Impresa Di Fabbricazione Di Tessuti E Filati Con Debiti: Cosa Fare E Come Difendersi

Gestisci un’impresa tessile specializzata nella produzione di filati o tessuti e ti trovi in difficoltà economica per debiti con il Fisco, l’INPS, i fornitori o le banche? È una situazione che purtroppo oggi riguarda molte aziende del settore moda e manifatturiero, messe in crisi dall’aumento dei costi di energia e materie prime, dalla concorrenza estera e dai ritardi nei pagamenti. Quando si accumulano cartelle esattoriali, contributi arretrati o rate di mutui e leasing non pagate, la continuità produttiva può essere messa in serio pericolo. La buona notizia è che la legge prevede strumenti concreti per rateizzare, ristrutturare o cancellare i debiti, salvando la tua impresa e tutelando il tuo patrimonio personale.

Perché molte imprese tessili si indebitano

Le aziende che producono tessuti, filati o semilavorati per il settore moda e industriale operano in un mercato competitivo e soggetto a forti oscillazioni. Le commesse sono spesso variabili, i pagamenti dei clienti arrivano con ritardo e i costi di produzione – energia, acqua, trasporti, materie prime e personale – continuano a crescere. Inoltre, la concorrenza dei produttori esteri a basso costo riduce i margini di profitto. Molti imprenditori, per mantenere attiva la produzione, rinviano il pagamento di tasse, contributi o rate bancarie, accumulando sanzioni e interessi che nel tempo aggravano la situazione finanziaria.

Cosa succede se non paghi tasse o contributi

Se le imposte o i contributi non vengono versati, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione e gli enti previdenziali possono attivare azioni di recupero forzato. Tra queste rientrano la notifica di cartelle esattoriali, i pignoramenti dei conti correnti o dei crediti verso clienti, i fermi amministrativi sui veicoli aziendali, le ipoteche sugli immobili e i sequestri dei beni aziendali. Gli importi aumentano rapidamente per effetto di sanzioni e interessi, peggiorando la situazione economica dell’impresa. Se l’attività è organizzata come ditta individuale o società di persone, il titolare o i soci rispondono personalmente dei debiti, mettendo a rischio anche il patrimonio familiare.

Cosa fare subito se la tua impresa tessile ha debiti

Il primo passo è avere un quadro preciso della situazione. Richiedi all’Agenzia delle Entrate-Riscossione l’estratto di ruolo aggiornato per verificare importi, annualità e creditori coinvolti. Poi controlla la validità delle cartelle: molti atti contengono errori di notifica o somme prescritte che un avvocato può impugnare. Se i debiti sono legittimi, puoi chiedere la rateizzazione fino a 120 rate mensili, sospendendo nel frattempo le procedure di riscossione. È utile anche verificare se è disponibile una definizione agevolata (rottamazione), che consente di pagare solo il capitale, eliminando sanzioni e interessi. Se hai già ricevuto pignoramenti o ipoteche, puoi ottenere la sospensione immediata presentando un ricorso o un’istanza di autotutela.

Le soluzioni legali per chi non riesce più a pagare

Quando i debiti diventano troppo elevati o la produzione non riesce più a sostenere i costi, puoi accedere alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, prevista dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019). È una procedura legale rivolta a piccole imprese, artigiani e lavoratori autonomi che consente di bloccare pignoramenti, sospendere le azioni dei creditori e ottenere la cancellazione totale o parziale dei debiti residui (esdebitazione). È uno strumento riconosciuto dai tribunali italiani e rappresenta una reale opportunità per risanare la tua azienda o chiuderla in modo ordinato, senza trascinarti dietro pendenze fiscali o bancarie.

Come difendersi da banche, finanziarie e fornitori

Molte imprese tessili si trovano anche indebitate con banche, società di leasing o fornitori di materie prime e macchinari. In questi casi puoi chiedere la rinegoziazione dei finanziamenti, la sospensione temporanea dei pagamenti o proporre un saldo e stralcio per chiudere la posizione a importo ridotto. È possibile inoltre contestare clausole abusive o tassi usurari nei contratti e impugnare decreti ingiuntivi o pignoramenti entro i termini di legge. Un avvocato esperto può assisterti nelle trattative con banche e creditori, difendendo i macchinari e i beni indispensabili per la produzione e garantendo la continuità dell’attività.

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace

Una difesa legale tempestiva e ben strutturata può consentirti di sospendere i pignoramenti, ottenere la rateizzazione o la cancellazione dei debiti, proteggere i beni aziendali e personali, mantenere la produzione e salvaguardare i rapporti commerciali con clienti e fornitori. In molti casi è possibile evitare la chiusura della fabbrica, ristrutturare i debiti e ricominciare su basi economiche più solide.

Quando rivolgersi a un avvocato esperto

È fondamentale rivolgersi a un avvocato se hai ricevuto cartelle o intimazioni di pagamento, se i debiti fiscali o bancari sono diventati insostenibili o se rischi pignoramenti, blocchi dei conti o fermo dei macchinari. Un avvocato esperto in diritto tributario e crisi d’impresa può verificare la legittimità delle cartelle, bloccare la riscossione e guidarti nella procedura di esdebitazione fino alla cancellazione definitiva dei debiti. Agire subito è essenziale per proteggere la tua attività e il tuo futuro imprenditoriale.

⚠️ Attenzione: ignorare cartelle o avvisi di pagamento può portare rapidamente a pignoramenti, ipoteche e blocchi della produzione. Intervenire subito è l’unico modo per salvare la tua impresa tessile e tutelare il tuo patrimonio personale.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, riscossione e tutela delle imprese manifatturiere e tessili – spiega cosa fare se gestisci un’impresa di fabbricazione di tessuti e filati con debiti, come bloccare la riscossione e come cancellare legalmente le somme dovute grazie agli strumenti previsti dalla legge.

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Introduzione

Un’impresa attiva nella fabbricazione di tessuti e filati può trovarsi esposta a pesanti debiti di varia natura, mettendo a rischio la continuità aziendale e il patrimonio dell’imprenditore. In Italia, l’accumulo di debiti verso il Fisco, gli enti previdenziali, le banche, i fornitori o i dipendenti può condurre a procedure concorsuali (come il concordato preventivo o la liquidazione giudiziale, ex fallimento) o persino a conseguenze penali per gli amministratori in caso di condotte irregolari. È quindi fondamentale conoscere cosa fare e come difendersi di fronte a una crisi di debiti, adottando strumenti giuridici adeguati e comportamenti leciti. Questo vademecum aggiornato a settembre 2025 fornisce un’analisi avanzata – con taglio pratico ma linguaggio giuridico divulgativo – delle normative italiane più recenti, delle sentenze di rilievo e delle possibili soluzioni per un imprenditore debitore nel settore tessile (e non solo), ponendosi dal punto di vista del debitore che cerca di salvare la propria azienda o limitare i danni. Si affronteranno i diversi tipi di debito (fiscali, previdenziali, bancari, commerciali, ecc.), gli strumenti di ristrutturazione o composizione della crisi (dal piano di risanamento al concordato, incluse le procedure di sovraindebitamento e l’esdebitazione), nonché i possibili profili penali connessi (quali la bancarotta fraudolenta o i reati tributari). Troverete inoltre tabelle riepilogative, domande e risposte frequenti e casi pratici simulati in ambito italiano, per comprendere come agire e difendersi efficacemente in una situazione di sovraindebitamento aziendale.

Tipologie di debiti di un’impresa indebitata

Una prima distinzione necessaria riguarda la natura dei debiti contratti dall’impresa, poiché ciascuna tipologia di credito comporta rischi e margini di manovra differenti. I debiti tipicamente rilevanti per un’azienda tessile in crisi includono: debiti fiscali (verso l’Erario), debiti previdenziali (verso enti come INPS e INAIL), debiti finanziari (verso banche o altri finanziatori), debiti commerciali (verso fornitori e altri creditori contrattuali) e debiti verso i lavoratori dipendenti (retribuzioni e TFR arretrati). Di seguito analizziamo ciascuna categoria, evidenziandone le caratteristiche principali, le tutele di cui godono i creditori e le possibili strategie di difesa per il debitore.

Debiti fiscali verso l’Erario

I debiti fiscali comprendono imposte non versate (IVA, IRPEF trattenuta ai dipendenti, IRES, IRAP, ecc.) e relative sanzioni e interessi. Questi debiti godono spesso di una posizione privilegiata sia in fase di esecuzione individuale sia in sede concorsuale: ad esempio, nel fallimento (ora liquidazione giudiziale), i crediti tributari non sono esclusi dall’esdebitazione e partecipano al riparto salvo specifiche esclusioni . L’Agenzia delle Entrate, per il recupero, emette cartelle esattoriali (ora gestite da Agenzia Entrate Riscossione) che, se non pagate o rateizzate, portano ad azioni esecutive automatiche come fermi amministrativi su veicoli, ipoteche sui beni immobili dell’azienda o dei soci garanti, e pignoramenti mobiliari o presso terzi. È importante notare che anche se si ottiene una rateizzazione di un debito fiscale, finché il debito non è estinto rimane considerato “scaduto e non pagato” ai fini della soglia di fallibilità: ad esempio, la Cassazione ha chiarito che un debito tributario inizialmente superiore a €30.000 (soglia rilevante per l’istanza di fallimento) continua a rilevare nella sua interezza anche se l’Agenzia delle Entrate ha accordato un piano di rateizzo . Ciò significa che la mera dilazione non evita il rischio di istanza di fallimento se il debito complessivo supera la soglia, a meno che i pagamenti non abbiano ridotto stabilmente il dovuto sotto €30.000 entro la decisione . In sede concorsuale (concordato preventivo o liquidazione), i debiti fiscali sono privilegiati per la parte di imposta e interessi (fino a concorrenza del valore dei beni su cui insiste il privilegio generale mobiliare), mentre le sanzioni spesso sono chirografarie. Grazie alle riforme recenti, oggi è ammessa la “transazione fiscale” all’interno di piani di concordato o accordi di ristrutturazione, potendo prevedere anche il pagamento parziale di IVA e ritenute purché la proposta non configuri un trattamento deteriore rispetto alla liquidazione fallimentare e sia approvata dall’Erario . In altre parole, anche l’IVA – tradizionalmente intangibile – può essere oggetto di falcidia in una procedura concorsuale, in virtù dell’allineamento dell’ordinamento nazionale ai principi UE (sentenza Corte di Giustizia citata dal Tribunale di Udine) . Al di fuori delle procedure concorsuali, per debiti fiscali rilevanti l’azienda può attivare strumenti deflativi come la rateizzazione ordinaria (attualmente potenziata): dal 2025, per debiti fino a 120.000 € si può chiedere un piano fino a 84 rate mensili (7 anni) senza bisogno di garanzie, e per importi maggiori piani fino a 10 anni previa prova di difficoltà . Inoltre, sono stati periodicamente introdotti provvedimenti di definizione agevolata (es. la “rottamazione delle cartelle” prevista dalla L. 197/2022 e seguenti) che consentono di estinguere i debiti erariali eliminando sanzioni e interessi di mora, pagando solo l’imposta e una quota di interessi legali . Sfruttare queste opportunità (rateazioni, rottamazioni) è una prima linea di difesa per evitare azioni esecutive immediate del Fisco e ridurre l’esposizione debitoria fiscale.

Esempio pratico: Azienda Alfa S.r.l. (tessile) ha debiti IVA per €100.000 e IRAP per €20.000 relativi a due anni non versati. Riceve cartelle di pagamento dall’Agenzia Riscossione. L’azienda, trovandosi in crisi di liquidità, opta per richiedere una rateizzazione in 72 rate, mettendosi in regola con le prime rate. Ciò sospende le azioni esecutive, ma se Alfa non prosegue nei pagamenti, l’Agenzia potrà iscrivere ipoteca sul capannone industriale e pignorare i conti correnti. Alfa valuta allora l’accesso a un concordato preventivo: in tale piano propone di pagare integralmente IVA e IRAP privilegiati (anche tramite la cessione di un immobile) mentre chiede lo stralcio delle sanzioni. L’Agenzia delle Entrate, verificato che in caso di fallimento riceverebbe verosimilmente meno, aderisce alla transazione fiscale nel concordato, consentendo all’azienda di ridurre il carico complessivo e proseguire l’attività produttiva.

Debiti previdenziali e verso gli enti assicurativi (INPS, INAIL)

I debiti contributivi verso gli enti previdenziali (INPS) e assicurativi (INAIL) sorgono dal mancato versamento di contributi obbligatori per i lavoratori dipendenti o per il titolare. Anch’essi sono debiti privilegiati per legge, godendo di privilegio generale sui mobili dell’impresa similmente ai tributi. Il mancato pagamento dei contributi comporta effetti amministrativi immediati: l’INPS segnala l’irregolarità contributiva tramite il sistema DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva), rendendo l’azienda non in regola e impedendole di partecipare ad appalti pubblici o accedere a benefici fino a che non sana la posizione. Per il recupero, l’INPS (spesso tramite Agenzia Entrate Riscossione) procede con avvisi di addebito e cartelle esattoriali analoghe a quelle fiscali. Anche qui sono previste rateizzazioni: ad esempio, per importi non eccedenti €120.000 si può ottenere un piano fino a 84 rate dal 2025, analogamente ai debiti fiscali . È cruciale evitare di ignorare questi debiti: oltre alle sanzioni civili (aggiunta di sanzioni e interessi di mora molto onerosi), esistono conseguenze penali per omissioni significative. In particolare, il datore di lavoro che omette il versamento delle ritenute previdenziali (cioè la quota di contributi trattenuta dalle buste paga dei dipendenti) per un importo superiore a €10.000 annui commette reato ai sensi dell’art. 2 D.L. 463/1983, punito con la reclusione fino a 3 anni e multa fino a €1.032 . Sotto tale soglia scatta invece solo una sanzione amministrativa pecuniaria (da €10.000 a €50.000) . Va sottolineato che per il reato contributivo la soglia di €10.000 è assoluta e computa tutte le omissioni dell’anno; inoltre, diversamente dall’omissione fiscale, il reato sussiste anche se i contributi non sono stati neppure dichiarati . Dunque, un’impresa tessile che trattiene dalle paghe dei dipendenti i contributi ma non li versa all’INPS per importi rilevanti rischia non solo azioni civili (ingiunzioni e pignoramenti dell’INPS) ma anche l’azione penale a carico dell’amministratore. Come difendersi? Oltre alla già menzionata rateizzazione (che se concordata con l’ente può evitare la denuncia penale finché i pagamenti proseguono regolarmente), è previsto dall’ordinamento che il pagamento integrale del dovuto prima della dichiarazione di apertura del dibattimento penale estingue il reato di omesso versamento contributivo . Inoltre, la giurisprudenza considera la crisi di liquidità non colpevole come possibile causa di esclusione della punibilità in alcuni casi (ad esempio, se il datore prova di avere affrontato una situazione di forza maggiore o imprevista che gli ha impedito di pagare) . Pertanto, in presenza di debiti previdenziali l’imprenditore dovrebbe: i) regolarizzare appena possibile, almeno entro i limiti di soglia penalmente rilevanti; ii) comunicare con l’INPS per concordare piani di rientro; iii) in caso di procedura concorsuale, includere l’INPS tra i creditori privilegiati da soddisfare nel piano (anche qui è prevista la “transazione previdenziale” analoga a quella fiscale, per diluire o falcidiare contributi nei limiti consentiti). Infine, come per i debiti fiscali, anche per quelli contributivi eventuali definizioni agevolate (es. stralcio sanzioni su cartelle) possono offrire sollievo, essendo i contributi previdenziali spesso inseriti nelle cartelle esattoriali rottamabili .

Debiti verso fornitori e altri creditori non privilegiati

I debiti commerciali verso fornitori di materie prime, servizi e altri creditori ordinari rappresentano spesso una parte consistente del passivo di un’azienda manifatturiera in crisi. Tali creditori sono in genere chirografari (privi di garanzie reali o privilegi legali), quindi hanno meno strumenti di coercizione preventiva rispetto al Fisco o alle banche, ma possono comunque agire individualmente per tutelare i propri crediti. In particolare, un fornitore non pagato può: diffidare formalmente l’azienda al pagamento, agire in giudizio ottenendo un decreto ingiuntivo esecutivo, e quindi promuovere pignoramenti di beni aziendali (macchinari, merci in magazzino) o di crediti verso terzi (es. pignorando i conti bancari o crediti della società verso i clienti). A differenza dei debiti erariali, i crediti commerciali non beneficiano di privilegi generali sul patrimonio, salvo che il creditore abbia ottenuto un pegno o ipoteca (cosa rara per forniture, a meno di contratti di leasing o di riserva di proprietà su beni venduti). Pertanto, in caso di procedure concorsuali, i fornitori chirografari saranno soddisfatti solo dopo i creditori privilegiati e ipotecari, in misura spesso percentuale modesta (il che spiega perché possono avere interesse a soluzioni concordate prima del fallimento). Un rischio particolare per l’imprenditore è che uno o più fornitori possano presentare istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) se l’impresa versa in stato di insolvenza. La legge italiana prevede che per dichiarare il fallimento (o liquidazione giudiziale) di un imprenditore occorra, oltre all’insolvenza, che vi sia un debito scaduto e non pagato complessivo superiore a €30.000 . Questo “limite di fallibilità” è stato introdotto per evitare procedure concorsuali per importi irrisori: l’imprenditore non può essere dichiarato fallito per debiti totali inferiori a €30.000 (soglia accertata al momento della decisione) . Nel caso di più fornitori insoddisfatti, basta che il totale dei debiti scaduti superi tale cifra. Anche se il debitore, dopo l’istruttoria prefallimentare, prova ad abbassare il debito sotto soglia (ad esempio aderendo tardivamente a una definizione agevolata fiscale come nel caso esaminato da Cass. 2223/2025), ciò non rileva se non risultava dagli atti al momento della sentenza dichiarativa . Come difendersi dai creditori commerciali? In primo luogo, negoziazioni stragiudiziali: spesso i fornitori, pur di non perdere completamente il cliente e sperare di incassare qualcosa, accettano piani di rientro dilazionati o accordi transattivi (ad esempio saldo e stralcio di parte del credito) fuori dalle aule giudiziarie. Tali accordi vanno preferibilmente formalizzati per iscritto, eventualmente con l’ausilio di un professionista che verifichi che l’azienda non compia atti poi contestabili come preferenziali. In secondo luogo, se la situazione debitoria è troppo grave per accordi individuali, l’imprenditore può valutare strumenti collettivi (concordato preventivo o accordi di ristrutturazione) che sospendono le azioni esecutive individuali: dalla pubblicazione della domanda di concordato in tribunale, i creditori chirografari (come la maggior parte dei fornitori) non possono iniziare o proseguire pignoramenti né acquisire prelazioni se non autorizzati . Questo automatic stay concorsuale offre respiro all’azienda, congelando le vertenze in corso. In ogni caso, è sconsigliabile ignorare le intimazioni dei fornitori: un decreto ingiuntivo non opposto in tempo diviene definitivo e, se l’azienda subisce pignoramenti immobiliari o su beni essenziali (ad es. telai, macchinari tessili), la sua operatività può arrestarsi ben prima di ogni concordato. Dunque, alla prima avvisaglia di insolvenza, conviene comunicare con i creditori e cercare soluzioni prima che la fiducia si perda del tutto. Infine, sul piano delle priorità, ricordiamo che se si arriva a fallimento, i fornitori chirografari saranno soddisfatti solo dopo i privilegiati: ad esempio, l’eventuale fondo patrimoniale costituito dall’imprenditore per la famiglia non li proteggerà se è revocabile, mentre saranno opposti ai fornitori gli eventuali privilegi speciali (ad es. privilegio del venditore di macchinari, se pattuito con riserva di proprietà).

Esempio pratico: Beta S.p.A., azienda produttrice di filati, ha 5 fornitori principali non pagati per un totale di €200.000. I fornitori, vedendo i ritardi, minacciano azioni legali. Beta propone a ciascuno un accordo stragiudiziale: ai piccoli fornitori offre il 60% del dovuto in 6 mesi, al fornitore maggiore (esposto per €100.000) offre la sottoscrizione di una cambiale agraria garantita da pegno su un lotto di filato pronto, dilazionando in 12 mesi. Queste intese, se accettate, evitano decreti ingiuntivi immediati. Tuttavia uno dei fornitori rifiuta e deposita un’istanza di fallimento in tribunale. A questo punto Beta decide di proteggersi presentando una domanda di concordato preventivo: dal momento della pubblicazione della domanda al registro delle imprese, l’azione individuale del fornitore viene sospesa. Beta S.p.A. predispone un piano di concordato che prevede la continuità aziendale (proseguimento dell’attività) e offre ai chirografari (tra cui i fornitori) il pagamento del 30% in 2 anni, mentre ai creditori privilegiati (banche con ipoteca e Fisco) garantisce il pagamento integrale. I fornitori, messi di fronte alla prospettiva di incassare 30% in concordato contro un’incognita in caso di fallimento (dove il realizzo potrebbe essere inferiore), votano a favore del concordato, che viene omologato dal tribunale. L’azienda Beta riesce così a evitare la liquidazione fallimentare, sebbene i fornitori debbano accettare uno stralcio dei loro crediti.

Debiti bancari e finanziari

Le banche e gli altri finanziatori (società di leasing, factor, ecc.) rappresentano un’altra categoria cruciale di creditori. Di solito i crediti bancari (mutui, finanziamenti, scoperti di conto, anticipi su fatture) sono assistiti da garanzie che li pongono in una posizione di forza rispetto ad altri creditori. Ad esempio, una banca può avere un’ipoteca su un immobile dell’azienda (o dei soci garanti) o un pegno su macchinari, scorte o crediti; inoltre, è frequente che gli istituti di credito richiedano fideiussioni personali agli imprenditori o ai soci a garanzia dei finanziamenti concessi alla società. Quando l’impresa diventa insolvente verso la banca – ad esempio non rimborsa le rate di mutuo o lo scoperto di conto – la banca può revocare gli affidamenti e pretendere l’immediato rientro del debito residuo (decadenza dal beneficio del termine), avviando in mancanza di pagamento le azioni esecutive sulle garanzie: tipicamente, l’esecuzione immobiliare sull’immobile ipotecato, il ritiro del bene in leasing in caso di risoluzione del contratto, o il pignoramento dei beni oggetto di pegno. Nel caso di fideiussioni, la banca può aggredire direttamente il patrimonio personale del garante (spesso l’imprenditore stesso o i suoi familiari soci). Inoltre, il persistere di inadempimenti finanziari viene segnalato nella Centrale Rischi della Banca d’Italia e nelle banche dati creditizie (Crif, Cerved), compromettendo la reputazione creditizia dell’azienda e dei garanti: ciò rende difficilissimo ottenere nuova finanza e può disturbare rapporti con altri partner commerciali (che monitorano l’affidabilità creditizia). Come difendersi dai debiti bancari? Anzitutto, se la crisi è temporanea, si può tentare una ristrutturazione del debito bancario negoziata: ad esempio, rinegoziare i termini del mutuo (allungando la durata, ottenendo periodi di pre-ammortamento), consolidare gli affidamenti in un unico piano di rientro, o convertire parte dell’esposizione in strumenti partecipativi (in certi casi le banche possono accettare accordi di debt-equity swap, convertendo debito in quote societarie, se intravedono prospettive di recupero). Tali accordi possono essere formalizzati anche attraverso un Piano attestato di risanamento (ex art. 56 Codice della Crisi) o un Accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (ex art. 57 e ss. Codice), che daremo in dettaglio più avanti. Un vantaggio di utilizzare strumenti ex legge è che l’attestazione di un esperto indipendente sulla veridicità dei dati e fattibilità del piano dà maggiore fiducia alle banche e soprattutto protegge certi atti dal rischio di revocatoria fallimentare (i pagamenti eseguiti in esecuzione di un piano attestato pubblicato non potranno essere revocati in caso di successivo fallimento, ai sensi delle norme sulla esenzione da revocatoria) . Un altro strumento introdotto di recente è la composizione negoziata (procedura di cui al D.L. 118/2021, ora parte del Codice della Crisi) che consente all’imprenditore di trattare con le banche e gli altri creditori con l’ausilio di un esperto terzo, mantenendo riservatezza e ottenendo se necessario misure protettive temporanee. Se la banca resta ferma sulle proprie posizioni e minaccia l’escussione delle garanzie, l’imprenditore potrà valutare il ricorso al concordato preventivo o ad un accordo di ristrutturazione soggetto a omologazione, grazie ai quali si può imporre anche alle banche un pagamento parziale o dilazionato se la maggioranza degli altri creditori finanziari aderisce (nel nuovo Codice vi è l’istituto degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa che può vincolare anche dissenzienti di una certa categoria di creditori finanziari, a patto di raggiungere le percentuali di adesione richieste). In sede di concordato preventivo, il trattamento dei crediti bancari dipende dalla presenza di garanzie: i creditori ipotecari o pignoratizi vengono soddisfatti fino alla capienza del valore del bene dato in garanzia (di solito attraverso la vendita del bene nella procedura o la sua allocazione al creditore stesso), mentre l’eventuale parte residua del credito (sofferenza non coperta dal valore del pegno/ipoteca) degrada a chirografaria e viene pagata nella percentuale offerta ai chirografari. Le banche chirografarie (senza garanzie reali) votano nel concordato come gli altri creditori chirografari e subiscono il cram down del debito come da piano omologato. Va segnalato che un tema delicato è la possibile responsabilità personale degli amministratori verso la banca: ad esempio, se l’azienda ottiene finanziamenti bancari occultando il proprio stato di dissesto, l’aver continuato a indebitarsi può costituire una manovra dolosa con rilievi penali (v. oltre sulla bancarotta da credito ottenuto fraudolentemente). In generale tuttavia, in mancanza di frode, la banca sopporta il rischio di credito d’impresa; se però vi sono fideiussori, il rischio si sposta: il fallimento della società spesso trascina con sé l’escussione dei soci garanti. Per questo dal punto di vista dell’imprenditore è fondamentale, nella crisi, gestire i rapporti bancari con trasparenza e possibilmente tutelare il patrimonio personale: ad esempio, valutare se sia possibile revocare o ridurre le garanzie personali in sede di rinegoziazione (spesso difficile, ma talvolta una banca può accettare di liberare un fideiussore in cambio di pagamento parziale a saldo). In definitiva, i debiti bancari richiedono un approccio proattivo: rivolgersi a consulenti finanziari o legali per predisporre un piano di risanamento finanziario credibile, coinvolgendo eventualmente il sistema bancario in operazioni di ristrutturazione del debito (anche usufruendo di garanzie pubbliche come il Fondo di Garanzia PMI per nuove linee destinate al rilancio, se accessibili in presenza di piano attestato). Se nessuna trattativa riesce, l’ultima difesa è la protezione offerta dalle procedure concorsuali, che quantomeno impediscono alla singola banca di sottrarsi alla soluzione collettiva. Da notare infine che, in caso di liquidazione giudiziale, i crediti bancari garantiti verranno soddisfatti con preferenza sul ricavato dei beni ipotecati/pegni (dopo aver detratto le spese prededucibili della procedura), e ogni residuo non soddisfatto resterà inesigibile nei confronti della società fallita (mentre il fideiussore rimane obbligato personalmente, salvo liberazione).

Esempio pratico: Gamma S.r.l. gestisce un impianto di tessitura ed è esposta verso la banca Delta per €500.000 (mutuo ipotecario su capannone) e verso la banca Omega per €200.000 (scoperto di conto garantito da fideiussione dei soci). Gamma entra in crisi e non paga più le rate. La banca Delta minaccia la decadenza dal termine e pignoramento del capannone. Gamma, tramite un advisor finanziario, propone a Delta un piano attestato: vendita di un terreno non strategico e utilizzo del ricavato per ridurre il debito a €300.000, contestuale rifinanziamento del residuo su 10 anni. L’attestatore assevera che il piano è sostenibile e Delta accetta (preferisce incassare subito parzialmente ed evitare una lunga procedura esecutiva). La banca Omega invece rifiuta un accordo, contando sulla fideiussione personale: appena Gamma salta alcuni pagamenti, Omega escute i due soci garanti. I soci, per evitare l’escussione, decidono allora di attivare la composizione negoziata: ottengono la nomina di un esperto indipendente che li aiuta a trattare con Omega una moratoria. Nel frattempo chiedono al tribunale misure protettive per sospendere le azioni su di loro (in quanto garanti imprenditori anch’essi coinvolti nella composizione negoziata): il tribunale concede la sospensione temporanea del pagamento ai garanti. Grazie alla pressione esercitata dall’esperto, Omega accetta una transazione: i soci pagheranno il 50% del dovuto in 12 mesi e la banca libererà la restante parte del debito. Gamma S.r.l. così riesce a ristrutturare completamente i suoi debiti bancari senza subire pignoramenti o perdere l’azienda, utilizzando strumenti sia stragiudiziali (piano attestato) sia para-giudiziali (composizione negoziata con misure protettive).

Debiti verso i dipendenti (retribuzioni e TFR non pagati)

Un capitolo a parte meritano i debiti verso i lavoratori per stipendi arretrati, ferie non godute, trattamento di fine rapporto (TFR) e altre competenze. In una crisi aziendale severa, può accadere che l’imprenditore ritardi o sospenda il pagamento degli stipendi nel tentativo di fronteggiare altri esborsi urgenti (materie prime, mutui, ecc.). Ciò tuttavia è altamente pericoloso e in linea generale da evitare: oltre al profilo etico e di tutela sociale, esistono precise norme e strumenti che proteggono i dipendenti e sanzionano il datore inadempiente. Giuridicamente, le retribuzioni vantano privilegio generale mobiliare sui beni dell’impresa fino a un certo importo (per crediti degli ultimi 12 mesi di lavoro) e addirittura superprivilegio in caso di fallimento (anticipando anche Fisco e banche sui beni mobili) per i crediti degli ultimi tre mesi di lavoro, grazie all’art. 2751-bis n.1 c.c. e norme speciali. Inoltre il TFR e le ultime tre mensilità maturate prima del fallimento sono garantiti dall’intervento del Fondo di Garanzia INPS, che in caso di insolvenza del datore interviene a pagare ai lavoratori quanto dovuto (surrogandosi poi nei loro diritti verso l’azienda) – ma ciò richiede tipicamente l’apertura di una procedura concorsuale o l’accertamento giudiziale dello stato di insolvenza dell’azienda. Sul piano legale, il lavoratore non pagato può agire rapidamente: può ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo (in quanto credito da lavoro) e chiedere il pignoramento dei conti dell’azienda o dei beni, oppure, se l’azienda ha prospettive di ripresa, può richiedere al tribunale un’ingiunzione specifica di pagamento delle retribuzioni ai sensi dell’art. 28 Statuto dei Lavoratori (per comportamento antisindacale, tramite il sindacato). Inoltre, l’omesso versamento delle ritenute fiscali operate sulle retribuzioni (le trattenute IRPEF) oltre €150.000 annui costituisce reato tributario ex art. 10-bis D.Lgs. 74/2000 , e analogamente l’omesso versamento delle ritenute previdenziali oltre €10.000 è reato , come già visto. Non pagare i dipendenti può configurare anche altre violazioni: se protratto, può giustificare le dimissioni per giusta causa del lavoratore (perdita del diritto al preavviso da parte del datore) e eventuali cause di risarcimento. In situazioni estreme, il protrarsi del mancato pagamento, se accompagnato da sfruttamento, potrebbe persino integrare ipotesi di reato (ad esempio, condizioni di lavoro degradanti). Come gestire i debiti verso il personale? L’approccio migliore è preventivo: utilizzare gli ammortizzatori sociali disponibili prima di accumulare debiti. Ad esempio, attivare una Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (CIGS) per crisi, o contratti di solidarietà, in modo che parte degli stipendi sia coperta dagli enti pubblici, riducendo il costo per l’azienda e evitando insoluti. Se debiti già esistono, la comunicazione con i lavoratori è fondamentale: concordare eventualmente il rinvio di alcune voci (ferie non godute, straordinari) ma assicurare il pagamento di una parte corrente per non lasciarli senza mezzi. In ambito concorsuale, i crediti del lavoro sono privilegiati e vanno soddisfatti integralmente nei limiti del privilegio perché i lavoratori sono considerati creditori “protetti”: un concordato preventivo per essere ammissibile deve prevedere il pagamento integrale dei crediti privilegiati (salvo diverse pattuizioni con i lavoratori, che però raramente rinunciano al loro diritto pieno). Tuttavia, in un concordato in continuità, è possibile ottenere l’autorizzazione dal tribunale a pagare subito le retribuzioni correnti e anche parte degli arretrati, in funzione della prosecuzione dell’attività, persino prima dell’omologazione. Se invece si arriva a liquidazione giudiziale, i dipendenti potranno attivare immediatamente il Fondo di Garanzia INPS per ricevere TFR e ultime retribuzioni: ciò li tutela, ma pone l’INPS come creditore surrogato nel fallimento. Dal punto di vista dell’imprenditore, evitare tensioni con la forza lavoro è cruciale per tentare il risanamento: lavoratori motivati e coinvolti, magari disponibili a rinegoziare temporaneamente alcune condizioni (come un part-time o un differimento di premi) possono contribuire a superare la crisi, mentre conflitti sindacali e cause possono precipitare l’azienda. In definitiva, pagare i dipendenti ha priorità su quasi tutto: la legge italiana lo riconosce attribuendo loro cause di prelazione forti e strumenti di tutela dedicati.

Esempio pratico: Delta Tessuti S.p.A. accumula due mensilità di ritardo nel pagamento dei 50 dipendenti a causa di un calo di liquidità. I lavoratori, tramite i sindacati, attivano una procedura di confronto: l’azienda spiega la situazione di crisi temporanea e presenta un piano di emergenza. Viene deciso di ricorrere alla Cassa Integrazione Ordinaria per 3 mesi, riducendo l’orario di lavoro e permettendo all’INPS di coprire parte dello stipendio. In parallelo, Delta Tessuti paga almeno il 50% delle mensilità arretrate e si impegna a saldare il resto entro fine anno. I lavoratori accettano l’accordo, scongiurando scioperi e azioni legali immediate. Tuttavia, uno dei dipendenti non concordi si dimette per giusta causa e ottiene dal tribunale un decreto ingiuntivo per le somme dovute, che notifica all’azienda. Delta Tessuti, trovandosi ancora in difficoltà, decide a quel punto di presentare domanda di concordato preventivo con continuità aziendale. Nel piano di concordato prevede il pagamento integrale di tutte le retribuzioni arretrate e del TFR (come obbligatorio), utilizzando la liquidazione di alcuni cespiti non strategici e l’intervento del Fondo di Garanzia INPS per anticipare il TFR. Durante la procedura, con autorizzazione del giudice, l’azienda continua a pagare regolarmente le retribuzioni correnti per mantenere in attività la produzione. Il concordato viene omologato e l’azienda riesce a superare la crisi, mentre i dipendenti ottengono soddisfazione integrale dei propri crediti (in parte direttamente e in parte tramite l’INPS). Questo caso evidenzia come, grazie agli strumenti di tutela del lavoro e a una pianificazione concordataria, sia possibile contemperare l’esigenza di salvare l’impresa con quella di garantire il sostentamento dei lavoratori.

Rischi di azioni esecutive e istanza di fallimento

Come si è visto nelle singole categorie di debito, uno dei pericoli principali per l’impresa indebitata è l’azione esecutiva individuale da parte dei creditori o, peggio, l’azione collettiva concorsuale (istanza di fallimento, oggi liquidazione giudiziale). Vale la pena ricapitolare alcuni principi generali:

  • Pignoramenti e misure cautelari: Qualsiasi creditore munito di titolo esecutivo (ad esempio, decreto ingiuntivo non opposto, cartella esattoriale decorsa senza pagamento, sentenza) può promuovere pignoramenti sui beni dell’azienda. Ciò potrebbe portare alla vendita forzata di macchinari, merci o immobili, oppure al blocco di crediti (es. pignoramento di crediti verso terzi – i crediti che l’azienda ha presso i suoi clienti – o dei saldi di conto corrente). In alcuni casi il creditore può anche chiedere sequestri conservativi prima del titolo definitivo, se teme dispersione di beni. Per un’azienda manifatturiera, il pignoramento di un macchinario chiave o il congelamento del conto bancario può paralizzare la produzione, anticipando di fatto la fine dell’attività ancor prima di un fallimento formale. Pertanto, difendersi dalle azioni esecutive è spesso la priorità immediata. Gli strumenti difensivi includono: a) opposizioni legali quando vi siano vizi nei titoli (ad esempio, opposizione a decreto ingiuntivo se il credito è contestabile, opposizione all’esecuzione se il pignoramento è irregolare o il debito già estinto in parte); b) piani di rientro volontari per convincere il creditore a sospendere l’azione (magari offrendo un pagamento parziale immediato e il resto dilazionato con garanzie); c) richiesta di misure protettive concorsuali – come già detto, la presentazione di un ricorso per concordato preventivo produce lo stop automatico alle azioni esecutive dei creditori chirografari e sospende anche le esecuzioni in corso (art. 54 Codice della Crisi, ex art. 168 L.F.). Anche l’accordo di ristrutturazione dei debiti, una volta pubblicato, può ottenere dal tribunale la sospensione delle azioni esecutive su istanza del debitore. Inoltre, nel nuovo istituto della composizione negoziata, l’imprenditore può chiedere al tribunale misure protettive per bloccare temporaneamente le esecuzioni dei creditori mentre sono in corso le trattative . Tali misure vengono concesse se vi è una prospettiva concreta di risanamento.
  • Istanza di fallimento (liquidazione giudiziale): Se i debiti sono ingenti e l’insolvenza conclamata, uno o più creditori possono depositare in tribunale un’istanza per dichiarare il fallimento dell’impresa. Come detto, la legge ora richiede che i debiti scaduti > €30.000 risultino non pagati , soglia da accertare al momento della decisione . L’imprenditore può anche autodenunciarsi insolvente presentando egli stesso ricorso per liquidazione giudiziale (in passato “istanza di fallimento in proprio”), scelta talvolta fatta per anticipare l’accesso all’esdebitazione. Durante il procedimento prefallimentare, l’imprenditore ha facoltà di opporsi e di presentare memoria difensive o piani di risanamento. Una strategia di difesa comune è anticipare la pronuncia di fallimento presentando una domanda di concordato preventivo: la legge infatti prevede che, se il debitore chiede il concordato o un accordo ex art. 57 prima che sia dichiarato il fallimento, la dichiarazione di fallimento debba essere sospesa in attesa dell’esito di quella domanda (salvo casi di abuso). Quindi un concordato “in extremis” può bloccare la pronuncia di fallimento, a condizione che la proposta appaia ammissibile e vi siano i requisiti minimi di legge (ad es. nel concordato liquidatorio attuale deve assicurare almeno il 20% di soddisfacimento ai chirografari, salvo alcune eccezioni). Se invece il tribunale accerta l’insolvenza irreversibile e nessuna alternativa credibile viene proposta, emette la sentenza di liquidazione giudiziale. Da tale momento l’imprenditore perde la gestione dell’impresa, che passa al curatore fallimentare, e il patrimonio dell’azienda viene destinato alla liquidazione a beneficio di tutti i creditori secondo l’ordine di prelazione. La dichiarazione di fallimento (liquidazione giudiziale) comporta pesanti conseguenze: spossessamento dei beni dell’impresa, interruzione forzata dell’attività salvo esercizio provvisorio autorizzato (in pochi casi), scioglimento dei contratti in essere (salvo quelli che il curatore intende mantenere), licenziamento dei dipendenti (che potranno accedere al Fondo di Garanzia e alla NASpI), attivazione delle azioni di responsabilità verso gli amministratori eventualmente colpevoli di mala gestio, nonché – sul piano personale – per l’imprenditore dichiarato fallito (se persona fisica) una serie di incapacità civili temporanee e, potenzialmente, l’apertura di un procedimento penale fallimentare per verificare se vi siano reati (si veda oltre). Di fronte a questo scenario, la difesa dell’imprenditore consiste nel massimizzare le chance di soluzioni alternative (concordati, accordi) e nel frattempo evitare comportamenti che aggravino il dissesto o che possano essere letti come atti in frode. Vale qui ricordare l’obbligo introdotto nell’art. 2086 c.c. di dotare l’impresa di adeguati assetti organizzativi atti a prevenire la crisi: gli amministratori hanno il dovere di attivarsi senza indugio quando emerge la difficoltà, ad esempio cercando la composizione negoziata o consultando esperti, pena incorrere in responsabilità per aggravamento del dissesto. Se il fallimento sembra inevitabile, può essere opportuno preferire iniziative come la domanda di liquidazione coatta (fallimento) in proprio contestualmente a una richiesta di esdebitazione, dimostrando buona fede e collaborazione: questo atteggiamento può favorire poi l’esito positivo dell’esdebitazione e attenuare eventuali sanzioni penali.

In sintesi, il miglior modo di difendersi dal fallimento è prevenirlo con un intervento tempestivo: non attendere l’ultimo minuto quando i creditori hanno già perso fiducia e attaccato i beni, ma utilizzare gli strumenti giuridici offerti per congelare la situazione e proporre un piano. Nella sezione seguente vedremo dettagliatamente tali strumenti di regolazione della crisi d’impresa.

Strumenti di gestione della crisi e del debito (soluzioni negoziali e concorsuali)

L’ordinamento italiano, specialmente dopo la recente riforma sfociata nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, in vigore dal 15 luglio 2022, successivamente modificato dal D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024), mette a disposizione dell’imprenditore vari strumenti per affrontare una situazione di sovraindebitamento e tentare il risanamento o, quantomeno, la composizione ordinata della crisi. Tali strumenti si collocano su una scala che va da soluzioni stragiudiziali volontarie (accordi privati) fino a procedure giudiziali concorsuali vere e proprie, con diverse formule intermedie (procedure negoziate, accordi omologati, procedure di sovraindebitamento per soggetti minori). Di seguito esamineremo i principali strumenti oggi disponibili (aggiornati a settembre 2025) e adatti al caso di un’impresa industriale indebitata come la nostra impresa tessile di riferimento. Per ciascuno, descriveremo la natura, i requisiti, i vantaggi e i limiti, con un occhio di riguardo alle ultime novità normative e giurisprudenziali.

Composizione negoziata della crisi d’impresa

La composizione negoziata è uno strumento innovativo, introdotto nel 2021 (D.L. 118/2021 conv. in L. 147/2021) e ora disciplinato nel Codice della Crisi, pensato per favorire l’emersione anticipata della crisi e la ricerca di soluzioni extragiudiziali assistite. Si tratta di una procedura volontaria e riservata attivabile dall’imprenditore in difficoltà (anche grande imprenditore, non solo PMI) consistente nella nomina, da parte della Camera di Commercio, di un esperto indipendente. L’esperto ha il compito di facilitare le trattative tra l’imprenditore e i suoi creditori, al fine di individuare una soluzione per il risanamento dell’impresa o la ristrutturazione dei debiti . La procedura in sé è fuori dalle aule giudiziarie (non è una procedura concorsuale) e inizialmente confidenziale: l’adesione avviene tramite una piattaforma nazionale telematica e la nomina dell’esperto viene comunicata solo all’imprenditore e a chi questi decide di coinvolgere. Durante la composizione negoziata, l’imprenditore rimane alla guida dell’azienda (non c’è spossessamento), coadiuvato però dall’esperto che analizza la situazione e suggerisce soluzioni. I possibili esiti della composizione negoziata sono vari: si può raggiungere un accordo stragiudiziale con uno o più creditori (anche modificando alcune condizioni contrattuali, se tutti concordano), oppure un accordo sottoposto ad omologazione (ad esempio un accordo di ristrutturazione ex art. 57 CCII che l’esperto ha aiutato a costruire), oppure – se emerge l’insolvenza grave non risanabile – l’imprenditore può essere indirizzato verso un concordato preventivo o la liquidazione. Un vantaggio della composizione negoziata è che l’imprenditore può chiedere al tribunale delle misure protettive temporanee (tipicamente fino a 4 mesi, prorogabili di altri 4) per bloccare le azioni esecutive dei creditori e impedire, ad esempio, la revoca di fidi bancari o la risoluzione di contratti essenziali . Tali misure vengono concesse se il tribunale, sentito l’esperto, ritiene che vi sia una ragionevole prospettiva di risanamento e che le misure siano funzionali al buon esito delle trattative. Durante la protezione, i creditori non possono iniziare né proseguire azioni esecutive o cautelari e i contratti in corso non possono essere sciolti unilateralmente per i soli ritardi pregressi. Questo crea un “ombrello protettivo” simile a quello del concordato, ma in una fase pre-concorsuale in cui non vi è una proposta formale di soddisfacimento dei crediti bensì solo trattative. Altro aspetto importante: l’esperto nominato redige rapporti sull’andamento delle trattative; se l’imprenditore collabora e la soluzione appare possibile, la composizione negoziata prosegue, altrimenti l’esperto può concluderla anticipatamente (redigendo una relazione finale). La legge incoraggia l’utilizzo della composizione negoziata con alcune misure premiali: ad esempio, se l’imprenditore vi accede, non si applicano alcune sanzioni per il ritardo nell’istanza di fallimento e vi è una temporanea esenzione da certe cause di scioglimento della società per perdite. Inoltre, eventuali finanziamenti effettuati durante la composizione (c.d. finanza interinale) possono ottenere la prededuzione (priorità in caso di successivo fallimento) se autorizzati. La composizione negoziata, in sostanza, è un tavolo di negoziazione guidata e protetta, con la flessibilità del negozio privato ma con alcune protezioni dell’ordinamento. Quando utilizzarla? Nel nostro caso, un’impresa tessile con debiti potrebbe farvi ricorso nelle fasi iniziali di tensione finanziaria, quando esistono ancora margini di accordo con i creditori ma serve un intervento terzo per convincerli della bontà di un piano di recupero. Ad esempio, se l’azienda è sovraindebitata ma ancora industrialmente valida, l’esperto può aiutare a far accettare alle banche e ai fornitori una ristrutturazione (magari con nuova finanza) piuttosto che spingerli al recupero immediato. Da sottolineare: la composizione negoziata può sfociare, se le trattative riescono, in diversi tipi di accordi: contratti di moratoria o accordi di ristrutturazione da omologare (per dare efficacia anche ai dissenzienti), convenzioni di moratoria settoriali, o un vero e proprio piano di risanamento registrato. Se invece le trattative falliscono, l’imprenditore ha comunque guadagnato tempo e conoscenza approfondita della propria situazione (grazie alle analisi fatte con l’esperto) e potrà ripiegare su un concordato, oppure – introdotto proprio per questo caso – sul concordato semplificato (vedi oltre). La composizione negoziata è, in sintesi, uno strumento snello, confidenziale e preventivo: adatto a chi vuole giocarsi tutte le carte per evitare l’insolvenza conclamata, con l’assistenza di un professionista imparziale ma senza la “pubblicità” e il formalismo di una procedura concorsuale classica.

Esempio pratico: Epsilon S.r.l., fabbrica di tessuti pregiati, comincia a registrare tensioni di cassa a causa di investimenti onerosi e calo degli ordini. I debiti complessivi sono €2 milioni, di cui €500k verso banca, €800k verso fornitori, €200k fiscali, €100k INPS e resto vari. Prevedendo difficoltà crescenti, Epsilon si iscrive alla piattaforma della composizione negoziata. Viene nominato un esperto, il dott. Zeta, che analizza i conti e suggerisce un possibile piano: vendita di un ramo d’azienda non strategico per ridurre i debiti finanziari e contestuale dilazione dei debiti fiscali e verso fornitori in 5 anni. L’esperto convoca banche e principali fornitori ad una riunione. Intanto Epsilon chiede misure protettive per evitare che un paio di fornitori (già minacciosi) inizino esecuzioni: il tribunale le concede per 4 mesi. Nel tavolo di trattativa, grazie alla supervisione di Zeta, i creditori comprendono che dalla continuità aziendale possono recuperare di più che dalla liquidazione forzata. Si abbozza così un accordo di ristrutturazione: i fornitori accettano un taglio del 20% sui crediti e pagamento del restante 80% in 4 anni, la banca proroga il finanziamento con nuove garanzie su immobili aziendali, l’Agenzia delle Entrate aderisce a una transazione fiscale con pagamento integrale dell’IVA in 5 anni ma stralcio delle sanzioni. Questo accordo viene formalizzato in un documento e sottoposto a omologazione al tribunale ex art. 57 CCII (accordo di ristrutturazione dei debiti). Il tribunale omologa l’accordo ritenendo soddisfatte le maggioranze di legge (Epsilon ha ottenuto l’adesione di creditori rappresentanti il 75% dei debiti, oltre la soglia del 60% richiesta). In questo modo, l’accordo diviene vincolante anche per eventuali creditori dissenzienti o rimasti estranei, e l’impresa Epsilon esce dalla composizione negoziata con un piano concordato e omologato, evitando il fallimento. L’intera operazione è rimasta riservata fino all’omologazione finale, preservando la reputazione dell’azienda. Questo caso dimostra come la composizione negoziata possa servire da ponte verso un accordo quasi-concorsuale con tempi rapidi e spirito collaborativo, risultando in un salvataggio concordato dell’impresa.

Piano attestato di risanamento (art. 56 Codice della Crisi)

Il piano attestato di risanamento è uno strumento già esistente sotto la vecchia legge fallimentare (all’epoca era l’art. 67, co. 3, lett. d L.F.) e confermato dal Codice della Crisi all’art. 56. Si tratta di un piano di risanamento puramente stragiudiziale, cioè un accordo o insieme di accordi stipulati tra l’imprenditore e uno o più creditori, fondato su un piano di rilancio della società che viene attestato nella sua veridicità e fattibilità da un professionista indipendente (un commercialista o revisore nominato dal debitore, ma soggetto a requisiti di indipendenza). La peculiarità del piano attestato è che, se concluso nelle forme di legge e pubblicato facoltativamente nel Registro delle Imprese, offre al debitore un scudo protettivo: in caso di successivo fallimento, gli atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione del piano attestato non sono soggetti a revocatoria fallimentare, a meno che il piano stesso non fosse dolosamente falso . Questo è un beneficio importante: significa che i creditori che accettano di partecipare al risanamento (ad esempio rinunciando a parte dei crediti, accettando pagamenti dilazionati, concedendo nuova finanza) non rischiano che, se l’azienda comunque fallisce, un curatore venga a chiedere indietro quei pagamenti o a invalidare le garanzie costituite. In pratica, il legislatore incentiva l’accordo volontario e tempestivo tra debitore e creditori dando certezza giuridica alle operazioni eseguite nel tentativo di risanamento. Tuttavia, a differenza del concordato o degli accordi di ristrutturazione omologati, il piano attestato non vincola i creditori dissenzienti: è efficace solo tra i soggetti che vi aderiscono. Non richiede il voto o l’approvazione giudiziale, e proprio per questo non concede effetti di tipo concorsuale come la moratoria legale delle azioni esecutive (se non quelle che i creditori stessi volontariamente accettano di sospendere). Quando utilizzare un piano attestato? Tipicamente quando l’impresa ha un numero limitato di creditori cruciali (es: banche principali) con cui riesce a raggiungere un accordo di ristrutturazione e ha necessità soprattutto di evitare future revocatorie. È uno strumento di risanamento “privato” per crisi non troppo diffusamente coinvolgenti centinaia di creditori. Il piano deve contenere: la descrizione analitica della situazione aziendale, le cause della crisi, le strategie di intervento (es. riorganizzazione, dismissioni, nuova finanza) e i flussi attesi per sostenere il debito ristrutturato. Il professionista attestatore deve verificare la veridicità dei dati aziendali e giudicare se il piano è attuabile e idoneo a risanare l’esposizione debitoria dell’impresa nei tempi previsti. Se l’attestatore dà parere positivo, l’imprenditore formalizza gli accordi con i creditori (ad es. convenzioni di moratoria con le banche, transazioni con i fornitori, ecc.) richiamando il piano attestato. Non è obbligatoria la pubblicazione, ma spesso è fatta per dare pubblicità ai fini delle esenzioni da revocatoria . Un limite del piano attestato è che non può imporre sacrifici ai creditori senza il loro consenso individuale. Quindi, se vi sono molti piccoli creditori o qualcuno si chiama fuori, il piano può risolvere solo parzialmente il problema. Inoltre, non c’è un giudice che “benedice” il piano: tutto si regge sulla qualità dell’attestazione e sulla cooperazione delle parti, con un margine di incertezza. Va detto però che la giurisprudenza ha più volte valorizzato i piani attestati come espressione dell’autonomia privata e come esimenti nelle azioni di responsabilità (un amministratore che abbia tentato un piano attestato prima del fallimento dimostra di aver agito diligentemente). Nel Codice della Crisi, il piano attestato rientra negli “strumenti di regolazione della crisi” e può anche intersecarsi con la composizione negoziata: ad esempio, la composizione negoziata può condurre alla messa a punto di un piano attestato finale. In conclusione, l’imprenditore con la collaborazione dei principali creditori potrebbe scegliere il piano attestato se vuole evitare il più possibile l’intervento giudiziario e mantenere riservatezza e flessibilità, ottenendo comunque un sigillo di attendibilità attraverso l’attestazione. Questo strumento è particolarmente apprezzato in situazioni di turnaround industriale: l’azienda elabora un robusto piano industriale di rilancio e i creditori finanziari lo sostengono (magari con nuovo credito “protetto”) confidando nell’attestazione indipendente.

Esempio pratico: Zeta Filati S.p.A. ha 3 banche finanziatrici e pochi grandi fornitori, per un debito totale di €5 milioni. La direzione elabora, con un advisor, un piano di risanamento a 5 anni: chiusura di uno stabilimento periferico per ridurre costi, vendita di alcuni macchinari obsoleti (valore €1M) e focalizzazione su filati innovativi ad alto margine, con ingresso di un investitore disponibile a mettere €2 milioni freschi. Sulla base di questo piano, le 3 banche acconsentono a: convertire €1M di crediti in quote di capitale, estendere la scadenza del rimanente debito su 6 anni, e rinunciare agli interessi di mora maturati. I fornitori strategici accettano di applicare sconti sui crediti (10% di riduzione in cambio di pagamento in 180 giorni). Un commercialista indipendente viene incaricato di attestare il piano: dopo aver esaminato bilanci, ordini, contratti e il business plan, l’esperto dichiara che i dati sono veritieri e che, assumendo la nuova finanza e gli accordi presi, il piano è idoneo a riportare Zeta Filati in equilibrio finanziario e a pagare i debiti come previsto. Con l’attestazione in mano, Zeta formalizza un piano attestato di risanamento, che viene sottoscritto dalle banche e dai fornitori coinvolti. Il piano e l’attestazione sono poi pubblicati presso il Registro delle Imprese. Ciò fatto, una delle banche eroga subito un nuovo prestito di liquidità prededucibile per €500k per finanziare la ristrutturazione. Zeta Filati attua il piano e, nei due anni seguenti, torna redditizia. Purtroppo, uno shock esterno (un improvviso rincaro dell’energia e materie prime) manda nuovamente in crisi l’azienda al terzo anno e questa volta Zeta approda al fallimento. Tuttavia, grazie al fatto che c’era stato un piano attestato, i pagamenti effettuati alle banche e fornitori durante il risanamento e le garanzie concesse a supporto non possono essere revocati dal curatore fallimentare (erano atti esecutivi del piano attestato) . Inoltre, la banca che aveva dato nuova finanza in prededuzione verrà soddisfatta prima degli altri creditori. In retrospettiva, il piano attestato non ha salvato definitivamente Zeta Filati, ma ha permesso di provare un risanamento coinvolgendo i creditori con fiducia, e ha comunque protetto quegli accordi, evitando ulteriori contenziosi in sede fallimentare.

Accordo di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 CCII)

L’accordo di ristrutturazione dei debiti (ARD) è uno strumento intermedio tra il piano attestato e il concordato: è un accordo negoziato con i creditori ma con un intervento dell’autorità giudiziaria per renderlo efficace erga omnes. Già previsto dall’art. 182-bis della vecchia legge fallimentare, ora disciplinato dagli artt. 57 e seguenti del Codice della Crisi, l’accordo di ristrutturazione richiede che il debitore raggiunga un’intesa con una maggioranza qualificata di creditori (almeno il 60% del totale dei crediti) , e che tale intesa sia omologata dal tribunale. In pratica, l’imprenditore propone ai creditori un accordo (che può prevedere dilazioni, stralci parziali, conversione di crediti in capitale, ecc.); se singolarmente i creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti aderiscono formalmente, il debitore può chiedere al tribunale l’omologazione dell’accordo, che lo rende vincolante anche per i creditori non aderenti (pur con qualche limite: i creditori estranei conservano il diritto di essere pagati per intero, ma con le scadenze previste dall’accordo). Il vantaggio per il debitore è che, con l’omologazione, ottiene simile protezione di un concordato: le azioni esecutive individuali sono bloccate e l’accordo diventa un titolo esecutivo generale. Inoltre, si possono prevedere moratorie anche per i creditori dissenzienti di certe categorie se l’accordo ha certe adesioni (accordo esteso). Nel nuovo Codice sono state introdotte varianti come l’accordo ad efficacia estesa ai creditori finanziari (art. 61) e la convenzione di moratoria (art. 62) che permettono di coinvolgere anche creditori che non hanno firmato, purché omogenei a chi ha firmato (per esempio, se il 75% delle banche aderisce, l’accordo può essere esteso al restante 25%). Un ulteriore sviluppo post-riforma è il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (artt. 64-bis e seguenti), che consente – in attuazione della Direttiva UE 2019/1023 – di omologare un piano anche senza il formale accordo del 60%, a condizione di aver raccolto il voto favorevole di classi di creditori secondo regole simili al concordato (in sostanza, è un concordato semplificato per debiti finanziari, introdotto per aziende maggiori). Ma restando all’istituto base: l’accordo di ristrutturazione standard è molto utile quando l’azienda ha molti creditori, ma alcuni marginali o “silenti” potrebbero ostacolare un piano attestato; raggiungere il 60% consente di procedere comunque, proteggendo l’accordo con la forza dell’omologa. Procedura: il debitore deposita in tribunale l’accordo firmato dai creditori aderenti, corredato da documenti contabili e da una relazione di un esperto indipendente che attesta la fattibilità dell’accordo e che i creditori estranei non riceveranno meno di quanto avrebbero in un’eventuale liquidazione giudiziale. Il tribunale, verificati i presupposti e l’assenza di pregiudizio per i non aderenti, omologa l’accordo rendendolo efficace. Durante la pendenza della domanda, il debitore può chiedere misure protettive (come nel concordato) per congelare le azioni esecutive . Dopo l’omologa, se il debitore esegue l’accordo, la crisi è risolta; se lo viola, i creditori possono riprendere le azioni e il tribunale può dichiarare il fallimento su istanza. Differenze con il concordato: l’accordo di ristrutturazione non prevede un voto di tutti i creditori in senso assembleare, ma solo la raccolta firme di una percentuale. Inoltre non richiede necessariamente la parità di trattamento dei creditori (si può accordarsi diversamente con ciascuno, purché i non aderenti siano pagati almeno come in fallimento) . Di solito, però, l’accordo coinvolge le categorie principali (banche, fornitori strategici, fisco con transazione fiscale). Per i debiti erariali e previdenziali l’art. 63 CCII consente di includerli tramite la transazione su crediti tributari e contributivi, che richiede il sì di Agenzia Entrate e INPS, i quali aderiscono se il piano garantisce almeno quanto il fisco otterrebbe da un fallimento (principio del “probatório equivalente”). Un esempio tipico: l’impresa convince banche e grossi fornitori a firmare (raggiungendo magari 70% dei crediti) e chiede omologazione; i piccoli fornitori o creditori che non hanno partecipato si vedranno pagati alle scadenze concordate e secondo le percentuali concordate per i chirografari aderenti, ma comunque con diritto al pari trattamento (non possono subire decurtazioni maggiori di quelle dei firmatari). Quando usarlo: se l’impresa è in grado di ottenere consenso da un gruppo nutrito di creditori, evitando un costoso e lungo concordato. Ad esempio, in una crisi con poche banche e fornitori principali, l’accordo di ristrutturazione è spesso più rapido e meno “invasivo” del concordato, perché non necessita di commissari giudiziali né di complessi adempimenti di voto, e rimane più flessibile nelle pattuizioni. Tuttavia ha un limite: occorre convincere attivamente quella soglia di creditori; se i creditori sono disorganizzati o troppo numerosi, può essere più agevole un concordato dove il silenzio può valere come voto favorevole (nel concordato, se un creditore non vota, si conteggia come astenuto e ai fini del quorum contano solo i votanti). Con l’ARD invece ogni firma conta e l’assenza di adesione equivale a dissenso (anche se poi i dissenzienti vengono coinvolti lo stesso nell’esito). In un contesto come l’impresa tessile con molti creditori eterogenei, l’accordo può funzionare se ci si concentra sulle principali banche e qualche creditore chiave, mentre per altri li si paga regolarmente o li si classifica come estranei non pregiudicati.

Esempio pratico: Eta Lanificio S.p.A. è in crisi con debiti totali €10M. Si siede al tavolo con i creditori principali: 5 banche che insieme rappresentano €6M di crediti, e 10 fornitori grandi per €3M totali. L’azienda propone: alle banche – conversione di €1M di debito in partecipazioni, rimborso del restante 80% in 5 anni a tasso ridotto; ai fornitori – pagamento del 50% in 12 mesi, saldo del restante 50% in altri 24 mesi. Il fisco (€0.5M di debiti) viene coinvolto con una transazione per pagare in 5 anni senza interessi e stralciare sanzioni. Dopo trattative, 4 banche su 5 firmano (coprono il 90% dei crediti bancari), e 8 fornitori su 10 firmano (coprono l’85% dei crediti commerciali). Complessivamente, l’accordo ha adesioni per l’80% dei crediti totali (€8M su 10). Si deposita l’accordo in tribunale con la relazione attestativa che certifica che i creditori non aderenti (la banca e i 2 fornitori rimasti fuori, per €2M totali) in caso di fallimento prenderebbero zero, mentre con l’accordo proposto essi vengono comunque soddisfatti (in quanto la banca dissenziente verrà pagata alle stesse condizioni delle altre – per fairness – e i fornitori dissenzienti ugualmente al 50% in 12+24 mesi). Il tribunale verifica che il 60% è superato, che i creditori estranei non sono danneggiati, e omologa l’accordo. Da quel momento l’accordo è legalmente efficace verso tutti: la banca dissenziente non può chiamarsi fuori ma dovrà accettare i pagamenti come da accordo (beneficiando anche lei della garanzia aggiuntiva concessa alle altre, come clausola di “pari trattamento”), e i fornitori dissenzienti potranno insinuarsi nell’accordo per ricevere il 50% in dilazione come gli altri. Le eventuali esecuzioni individuali in corso si fermano. Eta Lanificio esegue regolarmente l’accordo nei successivi 3 anni e risana la propria situazione. Questo esempio mostra l’utilità dell’accordo di ristrutturazione: con uno sforzo negoziale iniziale e la maggioranza dei consensi, si è potuto vincolare anche i pochi creditori non collaborativi, ottenendo un risultato equivalente a un concordato ma per via negoziale, più rapida e con maggiore discrezionalità nelle soluzioni.

Concordato preventivo (artt. 84-120 CCII)

Il concordato preventivo è la procedura concorsuale classica mediante la quale l’imprenditore in stato di crisi o insolvenza propone ai creditori un piano per evitare la liquidazione fallimentare, sotto il controllo del tribunale. Nel Codice della Crisi è disciplinato a partire dall’art. 84 e seguenti, distinguendo in particolare due grandi tipologie: il concordato in continuità aziendale (quando l’impresa prosegue, in proprio o tramite terzi, l’attività in tutto o in parte) e il concordato liquidatorio (quando l’obiettivo principale è liquidare il patrimonio e ripartirlo tra i creditori) . Vi sono regole specifiche per ciascuno (ad esempio, il concordato liquidatorio è ammissibile solo se ai chirografari viene garantito almeno il 20% di soddisfazione, salvo che vengano apportate risorse esterne incrementali) mentre il concordato in continuità può contemplare percentuali inferiori se giustificate dalla conservazione aziendale. Fasi del concordato: l’imprenditore presenta una domanda di concordato al tribunale competente (quello del centro principale degli interessi dell’impresa), allegando un piano dettagliato e una proposta di trattamento dei creditori, oltre a documentazione contabile. Il tribunale, valutata la completezza della proposta e l’assenza di cause d’inammissibilità, ammette la società alla procedura e nomina un commissario giudiziale, un professionista terzo che supervisiona la gestione durante la procedura. Da quel momento, scattano automaticamente le protezioni: i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive né acquisire nuove garanzie sui beni del debitore (art. 54 CCII) e i contratti pendenti proseguono (salvo facoltà del debitore di scioglierne alcuni con autorizzazione). Segue poi la fase di voto dei creditori: i creditori sono suddivisi in classi secondo posizione giuridica ed interessi omogenei (es. classe banche chirografarie, classe fornitori, classe subfornitori piccoli, ecc.) e ciascuna classe vota sulla proposta. Per approvare, serve il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto (maggioranza semplice in valore, calcolata sul totale crediti votanti per ogni classe e in mancanza di classi sul totale). Se una o più classi votano contro ma altre favorevoli, il tribunale può comunque omologare il concordato (cram down interclassi) se ritiene che la proposta sia equa e non peggiori la posizione della classe dissenziente rispetto alle alternative liquidatorie. Una volta ottenute le maggioranze, il tribunale fissa un’udienza di omologazione in cui valuta eventuali opposizioni dei creditori e verifica la legalità e fattibilità del piano; se tutto è regolare, emette il decreto di omologazione. Da quel momento, il concordato diviene vincolante per tutti i creditori anteriori (anche dissenzienti e non votanti), secondo i termini della proposta. L’imprenditore (spesso sotto monitoraggio di un commissario già nominato come liquidatore o supervisore) deve eseguire il piano: ad esempio pagando le percentuali promesse, cedendo i beni ai creditori o a terzi acquirenti, ecc. Ad esecuzione avvenuta, viene dichiarato il concordato chiuso e l’impresa esce dalla procedura liberata dai debiti residui secondo i casi.
Vantaggi del concordato: per il debitore, offre la più ampia protezione legale (blocco dei creditori, divieto di azioni esecutive, impossibilità di dichiarare fallimento durante la procedura) e la possibilità di imporre ristrutturazioni del debito anche senza l’unanimità dei consensi, grazie al meccanismo del voto a maggioranza. Consente inoltre soluzioni creative: in continuità, l’azienda può mantenere attivi i contratti in corso, reperire finanza interinale (crediti prededucibili per urgenze di gestione corrente autorizzati dal giudice) e anche modificare rapporti di lavoro (è ammessa la cessione di rami d’azienda nel concordato, ecc.). Per i creditori, il concordato offre una soluzione regolamentata e trasparente, con la supervisione di un organo indipendente (il commissario) e la garanzia che non possano avvantaggiarsi alcuni a scapito di altri (divieto di pagamenti preferenziali dopo la domanda). Anche gli enti pubblici e i creditori con privilegio partecipano secondo norme chiare: i privilegiati vanno pagati integralmente salvo loro consenso (o salvo falcidia ammessa se il valore del bene su cui hanno privilegio è insufficiente a coprirli completamente). Il concordato, essendo procedura concorsuale giudiziale, comporta maggiori costi e formalità: contributo unificato, compensi di commissari e ausiliari, ecc., e richiede tempi non brevi (spesso 6-12 mesi per arrivare al voto e omologa, salvo procedure semplificate).
Novità recenti: il Codice della Crisi ha introdotto forme di concordato più flessibili: ad esempio, è possibile un concordato semplificato (detto anche concordato liquidatorio semplificato, art. 25-sexies D.L. 118/2021) ma solo a seguito di composizione negoziata fallita, dove il debitore propone la liquidazione senza votazione dei creditori – ne parliamo nella sezione successiva. Inoltre, la disciplina del concordato in continuità è stata integrata per favorire la prosecuzione dell’attività: il piano può prevedere la soddisfazione dei creditori anche col flusso di cassa generato dalla continuità (non solo coi beni esistenti), e in tal caso è richiesta una relazione di un esperto sul fatto che la continuità non sia pregiudizievole per i creditori.
Quando optare per il concordato: quando la situazione debitoria è tale che non si può ottenere agevolmente l’accordo stragiudiziale con la maggioranza richiesta per un ARD, o vi sono troppi piccoli creditori, oppure quando l’imprenditore ha bisogno assoluto della protezione piena (ad esempio per bloccare fornitori aggressivi o per gestire la cessione dell’azienda senza incorrere in revocatorie e responsabilità). Nel caso della nostra azienda tessile, se è ampiamente insolvente con centinaia di creditori, il concordato può essere la via maestra per evitare la liquidazione giudiziale disordinata e tentare una soluzione o di continuità (trovando magari un investitore che rilevi l’azienda in esercizio tramite il concordato) o almeno di liquidazione organizzata (vendendo i beni con più tempo e sotto controllo, e liberando l’imprenditore dai debiti residui con l’esdebitazione). Occorre però un piano realistico: la proposta deve offrire ai creditori una convenienza rispetto al fallimento (questo è in re ipsa se i creditori la votano, ma il tribunale in omologa valuta comunque la fattibilità).
Esempio di concordato in continuità: l’azienda propone ai creditori chirografari di soddisfarli, poniamo, al 40% nell’arco di 5 anni utilizzando i proventi della vendita di nuovi prodotti e l’ingresso di un partner finanziario; mantiene i dipendenti e continua l’attività, sotto sorveglianza. I creditori privilegiati (banche) vengono pagati secondo accordi separati (ad esempio, rinegoziando i mutui) oppure con la liquidazione di asset non essenziali. Se i creditori ritengono credibile la prospettiva (e magari intravedono che fallendo prenderebbero meno), voteranno sì.
Esempio di concordato liquidatorio: l’azienda riconosce di dover chiudere, allora propone di vendere l’immobile, i macchinari e incassare crediti, e con quel ricavato pagare ad esempio 100% i privilegiati e un 25% ai chirografari (garantendo almeno il 20% richiesto). Se apporta anche risorse esterne (ad esempio, i soci mettono liquidità fresca destinata solo ai creditori chirografari), può aumentare la percentuale. In cambio chiede di essere liberata dai debiti restanti. Spesso nei concordati liquidatori moderni c’è un assuntore terzo (un soggetto che rileva l’azienda o gli asset in blocco, impegnandosi a pagare i creditori secondo la proposta). Ad esempio un competitor potrebbe assumere il concordato di un lanificio, pagando un tot e garantendo il pagamento parziale dei debiti.
In ambo i casi, se il tribunale omologa, l’alternativa fallimentare è scongiurata e l’impresa evita la stigmatizzazione del fallimento.
Ruolo dell’imprenditore: nel concordato, a differenza del fallimento, l’imprenditore rimane in carica (sia pur affiancato dal commissario e sotto autorizzazione per atti straordinari) e può quindi pilotare l’operazione di risanamento/liquidazione. Ciò consente di salvaguardare elementi intangibili (clientela, know-how) che altrimenti nel fallimento si disperderebbero immediatamente. La contropartita è che dovrà agire con massima trasparenza e secondo le direttive del giudice e commissario: non sono ammessi pagamenti preferenziali (se non autorizzati), né atti non coerenti col piano.
In conclusione, il concordato preventivo è lo strumento concorsuale principe per “difendersi” dai debiti in modo strutturato, richiedendo però preparazione accurata e il supporto di professionisti (avvocati, commercialisti) per la predisposizione della proposta e del piano.

Esempio pratico: Theta S.p.A., azienda di tessuti tecnici, ha debiti per €15 milioni e il settore è in crisi. Nessun accordo stragiudiziale è andato a buon fine. Theta presenta domanda di concordato preventivo in continuità. Il piano prevede che un investitore (una società estera del settore) apporti €5 milioni per acquisire il 60% delle quote di Theta e rilanciarla; con questi soldi e i flussi operativi stimati, Theta propone di pagare integralmente i debiti privilegiati (circa €8M tra banche e fisco) nell’arco di 2 anni e di pagare il 30% dei debiti chirografari (circa €7M su €? residui) in 5 anni. Il commissario, nominato dal tribunale, valuta positivamente il piano, evidenziando che in caso di fallimento i chirografari non avrebbero nulla (perché i beni basterebbero a malapena per i privilegiati). Nella votazione, tutte le classi (banche, fornitori, altri) approvano la proposta con oltre l’80% di voti favorevoli. Un paio di piccoli creditori contestano sostenendo che il 30% è troppo poco, ma il tribunale rigetta le opposizioni e omologa il concordato, ritenendo rispettati i requisiti di legge e migliorativa la continuità. Theta esce dal concordato: l’investitore entra in società, i pagamenti vengono eseguiti secondo il piano. Dopo 5 anni, Theta S.p.A. ha saldato il 30% ai chirografari, che dunque hanno perso il 70% ma hanno beneficiato di un recupero superiore allo zero di un fallimento, e l’azienda ha proseguito l’attività salvando posti di lavoro. I creditori non avranno null’altro da pretendere oltre a quel 30%, in quanto la liberazione dai debiti residui è effetto dell’avvenuto adempimento del concordato omologato.

Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio

Il concordato semplificato è una novità introdotta in via sperimentale nel 2021 e resa stabile dal Codice della Crisi: esso consiste in una procedura di concordato senza voto dei creditori, riservata esclusivamente al caso in cui una precedente composizione negoziata della crisi sia fallita nel raggiungere un accordo. In pratica, se l’imprenditore ha tentato la strada negoziata con l’esperto ma non si è arrivati a un accordo con i creditori, egli può proporre un piano di concordato semplificato liquidatorio direttamente al tribunale (entro 60 giorni dall’archiviazione della composizione negoziata). Le caratteristiche peculiari di questo istituto (art. 25-sexies e seguenti CCII) sono: (a) ha natura liquidatoria – non è ammessa la continuità d’impresa, l’azienda deve essere liquidata (anche ceduta in blocco eventualmente); (b) non c’è votazione dei creditori – i creditori possono solo interloquire e fare osservazioni, ma non hanno diritto di veto via voto; (c) il tribunale omologa il concordato se ritiene che la proposta non sia manifestamente peggiore per i creditori rispetto all’alternativa della liquidazione fallimentare e che siano rispettate le priorità (ad es. cause di prelazione). In sostanza, il concordato semplificato è un rimedio residuale per evitare il fallimento quando la negoziazione è fallita ma esiste magari un’offerta concreta di acquisto dell’azienda o dei beni tale per cui, in tempi rapidi, si può chiudere la partita distribuendo un attivo ai creditori. La ratio è evitare che dopo la composizione negoziata fallita si precipiti nel fallimento, offrendo all’imprenditore uno strumento snello per proporre la liquidazione ordinata. Naturalmente, i creditori potrebbero non essere entusiasti di non poter votare: per questo il tribunale deve vigilare ancor più sul rispetto del loro interesse. Ad esempio, se c’è un acquirente disposto a comprare l’azienda per 1 milione, e con ciò pagare il 30% dei debiti chirografari, mentre in caso di fallimento i creditori prenderebbero forse 10% dopo anni, il concordato semplificato può essere omologato d’ufficio. Se qualche creditore ritiene lesi i suoi diritti, può fare opposizione, ma la decisione finale spetta al giudice, non ai creditori come nel concordato ordinario. Questo strumento è definito “semplificato” perché salta fasi come il voto e consente di addivenire alla chiusura in tempi più brevi e con minori costi. Tuttavia, è da sottolineare che la condizione di utilizzo – esito negativo della composizione negoziata – lo rende uno strumento eccezionale. Non ci si può accedere direttamente: bisogna prima aver percorso la strada negoziale. Nella pratica del 2022-2025, il concordato semplificato è stato applicato in pochi casi, spesso per salvare il valore di aziende che avevano trovato un compratore solo all’ultimo.
Nel contesto di un’impresa tessile indebitata, si potrebbe immaginare così: l’imprenditore tenta la composizione negoziata, ma i creditori non trovano un accordo. Tuttavia, durante la negoziazione emerge l’interesse di un competitor ad acquisire il marchio, i macchinari e assumere parte dei dipendenti, offrendo un prezzo. Se i creditori erano troppo disuniti per aderire a un accordo, l’imprenditore, chiusa la fase negoziata senza successo, propone un concordato semplificato dove quell’offerta di acquisto costituisce la base per pagare i creditori (ad esempio, la somma offerta sarà distribuita ai creditori secondo cause di prelazione, dando un certo dividendo ai chirografari). I creditori, pur brontolando, subiscono la procedura se il tribunale la ritiene l’unica via per massimizzare il valore, e si evitano i tempi lunghi di un fallimento in cui probabilmente quell’offerta verrebbe meno.
Il concordato semplificato ha perciò la funzione di strumento di chiusura rapida, evitando dispersione di valore. Per l’imprenditore debitore, è l’ultima chance di gestire attivamente la liquidazione ed evitare possibili conseguenze peggiori (ad esempio, l’esercizio dell’azione penale per bancarotta viene mitigato se c’è trasparenza e sollecitudine nel portare i libri in tribunale con un piano).
Va infine evidenziato che nel concordato semplificato non è prevista l’esdebitazione automatica dell’imprenditore individuale come lo è dopo il fallimento, ma nulla vieta di richiederla successivamente come beneficio. In ogni caso, l’uso calibrato e onesto di questo strumento è destinato a situazioni-limite; in un mondo ideale, la maggior parte delle crisi troverà soluzione nella fase negoziata o, se no, in un concordato “ordinario” votato, lasciando il semplificato come rete di sicurezza per i casi estremi.

Strumenti per le piccole imprese non fallibili: il sovraindebitamento (concordato minore, ristrutturazione del consumatore, liquidazione controllata)

Non tutte le imprese possono accedere alle procedure sin qui descritte. In Italia esiste la categoria delle cosiddette “imprese minori” – tipicamente piccoli imprenditori individuali o società sotto certe soglie di attività – che non sono assoggettabili a fallimento (liquidazione giudiziale) e concordato preventivo ordinario. In passato queste situazioni erano regolate dalla Legge 3/2012 sul sovraindebitamento; oggi, col Codice della Crisi, vi è un insieme di procedure dedicate, talora chiamate impropriamente “procedure da sovraindebitamento”, che includono: la ristrutturazione dei debiti del consumatore (artt. 67-73 CCII, per i debitori persone fisiche che hanno debiti prevalentemente da consumo), il concordato minore (artt. 74-83 CCII, per piccoli imprenditori, start-up innovative, enti non profit, professionisti), e la liquidazione controllata (artt. 268 e seguenti CCII, ex liquidazione del patrimonio, analoga al fallimento ma per soggetti non fallibili) . Il concordato minore è essenzialmente l’erede dell’“accordo di composizione della crisi” e in parte del “piano del consumatore” della legge 3/2012, con la differenza che qui c’è un voto dei creditori (mentre il piano del consumatore ne era privo). Il concordato minore funziona similmente a un concordato preventivo ma con semplificazioni: può essere proposto da debitori che non superano i parametri di fallibilità (attivo €300k, ricavi €200k, debiti €500k) , e non richiede soglie minime di soddisfacimento; è prevista tuttavia la verifica della “meritevolezza” del debitore, concetto che con la riforma è stato reso meno stringente rispetto al passato. Infatti, la Cassazione ha chiarito che con la nuova normativa i vecchi criteri di meritevolezza (assenza di colpa grave nell’indebitarsi, proporzione del ricorso al credito) sono stati abrogati, sostituiti da un criterio negativo: la proposta è inammissibile solo se il debitore ha causato il sovraindebitamento con dolo o colpa grave, malafede o frode . Questo significa che oggi anche chi si è indebitato in modo un po’ imprudente ma senza volontà dolosa può accedere. Nel concordato minore, come nel preventivo, i creditori votano sul piano (non c’è la distinzione consumatore/professionista come prima) e il tribunale omologa se ci sono le maggioranze o anche senza il voto se ritiene la proposta equa (ha poteri simili al concordato semplificato in certi casi). Spesso queste procedure coinvolgono l’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) che assiste il debitore e svolge funzioni paragonabili al commissario/giudice.
Per un piccolo imprenditore tessile individuale o una società artigiana non fallibile, il concordato minore potrebbe permettere di proporre ad esempio il pagamento di una percentuale dei debiti in un certo periodo, tenendo conto che molti creditori saranno magari banche e fornitori locali. Se il tribunale riscontra comportamenti inescusabili (es. l’imprenditore ha sperperato beni, o ha continuato a indebitarsi sapendo di non poter pagare in modo gravemente colposo) può dichiarare inammissibile la procedura. Ma, come detto, la tendenza attuale è di dare spazio all’accesso, riservando la punizione solo per comportamenti fraudolenti o fortemente scorretti.
La liquidazione controllata (ex liquidazione del patrimonio della legge 3/2012) è invece la procedura liquidatoria giudiziale per questi debitori “minori”. Somiglia a un fallimento: viene nominato un liquidatore, si vendono i beni del debitore (impresa o persona fisica) e si distribuisce il ricavato ai creditori. Anche qui c’è l’esdebitazione finale, di cui diremo tra poco, per il debitore persona fisica. La liquidazione controllata viene spesso scelta se non c’è possibilità di un accordo o di un concordato minore fattibile.
In sintesi, per le imprese sotto-soglia, c’è un regime particolare che evita di lasciarle senza tutele: esse possono ristrutturare i debiti con procedure ad hoc o liquidare il patrimonio con l’assistenza del tribunale, pur non essendo “fallibili”. Per esempio, un piccolo laboratorio tessile familiare che ha debiti oltre €100k (non sostenibili), pur non potendo essere trascinato in fallimento da creditori, può autonomamente rivolgersi al tribunale per un concordato minore offrendo il pagamento del 30% in 4 anni; i creditori verranno convocati dall’OCC e voteranno. Se la maggioranza approva, il giudice omologa e i creditori hanno un titolo. Se i creditori rifiutassero o se non c’è proprio margine, l’imprenditore potrebbe ripiegare sulla liquidazione controllata: cede i beni (macchinari, scorte, magari la casa se vincolata ai debiti d’impresa se era un’impresa individuale) e poi ottiene l’esdebitazione dei debiti non soddisfatti.
Va ricordato che queste procedure dei “non fallibili” furono create anche per consentire la liberazione dai debiti di piccoli imprenditori e consumatori, in linea con l’idea del fresh start. E arriviamo dunque a parlare dell’istituto dell’esdebitazione.

Esdebitazione del debitore (liberazione dai debiti residui)

L’esdebitazione è il meccanismo legale che consente al debitore persona fisica di essere liberato dai debiti residui non pagati al termine di una procedura concorsuale liquidatoria. Introdotto per i fallimenti personali (art. 142 L.F.) e poi esteso ai sovraindebitati incapienti (art. 14-terdecies L.3/2012), oggi regolato nel Codice della Crisi (artt. 278-279 per la liquidazione giudiziale, e art. 282 per l’esdebitazione del debitore incapiente), costituisce il coronamento del principio del fresh start: l’imprenditore onesto ma sfortunato, dopo aver destinato ai creditori tutto il proprio patrimonio disponibile, può ottenere la cancellazione dei debiti rimanenti e ripartire pulito finanziariamente .
Per un imprenditore (ad esempio il titolare di un’impresa tessile fallita o un socio illimitatamente responsabile), l’esdebitazione è di vitale importanza: senza di essa, anche dopo il fallimento continuerebbe a rispondere dei debiti eventualmente insoddisfatti coi futuri guadagni, rimanendo di fatto oppresso a vita dai vecchi creditori. Con l’esdebitazione, invece, quei debiti vengono estinti per legge (fa eccezione solo a pochi tipi di debiti, come le obbligazioni alimentari, da malfatto civile e le sanzioni penali/amministrative pecuniarie, che per legge restano comunque dovute ). Importante notare: i debiti fiscali e contributivi, che un tempo si discuteva fossero esonerati dall’esdebitazione, non sono esclusi – la Cassazione già da tempo ha chiarito che il fallito esdebitato è liberato anche dai debiti verso l’Erario, non essendo questi elencati tra le esclusioni . Dunque, l’esdebitazione cancella anche i debiti tributari residui (mentre non elimina le sanzioni penali per reati tributari eventualmente commessi, ma queste sono un altro profilo).
Esdebitazione a seguito di liquidazione giudiziale: dopo la chiusura del fallimento/liquidazione, il debitore persona fisica (imprenditore individuale o socio fallito) può chiedere al tribunale di essere ammesso al beneficio. Requisiti: deve aver collaborato con gli organi della procedura, non aver occultato atti o redditi, non aver già beneficiato di altra esdebitazione nei 5 anni precedenti, non aver violato obblighi ecc. Il tribunale, sentiti i creditori (che possono opporsi se ravvisano frodi), concede l’esdebitazione con decreto, liberando il debitore da tutti i debiti concorsuali rimasti impagati . Questo decreto ridà capacità patrimoniale al soggetto, che potrà dunque intraprendere nuove iniziative senza zavorre.
Esdebitazione del debitore incapiente: novità del Codice (art. 282) mutuata da un correttivo del 2020 alla L.3/2012, pensata per chi non ha nulla da offrire ai creditori. Riguarda le persone fisiche che si sono trovate insolventi senza colpa e non dispongono di alcun patrimonio liquidabile (c.d. nullatenenti). In tale caso, il debitore meritevole può chiedere comunque al giudice la cancellazione dei debiti, con l’impegno morale di pagare ai creditori qualcosa se nei 4 anni successivi migliorasse la sua situazione (ad esempio, se riceve un’eredità o un incremento di reddito) . È un’ipotesi molto avanzata di fresh start, in cui i creditori non ricevono nulla ma la persona è liberata dal peso dei debiti, per poter reinserirsi nell’economia legale. La Cassazione nel 2024 ha precisato che questo non è un automatismo: il giudice valuta caso per caso la buona fede e la reale incapienza, e può negare l’esdebitazione se ravvisa mancanza di collaborazione o se intravede che il soggetto potrebbe in futuro pagare . Insomma, è una via eccezionale per i debitori totalmente a terra ma onesti.
Nella pratica aziendale, immaginiamo il titolare di una ditta individuale tessile che ha dovuto chiudere e liquidare tutto, pagando magari parzialmente i creditori con quei pochi beni ceduti, ma restano debiti per €300k. Senza esdebitazione, quel titolare sarebbe rovinato a lungo termine; con l’esdebitazione, invece, dopo la chiusura della liquidazione controllata, può ottenere la liberazione da quei €300k residui e magari aprire una nuova attività (o lavorare come dipendente) senza il timore di vedersi pignorare ogni guadagno per i vecchi debiti.
Eccezioni: non tutti i debiti sono cancellati. Come accennato, debiti per mantenimento famigliare, alimenti dovuti ex legge e debiti per danni da fatto illecito (es. risarcimenti per responsabilità civile) non sono soggetti a esdebitazione . Anche le multe penali o amministrative (ad esempio sanzioni antitrust, ammende) restano dovute . Tutto il resto – fornitori, banche, fisco (per tributi), contributi, canoni, etc. – viene meno.
Profilo temporale: l’esdebitazione non è una procedura a sé stante per evitare di pagare: interviene dopo che il patrimonio del debitore è già stato ripartito ai creditori (per quanto c’era). Quindi i creditori hanno ottenuto tutto il possibile dai beni esistenti; ciò che viene cancellato è solo l’eventuale eccedenza che era irrealizzabile.
Sentenze recenti: la giurisprudenza è generalmente favorevole a interpretare l’istituto in senso estensivo, ribadendo però la necessità della buona fede. Ad esempio, la Cass. 5678/2024 ha affermato che l’esdebitazione non è automatica ma va valutata caso per caso, verificando soprattutto la condotta del debitore e la correttezza con cui ha gestito la procedura . I tribunali sottolineano l’importanza di presentare documentazione completa e di non nascondere nulla . Casi di diniego di esdebitazione vi sono stati, ad esempio, per debitori che avevano sottratto beni durante il fallimento o mentito (Tribunale di Napoli 1122/2024 nega esdebitazione a chi aveva occultato attivi ). Quindi, è cruciale per l’imprenditore cooperare e agire lealmente.
In conclusione su esdebitazione: dal punto di vista del debitore, è la rinascita post-crisi. Bisogna conoscerne l’esistenza e i requisiti, perché a volte imprenditori in difficoltà temono il fallimento come una condanna perpetua, non sapendo che poi possono uscirne senza debiti e ripartire. Un consulente dovrebbe sempre valutare se, fallite le vie di salvataggio, convenga percorrere la strada della liquidazione con esdebitazione, soprattutto quando i debiti superano di gran lunga il recuperabile. Nel contesto di questa guida, la difesa ultima del debitore è proprio quella: se tutti i tentativi di accordo o concordato dovessero fallire e l’azienda venisse liquidata, il debitore persona fisica ha ancora la protezione di legge per non rimanere schiacciato a vita dai debiti pregressi.

Esempio pratico: Kappa Artigiano SNC (due soci) fallisce lasciando €1 milione di debiti impagati dopo l’attivo liquidato. I soci, finita la procedura, fanno istanza di esdebitazione. Il tribunale verifica che non hanno commesso irregolarità: anzi, durante il fallimento hanno aiutato il curatore a vendere i macchinari e consegnato spontaneamente i libri contabili, e la crisi era dovuta al crollo di un committente principale (fuori dal loro controllo). I creditori vengono sentiti ma nessuno si oppone fondatamente. Il giudice quindi emette decreto di esdebitazione: i due ex soci sono ora liberi dai debiti residui di Kappa SNC (inclusi debiti fiscali e verso fornitori) . Uno dei creditori contestava che avessero debiti IVA, ma il giudice richiamando la Cassazione ha ribadito che anche i crediti IVA non pagati rientrano nel beneficio . I due ex soci, sollevati, possono aprire una nuova impresa con una forma giuridica diversa, portando l’esperienza accumulata senza l’handicap del milione di debiti precedente (ovviamente dovranno trovare chi li finanzi, ma legalmente non hanno pendenze). Questo esempio mostra come l’esdebitazione realizzi la finalità di fresh start, bilanciando il rigore delle norme concorsuali con la possibilità di recupero del debitore onesto.

Profili penali: reati fallimentari e tributari nelle crisi d’impresa

Quando un’impresa indebitata precipita in uno stato di insolvenza, oltre alle conseguenze civili, sorgono possibili responsabilità penali a carico dei suoi amministratori o gestori. Il diritto penale fallimentare e dell’economia prevede infatti varie fattispecie di reato mirate a sanzionare comportamenti illeciti tenuti dall’imprenditore in crisi che ledono i diritti dei creditori o la fede pubblica nella veridicità delle informazioni societarie . In questa sezione analizzeremo i due ambiti di maggior rilievo segnalati: i reati fallimentari (bancarotta in primis) e i reati tributari connessi al mancato pagamento di imposte, che spesso affiorano nelle situazioni di indebitamento grave. L’obiettivo è far comprendere all’imprenditore indebitato quali condotte configurano reato (da evitare assolutamente) e quali conseguenze penali si rischiano, nonché quali sono le linee difensive possibili.

Reati fallimentari: bancarotta fraudolenta e altri

Il reato principale in questo contesto è la bancarotta fraudolenta, previsto ora dall’art. 322 del Codice della Crisi (prima art. 216 L.F.), che punisce con la reclusione da 3 a 10 anni l’imprenditore dichiarato in liquidazione giudiziale (fallito) che abbia compiuto determinati atti a danno dei creditori . Si distinguono tre forme tradizionali di bancarotta fraudolenta: patrimoniale, documentale e preferenziale:

  • La bancarotta fraudolenta patrimoniale consiste in atti di distrazione, occultamento, dissimulazione, distruzione o dissipazione di beni propri (cioè del patrimonio aziendale) oppure nell’aver esposto o riconosciuto passività inesistenti, il tutto con l’intento di recare pregiudizio ai creditori . Esempi: l’imprenditore sottrae merci dal magazzino e le rivende “in nero” tenendosi il ricavato, oppure trasferisce proprietà a un familiare simulando una vendita, oppure gonfia le passività inserendo debiti fittizi nei bilanci per giustificare mancanze di denaro. Queste condotte riducono la garanzia patrimoniale per i creditori e sono considerate fraudolente.
  • La bancarotta fraudolenta documentale si configura quando l’imprenditore sottrae, distrugge o falsifica in tutto o in parte i libri e le altre scritture contabili, o li tiene in modo tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari . In pratica, chi “trucca” la contabilità, cancella registri o tiene la contabilità in maniera caotica e incomprensibile, risponde di bancarotta documentale, perché impedisce volutamente ai creditori e al curatore di ricostruire cosa sia successo ai beni e ai soldi dell’impresa.
  • La bancarotta preferenziale (fattispecie specifica) punisce l’imprenditore che, per favorire taluni creditori a danno di altri, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione durante la crisi . Ad esempio, se poco prima del fallimento l’imprenditore paga integralmente un fornitore “amico” trascurando tutti gli altri, oppure costituisce un’ipoteca a favore di una banca quando è già insolvente (per garantirla più degli altri), compie un atto di favoritismo che è penalmente illecito.

La legge prevede anche la bancarotta semplice (art. 323 CCII, ex art. 217 L.F.) con pene minori (reclusione 1-5 anni), applicabile a condotte meno dolose come l’aver aggravato la crisi per negligenza, l’aver sostenuto spese personali eccessive, o l’aver ritardato il fallimento violando l’obbligo di presentare i libri in tribunale . La bancarotta semplice è dunque imputabile per imprudenza o imperizia grave dell’imprenditore (non per frode intenzionale).

Accanto ai reati commessi dal “fallito” (imprenditore dichiarato fallito), vi sono quelli commessi da soggetti diversi dal fallito: tipicamente gli amministratori di società fallite, i sindaci, direttori generali, ecc., puniti per bancarotta impropria (artt. 329-330 CCII). Ad esempio, l’art. 329 CCII punisce allo stesso modo degli imprenditori gli amministratori di società che abbiano compiuto atti di distrazione, occultamento di beni sociali o falsificazione di bilanci causando il fallimento . In aggiunta, punisce gli amministratori che hanno causato con operazioni dolose il dissesto (la c.d. bancarotta da “mala gestione”). Un caso tipico di bancarotta impropria è l’illecita prosecuzione dell’attività aggravando il passivo: se i dirigenti continuano a prendere crediti e a fare spese sapendo l’impresa insolvente, ingannando i creditori che concedono altro credito, ciò può configurare operazioni dolose che sfociano in bancarotta fraudolenta impropria. Oppure, se gli amministratori falsificano i bilanci (reato societario) e la società fallisce, rispondono di bancarotta impropria da reato societario (ex art. 329 comma 2).

Importante: per integrare la bancarotta fraudolenta non è necessario che le condotte abbiano causato il fallimento; è sufficiente che siano state compiute in costanza di impresa o immediatamente prima del fallimento con l’intento di frodare i creditori . La Cassazione ha ribadito che la bancarotta fraudolenta è un reato di pericolo a dolo generico: basta la consapevolezza che quell’atto (es. distrarre un bene) è idoneo a danneggiare i creditori, irrilevanti i motivi. Anche se l’imprenditore agisce “per salvare l’azienda”, ad esempio spostando beni ad una nuova società nel tentativo di continuare l’attività, ciò non lo giustifica: anzi integra comunque il reato, perché quell’operazione toglie garanzie ai creditori originari . Una recente sentenza (Cass. pen. 21860/2024) ha chiarito proprio che anche chi compie distrazioni con l’intento di salvare l’impresa risponde di bancarotta fraudolenta, poiché l’intento “nobile” non rileva se l’atto obiettivamente danneggia i creditori . Nel caso specifico, un imprenditore aveva creato una newco spostandovi un ramo d’azienda e prestando fideiussione, nel tentativo di evitare il fallimento dell’impresa originaria gravata da debiti tributari; ma la nuova società è fallita e la Cassazione ha confermato la condanna per bancarotta fraudolenta patrimoniale: l’operazione (vendita di ramo d’azienda a prezzo incongruo) era idonea a frodare i creditori indipendentemente dal proposito di continuità, e il dolo generico è integrato dalla consapevolezza del possibile pregiudizio .

Un altro sviluppo giurisprudenziale riguarda la condotta di omettere sistematicamente il pagamento di imposte per finanziare l’impresa. La Cassazione penale, Sez. V, con sentenza n. 36585 del 2 ottobre 2024, ha affermato che la sistematica omissione di versamento di imposte durante la gestione può configurare un’“operazione dolosa” ai sensi della bancarotta impropria (art. 223 comma 2 n.2 L.F., ora art. 329 CCII) . In pratica, se l’amministratore decide di non pagare tributi per avere liquidità e ciò porta ad aggravare il debito erariale e rende prevedibile il dissesto, si tratta di una condotta dolosa assimilabile a una manovra fraudolenta che causa il fallimento . Questa interpretazione mette in guardia: finanziare l’impresa non pagando le tasse non è solo una violazione fiscale, ma può sfociare in un’accusa di bancarotta fraudolenta impropria se poi l’azienda fallisce per quel motivo. In sintesi, non pagare i debiti tributari volontariamente per sostenere l’attività è considerato un comportamento scorretto che pregiudica gli altri creditori, quindi penalmente rilevante (salvo, ovviamente, i casi fortuiti di impossibilità sopravvenuta non dolosa).

Oltre alla bancarotta, vi sono altri reati fallimentari: ad esempio il ricorso abusivo al credito (prima art. 218 L.F.), punito oggi come bancarotta semplice o impropria se la fattispecie ricade in operazioni dolose; i reati di favoreggiamento reale verso il fallito (chi aiuta a sottrarre beni può rispondere di concorso in bancarotta); i reati di omessa dichiarazione di fallimento e di falso in attestazioni o relazioni da parte di attestatori o di organi (anche l’OCC e il commissario possono commettere reati se attestano il falso). Un cenno a parte meritano i reati societari connessi: ad esempio, la falsità in bilancio (artt. 2621-2622 c.c.) commessa prima del fallimento aggravando il buco patrimoniale può essere punita sia come reato societario sia rifluire in bancarotta impropria. Idem per la distrazione di liquidità a favore di soci (configura anche infedeltà patrimoniale ex art. 2634 c.c. se societaria).

Difendersi penalmente: la miglior difesa è la prevenzione. L’imprenditore indebitato deve assolutamente: evitare di distrarre o occultare beni (anzi, documentare tutto e conservare registri); evitare di pagare preferenzialmente solo alcuni creditori a ridosso dell’insolvenza (ogni pagamento anomalo prima di un fallimento può essere indagato: se appare intenzionale e discriminatorio, oltre alla revocatoria, espone al penale); tenere la contabilità in ordine, magari facendola verificare da un professionista se teme di non avere tutto a posto; non aggravare volutamente il dissesto con spese pazze o crediti temerari. Se proprio occorrono finanziamenti in extremis, farlo in modo trasparente (ad esempio con finanziamenti soci postergati, non ingannando nuove banche). In caso di fallimento dichiarato, cooperare lealmente con il curatore: consegnare subito libri contabili, beni, informazioni, segnalare eventuali errori fatti ma mostrando buona fede. La legge prevede come circostanza attenuante (spesso decisiva per evitare il carcere) la attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità e quella del ravvedimento operoso (ad esempio, chi dopo la bancarotta si adopera per risarcire in parte i creditori potrebbe avere attenuanti). Una pronuncia recente della Cassazione (Sez. V pen. 44742/2024) ha discusso i criteri di valutazione del danno di rilevante gravità per le aggravanti di bancarotta patrimoniale : dunque, anche ai fini di eventuali patteggiamenti, la quantificazione del danno ai creditori è cruciale.

Riassumendo i consigli pratici dal punto di vista del debitore per non incorrere nei reati fallimentari: – Non sottrarre né nascondere nulla del patrimonio aziendale; – Non falsificare o distruggere i libri contabili (anzi, mantenerli aggiornati e veritieri fino all’ultimo); – Non fare preferenze ingiustificate tra creditori quando si è in insolvenza conclamata (se devi pagare qualcosa, privilegia semmai i lavoratori e i debiti fiscali correnti sotto soglia penale, ma informati sulle possibili contestazioni); – Non prendere nuovi rischiosi finanziamenti sapendo di non poterli restituire, sulla base di dati contabili non veritieri; – Se trasferisci asset aziendali (ad es. vendi un macchinario a un parente), fallo a valori di mercato e traccialo, per poter dimostrare che non era una distrazione; – Nei piani di salvataggio, evita strutture troppo astute (tipo newco che rileva asset senza pagare i debiti): questi artifici spesso vengono poi contestati come bancarotta. Meglio soluzioni concordate e trasparenti con i creditori (ad es. cessione d’azienda in concordato anziché fuori).
In caso di fallimento aperto, la strategia difensiva penale sarà dimostrare di aver agito senza volontà di frode e di aver fatto il possibile per limitare il danno: ad esempio, l’imprenditore potrà evidenziare che l’omissione fiscale era dovuta a causa di forza maggiore (se applicabile) o che le operazioni contestate erano in realtà volte alla ristrutturazione e condotte in buona fede con perizie di supporto (ciò talvolta evita la qualificazione dolosa, declassando a bancarotta semplice o escludendo il reato se mancano profili di fraudolenza). In giudizio, molto conteranno le perizie contabili: dimostrare che il patrimonio non è sparito ma magari si è svalutato per motivi di mercato, o che certe spese erano giustificate dall’attività, può smontare l’accusa di distrazione.
In definitiva, sul piano penale: trasparenza, correttezza e tempestività sono le migliori difese. La crisi d’impresa non è reato di per sé; lo diventa se l’imprenditore reagisce in modo illegale (occultando beni, truccando conti, frodando il fisco). Sapere questo può guidare l’imprenditore a non compiere passi falsi dettati dalla disperazione.

Reati tributari connessi all’insolvenza (omessi versamenti e frodi fiscali)

Oltre ai reati fallimentari, l’imprenditore indebitato deve prestare attenzione ai possibili reati tributari che possono emergere dalla sua situazione. Spesso, le imprese in crisi accumulano debiti fiscali (IVA, ritenute) non versati: ebbene, il legislatore punisce penalmente alcuni di questi comportamenti quando superano determinate soglie, come già anticipato nella parte civile. In particolare, le fattispecie da tenere presenti sono:

  • Omesso versamento di IVA (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000): è reato se l’IVA dovuta annualmente (risultante dalla dichiarazione) e non versata entro il termine per il pagamento (attualmente il 16 settembre dell’anno successivo) supera €250.000. La pena prevista è la reclusione da 6 mesi a 2 anni. Sotto tale soglia, l’omissione è illecito amministrativo. Quindi, un’azienda che non versa l’IVA per importi ingenti rischia l’accusa penale; se invece riesce a contenere l’omesso versamento sotto 250k (ad esempio pagando parzialmente per scendere sotto soglia), evita il penale per quell’anno . Nota: recenti modifiche (D.Lgs. 87/2024) hanno mantenuto questa soglia ma spostato in avanti il momento consumativo, concedendo di fatto più tempo per regolarizzare – ad esempio, l’IVA 2023 omessa è penalmente rilevante solo se non pagata entro il 31/12/2026 (questo per via di misure transitorie post-Covid) .
  • Omesso versamento di ritenute dovute o certificate (art. 10-bis D.Lgs. 74/2000): il datore di lavoro che non versa le ritenute IRPEF operate sulle retribuzioni dei dipendenti entro il termine di versamento annuale (30 giugno dell’anno successivo) è punito con la reclusione fino a 2 anni se l’ammontare omesso supera €150.000 per periodo d’imposta . Sotto €150k annui è illecito amministrativo (sanzione pecuniaria dal 20% al 30% dell’importo) . La soglia di €150k è stata elevata (era 50k fino al 2015, poi portata a 150k per attenuare la penalizzazione di piccole omissioni). Anche qui c’è la chance di evitare il processo pagando il debito: se il datore versa integralmente le ritenute omesse prima dell’apertura del dibattimento, il reato è estinto . È considerata causa di non punibilità anche la prova di una crisi di liquidità acuta e non prevedibile che abbia reso impossibile il pagamento, ma è una linea difensiva complessa, richiede dimostrare cause di forza maggiore.
  • Omesso versamento di contributi previdenziali (art. 2 comma 1-bis D.L. 463/1983 conv. L. 638/1983): qui la soglia è €10.000 annui . Se i contributi trattenuti e non versati (oppure dovuti dal datore, come quota a suo carico) superano 10k nell’anno, scatta la reclusione fino a 3 anni e multa fino a €1.032 . Sotto 10k è sanzione amministrativa (10k-50k euro) . Come già detto, il reato contributivo si perfeziona anche senza una dichiarazione (basta il mancato pagamento accertato dall’INPS). L’estinzione del reato avviene se si paga integralmente il dovuto entro 3 mesi dalla contestazione (notifica dell’illecito) o comunque prima del giudizio – normativa simile a quella tributaria.
  • Omessa dichiarazione fiscale (art. 5 D.Lgs. 74/2000): se l’imprenditore omette di presentare una dichiarazione (es. redditi o IVA) dovuta e l’imposta evasa supera €50.000 per ciascun tributo, è reato (reclusione 1 anno e 6 mesi – 4 anni). Questo potrebbe capitare se, in crisi, l’azienda non presenta proprio la dichiarazione IVA per non evidenziare il debito: se l’IVA non dichiarata supera 50k, è reato di omessa dichiarazione. Allo stesso modo per l’omesso 770 (dichiarazione sostituto d’imposta) se ritenute non dichiarate > 50k . La difesa qui è presentare almeno dichiarazioni seppur poi non pagate (così non si configura l’occultamento).
  • Dichiarazione fiscale fraudolenta (artt. 2 e 3 D.Lgs. 74/2000): qui entriamo nei reati di frode fiscale, che richiedono condotte attive di falsità (ad es. fatture per operazioni inesistenti o altri artifici per evadere). Un imprenditore disperato potrebbe essere tentato di usare fatture false per abbattere utili o creare finti crediti IVA da compensare: queste sono condotte altamente rischiose, punite con pene severe (reclusione fino a 6-8 anni, a seconda dell’entità). Ad esempio, chi emette o utilizza fatture false per oltre €100.000 di imponibile annuo commette reato (art. 2), così come chi con altri artifici (es. false valutazioni in bilancio) evade imposta > €100k e incidenza >10%. Questi reati esulano un po’ dallo stato di crisi (si possono commettere anche in bonis), ma spesso emergono quando l’azienda crolla e si scopre che truccava le carte. La difesa qui è semplicemente non entrare in questo terreno: la crisi non giustifica commettere frodi fiscali, e anzi poi in fallimento tutto viene a galla. Se reati del genere sono stati commessi, l’imprenditore può valutare di cooperare con le autorità (es. confessione, ravvedimento, adesione a riti alternativi) per mitigare la pena.

Concentrandoci sugli omessi versamenti, già discussi: notiamo che queste soglie (250k IVA, 150k ritenute, 10k contributi) delineano quando l’illecito tributario diventa penale. L’imprenditore indebitato dovrebbe monitorare i suoi debiti IVA e ritenute anno per anno e, se vede di non poter pagare, cercare di limitare il danno al di sotto delle soglie o attivare per tempo strumenti come rateazioni e definizioni per evitare lo sforamento entro i termini di legge. Ad esempio, supponiamo che per l’anno fiscale X l’IVA a debito di Alfa S.r.l. sia 300k e non ha i soldi per pagarla: Alfa potrebbe evitare di finire nel penale cercando di versarne almeno 51k prima della scadenza per ridurre l’omesso a 249k (sotto soglia). Oppure, se ciò non è possibile, potrebbe contare su normative temporanee (come attualmente c’è tempo fino al 2026 per pagare l’IVA 2023 prima che scatti reato ). In ogni caso, ignorare totalmente il debito IVA è ricetta sicura per un procedimento penale. Lo stesso per le ritenute: se l’azienda versa almeno in parte le ritenute certificate per mantenere l’omesso sotto 150k, si evita il reato. E per i contributi, attenzione al tetto basso di 10k: conviene sempre versare almeno i contributi dei dipendenti (o attivare subito rateazione INPS) perché lì la soglia si oltrepassa facilmente con qualche trimestre non pagato. Tra l’altro, sul piano reputazionale e morale, non pagare i contributi e le ritenute dei dipendenti è visto molto negativamente (stai trattenendo soldi dovuti per pensioni e stipendi altrui).

Intersezione reati tributari – reati fallimentari: c’è un aspetto delicato. La condotta di omesso versamento IVA o ritenute di per sé è reato tributario; se poi l’azienda fallisce, quella stessa condotta (non pagare il fisco) può contribuire a una bancarotta impropria (come visto, omissioni di pagamento imposte=operazioni dolose). Ci si può chiedere: l’imprenditore rischia un “doppio processo” per lo stesso fatto (uno per il reato tributario e uno per bancarotta)? La giurisprudenza ritiene di sì, sono reati distinti tutelando beni giuridici diversi (l’Erario vs la massa creditoria), quindi niente ne bis in idem . In pratica, non pagare 300k IVA può portare a condanna per omesso versamento IVA e se fallisce anche per bancarotta impropria, senza conflitto giuridico, come confermato da Cassazione n. 4582/2024 . Ciò è ben poco confortante per l’imprenditore: significa che certe omissioni possono cumulare sanzioni su più fronti. Dunque, la pianificazione di difesa deve tenere conto di entrambi: ad esempio, in caso di crisi, se l’imprenditore ha smesso di pagare IVA ed è incriminato per quello, poi in fallimento potrebbe preferire evitare di essere amministratore per ridurre il rischio di imputazione di bancarotta (non sempre evita, ma si valuterà l’effettivo ruolo).

In conclusione sul fronte penale-tributario: le parole d’ordine sono pagare il possibile, tempestivamente. Se non si può pagare tutto, almeno destinare le risorse a quei versamenti che scongiurano i reati (ad esempio, con 100k in cassa a fine anno, meglio pagare i contributi e parte di IVA per abbattere sotto soglia, piuttosto che pagare un fornitore lasciando buchi fiscali punibili). Inoltre, sfruttare le procedure di rateazione e ravvedimento: un ravvedimento operoso prima che la violazione sia constatata consente di evitare il penale (pagare con sanzioni ridotte esclude la punibilità in quanto il debito fiscale viene meno). Le leggi tributarie spesso prevedono che il reato non sia punibile se, ad esempio, prima del giudizio si versa tutto il dovuto: ciò è uno stimolo a trovare fondi (anche vendendo beni personali) per sanare. Infine, come difesa legale, l’invocazione dello stato di crisi come causa di forza maggiore va maneggiata con cura: i giudici tributari penali ammettono raramente che la crisi economica esoneri dall’obbligo penale, a meno di circostanze eccezionali (calo improvviso di fatturato + impossibilità di credito = può mitigare la colpevolezza). Ad ogni modo, presentarsi proattivi (es. avere tentato di risolvere col Fisco, aver dialogato con l’AdE, ecc.) può giovare come elemento a favore della buona fede.

Nota: anche il reato di emissione di assegni a vuoto (scoperti) un tempo era penale, ora è depenalizzato (solo sanzione amministrativa) quindi non ne parliamo qui, ma l’abuso di strumenti di pagamento senza provvista può portare a protesti e aggravare la posizione nelle trattative (e se fatto in frode, può essere un elemento di dolo).

Domande frequenti (FAQ) su imprese indebitate e tutele del debitore

D: La mia azienda ha debiti per forniture e una banca minaccia di farmi fallire: può farlo anche se io sto cercando di pagare a rate?
R: Sì, un creditore può presentare istanza di fallimento se l’azienda è in stato di insolvenza (incapace di pagare regolarmente i debiti) e i debiti scaduti superano complessivamente €30.000 . Anche se stai cercando di pagare a rate volontariamente, se il creditore non è soddisfatto e hai saltato pagamenti, può procedere. Tuttavia, se hai attivato una rateizzazione formale (ad esempio con l’Agenzia delle Entrate) e la stai rispettando, il debito rateizzato non è considerato “scaduto” ai fini della soglia di fallibilità – ma attenzione: se la procedura di fallimento arriva prima che tu ottenga il piano di rientro, il debito originario conta interamente . Quindi per evitare il fallimento conviene o ridurre i debiti sotto soglia (pagando quel tanto che basta) o presentare una domanda di concordato preventivo prima che sia dichiarato il fallimento (il che blocca la pronuncia). In ogni caso, il creditore non è tenuto ad accettare pagamenti parziali volontari se vuole la liquidazione giudiziale.

D: Ho debiti fiscali molto alti (IVA, tasse) che non riesco a pagare interamente. Posso trovare un accordo con il Fisco per ridurli?
R: Sì, esistono strumenti di definizione dei debiti fiscali. Fuori dalle procedure concorsuali puoi chiedere una rateizzazione fino a 10 anni se dimostri difficoltà (dal 2025 possibile 84 rate anche senza prova per importi fino 120k) . Periodicamente il legislatore vara condoni o “rottamazioni” che abbattono sanzioni e interessi . All’interno di una procedura concorsuale (concordato o accordo omologato) puoi proporre una transazione fiscale, offrendo di pagare solo una parte del debito tributario. Oggi è ammessa anche la falcidia dell’IVA e delle ritenute, previo ok dell’Agenzia Entrate, a condizione che il trattamento non sia peggiore di quanto l’Erario otterrebbe in un fallimento . In concreto, se in fallimento l’Erario incasserebbe 10 su 100, nel concordato può accettare 10 (o poco più) su 100 senza violare norme. Quindi sì, si può negoziare sia stragiudizialmente (rate, rottamazione) sia in sede concorsuale (transazione fiscale). È consigliabile farsi assistere da un fiscalista per formulare la proposta giusta: per importi grandi il Fisco valuta piani di ristrutturazione del debito nel contesto di concordati/accordi .

D: La mia società è molto piccola (fatturato sotto €200k) ma ha debiti oltre €500k. Può essere dichiarata fallita?
R: Dipende. Le imprese minori secondo l’art. 2 CCII (attivo ≤ €300.000, ricavi ≤ €200.000 e debiti ≤ €500.000) non sarebbero soggette a liquidazione giudiziale (fallimento) . Se la tua società rientra in questi limiti per due esercizi su tre, allora è “non fallibile” e i creditori non possono chiederne il fallimento ordinario. Tuttavia, resta comunque soggetta alle procedure di sovraindebitamento (concordato minore, liquidazione controllata). Inoltre, c’è la soglia fissa di €30.000 di debiti scaduti: se i debiti sono inferiori, non c’è fallimento , ma nel tuo caso hai >500k, quindi la soglia è superata. Quindi bisogna valutare: se superi anche uno solo dei parametri dimensionali (es. debiti €500k è proprio al limite), potresti essere considerato “fallibile”. Spesso i tribunali guardano ai parametri ex legge fallimentare: se in qualsiasi anno hai sforato attivo 300k o ricavi 200k o debiti 500k, allora potresti essere soggetto a fallimento . Se invece la tua azienda è sotto questi valori, i creditori dovranno usare le procedure minori. In ogni caso, per difenderti potresti evidenziare in giudizio la natura di impresa minore; se accertata, l’istanza di fallimento viene rigettata. Ma attenzione: il D.L. 26 ottobre 2019 aveva ridotto temporaneamente la soglia debiti a 100k per definire impresa minore, poi la normativa è cambiata. In pratica, ti conviene verificare i bilanci degli ultimi anni: se sistematicamente eri piccolo, allora niente fallimento ma solo sovraindebitamento.

D: Cosa succede ai debiti della società se viene dichiarato il fallimento (liquidazione giudiziale)? I soci o amministratori devono pagarli di tasca loro?
R: Se la società è di capitali (s.r.l., s.p.a.), i soci non rispondono personalmente dei debiti sociali, salvo abbiano prestato garanzie personali (fideiussioni) o salvo casi eccezionali di abuso (ad es. responsabilità per atti distrattivi, o azioni di responsabilità per mala gestione). Quindi, in linea generale, con la liquidazione giudiziale il patrimonio della società verrà liquidato e distribuito ai creditori e la società sarà estinta, ma i soci non dovranno coprire l’eventuale insufficienza (per questo esiste la responsabilità limitata). Discorso diverso per i soci illimitatamente responsabili (s.n.c., s.a.s. accomandatari): in quel caso i creditori potranno escutere anche il patrimonio personale dei soci se i beni sociali non bastano, e i soci potranno a loro volta essere dichiarati falliti. Gli amministratori di società di capitali non sono debitori diretti verso i creditori sociali, quindi non pagano di regola, ma potrebbero subire azioni di responsabilità dal curatore se con la loro condotta illecita hanno causato danni (ad es. continuando attività in perdita, hanno aumentato il buco: in tal caso possono essere condannati a risarcire e quelle somme vanno ai creditori). Inoltre, se i soci hanno prelevato utili fittizi o capitale, il curatore può chiedere la restituzione. In parallelo, attenzione alle fideiussioni: se un socio o amministratore ha garantito personalmente un debito (tipicamente verso banca o fornitori), il fallimento della società fa sì che i creditori escutano il garante per la parte non soddisfatta in procedura. Dunque, in pratica: soci di srl/spa – protetti, a meno di garanzie o illeciti; soci di snc/sas – colpiti personalmente; amministratori – non tenuti a pagare i debiti sociali, ma possono essere chiamati a rispondere di danni e ovviamente soggetti a eventuali sanzioni penali se hanno commesso reati. Per le ditte individuali, il concetto di separazione non c’è: l’imprenditore individuale fallisce con la sua impresa e ne risponde con tutti i suoi beni (presenti e futuri salvo esdebitazione). Una nota: dopo la chiusura del fallimento, se non c’è esdebitazione, i crediti residui delle società di capitali si estinguono con la società stessa, mentre per l’imprenditore individuale no (da qui l’importanza dell’esdebitazione).

D: Con il concordato preventivo riesco a liberarmi di tutti i debiti? Qual è la differenza rispetto all’esdebitazione?
R: Il concordato preventivo è una procedura in cui proponi di pagare una parte dei debiti e ottieni di essere esonerato dal pagare il resto se esegui regolarmente il piano. Quindi di fatto comporta una falcidia (riduzione) dei debiti secondo la percentuale offerta e approvata. Ad esempio, se in concordato omologato paghi il 30%, il restante 70% viene cancellato e i creditori non possono più pretenderlo. Questa “liberazione” però riguarda la società e i suoi soci limitatamente responsabili. L’esdebitazione invece è un istituto post-fallimentare che riguarda la persona fisica (imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile) e cancella i debiti residui dopo che tutto il patrimonio è stato liquidato. La differenza pratica è: nel concordato eviti la liquidazione totale offrendo ai creditori subito una parte e l’azienda spesso continua; l’esdebitazione arriva dopo una liquidazione (fallimento o liquidazione controllata) e serve a dare sollievo al debitore che comunque ha perso tutto. Se sei una società di capitali, la questione esdebitazione non ti tocca (la società estinta non “vive” per pagare debiti); se sei un imprenditore individuale, puoi percorrere sia la via del concordato minore (ti libera come il concordato preventivo una volta eseguito) sia, se fallisci, poi chiedere l’esdebitazione. Un concordato ben riuscito è di fatto un esdebitazione in bonis: paghi quel che puoi e il resto sparisce, con la differenza che nel concordato i creditori decidono loro se accettare la riduzione votando , nell’esdebitazione post-fallimento è la legge che gliela impone (ma dopo che hanno già avuto tutto il possibile dalla liquidazione). Ricorda: alcuni debiti particolari (alimentari, risarcimenti da illecito, multe) non sono esdebitabili nemmeno dopo il fallimento, né condonabili in concordato (ad esempio, un credito alimentare non può essere falcidiato senza consenso del creditore).

D: Quali debiti hanno priorità sugli altri? Se devo scegliere chi pagare, come funziona la graduatoria in caso di fallimento?
R: In fallimento (liquidazione giudiziale) i crediti sono pagati in base ai privilegi. In cima ci sono i crediti prededucibili (costi della procedura, compensi del curatore, nuovi finanziamenti autorizzati durante concordato, ecc.). Poi vengono i crediti con garanzia reale (ipoteche e pegni): ciascun creditore ipotecario/pledge viene soddisfatto dal ricavato del bene vincolato. Ad esempio, banca con ipoteca su immobile: dal prezzo di vendita di quell’immobile, si paga prima la banca fino a concorrenza del debito, l’eventuale avanzo va alla massa. Poi ci sono i crediti privilegiati speciali (es. privilegio del venditore sul bene venduto con riserva di proprietà) e i crediti privilegiati generali: qui rientrano i lavoratori (stipendi, TFR), che hanno privilegio generale mobiliare che prevale anche su gran parte degli altri (hanno un cosiddetto privilegio di grado superiore), poi i crediti erariali e previdenziali (imposte e contributi hanno anch’essi privilegio generale ma di grado inferiore rispetto a lavoratori; l’IVA e ritenute ad esempio privilegio speciale sui beni del debitore, equiparato a generale di grado elevato per l’IVA). Nella graduatoria, i dipendenti spesso prendono per intero (e anticipano pure le imposte); le imposte prendono per intero fino a un certo 70% dell’attivo residuo (perché il loro privilegio è limitato, ma è dettaglio tecnico). Infine vengono i crediti chirografari (senza privilegio né garanzia): tipicamente i fornitori non garantiti, le banche per la parte non coperta da ipoteca, i soci finanziatori postergati, ecc. Questi ricevono solo se avanza qualcosa dopo aver soddisfatto i privilegiati. In un concordato, devi rispettare queste prelazioni: non puoi dare meno del 100% ai privilegiati (salvo loro rinuncia o se il bene su cui insiste il privilegio non copre il credito per intero, in tal caso la parte scoperta diventa chirografaria). Devi inoltre garantire che se dai una percentuale ai chirografari, i privilegiati che eventualmente, degradando il privilegio (per insufficienza beni), diventano chirografari, non vengano trattati peggio degli altri chirografari. Sembra complicato ma in sostanza: pagare prima dipendenti e fisco se vuoi evitare guai e se hai poche risorse; i fornitori e banche chirografarie sono ultimi. Anche tra i chirografari ci possono essere categorie preferenziali per legge, ad esempio crediti da risarcimento per morte o lesioni hanno un privilegio generale anch’essi. Quindi se chiedi “chi devo pagare prima se non ho per tutti”, la risposta è: stipendi e contributi e ritenute (anche per evitare reati), IVA almeno in parte (per evitare reato se possibile), poi fornitori e banche negozia dilazioni. In caso di procedura concorsuale, il giudice e commissario comunque ti guideranno: non potrai decidere arbitrariamente di pagare uno e non l’altro – ogni pagamento fuori dall’ordinario deve essere autorizzato per non costituire bancarotta preferenziale .

D: Ho paura di conseguenze penali. Quali sono gli errori da non fare assolutamente durante la crisi?
R: Come evidenziato, gli errori da evitare sono: sottrarre beni dall’azienda (spostarli a sé o terzi gratuitamente o a prezzo irrisorio) – questo sarebbe distrazione punita come bancarotta fraudolenta ; tenere doppia contabilità o distruggere i documenti – configurerebbe bancarotta documentale ; favorire qualcuno nascostamente – es. pagare solo il debito dell’amico, lasciando gli altri, specie se vendi un bene a lui per compensarlo: bancarotta preferenziale . Sul fronte fiscale, non presentare le dichiarazioni e occultare il debito è reato oltre soglia , emettere fatture false per avere crediti d’imposta fittizi è un grave reato. Non pagare affatto l’IVA e le ritenute oltre soglia – omesso versamento penalmente rilevante . Anche continuare ad accumulare debiti quando sai di essere insolvente può aggravare la tua posizione (bancarotta semplice per imprudenza, o persino bancarotta fraudolenta impropria se lo fai con dolo ingannando i creditori). Dunque, da non fare: mentire ai creditori sullo stato, compilare bilanci falsi, cancellare o manipolare i dati contabili, sperimentare escamotage opachi (tipo società estere “cartiere” per spostare fondi). Ogni mossa importante, chiedi prima consiglio legale. Un altro errore è pagare i soci o sé stessi prima dei creditori: ad es., restituire finanziamenti soci in crisi è revocabile e può essere considerato bancarotta preferenziale se la società fallisce. Infine, non aggravare il buco: evitate investimenti azzardati o spese personali con i soldi dell’azienda (quest’ultimo è classico: comprare auto di lusso con cassa azienda in crisi -> bancarotta semplice o fraudolenta se fatto per distrarre ricchezza). In sintesi: gioco pulito e trasparenza. Se segui queste linee, anche se fallirai, al 90% non avrai problemi penali, e comunque potrai difenderti meglio dicendo “ho fatto tutto alla luce del sole”.

D: Dopo la chiusura della procedura (concordato o fallimento), i creditori possono ancora perseguitarmi?
R: Se hai chiuso un concordato preventivo adempiuto, la società/debitore è liberata dai debiti come stabilito nell’omologa (i creditori hanno ricevuto la percentuale concordata e non possono pretendere altro). Quindi quei crediti sono definiti “soddisfatti” o “stralciati” e non puoi più essere perseguito per essi, nemmeno come garante (attenzione: un garante esterno invece no, se non è parte del concordato. Esempio: concordato di società libera la società ma non il fideiussore, a meno che i creditori abbiano rinunciato volontariamente verso il garante). Dopo un fallimento (liquidazione giudiziale) chiuso per riparto finale o insufficienza attivo, la società di capitali viene estinta e i creditori non possono agire oltre (la società non esiste più). Se però sei un imprenditore individuale o socio illimitato, tecnicamente i creditori potrebbero ancora pretendere la parte non soddisfatta, ma qui interviene l’esdebitazione: se l’ottieni, i creditori non possono più perseguire nemmeno te personalmente . Se non chiedi o non ottieni l’esdebitazione, i creditori potrebbero formalmente tornare alla carica sul patrimonio futuro (anche se la maggior parte, dopo un fallimento, se ne fa una ragione e difficilmente tiene aperte posizioni per decenni, a parte Fisco e banche che possono provare su eventuali redditi futuri). Quindi il consiglio è: dopo il fallimento, chiedi l’esdebitazione (è un tuo diritto se hai collaborato) così da blindare la tua pace futura . In caso di procedure da sovraindebitamento (concordato minore etc.), l’omologa del piano vincola i creditori ai termini: se adempierai, i debiti residui saranno cancellati. Anche nella liquidazione controllata c’è l’istituto analogo all’esdebitazione. Dunque, correttamente utilizzati gli strumenti concorsuali, nessun creditore potrà perseguitarti oltre quanto stabilito. L’unica eccezione sono i debiti esclusi ex lege dall’esdebitazione (come alimenti, danni, multe): per quelli, se non li hai pagati, restano a tuo carico anche post procedura . Ma ad esempio il Fisco, se non hai pagato tutto in fallimento ma hai ottenuto esdebitazione, non può più chiederti nulla . La Cassazione ha stabilito chiaramente che l’Erario rientra tra i creditori concorsuali liberati dal decreto di esdebitazione . Quindi sì, con la chiusura e liberazione, finisce l’incubo dei creditori.

Tabelle riepilogative

Tabella 1 – Strumenti per affrontare i debiti d’impresa

StrumentoNaturaChi può usarloEffetti principaliVantaggiSvantaggi/Limiti
Composizione negoziataProcedura assistita extragiudiziale (con esperto)Imprese di qualsiasi dimensione in squilibrio (anche non insolventi conclamate)Trattative riservate con creditori, possibili misure protettive (su istanza) . Nessuna imposizione ai creditori dissenzienti senza accordo.Riservatezza; flessibilità; evita stigma tribunale; misure protettive temporanee possibili .Non vincola i creditori dissenzienti; richiede collaborazione; esperto può chiudere senza accordo.
Piano attestato di risanamentoAccordo stragiudiziale con attestazioneImprese in crisi reversibile con numero limitato di creditori cooperativiPiano di risanamento con attestazione indipendente depositato (facoltativo). Protezione da revocatoria per atti in esecuzione .Rapidità, niente coinvolgimento tribunale; nessun voto o maggioranza richiesta; tutela atti dai futuri fallimenti .Non blocca azioni esecutive (nessuna stay automatica); serve adesione volontaria di tutti i creditori chiave; nessuna omologa (minor certezza per creditori).
Accordo di ristrutturazioneAccordo misto (privato + omologazione tribunale)Imprese in crisi solvibili con consenso di ≥60% creditoriOmologazione rende l’accordo efficace verso tutti (dissenzienti pagati almeno quanto in fallimento). Possibili accordi estesi a intere categorie (banche) se soglie adesione più alte .Evita procedure lunghe; vincola anche minoranza dissenziente ; azioni esecutive sospese su richiesta .Necessita adesione qualificata (60%); coinvolge il tribunale (tempi e costi di omologa); i creditori estranei hanno diritto a integrale in tempi concordati (se non falcidiabili per legge).
Concordato preventivoProcedura concorsuale giudiziale (piano soggetto a voto creditori)Imprese insolventi o in crisi (fallibili); anche imprese minori tramite “concordato minore”Sospensione automatica azioni esecutive ; gestione sotto controllo del commissario; piano votato da creditori in classi e omologato dal giudice. Debiti falcidiabili (con rispetto cause prelazione).Protezione piena dal tribunale; possibile imposizione con maggioranza e cram-down ; consente continuità d’impresa o cessione ordinata; al termine l’azienda è liberata dai debiti residui.Procedura complessa e pubblica; costi elevati (compensi commissario, legali); richiede maggioranze di voto; tempi medio-lunghi; soglia 20% chirografari se liquidatorio; necessita piano fattibile con attivo sufficiente.
Concordato semplificatoProcedura concorsuale speciale senza votoImprese insolventi che hanno tentato senza successo la composizione negoziataLiquidazione dell’intero patrimonio con proposta diretta al tribunale. Niente voto creditori, decide il giudice se omologare . Creditori soddisfatti secondo priorità legali.Rapidità (niente adunanza né voto); evita fallimento, conservando offerte vantaggiose last-minute; consente chiusura concordata in extremis.Accessibile solo post-composizione negoziata; niente continuità (deve liquidare tutto); creditori esclusi dal voto (potenziali opposizioni e minor “legittimazione percepita”); destinato a situazioni residuali.
Procedure sovraindebitamento (concordato minore, ristrutturaz. debiti consumatore)Procedure concorsuali semplificate (tribunale o OCC)Debitori “non fallibili” (piccole imprese sotto soglie, privati, professionisti)Concordato minore: piano con eventuale voto creditori e omologa. Ristrutturazione consumatore: piano per persone fisiche con valutazione meritevolezza (niente voto, decide giudice) – ora confluito nel concordato minore con classi se necessario. Liquidazione controllata: liquidazione giudiziale per non fallibili.Permette anche ai piccoli debitori di avere un esdebitamento ordinato dei debiti ; formalità ridotte rispetto al concordato grande; OCC aiuta nella procedura.Necessaria meritevolezza (no frode/colpa grave) per ammissione ; comunque procedure giudiziali (pubbliche); se i creditori non approvano (nel concordato minore) si va a liquidazione; importi recuperati spesso modesti (sovraindebitamento ha funzione soprattutto di esdebitazione).
Liquidazione giudiziale (fallimento) / Liquidazione controllataProcedura concorsuale liquidatoria giudizialeImprese insolventi fallibili (liquid. giud.) o non fallibili (liq. controllata)Spossessamento del debitore; curatore/liquidatore vendono i beni e distribuiscono secondo legge . Al termine, società estinta; persona fisica può chiedere esdebitazione.Realizza parità trattamento creditori secondo prelazioni; chiude definitivamente l’impresa liberando l’imprenditore onesto dai debiti residui con esdebitazione ; intervento autorità (garanzia legalità).Impatto traumatico: perdita gestione; costo sociale (licenziamenti); tempi lunghi; recupero per i chirografari spesso minimo; stigma reputazionale; possibili azioni di responsabilità e penali connesse.

Tabella 2 – Debiti dell’impresa: caratteristiche e rimedi

Tipo di debitoCaratteristiche e rischiRimedi e difese principali
Debiti fiscali (Erario: IVA, imposte, ritenute)– Creditore privilegiato (parte di imposta e interessi) in concorso; potere di iscrivere ipoteca e fermi su beni. <br>– Riscossione mediante cartelle esattoriali, pignoramenti; soglia €30.000 rilevante per istanza fallimento (es. debiti verso Agenzia Entrate) . <br>– Omessi versamenti oltre soglie configurano reati: IVA > €250k/anno , ritenute > €150k .Rateizzazione sino a 84-120 rate (7–10 anni) per diluire il debito . <br>– Definizioni agevolate (rottamazione cartelle) per stralciare sanzioni . <br>– Transazione fiscale in concordato/accordo: possibile falcidia di imposte (anche IVA) con omologa . <br>– Pagamenti mirati per ridurre sotto soglie penali (es. versare parziale per scendere IVA evasa < 250k). <br>– Ravvedimento operoso se possibile (riduce sanzioni e evita denunce prima dell’iscrizione a ruolo).
Debiti verso enti previdenziali (INPS, INAIL)– Privilegiati al pari dei tributi; incidenza su DURC (irregolarità blocca appalti e pagamenti pubblici). <br>– Riscossione tramite avvisi e cartelle; possibilità di pignoramenti e insinuazione al fallimento. <br>– Omesso versamento contributi trattenuti > €10k/anno è reato ; <br>– Sanzioni civili elevate (interessi e more ~ dal 7% annuo in su).Rateazione INPS (anche fino a 24 rate o più con proroga straordinaria) per evitare illeciti penali . <br>– Regolarizzazione DURC attraverso piani di rientro per continuare attività (specie se su appalti). <br>– In concordato, possibile transazione previdenziale: dilazione o parziale stralcio contributi con assenso INPS (simile transazione fiscale). <br>– Pagamento prioritario delle ritenute dipendenti per evitare soglia penale; <br>– Se reato già integrato, versare tutto prima del processo per estinguere .
Debiti bancari/finanziari (mutui, fidi, leasing)– Spesso garantiti (ipoteca su immobili, pegno su beni o crediti, leasing su macchinari). Creditori ipotecari o pignoratizi privilegiati sui beni dati in garanzia. <br>– Inadempimento: banche revocano affidamenti, chiedono rientro immediato (decadenza dal termine); avvio esecuzioni su beni (es. espropriazione immobiliare). <br>– Segnalazioni Centrale Rischi per insolvenze >90 giorni, peggiorano rating e fiducia fornitori. <br>– Se presenti fideiussioni personali, rischio escussione patrimonio personale degli amministratori/soci.Ristrutturazione del debito: negoziare con banca allungamento durata mutui, consolidamento esposizioni, riduzione tassi; spesso tramite piano attestato o accordo di ristrutturazione con attestazione . <br>– Moratorie: aderire a eventuali moratorie di categoria (come quelle attivate in emergenze generali). <br>– Nuova finanza: coinvolgere confidi o Fondo garanzia PMI per liquidità che rimpiazza debiti a breve con debiti a medio termine garantiti dallo Stato. <br>– In composizione negoziata: chiedere all’esperto di facilitare accordi (banche spesso collaborative se vedono piano credibile). Misure protettive possibili per sospendere revoca fidi . <br>– In concordato: offrire alle banche il trattamento conforme a garanzie (pegno/ipoteca: soddisfazione entro limite valore bene; chirografo: percentuale come altri). Possibile cram-down se maggioranza banche approva e una dissente (es. accordo esteso) . <br>– Tutela patrimonio personale: se soci garanti, negoziare liberazione da garanzie in cambio di pagamento parziale (non facile, ma se la banca vede concordato in arrivo può trattare).
Debiti verso fornitori (trade credit)– Crediti chirografari (non garantiti di solito), perciò in fallimento sono ultimi a essere pagati (spesso recuperano pochi centesimi). <br>– Fornitori possono però reagire prontamente: richieste di pagamento, sospensione forniture, azioni legali (decreto ingiuntivo, pignoramento beni aziendali o conto corrente). <br>– Possono chiedere fallimento se credito > €30k e insolvenza protratta. <br>– Rapporti commerciali deteriorati: rischio di perdere forniture essenziali (es. materia prima) e aggravare la crisi.Negoziazione individuale: concordare con ciascun fornitore piani di pagamento dilazionati o transazioni (es. pagare 70% a saldo) per evitare cause. Formalizzare accordi di dilazione per iscritto così il creditore non risulta più “scaduto” (anche se se non paga possono sempre procedere, almeno concede tempo). <br>– Assicurazione del credito: alcuni fornitori hanno polizze; coinvolgere l’assicurazione credito per piani (può convenire ad entrambi evitare default). <br>– Concordato preventivo: mette in stand-by i fornitori (blocco azioni esecutive) e consente di imporre un taglio erga omnes ai chirografari con voto a maggioranza. Offrire una percentuale > zero li motiva ad accettare – spesso preferiscono 20–30% subito in concordato che forse 5% dopo anni di fallimento. <br>– Concordato in continuità: se l’azienda prosegue, fornitori potrebbero mantenere cliente (anche se con perdita parziale sul pregresso). Ciò li può spingere a votare sì al concordato per non perdere futuro business. <br>– Azioni difensive legali: se un fornitore pignora, valutare opposizione se vizio forma o chiedere al giudice termine di grazia; depositare domanda concordato prima che completino esecuzione per bloccarla.
Debiti verso dipendenti (stipendi, TFR)– Crediti dei lavoratori privilegiati in alto grado: <br> • Retribuzioni ultimi 12 mesi e TFR: privilegio generale mobiliare (con grado superprivilegio per ultime 3 mensilità) che viene prima di molti altri crediti . <br> • TFR e ultime 3 mensilità maturate prima di fallimento coperte dal Fondo di Garanzia INPS. <br>– Mancato pagamento stipendi può condurre a: cause di lavoro (ingiunzioni rapide), dimissioni per giusta causa, intervento sindacale e ispezioni. <br>– Non è reato in sé (finché si versano contributi e ritenute quantomeno), ma comporta grave rischio reputazionale e operativo (calo produttività, abbandono maestranze).Ammortizzatori sociali: attivare cassa integrazione, contratti solidarietà o altri schemi per ridurre temporaneamente costo del lavoro legalmente e integrare reddito dei dipendenti. <br>– Pagamenti parziali e accordi: se non c’è liquidità totale, pagare almeno una parte di stipendio mensile per alleviare i lavoratori (evitando così anche ipotesi di sfruttamento punibili). Concordare con il sindacato eventuali slittamenti di voci accessorie (es. straordinari, premi) a tempi migliori. <br>– Coinvolgimento: spiegare la situazione ai lavoratori, magari offrire piccole partecipazioni o bonus futuri in cambio della pazienza (in PMI spesso l’onestà con i dipendenti evita fughe). <br>– Fondo di Garanzia INPS: in caso di procedura concorsuale inevitabile, attivarsi subito affinché il curatore certifichi i crediti dei dipendenti così possano ricevere TFR e arretrati dall’INPS. Nel concordato, predisporre il pagamento integrale dei lavoratori come da legge (anche utilizzando anticipo dal Fondo Inps se necessario). <br>– Priorità strategica: in crisi pagare i dipendenti prima di qualsiasi altro chirografo – mantiene operatività e evita cause. Inoltre, in ipotesi di concordato, il pagamento integrale del loro credito è obbligato o da assicurare (si può eventualmente chiedere se accettano un pagamento dilazionato ma non una falcidia salvo consensuale).

Tabella 3 – Principali reati correlati a crisi d’impresa

ReatoDescrizioneSanzioneSoglie rilevantiNote difensive
Bancarotta fraudolenta (art. 322 CCII) – patrimoniale, documentale, preferenzialeAtti dolosi in danno creditori commessi da imprenditore poi fallito: distrazione/occultamento beni; false passività; distruzione/falsificazione scritture; pagamenti preferenziali a qualche creditore .Reclusione 3–10 anni (patrim./doc.)<br>Reclusione 1–5 anni (preferenziale) .– Nessuna soglia monetaria: anche distrarre 1 bene o libri può costituire reato (la gravità influisce su pena). <br>– Atti commessi in periodo di insolvenza o nei pressi del fallimento.Dolo generico: basta consapevolezza danno creditori, irrilevante fine perseguito (anche “salvare azienda” non scusa) . <br>– Evitare condotte opache; documentare operazioni. <br>– Difesa: dimostrare che mancanze sono dovute a negligenza (declassare a bancarotta semplice) o che beni non c’erano (negare distrazione). Cooperare con curatore per mostrare buona fede (può incidere su giudizio).
Bancarotta semplice (art. 323 CCII)Condotte meno gravi: spese personali eccessive dell’imprenditore, negligenza grave (es. non tenuta libri per colpa), ritardo nell’istanza di fallimento causando aggravio debiti.Reclusione da 6 mesi a 2 anni (pene ridotte rispetto fraudolenta).– Nessuna soglia; valutazione qualitativa (es. “spese sproporzionate” rispetto situazione).– Spesso contestata in via subordinata se non regge l’accusa di fraudolenta. <br>– Prevenzione: mantenere condotta diligente; se crisi conclamata, evitare di contrarre nuovi debiti inutili.
Bancarotta impropria (artt. 329-330 CCII) – societaria fraudolenta, da reato societario, per operazioni doloseReati fallimentari commessi da amministratori, sindaci, liquidatori di società fallita. <br>- Societaria fraudolenta: amministratori hanno compiuto atti previsti per bancarotta fraudolenta . <br>- Da reato societario: falsificazione bilanci o altra violazione societaria che cagiona fallimento . <br>- Operazioni dolose: atti gestori consapevolmente diretti a provocare il fallimento (es. assumere debiti imprudenti, dissipare patrimoni).Fraudolenta: stesse pene di bancarotta fraudolenta dell’imprenditore (3–10 anni) . <br>– Semplice impropria: stesse pene bancarotta semplice (fino 2 anni) .– Nessuna soglia specifica; valutazione se atto/reato ha contributo a dissesto. <br>– Operazioni dolose: es. omesso versamento tasse sistematico considerato tale .– Amministratori di srl/spa non sono esenti: se fanno sparire beni della società, rispondono di bancarotta come il fallito . <br>– Non confondere con azioni di responsabilità (civili) – qui è penale. <br>– Difesa: se accusato di false comunicazioni (bilancio falso) che ha aggravato fallimento, dimostrare che errore bilancio non incise su decisioni e su insolvenza; <br>– Oggi bancarotta impropria copre condotte di amministratori pubblici se società partecipate: es. Cass. 7723/2024 – sindaco non punibile se non partecipava gestione .
Omesso versamento IVA (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000)Mancato versamento dell’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro termine legge (di solito 16/9 anno successivo, proroghe incluse).Reclusione 6 mesi – 2 anni .€250.000 per anno di imposta . Soglia rivista dal 2015 (prima era 50k). <br>Reato si perfeziona al termine di pagamento (ma normative 2023-25 hanno esteso termine a fine 2026 per annualità recenti) .– È reato omissivo istantaneo: scatta a scadenza se superata soglia e non versato. <br>– Possibile causa non punibilità se entro la citazione in giudizio versi tutto il dovuto (giurisprudenza oscillante; la norma lo prevede chiaramente per omesse ritenute, per IVA la sospensione condizionale della pena può subordinarsi a pagamento). <br>– Difesa: dimostrare impossibilità assoluta di adempiere per forza maggiore (onere difficile); invocare circostanze attenuanti se crisi imprevedibile ha causato omissione. <br>– Norme transitorie 2023: il fatto non è reato se saldi IVA 2023 entro 31/12/2026 (dilazione penal-clemenza).
Omesso versamento ritenute (art. 10-bis D.Lgs. 74/2000)Mancato versamento delle ritenute fiscali operate su redditi (tipicamente ritenute IRPEF dipendenti) entro termine previsto (di regola 30 giugno anno successivo tramite Modello 770).Reclusione 6 mesi – 2 anni .€150.000 di ritenute non versate per periodo d’imposta . <br>(Sotto 150k: sanzione amm.va 20-30% omesso) . <br>Reato si perfeziona al 30/6 anno succ., computa solo ritenute risultanti da certificazioni consegnate ai percipienti.– Non punibile se il datore versa l’importo dovuto prima dell’apertura del dibattimento (estinzione reato) . <br>– Difesa: provare che le ritenute certificate in realtà non erano dovute o errore di calcolo per scendere sotto soglia; evidenziare crisi di liquidità repentina (talora riconosciuta come esimente se l’imprenditore prova di aver privilegiato pagare stipendi netti e non aveva mezzi per pagare ritenute). <br>– Attenuante significativa se pagamento integrale anche tardivo (può portare a particolare tenuità del danno).
Omesso versamento contributi (art. 2 c.1-bis D.L. 463/83)Mancato versamento delle ritenute previdenziali dovute (quota dipendente) entro termini (di solito mensili) per un importo annuo sopra soglia.Reclusione fino a 3 anni + multa fino €1.032 . (reato contravvenzionale)€10.000 di contributi omessi all’anno . <br>Sotto 10k: sanzione amm.va 1.5–4 volte importo omesso . <br>Consumazione: scadenze mensili non rispettate, soglia su base annua.– Reato estinto se si paga tutto entro 3 mesi da contestazione o diffida INPS (prima sentenza) . <br>– Difesa: anche qui, crisi di liquidità può essere invocata, ma giurisprudenza tende a punire (essendo tutela lavoratori). <br>– Attenuanti possibili se concordato con INPS un piano poi rispettato. <br>– Non rileva se contributi non dichiarati: basta prova omissione (anche tramite DM10).
Dichiarazione fraudolenta (artt. 2-3 D.Lgs. 74/2000)Frodi fiscali attive: <br>- Art. 2: utilizzo di fatture false o altri documenti fittizi per abbattere imponibile o far emergere crediti fittizi nelle dichiarazioni. <br>- Art. 3: altri artifici (bilanci falsi, operazioni simulate, documenti alterati) per frodare il fisco incidendo su dichiarazione.– Art. 2: Reclusione 4–8 anni (soglie: imponibile fittizio > €100k o imposta evasa > €30k). <br>– Art. 3: Reclusione 3–8 anni (soglie: imposta evasa > €100k e 10% del totale dovuto, o > €2 mln).– Art. 2: soglia €100.000 imponibile fittizio annuo utilizzato, o imposta evasa > €50k (ora 30k dal 2015). <br>– Art. 3: €100.000 imposta evasa e >10% imposta dichiarata, oppure > €2.000.000 imposta evasa.– Queste fattispecie, se presenti, aggravano la posizione anche in ambito concorsuale (es. bilanci falsi usati come base di credito -> bancarotta impropria). <br>– Difesa: molto difficile, bisogna contestare l’intenzionalità e la materialità (es. dimostrare che le fatture contestate erano reali); altrimenti puntare su attenuanti (risarcimento, patteggiamento). In una crisi, la scelta migliore è non percorrere mai la via delle fatture false per alleggerire i debiti – le conseguenze penali sono molto gravi e possono includere interdittive.
Omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000)Mancata presentazione della dichiarazione annuale (IVA, imposte dirette) quando dovuta, con imposta evasa rilevante.Reclusione 1 anno e 6 mesi – 4 anni.€50.000 imposta evasa per singola imposta (IVA, IRES, IRAP) . <br>(Soglia valida per anni fino al 2015; poi per IVA è divenuta irrilevante per reato omesso versamento invece).– Spesso accompagna situazioni disperate dove l’azienda non presenta più nulla. <br>– Difesa: se l’azienda non operava più e non c’erano dati, forse non c’era obbligo; altrimenti cercare di presentare tardivamente prima accertamento (ravvedimento entro 90gg evita reato). <br>– In caso di fallimento, l’omessa dichiarazione danneggia anche il curatore (mancano dati contabili: possibili riflessi come bancarotta documentale se volontaria). <br>– Meglio sempre presentare dichiarazioni, anche senza versare (così omessa dich. non si configura, restano semmai omessi versamenti).

(Nota: Le soglie e pene penali sono aggiornate a settembre 2025; tenere presente eventuali modifiche legislative successive. Le strategie difensive indicate sono semplificate: ogni caso penale va affrontato con avvocato specializzato.)

Conclusioni

Affrontare una crisi d’impresa con debiti – come nel caso di un’azienda tessile indebitata – è un percorso complesso ma non privo di strumenti di tutela per l’imprenditore onesto. La legislazione italiana, specialmente dopo l’entrata in vigore del Codice della Crisi e dell’Insolvenza, offre una gamma articolata di soluzioni che, se correttamente utilizzate, possono evitare la distruzione di valore e consentire al debitore di ripartire.

È fondamentale agire tempestivamente: dotarsi di assetti adeguati per intercettare i segnali di crisi, coinvolgere consulenti esperti, valutare con lucidità la propria situazione finanziaria. Un imprenditore informato sa che esistono vie negoziali come la composizione assistita e piani attestati, e vie concorsuali come i concordati, che permettono di gestire i debiti in modo ordinato e spesso conservare l’attività (o parte di essa). Al contempo, è cruciale evitare comportamenti che possano compromettere irrimediabilmente la posizione – sia in termini civilistici (revocatorie, azioni di responsabilità) sia in termini penali (bancarotta e reati tributari). La trasparenza, correttezza e buona fede non sono solo doveri morali, ma si traducono in vantaggi concreti: i tribunali sono più propensi ad approvare piani proposti da debitori affidabili e a concedere l’esdebitazione a chi ha cooperato lealmente , mentre sanzionano duramente chi tenta scorciatoie illecite .

Dal punto di vista del debitore, difendersi significa anche conoscere i propri diritti: il diritto a una seconda chance (fresh start) tramite l’esdebitazione , il diritto di vedere omologato un concordato se soddisfa la legge nonostante l’opposizione di minoranze, il diritto di non essere discriminato perché in difficoltà (si pensi al DURC: esistono sospensioni e dilazioni in periodi emergenziali riconosciute dalla legge). Un imprenditore informato può attivamente negoziare coi creditori forti di queste conoscenze – ad esempio, far comprendere a una banca che un concordato conviene più di un fallimento per tutti gli attori, citando magari i dati storici di soddisfacimento o le nuove possibilità di transazione fiscale che alleggeriscono il peso del Fisco nella distribuzione .

Va sottolineato come l’approccio normativo sia divenuto più “perdonista” verso l’insolvente onesto: sono stati eliminati criteri di meritevolezza troppo rigidi , introdotte procedure come il concordato semplificato per evitare la dispersione di valore e ammessa l’esdebitazione persino per il debitore incapiente che non può offrire nulla . Ciò non significa che vi siano scappatoie facili – l’onestà e la trasparenza restano condizioni imprescindibili per beneficiare di queste aperture. In parallelo, chi al contrario abusa del sistema (occultando attivi, accumulando dolosamente debiti con il fisco, etc.) trova oggi una giurisprudenza severa, che estende l’area del dolo (ad es. includendo l’omesso pagamento di imposte come condotta fraudolenta) e conferma la cumulabilità delle sanzioni (reato tributario e fallimentare insieme) .

In conclusione, un’impresa di fabbricazione tessile indebitata ha di fronte a sé un ventaglio di opzioni: dal risanamento aziendale (se vi è ancora core business sostenibile) tramite accordi e piani, alla liquidazione controllata con eventualmente la salvaguardia di parti sane (affitto d’azienda, cessione rami) e il fresh start dell’imprenditore. Ogni scelta comporta implicazioni giuridiche, fiscali e anche etiche. È un cammino da intraprendere con il supporto di professionisti qualificati (avvocati d’affari, commercialisti esperti in crisi, consulenti del lavoro per la gestione del personale, ecc.) e con la consapevolezza che la legalità e la trasparenza, lungi dall’essere d’intralcio, rappresentano la migliore strategia di difesa. Come recita un brocardo, “In bonis exitus ex malis fidei, spes est legis”: nelle vicende negative, la buona fede è la speranza che la legge offre. Questa guida ha cercato di delineare, in modo approfondito ma accessibile, le strade percorribili al debitore onesto e informato per affrontare i debiti e difendersi responsabilmente, confermando che anche dalle crisi più gravi può germogliare una ripartenza se guidati dalla conoscenza delle norme e dei propri diritti.

Fonti e Riferimenti Normativi e Giurisprudenziali

  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza – D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, aggiornato con D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024 (in vigore da luglio 2022) .
  • Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Vecchia Legge Fallimentare) – art. 15 (soglia €30.000 debiti per fallimento) , art. 216 ss. (reati di bancarotta) – applicabile ai fallimenti dichiarati prima del 2022 e ancora rilevante per disposizioni penali transitorie.
  • Codice Civile – art. 2086, comma 2 (obbligo assetti adeguati per anticipata emersione crisi); art. 2446-2447 (riduzione capitale per perdite); art. 2477 (nomina organi di controllo s.r.l. se requisiti); art. 2486 (gestione società sciolta e responsabilità per aggravamento dissesto).
  • D.L. 118/2021, conv. in L. 147/2021 – Introduzione composizione negoziata e concordato semplificato (art. 25-sexies CCII) .
  • Legge 3/2012 (vecchia legge sovraindebitamento) – criteri di meritevolezza e procedure di composizione minori, abrogata e assorbita nel CCII dal 2022 .
  • Cassazione Civile, Sez. I, 18 febbraio 2025, n. 4201 – conferma soglia di €30.000 per fallibilità e irrilevanza di successiva rateizzazione per evitarla .
  • Cassazione Civile, Sez. I, 30 gennaio 2025, n. 2223 – la soglia di fallibilità va accertata al momento della dichiarazione di fallimento; irrilevanti pagamenti/definizioni avvenute successivamente se non erano acquisite negli atti .
  • Cassazione Civile, Sez. I, 27 luglio 2023, n. 22890 – nuovo criterio di meritevolezza nel sovraindebitamento: eliminati parametri di sproporzione e credito imprudente, introdotto filtro negativo di dolo o colpa grave .
  • Cassazione Civile, Sez. VI – 30 ottobre 2014, n. 23129 – l’esdebitazione ex art. 142 L.F. libera il fallito dai debiti tributari residui; i crediti fiscali non sono esclusi dall’istituto .
  • Cassazione Civile, Sez. Unite, 15 novembre 2016, n. 24214 – conferma che i debiti fiscali sono suscettibili di esdebitazione in difetto di esclusione espressa (richiamata da dottrina) .
  • Cassazione Penale, Sez. V, 31 maggio 2024, n. 21860Caso “bancarotta e salvataggio improprio”: bancarotta fraudolenta patrimoniale configurabile anche se l’amministratore distrae beni con intento di salvare l’impresa; irrilevanza del movente “salvifico”, bastando il dolo generico .
  • Cassazione Penale, Sez. V, 2 ottobre 2024, n. 36585 – L’omesso pagamento sistematico di imposte può costituire “operazione dolosa” ex art. 223 co.2 n.2 L.F. (bancarotta impropria), in quanto aggravamento volontario dell’esposizione debitoria erariale che rende prevedibile il dissesto .
  • Cassazione Penale, Sez. V, 8 febbraio 2024, n. 4582 – Sanzionata separatamente bancarotta fraudolenta impropria per omesso versamento imposte e reato tributario di omesso versamento IVA, niente violazione ne bis in idem (tutela beni giuridici diversi) .
  • Cassazione Penale, Sez. Unite, 27 maggio 2021, n. 19601 – In tema di bancarotta preferenziale, sufficiente consapevolezza stato insolvenza e volontà di favorire un creditore: dolo generico (massimata in precedenti, coerente con indirizzo citato) .
  • Tribunale di Napoli, Sez. Fall., 8 giugno 2022 – (es.) Diniego di esdebitazione ex art. 282 CCII a debitore incapiente che aveva occultato parte dell’attivo e non collaborato .
  • Corte d’Appello di Firenze, ord. 22 marzo 2025 n. 678 – Criterio dell’esdebitazione incapiente: valutare possibili miglioramenti futuri della situazione del debitore, negare beneficio se intravedibili concrete capacità di rimborso .
  • Agenzia Entrate-Riscossione, Comunicato 28/12/2024 – Nuove regole rateazione dal 2025: piani fino 10 anni, soglie 120k senza documentazione per 84 rate .
  • Agenzia delle Entrate, Circolare 34/E del 29.12.2020 – Istruzioni su transazione fiscale post DL 159/2020: ammissibile trattamento IVA nei concordati se migliora soddisfo creditori .
  • Direttiva UE 2019/1023 (Insolvency Directive) – Ispiratrice riforma 2022: ha introdotto concetti di stay negotiation, classi omogenee, cram-down interclassi che il CCII recepisce con piano di ristrutturazione soggetto a omologazione e accordi estesi .

Gestisci un’impresa tessile, una fabbrica di filati o un laboratorio di produzione di tessuti, e ti ritrovi con debiti verso banche, fornitori, dipendenti o Agenzia delle Entrate? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Gestisci un’impresa tessile, una fabbrica di filati o un laboratorio di produzione di tessuti, e ti ritrovi con debiti verso banche, fornitori, dipendenti o Agenzia delle Entrate?
Hai mutui o leasing per telai e macchinari, cartelle esattoriali, contributi INPS arretrati o bollette energetiche non pagate, e temi pignoramenti, revoche di fidi o la chiusura dell’attività?
👉 Non sei solo. Anche le imprese storiche del tessile oggi possono difendersi legalmente, bloccare i creditori, ridurre o cancellare i debiti, e ripartire in modo regolare e protetto, senza fallire.

In questa guida scoprirai perché il settore tessile è in crisi, quali strumenti legali puoi usare per salvare la tua azienda, e come chiudere o ristrutturare l’attività senza perdere tutto.


🧵 Perché le imprese tessili e di filati si indebitano

Il comparto tessile è uno dei più complessi e sensibili ai cambiamenti economici globali. Le cause principali della crisi sono:

  • Aumento dei costi energetici e delle materie prime (cotone, lana, poliestere, coloranti);
  • Riduzione della domanda e concorrenza estera a basso costo;
  • Mutui o leasing onerosi per telai, macchinari e impianti industriali;
  • Ritardi nei pagamenti di clienti o aziende committenti;
  • Pressione fiscale e contributiva elevata;
  • Errori contabili o gestionali che generano cartelle e sanzioni fiscali.

📌 Tutto ciò può portare rapidamente a debiti fiscali, bancari e commerciali, rischiando di compromettere la continuità produttiva e i posti di lavoro.


🧾 Tipologie di debiti più comuni nelle imprese tessili

Debiti fiscali e contributivi

  • IVA, IRPEF, INPS, INAIL, TARI, cartelle esattoriali, accertamenti fiscali.

Debiti bancari e finanziari

  • Leasing e mutui per impianti di tessitura, filatura, maglieria e tintoria.
  • Fidi bancari e scoperti di conto.

Debiti commerciali

  • Fatture non pagate a fornitori di fibre, coloranti, tessuti grezzi, imballaggi o trasportatori.

Debiti verso dipendenti e collaboratori

  • Stipendi arretrati, TFR, contributi non versati.

Debiti personali o fideiussioni

  • Garanzie personali dei soci o amministratori per prestiti e finanziamenti aziendali.

⚠️ Cosa rischia un’impresa tessile indebitata

Se non intervieni subito, la tua azienda può subire:

  • pignoramenti di conti correnti, telai e impianti di produzione;
  • revoca di leasing, mutui o fidi bancari;
  • blocchi nei rapporti con fornitori e clienti;
  • iscrizioni di ipoteche e azioni giudiziarie;
  • fermo della produzione e perdita di contratti strategici.

👉 Tuttavia, con un’azione legale tempestiva, puoi bloccare le azioni dei creditori, ristrutturare i debiti e salvare l’attività, oppure chiudere in modo ordinato e senza fallire.


🧩 Le soluzioni legali per le imprese tessili con debiti

💠 1. Rinegoziazione dei debiti con banche e fornitori

Un avvocato esperto può aiutarti a trattare nuove condizioni di pagamento, ottenendo:

  • riduzione delle somme dovute (saldo e stralcio);
  • rateizzazioni sostenibili in base ai flussi di cassa;
  • sospensione temporanea dei pagamenti per evitare azioni esecutive.

👉 È la soluzione giusta per chi ha ancora commesse attive e vuole mantenere la produzione e il personale.


💠 2. Concordato minore (per SRL o società manifatturiere)

Previsto dal Codice della Crisi d’Impresa (D.Lgs. 14/2019), è la procedura più efficace per società strutturate.
Consente di:

  • bloccare pignoramenti, cartelle e decreti ingiuntivi;
  • ridurre legalmente i debiti fiscali e bancari;
  • preservare la continuità aziendale e i contratti di fornitura.

📌 È la scelta ideale per aziende con personale e macchinari da salvaguardare.


💠 3. Procedura di sovraindebitamento (per ditte individuali e microimprese)

È la procedura dedicata alle piccole realtà artigianali e ai laboratori familiari.
Permette di:

  • bloccare le azioni dei creditori;
  • presentare un piano di pagamento parziale e realistico;
  • ottenere la cancellazione definitiva dei debiti residui (esdebitazione).

📌 Perfetta per laboratori o microimprese del tessile con pochi dipendenti.


💠 4. Liquidazione controllata dei beni (ex fallimento personale)

Se la tua attività non è più sostenibile, puoi chiudere legalmente e senza rischi, mettendo a disposizione solo i beni non indispensabili (macchinari vecchi, magazzino, furgoni).
Al termine, il Tribunale cancella tutti i debiti residui, permettendoti di ripartire senza pendenze fiscali o bancarie.


💠 5. Verifica e contestazione di cartelle e accertamenti fiscali

Molte aziende tessili ricevono cartelle errate o prescritte.
Un avvocato può:

  • verificare la prescrizione (5 o 10 anni);
  • eccepire vizi di notifica o errori di calcolo;
  • chiedere la sospensione o l’annullamento del debito.

🧶 Cosa fare subito

✅ 1. Analizza la tua situazione economica e i debiti

Raccogli bilanci, cartelle, contratti di leasing, fatture, mutui e rapporti con clienti e fornitori.

✅ 2. Blocca immediatamente i creditori

Con il deposito in Tribunale di una procedura di concordato o sovraindebitamento, pignoramenti e riscossioni vengono sospesi per legge.

✅ 3. Evita nuovi debiti o rateizzazioni non sostenibili

Serve una strategia legale completa, elaborata da un avvocato esperto in diritto commerciale e crisi d’impresa.


📋 Documenti utili per la difesa

  • Documento d’identità e codice fiscale del titolare o amministratore.
  • Visura camerale e bilanci aziendali.
  • Dichiarazioni fiscali e posizione INPS/INAIL.
  • Contratti di leasing, mutui e finanziamenti.
  • Cartelle esattoriali e accertamenti fiscali.
  • Elenco fornitori, clienti e dipendenti.
  • Estratti conto bancari e situazione patrimoniale.

⏱️ Tempi e risultati possibili

  • Analisi e pianificazione legale: 1–3 settimane.
  • Deposito della procedura: 1–2 mesi.
  • Blocco dei creditori: immediato con il deposito.
  • Durata del piano di rientro: da 1 a 5 anni.

🎯 Risultati concreti:

  • Stop a pignoramenti, sequestri e cartelle.
  • Riduzione o cancellazione legale dei debiti.
  • Tutela dei macchinari e della produzione.
  • Ripartenza economica e reputazionale dell’impresa.

⚖️ I vantaggi principali

✅ Blocco immediato delle azioni dei creditori.
✅ Riduzione dei debiti fino all’80%.
✅ Protezione dei macchinari e della produzione.
✅ Continuità aziendale o chiusura ordinata senza fallimento.
✅ Ripartenza economica e professionale pulita.


🚫 Errori da evitare

  • Ignorare cartelle e notifiche fiscali.
  • Accumulare nuovi debiti per coprire i vecchi.
  • Pagare solo alcuni creditori peggiorando la situazione.
  • Vendere beni senza tutela legale.
  • Rimandare troppo l’intervento: agire presto è essenziale.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

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📌 Ti guida nella scelta tra rinegoziazione, sovraindebitamento, concordato o liquidazione controllata.
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⚖️ Ti rappresenta nei rapporti con Agenzia delle Entrate, banche, leasing e fornitori.
🔁 Ti accompagna fino alla cancellazione totale dei debiti o alla ristrutturazione completa dell’attività tessile.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in diritto commerciale, tributario e crisi d’impresa.
✔️ Specializzato nella difesa di imprese tessili e manifatturiere con debiti fiscali e bancari.
✔️ Gestore della crisi da sovraindebitamento iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Essere un’impresa di fabbricazione di tessuti o filati con debiti non significa essere destinati alla chiusura.
Con una difesa legale mirata e tempestiva, puoi bloccare i creditori, ridurre drasticamente i debiti e continuare a produrre in modo regolare e sicuro, oppure chiudere l’attività in modo protetto e senza fallimento.
La legge oggi tutela chi agisce con trasparenza e vuole davvero ripartire.

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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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