Gestisci un negozio di articoli da regalo, oggettistica o home decor e ti trovi in difficoltà economica a causa di debiti con il Fisco, l’INPS, i fornitori o le banche? È una situazione sempre più comune tra i commercianti del settore, colpiti dalla diminuzione dei consumi, dall’aumento dei costi e dalla concorrenza delle vendite online. Quando si accumulano cartelle esattoriali, rate di finanziamenti non pagate o contributi arretrati, il rischio di pignoramenti e blocchi dell’attività è concreto. La buona notizia è che la legge prevede strumenti concreti per rateizzare, ridurre o cancellare i debiti, consentendo di salvare la tua attività e proteggere i tuoi beni personali.
Perché molti negozi di articoli da regalo si indebitano
Le cause dell’indebitamento in questo settore sono molteplici. I margini di guadagno sono sempre più bassi, mentre i costi di affitto, energia, tasse e forniture continuano a crescere. La concorrenza di grandi catene e piattaforme di e-commerce ha ridotto le vendite nei negozi fisici, rendendo più difficile mantenere un equilibrio economico. A questo si aggiungono i ritardi nei pagamenti da parte dei clienti e la stagionalità del mercato, concentrato soprattutto in determinati periodi dell’anno. Molti titolari, per mantenere l’attività operativa, rinviano il pagamento delle imposte o dei contributi, accumulando interessi e sanzioni che nel tempo aggravano la situazione finanziaria.
Cosa succede se non paghi tasse o contributi
Quando le imposte o i contributi non vengono versati, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione e gli enti previdenziali possono avviare rapidamente procedure di recupero. Tra queste: la notifica di cartelle esattoriali, i pignoramenti dei conti correnti o degli incassi POS, i fermi amministrativi sui veicoli, le ipoteche sugli immobili e i sequestri dei crediti verso clienti o fornitori. Gli importi aumentano progressivamente per effetto di sanzioni e interessi, mettendo ulteriormente in difficoltà la gestione del negozio. Se la tua è una ditta individuale o una società di persone, rispondi personalmente dei debiti, mettendo a rischio anche il patrimonio familiare.
Cosa fare subito se il tuo negozio ha debiti
Il primo passo è ottenere una visione chiara della situazione debitoria. Richiedi all’Agenzia delle Entrate-Riscossione l’estratto di ruolo aggiornato per conoscere esattamente gli importi, gli anni di riferimento e i creditori. Poi verifica la correttezza delle cartelle: molti atti contengono errori di notifica o importi prescritti che un avvocato può impugnare. Se i debiti sono legittimi, puoi chiedere la rateizzazione fino a 120 rate mensili, sospendendo nel frattempo le azioni di riscossione. È utile anche verificare se è disponibile una definizione agevolata (rottamazione), che consente di pagare solo il capitale, eliminando sanzioni e interessi. Se hai già ricevuto pignoramenti o ipoteche, un ricorso o un’istanza di autotutela può ottenere la sospensione immediata delle procedure.
Le soluzioni legali per chi non riesce più a pagare
Se la tua attività non riesce più a sostenere i debiti accumulati, puoi ricorrere alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, prevista dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019). È una procedura legale destinata a piccoli imprenditori, commercianti e artigiani che consente di bloccare pignoramenti, sospendere le azioni dei creditori e ottenere la cancellazione parziale o totale dei debiti residui (esdebitazione). È uno strumento riconosciuto dai tribunali italiani e rappresenta una soluzione concreta per salvare la tua attività o chiuderla in modo ordinato, senza trascinarti dietro pendenze fiscali o bancarie.
Come difendersi da banche, finanziarie e fornitori
Molti negozi di articoli da regalo si trovano anche indebitati con banche o fornitori di merci e arredamento. In questi casi puoi chiedere la rinegoziazione dei contratti, la sospensione temporanea delle rate o proporre un saldo e stralcio per chiudere i debiti a un importo ridotto. È anche possibile contestare clausole abusive o tassi usurari nei contratti e impugnare decreti ingiuntivi o pignoramenti entro i termini previsti dalla legge. Un avvocato esperto può assisterti nelle trattative con banche e creditori, proteggendo i beni aziendali e salvaguardando la continuità della tua attività.
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
Con una strategia legale tempestiva puoi sospendere pignoramenti e riscossioni, ottenere la rateizzazione o cancellazione dei debiti, proteggere i beni personali, mantenere il negozio aperto e continuare a lavorare senza la pressione dei creditori. In molti casi è possibile ristrutturare l’attività, recuperare equilibrio finanziario e salvare la reputazione commerciale.
Quando rivolgersi a un avvocato esperto
Devi rivolgerti a un avvocato se hai ricevuto cartelle o intimazioni di pagamento, se i debiti fiscali o bancari sono diventati insostenibili o se rischi la chiusura o il blocco dei conti aziendali. Un avvocato esperto in diritto tributario e crisi d’impresa può bloccare la riscossione, impugnare gli atti illegittimi e accompagnarti nella procedura di esdebitazione fino alla cancellazione definitiva dei debiti. Agire in tempo è fondamentale per salvare la tua attività e difendere il tuo futuro imprenditoriale.
⚠️ Attenzione: ignorare cartelle o avvisi di pagamento può portare rapidamente a pignoramenti, blocchi dei conti e chiusura del negozio. Intervenire subito è l’unico modo per salvare la tua attività e tutelare il tuo patrimonio personale.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, riscossione e tutela delle attività commerciali – spiega cosa fare se gestisci un negozio di articoli da regalo con debiti, come bloccare la riscossione e come cancellare legalmente le somme dovute grazie agli strumenti previsti dalla legge.
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Introduzione: debiti e crisi in un piccolo negozio
Gestire un negozio di articoli da regalo può diventare una sfida quando i debiti iniziano ad accumularsi. Fattori come calo delle vendite, crisi economiche (si pensi alla pandemia COVID-19 o all’aumento dei costi), tasse e contributi elevati, possono portare un piccolo esercizio commerciale a trovarsi insolvente o comunque in grave difficoltà finanziaria. In Italia, il legislatore ha predisposto diverse tutele e procedure per affrontare queste situazioni, ma spesso i piccoli imprenditori non ne sono consapevoli. È fondamentale capire cosa fare (dalle trattative private alle procedure concorsuali minori) e come difendersi legalmente se i creditori – privati o pubblici – avviano azioni di recupero.
Questa guida esamina in dettaglio:
- Come distinguere le varie tipologie di debiti di un negozio (fornitori, banche, fisco, affitto, utenze) e le relative conseguenze in caso di mancato pagamento.
- La differenza tra imprese “fallibili” e “non fallibili” (sotto-soglia) e l’evoluzione normativa che, dal 2022, consente azioni concorsuali anche verso i debitori minori.
- Gli strumenti di tutela del patrimonio del debitore: limiti al pignoramento (es. prima casa impignorabile dal fisco in certi casi , beni indispensabili per l’attività lavorativa parzialmente protetti, etc.), opposizioni ed eccezioni che si possono sollevare.
- Le procedure per risolvere la crisi debitoria disponibili per un piccolo negozio: dalla composizione negoziata della crisi alle procedure di sovraindebitamento oggi regolate dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII, D.lgs. 14/2019), tra cui il concordato minore, il piano di ristrutturazione del consumatore e la liquidazione controllata (erede della vecchia liquidazione del patrimonio).
- Le particolarità dei debiti verso lo Stato e gli enti (Agenzia Entrate, Agenzia Entrate-Riscossione, INPS): piani di rateizzazione, misure di “pace fiscale”, transazione fiscale, soglie di importo che attivano segnalazioni o rischi penali, ecc.
- Le novità giurisprudenziali più recenti, comprese le sentenze di Cassazione del 2024-2025 che incidono sulla materia (es. soglie di procedibilità , impignorabilità della prima casa , effetti della composizione negoziata , ecc.).
- Esempi pratici e simulazioni di casi di negozi indebitati, con possibili soluzioni adottabili.
- Una sezione finale di Domande e Risposte, che chiarisce i dubbi più comuni (ad es. “Un piccolo negozio può fallire?”, “Come evitare il pignoramento dei beni di famiglia?”, “Si possono ridurre i debiti con il fisco?” ecc.).
Nota sul termine “fallimento”: formalmente, dal 15 luglio 2022 non si parla più di fallimento nel nostro ordinamento, essendo subentrata la liquidazione giudiziale (procedura concorsuale prevista dal nuovo Codice della Crisi al posto del vecchio fallimento) . Ugualmente, per i debitori minori si parla di liquidazione controllata anziché liquidazione del patrimonio ex L.3/2012. In questa guida useremo a volte il termine fallimento o procedure fallimentari per familiarità con il lettore, ma va tenuto presente il nuovo lessico: quando diciamo che un’impresa “non può essere dichiarata fallita”, intendiamo che non può essere assoggettata a liquidazione giudiziale. Analogamente, useremo l’espressione “soglie di fallibilità” per indicare i parametri dimensionali oltre i quali un’impresa può subire una procedura concorsuale maggiore.
Tipologie di debiti di un negozio e relative conseguenze
Un negozio di articoli da regalo può contrarre debiti di diversa natura. È importante identificare le varie categorie di debito perché ciascuna segue regole e procedure di recupero differenti. Vediamo le principali tipologie di esposizione debitoria e cosa accade in caso di inadempimento, dal punto di vista del creditore e del debitore:
- Debiti verso fornitori: tipicamente fatture non pagate per l’acquisto di merce, materiali da esposizione, servizi (ad esempio forniture natalizie, oggettistica, packaging, utenze commerciali). Il fornitore che non viene pagato può innanzitutto sollecitare il pagamento e, se non ottiene risultato, attivare una procedura monitoria (decreto ingiuntivo) per ottenere un titolo esecutivo in tempi brevi. In mancanza di opposizione, otterrà un decreto esecutivo e potrà procedere con il pignoramento dei beni del negozio o del titolare (merci in magazzino, arredi, conto corrente, automezzi, ecc.). Dal lato del debitore, è possibile opporsi al decreto ingiuntivo entro 40 giorni se vi sono contestazioni sul credito (ad esempio merce difettosa, importo errato) per bloccare la formazione del titolo. In assenza di difese sostanziali, conviene valutare un piano di rientro bonario prima che il creditore agisca in giudizio, per evitare spese legali e il rischio di esecuzione forzata.
- Debiti bancari e finanziari: comprendono scoperti di conto, prestiti bancari contratti per l’attività, leasing su attrezzature, finanziamenti da società creditizie, ecc. Se il negozio (o il titolare) non riesce a pagare rate e interessi, la banca può revocare eventuali affidamenti (fidi) e chiedere il rientro immediato del capitale residuo. In caso di ulteriore inadempienza, la banca potrà avviare una causa per decreto ingiuntivo o escutere eventuali garanzie: ad esempio, se è iscritta un’ipoteca su un bene immobile (come la casa del titolare data in garanzia) potrebbe iniziare un’esecuzione ipotecaria; se c’è un fideiussore (spesso il titolare o un familiare garantisce personalmente i debiti della società/impresa), la banca potrà agire anche direttamente contro di lui. Dal lato difensivo, il debitore può cercare di rinegoziare il debito con la banca (ad es. chiedendo una moratoria o un piano di rientro più lungo) oppure, se la situazione è compromessa, valutare l’accesso a procedure concorsuali minori che permettono di congelare gli interessi e trattare il debito in modo unificato. Attenzione: la banca, essendo creditore garantito, avrà spesso una posizione di forza; tuttavia, va verificata la regolarità formale del contratto (presenza di usura, anatocismo, vizi nel contratto di fideiussione) che in certi casi può offrire margini di opposizione legale.
- Debiti verso il fisco (Erario): includono imposte non versate come IVA, IRPEF (per ditte individuali), IRES/IRAP (per società), nonché eventuali cartelle esattoriali emesse dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ADER, ex Equitalia) per tasse non pagate. Se un negozio non versa l’IVA periodica o le ritenute sui dipendenti, incorre in sanzioni e interessi, e dopo la scadenza l’Agenzia Entrate può iscrivere a ruolo il dovuto ed emettere una cartella di pagamento. Trascorsi 60 giorni dalla notifica senza pagamento né ricorso, la cartella diventa definitiva ed esecutiva. A quel punto l’ADER può avviare misure esecutive amministrative: ad esempio, il fermo amministrativo sui veicoli (se il debito supera 1.000 €), il pignoramento diretto del conto corrente (con atto alla banca, ex art. 72-bis DPR 602/1973), il pignoramento di beni mobili o immobili. Va ricordato che la legge pone alcuni limiti alle azioni esecutive del Fisco: in particolare, l’Agente della Riscossione non può ipotecare né pignorare la “prima casa” del debitore se questa è l’unico immobile di sua proprietà ad uso abitativo e non di lusso , salvo che il debito superi 120.000 € e sia stata iscritta ipoteca da almeno 6 mesi . Inoltre, per procedere al pignoramento immobiliare di altri immobili (non prima casa) è necessario che il debito tributario superi 120.000 €. Dal lato difensivo, il debitore ha varie opzioni: può verificare la correttezza formale della cartella e, se vi sono vizi di notifica o decadenza, proporre ricorso alle Commissioni Tributarie; se il debito è corretto ma non pagabile in unica soluzione, può chiedere una rateizzazione (fino a 72 rate mensili, o 120 rate in casi di comprovata difficoltà), ottenendo la sospensione delle azioni esecutive durante la dilazione. Nel 2023, ad esempio, è stata prevista una “Definizione agevolata” (Rottamazione-quater) che consente di pagare le cartelle senza sanzioni né interessi di mora, in più rate fino al 2027, per chi ha presentato domanda entro i termini di legge. Esistono anche misure occasionali di stralcio: la Legge di Bilancio 2023 ha disposto l’annullamento automatico dei debiti a ruolo inferiori a 1.000 € affidati dal 2000 al 2015. È importante monitorare queste opportunità legislative di sollievo fiscale. Infine, il debitore può includere i debiti fiscali in un eventuale piano di ristrutturazione o concordato, potendo anche proporre il pagamento parziale di IVA e imposte (c.d. “falcidia”*), oggi ammesso in virtù dell’allineamento al diritto UE e a sentenze costituzionali (Corte Cost. 245/2019).
- Debiti verso enti previdenziali (INPS, INAIL): comprendono i contributi obbligatori non versati per i titolari (gestione artigiani/commercianti) e per gli eventuali dipendenti (contributi previdenziali e premi assicurativi). L’omesso versamento di contributi all’INPS oltre determinate soglie può portare a conseguenze penali: ad esempio, il mancato versamento di ritenute previdenziali dovute per i dipendenti è reato se l’importo supera €10.000 annui (art. 2 comma 1-bis D.L. 463/1983 conv. in L. 638/1983). Per importi inferiori scattano sanzioni amministrative. L’INPS procede al recupero iscrivendo a ruolo i crediti contributivi: anche questi debiti quindi diventano cartelle esattoriali, con possibilità di rateizzazione analoga a quella fiscale. Dal punto di vista del negozio debitore, è prioritario regolarizzare i contributi dei dipendenti (magari chiedendo un piano di dilazione all’INPS) perché la regolarità contributiva (DURC) è spesso necessaria per portare avanti l’attività, e per evitare appunto implicazioni penali. In caso di esecuzione forzata tramite ADER, valgono in buona parte le stesse considerazioni fatte per i debiti fiscali (fermi amministrativi, pignoramenti, ecc., con l’aggiunta che il mancato pagamento dei contributi incide anche sui futuri diritti pensionistici del titolare). Nelle procedure di sovraindebitamento o concordato minore, i debiti contributivi possono essere trattati al pari degli altri debiti verso lo Stato e inseriti in un eventuale accordo di ristrutturazione.
- Debiti verso il locatore (affitto del locale): molti negozi operano in immobili commerciali in locazione. Se il negoziante accumula morosità nel pagamento dei canoni di affitto, il proprietario può agire sia per ottenere i canoni arretrati sia per liberare l’immobile. Trascorsi tipicamente 20 giorni dalla scadenza senza pagamento, o in caso di importo arretrato pari ad almeno due mensilità, il locatore può intimare lo sfratto per morosità. La procedura di sfratto (davanti al Tribunale in via sommaria) consente di ottenere in tempi rapidi un’ingiunzione di pagamento dei canoni e la risoluzione del contratto, con successiva esecuzione forzata per il rilascio del locale. Il locatore è anche un creditore chirografario per i canoni non pagati e può escutere il deposito cauzionale, oltre a insinuarsi in eventuali procedure concorsuali del conduttore. Per il debitore, difendersi significa innanzitutto evitare lo sfratto: può sanare la morosità (nel caso delle locazioni ad uso diverso dall’abitativo non è previsto il termine di grazia automatico, ma spesso il locatore accetta un pagamento tardivo per non perdere l’inquilino), oppure negoziare una risoluzione consensuale se non riesce più a sostenere il contratto, così da evitare la procedura giudiziaria. In sede di sfratto, l’unica opposizione possibile riguarda vizi formali o l’avvenuto pagamento; se il negoziante non ha possibilità di saldare, l’esito (rilascio) è inevitabile e conviene casomai guadagnare tempo chiedendo al giudice un termine di grazia breve se la legge lo consente, o cercando un accordo col locatore per scaglionare il dovuto. Una volta rilasciato l’immobile, il debito residuo per canoni resta e il locatore potrà agire per il recupero somme come un normale creditore.
- Altri debiti: ad esempio debiti verso società di utility (bollette luce, gas, telefono non pagate), verso assicurazioni (polizze non saldate), verso clienti (caparre da restituire se non si riesce a fornire la merce ordinata). Questi creditori in genere agiscono con ingiunzioni di pagamento e, se ottengono un titolo, con i pignoramenti. I fornitori di servizi essenziali (energia, acqua) hanno anche la leva contrattuale di sospendere la fornitura per morosità, spingendo il debitore a pagare almeno parte del dovuto per continuare l’attività. Dal lato del debitore, la difesa qui consiste soprattutto nel cercare di dilazionare o contestare eventuali addebiti anomali, e includere questi debiti in eventuali piani di rientro globali.
Tabella riepilogativa debiti vs. azioni dei creditori e difese
Di seguito una tabella che riassume, per ciascun tipo di debito comune in un’attività commerciale, quali azioni il creditore può intraprendere e quali strumenti di difesa o soluzione ha a disposizione il debitore:
| Tipo di debito | Azioni tipiche del creditore | Difese/Rimedi per il debitore |
|---|---|---|
| Fornitori (merci, servizi) | Sollecito → Decreto ingiuntivo → Pignoramento beni (merce, conto, ecc.) | Opposizione a ingiunzione se credito contestabile; accordo di saldo e stralcio o piano di rientro prima dell’esecuzione; inclusione del debito in un piano di sovraindebitamento. |
| Banche/finanziarie | Revoca fido → Decreto ingiuntivo o escussione garanzie (ipoteca, fideiuss.) → Pignoramento (conti, immobili garantiti) | Verifica usura/anatocismo per opposizione; richiesta di moratoria o rinegoziazione; se insolvente, avvio concordato minore o trattativa nell’ambito di composizione negoziata per evitare azioni esecutive; opposizione in caso di vizi nel contratto di garanzia. |
| Fisco (Agenzia Entrate) | Avviso accertamento → Iscrizione a ruolo → Cartella esattoriale → (60 gg) → Atti esecutivi ADER: fermi auto, ipoteche, pignoramenti (conti, stipendi, immobili non “prima casa”) | Ricorso tributario entro 60 gg se vizi su tributo/cartella; richiesta di rateizzazione (fino a 6-10 anni) con sospensione esecuzione; adesione a eventuale “rottamazione” o saldo e stralcio se previsti; tutela prima casa (impignorabile se unico immobile abitativo non di lusso ); nel merito, possibilità di transazione fiscale o falcidia dell’IVA e imposte in una procedura di concordato/sovraindebitamento . |
| INPS/Enti previdenziali | Avviso di addebito → Cartella esattoriale (procedura analoga al Fisco via ADER) → Possibili sanzioni penali >€10k (dipendenti) | Ricorso giudiziario se dovuto (es. cartella prescritta); domanda di dilazione contributiva; pagamento entro termine per evitare soglia penale; inserimento del debito in piano di ristrutturazione; verifica eventuali condoni contributivi. |
| Affitto locale | Intimazione di sfratto per morosità → Udienza di convalida sfratto (titolo esecutivo per rilascio + ingiunzione canoni) → Esecuzione sfratto; eventuale decreto ingiuntivo separato per somme se non già incluse | Pagamento della morosità (se possibile, prima dell’udienza) o negoziazione con locatore (riduzione canone, dilazione); se sfratto inevitabile, liberare nei termini per evitare ulteriori costi; residuo debito: accordo di dilazione o trattamento in procedura concorsuale (chirografo). |
| Utenze (luce, gas, ecc.) | Sollecito → Distacco fornitura (per morosità corrente) → Decreto ingiuntivo per recupero arretrati → Pignoramento (conto corrente) | Negoziare un piano con il fornitore prima del distacco (spesso offrono rate); verificare bollette (conguagli errati contestabili); in extremis, cambiare fornitore se possibile; includere eventuali debiti in un accordo generale. |
| Clienti (acconti da restituire) | Richiesta rimborso → Decreto ingiuntivo (se importi rilevanti) → Azioni esecutive come sopra | Cercare soluzioni alternative (es. consegna merce sostitutiva invece di rimborso) per evitare il debito; trattare singolarmente col cliente un piano di rimborso; opporsi se il cliente ha già ricevuto parte della prestazione (riducendo il credito). |
Legenda: ADER = Agenzia Entrate-Riscossione; falcidia = pagamento parziale concordato in procedura; transazione fiscale = accordo col Fisco in concordato/accordo ristrutturazione.
Imprese “fallibili” e “non fallibili”: soglie dimensionali e rischio di procedura concorsuale
Non tutte le imprese possono essere assoggettate a fallimento (liquidazione giudiziale). La legge prevede delle soglie dimensionali per distinguere i debitori assoggettabili alle procedure concorsuali maggiori (fallimento/liquidazione giudiziale, concordato preventivo ordinario) dai debitori minori che invece, se insolventi, accedono alle procedure di sovraindebitamento (ora chiamate concordato minore, liquidazione controllata, piano del consumatore, etc.). Un piccolo negozio di articoli da regalo rientra di solito nella categoria delle imprese sotto-soglia, ma è importante verificare i parametri di legge.
Soglie di fallibilità (aggiornate al 2025)
Secondo il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, un imprenditore commerciale può essere assoggettato a liquidazione giudiziale (ex fallimento) solo se supera almeno una delle seguenti soglie nei parametri di bilancio degli ultimi tre esercizi (o da inizio attività se più breve) :
- Attivo patrimoniale annuo > 300.000 € (totale delle attività patrimoniali risultanti, in media negli ultimi 3 anni).
- Ricavi lordi annui > 200.000 € (media ultimo triennio).
- Debiti totali > 500.000 € (anche non scaduti).
Chi non supera nessuna di queste soglie è legalmente considerato un piccolo imprenditore non fallibile . In pratica, molti negozi individuali e piccole società di commercio rientrano in questi limiti (es. ricavi annui sotto 200mila €, debiti totali sotto mezzo milione) e pertanto non possono essere dichiarati falliti dal Tribunale. Essi rientrano tra i soggetti per i quali, in caso di insolvenza, si applicano procedure “minori” (concordato minore, liquidazione controllata, ecc.) invece del fallimento .
Oltre a tali soglie di dimensione, il Codice prevede anche un limite minimo di debito per poter aprire una liquidazione giudiziale su istanza dei creditori: se i debiti scaduti e non pagati ammontano a meno di 30.000 €, non si può iniziare la procedura concorsuale maggiore. Questo filtro – introdotto per evitare fallimenti “per importi irrisori” – significa ad esempio che se un negozio avesse debiti insoluti per 20.000 €, i creditori non potrebbero chiedere il fallimento (ferma restando la possibilità di agire individualmente per il recupero). Attenzione:** ciò non vuol dire che sotto 30.000 € il debitore sia “al sicuro”: i creditori possono sempre usare decreti ingiuntivi e pignoramenti individuali , semplicemente non verrà nominato un curatore fallimentare né aperta la procedura concorsuale per importi così bassi.
Riassumendo:
- Un negozio sotto le soglie €300k/200k/500k è non fallibile. Ad esempio, una ditta individuale che negli ultimi anni ha avuto ricavi di 150.000 €/anno e debiti per 100.000 € non può essere sottoposta a liquidazione giudiziale dai creditori. Se diventa insolvente, dovrà essere il titolare stesso eventualmente ad attivare procedure di sovraindebitamento volontarie .
- Un’impresa che supera anche solo una soglia (es. debiti per 600.000 €) è potenzialmente fallibile.
- In ogni caso, debiti scaduti < 30.000 € escludono l’apertura d’ufficio o su istanza di liquidazione giudiziale .
Va precisato che sono esclusi a priori dal fallimento (liquidazione giudiziale) alcune categorie indipendentemente dalle soglie: gli imprenditori agricoli, le start-up innovative nei primi anni, gli enti non commerciali, le persone fisiche consumatori (che non svolgono attività d’impresa) . Questi soggetti, se sovraindebitati, hanno solo le procedure dedicate.
Novità 2022: i creditori possono chiedere la liquidazione controllata dei non fallibili
Sotto la previgente legge fallimentare, i piccoli imprenditori “non fallibili” non potevano essere trascinati in una procedura concorsuale se non volontariamente (domandando essi stessi il sovraindebitamento). Una novità significativa introdotta dal Codice della Crisi (in vigore dal 2022) è che anche i creditori possono presentare istanza per aprire la procedura di liquidazione controllata del patrimonio di un debitore non fallibile . In altre parole, oggi nessun debitore insolvente è completamente al riparo: se ha debiti importanti e non li paga, un creditore può chiedere al Tribunale la liquidazione dei suoi beni, pur non essendo egli soggetto a fallimento. Questa “liquidazione controllata” dei non fallibili è disciplinata dall’art. 268 CCII.
Tuttavia, anche per tale procedura è previsto un limite minimo: l’art. 268 co.2 stabilisce che non si procede se l’ammontare dei debiti complessivi è inferiore a 50.000 € . Quindi, ad esempio, se un piccolo negozio ha accumulato 40.000 € di insoluti verso vari creditori, questi non potranno chiedere la liquidazione giudiziale (perché l’impresa è sotto-soglia) né la liquidazione controllata (perché i debiti non raggiungono 50k). Potranno però continuare a perseguiarlo individualmente con pignoramenti. Se invece i debiti superano 50.000 €, un creditore potrebbe, teoricamente, presentare istanza di apertura di liquidazione controllata, provando lo stato di insolvenza del debitore (incapacità di soddisfare regolarmente le obbligazioni).
Dal punto di vista del debitore, questa novità impone di essere proattivi: se si comprende che la situazione è insostenibile, può essere preferibile attivarsi spontaneamente (con un concordato minore o una liquidazione controllata volontaria) piuttosto che attendere che un creditore “forzi la mano”. La liquidazione controllata aperta su istanza del creditore comporta comunque la nomina di un liquidatore nominato dal giudice e la liquidazione di tutti i beni, ma dà diritto al debitore onesto di chiedere l’esdebitazione a fine procedura (cioè la cancellazione dei debiti residui). Nel seguito vedremo in dettaglio come funziona questa procedura.
Esempio: Maria è titolare di un negozio di bomboniere (ditta individuale). A causa di un investimento sbagliato e del calo delle vendite, accumula €60.000 di debiti (fornitori, banca e qualche cartella fiscale) e non riesce più a pagarli. Maria è una piccola imprenditrice sotto soglia (ricavi ~100k, attivo modesto), quindi i creditori non possono chiederne la liquidazione giudiziale (fallimento). Tuttavia, superando i 50k di debito, un creditore potrebbe chiedere al Tribunale la liquidazione controllata. Maria, se non vuole perdere il controllo, potrebbe invece muoversi lei: ad esempio rivolgersi all’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) per presentare un concordato minore o una propria istanza di liquidazione controllata, magari dopo aver venduto volontariamente parte della merce per ridurre l’esposizione. In tal modo gestirebbe attivamente la crisi, anziché subirla.
Responsabilità del titolare: ditta individuale vs società di capitali
Quando un negozio è in difficoltà, occorre distinguere la forma giuridica con cui opera, perché da essa dipendono le responsabilità patrimoniali del debitore e le strategie di difesa. Possiamo avere principalmente:
- il negozio come ditta individuale (impresa individuale del titolare, con P. IVA personale);
- il negozio gestito da una società di persone (es. SNC, SAS);
- il negozio gestito da una società di capitali (es. SRL, SRLS).
Imprese individuali e società di persone: il titolare (o i soci, nel caso di SNC/SAS) risponde dei debiti illimitatamente con tutto il proprio patrimonio personale, presente e futuro (art. 2740 c.c.). Ciò significa che i creditori possono attaccare non solo i beni “aziendali” (merce, attrezzature, conto aziendale) ma anche i beni personali del debitore (conto privato, auto personale, immobili di proprietà, etc.), fatti salvi i limiti di legge (come l’impignorabilità relativa di alcuni beni, di cui diremo a breve). Nelle SNC tutti i soci rispondono solidalmente e illimitatamente; nelle SAS, i soli soci accomandatari hanno responsabilità illimitata, mentre gli accomandanti rischiano solo il capitale conferito ma non oltre. In caso di insolvenza di un’impresa individuale o società di persone, dunque, il patrimonio personale dell’imprenditore è esposto: ad esempio la casa di proprietà (se non rientra nei casi di impignorabilità), i risparmi personali, ecc. Dal punto di vista delle procedure concorsuali, questi soggetti se fallibili falliscono assieme all’impresa, mentre se non fallibili accedono al sovraindebitamento. Dal punto di vista difensivo, l’imprenditore individuale può valutare strumenti di tutela del proprio patrimonio come: – Fondo patrimoniale: destinare beni (es. la casa coniugale) a un fondo patrimoniale per finalità familiari. Attenzione però: il fondo patrimoniale non protegge dai debiti sorti per esigenze inerenti l’attività professionale, quindi i creditori dell’impresa potrebbero comunque aggredire l’immobile in fondo se il debito è stato contratto per scopi dell’impresa (ad es. finanziamento in conto esercizio) e se provano la strumentalità del debito ai bisogni dell’azienda. – Trust o vincoli di destinazione: similmente, hanno efficacia limitata e possono essere revocati se fatti in pregiudizio ai creditori. – Vendita di beni a terzi: cedere beni a familiari o terzi prima che vengano pignorati. Anche qui cautela: tali atti, se fatti quando i debiti già esistono e riducono la garanzia per i creditori, possono essere soggetti ad azione revocatoria entro 5 anni (art. 2901 c.c.), o peggio configurare bancarotta fraudolenta se poi si apre un fallimento. È sconsigliato quindi “svuotare” il patrimonio in presenza di insolvenza incipiente; piuttosto meglio usare le procedure di composizione per salvaguardare il salvabile in modo legale. – Usufruire delle esenzioni di legge: il titolare persona fisica ha diritto a una serie di beni impignorabili (abbigliamento, oggetti di casa indispensabili, ecc. – art. 514 c.p.c.) e limiti sulle pignorabilità (es. stipendio/pensione hanno limiti di pignoramento, come un minimo vitale impignorabile pari a circa 1,5 volte l’assegno sociale se accreditati in conto ). Inoltre, gli strumenti indispensabili per la professione o il mestiere del debitore sono protetti: il codice di procedura civile (art. 515 c.p.c.) ne consente il pignoramento solo per il sovrappiu e con cautele. Ciò significa che se il negoziante è un artigiano o un artista, gli utensili di lavoro in parte non possono essere pignorati; per un commerciante, questa categoria può comprendere l’arredamento basilare del negozio o il registratore di cassa, in quanto strumenti per l’attività, ma non lo stock di merce (quello è il prodotto del commercio, non uno strumento per esercitarlo). In pratica il margine è sottile e spesso i creditori procedono comunque, lasciando al giudice dell’esecuzione valutare cosa è indispensabile e cosa no.
Società di capitali (SRL, SRLS, SPA): qui vige la responsabilità limitata dei soci per le obbligazioni sociali. Il patrimonio della società è distinto da quello personale dei soci: quindi, in teoria, se un negozio è gestito da una S.R.L. e questa non paga i debiti, i creditori possono rivalersi solo sui beni intestati alla società, non direttamente sui beni personali dell’amministratore o dei soci. In pratica, però, ci sono delle eccezioni e situazioni da considerare: – Fideiussioni personali: molto spesso, per ottenere credito bancario o forniture, il socio/amministratore di una SRL firma garanzie personali. In tal caso, se la SRL non paga, il creditore (banca, fornitore garantito) potrà aggredire il patrimonio personale del garante (che risponde come un coobbligato). – Debiti verso l’Erario per cui è prevista responsabilità personale: ad esempio, se la società non versa l’IVA o le ritenute fiscali operate, l’amministratore rischia sanzioni penali (omesso versamento IVA > 250k € è reato) e, in caso di condanna, il giudice penale può disporre il obbligo di pagamento delle imposte non versate a carico personale. Anche senza penale, in sede fallimentare il mancato versamento di ritenute può portare a un’azione di responsabilità contro gli amministratori. Inoltre, per i contributi INPS dei dipendenti non versati, il legale rappresentante risponde direttamente in via amministrativa (dell’omissione contributiva). – Gestione irregolare e azioni di responsabilità: se la società viene dichiarata insolvente (liquidazione giudiziale) o comunque liquida lasciando debiti, i creditori potrebbero promuovere azioni di responsabilità verso gli amministratori accusandoli di mala gestio (ad es. aver aggravato il dissesto, aver distratto beni). In tal caso, l’amministratore può ritrovarsi a dover risarcire i creditori col proprio patrimonio. – Reati fallimentari: in caso di fallimento della SRL, se l’amministratore ha compiuto atti di distrazione, preferenze a taluni creditori, falso in bilancio, ecc., incorre in reati di bancarotta, con possibili confische sui suoi beni personali.
In sintesi, la SRL offre protezione ai soci (che rischiano al massimo il capitale investito) e all’amministratore per l’ordinaria obbligazione, ma non è uno scudo assoluto: garanzie personali e violazioni di legge possono rompere quella barriera.
Dal punto di vista delle procedure: una SRL può essere soggetta a liquidazione giudiziale se supera le soglie (spesso anche piccole SRL superano almeno la soglia debiti > 500k se sono indebitate) oppure, se sotto-soglia, rientra come “debitore non fallibile” quindi attiverebbe un concordato minore o liquidazione controllata. La SRL, essendo persona giuridica distinta, non accede al “piano del consumatore” (riservato alle persone fisiche). Se la SRL viene liquidata senza attivare procedure concorsuali (liquidazione volontaria), i creditori sociali che restano insoddisfatti possono tentare l’azione contro i soci (limitata al rimborso di quanto ricevuto in distribuzione in sede di liquidazione, art. 2495 c.c., se hanno avuto indietro qualcosa) o contro gli amministratori per responsabilità.
Esempio pratico 1: Ditta individuale in crisi – Giovanni è titolare di un negozio di souvenir (ditta individuale). Ha debiti per 80.000 € e non possiede immobili, vive in casa in affitto; ha però un’auto e un conto corrente personale su cui ha risparmi. I creditori possono pignorare il conto (fino a esaurimento del saldo) e l’auto. Giovanni non ha garanzie patrimoniali da opporre, ma riesce a salvare gli strumenti del suo lavoro: avendo bisogno del computer e della stampante per gestire ordini e fatture, li dichiara come beni strumentali indispensabili, impedendone il pignoramento. (NB: resteranno comunque pignorabili la merce e altri beni non essenziali). Giovanni, per liberarsi dei debiti residui, opta per una liquidazione controllata: il liquidatore vende tutto il vendibile (poco) e dopo 3 anni Giovanni ottiene l’esdebitazione, ripartendo da zero senza debiti.
Esempio pratico 2: Società di capitali con garanzie – “Regalo SRL” gestisce un negozio di articoli da regalo. Ha un debito bancario di 100.000 € garantito da ipoteca sulla casa del socio unico, Marco. La SRL chiude in perdita e non paga il debito: la banca prima agisce contro la SRL (ottenendo un decreto ingiuntivo) e pignora il magazzino, ma recupera poco. Poi, forte della fideiussione ipotecaria, procede al pignoramento della casa di Marco. Marco obietta che la casa è prima casa: tuttavia la protezione dell’unico immobile vale solo per le esecuzioni esattoriali pubbliche, non per i creditori privati. Se la banca ha ipoteca, può far vendere la casa all’asta. In questo scenario la SRL “ha protetto” Marco dai fornitori non garantiti (che non possono aggredirlo direttamente), ma non dalla banca con garanzia. Marco potrebbe salvarsi solo pagando il debito o trovando un accordo con la banca (ad esempio vendere lui stesso l’immobile per evitare l’asta e pagare il dovuto). Se la SRL avesse molti altri debiti, Marco personalmente potrebbe valutare un piano del consumatore per gestire il debito di garanzia (perché il suo debito da fideiussore è personale non professionale), mentre la SRL potrebbe avviare un concordato minore. Queste soluzioni combinate richiedono coordinamento e l’intervento dell’OCC.
Come difendersi dalle azioni esecutive dei creditori
Quando i creditori iniziano le azioni di recupero, il debitore deve conoscere i suoi diritti e i possibili strumenti di difesa legale per evitare o limitare i danni. Vediamo separatamente le difese generali contro i creditori privati (fornitori, banche, locatori, ecc.) e quelle contro i creditori pubblici (Erario, INPS).
Difendersi dai creditori privati (banche, fornitori, ecc.)
- Opporsi alle ingiunzioni: se un creditore ottiene un decreto ingiuntivo, il debitore ha 40 giorni dalla notifica per presentare opposizione in tribunale. L’opposizione trasforma il procedimento in un giudizio ordinario, durante il quale si possono far valere contestazioni sul credito: ad esempio, eccepire che la merce consegnata era difettosa o incompleta, che il calcolo degli interessi bancari è illegale, che il contratto contiene clausole nulle, ecc. L’opposizione, se fondata su motivi seri, può far guadagnare tempo e magari portare a una riduzione del debito tramite transazione. Attenzione però: l’opposizione blocca la provvisoria esecutorietà solo se vengono dedotti motivi rilevanti o se concessa dal giudice; altrimenti il creditore può iniziare lo stesso l’esecuzione provvisoria. Inoltre, un’opposizione pretestuosa espone poi a ulteriori spese legali. Quindi va usata quando vi sia una reale contestazione del credito.
- Opposizione all’esecuzione: se il creditore ha già un titolo (sentenza, decreto ingiuntivo non opposto, cambiale, ecc.) e avvia un pignoramento, il debitore può fare ricorso con opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.) se ritiene che il creditore non avesse diritto di procedere (ad es. perché il debito è già pagato o il titolo è invalido) o opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.) per vizi formali della procedura (ad es. il pignoramento è stato notificato in modo errato). Queste opposizioni non mettono in discussione il merito del credito (che è già accertato dal titolo) ma puntano a bloccare l’esecuzione per ragioni tecniche. Possono essere strumenti efficaci per guadagnare tempo o impedire esecuzioni irregolari. Ad esempio, se il pignoramento mobiliare è stato eseguito su beni impignorabili (strumenti di lavoro essenziali, oggetti sacri, ecc.), l’opposizione agli atti può farne dichiarare la nullità e ottenere la liberazione dei beni.
- Conversione del pignoramento: il debitore sottoposto a pignoramento può, prima che i beni siano venduti, chiedere la conversione ex art. 495 c.p.c., cioè sostituire ai beni pignorati una somma di denaro (comprensiva del capitale dovuto, interessi e spese, aumentata di un 10%). In pratica, è il diritto di fermare l’esecuzione pagando il dovuto. Se non si dispone subito dell’intera somma, il giudice può concedere che la conversione avvenga pagando a rate fino a 36 mesi. Questa è una soluzione da valutare se il debitore riesce a reperire almeno parzialmente i fondi (magari vendendo volontariamente qualche bene o con l’aiuto di terzi) per evitare il danno di una svendita all’asta. Ad esempio, di fronte al pignoramento dell’arredamento del negozio o dell’auto, il debitore può proporre di versare gradualmente il valore al creditore, liberando i beni e continuando l’attività.
- Impugnare i precetti o le intimazioni: prima del pignoramento, il creditore notifica un atto di precetto (intimazione a pagare entro minimo 10 giorni). Se il precetto contiene importi non dovuti o vizi (ad es. notifica del titolo mancante), si può fare opposizione al precetto per farlo annullare o correggere. Anche se non blocca a lungo (il creditore può emetterne un altro corretto), in caso di abusi (interessi usurari calcolati, spese eccessive) questa opposizione può ridurre l’importo preteso.
- Negoziare con il creditore: in ogni fase, la trattativa è un’arma fondamentale. Molti creditori privati, di fronte a difficoltà oggettive del debitore, preferiscono un accordo stragiudiziale (ad esempio, saldo e stralcio: il debitore paga subito una percentuale a stralcio del debito e il creditore rinuncia al resto) piuttosto che lunghe esecuzioni dall’esito incerto. È quindi sempre opportuno, magari con l’assistenza di un legale, sondare la disponibilità del creditore a una soluzione transattiva. Tale accordo va messo per iscritto e formalizzato (ad es. il creditore rilascia quietanza a saldo e stralcio, o si impegnano entrambe le parti a chiedere l’estinzione della causa).
- Sfruttare le protezioni su stipendio/pensione: se il titolare del negozio ha anche un altro reddito da lavoro dipendente o pensione, e un creditore tenta di pignorarlo, ricordi che per legge solo una parte è pignorabile. In genere, stipendio e pensione sono pignorabili nella misura massima di 1/5 (20%) del netto mensile. Inoltre, se il pignoramento avviene sul conto dove viene accreditato lo stipendio/pensione, la legge riserva un importo impignorabile pari a circa 1.000-1.500 € (multiplo dell’assegno sociale) sul saldo . Quindi il debitore può eccepire eventuali violazioni di tali limiti al giudice dell’esecuzione. Ad esempio, se erroneamente venisse pignorato l’intero saldo comprensivo di stipendio recente, va fatto rilevare e si otterrà lo sblocco della parte non pignorabile.
- Contestare la legittimità del titolo esecutivo: a volte capitano situazioni in cui il titolo su cui il creditore agisce non è più valido – ad esempio, un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo ma appellato, oppure una sentenza non definitiva. Il debitore può chiedere al giudice competente la sospensione dell’esecutività se emergono nuovi elementi (art. 615 co.2 c.p.c.). Questo è un scenario particolare, ma ad esempio se nel frattempo il debitore ha pagato in parte e il creditore nasconde il pagamento, si può chiedere di sospendere l’esecuzione presentando la prova.
- Limiti temporali (prescrizione): verificare sempre se il creditore ha agito tempestivamente. Molti debiti si prescrivono in 5 anni (o anche meno, es. interessi in 5 anni, bollette in 5 anni, canoni locazione 5 anni; retribuzioni dipendenti 5 anni, ecc.), altri in 10 (ordinari). Se il creditore ha lasciato passare troppo tempo senza atti interruttivi, il debitore può eccepire la prescrizione, che è una difesa sostanziale potentissima: un debito prescrittosi non è più dovuto. Attenzione: la prescrizione va eccepita in giudizio o in sede di opposizione, non basta dirlo informalmente al creditore.
- Beni impignorabili: come accennato, ci sono beni che il codice rende assolutamente impignorabili (art. 514 c.p.c.): ad esempio abiti, biancheria, letti, tavoli da pranzo, frigorifero, cucine, e in generale gli oggetti di casa necessari al debitore e alla famiglia. Anche gli animali da compagnia oggi sono impignorabili (a meno che destinati a attività produttive). Se un ufficiale giudiziario eccede cercando di pignorare tali cose, il debitore deve far valere la legge. Per un negozio, spesso il pignoramento riguarda il magazzino o l’arredo: qui pochi beni rientrano nelle esenzioni, ma se ad esempio l’ufficiale giudiziario volesse pignorare il computer indispensabile per emettere scontrini e fatture, lo si può opporre come strumento indispensabile del mestiere (art. 515 c.p.c.), ottenendo che semmai venga pignorato “con riserva” e rilasciato se il giudice lo riconosce indispensabile.
- Cambio di forma giuridica o cessione d’azienda: qualche imprenditore pensa di “sfuggire” ai creditori chiudendo la partita IVA e riaprendo con altra forma (ad esempio costituendo una nuova società). Questa strategia, oltre a poter configurare reato (distrazione di beni, se i beni passano alla nuova entità senza soddisfare i creditori), è poco utile: i creditori possono comunque aggredire i beni aziendali, anche se intestati ad un nuovo soggetto, se provano che si tratta di mera continuazione d’impresa. Esiste l’azione revocatoria anche per cessione d’azienda o vendite di beni a terzi compiacenti. Inoltre, il cedente d’azienda resta solidalmente responsabile dei debiti anteriori alla cessione se non pagati dal cessionario (art. 2560 c.c., salvo diversa pattuizione opponibile). Quindi è sconsigliato tentare la via della simulazione di fallimento/perdita e prosecuzione sotto mentite spoglie: i rischi legali superano i benefici. Molto meglio usare gli strumenti leciti di composizione della crisi.
Difendersi dalle azioni del Fisco e di Enti pubblici
I creditori pubblici (Agenzia delle Entrate, Agenzia Entrate-Riscossione, INPS, Comune per tributi locali, ecc.) dispongono di poteri e procedure in parte diversi dai creditori privati. Anche le difese del debitore variano, concentrandosi soprattutto sul rispetto delle garanzie procedurali e sull’utilizzo di istituti specifici.
- Verificare le notifiche degli atti: spesso il debitore viene a conoscenza dei debiti fiscali tramite la cartella esattoriale o un avviso bonario. È fondamentale controllare se tutti gli atti presupposti sono stati notificati regolarmente. Ad esempio, per pretendere IRPEF, IVA, IMU, deve esserci a monte una dichiarazione del contribuente con debito o un avviso di accertamento notificato (che, se non impugnato, diventa definitivo). Se manca la notifica valida dell’atto impositivo, la successiva cartella può essere nulla. Le cartelle esattoriali stesse vanno notificate secondo legge (oggi tramite PEC per titolari di P.IVA, o in mancanza con raccomandata AR o messo). Un vizio di notifica (es. PEC a indirizzo sbagliato, relata mancante) permette di fare ricorso e annullare la cartella, o fare opposizione all’esecuzione se il Fisco agisce su un titolo viziato. Pertanto, la prima linea di difesa è spesso “formale”: far controllare da un esperto se tutti gli atti sono stati notificati e emessi entro i termini di decadenza.
- Impugnare nei termini gli atti dell’Agenzia Entrate: quando arriva un avviso di accertamento fiscale (per maggiori imposte) o un avviso di addebito INPS, ci sono 60 giorni per fare ricorso alle commissioni tributarie (ora “Corti di Giustizia Tributaria”) o al giudice del lavoro (per l’INPS). Se si hanno motivi di contestazione (es. l’accertamento è infondato o errato nei calcoli), presentare ricorso sospende la riscossione fino alla sentenza di primo grado (previa istanza di sospensione). Ignorare un avviso significa farlo consolidare e arrivare a cartella. Dunque, difendersi = reagire tempestivamente con ricorso quando si ritiene che l’ente abbia torto.
- Rateizzazioni e sospensione: se il debito è corretto ma non pagabile immediatamente, la rateizzazione è la principale ancora di salvezza. L’Agenzia Entrate-Riscossione concede piani fino a 72 rate mensili (6 anni) per importi fino a €120.000 senza necessità di documentare lo stato di difficoltà (basta la domanda). Sopra tale soglia, o per piani fino a 120 rate (10 anni), serve provare lo stato di grave e comprovata difficoltà con ISEE o indici finanziari. Una volta ottenuta la dilazione, decadono eventuali fermi amministrativi e pignoramenti in corso vengono sospesi, a patto di pagare regolarmente le rate. Quindi, se si riceve una cartella, fare domanda di rateazione entro i 60 giorni evita che parta l’esecuzione. Anche se sono già iniziate azioni (fermi, ipoteche), l’ADER le sospende una volta accordato il piano (non libera però i beni già pignorati, a meno che si paghi tutto o intervenga revoca giudiziale). Il debitore deve tuttavia valutare realisticamente se riesce a sostenere le rate: in caso di mancato pagamento di 5 rate (anche non consecutive), si decade dal beneficio e l’intero debito residuo torna esigibile subito.
- Sfruttare le definizioni agevolate (rottamazioni): negli ultimi anni, quasi ogni governo ha introdotto misure di condono parziale per i ruoli esattoriali. Chi ha debiti iscritti a ruolo dovrebbe monitorare se c’è possibilità di aderire a qualche “rottamazione” (che tipicamente abbatte sanzioni e interessi) o “saldo e stralcio” (per situazioni di comprovata difficoltà economica, abbatte anche parte del capitale). Ad esempio, la Rottamazione 2023 (quater) ha permesso di definire i ruoli 2000-2017 pagando solo imposte e contributi senza sanzioni/mora, in 18 rate. Difendersi dal fisco significa anche approfittare di questi spiragli di legge per chiudere i debiti a condizioni migliori, quando disponibili.
- Opposizione a preavvisi di fermo/ipoteca: l’ADER prima di iscrivere fermo su un veicolo o ipoteca su un immobile deve comunicare un preavviso al debitore, dandogli 30 giorni per pagare o contestare. Se l’importo è sotto soglia (fermo auto non legittimo sotto 1.000 € di debito; ipoteca non legittima sotto 20.000 € di debito totale o sulla prima casa non pignorabile), il debitore può fare istanza di annullamento in autotutela o ricorso al giudice per bloccare l’atto. Ad esempio, se riceve preavviso di ipoteca ma ha solo la prima casa e debito 50k, può ricordare all’ADER che non può ipotecare la prima casa se è unico immobile abitativo (anche se la legge vieta pignoramento, su ipoteca ci sono state evoluzioni giurisprudenziali: oggi l’orientamento prevalente è che non si possa iscrivere ipoteca finalizzata ad espropriare un bene impignorabile ). Comunque, il preavviso è l’ultimo campanello: ignorarlo porta all’iscrizione. Quindi conviene reagire immediatamente, pagando se possibile o chiedendo rate, o facendo opposizione se ci sono motivi.
- Impugnare il pignoramento presso terzi: il fisco ha il vantaggio di poter pignorare crediti (stipendi, conti) senza passare dal giudice, con atto diretto al terzo. Tuttavia, il debitore può ricorrere al giudice dell’esecuzione per contestare tale pignoramento (ad esempio, se l’importo indicato è errato, o se colpisce somme non pignorabili – come nel caso del conto con stipendio: l’ADER dovrebbe lasciare il “minimo vitale” di circa 1.000 € sul conto; se non lo fa, il debitore può chiedere di ordinare lo svincolo di tale somma). La Cassazione nel 2021-2022 ha rafforzato la tutela del minimo vitale anche nei pignoramenti presso terzi esattoriali, equiparandoli a quelli ordinari.
- Misure cautelari e composizione negoziata: un aspetto peculiare è che se il debitore ha debiti fiscali molto alti, la Procura può talvolta intervenire con sequestri penali sui beni (ad esempio in caso di reati tributari). In tale scenario estremo, una recente sentenza della Cassazione (ord. n. 30109/2025) ha stabilito che l’avvio di una composizione negoziata della crisi può essere considerato un elemento che riduce il periculum e può portare alla revoca di misure cautelari patrimoniali . Ciò significa che, se un imprenditore è sotto inchiesta per debiti IVA non versati e rischia il sequestro dei beni, dimostrare di aver intrapreso seriamente la composizione negoziata (con un piano di risanamento, l’aiuto di un esperto e trattative in corso con i creditori, Fisco incluso) può “proteggere” il patrimonio evitando provvedimenti ablativi in sede penale . Questo è un uso avanzato e innovativo dello strumento di composizione: diventa uno scudo, come evidenziato da quella pronuncia, e quindi una strategia difensiva per l’azienda che vuole conservare la continuità aziendale.
- Transazione fiscale e contributiva: nelle procedure concorsuali (concordato preventivo, concordato minore, accordi di ristrutturazione) il debitore può proporre una transazione fiscale, ossia un accordo con l’Erario e gli enti previdenziali per pagare parzialmente o dilazionare i loro crediti. Se il Fisco accetta, la transazione viene inglobata nel piano concorsuale. Oggi, dopo le riforme, è possibile anche l’omologazione cram-down del concordato/accordo nonostante il voto contrario del Fisco, purché la proposta garantisca un soddisfacimento non inferiore a quello che il Fisco otterrebbe in alternativa (ossia in liquidazione) . In pratica, il debitore non è più ostaggio di un eventuale rifiuto irragionevole dell’Erario: il tribunale può omologare ugualmente se la proposta è vantaggiosa per l’Erario rispetto al fallimento. Questa è una difesa “in attacco”, nel senso che per contrastare il rigore della pretesa fiscale, il debitore usa la leva di una procedura giudiziaria per imporre una soluzione equa. Ad esempio, il negozio potrebbe offrire di pagare il 30% dell’IVA dovuta in concordato minore; l’AdE magari vota contro, ma se il piano dimostra che in liquidazione il Fisco prenderebbe 5%, il giudice può approvare comunque.
- Esdebitazione e perdono dei debiti fiscali: come già accennato, è ormai acquisito che anche i debiti tributari (IVA inclusa) possono essere definitivamente cancellati tramite l’esdebitazione al termine di una procedura concorsuale conclusa onestamente . Quindi, il negoziante schiacciato dai debiti fiscali deve sapere che c’è “luce in fondo al tunnel”: se segue un percorso ordinato (liquidazione controllata, ad esempio) e coopera, potrà ottenere la liberazione da quei debiti e il Fisco non potrà più pretendere nulla (salvo emersione di atti in frode). Questo è importante perché, psicologicamente, si tende a credere che “le tasse non si cancellano mai”: non è più così, grazie all’evoluzione normativa e al diritto UE sulla seconda opportunità.
Strumenti per gestire la crisi debitoria: procedure di sovraindebitamento e composizione della crisi
Analizziamo ora le possibili soluzioni strutturate a disposizione di un titolare di negozio indebitato, al fine di ristrutturare o cancellare i debiti e tornare in bonis. Si tratta delle procedure concorsuali “minori” previste dal Codice della Crisi, pensate proprio per debitori non fallibili o piccoli imprenditori sotto-soglia, e di uno strumento extra-giudiziale innovativo, la composizione negoziata della crisi, introdotta recentemente.
Le principali procedure che un negozio di articoli da regalo (inteso come piccola impresa commerciale) può considerare sono:
- Concordato minore – (ex “accordo di composizione dei debiti” della L.3/2012): è una procedura concorsuale volontaria in cui il debitore propone un piano ai creditori chirografari di pagamento parziale dei debiti, con eventuale continuazione dell’attività. Richiede l’approvazione di una maggioranza di crediti e l’omologazione del tribunale .
- Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore – (ex “piano del consumatore”): simile al concordato minore ma riservato alle persone fisiche che hanno contratto debiti estranei all’attività d’impresa (consumatori). Non richiede voto dei creditori; decide il giudice sull’omologazione in base alla fattibilità e meritevolezza.
- Accordo di ristrutturazione dei debiti: è uno strumento previsto per imprenditori (anche sopra soglia) che consente di fare accordi con almeno il 60% dei creditori e renderli vincolanti erga omnes con l’omologa del tribunale. Ha versioni particolari (ad es. accordo agevolato al 30%, accordo di ristrutturazione fiscale). Per un piccolo negozio, può essere applicabile se si riesce a trovare intesa con la maggior parte dei creditori fuori dal tribunale.
- Liquidazione controllata del sovraindebitato – (ex “liquidazione del patrimonio” L.3/2012): è la procedura liquidatoria in cui tutti i beni del debitore vengono liquidati da un liquidatore nominato dal giudice e il ricavato distribuito ai creditori. Alla fine, il debitore persona fisica può ottenere l’esdebitazione (liberazione dai debiti rimasti).
- Esdebitazione del debitore incapiente – novità del Codice (art. 283 CCII): consente al debitore persona fisica che non ha alcun patrimonio né reddito liquidabile di ottenere la cancellazione dei debiti senza dover liquidare nulla, subito, purché sia meritevole (non abbia frodato i creditori) . È il cosiddetto “fresh start” a costo zero per il debitore nullatenente. Si ottiene con ricorso al tribunale e comporta, se accolto, la liberazione da tutti i debiti (con l’onere di pagare eventualmente, nei 4 anni successivi, ai vecchi creditori solo una parte di eventuali sopravvenienze economiche, se capitano).
- Concordato preventivo “ordinario”: per completezza, se il negozio fosse gestito da una società sopra-soglia e volesse evitare la liquidazione giudiziale, potrebbe proporre un concordato preventivo (in continuità o liquidatorio). Tuttavia, per piccole attività questa è una procedura complessa e onerosa, più rara; il concordato minore la ricalca in scala ridotta per i piccoli.
- Composizione negoziata della crisi: non è una procedura concorsuale giudiziale, ma un percorso volontario e stragiudiziale assistito, introdotto dal D.L. 118/2021 e ora disciplinato negli artt. 12-25-octies CCII . Consiste nella nomina, su richiesta dell’imprenditore in difficoltà (anche sotto-soglia), di un Esperto indipendente che aiuta a negoziare con i creditori una soluzione concordata (ristrutturazione dei debiti, aumento di capitale, cessione azienda, ecc.) per superare la crisi ed evitare l’insolvenza conclamata. Durante la composizione negoziata il debitore può chiedere misure protettive temporanee (moratoria delle azioni esecutive) e continuare l’attività con la supervisione dell’esperto.
Di seguito, approfondiamo alcuni di questi strumenti focalizzandoci su concordato minore, liquidazione controllata ed esdebitazione, e poi sulla composizione negoziata, che rappresentano quelli più utili per il caso di un negozio di articoli da regalo indebitato.
Concordato minore (ex accordo di composizione)
Il concordato minore (disciplinato dagli artt. 74-83 CCII) è la procedura concorsuale pensata per i debitori non fallibili (imprese sotto soglia, imprenditori agricoli, professionisti, start-up innovative, persone fisiche esercenti imprese minori) in stato di crisi o insolvenza, che intendono evitare la liquidazione dei propri beni tramite un accordo con i creditori . Ecco le sue caratteristiche principali:
- Iniziativa volontaria del debitore: solo il debitore può attivare il concordato minore, presentando ricorso al tribunale con un piano e una proposta. I creditori non possono chiederlo (diversamente dalla liquidazione controllata che, come visto, può essere anche richiesta dai creditori). Occorre quindi che il titolare del negozio riconosca tempestivamente lo stato di crisi e prenda l’iniziativa di proporre un concordato .
- Piano di ristrutturazione e pagamento parziale: il debitore deve predisporre, con l’ausilio di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) e un professionista attestatore, un piano dove descrive come intende risanare la situazione. Ad esempio, può prevedere di pagare, grazie ai ricavi futuri o alla vendita di alcuni asset, una parte dei debiti (es: 20%) nell’arco di 5 anni, e chiede ai creditori di rinunciare al restante. Non c’è per legge un minimo di pagamento prestabilito : anche una falcidia importante (pagare solo il 10% del dovuto) è ammessa, purché si dimostri che è migliore per i creditori rispetto all’alternativa della liquidazione. Questo principio della convenienza sostituisce le vecchie soglie di soddisfacimento (nel concordato preventivo ordinario c’è l’obbligo di almeno 20% ai chirografari se liquidatorio, nel concordato minore no) . Ciò rende il concordato minore molto flessibile per piccoli debitori.
- Classi di creditori e voto: il debitore può suddividere i creditori in classi omogenee e deve ottenere il consenso dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto (esclusi i privilegiati se soddisfatti al 100% o se rinunciano al privilegio). Se la maggioranza vota a favore, il concordato minore può essere omologato dal Tribunale e diventa vincolante per tutti i creditori inclusi, anche dissenzienti. Se non si raggiunge il quorum, la procedura viene revocata (a meno che il giudice non applichi qualche eccezione di cram-down, ma nel concordato minore puro non è previsto il cram-down se bocciato).
- Continuità aziendale o liquidatorio: il piano può prevedere la continuità dell’attività (il negozio continua a operare, e con gli utili futuri paga i creditori in percentuale) oppure la cessione/liquidazione dei beni (es: cedere il negozio a terzi e distribuire il ricavato). Nel concordato minore, spesso si cerca la continuità se l’attività è ancora valida, magari riducendo i costi e rinegoziando debiti. In continuità, il negoziante rimane in possesso dell’azienda sotto vigilanza del gestore della crisi nominato (figura analoga al commissario). Se invece è liquidatorio, può esserci un assuntore (un terzo che si offre di pagare quella percentuale in cambio dell’acquisto di beni).
- Vantaggi per il debitore: il concordato minore, una volta omologato, consente di risanare l’esposizione: i debiti vengono pagati nella misura proposta e il resto è cancellato. Inoltre sospende le azioni esecutive individuali già dal momento del deposito del ricorso (il giudice può adottare provvedimenti per bloccare i pignoramenti pendenti). Protegge anche eventuali coobbligati e garanti? In linea di massima, l’effetto esdebitativo è personale: i fideiussori di solito restano obbligati per intero salvo diversa pattuizione. Ma per il debitore principale è una liberazione significativa.
- Presupposti soggettivi e meritevolezza: sono ammessi al concordato minore tutti i debitori non fallibili tranne il consumatore (che ha la sua procedura dedicata) . Quindi un piccolo imprenditore commerciale può accedervi, così come un professionista o un’artista. Occorre lo stato di crisi o insolvenza, ma il debitore deve anche essere in regola con l’obbligo di presentazione dei bilanci (se società) e generalmente serve la sua meritevolezza. Nelle vecchie procedure c’era un controllo di meritevolezza più formale per il consumatore; oggi anche per il concordato minore il giudice valuta se il debitore ha colpe gravi o ha aggravato la crisi con dolo o frode: in tali casi potrebbe non ammettere o non omologare la procedura. Ad esempio, se il titolare ha sottratto beni ai creditori prima di proporre il concordato, avrà problemi di omologazione.
- Organi coinvolti: una volta presentato il ricorso, il Tribunale nomina un Gestore della crisi (di solito un professionista dell’OCC) che controlla l’operato del debitore, raccoglie i voti dei creditori sul piano e riferisce al giudice. È una figura di ausilio ma la gestione rimane al debitore in continuità.
Esempio: Il titolare di un negozio di articoli da regalo propone un concordato minore così strutturato: continuerà l’attività, chiuderà il punto vendita secondario per ridurre i costi, e grazie ai flussi attesi (prevede di generare 50.000 €/anno di utile per i prossimi 4 anni) offrirà ai creditori chirografari il pagamento del 40% dei loro crediti in 4 anni. I creditori privilegiati (es. il fornitore con pegno su alcuni beni, il dipendente per TFR, ecc.) saranno pagati integralmente ma dilazionati. I chirografari votano e, siccome la proposta è credibile e migliore di una liquidazione (in cui stimano di recuperare forse il 10%), approvano con l’80% dei consensi. Il Tribunale omologa il concordato: il negozio prosegue la sua attività, sotto monitoraggio, e mano a mano paga quelle percentuali. Al termine, i debiti residui dei chirografari sono stralciati. Il titolare ha così evitato di chiudere e ha conservato l’impresa, condividendo il risanamento col sacrificio dei creditori in una misura ragionevole.
Liquidazione controllata del sovraindebitato
La liquidazione controllata (artt. 268-277 CCII) è l’erede della vecchia “liquidazione del patrimonio” della legge 3/2012. È la procedura indicata quando il debitore sovraindebitato non ha la possibilità di pagare i creditori se non liquidando tutti i propri beni. Può essere vista come un “fallimento semplificato” per i non fallibili. Caratteristiche:
- Può essere chiesta dal debitore (per liberarsi dei debiti dando tutto quello che ha) oppure dai creditori (come visto, se debiti > €50.000 e insolvenza conclamata) . Se la chiedono i creditori, il debitore può opporsi solo dimostrando di non essere insolvente o di essere sotto soglia di debito.
- Viene nominato un liquidatore dal Tribunale, che sostituisce il debitore nell’amministrazione dei beni. Il liquidatore redige l’inventario, individua l’attivo liquidabile e procede a convertirlo in denaro (vendita di immobili, vendita stock merce, incasso crediti, eventuali azioni revocatorie su atti in frode, ecc.).
- Include tutti i beni del debitore (salvo quelli impignorabili per legge). Può riguardare anche i beni futuri sopravvenienti entro un certo limite temporale? Nel vecchio regime i redditi del debitore nei 4 anni successivi andavano in parte ai creditori se superavano il minimo necessario al mantenimento. Nel CCII occorre vedere, ma resta la regola che vanno preservati al debitore i mezzi adeguati al sostentamento suo e della famiglia, come deciso dal giudice (es. se ha uno stipendio, gliene verrà lasciata una quota mensile per vivere, il resto confluirà nella procedura).
- I creditori presentano domanda di partecipare (insinuazione) e il liquidatore predispone un progetto di riparto delle somme ricavate, soddisfacendo prima i crediti con prelazione (privilegi, pegni, ipoteche) secondo i gradi, e poi, se avanza qualcosa, i chirografari in proporzione.
- Durata massima: il Codice della Crisi prevede che la liquidazione controllata di norma si chiuda entro 3 anni dall’apertura . Questo è un grosso miglioramento: non ci saranno più procedure infinite per piccoli debiti. Decorso il triennio, se qualcosa rimane da liquidare verranno date istruzioni, ma intanto il debitore può già chiedere l’esdebitazione.
- Esdebitazione: per il debitore persona fisica, il fine è ottenere la cancellazione dei debiti residui. Nel CCII l’esdebitazione post-liquidazione è in parte automatica: dopo 3 anni dall’apertura, il Tribunale deve pronunciarsi d’ufficio sull’esdebitazione , verificando i requisiti (che il debitore abbia cooperato, non abbia sottratto attivi, non abbia usufruito di altra esdebitazione nei 5 anni precedenti, ecc.). Se tutto è in regola, con decreto viene concesso il beneficio, e tutti i debiti antecedenti si estinguono (ad eccezione di quelli per alimenti, risarcimenti da fatto illecito e obblighi di mantenimento, che rimangono – analogamente a quanto avviene nel fallimento per l’esdebitazione ex art. 282 CCII). Dunque per il titolare del negozio sovraindebitato, la liquidazione controllata è la via per la liberazione integrale dai debiti, al prezzo di sacrificare il suo patrimonio disponibile.
- Vantaggi: rispetto all’esecuzione individuale, la liquidazione controllata è ordinata, equa (i creditori concorrono in pari grado), sospende tutte le azioni individuali (appena aperta, nessuno può iniziare o proseguire pignoramenti, tutto confluisce lì). Inoltre, come detto, porta al fresh start. Durante la procedura, a differenza del concordato, il debitore perde l’amministrazione dei beni, ma può svolgere attività lavorativa (gli guadagni futuri, salvo quota pignorabile, gli restano per vivere).
- Caso del negozio: se il negozio è ancora attivo e il titolare apre la liquidazione controllata, in pratica l’attività cessa (salvo accordi per vendere l’azienda in esercizio). Il liquidatore subentrerà: potrà vendere l’eventuale merce, risolvere il contratto di affitto (a meno che qualcuno rilevi l’attività), vendere i beni strumentali. È quindi indicata quando non vi sono prospettive di salvare l’impresa come “going concern”. Se invece si vuole provare a continuare l’impresa, meglio il concordato minore.
Esempio: Un negozio di regalo in forma di SNC chiude travolto dai debiti. I due soci hanno anche debiti personali misti. Decidono di avviare la liquidazione controllata: conferiscono in essa tutti i beni della società e anche quelli personali non necessari (perché nella liquidazione di soci illimitatamente responsabili rientrano anche i loro beni, essendo obbligati solidali). Il liquidatore vende il furgoncino, le scaffalature, liquida la merce residua con una vendita straordinaria. Incassa in totale 30.000 €, mentre i debiti erano 200.000 €. Distribuisce secondo i privilegi (ad esempio paga prima 5.000 € di dipendenze arretrate, 10.000 € di IVA in prededuzione particolare, e il resto ripartito ai chirografari che prendono briciole). Dopo due anni la procedura si chiude, i soci – che hanno collaborato onestamente – ottengono l’esdebitazione: i rimanenti ~170.000 € di debiti sono cancellati e nessuno potrà più pretenderli. I soci ricominciano da zero (ovviamente hanno perso ogni asset immobile o denaro eccedente, ma erano nullatenenti in pratica).
Esdebitazione del debitore incapiente
Merita un paragrafo dedicato questo strumento innovativo (introdotto prima dal DL 137/2020 e poi confluito nell’art. 283 CCII), perché è una forma di “salvezza” estrema: pensata per chi è completamente privo di beni e redditi da offrire ai creditori. Mentre di regola l’esdebitazione è il beneficio conclusivo dopo una procedura di liquidazione, qui si tratta di ottenere subito la cancellazione dei debiti senza liquidare nulla, proprio perché non c’è nulla da liquidare. In pratica: – Possono accedervi solo persone fisiche sovraindebitate non assoggettabili a liquidazione giudiziale (quindi non i grandi imprenditori) . – Devono trovarsi in condizioni di incapienza totale, cioè privi di un patrimonio liquidabile e di capacità di pagamento (oltre quella minima per il sostentamento). Ad esempio, un ex negoziante che ha chiuso l’attività, non ha casa di proprietà, non ha auto, lavora magari saltuariamente o guadagna solo per vivere. – Il debitore non deve aver commesso atti in frode ai creditori, né violato l’obbligo di meritevolezza gravemente (ad esempio, se ha generato il debito con dolo o colpa grave, il giudice può negare l’accesso). – Procedura: si fa un ricorso al Tribunale competente, allegando l’elenco dei creditori, la descrizione della propria situazione (attestando di non poter offrire nulla). Il giudice sente eventualmente il Gestore OCC e i creditori (possono comparire per opporsi se credono che il debitore menta sulla sua incapienza). Se tutto è regolare, emette un decreto di esdebitazione dell’incapiente che cancella i debiti. – Effetti: il debitore è liberato da tutti i debiti chirografari antecedenti. Restano esclusi eventuali debiti per alimenti, mantenimento, risarcimenti da illecito e multe penali, per espressa previsione (questi non si cancellano). – Claw-back: se entro 4 anni dal decreto il debitore acquista nuovi beni o redditi che gli danno capacità, ha l’obbligo di pagare i vecchi creditori fino a concorrenza di quanto avrebbero ottenuto in una liquidazione standard . Questa clausola evita che furbescamente uno poi vinca alla lotteria e si goda tutto ignorando i creditori. Ma se nei 4 anni non accade nulla di rilevante, poi anche eventuali miglioramenti successivi restano suoi (i creditori restano definitivamente tagliati fuori).
Questa esdebitazione “a zero” è vista come una misura di ultima istanza sociale, per evitare che persone sovraindebitate senza scampo restino schiacciate a vita da debiti impagabili, diventando un peso per la società. Ovviamente non deve essere usata per approfittare in malafede (il giudice vigila sulla meritevolezza e può revocarla se scopre frodi).
Esempio: Tiziana aveva un piccolo negozio artigianale e si è indebitata per 100.000 €. Ha chiuso tutto, ora fa lavori saltuari e vive in affitto, non possiede beni. I creditori la inseguono con decreti ingiuntivi, ma non trovano niente da pignorare a parte pochi euro sul conto. Tiziana, invece di convivere eternamente con questi debiti, ricorre all’esdebitazione incapiente. Il tribunale verifica che effettivamente non ha proprietà né redditi stabili, e che è stata sfortunata ma onesta (i debiti derivano da forniture e tasse non pagate per mancanza di incassi, non ha celato soldi da parte). Viene quindi emesso decreto: i 100.000 € di debiti vengono cancellati. Se entro 4 anni Tiziana, poniamo, ereditasse una casa, dovrebbe informare il tribunale: a quel punto i vecchi creditori potrebbero soddisfarsi su quell’eredità (per la parte di valore corrispondente ai loro crediti). Ma se nulla di ciò accade, dopo 4 anni Tiziana è libera definitivamente. Potrà ripartire senza quell’enorme peso.
Composizione negoziata della crisi
La composizione negoziata è un percorso introdotto di recente, volto a risanare l’impresa prima che sia troppo tardi, attraverso la negoziazione assistita da un esperto indipendente. Chi può accedervi? Qualunque imprenditore commerciale o agricolo, senza limiti di dimensione, purché si trovi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da far presumere la crisi o insolvenza, ma ancora risanabili. Quindi anche il titolare di un negozio sotto-soglia può accedervi (è aperta anche alle imprese minori su base volontaria). Non possono accedere i privati non imprenditori.
Come funziona in breve:
- L’imprenditore presenta istanza tramite una piattaforma online (curata dalle Camere di Commercio) , allegando informazioni sulla situazione aziendale (bilanci, elenco creditori, cause pendenti, etc.).
- Viene nominato dalla commissione apposita un Esperto terzo, in genere un commercialista o altro professionista con competenze di ristrutturazioni. L’esperto convoca l’imprenditore e analizza la situazione.
- L’esperto aiuta a elaborare un piano di risanamento e avviare le trattative con i creditori principali. L’obiettivo è trovare un accordo che eviti l’insolvenza: ad esempio potrebbe essere ottenuto un accordo con le banche per allungare i debiti, con i fornitori per stralciare parte dei crediti, con nuovi investitori per immettere liquidità.
- Durante le trattative, l’imprenditore può chiedere al Tribunale misure protettive (come un decreto che blocca o sospende i pignoramenti dei creditori per la durata della negoziazione, max 4 mesi + 4 di proroga). In genere il tribunale concede queste misure se vede che c’è una trattativa in buona fede e prospettive.
- La procedura è riservata (non viene pubblicizzata, per tutelare la reputazione dell’azienda), almeno finché non si chiedano misure protettive, in quel caso un minimo di pubblicità c’è per informare i creditori.
- Se la negoziazione ha successo, ci sono vari possibili esiti consensuali:
- Un contratto con uno o più creditori (ad esempio un accordo bilaterale di moratoria col principale fornitore).
- Un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 CCII, che coinvolga gran parte dei creditori e viene omologato in tribunale (rendendolo efficace anche su dissenzienti).
- Un piano attestato di risanamento (strumento privato certificato da un professionista, che però impegna solo i contraenti volontari).
- O anche un concordato preventivo semplificato: se la composizione negoziata fallisce ma l’imprenditore individua un qualsiasi terzo interessato ad acquisire l’azienda o asset, può presentare entro 60 giorni una proposta di concordato “semplificato” di sola liquidazione al tribunale, senza voto dei creditori (ci penserà il giudice a valutare e omologare) . Questo è un piano B in extremis.
- Se la negoziazione fallisce e non si trova alcuna soluzione, l’esperto chiude la relazione. A quel punto, l’imprenditore dovrà valutare le alternative concorsuali (concordato, liquidazione) oppure i creditori potranno attivarsi per la liquidazione giudiziale se grande o controllata se piccolo.
Quando conviene la composizione negoziata? Quando il negozio ha ancora speranza di risanamento: ad esempio, ha sofferto per un periodo (poniamo, lockdown da Covid) ma ha potenziale di ripresa; oppure ha un eccesso di debiti pregressi ma l’attività corrente è sana. La composizione negoziata permette di coinvolgere i creditori in soluzioni creative. Un vantaggio è che, essendo volontaria, non comporta immediate “etichette” di insolvenza o perdita di potere: l’imprenditore resta alla guida (supportato dall’esperto), non ci sono curatori o commissari. Inoltre, grazie alle misure protettive, ferma temporaneamente le aggressioni dei creditori e consente di lavorare al salvataggio (ad esempio, se il fisco sta per ipotecare l’immobile, l’imprenditore entrando in composizione negoziata chiede la sospensione e guadagna mesi per trovare un accordo o un investitore).
Novità giurisprudenziale 2025: come già citato, la Cassazione ha riconosciuto che l’avvio serio della composizione negoziata può avere effetti anche al di fuori dell’ambito civile: ad es. nel caso esaminato, ha portato alla revoca di un sequestro preventivo penale sui beni dell’imprenditore, in quanto il giudice ha ritenuto che la procedura di composizione in corso riducesse il pericolo di distrazione dei beni . Questo fa capire che la composizione negoziata è vista dall’ordinamento come uno strumento virtuoso, al punto da far da “scudo” per l’impresa in crisi e favorire la sua prosecuzione . Ovviamente ciò vale se l’imprenditore mostra concreta volontà di risanare e trasparenza.
Limiti e costi: la composizione negoziata richiede l’intervento di esperti e consulenti, e non è priva di costi (l’esperto ha diritto a un compenso, in parte a carico dell’imprenditore, spesso calmierato). Inoltre, non tutti i creditori potrebbero aderire: non essendo una procedura che obbliga tutti (a meno di convertire l’accordo in uno degli strumenti omologati), se un creditore è ostile può comunque creare problemi, anche se per il periodo protetto è bloccato. Serve molta abilità negoziale e trasparenza. Il fallimento della negoziazione, d’altro canto, può esporre l’impresa poi a misure peggiori (ad es. se i creditori vedono che la trattativa è fallita, perderanno fiducia del tutto). Quindi va intrapresa con preparazione e solo se c’è un plausibile piano di rilancio.
Esempio pratico: La società Gift S.r.l. gestisce due punti vendita di articoli da regalo. Dopo alcuni anni difficili, accumula debiti: 150k con fornitori, 100k con banche (scoperti), 50k di arretrati fiscali. La situazione è grave ma i negozi sono tornati a produrre utili modesti. Gift S.r.l. avvia la composizione negoziata: un esperto viene nominato. Viene elaborato un piano: chiudere il punto vendita meno profittevole per risparmiare costi, vendere l’immobile di proprietà di un socio per fare cassa (il socio è d’accordo di immettere liquidità), chiedere alle banche di spalmare il debito in nuovi mutui a 5 anni, offrire ai fornitori un pagamento del 60% in 24 mesi (meglio di quanto otterrebbero da un eventuale fallimento). Durante la trattativa, Gift S.r.l. ottiene dal tribunale la sospensione di due pignoramenti promossi da fornitori impazienti. Nel frattempo l’esperto riferisce che la maggioranza dei creditori è d’accordo sul piano. L’accordo viene formalizzato come un accordo di ristrutturazione con il 75% dei creditori, e omologato dal tribunale: diviene vincolante anche per i pochi fornitori che non hanno firmato. Gift S.r.l. esegue nei due anni seguenti quanto concordato, sotto la supervisione dell’esperto (che poi chiude l’incarico). L’alternativa sarebbe stata il collasso dell’azienda; con la composizione negoziata invece l’impresa è salva e i creditori recuperano in buona parte i loro crediti. La reputazione di Gift S.r.l. ne esce persino rafforzata presso le banche e fornitori, perché ha mostrato un approccio proattivo e trasparente alla crisi .
Tabella di sintesi delle procedure disponibili
Per riepilogare le differenze tra le varie opzioni discusste, si fornisce la seguente tabella comparativa:
| Procedura | Chi può attivarla | Ruolo del debitore | Coinvolgimento creditori | Esito sui debiti | Norme di riferimento |
|---|---|---|---|---|---|
| Concordato minore (sovraindebitamento) | Solo il debitore non fallibile (imprenditore sotto-soglia, professionista, ecc. – no consumatore) | Rimane alla guida dell’impresa sotto vigilanza di un Gestore nominato; propone un piano e lo esegue se omologato | I creditori votano sul piano (maggioranza per approvare). I privilegiati possono essere soddisfatti interamente o degradati se accettano. | Pagamento parziale dei debiti secondo piano. Una volta eseguito il piano omologato, i debiti residui sono cancellati (esdebitazione “di diritto”). | Artt. 74-83 CCII (già L.3/2012) |
| Piano del consumatore (ristrutturazione dei debiti) | Solo debitore persona fisica consumatore (debiti estranei attività imprenditoriale) | Il debitore propone un piano di pagamento parziale in base alla sua capacità reddituale; un OCC attesta meritevolezza e sostenibilità | Niente voto dei creditori! Il giudice omologa se il piano è fattibile e il debitore meritevole. Creditori possono opporsi ma non votano. | Pagamento parziale come da piano, tipicamente con trattenute su stipendio/pensione. Debiti residui cancellati all’esito positivo. | Artt. 67-73 CCII (già L.3/2012) |
| Accordo di ristrutturazione (debitori vari) | Debitore (fallibile o non) con ≥60% di creditori aderenti | Il debitore negozia con creditori chiave. Gestisce l’azienda durante e dopo. | Devono aderire creditori rappresentanti ≥60% crediti. Per i dissenzienti, l’accordo è efficace con l’omologa (salvo pagamento integrale loro crediti). | Pagamenti come da accordo (anche falcidia di imposte se AdE aderisce). Debiti residui stralciati per i creditori aderenti; i non aderenti vanno pagati per intero (a meno di cram-down se previsto per tributari). | Artt. 57-64 CCII (ex art. 182-bis L.F.) |
| Liquidazione controllata (sovraindebitamento) | Debitore non fallibile (volontaria) o suoi creditori (forzosa, se debiti >50k) | Il debitore perde gestione dei beni, subentra un Liquidatore nominato dal tribunale. Il debitore collabora e poi chiede esdebitazione. | Creditori presentano domande di insinuazione. Nessun voto: liquidatore vende beni e ripartisce secondo prelazioni. | Debiti soddisfatti pro-quota con il ricavato. Dopo chiusura, il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione dei debiti non soddisfatti (salvo eccezioni di legge). | Artt. 268-277 CCII (già L.3/2012) |
| Esdebitazione incapiente | Debitore persona fisica non fallibile, nullatenente, una volta ogni vita (non reiterabile se già avuta) | Non c’è gestione di beni (non ce ne sono). Il debitore deve solo dimostrare la propria incapienza e buona fede. | I creditori possono essere sentiti in tribunale per eventuali opposizioni (es. se contestano che il debitore abbia nascosto beni). | Cancellazione totale dei debiti senza pagamento. Clausola: se nei 4 anni successivi il debitore acquista utilità rilevanti, deve soddisfare i vecchi creditori entro il limite di quelle sopravvenienze . | Art. 283 CCII (introdotto da DL 137/2020) |
| Concordato preventivo (ordinario) | Debitore fallibile in crisi/insolvenza (società o imprenditore sopra-soglia) | In caso di concordato in continuità, il debitore rimane in possesso con vigilanza del commissario; se liquidatorio, amministrazione passa al liquidatore dopo omologa. | I creditori votano (distinti in classi). Servono maggioranze e rispetto soglie (es. 20% min ai chirografi se piano liquidatorio). | Se omologato, vincola tutti i creditori anteriori. Dopo esecuzione, esdebitazione per il debitore persona fisica (per società si estingue). | Artt. 84-120 CCII (ex art. 160 e ss. L.F.) |
| Composizione negoziata (strumento stragiudiziale) | Imprenditore (qualsiasi dimensione) in difficoltà (anche solo “probabilità di crisi”) | L’imprenditore resta in carica. Affiancato da un Esperto negoziatore indipendente. | Si punta al consenso dei creditori chiave. Non c’è voto formale, ma si possono concludere accordi individuali o collettivi. | Se si raggiunge un accordo, i debiti sono regolati secondo i nuovi patti (possibile rinunce parziali dei creditori). Se serve, l’accordo può essere trasfuso in piano attestato o accordo omologato per includere tutti. | D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021; Artt. 12-25-octies CCII. |
(Legenda: CCII = Codice Crisi d’Impresa e Insolvenza D.lgs.14/2019. L.F. = vecchia legge fallimentare R.D. 267/42.)
Come si vede, il panorama è articolato. Per un piccolo negozio indebitato, solitamente la scelta è tra un concordato minore (se si vuole tentare di salvare l’attività ristrutturando il debito) e la liquidazione controllata (se non c’è modo di salvare l’attività e si punta a liquidare quel poco che c’è per poi ripartire senza debiti). La composizione negoziata si colloca in una fase antecedente: va tentata quando l’azienda è ancora viva e si crede valga la pena di risanarla col consenso dei creditori.
Domande frequenti (FAQ)
Di seguito, alcune domande e risposte comuni dal punto di vista di un titolare di negozio indebitato o dei suoi familiari, per chiarire i dubbi pratici più ricorrenti:
Domanda: Un piccolo negozio di articoli da regalo può essere dichiarato fallito?
Risposta: Dipende dalle dimensioni economiche. Se è gestito da una ditta individuale o società che negli ultimi anni non supera le soglie di attivo €300k, ricavi €200k e debiti €500k, allora è non fallibile e non può essere soggetto a liquidazione giudiziale (fallimento) . I creditori dovranno eventualmente usare le procedure di sovraindebitamento (es. liquidazione controllata) se i debiti >50k , oppure accontentarsi di pignoramenti individuali. Se invece il negozio (specie se in forma societaria) supera almeno una soglia, allora in caso d’insolvenza un creditore o il tribunale potrebbero aprire la procedura di fallimento (oggi liquidazione giudiziale). In pratica, la maggior parte dei piccolissimi negozi sfugge al fallimento, ma attenzione: dal 2022 anche i “non fallibili” con debiti sopra 50.000 € possono subire la liquidazione controllata su istanza dei creditori , che è simile a un fallimento come effetti (liquidazione dei beni) pur chiamandosi diversamente.
Domanda: I debiti con fornitori o banche si cancellano dopo un tot di anni se non mi chiedono nulla?
Risposta: I debiti non si cancellano automaticamente se il creditore resta inattivo, ma il diritto del creditore di esigerli può prescriversi col tempo. Molti debiti commerciali e bancari hanno prescrizione 10 anni (ordinaria). Alcuni tipi particolari hanno termini più brevi: interessi e canoni locazione 5 anni, bollette 5 anni, assegni 6 mesi, ecc. Se il creditore non compie atti interruttivi (raccomandate di messa in mora, decreti ingiuntivi, atti esecutivi) entro quel termine, perde il diritto di esigerlo in giudizio. Quindi, tecnicamente, un debito “non chiesto” per oltre 10 anni diventa inesigibile. Tuttavia, in pratica i creditori normalmente si muovono (anche solo inviando un sollecito raccomandato interrompono il termine). Inoltre, finché non si fa valere la prescrizione in tribunale, il debito continua ad esistere moralmente: nessuna legge impone al creditore di “dimenticarsi” spontaneamente. Quindi, non è prudente fare affidamento sulla prescrizione se mancano ancora anni; meglio affrontare proattivamente il debito. Se invece sono effettivamente passati più di 10 anni senza nessuna comunicazione, allora sì, si può rifiutare il pagamento eccependo la prescrizione (idealmente con assistenza legale, per formalizzarlo correttamente).
Domanda: Ho sentito dire che lo Stato non può pignorare la prima casa. È vero?
Risposta: Sì, ma con condizioni. Dal 2013 la legge vieta ad Agenzia Entrate-Riscossione di pignorare l’unico immobile ad uso abitativo di proprietà del debitore se vi risiede anagraficamente e non è di lusso (categorie A/8, A/9) . Questa tutela vale solo per la prima casa e solo verso i crediti dello Stato (tasse, contributi). Ci sono eccezioni: se il debito fiscale supera €120.000 e l’ADER ha iscritto ipoteca da almeno 6 mesi, allora può procedere comunque . Inoltre, la prima casa resta ipotecabile (per debiti > 20k) anche se non pignorabile immediatamente. Contro creditori privati, invece, la prima casa è pignorabile (la Cassazione ha ribadito che il divieto riguarda solo il fisco ). Dunque la banca o un fornitore con ipoteca o decreto può far vendere all’asta la casa anche se è l’unica e vi abitate (a meno che rientri nei beni impignorabili ex art. 514 c.p.c., ma la casa non è in quella lista, purtroppo). In sostanza: con il fisco c’è un significativo scudo sulla prima casa (che però non copre casi di debiti altissimi), con i privati no.
Domanda: Quali beni del mio negozio non possono essere pignorati dai creditori?
Risposta: Possono in teoria pignorare tutti i beni mobili ed immobili aziendali e personali, tranne quelli espressamente dichiarati impignorabili dalla legge. Nel tuo negozio, ad esempio, la cassa (denaro contante) può essere pignorata fino all’importo del debito; la merce sugli scaffali può essere pignorata e venduta all’asta (anche se trattandosi di beni di modesto valore, spesso il creditore vi rinuncia per spese elevate). Gli strumenti indispensabili del tuo lavoro – ad esempio un computer con cui gestisci ordini e fatture, o il furgoncino con cui fai le consegne – sono protetti dall’art. 515 c.p.c. solo per il minimo necessario: generalmente l’ufficiale giudiziario evita di pignorare quell’unico computer indispensabile; se ne hai 5, magari ne pignora 4 e te ne lascia 1. Gli arredi e le scaffalature del negozio non sono considerati indispensabili alla persona, quindi pignorabili. I beni personali a casa tua seguono art. 514 c.p.c.: vestiti, letti, elettrodomestici essenziali, ecc., impignorabili; tv, quadri di valore, argenteria, collezioni, etc. pignorabili. In sintesi: nel negozio, l’unica area protetta riguarda gli attrezzi essenziali del mestiere (e.g., se sei anche artigiano e hai pochi utensili necessari, quelli te li lasciano). Tutto il resto – merci, mobilio, veicoli – è pignorabile. Detto ciò, spesso il pignoramento mobiliare di un negozio realizza poco (perché vendere oggetti usati rende poco), quindi molti creditori preferiscono pignorare il conto bancario o l’auto piuttosto che il contenuto del negozio.
Domanda: Ho debiti con l’INPS per contributi non pagati: rischio qualcosa sul penale?
Risposta: Se i debiti riguardano contributi dei dipendenti, sì, c’è un rischio penale in certi casi. L’art. 2 del D.L. 463/1983 punisce l’omesso versamento di ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni entro un limite: attualmente è reato (punibile con multa fino a 3 anni) se l’omesso versamento annuo supera €10.000. Sotto tale soglia, è un illecito amministrativo con sanzione pecuniaria. Quindi, se avevi dipendenti e non hai versato i contributi trattenuti dalle buste paga per oltre 10k in un anno, potresti essere perseguito penalmente, a meno che tu non regolarizzi (la norma prevede che il pagamento dei contributi dovuti – anche tardivo ma prima del giudizio – estingue il reato). Se invece i debiti INPS riguardano i tuoi contributi personali (gestione commercianti) o premi INAIL, non c’è reato: diventano debiti esattoriali, con interessi e sanzioni, ma non penali. Dunque, per difenderti, se ricadi nel primo caso, cerca di versare almeno entro il termine di legge (di solito entro il 30 giugno dell’anno successivo) per non superare l’anno di omissione, oppure se hai già superato, valuta con un legale se è il caso di rateizzare e pagare prima possibile così da evitare la querela (di solito l’INPS denuncia dopo alcuni solleciti). Nelle procedure concorsuali minori, questo debito rientra come gli altri, ma attenzione: la procedura non estingue di per sé il reato (anche se riduce/stralcia il debito contributivo, la legge penale potrebbe richiedere comunque il pagamento integrale per estinguere il reato).
Domanda: Se apro un’altra società nuova e sposto lì l’attività, posso lasciare i debiti nella vecchia società e ripulirmi?
Risposta: Questa pratica di trasferire l’azienda a una newco e “abbandonare” i debiti nella oldco è purtroppo comune ma molto rischiosa legalmente. I creditori della vecchia società possono intraprendere un’azione revocatoria per far dichiarare inefficace il trasferimento d’azienda (se fatto senza soddisfarli) e aggredire i beni nella nuova entità . Inoltre, se la vecchia società poi fallisce, quel trasferimento può costituire bancarotta fraudolenta per distrazione (reato grave) se fatto a condizioni non di mercato. Anche se non c’è fallimento, i soci/amministratori potrebbero essere citati per abuso o per violazione di obblighi (in alcune circostanze, pure senza fallimento, l’operazione potrebbe configurare illecito civile). Quindi, creare una nuova società non cancella magicamente i debiti: i creditori possono seguirli “a valle”. Un modo lecito di fare ciò sarebbe un concordato: si crea una nuova società che rileva l’azienda dal debitore insolvente pagando qualcosa, e il debitore insolvente propone ai creditori di accettare quel qualcosa in concordato (concordato con assuntore). Così la continuità passa alla newco pulita e i creditori della oldco prendono una percentuale. Questo è consentito se omologato dal tribunale, mentre farlo di nascosto no. Quindi, attenzione: non improvvisare operazioni societarie senza consulto legale, perché i rimedi per i creditori esistono e potresti trovarsi in guai peggiori.
Domanda: Se faccio la liquidazione controllata o un concordato minore, poi non potrò più fare l’imprenditore? C’è uno stigma o delle restrizioni?
Risposta: A differenza del vecchio fallimento (dove c’era l’istituto dell’interdizione del fallito fino all’esdebitazione), oggi le procedure di sovraindebitamento non comportano sanzioni personali di tipo interdittivo. Il concordato minore non ti fa perdere la capacità di agire: resti alla guida e dopo, anzi, sei considerato risanato. La liquidazione controllata prevede la nomina di un liquidatore, quindi tu perdi l’amministrazione durante la procedura; ma dopo l’esdebitazione sei libero di tornare a fare impresa, non c’è una preclusione formale. Certo, avrai probabilmente difficoltà pratiche (rating creditizio, rapporti con fornitori che ricordano il precedente default, ecc.), ma legalmente nulla ti vieta di aprire una nuova partita IVA o costituire società (a parte eventuali pendenze penali in atto, se ce ne sono, o a meno che il tribunale non ravvisi abuso). In sintesi: c’è meno stigma rispetto al passato, anzi l’ordinamento incoraggia il fresh start. Anche le informazioni in Camera di Commercio: il fallimento veniva annotato, la liquidazione controllata credo sia pubblicata nel Registro Imprese, ma una volta chiusa puoi chiedere la cancellazione delle note (bisognerà verificare).
Domanda: Le tasse e l’IVA vanno pagate sempre almeno in parte, o posso eliminarle con una procedura?
Risposta: Un tempo si diceva che IVA e ritenute non potessero essere falcidiate perché “sacre” (essendo soldi dei contribuenti/terzi). Ma la normativa europea e la Corte Costituzionale hanno cambiato lo scenario: anche l’IVA può essere ridotta o esclusa nei piani di sovraindebitamento/concordati, a patto che il trattamento proposto sia migliorativo rispetto alla liquidazione e non ci siano frodi . Ad esempio, in un concordato minore puoi proporre di pagare il 30% dell’IVA dovuta e ciò è legittimo, il giudice può omologare anche se l’Agenzia Entrate non fosse d’accordo, perché la legge lo consente oggi. Nel fallimento (liquidazione giudiziale), poi, con l’esdebitazione finale il debitore persona fisica si libera anche dei debiti IVA residui . Quindi la risposta è: sì, in procedure concorsuali puoi arrivare a non pagare interamente neanche le tasse, se la tua situazione lo giustifica e se segui l’iter previsto. Fuori dalle procedure, invece, l’unico modo per ridurre le tasse sono i provvedimenti di definizione agevolata decisi dal legislatore (rottamazioni, condoni) oppure la transazione fiscale nell’ambito di accordi (che comunque va omologata dal giudice se vuoi vincolare il Fisco). Quindi, se non entri in nessuna procedura e l’Agenzia Entrate ti insegue, dovrai pagare tutto (magari rateizzato). Se entri in una procedura, c’è margine per tagliare il carico fiscale secondo le regole concorsuali.
Domanda: I fornitori o le banche possono obbligarmi a liquidare l’azienda se sono sotto-soglia?
Risposta: Come discusso, fino al 2022 la risposta sarebbe stata “no, se sei sotto soglia non possono farti fallire né altro, al massimo ti pignorano singoli beni”. Ora invece c’è l’art. 268 CCII: se hai debiti sopra €50.000 e non li paghi, un creditore (anche fornitore/banca) può chiedere la liquidazione controllata al tribunale . In pratica, è una liquidazione concorsuale che obbliga il piccolo imprenditore a subire la vendita di tutti i suoi beni sotto il controllo di un liquidatore, esattamente come un fallimento. Quindi sì, oggi un fornitore potrebbe, di fronte a tua insolvenza conclamata su importo rilevante, presentare questa istanza. Non è ancora frequentissima nella prassi (i creditori magari preferiscono le vie ordinarie se pensano che hai pochi beni, perché la procedura concorsuale ha costi e tempi), ma la possibilità c’è. Le banche pure possono farlo, e anzi loro tendono a muoversi in modo più “strutturato”. Quindi il fatto di essere “piccolo” non garantisce più al 100% di evitare procedure concorsuali forzose. Il modo di difendersi in tale scenario, se sei in crisi ma intravedi soluzione, è magari anticipare tu: avviare tu un concordato minore o una composizione negoziata, cosicché dimostri di voler sistemare le cose e blocchi sul nascere l’idea dei creditori di farti liquidare forzosamente. Se invece non c’è rimedio, paradossalmente subire la liquidazione controllata non è neanche male per te: perché dopo ne esci senza debiti (esdebitato). Il “male” maggiore è per eventuali garanti (che restano obbligati) e per i soci illimitatamente responsabili (che si vedono aggredito il loro patrimonio personale).
Domanda: Quanto dura una procedura di sovraindebitamento? Devo informare pubblicamente i miei clienti?
Risposta: La durata varia a seconda della complessità. Un concordato minore può durare qualche mese per arrivare all’omologa (preparazione piano, voto creditori, udienza) e poi il piano magari dura alcuni anni di pagamenti. Diciamo 3-6 mesi per la fase giudiziale di omologa, poi fino a 4-5 anni di esecuzione del piano se prevede pagamenti dilazionati. Una liquidazione controllata dura solitamente di più nella fase iniziale (inventario, vendita beni): la legge fissa un massimo di 3 anni , il che è un termine indicativo entro cui chiudere, ma può essere prorogato di poco se necessario. In generale direi 1,5-3 anni è la forbice tipica per chiudere la liquidazione e ottenere l’esdebitazione. L’esdebitazione incapiente è la più breve: pochi mesi per il giudizio in tribunale e poi sei libero (con quei 4 anni di “sorveglianza” sulle sopravvenienze, ma senza formalità nel frattempo). Quanto alla pubblicità, queste procedure di regola si iscrivono in alcuni registri ufficiali (Registro Insolvenze tenuto dalle Camere di Commercio, registro online del Ministero Giustizia), e in caso di concordato o liquidazione il tribunale dispone l’avviso ai creditori e spesso un annuncio sul portale delle procedure o in Camera Commercio. Non è come un fallimento che veniva pubblicato sui quotidiani, ma qualche traccia pubblica c’è. I clienti del tuo negozio di solito non vengono informati in via specifica, a meno che non siano anche creditori. Quindi la notizia può restare abbastanza confinata agli ambienti legali. Se però devi chiudere il negozio per liquidazione, ovviamente la clientela lo scoprirà per il semplice fatto che l’attività cessa o cambia gestione. Nella composizione negoziata invece c’è riservatezza: la legge tutela la non divulgazione (salvo quando chiedi misure protettive, in quel caso c’è l’iscrizione al registro delle imprese dell’esistenza della procedura ex art. 18 CCII, il che rende la cosa conoscibile a chi fa una visura, ma non c’è pubblicità “attiva”). Quindi, in breve: non devi avvisare tu i clienti; l’impatto reputazionale c’è ma è limitato e comunque preferibile al disastro di pignoramenti a sorpresa (che magari portano i fornitori a venire in negozio con ufficiale giudiziario, peggior figura!). Gestire la crisi tramite procedure ordinate è indice di serietà, ormai non più un’onta.
Domanda: Le procedure di composizione della crisi sono costose? E se poi non riesco a pagare neanche quelle?
Risposta: Avviare una procedura come il concordato minore o la liquidazione controllata ha sicuramente dei costi professionali: bisogna pagare l’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) che di solito richiede un fondo spese, il compenso del Gestore o Liquidatore (stabilito dal tribunale secondo tariffe, spesso prelevato dall’attivo liquidato), e il proprio avvocato/consulente. Tuttavia, se sei in condizioni di indigenza, puoi chiedere il patrocinio a spese dello Stato per l’assistenza legale (in sede civile concorsuale alcuni tribunali lo ammettono nelle procedure di sovraindebitamento per la parte legale). L’OCC invece in teoria va pagato: alcuni OCC chiedono un acconto all’inizio, altri si accontentano di essere pagati a fine procedura con le somme ricavate (specialmente nelle liquidazioni). In ogni caso, i costi di procedura hanno priorità di pagamento sui crediti: ciò significa che, ad esempio, se in liquidazione si ricava 10.000 €, prima si pagano le spese (poniamo 2.000 € di liquidatore, 1.000 € OCC) e il resto va ai creditori. Se non c’è nulla, il liquidatore e OCC prendono poco o niente (è il rischio). Nella composizione negoziata, l’esperto nominato ha diritto a un compenso determinato alla fine; inizialmente non devi pagarlo, ma se la tua impresa riesce, dovrai corrispondergli quanto stabilito (lo Stato ha creato un fondo per l’esperto nelle piccole imprese, almeno per parziale copertura). Quindi, sì un minimo di spese iniziali devi metterlo in conto (per consulenze e bolli), ma è accessibile: queste procedure nascono per aiutare chi è in difficoltà, quindi i costi sono contenuti e spesso parametrati al risultato. Ad esempio, l’OCC prende un compenso commisurato percentualmente ai debiti e a quanto verrà effettivamente soddisfatto. In molti casi, i professionisti accettano di essere pagati all’esito, perché sanno che se la procedura va a buon fine ci sarà capienza (specie nel concordato con percentuale, le spese di procedura sono calcolate dentro il piano).
Conclusioni
Dal punto di vista del debitore, affrontare una situazione di sovraindebitamento richiede innanzitutto consapevolezza dei propri diritti e strumenti. Un titolare di negozio di articoli da regalo oppresso dai debiti non è privo di speranza: l’ordinamento italiano, specialmente con le riforme recenti (Codice della Crisi 2019-2022), mette a disposizione vie d’uscita rispettose sia delle esigenze dei creditori sia della dignità e seconda chance del debitore onesto.
Abbiamo visto come difendersi dalle iniziative dei creditori individuali (opposizioni, limiti di pignoramento, trattative) e come prendere in mano la situazione tramite procedure concorsuali minori, potendo persino giungere all’esdebitazione completa. Il punto chiave è agire per tempo e con trasparenza: attendere passivamente l’escalation di decreti ingiuntivi, pignoramenti e interessi di mora può solo peggiorare la posizione. Meglio valutare con l’aiuto di un professionista un piano di ristrutturazione o, se non sostenibile, una liquidazione concordata, così da chiudere con il passato e ripartire.
Dal 2024 sono operative anche le misure di allerta precoce: l’Agenzia Entrate, l’INPS e gli altri creditori pubblici hanno l’obbligo di segnalare all’impresa accumuli significativi di debiti (es. mancati versamenti IVA oltre certe soglie) . Ricevere tali segnalazioni deve spingere l’imprenditore a non procrastinare: ignorarle potrebbe portare a iniziative d’ufficio. Al contrario, attivarsi (ad esempio richiedendo la composizione negoziata subito dopo una segnalazione) non solo può prevenire il dissesto, ma può dimostrare la buona fede del debitore, mettendolo al riparo anche da eventuali accuse di mala gestione.
In conclusione, anche un piccolo negozio con grandi debiti ha degli strumenti per “difendersi”: difendersi non significa sfuggire alle proprie responsabilità, ma piuttosto gestire legalmente il peso dei debiti in modo sostenibile, evitando abusi da parte dei creditori e sfruttando le opportunità di legge per ridurre l’esposizione. Con un approccio informato e proattivo, il debitore può passare da una posizione di paura e ricattabilità a una posizione di controllo della crisi, arrivando – nelle situazioni più critiche – a sacrificare il necessario ma ottenendo in cambio la liberazione dai debiti e la possibilità di ricominciare.
Come recita la filosofia della recente riforma: l’insolvenza non è vista più (soltanto) come colpa da sanzionare, ma come evento fisiologico che può capitare e che va gestito nell’interesse di tutti, offrendo una seconda opportunità a chi ha agito onestamente . Il titolare di un negozio indebitato, dunque, non deve vergognarsi di chiedere aiuto al sistema legale: le soluzioni ci sono e molte volte permettono di salvare anche l’attività stessa, oppure di chiudere dignitosamente evitando di trascinare problemi per anni.
Gestisci un negozio di articoli da regalo, un emporio o un punto vendita di oggettistica, e ti ritrovi con debiti verso banche, fornitori o Agenzia delle Entrate? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Gestisci un negozio di articoli da regalo, un emporio o un punto vendita di oggettistica, e ti ritrovi con debiti verso banche, fornitori o Agenzia delle Entrate?
Hai cartelle esattoriali, affitti arretrati, mutui o leasing non pagati, contributi INPS scaduti e temi pignoramenti, blocchi bancari o la chiusura del negozio?
👉 Non farti sopraffare: anche le piccole attività commerciali come la tua possono difendersi legalmente, bloccare i creditori, ridurre o cancellare i debiti, e ripartire in modo regolare e protetto, senza fallire.
In questa guida scoprirai perché molti negozi di articoli da regalo finiscono in difficoltà, quali soluzioni legali puoi adottare, e come salvare o chiudere la tua attività senza rischiare tutto ciò che hai costruito.
🎁 Perché i negozi di articoli da regalo si indebitano
Il settore dell’oggettistica e dei regali è stato fortemente colpito negli ultimi anni. Le principali cause di crisi economica sono:
- Aumento dei costi di affitto, energia e forniture;
- Concorrenza dei marketplace online e dei grandi magazzini;
- Margini di guadagno ridotti e calo degli acquisti “impulsivi”;
- Stagionalità delle vendite (Natale, feste, ricorrenze);
- Tassazione e contributi elevati rispetto ai ricavi effettivi;
- Errori fiscali o contabili che generano cartelle e sanzioni.
📌 Questi fattori portano rapidamente a debiti fiscali, bancari e commerciali, mettendo in pericolo la stabilità del negozio e la serenità personale del titolare.
🧾 Tipologie di debiti più comuni nei negozi di articoli da regalo
✅ Debiti fiscali e contributivi
- IVA, IRPEF, INPS, INAIL, TARI, cartelle esattoriali e accertamenti fiscali.
✅ Debiti bancari e finanziari
- Mutui e leasing per arredi, scaffalature, vetrine, registratori di cassa e sistemi POS.
- Scoperti di conto e prestiti commerciali.
✅ Debiti commerciali
- Fatture non pagate a fornitori di articoli da regalo, gadget, carta da imballo o forniture natalizie.
✅ Debiti verso dipendenti e collaboratori
- Stipendi arretrati, TFR e contributi non versati.
✅ Debiti personali o fideiussioni
- Garanzie firmate dal titolare o dai soci per mutui e finanziamenti aziendali.
⚠️ Cosa rischia un negozio indebitato
Se la situazione non viene gestita in tempo, i creditori possono:
- pignorare conti correnti, merce e incassi;
- revocare fidi e finanziamenti, bloccando la fornitura di nuovi articoli;
- emettere cartelle, decreti ingiuntivi o ipoteche;
- bloccare i rapporti con i fornitori principali;
- costringerti alla chiusura forzata dell’attività.
👉 Tuttavia, la legge oggi ti consente di bloccare immediatamente i creditori, ristrutturare i debiti, e continuare a lavorare o chiudere legalmente, senza fallire.
🧩 Le soluzioni legali per negozi di articoli da regalo con debiti
💠 1. Rinegoziazione dei debiti con banche e fornitori
Con l’aiuto di un avvocato puoi ottenere:
- riduzioni delle somme dovute (saldo e stralcio);
- rateizzazioni più lunghe e sostenibili;
- sospensioni temporanee dei pagamenti.
👉 È la soluzione ideale per chi vuole continuare a lavorare e mantenere rapporti con i fornitori.
💠 2. Procedura di sovraindebitamento (D.Lgs. 14/2019 – Codice della Crisi d’Impresa)
È la procedura pensata per microimprese e ditte individuali.
Consente di:
- bloccare pignoramenti, cartelle e azioni esecutive;
- presentare un piano di rientro parziale e sostenibile;
- ottenere la cancellazione totale dei debiti residui (esdebitazione).
📌 È perfetta per negozi di piccole dimensioni o a conduzione familiare.
💠 3. Concordato minore (per SRL o società commerciali)
È la procedura omologata dal Tribunale che permette di:
- bloccare tutte le azioni dei creditori;
- ridurre legalmente i debiti fiscali, bancari e commerciali;
- preservare la continuità del negozio e i rapporti commerciali.
📌 È adatta a negozi strutturati, con dipendenti o più punti vendita.
💠 4. Liquidazione controllata dei beni (ex fallimento personale)
Se la tua attività non è più sostenibile, puoi chiudere in modo ordinato e protetto, mettendo a disposizione solo i beni non essenziali (scorte, arredi, attrezzature).
Alla fine della procedura, il Tribunale cancella tutti i debiti residui, permettendoti di ricominciare senza pendenze fiscali o bancarie.
💠 5. Verifica e contestazione delle cartelle esattoriali
Molti debiti fiscali contengono errori di calcolo o importi prescritti.
Un avvocato può:
- controllare la prescrizione (5 o 10 anni);
- eccepire vizi di notifica o importi duplicati;
- chiedere la sospensione o l’annullamento del debito.
🎀 Cosa fare subito
✅ 1. Raccogli tutta la documentazione
Prepara bilanci, cartelle, contratti, mutui, leasing, fatture e rapporti con i fornitori.
✅ 2. Blocca i creditori con una procedura legale
Con il deposito di una procedura di sovraindebitamento o concordato, tutti i creditori vengono sospesi per legge.
✅ 3. Evita nuovi debiti o prestiti “ponte”
Serve una strategia legale completa, studiata da un avvocato esperto in diritto commerciale e crisi d’impresa.
📋 Documenti utili per la difesa
- Documento d’identità e codice fiscale del titolare o amministratore.
- Visura camerale e bilanci aziendali.
- Dichiarazioni fiscali e posizione INPS/INAIL.
- Contratti di leasing, mutui e finanziamenti.
- Cartelle esattoriali e accertamenti fiscali.
- Elenco fornitori, clienti e dipendenti.
- Estratti conto bancari e documentazione contabile.
⏱️ Tempi e risultati possibili
- Analisi e pianificazione legale: 1–3 settimane.
- Deposito della procedura: 1–2 mesi.
- Blocco dei creditori: immediato con il deposito.
- Durata del piano di rientro: da 1 a 5 anni.
🎯 Risultati concreti:
- Stop a pignoramenti, cartelle e decreti.
- Riduzione o cancellazione legale dei debiti.
- Tutela del punto vendita e della licenza commerciale.
- Ripartenza economica e professionale serena.
⚖️ I vantaggi principali
✅ Blocco immediato delle azioni dei creditori.
✅ Riduzione dei debiti fino all’80%.
✅ Tutela del negozio e del magazzino.
✅ Continuità operativa o chiusura legale senza fallimento.
✅ Ripartenza economica pulita e sostenibile.
🚫 Errori da evitare
- Ignorare cartelle o notifiche dell’Agenzia delle Entrate.
- Accumulare nuovi debiti per coprire i vecchi.
- Vendere beni o scorte senza tutela legale.
- Pagare solo alcuni creditori peggiorando la situazione.
- Rimandare troppo: agire presto è essenziale per salvare il negozio.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza la tua situazione economica e debitoria nel dettaglio.
📌 Ti consiglia la procedura più adatta: rinegoziazione, sovraindebitamento, concordato o liquidazione controllata.
✍️ Redige e deposita il piano in Tribunale per bloccare immediatamente i creditori.
⚖️ Ti rappresenta nei rapporti con Agenzia delle Entrate, banche, leasing e fornitori.
🔁 Ti accompagna fino alla cancellazione definitiva dei debiti o alla ristrutturazione completa della tua attività commerciale.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in diritto commerciale, tributario e crisi d’impresa.
✔️ Specializzato nella difesa di negozi, empori e attività retail con debiti fiscali e bancari.
✔️ Gestore della crisi da sovraindebitamento iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Essere un negozio di articoli da regalo con debiti non significa essere destinati a chiudere.
Con una difesa legale tempestiva e personalizzata, puoi bloccare i creditori, ridurre drasticamente i debiti fiscali e finanziari, e continuare a lavorare serenamente, oppure chiudere in modo ordinato e protetto.
La legge oggi tutela chi agisce con trasparenza e vuole davvero ricominciare.
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