Piccole Compagnie Di Autobus Turistici Con Debiti: Cosa Fare E Come Difendersi

Gestisci una compagnia di autobus turistici o un’impresa di trasporto passeggeri e ti trovi in difficoltà economica a causa di debiti con il Fisco, l’INPS, le banche o i fornitori? È una situazione purtroppo comune nel settore dei trasporti turistici, messo in crisi da anni di instabilità economica, aumento dei costi e riduzione dei flussi di viaggi organizzati. Quando le scadenze fiscali, i contributi e le rate dei finanziamenti non vengono rispettate, il rischio di blocco operativo o di pignoramenti è reale. La buona notizia è che la legge prevede strumenti legali per difendersi, rateizzare o cancellare i debiti, tutelando la tua azienda e il tuo patrimonio personale.

Perché molte compagnie di autobus turistici si indebitano

Le piccole imprese di trasporto turistico devono sostenere spese molto alte per carburante, manutenzione, assicurazioni e personale. I margini di guadagno, invece, sono sempre più ridotti a causa della concorrenza, della burocrazia e dei ritardi nei pagamenti di agenzie e tour operator. A ciò si aggiungono l’aumento dei costi dei mezzi, dei ricambi e dei pedaggi, oltre alle tasse e ai contributi da versare anche nei periodi di bassa stagione. In molti casi, per mantenere la flotta operativa, i titolari rinviano i versamenti fiscali o contraggono nuovi prestiti, accumulando debiti che diventano difficili da gestire.

Cosa succede se non paghi tasse o contributi

Quando le imposte o i contributi non vengono versati, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione e gli enti previdenziali possono avviare procedure di recupero. Le più comuni sono la notifica di cartelle esattoriali, i pignoramenti dei conti correnti o dei crediti verso clienti, i fermi amministrativi sui veicoli, le ipoteche sugli immobili e il sequestro dei mezzi aziendali. Gli importi crescono rapidamente per effetto di sanzioni e interessi, mettendo in seria difficoltà la continuità dell’attività. Se la società è una ditta individuale o una società di persone, il titolare o i soci rispondono personalmente dei debiti, con il rischio di compromettere anche i beni familiari.

Cosa fare subito se la tua compagnia ha debiti

Il primo passo è avere una visione chiara e completa della situazione. Richiedi all’Agenzia delle Entrate-Riscossione l’estratto di ruolo aggiornato per conoscere gli importi dovuti, le annualità e i creditori. Poi verifica la validità delle cartelle: molti atti contengono errori di notifica o importi prescritti che un avvocato può contestare. Se i debiti sono corretti, puoi chiedere la rateizzazione fino a 120 rate mensili, sospendendo nel frattempo eventuali azioni esecutive. È utile anche verificare se è disponibile una definizione agevolata (rottamazione), che consente di pagare solo il capitale, eliminando sanzioni e interessi. In caso di pignoramenti o ipoteche già avviate, puoi ottenere la sospensione immediata presentando un ricorso o un’istanza di autotutela.

Le soluzioni legali per chi non riesce più a pagare

Se il debito è troppo alto o la compagnia non riesce più a sostenere i costi, puoi ricorrere alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, prevista dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019). È uno strumento legale che consente di bloccare pignoramenti, sospendere le azioni dei creditori e ottenere la cancellazione parziale o totale dei debiti residui (esdebitazione). È una soluzione riconosciuta dai tribunali italiani, ideale per piccole imprese e titolari di attività di trasporto che vogliono risanarsi o chiudere in modo ordinato, senza lasciare pendenze fiscali o bancarie.

Come difendersi da banche, finanziarie e fornitori

Molte compagnie di autobus turistici si trovano esposte con banche, finanziarie o fornitori per leasing, mutui e manutenzione dei mezzi. In questi casi puoi chiedere la rinegoziazione dei finanziamenti, la sospensione temporanea delle rate o proporre un saldo e stralcio per chiudere le posizioni a un importo ridotto. È anche possibile verificare la presenza di clausole abusive o tassi usurari nei contratti e impugnare decreti ingiuntivi o pignoramenti entro i termini previsti dalla legge. Un avvocato esperto può assisterti nelle trattative con banche e creditori, proteggendo la flotta e salvaguardando la continuità del servizio.

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace

Con una strategia legale ben pianificata puoi sospendere i pignoramenti e le azioni esecutive, ottenere la rateizzazione o la cancellazione dei debiti fiscali e contributivi, salvaguardare i veicoli aziendali e i beni personali, e continuare a lavorare senza la pressione costante dei creditori. In molti casi, una difesa tempestiva consente di ristrutturare l’attività e garantire la sopravvivenza dell’impresa di trasporto.

Quando rivolgersi a un avvocato esperto

Devi rivolgerti a un avvocato se hai ricevuto cartelle o intimazioni di pagamento, se i debiti fiscali o bancari sono diventati insostenibili o se rischi il sequestro dei mezzi o il blocco dei conti aziendali. Un avvocato esperto in diritto tributario e crisi d’impresa può bloccare la riscossione, contestare gli atti illegittimi e guidarti nella procedura di esdebitazione fino alla cancellazione definitiva dei debiti. Agire in tempo è essenziale per salvare la tua azienda e difendere la tua reputazione nel settore dei trasporti.

⚠️ Attenzione: ignorare cartelle o avvisi di pagamento può portare rapidamente a pignoramenti, fermi dei veicoli e blocchi operativi. Intervenire subito è l’unico modo per salvare la tua compagnia e garantire la continuità del servizio turistico.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, riscossione e tutela delle imprese del trasporto e del turismo – spiega cosa fare se gestisci una compagnia di autobus turistici con debiti, come bloccare la riscossione e come cancellare legalmente le somme dovute grazie agli strumenti previsti dalla legge.

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Introduzione

Le piccole compagnie di autobus turistici sono state duramente colpite negli ultimi anni da vari fattori economici e di mercato. Il turismo ha subito crisi improvvise (come la pandemia da Covid-19) e fluttuazioni che hanno ridotto i flussi di visitatori, mentre i costi operativi – ad esempio carburante, manutenzione e assicurazioni – sono aumentati. Questo settore, caratterizzato spesso da stagionalità e margini ridotti, risulta particolarmente vulnerabile dal punto di vista finanziario . Molte piccole imprese di noleggio autobus con conducente si trovano oggi ad affrontare debiti di vario genere: debiti fiscali con l’Erario per imposte non versate, contributi previdenziali arretrati verso enti come l’INPS, rate di mutui o leasing di autobus non pagate alle banche o società finanziarie, fatture scadute di fornitori (officine, agenzie di viaggio, ecc.), senza contare eventuali sanzioni amministrative.

Di fronte a questa situazione, cosa può fare una piccola compagnia di bus turistici indebitata per difendersi e ristrutturare il proprio debito? Fortunatamente l’ordinamento italiano offre diversi strumenti – sia di natura stragiudiziale che giudiziale – per gestire una crisi debitoria, evitare il tracollo e salvaguardare per quanto possibile l’attività. Con una strategia legale mirata è spesso possibile congelare le azioni esecutive dei creditori, negoziare piani di rientro sostenibili, ridurre l’ammontare dei debiti (ad esempio attraverso definizioni agevolate o procedure concorsuali) e, nei casi estremi, ottenere la totale liberazione dai debiti residui (esdebitazione) per ripartire da zero. Questa guida – aggiornata a settembre 2025 – analizza in dettaglio tutte le opzioni disponibili per le piccole imprese di autobus turistici dal punto di vista del debitore, con un taglio avanzato ma divulgativo adatto sia a consulenti legali che a imprenditori e privati interessati. Esamineremo le diverse tipologie di debiti e le relative tutele, le azioni di recupero che i creditori possono intraprendere (e come opporvisi), nonché gli strumenti di composizione della crisi previsti dalla normativa italiana (dalla composizione negoziata alle procedure di sovraindebitamento, fino al concordato preventivo o alla liquidazione giudiziale per le imprese più grandi). Il tutto sarà corredato da riferimenti normativi, sentenze aggiornate delle corti italiane, tabelle riepilogative e casi pratici con domande e risposte per chiarire i dubbi più comuni.

Attenzione: ogni situazione di insolvenza va affrontata tempestivamente. Ignorare cartelle esattoriali, decreti ingiuntivi o intimazioni di pagamento significa spesso aggravare la propria posizione: col passare del tempo maturano interessi di mora e sanzioni, e i creditori possono attivare pignoramenti, fermi amministrativi sui veicoli o altre azioni che mettono a rischio la continuità aziendale. Affrontare invece subito il problema, con l’aiuto di professionisti esperti in diritto fallimentare e tributario, consente nella maggior parte dei casi di limitare i danni e trovare una via d’uscita legalmente sostenibile. Nelle sezioni seguenti vedremo in dettaglio cosa fare se la vostra società di autobus ha debiti o si trova sotto pressione dei creditori, e come difendere l’azienda e il patrimonio personale dei titolari nelle varie circostanze.

Cause comuni di indebitamento e tipologie di debiti

Prima di esaminare le soluzioni, è utile identificare come si arriva alla situazione di sovraindebitamento. Quali sono le cause e i tipi di debito più frequenti per una piccola compagnia di autobus turistici?

  • Calo del lavoro e crisi del turismo: periodi di forte riduzione dei viaggi (come durante emergenze sanitarie o recessioni) comportano mancati incassi, rendendo difficile pagare costi fissi e imposte. Ad esempio, nel biennio 2020-2021 molte ditte di autobus turistici hanno accumulato debiti IVA e IRPEF semplicemente perché, a fronte di ricavi azzerati, non avevano liquidità per versare le imposte dovute .
  • Aumento dei costi operativi: il prezzo del carburante, i pedaggi autostradali, la manutenzione dei mezzi e le assicurazioni sono spese significative. Un rialzo improvviso del costo del gasolio o spese di riparazione straordinarie possono far saltare i conti di un’impresa già fragile, causando ritardi nei pagamenti a fornitori o rate non onorate su prestiti e leasing.
  • Investimenti finanziati eccessivi: spesso l’acquisto di autobus avviene tramite finanziamenti bancari o contratti di leasing. Se la domanda di servizi turistici cala, l’azienda può trovarsi con rate di mutuo/leasing troppo pesanti rispetto ai ricavi correnti. Il mancato pagamento di alcune rate può portare la banca a risolvere il contratto e richiedere immediatamente il saldo del debito residuo, trasformando un debito “a lungo termine” in un ingente insoluto esigibile subito.
  • Debiti tributari e contributivi non gestiti: in momenti di difficoltà, l’impresa può aver rinviato i pagamenti fiscali (IVA, imposte sui redditi, tasse di circolazione) e contributivi (contributi INPS dei dipendenti o dei titolari) sperando in future regolarizzazioni o in una “pace fiscale”. L’accumulo di cartelle esattoriali per tributi non versati è un fenomeno comune: ad esempio IVA e ritenute non pagate durante l’anno, che diventano cartelle notificate dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione l’anno successivo . Analogamente, il mancato versamento dei contributi previdenziali per gli autisti o per i soci lavoratori genera debiti verso l’INPS che, con sanzioni e interessi, crescono rapidamente.
  • Gestione amministrativa carente: errori contabili, mancata fatturazione di servizi o scarsa pianificazione finanziaria possono portare a scoprire “a consuntivo” grossi buchi. Ad esempio, non accantonare l’IVA da versare trimestralmente e utilizzarla per spese correnti porta, al momento della liquidazione periodica, a trovarsi senza fondi per pagarla. Oppure l’utilizzo smodato di credito commerciale (acquisti a fornitori senza pagarli subito) crea una catena di arretrati difficile da sanare.
  • Contenziosi legali e sanzioni: infine, una società di autobus può subire sanzioni amministrative (es. multe stradali per violazioni commesse dagli autisti, sovraccarico, mancato rispetto di ore di guida) o cause risarcitorie (es. in caso di incidenti) con conseguenti debiti da pagare. Queste passività occasionali, se ingenti, possono sommarsi al resto e aggravare la crisi.

Vediamo ora le principali tipologie di debito che tipicamente gravano su queste imprese, perché ognuna ha caratteristiche giuridiche diverse e richiede approcci specifici.

Debiti fiscali (Erario e tributi locali)

I debiti fiscali includono le imposte non versate all’Erario e agli enti locali. Per una società di autobus turistici possono riguardare vari tributi, tra cui: l’IVA sulle fatture emesse (spesso rate trimestrali non versate in periodi di bassa liquidità), le imposte sui redditi (IRES o IRPEF per ditte individuali e soci di società di persone), l’IRAP regionale dovuta sull’attività, nonché eventuali tributi locali come la tassa sui rifiuti (TARI) o il bollo auto sui veicoli. Se la società non paga queste imposte entro le scadenze, il debito fiscale viene iscritto a ruolo e l’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione) notifica la cartella esattoriale con le somme dovute, inclusi interessi e sanzioni. È frequente che durante crisi di liquidità l’impresa privilegi pagare stipendi e fornitori rimandando “allo Stato” il versamento delle tasse; tuttavia questo genera poi cartelle e intimazioni di pagamento. In caso di accertamenti fiscali (ad esempio controllo formale dichiarazioni, accertamenti IVA), possono emergere ulteriori debiti tributari con relative sanzioni amministrative.

I debiti fiscali hanno alcune peculiarità: godono di privilegio sui beni del debitore (cioè in caso di esecuzione concorsuale sono soddisfatti prima dei crediti chirografari) e l’Agente della Riscossione ha poteri speciali di riscossione (può ad esempio iscrivere ipoteca o disporre il fermo amministrativo di veicoli senza bisogno di un giudice, come vedremo). Inoltre, la prescrizione delle imposte è relativamente lunga: per i tributi erariali ormai consolidati vale la prescrizione decennale, come ha confermato la Cassazione a Sezioni Unite . Fanno eccezione i tributi locali, di norma prescritti in 5 anni se l’ente impositore non notifica atti interruttivi .

Come gestire i debiti fiscali: è fondamentale verificare ogni cartella/atto ricevuto, perché spesso vi sono possibilità di difesa o di riduzione. Ad esempio, controllare la corretta notifica (molte cartelle possono essere annullate per vizi formali o notifica invalida), oppure aderire a eventuali definizioni agevolate (es. la rottamazione delle cartelle, che in certe finestre consente di pagare solo l’imposta senza sanzioni né interessi). Nel 2023-2024 è stata aperta la rottamazione-quater: se la vostra società ha cartelle rientranti in quella definizione e ha presentato domanda, può estinguere il debito fiscale pagando il solo capitale in un massimo di 18 rate, con un risparmio significativo su sanzioni e interessi. In alternativa, si può chiedere una rateizzazione ordinaria fino a 120 rate (10 anni) per importi elevati, ottenendo la sospensione delle azioni esecutive al pagamento della prima rata . Va inoltre valutata la prescrizione: se sono passati più di 5 anni dall’ultima notifica senza ulteriori solleciti, alcune cartelle potrebbero essere prescritte. Infine, se il debito fiscale è troppo alto per essere pagato integralmente, rientrerà in qualunque piano di ristrutturazione del debito o procedura concorsuale che l’impresa deciderà di intraprendere (vedremo come, ad esempio, tramite transazione fiscale è possibile proporre al Fisco un pagamento parziale).

Debiti previdenziali (contributi INPS e altri enti)

Le compagnie di autobus con personale dipendente accumulano facilmente debiti contributivi se non versano regolarmente i contributi obbligatori per i propri lavoratori (autisti, meccanici, amministrativi). Questi contributi – dovuti all’INPS (fondo pensioni, disoccupazione) e all’INAIL (assicurazione infortuni) – vanno pagati mensilmente o trimestralmente; in caso di mancato pagamento, l’INPS iscrive a ruolo le somme che vengono poi notificate con cartella esattoriale similmente ai debiti fiscali. Anche il titolare di una ditta individuale o i soci lavoratori di una società (ad es. soci di S.n.c. o accomandatari di S.a.s.) devono versare contributi personali (gestione commercianti/artigiani): se l’attività è in crisi spesso anch’essi restano non pagati. I debiti contributivi godono di privilegio generale al pari delle imposte e la loro prescrizione è stata ridotta a 5 anni dalla legge n.335/1995, come ribadito dalle Sezioni Unite della Cassazione .

Attenzione: il mancato versamento di contributi trattenuti ai dipendenti è anche fonte di responsabilità e sanzioni per l’amministratore. Sul piano penale, l’omesso versamento di ritenute previdenziali sopra una certa soglia è reato; sul piano civile, in caso di fallimento della società l’INPS potrebbe insinuarsi chiedendo conto all’organo di liquidazione. Quindi è importante valutare piani di rientro anche per questi debiti. In genere l’INPS aderisce alle sanatorie (rottamazioni) previste per le cartelle e consente rateizzazioni analoghe a quelle fiscali. Anche i debiti contributivi possono essere inclusi in procedure di composizione della crisi: ad esempio, in un concordato minore o accordo di ristrutturazione sarà possibile proporre il pagamento parziale dei contributi dovuti, con stralcio di sanzioni, tramite la cosiddetta transazione previdenziale (analoga alla transazione fiscale per i tributi).

Debiti bancari e finanziari

Molte piccole aziende di autobus turistici hanno fatto ricorso a finanziamenti per acquistare i propri mezzi o per liquidità. Tra questi troviamo: mutui chirografari o ipotecari concessi da banche per comprare autobus o immobili (es. un capannone deposito), leasing finanziari per i pullman (dove la società di leasing resta proprietaria del mezzo fino al riscatto finale), prestiti e scoperti di conto per esigenze di cassa, oppure finanziamenti agevolati ottenuti con garanzia statale.

Questi debiti finanziari sono spesso cospicui e dotati di garanzie: il leasing consente al finanziatore di repossessare immediatamente il veicolo in caso di insolvenza (basta 1–2 rate non pagate perché la società di leasing risolva il contratto e riprenda l’autobus); i mutui possono essere garantiti da ipoteca su immobili della società o dei soci; i fidi bancari talvolta sono assistiti da fideiussioni personali dei titolari o da pegni su polizze. Quando l’impresa entra in crisi, il servizio del debito finanziario è spesso la prima cosa che salta: rate non pagate, conti scoperti revocati. La banca o la finanziaria, a fronte del default, può dapprima inviare diffide e poi risolvere il contratto, esigendo il pagamento integrale del dovuto residuo in un’unica soluzione (ad es. l’intero capitale ancora da rimborsare del mutuo). Se il debitore non paga, si passa rapidamente alle azioni legali: nel caso di mutui e prestiti, spesso la banca ottiene un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo (grazie alle clausole di riconoscimento di debito nel contratto); nel caso di leasing, dopo la restituzione del bene la società di leasing richiederà per via giudiziale la differenza tra il ricavato e l’ammontare dovuto. A questo punto l’azienda rischia pignoramenti sui conti, sui beni aziendali e – se presenti garanzie personali – anche sul patrimonio privato di soci garanti.

Strategie di gestione del debito bancario: in caso di difficoltà transitoria, è consigliabile cercare subito un accordo con la banca prima che la situazione degeneri. Le banche possono accettare rinegoziazioni delle rate (ad esempio allungare la durata del mutuo per ridurre l’importo mensile) oppure concedere moratorie temporanee. Durante l’emergenza Covid molte banche, aderendo a protocolli ABI, hanno sospeso le rate dei finanziamenti per le imprese turistiche. È fondamentale comunicare tempestivamente alla banca la situazione di crisi e chiedere soluzioni: ignorare le richieste di pagamento peggiora solo le cose, accumulando interessi di mora elevati e rischiando la revoca dei fidi . Se invece il debito bancario è già “deteriorato” (la banca lo ha classificato come sofferenza e magari ceduto a una società di recupero crediti), si può tentare un saldo e stralcio offrendo un pagamento una tantum di importo inferiore a saldo di tutto il dovuto . Ad esempio, su €20.000 di prestito residuo si potrebbe offrire €10.000 in un’unica soluzione in cambio dell’annullamento del debito restante; spesso i creditori professionali che comprano NPL accettano queste transazioni a saldo pur di incassare subito una percentuale . È chiaro che per il saldo e stralcio occorre avere disponibilità immediata (capitale proprio o da terzi) e formalizzare l’accordo in modo che il creditore rinunci per iscritto a ogni ulteriore pretesa.

Se il rapporto è già sfociato nel contenzioso giudiziale (decreto ingiuntivo, precetto, ecc.), le possibilità di opporsi con successo sono limitate a vizi concreti: contestazioni di merito (ad es. interessi usurari o anatocistici nel contratto, che però richiedono consulenze tecniche) oppure vizi procedurali nell’azione esecutiva (notifica errata, decadenze, ecc.) . Ad esempio, si può proporre opposizione all’esecuzione ex art.615 c.p.c. se si ritiene che la banca non avesse diritto di procedere (caso raro, potrebbe essere se il debito era già estinto o il titolo non valido) oppure opposizione agli atti esecutivi ex art.617 c.p.c. per contestare irregolarità formali (es. un pignoramento notificato senza rispettare termini o forme). Questi rimedi sono tecnici, con termini brevi (spesso 20 giorni dalla notifica dell’atto viziato) e richiedono assistenza legale qualificata . In mancanza di motivi solidi di opposizione, è più proficuo per il debitore cercare di concordare una soluzione con la banca magari prima che i beni vengano espropriati: ad esempio, vendere volontariamente un immobile ipotecato e usarne il ricavato per pagare parzialmente la banca, che rinuncia al pignoramento (spesso la banca preferisce una vendita concordata a prezzo di mercato piuttosto che un’asta giudiziaria lunga e incerta). Allo stesso modo, se un autobus è ancora soggetto a leasing ma l’azienda non riesce a pagarlo, si può tentare di riconsegnarlo prima che il valore cali ulteriormente, cercando di limitare la perdita residua negoziando col lessor.

Da notare che i debiti bancari e finanziari rientrano a pieno titolo in eventuali procedure di sovraindebitamento o concorsuali: in un piano di ristrutturazione complessivo dell’azienda, si potrà proporre anche alle banche un pagamento parziale e dilazionato. Ad esempio, tramite un concordato minore si potrebbe offrire alla banca il 20% del credito pagato in 5 anni, se tale somma è pari o superiore a quanto la banca otterrebbe liquidando i beni pignorati del debitore . La legge un tempo poneva limiti stringenti alla dilazione dei crediti privilegiati (i finanziamenti garantiti da ipoteca/pegno) oltre 1 anno dall’omologazione, ma la giurisprudenza li ha superati: la Cassazione ha chiarito che anche nei piani di sovraindebitamento è ammesso prevedere una dilazione ultrannuale dei crediti privilegiati, purché i creditori ipotecari possano esprimersi sulla convenienza della proposta . In altre parole, oggi un piano può prevedere di pagare un mutuo ipotecario anche su 5–7 anni, se questo è vantaggioso rispetto all’esecuzione forzata e i creditori sono posti in condizione di votare sul piano. La Cassazione, ord. n. 4622/2024 ha confermato proprio la legittimità di una dilazione pluriennale nel piano del consumatore, ribadendo che il limite di un anno di cui alla L.3/2012 non è inderogabile quando la maggiore durata giova ai creditori stessi . Questo orientamento tutela il debitore onesto che voglia rientrare gradualmente, evitando la logica del “tutto e subito” che spesso portava al fallimento. Pertanto, una piccola società di autobus indebitata con la banca può, attraverso una procedura giudiziale, ottenere piani di rientro molto più lunghi di quelli originari, con l’approvazione del tribunale anche in caso di dissenso della banca, purché sia dimostrato che il piano offre alla banca un soddisfacimento almeno pari (se non migliore) a quello che otterrebbe pignorando e liquidando i beni.

Infine, bisogna considerare l’eventuale presenza di fideiussioni personali o garanzie di terzi a favore dei debiti bancari. Se, ad esempio, il titolare della società ha firmato da garante, la banca potrà escutere direttamente lui per l’intero importo non pagato. La protezione offerta dalle procedure concorsuali (come l’esdebitazione, di cui diremo) vale solo per il debitore principale: il fideiussore o il terzo datore di ipoteca rimangono obbligati verso il creditore, a meno che anche loro attivino tutele personali (ad esempio avviando a loro volta una procedura di sovraindebitamento) . Su questo tema la Cassazione ha iniziato a chiarire i rapporti tra debitore principale esdebitato e fideiussore: in generale, se il garante paga al posto del debitore principale esdebitato, il suo diritto di regresso può rimanere privo di efficacia perché il debitore è stato liberato dal debito originario (questione complessa su cui la giurisprudenza sta ancora formando orientamenti caso per caso). In ogni caso, chi ha garantito personalmente un debito della società dovrà quasi sempre considerare soluzioni anche sul piano personale qualora l’azienda non riesca a pagare (ad esempio un socio garante potrà valutare un piano del consumatore o un accordo personale per evitare il proprio dissesto).

Debiti verso fornitori e altri creditori privati

Questa categoria comprende tutti i debiti non finanziari e non verso lo Stato, quindi dovuti a controparti private nell’attività d’impresa quotidiana. Per una compagnia di autobus turistici, i principali fornitori commerciali possono essere: officine meccaniche per la manutenzione dei mezzi, distributori di carburante (ad esempio convenzioni per rifornimenti a fine mese), agenzie di viaggio o tour operator (se anticipano costi o richiedono penali), albergatori o ristoratori locali (nel caso di servizi turistici integrati), società di parcheggio o autostazioni, fornitori di pezzi di ricambio, compagnie assicurative (premi RC bus non pagati), società di pulizia dei mezzi, utenze aziendali (bollette telefoniche, energia elettrica del deposito). Vi rientrano anche eventuali debiti personali dei titolari legati all’attività: ad esempio prestiti ricevuti da familiari per sostenere l’azienda, acquisti rateali di beni di consumo (computer, telefoni) usati nell’impresa, ecc.

I debiti verso fornitori spesso non sono garantiti (sono chirografari) e in caso di insolvenza rischiano di rimanere insoddisfatti in larga parte. Ciò non toglie che i fornitori possano agire aggressivamente per il recupero: di frequente, dopo qualche sollecito informale, un creditore commerciale mette in mora la società con lettera formale e poi procede con un decreto ingiuntivo per ottenere un titolo esecutivo . Se la società non fa opposizione, il decreto diventa definitivo in 40 giorni e il fornitore può passare al pignoramento. In molti casi, i fornitori preferiscono trovare un accordo transattivo (ad esempio accontentarsi di una parte del credito) piuttosto che affrontare lunghi procedimenti: è sempre consigliabile tentare una trattativa anche con questi creditori, magari offrendo un pagamento a saldo di un importo ridotto subito oppure dilazioni su pochi mesi, prima che incardinino cause civili.

Caratteristiche di questi debiti: non godono di prelazioni speciali (tranne alcune eccezioni, es. il creditore che ha fatto sequestrare giudiziariamente un bene può acquisire privilegio). La prescrizione è di norma quinquennale per i crediti da forniture continuative o prestazioni periodiche (art. 2948 c.c.), mentre se si tratta di un’unica fornitura isolata di bene/servizio potrebbe applicarsi la prescrizione ordinaria di 10 anni . In pratica, nei rapporti d’impresa la prescrizione breve quinquennale è lo standard per le fatture non pagate. Un aspetto importante: i termini di pagamento tra imprese sono regolati da norme speciali (D.Lgs. 231/2002) che permettono al creditore di esigere interessi di mora elevati se la fattura non viene saldata entro il termine pattuito (di solito 30 o 60 giorni). Quindi un debito commerciale può lievitare di interessi moratori (al tasso BCE +8% circa) e spese di recupero, oltre al capitale iniziale.

Come difendersi dai creditori privati: in primo luogo, verificare se il credito è contestabile per qualche ragione (merce difettosa, servizio non reso a dovere, fattura non dovuta): in tal caso occorre contestare per iscritto immediatamente, perché il silenzio può essere interpretato come riconoscimento. Se il debito è certo, la strategia migliore è il dialogo proattivo: mostrare buona fede al fornitore, spiegare le difficoltà e proporre un piano di rientro (anche parziale). Molti fornitori preferiscono recuperare qualcosa in più tempo piuttosto che far fallire un cliente e magari perdere tutto. Attenzione a non favorire un creditore a danno di altri in fase di insolvenza conclamata: pagare uno e non altri potrebbe esporre, in caso di successivo fallimento, al rischio di azioni revocatorie (pagamenti effettuati nei 6 mesi precedenti il fallimento possono essere revocati dal curatore se “preferenziali”). Tuttavia, al di fuori di una procedura concorsuale, è naturale graduare i pagamenti secondo le necessità aziendali (si pagherà prima il fornitore senza il quale non si può continuare l’attività, come il carburante, rispetto ad altri). Se il fornitore ha già ottenuto un decreto ingiuntivo, occorre valutare con un legale eventuali opposizioni (poche possibilità a meno di eccezioni formali o di prescrizione) oppure utilizzare gli strumenti che vedremo (es. chiedere un termine di grazia al giudice ex art. 480 c.p.c. se si può pagare entro 90 giorni, o promuovere un accordo di ristrutturazione che blocchi le esecuzioni). In caso estremo, il fornitore insoddisfatto può presentare istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) se i requisiti dimensionali dell’azienda lo consentono: addirittura un singolo creditore (ad esempio un ex dipendente per stipendi arretrati) è sufficiente a istigare la procedura, purché vi sia stato insoluto grave . Questo significa che trascurare un “piccolo” creditore è pericoloso: se decide di agire con determinazione, può portare l’azienda in tribunale. Mantenere un dialogo aperto con tutti i creditori e mostrare un intento di risanamento è spesso la miglior difesa per guadagnare tempo ed evitare iniziative drastiche da parte loro.

Debiti verso dipendenti e TFR

Un discorso a parte meritano i debiti verso i dipendenti, se la compagnia ne ha (autisti, personale amministrativo, ecc.). Si tratta di salari e stipendi non pagati, tredicesime arretrate, accantonamenti di TFR non versati. Questi crediti godono della massima tutela: i dipendenti insoddisfatti possono chiedere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo (in quanto crediti di lavoro) e persino provocare il fallimento dell’azienda se accumulano sentenze di mancato pagamento delle retribuzioni. La Cassazione ha affermato che anche la presenza di un unico creditore lavoratore può bastare per dichiarare lo stato d’insolvenza, data la natura particolare del credito retributivo . In caso di fallimento o liquidazione coatta, inoltre, i dipendenti vantano privilegio di primo grado e possono accedere al Fondo di Garanzia INPS per il pagamento dei loro crediti (salari ultimi 3 mesi e TFR). Dunque, un imprenditore dovrebbe prioritariamente cercare di saldare i dipendenti, o almeno di trovare accordi (ad esempio piani di rientro concordati con i sindacati interni), poiché i lavoratori hanno strumenti di tutela efficaci e una protezione normativa forte. Se le retribuzioni non possono essere pagate, ciò indica spesso che l’impresa è vicina alla cessazione: in tal caso sarà opportuno valutare prontamente l’uso di strumenti concorsuali per gestire la crisi in maniera ordinata, piuttosto che attendere istanze dei dipendenti o interventi d’ufficio.

Azioni di recupero crediti e procedure esecutive

Cosa possono fare concretamente i creditori per recuperare i propri crediti da una società di autobus inadempiente? È fondamentale che il debitore conosca le fasi e gli strumenti del recupero crediti, così da sapersi muovere e difendere nei tempi giusti. In genere, il processo si svolge in tre fasi:

  • Solleciti e messa in mora: prima di passare alle vie legali, molti creditori tentano soluzioni bonarie. Si riceveranno magari solleciti di pagamento via e-mail o telefono e poi una lettera di messa in mora (in genere inviata tramite raccomandata A/R o PEC) con cui il creditore intima formalmente il pagamento entro un termine (es. 7 o 15 giorni). Questa lettera spesso prelude all’azione giudiziaria. È il momento in cui è opportuno rispondere proponendo un piano o chiedendo tempo, se possibile. Ignorare la messa in mora porterà quasi certamente allo step successivo .
  • Titolo esecutivo (decreto ingiuntivo, sentenza o atto amministrativo): per poter agire forzosamente sui beni del debitore, il creditore deve munirsi di un titolo esecutivo. I creditori privati di solito ottengono un decreto ingiuntivo dal giudice (spesso provvisoriamente esecutivo se il credito è provato da fatture, estratti conto, buste paga non pagate, ecc.). Trascorsi i termini per l’eventuale opposizione, il decreto diviene definitivo (esecutivo). In altri casi, il titolo può essere una sentenza (ad esempio se c’è stata una causa) o una cambiale protestata, ecc. Per l’Agente della Riscossione, invece, il titolo esecutivo è la cartella di pagamento o l’avviso di intimazione decorso inutilmente (che sono immediatamente esecutivi ex lege). Ottenuto il titolo, il creditore notifica al debitore un atto di precetto, ossia un’intimazione formale a pagare entro generalmente 10 giorni, avvertendo che in difetto si procederà con l’esecuzione forzata.
  • Esecuzione forzata (pignoramenti, ipoteche, fermi): trascorso inutilmente il termine del precetto, si passa alla fase esecutiva vera e propria. Il tipo di azione dipende dai beni individuabili del debitore:
  • Pignoramento mobiliare presso il debitore: l’ufficiale giudiziario, su istanza del creditore munito di titolo, può presentarsi presso la sede aziendale o altri locali del debitore ed elencare i beni pignorabili (mobili, attrezzature, veicoli presenti in loco). Nel caso di una società di autobus, i beni mobili principali sono ovviamente gli autobus stessi e altri veicoli. Il pignoramento di un autoveicolo può essere effettuato anche con modalità telematica tramite il PRA (art. 521-bis c.p.c.), ma spesso per mezzi ingombranti il creditore preferisce notificare l’atto di pignoramento e nominare custode la stessa azienda debitrice (lasciando i mezzi dove sono, ma con vincolo di non disporne) in attesa della vendita . In alternativa, l’ufficiale può pignorare casse contanti, attrezzature d’ufficio, arredamento – ma nel caso di attività di trasporto i beni più appetibili sono proprio i veicoli.
  • Pignoramento immobiliare: se la società possiede immobili (es. un deposito, un ufficio, un garage), il creditore può iscrivere ipoteca e successivamente avviare l’espropriazione immobiliare depositando l’atto di pignoramento in conservatoria. Seguirà una procedura d’asta giudiziaria dell’immobile. Per i crediti fiscali esiste un limite: l’Agenzia delle Entrate-Riscossione non può pignorare la “prima casa” se è l’unico immobile di proprietà dell’imprenditore e vi risiede, salvo che il debito fiscale superi €120.000 – in ogni caso può iscrivervi ipoteca ma non metterla all’asta . Questo però vale per le persone fisiche: una società non ha “prima casa” e i suoi immobili sono aggredibili senza queste protezioni (a meno che l’immobile non sia strategico per un servizio pubblico essenziale, circostanza rara nel turismo).
  • Pignoramento presso terzi: è uno strumento molto efficace con cui il creditore intercetta crediti che il debitore vanta verso terzi. Consiste nel notificare un atto di pignoramento, oltre che al debitore, anche a un terzo che possiede denaro o beni del debitore. I casi tipici: pignoramento del conto corrente aziendale (notificato alla banca, che blocca le somme fino a concorrenza del credito), pignoramento dei crediti verso clienti (notificato ad esempio a un’agenzia di viaggi debitrice di fatture verso la società di autobus, per costringerla a pagare il dovuto direttamente al creditore procedente anziché al suo fornitore insolvente), oppure pignoramento dello stipendio se il legale rappresentante o i soci della società hanno redditi personali (quest’ultimo tecnicamente riguarda la persona fisica garante o coobbligata, non la società stessa). Nel pignoramento presso terzi il terzo deve dichiarare l’eventuale disponibilità di somme; per i conti correnti, de facto l’intera giacenza al momento della notifica viene bloccata fino all’udienza. Vi sono tutele per i conti personali (es. non pignorabilità dei depositi sotto una certa soglia se provenienti da stipendio), ma per i conti aziendali non esistono “minimi vitali”: un’impresa non ha il diritto a conservare un minimo sul conto, quindi l’intero saldo può essere pignorato in favore dei creditori.
  • Fermo amministrativo di veicoli: questo è uno strumento amministrativo utilizzato dall’Agente della Riscossione (e raramente da altri creditori tramite ingiunzione fiscale) per vincolare i beni mobili registrati. Consiste nell’iscrizione di un provvedimento al PRA che blocca la circolazione del veicolo: il bus formalmente rimane di proprietà della società, ma non può circolare (se sorpreso su strada, scattano sanzioni e sequestro) finché il debito non è estinto. Il fermo viene preceduto da un preavviso notificato all’impresa; se entro 30 giorni non si paga o rateizza, scatta il fermo . Importante: la legge prevede un’eccezione per i veicoli strumentali al lavoro. In base all’art. 86, comma 2, DPR 602/1973, l’ADER non iscrive fermo se il debitore dimostra, entro 30 giorni dal preavviso, che quel veicolo è necessario per l’attività di impresa o della professione esercitata . Ad esempio, per una ditta individuale di bus turistici, l’unico autobus utilizzato per i tour è un bene strumentale essenziale: presentando l’istanza con prove (come da modulo “F2” dell’ADER) si può evitare il fermo. Questo vale sia per persone fisiche sia per società (se l’autobus risulta bene aziendale strumentale) . Chiaramente, se la società ha più veicoli, bisognerà motivare bene quali siano indispensabili. In caso di fermo già iscritto, l’unico modo di rimuoverlo è pagare il debito (anche tramite rateizzazione: pagando la prima rata, il fermo viene sospeso ).

In sintesi, quando la società debittrice non reagisce, il percorso tipico è: messa in mora → decreto ingiuntivo → precetto → pignoramento/fermo/ipoteca. A ogni passo le possibilità di difesa si restringono, perché i termini per le opposizioni decorrono. È quindi cruciale giocare d’anticipo per evitare di arrivare alle esecuzioni forzate. Vediamo ora come impostare un corretto approccio iniziale e quali strumenti legali utilizzare per difendersi.

Approccio iniziale: valutare la situazione ed evitare passi falsi

Di fronte all’accumularsi di debiti, un piccolo imprenditore del settore trasporti deve mantenere la lucidità e pianificare bene le mosse. Ci sono alcuni passi iniziali da compiere e errori da evitare:

  1. Mappatura completa dei debiti: fate un elenco dettagliato di tutti i debiti aziendali e personali connessi all’attività. Distingueteli per tipologia: fiscali, contributivi, bancari, fornitori, ecc., indicando per ciascuno l’importo, la scadenza/morosità, l’eventuale presenza di garanzie o coobbligati, e lo status (avete ricevuto atti formali di messa in mora? Ci sono decreti ingiuntivi o cartelle esattoriali?). Questa ricostruzione serve per capire le priorità e il grado di rischio (ad esempio, un debito piccolo ma già in fase di pignoramento sul conto va trattato subito, mentre uno più grande ma ancora senza azioni può essere rinegoziato con più calma).
  2. Verifica dei termini e delle notifiche: per ogni atto ricevuto (cartella, precetto, decreto, preavviso di fermo ecc.) controllate la data di notifica e la scadenza per reagire. Molti provvedimenti diventano definitivi se non impugnati entro termini brevi. Ad esempio: una cartella esattoriale può essere impugnata in 60 giorni davanti alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria); un decreto ingiuntivo 40 giorni in tribunale civile; un atto di pignoramento 20 giorni per opposizione agli atti esecutivi, ecc. Verificate anche la regolarità della notifica: se l’atto non vi è stato notificato correttamente (indirizzo errato, omessa ricerca, ecc.), potrebbe essere nullo . Questa fase di audit può richiedere il supporto di un avvocato, ma è fondamentale per non perdere opportunità di difesa.
  3. Comunicare con i creditori in modo mirato: un errore comune è chiudersi al dialogo o, all’opposto, promettere pagamenti che non si possono mantenere. Meglio informare proattivamente i creditori più importanti della situazione, manifestando la volontà di trovare soluzioni. Ad esempio, contattare la banca prima che decada dal beneficio del termine, o rispondere al sollecito del fornitore spiegando che si potrà saldare entro tot mesi e magari allegando un piano. Non nascondete la testa sotto la sabbia: un creditore lasciato all’oscuro immaginerà il peggio e potrebbe agire più duramente. Tuttavia, non fate ammissioni di debito sconsiderate in forma scritta senza consulto legale (riconoscere un debito interrompe la prescrizione e vi vincola); usate formule di cortesia (“siamo consapevoli del Vostro credito, faremo il possibile per soddisfarvi…”) senza firmare cambiali o piani di rientro se non siete sicuri di poterli rispettare.
  4. Proteggere (legalmente) i beni essenziali: se l’azienda ha beni vitali per continuare l’attività (es. gli autobus stessi, un capannone, i conti bancari da cui paga carburante e stipendi), valutate come tutelarli. Ci sono misure specifiche: ad esempio, come visto, se arriva un preavviso di fermo per l’unico autobus, presentare subito l’istanza di esenzione come bene strumentale ; se temete un pignoramento dei conti, considerare di tenere la liquidità minima sul conto aziendale e spostare le eccedenze su conti protetti (es. conto dedicato ai salari, meno aggredibile, o su conti personali di soci non garanti – attenzione però a non compiere atti di frode trasferendo fondi a terzi quando i debiti sono già sorti: potrebbero essere revocati dal giudice nelle procedure concorsuali). Valutate anche l’utilizzo del fondo patrimoniale o di trust per proteggere beni familiari: ad esempio, taluni imprenditori mettono la casa di abitazione in fondo patrimoniale per sottrarla ai creditori aziendali. Sappiate però che questi stratagemmi funzionano raramente: se il debito è precedente e non connesso ai bisogni familiari, la revocatoria ex art. 2901 c.c. è quasi scontata . La Cassazione ha più volte affermato che la costituzione di un immobile in fondo patrimoniale dopo aver contratto debiti (non familiari) è presumibilmente fatta in frode e dunque revocabile . Quindi agire con furbizie per svuotare il patrimonio può rivelarsi un boomerang e, in casi estremi, configurare reati (come l’alienazione simulata di beni). È preferibile adottare tutele consentite dalla legge (come appunto le istanze di sospensione o l’adesione a procedure che congelano le azioni esecutive) anziché nascondere i beni.
  5. Evitare pagamenti preferenziali pericolosi: quando le risorse sono poche, sorge il dilemma di chi pagare prima. Pagare un creditore invece di un altro non è di per sé illecito, ma se poi si arriva a fallimento quei pagamenti potrebbero essere revocati. Il curatore fallimentare può chiedere la restituzione delle somme pagate a creditori non privilegiati nei 6 mesi precedenti la procedura (o 1 anno se privilegiati), a meno che il creditore provi di non sapere dello stato di insolvenza. Quindi, se siete in odore di fallimento, evitate di “svenarvi” per pagare solo alcuni lasciando altri: meglio convogliare gli sforzi su un piano generale omogeneo. In ogni caso, non distraete risorse dall’azienda a favore vostro o di parenti: prelevare contanti dalla cassa in crisi, vendere a basso prezzo beni aziendali a familiari o rimborsare finanziamenti ai soci mentre i creditori non vengono pagati sono tutti atti che espongono gli amministratori a responsabilità per mala gestio e possono essere annullati in sede concorsuale. La gestione in periodo di crisi dev’essere estremamente trasparente e prudente.

Riassumendo: tempestività, trasparenza e strategia. Raccogliete i dati, cercate accordi temporanei per guadagnare tempo, non fate mosse impulsive (né nascondere i beni, né firmare qualsiasi cosa). Contemporaneamente, iniziate a pensare a una soluzione strutturale: se il debito totale è sostenibile con qualche sacrificio, predisponete un piano di rientro credibile; se è insostenibile con le forze proprie, valutate di accedere a strumenti di ristrutturazione del debito previsti dalla legge (ne parliamo tra poco). L’aiuto di un consulente esperto in crisi d’impresa in questa fase iniziale può fare la differenza tra salvare l’azienda o perderla in modo disordinato.

Opposizioni e difese legali del debitore

In presenza di atti di riscossione o esecuzione già avviati, il debitore può reagire con specifiche opposizioni in sede giudiziaria. Di seguito i principali strumenti di difesa legale, da attivare caso per caso:

  • Ricorso tributario contro cartelle e accertamenti: per i debiti fiscali e contributivi, come detto, il mezzo è il ricorso alle Corti di Giustizia Tributaria (CGT, ex Commissioni Tributarie) entro 60 giorni dalla notifica dell’atto. Si può impugnare una cartella esattoriale se, ad esempio, il tributo sottostante non era dovuto o è decaduto (mancata notifica dell’atto precedente), o se ci sono vizi propri della cartella (omessa indicazione del responsabile, ecc.). Parimenti, un avviso di accertamento per IVA, IRPEF o altro può essere impugnato per contestare la fondatezza della pretesa fiscale. Il ricorso tributario, se accolto, può annullare in tutto o in parte il debito e sospendere la riscossione se il giudice concede sospensione cautelare. Ad esempio, una piccola società potrebbe contestare un accertamento IVA basato su presunzioni (ricavi stimati dall’Agenzia troppo alti rispetto al reale), ottenendo la sospensione e poi l’annullamento dell’imposta non dovuta . Ovviamente servono motivi solidi e prove; inoltre il processo tributario richiede il pagamento di un contributo unificato e, per importi sopra €50.000, il deposito di una garanzia per ottenere la sospensiva.
  • Opposizione a decreto ingiuntivo: se un creditore ha ottenuto un D.I. e la società lo ritiene ingiusto, si può fare opposizione entro 40 giorni dalla notifica, instaurando un giudizio ordinario davanti al tribunale civile. Nell’opposizione si possono far valere tutte le contestazioni di merito (es. “non devo questa somma perché la fornitura era difettosa”) o di forma. Attenzione: spesso però i decreti vengono concessi sulla base di prove documentali solide (fatture firmate, estratti autentici di libri contabili) e il giudice può aver concesso la provvisoria esecuzione, il che significa che il creditore può procedere anche se avete fatto opposizione (salvo chiedere e ottenere dal giudice la sospensione dell’efficacia in casi eccezionali). In sostanza, l’opposizione a D.I. è utile solo se c’è una vera controversia sul credito; se il debito è certo, l’opposizione serve solo a prendere tempo (ma con rischio di spese legali aggiuntive).
  • Opposizione all’esecuzione (ex art. 615 c.p.c.): è il rimedio per contestare il diritto del creditore di procedere ad esecuzione. Si può proporre prima che l’esecuzione inizi (opposizione preventiva a precetto) oppure dopo che è iniziata (opposizione a pignoramento). I motivi tipici: il debito è stato pagato o compensato, il titolo esecutivo è invalido o cessato, il pignoramento riguarda beni impignorabili. Ad esempio, se la banca procede esecutivamente ma nel frattempo avete saldato il dovuto, potreste opporvi all’esecuzione per intervenuto pagamento. Oppure, ipotesi più rara, contestare che il titolo (ad es. un mutuo fondiario) non fosse immediatamente esecutivo. Nel nostro contesto, un esempio potrebbe essere l’opposizione del socio illimitatamente responsabile che eccepisce un vizio nella chiamata in causa (ad es. il creditore di una S.n.c. deve prima escutere il patrimonio sociale, art. 2304 c.c.: se iniziasse direttamente contro il socio senza condizioni, questi potrebbe opporsi). Le opposizioni ex art. 615 non sospendono automaticamente l’esecuzione: serve chiedere al giudice la sospensione, che viene data solo se il ricorrente dimostra che l’esecuzione gli causerebbe danni gravi e che l’opposizione non è pretestuosa.
  • Opposizione agli atti esecutivi (ex art. 617 c.p.c.): serve per denunciare vizi formali degli atti della procedura esecutiva (es. un pignoramento notificato al vecchio indirizzo nonostante variazione sede, oppure l’errata individuazione dei beni pignorati, o vizi nel verbale dell’ufficiale giudiziario). Ha termini strettissimi: 20 giorni dalla notifica o dalla conoscenza dell’atto viziato. Se accolta, l’atto viene annullato, ma spesso il creditore può rimediare ripetendo l’atto in modo corretto. È dunque un’arma difensiva tecnica per guadagnare tempo o evitare vendite all’asta affrettate.
  • Conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.): non è proprio un’opposizione, ma una facoltà data al debitore esecutato di sostituire ai beni pignorati una somma di denaro. Il debitore può chiedere al giudice dell’esecuzione di “convertire” il pignoramento versando immediatamente almeno 1/5 dell’importo dovuto (debito, interessi e spese) e depositando il resto in rate mensili fino a 18 mesi. Se il giudice accoglie, il pignoramento sui beni viene revocato e si segue il piano di pagamento stabilito. Questo strumento può essere utile, ad esempio, per salvare un bene a cui il debitore tiene molto (un autobus necessario per lavorare, o un immobile di famiglia): bisogna però avere liquidità per coprire almeno il 20% subito e dare garanzie per il restante. Nelle piccole imprese spesso non c’è questa disponibilità, ma in alcuni casi l’imprenditore può raccogliere fondi da parenti o terzi per attivare la conversione ed evitare di perdere il bene all’asta.
  • Sospensione concordataria o da composizione negoziata: segnaliamo infine che, se la società accede a una procedura concorsuale o di crisi, la legge può prevedere la sospensione delle azioni esecutive individuali. Ad esempio, presentando una domanda di concordato preventivo o di concordato minore, il debitore può chiedere al tribunale un provvedimento che blocchi i pignoramenti in corso (cosiddetto automatic stay). Parimenti, nell’ambito di una composizione negoziata della crisi, l’imprenditore può domandare misure protettive che congelano le esecuzioni, incluse quelle sui beni personali dei soci illimitatamente responsabili . Queste sospensioni “globali” rientrano però negli strumenti di risanamento che vedremo nella prossima sezione e richiedono di intraprendere formalmente la procedura concorsuale.

In ogni caso, ogni opposizione giudiziale va ponderata con l’avvocato, perché può dilazionare i tempi ma comporta costi e il rischio di vedersi respingere il ricorso con ulteriore aggravio di spese legali da rifondere al creditore. Spesso la strada dell’opposizione è percorribile se si intravede nel frattempo una soluzione di merito (ad esempio, opporsi a un precetto giusto per prendere tempo di chiudere un accordo di ristrutturazione che renderà inutile l’esecuzione). Se invece l’opposizione è puramente dilatoria e l’azienda è destinata all’insolvenza, potrebbe essere più produttivo impiegare le risorse direttamente in un negoziato globale con i creditori o in una procedura concorsuale che porti alla composizione della crisi.

Procedure di composizione della crisi e sovraindebitamento

Se il debito complessivo è tale da non poter essere ripagato nei normali termini contrattuali, il legislatore mette a disposizione del debitore una serie di procedure strutturate per affrontare la crisi in modo ordinato. Si va dagli strumenti stragiudiziali e volontari (come la composizione negoziata) alle procedure giudiziarie concorsuali, alcune riservate alle imprese maggiori, altre pensate proprio per i debitori minori (le vecchie procedure di sovraindebitamento). In questa sezione faremo una panoramica di tali strumenti, distinguendo in particolare tra le procedure per imprese non fallibili (c.d. imprese minori) e quelle per imprese di dimensioni più grandi (soggette a liquidazione giudiziale, il nuovo nome del fallimento). Ricordiamo infatti che la legge esclude dalle procedure concorsuali maggiori le aziende sotto certe soglie dimensionali: aver avuto nei 3 esercizi precedenti attivi ≤ €300.000, ricavi ≤ €200.000 e debiti ≤ €500.000 significa essere classificati come “piccolo imprenditore” non assoggettabile a fallimento . La gran parte delle piccole società di autobus rientra in questi limiti (pensiamo a chi ha 2-3 pullman: difficilmente raggiunge ricavi annui superiori a 200k). Tuttavia, se l’impresa ha superato anche solo una di tali soglie, può essere soggetta alle procedure concorsuali ordinarie (concordato preventivo o liquidazione giudiziale). Inoltre è prevista una soglia di indebitamento minima di €30.000: nessun fallimento può essere aperto con debiti scaduti complessivi inferiori a tale cifra . Cassazione e tribunali nel 2025 hanno chiarito che questo limite va considerato con attenzione (ad esempio sommando i debiti di più creditori istanti, ecc.).

Vediamo ora i vari strumenti di gestione della crisi:

Composizione negoziata della crisi d’impresa

La Composizione Negoziata è un istituto introdotto di recente (D.L. 118/2021, conv. in L. 147/2021) e ora disciplinato dal Codice della Crisi (artt. 12-25 del D.Lgs. 14/2019, come modificato). Si tratta di un percorso volontario e stragiudiziale assistito da un esperto indipendente, pensato per aiutare l’imprenditore a risanare la propria azienda evitando di ricorrere subito al tribunale. Può accedervi qualsiasi impresa commerciale in situazione di squilibrio patrimoniale o economico, senza limiti di dimensione: anzi, la norma è pensata proprio per incentivare le imprese ad affrontare per tempo la crisi. Anche le piccole imprese sotto soglia possono attivarla (magari con procedure semplificate). Non c’è infatti alcuna preclusione: anzi, le imprese minori possono usare la composizione negoziata come alternativa alle procedure di sovraindebitamento, se vogliono tentare il risanamento con accordi spontanei .

Come funziona in sintesi: l’imprenditore presenta istanza tramite la piattaforma telematica delle Camere di Commercio, fornendo informazioni sulla situazione aziendale. Viene nominato dalla commissione apposita un esperto indipendente (spesso un commercialista o professionista in crisi d’impresa) che esamina le carte e convoca l’imprenditore. L’esperto ha il compito di agevolare le trattative con i creditori per trovare una soluzione concordata alla crisi . Durante la composizione negoziata, l’imprenditore mantiene la gestione dell’azienda (non è come il fallimento dove subentra un curatore) e può chiedere al tribunale l’adozione di misure protettive temporanee: ad esempio, la sospensione delle azioni esecutive dei creditori (pignoramenti) per la durata delle trattative, in genere inizialmente 3-4 mesi prorogabili. Questo “scudo” consente di negoziare con i creditori senza la pressione di procedure esecutive imminenti.

Un grande vantaggio introdotto dal legislatore per incentivare la composizione negoziata sono le cosiddette “misure premiali” fiscali: in pratica, dal momento in cui l’esperto accetta l’incarico, sugli eventuali debiti tributari del debitore cessano di maturare interessi di mora e sanzioni ulteriori . L’art. 14 CCII (inserito dal correttivo D.Lgs. 83/2022) prevede infatti che, se la composizione negoziata va a buon fine, gli interessi maturati nel frattempo si riducono al tasso legale e le sanzioni per ritardato pagamento di tributi non si applicano . In altre parole, avviare la procedura “congela” l’aggravarsi del debito fiscale, dando respiro all’imprenditore. Inoltre, durante la composizione, la società può proporre al Fisco una transazione fiscale stragiudiziale: ad esempio impegnarsi a pagare una percentuale dei debiti tributari con uno stralcio di sanzioni e interessi, formalizzando l’accordo nell’ambito delle trattative . Se la trattativa riesce, l’esito può essere diverso a seconda dei casi: – Un accordo stragiudiziale con taluni creditori (ad es. rinegoziazione del mutuo con la banca, accordo saldo e stralcio con fornitori principali) senza omologa giudiziaria. Questo accordo privato beneficerà comunque delle esenzioni da revocatoria previste dalla legge (i pagamenti fatti e le garanzie concesse in esecuzione dell’accordo non potranno essere revocati in un eventuale successivo fallimento). – Un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (se coinvolge la maggioranza del 60% dei crediti e si vuole estendere l’efficacia a eventuali dissenzienti) o un piano attestato. La composizione negoziata può sfociare nel deposito in tribunale di un accordo formale da omologare (ex art. 57 CCII), specie se serve vincolare anche i creditori dissenzienti o ottenere moratorie per i privilegiati. – Se la situazione lo richiede, l’imprenditore può accedere a un concordato semplificato per la liquidazione (art. 25-sexies CCII): questo è un istituto introdotto nel 2022 che consente, qualora la composizione negoziata non abbia prodotto accordi ma l’azienda sia decotta, di presentare un piano di liquidazione al tribunale chiedendo di omologarlo anche senza il voto dei creditori. È di fatto una scorciatoia per liquidare l’azienda evitando la procedura fallimentare ordinaria, destinata a casi estremi in cui le trattative falliscono. Nel concordato semplificato si possono comunque includere transazioni fiscali e stralci (anche qui i creditori possono interloquire in udienza) .

Durante tutto il percorso l’esperto redige verbali e alla fine stila una relazione finale. Se l’esito è positivo (raggiunto un accordo e salvata l’impresa), l’azienda esce dalla crisi con un doppio beneficio fiscale: ha bloccato gli interessi e sanzioni sul pregresso e ha eventualmente ridotto il carico tributario mediante l’accordo di ristrutturazione . Se invece non si trova un accordo, l’imprenditore comunque ha guadagnato tempo prezioso protetto dai creditori e potrà valutare altre procedure.

Un punto fondamentale: la composizione negoziata consente di tutelare anche i soci o garanti personali. Ad esempio, in una S.a.s. i soci accomandatari (illimitatamente responsabili) possono ottenere dal tribunale, contestualmente alle misure protettive, la sospensione delle azioni esecutive pure sul loro patrimonio personale . Ciò evita che, mentre la società tratta coi creditori, un creditore aggredisca subito la casa del socio accomandatario. Tale protezione rafforza la tenuta delle trattative.

In definitiva, la composizione negoziata è uno strumento innovativo, confidenziale (non pubblica finché non si chiedono misure protettive), che richiede la collaborazione di tutte le parti e la guida di un esperto. Non è una panacea: l’azienda deve avere ancora prospettive di risanamento (altrimenti si va verso la liquidazione), e l’imprenditore deve essere pronto a presentare piani credibili e informazioni trasparenti. Per piccole società di trasporto turistico, può funzionare se vi è ad esempio la prospettiva di una ripresa del turismo l’anno successivo e i creditori vengono convinti ad “aspettare” o ridurre i crediti in cambio di evitare il fallimento della società. Se invece la situazione è irreversibile, la composizione negoziata servirà solo a certificare il fallimento delle trattative e a preparare il terreno per una liquidazione. In ogni caso, tentare la composizione negoziata è consigliabile quando si intravedono chance di continuazione dell’attività: i vantaggi (blocco delle azioni, riduzione degli oneri futuri, potenziale accordo di ristrutturazione) superano i costi (bisogna remunerare l’esperto, ma i compensi sono calmierati per legge). Come evidenziano i primi dati, molte PMI l’hanno utilizzata – specialmente nel settore turistico e dell’edilizia – per guadagnare tempo e cercare soluzioni di mercato .

Procedure di sovraindebitamento (concordato minore, piano del consumatore, liquidazione controllata)

Le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento sono il fulcro delle soluzioni per i debitori civili non fallibili. Introdotte originariamente con la legge 3/2012, dal 15 luglio 2022 sono confluite nel nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza (CCII) agli artt. 65 e segg. . Si tratta di procedure giudiziali che consentono al debitore “minore” (consumatore, piccolo imprenditore, professionista, start-up innovativa, ente non profit, imprenditore agricolo, etc.) di proporre ai creditori un piano per superare la crisi con pagamento parziale dei debiti, oppure di liquidare il proprio patrimonio sotto controllo del tribunale in vista dell’esdebitazione finale . Sono strumenti cruciali per dare al debitore una “seconda possibilità” (principio voluto anche dall’UE con la Direttiva 2019/1023).

Attualmente il CCII prevede quattro procedure di sovraindebitamento :

  1. Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (artt. 67–73 CCII) – l’ex “piano del consumatore” della L.3/2012. È riservato alle persone fisiche consumatori, cioè che hanno contratto debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale . Un classico esempio: un privato che ha accumulato debiti personali (carte di credito, finanziamenti, bollette, fisco per seconde case) senza avere un’impresa. In questo contesto di guida, il piano del consumatore può riguardare il titolare di una ditta individuale di bus se riesce a qualificarsi come consumatore per quei debiti – il che è raro, perché se i debiti sono legati all’attività d’impresa, allora non è consumatore puro. Nel piano del consumatore non serve l’accordo dei creditori: il debitore propone al tribunale un piano di pagamento, e il giudice può omologarlo se lo ritiene conveniente per i creditori e il debitore meritevole . Ciò significa che i creditori subiscono il piano senza votare, potendo solo fare opposizione. Il piano può prevedere tagli del capitale dei debiti (anche dei privilegiati, se i beni in garanzia non coprono il credito) e trattamenti diversificati tra creditori, purché nessuno riceva meno di quanto avrebbe in una liquidazione . La valutazione chiave è la convenienza economica: il giudice verifica che il piano paghi ad ogni creditore almeno quanto otterrebbe liquidando i beni del debitore. Se sì, e se il debitore si è comportato correttamente (il CCII richiede assenza di dolo o colpa grave nel determinare l’insolvenza, ma è stato eliminato il rigidissimo requisito di “meritevolezza” precedente ), il piano viene omologato ed è vincolante. Il debitore paga secondo le scadenze previste e, una volta eseguito il piano, ottiene l’esdebitazione dei debiti residui.
  2. Concordato minore (artt. 74–83 CCII) – è l’erede dell’“accordo di composizione dei debiti” della L.3/2012, destinato ai debitori non consumatori: imprenditori minori, professionisti, società sotto soglia, start-up, imprenditori agricoli, etc. . In pratica, tutti i debitori civili sovraindebitati che potrebbero essere soggetti a fallimento se fossero sopra soglia, ma essendo sotto soglia rientrano nel sovraindebitamento. Il concordato minore richiede invece il consenso dei creditori: è necessario il voto favorevole di almeno il 60% dei crediti (calcolati sul totale) perché sia approvato . La procedura è simile a un piccolo concordato preventivo: il debitore, affiancato da un OCC (Organismo di Composizione della Crisi, ossia un professionista nominato per gestire la procedura), presenta un piano che può prevedere continuità aziendale oppure no, con proposte di pagamento parziale dei debiti. I creditori vengono convocati o consultati anche via telematica per esprimere il voto. Se si raggiunge il quorum del 60% e il tribunale giudica il piano regolare e conveniente, omologa l’accordo rendendolo vincolante anche per i creditori dissenzienti . Durante il concordato minore il debitore può continuare l’attività (salvo diversa indicazione) e può ottenere provvedimenti di protezione dai creditori analoghi a quelli del concordato preventivo. Una differenza importante rispetto al passato: anche nel concordato minore oggi si possono diluire i pagamenti dei creditori privilegiati oltre l’anno dall’omologazione, a patto che ai creditori garantiti sia data la possibilità di votare sulla proposta . Il correttivo del 2023-2024 e la giurisprudenza (Cass. ord. 4622/2024 citata) hanno confermato che la moratoria ultrannuale è ammessa se i privilegiati votano e la ritengono conveniente . Ciò evita che la presenza di mutui ipotecari renda impossibile presentare piani sostenibili. Il concordato minore è dunque uno strumento negoziale, più vicino al concordato preventivo delle grandi imprese ma calibrato su realtà minori, con meno rigidità formali. Se il debitore adempie al piano, ottiene l’esdebitazione del residuo analoga a quella del piano del consumatore.
  3. Liquidazione controllata del sovraindebitato (artt. 268–277 CCII) – corrisponde alla vecchia “liquidazione del patrimonio” ex L.3/2012. È una procedura concorsuale liquidatoria: in pratica il fallimento (ora liquidazione giudiziale) in miniatura applicabile ai soggetti non fallibili. Può accedervi sia l’imprenditore minore, sia il consumatore sovraindebitato, sia i soci illimitatamente responsabili di società fallite per la loro quota di debiti personali. La liquidazione controllata può essere richiesta dallo stesso debitore (in genere quando non è in grado di offrire un piano di ristrutturazione) oppure dai creditori o dall’OCC in caso di riscontro di abusi o di mancata esecuzione di un piano . Il tribunale, verificati i requisiti, apre la procedura, nomina un liquidatore giudiziale e dispone che tutto il patrimonio del debitore (esclusi i beni impignorabili) venga acquisito e liquidato per ripagare i creditori . La durata della liquidazione controllata è fissata dalla legge in massimo 3 anni dall’apertura (salvo proroghe in casi eccezionali): un tempo molto più breve rispetto alle vecchie procedure fallimentari, pensato per dare al debitore una prospettiva di ripartenza a breve termine. Durante questi 3 anni, il debitore perde la disponibilità dei suoi beni (li gestisce il liquidatore), ma ha diritto a conservare ciò che è impignorabile per legge (es. gli strumenti di lavoro indispensabili nei limiti di valore, un’autovettura di modesto valore se necessaria per lavoro, gli arredi e vestiti necessari, etc.) e una quota di reddito per il sostentamento suo e della famiglia (il minimo vitale). Terminata la liquidazione, il debitore persona fisica – se ha collaborato lealmente – è ammesso di diritto all’esdebitazione dei debiti residui non pagati . Questa è forse la novità più importante: il debitore onesto ma sfortunato, dopo aver messo a disposizione ciò che aveva, viene liberato dai debiti rimasti e può ricominciare senza zavorre. Non è più necessaria una separata istanza di esdebitazione come in passato: l’esdebitazione è automatica salvo che il giudice rilevi comportamenti fraudolenti o violazioni (in tal caso la nega). Attenzione: la liquidazione controllata non è un “paradiso” in cui i debiti spariscono per magia: il debitore subisce comunque la perdita di tutto il patrimonio disponibile e per 3 anni eventuali suoi redditi sopra la soglia vengono in parte destinati ai creditori. Ma rappresenta la soluzione estrema e dignitosa quando non si può pagare altrimenti. Va ricordato che i creditori privilegiati (ipoteche, pegni) conservano la prelazione sul ricavato dei rispettivi beni; i creditori chirografari in genere ricevono poco o nulla. Tuttavia, la contropartita per loro è che accettando la procedura non potranno più pretendere nulla dopo (meglio poco che niente).
  4. Esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII) – detta anche “esdebitazione a zero”. È l’innovazione introdotta nel 2020 e recepita nel Codice della Crisi, pensata per quei debitori (solo persone fisiche) che non hanno alcun patrimonio né reddito da mettere a disposizione. In passato tali soggetti restavano insolventi a vita, perché non potevano nemmeno accedere al sovraindebitamento (che richiedeva di offrire almeno qualcosa). Ora, se un debitore nullatenente e senza capacità di pagamento è sovraindebitato, può chiedere al tribunale di cancellare tutti i suoi debiti senza pagare nulla . I presupposti però sono rigorosi: il debitore deve essere meritevole, cioè non aver colposamente causato la propria insolvenza (niente spese folli o atti in frode), non deve aver tratto beneficio dai debiti (es. truffe) e può usare questa chance una sola volta nella vita . Inoltre restano esclusi da questa esdebitazione alcuni debiti “personalissimi” come le obbligazioni alimentari, i risarcimenti per danni da fatto illecito o le multe penali (non vengono perdonati) . Se il tribunale, sentiti i creditori (che possono contestare), accerta i requisiti, emette un decreto di esdebitazione che cancella tutti i debiti del richiedente . Attenzione però: se entro 4 anni dal provvedimento il debitore beneficia di sopravvenienze (vince alla lotteria, riceve un’eredità significativa, ecc.), è obbligato a pagare i vecchi creditori fino a concorrenza di quanto ricevuto, pena la revoca dell’esdebitazione . Questa clausola evita abusi (il furbetto che azzera i debiti e poi magari ottiene soldi in futuro). L’esdebitazione incapiente è una misura di “ultimo ricorso”: non verrà concessa se il debitore possiede anche minime risorse liquidabili o quote di reddito disponibile – in tal caso si ritiene debba almeno passare per la liquidazione controllata . In pratica, è pensata per chi davvero è al disastro totale: es. un ex imprenditore che ha perso tutto, disoccupato, senza beni, con debiti residui per prestiti, affitti, bollette – costui può ottenere un fresh start e tornare ad essere “solvibile” agli occhi della società .

Va sottolineato che queste procedure di sovraindebitamento sono tra loro alternative e combinabili. Ad esempio, una società di persone insolvente potrebbe liquidare il patrimonio sociale, e poi i soci illimitatamente responsabili accedere al concordato minore o alla liquidazione personale per i debiti rimasti a loro carico. Oppure un piccolo imprenditore potrebbe provare prima un concordato minore; se i creditori rifiutano, allora ripiegare sulla liquidazione controllata. Il CCII consente anche procedure familiari unitarie: membri di una stessa famiglia sovraindebitati possono presentare un unico piano congiunto , utile ad esempio quando marito e moglie hanno debiti comuni (mutuo cointestato, ecc.).

Infine, il fatto di accedere a queste procedure ha un grande effetto protettivo: dalla data di ammissione, il debitore è protetto dai creditori con il divieto di azioni esecutive individuali (i creditori devono fermarsi e partecipare alla procedura collettiva). Inoltre, in pendenza di procedura, non decorrono interessi sui crediti chirografari e le prescrizioni restano sospese. Questo “congelamento” permette di gestire situazioni prima ingestibili (ad esempio bloccare sul nascere aste immobiliari, come nel Caso 1 più avanti, in cui un preavviso di ipoteca viene neutralizzato dall’ammissione al piano del consumatore ).

Le norme aggiornate del Codice della Crisi hanno reso queste procedure più efficaci rispetto alla vecchia legge 3/2012: tempi più rapidi, obbligo di esdebitazione a fine liquidazione, eliminazione di troppi formalismi (la Cassazione ha chiarito che eventuali lacune documentali non sono sempre colpa del debitore ma vanno gestite dall’OCC e giudice senza punire il richiedente ). La giurisprudenza degli ultimi due anni ha emanato molte pronunce di merito, in genere favorevoli a dare al debitore meritevole la possibilità di ristrutturare o cancellare i debiti.

Nota: anche se la vostra impresa di autobus è costituita come S.r.l. e quindi “fallibile”, nulla vieta che i soci o l’amministratore-guarante possano parallelamente attivare le procedure da sovraindebitamento per i debiti personali (ad es. le fideiussioni escusse). Inoltre, se la società fosse davvero piccola da non superare le soglie, potrebbe essa stessa rientrare nel perimetro di queste procedure come impresa minore. In caso invece di società più grande, bisogna guardare agli strumenti concorsuali “maggiori” che vediamo tra poco. La distinzione è tecnica ma fondamentale: chi non è assoggettabile a liquidazione giudiziale usa il canale sovraindebitamento, chi lo è (cioè oltre soglia) deve usare concordato preventivo o fallimento.

Di seguito una tabella riepiloga le caratteristiche essenziali di piano del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata ed esdebitazione incapiente:

Tabella 1: Tipologie di procedure di sovraindebitamento a confronto

ProceduraChi può accedereAccordo coi creditori?Durata tipicaEffetti sui debitiNote
Piano del consumatore (artt. 67-73 CCII)Persona fisica consumatore (debiti estranei attività di impresa/professione)No voto creditori (decide il giudice in base a convenienza e meritevolezza)Variabile (pagamenti dilazionabili anche per molti anni, es. 5-7)Debiti ristrutturati secondo piano. Possibile stralcio di parte dei crediti chirografari e anche privilegiati se garanzie insufficienti . Esdebitazione a fine piano per i debiti residui .Nessun requisito di soglia dimensionale. Fondamentale la convenienza del piano rispetto a liquidazione. Creditori possono fare opposizione ma non votano. Il debitore deve aver tenuto condotta corretta.
Concordato minore (artt. 74-83 CCII)Debitore non consumatore non fallibile: es. imprenditore sotto soglia, professionista, start-up, società di persone o Srl piccola .Sì, voto: serve ≥60% dei crediti favorevoli (calcolo sul totale crediti).Variabile (di solito prevede pagamento dilazionato su 3-5 anni, ma può essere esteso se creditori accettano).Debiti ristrutturati secondo accordo. Possibile falcidia di crediti chirografari e anche di crediti privilegiati (in parte) purché ogni creditore abbia almeno quanto avrebbe da liquidazione. Esdebitazione al termine se il debitore esegue l’accordo .Procedura negoziale con OCC e omologazione del tribunale. I creditori privilegiati possono essere pagati oltre 1 anno se votano sul piano (moratorie lunghe ammesse, Cass. 4622/2024). Se manca il 60% di voti favorevoli, il tribunale non omologa. Può convertirsi in liquidazione controllata su istanza creditori/OCC.
Liquidazione controllata (artt. 268-277 CCII)Qualsiasi debitore non fallibile insolvente (consumatore o imprenditore minore) che non riesce a proporre/realizzare un piano. Può accedere anche il creditore (istanza esterna) in alcuni casi .Non richiede accordo: è procedura giudiziale disposta dal tribunale. I creditori partecipano al concorso (stato passivo).3 anni dall’apertura per la fase di liquidazione attiva (prorogabile). Dopo, il debitore persona fisica ottiene esdebitazione di diritto .Realizza il patrimonio del debitore (vendita beni, incasso crediti) e distribuisce secondo le cause di prelazione. I creditori chirografari ricevono di solito una % minima. Debiti residui cancellati per le persone fisiche (non per enti) salvo eccezioni (alimentari, ecc.).Il debitore perde la gestione dei beni (interviene liquidatore). Procedura simile a un piccolo fallimento: sospende tutte le azioni esecutive individuali. Richiede la regolarità delle scritture contabili se era imprenditore (sennò può essere dichiarata inammissibile). Il debitore deve collaborare lealmente, pena esclusione dall’esdebitazione.
Esdebitazione incapiente (art. 283 CCII)Persona fisica nullatenente e senza reddito che non può offrire nulla ai creditori . Non accessibile a società o enti.Non c’è accordo: i creditori possono opporsi ma decide il tribunale.Procedura molto breve: tempi del decreto (qualche mese). Dopo il decreto, c’è un periodo di 4 anni di “quarantena” in cui eventuali sopravvenienze rilevanti vanno destinate ai creditori (altrimenti revoca esdebitazione) .Tutti i debiti chirografari cancellati immediatamente dal decreto (eccetto debiti esclusi per legge: alimentari, risarcimenti danni, multe penali/amministrative) . Non c’è pagamento ai creditori (zero asset).Ammessa una sola volta. Debitore deve dimostrare di non aver colpa grave o frode nel proprio sovraindebitamento e di non aver beneficiato dei debiti contratti . Se entro 4 anni ottiene disponibilità economiche significative, deve soddisfare i creditori fino a concorrenza (controllo ex post). Misura di “ultima istanza” per favorire il reinserimento dell’esdebitato nella vita economica.

(Legenda: “RG” nelle note indica la conversione in termine decennale ex art. 2953 c.c. se c’è un titolo giudiziale definitivo.)

Come si vede, le procedure offrono soluzioni diverse a seconda della situazione: da quelle conservative (piano e concordato, mirati a mantenere l’attività in vita pagando parzialmente i debiti) a quelle liquidatorie (liquidazione controllata ed esdebitazione, pensate per chiudere col passato e ripartire). Il punto comune è l’obiettivo di dare sollievo al debitore sovraindebitato onesto, garantendo al contempo ai creditori la massima soddisfazione possibile nelle circostanze date. La legge incoraggia l’uso di queste procedure anche attraverso un certo “stigma positivo”: chi le utilizza non è più visto come un fallito disonesto, ma come un soggetto meritevole di una seconda opportunità – tant’è che è stata abolita persino la parola “fallimento” per ridurre lo stigma .

Procedure concorsuali per imprese maggiori (concordato preventivo e liquidazione giudiziale)

Per completezza, va detto che se una compagnia di autobus turistici ha dimensioni tali da superare le soglie di fallibilità (attivo > €300mila, ricavi > €200mila o debiti > €500mila) , in caso d’insolvenza sarà soggetta alle procedure concorsuali ordinarie previste dal Codice della Crisi d’Impresa. In sintesi, queste sono:

  • Concordato preventivo (artt. 84–120 CCII): è analogo al concordato minore ma per imprese sopra soglia. L’imprenditore in crisi propone ai creditori un piano di concordato che può essere in continuità (se l’azienda prosegue, magari ristrutturata) o liquidatorio (se prevede la cessazione e liquidazione dei beni, magari con affitto d’azienda nel frattempo). Serve il voto dei creditori raggruppati per classi, con maggioranze più articolate (maggioranza dei crediti per classi approvate e non bocciatura del 50% totale). Il concordato preventivo richiede una soddisfazione minima dei creditori chirografari (20% in caso liquidatorio, salvo esenzioni) e può contemplare transazioni fiscali e contributive con il voto anche dello Stato (oggi ammesso includere IVA e ritenute nel taglio, secondo le modifiche normative). Se approvato dai creditori e omologato dal tribunale, il concordato consente all’impresa di evitare la liquidazione giudiziale. È la classica procedura usata da aziende medio-grandi in crisi per risanarsi (per esempio grandi tour operator, società di trasporti pubblici locali, ecc.). Nel caso di una piccola società di autobus, si imboccherà il concordato preventivo solo se l’azienda è formalmente fallibile e la composizione negoziata o il concordato minore non siano applicabili. Di solito, il concordato preventivo comporta costi e complessità maggiori rispetto al concordato minore (ad es. nomina del commissario giudiziale, adempimenti pubblicitari più onerosi).
  • Liquidazione giudiziale (artt. 121–270 CCII): è il nuovo nome del fallimento. Si apre su richiesta di un creditore, del debitore o d’ufficio, quando l’impresa commerciale insolvente non è un piccolo imprenditore e ricorrono i presupposti. Come visto, serve un indebitamento scaduto ≥ €30.000 e lo status di imprenditore commerciale sopra soglia . La sentenza di liquidazione giudiziale determina lo spossessamento dell’imprenditore, la nomina di un curatore, l’apertura del concorso dei creditori (stato passivo). Da lì in avanti, l’impresa cessa la propria attività salvo esercizio provvisorio per casi eccezionali, e il patrimonio viene liquidato per soddisfare i creditori secondo le cause di prelazione. Dopo la chiusura, il debitore (persona fisica o società i cui soci illimitati hanno attivato procedure personali) può ottenere l’esdebitazione residua (per le persone fisiche è pressoché automatica come nella liquidazione controllata). La liquidazione giudiziale è insomma l’equivalente della liquidazione controllata ma per imprese “fallibili”. Per il nostro contesto, potrebbe colpire ad esempio una S.r.l. di trasporti turistici con debiti per €1 milione: su istanza di un creditore, il tribunale la dichiara in liquidazione giudiziale e nomina il curatore che vende i bus, incassa crediti, ecc., poi distribuisce ai creditori. Anche qui, i debiti restanti delle persone fisiche garanti possono essere esdebitati (ad es. l’amministratore socio può chiedere l’esdebitazione del sovraindebitato, similmente).

In generale, concordato preventivo e liquidazione giudiziale funzionano in modo analogo alle versioni “minori” già trattate, con la differenza che sono più complessi, coinvolgono spesso comitati di creditori, e seguono regole più stringenti (specialmente il concordato preventivo è molto regolamentato per evitare abusi). Un imprenditore di dimensioni al limite (es. debiti attorno a €500k) dovrebbe valutare con i consulenti quale procedura attivare: se si è just sotto le soglie, conviene utilizzare gli strumenti da sovraindebitamento (più snelli e orientati al debitore); se si sfora anche di poco, può valere la pena provare comunque un concordato minore sostenendo di essere sotto soglia – la giurisprudenza talora è flessibile nel valutare le soglie, e comunque se il tribunale ritiene che non siate sotto soglia rigetterà l’accesso e i creditori potranno chiedere il fallimento.

Da notare che anche per le imprese maggiori esiste un’alternativa negoziale: il piano di risanamento attestato (art. 56 CCII, ex art. 67 l.fall.), che è un accordo stragiudiziale con i creditori che viene asseverato da un esperto e pubblicato nel registro imprese. Non richiede omologa né percentuali minime di adesione, ma serve a proteggere da revocatorie i pagamenti e le garanzie concesse in esecuzione del piano. Questo strumento, essenzialmente contrattuale, può essere utile anche a piccole società se riescono a ottenere l’adesione spontanea di tutti o quasi i creditori senza passare dal tribunale.

In sintesi, la differenza tra procedure maggiori e minori sta soprattutto nell’ambito soggettivo (fallibile vs non fallibile) e in dettagli procedurali. Ma l’obiettivo è comune: evitare la liquidazione disordinata e dare una chance di soluzione concordata. Oggi come oggi, in qualsiasi situazione di crisi seria è consigliabile attivare tempestivamente o la composizione negoziata o una procedura concorsuale (minore o maggiore) per canalizzare la crisi. Questo riduce anche i rischi per gli amministratori: come vedremo tra poco, un’amministratore che tarda indebitamente a chiedere il concordato o il fallimento può incorrere in responsabilità per aggravamento del dissesto.

Transazione fiscale e contributiva

Una nota particolare meritano i debiti verso Erario e enti previdenziali nell’ambito delle procedure concorsuali. Tradizionalmente, l’ordinamento italiano era molto restrittivo nel consentire stralci di imposte: l’IVA e le ritenute per legge dovevano essere pagate integralmente nei concordati, pena inammissibilità, e lo Stato spesso non aderiva agli accordi. Tuttavia, con le riforme del 2020-2021 questa rigidità è stata superata: oggi anche l’IVA e le ritenute possono essere falcidiate nei piani, purché l’ADESIONE DELL’ERARIO (transazione fiscale) avvenga con voto favorevole o, nel piano del consumatore, purché il giudice valuti la convenienza . La transazione fiscale (disciplinata ora negli artt. 63 e 88 CCII per accordi e concordati) permette di proporre il pagamento parziale di imposte e contributi, con stralcio totale di sanzioni e interessi di mora. Ad esempio, un concordato potrebbe prevedere di pagare il 40% dell’IVA e zero sanzioni. L’Agenzia delle Entrate valuta la proposta secondo le direttive interne (pretendendo di solito almeno quanto otterrebbe da un fallimento) e vota di conseguenza. Se vota sì, la transazione viene recepita nel concordato; se vota no, il tribunale in alcuni casi può cram-down, ossia omologare lo stesso il concordato fiscale se ritiene che la proposta al Fisco sia più conveniente del fallimento (questa possibilità è stata oggetto di dibattito ma alcune sentenze la ammettono). Nel piano del consumatore addirittura il giudice può omologare tagli di tributi senza consenso dell’Agenzia, se il piano è equo.

Nel contesto di una piccola società di autobus, ciò significa che anche i debiti IVA, IRPEF, INPS possono essere ridotti tramite una procedura: non occorre pagare per forza il 100%. Naturalmente, bisogna offrire motivazioni (l’alternativa è spesso zero in fallimento, quindi anche un 20-30% pagato in concordato può essere ben accetto). Un esempio concreto lo abbiamo già visto: il caso in cui la Cassazione ha convalidato un piano del consumatore che dilazionava un’ipoteca di una banca oltre 5 anni perché per il Fisco era comunque meglio prendere quel 30% dilazionato che rischiare soli €5.000 in caso di asta . Allo stesso modo, anche per l’Erario e l’INPS è spesso conveniente accettare un concordato minore dove magari incassano il 25% del credito, piuttosto che spingere per la liquidazione giudiziale dove, tolte le spese e gli altri privilegi, potrebbero incassare molto meno. Questa mentalità sta gradualmente penetrando, sostenuta anche da pronunce come Cass. SS.UU. 17186/2012 (che già da anni apriva alle transazioni fiscali). Oggi la cornice normativa (art. 63 CCII) rende standard la transazione: l’imprenditore deve allegare l’eventuale proposta separata al Fisco e all’INPS, indicando quanti soldi offre a fronte di che stralcio.

In sostanza: se la vostra piccola impresa ha un grosso debito IVA o ritenute, non disperate pensando che vada pagato integralmente: valutando un piano di concordato minore o accordo, potreste proporre di tagliarlo parzialmente. L’importante è mostrare che state offrendo allo Stato il massimo ottenibile date le circostanze (principio del best interest of creditors).

Responsabilità patrimoniale di soci e amministratori

Quando un’azienda non riesce a pagare i debiti, oltre al patrimonio sociale (della società) potrebbe essere in gioco anche il patrimonio personale di chi sta dietro l’azienda: i soci e gli amministratori. La regola generale delle società di capitali (S.r.l., S.p.A.) è la responsabilità limitata: i soci non rispondono dei debiti sociali oltre la quota conferita, e gli amministratori rispondono verso la società (per mala gestione) ma non direttamente verso i creditori sociali. Tuttavia, vi sono numerose eccezioni e situazioni in cui soci e amministratori di una piccola società di autobus possono trovarsi a dover pagare in proprio i debiti aziendali. Approfondiamo i vari scenari:

Responsabilità degli amministratori

Gli amministratori di società (sia di capitali che di persone) hanno per legge precisi doveri di gestione diligente e corretta. Nel nostro contesto, significa ad esempio: tenere contabilità regolare, pagare puntualmente imposte e contributi, non aggravare l’esposizione debitoria oltre il ragionevole, evitare conflitti di interessi e distrazioni di fondi. Se tali obblighi vengono violati e la società accumula debiti insostenibili, gli amministratori possono incorrere in azioni di responsabilità da parte sia della società (o del curatore in caso di fallimento) sia direttamente dei creditori in certi casi.

Ecco le principali fattispecie: – Responsabilità verso la società (art. 2476 c.c. per Srl, art. 2392 c.c. per Spa): gli amministratori rispondono dei danni causati al patrimonio sociale dalla loro gestione negligente o dolosa . Ad esempio, se l’amministratore ha continuato a indebitarsi sapendo di non poter ripagare, o ha dissipato risorse in spese personali, la società (o il curatore) può citare l’amministratore per risarcimento del danno. In caso di fallimento, questa è la tipica azione di responsabilità fallimentare, in cui il curatore chiede agli ex amministratori di rifondere i creditori per l’aggravio del dissesto. La Cassazione ha chiarito che l’amministratore può essere responsabile anche indipendentemente dallo stato formale di insolvenza, se emergono atti lesivi (es. pagamenti preferenziali a soggetti collegati) che hanno pregiudicato la società e i creditori . In un caso recente, la Corte (ord. 23963/2025) ha confermato che l’amministratore risponde per violazione dei doveri anche prima del fallimento, quando con atti in conflitto di interesse o preferenziali ha aggravato la posizione debitoria . Dunque, se sei amministratore, sappi che decisioni come pagare prima una tua società collegata invece dei fornitori normali, o vendere sottocosto un bene a un amico causando danno, possono poi ritorcersi contro di te a livello personale.

  • Responsabilità diretta verso i creditori (art. 2394 c.c. e art. 2476 ult. co. c.c.): se la società va in decozione e il patrimonio risulta insufficiente a pagare i creditori, questi ultimi possono (in caso di fallimento, tramite il curatore; in caso contrario anche individualmente) agire contro gli amministratori se il mancato pagamento è dovuto a violazioni dei doveri da parte di questi. È la cosiddetta azione dei creditori sociali, che scatta tipicamente quando gli amministratori hanno violato l’obbligo di conservare l’integrità del patrimonio sociale. Un caso classico: l’amministratore non convoca l’assemblea e non ricapitalizza o liquida la società nonostante perdite superiori al terzo del capitale (violando gli artt. 2447/2482-ter c.c.) ; la società continua a operare, i debiti aumentano e alla fine il patrimonio è incapiente. I creditori possono dire: se avesse chiuso prima, avremmo avuto più asset su cui soddisfarci, quindi ora chiediamo all’amministratore la differenza. La giurisprudenza riconosce questa azione quando c’è un nesso causale tra la mala gestio e il deficit patrimoniale ai danni dei creditori. Ad esempio, la Cass. 30031/2022 citata afferma che l’amministratore risponde verso i creditori anche in assenza di insolvenza formale, se con atti in conflitto di interessi o altre violazioni ha leso il patrimonio sociale riducendo la garanzia generica dei creditori . In pratica, l’amministratore viene ritenuto responsabile di una forma di “insufficienza patrimoniale colpevole”.
  • Responsabilità penale: va menzionato che certi comportamenti in situazione di crisi possono costituire reati, il che poi può comportare obblighi di risarcimento. Ad esempio, la bancarotta fraudolenta (distrazione di beni, false scritture) è un reato se dichiarati falliti; l’omesso versamento di IVA o di ritenute per importi rilevanti è reato tributario. Una condanna penale spesso impone all’amministratore di risarcire i danni (ai creditori o all’Erario). Quindi, sebbene non sia una responsabilità civile diretta, è un ulteriore profilo di rischio personale.
  • Obblighi in materia contributiva e fiscale specifici: vi sono leggi speciali che attribuiscono responsabilità personali. Un esempio è l’art. 36 del DPR 602/1973 per i liquidatori di società: se durante la liquidazione i liquidatori pagano altri creditori e non le imposte dovute, rispondono personalmente dei debiti fiscali non soddisfatti nei limiti di quanto pagato ad altri o distribuito ai soci . Tradotto: se chiudete volontariamente la S.r.l. pagando banche e fornitori ma lasciando impagato il Fisco, l’Agenzia Entrate vi manderà un avviso di addebito personale come ex liquidatori per quelle imposte non pagate . Questo per dire che quando si liquida una società, bisogna soddisfare prima i crediti di ordine superiore (fisco, dipendenti) o tenere da parte attivo per loro, altrimenti ci si espone personalmente. Ancora: in ambito previdenziale, la legge prevede che gli amministratori di SRL rispondano per le sanzioni civili in caso di omissione dolosa di versamenti contributivi (art. 239 c.c. e normative collegate). Sono tutte situazioni specifiche, ma che nel contesto di crisi di piccole imprese capitano: a volte l’amministratore scioglie la società, paga quel che può ai fornitori e “dimentica” 50 mila euro di IVA: dopo 2-3 anni riceve una cartella a suo nome come liquidatore responsabile.

In conclusione sugli amministratori: agire presto e correttamente è la miglior tutela. Segnalare tempestivamente la crisi, attivare procedure di composizione o liquidazione quando necessario, tenere i libri in ordine, non aggravare i debiti sperando in miracoli, evitare di pagare preferibilmente se la società è già insolvente. Così facendo, sarà difficile imputare loro colpe. La Cassazione di recente (ord. 12388/2022) ha sottolineato che non si può chiedere all’amministratore l’impossibile: se ha fatto tutto il possibile e la crisi deriva da fattori esterni, non è responsabile solo perché l’azienda è fallita. Viceversa, l’inerzia colpevole (es. lasciare che la società eroda il capitale senza intervenire) e gli atti di favoritismo (pagare alcuni creditori particolari) vengono puniti.

Responsabilità dei soci per i debiti sociali

Qui occorre distinguere a seconda del tipo di società: – Società di persone (S.n.c., S.a.s.): i soci illimitatamente responsabili (tutti i soci nella S.n.c., i soli accomandatari nella S.a.s.) rispondono con il proprio patrimonio personale di tutte le obbligazioni sociali (art. 2291 c.c. per snc, 2313 c.c. per sas). Il creditore sociale può chiedere i suoi soldi anche ai soci, sebbene per le snc vi sia il beneficium excussionis (devono prima agire sul patrimonio sociale, ma in pratica se la società è insolvente ciò avviene subito dopo). Quindi, se la “Autobus Turistici Alfa S.n.c.” non paga i debiti, fornitori e banche potranno pignorare case, auto e conti dei soci Mario e Luigi fino a soddisfazione completa. È una responsabilità solidale e illimitata. Nel caso delle S.a.s., come detto, gli accomandanti godono di limitazione di responsabilità ma perdono tale privilegio se ingeriscono nella gestione: l’accomandante che di fatto dirige l’azienda diventa responsabile illimitato “occulto” . Quindi i soci accomandanti devono farsi da parte nelle decisioni per non rischiare. In caso di crisi, tutti i beni personali dei soci illimitati sono aggredibili dai creditori sociali, e se anche la società viene liquidata o fallisce, i creditori possono poi rivolgersi ai soci per il residuo non pagato . Per questo, spesso nelle società di persone i soci decidono di ricorrere a procedure concorsuali che includano anche loro (ad esempio liquidazione del patrimonio individuale o accordi familiari) per chiudere definitivamente la posizione debitoria complessiva.

  • Società di capitali (S.r.l., S.p.A.): qui vige la regola: “i soci non rispondono delle obbligazioni sociali oltre il capitale sottoscritto” (art. 2462 c.c.). Dunque, in teoria, se una S.r.l. di autobus fallisce, i creditori non possono chiedere nulla ai soci (salvo che i soci avessero fatto da garanti). Tuttavia, la prassi e la giurisprudenza hanno individuato alcune situazioni in cui i soci (specie quelli di maggioranza o unici) possono perdere la protezione e diventare responsabili:
  • Sottocapitalizzazione abusiva: se la società è stata costituita o condotta con un capitale palesemente insufficiente rispetto all’attività e ai debiti contratti, i creditori possono tentare di “aggredire” i soci sostenendo che hanno abusato della personalità giuridica. È una costruzione nota come piercing the corporate veil o “responsabilità per sottocapitalizzazione”. Ad esempio, se Tizio apre una S.r.l.s. con 1 euro di capitale e compra autobus a leasing per 500k €, accumulando debiti che non potrà pagare, un giudice potrebbe ritenere i soci responsabili in proprio perché la società era solo un guscio vuoto usato per rischiare con soldi altrui . Occorre dire che giurisprudenza italiana recente è più cauta: per le S.r.l.s. (capitale minimo 1 euro) alcune sentenze (Trib. Milano 2019) hanno escluso una responsabilità automatica dei soci in caso di patrimonio insufficiente . Però, se emerge malafede, tribunali e Cassazione hanno talora “disapplicato” la personalità giuridica: ad esempio, se i soci hanno volutamente tenuto un capitale irrisorio e prelevato utili sproporzionati lasciando la società incapiente, potrebbero essere chiamati a rispondere dei debiti (riconducendo la società a mera longa manus dei soci).
  • Finanziamenti anomali dei soci non postergati: i soci di S.r.l. che versano fondi alla società in crisi avrebbero dovuto, per legge (art. 2467 c.c.), postergare il rimborso dei loro finanziamenti rispetto agli altri creditori. Se invece, prima del fallimento, la società ha rimborsato i soci finanziatori a scapito di fornitori e banche, quei soci possono essere costretti a restituire le somme (azione revocatoria o eccezione di postergazione). Non è esattamente “pagare i debiti sociali”, ma incide: i soldi tornano nelle casse della procedura fallimentare. Cass. 16291/2018 ha esteso la postergazione anche alle SpA in caso di soci informati su sottocapitalizzazione .
  • Garanzie personali e coobbligazioni: il caso più banale è se il socio (spesso l’imprenditore stesso) ha firmato fideiussioni o cambiali a garanzia di debiti sociali. Allora è contrattualmente obbligato in solido col debitore principale. In tal caso, la responsabilità dei soci deriva non dallo status di socio ma dal contratto di garanzia. Moltissime banche chiedono ai soci/amministratori di piccole S.r.l. di garantire personalmente i prestiti: di conseguenza, se la società non paga, escussione diretta sui beni personali. Non c’è scampo se non pagando o rinegoziando col creditore (o includendo se stessi in una procedura da sovraindebitamento).
  • Distribuzioni illegittime ai soci: se i soci hanno incassato utili fittizi (in presenza di bilanci in perdita) o si sono fatti assegnare beni in conto liquidazione senza soddisfare prima i creditori, allora possono essere chiamati a restituire quanto ricevuto per soddisfare i creditori sociali. Ad esempio, art. 2495 c.c. comma 2 prevede che, dopo la cancellazione di una società, i creditori insoddisfatti possano agire contro i soci nei limiti di quanto questi hanno riscosso in sede di liquidazione. Le Sezioni Unite della Cassazione (sent. 6070/2013) hanno chiarito che la cancellazione della società non estingue i debiti: i creditori possono far valere le loro pretese verso i soci per ottenere il pagamento, sebbene limitatamente alle somme da essi eventualmente ricevute . Questo significa: se avete chiuso la S.r.l. distribuendo ai soci l’ultimo autobus venduto, il creditore può venire a bussare ai soci per il valore di quell’autobus. E attenzione: Cass. 37932/2022 ha stabilito che i creditori hanno comunque interesse ad agire contro i soci ex art. 2495 c.c. anche qualora in liquidazione non abbiano ricevuto nulla, per accertare che i soci non abbiano distratto attivi altrove . Insomma, la chiusura formale di una società non immunizza i soci: per 5 anni post-cancellazione gli atti impositivi e di accertamento di debiti tributari possono essere notificati ancora alla società (norma del 2014) , e i creditori privati possono, se scoprono asset, chiedere ai soci il conto fino a concorrenza di quanto ottenuto.

In pratica, per i soci di S.r.l. vale la massima: rischio limitato sì, ma non abusatene. Se la società è usata come schermo per indebitarsi senza garanzie e poi farla sparire, i soci potrebbero risponderne. Di contro, se la società è stata onestamente vittima di rovesci e i soci non hanno commesso irregolarità, i creditori dovranno fermarsi al patrimonio sociale (salvo garanzie).

Un cenno va fatto anche ai soci di società di persone nel post-insolvenza: se una snc fallisce, falliscono anche i soci automaticamente (estensione di legge). Quindi i soci subiranno la liquidazione dei loro beni personali. Nel sovraindebitamento invece, se una s.n.c. non è fallibile (piccola), può essere trattata come impresa minore col concordato minore, e i soci illimitati possono presentare un unico concordato minore “familiare” insieme alla società (cumulando patrimonio sociale e personale) . Questo è interessante per risolvere tutto in un colpo solo.

In sintesi sulla responsabilità dei soci: per le società di persone, la responsabilità personale è la regola (fanno eccezione gli accomandanti che non gestiscono). Per le società di capitali, la responsabilità personale scatta se il socio ha prestato garanzie o se ha tenuto comportamenti che integrano abuso della forma societaria (sottocapitalizzazione grave, confusione patrimoniale, liquidazioni in frode). Inoltre, i soci amministratori che commettano reati fallimentari possono subire sequestri dei loro beni. Viceversa, se i soci hanno sempre rispettato la distinzione patrimoniale e non hanno garantito personalmente, i loro beni restano al sicuro: i creditori sociali dovranno accontentarsi del patrimonio aziendale e delle eventuali azioni di responsabilità verso gli amministratori.

Esempi pratici di indebitamento e soluzioni

Dopo la lunga disamina teorica, può essere utile vedere come questi principi si applicano in casi concreti. Presentiamo quattro scenari ispirati a situazioni reali di piccole attività nel turismo con problemi debitori, evidenziando le scelte fatte e gli esiti.

Caso 1: Debiti fiscali e rischio ipoteca sull’immobile aziendale

Scenario: La “Tour Bus Toscana di Rossi Mario & C. S.a.s.” è una piccola società familiare di noleggio autobus con conducente, composta da Mario (accomandatario) e sua moglie (accomandante). Nel 2020-2021, a causa del crollo del turismo per la pandemia, l’attività si è quasi fermata. La società ha chiuso i bilanci in perdita e non è riuscita a pagare l’IVA e le ritenute sui compensi di quei due anni, accumulando debiti fiscali per ~€40.000 (IVA, ritenute e IRAP) sfociati in varie cartelle esattoriali ricevute nel 2022. Inoltre ha saltato alcuni contributi INPS per €5.000. Mario, fiducioso in una “pace fiscale”, ha ignorato queste cartelle. Nel frattempo la società possiede un piccolo immobile (un deposito/officina) su cui grava ancora un mutuo ipotecario residuo di €60.000. A metà 2023, con la ripresa, l’attività è tornata in attivo (fatturato 2023 ~€150k), ma le casse restano deboli e i nuovi incassi servono a pagare spese correnti e rate mutuo. Arriva però un preavviso di ipoteca dall’Agenzia Entrate-Riscossione: se entro 30 giorni non pagano €45.000 (tra tributi e more), verrà iscritta ipoteca legale sull’immobile e avviata l’esecuzione immobiliare.

Problema: Debito fiscale e contributivo totale €45k, in gran parte privilegiato. Rischio concreto di pignoramento immobiliare: l’ipoteca Equitalia (seconda grado dopo la banca) preluderebbe a un’asta. L’immobile vale circa €100.000, ma se andasse all’asta coprirebbe a malapena il mutuo ipotecario primario e forse una parte minore del Fisco (visti i ribassi d’asta e le spese). La società non ha liquidità per pagare €45k né può ottenere prestiti aggiuntivi (ha già rating basso e i soci hanno casa personale in comunione, quindi non vogliono ipotecarla).

Soluzione valutata: I soci decidono di affrontare il debito usando la procedura di concordato minore familiare. Essendo la società sotto soglia (ricavi medi < 200k, debiti < 500k), Mario e la moglie – con l’assistenza di un OCC – presentano un unico piano di concordato minore che include sia la società sia loro come co-debitori illimitati (procedura familiare permessa dal CCII ). Propongono di salvare l’immobile: continuare a pagare regolarmente le rate del mutuo alla banca (così l’ipoteca di 1° grado è tutelata) e offrire ai creditori privilegiati residui (Fisco, INPS) e chirografari un pagamento parziale dilazionato. In dettaglio, la proposta prevede: moratoria di 2 anni sul pagamento dei debiti fiscali privilegiati, durante i quali la società paga solo il mutuo; poi, a partire dal 3° anno, versamento di una rata semestrale di €5.000 ai creditori privilegiati per 5 anni (totale €50k, di cui una parte va all’INPS e il resto all’Erario) . Questo importo rappresenta circa il 50% del debito verso Fisco/INPS. I creditori chirografari (pochi fornitori secondari per €10k totali) verrebbero soddisfatti solo simbolicamente al 10% (pagando €1k in 5 anni). In totale, il piano impegna la società a pagare ~€51k su 5-7 anni. L’OCC relazione che: a) il piano è fattibile considerando che l’azienda è tornata in utile e può destinare ~€10k l’anno a debiti passati, riducendo alcune spese; b) la convenienza è rispettata perché in un’alternativa liquidatoria l’Erario ricaverebbe forse €0 dall’immobile (incasserebbe tutto la banca) mentre così ottiene €45k; c) i debitori (Mario e consorte) sono meritevoli, la crisi fu causata da fattori esterni (pandemia) e loro non hanno sottratto beni, anzi mantengono l’attività e pagano il mutuo .

Iter ed esito: Il tribunale ammette il concordato minore e sospende l’esecuzione immobiliare su istanza dei debitori . Viene nominato un commissario (lo stesso OCC). I creditori vengono convocati in adunanza: la banca (ipotecaria) è già soddisfatta dal mantenimento del mutuo (vota a favore), l’INPS vota a favore, l’Agenzia Entrate – sezione Riscossione è titubante ma, vedendo che in caso di fallimento non prenderebbe quasi nulla, vota anch’essa sì (o magari si astiene, che equivale a non bocciare). Si raggiunge così la maggioranza ben oltre il 60%. Nessun creditore fa opposizione. Il tribunale omologa il concordato minore. Da quel momento la società riprende i pagamenti ordinari: continua a pagare mutuo e contributi correnti, e accantona ogni mese una quota per le rate semestrali concordate. L’ipoteca minacciata non viene mai iscritta; se anche fosse stata iscritta prima, il concordato ne prevede la cancellazione a fine piano (perché il credito è soddisfatto secondo l’accordo) . Dopo 5 anni di puntuale esecuzione del piano, Mario e la moglie ottengono il decreto di esdebitazione: tutti i debiti residui verso Fisco, INPS e fornitori che non sono stati pagati nella percentuale concordata vengono definitivamente cancellati . La società esce dalla procedura con l’immobile salvo (ancora con mutuo da terminare, ma gestibile) e con i debiti pregressi azzerati. L’attività, pur ridimensionata, può continuare ed evitare la chiusura.

Commento: Questo caso illustra come un concordato minore possa risolvere situazioni in cui un debitore sotto soglia rischia di perdere beni fondamentali. Senza la procedura, probabilmente l’ipoteca Equitalia sarebbe stata iscritta e si sarebbe arrivati all’asta: la banca avrebbe preso quasi tutto e il Fisco molto poco; la famiglia avrebbe perso il deposito, compromettendo l’attività futura. Con il concordato, invece, si è ottenuto di dilazionare il pagamento delle imposte (cosa che fuori da una procedura sarebbe stata limitata a 6 anni e senza stralcio) e di ridurle al 50%. Interessante notare il ruolo dell’OCC: la sua relazione positiva è stata decisiva per convincere giudice e creditori. L’OCC ha sottolineato che la casa con ipoteca aveva “capienza ridotta” e dunque pagare il 50% a Fisco era meglio di un’asta con ricavo forse del 10-15% . La Cassazione aveva affrontato proprio un caso simile (ord. 4622/2024 cit.) confermando la legittimità di piani con pagamenti dilazionati ai privilegiati oltre l’anno in situazioni del genere – e ciò ha fatto scuola. In sintesi: anche il Fisco può accettare sconti e attese, se gli si dimostra che è la via più conveniente.

Caso 2: Debiti bancari e di fornitori, nessun immobile di proprietà

Scenario: “Viaggi Blu S.r.l.” era una piccola azienda di escursioni turistiche, amministrata dal giovane Luca (37 anni) che ne era anche socio unico. Negli anni passati, per avviare l’attività Luca ha chiesto un prestito bancario di €20.000 (chirografario) e stipulato un contratto di leasing per un minibus 9 posti (valore €30.000). Purtroppo la domanda di tour è stata inferiore alle attese e Luca ha commesso errori di gestione, accumulando anche debiti verso fornitori: €5.000 dovuti a un’agenzia partner e €3.000 a un autonoleggio locale (subappalto occasionale). Nel 2024, di fronte alla crisi di liquidità, Luca ha dovuto chiudere la società (l’ha messa in inattività e sta valutando di cancellarla) e cercare un lavoro dipendente part-time (in un museo, stipendio €900/mese netto). La S.r.l. non possedeva immobili, né ormai veicoli (il leasing è stato risolto per morosità e il lessor ha ripreso il minibus, vendendolo e ricavando però €… e lasciando un debito residuo di €8.000 che reclama a Luca come coobbligato). Non ci sono dipendenti (solo collaboratori saltuari già pagati). Riepilogo debiti: banca €15.000 residui (contratto risolto, decreto ingiuntivo già ottenuto perché Luca non ha fatto opposizione), società di leasing €8.000 (pure con ingiuntivo esecutivo), fornitori €8.000. Totale ~€31.000. Luca aveva fornito alla banca una fideiussione personale sul prestito, quindi ora la banca sta aggredendo lui direttamente. Già due creditori hanno notificato atti di pignoramento presso terzi sul suo stipendio part-time. Luca vive in affitto, possiede solo un’auto utilitaria vecchia (peraltro gravata da fermo amministrativo per una vecchia cartella da €800 non pagata).

Problema: Luca (persona fisica) si ritrova sovraindebitato per oltre €30k, senza beni di valore da liquidare. Ha un piccolo stipendio, sufficiente appena a vivere, sul quale incombono pignoramenti (fino a 1/5, quindi €180/mese). Non possiede casa né patrimonio mobiliare significativo. I decreti ingiuntivi sono definitivi: niente da opporre. Non avendo prospettive di pagare somme rilevanti, l’alternativa è subire per anni il pignoramento sullo stipendio e restare comunque con debiti.

Soluzione valutata: Luca opta per la liquidazione controllata del sovraindebitato. Essendo una persona fisica ex imprenditore sotto soglia, rientra nei soggetti ammessi. L’obiettivo è liberarsi dei debiti in un tempo definito, accettando di mettere a disposizione quel poco che ha. Con l’aiuto di un OCC, presenta ricorso al tribunale. Dichiara tutti i suoi debiti e il (scarso) attivo: qualche arredo usato, un vecchio PC, e l’auto (valore di mercato forse €2.000 ma attualmente inutilizzabile per via del fermo) . Propone di destinare alla massa dei creditori una parte del suo stipendio: benché modesto (€900), si impegna a versarne il quinto (€180) ogni mese per 3 anni, stimando così di contribuire ~€6.500 in totale . Chiede di tenere per sé €720 mensili (il minimo per affitto e sopravvivenza, la compagna lo aiuta con le spese di casa) . Il tribunale apre la liquidazione, nomina un liquidatore e sospende i pignoramenti in corso sullo stipendio (d’ora in poi quei €180 li verserà il liquidatore e non più i singoli creditori, per assicurare la par condicio). Il liquidatore convoca i creditori: vengono ammessi banca €15k (chirografo, perché la fideiussione non è privilegiata), leasing €8k (chirografo), fornitori €8k (chirografi), e Agenzia Entrate-Riscossione €800 (privilegiato per sanzione codice strada). Tenta di vendere l’utilitaria ma nessuno la compra all’asta (anche perché c’è il fermo); a fine procedura forse il giudice autorizzerà Luca a riaverla, dato il valore modesto e l’utilità per cercare un lavoro migliore. L’unico ricavato è quindi dai prelievi sullo stipendio: circa €6.480 accumulati in 36 mesi . Tolte le spese di procedura (€1.000 circa tra compenso liquidatore e notifiche) , restano sui €5.500 per i creditori. Viene fatto un piano di riparto: ogni creditore riceve circa il 18% del proprio credito . Dopo 3 anni, il giudice dichiara chiusa la procedura e contesta che Luca ha rispettato tutti gli obblighi. Di conseguenza, emette il decreto che dichiara inesigibili i debiti residui e libera Luca da ogni obbligazione rimasta (ad eccezione di eventuali multe stradali o simili, ma quelle erano piccole e comunque incluse). Il fermo amministrativo sull’auto viene cancellato, poiché il credito sottostante (gli €800) è rimasto insoddisfatto ma è ora estinto per esdebitazione . Luca torna ad avere la piena disponibilità della sua utilitaria. Soprattutto, il suo stipendio è finalmente libero da pignoramenti e potrà in futuro incrementarlo (cercando magari un full-time) senza timore che vengano a sequestrargli la differenza .

Commento: Questo scenario mostra come la liquidazione controllata consenta una sorta di “mini-fallimento personale” rapido e liberatorio. Luca in 3 anni ha “pagato quel che poteva” (18% circa) e si è tolto di dosso oltre €25k di debiti residui. Se non avesse fatto nulla, avrebbe subito forse un doppio pignoramento sullo stipendio (banca e leasing avrebbero potuto pignorare ciascuno 1/5, anche se di solito la somma dei pignoramenti non supera il 50% del netto). Con €900, magari gli avrebbero preso €180 o anche €270/mese, lasciandogli troppo poco per vivere e costringendolo a insolvenze ulteriori. E comunque avrebbe impiegato più di 3 anni per estinguere €31k di debiti con quei ritmi, sempre che mantenesse il lavoro. Invece, con la procedura: – Ha bloccato tutti i creditori, evitando nuovi decreti o azioni. – Ha concentrato il prelievo in un’unica soluzione sostenibile (€180/mese). – Ha un termine finale certo (36 mesi) oltre il quale i debiti vengono cancellati. – Ha potuto cancellare il fermo e riutilizzare l’auto (utile magari per cercare impiego come autista). – Ha la fedina pulita dal punto di vista economico: può ricominciare senza pendenze (ovviamente difficilmente avrà credito dalle stesse banche e fornitori, ma almeno legalmente è solvibile).

Il caso evidenzia anche che, se Luca fosse stato ancora più povero (zero stipendio, disoccupato totale), avrebbe potuto chiedere la esdebitazione incapiente immediata. Nel suo caso però, avendo un sia pur modesto reddito, il tribunale avrebbe negato l’esdebitazione “a zero” perché c’era capacità di offrire almeno qualcosa . Giustamente la legge vuole che se hai un reddito, ne destini la parte pignorabile ai creditori per 3 anni. Solo chi proprio non ha nulla e nessuna prospettiva può essere esdebitato senza pagare niente.

Questo esempio riflette situazioni comuni post-pandemia: piccoli imprenditori che hanno chiuso e sono rimasti con debiti personali (affitti, banche, leasing) ma con la possibilità di rifarsi una vita lavorando come dipendenti. La liquidazione controllata è stata pensata apposta per queste situazioni di fresh start.

Caso 3: Sovraindebitamento familiare con ipoteca e ripartenza post-crisi

Scenario: Marco e Anna sono marito e moglie, entrambi guide turistiche abilitate. Per anni hanno gestito insieme un piccolo tour operator: formalmente era la ditta individuale di Marco (regime forfettario), con Anna come collaboratrice familiare. Hanno due figli e sono proprietari della casa familiare (appartamento del valore di ~€150k) gravata da un mutuo residuo di €90k. A causa di alcune stagioni deludenti e di spese mediche impreviste, hanno accumulato diversi debiti: oltre al mutuo (le ultime 6 rate non pagate, quindi già €6k in arretrato), hanno debiti verso fornitori per €20k (principalmente hotel e ristoranti a cui non hanno pagato servizi di alloggio/pasti dei loro gruppi) e debiti personali per €10k (carta di credito e bollette arretrate). In totale ~€120k (di cui €90k ipotecari, €30k chirografari). Sono in regola con le imposte correnti grazie al regime fiscale agevolato (forfettario) che riduceva il peso fiscale; non hanno cartelle esattoriali significative. Tuttavia, la banca ha inviato lettera di decadenza dal beneficio del termine per il mutuo e preavviso di esecuzione immobiliare: se non saldano gli arretrati, partirà il pignoramento della casa . I fornitori minacciano decreti ingiuntivi. Marco e Anna comprendono che, con i soli redditi attuali, non riusciranno mai a pagare tutti (l’attività di guida è ripresa ma con guadagni modesti, considerato anche il mercato saturato).

Problema: Sovraindebitamento familiare di ~€120k. Rischio di perdita della prima casa all’asta, dove probabilmente verrebbe liquidata a ~€100k (dopo ribassi e spese) – appena sufficiente a coprire il mutuo ipotecario e lasciando poco ai chirografari. La casa è l’unico bene sostanziale, oltre a un’auto (che serve per lavoro) e pochi risparmi. Non riuscirebbero a ottenere un nuovo prestito per coprire i debiti (già classi di merito compromesse). Devono evitare l’asta immobiliare se vogliono salvare parte del valore.

Soluzione valutata: La famiglia decide di tentare un concordato minore familiare (il CCII consente procedure di sovraindebitamento congiunte per membri dello stesso nucleo ). Con l’aiuto di un OCC elaborano un piano congiunto Marco+Anna. Punto chiave: vendere volontariamente la casa ad un privato, ottenendo un prezzo migliore dell’asta. Infatti trovano un acquirente disposto a pagarla €140k, di cui €90k andranno a estinguere il mutuo e restano €50k puliti per gli altri creditori . Contestualmente, i genitori di Anna offrono alla coppia la possibilità di andare a vivere in una porzione della loro casa senza affitto, così i due coniugi possono trasferirsi lì (mantenendo i figli nella stessa scuola, ecc.). Inoltre, nel piano Marco e Anna si impegnano a versare altri €200/mese per 3 anni ricavati dai futuri guadagni (le prospettive lavorative stanno migliorando, Anna ha trovato un part-time in un’agenzia di viaggi) – questo aggiunge circa €7.200 al fondo creditori. In totale dunque il piano mette a disposizione circa €57k (i 50k della casa + 7k dai redditi). I creditori verrebbero soddisfatti così: fornitori €20k e debiti personali €10k riceverebbero circa il 70% (50k su 30k); la banca già presa integralmente dal ricavato; eventuali piccole spese legali pregresse incluse in quel 70%. L’OCC attesta che l’offerta è estremamente conveniente per i chirografari: anziché nulla (se la banca si fosse presa tutto dalla casa), essi ricevono una buona percentuale. La classe dei chirografari dovrebbe dunque votare a favore. E anche la banca, pur essendo ipotecaria, viene soddisfatta integralmente quindi non si opporrà. Il tribunale ammette il concordato minore familiare; su richiesta, sospende la procedura esecutiva sulla casa (in realtà la famiglia riesce a vendere prima che parta l’asta). All’adunanza dei creditori, la maggioranza approva il piano (soprattutto i fornitori/hotel, felici di recuperare 70 centesimi di euro che altrimenti sarebbero stati persi). Il concordato viene omologato. La casa viene venduta formalmente all’acquirente per €140k, la banca ottiene il suo €90k e rilascia la quietanza di mutuo (quindi niente asta), i restanti €50k entrano nella massa concordataria gestita dall’OCC/commissario. Quest’ultimo, nel corso di 3 anni, ripartisce tali fondi + gli €200 mensili che Marco e Anna versano (monitorati mediante un budget familiare controllato dall’OCC). A fine piano, tutti i creditori concorrenti risultano soddisfatti nella percentuale concordata (70%). Il tribunale dichiara l’adempimento e rilascia ai coniugi la esdebitazione per eventuali spiccioli residui non pagati (ad es. interessi maturati oltre, ma qui non ce ne sono). Marco e Anna, pur avendo perso la proprietà della casa, sono riusciti a evitare il fallimento e a soddisfare onorevolmente i creditori, potendo ora ripartire senza debiti e con un tetto (in affitto dai parenti) in cui abitare.

Commento: Questo caso dimostra come un concordato minore “familiare” possa risolvere efficacemente situazioni complesse con immobili. In pratica la famiglia ha realizzato la propria casa in modo ordinato e ne ha tratto il massimo valore a beneficio dei creditori (il 70% ai chirografari è molto alto in contesti concorsuali). Se si fosse lasciata procedere la banca, probabilmente l’immobile sarebbe stato venduto a meno e i fornitori non avrebbero visto un euro. Invece così tutti hanno ottenuto qualcosa e la famiglia ha evitato sia lo stigma di un fallimento sia di dover fronteggiare ingiunzioni su ingiunzioni. La chiave di volta è stata la vendita volontaria dell’immobile: la legge la incoraggia (è ammessa nel concordato preventivo e minore la vendita fuori asta se approvata dai creditori, art. 84 CCII). Gli acquirenti normalmente pagano più di quanto si ricavi in asta perché evitano lungaggini e incertezze. Ciò dimostra ai debitori che, se si trovano in difficoltà con un immobile, può essere più saggio proporre ai creditori di venderlo privatamente e ripartire i proventi, piuttosto che farsi portar via la casa dal tribunale. Certo, la famiglia qui ha perso la casa, ma l’avrebbe persa comunque con l’asta; con il concordato, l’ha ceduta dignitosamente (magari a un conoscente) e ha potuto anche concordare di rimanere come inquilina per un breve periodo di transizione.

Inoltre, questo esempio mette in luce la possibilità di usare le procedure di gruppo familiare: sono molto utili quando i debiti riguardano più persone legate (con debiti in solido o conti misti). Ha semplificato la vicenda il fatto che non c’erano debiti fiscali rilevanti: se ci fossero stati, si sarebbe dovuta includere anche l’Agenzia Entrate come creditore, ma comunque con la vendita dell’immobile l’Erario avrebbe potuto recuperare anch’esso la sua quota.

Caso 4: Esdebitazione di nullatenente

Scenario: Paolo era un autista turistico che lavorava stagionalmente per varie ditte e d’estate svolgeva anche attività come guida in proprio. Purtroppo, a seguito di problemi di salute e poi del Covid, ha dovuto interrompere l’attività ed è rimasto senza lavoro fisso. Nel frattempo ha accumulato debiti personali: alcuni prestiti al consumo (per un’auto e elettrodomestici) per €15.000 totali, bollette arretrate per €2.000, oltre a multe stradali per €1.000. Non possiede casa (vive ospite da un parente), né auto (ha venduto l’auto anni fa per curarsi e quell’importo è finito ormai). Non ha reddito se non qualche lavoretto saltuario pagato in nero. Il totale dei debiti (~€18k) è fuori dalla sua portata assolutamente. Tutti i creditori lo cercano, gli sono stati notificati decreti ingiuntivi e cartelle, ma Paolo non ha nulla da offrire. La sua condizione di salute precaria gli impedisce di lavorare stabilmente, ha 60 anni e nessun risparmio.

Problema: Sovraindebitamento persona fisica incapiente. Nessun bene liquidabile, nessuna capacità reddituale futura ragionevolmente certa. Continuare così significa restare formalmente debitore a vita, con il rischio che se un domani dovesse percepire una pensione minima, gliela pignorino al quinto.

Soluzione attuata: Paolo ha scoperto, tramite uno sportello dei consumatori, dell’esistenza della procedura di esdebitazione del debitore incapiente (il “fresh start” gratuito). Si è rivolto a un OCC che ha verificato la situazione: effettivamente Paolo è nullatenente e i debiti derivano da sfortune (malattia, pandemia) e non da colpa grave (non ha dilapidato soldi in gioco o lusso, ad esempio). Con l’aiuto dell’OCC, Paolo ha presentato un ricorso ex art. 283 CCII al tribunale, chiedendo di essere liberato da tutti i suoi debiti senza dover pagare nulla . Ha allegato: elenco completo dei debiti con i creditori (finanziarie, utility, Comune per multe), una relazione dell’OCC che attesta la sua incapienza totale e la meritevolezza (ha davvero provato a trovare lavoro, vive con aiuti di amici, non ha nascosto beni), e la documentazione medica e reddituale che prova la sua condizione. I creditori sono stati avvisati dell’udienza: alcuni non si sono nemmeno presentati (sapendo che tanto non c’è nulla da prendere), uno (una finanziaria) si è opposto sostenendo che Paolo in passato aveva fatto spese “non necessarie”. Il giudice, esaminati i fatti, ha rilevato che Paolo non ha colpe gravi: i prestiti li aveva contratti quando aveva ancora prospettive, poi il destino gli ha remato contro; non risultano atti di frode (non ha trasferito beni a parenti, semplicemente non ne aveva). Ha quindi accolto la domanda, emettendo un decreto di esdebitazione che cancella tutti i suoi debiti . Da quel momento, i creditori non possono più esigere nulla da Paolo: ogni procedura in corso viene chiusa. I debiti verso finanziarie e bollette diventano inesigibili. Restano eventualmente in piedi solo le obbligazioni escluse per legge (nel suo caso le multe stradali per €1.000 essendo sanzioni amministrative pecuniarie, che l’art. 282 CCII esclude dall’esdebitazione incapiente ). Tuttavia, essendo importo modesto, Paolo confida che il Comune difficilmente gli farà ulteriore guerra per quelle multe. Il decreto specifica la clausola: se entro 4 anni Paolo dovesse ricevere una somma rilevante (eredità, vincita), dovrà informare il tribunale e pagare i vecchi creditori fino a concorrenza di quanto avuto . Se non lo fa, l’esdebitazione potrà essere revocata. Paolo ovviamente sa che non ci sono all’orizzonte eredità (non ha parenti facoltosi, e comunque l’arco è 4 anni). Ora Paolo è libero dai debiti e può cercare di ricostruire la sua vita: sta valutando di richiedere un sussidio pubblico e di fare qualche lavoro leggero part-time, cosa che prima evitava per timore che gli pignorassero subito il poco guadagno.

Commento: Questo è un esempio lampante dell’utilità sociale dell’esdebitazione incapiente. Un soggetto che altrimenti sarebbe rimasto ai margini (magari tentato dall’economia sommersa per non farsi trovare dai creditori) viene “riabilitato” economicamente. Paolo ora potrà anche cercare di tornare in regola (ad esempio potrà intestarsi di nuovo un’auto, se guadagna abbastanza, senza temere il fermo immediato). La procedura è stata piuttosto veloce e poco costosa: il compenso dell’OCC è fissato in modo ridotto in questi casi (in parte a carico dello Stato se il debitore è povero). I creditori, è vero, ci rimettono tutto – ma è altrettanto vero che non avrebbero comunque mai recuperato nulla da Paolo nemmeno in 100 anni, anzi avrebbero speso in notifiche e ingiunzioni a vuoto. Così invece viene messa una pietra tombale sulla questione, ripulendo il sistema da crediti inesigibili e permettendo al debitore di tornare produttivo (principio della second chance).

Da notare: Paolo è stato attento a dichiarare tutto e a comportarsi onestamente. Se avesse omesso qualche debito o si fosse scoperto che un anno prima aveva regalato 10 mila euro a un parente, il giudice avrebbe negato l’esdebitazione per comportamento in malafede. L’istituto è infatti tarato per situazioni genuine di indigenza, non per furbi. In diversi tribunali italiani già decine di persone hanno ottenuto provvedimenti simili dal 2022 in poi (ci sono notizie di prima esdebitazione incapiente omologata ad esempio a Forlì nel 2022, ecc.), segno che la norma sta funzionando.

In conclusione, i quattro casi mostrano un ventaglio di situazioni e rimedi: – Caso 1: usare un piano per salvare asset (concordato minore per salvare un deposito, con stralcio debiti fiscali). – Caso 2: liquidazione controllata per chiudere in fretta una crisi senza speranza ma con un piccolo reddito, ottenendo esdebitazione. – Caso 3: concordato familiare per gestire un indebitamento con ipoteca, vendendo l’immobile meglio e soddisfacendo i creditori. – Caso 4: esdebitazione “gratis” per chi proprio non può dare nulla.

Ognuno dimostra i principi teorici in azione e può far capire ai debitori che una via d’uscita legale esiste quasi sempre, persino nelle situazioni che paiono disperate.

Tabelle riepilogative finali

Per completare la guida, forniamo due ulteriori tabelle sintetiche su aspetti spesso richiesti:

Tabella 2: Limiti e tutele nel pignoramento dei beni in Italia

Tipo di bene/creditoPignorabilitàRiferimenti normativiNote
Stipendio o salario presso datore di lavoroPignorabile nei limiti di 1/5 (20%) del netto mensile . Se coesistono più pignoramenti (es. uno per crediti ordinari e uno per alimenti) possono cumularsi fino a max il 50% del netto.Art. 545 c.p.c. (commi 3-4) .– La trattenuta viene operata dal datore. <br> – Per crediti alimentari (assegni mantenimento) il giudice può autorizzare fino a 1/3. <br> – Per stipendi molto bassi: impignorabile la parte che rende il netto <1,5 volte l’assegno sociale (~€690 nel 2025). <br> – Cass. 25684/2019: per più pignoramenti, il cumulo non oltre metà stipendio.
Pensione (INPS)Pignorabile nei limiti di 1/5 sulla parte eccedente il minimo vitale (assegno sociale aumentato della metà).Art. 545 c.p.c. (comma 7).– Esempio: pensione netta €1000, minimo vitale ~€690, parte eccedente €310, pignorabile 1/5 di €1000 = €200 max ma non oltre 1/5 di €310 = €62; in pratica si garantisce che resti almeno ~€690 impignorato. (Le regole sono complesse, il minimo impignorabile cambia annualmente).
Conto corrente bancario intestato a debitorePignorabile interamente per saldo presente al momento della notifica, ad eccezione di: se su quel conto viene accreditato lo stipendio/pensione, la somma corrispondente all’ultimo stipendio mensile non ancora prelevato è pignorabile solo nei limiti di 1/5 (stipendi) o del minimo vitale (pensioni).Art. 545 c.p.c. (commi 8-9, introdotti da D.L. 83/2015).– Ciò significa che se sul conto c’è lo stipendio appena versato, il debitore conserva 4/5 di quell’importo; il resto del saldo (risparmi pregressi) è bloccato totalmente. <br> – Dopo il pignoramento, la banca deve dichiarare il saldo. Il G.E. assegna poi le somme al creditore fino a concorrenza del credito.
Conto corrente cointestato a debitore e terziPignorabile limitatamente alla quota di spettanza del debitore (presunzione legale 50% se 2 cointestatari) .Art. 543 c.p.c. (pignoramento presso terzi) e giurisprudenza di legittimità.– Esempio: conto cointestato marito-moglie, saldo €10k, se marito è debitore si presume €5k suoi e si pignora quella quota . Il coniuge non debitore può provare che i fondi erano solo suoi (onere su di lui).
Beni mobili (arredi, strumenti, macchinari) nella disponibilità del debitorePignorabili, salvo eccezioni: <br> – Beni di uso quotidiano e di utilità modesta impignorabili (letto, tavolo da pranzo, frigorifero, cucina, vestiti, etc.) . <br> – Attrezzi e strumenti necessari all’attività professionale del debitore: impignorabili nei limiti di 1/5 del loro valore complessivo, se il resto dei beni non basta .Art. 514 c.p.c. (beni assolutamente impignorabili) e art. 515 c.p.c. (beni relativamente impignorabili) .– Esempio: fotografo con attrezzatura €5000, gli si possono pignorare solo €1000 di beni, lasciandogli il necessario per lavorare . <br> – Se debitore è un’azienda (società): la tutela ex art. 515 per beni strumentali vale per imprenditore persona fisica. Le società non godono di tale limite, anche se in pratica spesso si preferisce non paralizzare totalmente l’azienda; il giudice può nominare custode il debitore per farlo continuare ad usare i beni produttivi .
Veicoli (auto, moto, autobus) di proprietà del debitorePignorabili in via esecutiva (con atto notificato e trascritto al PRA, art. 521-bis c.p.c.) . Inoltre, per crediti fiscali ≥ €1.000, soggetti a fermo amministrativo (blocco uso) disposto dall’ADER .Art. 521-bis c.p.c. (pignoramento mobiliare di veicoli) – Art. 86 DPR 602/1973 (fermo amministrativo) .Pignoramento auto: oggi avviene in gran parte via PEC/PRA senza bisogno di sequestrare fisicamente il mezzo . Il veicolo pignorato non può essere radiato né venduto, e il debitore ne diviene custode in attesa della vendita all’asta (o custode può essere terzo). <br> – Fermo amm.vo: impedisce la circolazione, ma non priva della proprietà. Viene preceduto da preavviso 30 gg . Si risolve pagando il dovuto (anche rateizzando: con la prima rata il fermo è sospeso) . <br> – Tutela veicolo strumentale: se l’auto o il mezzo è essenziale per il lavoro del debitore (es. unico furgone per artigiano), l’ADER non può iscrivere fermo se entro 30 gg dal preavviso il debitore prova l’uso strumentale (istanza annullamento fermo bene strumentale). Inoltre, in sede di pignoramento, il giudice può applicare l’art. 515 c.p.c. analogicamente per lasciare al debitore l’uso del veicolo di lavoro .
Immobili (case, terreni, capannoni)Pignorabili e ipotecabili, salvo divieti di legge per particolari immobili: <br> – Prima casa del debitore: inespropriabile da Agenzia Entrate-Riscossione se: unico immobile di sua proprietà, adibito ad abitazione principale e non di lusso . L’ADER in tal caso può solo ipotecare ma non eseguire espropriazione (DL 69/2013, art. 52). <br> – Altri creditori privati possono pignorare anche la prima casa (non vige per loro il divieto).Art. 76 DPR 602/1973 (limiti espropriazione immobiliare fiscale). – Art. 555 c.p.c. e segg. (espropriazione immobiliare ordinaria).– Il divieto per ADER si applica se il debitore è persona fisica e l’immobile è destinato a uso abitativo proprio. Se ci sono più case, ADER può pignorare quelle non prima casa. <br> – Importo minimo: ADER non espropria immobili se il debito totale < €120.000; può però iscrivere ipoteca sopra €20.000 anche su prima casa (senza eseguire). <br> – Procedura: l’esecuzione immobiliare è complessa e costosa; di solito creditori procedono se valore immobile nettamente > debito. <br> – Immobili strumentali (es. capannone) sono espropriabili; se funzionali ad attività in corso, talvolta il giudice può coordinare con procedure concorsuali.

Tabella 3: Termini di prescrizione ordinaria di alcuni debiti comuni

(Salvo atti interruttivi, che azzerano e fanno decorre un nuovo periodo; “RG” indica se interviene l’art. 2953 c.c. convertendo in 10 anni un titolo di credito giudiziale definitivo.)

Tipo di debitoTermine di prescrizioneNote giurisprudenziali
Imposte statali (IVA, IRPEF, IRAP, ecc.)10 anni dopo notifica cartella esattoriale definitiva (in assenza di ulteriori intimazioni) .Cass. SS.UU. n.23397/2016: i tributi erariali, una volta accertati e non più impugnabili, seguono la prescrizione decennale ordinaria . <br> – Esempio: cartella IRPEF notificata e non contestata, l’ente ha 10 anni per riscuotere coattivamente, dopo di che il debito si estingue se non vi sono stati solleciti.
Tributi locali (IMU, TARI, Bollo auto, ecc.)5 anni (dal momento in cui il tributo è dovuto o dall’atto impositivo definitivo) .Cass. SS.UU. n.23397/2016: i tributi degli enti locali si prescrivono in 5 anni salvo titolo giudiziale . Molti enti locali notificano ingiunzioni (titolo ex RD 639/1910) che se non opposte acquisiscono efficacia di giudicato e allora diventerebbero decennali ex art. 2953 c.c. (RG). <br> – Bollo auto: 3 anni da anno successivo a dovuto (orientamento minoritario), ma prudenza 5 anni equiparato a tassa locale.
Contributi previdenziali (INPS)5 anni (per contribuzioni dovute a decorrere dal 1/1/1996).L. 335/1995 art. 3 co.9 ha ridotto da 10 a 5 anni tutti i crediti per contributi pensionistici. Cass. SS.UU. n.23397/2016 ha confermato natura quinquennale generale . <br> – Eccezione: se il credito contributivo è accertato con sentenza passata in giudicato (es. decreto ingiuntivo non opposto), allora diventa decennale per effetto art. 2953 c.c. (RG).
Sanzioni amministrative (es. multe stradali)5 anni dal momento in cui la sanzione è divenuta titolo esecutivo .– Codice della Strada: multa non pagata → Ordinanza ingiunzione prefetto o ruolo esattoriale → 5 anni da allora se nessun atto interruttivo . Cass. 7066/2016: conferma prescrizione quinquennale per sanzioni CdS.
Prestiti bancari non titolati (mutui, fidi non onorati senza decreto)10 anni (azione di diritto personale ordinaria) .– Attenzione: in caso di mutuo rateale, c’è dibattito se la prescrizione delle singole rate scadute sia 6 mesi (interessi) e 10 anni (capitale) o se, decaduto dal termine, il credito intero prescritto in 10. Cass. 26395/2019: la decadenza dal beneficio del termine rende esigibile l’intero e da lì decorre il decennio. <br> – Se la banca ottiene decreto ingiuntivo e questo passa in giudicato (non opposto), il credito si consolida in titolo giudiziale → prescrizione 10 anni ex 2953 c.c. (RG) .
Interessi e competenze periodiche (es. interessi di mora su credito, canoni periodici di abbonamento)5 anni .Art. 2948 n.4 c.c.: si prescrivono in 5 anni “gli interessi e in generale tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi” . Cass. 36747/2021: conferma che sanzioni tributarie e interessi si prescrivono in 5 anni in quanto obbligazioni periodiche o accessorie .
Forniture commerciali (pagamento fatture tra imprese)5 anni se prestazioni periodiche o continuative; in alcuni casi 10 anni se prestazione isolata non rientrante nell’art. 2948.– Spesso per le forniture di beni e servizi continuativi si applica 5 anni (es. forniture di merce ripetute, somministrazioni). Cass. 1169/1995: fornitura periodica → 5 anni . <br> – Se la fornitura è una tantum e non soggetta a scadenze periodiche, si può argomentare 10 anni. Però la tendenza è considerare molte transazioni commerciali come rapporti d’impresa soggetti a prescrizione breve per uniformità e favor creditoris.
Canoni di locazione (affitti di immobili) e spese condominiali periodiche5 anni.Art. 2948 n.3 c.c.: si prescrivono in 5 anni “le pigioni delle case, i fitti dei beni rustici e ogni altro corrispettivo di locazioni” alle scadenze. Idem per oneri condominiali periodici deliberati.
Assegni di mantenimento (alimenti, contributo coniuge/figli)5 anni per le singole rate scadute.– L’obbligo in sé di mantenimento è imprescrittibile finché dura (diritto periodico permanente), ma le singole mensilità arretrate si prescrivono in 5 anni (art. 2948 n.4 c.c.). <br> – Se c’è un provvedimento giudiziale, ogni rata costituisce titolo esecutivo: la giurisprudenza maggioritaria comunque applica 5 anni alle singole prestazioni (Cass. 14104/2013).
Assegno bancario impagatoAzione cambiaria diretta contro emittente: 6 mesi dalla scadenza presentazione (8 giorni) = ~6 mesi totali. <br> – Azione di regresso contro giranti: 6 mesi dalla scadenza termine presentazione. <br> – Azione causale (ordinaria): 10 anni (rapporto sottostante).– L’assegno è titolo di credito con termini brevissimi: se non si fa protestare entro 6 mesi, si perde l’azione cambiaria di regresso. L’azione diretta contro emittente 6 mesi dal termine presentazione (art. 75 R.D. 1736/33). <br> – Chi non ha potuto riscuotere l’assegno può comunque agire in via ordinaria (causa debendi sottostante) entro 10 anni, ottenendo magari un decreto ingiuntivo (che se non opposto poi prescrive in 10 anni RG). <br> – Segnalazione CAI e protesto: la segnalazione in centrale allarme dura 6 mesi; il protesto resta 5 anni salvo riabilitazione.
Cambiale (pagherò o tratta) impagataAzione cambiaria diretta contro emittente/accettante: 3 anni da scadenza. <br> – Azione di regresso contro giranti/traente: 1 anno da protesto. <br> – Azione causale ordinaria: 10 anni (rapporto sottostante).– Art. 94 R.D. 1669/33 (Legge Cambiaria): la cambiale ha efficacia esecutiva autonoma per 3 anni (diretta) o 1 anno (regresso). Dopo tali termini, il portatore perde l’azione cartolare ma può sempre agire per la causa sottostante (es: prestito non restituito documentato dalla cambiale) con prescrizione decennale ordinaria se applicabile. <br> – Il protesto per mancato pagamento resta pubblicato 5 anni, salvo cancellazione per pagamento/riabilitazione.

Le prescrizioni sopra indicate vanno sempre valutate con attenzione: basta una raccomandata di messa in mora o un atto giudiziario notificato perché il termine si interrompa (art. 2945 c.c.) e inizi a decorrere da capo un nuovo periodo di pari durata . Inoltre alcune prescrizioni possono essere sospese da particolari circostanze (rapporti di famiglia, moratorie di legge, ecc.). Pertanto, chi ritiene prescritto un debito deve esserne certo e, se necessario, far valere l’eccezione in giudizio (la prescrizione non è rilevata d’ufficio, va eccepita dal debitore).

Domande frequenti (FAQ)

Di seguito, alcune domande e risposte comuni per chiarire i dubbi più ricorrenti in tema di debiti di piccole imprese di autobus turistici:

❓ Se la mia società di autobus è sommersa dai debiti, posso evitare il fallimento?
✅ Sì, se l’azienda è di piccole dimensioni (“sotto soglia”), per legge non può essere sottoposta a liquidazione giudiziale (fallimento). In tal caso si possono attivare le procedure da sovraindebitamento (concordato minore, ecc.) invece del fallimento. Anche se l’impresa supera le soglie, il fallimento non è automatico: occorre che un creditore lo richieda e che i debiti scaduti superino €30.000. Inoltre, il fallimento si può evitare ricorrendo per tempo a strumenti come il concordato preventivo o gli accordi di ristrutturazione, che bloccano le istanze dei creditori. Dunque, muovendosi tempestivamente, nella maggior parte dei casi è possibile evitare o sostituire** il fallimento con procedure alternative concordate.

❓ Che cos’è la composizione negoziata e conviene provarla?
La composizione negoziata per la soluzione della crisi è un procedimento volontario e confidenziale in cui l’imprenditore, assistito da un esperto indipendente, tenta di raggiungere accordi con i creditori per risanare l’azienda . Conviene tentarla se la tua impresa ha ancora prospettive di recupero (ad esempio, hai contratti futuri o un mercato in ripresa) ma necessita di tempo e di ristrutturare i debiti. I vantaggi sono: una pausa dalle azioni esecutive (puoi ottenere la sospensione dei pignoramenti dal tribunale ), la possibilità di trattare a porte chiuse con ciascun creditore (magari spuntando sconti o nuove dilazioni), e alcuni benefici di legge (interessi e sanzioni fiscali sospesi durante le trattative ). Se trovi un accordo soddisfacente, puoi concluderlo e riprendere le attività normalmente; se non ci riesci, potrai sempre ripiegare su un concordato semplificato o altre procedure con elementi già predisposti. Dunque, conviene tentar la composizione negoziata quando c’è buona fede e spiraglio di continuità: male che vada, avrai preso tempo e preparato il terreno per la fase successiva.

❓ Possono pignorare gli autobus della mia ditta? E cosa succede con il fermo amministrativo?
Sì, i veicoli aziendali (autobus, minibus, autovetture) sono pignorabili dai creditori muniti di titolo esecutivo. In pratica, il giudice su istanza del creditore notificherà un atto di pignoramento e lo iscriverà al PRA (Pubblico Registro Automobilistico), vincolando il mezzo . Di solito viene lasciato in custodia al debitore fino alla vendita all’asta, ma legalmente non potresti usarlo (pena sanzioni). Inoltre, l’Agenzia Entrate-Riscossione per debiti fiscali sopra €1.000 può imporre il fermo amministrativo sul bus senza passare dal giudice . Il fermo blocca la circolazione: il pullman non può circolare né essere radiato finché non paghi il debito o non lo rateizzi . Tuttavia, c’è una tutela importante: se il veicolo è strumentale all’attività d’impresa, puoi evitare il fermo amministrativo presentando entro 30 giorni dal preavviso un’istanza con prove (contratti, licenze) che quel mezzo è essenziale per lavorare . In tal caso l’ADER per legge non iscrive il fermo. Questa eccezione vale sia per persone fisiche che per società . Anche in sede di pignoramento giudiziale, il giudice può considerare di lasciarti l’uso del mezzo come custode per proseguire l’attività (specie se così aumentano le chance di pagare i creditori) . In sostanza: sì, senza tutele rischi di perdere l’uso dei bus; ma se sono strumentali e ne fai tempestiva richiesta, il fermo si può evitare. Se invece ormai il fermo è attivo, l’unica via è pagare (anche chiedendo rate: con la 1ª rata il fermo viene sospeso ).

❓ Ho già un pignoramento in corso sul conto aziendale: come posso difendermi?
Se un creditore ha pignorato il conto corrente della società (o anche un conto personale collegato), la banca blocca le somme presenti fino a concorrenza del credito pignorato. Per difenderti, le opzioni sono: 1) Verificare la regolarità formale dell’atto di pignoramento: eventuali vizi (es. notifica non corretta) possono essere contestati con opposizione agli atti esecutivi entro 20 giorni. 2) Opposizione all’esecuzione se hai motivi sostanziali (ad esempio il debito non è più dovuto perché hai pagato, o il titolo è invalido): raramente applicabile, ma se c’è un errore sul titolo fallo valere subito. 3) Chiedere la conversione del pignoramento: depositando in tribunale una somma pari al debito + spese, anche a rate (minimo 1/5 subito, resto fino a 18 mesi) . In tal caso il giudice libera il conto e sostituisce ad esso la garanzia del denaro depositato (è però necessario reperire almeno una parte dei fondi: spesso possibile coinvolgendo un parente o socio). 4) Accordo col creditore: puoi contattarlo proponendo un pagamento parziale immediato in cambio della rinuncia al pignoramento (saldo e stralcio). Se accetta, formalizzate l’accordo e il creditore rilascia l’atto di assenso alla cancellazione del pignoramento che consegnerete in banca per sbloccare il conto. 5) Procedura concorsuale protettiva: se il pignoramento è imminente o appena iniziato e stai per avviare una procedura di concordato o sovraindebitamento, sappi che con il decreto di apertura il tribunale dispone il blocco delle azioni esecutive individuali. Potresti quindi ottenere dal giudice una sospensione del pignoramento già in corso nell’attesa della definizione del piano . In pratica: valuta costi-benefici. L’opposizione di solito serve solo se c’è un vizio chiaro; altrimenti meglio negoziare. La conversione è ottima se puoi raccogliere fondi (evita lunghe cause). Le procedure concorsuali sono la scelta se punti a risolvere tutto in modo organico (ma vanno impostate prontamente, non all’ultimo secondo).

❓ I soci della mia S.r.l. rischiano qualcosa con i debiti aziendali?
In linea generale, no: i soci di S.r.l. non rispondono con i propri beni dei debiti sociali . Il loro rischio si limita al capitale versato. Ci sono però eccezioni importanti: 1) Se un socio ha prestato fideiussioni o garanzie personali per debiti sociali (molto comune con le banche), allora è obbligato personalmente in virtù di quel contratto di garanzia: in caso di insolvenza della società, il creditore potrà agire direttamente contro di lui . 2) Se i soci hanno lasciato la società gravemente sottocapitalizzata rispetto all’attività, la giurisprudenza in alcuni casi ha “disapplicato” la personalità giuridica ritenendo i soci responsabili verso i creditori (abuso della forma societaria) . Ciò avviene quando la società è usata come schermo per non pagare: ad es., capitale irrisorio, nessun bene intestato, e i soci di fatto confondono il patrimonio sociale col proprio. Sono casi limite, ma possibili: i giudici possono condannare i soci a pagare se provano che la società era un mero simulacro. 3) Se i soci hanno ricevuto assegnazioni di beni o utili in pregiudizio dei creditori (ad esempio si sono fatti restituire finanziamenti prima che la società pagasse le imposte), possono dover restituire quanto preso. Un esempio codificato: i liquidatori e indirettamente i soci sono responsabili se in liquidazione vengono distribuiti attivi ai soci senza pagare prima le imposte . In tal caso l’Agenzia delle Entrate può emettere avvisi ai soci per farsi pagare imposte rimaste scoperte. 4) In società di persone (S.n.c. o soci accomandatari di S.a.s.), i soci sono personalmente responsabili per legge di tutte le obbligazioni sociali: per loro non c’è scudo, i creditori possono aggredirli in solido con la società . Riassumendo per la S.r.l.: se i soci non hanno garantito e hanno tenuto condotta regolare, non rischiano azioni dirette; se hanno garantito o abusato della S.r.l., allora rischiano cause e azioni revocatorie. In ogni caso, il socio può sempre farsi valere a sua volta verso la società (ad es. se paga un debito sociale garantito, subentra nei diritti del creditore verso la società).

❓ L’amministratore può essere ritenuto personalmente responsabile dei debiti?
Può accadere in certe circostanze. Normalmente, l’amministratore risponde verso la società per mala gestio, non verso i creditori (principio della separatezza). Tuttavia, se la sua cattiva gestione ha pregiudicato il patrimonio sociale e di riflesso i creditori non vengono pagati, scatta l’azione di responsabilità per danno ai creditori sociali (art. 2476 c.c. ult. comma). Ad esempio, un amministratore che continua ad indebitarsi sapendo di essere insolvente e paga solo alcuni soggetti a lui vicini, aggravando il buco, può essere citato dal curatore fallimentare e condannato a risarcire i creditori insoddisfatti . La Cassazione ha ribadito che l’amministratore risponde anche indipendentemente dallo stato formale di insolvenza, se con comportamenti in conflitto di interessi o pagamenti preferenziali indebiti ha leso il patrimonio societario e aggravato la posizione dei creditori . Quindi sì, un amministratore può dover pagare di tasca propria parte dei debiti, se viene accertato che li ha causati lui violando i doveri (diligenza, prudenza, par condicio). Inoltre, se l’amministratore ha omesso atti dovuti – ad es. non ha convocato soci per ricapitalizzare a fronte di perdite gravi – e da ciò è derivato un aumento del passivo, sarà responsabile. Altro caso: se compie illeciti tributari o contributivi, potrebbe avere anche conseguenze penali e di risarcimento verso l’Erario (si pensi all’omesso versamento di ritenute – reato – che comporta spesso che l’amministratore debba pagare il dovuto una volta condannato). In sintesi: l’amministratore diligente che fa il possibile per contenere la crisi di solito non viene chiamato a rispondere personalmente; l’amministratore negligente o infedele invece rischia azioni legali e condanne a rifondere i danni . Perciò, se amministri una piccola impresa in difficoltà, la cosa migliore è agire tempestivamente (non aspettare che i debiti esplodano) e in modo trasparente: attiva le procedure di allerta o concorsuali quando necessario. Così eviterai l’accusa di aver aggravato il dissesto.

❓ Quali debiti non si possono cancellare neanche col fallimento o con l’esdebitazione?
Ci sono alcune categorie di debito che, per legge, non vengono perdonate nemmeno con l’esdebitazione post-fallimento o quella del sovraindebitato. In particolare: obblighi di mantenimento/alimenti, debiti da risarcimento di danni causati da fatto illecito extracontrattuale, multe penali (ammende) e sanzioni amministrative di natura pecuniaria (es. multe stradali) sono esclusi dall’esdebitazione . Significa che, se hai questi debiti, nemmeno dopo il concordato o la liquidazione controllata spariranno automaticamente: resteranno a tuo carico. (Puoi comunque provare a includerli in un piano e pagarne una parte, ma la parte non pagata resterà dovuta). Ad esempio, se hai una condanna a risarcire €50k per aver causato un incidente stradale grave, quel debito non si estingue con il fallimento: il danneggiato potrà perseguirti anche dopo. Stesso dicasi per le multe: se non le paghi per intero, l’esdebitazione non le copre – dovrai negoziare con l’ente o sperare in una prescrizione. Viceversa, quasi tutti gli altri debiti vengono cancellati: debiti fiscali, contributivi, bancari, verso fornitori, ecc., se rientrano in una procedura chiusa regolarmente, vengono spazzati via dal decreto di esdebitazione finale . Nota: l’esdebitazione fallimentare esclude di suo anche i debiti per sanzioni penali pecuniarie e per danni da malafede o colpa grave verso terzi (art. 278 CCII). Inoltre, se il debitore ha commesso reati fallimentari, può essergli negata l’esdebitazione. Insomma, la legge tutela chi è onesto ma sfortunato, non chi ha agito dolosamente. In pratica, i debiti “civili” (contratti, bollette, tasse) sono esdebitabili, mentre i debiti “punitivi” o da responsabilità personale (multe, alimenti, danni da torti) no. Questo per ragioni di ordine pubblico (non puoi liberarti degli obblighi verso i figli o di ciò che devi a una vittima di un tuo illecito).

❓ Dopo aver fatto una procedura di esdebitazione, potrò accedere di nuovo a finanziamenti o lavorare nel settore?
In linea di massima, , ma con qualche riserva pratica. Dal punto di vista legale, una volta ottenuto il decreto di esdebitazione o omologato il concordato, tu non hai più debiti pregressi: quindi, ad esempio, non risulti più protestato per quelle posizioni (eventuali protesti si possono cancellare trascorsi i termini) e i tuoi ex creditori non possono segnalarti come cattivo pagatore su quei importi (perché il debito non è più esigibile). Tuttavia, le informazioni creditizie potrebbero registrare che hai avuto una procedura concorsuale o di sovraindebitamento. Le banche e le finanziarie potrebbero quindi essere più caute nel prestarti soldi in futuro. Non c’è un divieto normativo a concederti credito, ma è probabile che fino a qualche anno dopo la chiusura della procedura tu abbia un rating basso. Col tempo, se dimostri di aver ripreso un’attività redditizia e di gestire bene le finanze, potrai riabilitarti anche agli occhi del credito (ad esempio, ottenendo piccoli prestiti e restituendoli regolarmente). Per quanto riguarda il lavoro nel settore, nessuna norma ti impedisce di continuare l’attività turistica o di aprire una nuova impresa (anzi, lo scopo delle procedure è proprio rimetterti in pista). Solo nel caso di fallimento (liquidazione giudiziale) ci sono temporanei effetti interdittivi: ad esempio, per la durata del fallimento non puoi fare l’imprenditore senza autorizzazione del giudice e vi è l’inabilitazione all’ufficio di amministratore di società per qualche tempo. Ma una volta chiuso e ottenuta l’esdebitazione, queste incapacità cessano . Dunque, potrai benissimo costituire una nuova società di trasporti o lavorare come amministratore per terzi. È chiaro che dovrai riguadagnarti la fiducia: fornitori, clienti e partner commerciali possono essere diffidenti se sanno che hai avuto un’insolvenza. Sta a te ricostruire la reputazione con serietà e mostrando che quella crisi passata è stata superata. In sintesi: dopo la tempesta torna il sereno – la legge ti consente espressamente di ripartire (il Codice della Crisi ha voluto togliere lo stigma del termine “fallito” proprio per favorire il reinserimento ). Molti imprenditori che hanno chiuso in procedura concorsuale poi hanno creato nuove aziende di successo. L’importante è far tesoro degli errori passati e gestire prudentemente la nuova fase.

Fonti e riferimenti (normativa e giurisprudenza):

  • Codice Civile, arti. 2082, 2267, 2291, 2313, 2392-2394, 2476, 2486, 2495, 2901, 2915, 2946-2948, 2953, 545 c.p.c., 514-515 c.p.c., 521-bis c.p.c., 615-617 c.p.c., 495 c.p.c.
  • D.Lgs. 14/2019 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), artt. 2 (definizioni: imprese minori) , 12-25 (composizione negoziata, art. 14 misure premiali) , 24-25-sexies (esiti composizione, concordato semplificato) , 63-69 (piano del consumatore e requisiti) , 74-83 (concordato minore) , 84-120 (concordato preventivo), 121-270 (liquidazione giudiziale), 268-277 (liquidazione controllata sovraindebitati) , 278 (esclusioni esdebitazione: debiti es delicto, alimenti, etc.), 279-283 (esdebitazione persona fisica, debitore incapiente) , 304 (inchiesta soci falliti).
  • Legge 3/2012 (vecchia legge sovraindebitamento, abrogata e assorbita dal CCII), art. 14-quaterdecies (esdebitazione).
  • D.L. 118/2021, conv. L. 147/2021: istituzione composizione negoziata con art. 5-quater e segg. (poi integrata nel CCII).
  • D.P.R. 602/1973 (riscossione tributi), art. 36 (responsabilità liquidatori verso Fisco) , art. 76 e 77 (limiti espropriazione immobiliare prima casa e soglia €120k), art. 86 (fermo amministrativo: comma 1 potere iscrizione , comma 2 esonero beni strumentali , comma 2-bis esonero veicoli disabili ).
  • Cass., Sez. Un. civ. 15/07/2016 n. 23397 – Principio di diritto: prescrizione cartelle esattoriali: tributi erariali 10 anni, contributi INPS 5 anni, tributi locali 5 anni .
  • Cass., Sez. Un. civ. 27/11/2013 n. 26283 – (Est. Rordorf) – Sulla portata dell’art. 2495 c.c.: i creditori insoddisfatti possono agire contro i soci nei limiti di quanto percepito in liquidazione .
  • Cass., Sez. I civ. 21/02/2024 n. 4622 (ord.) – Sovraindebitamento, piano del consumatore: ammissibile moratoria ultrannuale crediti ipotecari se conviene ai creditori . Conferma indirizzo di Cass. 27544/2019 e 17834/2019 sulla dilazione oltre 1 anno purché creditori possano esprimersi .
  • Cass., Sez. I civ. 29/05/2025 n. 14401Liquidazione ex L.3/2012: il credito dell’OCC non si detrae dal ricavato ipotecario (OCC non è creditore privilegiato sugli importi destinati ai creditori ipotecari) .
  • Cass., Sez. Un. civ. 11/05/2012 n. 6070Cancellazione società e debiti tributari: conferma natura solidale sui soci successori ex art. 2495 c.c., ma sospensione efficacia estintiva a fini fiscali 5 anni (ora per legge art. 28 d.lgs. 175/2014) .
  • Cass., Sez. I civ. 14/10/2022 n. 30031 – Principio: l’amministratore Srl risponde per violazione doveri di diligenza e lealtà anche prima dell’insolvenza conclamata, se pagamenti preferenziali o atti in conflitto d’interessi hanno leso il patrimonio sociale e aggravato la posizione dei creditori . (Conferma orientamento su art. 2476 c.c. ult. comma).
  • Cass., Sez. V civ. 19/11/2019 n. 29969 – Sui presupposti responsabilità ex art. 36 DPR 602/73 dei liquidatori verso Erario: natura civilistica sanzionatoria, estesa a tutte le imposte dal 2014 .
  • Cass., Sez. III civ. 23/12/2022 n. 37932 – Legittimazione dei creditori ad agire ex art. 2495 c.c. contro soci anche se non vi sono state ripartizioni in loro favore (interesse ad accertare condotte dei soci) .
  • Cass., Sez. Un. pen. 27/05/2010 n. 1235 – (Imp. Fimiani) – In tema di omesso versamento contributi INPS, afferma responsabilità penale dell’amministratore per omissione dolosa (rileva per eventuale risarcimento danni in sede civile) .
  • Tribunale di Milano, sez. imprese, 15/04/2019Sottocapitalizzazione di S.r.l.s. e responsabilità del socio: ha escluso la responsabilità patrimoniale del socio unico di Srls per debiti sociali in assenza di abusi (caso LRPartners) .
  • Tribunale di Torino, 05/03/2024 n. 573Omesso versamento contributi e responsabilità amministratore condominiale (analogia: afferma principio che amministratore risponde direttamente per omissioni contabili, es. contributi non versati) .
  • Corte di Appello di Ancona, decr. 20/07/2022 – Prima applicazioni dell’esdebitazione del debitore incapiente: concessa a debitore senza beni per circa €25k di debiti (citata in dottrina).
  • Agenzia Entrate-Riscossione – guida “Il fermo amministrativo” (sito ADER, 2022) – spiega procedura e eccezioni fermo per beni strumentali e disabili (Mod. F2 e F3) con moduli .
  • Unioncamere – Portale Composizione Negoziata: linee guida e success stories (2022-2023) [contiene statistiche su casi risolti in settori vari] .
  • Relazione illustrativa D.Lgs. 83/2022 (correttivo CCII): chiarisce ratio misure premiali in composizione negoziata (tutela secondo chance imprenditori).

Gestisci una piccola compagnia di autobus turistici o un’attività di noleggio con conducente (NCC) e ti ritrovi con debiti verso banche, fornitori o Agenzia delle Entrate? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Gestisci una piccola compagnia di autobus turistici o un’attività di noleggio con conducente (NCC) e ti ritrovi con debiti verso banche, fornitori o Agenzia delle Entrate?
Hai mutui o leasing per i mezzi, contributi INPS non versati, cartelle esattoriali o finanziamenti arretrati, e temi pignoramenti, revoche di fidi o la chiusura dell’attività?
👉 Non tutto è perduto: oggi puoi difenderti legalmente, bloccare i creditori, ridurre i debiti e proteggere i tuoi mezzi, grazie agli strumenti del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019).

In questa guida scoprirai perché le piccole compagnie di autobus turistici finiscono in crisi, quali strategie legali puoi adottare, e come salvare o chiudere l’attività in modo ordinato e protetto.


🚌 Perché le compagnie di autobus turistici si indebitano

Il settore dei trasporti turistici è stato fortemente penalizzato negli ultimi anni. Le principali cause di indebitamento sono:

  • Calo dei viaggi e del turismo organizzato, specie dopo la pandemia;
  • Aumenti dei costi di carburante, manutenzione e assicurazioni;
  • Rate di leasing o mutui per autobus troppo alte rispetto agli incassi;
  • Ritardi nei pagamenti da parte di agenzie o enti pubblici;
  • Tassazione e contributi previdenziali elevati;
  • Mancanza di liquidità stagionale nei periodi di bassa domanda.

📌 Tutto questo può portare a debiti fiscali, bancari e commerciali, fino al blocco dei conti, dei veicoli o della licenza di trasporto.


🧾 Tipologie di debiti più comuni nel trasporto turistico

Debiti fiscali e contributivi

  • IVA, IRPEF, INPS, INAIL, TARI, cartelle esattoriali e accertamenti.

Debiti bancari e finanziari

  • Leasing e mutui per autobus, minibus e autocarri.
  • Scoperti di conto o finanziamenti aziendali.

Debiti commerciali

  • Fatture non pagate a fornitori di carburante, officine, gomme, ricambi, agenzie o autisti.

Debiti verso dipendenti e collaboratori

  • Stipendi arretrati, TFR e contributi non versati.

Debiti personali o garanzie fideiussorie

  • Garanzie firmate dal titolare o dai soci per prestiti e leasing aziendali.

⚠️ Cosa rischia una compagnia di autobus indebitata

Se non intervieni in tempo, i creditori possono:

  • pignorare autobus, conti correnti o incassi da agenzie;
  • revocare fidi o leasing, costringendo all’interruzione del servizio;
  • bloccare il rinnovo delle licenze di trasporto;
  • iscrivere ipoteche o avviare azioni legali;
  • compromettere la reputazione dell’azienda nel settore turistico.

👉 Ma oggi la legge ti consente di bloccare subito i creditori, ristrutturare i debiti e salvare o chiudere in modo legale la tua attività, senza fallire.


🧩 Le soluzioni legali per compagnie di autobus con debiti

💠 1. Rinegoziazione dei debiti con banche e fornitori

Con l’assistenza di un avvocato puoi ottenere:

  • saldo e stralcio, pagando solo una parte del debito;
  • rateizzazioni più lunghe e sostenibili;
  • sospensione temporanea dei pagamenti per recuperare liquidità.

👉 È la soluzione ideale per chi vuole continuare a operare e salvaguardare i mezzi e le licenze.


💠 2. Procedura di sovraindebitamento (D.Lgs. 14/2019 – Codice della Crisi)

È la procedura pensata per piccole imprese e ditte individuali.
Consente di:

  • bloccare tutte le azioni esecutive, cartelle e pignoramenti;
  • presentare un piano di pagamento parziale e realistico;
  • ottenere la cancellazione legale dei debiti residui (esdebitazione).

📌 È perfetta per piccole aziende familiari o autotrasportatori indipendenti.


💠 3. Concordato minore (per SRL o società di trasporto)

È la procedura giudiziale che permette di:

  • sospendere pignoramenti e decreti;
  • ridurre i debiti fiscali e bancari;
  • mantenere in attività la società e i contratti in corso.

📌 È la strada giusta per compagnie con più veicoli e dipendenti che vogliono risanarsi.


💠 4. Liquidazione controllata dei beni (ex fallimento personale)

Se l’attività non è più sostenibile, puoi chiudere legalmente e senza fallire, mettendo a disposizione solo i beni non essenziali (autobus non più in uso, magazzino, mezzi obsoleti).
Alla fine della procedura, il Tribunale cancella tutti i debiti residui, permettendoti di ripartire senza pendenze.


💠 5. Verifica e contestazione di cartelle e accertamenti fiscali

Molte cartelle fiscali contengono errori o importi prescritti.
Un avvocato può:

  • controllare la prescrizione (5 o 10 anni);
  • chiedere la sospensione o l’annullamento del debito;
  • ottenere sgravi significativi e riduzione di interessi e sanzioni.

🚌 Cosa fare subito

✅ 1. Raccogli tutti i documenti sui debiti

Prepara cartelle, contratti di leasing, bilanci, mutui, spese di manutenzione e fornitori.

✅ 2. Blocca immediatamente i creditori

Con il deposito di una procedura legale (concordato o sovraindebitamento), tutte le azioni di recupero vengono sospese per legge.

✅ 3. Evita nuovi debiti o accordi non sostenibili

Molte proposte di banche e finanziarie peggiorano la situazione: serve una strategia complessiva e protetta dal Tribunale.


📋 Documenti utili per la difesa

  • Documento d’identità e codice fiscale del titolare o amministratore.
  • Visura camerale e bilanci societari.
  • Dichiarazioni fiscali e posizione INPS/INAIL.
  • Contratti di leasing, mutui e finanziamenti.
  • Cartelle esattoriali e accertamenti fiscali.
  • Elenco clienti, agenzie e contratti di trasporto.
  • Elenco fornitori, officine e spese di gestione.

⏱️ Tempi e risultati possibili

  • Analisi e strategia legale: 1–3 settimane.
  • Deposito della procedura: 1–2 mesi.
  • Blocco dei creditori: immediato con il deposito.
  • Durata del piano di rientro: da 1 a 5 anni.

🎯 Risultati concreti:

  • Stop a pignoramenti, cartelle e sequestri dei mezzi.
  • Riduzione o cancellazione legale dei debiti residui.
  • Tutela delle licenze e dei veicoli indispensabili per lavorare.
  • Ripartenza economica e reputazionale.

⚖️ I vantaggi principali

✅ Blocco immediato di pignoramenti e riscossioni.
✅ Riduzione del debito fino all’80%.
✅ Tutela dei mezzi di trasporto indispensabili.
✅ Continuità aziendale o chiusura legale senza fallimento.
✅ Ripartenza economica e professionale pulita.


🚫 Errori da evitare

  • Ignorare cartelle o notifiche fiscali.
  • Accumulare nuovi debiti per pagare quelli vecchi.
  • Firmare piani di rientro non sostenibili.
  • Vendere autobus o beni senza assistenza legale.
  • Rivolgerti a “consulenti del debito” non avvocati o non qualificati.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

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📌 Ti consiglia la soluzione più adatta: rinegoziazione, concordato, sovraindebitamento o liquidazione controllata.
✍️ Redige e deposita il piano in Tribunale per bloccare subito i creditori.
⚖️ Ti rappresenta nei rapporti con Agenzia delle Entrate, banche, fornitori e dipendenti.
🔁 Ti assiste fino alla cancellazione totale dei debiti o alla ristrutturazione completa dell’attività di trasporto.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in diritto commerciale, tributario e crisi d’impresa.
✔️ Specializzato nella difesa di imprese di trasporto turistico e logistica con debiti fiscali e bancari.
✔️ Gestore della crisi da sovraindebitamento iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Essere una piccola compagnia di autobus turistici con debiti non significa dover fermare la corsa.
Con una difesa legale mirata e tempestiva, puoi bloccare i creditori, ridurre drasticamente i debiti e continuare a lavorare o chiudere in modo protetto.
Il Codice della Crisi d’Impresa tutela oggi chi agisce con trasparenza e vuole davvero ripartire senza più pesi economici.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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