Gestisci un’impresa di intonacatura, pittura o decorazioni edili e ti trovi in difficoltà economica a causa di debiti con il Fisco, l’INPS, i fornitori o le banche? È una situazione molto comune nel settore dell’edilizia e delle rifiniture, dove la crisi del mercato, i costi crescenti dei materiali e i ritardi nei pagamenti stanno mettendo in difficoltà moltissimi artigiani. Quando si accumulano cartelle esattoriali, finanziamenti non pagati o contributi arretrati, il rischio di pignoramenti o blocchi operativi è reale. La buona notizia è che la legge offre strumenti legali concreti per rateizzare, ridurre o cancellare i debiti, salvando la tua impresa e il tuo patrimonio personale.
Perché molte imprese di intonacatura e pittura si indebitano
Le imprese che operano nel settore delle finiture e delle decorazioni devono sostenere spese costanti e pesanti: materiali, ponteggi, carburante, stipendi, assicurazioni, contributi e tasse. A questo si aggiungono i ritardi nei pagamenti da parte di clienti, imprese appaltatrici o condomìni, che spesso si protraggono per mesi. Anche l’aumento del costo delle vernici, degli intonaci e degli strumenti di lavoro ha ridotto i margini di guadagno. Molti artigiani, per far fronte a queste difficoltà, posticipano i versamenti fiscali o contributivi, accumulando sanzioni e interessi che nel tempo fanno crescere il debito in modo incontrollato.
Cosa succede se non paghi tasse o contributi
Quando imposte e contributi non vengono versati, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione e gli enti previdenziali possono avviare azioni di recupero immediate. Tra queste ci sono la notifica di cartelle esattoriali, i pignoramenti dei conti correnti, i fermi amministrativi sui veicoli aziendali, le ipoteche sugli immobili e i sequestri dei crediti verso clienti o appaltatori. Gli importi aumentano a causa di sanzioni e interessi, rendendo sempre più difficile la gestione dell’attività. Se lavori come ditta individuale o società di persone, rispondi personalmente dei debiti, con il rischio di compromettere anche i beni familiari.
Cosa fare subito se la tua impresa ha debiti
Il primo passo è avere un quadro completo della situazione debitoria. Richiedi all’Agenzia delle Entrate-Riscossione l’estratto di ruolo aggiornato per sapere quanto devi e verso quali enti. Successivamente, verifica la legittimità delle cartelle: molti atti contengono errori di notifica, importi prescritti o somme non dovute che un avvocato può impugnare. Se i debiti sono corretti, puoi chiedere la rateizzazione fino a 120 rate mensili, sospendendo temporaneamente le azioni esecutive. È anche utile verificare se è attiva una definizione agevolata (rottamazione), che consente di pagare solo il capitale, eliminando sanzioni e interessi. Se hai già ricevuto pignoramenti o ipoteche, puoi ottenere la sospensione immediata delle procedure presentando un ricorso o un’istanza di autotutela.
Le soluzioni legali per chi non riesce più a pagare
Quando la situazione è troppo pesante e non riesci più a sostenere le spese, puoi accedere alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, prevista dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019). È una procedura legale pensata per piccole imprese, artigiani e lavoratori autonomi che consente di bloccare pignoramenti, sospendere le azioni dei creditori e ottenere la cancellazione parziale o totale dei debiti residui (esdebitazione). È uno strumento riconosciuto dai tribunali italiani, utile per salvare la tua impresa o chiuderla in modo ordinato, senza lasciare pendenze fiscali o bancarie.
Come difendersi da banche, finanziarie e fornitori
Molte imprese di pittura e intonacatura hanno anche debiti con banche o fornitori per materiali, ponteggi, macchinari o veicoli. In questi casi puoi chiedere la rinegoziazione dei contratti, la sospensione temporanea delle rate o proporre un saldo e stralcio per chiudere la posizione a un importo ridotto. È possibile inoltre contestare clausole abusive o tassi usurari nei contratti di finanziamento e impugnare decreti ingiuntivi o pignoramenti entro i termini di legge. Un avvocato esperto può assisterti nelle trattative con i creditori, difendendo i beni aziendali e garantendo la continuità nei cantieri.
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
Con una strategia legale tempestiva puoi ottenere la sospensione dei pignoramenti e delle riscossioni, la rateizzazione o cancellazione dei debiti, la protezione dei beni aziendali e personali e la possibilità di continuare a lavorare senza la pressione dei creditori. In molti casi è possibile ristrutturare la situazione finanziaria, mantenere i contratti in corso e salvaguardare la reputazione professionale dell’impresa.
Quando rivolgersi a un avvocato esperto
Devi rivolgerti a un avvocato se hai ricevuto cartelle o intimazioni di pagamento, se i debiti fiscali o bancari sono diventati insostenibili o se rischi il blocco dei conti o la perdita dei mezzi di lavoro. Un avvocato esperto in diritto tributario e crisi d’impresa può bloccare la riscossione, contestare gli atti illegittimi e guidarti nella procedura di esdebitazione fino alla cancellazione definitiva dei debiti. Agire in tempo è fondamentale per salvare la tua attività e difendere il tuo patrimonio personale.
⚠️ Attenzione: ignorare cartelle o avvisi di pagamento può portare rapidamente a pignoramenti, blocchi dei conti e fermo dei veicoli aziendali. Intervenire subito è l’unico modo per salvare la tua impresa e garantire la continuità dei lavori.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, riscossione e tutela delle imprese artigiane ed edili – spiega cosa fare se gestisci un’impresa di intonacatura e pittura con debiti, come bloccare la riscossione e come cancellare legalmente le somme dovute grazie agli strumenti previsti dalla legge.
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Introduzione
In Italia molte piccole attività commerciali, tra cui le erboristerie, si trovano a fronteggiare difficoltà economiche e indebitamento. I dati mostrano che a fine 2023 risultavano registrate 3.668 erboristerie, con un saldo negativo di 130 unità rispetto all’anno precedente (-3%) . L’inflazione, la contrazione dei consumi e la concorrenza della grande distribuzione e del commercio online hanno messo a dura prova questi esercizi di vicinato . Di fronte all’aumento dei costi e al calo dei ricavi, non è raro che l’imprenditore erborista accumuli debiti verso fornitori, banche, Fisco ed enti previdenziali.
Questa guida, aggiornata a settembre 2025, offre un quadro approfondito e avanzato su come un’erboristeria indebitata possa difendersi e gestire la crisi debitoria, dal punto di vista giuridico italiano. Adottando un linguaggio tecnico ma divulgativo, la guida si rivolge sia a professionisti legali (avvocati, consulenti) sia a debitori (titolari di erboristerie, privati o piccoli imprenditori) desiderosi di comprendere le proprie opzioni.
Tratteremo in dettaglio:
- Le tipologie di debiti tipiche di un’erboristeria (fiscali, bancari, verso fornitori, INPS, ecc.) e le conseguenze del mancato pagamento.
- Le strategie extragiudiziali (negoziazioni, piani di rientro, dilazioni) per gestire i debiti e prevenire azioni esecutive.
- Gli strumenti legali di composizione della crisi previsti dall’ordinamento italiano (procedure di sovraindebitamento e concorsuali) aggiornati al Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza in vigore dal 2022, con riferimenti a normative e sentenze recenti.
- La responsabilità patrimoniale dell’imprenditore erborista, distinguendo tra ditta individuale e società, e l’eventuale impatto sui beni personali (es. la casa di abitazione).
- La valutazione se continuare l’attività malgrado i debiti (magari attraverso un piano di risanamento) oppure cessarla, analizzando le implicazioni di ciascuna scelta.
- Tabelle riepilogative che confrontano le diverse procedure e riassumono i punti chiave.
- Una sezione Domande & Risposte (FAQ) con i quesiti più frequenti che un imprenditore indebitato può porsi (dai pignoramenti alla “esdebitazione”).
- Simulazioni pratiche, con esempi di casi reali (rigorosamente di scenario italiano) per illustrare come applicare le soluzioni discusse.
L’obiettivo è fornire una guida completa (oltre 10.000 parole), che permetta all’imprenditore debitore di un’erboristeria di conoscere i propri diritti e le opzioni difensive, evitando errori e cogliendo le opportunità offerte dalla legge per risollevarsi dai debiti. Tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate nel testo sono raccolte in fondo, nella sezione Fonti e Riferimenti, per consentire ulteriori approfondimenti e verifiche.
Le diverse tipologie di debiti di un’erboristeria
Una erboristeria può contrarre debiti di natura diversa nell’esercizio della propria attività. Comprendere la tipologia di ciascun debito è fondamentale per valutare i rischi e le possibili soluzioni. Di seguito esaminiamo le principali categorie di indebitamento che tipicamente gravano su un negozio di erboristeria:
Debiti fiscali e tributari (Erario e tributi locali)
Questi includono imposte dovute allo Stato o agli enti locali. Ad esempio, l’erboristeria potrebbe avere debiti per IVA non versata sulle vendite, per IRPEF/IRES sui redditi d’impresa non pagati, per IRAP o altri tributi. Rientrano in questa categoria anche tasse locali come la TARI (tassa rifiuti) o l’IMU sugli immobili commerciali. Tali debiti sono particolarmente insidiosi perché l’Erario dispone di un potente apparato di riscossione esattoriale attraverso l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia). I debiti fiscali possono inoltre generare sanzioni e interessi di mora, facendo lievitare l’importo dovuto nel tempo. Da ricordare che alcuni inadempimenti fiscali possono costituire reato tributario – ad esempio, l’omesso versamento di IVA sopra una certa soglia rileva penalmente (attualmente oltre 250.000 €, ex art. 10-ter D.Lgs. 74/2000). Ugualmente, l’omesso versamento di ritenute certificate oltre soglie di legge è penalmente sanzionato (art. 10-bis D.Lgs. 74/2000). Tali aspetti penali, sebbene qui accennati solo in sintesi, vanno tenuti presenti in caso di gravi esposizioni fiscali.
Debiti contributivi e previdenziali (INPS e INAIL)
Un’erboristeria con dipendenti o con titolare iscritto a gestioni previdenziali può accumulare debiti verso l’INPS o altri enti previdenziali. Si pensi ai contributi pensionistici dovuti per i dipendenti o per il titolare (gestione commercianti/artigiani), oppure ai premi assicurativi dovuti all’INAIL. Il mancato versamento di questi oneri comporta, oltre a interessi e sanzioni civili, anche il rischio di azioni esecutive analoghe a quelle fiscali (poiché i crediti INPS/INAIL vengono anch’essi iscritti a ruolo e affidati all’Agente della Riscossione). In certi casi, l’omesso versamento di contributi trattenuti ai dipendenti (ad esempio le quote a carico del lavoratore) può integrare violazioni sanzionate penalmente se supera determinate soglie e non viene regolarizzato entro termini di legge. Pertanto, i debiti contributivi vanno affrontati tempestivamente, ad esempio ricorrendo a piani di rateazione disponibili presso gli enti (spesso in 24-36 rate, estendibili fino a 72 nei casi previsti).
Debiti bancari e finanziari
Molte erboristerie ricorrono a finanziamenti per l’avvio o la gestione dell’attività: ad esempio mutui bancari per acquistare o ristrutturare il locale, affidamenti di conto corrente per liquidità (fidi), prestiti o leasing per attrezzature e arredi. Il mancato pagamento delle rate di mutuo o delle rate leasing genera inadempimento e può portare la banca a revocare gli affidamenti e pretendere il rientro immediato di tutto il capitale residuo. Spesso tali debiti sono garantiti da garanzie reali (es. ipoteca sull’immobile commerciale o su beni personali del titolare) oppure da fideiussioni personali dell’imprenditore o di terzi. In caso di insolvenza, la banca può escutere le garanzie: ad esempio, avviare un’esecuzione ipotecaria sull’immobile dato in garanzia (vendendolo all’asta) o agire contro il fideiussore nei limiti del garantito. I debiti bancari non garantiti (chirografari) seguono l’iter ordinario del recupero crediti (decreto ingiuntivo e pignoramento dei beni del debitore). È importante distinguere la natura di questi debiti perché quelli ipotecari o garantiti godono di un privilegio sui beni dati in garanzia: ciò significa che, sia in sede esecutiva sia in eventuali procedure concorsuali, la banca avrà diritto di prelazione sul ricavato di quei beni.
Debiti verso fornitori e altri creditori commerciali
Questa categoria comprende i debiti contratti nell’attività quotidiana: pagamenti dovuti ai fornitori di prodotti erboristici, ai grossisti, ai fornitori di servizi (utenze, affitti, consulenti, ecc.). Se l’erboristeria è in difficoltà di liquidità, può ritardare o sospendere i pagamenti ai fornitori, accumulando insoluti. I fornitori sono creditori chirografari (senza garanzia specifica) ma possono agire rapidamente sul piano giudiziale: spesso ricorrono al decreto ingiuntivo per ottenere un titolo esecutivo e passare al pignoramento di conti correnti, merci in negozio o altri beni pignorabili. Anche i locatori del locale commerciale rientrano tra questi creditori: il mancato pagamento dei canoni d’affitto può portare oltre allo sfratto anche a un decreto ingiuntivo per i canoni scaduti. Generalmente i fornitori sono interessati a mantenere il rapporto commerciale, quindi talvolta sono disponibili a concordare piani di rientro dilazionati (magari con riconoscimento del debito da parte del cliente); tuttavia, se la situazione degenera, possono essere tra i primi a depositare istanze di fallimento (liquidazione giudiziale) per tutelarsi – qualora il debitore sia soggetto fallibile. È quindi essenziale gestire attivamente i rapporti con i fornitori, comunicando le difficoltà e cercando soluzioni bonarie prima che intraprendano vie legali.
Debiti verso il personale dipendente
Se l’erboristeria ha dipendenti, può incorrere in debiti per retribuzioni non corrisposte, TFR (Trattamento di Fine Rapporto) non accantonato, o altre competenze di lavoro. I dipendenti godono per legge di un privilegio generale sui beni del datore di lavoro per le ultime mensilità di stipendio non pagate e per il TFR maturato, il che significa che in caso di pignoramento o procedura concorsuale i loro crediti sono soddisfatti con precedenza sui chirografari. Inoltre, esiste un Fondo di Garanzia INPS che, in caso di insolvenza conclamata del datore di lavoro (ad esempio fallimento o altro procedimento concorsuale), può intervenire a pagare ai dipendenti il TFR e le ultime retribuzioni dovute, surrogandosi poi nei loro diritti di credito. Il mancato pagamento strutturale degli stipendi può portare anche a vertenze di lavoro: il dipendente può dimettersi per giusta causa e chiedere al giudice le somme dovute, oppure può segnalare la situazione all’Ispettorato del Lavoro. Per l’imprenditore è dunque cruciale evitare di accumulare debiti verso il personale o, se ciò avviene, considerare che tali debiti avranno priorità legale e saranno comunque da soddisfare (se possibile, anche prima di altri creditori meno tutelati).
Garanzie personali e altri debiti indiretti
Un aspetto spesso sottovalutato è che l’imprenditore può trovarsi esposto anche come garante per debiti altrui o della società stessa. Ad esempio, se l’erboristeria è gestita tramite una società di capitali (es. S.r.l.) e il titolare ha firmato una fideiussione personale verso la banca o verso un fornitore strategico, in caso di insolvenza della società il garante risponde con il proprio patrimonio personale. Questi debiti “indiretti” possono dunque mettere a rischio i beni privati dell’imprenditore anche se formalmente il debitore principale è la società. Nel contesto di questa guida, adottiamo la prospettiva del debitore-imprenditore: pertanto considereremo anche le tutele attivabili da chi, a titolo personale, sia chiamato a pagare debiti derivanti dall’attività (come il garante escusso dalla banca, o il socio illimitatamente responsabile di una società di persone). Rientrano tra i debiti indiretti anche eventuali sanzioni amministrative (multe) a carico dell’impresa o del titolare, che se non pagate seguono anch’esse la via esattoriale.
In sintesi, un’erboristeria indebitata può avere una situazione debitoria molto complessa, con creditori di varia natura: dall’Erario (che ha poteri pubblicistici di riscossione), ai creditori privilegiati (banche con ipoteca, dipendenti), fino ai creditori chirografari (fornitori, finanziarie senza garanzie). Ciascuna categoria di debito presenta rischi e margini di manovra diversi, come vedremo nelle sezioni successive dedicando attenzione sia alle azioni che i creditori possono intraprendere, sia alle soluzioni che il debitore può mettere in campo.
Conseguenze del mancato pagamento dei debiti
Il mancato pagamento sistematico dei debiti comporta per l’imprenditore una serie di conseguenze giuridiche e patrimoniali. Queste conseguenze variano a seconda della natura del debito e del creditore coinvolto. Vediamo gli scenari tipici di recupero crediti e azioni esecutive che un’erboristeria debitrice può trovarsi ad affrontare, distinguendo tra creditori privati (banche, fornitori, ecc.) e pubblici (Erario, enti previdenziali).
Azioni legali dei creditori privati (banche, fornitori, ecc.)
Un creditore privato insoddisfatto (ad es. una banca, un fornitore o un locatore) in genere intraprende dapprima un tentativo di recupero stragiudiziale (solleciti di pagamento, diffide tramite legale) e, se non sortisce effetto, procede con strumenti giudiziari. Il percorso tipico è il decreto ingiuntivo: si tratta di un provvedimento del giudice ottenibile in tempi rapidi e senza udienza, che intima al debitore di pagare entro 40 giorni. Trascorso tale termine senza opposizione né pagamento, il decreto diventa esecutivo. A questo punto il creditore può avviare un’esecuzione forzata, notificando un atto di precetto (ultimatum di pagamento entro 10 giorni) seguito dal pignoramento dei beni del debitore. I beni aggredibili includono: – Conti correnti e depositi bancari: il pignoramento presso terzi consente di bloccare le somme disponibili sul conto dell’erboristeria (o del titolare) fino a concorrenza del credito dovuto. – Beni mobili presenti nell’esercizio: l’ufficiale giudiziario può pignorare merci, attrezzature, arredi del negozio, che poi verranno venduti all’asta. (Nella pratica, il valore di realizzo di beni usati è basso, ma il pignoramento mobiliare può paralizzare l’attività). – Crediti verso terzi: ad es. crediti che l’erboristeria vanta verso i propri clienti o rimborsi dovuti da fornitori, possono essere pignorati presso il debitore di tali crediti. – Immobili di proprietà: se l’imprenditore (o la società) proprietaria del locale commerciale o di altri immobili, il creditore può iscrivere ipoteca giudiziale e procedere al pignoramento immobiliare, con vendita forzata dell’immobile. Per i creditori privati non esiste un limite minimo di importo per avviare un’esecuzione immobiliare sulla prima casa del debitore; in teoria anche per debiti modesti la legge lo consentirebbe, sebbene per ragioni di costi e convenienza ciò accada solo per importi rilevanti. – Quote societarie o altri beni del debitore: in caso di ditta individuale coincide col patrimonio personale; se c’è una società, i creditori personali dell’imprenditore possono aggredire la sua quota sociale nei limiti di legge.
Una volta pignorati i beni, il processo esecutivo prosegue con la liquidazione forzata (vendita all’asta o assegnazione al creditore) e la distribuzione del ricavato tra i creditori. Il debitore subisce quindi la perdita coattiva dei propri beni, oltre a dover sopportare costi di procedura e compensi di avvocati.
È importante notare che l’avvio di procedure esecutive da parte di più creditori può avere effetti disastrosi: ad esempio, pignoramenti simultanei del conto e delle merci possono di fatto bloccare l’attività, mentre il pignoramento immobiliare sulla sede o magazzino può portare alla vendita del locale e sfratto. Ciò spesso innesca un circolo vizioso, aggravando l’insolvenza.
Riscossione esattoriale (Agenzia Entrate-Riscossione)
Per i debiti verso l’Erario e gli enti pubblici (tributi, contributi INPS, multe, ecc.) la procedura segue il canale della riscossione esattoriale. Dopo la formazione del titolo (ad es. un avviso di accertamento divenuto definitivo, o un’omissione contributiva iscritta a ruolo), viene emessa la cartella esattoriale o un avviso di addebito (per INPS) a carico dell’erboristeria o del titolare. Se il debitore non paga né impugna nei termini, la cartella diventa definitiva e l’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione, ex Equitalia) può procedere con strumenti ingiuntivi ed esecutivi speciali, senza bisogno di passare per il giudice. Tra questi strumenti vi sono: – Il fermo amministrativo dei beni mobili registrati: tipicamente l’iscrizione del fermo sull’automobile o automezzo del debitore. Con il fermo il veicolo non può circolare legalmente né essere venduto, costituendo una forte pressione per indurre al pagamento. – L’ipoteca sugli immobili di proprietà del debitore: l’Agente della Riscossione può iscrivere ipoteca a garanzia del credito erariale per importi superiori a €20.000. L’ipoteca è preordinata all’espropriazione: costituisce un vincolo sull’immobile e, trascorsi almeno 6 mesi senza pagamento, consente di procedere al pignoramento. – Il pignoramento esattoriale vero e proprio: può colpire conti correnti, crediti verso terzi (es. pignoramento presso banca o cliente debitore), beni mobili o immobili. Il pignoramento presso terzi avviene spesso in forma semplificata (basta una comunicazione via PEC alla banca). Per i beni immobili, la legge impone alcune condizioni e limiti particolari a tutela del debitore. In particolare, l’art. 76 del DPR 602/1973 (come modificato dal D.L. 69/2013) vieta all’Agente della Riscossione di pignorare la prima casa del debitore se ricorrono tutte le seguenti condizioni: (1) è l’unico immobile di proprietà del debitore, (2) vi risiede anagraficamente ed è adibito ad abitazione principale, (3) non è un immobile di lusso (non accatastato in categorie A/8 o A/9). In pratica, se l’erborista possiede solo la casa in cui vive, e questa non è di lusso, l’Agente della Riscossione non può espropriarla per tributi non pagati – nemmeno se il debito fiscale è molto elevato. Può però iscrivere ipoteca (se il debito supera €20.000) e rimanere in attesa. Se invece il debitore possiede altri immobili (es. un secondo immobile, anche quota di un terreno o garage) oppure non risiede nella casa di sua proprietà, allora la protezione viene meno: in tal caso l’Agente potrà pignorare l’immobile, ma solo se il debito complessivo supera €120.000 . Inoltre deve aver iscritto ipoteca da almeno 6 mesi e offerto la possibilità di rateizzare. Al di fuori di queste specifiche tutele (che valgono solo per il Fisco e non per i creditori privati), l’Agenzia della Riscossione può procedere come un creditore qualunque, con la differenza che opera in via amministrativa: ad esempio, il pignoramento avviene con un atto proprio notificato e poi solo comunicato al giudice per la vendita.
Le conseguenze della riscossione esattoriale sono analoghe a quelle delle esecuzioni civili: blocco dei beni (auto col fermo, casa ipotecata o pignorata, conti congelati) e successiva espropriazione. Va evidenziato che l’Agente della Riscossione ha qualche potere ulteriore, ad esempio può compensare d’ufficio somme a credito (rimborsi fiscali) con somme a debito iscritte a ruolo, oppure inviare intimazioni di pagamento che preludono alle azioni forzate se dopo 5 giorni dalla notifica non si regolarizza. Esistono però strumenti difensivi specifici: dalla richiesta di rateizzazione della cartella (possibile generalmente per importi fino a 120.000 € senza dover dare prova di difficoltà, e per importi maggiori con determinate attestazioni), fino alle procedure di definizione agevolata se previste dalla legge (le cosiddette rottamazioni delle cartelle, periodicamente introdotte, che consentono di pagare il debito senza sanzioni e interessi di mora). Ad esempio, nel 2023 è stata aperta la rottamazione-quater per i debiti affidati all’Agente Riscossione dal 2000 al 30 giugno 2022, con possibilità di pagamento in 18 rate fino al 2027: strumenti di questo tipo possono ridurre sensibilmente l’importo dovuto e sono da valutare attentamente quando disponibili. Anche il saldo e stralcio (cancellazione automatica) di micro-debiti pregressi – come quello attuato a inizio 2023 per debiti sotto €1.000 affidati entro il 2015 – può alleggerire la posizione fiscale di un piccolo imprenditore, se rientra nei requisiti.
Interessi di mora, sanzioni e protesti
Oltre alle azioni legali, il mancato pagamento comporta l’accumulo di oneri accessori: – Interessi moratori: previsti contrattualmente (per debiti bancari) o per legge (interessi legali o commerciali per ritardi di pagamento ai fornitori, interessi da ritardata iscrizione a ruolo per i tributi, ecc.). Col passare dei mesi, gli interessi possono aumentare di molto il totale dovuto. – Sanzioni: tipiche in ambito fiscale e contributivo. Ad esempio, per omessi versamenti IVA o ritardi nel pagamento di imposte e contributi scattano sanzioni amministrative (in percentuale sull’importo). Queste sanzioni, pur essendo spesso “rottamabili” o riducibili in caso di pagamento spontaneo (ravvedimento operoso), in situazione di prolungata insolvenza finiscono per capitalizzarsi. – Spese legali e di procedura: ogni atto giudiziario (decreti ingiuntivi, atti di precetto, pignoramenti) comporta spese vive e compensi di avvocati che vengono addebitati al debitore soccombente. In un’esecuzione immobiliare, ad esempio, le spese (CTU, custode, commissioni) possono erodere una parte significativa del ricavato. – Protesti e segnalazioni: il mancato pagamento di effetti cambiari, assegni o cambiali emesse a favore di creditori può portare al protesto, con iscrizione del nominativo del debitore nel Registro Informatico dei Protesti, danneggiandone la reputazione creditizia. Analogamente, gli insoluti bancari e finanziari vengono segnalati nelle banche dati (es. CRIF per i ritardi su prestiti personali, Centrale Rischi di Banca d’Italia per sconfinamenti e sofferenze bancarie). Tali segnalazioni rendono più difficile ottenere nuovo credito e possono pregiudicare rapporti con fornitori (che controllano l’affidabilità commerciale).
Rischio di procedure concorsuali (fallimento o liquidazione giudiziale)
Se l’erboristeria è esercitata in forma di impresa individuale o società di persone di piccole dimensioni, spesso non è soggetta al fallimento (come vedremo meglio in seguito, è considerata non fallibile entro certi limiti finanziari). In tal caso i creditori dovranno perseguire il debitore con le esecuzioni individuali sopra descritte, non potendo chiedere l’apertura di un fallimento. Tuttavia, se l’attività supera le soglie di legge per essere dichiarata insolvente oppure se è svolta tramite una società di capitali (es. una S.r.l.), i creditori potrebbero presentare istanza di fallimento (oggi liquidazione giudiziale) al Tribunale competente, qualora i debiti non pagati siano significativi. Un tempo bastava un debito certo, scaduto ed esigibile superiore a 30.000 € per legittimare un’istanza di fallimento da parte di un creditore. Con il nuovo Codice della Crisi, l’approccio è più orientato alla composizione preventiva, ma il rischio di una procedura concorsuale coattiva rimane.
Gli effetti dell’apertura di una procedura di liquidazione giudiziale (il termine attuale per il fallimento) sono molto gravosi per l’imprenditore: spossessamento dei beni (che passano in gestione al curatore), blocco delle azioni esecutive individuali e cristallizzazione di tutti i debiti alla data di apertura, possibilità di indagini anche invasive sul patrimonio e sugli atti compiuti in precedenza (azioni revocatorie, verifiche per bancarotta). Inoltre l’imprenditore fallito (persona fisica) subisce temporaneamente alcune incapacità civili (non può ricoprire cariche societarie, viene annotato al Registro dei falliti fino all’eventuale esdebitazione, ecc.). Per tale ragione, un piccolo imprenditore spesso preferisce attivarsi prima con strumenti volontari di risoluzione della crisi, piuttosto che subire un fallimento su istanza altrui.
È utile precisare che con l’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) nell’estate 2022, la tradizionale distinzione tra “fallimento” (riservato ai soggetti commerciali sopra certe soglie) e “procedure da sovraindebitamento” per i piccoli debitori si è evoluta, introducendo nuove procedure come il concordato minore e la liquidazione controllata per i soggetti non fallibili. Approfondiremo queste procedure più avanti. Qui preme evidenziare che ignorare i debiti e lasciarli incancrenire può portare, nei casi estremi, alla perdita totale del patrimonio e al coinvolgimento forzoso in procedure concorsuali comunque penalizzanti. Al contrario, attivarsi per tempo consente spesso di mitigare le conseguenze, ad esempio ricorrendo a piani di ristrutturazione o soluzioni concordate che blocchino le azioni esecutive e permettano di gestire la crisi in modo più ordinato.
Di seguito, analizziamo proprio le possibili soluzioni a disposizione dell’imprenditore indebitato, iniziando da quelle extragiudiziali (fuori dai tribunali) e poi focalizzandoci sugli strumenti giudiziali e concorsuali previsti dalla normativa italiana vigente (alla luce delle ultime riforme).
Come affrontare i debiti: soluzioni extragiudiziali
Quando un’erboristeria si trova in difficoltà finanziaria, è fondamentale valutare anzitutto le opzioni extragiudiziali, ovvero quelle soluzioni che non richiedono – almeno inizialmente – l’attivazione di una procedura presso il Tribunale. Spesso è possibile evitare il precipitare della situazione (pignoramenti, fallimento, ecc.) attraverso una gestione attiva dei rapporti coi creditori. Ecco le principali strategie extragiudiziali:
1. Mappatura dei debiti e piano finanziario: Il primo passo per il debitore è fare un’analisi accurata della propria situazione debitoria. Occorre elencare tutti i debiti, distinguendo per tipologia (come abbiamo fatto sopra) e per urgenza/gravità (ad esempio, identificare quali creditori hanno già avviato azioni o potrebbero farlo a breve). Parallelamente, vanno valutate le risorse disponibili – liquidità, beni liquidabili, crediti da incassare – e le capacità di rimborso prospettiche (ad esempio il flusso di cassa mensile che l’attività può generare, magari riducendo alcune spese). Sulla base di questi dati, l’imprenditore o un suo consulente può predisporre un piano finanziario di emergenza, stabilendo quanto destinare al rimborso dei debiti e in quale ordine di priorità. Una regola generale: dare priorità ai debiti la cui inadempienza comporta conseguenze più gravi o immediate (es. blocco dell’attività, perdita di beni essenziali).
2. Negoziazione individuale con i creditori: Muniti di un piano di massima, si può procedere a contattare singolarmente i creditori per negoziare termini migliori o accordi di saldo. Molti creditori preferiscono recuperare il proprio credito in modo concordato piuttosto che affrontare lunghe e incerte vie giudiziarie. Ad esempio: – Con i fornitori si può chiedere una dilazione del pagamento (es. suddividere il debito in rate mensili) o uno sconto a saldo e stralcio (pagamento immediato di una parte, a stralcio del resto) se si dispone di un po’ di liquidità. È utile presentare il piano di rientro in forma scritta, con impegni precisi, magari riconoscendo il debito per iscritto (il che tutela il creditore ma mostra buona fede). – Con la banca si può tentare una rinegoziazione del mutuo o del prestito: ad esempio, chiedere un periodo di moratoria delle rate, un allungamento del piano di ammortamento (per abbassare la rata mensile) o una trasformazione degli scoperti a breve in finanziamenti a medio termine. Le banche, se l’impresa è in temporanea difficoltà ma ancora vitale, possono accettare la ristrutturazione del credito. In alcuni casi, se il debito è già “deteriorato” in sofferenza, la banca potrebbe essere disponibile a un accordo transattivo a saldo stralcio (talvolta preferiscono incassare subito una percentuale piuttosto che rischiare di recuperare meno dopo anni di procedure). – Con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione si può presentare istanza di rateizzazione delle cartelle esattoriali: fino a €120.000 di debito totale è concessa praticamente in automatico (con un massimo di 72 rate mensili standard, estensibili a 120 in caso di comprovata grave difficoltà). Oltre €120.000 serve documentare lo stato di crisi e la sostenibilità delle rate. La rateazione ha il beneficio di bloccare nuove azioni esecutive su quei carichi iscritti e di sospendere fermi o ipoteche future (quelle già in essere restano fino a che non si paga una certa percentuale). Se sono aperte finestre normative di definizione agevolata (rottamazione), conviene aderire per eliminare sanzioni e interessi: l’adesione stessa sospende le azioni esecutive fino a scadenza delle rate. – Con l’INPS (per contributi) similmente è possibile chiedere dilazioni o compensare eventuali crediti (ad es. se l’INPS deve rimborsare indennità all’azienda, può trattenerle a fronte dei contributi dovuti). – Se ci sono più banche finanziatrici, valutare un accordo interbancario: talvolta tramite un professionista si può proporre alle varie banche un piano coordinato (ad es. tutte accettano una moratoria di 6-12 mesi e poi ripresa pagamenti, evitando di precipitarsi ognuna per conto proprio a pignorare).
3. Riduzione dei costi e dismissione di asset non essenziali: Parallelamente alla negoziazione del debito, l’imprenditore dovrebbe implementare misure di autorisanamento. Ciò include ridurre le spese superflue, ottimizzare le scorte per liberare liquidità, eventualmente cedere beni non strategici per fare cassa (ad es. un veicolo aziendale inutilizzato, macchinari non indispensabili, o persino valutare la vendita dell’immobile commerciale se di proprietà, magari con formula di affitto dell’azienda a terzi). La liquidità così ottenuta può servire per pagare i creditori chiave o ridurre l’esposizione sotto soglie critiche (ad esempio, evitare che il debito fiscale superi 120.000 € così da scongiurare pignoramenti immobiliari). Attenzione: eventuali atti di disposizione (come vendite di immobili o beni) fatti in questa fase delicata vanno ponderati con un legale, per evitare rischi di revocatoria fallimentare se poi si aprisse un fallimento entro 2 anni. Vendere sottoprezzo a un parente, ad esempio, potrebbe essere visto come frode ai creditori. Meglio operare a valori di mercato e utilizzare le somme per pagare debiti, in modo tracciabile.
4. Assistenza di professionisti e OCC: Se la situazione è complessa, è prudente coinvolgere un professionista esperto (un avvocato specializzato in crisi d’impresa o un commercialista) sin dalle trattative stragiudiziali. Egli può aiutare a predisporre accordi transattivi formalmente validi e gestire i rapporti con banche e grandi creditori. Inoltre, esistono gli Organismi di Composizione della Crisi (OCC) istituiti dalla legge sul sovraindebitamento: si tratta di enti (spesso presso gli Ordini professionali o le Camere di commercio) deputati ad assistere i debitori nella preparazione di piani di ristrutturazione da presentare al Tribunale. Anche se in questa fase stiamo considerando soluzioni extragiudiziali, può essere utile una consulenza preliminare con l’OCC, che spesso fornisce indicazioni sulla fattibilità di eventuali procedure di composizione della crisi e può aiutare a valutare se si riesce a trovare un accordo stragiudiziale o se sia preferibile andare verso una procedura formale.
5. Moratorie e strumenti di allerta interni: Negli ultimi anni, complice anche la pandemia, sono state previste normative temporanee di moratoria dei crediti (soprattutto bancari) e meccanismi di allerta precoce della crisi. Ad esempio, il Codice della Crisi incentiva l’imprenditore ad adottare assetti contabili per rilevare la crisi tempestivamente e ad attivarsi appena emergono segnali di squilibrio. Qualora l’imprenditore rilevi di non poter far fronte ai debiti nei successivi 12 mesi, dovrebbe valutare strumenti come la composizione negoziata (di cui parleremo a breve). In ambito extragiudiziale puro, invece, può tentare di ottenere una moratoria volontaria delle banche: a volte le associazioni di categoria o accordi ABI prevedono che, su richiesta, le banche concedano sospensioni temporanee delle rate alle PMI in difficoltà (compatibilmente con le proprie policy).
6. Mantenere i rapporti e la comunicazione aperta: Può sembrare un consiglio banale, ma uno degli errori comuni del debitore è evitare o ignorare i creditori, sperando di “prendere tempo”. Questo spesso irrigidisce le controparti e le spinge ad agire legalmente. Al contrario, contattare proattivamente i creditori, spiegare (per quanto possibile) la situazione e mostrare la volontà di pagare può talora dissuaderli dall’azione immediata. Ad esempio, un fornitore informato che l’azienda sta cercando di ottenere un finanziamento per pagare i debiti potrebbe attendere qualche settimana prima di procedere con un decreto ingiuntivo. Naturalmente occorre essere realisti: promettere pagamenti impossibili da mantenere peggiora solo la credibilità. Meglio negoziare nuovi termini che poi il debitore sia in grado di rispettare.
Tutte queste misure extragiudiziali hanno il vantaggio di evitare i costi e la pubblicità delle procedure giudiziali. Tuttavia, se il debito complessivo è insostenibile rispetto alla capacità dell’erboristeria, o se i creditori non sono cooperativi, può rendersi necessario ricorrere agli strumenti legali di composizione della crisi disciplinati dall’ordinamento. Nella sezione seguente, esamineremo tali strumenti – dalle procedure previste per le piccole imprese sovraindebitate, fino ai concordati preventivi per le imprese più grandi – illustrando come funzionano e in che modo un imprenditore può difendersi efficacemente attraverso di essi.
Strumenti legali per la composizione della crisi da debiti
Quando le passività superano le possibilità realistiche di rimborso ed i tentativi informali di accordo risultano insufficienti, il debitore può (e talvolta deve) fare ricorso ai procedimenti legali di regolazione della crisi previsti dalla legge. L’ordinamento italiano, specialmente dopo la riforma introdotta dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019), offre diversi strumenti a seconda della tipologia e dimensione del debitore. Nel nostro contesto – un’erboristeria indebitata – possiamo trovarci davanti a due macro-casi:
- Erboristeria “piccola” (soggetto non fallibile): tipicamente un’impresa individuale o una società di persone di dimensioni modeste, oppure un imprenditore privato. Per questi soggetti esistono procedure semplificate, eredi della Legge 3/2012 sul sovraindebitamento, oggi integrate nel Codice della crisi.
- Erboristeria organizzata in società di capitali o di maggiori dimensioni (soggetto fallibile): in tal caso si applicano le procedure concorsuali ordinarie (concordato preventivo, liquidazione giudiziale, accordi di ristrutturazione), eventualmente con alcune varianti per PMI.
Esaminiamo prima gli strumenti dedicati ai debitori minori (non fallibili), per poi accennare anche alle procedure ordinarie ove rilevanti.
Il nuovo Codice della crisi d’impresa e la riforma del sovraindebitamento
Una premessa importante: nel 2022 è entrato in vigore il nuovo Codice della crisi, che ha abrogato la vecchia legge fallimentare (R.D. 267/1942) e la legge sul sovraindebitamento (L. 3/2012), riunendo la materia in un testo unico. Pertanto, da allora non si parla più di “procedura ex legge 3/2012”, anche se concetti e istituti di quella legge sono stati mantenuti con qualche modifica. Ad esempio, il “piano del consumatore” esiste ancora ma con nome leggermente diverso; l’“accordo di composizione” per gli imprenditori non fallibili è stato rielaborato come “concordato minore”. Ai fini pratici, comunque, chi poteva accedere alle procedure di sovraindebitamento prima continua a potervi accedere anche ora, con requisiti simili e spesso migliorati a favore del debitore. Tra le novità positive introdotte vi sono: – la possibilità di presentare procedure familiari unitarie (più membri della stessa famiglia indebitati possono fare un’unica procedura congiunta); – criteri di meritevolezza più chiari e meno stringenti per il debitore (conta l’assenza di frode o colpa grave, mentre non è più motivo di esclusione aver fatto debiti “sopra le proprie possibilità” in buona fede); – l’introduzione della cosiddetta “esdebitazione del debitore incapiente”, ovvero la possibilità di cancellare i debiti anche a chi non ha alcun patrimonio o reddito da offrire ai creditori (una sorta di esdebitazione a “zero”, concessa una tantum al debitore persona fisica meritevole); – la riduzione dei tempi: ad esempio la liquidazione controllata (ex liquidazione del patrimonio) ora di regola dura al massimo 3 anni, dopo i quali l’esdebitazione scatta automaticamente in assenza di irregolarità; – norme più favorevoli al debitore in certe situazioni, come la possibilità di bloccare la cessione del quinto dello stipendio in corso avviando una procedura, o la previsione che i creditori che hanno concesso credito irresponsabilmente vengano “puniti” nella valutazione (principio del “merito creditizio”).
Chiarito questo quadro normativo, illustriamo i singoli strumenti.
La composizione negoziata per la crisi d’impresa
Prima di passare alle soluzioni “concorsuali” vere e proprie, merita attenzione un istituto introdotto nel 2021 e ora disciplinato nel Codice della crisi: la composizione negoziata. Si tratta di una procedura volontaria e confidenziale attivabile da qualsiasi imprenditore commerciale (anche di piccole dimensioni) in situazione di squilibrio economico-finanziario, finalizzata ad agevolare la negoziazione con i creditori con l’aiuto di un esperto indipendente.
Come funziona? L’imprenditore presenta istanza tramite una piattaforma telematica nazionale nominando un esperto (se non è già stato designato dalla Camera di Commercio locale) che lo assisterà. L’esperto esamina la situazione aziendale e convoca i creditori più rilevanti per tentare di trovare un accordo di risanamento (ad esempio una modifica delle scadenze, un accordo di ristrutturazione, o altre soluzioni). Durante la composizione negoziata, l’imprenditore resta in carica e mantiene la gestione, ma sotto la supervisione dell’esperto per gli atti di straordinaria amministrazione. Importante: su richiesta, il Tribunale può concedere misure protettive temporanee, ossia il blocco di azioni esecutive individuali dei creditori mentre la trattativa è in corso (in genere per un massimo di 4 mesi, prorogabili di 4). Ciò offre al debitore un po’ di respiro per negoziare senza l’assillo di pignoramenti imminenti.
La composizione negoziata non è una procedura concorsuale pubblica: se si raggiunge un accordo, questo potrà restare riservato o eventualmente essere omologato in Tribunale solo se si vuole dargli efficacia particolare (come un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 61 CCII, riservato però a imprese soggette a fallimento). Se non si raggiunge accordo, l’esperto chiude la procedura annotandone l’esito; nulla impedisce al debitore, a quel punto, di accedere ad altre procedure concorsuali (con eventuali sconti sulle responsabilità personali se ha tentato la composizione negoziata in buona fede).
Per la nostra erboristeria: la composizione negoziata può essere utile se l’attività è ancora sostanzialmente valida ma schiacciata dai debiti, e se c’è margine per una trattativa rapida. Ad esempio, potrebbe servire a ottenere una moratoria concordata con tutte le banche e principali fornitori, evitando il default. La presenza di un esperto nominato dal tribunale spesso rende i creditori più disponibili, perché vedono un controllo terzo. Va detto che, se l’erboristeria è microimpresa individuale, la composizione negoziata potrebbe essere eccessivamente onerosa in termini di impegno e costi; in tal caso potrebbe convenire passare direttamente alle procedure di sovraindebitamento.
Il piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex “piano del consumatore”)
Questa procedura, originariamente introdotta dalla L.3/2012, è riservata ai debitori persone fisiche che hanno contratto debiti come “consumatori”, cioè per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale. In pratica, se il titolare dell’erboristeria ha debiti personali (ad es. un prestito personale, carte di credito, bollette domestiche, ecc.) distinti dai debiti dell’attività, egli può presentare un piano del consumatore per ristrutturare quei debiti. Non vi possono rientrare i debiti che derivano dall’attività d’impresa. Anzi, la giurisprudenza recente (Cass. 22699/2023) ha confermato che basta anche un solo debito di natura imprenditoriale incluso per rendere inammissibile la procedura consumeristica. Dunque, il titolare di erboristeria potrà usare questo strumento solo se cessa l’attività e rimane con debiti personali estranei all’impresa, oppure se i suoi debiti sono misti ma decide di escludere quelli d’impresa dal piano (pagandoli a parte, perché se li inserisse verrebbe dichiarato inammissibile).
Il vantaggio del piano del consumatore è che non richiede il voto dei creditori: il piano viene sottoposto direttamente al giudice, il quale valuta la sua fattibilità e soprattutto la meritevolezza del debitore (ossia che non abbia colpa grave o frode nella genesi dei debiti). Se il giudice omologa il piano, questo diventa vincolante per tutti i creditori inclusi, anche se non consenzienti. Ad esempio, un consumatore sovraindebitato potrebbe proporre di pagare il 50% dei suoi debiti in 5 anni e ottenere la cancellazione del resto: se il giudice ritiene equo e fattibile il piano, lo approva e i creditori dovranno accontentarsi di quanto previsto (eventuali creditori non informati potranno reclamare, ma solo se la mancata informazione è dovuta a irregolarità nella procedura ). È quindi una soluzione potente per chi ha principalmente debiti personali.
Nel contesto di un’erboristeria, questo strumento sarà applicabile più che altro in contesti peculiari – ad esempio, immaginiamo che l’imprenditore abbia chiuso l’attività e ora i debiti residui (magari mutui casa, prestiti personali e poche fatture) possano qualificarsi come personali. Oppure potrebbe utilizzarlo un familiare dell’imprenditore, se anch’egli indebitato come consumatore, parallelamente ad altre procedure (es. moglie che ha firmato prestiti personali per coprire spese familiari mentre il marito ha i debiti d’impresa: i due piani potrebbero andare coordinati ma separati).
Da ultimo, segnaliamo che il D.Lgs. 136/2024 (c.d. “correttivo ter” del Codice della crisi) ha ulteriormente precisato la definizione di consumatore ai fini di accesso al piano: è consumatore colui che accede alle procedure per debiti contratti al di fuori dell’attività d’impresa eventualmente svolta. Ciò per ribadire il concetto: se i debiti sono legati all’attività professionale, quel soggetto non sta agendo da consumatore e quindi deve usare le altre procedure (concordato minore o liquidazione controllata).
In sintesi: il piano del consumatore è uno strumento adatto se l’erboristeria è indebitata come persona fisica non imprenditore**. Se invece i debiti sono d’impresa, bisogna guardare al concordato minore.
Il concordato minore (ex accordo di composizione) per imprenditori non fallibili
Il concordato minore è la nuova denominazione della procedura un tempo chiamata accordo di composizione dei debiti ex L.3/2012. È riservato ai debitori non fallibili che esercitano attività d’impresa o professionale, dunque tipicamente al titolare di un’erboristeria in crisi che rientra nei limiti dimensionali previsti (piccolo imprenditore). Ricordiamo i criteri di non fallibilità: negli ultimi 3 esercizi il debitore non deve aver superato contemporaneamente le soglie di €300.000 di attivo patrimoniale, €200.000 di ricavi e €500.000 di debiti. Se rientra in questi limiti, può accedere al concordato minore; altrimenti ricadrebbe nelle procedure maggiori.
Cos’è il concordato minore? È una procedura concorsuale giudiziale in cui l’imprenditore propone un piano di ristrutturazione ai propri creditori, il quale per essere approvato richiede il voto favorevole di almeno il 50% dei crediti (quorum deliberativo). In ciò somiglia a un concordato preventivo in miniatura. La differenza è che è pensato per le piccole crisi: le formalità sono semplificate e il debitore può prevedere sia la continuità aziendale (continuare a gestire l’erboristeria durante e dopo la procedura) sia la liquidazione di parte dei beni.
Il procedimento funziona così: il debitore, con l’ausilio di un OCC o di un professionista nominato gestore della crisi, prepara un piano concordatario che indica come intende pagare i creditori, in che percentuale e tempi, con quale eventuale apporto di risorse (es. contributi di terzi) o cessione di beni. Il piano deve assicurare ai creditori un soddisfacimento non inferiore a quello ottenibile in una liquidazione (principio del “best interest test”). Ciò significa, ad esempio, che se l’erboristeria possiede un immobile che venduto coprirebbe il 30% dei debiti, il piano in cui l’imprenditore vuole tenersi l’immobile deve comunque far avere ai creditori almeno quel 30% (magari pagando dilazionato, o con altre risorse). Altrimenti non sarebbe vantaggioso rispetto alla vendita forzata. Un tema classico è la falcidia dei creditori privilegiati: il piano può prevedere di pagare i creditori con garanzie (come la banca ipotecaria, o l’INPS con privilegio generale) non integralmente, purché dimostri che quella percentuale ridotta è comunque >= di quanto quei creditori otterrebbero in una liquidazione del patrimonio. Ad esempio, se la banca ha ipoteca su un immobile il cui valore di realizzo stimato è 100, a fronte di un credito di 150, il piano può legittimamente proporle 100 e stralciare 50, perché tanto in liquidazione non incasserebbe più di 100 comunque. Su questo punto vi sono state nel tempo pronunce altalenanti, ma oggi il Codice della crisi consente la falcidia di IVA e altri privilegi grazie anche all’intervento della Corte Costituzionale (sentenza n. 245/2019).
Presentato il ricorso di concordato minore, il Tribunale valuta ammissibilità e nomina eventualmente un ausiliario/gestore se non c’era già (spesso è già coinvolto l’OCC dalla fase preparatoria). Si procede con il voto dei creditori: questi vengono convocati e possono esprimere il loro assenso o dissenso al piano. Se si raggiunge la maggioranza del 50% dei crediti votanti a favore, il Tribunale può omologare l’accordo, rendendolo vincolante per tutti i creditori inclusi. Anche i creditori dissenzienti sono obbligati dal concordato minore approvato a maggioranza. Se non si raggiunge la maggioranza, la procedura viene dichiarata infruttuosa (ma c’è la possibilità per il debitore di chiedere la conversione in liquidazione controllata come ultima istanza).
Durante la pendenza del concordato minore, il debitore gode di una protezione: dal momento del deposito del ricorso può chiedere la sospensione o il divieto di iniziare azioni esecutive individuali da parte dei creditori, fino all’omologa (è un’automatica stay simile a quella del concordato preventivo). Ciò consente all’erboristeria di proseguire l’attività senza subire pignoramenti nel frattempo.
Un elemento chiave è la meritevolezza del debitore: il concordato minore, a differenza del piano del consumatore, formalmente non richiede il giudizio di meritevolezza da parte del giudice (dato che sono i creditori a votare). Tuttavia, se emergono frodi o dolo, il tribunale può dichiarare inammissibile la proposta. In generale, per poter accedere bisogna aver tenuto una condotta corretta, senza aver distratto attivo o aggravato dolosamente la situazione (ad esempio, aver venduto beni sottocosto per sottrarli ai creditori sarebbe motivo di esclusione). La Cassazione ha evidenziato come la riforma abbia abrogato i vecchi criteri di “irragionevole ricorso al credito” e lasciato solo i criteri più oggettivi di assenza di colpa grave, malafede o frode.
Per un’erboristeria, il concordato minore può costituire lo strumento principe per ristrutturare l’indebitamento e continuare l’attività. Ad esempio, supponiamo un’erboristeria individuale con €100.000 di debiti vari. Può proporre ai creditori di pagarne il 40% in 4 anni, utilizzando gli utili futuri dell’attività (eventualmente garantiti dalla supervisione di un OCC) e magari l’apporto di un familiare, impegnandosi a certe misure di risanamento. Se i creditori vedono che in un fallimento prenderebbero meno (spesso il caso, perché le procedure liquidatorie recuperano poco), voteranno sì, raggiungendo il quorum. L’imprenditore così evita il fallimento, mantiene la propria attività (magari ridimensionata), e al termine dell’esecuzione del piano ottiene l’esdebitazione per la parte di debito non pagata.
La liquidazione controllata del sovraindebitato
Quando la situazione è troppo compromessa per sostenere un piano di rientro, oppure quando il debitore non è in condizione di offrire ai creditori più di quanto deriverebbe dallo smantellamento del suo patrimonio, la soluzione è la liquidazione controllata (ex liquidazione del patrimonio nella legge 3/2012). È una procedura concorsuale giudiziale che ricalca in buona parte la struttura del fallimento, ma calibrata sui debitori minori. Può accedervi qualunque soggetto non fallibile (consumatore o piccolo imprenditore) e anche il debitore fallibile può essere ammesso se nessuno ha chiesto il fallimento e lui preferisce seguire questa strada (ipotesi rara, poiché un imprenditore fallibile di norma va in liquidazione giudiziale).
Nella liquidazione controllata, il debitore chiede al Tribunale di essere ammesso a liquidare tutti i suoi beni sotto supervisione, con lo scopo finale di liberarsi dai debiti residui. Il Tribunale nomina un liquidatore (figura simile al curatore fallimentare) che si occupa di raccogliere e vendere l’attivo: immobili, mobili, crediti, ecc. Il ricavato, al netto delle spese, viene distribuito tra i creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione (privilegi, ipoteche, etc., e poi chirografari). Terminata la liquidazione, il debitore persona fisica può ottenere la esdebitazione di tutte le obbligazioni rimaste insoddisfatte – cioè il debito residuo viene cancellato. Nel nuovo Codice, come accennato, questa esdebitazione è inclusa d’ufficio nella procedura: non serve una domanda separata, e decorso il periodo di liquidazione (massimo 3 anni) il giudice la dichiara se non ci sono stati comportamenti scorretti.
La liquidazione controllata è quindi un “fallimento su base volontaria” del debitore civile. Ha senso attivarla quando: – il debitore vuole chiudere l’attività definitivamente e “ripulire” la propria situazione debitoria per poter eventualmente ripartire in futuro da zero; – non si riesce a trovare un accordo con i creditori né una via di ristrutturazione sostenibile; – c’è necessità di bloccare all’istante tutte le esecuzioni (l’apertura della liquidazione controllata determina la sospensione delle azioni esecutive e cautelari dei creditori, simile all’effetto di un fallimento); – il debitore è nullatenente o quasi, ma vuole sfruttare l’opportunità di esdebitazione (in passato, chi non aveva beni non poteva far molto; oggi grazie all’“esdebitazione del debitore incapiente” anche chi non ha nulla può, attraverso la liquidazione controllata, ottenere lo stesso la cancellazione dei debiti).
Nel caso di un’erboristeria, la liquidazione controllata implicherebbe tipicamente la cessazione dell’attività: verrebbero venduti gli arredi, l’eventuale magazzino, forse la licenza commerciale (se trasferibile), e così via. L’imprenditore perdendo tutto il patrimonio personale esce di scena, ma in cambio ottiene la libertà dal debito residuo. Da un punto di vista umano, è l’extrema ratio, ma è importantissimo sapere che c’è: la legge offre la chance di ripartire anche a chi fallisce, e anzi incoraggia questa soluzione come alternativa al far permanere per decenni le persone schiacciate dai debiti. Un elemento di novità è l’obbligo post-esdebitazione: chi ottiene l’esdebitazione senza aver pagato nulla (il cosiddetto debitore incapiente), se nei 4 anni successivi dovesse “risollevarsi” e tornare in possesso di un patrimonio significativo, è tenuto a informare i vecchi creditori e soddisfarli fino al 10% almeno. Questo per evitare abusi (ad esempio, uno non paga nulla e poi vince alla lotteria l’anno dopo tenendo tutto per sé). È comunque una misura di bilanciamento: la sostanza rimane che tutti, anche i più disperati, hanno la possibilità di una tabula rasa una volta nella vita.
In concreto, spesso il concordato minore e la liquidazione controllata vengono presentati come alternative possibili: il debitore può depositare un ricorso per concordato minore e, in subordine, chiedere che se non si raggiungono i voti, venga aperta la liquidazione. In tal modo, ha un ultimo tentativo di accordo e, se fallisce, comunque accede all’esdebitazione tramite liquidazione.
Le procedure concorsuali ordinarie (concordato preventivo, accordi di ristrutturazione, liquidazione giudiziale)
Per completezza, accenniamo a ciò che avviene qualora l’erboristeria sia un soggetto fallibile, cioè un’impresa sopra le soglie o una società di capitali in stato di insolvenza. In tal caso, le opzioni a disposizione sono: – Concordato preventivo: è l’equivalente per le imprese maggiori del concordato minore. Si distingue in concordato in continuità (se l’azienda prosegue l’attività, eventualmente con ristrutturazione) e concordato liquidatorio (se sostanzialmente liquida tutto ma evita il fallimento garantendo ai chirografari almeno il 20%). Richiede il voto dei creditori (maggioranza oltre il 50%) e l’omologa del tribunale. Nel concordato preventivo si possono coinvolgere classi di creditori, offrire soddisfazioni diversificate, e anche qui vale il principio che ai privilegiati va offerto almeno quanto ricaverebbero dalla liquidazione dei beni su cui vantano prelazione. – Accordi di ristrutturazione dei debiti (ADR): sono accordi stipulati tra il debitore e una parte dei creditori (almeno il 60% dei crediti), che poi vengono omologati in tribunale e diventano vincolanti anche per i non aderenti (pur lasciando intatti i crediti di eventuali dissenzienti estranei, che vanno pagati integralmente). Esistono vari tipi di ADR (anche con percentuali ridotte in certi casi, es. accordi agevolati al 30%, ma addentrarci esula dallo scopo). Basti sapere che se un’erboristeria fosse gestita da una società di capitali, potrebbe tentare un ADR con banche e fornitori principali per evitare il concordato. – Liquidazione giudiziale (fallimento): se l’insolvenza è conclamata e non si accede ad altre soluzioni, il tribunale può aprire la liquidazione giudiziale. Da quel momento l’impresa è affidata a un curatore, il quale vende i beni e distribuisce il ricavato. Il titolare, se persona fisica, dopo la chiusura potrà chiedere l’esdebitazione residua (simile a quella vista per la liquidazione controllata). I soci di società fallite non sono personalmente esdebitati dal fallimento della società (se avevano garanzie personali restano obbligati). In un fallimento di società, eventuali miste condotte illecite possono portare anche a sanzioni come la responsabilità degli amministratori o azioni di massa contro di loro.
Per una piccola erboristeria, difficilmente si arriverà ad un concordato preventivo formale: questo strumento è più adatto a imprese di dimensioni medio-grandi (ha costi e complessità notevoli). Se però ad esempio l’erboristeria fosse parte di una catena in forma di S.r.l., con più punti vendita e debiti superiori a 500.000 €, allora sì, dovrebbe valutare il concordato preventivo o un accordo ex art. 57 CCII (accordo di ristrutturazione) invece che i procedimenti per non fallibili.
In ogni caso, il punto di vista del debitore deve essere orientato alla soluzione meno traumatica: se c’è margine di continuità, tentare i piani di risanamento (concordato minore o preventivo); se la continuità non è più possibile, liquidare volontariamente in cambio della liberazione dai debiti (liquidazione controllata).
L’esdebitazione del debitore: liberarsi dai debiti residui
Abbiamo nominato più volte l’esdebitazione, concetto fondamentale introdotto in Italia nel 2012 e ora consolidato. Consiste nella liberazione del debitore persona fisica da tutte le obbligazioni non soddisfatte integralmente al termine di una procedura concorsuale. In parole semplici, è il perdono dei debiti che rimangono dopo aver dato ai creditori tutto il possibile. L’esdebitazione si può ottenere: – Al termine di una liquidazione controllata (sovraindebitamento) o liquidazione giudiziale (fallimento), con provvedimento del tribunale, a condizione che il debitore abbia collaborato e non abbia commesso irregolarità gravi. Nel Codice attuale è quasi automatica decorsi i 3 anni di liquidazione controllata; nel fallimento occorre un’istanza e la valutazione positiva del giudice (artt. 278-279 CCII). – Subito dopo l’adempimento di un concordato o di un piano del consumatore: se il debitore rispetta il piano omologato, alla fine di esso egli è esdebitato per legge da quanto eventualmente non pagato (è implicito nell’omologa: i creditori rinunciano a pretese ulteriori accettando il piano). – Nel caso particolare di debitore incapiente, mediante un procedimento ad hoc: la persona fisica che proprio non possiede nulla può chiedere al tribunale l’esdebitazione “a zero”, che verrà concessa se risulta meritevole e se almeno una procedura liquidatoria è stata aperta e chiusa senza attivo. Spesso coincide con la liquidazione controllata in cui non c’è realizzo.
L’esdebitazione non è una semplice benevolenza: è un istituto riconosciuto e incentivato a livello europeo per dare ai debitori onesti una “fresh start” (nuovo inizio) dopo la crisi. Naturalmente non copre certi debiti per loro natura indisponibili (ad esempio le obbligazioni alimentari verso i figli, le sanzioni penali, etc., restano esclusi dalla liberazione), ma copre la stragrande maggioranza dei debiti civili e commerciali.
Per l’imprenditore erborista, ciò significa che, completata con successo la procedura scelta, egli può ricominciare senza l’incubo dei creditori passati. Ad esempio, se un piccolo imprenditore individuale ha chiuso in liquidazione controllata pagando solo il 5% ai creditori, il restante 95% viene legalmente cancellato: nessuno potrà più esigere nulla. Se ha mantenuto la propria casa (in quanto non pignorabile dal Fisco e magari fuori dalla liquidazione per assenza di ipoteche), potrà continuare a viverci senza timore di esecuzioni. Potrà anche aprire una nuova attività – spesso dopo un fallimento c’è chi ricomincia utilizzando l’esperienza maturata, stavolta evitando errori precedenti.
Un avvertimento: l’esdebitazione può essere revocata se si scoprono comportamenti dolosi del debitore (ad esempio aver nascosto beni ai creditori) o, come detto per il debitore incapiente, se riceve grosse somme entro 4 anni e non le segnala per pagare il 10% ai vecchi creditori. Si tratta però di situazioni eccezionali. Nella gran parte dei casi, l’esdebitazione è definitiva e irretrattabile.
Con queste premesse, appare chiaro che il ricorso alle procedure di composizione della crisi ha un valore difensivo enorme per il debitore: consente di bloccare le aggressioni del singolo creditore, sostituendole con una soluzione unitaria e ordinata, e soprattutto permette di chiudere la vicenda debitoria in tempi ragionevoli, con la prospettiva di una liberazione finale. Questo, dal punto di vista psicologico e imprenditoriale, può fare la differenza tra essere schiacciati dai debiti per decenni (con lavoro nero, precarietà, ecc.) e invece tornare ad essere economicamente attivi e produttivi entro pochi anni.
Nei prossimi paragrafi approfondiremo alcuni aspetti specifici – in particolare la responsabilità personale dell’imprenditore e la scelta se continuare o cessare l’attività – per poi passare a domande e risposte concrete e ad alcune simulazioni pratiche.
La responsabilità patrimoniale dell’imprenditore erborista
Un tema cruciale, quando si parla di debiti, è: chi risponde di questi debiti con il proprio patrimonio? La responsabilità patrimoniale del debitore è il principio per cui tutti i beni presenti e futuri del debitore rispondono dell’adempimento delle obbligazioni (art. 2740 Cod. civ.). Nel caso di un’erboristeria, bisogna distinguere a seconda della forma giuridica con cui è esercitata l’attività:
- Ditta individuale (impresa individuale): Qui non c’è separazione tra patrimonio dell’impresa e quello della persona. Il titolare dell’erboristeria risponde dei debiti d’impresa con tutti i suoi beni personali (casa, conto personale, ecc.), fatte salve le limitate eccezioni di legge (es. alcuni beni impignorabili come da art. 514 c.p.c.: abiti, oggetti sacri, stipendi minimi vitale in parte, etc.). Dunque il creditore, che sia fornitore o banca, può aggredire indifferentemente i beni aziendali (merce, arredamento del negozio) e quelli personali (automobile privata, abitazione, risparmi). Questo comporta che il rischio d’impresa grava direttamente sul patrimonio personale dell’imprenditore. Egli può aver costituito un fondo patrimoniale con la moglie per proteggere la casa, ma se i debiti sono stati contratti per esigenze dell’attività imprenditoriale, quel vincolo non impedirà ai creditori di aggredire comunque l’immobile (il fondo patrimoniale infatti tutela dai creditori solo per debiti estranei ai bisogni della famiglia, mentre un debito d’impresa è considerato contratto per scopi non strettamente familiari).
- Società di persone (S.n.c., S.a.s.): In queste forme societarie c’è una parziale autonomia patrimoniale, ma i soci illimitatamente responsabili (tutti i soci nella S.n.c., i soli accomandatari nella S.a.s.) rispondono solidalmente con la società per i debiti sociali. Ciò significa che il creditore può richiedere il pagamento prima alla società e poi, se il patrimonio sociale non basta, anche ai soci con patrimonio personale (previo escussione della società, art. 2268 c.c.). In pratica, per i soci illimitatamente responsabili la situazione non è molto diversa da una ditta individuale, salvo il beneficio d’escussione: i beni sociali vengono aggrediti per primi, ma se non sono sufficienti, i soci devono coprire col proprio patrimonio. Ad esempio, se l’erboristeria è gestita da due soci in S.n.c. e ha debiti che il conto societario non può pagare, i creditori potranno pignorare le proprietà personali di entrambi i soci (ognuno risponde dell’intero, poi semmai si regoleranno tra loro per le rispettive quote di perdita). Quindi, anche in società di persone la casa dei soci, i conti personali, etc. sono a rischio esattamente come per l’imprenditore individuale, sebbene con un passaggio in più. Questa responsabilità persiste anche dopo l’eventuale scioglimento della società: i soci restano obbligati per i debiti insorti durante la vita sociale. Perfino un ex socio di S.n.c. (uscito dalla società) risponde dei debiti sociali anteriori all’uscita per un periodo di 5 anni (art. 2290 c.c.). Chi invece è socio accomandante in una S.a.s. ha il vantaggio della responsabilità limitata alla quota conferita purché non immischiato nella gestione: ma attenzione, spesso i creditori forti (es. banche) chiedono fideiussioni agli accomandanti, di fatto vanificando la limitazione.
- Società di capitali (S.r.l., S.p.A.): Qui vige il principio della responsabilità limitata: la società è un soggetto giuridico distinto e risponde dei propri debiti solo con il suo patrimonio. I soci non sono obbligati per le obbligazioni sociali oltre il capitale sottoscritto (art. 2462 c.c. per S.r.l.). Dunque, in teoria, se l’erboristeria è una S.r.l. e fallisce, i soci perdono il capitale investito ma non rischiano la casa o i beni personali. Tuttavia, va evidenziato che nella prassi le banche e i fornitori spesso richiedono garanzie personali anche ai soci di S.r.l., specie se la società è di piccole dimensioni e fortemente dipendente dalla figura dell’imprenditore. Il classico esempio è la fideiussione bancaria: la banca che eroga un fido alla S.r.l. “Erboristeria XYZ” fa firmare al socio unico o ai soci una fideiussione solidale per importo equivalente. Così, se la S.r.l. non paga, la banca può aggredire direttamente i soci garanti. Questa è un’obbligazione contratta personalmente dai soci, e quindi esula dal principio della responsabilità limitata (non è la società che risponde, ma loro come garanti). Molte S.r.l. a conduzione familiare hanno questa situazione: formalmente i soci sono protetti, ma sostanzialmente hanno garantito tutto e quindi il loro patrimonio è esposto come in una ditta individuale.
Oltre alle garanzie volontarie, ci sono casi di responsabilità personali di amministratori o soci previsti dalla legge: ad esempio, se gli amministratori di una società non versano all’Erario le ritenute operate sugli stipendi o l’IVA, ne risponde comunque la società; però, in caso di frodi o reati tributari, gli amministratori possono avere responsabilità penali (che possono tradursi in obblighi risarcitori in sede civile). Un altro caso: se una S.r.l. viene liquidata distribuendo attivo ai soci e lasciando debiti erariali non pagati, l’art. 2495 c.c. consente al Fisco di agire contro i soci fino a concorrenza di quanto riscosso in liquidazione. Ancora, in fallimento societario, se c’è stato mala gestio può essere promossa un’azione di responsabilità contro amministratori e sindaci per danni ai creditori, la quale colpisce il patrimonio personale di costoro.
In generale, però, se la società di capitali ha operato correttamente e i soci non hanno prestato garanzie personali, i loro beni privati rimangono tendenzialmente al riparo dai creditori sociali. Questo è il vantaggio dell’agire con una persona giuridica separata. È anche vero che per un’erboristeria piccola raramente la S.r.l. “protegge” del tutto i soci: la ridotta affidabilità creditizia porta appunto creditori a pretendere garanzie extra-societarie.
Ricapitolando:
- Imprenditore individuale / Socio illimitatamente responsabile: rischia tutto il suo patrimonio personale. La difesa del patrimonio in questi casi può passare per strumenti come: destinare per tempo alcuni beni a fondi dedicati (es. fondo patrimoniale, trust) – anche se come detto tali vincoli non proteggono dai debiti d’impresa in molte situazioni; oppure costituire una S.r.l. per l’attività futura (ma per i debiti pregressi ciò non ha effetto).
- Socio di S.r.l.: di base è protetto, ma attenzione alle fideiussioni personali. Se le ha firmate, è come se fosse co-debitore.
- Amministratore: non è personalmente debitore verso i creditori dell’impresa, però deve stare attento a non incorrere in condotte che generino sue responsabilità (pagamenti preferenziali, atti in frode ai creditori, mancata richiesta tempestiva di procedure di crisi, che potrebbero rientrare come elementi di bancarotta in caso di fallimento).
- Coniuge del debitore: se c’è comunione dei beni nel matrimonio, i creditori di uno dei coniugi possono aggredire i beni comuni per intero (non però i beni personali dell’altro coniuge). Molte volte gli imprenditori scelgono il regime di separazione dei beni proprio per isolare almeno in parte il patrimonio familiare dai rischi d’impresa.
Un caso particolare rilevante è la prima casa di abitazione del debitore persona fisica. Abbiamo già visto che il Fisco non può pignorarla in certe condizioni. Ma un creditore privato (ad es. la banca che magari non ha ipoteca sulla casa) potrebbe farlo. Esempio: Tizio, erborista individuale, ha debiti verso un fornitore di €50.000; possiede solo la sua casa (senza ipoteche). Il fornitore potrebbe pignorare l’abitazione di Tizio anche per 50k (in teoria), venderla all’asta e prendere il dovuto. In pratica succede raramente per importi modesti perché la procedura è lunga e costosa e spesso la casa è già gravata da mutuo (in cui caso la banca sarebbe ipotecaria e avrebbe priorità sul ricavato). Però giuridicamente è possibile: non esiste un “bene assolutamente impignorabile” per i crediti privati se non rientra nelle strettissime categorie di cose indispensabili. La difesa in questo caso può consistere nel: – Prevenire l’azione: accordarsi col creditore prima che vada al pignoramento, magari offrendo pagamenti dilazionati o coinvolgendo garanzie (persino un’ipoteca volontaria negoziata con accordo, per vendere l’immobile a prezzo di mercato e pagare il creditore). – Contestare il credito: se vi sono motivi validi, l’imprenditore può opporsi al decreto ingiuntivo o fare opposizione all’esecuzione, guadagnando tempo o annullando l’azione se il credito è inesigibile. Però l’opposizione senza fondamento comporta poi aggravio di spese. – Chiedere la conversione del pignoramento: se la casa viene pignorata, il debitore può evitare la vendita depositando una somma pari al debito più spese, ottenendo la liberazione del bene (ma chiaramente servono fondi, non sempre possibile). – Usare le procedure concorsuali: se l’erborista accede a un concordato minore o liquidazione controllata prima che la vendita sia avvenuta, la procedura esecutiva viene sospesa. Nella procedura potrà cercare soluzioni (es. vendere la casa tramite liquidatore a prezzo migliore e pagare i creditori, magari mantenendo una parte eccedenza se il ricavato supera i debiti garantiti, oppure in concordato proporre di tenere la casa pagando gradualmente il valore di mercato ai creditori).
In definitiva, conoscere la propria esposizione patrimoniale è fondamentale. Un avvocato esperto può valutare caso per caso quali beni sono effettivamente attaccabili dai vari creditori e quali no, così da impostare una strategia di asset protection nel limite del lecito. Ad esempio, ci sono casi in cui conviene lasciar pignorare alcuni beni secondari per evitare guai peggiori, oppure casi in cui con piccoli pagamenti si può ridurre il debito sotto soglie di rischio (ricordiamo il trucco: se il debito col Fisco scende sotto €120k, la casa – se prima e unica – torna non pignorabile; quindi versare quel tanto che basta può salvare l’abitazione).
Continuare l’attività o cessarla? – Valutazioni strategiche
Di fronte a una grave crisi debitoria, l’imprenditore di un’erboristeria si pone inevitabilmente la domanda: “Ha senso provare a continuare l’attività e risollevarla, oppure è meglio chiudere il negozio e concentrarsi solo sul risanamento dei debiti pregressi?” La risposta dipende da molte variabili. Esaminiamo i fattori principali da considerare, i pro e contro di ciascuna opzione e gli strumenti giuridici correlati.
1. Valutare la redditività prospettica dell’erboristeria: Prima di tutto occorre stabilire se l’attività commerciale, depurata dal peso dei debiti, sarebbe in grado di generare utili o almeno cash flow positivo. Se l’erboristeria, per ragioni di mercato (calo permanente della domanda, concorrenza insostenibile, location sfavorevole) o di struttura dei costi, non è più economicamente sostenibile, accanirsi a tenerla aperta potrebbe soltanto accumulare ulteriori perdite. In tal caso la soluzione più razionale è cessare l’attività. Al contrario, se il negozio ha ancora una clientela affezionata e margini potenziali (magari vanno tagliate alcune spese o rinegoziato l’affitto), allora c’è spazio per tentare la continuità.
Un indicatore chiave è il Budget previsionale: se, ipotizzando una ristrutturazione dei debiti, l’attività può produrre flussi di cassa sufficienti a pagare almeno le spese correnti e una quota dei debiti ristrutturati, allora c’è vitalità. Se invece i conti previsionali mostrano comunque rosso, la continuità rischia di fallire e aggravare i debiti.
2. Continuare l’attività – Vantaggi e implicazioni: Proseguire l’attività durante la crisi può avere vari vantaggi: – Mantiene in vita la fonte di reddito del debitore, che altrimenti resterebbe disoccupato o dovrebbe reinventarsi da zero. – Può preservare il valore aziendale residuo: un’erboristeria avviata ha un parco clienti, una licenza, uno stock – elementi che se ben gestiti possono contribuire a pagare i creditori col tempo. Chiudere tutto liquida questi asset spesso a valori stracciati (stock svenduto, avviamento perso). – Permette di tentare un concordato in continuità: giuridicamente, il concordato minore (o preventivo) in continuità consente di destinare ai creditori una parte dei profitti futuri, migliorando le percentuali di rimborso. Ad esempio, l’erboristeria può offrire ai creditori il 50% dei futuri utili per 5 anni, oltre a eventuali cessioni di beni non strategici. – Salvaguarda eventuali posti di lavoro (se l’erboristeria ha dipendenti), evitando costi di licenziamento e rivendicazioni. – Psicologicamente, consente all’imprenditore di non “azzerare” la propria vita professionale, mantenendo la dignità di portare avanti il proprio negozio, seppur ridimensionato.
Tuttavia, continuare presenta anche sfide significative: – Bisogna lavorare sotto la pressione di un piano di rientro e magari con la vigilanza di un OCC o commissario giudiziale. Ci sono restrizioni: ad esempio, in una procedura concordataria, alcune operazioni (come vendere beni, assumere debiti nuovi) richiedono autorizzazione. – La disciplina della continuità impone di non peggiorare la situazione finanziaria: il piano deve essere sostenibile, altrimenti il tribunale non lo omologa. Ciò significa che l’imprenditore dovrà essere estremamente oculato nella gestione, rispettando il budget e le scadenze del piano. – In alcuni casi, la continuazione è vincolata a trovare nuove risorse: ad esempio, un concordato può prevedere l’ingresso di un finanziatore terzo o di un socio con capitale fresco. Senza un “booster” esterno, certe imprese non ce la fanno a risollevarsi solo con i mezzi interni. – Emotivamente e fisicamente, condurre un’attività in concordato è molto impegnativo: l’imprenditore si trova a dover ricostruire la fiducia di fornitori (che magari ormai pretendono solo pagamenti anticipati), far fronte a clienti eventualmente persi durante la crisi, e in più soddisfare il piano per i creditori pregressi.
3. Cessare l’attività – Vantaggi e implicazioni: Decidere di chiudere l’erboristeria (temporaneamente o definitivamente) ed eventualmente liquidare l’azienda ha i seguenti effetti: – Permette di concentrare tutte le risorse nella procedura di liquidazione del debito, senza l’onere di gestire anche l’attività corrente. In altre parole, l’imprenditore si dedica a “chiudere i conti del passato” senza dover generare reddito nuovo dall’azienda (magari troverà un altro lavoro nel frattempo per vivere). – Spesso accelera i tempi: una liquidazione controllata chiude tutto in pochi anni (come detto max 3), mentre un piano in continuità può durare anche 5 o più anni. Chiudere è come fare tabula rasa più rapidamente. – Evita il rischio di nuovi debiti: un’azienda in difficoltà che continua potrebbe incorrere in ulteriori perdite se le cose non vanno come sperato. Chiudendo, almeno si argina l’emorragia: si fissa una data oltre la quale non si generano più debiti (salvo quelli di procedura). – Consente di vendere l’azienda o i suoi asset in modo organico: ad esempio, l’imprenditore potrebbe cedere la licenza o vendere il negozio a un competitor, monetizzando qualcosa da destinare ai creditori, e poi chiudere. Una vendita di azienda (o ramo d’azienda) durante un concordato/liquidazione, se c’è un acquirente, può portare più benefici che una cessazione inattiva.
D’altro canto, chiudere significa: – Perdere la propria occupazione e, se era l’unica, restare senza lavoro. L’imprenditore dovrà reinventarsi o cercare lavoro dipendente (non sempre facile specie in età avanzata). – Buttare al vento potenzialmente anni di lavoro spesi a creare un marchio e una clientela. La chiusura è definitiva: spesso i clienti poi si rivolgono altrove e riaprire un domani un’altra erboristeria significherebbe ripartire da zero in termini di goodwill, a meno di poter sfruttare ancora il nome. – Subire possibili pregiudizi reputazionali: benché oggi il fallimento non abbia più lo stigma sociale di un tempo (si cerca anzi di promuovere la cultura del fresh start), nella comunità locale la chiusura di un negozio storico viene percepita come un fallimento personale. Questo può riflettersi anche su futuri rapporti d’affari o credibilità creditizia dell’imprenditore in altre iniziative.
4. Soluzioni ibride: Non sempre la scelta è binaria. Ci sono soluzioni intermedie: ad esempio, l’imprenditore potrebbe cedere la gestione dell’erboristeria a terzi per un periodo, per poi eventualmente riprenderla post-risanamento. Oppure potrebbe trasferire la proprietà a un familiare di fiducia e lavorarvi solo come dipendente nel frattempo. Alcuni imprenditori percorrono strade come la transazione di ristrutturazione: vendono la propria azienda (il negozio) a un nuovo soggetto (spesso una nuova società di famiglia) pulito dai debiti, e poi regolano i debiti nella vecchia struttura vuota tramite le procedure concorsuali. Questa pratica – il cosiddetto phoenix – è legale se fatta con criteri di trasparenza (ad es. il nuovo soggetto paga un prezzo di mercato per rilevare gli asset essenziali, e quel prezzo va ai creditori). Se invece viene fatta in modo da danneggiare i creditori (svendendo a se stessi l’azienda e lasciando i debiti nella vecchia società), rischia di configurare bancarotta fraudolenta e di essere revocata dai creditori. Quindi va maneggiata con estrema attenzione legale.
5. Continuità e liquidazione nelle procedure: Dal punto di vista giuridico, il Codice della crisi incoraggia la continuità aziendale quando genera valore per i creditori. Ad esempio, un concordato in continuità può essere omologato anche se i creditori chirografari prendono meno del 20%, mentre un concordato solo liquidatorio no (richiede almeno 20% salvo eccezioni). Inoltre, vi sono strumenti come il piano attestato di risanamento (art. 56 CCII) o gli accordi esecutivi di ristrutturazione che consentono all’impresa di continuare a operare senza pubblicità (sono accordi privati con efficacia esimente da revocatorie se attestati). Tali strumenti però richiedono che l’impresa sia risanabile. Se l’esercizio appare irrecuperabile, allora la legge stessa indirizza verso la cessazione ordinata (liquidazione).
Conclusione sulla scelta: In generale, l’imprenditore dovrebbe rispondere a queste domande: – La mia erboristeria può tornare profittevole? (Sì -> tentare continuità; No -> meglio chiudere) – Ho le energie/risorse per portare avanti un piano pluriennale e gestire l’impresa allo stesso tempo? (Se l’impresa è la passione della vita, magari sì; se è fonte di stress insopportabile, forse è il caso di staccare la spina e ricominciare altrove). – I creditori avrebbero più soddisfazione se resto aperto o se liquido tutto subito? (Se c’è uno scenario in cui la continuazione produce più valore – es. vendite future per pagare i creditori al 50% contro un ipotetico 20% in caso di chiusura – anche i creditori preferiranno la continuità). – Ci sono alternative come vendere a qualcuno interessato a proseguire l’attività? (Se sì, può essere un’ottima via di mezzo: l’attività non muore, i creditori ricevono un corrispettivo dalla vendita, e l’imprenditore esce dalla crisi anche se non sarà più proprietario).
Nel contesto di questa guida, daremo per scontato che la decisione venga presa con lucidità. Le sezioni successive (FAQ e simulazioni) tratteranno sia scenari in cui l’attività prosegue attraverso un piano concordatario, sia scenari in cui invece si opta per la liquidazione e l’esdebitazione, così da fornire esempi concreti di entrambe le vie.
Domande frequenti (FAQ)
Di seguito raccogliamo alcune delle domande più comuni che un titolare di erboristeria indebitato potrebbe porsi, fornendo risposte sintetiche basate su quanto esposto finora e sulle norme aggiornate al 2025.
D1: I debiti fiscali della mia erboristeria possono farmi perdere la casa di abitazione?
R1: Dipende. Se sei un imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile, la tua casa (se di tua proprietà) è aggredibile dai creditori in generale. Tuttavia, l’Agenzia Entrate-Riscossione non può pignorarla se è l’unico immobile di tua proprietà, vi risiedi anagraficamente e non è di lusso. Quindi il Fisco può al massimo mettervi ipoteca ma non venderla all’asta, a meno che tu possieda altri immobili o la casa non soddisfi quelle condizioni, e comunque il debito fiscale deve superare €120.000. Al contrario, creditori privati (banche, fornitori) non hanno quel divieto: in linea teorica potrebbero pignorare la tua prima casa anche per debiti modesti. Nella pratica, le banche di solito hanno già un’ipoteca se la casa è stata data in garanzia di un mutuo; in tal caso, se non paghi il mutuo, la banca potrà procedere all’esecuzione ipotecaria. Se invece la casa non è ipotecata e un creditore chirografario minaccia di pignorarla, sappi che dovrà anticipare spese notevoli e seguire una lunga procedura, quindi spesso è un’azione usata come ultima risorsa. Puoi difenderti cercando accordo col creditore prima che avvii l’esecuzione, o utilizzando strumenti come il concordato minore: se la procedura parte, il pignoramento viene congelato e potrai eventualmente prevedere nel piano come preservare l’immobile (ad es. pagando il valore di mercato ai creditori ipotecari). In estrema sintesi: con debiti fiscali, la prima casa è relativamente al sicuro per legge; con debiti bancari/privati, la protezione dipende dalle garanzie e dalla convenienza economica per il creditore.
D2: Ho debiti con l’INPS per i contributi dei dipendenti: cosa rischio e posso includerli in un piano di rientro?
R2: I debiti contributivi verso INPS seguono la stessa disciplina dei debiti fiscali, perché vengono riscossi tramite cartelle esattoriali. Rischi dunque pignoramenti, fermi amministrativi, ecc., analogamente alle imposte. Inoltre, se si tratta di contributi trattenuti ai dipendenti e non versati, fai attenzione all’aspetto penale: l’omesso versamento di ritenute previdenziali oltre €10.000 annui costituisce reato (punito con multa) se non viene regolarizzato entro 3 mesi dall’ingiunzione dell’INPS. Questo limite era stato abbassato e poi alzato in tempi recenti, ma al 2025 è €10.000. Se il tuo debito contributi riguarda la quota a tuo carico, non c’è rilievo penale diretto, solo sanzioni civili. In un piano di ristrutturazione o concordato, i debiti contributivi possono essere inclusi a pieno titolo, come quelli fiscali. Dovrai però garantire loro un trattamento non peggiore di quello che avrebbero altrimenti (ad esempio, l’INPS ha privilegio generale sui mobili per la gran parte dei suoi crediti, quindi non puoi ignorarlo: devi offrire almeno una percentuale congrua). È ammessa anche la falcidia (pagamento parziale) dei contributi privilegiati nel concordato, a condizione che sia superiore a quanto INPS otterrebbe liquidando i beni. Se invece ricorri a un piano del consumatore, sappi che contributi e tributi vi rientrano come qualsiasi altro debito (la Corte Costituzionale nel 2019 ha reso possibile anche la falcidia dell’IVA, quindi nessun debito pubblico è intoccabile nelle procedure, salvo dover giustificare bene il perché dell’eventuale taglio). In definitiva, il consiglio è: verifica se c’è margine per una rateazione amministrativa con l’INPS/Agenzia Riscossione (spesso più rapida di un piano concorsuale). Se non basta, includi pure i contributi nel tuo progetto di sovraindebitamento per diluirli o decurtarli legalmente.
D3: Cosa significa esattamente “esdebitazione”? Dopo la procedura non avrò più alcun debito?
R3: Esdebitazione significa proprio che il debitore viene liberato dai debiti residui. Sì, dopo aver completato la procedura concorsuale (che sia un concordato correttamente eseguito, o una liquidazione controllata/giudiziale terminata), tu come persona fisica non dovrai più nulla ai vecchi creditori chirografari e nemmeno ai privilegiati/garantiti per la parte di credito rimasta insoddisfatta. L’esdebitazione non copre però eventuali debiti di natura personale non coinvolti nella procedura. Facciamo un esempio: hai 100k di debiti totali, di cui 90k li inserisci in un concordato e ne paghi 50k, venendo esdebitato dei 40k residui. Se però avevi tenuto fuori dal concordato un debito, poniamo, di natura alimentare verso il tuo ex coniuge (che per legge non è falcidiabile), quello resterà dovuto integralmente. Analogamente restano dovute eventuali sanzioni penali, multe per reati, e obblighi risarcitori derivanti da illecito extracontrattuale doloso (questi ultimi il Codice della crisi li esclude dall’esdebitazione). Ma al di là di casi specifici, per tutti i debiti tipici d’impresa (fornitori, banche, fisco, bollette, ecc.) sì, l’esdebitazione cancella ogni obbligo. Attenzione: l’esdebitazione può essere negata se hai commesso frodi o tenuto una condotta gravemente sleale nel corso della procedura (ad esempio, se emergesse che hai nascosto un attivo rilevante). Può anche essere revocata entro l’anno successivo se salta fuori una frode. Ma in situazioni normali, una volta ottenuto il decreto di esdebitazione, quel capitolo è chiuso. Da quel punto in poi, tu riparti “pulito”. Naturalmente, le garanzie reali sui beni di terzi non sono toccate: se tuo cugino aveva ipotecato casa sua a garanzia di un tuo debito, la tua esdebitazione libera te personalmente, ma l’ipoteca su casa di tuo cugino resta, perché il diritto reale del creditore su bene altrui è separato (il cugino poi può rivalersi su di te solo se glielo permetti, ma tu saresti esdebitato quindi tecnicamente no; insomma, le garanzie prestate da terzi rischiano di essere escusse durante la procedura prima dell’esdebitazione).
D4: Posso aprire una nuova attività dopo aver fatto una procedura di sovraindebitamento o un fallimento?
R4: Sì, assolutamente. Non c’è un divieto legale di iniziare nuove attività dopo l’esdebitazione. Anzi, la filosofia della legge è di agevolare il reinserimento dell’ex debitore nel circuito economico. Se eri un imprenditore individuale e sei stato in liquidazione controllata, dopo l’esdebitazione puoi immediatamente aprire una nuova partita IVA e ricominciare, oppure costituire una società. Se hai subito una liquidazione giudiziale (fallimento) come persona fisica, una volta ottenuta l’esdebitazione e chiusa la procedura, cessano anche le incapacità personali (durante il fallimento non potevi fare l’imprenditore, ma dopo sì). L’unica cosa da considerare è pratica: la tua storia creditizia recente potrebbe renderti difficile ottenere credito bancario subito, perché comunque le banche conservano informazioni sui pregressi. Tuttavia, non esistono black list pubbliche permanenti: ad esempio, il Registro Informatico dei Protesti conserva i dati per 5 anni, e gli archivi dei falliti sono consultabili, ma se ottieni l’esdebitazione questo fatto sarà iscritto nei registri e attenua lo stigma. Dovrai con ogni probabilità ripartire con capitali propri o di soci, perché fare nuovi debiti subito dopo aver cancellato i vecchi non è consigliabile né facile da ottenere. Ma legalmente nulla osta a che tu gestisca una nuova erboristeria (o qualsiasi altra attività). Molti piccoli imprenditori dopo l’esdebitazione riescono a rimettersi in gioco: c’è chi apre una start-up innovativa (tra l’altro le start-up innovative, come ricordato, erano non fallibili e comunque privilegiate), chi rileva una nuova licenza con parenti, ecc. L’importante è far tesoro dell’esperienza ed evitare di incorrere di nuovo nelle situazioni che hanno portato alla crisi precedente, anche perché la seconda esdebitazione è molto più difficile da ottenere (la legge la concede una volta sola salvo rare eccezioni).
D5: Ho ricevuto una cartella esattoriale che considero indebita (es. sanzione che ho già pagato, oppure tributo in prescrizione). Posso oppormi o devo comunque includerla in una procedura?
R5: Se ritieni che un debito richiesto da Agenzia Riscossione non sia dovuto, hai il diritto di fare ricorso o opposizione nelle sedi opportune. Ad esempio, se è un tributo, devi rivolgerti alla Giustizia Tributaria (presentando ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale entro 60 giorni dalla notifica dell’atto esattoriale o dell’atto presupposto). Se è una multa stradale già pagata o nulla, puoi fare opposizione al giudice di pace (a seconda dei casi), e così via. È corretto far valere le proprie ragioni: sarebbe sciocco pagare o inserire in un piano un debito che non esiste o è decaduto. Tuttavia, fai attenzione ai termini: molti atti diventano inoppugnabili se trascorrono i termini di ricorso senza azione. Se ad esempio hai lasciato decorrere i termini e ti arriva solo ora la cartella, potresti non poter più contestare il merito (a meno che non emergano vizi formali gravi). In un procedimento di sovraindebitamento, tu devi elencare tutti i debiti risultanti, ma se uno è controverso puoi segnalarlo. Il giudice può ammettere anche crediti sub iudice con riserva. Ad ogni modo, se hai buoni motivi, conviene separare la questione: proponi ricorso sull’atto contestato e magari chiedi sospensione dell’esecuzione su quello specifico importo (se c’è pericolo che procedano nel frattempo). Puoi parallelamente avviare la procedura per gli altri debiti. Se il debito contestato è grande ed è tra quelli che ti spingerebbero alla procedura, allora la tua strategia potrebbe includere l’aspettare l’esito del ricorso. Ad esempio, se il grosso dei tuoi debiti è una cartella che poi vinci in commissione tributaria, la tua situazione cambia. E se perdi il ricorso, potrai sempre includere quel debito in un successivo piano o liquidazione. Quindi la regola è: contesta a parte ciò che ritieni ingiusto, la procedura concorsuale non è pensata per risolvere dispute sull’esistenza del credito (lì si dà per assodato il debito certo). In ogni caso, dentro le procedure ci sono meccanismi per accertare i crediti (lo stato passivo, le eventuali cause di opposizione al passivo), ma conviene utilizzare quelli solo se il tempo per il ricorso ordinario è scaduto o se preferisci far decidere tutto al giudice fallimentare. Una nota: se hai un contenzioso pendente con il Fisco e intanto vuoi chiudere la crisi con un accordo, sappi che non puoi inserire in concordato un debito fiscale se prima non rinunci al ricorso su quel debito (lo dice l’art. 63 CCII): devi decidere se lottare per annullarlo o accettarlo parzialmente e transare. È un bivio delicato da valutare con il tuo legale tributario.
D6: Durante la procedura di concordato o liquidazione, i creditori possono comunque infastidirmi (ad es. telefonate di recupero crediti, diffide, ecc.)?
R6: Una volta che il Tribunale apre la procedura e vengono concesse le misure protettive, tutte le azioni esecutive e cautelari sono sospese per legge. I creditori non possono iniziare né proseguire pignoramenti, né iscrivere ipoteche giudiziali, né distaccare forniture essenziali per vecchi insoluti (ad esempio, se hai un arretrato con l’energia elettrica, in teoria non potrebbero cessare la fornitura se la includi nel piano e paghi il corrente). Ciò che potrebbero fare è continuare a chiedere il pagamento in via stragiudiziale – non c’è una norma che glielo vieti espressamente – ma nel momento in cui c’è un OCC/gestore nominato, di solito le comunicazioni passano tramite lui o il legale. Dunque le agenzie di recupero crediti di regola smettono di chiamare quando ricevono la notizia dell’apertura della procedura (anzi, vengono invitate dall’OCC a presentare le loro domande entro certi termini, e capiscono che devono passare per quella via). Se però qualcuno continua con molestie o minacce, sappi che potresti anche segnalarlo al giudice della procedura: perseverare in richieste individuali mentre c’è un piano in corso può essere visto come violazione della par condicio e il giudice potrebbe intervenire. Nella prassi, una volta che sei “concordato preventivo n. X/2025 Tribunale di…” anche i creditori più ostici si rivolgono al professionista delegato e smettono di pressarti direttamente. Se invece sei ancora prima dell’apertura (fase di trattative), purtroppo i recuperatori possono continuare a farsi sentire: in quel frangente la miglior difesa è incaricare tu stesso un avvocato che li informi formalmente delle tue intenzioni di accedere a procedura e li diffidi da ulteriori contatti diretti (in base al codice deontologico degli avvocati e recuperatori, se sanno che sei assistito dovrebbero parlare col tuo avvocato, non con te). Ricorda comunque: dal deposito della domanda di concordato minore, per legge scatta una moratoria delle azioni esecutive (analoga a quella del concordato preventivo, art. 54 CCII). E nella liquidazione controllata, dall’apertura, idem. Quindi il periodo “scoperto” è solo quello della preparazione.
D7: I fornitori possono rifiutarsi di consegnarmi merce durante la procedura concorsuale?
R7: Possono certamente esigere il pagamento anticipato per nuove forniture, ma non possono avere pretesti per non venderti se tu paghi regolarmente il nuovo ordine. Mi spiego: se sei in concordato, i debiti sorti dopo l’apertura della procedura si definiscono prededucibili, cioè devono essere pagati per primi e integralmente (servono proprio a permettere la continuazione dell’attività). Quindi un fornitore che ti vende merce dopo l’apertura, può confidare che se anche la procedura andasse male, il suo credito sarà prededucibile e pagato prima di tutti gli altri (salvo mala gestione). Tuttavia, molti fornitori per prudenza preferiranno non fare più credito e chiedere pagamento alla consegna. È un loro diritto contrattuale non darti più fido commerciale. Non possono invece sospendere un contratto di fornitura continuativa in essere solo perché hai presentato un concordato: la legge vieta espressamente di interrompere forniture essenziali per il fatto dell’apertura della procedura (è clausola inefficace). Quindi, ad esempio, il tuo fornitore di prodotti erboristici con cui hai un contratto annuale non può rescinderlo unilaterlamente adducendo il concordato. Può chiederti garanzie per le nuove consegne. In pratica, dovrai riorganizzare un po’ i rapporti: alcuni fornitori magari li pagherai in anticipo per non perdere la fornitura, altri li sostituirai. Tieni presente anche la possibilità di finanziamenti prededucibili o di terzi: in concordato è consentito cercare finanza esterna (anche da parenti) garantendo che verrà rimborsata in prededuzione. Ciò potrebbe aiutarti a pagare i fornitori chiave e mantenere aperto il canale.
D8: Quanto costa e quanto dura in media una procedura di sovraindebitamento?
R8: I costi variano in base alla complessità e al numero di creditori, ma ci sono alcune voci certe: – Compenso dell’OCC/gestore: è stabilito dal giudice, spesso percentuale sul debito o sull’attivo liquidato. Per piccoli debiti può essere poche migliaia di euro. Tendenzialmente i costi OCC per consumatore vanno sui 4-6% dell’importo gestito, ma con minimi tariffari che spesso sono attorno a 2.000 €. – Spese di procedura: bolli, contributo unificato (che è ridotto per sovraindebitamento, attualmente €98), eventuali pubblicazioni. Non rilevanti. – Compenso dei professionisti di supporto: se ti avvali di un avvocato o commercialista per assisterti (cosa molto consigliata), dovrai considerare il loro onorario, da concordare. Molti OCC operano tramite professionisti che chiedono un fondo spese iniziale. – Tempi: anche qui varia. Un piano del consumatore semplice può essere omologato in 4-6 mesi. Un concordato minore con voto può richiederne 6-12. La fase di esecuzione poi dipende dal piano: se prevede rate per 4 anni, durerà 4 anni più il tempo di chiusura formale. La liquidazione controllata ha un limite di 3 anni per la liquidazione attiva e poi l’esdebitazione, ma se l’attivo è molto semplice (es. una casa da vendere) potrebbe chiudersi prima. In media comunque, dalla presentazione della domanda di liquidazione all’esdebitazione finale calcola 3-4 anni. Per i concordati minori, se c’è continuità, dipende dal piano (possono arrivare anche a 5 anni).
Considera che durante questi anni vivrai con delle limitazioni di budget se il piano prevede che tu versi mensilmente una parte del reddito (il giudice in genere lascia al debitore un importo per vivere dignitosamente, il resto va ai creditori). Non potrai inoltre contrarre nuovi debiti senza autorizzazione (per non compromettere il piano). Quindi è un periodo di “disciplina finanziaria” piuttosto stringente. L’alternativa è il perdurare delle esecuzioni senza fine… quindi meglio qualche anno di sacrificio con luce in fondo al tunnel, che l’incertezza perpetua.
D9: Una volta uscito dalla procedura, la mia storia rimane pubblica? I clienti sapranno che ho avuto debiti?
R9: Le procedure di sovraindebitamento sono pubbliche in quanto iscritte in registri (Registro delle procedure di insolvenza tenuto nelle cancellerie) e a volte annotate nei registri immobiliari se ci sono immobili. Tuttavia, diversamente dai fallimenti, non esiste un pubblico registro dei sovraindebitati consultabile da chiunque. La pubblicità avviene con l’iscrizione nel casellario informatico dei procedimenti civili accessibile a organi pubblici e banche dati specializzate. In pratica, un cliente qualunque difficilmente lo verrà a sapere, a meno che non vada a spulciare archivi di tribunale o che la cosa sia finita sui giornali locali (capita raramente e solo per casi eclatanti o personaggi noti). Anche i fornitori nuovi non vedranno segnalazioni in CRIF perché quelle attengono a ritardi su prestiti. La tua centrale rischi di Banca d’Italia segnalerà magari “sofferenze chiuse” quando l’esdebitazione estingue i debiti bancari (qualcosa appare, ma come posizione chiusa). In sostanza, dopo qualche tempo la cosa diventa storia passata. Certo, i vecchi creditori lo sapranno per sempre (loro erano parte del procedimento), ma se hai soddisfatto la percentuale concordata e sei stato esdebitato, molti di loro – a meno rancori personali – ti considereranno un ex debitore e potenzialmente un cliente nuovamente affidabile, specie se la causa del default è stata superata. Legalmente, decorsi 5 anni dall’esdebitazione, puoi anche chiedere la cancellazione del tuo nome dai registri dei protesti e simili se vi figurasse. Non risulti nemmeno come “fallito” perché quella dicitura oggi neppure si usa per i sovraindebitati. In un certificato camerale della tua nuova ditta non comparirà nulla. Quindi direi: a parte una ferita nella propria memoria, non rimangono marchi indelebili pubblici. L’Italia ha voluto proprio favorire il reinserimento, allineandosi all’idea che il fallimento può capitare e non deve precludere il futuro.
D10: Se l’erboristeria è una S.r.l. indebitata, i soci possono accedere a procedure di sovraindebitamento per le garanzie che hanno dato?
R10: Sì. Questo è un punto interessante: immagina che l’erboristeria “ErbeVerdi S.r.l.” abbia 3 soci che firmarono fideiussioni alla banca. La S.r.l. in crisi farà magari un concordato preventivo (da fallibile). I soci però, a titolo personale, si ritroveranno il debito verso la banca (se questa escute la fideiussione per la parte non pagata dal concordato della società). E magari quei soci hanno anche debiti personali. Ebbene, essi possono certamente ricorrere alle procedure da sovraindebitamento come persone fisiche. Anzi, il Codice prevede espressamente tra i soggetti non fallibili ammessi anche i fideiussori di imprenditori e professionisti. Quindi, nel nostro esempio, il socio Tizio potrà presentare un piano del consumatore (se quel debito della fideiussione è l’unico e lui era un privato) oppure un concordato minore personale se magari ha anche una partita IVA autonoma. Ci sono stati casi di piani del consumatore per ex soci garanti di società fallite. Attenzione però: se i debiti del socio derivano in gran parte da quell’attività (essere garante di una società può essere considerata attività imprenditoriale indiretta?), la giurisprudenza è variegata, ma in genere il socio fideiussore non viene considerato consumatore per il debito di garanzia, perché lo ha assunto per finalità imprenditoriali (utili alla società). Tanto che Pianodebiti cita proprio l’esempio del socio garante: se include quel debito nel piano consumatore, il piano non va. Dovrebbe allora fare un concordato minore lui stesso. In sostanza: i soci di S.r.l. possono dover attivare procedure personali per sistemare ciò che li ha colpiti come garanti, separatamente dalle sorti della società. E sì, la legge lo consente. Nell’ottica del gruppo familiare, nulla vieta che la società faccia la sua procedura e contestualmente i soci le loro (in coordinamento magari). Serve una cabina di regia unica per farle marciare parallele, ma è fattibile.
Queste FAQ coprono molti dubbi tipici. Naturalmente ogni caso concreto presenta sfumature, quindi è sempre opportuno farsi assistere da professionisti per le proprie specifiche circostanze.
Passiamo ora a qualche tabella riepilogativa per condensare le informazioni chiave in forma sintetica, e successivamente proporremo delle simulazioni pratiche a scopo illustrativo.
Tabelle riepilogative
Per facilitare la comprensione, presentiamo alcune tabelle riassuntive dei concetti esposti:
Tabella 1: Tipologie di creditori e azioni esecutive vs. possibili difese
| Tipo di creditore | Esempi di azioni di recupero | Particolarità/limiti legali | Strumenti di difesa/dilazione |
|---|---|---|---|
| Fisco (Erario, tributi) | Cartella esattoriale; Fermo auto; Ipoteca immobili; Pignoramento conto, stipendio, immobili | – Prima casa impignorabile da AER se unico immobile, residenza, non lusso.<br>– Pignoramento immobiliare solo oltre 120.000 € di debito.<br>– Necessaria iscrizione ipoteca 6 mesi prima. | – Rateizzazione fino a 72/120 rate (DPR 602/73).<br>– Definizione agevolata (“rottamazione”) se prevista da legge.<br>– Piano di sovraindebitamento con possibile falcidia tributi (anche IVA).<br>– Istanze di sgravio/ricorso se il debito è contestabile. |
| Enti previdenziali (INPS, INAIL) | Cartella esattoriale (per contributi); Ipoteca; Pignoramento beni. | – Trattamento analogo al Fisco (ruolo esattoriale).<br>– Omesso versamento ritenute > €10k annuo = reato (multa) se non regolarizzato. | – Rateizzazione amministrativa (anche oltre 72 rate con Durc interno).<br>– Eventuali condoni su interessi e sanzioni (leggi speciali).<br>– Inclusione in piano/accordo con possibile pagamento parziale (equiparati a crediti privilegiati). |
| Banche e finanziarie | Decadenza dal beneficio del termine (richiesta immediata dell’intero); Decreti ingiuntivi; Pignoramento beni ipotecati; Azione su fideiussori. | – Se credito ipotecario: priorità su bene ipotecato; banca può avviare esecuzione immobiliare appena titolo esecutivo (mutuo non pagato) e iscrivere ipoteca giudiziale.<br>– Se fideiussione: può scegliere se colpire il debitore principale o il garante (o entrambi). | – Rinegoziazione mutuo (allungamento, piano di rientro) se banca concorda.<br>– Moratorie di settore (accordi ABI) in caso di crisi riconosciuta.<br>– Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII) con consenso banche per evitare insolvenza.<br>– Concordato preventivo/minore: possibile cram down dei crediti bancari (pagamento parziale) se approvato/omologato. |
| Fornitori commerciali e altri chirografari | Solleciti e diffide; Decreto ingiuntivo (titolo in ~2 mesi se non opposto); Pignoramento conti, merci, attrezzature; Istanza di fallimento (se debito rilevante, soggetto fallibile). | – Nessun limite specifico: possono colpire qualsiasi bene del debitore (compresa prima casa) per soddisfarsi.<br>– Crediti da forniture possono avere interessi moratori (D.Lgs.231/2002) elevati se non pagati nei termini contrattuali. | – Accordi transattivi a saldo e stralcio o piani di rientro (anche informali) riconoscendo il debito.<br>– Nel sovraindebitamento: possibile pagamento parziale e moratoria pagamenti fino a 1 anno anche ai privilegiati; i fornitori chirografari tipicamente recuperano pro-quota secondo il piano.<br>– Opposizione a decreti ingiuntivi se il credito non è certo (guadagna tempo per negoziare). |
| Dipendenti (crediti di lavoro) | Decreti ingiuntivi per stipendi/TFR; Insinuazione nel fallimento; Potenziale richiesta di fallimento (anche un solo dipendente non pagato può farlo, ma raro). | – Crediti ultimi 90 giorni di lavoro e TFR hanno privilegio generale sui mobili e immobili (entro un massimale per immobili).<br>– Fondo di Garanzia INPS paga TFR e ultimi stipendi se datore insolvente (surroga INPS nel credito). | – Tentare accordo con dipendenti (rate su arretrati, magari offrendo garanzie personali).<br>– Se procedura concorsuale: crediti lavoro privilegiati pagati prima dei chirografari, spesso integralmente o con alta percentuale.<br>– Ammortizzatori sociali (es. CIG) se crisi temporanea, per evitare accumulo di stipendi non pagati. |
| Locatore (affitto negozio) | Sfratto per morosità (in ~2-3 mesi); Decreto ingiuntivo per canoni arretrati; Escussione cauzione; Pignoramento beni del conduttore. | – Può eseguire distacco utenze se intestate a lui (ad es. riscaldamento centralizzato) per morosità canoni.<br>– Ha privilegio sui beni mobili nell’immobile affittato (pegno legale) per canoni ultimi 2 anni. | – Concordare dilazione sul pregresso per evitare sfratto (spesso proprietario preferisce incassare tardi che avere locale sfitto).<br>– In concordato, il locatore è chirografario per i canoni scaduti (salvo privilegio pegno legale); può opporsi se non soddisfatto ma non può proseguire sfratto durante la procedura protetta. |
Tabella 2: Confronto tra principali procedure di gestione della crisi (debitori non fallibili vs fallibili)
| Caratteristiche | Piano del consumatore (ora “piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore”) | Concordato minore (ex accordo per soggetti non fallibili) | Liquidazione controllata (sovraindebitamento) | Concordato preventivo (impresa fallibile) |
|---|---|---|---|---|
| Soggetti ammessi | Solo persona fisica consumatore (debiti estranei attività imprenditoriale). | Debitori non fallibili esercenti attività (imprenditori minori, professionisti). | Qualunque debitore non fallibile (consumatore o piccolo imprenditore). | Imprenditori commerciali fallibili (incl. società) in crisi o insolvenza. |
| Organo ausiliario | OCC nomina un Gestore della crisi, che redige relazione e assiste debitore. | OCC/Gestore; dopo ricorso il Tribunale può nominare Commissario se necessario. | Liquidatore nominato dal Tribunale gestisce il patrimonio. | Commissario Giudiziale nominato per vigilare (nelle procedure in continuità). Curatore se poi liquidatorio. |
| Ruolo dei creditori | Nessun voto: decide il giudice sull’omologa . Creditori possono presentare osservazioni o opposizioni, ma non votano. | Voto vincolante: serve 50% del totale crediti votanti a favore. Se quorum raggiunto, giudice omologa salvo irregolarità. | Nessun voto: i creditori presentano domande di insinuazione, il liquidatore distribuisce secondo prelazioni. | Voto per classi o per maggioranza legale: serve maggioranza >50% crediti in ogni classe o 50% totale (dipende dal tipo di concordato). Omologa giudiziale (possibile cram down classi dissenzienti con certe condizioni). |
| Pagamento creditori | Secondo piano, può essere parziale e differito. Non obbligo di soglia minima per chirografari (possono essere falcidiati totalmente se giudice ritiene equo). Privilegiati vanno pagati salvo deroga se alternativa liquidatoria peggiore (richiede perizia comparativa). | Come concordato preventivo in miniatura: possibile dividendo parziale ai chirografari (nessuna soglia minima fissata, ma va garantito > liquidazione); privilegiati pagati almeno per valore di liquidazione del bene su cui hanno prelazione. Possibile anche soddisfazione in continuità (pagamento col reddito futuro). | Liquidazione dei beni: creditori privilegiati soddisfatti per prelazione su ricavato; chirografari dividendo sul residuo. Spesso percentuali basse (dipende dall’attivo realizzato). | Se in continuità: pagamento integrale privilegiati (salvo accordo diverso) e almeno 20% chirografari se concordato liquidatorio puro (in continuità la soglia 20% non si applica). Possibile suddivisione in classi con trattamenti differenziati. |
| Durata tipica | Dipende dal piano: spesso 4–5 anni di pagamenti se ci sono redditi futuri. Procedura di omologa ~6 mesi. | Durata variabile: se c’è continuità può prevedere pagamenti su più anni (3-5). Se liquidatorio, tempi di vendita beni. Procedura di voto/omologa ~6-12 mesi. | Max 3 anni per liquidare l’attivo (estendibile a 4 per vendite immobiliari). Esdebitazione a fine procedura. | Concordato preventivo in continuità può durare diversi anni di esecuzione. La fase di omologa ~6-12 mesi.<br>Liquidazione giudiziale: mediamente 5 anni, ma può protrarsi più a lungo per complessità. |
| Esdebitazione | Automatica a fine piano omologato: i creditori non possono perseguire il debitore per la parte tagliata (effetto dell’omologa) . | Automatica dopo esecuzione del concordato: omologa + attestazione di adempimento liberano il debitore residualmente. Se non esegue, può essere revocata l’omologa. | Sì, al termine: il giudice dichiara esdebitato il debitore persona fisica (se meritevole e cooperativo). Possibile anche esdebitazione anticipata incapiente (senza attivo) su istanza. | Per persona fisica imprenditore: può chiedere esdebitazione entro 1 anno dalla chiusura del fallimento/liquidazione giudiziale, concessa se soddisfatti requisiti (pagati almeno in parte creditori oppure insolvibilità non dovuta a frodi). Per società, si estingue con la cancellazione ma soci non esdebitati. |
| Vantaggi | – Niente voto creditori: più facile ottenere omologa se il piano è serio. <br>– Debitore consumatore “protetto” da criteri più favorevoli di meritevolezza (basta assenza frode o colpa grave).<br>– Mantiene patrimonio se piano sostenibile (non liquida tutto, solo quello previsto). | – Accessibile a piccole imprese.<br>– Consente continuità aziendale con tutela da azioni esecutive.<br>– Maggioranza richiesta più bassa rispetto a concordato preventivo classico (50%).<br>– Flessibilità: può prevedere cessione beni, pagamento futuri, apporto terzi. | – Elimina interamente i debiti in eccesso dopo liquidazione attivo: fresh start reale in tempi relativamente brevi.<br>– Procedura relativamente semplice (simile a un fallimento ma senza implicazioni d’infamia).<br>– Debitore non resta gestore ma può collaborare col liquidatore. | – Strumenti consolidati per crisi d’impresa strutturate.<br>– Concordato preventivo in continuità permette salvare azienda e posti di lavoro su scala più ampia.<br>– Accordi di ristrutturazione meno pubblici (ma servono percentuali adesioni elevate).<br>– Liquidazione giudiziale scarica sul curatore la gestione e indagini (utile se vi sono contenziosi da far partire contro terzi, ecc.). |
| Svantaggi | – Riservato a debiti non imprenditoriali: limita l’uso per titolare di erboristeria se ha debiti misti (deve escludere quelli di impresa, il che può ridurne l’efficacia).<br>– Necessità comunque di reddito disponibile per offrire un piano appetibile (se il consumatore non ha alcun surplus, deve optare per liquidazione ed esdebitazione incapiente). | – Richiede coordinamento con OCC e votazione creditori: se molti creditori o banche contrarie, può fallire il voto.<br>– Debitore deve convincere almeno metà dei crediti: serve trasparenza e proposta equilibrata (no imposizione unilaterale come nel piano consumatore).<br>– Se emergono opposizioni o mancato voto, si perde tempo (anche se c’è via di conversione in liquidazione). | – Comporta la cessazione attività (salvo casi in cui socio terzo rileva azienda da liquidatore).<br>– Debitore spossessato di tutti i beni: doloroso ma necessario.<br>– Se emergono atti in frode precedenti, il beneficio esdebitazione può essere negato (anche se questo vale un po’ per tutte le procedure). | – Costi procedura elevati (soprattutto concordato, perizie, compensi commissari, ecc.).<br>– Maggiore formalismo (es. necessità di classi se creditori differenziati, soglie 20% in liquidatorio, ecc.).<br>– Publicità sul Registro Imprese per concordato/ADR: impatta reputazione durante la procedura. |
Tabella 3: Forma giuridica dell’erboristeria e impatto su debiti e responsabilità
| Forma giuridica | Responsabilità per i debiti | Procedure applicabili | Note |
|---|---|---|---|
| Ditta individuale | Illimitata: titolare risponde con tutti i beni presenti e futuri (art. 2740 c.c.). Nessuna separazione tra patrimonio impresa e personale. | Sovraindebitamento (piano consumatore se debiti personali, concordato minore se debiti d’impresa, liquidazione controllata). Fallimento/liquid. giudiziale non applicabile se “piccolo imprenditore” (sotto soglie). | – Prima casa protetta da pignoramento fiscale se unico imm. (come sopra).<br>– Possibilità di esdebitazione personale post liquidazione.<br>– Fondo patrimoniale non protegge da debiti professionali di norma. |
| Società di persone (S.n.c., S.a.s.) | Soci illimitatamente responsabili (tutti i soci SNC; accomandatari SAS) rispondono solidalmente coi beni sociali. Beneficio di escussione: creditore deve prima aggredire patrimonio sociale. Soci accomandanti SAS rischiano solo capitale conferito (ma perdono beneficio se ingeriscono in amministrazione). | Sovraindebitamento possibile per soci come persone fisiche sui loro debiti personali derivanti da garanzie ecc. La società in sé: soggetta a fallimento se supera soglie (in genere una SNC può essere dichiarata fallita anche se piccola, prassi variabile). Procedure concordato minore teoricamente per imprenditore minore (anche società commerciale sotto soglie potrebbe accedervi). | – Creditori possono aggredire patrimonio personale soci per debiti sociali non soddisfatti dalla società (art. 2304 c.c.).<br>– Uscita del socio: resta responsabile per debiti antecedenti uscita per 5 anni (art. 2290).<br>– Soci illimitati possono chiedere esdebitazione personale dopo fallimento società (Cass. civ. SU 2017 ha chiarito la possibilità). |
| Società di capitali (S.r.l., S.p.A.) | Società ha autonomia patrimoniale perfetta: risponde solo col proprio patrimonio. Soci non sono obbligati oltre conferimenti, amministratori neppure (salvo garanzie personali prestate). Eccezioni: azione di responsabilità verso amministratori per mala gestio; obbligo soci di restituire utili indebiti o versamenti non effettuati; responsabilità verso erario di liquidatori in caso di distribuzione attivo senza pagamento debiti fiscali (art. 2495 c.c.). | Società fallibile (nessuna soglia dimensionale minima: anche una SRL piccolissima è soggetta a fallimento/liquidaz. giudiziale). Quindi può accedere a: concordato preventivo, accordi ristrutturazione, liquidazione giudiziale, composizione negoziata ecc. Non alle procedure da sovraindebitamento (riservate a non fallibili). | – Spesso banche/fornitori chiedono fideiussioni soci o di amministratori: in tal caso di fatto i soci/ammin. diventano co-obbligati personali (per quella quota garantita).<br>– Fallimento società non coinvolge soci, ma se soci hanno garantito, i creditori escutono garanzie e soci possono a loro volta accedere a procedure da sovraindebitamento per quei debiti di regresso.<br>– Socio unico risponde dei debiti solo se non ha adempiuto pubblicità socio unico (art. 2462 c.c.), caso raro.<br>– Liquidazione volontaria società non esdebita i debiti: se la società non paga tutti, i creditori sociali possono chiedere il fallimento entro un anno dalla cancellazione o escutere garanzie dei soci se date. |
(Note: le procedure elencate per forme societarie sono quelle principali; esistono casi particolari come l’imprenditore agricolo, sempre non fallibile, che potrebbe essere soggetto a sovraindebitamento a prescindere da dimensioni, oppure le start-up innovative esenti da fallimento per i primi anni, ecc. qui non approfonditi.)
Simulazioni pratiche
Per rendere più concreto quanto esposto, presentiamo due scenari ipotetici di erboristerie indebitate e le possibili soluzioni adottate, dal punto di vista del debitore.
Caso 1: Concordato minore in continuità – “Erboristeria Natura Viva”
Scenario: Maria è titolare della “Erboristeria Natura Viva”, ditta individuale avviata 10 anni fa. Negli ultimi anni, complici il calo di vendite e alcune scelte imprenditoriali sbagliate, l’attività ha accumulato circa €120.000 di debiti così composti: €30.000 con fornitori di merce (diversi piccoli creditori), €20.000 di affitto arretrato col proprietario del locale, €25.000 con la banca (scoperto di c/c garantito da firma di Maria e di suo marito), €15.000 di contributi INPS non pagati e €30.000 di imposte (IVA e IRPEF) risultanti da cartelle esattoriali. Maria possiede come beni la merce in magazzino (valore acquisto €10.000, vendita forse €20.000), l’arredamento e attrezzature del negozio (valore usato €5.000). Non ha immobili di proprietà (vive in affitto), né auto di valore (ha un’utilitaria di 8 anni). L’erboristeria continua a fatturare, ma quel che incassa copre a stento le spese correnti; è in leggero attivo mensile (circa €500 al mese disponibili se non pagasse debiti pregressi). Maria vorrebbe evitare di chiudere perché ama il suo lavoro e crede che, alleggerita dai debiti, l’attività potrebbe tornare redditizia, anche grazie a una recente fidelizzazione di clienti per prodotti bio. Tuttavia i creditori premono: il proprietario minaccia lo sfratto, i fornitori non consegnano se non a vista, la banca ha revocato il fido trasformando il debito in “scaduto” e minaccia decreto ingiuntivo. Le cartelle esattoriali sono già state notificate e parte del debito è all’Agenzia Riscossione (che ha messo fermo all’auto di Maria).
Soluzione adottata: Maria si rivolge a un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) locale per valutare la situazione. Dato che è imprenditrice minore (sotto soglie fallimento) e i suoi debiti sono in gran parte d’impresa, l’OCC la indirizza verso un concordato minore in continuità. Viene nominato un professionista gestore, il quale redige una relazione sulla situazione economica di Maria. Si stabilisce che: – Maria può destinare €500 al mese per 5 anni ai creditori, pari a €30.000 complessivi, provenienti dagli utili futuri dell’attività (significa che dovrà mantenere un rigore gestionale per generare almeno €500/mese di surplus, cosa ritenuta fattibile riducendo un part-time e con i margini attuali). – Maria può cedere immediatamente il magazzino rimanente e l’attrezzatura: si prevede di ricavare €15.000 (vendita in blocco a un concorrente o a un grossista che rilevi le scorte, magari a sconto rispetto al prezzo al dettaglio). Questo importo entrerà subito nella massa a beneficio creditori. – Si valuta se il marito di Maria può dare una mano: egli, volendo supportare la moglie, è disponibile a conferire €10.000 dalla propria liquidazione. Questo contributo di un terzo è un apporto esterno che rafforza la proposta. – In totale, quindi, il piano offre circa €55.000 (€15.000 da cessione beni + €10.000 terzo + €30.000 futuri in 5 anni) da ripartire tra i creditori.
Ora, i debiti sono 120k: offrendo 55k, il dividendo medio sarebbe del 45%. L’OCC calcola però il valore di liquidazione: se Maria chiudesse e liquidasse in fallimento o liquidazione controllata, i creditori avrebbero preso molto meno, perché: – Beni venduti in fretta: forse €10k totali, – Qualche anno di attesa, – I privilegiati (INPS, Fisco, banca ipotecaria se ipotesi) avrebbero assorbito quasi tutto quel poco. – Quindi stima ritorno in liquidazione: circa 10-15%.
Il piano di concordato minore proposto da Maria è: pagare il 45% a tutti i creditori in 5 anni, così articolato: – Creditore privilegiato INPS: ha privilegio per €15k. Riceverà 100% del suo credito (ma dilazionato) perché Maria vuole tutelare i contributi dei dipendenti (in realtà Maria è senza dipendenti, quei 15k erano gestione commercianti quindi privilegio sì ma grado inferiore; comunque, nel piano lo paga per intero magari per semplicità e perché importo gestibile). – Creditore Erario (Agenzia Entrate): su €30k tra IVA e IRPEF, anch’esso privilegi in parte. Si propone di pagare il 50% (15k) dilazionato in 5 anni senza interessi. L’OCC evidenzia che ciò è più di quanto l’Erario otterrebbe liquidando (forse zero, data la mancanza di beni immobili). – Banca (scoperto €25k): è chirografaria (non aveva ipoteca, solo fideiussione). Si propone 45%, quindi €11,250, in 5 anni (la banca potrebbe votare contro volendo di più, ma nota che se Maria chiude, otterrà poco o nulla – sì potrebbe perseguire il marito garante, ma il marito se messo troppo alle strette potrebbe a sua volta fare sovraindebitamento, quindi la banca considererà la proposta). – Fornitori (€30k) e Locatore (€20k): chirografari anch’essi. Proposta 45%: fornitori prendono 13,500 totali ripartiti proporzionalmente al credito, il locatore €9,000. Il locatore peraltro mantiene Maria come inquilina, quindi ha interesse a farla restare e ripagare il debito parzialmente piuttosto che sfrattarla e magari non trovare subito un nuovo conduttore.
In totale i 55k coprono: 15k INPS + 15k Fisco + ~11,250 banca + 13,500 fornitori + 9,000 locatore = 63,750, che eccede 55k – c’è un gap. L’OCC rivede il piano per trovare l’equilibrio: magari ridistribuisce leggermente: – INPS 100% 15k, – Fisco 50% 15k, – Banca 40% 10k (banca spesso preferisce concordare stralcio se esce subito, quindi forse accetta 10k in due soluzioni: 5k subito da quei 15k iniziali e 5k su 5 anni), – Locatore 50% 10k, – Fornitori ~35% 10k (tra tutti).
Così i conti tornano a 15+15+10+10+10 = 60k. Per colmare fino a 60k, Maria decide di allungare il piano di un altro anno di rate, portando contributo futuri a €36.000 (6 anni x 500€). Oppure vede se qualche fornitore rinuncia a qualcosa. Diciamo che con uno sforzo accetta di prolungare un anno.
Il Tribunale ammette la procedura di concordato minore. Viene convocata l’assemblea dei creditori: – L’Erario non vota (nel concordato minore votano tutti i chirografari e i privilegiati degradati). Se Erario fosse privilegiato per IVA, non integrale: comunque presume diciamo che voti tramite l’Agente Riscossione – se la proposta è 50% su IVA, a norma la falcidia IVA oggi è ammessa per legge, l’AE valuterà se votare a favore. Spesso l’AE tende all’astensione nei piani dei piccoli debitori, il che equivale a non impedire il raggiungimento del quorum. – L’INPS come creditore privilegiato se è pagato al 100% potrebbe non aver diritto di voto (credito privilegiato non falcidiato = non votante). – La banca vota presumibilmente SÌ, perché ha garanzie limitate e prendere 10k su 25 in 5-6 anni è forse meglio che rischiare nulla. Potrebbe opporsi se ritenesse che il marito ha soldi e preferirebbe escutere lui. Ma il marito se la banca agisse potrebbe a sua volta fare piano del consumatore. Quindi la banca negozia e vota sì. – I fornitori: la maggior parte, stante che ricevono comunque qualcosa (in un fallimento avrebbero preso briciole, forse 0-10%), tendono a votare a favore. Magari qualche piccolo creditore manco partecipa (astenuto = come non votante). – Il locatore: probabilmente concorda perché così recupera metà dell’arretrato e Maria continua a pagargli canone corrente regolare (nel piano c’è anche impegno a pagare puntuale i canoni futuri). Evita di dover sfrattare e cercare un nuovo conduttore.
Alla fine, il 50% + dei crediti votanti vota Favorevole. Supponiamo: banca + locatore + metà fornitori cumulativamente superano la soglia. Il Tribunale quindi omologa il concordato minore. Viene nominato un Liquidatore o attestatore per gestire la liquidazione dell’attivo promesso: – Maria consegna il magazzino al liquidatore, che lo vende realizzando i €15.000 attesi. – Il marito di Maria versa i €10.000 promessi (spesso depositati su conto procedura). – Queste somme iniziali (25k) vengono distribuite subito secondo le percentuali concordate (magari pagando per intero i privilegiati INPS e dando un acconto agli altri). – Maria prosegue l’attività, sotto la supervisione leggera di un OCC, e ogni mese versa €500 sul conto dedicato della procedura. – I creditori ricevono le rate annualmente o come stabilito.
Maria onora tutti i pagamenti per 6 anni. La sua erboristeria, alleggerita dal debito, riesce effettivamente a stare sul mercato: con i fornitori ha rapporti migliorati (lei paga in anticipo i nuovi ordini, ma grazie all’assenza di vecchi pagamenti può permetterselo), il proprietario è soddisfatto perché torna a incassare regolarmente l’affitto corrente. La banca ha declassato la sua posizione ma incassa le rate concordatarie; Maria nel frattempo non fa nuovi debiti bancari (evita fidi, lavora solo in contanti).
Al termine dei 6 anni, Maria ha versato tutto il previsto. Il Tribunale dichiara la chiusura del concordato minore per avvenuto adempimento. A quel punto, Maria è esdebitata: i circa €60.000 di debito originario non pagato (perché ne ha pagati 60 su 120) non sono più esigibili. I creditori rinunciano formalmente alle pretese residue come da omologa.
Maria può finalmente destinare i €500 mensili a sé stessa o a investimenti per migliorare il negozio. La sua attività è salva, e lei ha imparato una preziosa lezione sulla gestione finanziaria. La vicenda è pubblicata nell’archivio delle procedure, ma a parte i creditori nessuno dei suoi clienti ha saputo nulla (anche perché lei ha continuato a tenere aperto normalmente). In definitiva, grazie al concordato minore, l’erboristeria “Natura Viva” ha evitato il fallimento ed è tornata in bonis, con soddisfazione ragionevole anche dei creditori che hanno visto recuperare una parte significativa del dovuto.
Caso 2: Liquidazione controllata e chiusura – “Erboristeria Salus”
Scenario: Luigi gestiva l’“Erboristeria Salus” come S.n.c. assieme a sua moglie. Purtroppo, complice la pandemia e altre sventure, hanno accumulato debiti molto elevati: €250.000 principalmente con banche (mutuo e finanziamenti per €150k garantiti da ipoteca sul locale commerciale di proprietà della S.n.c. e da fideiussioni personali), fornitori per €50k, Fisco/INPS per €30k e altri €20k vari. Il negozio ha visto calare il fatturato del 40% e non è più profittevole; i coniugi hanno deciso di chiudere l’attività: hanno dato disdetta dell’affitto (erano in affitto, il loro immobile ipotecato era dato in garanzia ma affittato a terzi, lungo giro – comunque), licenziato l’unico dipendente (pagato grazie al Fondo di Garanzia in parte). Sono rimasti il debito enorme e pochi asset: giusto l’arredamento usato e un furgoncino vecchio. Luigi ha 60 anni, la moglie 58, pochi anni alla pensione. Hanno capito che non riusciranno mai a ripagare questi debiti. Non possiedono case (vivono in affitto da parenti), però Luigi anni prima aveva dato in garanzia un immobile ereditato (un piccolo magazzino) alla banca – ipoteca che ora la banca minaccia di escutere. Per il resto, i creditori si stanno muovendo: decreti ingiuntivi già piovuti, l’Agenzia Riscossione ha messo ipoteca sul magazzino pure lei e minaccia di espropriarlo per i €30k.
Soluzione adottata: I coniugi valutano con un legale che la società S.n.c. verrà presumibilmente dichiarata fallita (superano sicuramente le soglie di fallibilità, debiti €250k > €500k no soglia, attivo difficile dire, però un creditore – la banca – sta per presentare istanza di fallimento). Per evitare complicazioni (bancarotta etc.), decidono di prendere l’iniziativa: sciolgono la società e presentano istanza di liquidazione controllata come persone fisiche sovraindebitate. Anche se la S.n.c. è fallibile, essendo piccoli imprenditori potrebbero essere considerati non fallibili perché la loro attività di fatto rientra forse nelle soglie (qui c’è dubbio, ma supponiamo riescano in questa strada; in caso contrario sarebbe fallimento società e estensione ai soci, poi esdebitazione).
Presentano quindi al Tribunale un ricorso per liquidazione controllata congiunta familiare (sono coniugi, coobbligati, si può fare unica procedura). Nel ricorso elencano tutto il loro passivo e l’attivo: – Attivo: zero liquidità, arredi per valore di realizzo €5k, un furgone €3k, un magazzino ereditato in comune (valore €40k) su cui c’è ipoteca banca €60k e ipoteca Equitalia €10k (quindi over-encumbered: vendendolo forse ci si pagherà solo parzialmente la banca). – Non hanno casa di proprietà né altri beni significativi.
Il Tribunale ammette la liquidazione. Nomina un Liquidatore. Da quel momento: – Tutte le azioni dei creditori sono sospese (niente pignoramenti autonomi). – Luigi e moglie vengono spossessati di quell’esiguo patrimonio: il liquidatore prende in carico la vendita dei beni.
Il Liquidatore: – Vende il furgone all’asta e ottiene €3k. – Vende gli scaffali/attrezzature: €4k. – Per il magazzino ipotecato, la banca e l’Agenzia Entrate Riscossione propongono di evitar l’asta se trovano un acquirente. Comunque, si stima che quel magazzino verrà venduto a €40k. La banca (creditore ipotecario primo grado) prenderà tutto quel ricavato e rimarrà ancora scoperta per €20k (avendo credito €60k). L’ADER come ipoteca di secondo grado non prenderà nulla (perché il primo grado ha esaurito il ricavato) – ma l’ADER ha anche un credito chirografo per residuo imposte, che comunque rientra nel concorso generale. – I €7k liquidi da furgone+arredi vanno al liquidatore: ci pagherà innanzitutto le spese di procedura (mettiamo €5k tra compensi e costi), restano €2k per i creditori chirografari. Un’inezia, verranno spartiti in percentuale simbolica.
In sostanza, i creditori privilegiati: – Banca ipotecaria: prenderà €40k (dal magazzino). Su €60k, le resteranno €20k insoddisfatti come chirografo (ma Luigi e moglie verranno esdebitati, quindi la banca li perde – se c’è un terzo garante, potrebbe agire verso quello, ma non c’è). – Erario: aveva ipoteca €10k sul magazzino ma secondo grado, quindi 0 da lì. Aveva anche privilegio generale su mobili per parte dei €30k (IVA etc.), ma mobili praticamente non c’è ricavato (anche quei 2k andranno pro quota anche a lui). – Dipendente: (uno) ha TFR €5k e 2 stipendi €3k, ma il Fondo di Garanzia li ha già anticipati, subentrando come INPS credito privilegiato. L’INPS come privilegio prenderà forse qualche centinaio di euro pro-quota sui 2k residui attivo mobiliare. – Fornitori: chirografari per €50k, prenderanno forse l’1% (pochi euro). – Banca chirografa: avevano anche un finanziamento di €30k senza garanzie; pure 1% se va bene.
Completata la liquidazione (in un anno circa riescono a vendere tutto e distribuire), il liquidatore redige il piano di riparto finale: praticamente la banca garantita ha preso il suo, gli altri quasi nulla. Il Tribunale chiude la procedura. Luigi e sua moglie, essendo persone fisiche meritevoli (non hanno compiuto atti di frode, hanno collaborato), ottengono dal giudice l’esdebitazione integrale dei debiti rimasti.
Ciò significa che, dopo la chiusura, dei €250k di debiti, considerato che i creditori ne hanno recuperati grosso modo 40k (banca) + 2k (resto) = 42k, i restanti €208.000 vengono cancellati. Né i creditori privati né il Fisco potranno più pretendere nulla da Luigi e consorte.
Gli effetti pratici: – La banca per il mutuo ipotecario ha perso 20k, ma aveva accantonato l’ipoteca – amen. – I fornitori hanno dovuto mettere a perdita praticamente tutto (ma se Luigi non avesse fatto la procedura, probabilmente non avrebbero recuperato comunque nulla perché Luigi non ha beni). – L’Erario ha perso 30k, tuttavia grazie alla procedura risparmia di spendere soldi in pignoramenti infruttuosi. – Luigi e la moglie hanno chiuso l’attività, ma ora possono cercare altre occupazioni o andare in pensione senza che la pensione venga pignorata (nota: la pensione sopra il minimo vitale sarebbe pignorabile, ma con l’esdebitazione non ci sono più creditori!). – Il magazzino ereditato l’hanno perso, ma era sacrificabile. Almeno hanno mantenuto la casa in affitto senza sfratti, e l’auto per uso personale (che rientrava nei beni ma di solito si lascia un’auto di modesto valore al debitore se serve per esigenze di vita, col beneplacito creditori).
Luigi decide di non ricominciare un’altra attività, data l’età. Trova un part-time come commesso presso un’erboristeria di un conoscente: paradossalmente ora, senza i debiti, riesce a vivere dignitosamente con quello stipendio, mentre se avesse tenuto aperto il negozio avrebbe continuato a generare perdite e rincorrere i creditori.
Questa simulazione illustra come la liquidazione controllata sia un’ancora di salvezza quando la continuazione non ha prospettive. In meno di 2 anni i coniugi hanno risolto la loro situazione e, per quanto doloroso abbandonare la propria azienda, hanno ottenuto la pace finanziaria. Da notare che l’esdebitazione è stata concessa anche se i creditori chirografari non hanno ricevuto praticamente nulla: questo è reso possibile proprio dalla norma dell’esdebitazione del debitore incapiente, di cui Luigi ha beneficiato (in passato, prima del 2020, i tribunali erano più restii a esdebitare se non c’era almeno un minimo pagato; ora la legge prevede espressamente la possibilità di esdebitare anche a 0%, una volta nella vita, se il debitore è meritevole e nullatenente).
Conclusioni
Affrontare una grave situazione debitoria per un piccolo imprenditore – come il titolare di un’erboristeria – è indubbiamente difficile, ma la normativa italiana offre oggi diversi strumenti di tutela e risanamento. Il punto di vista del debitore è cambiato: da soggetto passivo che subisce esecuzioni e sanzioni, a soggetto attivo che può prendere in mano la situazione, con l’aiuto della legge, per trovare una via d’uscita sostenibile.
I passaggi fondamentali per “difendersi” dai debiti sono: comprendere la propria posizione (tipi di debiti, rischi connessi), attivarsi prontamente (non aspettare il punto di non ritorno), utilizzare con competenza gli strumenti extragiudiziali (negoziazioni, accordi) e, se necessario, ricorrere senza indugio alle procedure di composizione della crisi (che sospendono le azioni esecutive e portano verso una soluzione ordinata). È essenziale inoltre affidarsi a professionisti esperti (avvocati, OCC) e interagire in buona fede con creditori e organi della procedura, mostrando trasparenza sul proprio stato: i benefici di legge (dilazioni, esdebitazione) premiano i debitori meritevoli, cioè coloro che non abusano del sistema ma anzi lo usano per rimediare a una situazione di onesto sovraindebitamento.
Dal lato pratico, il titolare di erboristeria indebitata dovrà spesso prendere decisioni difficili: ridimensionare il tenore di vita, sacrificare beni (magari la seconda auto, il magazzino, ecc.), riorganizzare la propria attività o perfino chiuderla se non più sostenibile. Queste scelte, per quanto dolorose nel breve termine, sono spesso necessarie per evitare conseguenze peggiori (pignoramenti, accumulo di ulteriori interessi, o l’impossibilità di ripartire puliti). La legge oggi, aggiornamento 2025, è dalla parte di chi è sovraindebitato senza colpa grave e vuole ricominciare. Lo dimostrano le novità normative: pensiamo all’esdebitazione “a zero”, al fatto che la meritevolezza non esige più che il debitore abbia fatto tutto perfettamente (basta che non abbia frodato), alle tutele della casa di abitazione contro il fisco. Tutti segnali di un ordinamento che vuole concedere un “secondo tempo” alle famiglie e piccole imprese in crisi.
È importante infine sottolineare che il ricorso a soluzioni concorsuali non va visto come una vergogna o una colpa, ma come un mezzo legale di gestione della crisi, analogo a una “riabilitazione economica”. Molti imprenditori di successo, in Italia e all’estero, hanno conosciuto fallimenti e debiti prima di risollevarsi – l’importante è imparare dagli errori e sfruttare le opportunità normative per voltare pagina.
Questa guida ha cercato di fornire un quadro approfondito e aggiornato al settembre 2025 su “cosa fare e come difendersi” se un’erboristeria si trova sommersa dai debiti. Abbiamo integrato aspetti giuridici avanzati con un taglio pratico, offrendo strumenti teorici (norme, sentenze) e operativi (consigli, tabelle, esempi). Ogni situazione concreta andrà calata nelle regole esposte, con l’assistenza qualificata necessaria. In fondo, però, il messaggio chiave per il debitore è chiaro: non esistono debiti insormontabili se affrontati con lucidità, trasparenza e con l’ausilio delle procedure previste dall’ordinamento. Anche dall’apparente fallimento può nascere una nuova opportunità di equilibrio finanziario e di vita, in linea col principio – oggi riconosciuto – della seconda possibilità (second chance) per chiunque agisca con onestà.
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Hai cartelle esattoriali, contributi INPS arretrati, mutui o leasing per arredamento e macchinari, e temi pignoramenti, blocchi bancari o la chiusura del negozio?
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In questa guida scoprirai perché le erboristerie entrano in difficoltà economica, quali soluzioni legali esistono per risanare i debiti, e come proteggere la tua attività o chiuderla senza rischiare tutto ciò che hai costruito.
🌿 Perché le erboristerie si indebitano
Il settore delle erboristerie e del naturale ha subito forti cambiamenti negli ultimi anni. Le cause più frequenti della crisi economica sono:
- Aumento dei costi di gestione (affitti, forniture, bollette, tasse);
- Concorrenza aggressiva di e-commerce e grande distribuzione;
- Margini ridotti sui prodotti erboristici e cosmetici naturali;
- Tassazione e contributi difficili da sostenere per piccoli imprenditori;
- Errori contabili o fiscali che generano cartelle e sanzioni;
- Calo dei consumi e dei clienti abituali.
📌 Questi problemi possono rapidamente trasformarsi in debiti fiscali, bancari e commerciali, mettendo a rischio la continuità dell’attività e il reddito familiare.
🧾 I debiti più comuni nelle erboristerie
✅ Debiti fiscali e contributivi
- IVA, IRPEF, INPS, INAIL, TARI, cartelle esattoriali e accertamenti fiscali.
✅ Debiti bancari e finanziari
- Mutui o leasing per arredamento, strumenti di lavoro, software gestionali o locali.
- Scoperti di conto o fidi bancari revocati.
✅ Debiti commerciali
- Fatture non pagate a fornitori di integratori, cosmetici, tisane, prodotti naturali o imballaggi.
✅ Debiti verso dipendenti e collaboratori
- Stipendi arretrati, contributi previdenziali non versati, TFR.
✅ Debiti personali o fideiussioni
- Garanzie firmate dal titolare o dai soci per prestiti e finanziamenti aziendali.
⚠️ Cosa rischia un’erboristeria indebitata
Se la situazione non viene gestita in tempo, potresti subire:
- pignoramenti del conto corrente o della merce in negozio;
- revoca dei fidi bancari e dei contratti di fornitura;
- blocchi nelle consegne o sospensione dei rapporti con i fornitori;
- iscrizioni di ipoteche o decreti ingiuntivi;
- perdita della reputazione commerciale o del locale.
👉 Tuttavia, oggi puoi bloccare legalmente i creditori, ristrutturare i debiti e salvare la tua erboristeria, o chiuderla senza rischiare fallimenti o sanzioni.
🧩 Le soluzioni legali per erboristerie con debiti
💠 1. Rinegoziazione dei debiti con banche e fornitori
Con l’aiuto di un avvocato puoi ottenere:
- riduzione del debito complessivo (saldo e stralcio);
- rateizzazioni più lunghe e sostenibili;
- sospensione temporanea dei pagamenti per riprendere fiato.
👉 È la soluzione ideale per chi ha ancora clienti e vuole mantenere aperta l’attività.
💠 2. Procedura di sovraindebitamento (D.Lgs. 14/2019 – Codice della Crisi d’Impresa)
È la procedura principale per ditte individuali, microimprese e piccoli commercianti.
Permette di:
- bloccare pignoramenti, cartelle e azioni dei creditori;
- proporre un piano di rientro parziale e realistico;
- ottenere la cancellazione definitiva dei debiti residui (esdebitazione).
📌 È perfetta per erboristerie a gestione familiare o con partita IVA individuale.
💠 3. Concordato minore (per SRL o società commerciali)
È una procedura giudiziale approvata dal Tribunale che consente di:
- bloccare tutte le azioni esecutive e fiscali;
- ridurre legalmente i debiti con banche e fornitori;
- preservare la continuità dell’attività e il rapporto con i clienti.
📌 È indicata per attività strutturate o con più punti vendita.
💠 4. Liquidazione controllata dei beni (ex fallimento personale)
Se l’attività non è più sostenibile, puoi chiudere legalmente e senza rischi, mettendo a disposizione solo i beni non indispensabili (arredi, scorte, attrezzature).
Alla fine della procedura, il Tribunale cancella tutti i debiti residui, consentendoti di ripartire da zero e senza pendenze.
💠 5. Verifica e contestazione delle cartelle fiscali
Molte cartelle esattoriali contengono errori di calcolo o importi prescritti.
Un avvocato può:
- verificare la prescrizione (5 o 10 anni);
- controllare errori o irregolarità nelle notifiche;
- chiedere la sospensione o l’annullamento del debito.
🌼 Cosa fare subito
✅ 1. Raccogli tutti i documenti
Prepara bilanci, cartelle, mutui, leasing, fatture, elenco fornitori e clienti.
✅ 2. Blocca i creditori con una procedura legale
Con il deposito di un piano di sovraindebitamento o concordato, tutti i creditori vengono sospesi per legge.
✅ 3. Evita nuove rateizzazioni o prestiti non sostenibili
Serve una strategia legale completa, elaborata da un avvocato esperto in crisi d’impresa e diritto tributario.
📋 Documenti utili per la difesa
- Documento d’identità e codice fiscale.
- Visura camerale e bilanci aziendali.
- Dichiarazioni fiscali e posizione INPS/INAIL.
- Contratti di leasing, mutui e finanziamenti.
- Cartelle esattoriali e accertamenti fiscali.
- Elenco fornitori, clienti e dipendenti.
- Estratti conto bancari e documentazione contabile.
⏱️ Tempi e risultati possibili
- Analisi legale e pianificazione: 1–3 settimane.
- Deposito della procedura: 1–2 mesi.
- Blocco immediato dei creditori: al momento del deposito.
- Durata del piano di rientro: da 1 a 5 anni.
🎯 Risultati concreti:
- Stop a pignoramenti e cartelle.
- Riduzione o cancellazione legale dei debiti.
- Tutela della licenza e del punto vendita.
- Ripartenza economica e reputazionale.
⚖️ I vantaggi principali
✅ Blocco immediato delle azioni dei creditori.
✅ Riduzione dei debiti fino all’80%.
✅ Continuità dell’attività o chiusura ordinata senza fallimento.
✅ Tutela del negozio e delle scorte.
✅ Ripartenza economica e personale senza rischi.
🚫 Errori da evitare
- Ignorare cartelle o solleciti dell’Agenzia delle Entrate.
- Accumulare nuovi debiti o prestiti per coprire i vecchi.
- Vendere arredi o merce senza assistenza legale.
- Pagare solo alcuni creditori peggiorando la posizione complessiva.
- Aspettare troppo prima di agire.
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🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in diritto commerciale, tributario e crisi d’impresa.
✔️ Specializzato nella difesa di negozi, farmacie ed erboristerie con debiti fiscali e bancari.
✔️ Gestore della crisi da sovraindebitamento iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Essere un’erboristeria con debiti non significa essere destinati a chiudere.
Con una difesa legale mirata e tempestiva, puoi bloccare i creditori, ridurre o cancellare i debiti fiscali e finanziari, e continuare a lavorare in modo legale e sereno, oppure chiudere in modo ordinato e senza rischi.
Il Codice della Crisi d’Impresa oggi tutela chi agisce con trasparenza e vuole davvero ripartire.
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