Drogheria Con Debiti: Cosa Fare E Come Difendersi

Gestisci una drogheria o un negozio di generi alimentari e prodotti per la casa e ti trovi in difficoltà economica a causa di debiti con il Fisco, l’INPS, i fornitori o le banche? È una situazione che oggi coinvolge molte piccole attività commerciali, colpite dall’aumento dei costi, dal calo dei consumi e dalla concorrenza delle grandi catene. Quando si accumulano cartelle esattoriali, contributi arretrati o finanziamenti non pagati, la sopravvivenza dell’attività può essere seriamente compromessa. La buona notizia è che la legge prevede strumenti concreti per rateizzare, ridurre o cancellare i debiti, permettendoti di salvare la tua drogheria e proteggere il tuo patrimonio personale.

Perché molte drogherie si indebitano

Gestire una drogheria comporta spese costanti e margini di guadagno sempre più ridotti. L’aumento dei costi di fornitura, energia e affitti, insieme alla riduzione della clientela e al peso delle tasse, può creare un circolo vizioso di indebitamento. Inoltre, i pagamenti dei clienti – specialmente se si lavora anche con enti o attività commerciali – arrivano spesso in ritardo, mentre i versamenti fiscali e previdenziali sono immediati. Molti commercianti, per garantire la continuità del negozio, rimandano il pagamento delle imposte o dei contributi, accumulando interessi e sanzioni che col tempo diventano insostenibili.

Cosa succede se non paghi tasse o contributi

Quando le imposte o i contributi non vengono pagati, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione e gli enti previdenziali possono avviare procedure di recupero forzato. Le più comuni sono la notifica di cartelle esattoriali, i pignoramenti dei conti correnti o degli incassi POS, i fermi amministrativi sui veicoli, le ipoteche sugli immobili e i sequestri dei crediti verso clienti o fornitori. Gli importi aumentano rapidamente per effetto di interessi e sanzioni, aggravando la situazione economica del titolare. Se la tua drogheria è gestita come ditta individuale o società di persone, rispondi personalmente dei debiti, mettendo a rischio anche i beni familiari.

Cosa fare subito se la tua drogheria ha debiti

Il primo passo è avere un quadro preciso della situazione debitoria. Richiedi all’Agenzia delle Entrate-Riscossione l’estratto di ruolo aggiornato per conoscere gli importi, gli anni di riferimento e i creditori. Poi verifica la legittimità delle cartelle: molti atti contengono errori di notifica, importi prescritti o somme non dovute che un avvocato può contestare. Se i debiti sono legittimi, puoi chiedere la rateizzazione fino a 120 rate mensili, sospendendo nel frattempo le azioni di riscossione. È anche utile controllare se è disponibile una definizione agevolata (rottamazione), che consente di pagare solo il capitale, eliminando sanzioni e interessi. Se hai già ricevuto pignoramenti o ipoteche, puoi ottenere la sospensione immediata con un ricorso o un’istanza di autotutela.

Le soluzioni legali per chi non riesce più a pagare

Se il debito è troppo elevato o la tua attività non riesce più a generare liquidità sufficiente, puoi accedere alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, prevista dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019). È una procedura legale rivolta a piccole imprese, artigiani e lavoratori autonomi che consente di bloccare pignoramenti, sospendere le azioni dei creditori e ottenere la cancellazione totale o parziale dei debiti residui (esdebitazione). È uno strumento riconosciuto dai tribunali italiani e rappresenta una possibilità concreta per salvare l’attività o chiuderla in modo ordinato, senza lasciare pendenze fiscali o bancarie.

Come difendersi da banche, finanziarie e fornitori

Molte drogherie si trovano anche con debiti verso banche o fornitori di prodotti alimentari, detergenti o materiali per la casa. In questi casi puoi chiedere la rinegoziazione dei finanziamenti, la sospensione temporanea delle rate o proporre un saldo e stralcio per chiudere i debiti a un importo ridotto. È anche possibile contestare clausole abusive o tassi usurari nei contratti e impugnare decreti ingiuntivi o pignoramenti entro i termini di legge. Un avvocato esperto può assisterti nelle trattative con banche e creditori, difendendo i tuoi beni e la continuità del negozio.

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace

Con una strategia legale ben pianificata puoi sospendere pignoramenti e riscossioni, ottenere la rateizzazione o la cancellazione dei debiti, proteggere la casa e i beni personali, evitare la chiusura del negozio e rilanciare la tua attività su basi più solide. In molti casi è possibile ristrutturare la situazione debitoria e tornare a lavorare senza la pressione costante dei creditori.

Quando rivolgersi a un avvocato esperto

Devi contattare un avvocato se hai ricevuto cartelle o intimazioni di pagamento, se i debiti fiscali o bancari sono diventati insostenibili o se rischi la chiusura della tua attività. Un avvocato esperto in diritto tributario e crisi d’impresa può bloccare la riscossione, contestare gli atti illegittimi e accompagnarti nella procedura di esdebitazione fino alla cancellazione definitiva dei debiti. Agire tempestivamente è fondamentale per salvare la tua impresa e proteggere il tuo futuro professionale.

⚠️ Attenzione: ignorare le cartelle o gli avvisi di pagamento può portare rapidamente a pignoramenti, ipoteche e blocchi dei conti. Intervenire subito è l’unico modo per salvare la tua drogheria e difendere il tuo patrimonio personale.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, riscossione e tutela delle attività commerciali – spiega cosa fare se gestisci una drogheria con debiti, come bloccare la riscossione e come cancellare legalmente le somme dovute grazie agli strumenti previsti dalla legge.

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Introduzione

Una drogheria – tipicamente un piccolo esercizio commerciale a conduzione individuale o familiare – può trovarsi in serie difficoltà quando i debiti iniziano ad accumularsi. Debiti fiscali non pagati, rate di finanziamenti scadute, fatture dei fornitori insolute o retribuzioni arretrate ai dipendenti possono mettere a rischio sia l’attività commerciale sia il patrimonio personale del titolare. In questi frangenti è fondamentale sapere cosa fare e come difendersi legalmente: il nostro ordinamento prevede una serie di strumenti di tutela per gli imprenditori in crisi, volti a prevenire il tracollo e a consentire una gestione ordinata del dissesto .

Quando si è sommersi dai debiti, la paura più immediata riguarda i pignoramenti e le azioni esecutive: conti correnti bloccati, merci o attrezzature sequestrate, l’auto aziendale fermata amministrativamente, la casa di abitazione messa all’asta . È normale sentirsi sopraffatti, ma non si è soli di fronte ai creditori: l’ordinamento italiano offre varie soluzioni per chi, pur trovandosi in difficoltà, vuole risolvere i debiti in modo legale e ripartire. Esistono procedure concorsuali semplificate per i piccoli imprenditori, piani di ristrutturazione del debito, accordi con i creditori e misure di composizione della crisi che permettono di bloccare temporaneamente le azioni esecutive mentre si cerca un accordo . Inoltre, vi sono limiti ben precisi a ciò che i creditori possono pignorare: alcuni beni sono impignorabili o parzialmente protetti (come vedremo), e per determinati debiti il legislatore ha previsto soglie minime di tutela (ad esempio sulla prima casa, su stipendi o pensioni, ecc.) . Conoscere questi limiti è essenziale per evitare abusi e difendersi efficacemente.

Questa guida – aggiornata a settembre 2025 – fornisce un quadro completo e avanzato delle strategie legali a disposizione di una drogheria indebitata, dal punto di vista del debitore (titolare o amministratore). Ci rivolgiamo sia ai professionisti del diritto (fornendo riferimenti normativi e giurisprudenziali aggiornati), sia agli imprenditori e privati che cercano orientamento pratico in un linguaggio accessibile ma accurato. Troverete:

  • Un’analisi delle diverse tipologie di debiti che gravano su una piccola impresa e delle relative conseguenze.
  • Le differenze di trattamento a seconda della forma giuridica dell’attività (ditta individuale, società di persone, società di capitali, ecc.), con particolare attenzione alla responsabilità patrimoniale del titolare o dei soci.
  • Un elenco degli errori da evitare assolutamente quando si hanno debiti (ad esempio ignorare le cartelle esattoriali, pagare creditori senza criterio, compiere atti frettolosi e potenzialmente revocabili).
  • Una lista di azioni immediate da intraprendere per difendersi legalmente, suddivise in step (analisi della situazione, opposizione agli atti esecutivi, definizione agevolata dei debiti fiscali, piani di rientro, attivazione di procedure per sovraindebitamento, ecc.).
  • La descrizione dei principali strumenti di risoluzione della crisi disponibili: composizione negoziata della crisi, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo o “minore”, liquidazione giudiziale o controllata, con indicazione dei requisiti di accesso e degli effetti.
  • Un esame delle tutele sui beni personali del debitore: quali beni sono protetti (in tutto o in parte) dal pignoramento e come predisporre una pianificazione patrimoniale lecita per mettere al sicuro il necessario, senza incorrere in atti di frode ai creditori.
  • Tabelle riepilogative che riassumono in modo schematico concetti chiave (ad esempio, tipi di debito e possibili soluzioni; forma giuridica e responsabilità; situazione critica e azione consigliata, ecc.).
  • Alcune simulazioni pratiche (casi di esempio) relative a piccole imprese commerciali indebitate in Italia, con l’illustrazione di come potrebbe svilupparsi la gestione dei debiti nelle diverse ipotesi.
  • Una sezione finale di Domande e Risposte (FAQ) che affronta i dubbi più frequenti: La chiusura dell’attività estingue i debiti?; La prima casa è sempre al sicuro dal pignoramento?; In quali casi i soci o l’amministratore di una S.r.l. rispondono personalmente?; Cos’è e come funziona il “saldo e stralcio” di cartelle?; ecc.
  • Infine, tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate nel testo (leggi, articoli del Codice, sentenze recenti della Corte di Cassazione, ecc.) sono elencate in fondo alla guida, nella sezione Fonti e Riferimenti, per consentire approfondimenti ulteriori.

L’obiettivo è fornire al lettore una guida operativa approfondita per orientarsi nella gestione dei debiti di una piccola impresa commerciale – la nostra drogheria – illustrando come difendersi legalmente dalle pretese dei creditori e quali soluzioni mettere in atto per sanare o ridurre l’esposizione debitoria, evitando il rischio di perdere tutto. È importante sottolineare che il tempismo è cruciale: prima si affronta la situazione di crisi, più strumenti saranno disponibili per uscirne. Agire con metodo, eventualmente con l’assistenza di professionisti esperti in diritto fallimentare e della crisi d’impresa, può fare la differenza tra soccombere sotto i debiti e trovare una via d’uscita sostenibile .

Prima di addentrarci nei dettagli, esaminiamo anzitutto quali sono i tipi di debito più comuni per una piccola impresa commerciale e come la forma giuridica della drogheria influisce sulla responsabilità per quei debiti.

Tipologie di imprese e responsabilità per i debiti

Non tutte le attività commerciali sono organizzate allo stesso modo: la forma giuridica con cui l’imprenditore opera determina differenze sostanziali riguardo alla responsabilità patrimoniale per i debiti dell’attività. Di seguito riepiloghiamo le forme più comuni per una “drogheria” (negozio al dettaglio) e come, in ciascun caso, rispondono delle obbligazioni assunte:

  • Ditta individuale (impresa individuale): è la forma più semplice, in cui non c’è distinzione fra il patrimonio dell’azienda e quello personale dell’imprenditore. Il titolare risponde di tutti i debiti dell’attività illimitatamente con tutti i propri beni presenti e futuri (art. 2740 c.c.). In caso di insolvenza della drogheria, i creditori possono rivalersi direttamente anche sulla casa, sui conti bancari personali, sugli stipendi o altre entrate del titolare, fatte salve le limitazioni di legge (pignorabilità parziale di stipendi/pensioni, impignorabilità di alcuni beni primari, come vedremo). Non esiste separazione patrimoniale: il rischio imprenditoriale grava interamente sulla persona fisica dell’imprenditore.
  • Società di persone: includiamo qui la società in nome collettivo (S.n.c.) e la società in accomandita semplice (S.a.s.), forme giuridiche in cui vi sono due o più soci. Nelle società di persone i soci illimitatamente responsabili rispondono con il loro patrimonio personale dei debiti sociali, in maniera solidale tra loro (il creditore può chiedere l’intero importo a uno qualsiasi dei soci) ma con il beneficio di escussione: i creditori devono prima agire sul patrimonio della società e solo se questo risulta insufficiente possono aggredire i beni personali dei soci (art. 2268 c.c.). Nella S.n.c. tutti i soci sono illimitatamente responsabili; nella S.a.s. solo i soci accomandatari (quelli che amministrano) hanno responsabilità illimitata, mentre i soci accomandanti (che apportano solo capitali) rispondono limitatamente alla quota conferita. Esempio: se la drogheria è costituita in S.n.c. tra due familiari, ed essa accumula debiti verso fornitori o banche, i fornitori potranno escutere i beni sociali (merce, arredi del negozio, cassa, ecc.) e, se questi non bastano, i beni personali dei due soci (ad esempio la loro casa personale o altri averi), fermo restando il diritto di ciascun socio escusso di rivalersi poi sull’altro per la sua parte.
  • Società di capitali (S.r.l., S.p.A.): se la drogheria è gestita tramite una società a responsabilità limitata (S.r.l.) – spesso scelta per le attività commerciali per via della protezione patrimoniale – esiste per legge una separazione patrimoniale perfetta. Ciò significa che dei debiti della società risponde solo la società con il suo patrimonio, e i soci non sono personalmente obbligati (hanno una responsabilità limitata al capitale sottoscritto). Analogamente per una S.p.A., anche se quest’ultima è una forma rara per piccole imprese. Tuttavia, è fondamentale non confondere la regola generale con le eccezioni: la Cassazione ha più volte ribadito che il principio della responsabilità limitata non conosce eccezioni generali neppure per i debiti fiscali , ma esistono specifiche ipotesi di responsabilità “ex lege” a carico di amministratori, liquidatori o soci in casi particolari. Ad esempio, l’art. 36 del DPR 602/1973 prevede che, se durante la liquidazione della società gli amministratori hanno occultato attivi sociali o soddisfatto alcuni creditori preferendoli indebitamente ad altri, possono essere chiamati a rispondere verso il Fisco nei limiti del pregiudizio arrecato . Si tratta però di responsabilità di natura civilistica per gestione scorretta (violazione dei doveri di diligenza ex artt. 1176 e 1218 c.c.), non di un obbligo generale di pagare i debiti sociali al posto della società . In assenza di queste peculiari condizioni, amministratori e soci non rispondono personalmente dei debiti della S.r.l.: “non esiste […] una responsabilità degli amministratori (anche di fatto) per i debiti fiscali della società, mancando una norma che preveda una sorta di coobbligazione” . Anche i soci, al di fuori dei conferimenti promessi, non rischiano il loro patrimonio per le obbligazioni sociali; fanno eccezione i soci che hanno ricevuto beni dalla società in liquidazione: questi possono dover restituire quanto ricevuto per soddisfare i creditori rimasti insoddisfatti (art. 2495 c.c.). Su questo punto, una recente ordinanza della Cassazione (Cass. n. 23341/2024) ha stabilito che i soci di una S.r.l. estinta rispondono anche delle sanzioni tributarie della società, seppure entro il limite di quanto incassato con il bilancio finale di liquidazione . Tale pronuncia – molto discussa – configura la posizione dei soci come una sorta di “successione anomala” nei debiti della società estinta, inclusi quelli per multe e penalità, in deroga al principio che le sanzioni amministrative non si trasmettono (principio valido invece verso gli eredi e sancito dall’art. 8 D.Lgs. 472/1997). In pratica: se la nostra drogheria in forma di S.r.l. viene chiusa e cancellata dal registro imprese lasciando debiti tributari, l’Agenzia delle Entrate potrà pretendere dai soci il pagamento dei tributi non versati e anche delle relative sanzioni, ma solo fino a concorrenza di quanto essi hanno eventualmente ricevuto in sede di liquidazione finale . I soci che non abbiano ricevuto nulla non dovranno nulla, così come i soci che abbiano versato le sanzioni fino all’ammontare di quanto riscosso si liberano senza ulteriori esborsi.

Tabella – Forme giuridiche e responsabilità per i debiti

Forma giuridicaResponsabilità per i debitiNote
Ditta individualeIllimitata: il titolare risponde con tutti i beni propriNessuna distinzione tra patrimonio impresa e personale
S.n.c.Illimitata e solidale tra i soci, con beneficio di escussionePrima si escute la società, poi i soci pro quota
S.a.s. – accomandatarioIllimitata (come socio amministratore)L’accomandante invece risponde solo con la quota conferita
S.r.l. / S.p.A.Limitata al patrimonio socialeSoci e amministratori non rispondono dei debiti sociali, salvo eccezioni di legge (es. art. 36 DPR 602/1973 per atti in frode durante liquidazione)
Impresa familiare (1)Illimitata in capo al titolare (gli altri familiari partecipanti non assumono di per sé obbligazioni verso i terzi)Forma interna; per i creditori esterni rileva come ditta individuale del titolare
Società semplice (2)Illimitata e solidale tra i sociUsata raramente per attività commerciale (non sarebbe consentita per attività commerciale ex art. 2249 c.c.)

(1) L’impresa familiare (art. 230-bis c.c.) non è una società ma una particolare forma di collaborazione nell’impresa individuale: i familiari coadiuvanti hanno diritto a una parte degli utili ma non sono di per sé responsabili verso i terzi, salvo abbiano assunto garanzie.
(2) La società semplice può esercitare solo attività economiche non commerciali (es. agricoltura), dunque una drogheria non può essere società semplice.

Come si vede, per una drogheria la scelta della forma giuridica incide moltissimo sul rischio che i debiti dell’attività ricadano sul patrimonio personale. Una ditta individuale o una società di persone offrono meno protezione: in caso di insolvenza, è probabile che i creditori – esauriti gli attivi dell’azienda – attacchino i beni dei titolari/soci (soprattutto se vedono che ci sono immobili di proprietà, conti con saldo attivo, ecc.). Al contrario, operare con una società di capitali (S.r.l.) limita il rischio ai beni intestati alla società stessa, mettendo al riparo (in linea di massima) la casa e i risparmi personali dell’imprenditore. Questa separazione, tuttavia, non deve indurre a comportamenti scorretti: esiste il rovescio della medaglia rappresentato dalla responsabilità per mala gestio. Se l’amministratore di una S.r.l. aggrava dolosamente la situazione di insolvenza, distrae attivi o incrementa i debiti violando i doveri verso i creditori sociali, potrà incorrere in azioni di responsabilità (promosse dal curatore fallimentare in caso di fallimento, o dai creditori stessi in sede civile) e perfino in responsabilità penale (si pensi al reato di bancarotta fraudolenta ex art. 216 L.F. / art. 322 CCII, che punisce chi dissipa o occulta beni sociali pregiudicando i creditori). Questa guida, comunque, si focalizza sulla prospettiva del debitore onesto ma sfortunato, che vuole utilizzare mezzi leciti per rimediare alla situazione debitoria, non certo di chi intende sottrarsi ai debiti con espedienti illegali.

Nel prossimo paragrafo analizzeremo i tipi di debiti più comuni per una piccola impresa commerciale e le relative conseguenze, prima di passare alle strategie di difesa.

Tipologie di debiti comuni per una piccola impresa (drogheria)

Una drogheria può accumulare diversi tipi di debiti, a seconda della natura della sua attività e delle obbligazioni assunte. Possiamo classificare i debiti di un’impresa commerciale nelle seguenti categorie principali:

Tipo di debitoEsempi pratici
FiscaliIVA riscossa e non versata; IRPEF o IRES non pagata; IRAP non versata; Cartelle esattoriali dell’Agenzia Entrate-Riscossione per imposte o tasse varie (es. IMU sui locali, TARI); eventuali accertamenti fiscali con imposte aggiuntive; sanzioni tributarie.
Contributivi (previdenza)Contributi INPS non versati (contributi dovuti per il titolare artigiano/commerciante o contributi su stipendi dei dipendenti); premi INAIL non pagati; contributi per i dipendenti (Trattamento di fine rapporto, contributi a casse di categoria); omessi versamenti alle Casse previdenziali private (se professionista).
Bancari / finanziariRate di mutui o finanziamenti aziendali scadute; scoperti di conto corrente non rientrati; rate di leasing non pagate (ad es. leasing dell’automobile o di macchinari); esposizioni su fidi bancari; utilizzo di castelletti anticipi senza copertura; interessi moratori su finanziamenti in ritardo.
Verso fornitori e commercialiFatture di fornitori rimaste insolute (merci non pagate); canoni di affitto del locale commerciale arretrati; bollette utenze non pagate (luce, acqua, gas); compensi di collaboratori esterni o consulenti non saldati; importi dovuti a ex soci usciti dall’azienda; debiti verso il fisco come sostituto d’imposta (ritenute operate ai professionisti e non versate).
Verso dipendentiStipendi e mensilità arretrate; tredicesime non corrisposte; liquidazione (TFR) non accantonata; indennità varie non pagate; rimborso spese dovuti; differenze retributive accertate da vertenze sindacali.
Sanzioni amministrativeMulte e ammende per violazioni amministrative (es. sanzioni dell’ASL per violazione norme igienico-sanitarie, sanzioni per lavoro irregolare elevate dall’Ispettorato del Lavoro, contravvenzioni per violazione di norme sulla privacy dei clienti, ecc.); contravvenzioni al Codice della Strada legate all’attività (es. furgone aziendale).
Altro (varie)Debiti verso soci finanziatori; somme dovute a titolo di risarcimento danni (es. causa persa con un cliente/terzo); garanzie escusse (es. il titolare ha garantito un debito altrui e deve pagare perché il debitore principale non ha pagato).

Come evidenziato, tutti questi debiti – se rimangono insoluti – possono sfociare in azioni esecutive da parte dei creditori e compromettere tanto la continuazione dell’attività quanto il patrimonio personale dell’imprenditore (specie nei casi di responsabilità illimitata) . Alcune categorie di debiti presentano caratteristiche particolari dal punto di vista del recupero:

  • I debiti fiscali e contributivi (verso Erario, Agenzia Entrate-Riscossione, INPS, enti locali) godono spesso di privilegi speciali e di procedure di riscossione più rapide. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia) può iscrivere ipoteca sugli immobili o disporre il fermo amministrativo dei veicoli per crediti tributari senza bisogno di passare per un giudice, una volta notificata la cartella e decorso il termine di legge per il pagamento. Ha inoltre la facoltà di pignorare stipendi e conti correnti con modalità semplificate. I crediti previdenziali di INPS e INAIL hanno privilegio generale sui mobili dell’azienda e personali del debitore, e in caso di concorso tra creditori saranno soddisfatti con precedenza. Inoltre, alcuni debiti tributari se superano certe soglie configurano anche reati penali (ad es. il mancato versamento IVA oltre 250.000 € annui è reato ex art. 10-ter D.Lgs. 74/2000, così come l’omesso versamento di ritenute oltre 150.000 € è reato ex art. 10-bis). Ciò significa che il titolare di impresa che non paga ingenti somme di IVA o ritenute può subire, oltre alle azioni civili di recupero, un procedimento penale.
  • I debiti verso i dipendenti (retribuzioni, TFR) beneficiano di privilegi nel caso di esecuzioni forzate e procedure concorsuali: i lavoratori dipendenti sono creditori privilegiati sia sui beni mobili sia sugli immobili dell’imprenditore (hanno privilegio generale ex art. 2751-bis c.c. e in parte privilegio speciale sugli immobili, ad esempio per le retribuzioni degli ultimi mesi). Inoltre, se l’azienda viene dichiarata insolvente e sottoposta a liquidazione concorsuale (fallimento/liquidazione giudiziale), i dipendenti possono accedere al Fondo di garanzia INPS che interviene a pagare il TFR e le ultime 3 mensilità di stipendio non pagate. Tuttavia, se l’imprenditore evita la procedura concorsuale, i lavoratori dovranno attivarsi con cause di lavoro e pignoramenti: un dipendente con una sentenza o un decreto ingiuntivo in mano potrebbe chiedere il fallimento dell’azienda (se ne ricorrono i presupposti dimensionali) oppure aggredire direttamente i beni aziendali e personali del titolare (nel caso di impresa individuale). I debiti verso dipendenti sono dunque molto pressanti, perché protetti dalla legge e generalmente di importo significativo (basta qualche mensilità non pagata per accumulare migliaia di euro di credito per ciascun lavoratore).
  • I debiti bancari e verso fornitori tipicamente vengono recuperati tramite le procedure ordinarie: la banca o il fornitore insoluto può ricorrere al giudice per ottenere un titolo esecutivo (un decreto ingiuntivo, spesso con provvisoria esecutorietà) e poi procedere a pignoramenti. In molti casi le banche dispongono già di titoli esecutivi (es. mutui fondiari, che sono esecutivi di per sé) o di garanzie come fideiussioni personali o pegni/ipoteche sugli asset dell’imprenditore. Ad esempio, se il titolare della drogheria ha garantito personalmente un fido bancario della società, la banca potrà agire direttamente sul suo patrimonio personale in base alla fideiussione, una volta che l’azienda non paga. I fornitori dal canto loro spesso ricorrono a società di recupero crediti o a ingiunzioni rapide, dato che le fatture non pagate oltre una certa scadenza costituiscono prova per il giudice civile. Inoltre, sia i fornitori sia le banche potrebbero, se il debito è rilevante e vi è insolvenza, presentare istanza di fallimento/liquidazione giudiziale dell’impresa (qualora ne sussistano i presupposti).
  • Le sanzioni amministrative e le multe, se non pagate, vengono iscritte a ruolo e anch’esse affidate all’Agente della Riscossione (come i debiti fiscali). Pertanto il recupero seguirà il canale delle cartelle esattoriali. Da notare che molte sanzioni amministrative non godono di privilegi e, se l’impresa viene sottoposta a procedura concorsuale, saranno pagate in coda come crediti chirografari; ma finché si è in sede individuale, l’ente creditore (Comune, ASL, ecc.) può procedere con pignoramenti analogamente ad un normale credito.

In sintesi, una drogheria indebitata rischia di subire, a seconda dei creditori coinvolti, varie forme di aggressione: dall’iscrizione di ipoteca sul locale o sulla casa da parte del Fisco, al blocco dei mezzi aziendali (fermo amministrativo), al pignoramento dei beni presenti in negozio (scaffali, registratore di cassa, merce) ad opera di fornitori o dipendenti, fino al pignoramento del conto corrente aziendale (o personale) e magari della stessa abitazione del titolare. Soprattutto nei casi di ditta individuale o S.n.c., dove non c’è distinzione patrimoniale, l’esposizione è massima . È essenziale quindi agire tempestivamente per prevenire o bloccare queste azioni e valutare le soluzioni più adatte.

Prima di illustrare cosa fare, vediamo brevemente cosa non fare: gli errori comuni e le mosse istintive ma pericolose che un imprenditore indebitato dovrebbe evitare.

Cosa non fare se hai debiti (errori da evitare)

Di fronte all’aggravarsi dei debiti, alcuni comportamenti istintivi dell’imprenditore possono rivelarsi molto pericolosi dal punto di vista legale. Ecco una lista di errori comuni e perché vanno evitati :

  • Ignorare cartelle esattoriali o atti giudiziari: Far finta di nulla sperando che il problema scompaia è uno degli sbagli peggiori. Se si ignorano le cartelle di pagamento, gli avvisi e i precetti ricevuti, si rischia di subire pignoramenti improvvisi senza aver predisposto difese. Ad esempio, trascurare una cartella dell’Agenzia Riscossione significa che, decorso il termine di 60 giorni, il Fisco potrà legittimamente procedere con il pignoramento (conto corrente, stipendio, ecc.) o con il fermo amministrativo dell’auto, magari inviando un semplice preavviso. Ignorare un atto di citazione o un decreto ingiuntivo di un fornitore significa lasciare che diventi definitivo, col risultato che il creditore potrà agire esecutivamente. → Perché è rischioso: Si perde la possibilità di impugnare atti viziati o prescritti e si espone il patrimonio a esecuzioni forzate immediate .
  • Pagare “alla cieca” alcuni debiti: Preso dal panico, l’imprenditore a volte paga subito il creditore più aggressivo o quello percepito come più pericoloso, magari usando le ultime liquidità, senza verificare la legittimità o esigibilità di quel credito. Ad esempio, si versa urgentemente una somma a un recupero crediti per una vecchia fornitura, senza controllare se per caso quel debito fosse già prescritto (magari la fornitura risale a 6 anni prima e il diritto si è estinto). Oppure si paga per intero una cartella esattoriale con importi “gonfiati” da interessi e sanzioni, senza valutare se si poteva aderire a una definizione agevolata pagando molto meno. → Perché è rischioso: Si potrebbero sprecare risorse preziose per pagare debiti che si potevano ridurre o annullare legalmente. Inoltre, pagando un creditore e non altri, si altera la par condicio in vista di eventuali procedure concorsuali e si rischiano azioni revocatorie.
  • Vendere beni personali a familiari o terzi di fiducia: Nel tentativo di mettere in salvo la casa, l’auto o altri beni dal possibile pignoramento, talvolta il debitore li trasferisce a parenti o amici (vendite simulate, donazioni, finti passaggi di proprietà). Questa scelta è estremamente pericolosa e generalmente controproducente. Innanzitutto, tali atti possono essere oggetto di azione revocatoria da parte dei creditori entro 5 anni, specie se fatti quando i debiti erano già noti (art. 2901 c.c.). Inoltre, se il debitore trasferisce beni con lo scopo di sottrarli ai creditori, può integrare gli estremi di reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000, punisce chi aliena beni per evitare il pagamento di imposte dovute) o favoreggiamento della propria insolvenza (art. 388 c.p.). → Perché è rischioso: Si può incorrere in revoca degli atti e addirittura in responsabilità penale, aggravando la situazione. Inoltre, l’effetto pratico è nullo, perché i beni trasferiti fraudolentemente possono comunque essere aggrediti dai creditori (ad es. con sequestro conservativo e revocatoria in giudizio).
  • Aspettare di chiudere l’attività pensando di cancellare i debiti: Alcuni imprenditori pensano che chiudere la partita IVA o cessare l’attività commerciale faccia sparire i debiti, oppure rimandano ogni azione nella convinzione che “chiuderanno baracca” e non ci saranno più problemi. Questo è un errore fatale. I debiti non si estinguono affatto con la chiusura dell’attività: seguono l’imprenditore. Se Tizio chiude la sua drogheria individuale ma aveva debiti, questi diventeranno debiti personali post-impresa; i creditori potranno continuare a perseguitarlo come privato cittadino (pignorandogli magari lo stipendio se nel frattempo ha trovato un lavoro dipendente, o la casa). Se si chiude una S.r.l. indebitata senza pagare i creditori, come visto, i soci possono venir chiamati a rispondere nei limiti di quanto ricevuto, e l’ex amministratore rischia azioni di responsabilità se ha gestito male la fase finale. → Perché è rischioso: La chiusura dell’attività da sola non elimina i debiti – anzi, in taluni casi accelera le azioni dei creditori (che temono di non essere più pagati e quindi si attivano immediatamente). Inoltre, far “sparire” la società senza pagare può portare il Tribunale a dichiararne il fallimento d’ufficio entro un anno dalla cancellazione, su istanza dei creditori, complicando ulteriormente le cose.

Riassumendo, di fronte ai debiti non bisogna né mettere la testa sotto la sabbia, né agire in modo scomposto o sottrarsi fraudolentemente. Occorre invece affrontare il problema con lucidità e strategia, come vedremo nel prossimo paragrafo.

Cosa fare subito per difendersi legalmente

Passiamo ora agli interventi immediati che un imprenditore indebitato dovrebbe attuare per difendersi legalmente e gestire la crisi. È possibile schematizzare una sorta di “primo soccorso” articolato in passi concreti :

1. Analizzare con precisione la situazione debitoria – Prima di tutto, serve un quadro chiaro e completo di tutti i debiti. Questo implica: raccogliere la documentazione relativa (cartelle esattoriali, avvisi, richieste di pagamento, contratti di finanziamento, estratti conto bancari, solleciti dei fornitori, cause in corso, ecc.) e verificare lo stato di ciascun debito. In particolare, è utile:

  • Richiedere un estratto di ruolo aggiornato presso Agenzia Entrate-Riscossione, che elenchi tutte le cartelle esattoriali a carico dell’impresa o del titolare, con relative notifiche e importi. Ciò consente di sapere quanti e quali debiti tributari sono effettivamente iscritti a ruolo.
  • Controllare le scadenze e gli eventuali termini di prescrizione: alcuni debiti potrebbero essere prescritti (ad es. contributi INPS oltre 5 anni, cartelle notificate da più di 5 anni senza atti interruttivi, fatture di fornitori oltre il termine di prescrizione commerciale, ecc.). Pagare un debito prescritto è un grave errore; al contrario, rilevare la prescrizione consente di opporsi validamente al pagamento.
  • Verificare le notifiche: spesso le cartelle o gli atti giudiziari possono avere vizi di notifica (notificati a indirizzo errato, o mai consegnati davvero). Se un atto non è stato notificato regolarmente, può essere annullato.
  • Raccogliere tutti i contratti bancari e finanziari: mutui, affidamenti, leasing, carte di credito business. Bisogna sapere esattamente quanto resta da pagare, se ci sono garanzie (fideiussioni personali, pegni, ipoteche), quali tassi di interesse sono applicati (talvolta possono esservi interessi usurari o anatocismo contestabile).
  • Fare una lista dei creditori e importi dovuti, distinguendo per priorità e tipologia (fisco, banche, fornitori, ecc.).

Solo avendo un prospetto preciso si può decidere la strategia: impugnare certi atti, chiedere dilazioni su altri, proporre accordi, ecc. Senza un quadro chiaro non puoi decidere se impugnare, rateizzare o stralciare . Se necessario, ci si può far assistere da un consulente (avvocato o commercialista) per questa due diligence iniziale.

2. Verificare se è possibile bloccare tempestivamente le azioni esecutive – Se qualche creditore ha già avviato azioni di recupero (ad esempio hai ricevuto un atto di precetto, una intimazione di pagamento da Agenzia Riscossione, un preavviso di fermo amministrativo o ipoteca, o addirittura un pignoramento notificato o un decreto ingiuntivo non opposto), è fondamentale valutare immediatamente le opzioni per bloccare o sospendere tali azioni . In particolare:

  • In presenza di un atto di pignoramento (mobiliare, immobiliare o presso terzi) già notificato, si può proporre opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi (art. 615 c.p.c. se si contesta il diritto del creditore a procedere, art. 617 c.p.c. se si contestano vizi formali dell’atto) entro i termini previsti, chiedendo al giudice un provvedimento urgente di sospensione . Ad esempio, se viene pignorato un macchinario indispensabile all’attività, si può eccepire l’impignorabilità ex art. 515 c.p.c. (beni strumentali necessari all’impresa nei limiti del minimo indispensabile) e chiedere al giudice dell’esecuzione di liberare il bene.
  • Se è arrivata una intimazione di pagamento da parte di Agenzia Entrate-Riscossione (atto che precede l’esecuzione forzata esattoriale), oppure un preavviso di fermo amministrativo di un veicolo o di ipoteca su un immobile, è possibile presentare una istanza di sospensione direttamente all’Agente della Riscossione (motivata da vizi o da avvenuta presentazione di richiesta di rateizzazione, o altro) e contestualmente valutare un’opposizione giudiziaria. Ad esempio, per fermare un fermo auto si può dimostrare che l’auto è strumentale all’attività d’impresa (mezzo necessario per le consegne) e chiedere la revoca in autotutela o al giudice.
  • Se è stato notificato un decreto ingiuntivo da un creditore privato e sono ancora aperti i termini, proporre opposizione al decreto ingiuntivo per guadagnare tempo e verificare la correttezza del credito. In molti casi l’opposizione, anche se magari poi si riconoscerà il debito, può servire a ottenere una dilazione in sede giudiziale o stragiudiziale.
  • In generale, qualsiasi atto esecutivo pendente (aste immobiliari fissate, pignoramenti di stipendio in corso, ecc.) può essere oggetto di sospensione o accordo transattivo: ad esempio, se la casa del titolare è all’asta per un pignoramento ipotecario, si può tentare di chiedere un termine di grazia al giudice esecutivo (nel caso di morosità su mutuo, art. 41 TUB prevede una possibilità di rientro entro 90 giorni in alcuni casi) oppure avviare una trattativa col creditore per sospendere la vendita.

Bloccare l’atto in tempo è fondamentale: evita la perdita immediata di beni cruciali (conto corrente bloccato, auto immobilizzata, casa pignorata) . Occorre quindi reagire prontamente a ogni atto ricevuto, senza mai lasciar decorrere i termini di legge.

3. Valutare le definizioni agevolate (rottamazione, saldo e stralcio) se disponibili – Per i debiti fiscali e contributivi iscritti a ruolo, il legislatore periodicamente offre delle “finestre” di definizione agevolata: la cosiddetta rottamazione delle cartelle (o altre misure simili). Ad esempio, la Legge di Bilancio 2023 (L.197/2022) ha introdotto la “rottamazione-quater” per i carichi affidati agli agenti della riscossione dal 2000 al 30 giugno 2022, consentendo di pagarli senza sanzioni né interessi di mora, ma solo con le somme base dovute (imposte e contributi) anche in forma rateale . In aggiunta, la stessa legge ha previsto l’annullamento automatico dei debiti minori fino a 1.000 € relativi agli anni anteriori al 2015. Nel 2023 molti contribuenti hanno presentato domanda di rottamazione-quater entro i termini (31 giugno 2023, poi prorogati) e stanno pagando le rate fino al 2027. In futuro, non si esclude che possano esservi ulteriori edizioni (si vocifera di una possibile “rottamazione-quinquies” nel 2026). Saldo e stralcio è un’altra misura agevolativa, attivata in passato, che consentiva a contribuenti in difficoltà economica ISEE < €20.000 di pagare solo una percentuale del debito.

Dunque, se la drogheria ha cartelle esattoriali, è doveroso chiedersi: c’è una definizione agevolata attiva o di prossima attivazione a cui posso aderire?. Al 2025, conclusa la fase di presentazione domande della rottamazione-quater, occorrerà attendere eventuali nuove norme. Ma l’importante è il principio: pagare meno del dovuto è possibile, se si rientra nelle condizioni previste (es. reale difficoltà economica, adesione nei termini) . Chi ha presentato domanda di rottamazione, ad esempio, ha potuto ottenere la sospensione delle procedure esecutive e dilazionare il pagamento senza sanzioni. È lo strumento più veloce e meno costoso per chiudere con il Fisco quando disponibile .

Occorre quindi mantenersi informati su queste opportunità (rottamazioni, condoni parziali) e, se esistono, valutarne subito l’adesione perché hanno scadenze tassative. Nel frattempo, se non vi sono rottamazioni attive, nulla vieta di proporre un saldo e stralcio privato ad un creditore: ad esempio, offrire al fornitore X il pagamento immediato del 50% del suo credito in cambio della rinuncia a azioni legali sul restante. Molti creditori, banche incluse, preferiscono incassare qualcosa subito piuttosto che affrontare lunghe esecuzioni dall’esito incerto.

4. Richiedere la rateizzazione dei debiti – Un altro strumento immediato per alleggerire la pressione è chiedere una rateizzazione dei debiti, sia verso il Fisco sia verso altri creditori, quando possibile.

  • Rateizzazione fiscale: L’Agenzia delle Entrate-Riscossione consente di dilazionare le cartelle esattoriali fino a 72 rate mensili (6 anni) per importi fino a €120.000, e fino a 120 rate (10 anni) per importi superiori o per comprovata situazione di grave difficoltà . La domanda di rateazione si può fare online o presso gli sportelli, anche senza dover fornire garanzie (per somme entro €60.000 non serve dimostrare nulla; oltre, serve attestare temporanea situazione di obiettiva difficoltà). Una volta concessa la dilazione, si ottiene un immediato beneficio: blocco di nuove azioni esecutive da parte dell’Agente della Riscossione finché si rispettano le rate, nonché possibilità di ottenere il DURC regolare (documento di regolarità contributiva) se i debiti previdenziali sono inclusi nel piano . Questo è fondamentale per continuare a operare ed eventualmente partecipare a bandi, appalti o anche solo mantenere i rapporti con fornitori che richiedono il DURC.
  • Rateazione altri enti: Anche l’INPS e molti Comuni/Enti locali prevedono la possibilità di pagamenti dilazionati per tributi o contributi locali dovuti . Conviene informarsi ente per ente (es. l’INPS consente piani fino a 24 rate per aziende in temporanea difficoltà).
  • Piani di rientro concordati coi creditori privati: Ad esempio, se si hanno debiti con fornitori, si può proporre un piano di pagamento extragiudiziale (magari scritto e firmato) in cui ci si impegna a pagare in più tranche a date concordate. Molti fornitori, soprattutto se interessati a mantenere rapporti commerciali, accettano dilazioni pur di evitare di agire per vie legali.
  • Banche e finanziarie: Le banche talvolta concedono moratòrie o rinegoziazioni dei mutui (ad esempio allungando la durata per ridurre la rata, o accordando qualche mese di sospensione dal pagamento della quota capitale). Nel 2020-2021 durante la pandemia molte imprese hanno beneficiato di moratorie; anche al di fuori di contesti straordinari, vale la pena negoziare con la banca nuove condizioni se il piano originario non è più sostenibile . Le finanziarie possono ristrutturare il debito allungando i piani di ammortamento.

La rateizzazione è dunque una via d’uscita utile per chi ha entrate regolari ma non può saldare subito l’intero dovuto . Bisogna tuttavia essere realistici: dilazionare significa comunque dover pagare tutto (eventualmente con interessi di dilazione), per cui questa soluzione funziona se l’attività è ancora in grado di generare flussi di cassa sufficienti a rispettare le rate. Rateizzare debiti per i quali poi non si riesce a pagare nemmeno le prime rate può essere controproducente (perde efficacia la dilazione e si accumulano ulteriori interessi). Occorre quindi fare un piano finanziario verosimile prima di chiedere una rateazione.

5. Attivare le procedure di “crisi da sovraindebitamento” (se ne ricorrono i presupposti) – Se la situazione è grave al punto che i debiti complessivi superano la capacità di rimborso dell’imprenditore, e magari ci sono già più azioni esecutive avviate, la legge prevede per i piccoli imprenditori non fallibili la possibilità di rivolgersi al tribunale per comporre la crisi da sovraindebitamento in modo unitario. Si tratta delle procedure introdotte originariamente con la Legge 3/2012 (detta “legge salva-suicidi”) e oggi disciplinate nel nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) entrato in vigore nel 2022 . In concreto, un titolare di drogheria può ricorrere a queste procedure se non rientra tra le imprese soggette a fallimento, ossia se è un “debitore non fallibile”. Tipicamente rientrano in questa categoria:

  • L’imprenditore sotto-soglia: colui che, pur esercitando attività commerciale, ha dimensioni così ridotte da non superare i parametri di fallibilità (attivo annuo ≤ €300.000, ricavi ≤ €200.000, debiti ≤ €500.000) . Questi limiti definiscono l’impresa minore ai sensi del CCII. Se la drogheria è davvero piccola (es. fatturato 150k, debiti totali 100k), potrebbe qualificarsi.
  • L’imprenditore cessato da oltre un anno: la legge oggi (dopo il “Correttivo ter” del 2024) esclude l’accesso al concordato minore per chi ha cessato l’attività da oltre 12 mesi , ma costui resta un debitore civiale che può accedere quantomeno alla liquidazione controllata (erede del fallimento per non fallibili).
  • Gli ex amministratori di società fallite, che si trovano con debiti personali (es. garanzie escusse, responsabilità varie) e non possono fallire come persone fisiche.

In queste procedure, il debitore può chiedere al Tribunale misure protettive e presentare un piano per ristrutturare i debiti oppure liquidare il patrimonio sotto controllo giudiziale, ottenendo alla fine l’esdebitazione (cancellazione dei debiti insoddisfatti). Ad esempio, un piano del consumatore (ora piano di ristrutturazione per il consumatore) è rivolto al debitore persona fisica non imprenditore o che ha debiti personali; mentre un concordato minore è simile al concordato preventivo ma per imprenditori minori; la liquidazione controllata è l’equivalente del fallimento per i non fallibili (con la possibilità però di esdebitazione finale). L’accesso a tali procedure blocca tutte le azioni esecutive in corso : infatti, dal momento del deposito dell’istanza si può chiedere al giudice la sospensione dei pignoramenti e il divieto per i creditori di iniziarne di nuovi. Inoltre, con un’unica procedura si affrontano tutti i debiti proponendo un piano unico. Se il piano viene omologato e rispettato (o se si completa la liquidazione), il debitore può ottenere la cancellazione dei debiti residui non pagati (esdebitazione), ripartendo da zero . Questa è l’unica via per ripartire da zero legalmente, anche senza beni , evitando di rimanere inseguiti a vita dai creditori. Nel capitolo dedicato approfondiremo meglio questi istituti.

Dunque, riassumendo le azioni immediate:

SituazioneAzione immediata consigliata
Situazione debitoria confusa o ignota in dettaglioMappare i debiti: ottenere estratti di ruolo, estratti conto, contratti; verificare importi, scadenze, prescrizioni.
Arrivo di atti di precetto, intimazioni, preavvisi di ipoteca/fermoValutare opposizione giudiziaria (art. 615/617 c.p.c.) e chiedere subito sospensione; contattare il creditore per possibili accordi stragiudiziali prima che parta il pignoramento.
Cartelle esattoriali pendenti e sanatorie disponibiliAdesione a rottamazione/saldo e stralcio entro i termini previsti (se aperti), per ridurre importo dovuto.
Debiti onerosi ma pagabili col tempoRichiedere rateizzazioni (72-120 rate per fisco; piani di rientro a fornitori/banca) per diluire l’esborso e fermare (o prevenire) azioni esecutive.
Debiti insostenibili nel complesso, pluralità di creditori aggressiviAttivarsi per procedura di sovraindebitamento (tramite Organismo di Composizione della Crisi) per congelare i pignoramenti e proporre un concordato o liquidazione giudiziale.

Queste mosse costituiscono il “primo intervento” per mettere ordine nel caos e guadagnare tempo prezioso. Naturalmente, poi si dovrà costruire la strategia a medio termine per risolvere definitivamente la crisi.

Strumenti di definizione agevolata e di ristrutturazione del debito

Esaminiamo ora più in dettaglio alcuni strumenti specifici che consentono di ridurre, differire o ristrutturare i debiti di un’impresa in difficoltà. Abbiamo già accennato alla rateizzazione e alla rottamazione delle cartelle. Qui li inseriamo in un contesto più ampio di possibili soluzioni, tanto stragiudiziali (accordi privati) quanto giudiziali (procedure concorsuali):

  • Accordi stragiudiziali con i creditori: è sempre possibile cercare un accordo bonario con i creditori principali. Ad esempio, se la drogheria ha un grosso debito con il fornitore di merce alimentare, si può negoziare un piano di rientro dove magari il creditore rinuncia a una parte degli interessi o accetta un pagamento parziale (saldo a stralcio) immediato. Questi accordi dovrebbero preferibilmente essere messi per iscritto, magari coinvolgendo un legale, così da vincolare il creditore a non agire se il debitore rispetta i patti . Spesso, un accordo tempestivo evita cause lunghe e costose, con beneficio reciproco: “la disponibilità al dialogo e la volontà di trovare soluzioni condivise sono elementi che giocano a favore del debitore” . Ovviamente, non tutti i creditori sono aperti a trattative – le banche ad esempio hanno procedure più rigide – ma persino con la banca si può discutere di rinegoziazione o stralcio del debito, specialmente se la banca comprende che facendo causa rischierebbe di recuperare meno .
  • Rinegoziazione dei finanziamenti bancari: Se il peso delle rate di mutuo o prestito è diventato insostenibile, rinegoziare con la banca può portare a soluzioni come: allungamento del piano di ammortamento (per abbassare la rata), periodo di sola quota interessi per qualche tempo, riduzione del tasso applicato, consolidamento di vari fidi in un unico mutuo, ecc. . Le banche preferiscono spesso un debitore collaborativo che cerca soluzioni, piuttosto che dover attivare procedure esecutive lunghe e dall’esito incerto . È importante presentarsi con un piano credibile: preparare magari un prospetto di come si potrà pagare alle nuove condizioni. A volte giova farsi assistere da un consulente finanziario o legale esperto in ristrutturazione debiti per trattare con la banca.
  • Saldo e stralcio: è la formula con cui si propone al creditore il pagamento di una parte del debito a saldo dell’intero, di norma in un’unica soluzione o poche soluzioni ravvicinate . Questo strumento è usato sia in ambito bancario (la banca cede sul capitale pur di incassare subito qualcosa) sia con creditori vari. È particolarmente utile quando il debitore dispone magari di una certa somma (es. ha un immobile vendibile, o un parente disposto ad aiutarlo) ma non sufficiente a saldare tutto: offrendo quella come stralcio, il creditore ottiene subito un soddisfacimento e accetta di rinunciare al resto. Attenzione: il saldo e stralcio va negoziato bene; non tutte le banche lo accettano facilmente, specie se intravedono che il debitore possiede beni aggredibili . È più probabile ottenere uno stralcio quando il creditore valuta che l’alternativa (procedura esecutiva o concorsuale) potrebbe risultare peggiore in termini di recupero.
  • Verifica di anomalie finanziarie (usura, anatocismo): Un capitolo a parte merita la verifica dei contratti di finanziamento e dei conti correnti affidati. Non sono rari i casi in cui emergono clausole illegittime o interessi usurari nei rapporti bancari. Ad esempio, interessi di mora che portano il TEG (Tasso effettivo globale) sopra la soglia d’usura, oppure commissioni e spese non pattuite chiaramente (anatocismo trimestrale non contrattualizzato, etc.). Far svolgere una perizia econometrica sui rapporti bancari può dare risultati sorprendenti: qualora venisse accertata l’usurarietà degli interessi o altri vizi, il debitore avrebbe titolo per contestare il debito residuo, chiedendo la rideterminazione del saldo e talvolta ottenendo la nullità di certe clausole . Ad esempio, è successo che piccoli imprenditori indebitati abbiano scoperto di aver diritto a uno storno di interessi eccessivi, riducendo così il debito verso la banca. È una strada complessa, che richiede cause legali ad hoc, ma in situazioni disperate ogni possibilità va valutata.
  • Composizione negoziata della crisi: introdotta di recente (D.L. 118/2021, poi confluito nel CCII), la composizione negoziata è uno strumento innovativo per imprenditori in difficoltà, volto a favorire la ristrutturazione senza passare subito per il tribunale. L’imprenditore richiede l’assistenza di un esperto indipendente nominato dalla Camera di Commercio, il quale lo aiuta a trattare con i creditori e a trovare una soluzione concordata . Durante la composizione negoziata, l’impresa può chiedere al tribunale misure protettive (blocco delle azioni esecutive) mentre cerca l’accordo . È uno strumento volontario e confidenziale: se si raggiunge un accordo, bene; altrimenti l’imprenditore può comunque accedere ad altre procedure concorsuali. La composizione negoziata è indicata per imprese ancora in attività, che vogliono evitare di arrivare all’insolvenza conclamata, intervenendo in tempo. Una drogheria potrebbe ad esempio usarla se vede all’orizzonte una crisi (incapacità di pagare fornitori tra 6 mesi) e vuole giocare d’anticipo. Nell’ambito della composizione negoziata si possono proporre ai creditori vari tipi di soluzione, compresi gli strumenti del CCII (accordo di ristrutturazione, concordato preventivo semplificato se l’accordo fallisce, ecc.). È insomma un “ombrello” per trattare in modo protetto.
  • Accordo di ristrutturazione dei debiti (ADR): previsto dal CCII (artt. 57 e ss.), è uno strumento giudiziale ma più snello del concordato. Il debitore raggiunge un accordo con almeno il 60% dei crediti (per le imprese “maggiori”, soglia ridotta al 30% in certi ADR agevolati) e tale accordo viene omologato dal tribunale rendendolo vincolante per i soli creditori aderenti. Ha il vantaggio che, dall’omologazione, impedisce ai creditori che hanno aderito di agire esecutivamente (possono però farlo i non aderenti). È utile quando c’è un nucleo di creditori principali disposti a supportare un piano di ristrutturazione mentre altri minori rimangono fuori. Per una piccola impresa è meno comune, ma qualora la drogheria avesse ad es. 3 banche creditrici e due accettano di ristrutturare, l’ADR potrebbe formalizzare l’accordo.
  • Concordato preventivo o “concordato minore”: il concordato preventivo tradizionale è la procedura concorsuale rivolta alle imprese soggette a fallimento, che consente di presentare ai creditori un piano di risanamento o di liquidazione con pagamento parziale dei debiti. Nel caso delle imprese minori non fallibili, esiste il concordato minore, molto simile ma tarato su realtà più piccole. In entrambi i casi, serve il voto dei creditori (si forma una maggioranza per l’approvazione) e l’omologazione del tribunale. Questi strumenti sono più strutturati e complessi, ma permettono di evitare la liquidazione giudiziale continuando magari l’attività ristrutturata. Per una drogheria, un concordato minore potrebbe essere utile se vi è ancora azienda valida ma troppo indebitata: si congelano i debiti, si propone di pagarne una percentuale (es. 40%) in 5 anni mantenendo aperto il negozio, e i creditori se convinti accettano sapendo che otterrebbero meno in caso di chiusura. Va detto che l’accesso a concordato minore richiede che l’imprenditore non abbia cessato l’attività da oltre un anno .
  • Liquidazione controllata del sovraindebitato: è la procedura “liquidatoria” per i non fallibili, l’equivalente del fallimento (oggi liquidazione giudiziale). In pratica, se la drogheria è insolvente e non vi sono prospettive di risanamento, si può (o i creditori possono) aprire una liquidazione controllata: un liquidatore nominato dal tribunale liquiderà i beni disponibili e ripartirà il ricavato tra i creditori. La differenza col vecchio fallimento è che qui, essendo un soggetto non fallibile, la procedura è semplificata e soprattutto il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione di diritto dopo 3 anni dalla chiusura (prima erano 4 anni). Quindi, per quanto dolorosa (si perdono i beni, salvo quelli impignorabili), la liquidazione controllata offre la possibilità di cancellare i debiti residui e ripartire. È una extrema ratio, ma a volte è l’unica strada se l’attività è compromessa e non ci sono accordi possibili.
  • Esdebitazione del debitore incapiente: novità introdotta dal CCII (art. 283 CCII), consente al debitore persona fisica meritevole che non abbia nulla da offrire ai creditori di ottenere la cancellazione dei debiti senza alcuna utilità distribuita, con alcune condizioni (non deve aver beneficiato di altre esdebitazioni in passato, non deve aver colpe nella propria insolvenza, deve essere realmente privo di ogni capacità reddituale). È una sorta di “grazia” per chi proprio non può pagare nulla. Il tribunale concede l’esdebitazione e per 4 anni il debitore avrà l’obbligo di pagare ai creditori il sopravveniente attivo eccedente una certa soglia, ma se ciò non avviene resta definitivamente libero dai debiti. È una misura pensata per situazioni disperate (il termine “incapiente” indica chi non ha patrimonio né reddito aggredibile). Un caso esemplificativo: il titolare di drogheria che ha chiuso, non ha beni, vive di uno stipendio minimo: può chiedere l’esdebitazione incapiente ed essere esonerato dai debiti, purché appunto dimostri di non poter offrire nulla subito ai creditori.

Questi strumenti, benché differenti, hanno tutti lo scopo di gestire in modo ordinato la crisi, evitando la frammentazione delle azioni esecutive e spesso riducendo l’ammontare dovuto. Naturalmente, vanno scelti e combinati in base al caso concreto. Spesso ci si avvale di professionisti specializzati (avvocati d’affari, professionisti degli OCC) per attivarli. Il comune denominatore è che sono soluzioni previste dalla legge“non si tratta di magie o scorciatoie, ma di opportunità concrete che l’ordinamento mette a disposizione” – e, se correttamente utilizzate, permettono di salvare l’impresa o quantomeno di dare al debitore una prospettiva di uscita dal tunnel debitorio.

Tabella riepilogativa – Soluzioni per la gestione dei debiti

Situazione del debitoreStrumentoEffetti principali
Debiti fiscali in carico all’Agente RiscossioneDefinizione agevolata (rottamazione, saldo/stralcio)Riduzione di sanzioni/interessi; pagamento solo imposte; stop provvisorio azioni esecutive in attesa pagamenti rateali .
Sovraesposizione con più creditori, ma impresa ancora in attività e recuperabileComposizione negoziata (con eventuale accordo stragiudiziale o concordato preventivo semplificato)Protezione temporanea dai creditori; assistenza di un esperto; possibile accordo volontario con ristrutturazione debiti e prosecuzione attività.
Indebitamento grave ma si vuole evitare la chiusura e proporre pagamento parziale ai creditoriConcordato preventivo / concordato minoreSospensione azioni individuali; piano soggetto ad omologazione tribunale; pagamento parziale dei crediti con stralcio del resto; continuità aziendale (eventuale) o liquidazione parziale.
Debiti sostenibili se diluiti nel tempoRateizzazione (accordo privato o ex lege)Pagamento integrale dilazionato (fino a 6-10 anni con Fisco; da concordare con privati); sospensione azioni esecutive del Fisco in caso di rate attive .
Debiti insostenibili complessivamente, nessun accordo possibile, attività cessata o non salvabileLiquidazione controllata (ex fallimento)Liquidazione di tutti i beni con curatore; esdebitazione finale dei debiti non pagati; chiusura attività.
Debitore persona fisica nullatenente e incapace di offrire qualunque utilità ai creditoriEsdebitazione “incapiente” (art. 283 CCII)Cancellazione di tutti i debiti senza pagamenti (salvo revoca se nei 4 anni successivi migliorano le condizioni); fresh start totale.
Uno o pochi creditori rilevanti disponibili a trattareAccordo stragiudiziale (piano di rientro, saldo e stralcio)Risparmio su interessi o quota capitale; soluzione rapida e consensuale; ma vincolante solo per i creditori che aderiscono.
Debiti bancari con piani divenuti insostenibiliRinegoziazione mutui/finanziamentiRimodulazione tassi e durata; respiro finanziario; eventuale consolidamento debiti.
Dubbi su legittimità di addebiti bancari (usura, anatocismo)Verifica contrattuale e azione giudizialePossibile riduzione del debito verso banca se accertati tassi usurari o clausole nulle; sospensione in via giudiziale del pagamento.

Va sottolineato che molte di queste soluzioni possono essere combinate: ad esempio, un imprenditore potrebbe prima avviare una composizione negoziata (strumento volontario) e, se non riesce accordo con tutti, depositare un concordato minore in tribunale; oppure potrebbe rateizzare i debiti fiscali mentre tratta con le banche un saldo e stralcio. L’importante è agire con trasparenza e buona fede, dimostrando ai creditori la volontà di risolvere la crisi in modo equo. Agire in ritardo, al contrario, limita le opzioni: se ormai un creditore ha già ottenuto un pignoramento, sarà meno incentivato a trattare. Ecco perché l’imprenditore dovrebbe intervenire prima che la situazione degeneri: come si suol dire, “i debiti non spariscono da soli, anzi tendono solo a crescere col tempo”.

Nei prossimi capitoli ci soffermeremo su alcuni aspetti chiave, come la tutela dei beni personali del debitore e gli effetti della chiusura dell’attività, per poi passare alle Domande e Risposte frequenti.

Proteggere i beni personali: limiti al pignoramento e pianificazione patrimoniale lecita

Una preoccupazione centrale per chi ha debiti è: “Rischio di perdere la casa? Mi pignoreranno lo stipendio? Possono prendermi tutto?”. La legge prevede significative tutele su alcuni beni del debitore, riconoscendo la necessità di salvaguardare la dignità personale e i mezzi di sostentamento minimi. Dal punto di vista del debitore imprenditore, è importante conoscere questi limiti e, dove possibile, attuare misure lecite di protezione del patrimonio.

Vediamo i principali beni e redditi e il loro regime di pignorabilità:

  • Prima casa di abitazione: È spesso il bene di maggior valore e preoccupazione. La normativa vigente (art. 76 DPR 602/1973, modificato dal DL 69/2013 “Decreto del fare”) stabilisce che l’Agente della Riscossione (Fisco) non può pignorare l’unico immobile ad uso abitativo di proprietà del debitore se questo vi risiede anagraficamente, a condizione che non sia di lusso (categorie catastali A/8, A/9 esclusi) . In altre parole, la “prima casa” non ipotecata non è pignorabile per debiti esattoriali. Questo principio è stato ribadito dalla giurisprudenza, da ultimo con Cass. ord. n. 32759/2024 . Attenzione però: restano aggredibili dal Fisco eventuali seconde case o immobili diversi dall’abitazione principale, nonché la prima casa se il Fisco ha iscritto ipoteca (possibile per debiti > €20.000) e procede non con espropriazione esattoriale ma con esecuzione ordinaria previa escussione ipotecaria. Inoltre, i creditori privati (banche, fornitori) non hanno questo divieto: la prima casa può essere pignorata da una banca (specialmente se a garanzia di mutuo) o da un privato con titolo esecutivo, in mancanza di altri beni su cui soddisfarsi. Dunque, la prima casa è protetta in assoluto solo verso il Fisco, mentre verso altri creditori rimane pignorabile come qualunque immobile (salvo situazioni particolari come fondi patrimoniali, di cui diremo).
  • Stipendi, salari e pensioni: Questi redditi sono pignorabili solo in parte. L’art. 545 c.p.c. fissa i limiti: lo stipendio o salario percepito dal debitore può essere pignorato nella misura massima di 1/5 (20%) del netto mensile, se il pignoramento è per crediti ordinari; se il pignoramento è per alimenti dovuti o danni da fatto illecito, il giudice può aumentare la quota (ma raramente oltre 1/3); se è per tributi allo Stato, anche qui massimo 1/5. Inoltre esiste un minimo vitale impignorabile: le somme da lavoro dipendente o pensione sono impignorabili per l’ammontare pari a circa 1.5 volte l’assegno sociale (nel 2025, l’assegno sociale è attorno a €503, quindi circa €754 sono impignorabili) . Sopra tale soglia, il 20% si calcola sull’eccedenza. Esempio: se un ex droghiere lavora come dipendente con stipendio €1.200 netti, la parte eccedente €754 è €446, pignorabile al 20% = €89 al mese. Se percepisce una pensione minima sui €600, non gli si può pignorare nulla. Queste norme assicurano che il debitore conservi un minimo per vivere e sono inderogabili. Perciò, i creditori che ottengono pignoramenti presso terzi su stipendi/pensioni sanno di dover recuperare a rate mensili modeste. NB: se il debitore ha più pignoramenti concorrenti sul medesimo stipendio (es. uno di Equitalia e uno di un fornitore), comunque la somma delle trattenute non può eccedere il limite (di solito il giudice li fa rientrare sempre nel 20% totale, ripartito pro-quota).
  • Conto corrente bancario: Il conto può essere pignorato dal creditore (ottenendo il blocco delle somme fino a concorrenza del credito). Tuttavia, se sul conto affluiscono stipendio o pensione, anche in sede di pignoramento del conto si applicano tutele: la legge (art. 545 c.p.c.) dice che “le somme da chiunque dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro, nonché a titolo di pensione, che sono depositate su conto, sono pignorabili nei limiti previsti (cioè 1/5) per la parte accreditata nei trenta giorni antecedenti il pignoramento”. Dunque, se arriva un pignoramento sul conto dove viene accreditato lo stipendio, l’ultimo stipendio versato sul conto è pignorabile nei limiti del 20%, mentre le somme già lì da più tempo diventano aggredibili per intero. Per un imprenditore, se il conto è un conto aziendale intestato alla ditta individuale, tutto il saldo può essere pignorato (è patrimonio d’impresa). Se è un conto personale su cui però si versano proventi dell’attività, giuridicamente è personale ma di fatto può essere attaccato ugualmente. Consiglio: tenere separati il più possibile i conti privati da quelli aziendali, sia per chiarezza contabile sia per evitare che un pignoramento colpisca somme destinate ad esigenze familiari.
  • Beni mobili e attrezzature strumentali: Il codice di procedura civile (art. 515) tutela in parte i beni strumentali all’esercizio dell’attività professionale o d’impresa: essi sono pignorabili nei limiti di 1/5 e comunque solo se il giudice valuta che non pregiudichi la continuità dell’attività. Per una drogheria, significa che non possono portarvi via tutti gli scaffali, il registratore di cassa o l’unico furgoncino se questo vi serve per approvvigionarvi: al più ne pignoreranno una parte se eccedono il minimo indispensabile. In pratica questa norma viene applicata con buon senso: l’ufficiale giudiziario evita di pignorare gli strumenti essenziali della professione (un falegname terrà i suoi arnesi base, ecc.). Naturalmente, se l’attività cessa, decadono queste limitazioni.
  • Veicoli: Le automobili o furgoni aziendali non sono protetti di per sé, ma se il veicolo è funzionale all’impresa (es. l’unico mezzo per fare consegne) ci si può opporre chiedendo di sostituire il pignoramento con altro o di limitare l’esecuzione. In sede esattoriale, c’è il fermo amministrativo: il Fisco può bloccare l’auto se il debito supera €1.000 e non è stato pagato entro 60 gg dalla cartella; tuttavia non può iscrivere fermo su un veicolo strumentale ad attività di impresa o professionale del debitore (art. 86 DPR 602/73). Occorre però provarne l’uso professionale (intestazione a ditta, oppure mezzi attrezzati). In tabella sotto consideriamo il caso.
  • Beni in comunione dei coniugi: Se il titolare della drogheria è sposato in comunione legale dei beni, molti beni acquistati durante il matrimonio (case, auto, conti cointestati) sono comuni con il coniuge. Ciò non rende immuni dal pignoramento, ma limita il pignoramento a quota parte: il creditore può pignorare il bene in comunione, però il coniuge non debitore ha diritto alla metà del ricavato (in sede esecutiva, la prassi è più complessa ma sostanzialmente il coniuge può rivendicare la sua parte). Ad esempio, se la casa coniugale è in comunione e solo uno dei coniugi ha debiti, la casa potrà essere pignorata per intero ma nella distribuzione il 50% spetterà comunque al coniuge estraneo, quindi il creditore di fatto recupererà solo sull’altra metà. Questo può rendere meno appetibile per il creditore pignorare tali beni. Attenzione: restano impignorabili i beni strettamente personali del coniuge non debitore e quelli esclusi dalla comunione (es. eredità, donazioni ricevute).

Di seguito una tabella di sintesi:

Tabella – Beni del debitore e pignorabilità / difese

Bene/RedditoPignorabilitàStrumenti di difesa
Prima casa (unico immobile)Impignorabile dal Fisco (se non lusso e residenza debitore) ; pignorabile da creditori privati– Per il Fisco: eccepire improcedibilità ex art. 76 DPR 602/73 in opposizione. <br>– Per creditori privati: difficile evitare pignoramento, eventuale conversione pignoramento (pagando debito). <br>– Valutare fondo patrimoniale (se debito non per bisogni familiari, v. infra).
Altri immobili (seconde case, locali)Pignorabili da tutti i creditori (Fisco può anche ipotecare se > €20k debito)– Nessuna esenzione. Possibile solo dilazionare per evitare esecuzione o vendere volontariamente prima che svaluti in asta (meglio liquidare bene per pagare debiti). <br>– Inutili atti dispositivi a familiari: rischiano revocatoria.
Stipendio/PensionePignorabile max 1/5 (cumulativo) su parte eccedente minimo vitale– In sede di pignoramento, far valere limiti ex art. 545 c.p.c. <br>– Se più pignoramenti, chiedere riunione e rispetto limite totale.
Conto corrente (sums)Saldo pignorabile 100% se fondi generici; se contiene stipendio/pensione, ultime mensilità nei limiti 1/5– Appena notificato pignoramento, si può tentare accordo col creditore per sblocco (a volte funziona se si offre pagamento parziale). <br>– Diversificare conti (accantonare risparmi su conto intestato a terzi di fiducia è rischioso – possibile accusa di frode).
Attrezzature e beni d’impresaPignorabili fino 1/5 e senza compromettere attività (art. 515 c.p.c.)– Opposizione al pignoramento se l’ufficiale giudiziario esagera. <br>– Dimostrare che beni pignorati servivano per lavoro (per chiederne liberazione).
Automezzo (veicolo)Pignorabile (bene mobile registrato) in esecuzione ordinaria; Fisco può disporre fermo amm.vo (blocco utilizzo)– Prima del pignoramento: se uso strumentale, chiedere al Fisco di non iscrivere fermo (presentando documenti). <br>– Dopo pignoramento: ricorso d’urgenza se dimostrabile che il fermo/pignoramento pregiudica la continuità lavorativa, chiedendo sostituzione bene.
Beni in fondo patrimonialeAggredibili solo per debiti contratti per bisogni della famiglia (art. 170 c.c.).– Se pignorati, opposizione sostenendo estraneità del debito ai bisogni familiari. <br>– Cassazione: debiti fiscali dell’attività non sono per bisogni fam. (impignorabilità) ; però es. tributi su casa familiare sì. <br>– Onere del debitore provare vincolo del fondo e data anteriore al debito .
Beni in comunione legalePignorabili, ma il coniuge non debitore tutela la sua quota (50% ricavo).– Possibile azione di divisione endoesecutiva per separare quota coniuge. <br>– Il coniuge può anche offrire di pagare metà per liberare bene.
Fideiussioni personali (garanzie date)Il fideiussore risponde con patrimonio illimitatamente, come un co-debitore– Poche difese: controllare se la fideiussione bancaria contiene clausole nulle (Banca d’Italia ha sanzionato alcuni schemi standard ABI). <br>– Se fideiussione escussa, il fideiussore può rivalersi sul debitore principale (magra consolazione se quest’ultimo è insolvente).

Un discorso a parte meritano gli strumenti di pianificazione patrimoniale preventiva, come il fondo patrimoniale, il trust o il vincolo di destinazione su beni (art. 2645-ter c.c.). In contesti di normalità, un imprenditore prudente potrebbe valutare di vincolare alcuni beni ai bisogni familiari (fondo patrimoniale) o in trust a favore di figli, ecc., per separarli dai rischi d’impresa . Tali strumenti, se istituiti “in tempi non sospetti” e con finalità legittime, offrono effettivamente un certo scudo: come visto, un fondo patrimoniale rende il bene non aggredibile per debiti estranei ai bisogni familiari, un trust ben congegnato può segregare asset fuori dalla portata dei futuri creditori. Tuttavia, bisogna essere estremamente cauti: se queste operazioni vengono fatte quando i debiti sono già in essere o imminenti, risultano facilmente attaccabili (revocatoria in sede civile; o considerati atti in frode ai creditori nelle procedure concorsuali; o addirittura configurare reato se riguardano debiti fiscali) . La Cassazione ha affermato ad esempio che la costituzione di un fondo patrimoniale poco prima di contrarre debiti fiscali può essere ignorata dal giudice fallimentare, escludendo quei beni dall’attivo fallimentare (v. Cass. 18164/2023 – il giudice delegato non può acquisire al fallimento beni in fondo patrimoniale se il debito è d’impresa) . Al contrario, tasse e spese legate alla famiglia (come IMU sulla casa coniugale, bollette, ecc.) possono essere considerate debiti per i bisogni della famiglia, quindi il fondo non protegge in quei casi . Insomma, la protezione patrimoniale lecita va pianificata per tempo e con consulenza esperta, mai improvvisata all’ultimo come espediente.

In conclusione, il debitore informato conosce quali sue risorse sono al sicuro e quali no, e su quelle non al sicuro agisce per tempo (ad esempio, se la propria casa non rientra nella tutela prima casa perché è una seconda casa o perché è in parte di lusso, magari conviene usarla per venderla volontariamente e ripianare debiti, prima che vada perduta in asta). Proteggere il salvabile è possibile e lecito, ma occorre muoversi entro i margini della legge e senza attendere di essere con l’acqua alla gola . La combinazione di misure difensive (opposizioni mirate ai pignoramenti illegittimi) e strategie patrimoniali legittime fa parte di una buona gestione della crisi debitoria.

Chiusura dell’attività: effetti sui debiti e considerazioni

È un pensiero comune: “Se la situazione è disperata, tanto vale chiudere il negozio e amen”. Ma chiudere la drogheria – sia che si tratti di cessare la partita IVA di una ditta individuale, sia di liquidare una società – non significa magicamente cancellare i debiti pregressi . Occorre chiarire cosa comporta, dal punto di vista legale, la cessazione dell’attività quando ci sono debiti pendenti:

  • Ditta individuale: Se Mario chiude la sua drogheria individuale (cessazione attività e partita IVA), i debiti dell’impresa diventano semplicemente debiti personali di Mario. Non esiste più la distinzione (che già era labile prima, essendo la stessa persona), ma in pratica cambia poco: i creditori continueranno a potersi rivalere su tutti i beni di Mario, presenti e futuri. Non potrà più fallire perché non è più imprenditore (sotto il vecchio regime la cessazione da oltre un anno escludeva il fallimento; sotto il CCII l’imprenditore cessato da oltre 12 mesi non può chiedere concordato minore, e se era sotto-soglia non poteva essere soggetto a liquidazione giudiziale comunque). In compenso, se Mario rientra come “consumatore” o debitore civile, potrà semmai accedere al piano del consumatore per i suoi debiti (ma attenzione: se i debiti sono stati contratti per l’attività d’impresa, la qualifica di consumatore è dubbia, vedi oltre Cass. 22699/2023). Insomma, chiudere la partita IVA ha senso solo se si vuole interrompere l’emorragia di ulteriori debiti (es. smettere di accumulare perdite), ma non incide sui debiti esistenti se non in termini di procedure applicabili.
  • Società di persone (S.n.c. o S.a.s.): Lo scioglimento e liquidazione di una società di persone comporta che i soci illimitatamente responsabili rimangono obbligati per i debiti sociali non soddisfatti (art. 2312 c.c.). Se al momento della chiusura ci sono debiti non pagati, i creditori possono chiedere ai soci di pagarli col patrimonio personale. I soci accomandanti (nel caso di S.a.s.) sono tenuti nei limiti della quota conferita – di solito se la quota l’hanno già versata tutta, non devono altro, salvo diversa pattuizione. Attenzione: finché non viene cancellata la società dal registro imprese, i creditori devono prima escutere la società; dopo la cancellazione, possono agire direttamente contro i soci. Inoltre, entro 1 anno dalla cancellazione, se emergono crediti insoddisfatti, i creditori potrebbero chiedere la riapertura della liquidazione o addirittura la dichiarazione di fallimento postuma della società (se era fallibile, Cassazione ha ammesso fallimenti dichiarati entro l’anno dalla cancellazione in casi di attivo/passivo non definito).
  • Società di capitali (S.r.l.): La chiusura di una S.r.l. avviene tramite liquidazione volontaria e cancellazione. I debiti sociali dovrebbero essere pagati durante la liquidazione; se il liquidatore chiude distribuendo attivo ai soci lasciando debiti, i creditori potranno far valere il loro credito contro i soci, ma solo entro il limite di ciò che questi hanno ricevuto in distribuzione (art. 2495 c.c.). Se i soci non hanno ricevuto nulla (perché magari non c’era attivo residuo), il creditore rimane insoddisfatto, ma può reagire in due modi: 1) Entro 1 anno chiedere la liquidazione giudiziale (fallimento) della società defunta, se ne ricorrevano i presupposti quando era attiva. La legge fallimentare (art. 10 L.F. vecchio, ora art. 33 CCII) consente di dichiarare il fallimento entro 1 anno dalla cancellazione, purché l’insolvenza sussistesse prima o al momento della cancellazione. Questo per evitare furbate di cancellare la società insolvente per sfuggire ai creditori. 2) Se non fallisce, il creditore può tentare azioni contro l’ex amministratore per mala gestio (ad esempio, se ha violato il dovere di conservazione del patrimonio sociale pagando preferenzialmente alcuni creditori e non altri, o proseguendo l’attività aggravando il dissesto, può esserci responsabilità ex art. 2486 c.c. e il curatore fallimentare o i creditori possono agire per danni). Sul piano pratico: se la drogheria S.r.l. viene chiusa lasciando debiti, molto probabilmente i creditori (Agenzia Entrate, banca, etc.) presenteranno istanza di fallimento entro l’anno. Ci sono state nel 2023 e 2024 pronunce (Cass. 4329/2020, Cass. 22699/2023) che confermano che un ex imprenditore non può accedere a concordato dopo un anno , ma che può comunque essere soggetto a fallimento in quell’anno di finestra se i creditori si muovono. Una volta dichiarato il fallimento (o liquidazione giudiziale), i debiti saranno trattati nella procedura concorsuale e l’imprenditore (se persona fisica) potrà poi avere esdebitazione; i soci persone fisiche di S.r.l. invece non falliscono personalmente (salvo abbiano garanzie).
  • Conseguenze “operative” della chiusura: Chiudere l’attività spesso peggiora la situazione: se l’impresa chiude, cessano le entrate. Un imprenditore che magari stava pagando a fatica qualche rata, dopo la chiusura non avrà più reddito dall’azienda, e se non trova altro lavoro i creditori non vedranno proprio nulla. È vero che a volte la chiusura è obbligata (se i fornitori non consegnano più merce, se mancano liquidità per le bollette, ecc.), ma va affrontata con un piano. Ad esempio, se si prevede di chiudere, conviene considerare contestualmente di avviare la procedura di sovraindebitamento per sistemare i debiti personali post chiusura. Chiudere e basta significa restare esposti a vita come persona fisica.

In sintesi: non fare affidamento sulla chiusura come scudo. I debiti ti inseguono comunque , a meno che tu non li gestisca in qualche procedura di esdebitazione. Un suggerimento spesso dato è: meglio affrontare i debiti da imprenditore attivo (usando anche i flussi futuri dell’azienda, se possibili, per accordi e piani), piuttosto che farlo da “ex imprenditore disoccupato”.

Ciò detto, in alcuni casi la chiusura immediata dell’attività può essere l’unica scelta sensata per contenere i danni. Ad esempio, se la drogheria continua ad operare in perdita, accumulando ulteriori debiti verso fornitori ogni mese, protrarre l’attività peggiora solo l’esposizione e rischia di configurare anche responsabilità per aggravamento del dissesto. In tali frangenti, va valutata una chiusura ordinata, magari salvaguardando possibili valori residui (es: cedere l’attività o il magazzino a terzi a prezzo di mercato e usare il ricavato per pagare parzialmente i creditori). Ma questo travalica il nostro argomento.

La chiave è: chiusura dell’attività non equivale a soluzione dei debiti. Quindi, se decidi di chiudere, devi contestualmente attivare uno degli strumenti di composizione (liquidazione controllata, accordi con creditori, ecc.) per non restare per sempre inseguito.

Nei casi pratici finali vedremo un esempio di drogheria che chiude e come gestisce la fase post-chiusura. Ora passiamo alla sezione di Domande e Risposte, che affronta specifici dubbi con un taglio più diretto.

Domande frequenti (FAQ)

❓ I debiti di una drogheria possono portare al fallimento dell’imprenditore?
Dipende dalla dimensione dell’impresa e dai requisiti di fallibilità. Oggi non si parla più di “fallimento” ma di liquidazione giudiziale, disciplinata dal nuovo Codice della crisi d’impresa (CCII). Una piccola drogheria sotto certe soglie (attivo ≤ €300.000, ricavi ≤ €200.000, debiti ≤ €500.000) è considerata impresa minore e non è assoggettabile a liquidazione giudiziale . Ciò significa che i creditori non possono chiederne il fallimento. Tuttavia, restano possibili le azioni esecutive individuali (pignoramenti) e le procedure di sovraindebitamento. Se invece la drogheria supera anche uno solo di quei limiti, allora è fallibile e in caso d’insolvenza conclamata i creditori (con crediti > €30.000 ) potrebbero chiederne la liquidazione giudiziale al tribunale. Ad esempio, se una drogheria in forma di S.n.c. ha €600.000 di debiti e non paga più, è presumibilmente soggetta a liquidazione giudiziale. Va ricordato anche il requisito dei €30.000 di debiti scaduti: sotto quella soglia non si apre alcuna procedura concorsuale (per evitare fallimenti per importi minimi) . La Cassazione nel 2025 ha chiarito (Cass. ord. 4201/2025) che, nel calcolo di questo importo, anche i debiti rateizzati contano come “scaduti” se la rateizzazione è concessa post insolvenza . Quindi non basta aver fatto una dilazione con il Fisco per dire “non ho debiti scaduti”. In pratica: una drogheria molto piccola non può essere portata in tribunale per il fallimento, ma i suoi debiti verranno altrimenti gestiti (sovraindebitamento, esecuzioni). Una drogheria grande sì. E l’imprenditore individuale in quanto persona fisica non fallisce mai personalmente (la procedura riguarda la sua impresa, se è fallibile, e i suoi beni).

❓ Se ho debiti con il Fisco (Agenzia Entrate, ex Equitalia) posso trasferirmi all’estero e non pagarli?
Trasferirsi all’estero non estingue i debiti e può anzi complicare la situazione. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione può comunque iscrivere ipoteche sui beni in Italia o procedere al pignoramento di conti italiani. Inoltre, tramite accordi internazionali di mutua assistenza, il Fisco può chiedere agli omologhi esteri di riscuotere i crediti in molti Paesi (soprattutto UE). Chi ha debiti fiscali ingenti ed è nel mirino di riscossione coattiva, di fatto, potrebbe incontrare ostacoli anche nell’espatrio: non giuridici (non c’è un “divieto di espatrio” per debiti, tranne casi penali) ma pratici, perché se ha beni solo in Italia, glieli pignoreranno; se apre conti all’estero al riparo, rischia però incriminazioni (se il debito è fiscale e l’attivo c’è ma occultato all’estero, subentra la dimensione penale). La via d’uscita non è fuggire, ma regolarizzare: con piani di rientro, definizioni agevolate o procedure concorsuali. Notiamo anche che, per legge, non possono essere rilasciati passaporto o carta d’identità valida per l’espatrio a chi abbia “mezzi di sostentamento insufficienti” e debba espatriare: un grande indebitato insolvente potrebbe teoricamente vedersi negare il passaporto perché presumono voglia sfuggire ai creditori. In pratica è rarissimo, ma la leggenda che “se non pago Equitalia non posso andare all’estero” ha un fondo di verità in situazioni estreme . Ad ogni modo, andando all’estero i debiti restano e maturano interessi, e se mai tornerai o avranno rintracciato beni, ti verrà presentato il conto con gli arretrati.

❓ Ho un’unica casa dove vivo con la mia famiglia: davvero non me la possono pignorare per le tasse?
Per le tasse (cartelle esattoriali) sì, è vero: la prima ed unica casa di residenza non può essere espropriata dall’Agente della Riscossione, in forza dell’art. 76 DPR 602/1973 come modificato nel 2013 . La Cassazione nel 2024 ha confermato che tale norma vale anche per le procedure in corso iniziatesi prima della modifica: se il processo esecutivo era pendente al 21/08/2013 su una prima casa, va chiuso senza asta . Attenzione però ai limiti e alle eccezioni: (1) La casa non deve essere di lusso (categorie A/8, A/9, ville, castelli – quelle sono pignorabili anche come “prima casa”). (2) Non deve trattarsi di casa data in garanzia ipotecaria volontaria: se hai fatto un mutuo ipotecario, la banca può comunque espropriare la casa se non paghi, perché agisce come creditore ipotecario privato, non come Fisco. (3) La casa deve essere “destinata ad uso abitativo proprio del debitore” e residenza anagrafica: significa che se hai una sola casa ma l’hai affittata e tu risiedi altrove in affitto, quella casa non gode della protezione (non è abitazione tua in quel momento). (4) La norma protegge dall’espropriazione, ma non dall’ipoteca: il Fisco può iscrivere ipoteca sull’unica casa (se debito > €20k), solo che finché rimane unica casa non potrà procedere con l’esproprio. L’ipoteca però resta e impedisce, ad esempio, di vendere l’immobile (nessuno lo compra con ipoteca Equitalia sopra). Dunque, nei fatti la casa è “imprigionata” finché non paghi il debito o chiedi cancellazione dell’ipoteca (cosa possibile solo pagando o se illegittima). – In conclusione: la prima casa è molto tutelata verso Fisco (non la perdi, anche se potrebbe restare ipotecata), ma non è affatto tutelata verso banche o altri creditori: se un fornitore ha un decreto ingiuntivo e tu non paghi, può pignorare la casa, prima o seconda che sia, e metterla all’asta. L’unico modo per proteggerla in quel caso è la strada del fondo patrimoniale (se il debito del fornitore non era per bisogni famigliari, potresti opporti), oppure evitare di arrivare al pignoramento (accordandoti col creditore). Ricorda che se sei sposato e la casa è in comunione, il creditore potrà colpire solo la tua quota (ma di fatto la casa andrà comunque all’asta intera, e al coniuge spetterà metà ricavato). Un escamotage disperato – vendere la casa al parente per salvarla – l’abbiamo già sconsigliato perché porta a revocatoria e guai penali.

❓ Posso mettere la casa (o altri beni) a nome di mio figlio o coniuge per evitare i creditori?
Sconsigliatissimo. Alienare beni per sottrarli ai creditori configura potenzialmente il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento dei debiti (art. 388 c.p. per sentenze civili; art. 11 D.Lgs.74/2000 se debiti fiscali > soglia). Inoltre, civilmente l’atto sarà quasi certamente revocato dal tribunale su azione dei creditori . Se anche doni/vendi a persona fidata, il creditore può aggredire lo stesso il bene (promuovendo causa contro il beneficiario per far dichiarare l’atto inefficace). E nel frattempo potresti subire misure cautelari (sequestro) che congelano i beni trasferiti. Insomma, non funziona e peggiora la tua posizione. Meglio perseguire soluzioni legali: se proprio hai un immobile di valore e debiti insostenibili, valuta di venderlo a terzi sul mercato a prezzo equo e usare il ricavato per un accordo a saldo e stralcio coi creditori – una trattativa trasparente ha molte più chances di riuscire e nessun giudice te la può contestare. Se invece fai vendite simulate a parenti per 1 euro, stai certo che il giudice le annulla appena il creditore fa istanza (e intanto magari ti denuncia pure).

❓ I soci o l’amministratore di una S.r.l. rispondono dei debiti della società?
In linea generale no, ed è proprio la ragion d’essere della S.r.l.: la responsabilità è limitata al capitale sociale. Quindi i soci non rischiano il loro patrimonio personale per i debiti sociali. L’amministratore risponde solo verso la società (e indirettamente verso i creditori tramite azione di responsabilità) se viola i suoi doveri gestionali. Non c’è una regola che lo renda coobbligato per i debiti della società . Ci sono però casi specifici in cui i creditori possono rivalersi su soci o amministratori: – Fisco – art. 36 DPR 602/1973: l’Agenzia Entrate può chiedere agli ex amministratori o liquidatori di pagare imposte non versate se questi, nella liquidazione, hanno pagato altri debiti lasciando indietro il Fisco, o se hanno sottratto beni sociali . Ma è un caso mirato (richiede prove di quelle condotte). – Soci di società estinte: come detto prima, Cassazione 23341/2024 consente al Fisco di chiedere ai soci anche le sanzioni entro il limite di quanto riscosso in liquidazione . E, in generale, qualsiasi creditore sociale non soddisfatto può far causa ai soci per farsi restituire i soldi ricevuti in distribuzione (per pagarci il suo credito). – Fideiussioni personali: Spesso però i soci o l’amministratore hanno firmato garanzie personali (es. la banca glielo fa fare). In tal caso rispondono come garanti, ma per obbligazione volontaria loro, non per legge. – Responsabilità per atti illeciti: Se l’amministratore ha compiuto un illecito, ad esempio ha personalmente garantito un prodotto difettoso che ha causato danni, potrebbe risponderne personalmente. Ma sono eccezioni.

La Cassazione di recente (ord. 8696/2025) ha ribadito che non esiste una responsabilità generale degli amministratori per debiti tributari della società , salvo l’art.36 citato e ipotesi simili, proprio a conferma del principio di autonomia patrimoniale perfetta della S.r.l. Dunque, chi ha una drogheria in S.r.l. può stare relativamente tranquillo che i debiti resteranno confinati lì finché: (a) non viola la legge (allora può avere noie, tipo bancarotta se fallisce, ecc.), (b) non ha dato garanzie personali (quelle valgono a prescindere), (c) non chiude male la società distribuendo e scappando (in quel caso i creditori faranno valere art. 2495 c.c. contro di lui). In sintesi: i soci non pagano i debiti sociali, ma se siete soci-amministratori, occhio a non fare sciocchezze perché indirettamente qualche responsabilità può emergere.

❓ Dopo quanti anni si prescrivono i debiti?
La prescrizione dipende dal tipo di debito: – Debiti commerciali (es. fornitori): 5 anni in genere (art. 2948 c.c. per forniture periodiche, o 10 anni se riconducibili a contratto scritto importante). – Bollette: 5 anni (termine breve). – Debiti fiscali: le cartelle esattoriali di solito 5 anni (per tributi locali, contributi INPS) o 10 anni (per alcuni tributi erariali come IVA, IRPEF, secondo orientamenti) dalla notifica se nel frattempo l’ente non invia intimazioni. Atti interruttivi ricominciano il termine. – Debiti da sentenze: 10 anni dal passaggio in giudicato. – Mutui e finanziamenti bancari: ogni rata ha prescrizione 5 anni dopo scadenza; l’intero mutuo se risolto può aver 10 anni su capitale. – Sanzioni amministrative: 5 anni dal momento in cui sono dovute se l’ente non attiva riscossione. La verifica della prescrizione può annullare il debito: se ad esempio ho una cartella del 2015 e dal 2016 non mi hanno più notificato nulla, nel 2025 è prescritta (5 anni per contributi, ad esempio). Attenzione: la prescrizione va eccepita: il giudice o l’ente non la applica d’ufficio. Quindi devi sollevare tu, in opposizione, che quel debito è prescritto. Inoltre, se hai riconosciuto il debito (pagando un acconto o simili) hai interrotto la prescrizione.
Consiglio: tenere traccia di tutti gli atti ricevuti e farsi fare negli anni gli estratti di ruolo, così da sapere se un credito è ancora esigibile o no. Mai pagare subito vecchi debiti senza aver consultato uno specialista: potresti scoprire che erano prescritti.

❓ Non riesco più a pagare le rate del mutuo e degli altri finanziamenti: cosa posso fare per evitare il pignoramento?
Se la drogheria o tu personalmente non riesci a pagare i finanziamenti bancari, è fondamentale agire prima che la banca pignori i beni dati in garanzia (es. ipoteca su casa, pegno su merci). Alcune strade: – Rinegoziazione: come già detto, chiedere alla banca di rinegoziare il mutuo (allungare durata, abbassare rata) . Presentare ISEE e situazione contabile per dimostrare difficoltà temporanea. – Moratoria/benefici legge: verificare se ci sono norme temporanee (nel passato, moratorie Covid; in certi casi per famiglie in difficoltà esiste il Fondo Gasparrini per sospendere rate mutui prima casa). – Saldo e stralcio con la banca: offrire una somma immediata (anche raccogliendo aiuti da parenti) per chiudere il debito residuo. Non facile ma se la banca percepisce che il valore del bene ipotecato è inferiore al debito, potrebbe accettare. Es: debito mutuo €120k, casa ne vale 100k scarsa, offrendo 90k subito la banca forse evita asta. – Consolidamento: rivolgersi ad altro istituto per un prestito di consolidamento debiti a condizioni più sostenibili (difficile se sei già in sofferenza, ma fattibile se hai ancora un po’ di rating). – Procedura di sovraindebitamento: se la situazione è generalizzata (più debiti oltre alla banca) e non ce la fai, valuta il piano di ristrutturazione del consumatore o concordato minore. Queste procedure bloccano le azioni esecutive (quindi anche la banca non può pignorare finché il piano è in valutazione) . Nel piano puoi proporre di pagare il mutuo in modo differente (es. abbassando interessi, o rinegoziando importo se la casa vale meno). Il giudice verifica che la proposta sia più conveniente per la banca rispetto a vendere la casa in asta – se sì, anche la banca dissenziente potrebbe dover accettare l’esito. – Vendita volontaria dell’immobile/ipoteca: come ultima ratio, vendere tu la casa o il bene su cui c’è ipoteca prima che lo facciano all’asta. Spesso in asta gli immobili vanno svalutati; vendendo sul mercato libero ottieni di più e puoi saldare il debito residuo. Meglio non aspettare la procedura esecutiva, insomma. – Protezione beni essenziali: se hai garantito col tuo patrimonio, vedi se riesci a proteggere quanto necessario (prima casa, ecc.) attraverso le tutele viste sopra. Ad esempio, la prima casa se ipotecata per mutuo può essere espropriata dalla banca, ma se il mutuo è in sofferenza potresti rinegoziare o vendere prima.

Importante mantenere un dialogo aperto con la banca: far finta di niente e saltare le rate porta dopo poche morosità alla decadenza dal beneficio del termine e l’intero debito diventa esigibile, preludio al pignoramento. Invece, contattando la banca appena inizi a scricchiolare, puoi cercare soluzioni. Mai nascondersi: la banca preferisce un debitore che la informa e propone piani, piuttosto che scoprire all’improvviso l’insolvenza e dover inseguire il cliente moroso .

❓ In cosa consiste la procedura di sovraindebitamento per piccoli imprenditori?
Le procedure di sovraindebitamento (oggi nel CCII) comprendono: – Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore: se il debitore è una persona fisica che ha contratto debiti per scopi estranei all’attività d’impresa (consumatore puro). Questo permette di proporre un piano pagando i creditori in proporzione alle possibilità, senza necessità di voto dei creditori (decide il giudice). NB: Un ex imprenditore con debiti misti (privati e d’impresa) non è considerabile consumatore per la parte d’impresa : Cass. 1869/2016 e poi 22699/2023 hanno ribadito che la qualifica dipende dalla natura dei debiti . Se prevalgono quelli d’impresa, no piano consumatore. – Concordato minore: rivolto a imprenditori “minori” (sotto soglie fallimentari) in stato di crisi o insolvenza. Funziona come un mini concordato preventivo: serve approvazione dei creditori (maggioranza per teste e crediti) e consente di stralciare parte dei debiti. Importante: dopo correttivo 2024, è esplicitamente escluso per imprenditore che ha cessato l’attività da oltre 1 anno . Quindi se hai chiuso da più di un anno, non puoi accedervi; puoi semmai fare la liquidazione controllata. – Liquidazione controllata del sovraindebitato: è l’equivalente del fallimento per i non fallibili. La si può chiedere volontariamente (magari per poi avere esdebitazione) o possono chiederla i creditori in certi casi. Un liquidatore vende tutto e poi tu puoi essere liberato dai debiti residui dopo 3 anni . – Esdebitazione del debitore incapiente: come detto, per chi non ha nulla da liquidare. – Procedura familiare: novità CCII, se più membri della stessa famiglia sono sovraindebitati, possono presentare un unico procedimento con un piano comune (utile ad es. marito e moglie coobbligati in debiti). In pratica, per un piccolo imprenditore come una drogheria, la strada tipica è: se vuole continuare l’attività, tenterà un concordato minore (ristruttura debiti e continua magari), se invece ha chiuso o intende chiudere, opterà per la liquidazione controllata (liquida tutto e riparte pulito). Un caso intermedio: se la maggior parte dei debiti non sono commerciali ma personali (succede se ad es. la drogheria aveva pochi debiti, ma il titolare ha fatto molti debiti personali extra), potrebbe qualificare come consumatore e fare un piano del consumatore. In ogni caso, queste procedure passano per l’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) e il tribunale competente. Richiedono la presenza di requisiti di meritevolezza (non devi aver frodato i creditori, devi aver agito con correttezza) e di fattibilità economica del piano proposto. Se omologate, come detto bloccano i creditori e consentono di risolvere con una percentuale sui debiti o con la liquidazione ordinata. Da ricordare: nelle procedure di composizione, a differenza dell’esecuzione forzata, i creditori privilegiati (es. ipotecari, pignoratizi) devono ottenere almeno quanto otterrebbero da una liquidazione normale, altrimenti il tribunale non può omologare (principio del “best interest test”) . Ciò a tutela dei creditori garantiti: non li puoi far votare per prendere meno di quel che varrebbe il loro collaterale.

❓ Quali debiti non si cancellano neanche con le procedure concorsuali?
In linea generale, tutti i debiti (anche fiscali) possono essere cancellati tramite esdebitazione, se soddisfi le condizioni e la procedura va a termine. La normativa italiana prevede poche eccezioni all’esdebitazione: ad esempio, restano esclusi dall’esdebitazione “gli obblighi di mantenimento e alimentari”, le multe penali e amministrative per sanzioni pecuniarie (non le sanzioni tributarie però, quelle sono debiti concorsuali comuni). Un tempo c’era dibattito se l’IVA potesse essere falcidiata nei piani, dato un vincolo UE, ma ormai sì: è possibile stralciare anche l’IVA, purché nel rispetto del miglior soddisfacimento possibile. Quindi, se parliamo di liberarsi dei debiti, attraverso fallimento o sovraindebitamento oggi è possibile liberarsi anche del debito fiscale (a patto che nella procedura il Fisco riceva quanto riceverebbe da liquidazione). L’unica cosa che non sparisce è il debito per risarcimento danni da illecito extracontrattuale se riconosciuto da sentenza penale: su quello l’esdebitazione non opera, perché collegato a sanzione penale. Ma questo di rado riguarda un piccolo imprenditore (salvo casi di reati). Ad ogni modo, la legge premia il debitore onesto: se rispetti le regole, alla fine del percorso puoi avere la fedina finanziaria pulita. Anche il Fisco deve adeguarsi: se la procedura sancisce che su 100.000 € di tasse ne paghi 20.000 e il resto stralciato, il Fisco non può più pretendere il residuo. Fanno eccezione, come detto, le obbligazioni derivanti da sanzioni penali o amministrative per condotte fraudolente: se ad esempio sei stato condannato per frode fiscale, la relativa multa penale non te la toglie nessuno nemmeno col fallimento.

❓ La composizione negoziata della crisi è utile per le piccole imprese?
Lo strumento della composizione negoziata (introdotto nel 2021) è volontario e accessibile a qualsiasi imprenditore commerciale, anche piccolo e anche sotto-soglia, anche individuale. Quindi sì, una piccola drogheria può teoricamente attivarla. È utile se l’imprenditore vuole provare a risanare l’impresa con l’aiuto di un esperto e magari ottenere dai creditori accordi che gli permettano di evitare l’insolvenza. Il pregio per i piccoli è che è gratuita nella fase iniziale (l’esperto è pagato dalla CCIAA con fondi pubblici in prima battuta) e che evita lo stigma di andare subito in tribunale: si cerca una soluzione “in bonis”. Tuttavia, bisogna avere ancora un minimo di prospettiva di continuità: se la drogheria è già decotta, la composizione negoziata non farà miracoli. Essa è un po’ come chiamare un “tutor” che aiuti a rinegoziare debiti e magari ristrutturare l’azienda (tagliando costi, cercando investitori). Se sei già con l’acqua alla gola e zero speranze di ripresa, probabilmente finirai comunque per andare in liquidazione. Quindi la composizione negoziata è raccomandabile a chi tempestivamente intuisce la crisi e vuole agire prima di accumulare troppi debiti. È recente, quindi l’esperienza pratica sui micro-imprenditori è limitata. Molti piccoli preferiscono ancora affidarsi direttamente a un consulente privato e trattare informalmente (di fatto facendo qualcosa di analogo senza attivare l’iter ufficiale). Ma in alcuni casi attivarla può permettere di ottenere dal tribunale quelle misure protettive indispensabili (blocco pignoramenti) mentre si tratta, e questo è un bel vantaggio, soprattutto se hai già un creditore aggressivo. In composizione negoziata, poi, se i creditori non trovano accordo, l’imprenditore può convertire la procedura in un concordato semplificato (una forma di concordato liquidatorio senza voto dei creditori, introdotta anch’essa di recente). Insomma, è un tool flessibile. Val la pena parlarne con un OCC o un avvocato esperto se la situazione è borderline.

❓ Conviene coinvolgere un avvocato/consulente o posso fare da solo?
Dato il livello avanzato di molte procedure e la tecnicalità delle opposizioni, è altamente consigliabile farsi affiancare da professionisti (avvocati per le opposizioni e concordati; commercialisti o OCC per i piani di ristrutturazione; consulenti del lavoro se ci sono dipendenti, ecc.). Muoversi da soli improvvisando rischia di far perdere opportunità o commettere errori formali. Un avvocato esperto in crisi d’impresa può analizzare a 360° la tua situazione e costruire la strategia integrata: “un bravo avvocato sa quali leve utilizzare, sa costruire una strategia personalizzata per proteggere te, la tua famiglia e il tuo futuro” . Può sembrarti un costo in più, ma spesso consente di risparmiare molto di più (ad es., scovando un vizio che annulla una cartella da 50.000 €, oppure ottenendo il blocco di un’asta sulla casa). Inoltre, se hai i requisiti, puoi anche accedere al gratuito patrocinio per le cause civili (limite di reddito circa € 11.700 annui) e quindi avere assistenza legale a spese dello Stato. Quindi: informa l’avvocato di tutto, non avere timori – ogni documento può fare la differenza. Se hai un consulente di fiducia (es. il tuo commercialista), coinvolgilo nelle decisioni. Non ultimo, un professionista può interfacciarsi con i creditori in modo più efficace e prendere tempo dove tu, privato, magari non saresti ascoltato.

Passiamo ora a un paio di casi pratici per vedere in concreto come potrebbe evolvere la vicenda di una drogheria sovraindebitata in diversi scenari.

Simulazioni pratiche (casi esemplificativi)

Caso 1: Ditta individuale “Drogheria Bella” con debiti fiscali e verso fornitori
Mario è titolare della Drogheria Bella, ditta individuale. A causa di un calo delle vendite e di spese fisse elevate, accumula debiti: €30.000 con fornitori di alimentari (fatture non pagate), €15.000 di IVA non versata su alcuni trimestri, €8.000 di contributi INPS arretrati, €5.000 di bollette e affitto locale. Mario possiede una casa (dove risiede) e un’auto furgonata per le consegne. Vista la situazione, nel 2025 decide di chiudere il negozio. Cosa succede e cosa può fare: – Chiude la partita IVA e svende le rimanenze di magazzino, ricavando €5.000 che usa per pagare parzialmente alcuni fornitori minori. Restano però debiti grossi. I fornitori principali ottengono decreti ingiuntivi e minacciano pignoramenti; l’Agenzia Entrate-Riscossione gli invia una intimazione per IVA e contributi. – Mario, ormai ex imprenditore, si trova con quei debiti come debiti personali. Non ha reddito (è disoccupato). La casa di abitazione è salva dal Fisco (prima casa), ma uno dei fornitori, cui Mario deve €10.000, fa pignorare la casa. L’immobile vale €120.000 ed è libero da mutui; all’asta rischia di andare venduto a meno. – Mario si rivolge a un OCC e attiva una procedura di liquidazione controllata (perché essendo ex imprenditore non fallibile può farlo). Chiede le misure protettive: il tribunale sospende la vendita all’asta. Nella liquidazione Mario mette la casa e l’auto a disposizione; il liquidatore vende l’auto (€3.000) e la casa (€100.000 in vendita forzata, un po’ deprezzata). Con €103.000 ricavati paga in ordine i creditori privilegiati (INPS contributi e una parte di IVA – supponiamo €8k + €10k di IVA, interessi esclusi) e quel che resta (85k circa) ripartisce pro quota tra tutti gli altri (IVA residua, fornitori, bollette). Forse i chirografari prendono un 50%. Dopo la chiusura della liquidazione, Mario ottiene dal giudice l’esdebitazione totale dei € debiti non soddisfatti (ad es. se qualche debito è rimasto scoperto). Mario a questo punto non ha più casa né auto, ma ha azzerato i debiti e potrà ripartire. In alternativa alla liquidazione, Mario avrebbe potuto tentare un piano del consumatore: magari proponeva “vendo la casa e pago il 80% di ogni credito, chiedo stralcio del 20%”, forse glielo avrebbero omologato. Ma essendo i debiti anche d’impresa, avrebbe dovuto fare concordato minore – non possibile perché lui ha cessato l’attività oltre 12 mesi fa. Quindi la liquidazione era di fatto obbligata. L’esdebitazione gli dà sollievo e può cercare un lavoro senza paura dello stipendio pignorato (per ciò che era residuo, comunque sarebbe stato coperto dall’esdebitazione). – Nota: se Mario non avesse agito, probabilmente la casa sarebbe stata venduta all’asta dal fornitore, il quale però come creditore chirografario avrebbe dovuto dividere il ricavato con gli altri (tramite intervento in procedura): più casino, meno soddisfazione per tutti e Mario sarebbe rimasto con debiti residui. Così invece, tramite procedura unitaria, si è “ripulito”.

Caso 2: S.n.c. “Drogheria Alfa” con crisi da debiti bancari
La Drogheria Alfa è una S.n.c. di due soci (fratelli). Ha un finanziamento bancario di €50.000 e uno scoperto di conto di €20.000. Inoltre, deve €30.000 a fornitori di generi alimentari. Patrimonio: un furgone leasing, merci in magazzino e arredi. I due soci hanno ciascuno una casa di proprietà personale. La drogheria subisce un calo per l’apertura di un supermercato vicino. I soci si accorgono che non riescono più a sostenere le rate e pagare i fornitori. Decidono di proseguire l’attività ma ristrutturare il debito, perché credono ancora nella clientela storica. Come procedono: – Attivano la composizione negoziata della crisi. Viene nominato un esperto che analizza la situazione. L’esperto suggerisce di razionalizzare i costi (chiudere un punto vendita secondario in perdita, licenziare 1 commesso part-time) e stima che con queste misure la drogheria potrebbe generare un surplus annuo di €15.000 utile a rimborsare i debiti. – Si convocano le parti: la banca e i fornitori principali. Con la banca si negozia una rinegoziazione: il finanziamento di €50k viene allungato da 5 a 10 anni, riducendo la rata; lo scoperto di conto di €20k viene convertito in prestito a 5 anni. La banca accetta perché vede i soci cooperativi e portano un business plan che regge con le nuove rate. I fornitori, alcuni sono piccoli e vengono proposti pagamenti parziali: ad esempio a uno di €10k offrono €6k in 6 mesi a saldo, e accetta perché teme di perdere tutto se chiudono. – Per il fornitore più grosso (€20k) i soci propongono un concordato minore se non accetta un accordo stragiudiziale: in pratica dicono “guarda, accetta 12k su 20k, altrimenti andiamo in concordato e rischi di prendere anche meno”. Il fornitore, vedendo che la banca e altri hanno aderito, accetta anche lui (magari su pressione dell’esperto che illustra le alternative). – Nel frattempo, grazie alle misure protettive attivate, nessuno può aggredire il patrimonio (la banca avrebbe potuto revocare fido e pignorare, ma è congelata; i fornitori non possono fare decreti ingiuntivi nel frattempo). – Si formalizza un accordo di ristrutturazione dei debiti sottoscritto dall’80% dei creditori, che viene omologato dal tribunale. I creditori che hanno aderito (banca e fornitori chiave) sono vincolati. I pochi piccoli creditori non aderenti vengono pagati regolarmente a scadenza (erano importi modesti). – La drogheria continua l’attività, sotto monitoraggio dell’esperto per alcuni mesi. I soci mantengono le loro case, nessun creditore è andato su di esse perché l’accordo ha evitato insolvenza conclamata. Dopo 1 anno, la situazione si stabilizza e la drogheria torna in utile. – Questo scenario positivo richiede che l’impresa fosse ancora viabile. Se invece i ricavi fossero irrimediabilmente insufficienti, gli accordi sarebbero saltati e l’unica via sarebbe stata chiudere e liquidare.

Caso 3: S.r.l. “Drogheria Gamma” e responsabilità dell’amministratore
La Drogheria Gamma è una S.r.l. a socio unico (Mario) che nel 2023 ha avuto gravi problemi. Mario, per cercare di salvare l’azienda, smette di pagare l’IVA e i contributi dipendenti, preferendo usare quella liquidità per pagare fornitori e tenere rifornito il negozio. Accumula così €40.000 di IVA non versata e €15.000 di INPS dipendenti. Nel 2024 la società è insolvente e Mario la cancella dal registro imprese senza attivare procedure (di fatto l’ha lasciata morire con quei debiti erariali). Nel 2025 l’Agenzia Entrate inizia a inviare cartelle a Mario come coobbligato. Mario si spaventa: “Ma come, la S.r.l. non doveva proteggermi?”.
Cosa è successo: l’Agenzia applica l’art. 36 DPR 602/1973, sostenendo che Mario (amministratore) durante la vita della società ha usato attivi per pagare altri invece del Fisco, e ha “occultato” le somme di IVA non versata. Gli notifica quindi un atto di responsabilità ex art.36, chiedendogli €55.000. Mario impugna quell’atto in Commissione Tributaria, sostenendo che non ci sono i presupposti (non c’è stata formale liquidazione preferenziale, lui semplicemente ha omesso dei pagamenti, che è diverso). La questione va in Cassazione, che con ordinanza (simile alla 8696/2025) gli dà ragione: non è automaticamente responsabile l’amministratore di S.r.l. per l’IVA non versata , a meno che il Fisco provi le condizioni specifiche (operazioni di liquidazione distrattive negli ultimi 2 anni). Nel caso di Mario non c’era stata una procedura di liquidazione formale né atti tipici, quindi la Cassazione esclude la sua responsabilità diretta . Mario così si salva personalmente da quel carico (resta comunque eventualmente passibile di sanzioni amministrative o penali per l’omesso versamento IVA, ma patrimonialmente evita di dover pagare lui l’IVA arretrata).
Morale: la protezione della S.r.l. regge, ma se l’amministratore avesse, ad esempio, liquidato la società distribuendo utili ai soci invece di pagare il Fisco, allora il Fisco avrebbe potuto ottenere da lui o dai soci quelle somme. E attenzione: Mario comunque ha sulla testa un possibile reato di omesso versamento IVA (se superava soglia e non l’ha regolarizzato). Quindi l’uso della S.r.l. come scudo non deve indurre a gestioni scorrette confidando nell’impunità: i debiti sociali restano sociali, ma certi comportamenti possono portare a responsabilità extradebitorie.

Questi sono solo esempi schematici: ogni situazione reale va valutata specificamente.

Conclusioni

Trovarsi con una drogheria carica di debiti non è una condanna definitiva, ma un serio campanello d’allarme. La differenza tra perdere tutto – azienda, beni personali, serenità familiare – e uscirne in modo ordinato sta tutta nel come e quando si reagisce . Abbiamo visto che l’ordinamento italiano mette a disposizione un ventaglio di strumenti, preventivi e successivi, per gestire situazioni di sovraindebitamento anche di piccole imprese. Ci sono limiti legali all’azione dei creditori (beni impignorabili o parzialmente tali), ci sono opportunità di accordo e stralcio che permettono di ridurre la montagna debitoria, e in ultima istanza ci sono procedure concorsuali pensate appositamente per dare una seconda chance all’imprenditore onesto in difficoltà .

Il punto di vista adottato in questa guida è volutamente quello del debitore, per far capire che ci si può difendere in modo lecito e anche far valere i propri diritti. Essere indebitati non significa essere in balia di soprusi: ad esempio, se un creditore viola la legge pignorando cose non dovute, possiamo opporci e far valere le nostre ragioni. Se il Fisco pretende più del dovuto, possiamo impugnare e spesso ottenere sconti o annullamenti (molte cartelle vengono annullate per vizi reali). Se la banca ci stringe troppo, possiamo negoziare o coinvolgere l’autorità giudiziaria per trovare un piano sostenibile.

Il tempo è un fattore cruciale: non bisogna aspettare che la situazione precipiti. Prima ci si muove – idealmente appena ci si rende conto di non poter onorare regolarmente i debiti – più soluzioni saranno attuabili e meno danni collaterali (pignoramenti, cause) si subiranno . Spesso c’è una finestra temporale preziosa in cui i creditori non hanno ancora attivato esecuzioni: usarla per riorganizzare il debito è determinante. Anche psicologicamente, affrontare il problema in maniera proattiva aiuta a uscire dalla sensazione di impotenza che molti imprenditori indebitati provano.

Un consiglio finale è quello di non isolarsi: coinvolgere i propri collaboratori di fiducia, la famiglia, e soprattutto professionisti esperti può fare la differenza. Dietro molte storie di successo nel risanamento aziendale c’è un lavoro di squadra e competenze messe in rete. Chiedere aiuto non è un segno di debolezza, ma un atto di responsabilità verso se stessi e verso chi dipende da noi .

In definitiva, una drogheria con debiti ha davanti a sé varie possibili strade. Questa guida ne ha delineate tante, con un livello di approfondimento avanzato, riferimenti normativi e sentenze aggiornate al 2025, per offrire un orientamento solido. Ogni vicenda concreta è unica, ma conoscere il quadro legale consente di prendere decisioni informate. Non è mai troppo tardi per intervenire, ma prima lo si fa, più speranze ci sono di salvare il salvabile e, magari, rimettere in carreggiata l’impresa stessa. Se invece l’impresa è destinata a chiudere, l’importante è riuscire a proteggere l’essenziale e a liberarsi dai debiti residui per poter guardare al futuro senza incubi finanziari.

Come recita un adagio giuridico: “la legge aiuta chi agisce con diligenza”. In questo contesto significa: usa gli strumenti legali, non aspettare passivamente, e potrai difenderti efficacemente dai debiti e tornare a respirare.

Gestisci una drogheria, un negozio di alimentari e prodotti per la casa, e ti ritrovi con debiti verso fornitori, banche, dipendenti o Agenzia delle Entrate? Fatti Aiutare da Studio Monardo

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Hai cartelle esattoriali, affitti arretrati, mutui o leasing non pagati, contributi INPS scaduti, e temi pignoramenti, blocchi bancari o la chiusura dell’attività?
👉 Non farti sopraffare: anche le piccole botteghe tradizionali possono difendersi legalmente, bloccare i creditori, ridurre o cancellare i debiti e ripartire in modo protetto e regolare, senza fallire.

In questa guida scoprirai perché molte drogherie finiscono in difficoltà economica, quali soluzioni legali puoi adottare, e come salvare o chiudere la tua attività senza rischiare tutto ciò che hai costruito.


🧂 Perché le drogherie si indebitano

Le drogherie e i negozi di alimentari al dettaglio sono tra le attività più esposte ai rincari e ai cambiamenti di mercato. Le cause principali della crisi economica sono:

  • Aumento dei costi delle forniture e dell’energia;
  • Affitti e spese fisse troppo alti;
  • Concorrenza della grande distribuzione e degli e-commerce;
  • Tassazione e contributi previdenziali difficili da sostenere;
  • Calo dei consumi e minore fidelizzazione dei clienti;
  • Errori contabili o fiscali che generano cartelle e sanzioni.

📌 Queste difficoltà possono portare in poco tempo a debiti fiscali, bancari e commerciali, mettendo in pericolo la sopravvivenza del negozio e il reddito familiare.


🧾 Tipologie di debiti più comuni nelle drogherie

Debiti fiscali e contributivi

  • IVA, IRPEF, INPS, INAIL, TARI, cartelle esattoriali e accertamenti.

Debiti bancari e finanziari

  • Mutui e leasing per arredi, scaffali, bilance, frigoriferi o ristrutturazioni.
  • Scoperti di conto o fidi bancari.

Debiti commerciali

  • Fatture non pagate a fornitori di alimenti, prodotti per la casa o bevande.

Debiti verso dipendenti e collaboratori

  • Stipendi arretrati, TFR o contributi previdenziali non versati.

Debiti personali o fideiussioni

  • Garanzie firmate dal titolare o dai soci per prestiti aziendali.

⚠️ Cosa rischia una drogheria indebitata

Se la situazione non viene affrontata tempestivamente, i creditori possono:

  • pignorare conti correnti, merce o attrezzature del negozio;
  • revocare fidi o bloccare i pagamenti elettronici;
  • bloccare i rapporti con i fornitori;
  • emettere cartelle, ipoteche o decreti ingiuntivi;
  • costringerti alla chiusura del negozio.

👉 Tuttavia, la legge ti consente di bloccare subito i creditori, ristrutturare i debiti e salvare la tua attività, oppure chiuderla in modo ordinato e senza fallire.


🧩 Le soluzioni legali per drogherie con debiti

💠 1. Rinegoziazione dei debiti con banche e fornitori

Un avvocato esperto può aiutarti a trattare nuovi accordi, ottenendo:

  • riduzioni delle somme dovute (saldo e stralcio);
  • rateizzazioni più lunghe e sostenibili;
  • sospensioni temporanee dei pagamenti per recuperare liquidità.

👉 È la soluzione giusta per chi vuole continuare a lavorare e mantenere clienti e fornitori.


💠 2. Procedura di sovraindebitamento (D.Lgs. 14/2019 – Codice della Crisi d’Impresa)

È la procedura perfetta per ditte individuali e microimprese.
Consente di:

  • bloccare pignoramenti, cartelle e azioni dei creditori;
  • presentare un piano di rientro parziale e realistico;
  • ottenere la cancellazione definitiva dei debiti residui (esdebitazione).

📌 È ideale per negozi familiari o a conduzione individuale.


💠 3. Concordato minore (per SRL o società commerciali)

È una procedura omologata dal Tribunale che consente di:

  • bloccare tutte le azioni esecutive e fiscali;
  • ridurre legalmente i debiti fiscali, bancari e commerciali;
  • preservare la continuità dell’attività e i contratti in corso.

📌 È la soluzione migliore per imprese più strutturate con più punti vendita o dipendenti.


💠 4. Liquidazione controllata dei beni (ex fallimento personale)

Se la tua attività non è più sostenibile, puoi chiudere in modo legale e protetto, mettendo a disposizione solo i beni non essenziali (scorte, arredi o attrezzature obsolete).
Alla fine della procedura, il Tribunale cancella tutti i debiti residui, permettendoti di ripartire senza pendenze fiscali o bancarie.


💠 5. Verifica e contestazione delle cartelle fiscali

Molte cartelle esattoriali presentano errori di calcolo o importi prescritti.
Un avvocato può:

  • controllare la prescrizione (5 o 10 anni);
  • eccepire vizi di notifica o duplicazioni;
  • chiedere la sospensione o l’annullamento del debito.

🛒 Cosa fare subito

✅ 1. Analizza la tua situazione economica e debitoria

Raccogli bilanci, cartelle, contratti, leasing, mutui, fatture e spese di gestione.

✅ 2. Blocca subito i creditori con una procedura legale

Con il deposito in Tribunale di una procedura di sovraindebitamento o concordato, tutti i creditori vengono sospesi per legge.

✅ 3. Evita nuovi prestiti o accordi improvvisati

Serve una strategia legale completa, gestita da un avvocato esperto in diritto commerciale e crisi d’impresa.


📋 Documenti utili per la difesa

  • Documento d’identità e codice fiscale del titolare o amministratore.
  • Visura camerale e bilanci aziendali.
  • Dichiarazioni fiscali e posizione INPS/INAIL.
  • Contratti di mutuo, leasing e finanziamenti.
  • Cartelle esattoriali e accertamenti fiscali.
  • Elenco fornitori, clienti e dipendenti.
  • Estratti conto bancari e documentazione contabile.

⏱️ Tempi e risultati possibili

  • Analisi legale e pianificazione: 1–3 settimane.
  • Deposito della procedura: 1–2 mesi.
  • Blocco dei creditori: immediato con il deposito.
  • Durata del piano di rientro: da 1 a 5 anni.

🎯 Risultati concreti:

  • Stop a pignoramenti, cartelle e ipoteche.
  • Riduzione o cancellazione dei debiti residui.
  • Tutela del punto vendita e della licenza commerciale.
  • Ripartenza economica e professionale in serenità.

⚖️ I vantaggi principali

✅ Blocco immediato di pignoramenti e azioni dei creditori.
✅ Riduzione legale dei debiti fino all’80%.
✅ Continuità operativa o chiusura ordinata senza fallimento.
✅ Tutela del negozio, delle scorte e del reddito familiare.
✅ Ripartenza economica e reputazionale pulita.


🚫 Errori da evitare

  • Ignorare cartelle e notifiche fiscali.
  • Accumulare nuovi debiti o prestiti “tampone”.
  • Pagare solo alcuni creditori peggiorando la posizione.
  • Vendere merce o beni senza consulenza legale.
  • Rimandare troppo tempo prima di agire.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza nel dettaglio la situazione finanziaria e fiscale della tua attività.
📌 Ti consiglia la soluzione più adatta: rinegoziazione, sovraindebitamento, concordato o liquidazione controllata.
✍️ Redige e deposita il piano in Tribunale per bloccare immediatamente i creditori.
⚖️ Ti rappresenta nei rapporti con Agenzia delle Entrate, banche, leasing e fornitori.
🔁 Ti assiste fino alla cancellazione definitiva dei debiti o alla ristrutturazione completa della tua attività commerciale.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in diritto commerciale, tributario e crisi d’impresa.
✔️ Specializzato nella difesa di negozi e botteghe del settore alimentare con debiti fiscali e bancari.
✔️ Gestore della crisi da sovraindebitamento iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Essere una drogheria con debiti non significa dover chiudere o perdere tutto.
Con una difesa legale tempestiva e personalizzata, puoi bloccare i creditori, ridurre drasticamente i debiti fiscali e finanziari, e continuare a lavorare in modo sereno e regolare, oppure chiudere in modo protetto e senza rischi.
La legge oggi tutela chi agisce in buona fede e vuole davvero ricominciare.

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  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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