escluse le imprese “minori” sotto le tre soglie dimensionali indicate (attivo, ricavi, debiti); queste ultime, come visto, dovranno semmai usare il concordato minore.
Tipologie di concordato: il concordato preventivo può avere finalità di risanamento con prosecuzione dell’attività (cd. concordato in continuità aziendale) oppure può essere liquidatorio (cessione dei beni ai creditori, con cessazione dell’attività). Il Codice della Crisi incentiva le soluzioni in continuità, ritenendole preferibili per salvaguardare il valore d’impresa e l’occupazione . In caso di concordato liquidatorio puro, la legge richiede alcune condizioni più rigorose: in particolare, che vi sia un apporto di risorse esterne che incrementi di almeno il 10% la soddisfazione dei creditori (per evitare concordati “tombali” troppo penalizzanti) , e che i creditori chirografari ricevano almeno il 20% di quanto dovuto (salva la possibilità di abbassare al 10% se vi sono offerte concorrenti di terzi) . Queste soglie sono state confermate e in parte modulate dal CCII. Nel concordato in continuità, invece, non c’è una percentuale minima fissa per i chirografari, ma bisogna dimostrare che la prosecuzione dell’attività offre prospettive migliori di soddisfacimento rispetto alla liquidazione dei beni.
Procedimento: la società in crisi che vuole accedere al concordato presenta un ricorso al tribunale (anche detto “domanda di concordato”), allegando il piano concordatario e la proposta dettagliata per i creditori, insieme a una relazione di un professionista attestatore che ne certifichi la fattibilità e la veridicità dei dati. In alternativa, se non ha ancora definito il piano, può presentare un concordato con riserva (ex “concordato in bianco”), depositando la sola domanda e riservandosi di presentare la proposta e il piano entro un termine fissato dal giudice (di solito 60-120 giorni). Una volta depositata la domanda (sia completa che “in bianco”), il tribunale dichiara aperta la procedura di concordato e nomina un commissario giudiziale (figura di controllo). Da quel momento scattano degli effetti protettivi: tutti i creditori chirografari e privilegiati per la parte non garantita sono bloccati e non possono iniziare né proseguire azioni esecutive individuali (c.d. automatic stay). I crediti anteriori si congelano e potranno essere soddisfatti solo secondo il concordato; eventuali pignoramenti in corso vengono sospesi. Questo aspetto è molto importante per il debitore: ad esempio, se il locatore aveva avviato un pignoramento o un fornitore aveva ottenuto un decreto ingiuntivo esecutivo, tutto ciò viene paralizzato dall’ammissione al concordato. Anche eventuali istanze di fallimento presentate da creditori rimangono sospese in attesa dell’esito del concordato.
Il commissario redige un’analisi e sorveglia la gestione (che rimane in mano al debitore, salvo casi di abuso in cui può essere revocata). Si convoca quindi l’adunanza dei creditori: qui i creditori votano la proposta di concordato. Di solito sono suddivisi per classi (gruppi omogenei di interesse: es. fornitori chirografari in una classe, banche chirografarie in un’altra, eventualmente il Fisco se chirografo in un’altra, etc.). Hanno diritto di voto i creditori chirografari e i privilegiati se rinunciano a parte del privilegio (o per la parte eventualmente scoperta). Per l’approvazione serve il voto favorevole di una maggioranza sia di valore (almeno il 50% dei crediti ammessi al voto) sia, in caso di classi, anche di classi (almeno la metà delle classi deve approvare). Se la maggioranza vota sì, si passa all’omologazione: il tribunale verifica che il concordato rispetti la legge e sia fattibile. In sede di omologa, i creditori dissenzienti possono contestare la convenienza (sostenendo che otterrebbero di più dal fallimento); ma se la maggioranza ha approvato, il giudice omologa salvo che il dissenziente provi che sarebbe trattato peggio che in fallimento. In particolare, l’art. 112 CCII (già art. 180 L.F.) prevede il cram-down anche qui: il tribunale può omologare il concordato nonostante il voto contrario di una classe di creditori o del Fisco, purché il trattamento offerto a tali creditori sia non inferiore a quello ricavabile dalla liquidazione (e in caso di creditori prioritari dissenzienti, che nessun altro di rango inferiore riceva più di loro). Quindi, analogamente a quanto visto per il concordato minore, c’è la possibilità di superare il dissenso di minoranze quando il piano rispetta comunque il loro best interest.
Esecuzione e effetti: una volta omologato, il concordato preventivo vincola tutti i creditori anteriori, anche quelli che hanno votato contro o non hanno partecipato. I debiti vengono ristrutturati secondo quanto previsto (pagamento parziale, eventuali stralci, conversioni in capitale, ecc.). Il commissario giudiziale diventa liquidatore giudiziale se il piano prevede cessioni di beni. Se l’impresa continua l’attività, dovrà rispettare i pagamenti previsti dal piano nei tempi stabiliti, sotto la sorveglianza del liquidatore o commissario. A esecuzione completata, l’impresa è liberata dai debiti residui in forza dell’effetto esdebitatorio del concordato (diverso dall’esdebitazione post-fallimentare, ma concettualmente simile: ciò che non è stato soddisfatto secondo il piano viene cancellato, salvo eccezioni come debiti personali dei soci illimitatamente responsabili). Se invece il debitore non rispetta il concordato, questo può essere risolto (su istanza dei creditori o d’ufficio) e allora si aprirà di norma la liquidazione giudiziale.
Concordato e debiti fiscali: nel concordato preventivo “maggior” la legge impone che per stralciare debiti IVA o ritenute serve necessariamente l’adesione dell’Erario tramite la procedura di transazione fiscale. Il CCII ha unificato in parte la disciplina con quella degli accordi di ristrutturazione: oggi l’art. 88 CCII consente la falcidia di IVA e ritenute solo se il Fisco aderisce al piano con voto favorevole, oppure – se vota contro – solo se comunque prenderebbe zero in caso di fallimento (situazione rara). In altre parole, per un concordato preventivo che preveda di non pagare integralmente l’IVA, il debitore deve negoziare con l’Agenzia delle Entrate un accordo nella proposta (il cui voto è espresso dal Fisco come creditore). Se l’Agenzia rifiuta e il concordato non offre almeno il minimo di legge, il concordato non può essere omologato. La giurisprudenza su questo è stata altalenante, ma la riforma 2022-2023 ha chiarito che il tribunale può anche in concordato preventivo superare il dissenso dell’Erario se quest’ultimo è irragionevole rispetto alla convenienza (richiamando il meccanismo di cui all’art. 180, co.4 L.F., ora assorbito nel CCII). Ad esempio, Cass. Sezioni Unite n.8500/2021 ha sbloccato la possibilità del giudice di omologare un concordato nonostante il voto contrario del Fisco, se ritiene che la proposta fiscale sia il miglior risultato possibile per l’Erario.
In sintesi: il concordato preventivo è lo strumento principe per riorganizzare l’impresa indebitata su base collettiva evitando la fine ingloriosa del fallimento. Tuttavia è anche la procedura più complessa, onerosa e pubblica (iscrizione al registro imprese, coinvolgimento di organi e del tribunale). Si adatta a situazioni in cui vi sono molti creditori e serve un effetto vincolante generale. Un piccolo negozio di giocattoli raramente opterà per un concordato preventivo completo, a meno che non abbia raggiunto dimensioni rilevanti o debiti molto diffusi; più spesso, per le PMI si cercano soluzioni più snelle (accordi o concordato minore). Qualora però il negozio (magari in forma di S.r.l.) sia cresciuto e abbia debiti verso decine di soggetti, il concordato preventivo può essere l’unico strumento per gestirli tutti con un’unica manovra.
Esempio pratico: La “Giocattolando S.p.A.”, catena di negozi con 10 punti vendita, accumula 5 milioni di debiti e rischia l’insolvenza. Decide di presentare un concordato preventivo in continuità: propone ai creditori un piano di risanamento dove l’attività prosegue ma 3 punti vendita non redditizi verranno chiusi. Il piano offre ai fornitori chirografari il pagamento del 40% in 4 anni, alle banche chirografe il 50% in 5 anni, mentre alle banche garantite da ipoteche verrà pagato il 100% (grazie alla vendita di alcuni immobili aziendali non strategici). Il Fisco, che ha crediti per IVA, ottiene il 30% (con transazione fiscale concordata preventivamente). I dipendenti non subiscono tagli sui crediti da lavoro (che sono privilegiati e pagati integralmente, eventualmente con dilazione di qualche mese per il TFR). Il tribunale ammette la procedura, i creditori votano (la maggioranza approva, poiché preferiscono prendere il 40-50% anziché vedere la società fallire e forse recuperare meno). Un fornitore dissenziente eccepisce che in liquidazione prenderebbe di più, ma il giudice verifica che non è vero (dal piano risulta che in caso di fallimento i chirografari avrebbero preso forse il 20%). Il concordato viene omologato e la “Giocattolando S.p.A.” continua l’attività ridimensionata, pagando le percentuali promesse. I creditori, pur scontenti di non aver tutto, ottengono comunque più di quanto avrebbero ricavato dallo scenario fallimentare. L’alternativa sarebbe stata la liquidazione giudiziale, che avrebbe portato alla chiusura immediata di tutti i negozi e probabilmente a un realizzo molto basso delle scorte.
Liquidazione giudiziale (ex fallimento)
Quando un’azienda non è più risanabile e versa in stato di insolvenza conclamato, la legge prevede come percorso finale la liquidazione giudiziale, cioè la procedura che fino al 2022 si chiamava fallimento. La liquidazione giudiziale è una procedura concorsuale liquidatoria, volta a smobilizzare tutto il patrimonio del debitore insolvente e distribuire il ricavato ai creditori secondo le regole delle prelazioni. Essa viene aperta su sentenza del tribunale su iniziativa di un creditore, del Pubblico Ministero o dello stesso debitore (che può chiedere egli stesso il proprio fallimento, anche se raramente accade). I presupposti sono: la qualifica soggettiva di imprenditore commerciale (sono esclusi solo piccoli imprenditori sotto soglia e alcuni soggetti particolari come enti pubblici, imprenditori agricoli, ecc.) ; lo stato di insolvenza (l’imprenditore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni); e il superamento della soglia debitoria minima di €30.000 . Se queste condizioni sono verificate, il tribunale dichiara aperta la liquidazione giudiziale con sentenza.
Effetti e svolgimento: con la sentenza di liquidazione giudiziale, l’imprenditore viene spossessato della disponibilità dei suoi beni: subentra un Curatore nominato dal tribunale, che gestisce e liquida l’attivo dell’impresa. Viene fissato il tempo zero (data di dichiarazione) che separa i debiti pregressi (da trattare nella procedura) dalle eventuali nuove obbligazioni (in prededuzione se funzionali alla procedura stessa). Il nome dell’impresa viene inserito nel pubblico Registro fallimentare (oggi Albo delle procedure). I creditori devono presentare entro un termine le domande di ammissione al passivo al giudice delegato, elencando i loro crediti. Il Curatore redige lo stato passivo distinguendo creditori per grado (privilegiati, ipotecari, chirografari) e il giudice lo rende esecutivo dopo eventuali verifiche e opposizioni. A quel punto, il Curatore procede a realizzare l’attivo: vende i beni mobili (es. l’arredamento del negozio, le scorte di giocattoli – anche se spesso queste vengono vendute prima dell’apertura se peribili), vende eventualmente immobili di proprietà, oppure cede l’intero complesso aziendale se possibile (magari qualche concorrente può rilevare l’attività del negozio come branch). Il Curatore può anche proseguire temporaneamente l’esercizio dell’impresa se utile per una migliore liquidazione (ad es. per completare la stagione di vendita natalizia prima di chiudere). Tutto il ricavato confluisce nella massa attiva e viene poi distribuito ai creditori secondo l’ordine delle prelazioni: prima si pagano le spese e i crediti prededucibili (ad es. i compensi del curatore, eventuali fornitori post-fallimento), poi i creditori privilegiati (nei limiti del valore delle garanzie o del privilegio), e infine i creditori chirografari in proporzione (se resta qualcosa). In un fallimento di un piccolo negozio, è frequente che i chirografari non ricevano nulla o molto poco, data la scarsità dell’attivo.
Effetti per l’imprenditore: se il negozio era gestito da una società di capitali (es. SRL), la società stessa viene poi cancellata alla fine della liquidazione e cessa di esistere; i soci di regola perdono il capitale investito ma non oltre (salvo loro garanzie personali). Se invece era un’impresa individuale, la procedura investe tutti i beni personali del titolare. Durante la liquidazione giudiziale, il debitore imprenditore perde la disponibilità dei beni, non può effettuare pagamenti né gestire l’attività (che passa al curatore). Debiti verso fornitori, banche, fisco, ecc. anteriori si cristallizzano e vengono soddisfatti, di norma parzialmente, in sede di riparto fallimentare. Eventuali contratti in corso (ad esempio il contratto di affitto del negozio) possono essere sciolti dal Curatore se non convengono alla massa: la legge (art. 186 CCII, già art. 80 L.F.) consente al Curatore di recedere dai contratti pendenti (come un affitto di immobile) pagando solo un’indennità limitata al danno (equivalente di norma a breve preavviso) . Ad esempio, se il negozio fallisce e c’è un contratto di locazione, il Curatore può chiuderlo pagando al locatore un’indennità (spesso quantificata in poche mensilità) e liberando così l’immobile. Ciò è chiaramente meno oneroso che far proseguire il contratto fino a scadenza naturale con tutti i canoni dovuti. Questo punto è cruciale dal punto di vista del locatore: come vedremo, fuori dal fallimento egli potrebbe pretendere i canoni fino a scadenza, ma nel fallimento la legge limita tale pretesa.
Esdebitazione: dopo la chiusura della liquidazione giudiziale, il debitore persona fisica (non le società, che cessano) può chiedere di essere esdebitato, cioè liberato dai debiti residui insoddisfatti. L’esdebitazione è concessa dal tribunale se il fallito ha collaborato lealmente durante la procedura e non ci sono ragioni ostative (comportamenti fraudolenti, bancarotta, ecc.). Con il Codice della Crisi questa possibilità è stata ulteriormente estesa: esiste ora anche l’esdebitazione dell’incapiente, che può essere concessa anche se il fallito non ha pagato nulla ai creditori (zero attivo), purché sia una persona meritevole che ha veramente zero capacità e abbia soddisfatto i criteri di buona fede . La Cassazione nel 2024 ha sottolineato che l’esdebitazione dell’incapiente non è automatica, ma va valutata caso per caso, specie riguardo alla buona fede e cooperazione del debitore . In altre parole, un piccolo imprenditore onesto ma sfortunato, dopo aver affrontato la liquidazione giudiziale, può ottenere il perdono dei debiti residui e ripartire pulito, se dimostra di aver messo a disposizione tutto ciò che aveva e di non aver commesso irregolarità.
Differenze rispetto al passato (fallimento): la liquidazione giudiziale segue regole molto simili al vecchio fallimento. Il Codice della Crisi ha cambiato la terminologia (“fallito” diventa “debitore assoggettato a liquidazione giudiziale” per attenuare stigma ) e ha introdotto alcune ottimizzazioni (tempistiche più stringenti per chiudere le procedure, maggior digitalizzazione). Ma la sostanza rimane: è la procedura di chiusura dell’impresa insolvente e di riparto del suo patrimonio. La politica legislativa recente punta a contenere l’uso della liquidazione a quei casi inevitabili e a privilegiare soluzioni alternative (negoziate o concordatarie) prima di arrivare a questo punto . Ciò detto, se un negozio di giocattoli ha ormai cessato l’attività, non ha prospettive di risanamento e magari creditori aggressivi stanno pignorando quel poco che resta, a volte la liquidazione giudiziale può persino diventare una tutela residuale per il debitore: permette infatti di risolvere in maniera ordinata tutti i debiti e di accedere poi all’esdebitazione, evitando l’aggressione indefinita del patrimonio personale.
Esempio pratico: La ditta individuale “Bimbi & Co.” è insolvente, ha chiuso il negozio e non è stato possibile né vendere l’attività né trovare accordi. I debiti (200.000€) superano l’attivo liquidabile (20.000€ di rimanenze). Uno dei fornitori presenta istanza di fallimento. Il tribunale dichiara la liquidazione giudiziale. Il Curatore prende in carico i beni: vende le rimanenze di giocattoli per 10.000€, risolve anticipatamente il contratto di affitto del negozio (restituisce le chiavi al locatore, il quale otterrà dal passivo solo qualche migliaio di euro di indennizzo e resterà creditore per i canoni arretrati). Vende anche il furgone aziendale per 5.000€. In totale crea un attivo di 15.000€. Prededuzioni e spese procedurali costano 5.000€ (notaio, curatore, ecc.); restano 10.000€ da distribuire: prima si pagano i creditori privilegiati (ad esempio 5.000€ all’INPS per contributi dipendenti, privilegiati sul mobilio) interamente, poi restano 5.000€ per i chirografari a riparto, che avendo insinuato 150.000€ ricevono una percentuale irrisoria (3,33%). La procedura si chiude in un paio d’anni. Il titolare, avendo collaborato, chiede ed ottiene l’esdebitazione: i debiti residui (circa 145.000€ rimasti scoperti) vengono cancellati e lui potrà ripartire da zero, magari trovando un altro lavoro.
Tabella riepilogativa – Strumenti per la crisi d’impresa:
| Strumento | Tipo | Chi può usarlo | Obiettivo | Coinvolgimento del Tribunale | Effetti sui creditori |
|---|---|---|---|---|---|
| Composizione negoziata | Stragiudiziale assistito | Ogni imprenditore in crisi (anche insolvente reversibile) | Risanare l’impresa con accordi volontari (continuità) | Nomina di un esperto da parte della CCIAA; tribunale coinvolto solo per misure protettive o autorizzazioni | Azioni esecutive sospese se concesse misure protettive; accordi volontari, nessuna imposizione (salvo successiva procedura formale) |
| Piano attestato di risanamento | Stragiudiziale privato | Imprese in crisi che hanno creditori principali consenzienti | Risanare evitando procedure, con protezione da revocatoria | Nessun omologazione (solo eventuale pubblicazione registro) | Vincola solo i creditori che aderiscono; atti in esecuzione del piano non revocabili in fallimento |
| Accordo di ristrutturazione | Misto (negoziale con omologa) | Imprese in crisi/insolvenza non acuta, con maggioranza creditori raggiungibile | Ristrutturare debiti con effetto vincolante per la maggioranza | Omologato dal tribunale (dopo attestazione e adesioni ≥60%) | Vincola i creditori aderenti; non aderenti: devono essere pagati integralmente o comunque meglio che in fallimento; possibile estensione a dissenzienti in certi casi |
| Concordato preventivo | Procedura concorsuale | Imprese soggette a fallimento (insolventi o in crisi) | Risanare (continuità) o liquidare l’azienda in modo controllato | Sì, procedura giudiziale completa (commissario, voto creditori, omologa) | Vincola tutti i creditori anteriori (anche dissenzienti); sospende le azioni esecutive individuali durante la procedura |
| Concordato minore | Procedura concorsuale | Debitori sovraindebitati non fallibili (piccoli imprenditori, privati non consumatori) | Ristrutturare i debiti ed esdebitare il sovraindebitato, cercando il possibile risanamento | Sì, procedura giudiziale (OCC, voto creditori, omologa tribunale) | Vincola tutti i creditori anteriori; sospende azioni esecutive; possibile cram-down del giudice su dissensi ingiustificati (incluso Fisco) |
| Liquidazione giudiziale (fallimento) | Procedura concorsuale | Imprese commerciali insolventi > soglie (fallibili) | Liquidare il patrimonio e distribuire ai creditori; chiusura dell’impresa | Sì, procedura giudiziale con spossessamento (curatore, giudice) | Tutti i crediti anteriori diventano concorrenti nello stato passivo; azioni esecutive individuali vietate; contratti pendenti sciolti o continuati su decisione del curatore |
| Liquidazione controllata (sovraindebitamento) | Procedura concorsuale | Debitori non fallibili insolventi (consumatori, piccoli imprenditori) | Liquidare beni del sovraindebitato con esdebitazione finale (fresh start) | Sì, procedura giudiziale con OCC/curatore e giudice | Come il fallimento: creditori soddisfatti pro-quota secondo prelazioni; al termine, il debitore persona fisica è liberato dai debiti residui (salvo eccezioni) |
(Legenda: CCIAA = Camera di Commercio; OCC = Organismo di Composizione della Crisi.)
Difendersi dal contenzioso e dalle azioni dei creditori
Un negozio indebitato non deve solo scegliere come ristrutturare o liquidare i debiti, ma anche gestire nell’immediato la pressione dei creditori. Fornitori, banche, locatori e Fisco dispongono di strumenti legali per recuperare i propri crediti: cause civili, decreti ingiuntivi, pignoramenti su beni, conti correnti, merci, ingiunzioni fiscali, ecc. Dal punto di vista del debitore, è fondamentale conoscere come funzionano queste procedure e quali rimedi difensivi sono possibili per guadagnare tempo, evitare abusi e magari trovare soluzioni negoziali. In questa sezione esamineremo le principali azioni che un creditore può intraprendere contro un negozio di giocattoli insolvente e illustreremo come il debitore può difendersi legalmente, dal decreto ingiuntivo fino all’esecuzione forzata (pignoramenti mobiliari, presso terzi, immobiliari), con cenni particolari ai contratti di leasing e alle garanzie personali. Ricordiamo che molte di queste azioni possono essere sospese o risolte accedendo a una procedura concorsuale (concordato, ecc.): pertanto gli strumenti difensivi “individuali” vanno spesso coordinati con le scelte strategiche più ampie sulla gestione della crisi.
Decreto ingiuntivo: cos’è e come opporsi
Il decreto ingiuntivo (art. 633 e segg. c.p.c.) è un provvedimento giudiziario rapido che un creditore può ottenere quando dispone di prove scritte del proprio credito (fatture non pagate, estratti conto firmati, etc.). Per un negozio di giocattoli, è tipico che un fornitore di merci o una banca con rate impagate richieda al giudice un decreto ingiuntivo per l’importo dovuto. Il decreto ingiuntivo è emesso ** inaudita altera parte (senza ascoltare il debitore) e viene notificato al debitore contenendo l’ordine di pagare entro un certo termine (di solito 40 giorni**). Cosa deve fare il debitore? Ha due opzioni:
- Opporsi al decreto ingiuntivo: entro 40 giorni dalla notifica, il debitore può proporre opposizione (citazione in tribunale) contestando il credito ingiunto (integralmente o parzialmente). L’opposizione instaura un normale giudizio in cui il creditore dovrà provare il suo credito e il debitore potrà far valere le proprie difese (es. contestare la merce consegnata, eccepire la prescrizione, chiedere compensazioni, ecc.). L’opposizione sospende l’efficacia esecutiva del decreto solo se il debitore lo chiede espressamente e il giudice gliela concede (non automatica): di regola, il decreto rimane provvisoriamente esecutivo se il giudice, emettendo il decreto, ha concesso la provvisoria esecutorietà (spesso concessa se il credito è fondato su cambiali, assegni, o su fatture non contestate). In tali casi, anche con opposizione, il creditore può iniziare il pignoramento, salvo che il giudice dell’opposizione sospenda l’esecuzione per gravi motivi. È quindi importante, se ci sono fondati motivi di contestazione, accompagnare l’opposizione a un’istanza di sospensione.
- Non opporsi e pagare o negoziare: se il debitore riconosce il debito e ha le risorse, conviene pagare entro i 40 giorni (evitando ulteriori spese di esecuzione e interessi). Se non ha risorse ma non contesta il dovuto, potrebbe cercare un accordo col creditore entro tale termine: ad esempio, proporre un piano di rientro in cambio della rinuncia del creditore a procedere. Una transazione potrebbe formalizzarsi con il creditore che non rende esecutivo il decreto (oppure, se già esecutivo, concorda di non procedere col pignoramento finché il debitore rispetta il piano di pagamento). In mancanza di opposizione o pagamento, decorso il termine il decreto ingiuntivo diviene definitivo ed è a tutti gli effetti un titolo esecutivo equiparato a una sentenza.
Difese tecniche nell’opposizione: se si sceglie di opporsi, è bene esaminare attentamente possibili eccezioni: ad esempio, verificare se il credito è effettivamente certo, liquido ed esigibile; se eventuali prodotti consegnati erano conformi; se il creditore ha applicato interessi usurari o anatocistici (nel caso di banche, far valere nullità di clausole); oppure contestare la competenza territoriale del giudice che ha emesso il decreto (potrebbe spostare il procedimento altrove). Un caso particolare: se il negozio ha più debiti verso lo stesso fornitore e questo ottiene un decreto per l’intero importo, ma parte di tale debito è molto vecchia, si può esaminare la prescrizione (in genere i crediti commerciali si prescrivono in 5 anni). L’opposizione consente di far valere queste difese; se fondate, il giudice revocherà o ridurrà il decreto.
Opposizione tardiva: se per qualche ragione il negozio non ha potuto fare opposizione entro i 40 giorni (es. notifica non ricevuta perché l’azienda era chiusa per ferie, ecc.), c’è un’ultima risorsa: l’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c., proponibile dopo la scadenza solo se il debitore prova di non aver avuto tempestiva conoscenza del decreto per cause a lui non imputabili. Questo è ammesso in casi limitati, ad esempio vizi di notifica. Se l’opposizione tardiva viene accolta, si riapre il giudizio ma intanto spesso il creditore avrà potuto eseguire. Quindi è una situazione da evitare: meglio attivarsi subito entro i termini regolari.
Vantaggi di temporeggiare: anche se il negozio di giocattoli sa di dovere la somma, proporre opposizione potrebbe guadagnare tempo (talvolta anni, se la causa è complessa) durante i quali potrebbe ad esempio maturare un concordato preventivo o un accordo generale. Tuttavia, opporsi in malafede solo per rinviare può essere rischioso: il giudice può concedere immediatamente l’esecutorietà al decreto nell’udienza di prima comparizione se ritiene l’opposizione dilatoria, e condannare il debitore a spese. Bisogna quindi valutare la situazione concreta.
Caso pratico: Il fornitore “Giochi s.r.l.” notifica un decreto ingiuntivo di €20.000 al negozio “Happy Toys” per forniture non pagate. “Happy Toys” contesta alcune partite di merce difettosa e ritiene di dover pagare al massimo €15.000. Decide di proporre opposizione in tribunale entro 40 giorni, chiedendo in via d’urgenza la sospensione dell’efficacia esecutiva del decreto. Il giudice, valutate le prove (documenti di reclamo sulla merce difettosa), concede la sospensione: il fornitore temporaneamente non può procedere a pignorare. La causa di merito prosegue; dopo un anno, le parti, stanche della lite, trovano un accordo transattivo: “Happy Toys” paga €12.000 subito e la causa viene abbandonata (rinuncia all’opposizione in cambio di rinuncia al decreto). Se invece non avesse opposto nulla, il fornitore dopo 40 giorni avrebbe avuto mano libera di pignorare conti o merci per l’intero importo di €20.000.
Pignoramenti ed esecuzioni forzate: come reagire
Il pignoramento è l’atto con cui un creditore munito di titolo esecutivo (sentenza, decreto ingiuntivo definitivo, cambiale non pagata, cartella esattoriale, ecc.) avvia una esecuzione forzata sui beni del debitore. Per un negozio di giocattoli, i beni aggredibili possono includere: il denaro sul conto corrente, il contenuto della cassa o del registratore, le merci e gli arredi del negozio, eventuali veicoli aziendali, e se il titolare è un individuo con proprietà personali, anche beni immobili o stipendi/pensioni personali. Di seguito vediamo i tipi principali di pignoramento e le possibili difese.
1. Pignoramento mobiliare presso il debitore: il classico scenario dell’ufficiale giudiziario che si presenta in negozio per inventariare e pignorare i beni (scaffali, giocattoli in magazzino, computer, ecc.). In pratica, questo strumento è spesso poco efficace per i creditori, specie se i beni hanno scarso valore di rivendita all’asta (merce usata o molto deprezzata). Tuttavia può succedere. L’ufficiale giudiziario redige un verbale di pignoramento indicando i beni sequestrati e nominando il custode (spesso lascia i beni al debitore come custode in attesa dell’asta). Difese possibili: se vengono pignorati beni non di proprietà del debitore (ad esempio materiali in conto vendita appartenenti a terzi, o beni personali di terzi presenti in negozio), il terzo proprietario può proporre un’opposizione di terzo all’esecuzione (azione di accertamento della proprietà per liberare il bene). Il debitore stesso può segnalare all’ufficiale giudiziario eventuali beni impignorabili per legge. Ad esempio, il codice tutela alcuni beni ritenuti indispensabili: per la persona fisica, sono impignorabili letti, tavoli, utensili di casa, abbigliamento, oggetti sacri, viveri; per l’imprenditore vi è l’impignorabilità degli strumenti indispensabili per l’attività professionale entro un certo limite (art. 515 c.p.c: possono pignorare strumenti di lavoro solo per 1/5 del loro valore complessivo). Quindi, se il negozio è una ditta individuale, potrebbe invocare questa norma per tenere i beni strumentali essenziali all’attività (ad esempio, forse la cassa o il computer gestionale). Tuttavia, va detto che spesso in pratiche, i beni di un negozio (merci, arredi non vitali) sono pignorabili. Una difesa ulteriore è il riscatto del pignoramento mediante conversione (art. 495 c.p.c.): prima che i beni vengano venduti all’asta, il debitore può chiedere al giudice dell’esecuzione di sostituire i beni con una somma di denaro. Deve depositare una somma pari al valore del debito, interessi e spese (spesso può depositarne una parte, almeno 1/5, e per il resto chiedere rate fino a 36 mesi). Se il giudice accorda la conversione, il debitore paga a rate quella somma in tribunale e riottiene i beni pignorati, evitando la vendita. Questa è una soluzione utile se il negozio riesce a reperire liquidità (ad es. da un parente o un prestito) e vuole evitare di perdere i beni strumentali.
- Opposizione all’esecuzione: il debitore può contestare alla radice il diritto del creditore di procedere, con un giudizio (ex art. 615 c.p.c.) da proporre al giudice dell’esecuzione. Ad esempio, se dopo il titolo sono intervenuti fatti estintivi (hai pagato, o il credito è prescritto, o c’è stata una transazione), oppure se il titolo presenta vizi, o se il bene pignorato non era pignorabile. L’opposizione all’esecuzione può essere fatta anche prima che inizi l’esecuzione, se il debitore ha ricevuto il precetto (l’intimazione di pagamento entro 10 giorni che precede il pignoramento) e ha motivi per contestarlo (es. il credito del precetto non esiste più). Ciò può sospendere o far cadere l’azione esecutiva.
- Opposizione agli atti esecutivi: se invece si lamentano vizi procedurali (notifiche sbagliate, irregolarità nell’asta, ecc.), l’opposizione va proposta ex art. 617 c.p.c. entro termini brevi. Ad esempio, se l’ufficiale giudiziario ha pignorato beni oltre quanto consentito (pignoramento eccessivo), o notifiche non conformi, si può chiedere l’annullamento dell’atto viziato.
2. Pignoramento presso terzi (conto corrente e crediti): è spesso lo strumento più temuto e utilizzato contro le imprese. Consiste nel pignorare somme dovute al debitore da parte di un terzo. Il caso tipico: il conto corrente bancario del negozio viene bloccato su ordine del creditore. Il creditore notifica l’atto di pignoramento sia al debitore che alla banca (terzo pignorato); la banca, da quel momento, congela le somme disponibili (nei limiti del credito pignorato) e non consente al correntista di disporne . Dopo la notifica, il creditore deve depositare l’atto in tribunale e ottenere un’udienza, in cui la banca dichiarerà quanti soldi aveva sul conto e il giudice disporrà l’assegnazione delle somme al creditore (nei limiti del credito vantato). Analogo meccanismo può colpire crediti verso terzi: ad esempio, se il negozio di giocattoli vanta crediti verso un grossista (magari aveva rivenduto merce in conto vendita), il creditore può pignorare quel credito presso il grossista, e il giudice poi ordinerà al grossista di pagare il creditore invece che il negozio.
Difese sul conto pignorato: se sul conto ci sono somme derivanti da stipendi o pensioni accreditati al titolare persona fisica, la legge prevede limiti: i saldi derivanti da accrediti stipendiali/pensionali sono pignorabili solo per la parte eccedente il “triplo dell’assegno sociale” (circa 1.500€) se si tratta di saldo pregresso già depositato, oppure limitatamente al 1/5 di ogni accredito futuro . Questo vale però per conti personali. Se il conto intestato alla società o all’impresa individuale su cui confluiscono incassi generici, tali tutele non si applicano (a meno che dimostri che quell’importo era uno stipendio del titolare, ma in genere la confusione tra conto aziendale e personale è sconsigliata). Dunque il pignoramento del conto aziendale può bloccare tutti i fondi. Cosa fare?
- Innanzitutto, se l’importo sul conto eccede il dovuto, la banca blocca comunque tutto fino all’ordine del giudice; solo dopo l’ordinanza di assegnazione si saprà quanto viene trasferito. Se ci sono errori (creditore ha pignorato più del dovuto), si può contestare al giudice dell’esecuzione, ma intanto i soldi sono congelati.
- Se il conto è essenziale per l’operatività, il debitore potrebbe valutare di aprire un nuovo conto su altra banca per proseguire temporaneamente l’attività (tenendo presente che anche questo nuovo conto è attaccabile se il creditore lo scopre, ma magari guadagna tempo).
- Spesso, la soluzione migliore è negoziare subito col creditore: ad esempio offrire un pagamento (anche parziale) in cambio dello sblocco. Tecnicamente, il creditore può rilasciare una dichiarazione di assenso alla liberazione delle somme, interrompendo il pignoramento (magari dietro un accordo di saldo e stralcio).
- Opposizione all’esecuzione: se c’è motivo (es. il titolo era invalidato, o la somma già pagata), l’opposizione ex art. 615 può portare a sospendere l’assegnazione. Va fatta rapidamente, chiedendo al giudice di sospendere la procedura in corso.
- Errori del creditore: se il pignoramento è notificato senza rispettare regole (es. non attende 10 giorni dal precetto, o notifica presso una filiale sbagliata), si può eccepire nullità (opposizione atti ex art. 617 c.p.c.).
- Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia): attenzione, se il conto è pignorato dal Fisco (cartelle esattoriali), la procedura è ancora più rapida. L’Agente della riscossione può pignorare i conti senza passare dal giudice . Notifica la cartella e un avviso di intimazione; trascorsi 60 giorni, se non si paga, può inviare direttamente l’ordine alla banca di bloccare e versare le somme . In questi casi, l’unica difesa è verificare eventuali vizi nella cartella o nell’intimazione ed eventualmente ricorrere (ma spesso i termini di ricorso sono già scaduti), oppure chiedere rateizzazione immediata al concessionario: se la legge lo consente, ottenere un piano di dilazione con l’Agenzia Riscossione sospende le azioni esecutive in corso. Ad esempio, se scatta un pignoramento del Fisco, presentare istanza di rateizzazione e pagare la prima rata può portare l’ADER a sbloccare il conto (in quanto la riscossione coattiva viene sospesa per legge durante la rateazione).
3. Pignoramento immobiliare: se il titolare del negozio possiede immobili (ad esempio la proprietà del locale commerciale, o la casa di abitazione se il debito è personale), il creditore con ipoteca (o anche chirografario con debito consistente) può iscrivere ipoteca e procedere a pignoramento dell’immobile. Questo è un procedimento più lungo (vendita all’asta giudiziaria). Difese: oltre alle solite opposizioni se vi sono irregolarità, qui l’unica vera soluzione per evitare di perdere l’immobile è cercare un accordo prima che si tenga l’asta. Talvolta, vendere l’immobile volontariamente a un terzo per un prezzo equo e pagare il creditore (concordando la rinuncia al pignoramento) può essere più vantaggioso che lasciarlo all’asta (dove si svende spesso al ribasso). Attenzione però: una volta notificato il pignoramento, il debitore formalmente non può vendere liberamente (la vendita sarebbe inefficace); serve dunque che il giudice autorizzi la vendita privata (difficile) o che prima di arrivare al pignoramento si agisca. Rateizzazioni con il Fisco anche qui possono interrompere (se è l’ADER a pignorare ipotecando la casa, pagando o dilazionando il debito si può arrivare a sospensione).
Riassumendo, possibili azioni difensive generali contro l’esecuzione forzata:
- Negoziare: sempre valido, se possibile. Un creditore può accettare di posticipare o annullare un pignoramento in cambio di un pagamento parziale immediato o di un piano di rientro concordato.
- Opposizione all’esecuzione (art.615 c.p.c.): se vi sono motivi sostanziali per negare il diritto del creditore di eseguire (ad esempio, il debito non è più dovuto).
- Opposizione agli atti (art.617 c.p.c.): per viziare singoli atti dell’esecuzione.
- Conversione del pignoramento (art.495 c.p.c.): per trasformare l’esecuzione di beni in un pagamento rateale controllato dal tribunale.
- Procedure concorsuali: come “asso pigliatutto”, l’ingresso in una procedura come concordato preventivo o accordo omologato sospende le esecuzioni. Ad esempio, se durante un pignoramento mobiliare il debitore deposita domanda di concordato e ottiene l’ammissione, quell’esecuzione verrà spazzata via (il giudice dell’esecuzione deve chiudere la procedura senza assegnazione). Anche la composizione negoziata, come visto, consente di ottenere misure protettive che bloccano i pignoramenti per un periodo . Quindi, avviare tempestivamente una procedura di crisi può “congelare” anche esecuzioni già partite.
Il leasing e altri contratti finanziari: rischi e tutele
Molti negozi di giocattoli utilizzano beni in leasing: ad esempio un furgone per le consegne, macchinari di etichettatura, o perfino l’arredamento del punto vendita preso in leasing finanziario. Nel leasing, il bene non è di proprietà del debitore, ma della società di leasing concedente, finché non viene pagato tutto il corrispettivo. Ciò comporta che, in caso di insolvenza o ritardo nei pagamenti, il bene può essere rapidamente ripreso dalla società di leasing in base alle clausole contrattuali. Dal punto di vista del debitore, il leasing può diventare un problema acuto: ad esempio, se il furgone essenziale per rifornire il negozio viene ripossessato dal leasing perché non si sono pagati 3 canoni, l’attività ne soffre immediatamente.
Cosa può fare il debitore in difficoltà col leasing? Prima di tutto, comunicare tempestivamente con la società concedente è utile: spesso le società di leasing preferiscono rinegoziare (ad esempio, posporre un paio di rate in coda al contratto, o accordare una sospensione temporanea) piuttosto che dover ritirare e rivendere il bene (cosa che comporta spese e possibili perdite). Quindi, se si prevede un ritardo, chiedere un piano di rientro è la prima mossa.
Se però il leasing viene risolto per inadempimento, la società di leasing potrà attivare la procedura di recupero: di solito c’è una clausola che prevede la restituzione immediata del bene e il pagamento di una penale (tipicamente tutte le rate scadute + parte di quelle a scadere, meno un equo compenso per l’anticipata risoluzione). Questo importo residuo sarà un credito chirografario della società di leasing verso il debitore.
Leasing e fallimento del debitore: la legge fallimentare (art. 72-quater L.F., ora rifuso nel CCII) regolava il leasing in corso nel fallimento. Essenzialmente, il Curatore può sciogliersi dal contratto di leasing: il bene torna alla società di leasing, che potrà venderlo; la società di leasing insinua al passivo un credito pari alla differenza tra l’importo ancora dovuto e il ricavato della vendita (con eventuali criteri di attualizzazione). In altre parole, se l’impresa fallisce, il leasing non prosegue a meno che il Curatore veda convenienza a subentrare (ma in genere accade raramente). La società di leasing recupera il bene (che era suo) e diventa creditore per l’eventuale perdita economica. Dal punto di vista del debitore, ciò significa che entrando in procedura concorsuale si può perdere l’uso del bene in leasing però anche limitare la propria esposizione: non dovrà pagare tutte le rate future pienamente, ma solo la differenza se la rivendita del bene non copre il dovuto.
Leasing e concordato: analogamente, nel concordato il debitore ha la facoltà di decidere se continuare o sciogliere il contratto di leasing. Se il leasing è essenziale (es: macchinario per la continuità), il piano di concordato potrà prevedere la continuazione del contratto e la ripresa dei pagamenti (le rate a scadere verranno pagate regolarmente come crediti prededucibili del leasing, e le eventuali morosità pregresse entrano tra i crediti concorsuali soddisfatti secondo la proposta). Oppure, se il bene in leasing non serve più o è troppo oneroso, il piano può prevedere lo scioglimento: il leasing restituisce il bene e la società di leasing viene trattata per il suo credito risultante (di solito chirografo). Il CCII ha confermato questa impostazione di flessibilità.
Difese preventive: il debitore che percepisce di non poter più sostenere un leasing potrebbe valutare di restituire volontariamente il bene prima che la situazione degeneri, magari contrattando col leasing una riduzione della penale. Ad esempio: “vi restituisco subito il furgone in buono stato, così lo potete rivendere prontamente, e mi condonate parte delle penali”. Questo può limitare i danni economici per entrambe le parti.
Beni in leasing e pignoramento da altri creditori: c’è un altro aspetto: un altro creditore (non la società di leasing) non può pignorare il bene in leasing perché non è giuridicamente di proprietà del debitore. Quindi, ad esempio, se l’ufficiale giudiziario vede nel negozio un registratore di cassa preso in leasing (proprietà della società di leasing X), in teoria non dovrebbe pignorarlo (e se lo facesse, la società di leasing potrebbe fare opposizione di terzo). Dunque, paradossalmente, un bene in leasing è protetto dai creditori diversi dal lessor; però è esposto al rischio della ripresa dal lessor stesso.
Conclusione sul leasing: il titolare indebitato deve fare un bilancio: se il bene è cruciale, conviene fare di tutto per mantenerlo (pagare almeno quel creditore se possibile, o includerlo in un piano). Se il bene è sacrificabile, meglio negoziare la resa per evitare accumulo di costi.
Debiti con garanzie personali e fideiussioni
Spesso i creditori (banche, leasing, fornitori) hanno richiesto al titolare del negozio o ai suoi familiari di firmare fideiussioni o garanzie. Ciò significa che, se la società negozio non paga, possono agire direttamente sul patrimonio personale dei garanti. Dal punto di vista del debitore-garante, le strategie per difendersi sono limitate: il garante non può accedere ad esempio a un concordato preventivo (a meno che anch’egli non sia in proprio un imprenditore in crisi e opti per una procedura di sovraindebitamento o fallimento personale). Dunque, se Tizio ha garantito con fideiussione il fido bancario del negozio, e il negozio non paga, la banca otterrà un decreto ingiuntivo anche contro Tizio come fideiussore e potrà pignorare i suoi beni personali (conto privato, stipendio, casa, ecc.). L’unica protezione è eventualmente coordinare la procedura: se il negozio entra in concordato, ciò non blocca le azioni contro i fideiussori (ad es. i soci o i garanti restano esposti). Però la legge dà un aiuto: se il concordato preventivo prevede l’intervento dei garanti (magari versano soldi per agevolare il concordato), il tribunale può estendere il blocco temporaneo delle azioni anche verso di loro per facilitare l’operazione (art. 115 CCII). Ad ogni modo, il garante, se è travolto dai debiti per escussione di fideiussioni, potrà valutare un procedura di sovraindebitamento personale (piano del consumatore o liquidazione controllata) per liberarsi da quei debiti residui.
Un particolare profilo difensivo è la nullità di certe fideiussioni bancarie: in passato, molte fideiussioni omnibus bancarie contenevano clausole uniformi (schema ABI) che la Banca d’Italia nel 2005 ha censurato come anticoncorrenziali. La giurisprudenza (Cass. n. 41994/2021) ha poi affermato la nullità parziale di quelle fideiussioni per violazione della normativa antitrust. Questo significa che, se il titolare ha firmato anni fa una fideiussione standard con clausole identiche a quelle dichiarate nulle (ad es. rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c., clausola di reviviscenza, ecc.), potrebbe eccepirne la nullità in giudizio, liberandosi dall’obbligo. È un tema tecnico, ma chi si trova con fideiussioni bancarie attivate nel 2025 farebbe bene a farle esaminare da un legale esperto: se rientrano nel modello censurato, può essere una scappatoia per non pagare almeno quell’obbligo.
Aspetti fiscali: debiti con l’Erario e strategie
Una quota significativa dei debiti di un’impresa in crisi spesso riguarda lo Stato: imposte non pagate (IVA, IRPEF trattenuta ai dipendenti, IRAP), contributi previdenziali non versati all’INPS, e relative sanzioni e interessi. Per un negozio di giocattoli, ad esempio, possono accumularsi IVA sulle vendite non versata perché magari usata per pagare fornitori, oppure ritenute sui dipendenti non versate in momenti di difficoltà di cassa, o ancora tasse locali (TARI, insegne, ecc.). Questi debiti vengono normalmente iscritti a ruolo e affidati all’Agenzia Entrate Riscossione (AER), che li riscuote tramite le famigerate cartelle esattoriali. Gestire i debiti fiscali richiede un approccio attento, perché coinvolge normative speciali e strumenti propri (dilazioni, definizioni agevolate) e perché alcuni debiti fiscali hanno implicazioni penali se superano certe soglie (es.: omesso versamento IVA oltre €250.000 in un anno è reato).
Le cartelle esattoriali e il controllo della propria posizione fiscale
Il primo passo è fare un check-up dei debiti fiscali. È possibile richiedere all’Agenzia Entrate Riscossione un prospetto di tutte le cartelle e avvisi a proprio carico, con indicazione delle somme, degli interessi, delle eventuali procedure in corso (ipoteche, fermi, pignoramenti) e delle date. Questo è fondamentale per sapere l’entità esatta del debito con l’Erario e non affidarsi a stime. Dopodiché, occorre verificare: ci sono cartelle contestabili o errate? Ad esempio:
- Prescrizione delle cartelle: molte cartelle possono essere decadute o prescritte. I tributi hanno termini di decadenza per l’iscrizione a ruolo e termini di prescrizione del ruolo (5 anni per contributi, molti tributi minori; 10 anni per imposte erariali come IVA dopo titoli definitivi, ecc.). Se il Fisco non ha agito entro tali termini o la cartella è rimasta ineseguita per oltre 5 anni senza atti interruttivi, il debito potrebbe essere non più esigibile.
- Vizi di notifica: controllare se tutte le cartelle sono state notificate regolarmente (ricerca di relata di notifica via PEC o posta). Se qualche cartella non fu mai notificata e ce ne si accorge quando ormai è “scaduta”, si può fare ricorso per annullarla (anche se spesso i termini sono molto brevi dalla notifica).
- Sgravi o sospensioni: a volte il contribuente ha ottenuto in passato un annullamento in autotutela o un provvedimento di sgravio, ma la cartella risulta ancora iscritta. Occorre segnalare all’ADER queste incongruenze.
Questa ricognizione consente di stralciare eventuali voci non dovute prima di impostare qualsiasi piano.
Rateizzazione ordinaria dei debiti fiscali
La legge consente, per rendere più gestibile il debito fiscale, di chiedere una rateizzazione delle cartelle. Attualmente (dati 2025) le regole prevedono che per debiti fino a €120.000 circa si possa ottenere una dilazione automatica fino a 72 rate mensili (6 anni) presentando semplice domanda, senza dover provare una particolare difficoltà. Per importi maggiori, servono documenti di bilancio a dimostrazione dello stato di difficoltà, e in casi estremi si può ottenere fino a 120 rate (10 anni). Una volta concesso il piano, bisogna pagare con regolarità le rate (di norma decadenza se si saltano 5 rate, anche non consecutive). Durante la rateizzazione, l’Agenzia delle Entrate Riscossione sospende le azioni esecutive: quindi niente fermi, ipoteche o pignoramenti, a meno che non si decada. Per un negozio in crisi, ottenere un piano di rate può essere vitale per evitare prelievi forzosi: ad esempio, se ha €30.000 di IVA arretrata, la rateazione permette di pagare circa €416 al mese per 6 anni, evitando un’azione immediata. Attenzione: la rateizzazione non riduce l’importo complessivo (si pagano tutti gli interessi di dilazione) ma rende sostenibile il pagamento. Un altro beneficio è che un contribuente con rate in corso può ottenere il DURC regolare (documento di regolarità contributiva), importante se serve per svolgere attività (ad esempio fiere, appalti pubblici, ecc.), perché la legge considera regolare anche chi ha in corso piani di dilazione regolarmente seguiti.
Rottamazione delle cartelle e “saldo e stralcio”
Negli ultimi anni, il legislatore ha introdotto varie misure di definizione agevolata dei debiti fiscali, comunemente chiamate “rottamazione delle cartelle” o “saldo e stralcio”. Si tratta di leggi speciali, di solito previste nelle Leggi di Bilancio o in decreti, che consentono al contribuente di pagare solo una parte del debito (spesso solo il capitale e una quota di interessi, con abbuono di sanzioni e interessi di mora) oppure percentuali ridotte in base all’ISEE (nel caso del saldo e stralcio per persone in difficoltà). Ad esempio, la Rottamazione-ter (2018) permetteva di pagare i ruoli eliminando totalmente le sanzioni e gli interessi di mora, in un massimo di 18 rate. La più recente Rottamazione-quater è stata aperta dalla Legge di Bilancio 2023 per i carichi affidati entro giugno 2022, con pagamento del solo capitale e interesse ridotto in 18 rate entro il 2027. Queste opportunità sono a tempo determinato: occorre aderire presentando domanda entro le scadenze previste e poi rispettare i pagamenti. Per un negozio, aderire a una rottamazione può ridurre di molto il debito: si pensi a sanzioni che spesso sono del 30% dell’imposta, e interessi di mora accumulati negli anni – vengono azzerati . Ad esempio, un debito IVA di €10.000 del 2018, diventato €15.000 con sanzioni e more, in rottamazione torna circa a €10.000 (capitale + interessi legali) da pagare a rate.
Nel valutare l’adesione, occorre essere realisti: se poi non si pagano le rate della rottamazione, si decade e tutto si ricarica (tranne alcune ultime norme che consentono lievi ritardi con tolleranza di 5 giorni). Quindi conviene aderire solo se c’è un piano di rientro credibile. Per il 2025, bisogna verificare se ci sono nuove edizioni: spesso ogni governo propone una definizione agevolata. La guida va aggiornata di conseguenza: ad oggi (settembre 2025) non è escluso che per fine 2025 o 2026 venga introdotta un’ulteriore rottamazione, quindi il debitore deve stare all’erta alle notizie normative.
Mini-stralci e annullamenti automatici: oltre alle rottamazioni, talora la legge ha disposto l’annullamento d’ufficio di micro-debiti. Ad esempio, la Legge di Bilancio 2023 ha cancellato tutti i debiti fino a €1.000 affidati ad AER dal 2000 al 2015. Un piccolo negozio potrebbe aver beneficiato di ciò vedendosi cancellare vecchie multe o residui di imposte locali minori. Non è una strategia su cui contare, ma se esiste, il debitore deve controllare se qualche cartella rientra in questi condoni. Spesso queste misure sono automatiche ma è bene chiedere conferma all’Agenzia.
Il Fisco nei concordati e accordi
Abbiamo già trattato in dettaglio sopra il trattamento dei crediti fiscali nelle procedure concorsuali. Riepiloghiamo qualche punto pratico:
- Nel concordato preventivo ordinario, l’IVA e le ritenute non versate devono essere normalmente pagate integralmente (salvo accordo col Fisco). Nel concordato minore e sovraindebitamento, si può proporre falcidia anche di IVA/ritenute e il giudice può omologare se il Fisco non accetta ma riceve almeno quanto in liquidazione .
- Nelle procedure concorsuali, i crediti fiscali privilegiati (es. IVA ha privilegio generale sui mobili per il 1° 50% del credito) vanno soddisfatti almeno in misura corrispondente al valore di realizzo dei beni su cui hanno privilegio. Spesso, mancando beni mobili sufficienti, gran parte di IVA e contributi finisce chirografaria e viene trattata come tale nel piano.
- Importante: se il negozio vuole includere il Fisco in un piano, è utile un confronto con l’ufficio fiscale competente prima: ad esempio l’Agente della riscossione può fare pre-istruttoria su una possibile transazione fiscale. Concordare magari di pagare integralmente l’IVA ma stralciare sanzioni e interessi è una formula che spesso rende l’AdE più ben disposta .
- Se la transazione fiscale viene rifiutata dall’Agenzia ma la proposta era ragionevole, come visto, c’è margine di cram-down giudiziale. Tuttavia i debitori preferiscono evitare il conflitto con l’Erario e cercano di ottenere un voto favorevole modulando l’offerta. Ad esempio, pagare 100% dell’IVA, 40% dell’IRPEF e azzerare solo sanzioni, oppure offrire in cambio la cessione di un immobile all’Erario, sono tattiche possibili.
Debiti verso INPS e INAIL
Simili ai debiti fiscali sono quelli previdenziali: contributi dipendenti o artigiani/commercianti non versati. L’INPS aderisce alle stesse regole delle transazioni dei crediti pubblici. Nelle rottamazioni, anche i contributi sono inclusi (si abbuonano sanzioni civili ma non i contributi dovuti in sé). Nelle procedure concorsuali, i contributi privilegiati vanno trattati analogamente ai tributi.
Un aspetto delicato: il DURC (documento regolarità contributiva). Un negozio con dipendenti o che partecipa a fiere pubbliche potrebbe aver bisogno del DURC. Se ha debiti INPS, il DURC risulta negativo, ostacolando attività (ad es. non può ricevere agevolazioni, o partecipare a gare). La richiesta di dilazione all’INPS e il suo rispetto permette di ottenere il DURC regolare. Anche un concordato preventivo in corso consente il DURC provvisorio regolare durante la procedura. Questi dettagli possono essere rilevanti per continuare la gestione.
Aspetti penali
Occorre ricordare che alcuni debiti fiscali, se non pagati oltre soglie rilevanti, integrano reati tributari: omesso versamento IVA (art. 10-ter D.Lgs.74/2000) oltre €250.000 per anno è reato; omesso versamento ritenute oltre €150.000 è reato. Un negozio di giocattoli difficilmente accumula IVA così alta (a meno che sia una catena con fatturati milioni); ma potrebbe superare la soglia ritenute se ha molti dipendenti. Per esempio, €150.000 di ritenute non versate è possibile solo con molti dipendenti; improbabile per un singolo negozio. Comunque, se tali soglie fossero superate, occorre coinvolgere un legale penalista: la causa di non punibilità è il pagamento integrale del dovuto prima della dichiarazione dibattimentale. In pratica, se il negozio in crisi vuole evitare guai penali per il titolare, deve cercare di sanare almeno parzialmente quei debiti entro certi termini. Le procedure concorsuali non estinguono la punibilità (a differenza di quanto avviene per i reati fallimentari con concordato, per i reati tributari l’unica via è pagare il debito).
In sintesi, la gestione dei debiti fiscali passa per: quantificazione esatta, uso delle dilazioni e definizioni agevolate, inclusione intelligente nei piani concorsuali e attenzione a prescrizioni ed eventuali profili penali. Un buon rapporto con l’Agenzia Entrate (magari con l’ausilio di un commercialista o avvocato tributarista) può portare a soluzioni: ad esempio, chiedere la sospensione di una cartella perché in attesa di esito di giudizio tributario, oppure segnalare che si sta predisponendo un concordato e quindi ottenere un attimo di pazienza dall’ente (non codificato ma in alcuni casi la riscossione può modulare le sue azioni sapendo che c’è un concordato depositato).
Rapporti con creditori specifici: fornitori, banche, locatore
Nel contesto di un negozio di giocattoli indebitato, alcuni creditori commerciali assumono un ruolo particolarmente critico. Vediamo singolarmente fornitori, banche e locatori (affitto), analizzando le strategie difensive e di negoziazione specifiche.
Fornitori: gestire i debiti commerciali e garantire la continuità
I fornitori di merce sono l’anima di qualsiasi negozio: nel caso dei giocattoli, possono essere grossisti o produttori dai quali ci si rifornisce degli articoli da rivendere. Se il negozio accumula ritardi nei pagamenti verso i fornitori, ci sono due rischi principali: (1) che i fornitori sospendano le consegne (mettono in black list il cliente moroso), rendendo difficile rifornire il magazzino di nuovi prodotti, e (2) che intraprendano azioni legali per recuperare i crediti (ingiunzioni, decreti, come discusso).
Strategie: è importante mantenere comunicazione aperta con i fornitori. Spesso, soprattutto in rapporti di lungo periodo, il fornitore preferisce trovare un accordo di rientro piuttosto che perdere il cliente e intraprendere cause costose. Si possono concordare piani di rientro extragiudiziali: ad esempio, emettere effetti cambiari per dilazionare il debito, oppure firmare un accordo dove il negozio si impegna a pagare X euro al mese oltre al continuativo pagamento della merce corrente. Formalizzare questi piani può calmare il fornitore. Naturalmente, bisogna offrire qualcosa di credibile: se il fornitore vede che il negozio intanto continua l’attività e ordina nuova merce (pagando magari all’ordine la nuova), potrebbe concedere di spalmare l’arretrato sul futuro.
Merce con riserva di proprietà: va verificato se i contratti di fornitura prevedono la clausola di riserva di proprietà (patto di proprietà della merce al fornitore finché non è pagata). Nel settore giocattoli, non è comune come per macchinari, ma per forniture ingenti potrebbe esserci. Se c’è, il fornitore potrebbe rivendicare la merce non pagata ancora in giacenza nel negozio. In tal caso, come difesa, il negoziante potrebbe provare a vendere velocemente quei beni (prima che arrivi rivendica) e usare il ricavato per pagare il fornitore o depositarlo a garanzia. Tecnicamente, se la riserva è valida e pubblicizzata (per beni registrati, etc.), poco da fare: il fornitore può attivarsi giudizialmente per recuperare i suoi beni. Questo scenario però è raro per merci di largo consumo, di solito riguarda beni industriali.
Fornitori “aggressivi”: se un fornitore, invece di negoziare, passa subito alle maniere forti (decreto ingiuntivo, pignoramento), il negozio deve attuare le difese già viste: opposizione se ci sono contestazioni, oppure cercare di convertire l’esecuzione se parte. Nel frattempo, valutare fornitori alternativi: se un fornitore chiave chiude i rubinetti, bisogna trovarne un altro per non rimanere senza prodotto sugli scaffali. Questo spesso succede: il debitore in crisi finisce per dover pagare anticipato i nuovi fornitori (perché la notizia della difficoltà circola) e quindi deve reperire cassa.
Clausole contrattuali: alcuni fornitori inseriscono clausole contrattuali risolutive espresse: se il cliente entra in concordato o altra procedura, possono cessare le forniture. Il CCII ha norme per attenuare queste clausole e favorire la continuità (sono nulli i patti che fanno scattare risoluzioni automatiche per avvio di una procedura di composizione negoziata o concordato). Quindi, se si avvia un concordato, il negozio può legalmente pretendere la fornitura continuativa se paga il corrente, nonostante eventuali clausole contrarie – salvo che il fornitore dimostri rischio serio di inadempimento sul nuovo (art. 94 CCII). Questa è un’arma contrattuale: in concordato, i fornitori non possono rifiutare la fornitura di beni e servizi essenziali (energia, telecomunicazioni) e in generale non possono risolvere contratti solo perché c’è la procedura . Per un negozio, questa protezione può essere vitale per mantenere le scorte durante la crisi.
In sintesi: con i fornitori è preferibile prevenire: trasparenza controllata (spiegare che si hanno difficoltà ma si intende pagare, e onorare almeno in parte gli impegni), piuttosto che farli arrivare esasperati al punto di far causa. Un fornitore che ottiene un decreto ingiuntivo e un pignoramento magari riesce a bloccare il conto e ottenere prima di altri una quota, ma se il negozio poi fallisce, anche lui incasserà a malapena parte. Quindi, evidenziare ai fornitori che la collaborazione conviene più del conflitto può essere un buon argomento.
Banche: come trattare mutui, fidi e scoperti
Le banche possono essere creditori del negozio sotto varie forme: un mutuo chirografario o ipotecario per finanziamento iniziale, un affidamento di conto corrente (fido di cassa) per gestire la liquidità, posizioni di anticipo su effetti o su fatture, oppure l’utilizzo di carte di credito aziendali. Quando l’attività va in crisi, spesso le banche sono tra le prime a reagire: potrebbero revocare gli affidamenti (riducendo o azzerando fidi, costringendo il conto scoperto a rientrare), oppure segnalare l’azienda a Centrale Rischi come cattivo pagatore (limitandone l’accesso a nuovo credito). Inoltre, se ci sono garanzie (es. ipoteche su immobili del titolare o pegni su assicurazioni), possono attivare quelle: es. la banca notifica precetto sull’immobile ipotecato.
Negoziazione con la banca: è essenziale rivolgersi all’istituto di credito appena emergono segnali di difficoltà, non aspettare il default. Le banche hanno interesse a evitare sofferenze: talvolta possono rinegoziare il mutuo (allungando la durata per abbassare la rata), concedere periodi di moratoria sul capitale (per 6-12 mesi paghi solo interessi), o consolidare gli scoperti in un piano di rientro. Esistono protocolli come l’Accordo ABI per moratorie alle PMI (spesso rinnovato di anno in anno) che permettono sospensione di quote capitale su mutui, ecc. Approfittare di questi strumenti richiede però che l’azienda non sia ancora in insolvenza conclamata (di solito la banca vuole rating ancora accettabili). Se il negozio è micro, più che formalità ABI conta il rapporto locale col direttore di banca: presentare un mini-piano che dimostri come col tempo si tornerà in pari può convincerlo.
Garanzie e coobbligati: spesso per crediti a piccole imprese la banca ha ottenuto la fideiussione personale dell’imprenditore e magari anche del coniuge o di un genitore. Quindi, se l’azienda non paga, colpirà i garanti (come detto sopra). Questo mette pressione: il titolare rischia la casa personale o lo stipendio del coniuge. Ciò può motivare a cercare accordi: ad esempio vendere volontariamente un bene di famiglia per chiudere il debito con banca e liberare ipoteche e garanzie. Le banche a volte accettano transazioni a saldo e stralcio con percentuale se vedono che l’alternativa è incagliarsi: ad esempio, se c’è un mutuo residuo di €100k e l’azienda è al collasso, potrebbero accettare €70k subito derivanti dalla vendita di un immobile, chiudendo la posizione (soprattutto se la garanzia ipotecaria è debole e in caso di esecuzione ricaverebbero forse meno). Dunque, trattare è possibile: conviene farlo attraverso consulenti finanziari o legali che sappiano come presentare l’offerta. Spesso la banca vuole una prova fondi (sapere che quei €70k ci sono davvero, es. preliminare di vendita firmato).
Centrale dei rischi e reputazione creditizia: quando un’impresa inizia a “stracciare” le rate o gli scoperti, la banca segnala un passaggio a sofferenza in Centrale Rischi Bankitalia (o almeno a incaglio). Questo peggiora il rating e rende impossibile ottenere altri finanziamenti altrove. Poco può fare il debitore se non prendere atto. L’unica consolazione: se poi ristruttura il debito con concordato o accordo, e paga regolarmente la parte prevista, la posizione verrà sistemata come “chiusa a stralcio” e col tempo (anni) potrà forse recuperare accesso al credito. Nel frattempo, se serve liquidità, dovrà ricorrere a canali alternativi (nuovi soci, prestiti da privati, consorzi fidi se ancora supportano un piano di risanamento).
Leasing e mutui ipotecari: li abbiamo già toccati. Per i mutui ipotecari, la banca di solito può agire esecutivamente sull’immobile ipotecato se le rate non vengono pagate per un certo periodo (di solito 6-8 mesi di insoluto e viene risolto il contratto). Se si prevede ciò, più utile vendere l’immobile da soli (con l’ipoteca a carico dell’acquirente che decurta dal prezzo il debito da estinguere) che lasciarlo andare all’asta. Nelle procedure concorsuali, la banca ipotecaria avrà trattamento di prelazione sul ricavato dell’immobile; in concordato, se si vuole tenere l’immobile, bisogna pagare il loro credito per intero (o se la proprietà è del titolare persona fisica, quest’ultimo può magari escluderlo dalla procedura e negoziare a parte).
Fondi e garanzie statali: un ultimo spunto: in situazioni di crisi, a volte ci sono Fondi pubblici di garanzia o aiuti (come il Fondo di Garanzia PMI, o misure simili, anche i bandi per sostegno al piccolo commercio). Se il negozio individua la possibilità di un rifinanziamento assistito da garanzia pubblica per ristrutturare i debiti, potrebbe tentare. Ad esempio, nel 2020 con Covid molti hanno ottenuto finanziamenti garantiti al 90-100% dallo Stato. Chiaramente nel 2025 queste misure sono terminate, ma in futuri periodi di crisi generalizzata si rinnovano. Vale la pena consultare associazioni di categoria (Confesercenti, Confcommercio) che a volte segnalano opportunità di microcredito per negozianti in difficoltà.
In sintesi: con le banche la parola d’ordine è proattività: rinegoziare per tempo, offrire trasparenza e garanzie (magari un garante aggiuntivo temporaneo), non nascondere i problemi fino al punto di rottura. Se il rapporto si deteriora, difendersi poi è complicato perché il contratto di conto corrente consente alla banca di chiedere il rientro immediato degli affidamenti in caso di inadempimento (clausole risolutive, decadenza dal beneficio del termine). Il concordato preventivo blocca i pagamenti ai chirografari, ma attenzione: se la banca ha un pegno su un conto o un titolo, potrebbe compensare il proprio credito con quel pegno prima del concordato. Esempio: se il negozio aveva depositi a garanzia, la banca li escute. Le procedure concorsuali limitano pure i poteri di compensazione (non se avvenuta prima legalmente).
Affitto commerciale: morosità, sfratto e tutela del conduttore
Il canone di locazione del locale commerciale è spesso una voce importante di spesa per un negozio. Se il negozio accumula ritardi nel pagamento dell’affitto, il proprietario dell’immobile (locatore) può attivare la procedura di sfratto per morosità. In Italia, lo sfratto per morosità è relativamente rapido: dopo anche una sola mensilità non pagata oltre i termini di legge, il locatore può intimare lo sfratto e citare per la convalida davanti al tribunale. All’udienza, se il conduttore non paga i canoni scaduti (o non compare), il giudice convalida lo sfratto e fissa la data di rilascio dell’immobile (tipicamente qualche mese dopo).
Possibilità di difesa nel procedimento di sfratto:
- Il conduttore moroso può chiedere un termine di grazia al giudice (ex art. 55 L.392/78), che consente, una sola volta, di ottenere fino a 90 giorni di tempo per saldare la morosità, evitando così la convalida se paga tutto entro il termine concesso. Questo può essere prezioso: se il negozio prevede incassi stagionali (es. Natale) può chiedere tempo fino a quel momento per pagare arretrati.
- Se ci sono contestazioni sul contratto (es. gravi vizi del locale per cui si tratteneva l’affitto legittimamente, o altre eccezioni), il conduttore può fare opposizione allo sfratto, trasformando il giudizio in una normale causa in cui cerca di dimostrare le sue ragioni. Attenzione: se è morosità pura, non c’è molto da contestare; ma se l’inadempimento è parziale o il locatore stesso inadempiente per altre obbligazioni, c’è margine di opposizione.
- La cosa migliore, se possibile, è pagare almeno le mensilità più vecchie e offrire garanzie sul futuro prima dell’udienza, in modo da convincere il locatore a un accordo e far rinviare o cessare la procedura.
Se lo sfratto viene convalidato e si procede al rilascio, l’attività commerciale rischia di chiudere, a meno che si trovi in fretta un altro locale. Spesso però perdere la posizione (location) significa perdere avviamento e clientela. Quindi evitare lo sfratto deve essere priorità.
Rapporto affitto e procedure concorsuali: come accennato, nelle procedure concorsuali il curatore o il debitore in concordato può sciogliere il contratto di locazione con indennizzo limitato. Questo dal lato del conduttore insolvente è un vantaggio: consente di liberarsi di un affitto oneroso senza dover pagare tutti i canoni residui, e con un esborso minimo. Nel concordato in continuità, invece, se il locale serve, il conduttore può decidere di mantenerlo; in tal caso, i canoni post procedura vanno pagati regolarmente (sono prededucibili), mentre i canoni arretrati finiscono nei crediti concorsuali (spesso chirografari). Se il locatore è rimasto impagato di mensilità pre-concordato, dovrà insinuarsi al passivo e prenderà quanto i chirografari ottengono (a meno che avesse un privilegio, ma di solito i canoni non pagati non sono garantiti, tranne un eventuale privilegio pignoratizio su beni mobili nel locale se ha sfratto eseguito con sequestro, ipotesi remota).
Locatore e danni futuri: una questione spinosa è se il locatore può chiedere il risarcimento dei canoni che sarebbero maturati fino a scadenza contrattuale in caso di risoluzione anticipata per morosità. Per anni su questo c’è stato contrasto giurisprudenziale. Alcuni dicevano: ottenuto lo sfratto e riavuto l’immobile, il locatore non ha diritto ad altri canoni futuri perché può ricollocare l’immobile (orientamento minoritario). Altri dicevano: il locatore può chiedere i danni per la cessazione anticipata del rapporto, pari ai canoni persi fino a quando riaffitta l’immobile o scade il termine (orientamento maggioritario). La Corte di Cassazione a Sezioni Unite nel 2025 (sentenza n. 4892/2025) ha risolto il dubbio confermando che il locatore ha diritto al risarcimento del danno da mancato guadagno per l’anticipata risoluzione, anche dopo la riconsegna dell’immobile . Ha precisato però che il locatore deve darsi da fare per limitare il danno (cercare presto un nuovo inquilino) e che il giudice valuterà caso per caso secondo buona fede quanto spettante . In pratica: se il negozio restituisce il locale 2 anni prima della scadenza del contratto, il locatore potrà chiedere come danno i canoni di quei 2 anni meno ciò che ha ricavato riaffittandolo nel frattempo (se entro, poniamo, 6 mesi ha trovato altro conduttore, chiederà 6 mesi di canoni persi e magari qualche differenza se il nuovo affitto è inferiore). Questo principio di diritto uniforma la materia . Dal punto di vista del negoziante-debitore, ciò significa che con la risoluzione anticipata non è automaticamente libero da tutti i canoni futuri: potrebbe ancora dover rispondere di danni verso il locatore. Tuttavia, se il negoziante entra in fallimento o concordato, come detto, quell’obbligo si trasforma in un credito chirografario nella procedura e quasi certamente sarà pagato solo parzialmente. Mentre se la chiusura è stragiudiziale, il locatore potrà fargli causa e ottenere una sentenza di risarcimento (che poi si aggiunge ai debiti).
Difese se il locatore chiede danni futuri: il conduttore potrà argomentare che il locatore non si è attivato abbastanza per riaffittare (per ridurre il pregiudizio) o che il mercato locale non giustifica chiedere tutti i canoni. Comunque, la Cassazione invita a usare il metro dell’art. 1223 c.c. (danno emergente e lucro cessante) e dell’art. 1591 c.c. solo come base per il ritardo nella restituzione, non per il danno da risoluzione . Insomma, materia tecnica, ma ora chiara: restituire le chiavi non azzera tutti i debiti verso il locatore di per sé.
Negozi in affitto d’azienda: un’altra ipotesi: se il negozio non è proprietario dell’azienda ma la gestisce in affitto (affitto di ramo d’azienda), i rapporti con il proprietario dell’azienda seguono regole simili a quelle immobiliari. In caso di crisi, attenzione che l’affittante potrebbe risolvere il contratto per inadempimento e riprendersi l’azienda con relative merci. Anche qui, in concordato si può sciogliere il contratto se oneroso, o mantenerlo se utile.
Conclusioni sui rapporti di locazione: il consiglio principe è non accumulare troppi canoni arretrati, perché il margine di manovra è stretto. Se la crisi è temporanea, parlare col locatore: alcuni locatori preferiscono ridurre temporaneamente il canone o accettare un pagamento parziale piuttosto che dover cercare un nuovo conduttore (specialmente se il locale è particolare o in tempi di crisi del commercio). Durante emergenze come Covid, molti negozi hanno ottenuto sconti o dilazioni informali. Anche in casi normali, un locatore può essere imprenditorialmente sensato e dire: “Meglio mezzo affitto che negozio vuoto”. Quindi vale la pena negoziare: proporre ad esempio di usare la cauzione in deposito a copertura di una mensilità, con impegno a reintegrarla più avanti, o offrire una percentuale sul fatturato come affitto variabile temporaneamente. Se il locatore è un grande fondo o società, sarà meno flessibile; se è un privato (spesso pensionato che integra reddito con affitto), si può fare leva sul rapporto personale e sulla prospettiva.
Domande Frequenti (FAQ)
D: Un negozio di giocattoli fortemente indebitato è destinato inevitabilmente al fallimento?
R: No, non necessariamente. Esistono strumenti giuridici per evitare la liquidazione giudiziale (fallimento) e cercare di ristrutturare i debiti. Ad esempio, se il negozio è di piccole dimensioni e il titolare è sovraindebitato, può presentare un concordato minore o un piano di ristrutturazione del consumatore per ridurre i debiti e ottenere una liberazione dal residuo . Se invece è un’impresa più grande soggetta a fallimento, può proporre un concordato preventivo in continuità per rinegoziare collettivamente i debiti ed evitare la chiusura, oppure tentare la composizione negoziata della crisi prima di arrivare all’insolvenza conclamata . Solo se nessuna di queste soluzioni è praticabile e l’insolvenza è irreversibile si arriverà alla liquidazione giudiziale.
D: Come posso proteggere il mio negozio dai fornitori che vogliono fare un decreto ingiuntivo?
R: La miglior protezione è prevenire il decreto ingiuntivo negoziando un piano di rientro con il fornitore prima che si rivolga all’avvocato. Se però il decreto ingiuntivo arriva, hai 40 giorni dalla notifica per fare opposizione . In quell’opposizione puoi far valere eventuali contestazioni (errori nell’ordine, merce difettosa, ecc.) e chiedere al giudice di sospendere l’esecuzione. Ciò impedirà al fornitore di pignorare beni o conti nell’immediato. È importante reagire entro i termini: scaduti i 40 giorni senza opposizione, il decreto diventa definitivo e il creditore potrà procedere al pignoramento. Puoi anche, in alternativa, chiedere al fornitore di accordarsi: ad esempio offrire di pagare una parte subito e il resto a rate, in cambio della rinuncia all’esecuzione del decreto. Ricorda comunque che se il debito è certo e non hai difese sostanziali, l’opposizione serve solo a guadagnare tempo, a meno che tu non attivi nel frattempo una procedura concorsuale (che congelerebbe tutto).
D: Se arriva un pignoramento sul conto corrente del negozio, posso continuare l’attività?
R: Il pignoramento del conto corrente è molto impattante: la banca blocca immediatamente le somme fino a copertura del credito pignorato . Ciò vuol dire che non potrai usare quel conto per pagare fornitori, stipendi, ecc. Per continuare l’attività potresti aprire un nuovo conto presso un altro istituto per gli incassi e pagamenti correnti (il creditore potrebbe non conoscerlo subito). Nel frattempo, puoi reagire legalmente: se il pignoramento è di un creditore privato, puoi proporre opposizione per motivi validi e chiedere al giudice di sospendere l’assegnazione; se è dell’Agenzia delle Entrate, puoi chiedere una rateizzazione immediata del debito fiscale che porti allo sblocco (l’Agenzia sospende l’esecuzione durante la rateazione) . Tuttavia, queste soluzioni richiedono tempo. In pratica, per limitare danni, conviene contattare subito il creditore: se riesci a trovare un accordo (ad esempio pagando una parte), il creditore può dare disposizione alla banca di sbloccare il conto. Tieni presente che sul conto aziendale non ci sono limiti di impignorabilità (a differenza dei conti personali con stipendio) , quindi tutto il saldo può essere bloccato. Quindi, per il proseguimento immediato, serve un conto alternativo e liquidità esterna, oppure utilizzare eventuale denaro contante in cassa (attenzione però ai pagamenti in nero, sempre meglio evitare implicazioni fiscali). Idealmente, inserendo l’azienda in una procedura concorsuale (es. concordato con misure protettive), otterresti il disgelo dei conti perché l’esecuzione individuale verrebbe sospesa.
D: Che differenza c’è tra un concordato minore e un concordato preventivo?
R: Il concordato minore è la procedura riservata ai debitori sovraindebitati non fallibili (piccole imprese sotto soglia, professionisti, consumatori non per debiti personali) . Ha regole semplificate: ad esempio, i creditori votano ma serve una sola maggioranza (60% dei crediti) e il tribunale può omologare anche se Erario o altri si oppongono, purché la proposta sia conveniente . Si chiama “minore” perché complementare a quello “preventivo” riservato alle imprese maggiori (fallibili). Il concordato preventivo è più strutturato: tipicamente destinato a società o imprese di dimensioni rilevanti, prevede la nomina di un commissario giudiziale, possibili classi di voto, necessità di maggioranze sia di crediti sia di classi, e alcune soglie di soddisfazione (ad es. almeno 20% ai chirografari se concordato liquidatorio) . In sintesi, il concordato minore è una versione snella per piccoli debitori, mentre il concordato preventivo è la procedura completa per aziende medio-grandi. Dal punto di vista pratico, per un negozio di giocattoli individuale o piccola S.r.l., se rientra nei parametri, sarà più appropriato il concordato minore (o altre soluzioni da sovraindebitamento); se invece è un’impresa più grande, dovrà usare il concordato preventivo classico.
D: Ho debiti IVA e INPS molto alti, posso tagliarli in qualche modo?
R: Sì, ci sono modi per ridurre il carico fiscale. Stragiudizialmente, la strada sono le definizioni agevolate (rottamazioni) delle cartelle: periodicamente lo Stato permette di pagare solo il capitale e poco altro, cancellando sanzioni e interessi . Ad esempio, la rottamazione del 2023 ha permesso di tagliare tutti gli interessi di mora e sanzioni dalle cartelle fino al 2022. Se hai debiti IVA/INPS già iscritti a ruolo, verifica se puoi aderire a simili misure. In sede concorsuale, con un piano di concordato o di sovraindebitamento, puoi proporre di pagare solo una percentuale dei debiti tributari: grazie alle riforme, anche l’IVA e i contributi possono essere falcidiati, cosa prima vietata, purché tu offra ai crediti pubblici almeno quanto ricaverebbero liquidando i tuoi beni . Ad esempio, se l’IVA è privilegiata solo su beni che coprono il 20% del suo importo, nel concordato potresti legittimamente pagare il 20% dell’IVA (il resto verrebbe considerato chirografario e potrebbe essere non pagato). Certo, l’Agenzia Entrate dovrebbe aderire; se non lo fa ma la tua offerta è il massimo possibile, il giudice può comunque omologare superando il dissenso . Quindi sì, esistono strumenti sia legislativi periodici (rottamazioni) sia giudiziari (concordati, accordi) per ridurre notevolmente l’ammontare effettivo da pagare su IVA, INPS e altre tasse. Attenzione però: i debiti per ritenute e IVA recenti, se oltre soglie penali, non vengono cancellati dal concordato ai fini penali. Dovrai poi comunque pagarli (anche con un ravvedimento operoso tardivo) per evitare conseguenze penali. In pratica, puoi ridurre l’importo con accordi, ma se vuoi la completa tranquillità legale, in alcuni casi critici dovrai versare quelle imposte almeno in parte.
D: La banca mi ha revocato il fido e chiede rientro immediato: posso oppormi?
R: Purtroppo i contratti di conto corrente con affidamento prevedono quasi sempre la facoltà per la banca di revocare l’affidamento con breve preavviso (spesso 10-15 giorni) e di chiedere il rientro di quanto dovuto. Non c’è una vera opposizione legale alla revoca del fido, a meno che si dimostri che la banca ha agito in modo abusivo o contrario a buona fede (ipotesi difficili da provare). Quello che puoi fare è cercare di negoziare con la banca un piano di rientro anziché il rientro a vista. Spiega la situazione e proponi ad esempio di ridurre il saldo debitore gradualmente su alcuni mesi. Le banche preferiscono spesso un accordo piuttosto che classificare il credito a sofferenza. Se la banca non sente ragioni e ti precetta per lo scoperto, potresti ricorrere in tribunale sostenendo l’abuso (ci sono state cause su revoche di fido improvvise giudicate illegittime se la banca aveva creato affidamento nel cliente); ma sono contenziosi incerti e lunghi, che non risolvono la necessità di liquidità immediata. Quindi come difesa immediata più che legale è strategica: trovare magari un altro istituto (o un investitore privato) disposto a subentrare, oppure offrire garanzie aggiuntive (es. pegno su un bene) alla banca attuale per ottenere tempo. Se entri in concordato preventivo, la pretesa di rientro rimane ma viene congelata nel concorso con gli altri debiti chirografari, quindi la banca non potrà esigere subito (diventerà creditore nel concordato). Quindi, in estrema ratio, avviare una procedura concorsuale mette in pausa anche il fido revocato.
D: Ho perso il mio locale per sfratto, devo comunque pagare gli affitti per i mesi restanti del contratto?
R: Dopo uno sfratto per morosità, il contratto viene risolto e devi pagare gli affitti arretrati sino alla riconsegna dell’immobile. Per i canoni futuri, il locatore può chiederti un risarcimento danni per la fine anticipata del rapporto, ma non è detto che coincida con tutti i canoni residui. La Cassazione (Sez. Unite) ha stabilito che il locatore ha diritto al mancato guadagno derivante dalla risoluzione anticipata, però deve sottrarre ciò che guadagna ri-locando l’immobile ad altri . Quindi, se mancavano 2 anni a scadenza e tu sei stato sfrattato, il locatore potrebbe chiederti i canoni di quei 2 anni come danno, ma se ad esempio dopo 6 mesi affitta a un altro, il danno effettivo tuo è di 6 mesi (più eventualale differenza se il nuovo affitto è più basso). Tuttavia, tutto ciò va quantificato e, se tu ritieni che poteva affittare prima o a condizioni uguali, puoi contestare l’entità del danno. Se sei in procedura concorsuale (fallimento, concordato), questo danno diventa un credito chirografario e probabilmente il locatore ne recupererà solo una parte pari agli altri creditori. Se invece sei personalmente responsabile (ditta individuale fuori da procedure), potrebbe farti causa per ottenere quei canoni. In ogni caso, legalmente non sei automaticamente liberato dall’impegno economico sugli affitti non goduti: la recente giurisprudenza dà possibilità al locatore di rivalersi . L’ideale è accordarsi: ad esempio, quando riconsegni le chiavi, puoi tentare di firmare col locatore un accordo tombale: lui rinuncia a ulteriori pretese se tu gli lasci l’immobile in buono stato e magari gli paghi una parte del dovuto. Spesso conviene ad entrambi evitare lunghe cause di risarcimento.
D: Cos’è l’esdebitazione e come posso ottenerla?
R: L’esdebitazione è la liberazione dai debiti residui non pagati dopo una procedura di insolvenza. In pratica, è un “perdono” dei debiti rimasti, per dare al debitore sfortunato una seconda chance . Ci sono due forme principali: nel fallimento/liquidazione giudiziale, dopo che il tuo patrimonio è stato liquidato, puoi chiedere al tribunale di esdebitarti (ti verrà concessa se hai collaborato, non hai frodato i creditori e non c’erano atti di malafede). Questo vale per persone fisiche imprenditori individuali o garanti, non per le società (la società semplicemente si estingue). L’altra forma è l’esdebitazione dell’incapiente nel sovraindebitamento: se sei un debitore civile che ha liquidato tutto il possibile e non hai soddisfatto nulla i creditori perché non c’era niente, il giudice può comunque cancellare i tuoi debiti, a patto che la tua condotta sia stata onesta e nei 4 anni successivi ti impegni a segnalare e versare ai creditori eventuali sopravvenienze attive (se ad es. erediti dei soldi improvvisi) . L’esdebitazione non copre però certi debiti di natura speciale: ad esempio, le sanzioni penali, le obbligazioni da illecito extracontrattuale (danni da malaffare), e in alcune interpretazioni anche debiti alimentari. Ma copre i debiti tipici d’impresa (banche, fornitori, fisco, ecc.). Ottenere l’esdebitazione significa ripartire pulito, senza più quei vecchi debiti. Per ottenerla devi seguire una procedura concorsuale fino in fondo: o fallire e poi chiederla, o utilizzare la liquidazione controllata da sovraindebitamento. Non la ottieni se tenti solo accordi stragiudiziali (lì dipende dai creditori). Quindi, è uno strumento previsto dalla legge fallimentare e dal CCII per il fresh start dell’imprenditore onesto ma sfortunato. La Cassazione di recente ha sottolineato che non viene data con leggerezza: bisogna dimostrare incapienza totale e buona fede . Ma se questo è il tuo caso (ad esempio hai chiuso il negozio, venduto tutto quello che avevi per pagare i creditori e ancora restano debiti), vale la pena perseguirla. È l’obiettivo finale di molte procedure: chiudere i conti col passato e cancellare i debiti, così puoi magari un domani ricominciare un’attività nuova senza i vecchi fardelli.
D: Come posso difendermi da un fornitore o una banca che minacciano di portarmi i libri in tribunale per farmi fallire?
R: In Italia i creditori possono presentare istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) se sei insolvente e hai debiti scaduti sopra €30.000 . Minacciare di “portare i libri in tribunale” è un modo di dire (in realtà la legge consente anche l’auto-fallimento, ma qui parliamo del fallimento chiesto dai creditori). Per difenderti, hai alcune mosse:
- Contestare l’insolvenza: se non sei davvero insolvente (magari hai patrimonio per pagare), puoi opporti in tribunale dimostrando che la situazione è recuperabile o che i debiti contestati non sono certi. Ad esempio, se il creditore ha un credito litigioso, puoi bloccare l’istanza sostenendo che manca lo stato di insolvenza certo.
- Pagare o accordarti prima dell’udienza: se un creditore deposita istanza di fallimento, normalmente c’è un’udienza. Se riesci prima di allora a pagarlo (o tutti i creditori istanti se sono più), la causa si chiude perché viene meno l’interesse. Anche un accordo di ristrutturazione depositato in extremis può convincere il tribunale a soprassedere.
- Composizione negoziata o concordato: depositare una domanda di concordato preventivo prima della decisione sull’istanza di fallimento produce una sorta di “scudo”: il tribunale sospende la decisione fallimentare in attesa di vedere il piano di concordato. Questo è espressamente previsto dal CCII. Quindi, se i creditori ti fanno pressing in tribunale, presentare un ricorso per concordato (anche in bianco) blocca l’aggressione e ti dà tempo per presentare la proposta . Attenzione però: dev’essere fatto genuinamente, con intento di procedura, sennò se appare abusivo il tribunale può revocare l’ammissione.
- Soglia dei €30.000: come ricordato, non si può essere dichiarati falliti se il totale dei debiti scaduti è sotto €30.000 . Quindi se ti minacciano per importi modesti, sanno di non poterlo fare davvero. Nel valutare i €30k, si guarda ai debiti al momento della decisione: se riesci a scendere sotto (pagando magari qualcun altro creditore) potresti tecnicamente evitare la soglia, ma la Cassazione ha detto che la soglia va valutata al momento della dichiarazione in base agli atti di istruttoria , quindi non c’è un meccanismo semplicissimo di “pagare per scendere sotto soglia” se ciò non appare negli atti in tempo.
- Escludere lo stato di insolvenza: se puoi dimostrare che la crisi è temporanea o che i creditori saranno soddisfatti presto (es. stai vendendo un immobile e con quel ricavato pagherai), il tribunale potrebbe rigettare l’istanza di fallimento. Devi portare elementi concreti (contratti preliminari, bonifici in arrivo, ecc.).
In sintesi, la difesa migliore è giocare d’anticipo: usare strumenti di legge (concordato, accordi) per prevenire l’azione distruttiva del fallimento coatto. Una volta aperto il fallimento, perdi il controllo. Quindi, se la minaccia è reale, considera seriamente di attivare tu per primo una procedura alternativa o un piano di risanamento: questo toglie l’iniziativa ai creditori ostili e la rimette in mano tua (con l’ausilio del tribunale in modo controllato). Se invece la minaccia è usata solo come pressione per farti pagare, valuta costi-benefici: magari conviene pagare quel creditore aggressivo (o dargli garanzie) per tenerlo buono, e poi gestire gli altri.
Fonti e Riferimenti normativi e giurisprudenziali (settembre 2025):
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019 e s.m.i.), artt. 2, 12-25 (composizione negoziata), 25-sexies (concordato semplificato), 49 (soglia €30.000), 74-83 (concordato minore), 84-120 (concordato preventivo), 121-136 (liquidazione giudiziale) .
- Legge 3/2012 (procedimenti da sovraindebitamento) – abrogata e assorbita dal CCII a luglio 2022, ma rilevante per casi transitori e per principi come esdebitazione incapiente.
- Cass. civ. Sez. Unite 25/02/2025, n. 4892: diritto del locatore a risarcimento canoni futuri in caso di risoluzione anticipata per morosità .
- Cass. civ. I, 30/01/2025, n. 2223: soglia di fallibilità €30.000 va verificata al momento della dichiarazione di fallimento (anche se il debitore riduce il debito dopo, conta la situazione risultante agli atti) .
- Cass. civ. I, 21/02/2024, n. 4622: in procedura da sovraindebitamento (piano del consumatore) è ammissibile moratoria di pagamento dei creditori privilegiati oltre l’anno dall’omologa se ciò migliora la soddisfazione complessiva (confermato che l’art. 8 co.4 L.3/2012 non è inderogabile letteralmente) .
- Cass. civ. VI, 22/02/2023, n. 4613: (in tema di sovraindebitamento) conferma presupposti di meritevolezza e insolvenza anche per l’accesso alle procedure di L.3/2012 .
- Cass. civ. I, 14/04/2023 n. 10080: (non citata sopra, ma nota pratica) sul cram-down fiscale nel concordato preventivo, consente al tribunale di omologare il concordato nonostante il voto contrario dell’Erario se il trattamento non è inferiore al ricavabile in liquidazione (riprendendo SU 8500/2021).
- Tribunale di Milano 2025 (es. decr. 02/03/2025): prime applicazioni del D.Lgs. 83/2022 e 136/2024 su composizione negoziata (confermano accesso possibile anche con istanza di liquidazione pendente) – fonte: rapporto Camera Arbitrale Milano 2025 .
- D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024 (Correttivi al CCII): hanno introdotto concordato semplificato, modifiche al concordato minore (es. ammissibilità ex imprenditore individuale) , chiarimenti su misure protettive nella composizione negoziata .
- Art. 545 c.p.c.: limiti di pignorabilità di stipendi e pensioni (soglia minimo vitale) .
- Art. 495 c.p.c.: conversione del pignoramento (facoltà del debitore di sostituire cose pignorate con somme rateizzabili).
- Art. 560-569 c.p.c.: procedura pignoramento immobiliare (vendita all’asta, ecc.).
- Cass. civ. I, 12/12/2017, n. 29810: (sul tema fideiussioni omnibus) afferma nullità parziale delle fideiussioni conformi allo schema ABI 2003 per violazione antitrust – utile per difese dei garanti in caso di escussione (cfr. anche Cass. SU 41994/2021 che ha definito l’ambito).
- Corte Costituzionale 6/2015: (sulla esdebitazione) ha confermato la legittimità dell’istituto e la non estensibilità automatica a soggetti esclusi (società).
- Documenti: Linee guida del CNDCEC sulla composizione negoziata 2021-2023; Circolari Agenzia Entrate sulla transazione fiscale 2020 (post DL 125/2020) – relative all’applicazione del cram-down Erario.
Gestisci un negozio di giocattoli, un emporio per bambini o una catena di articoli ludici e didattici, e ti ritrovi con debiti verso banche, fornitori o Agenzia delle Entrate? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Gestisci un negozio di giocattoli, un emporio per bambini o una catena di articoli ludici e didattici, e ti ritrovi con debiti verso banche, fornitori o Agenzia delle Entrate?
Hai cartelle esattoriali, affitti arretrati, mutui o leasing non pagati, contributi INPS scaduti, e temi pignoramenti, blocchi bancari o la chiusura del negozio?
👉 Non tutto è perduto: anche le piccole attività commerciali del settore retail possono difendersi legalmente, bloccare i creditori, ridurre o cancellare i debiti, e ripartire in modo regolare e protetto, senza fallire.
In questa guida scoprirai perché tanti negozi di giocattoli si trovano in difficoltà, quali strategie legali puoi adottare, e come salvare o chiudere la tua attività in modo ordinato e senza rischiare tutto ciò che hai costruito.
🧸 Perché i negozi di giocattoli si indebitano
Il settore dei giocattoli e dell’infanzia è cambiato radicalmente negli ultimi anni. Le principali cause di crisi sono:
- Concorrenza aggressiva di grandi catene e vendite online;
- Aumento dei costi di gestione (affitti, energia, tasse);
- Margini ridotti e stagionalità delle vendite (Natale, compleanni, festività);
- Calo della clientela locale e minor spesa delle famiglie;
- Errori di gestione amministrativa o fiscale che generano cartelle e sanzioni;
- Tassazione e contributi difficili da sostenere per piccole imprese.
📌 Questi problemi, se non affrontati in tempo, possono portare a debiti fiscali, bancari e commerciali, fino al rischio di chiusura o perdita del punto vendita.
🧾 Tipologie di debiti più comuni nei negozi di giocattoli
✅ Debiti fiscali e contributivi
- IVA, IRPEF, INPS, INAIL, TARI, cartelle esattoriali e accertamenti.
✅ Debiti bancari e finanziari
- Mutui e leasing per arredi, scaffalature, registratori di cassa e ristrutturazioni.
- Scoperti di conto, prestiti e fidi bancari.
✅ Debiti commerciali
- Fatture non pagate a fornitori di giocattoli, gadget, materiale didattico e natalizio.
✅ Debiti verso dipendenti e collaboratori
- Stipendi arretrati, TFR e contributi non versati.
✅ Debiti personali o fideiussioni
- Garanzie firmate dai titolari o soci per mutui e finanziamenti aziendali.
⚠️ Cosa rischia un negozio indebitato
Se la crisi non viene gestita subito, i creditori possono:
- pignorare conti correnti, merce e incassi;
- bloccare le forniture o revocare i fidi bancari;
- emettere cartelle, ipoteche o decreti ingiuntivi;
- revocare leasing o contratti di noleggio operativo;
- costringerti alla chiusura o al fallimento dell’attività.
👉 Tuttavia, oggi puoi bloccare immediatamente i creditori, ristrutturare i debiti, e continuare a lavorare o chiudere legalmente, in modo protetto e senza rischi.
🧩 Le soluzioni legali per negozi di giocattoli con debiti
💠 1. Rinegoziazione dei debiti con banche e fornitori
Con l’assistenza di un avvocato, puoi:
- ottenere riduzioni delle somme dovute (saldo e stralcio);
- concordare rateizzazioni più lunghe e sostenibili;
- richiedere sospensioni temporanee dei pagamenti per recuperare liquidità.
👉 È la soluzione ideale per chi vuole continuare a lavorare e mantenere il punto vendita attivo.
💠 2. Procedura di sovraindebitamento (D.Lgs. 14/2019 – Codice della Crisi d’Impresa)
È la procedura principale per microimprese e negozi individuali.
Consente di:
- bloccare pignoramenti, cartelle e decreti ingiuntivi;
- presentare un piano di rientro proporzionato alle reali entrate;
- ottenere la cancellazione totale dei debiti residui (esdebitazione).
📌 È perfetta per attività a conduzione familiare o titolari con partita IVA.
💠 3. Concordato minore (per SRL o società commerciali)
È la procedura approvata dal Tribunale che consente di:
- sospendere le azioni dei creditori;
- ridurre legalmente i debiti fiscali, bancari e commerciali;
- preservare la continuità aziendale e i contratti in corso.
📌 È ideale per negozi strutturati, con più dipendenti o più sedi.
💠 4. Liquidazione controllata dei beni (ex fallimento personale)
Se l’attività non è più sostenibile, puoi chiudere in modo ordinato e protetto, mettendo a disposizione solo i beni non indispensabili (scorte, arredi o attrezzature obsolete).
Alla fine della procedura, il Tribunale cancella tutti i debiti residui, permettendoti di ripartire senza pendenze fiscali o bancarie.
💠 5. Verifica e contestazione delle cartelle e accertamenti fiscali
Molte cartelle contengono errori di calcolo o importi prescritti.
Un avvocato può:
- controllare la prescrizione (5 o 10 anni);
- eccepire errori di notifica o importi duplicati;
- chiedere la sospensione o l’annullamento del debito.
🪀 Cosa fare subito
✅ 1. Raccogli tutta la documentazione economica
Prepara bilanci, cartelle, mutui, leasing, fatture e rapporti con fornitori e banche.
✅ 2. Blocca i creditori con una procedura legale
Con il deposito in Tribunale di una procedura di sovraindebitamento o concordato, tutte le azioni di recupero vengono sospese per legge.
✅ 3. Evita nuovi debiti o rateizzazioni improvvisate
Serve una strategia legale completa, gestita da un avvocato esperto in diritto commerciale e crisi d’impresa.
📋 Documenti utili per la difesa
- Documento d’identità e codice fiscale del titolare o amministratore.
- Visura camerale e bilanci aziendali.
- Dichiarazioni fiscali e posizione INPS/INAIL.
- Contratti di leasing, mutui e finanziamenti.
- Cartelle esattoriali e accertamenti fiscali.
- Elenco fornitori, clienti e dipendenti.
- Estratti conto bancari e documentazione contabile.
⏱️ Tempi e risultati possibili
- Analisi e strategia legale: 1–3 settimane.
- Deposito della procedura: 1–2 mesi.
- Blocco immediato dei creditori: al momento del deposito.
- Durata del piano di rientro: da 1 a 5 anni.
🎯 Risultati concreti:
- Stop a pignoramenti, cartelle e decreti.
- Riduzione o cancellazione legale dei debiti.
- Tutela del punto vendita e della licenza commerciale.
- Ripartenza economica e reputazionale.
⚖️ I vantaggi principali
✅ Blocco immediato delle azioni dei creditori.
✅ Riduzione legale dei debiti fino all’80%.
✅ Tutela del negozio e delle scorte.
✅ Continuità o chiusura ordinata senza fallimento.
✅ Ripartenza economica e familiare pulita.
🚫 Errori da evitare
- Ignorare cartelle o solleciti dell’Agenzia delle Entrate.
- Accumulare nuovi debiti o prestiti “tampone”.
- Pagare solo alcuni creditori peggiorando la situazione.
- Vendere merce senza tutela legale.
- Rimandare troppo: agire subito è la chiave per salvare il negozio.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza la situazione economica e fiscale del tuo negozio di giocattoli.
📌 Ti consiglia la soluzione più adatta: rinegoziazione, sovraindebitamento, concordato o liquidazione controllata.
✍️ Redige e deposita il piano legale per bloccare immediatamente i creditori.
⚖️ Ti rappresenta nei rapporti con Agenzia delle Entrate, banche, leasing e fornitori.
🔁 Ti accompagna fino alla cancellazione totale dei debiti o alla ristrutturazione completa della tua attività.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in diritto commerciale, tributario e crisi d’impresa.
✔️ Specializzato nella difesa di negozi, franchising e attività retail con debiti fiscali e bancari.
✔️ Gestore della crisi da sovraindebitamento iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Essere un negozio di giocattoli con debiti non significa dover chiudere o rinunciare al proprio sogno.
Con una difesa legale tempestiva e mirata, puoi bloccare i creditori, ridurre drasticamente i debiti fiscali e finanziari, e continuare a lavorare in modo sereno e sostenibile, oppure chiudere in modo protetto e senza rischi.
La legge oggi tutela chi agisce in buona fede e vuole davvero ripartire.
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