Cooperativa Di Facchinaggio Con Debiti: Cosa Fare E Come Difendersi

Gestisci una cooperativa di facchinaggio o servizi logistici e ti trovi in difficoltà economica a causa di debiti con il Fisco, l’INPS, i fornitori o le banche? È una situazione sempre più frequente nel settore dei servizi e della movimentazione merci, dove la concorrenza, i margini ridotti e i ritardi nei pagamenti mettono in crisi anche le realtà più solide. Quando si accumulano cartelle esattoriali, contributi arretrati o rate di finanziamenti non pagate, la sopravvivenza della cooperativa e dei soci lavoratori è seriamente a rischio. La buona notizia è che la legge offre strumenti legali per gestire, rateizzare o cancellare i debiti, proteggendo la cooperativa e il patrimonio dei suoi amministratori.

Perché molte cooperative di facchinaggio si indebitano

Le cooperative di facchinaggio operano in un settore ad alta intensità di manodopera, con costi fissi elevati per il personale, i mezzi e la sicurezza sul lavoro. I contratti con appalti pubblici o privati spesso prevedono tempi di pagamento molto lunghi, mentre tasse, contributi e stipendi devono essere versati immediatamente. A ciò si aggiungono gli aumenti dei costi di carburante, manutenzione dei veicoli e assicurazioni. Quando la liquidità viene meno, i debiti fiscali e previdenziali si accumulano rapidamente, e gli interessi e le sanzioni aggravano ulteriormente la situazione.

Cosa succede se non paghi tasse o contributi

Se la cooperativa non versa imposte o contributi, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione e gli enti previdenziali possono avviare azioni di recupero forzato. Le più comuni sono la notifica di cartelle esattoriali, pignoramenti dei conti correnti, fermi amministrativi sui veicoli aziendali, ipoteche sugli immobili e sequestri dei crediti verso clienti o appaltatori. Gli importi crescono nel tempo per effetto di sanzioni e interessi. In alcuni casi, se viene accertata una gestione irregolare, gli amministratori o i soci responsabili possono essere chiamati a rispondere personalmente dei debiti della cooperativa.

Cosa fare subito se la tua cooperativa ha debiti

Il primo passo è conoscere esattamente la situazione debitoria. Richiedi all’Agenzia delle Entrate-Riscossione l’estratto di ruolo aggiornato per verificare l’entità e la natura dei debiti. Successivamente, controlla la validità delle cartelle: molte contengono errori di notifica, somme prescritte o importi non dovuti che un avvocato può impugnare. Se il debito è corretto, puoi chiedere la rateizzazione fino a 120 rate mensili, sospendendo nel frattempo le azioni di riscossione. È importante anche verificare se è disponibile una definizione agevolata (rottamazione), che permette di pagare solo il capitale, eliminando sanzioni e interessi. In caso di pignoramenti o ipoteche già avviate, un ricorso o un’istanza di autotutela può sospendere immediatamente le procedure esecutive.

Le soluzioni legali per chi non riesce più a pagare

Se la cooperativa non riesce più a far fronte ai debiti, puoi accedere alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, prevista dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019). È uno strumento legale che consente di bloccare pignoramenti e azioni dei creditori, presentare un piano di rientro sostenibile e ottenere la cancellazione totale o parziale dei debiti residui (esdebitazione). Si tratta di una procedura riconosciuta dai tribunali italiani, pensata per le piccole imprese e le cooperative che vogliono risanarsi o chiudere in modo ordinato, senza lasciare pendenze fiscali o contributive.

Come difendersi da banche, fornitori e finanziarie

Molte cooperative di facchinaggio si trovano indebitate anche con banche o fornitori di mezzi e attrezzature. In questi casi puoi chiedere la rinegoziazione dei finanziamenti, la sospensione temporanea delle rate o proporre un saldo e stralcio per chiudere le posizioni a un importo ridotto. È anche possibile verificare la presenza di clausole abusive o tassi usurari nei contratti e impugnare decreti ingiuntivi o pignoramenti entro i termini di legge. Un avvocato esperto può assisterti nelle trattative con banche e creditori, salvaguardando i beni aziendali e garantendo la continuità del lavoro per i soci.

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace

Con una strategia legale ben pianificata puoi ottenere risultati concreti: sospendere i pignoramenti e le azioni esecutive, rateizzare o cancellare i debiti fiscali e contributivi, proteggere i beni aziendali e personali e mantenere attiva la cooperativa. In molti casi è possibile ristrutturare l’attività, preservando i contratti di appalto e la forza lavoro, e ripartire con una gestione più sostenibile.

Quando rivolgersi a un avvocato esperto

Devi rivolgerti a un avvocato se la tua cooperativa ha ricevuto cartelle o intimazioni di pagamento, se i debiti fiscali o bancari sono diventati insostenibili o se rischi la chiusura dell’attività. Un avvocato esperto in diritto tributario e crisi d’impresa può verificare la legittimità degli atti, bloccare la riscossione e accompagnarti nella procedura di esdebitazione fino alla cancellazione definitiva dei debiti. Agire in tempo è fondamentale per salvare la tua cooperativa e tutelare i soci lavoratori.

⚠️ Attenzione: ignorare cartelle o avvisi di pagamento può portare rapidamente a pignoramenti, sequestri e blocchi operativi. Intervenire subito è l’unico modo per salvare la tua attività e difendere il lavoro dei soci.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, riscossione e tutela delle imprese cooperative – spiega cosa fare se gestisci una cooperativa di facchinaggio con debiti, come bloccare la riscossione e come cancellare legalmente le somme dovute grazie agli strumenti previsti dalla legge.

👉 Hai debiti fiscali, contributivi o bancari che mettono a rischio la tua cooperativa di facchinaggio?
Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo la tua situazione, verificheremo le possibilità di rateizzazione o esdebitazione e costruiremo una strategia legale personalizzata per proteggere la tua attività, i beni della cooperativa e liberarti definitivamente dai debiti.

Introduzione

Le cooperative di facchinaggio (imprese specializzate in movimentazione merci, logistica, traslochi e servizi affini) possono trovarsi in grave difficoltà finanziaria a seguito di eventi avversi. Si pensi al caso di una cooperativa che, a causa di insolvenze di clienti committenti, del calo di lavoro in periodi di crisi (es. pandemia) o di altri problemi gestionali, accumula debiti verso il fisco, gli enti previdenziali, i fornitori e magari anche verso i propri soci lavoratori. Dal punto di vista del debitore (cioè della cooperativa stessa e dei suoi amministratori), è fondamentale conoscere quali strumenti offre l’ordinamento italiano per difendersi dai debiti: in altre parole, come gestire la crisi, evitare (quando possibile) azioni esecutive dei creditori e cercare di ottenere un risanamento o – nei casi estremi – l’esdebitazione (cancellazione dei debiti residui) .

Questa guida avanzata (aggiornata a settembre 2025 in base alla normativa vigente) esamina in modo approfondito ma con linguaggio accessibile le soluzioni legali per una cooperativa di facchinaggio sovraindebitata. Verranno analizzati i vari tipi di debiti che tipicamente gravano su tali imprese e le relative tutele (debiti fiscali, contributivi verso INPS/INAIL, debiti bancari, commerciali, verso dipendenti o soci lavoratori, ecc.), evidenziando i privilegi e le conseguenze specifiche di ciascuno in caso di insolvenza . Si illustreranno quindi i rischi per la cooperativa e per i suoi amministratori se la crisi non viene gestita: dalle azioni esecutive individuali dei creditori (pignoramenti, ipoteche, fermi amministrativi) alle istanze di fallimento (oggi liquidazione giudiziale) o di liquidazione coatta amministrativa, fino alle possibili responsabilità personali e penali a carico degli amministratori stessi .

Successivamente, la guida presenta gli strumenti stragiudiziali (negoziali) per la gestione della crisi: ad esempio le trattative private per accordi di saldo e stralcio con i creditori, la richiesta di rateizzazioni o di definizioni agevolate per i debiti fiscali e contributivi (come le “rottamazioni” delle cartelle), i piani attestati di risanamento e la nuova procedura di composizione negoziata della crisi d’impresa introdotta nel 2021 (ora disciplinata dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza) . Verranno poi descritte le procedure concorsuali giudiziarie disponibili per regolare la crisi di una cooperativa indebitata, distinguendo tra imprese fallibili (assoggettabili alla liquidazione giudiziale ex fallimento, al concordato preventivo o agli accordi di ristrutturazione dei debiti) e soggetti non fallibili (procedure di sovraindebitamento destinate ai debitori minori, come il concordato minore e la liquidazione controllata) . In tale contesto si evidenzieranno i requisiti di accesso, l’iter e gli effetti di ciascuna procedura, nonché il ruolo dell’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) e il beneficio del blocco delle azioni esecutive durante queste procedure.

Un capitolo sarà dedicato all’esdebitazione e al “fresh start” del debitore insolvente: vedremo come funziona la liberazione dai debiti residui per l’imprenditore meritevole, sia nelle procedure ordinarie sia in quelle di sovraindebitamento, con attenzione alle novità introdotte dal Codice della Crisi (ad esempio l’esdebitazione del debitore incapiente ex art. 283 CCII, la cosiddetta esdebitazione a costo zero per il debitore persona fisica privo di patrimonio) . A tal proposito si citeranno le più recenti sentenze della Corte di Cassazione (2023-2025) che hanno rafforzato il principio del favor debitoris nell’interpretazione di queste norme, facilitando l’accesso alla liberazione dai debiti .

Per facilitare la comprensione, sono inoltre fornite tabelle riepilogative che confrontano le diverse procedure (chi vi può accedere, maggioranze richieste, effetti sui debiti, vantaggi e svantaggi) e sintetizzano i diversi tipi di credito (privilegi, trattamento nei piani di ristrutturazione, percentuali tipiche di soddisfazione) . Sono inclusi anche esempi pratici tratti da casi reali o realistici riguardanti cooperative/imprese di facchinaggio in crisi, con l’indicazione di come ciascuna situazione può essere affrontata con gli strumenti disponibili . Infine, una sezione di domande frequenti (FAQ) fornisce risposte chiare ai dubbi più comuni: ad esempio cosa rischia l’amministratore se non paga i debiti, se è possibile evitare il fallimento, come sono trattati i debiti fiscali e contributivi in un concordato, se e come si può proseguire l’attività durante le procedure, quante volte si può ottenere un’esdebitazione, ecc.

Nota bene: ogni situazione di crisi ha le sue peculiarità; questa guida offre una panoramica generale e non sostituisce il parere di un professionista rispetto al caso concreto . Tuttavia, conoscere in anticipo diritti, doveri e opportunità consente agli amministratori della cooperativa di agire tempestivamente, evitando errori comuni (come procrastinare fino a rendere irreversibile il dissesto) e sfruttando al meglio gli strumenti di legge per uscire dall’indebitamento, salvare l’impresa ove possibile o quantomeno ripartire da zero dopo una liquidazione. Nei paragrafi che seguono, analizziamo in dettaglio tutti questi aspetti dal punto di vista del debitore, ossia della cooperativa indebitata e dei suoi organi amministrativi.

Tipologie di debiti di una cooperativa di facchinaggio e relative conseguenze

Una corretta strategia di difesa parte dall’analisi dei debiti della cooperativa, poiché non tutti i creditori sono uguali. Alcune categorie di crediti godono di privilegi o tutele particolari e certe esposizioni debitorie comportano conseguenze più gravi di altre in caso di inadempimento . Di seguito esaminiamo le principali tipologie di debito che tipicamente gravano su una cooperativa di facchinaggio e cosa accade se tali debiti non vengono onorati.

Debiti tributari verso Erario ed enti locali

I debiti fiscali comprendono le imposte dovute all’Erario (IVA, IRES/IRPEF, IRAP, ritenute fiscali su stipendi, ecc.), le imposte locali (IMU, TARI, ecc.), oltre ad eventuali sanzioni amministrative comminate da enti pubblici. Questi debiti sono spesso tra i più gravosi perché la loro riscossione è affidata a un ente pubblico – oggi l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ADER), ex Equitalia – dotato di poteri coercitivi particolarmente incisivi. In caso di mancato pagamento spontaneo, dopo gli avvisi di accertamento e la successiva iscrizione a ruolo, viene notificata una cartella esattoriale di pagamento; decorsi i termini senza che il debitore paghi né presenti impugnazione, il creditore pubblico può attivare le procedure esecutive senza bisogno di un ulteriore giudizio. Le azioni tipiche includono: iscrizione di ipoteca su immobili, fermo amministrativo su veicoli, pignoramento dei conti correnti societari, di crediti verso terzi (es. crediti che la cooperativa vanta verso i propri clienti) e pignoramento di macchinari o altri beni aziendali, fino all’eventuale espropriazione immobiliare. Inoltre, in presenza di rilevanti violazioni tributarie, la cooperativa potrebbe vedersi preclusa la partecipazione a gare pubbliche o la possibilità di ottenere certificati di regolarità fiscale, con gravi ripercussioni sull’attività.

Dal punto di vista concorsuale, i crediti tributari vantano spesso cause di prelazione: ad esempio l’IVA è un credito privilegiato (in quanto imposta indiretta “di rivalsa”), e in generale i tributi erariali, se insinuati in una procedura fallimentare o liquidatoria, sono classificati tra i crediti privilegiati o prededucibili a seconda dei casi . Significa che, in caso di liquidazione del patrimonio, lo Stato viene soddisfatto prima dei creditori chirografari (cioè quelli senza privilegio). Questo può ridurre significativamente le prospettive di soddisfacimento degli altri creditori se il Fisco assorbe la maggior parte dell’attivo disponibile.

Come difendersi da un debito fiscale? In primo luogo, va valutata la possibilità di accedere a strumenti di definizione agevolata introdotti dal legislatore negli ultimi anni. Ad esempio, sono state più volte previste le cosiddette “rottamazioni” delle cartelle esattoriali, procedure che consentono di pagare il debito iscritto a ruolo in forma dilazionata e con l’abbuono di sanzioni e interessi di mora. La cooperativa indebitata dovrebbe verificare se rientra in qualche finestra di definizione agevolata attiva (nel 2023 vi è stata la rottamazione-quater per i carichi fino al 2017). In mancanza di rottamazioni, resta sempre aperta la possibilità di chiedere all’ADER una rateizzazione ordinaria: ad esempio, un’impresa in temporanea difficoltà finanziaria può ottenere un piano fino a 72 rate mensili (6 anni) o, in casi particolari, fino a 120 rate (10 anni) . La concessione della dilazione (che richiede il rispetto di alcuni requisiti e il pagamento puntuale delle rate) comporta la sospensione delle azioni esecutive da parte dell’ADER, permettendo di evitare pignoramenti fintanto che il piano rateale è rispettato.

Oltre alla dilazione, è possibile valutare l’impugnazione degli atti impositivi o della cartella, se vi sono motivi di contestazione nel merito o vizi formali. Ad esempio, se la cooperativa ritiene infondato un avviso di accertamento fiscale (magari perché le viene contestata indebitamente un’IVA non versata o costi non deducibili), può proporre ricorso innanzi alla Commissione Tributaria competente entro 60 giorni dalla notifica dell’atto, chiedendone l’annullamento (eventualmente previa istanza di sospensione per bloccare nel frattempo la riscossione). Se invece il primo atto ricevuto è una cartella esattoriale derivante da un accertamento definitivo, si potranno valutare eventuali vizi propri della cartella (errori di notifica, prescrizione del credito, ecc.) da far valere sempre con ricorso tributario. In generale, il contenzioso tributario è uno strumento di difesa che va ponderato con l’aiuto di un tributarista, considerando costi e benefici: spesso infatti può essere più proficuo aderire a una definizione agevolata o transazione fiscale (nell’ambito di procedure concorsuali) piuttosto che intraprendere lunghi ricorsi se il debito è effettivamente dovuto.

Infine, va ricordato che alcuni debiti tributari possono comportare responsabilità personali o penali per gli amministratori se non vengono versati. In particolare, l’omesso versamento dell’IVA per importi superiori a una certa soglia (attualmente €250.000 annui, soglia ridotta a €150.000 per periodi d’imposta successivi al 2020) è considerato reato tributario punito con la reclusione (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000). Parimenti, l’omesso versamento di ritenute fiscali certificate (le trattenute operate sulle retribuzioni dei soci lavoratori/dipendenti) oltre la soglia di €150.000 annui integra reato (art. 10-bis D.Lgs. 74/2000). Questi profili saranno discussi più avanti parlando della responsabilità degli amministratori, ma è importante sottolineare che la cooperativa e i suoi gestori devono dare priorità ai versamenti fiscali dovuti, onde evitare di incorrere in sanzioni severe. In caso di crisi di liquidità, esistono strumenti come il ravvedimento operoso o le stesse procedure concorsuali/negotiative per trattare con il Fisco, piuttosto che lasciare impagate imposte “sensibili” come IVA e ritenute.

Debiti contributivi e previdenziali (INPS, INAIL, ecc.)

Le cooperative di facchinaggio, in quanto datori di lavoro dei soci lavoratori e di eventuali dipendenti, possono accumulare debiti contributivi verso enti previdenziali come l’INPS (contributi pensionistici e assistenziali) e l’INAIL (premi assicurativi contro gli infortuni sul lavoro). Tali debiti sorgono tipicamente quando la cooperativa non versa regolarmente i contributi dovuti sulle retribuzioni (o sui compensi ai soci lavoratori) o omette il versamento dei premi assicurativi obbligatori. Anche i contributi previdenziali godono, in caso di insolvenza, di privilegio generale sui mobili del debitore e devono essere soddisfatti con priorità rispetto ai crediti chirografari; i crediti per contributi INPS sono equiparati, per rango, ai crediti tributari erariali e concorrono anch’essi a ridurre l’attivo disponibile per gli altri creditori in una liquidazione.

Dal lato del recupero coattivo, l’INPS oggi procede tramite la notifica di un avviso di addebito immediatamente esecutivo (titolo equiparato alla cartella esattoriale) al quale, in mancanza di pagamento, seguono le medesime azioni esecutive attivate da ADER (Agenzia Entrate-Riscossione). Dunque, se la cooperativa non paga i contributi, può subire pignoramenti, ipoteche e fermi amministrativi in tempi anche più rapidi, poiché per legge l’INPS non ha bisogno di una sentenza per esigere il dovuto. Esiste uno specifico obbligo per la cooperativa di dotarsi di un Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC); se essa risulta non in regola con i versamenti contributivi, il DURC viene negato, con la conseguenza che la cooperativa non può partecipare a gare pubbliche o subisce il blocco dei pagamenti da parte dei committenti pubblici. Ciò rende il debito verso INPS/INAIL particolarmente critico, perché la perdita del DURC può impedire alla cooperativa di facchinaggio di ottenere nuovi appalti o perfino di proseguire contratti in corso, aggravando ulteriormente la crisi di liquidità.

Come difendersi dai debiti contributivi? Anche in questo caso, sono previsti strumenti di rateizzazione del debito. L’INPS consente al datore di lavoro in difficoltà di chiedere un piano di dilazione amministrativa del debito contributivo prima che questo sia affidato all’Agente della Riscossione. Ad esempio, la normativa consente (in presenza di comprovate esigenze) di ripagare i contributi arretrati fino a 24 rate mensili, prorogabili in alcuni casi. Se il debito è già in fase di riscossione tramite ADER, valgono le stesse considerazioni fatte per i debiti fiscali: la cooperativa potrà accedere a rateizzazioni presso ADER (che cumulano imposte e contributi) e alle eventuali definizioni agevolate delle cartelle, che spesso includono anche i contributi previdenziali (con lo stralcio di sanzioni civili). Va ricordato che non versare i contributi INPS può comportare, oltre alle sanzioni amministrative, anche conseguenze penali: l’omesso versamento delle ritenute previdenziali (la quota trattenuta al lavoratore) per un importo superiore a €10.000 annui costituisce reato ai sensi dell’art. 2, co.1-bis, D.L. 463/1983 (conv. in L. 638/1983), punito con la reclusione fino a 3 anni e multa【21†】. Sotto tale soglia resta una sanzione amministrativa pecuniaria, ma il superamento rende il legale rappresentante perseguibile penalmente. La Corte di Cassazione ha chiarito, peraltro, che lo stato di crisi di liquidità della cooperativa non esime l’amministratore dalla responsabilità penale: la grave difficoltà economica non costituisce di per sé causa di forza maggiore idonea a giustificare il mancato versamento dei contributi dovuti . Dunque, gli amministratori di una cooperativa devono prestare la massima attenzione a questi adempimenti: in situazioni di crisi, può essere opportuno avviare tempestivamente un dialogo con l’INPS, magari tramite richiesta di rateazione o presentazione di un piano di risanamento del debito contributivo. In caso di contestazioni dell’ente (verbali ispettivi che addebitano differenze contributive per qualificazione di rapporti di lavoro, applicazione di un diverso CCNL, ecc.), la cooperativa ha la facoltà di presentare ricorso amministrativo ai comitati INPS competenti e successivamente, se necessario, adire il Tribunale (Sezione Lavoro). Ad esempio, una cooperativa potrebbe contestare un verbale che ridetermina le contribuzioni sostenendo che i soci non andavano iscritti a una certa gestione, o che l’INPS ha computato importi prescritti; tali questioni tecniche vanno affrontate in sede giudiziale (ricorso ex art. 442 c.p.c. al tribunale del lavoro) entro 40 giorni dalla notifica dell’avviso di addebito . Impugnare nei termini gli atti contributivi permette almeno di guadagnare tempo (l’esecuzione viene sospesa in attesa della sentenza) e, se vi sono errori dell’ente, di ridurre o annullare il debito.

Un altro aspetto importante è che i crediti contributivi godono, come quelli erariali, di privilegi nel caso in cui la cooperativa acceda a una procedura concorsuale. Nelle procedure di concordato preventivo, ad esempio, i crediti INPS/INAIL privilegiati vanno normalmente soddisfatti integralmente, salvo che l’ente previdenziale aderisca a una transazione accettando una falcidia (riduzione) o dilazione. Nelle procedure di sovraindebitamento (concordato minore), recenti orientamenti giurisprudenziali hanno ammesso la possibilità di dilazionare il pagamento dei crediti contributivi privilegiati oltre l’anno previsto dalla legge, purché all’INPS sia riconosciuto il diritto di voto sulla proposta e quindi la possibilità di approvare tale trattamento . Ciò significa che, se ben negoziato e motivato, persino un debito contributivo privilegiato potrebbe essere ristrutturato in sede concorsuale, pagando ad esempio solo una parte subito e il resto in più anni, se l’ente è d’accordo e ritiene la proposta più vantaggiosa della liquidazione.

Debiti verso fornitori e banche (debiti commerciali e finanziari)

Le cooperative di facchinaggio, come tutte le imprese, possono avere debiti verso fornitori di beni e servizi (es. forniture di carburante, noleggio di mezzi e attrezzature, consulenze, affitti di magazzini, ecc.) e debiti bancari o verso società di leasing/finanziamento (per prestiti ottenuti, scoperti di conto corrente, leasing di automezzi e macchinari, ecc.). Questi crediti rientrano tra i debiti chirografari, ossia non privilegiati, a meno che il creditore non sia assistito da particolari garanzie contrattuali (ad esempio, una banca potrebbe avere un pegno su un bene mobile o un ipoteca su un immobile della cooperativa, oppure un fornitore potrebbe essere garantito da una fideiussione personale di un socio/amministratore). In assenza di garanzie, i fornitori e le banche sono creditori chirografari e, in caso di insolvenza, verranno soddisfatti solo dopo che siano stati pagati integralmente i creditori privilegiati (Fisco, INPS, dipendenti per le retribuzioni, ecc.). Di conseguenza, se la situazione debitoria della cooperativa è grave, spesso i creditori commerciali/finanziari rischiano di recuperare solo una minima parte del loro credito.

Sul piano extragiudiziale, i fornitori possono reagire al mancato pagamento sospendendo le forniture o risolvendo i contratti per inadempimento, aggravando così la crisi (es. mancanza di carburante o attrezzature blocca le attività di facchinaggio). Le banche, da parte loro, potrebbero revocare gli affidamenti concessi (fidi di cassa, anticipi fatture) o segnalare la cooperativa in centrale rischi se i ritardi superano certi limiti. Inoltre, i crediti di banche e fornitori possono dar luogo a decreti ingiuntivi e successivi pignoramenti se non si trova un accordo. A differenza dei crediti pubblici, però, i creditori privati devono ottenere un titolo esecutivo dal giudice (decreto ingiuntivo o sentenza) prima di pignorare i beni della cooperativa. Ciò significa che generalmente c’è uno spazio temporale utile a negoziare: spesso una cooperativa in difficoltà può concordare con i fornitori un piano di rientro (dilazionando i pagamenti dovuti) o, in casi estremi, un accordo transattivo a saldo e stralcio (pagando una percentuale ridotta a fronte dell’immediato incasso, il creditore rinuncia al resto). Tali accordi stragiudiziali vanno formalizzati con attenzione (meglio con l’ausilio di un legale) e rispettati scrupolosamente per evitare di far precipitare il creditore in azioni esecutive.

Per quanto riguarda le banche, esse potrebbero acconsentire a rinegoziare i finanziamenti (ad esempio estendendo le scadenze dei mutui, concedendo periodi di pre-ammortamento o abbassando temporaneamente le rate) se la cooperativa presenta un piano credibile di rilancio. In altri casi, se la cooperativa ha esposizioni rilevanti e garanzie limitate, la banca potrebbe preferire escutere subito eventuali fideiussioni personali (molto spesso i soci o amministratori di piccole cooperative prestano garanzie personali sui debiti bancari) o realizzare le garanzie reali (vendendo il bene dato in pegno/ipoteca) piuttosto che attendere una ristrutturazione. Anche qui, l’arma negoziale principale è la prospettiva concorsuale: se la cooperativa minaccia di dover ricorrere a un concordato o liquidazione, la banca sa che rischierebbe di recuperare ben poco (come chirografaria) e potrebbe quindi essere disponibile a trattare una soluzione transattiva più vantaggiosa del fallimento.

In caso di procedure concorsuali, i debiti verso fornitori e banche (chirografari) sono quelli che subiscono le maggiori decurtazioni: ad esempio, in un concordato preventivo liquidatorio è frequente che ai creditori chirografari venga offerta una percentuale di soddisfazione bassa (anche sotto il 10-20%), poiché la maggior parte dell’attivo va ai privilegiati. Nei concordati in continuità aziendale, invece, è possibile offrire percentuali un po’ più alte nell’ottica di mantenere in vita l’impresa (i fornitori potrebbero anche accettare di essere pagati parzialmente ma continuare il rapporto commerciale, se intravedono prospettive di continuità). Va inoltre ricordato che, nel diritto italiano, esiste la figura della responsabilità solidale negli appalti: se la cooperativa di facchinaggio opera in appalto presso un committente, quest’ultimo può essere chiamato dai lavoratori o dagli enti a rispondere in solido di retribuzioni e contributi non pagati dalla cooperativa per le maestranze impiegate nell’appalto . Ciò significa che un fornitore/committente, dovendo pagare in solido i dipendenti della coop per evitare vertenze, potrebbe poi rivalersi sulla cooperativa per quanto pagato. Questo meccanismo, pur essendo una tutela per i lavoratori, può complicare ulteriormente la situazione debitoria della cooperativa nei confronti dei suoi partner contrattuali.

In definitiva, per gestire i debiti verso fornitori e banche è fondamentale comunicare tempestivamente con questi creditori, mostrare un piano di rientro credibile e magari coinvolgerli in un accordo di ristrutturazione del debito più ampio (ad esempio un accordo ex art. 57 CCII omologato dal tribunale, se si raggiungono le maggioranze richieste). Un ruolo importante può essere giocato da un professionista esperto in crisi d’impresa, che faccia da mediatore e attesti la fattibilità dei piani di rientro, dando ai creditori privati maggior fiducia nella possibilità di soddisfarsi meglio evitando la procedura concorsuale.

Debiti verso i soci lavoratori e dipendenti (retribuzioni e TFR)

Un aspetto peculiare delle cooperative di facchinaggio è la presenza di soci lavoratori, i quali prestano attività lavorativa all’interno della cooperativa stessa. Essi hanno una doppia veste: da un lato sono soci dell’impresa, dall’altro sono lavoratori (in genere con un contratto di lavoro subordinato o di collaborazione in forma mutualistica). Pertanto, possono sorgere debiti sia verso soci lavoratori sia verso eventuali dipendenti non soci per retribuzioni non pagate, per trattamenti di fine rapporto (TFR) maturati e non accantonati, nonché per rimborsi spese o altri emolumenti previsti dagli accordi mutualistici. Tali crediti di lavoro godono della massima tutela nell’ordinamento: in caso di insolvenza, le retribuzioni degli ultimi mesi (di solito gli ultimi 3 mesi) e il TFR vantano un privilegio generale mobiliare di grado molto elevato, posizionandosi subito dopo i crediti prededucibili. Inoltre, per garantire il pagamento dei lavoratori dipendenti nelle procedure concorsuali, interviene il Fondo di Garanzia INPS, che – in presenza di uno stato di insolvenza accertato (fallimento, liquidazione coatta o anche concordato liquidatorio) – anticipa ai lavoratori il TFR e le ultime mensilità di stipendio non pagate, surrogandosi poi nei loro diritti di credito verso la procedura.

Dal punto di vista pratico, i debiti verso i lavoratori sono estremamente sensibili: se la cooperativa ritarda nel pagamento degli stipendi, i soci lavoratori o dipendenti possono rivolgersi ai sindacati o adire il Tribunale del Lavoro per ottenere ingiunzioni di pagamento in via d’urgenza (decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo) e, in caso di persistente insolvenza, possono anche presentare istanza di fallimento o insolvenza della cooperativa in qualità di creditori (anche se l’INPS spesso li “rileva” subentrando come creditore dopo aver pagato il Fondo di garanzia). Inoltre, il mancato pagamento sistematico delle retribuzioni può integrare il reato di estorsione contrattuale (nel caso di sfruttamento dei lavoratori minacciando il licenziamento se non accettano ritardi o decurtazioni, art. 603-bis c.p.) o altre violazioni in materia di lavoro. L’Ispettorato del Lavoro potrebbe elevare sanzioni amministrative e diffide per il pagamento degli arretrati. Insomma, tenere insoluti gli stipendi è altamente rischioso e deleterio anche per il clima aziendale.

Come affrontare i debiti verso il personale? In primo luogo con la massima trasparenza: se la cooperativa attraversa un momento di crisi di liquidità, è opportuno comunicare ai soci lavoratori la situazione e magari concordare (per iscritto) un differimento delle paghe, compatibilmente con le esigenze vitali di questi ultimi. Dal punto di vista legale, i lavoratori non possono rinunciare ai propri crediti retributivi (tutele inderogabili), ma potrebbero accettare una dilazione, ad esempio ricevendo metà stipendio ora e metà fra qualche mese, se intravedono un piano di rilancio e preferiscono mantenere il posto di lavoro. In certi casi, i soci lavoratori potrebbero deliberare finanziamenti o versamenti in conto capitale per aiutare la cooperativa (ad esempio convertendo parte delle retribuzioni dovute in quote sociali o prestiti soci postergati), ma ciò richiede fiducia e va inquadrato giuridicamente in modo corretto.

Se i debiti verso il personale sono ingenti e la cooperativa non riesce a farvi fronte, l’attivazione di una procedura concorsuale può offrire qualche tutela in più. Ad esempio, nel concordato preventivo la presenza di un piano che garantisca il pagamento almeno in parte dei crediti di lavoro (che comunque, tramite il Fondo di garanzia, verranno soddisfatti subito) può aiutare ad ottenere il voto favorevole della classe di creditori lavoratori, necessari per l’approvazione. Nel concordato in continuità, i lavoratori possono essere mantenuti in servizio e pagati regolarmente per le nuove prestazioni mentre i vecchi crediti vengono trattati nel piano (spesso integralmente, data la loro natura privilegiata, a meno di accordi diversi). In liquidazione giudiziale o coatta, come detto, interverrà l’INPS a garantire il pagamento di parte di questi crediti (TFR e ultime 3 mensilità) e i lavoratori potranno insinuarsi nel passivo per l’intero dovuto, con ottime probabilità di soddisfazione quantomeno parziale dati i loro privilegi.

Va infine considerato che i soci lavoratori, in quanto soci della cooperativa, non rispondono dei debiti sociali oltre la quota sottoscritta (principio della responsabilità limitata di cui diremo infra) e, parallelamente, non perdono i loro diritti di creditori di lavoro solo perché sono soci. A volte si pensa erroneamente che, essendo soci, non possano rivalersi: invece hanno diritto agli stipendi come qualunque lavoratore, con gli stessi privilegi, e nella procedura concorsuale parteciperanno come creditori privilegiati. L’unica differenza è che, in sede di eventuale riparto finale, qualora avanzasse attivo dopo aver pagato tutti i creditori, i soci lavoratori potrebbero non partecipare alla distribuzione di utili in quanto l’impresa è mutualistica; ma questo è uno scenario remoto se si arriva all’insolvenza.

Altre passività e debiti vari

Oltre alle categorie principali sopra esaminate, una cooperativa di facchinaggio può accumulare altre forme di debito, ad esempio:

  • Debiti verso enti diversi: ad esempio verso l’Agenzia delle Entrate per violazioni non tributarie (restituzione di crediti d’imposta indebitamente fruiti, sanzioni amministrative per violazioni normative), verso la Camera di Commercio (diritti annuali non pagati), verso enti di formazione o casse previdenziali private se la cooperativa ha professionisti, ecc. Questi debiti spesso seguono la disciplina generale dei crediti chirografari, salvo rientrare in privilegi speciali se previsti da norme di settore.
  • Sanzioni e multe: ad esempio sanzioni dell’Ispettorato del Lavoro (per violazioni in materia di sicurezza o lavoro nero), sanzioni dell’ASL se la cooperativa opera in determinati settori, multe stradali se i veicoli aziendali commettono infrazioni, ecc. Le sanzioni amministrative pecuniarie dello Stato rientrano nei crediti chirografari in caso di insolvenza (non hanno privilegio) ma sono comunque riscosse tramite cartelle esattoriali con le medesime azioni esecutive.
  • Debiti verso consorzi o cooperative di secondo livello: molte cooperative di facchinaggio aderiscono a consorzi o cooperative più grandi per appalti comuni. Potrebbero quindi avere debiti di quote consortili o penali per ritardi, che in genere sono chirografari.
  • Debiti verso soci finanziatori o sovventori: se la cooperativa ha emesso prestiti sociali o strumenti di finanziamento (soci sovventori ex L.59/1992), i rimborsi a tali soci possono costituire debito. Tuttavia, spesso i patti sociali subordinano tali rimborsi alla piena solvibilità della cooperativa, quindi in crisi questi crediti sono postergati o comunque chirografari senza privilegio.
  • Debiti per tasse automobilistiche, canoni e utenze: es. bollo auto per i mezzi, canoni di leasing non pagati (già considerati come debiti verso società finanziarie), bollette di energia, telefono, ecc. Di solito questi creditori, se non pagati, interrompono il servizio (e quindi aggravano il fermo aziendale), e i loro crediti rimangono chirografari (le società di servizi raramente hanno privilegi se non stipulano riserve di proprietà su beni forniti).

Ciascuno di questi debiti va affrontato con le logiche già viste: laddove ci siano possibilità di definizioni agevolate (ad esempio alcune Regioni hanno previsto condoni su interessi e sanzioni di bollo auto, o il Comune può dilazionare i tributi locali), la cooperativa dovrebbe farne uso. Per i debiti con fornitori particolari (es. società di utenze), cercare un accordo di mantenimento del servizio in cambio di un piano di pagamento può essere vitale. Le multe e sanzioni, se errate, vanno impugnate nei termini (es. ricorso al Giudice di Pace per multe stradali entro 30 giorni, o al Tribunale per sanzioni lavoro entro 30 giorni). In sintesi, ogni voce debitoria va mappata e gestita con uno strumento appropriato, tenendo conto che in un eventuale piano di ristrutturazione o concordato ogni categoria di creditori potrebbe dover essere trattata diversamente (i privilegiati richiedono pagamento integrale o accordi specifici, i chirografari possono essere falcidiati, ecc.).

Rischi per la cooperativa e gli amministratori in caso di insolvenza non gestita

Lasciare che i debiti si accumulino senza intervenire espone la cooperativa di facchinaggio e i suoi organi amministrativi a numerosi rischi. Analizziamo quali sono le conseguenze principali di una crisi non gestita, sia per l’impresa che per le persone che la dirigono.

Azioni esecutive dei creditori (pignoramenti, ipoteche, blocchi)

Il primo rischio concreto del mancato pagamento dei debiti sono le azioni esecutive individuali da parte dei creditori. Come già accennato, l’Agenzia Entrate-Riscossione per i crediti fiscali e contributivi può procedere a pignoramenti mobiliari e immobiliari, a vincolare i conti bancari della cooperativa, ad iscrivere ipoteche e fermi amministrativi sui beni, senza necessità di autorizzazioni giudiziarie ulteriori (in base al ruolo esecutivo). I creditori privati (banche, fornitori), una volta ottenuto un decreto ingiuntivo o una sentenza esecutiva, possono a loro volta far notificare un atto di precetto e avviare pignoramenti: ad esempio pignorare i crediti che i clienti devono alla cooperativa (bloccando di fatto gli incassi futuri), oppure far pignorare e vendere all’asta furgoni, muletti, attrezzature indispensabili per il lavoro, paralizzando l’attività. Tali azioni possono colpire anche i beni personali degli amministratori nel caso in cui questi abbiano prestato garanzie personali (fideiussioni) o abbiano beni comuni con la cooperativa (ad es. se la cooperativa opera in un immobile di proprietà dell’amministratore dato in garanzia). Un altro effetto è che i committenti della cooperativa potrebbero, venendo a conoscenza della sua situazione (ad esempio tramite pignoramenti presso di loro o segnalazioni sulla stampa locale in caso di aste giudiziarie), perdere fiducia e revocare contratti o scegliere altri fornitori per servizi di facchinaggio, innescando un circolo vizioso.

Inoltre, per le cooperative impegnate in appalti pubblici o servizi conto terzi, esiste spesso l’obbligo di presentare documenti come il DURC e il certificato di regolarità fiscale. Se la cooperativa ha debiti scaduti con INPS o Fisco, tali documenti non verranno rilasciati, con l’effetto di escludere la cooperativa da nuove gare e di impedire i pagamenti nei contratti in essere (la P.A. sospende i pagamenti se il DURC è irregolare). Questo costituisce un ulteriore “blocco” operativo: la cooperativa rischia di non poter più lavorare né incassare, accelerando il tracollo.

Istanza di fallimento o liquidazione coatta amministrativa

Se l’insolvenza si aggrava e i creditori non vedono prospettive di recupero, essi possono prendere l’iniziativa di provocare l’uscita dal mercato della cooperativa attraverso le procedure concorsuali. In particolare, un creditore (o più di uno in accordo) può presentare una istanza di fallimento al Tribunale competente, chiedendo che la cooperativa – in quanto insolvente – venga assoggettata a liquidazione giudiziale (il nuovo nome del fallimento nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza). Il Tribunale, accertati i presupposti (stato di insolvenza e superamento delle soglie dimensionali per la fallibilità, su cui si dirà più avanti), può dichiarare il fallimento: da quel momento l’amministrazione della cooperativa passa nelle mani di un curatore fallimentare, tutti i creditori (compreso quello che ha fatto istanza) vengono vincolati alla procedura collettiva e l’impresa cessa l’attività (salvo eventualmente l’esercizio provvisorio se autorizzato). Questo scenario drastico comporta la cessazione immediata di ogni velleità di prosecuzione dell’impresa e spesso anticipa anche azioni di responsabilità verso gli amministratori (il curatore verifica se vi sono state irregolarità) e potenziali conseguenze penali (bancarotta).

Va detto che, per le società cooperative, la legge prevede anche un’alternativa al fallimento: la liquidazione coatta amministrativa (LCA). Si tratta di una procedura concorsuale amministrativa disposta con decreto ministeriale (generalmente a cura del Ministero dello Sviluppo Economico o Ministero delle Imprese e del Made in Italy) su segnalazione degli organi di vigilanza sulle cooperative. In pratica, se la cooperativa è in stato di insolvenza o vi sono gravi irregolarità nella gestione, il Ministero può revocarne l’autorizzazione e disporre la LCA, nominando un commissario liquidatore al posto degli amministratori. La LCA è molto simile al fallimento quanto agli effetti (si apre un procedimento di accertamento del passivo e liquidazione dell’attivo), ma è gestita in sede amministrativa. Alcune cooperative, per legge, sono assoggettabili solo a LCA e non a fallimento: ad esempio, le cooperative sociali (operanti ex L.381/1991) sono considerate imprese sociali di diritto, e per espressa previsione normativa non sono soggette a fallimento ma esclusivamente a liquidazione coatta amministrativa in caso d’insolvenza . Questo principio è stato confermato dalla Cassazione nel 2023 (sent. n. 32992/2023) . Invece le cooperative “ordinarie” (come molte cooperative di facchinaggio che non rientrano tra le sociali o non godono dello status di mutualità prevalente in senso stretto) possono essere dichiarate fallite se ne ricorrono i presupposti generali, a meno che il Ministero non anticipi la LCA. In ogni caso, sia la liquidazione giudiziale sia la LCA rappresentano la fine della cooperativa come entità operativa.

Per gli amministratori della cooperativa, l’apertura di una procedura concorsuale può comportare implicazioni rilevanti: intanto, decadono automaticamente dalle cariche (subentra il curatore o commissario) e perdono i poteri di gestione. Inoltre, essi possono essere convocati per fornire informazioni e documentazione (l’ordinamento li obbliga alla cooperazione con gli organi della procedura). Se emergono condotte di mala gestio, il curatore o commissario eserciterà l’azione di responsabilità nei loro confronti per risarcire i danni causati alla società (ne parleremo nel prossimo paragrafo). Dal punto di vista patrimoniale personale, l’apertura della procedura non implica di per sé un obbligo per gli amministratori di pagare i debiti sociali – giacché, ricordiamo, nella società di capitali risponde solo la società – ma apre la strada a possibili azioni risarcitorie e ad eventuali azioni penali (come la bancarotta) che possono colpire direttamente gli amministratori sul piano civile e penale.

Responsabilità personali (civili) degli amministratori e dei liquidatori

Uno degli spauracchi maggiori per gli amministratori di società in crisi è la responsabilità personale per i debiti. Occorre fare chiarezza: gli amministratori di una cooperativa (come di una SRL o SPA) non sono automaticamente obbligati a pagare i debiti sociali con il proprio patrimonio . Il principio cardine, sancito per le cooperative dall’art. 2518 c.c., è che per le obbligazioni sociali risponde solo la società con il suo patrimonio . Quindi, i creditori della cooperativa non possono agire direttamente contro gli amministratori in virtù di quei debiti, a meno che gli amministratori stessi non abbiano fornito garanzie personali (es. fideiussioni) o commesso illeciti specifici. Tuttavia – ed è un “tuttavia” importante – gli amministratori possono incorrere in specifiche forme di responsabilità civile se violano i doveri inerenti al loro ufficio e ciò provoca un danno alla società, ai soci o ai creditori. In altre parole, pur non essendo debitori diretti verso i creditori sociali, possono diventarlo indirettamente nel momento in cui, a causa di una loro gestione colposa o dolosa, il patrimonio sociale risulti insufficiente a soddisfare i debiti.

Vediamo i possibili scenari:

  • Azione di responsabilità verso gli amministratori da parte della società o dei creditori: l’art. 2392 c.c. (richiamato per le cooperative dagli artt. 2516 e 2545-octies c.c.) prevede che gli amministratori rispondano verso la società per i danni derivanti dall’inosservanza dei doveri imposti dalla legge o dallo statuto. Ad esempio, se gli amministratori hanno aggravato la situazione debitoria con operazioni imprudenti, o hanno omesso di reagire per tempo alla crisi dissestandola ulteriormente, la nuova gestione (un eventuale liquidatore o il nuovo CDA nominato dai soci) può agire contro di loro chiedendo il risarcimento del danno arrecato al patrimonio sociale . Nelle procedure concorsuali, questa iniziativa spetta al curatore fallimentare o al commissario liquidatore, che hanno il dovere di esaminare le condotte degli amministratori precedenti e di promuovere l’azione di responsabilità se ravvisano irregolarità che hanno leso la garanzia patrimoniale dei creditori . Ad esempio, se gli amministratori hanno continuato ad operare facendo accumulare debiti ben oltre il punto di non ritorno (c.d. wrongful trading), oppure hanno distratto risorse sociali a proprio vantaggio (stipendi sproporzionati, spese non giustificate), oppure ancora hanno favorito il pagamento di alcuni creditori a discapito di altri in prossimità del fallimento, tutte queste condotte possono costituire violazioni dei doveri gestori, dando luogo a responsabilità. In caso di condanna in un’azione di responsabilità, il patrimonio personale degli amministratori può essere aggredito per risarcire il danno alla società, e le somme recuperate andranno poi a beneficio dei creditori sociali insoddisfatti . Da notare: questo tipo di azione non fa “diventare” l’amministratore debitore dei debiti sociali in sé, ma lo condanna a un risarcimento ulteriore per il danno da mala gestio.
  • Responsabilità dei liquidatori: analoghi principi valgono per il liquidatore nominato in caso di scioglimento volontario della cooperativa. Il liquidatore subentra agli amministratori e ha l’obbligo di pagare i debiti sociali con le attività disponibili; se distribuisce attivo ai soci prima di aver soddisfatto i creditori, incorre in responsabilità personale verso i creditori insoddisfatti . In particolare, una norma chiave è l’art. 36 del D.P.R. 602/1973 (legge sulla riscossione delle imposte) che prevede una responsabilità personale dei liquidatori (e, in mancanza, degli amministratori) per le imposte dovute e non versate all’Erario . Ciò significa che, se durante la liquidazione il liquidatore dispone di denaro ma non paga le imposte dovute – ad esempio privilegiando altri creditori non privilegiati o distribuendo somme ai soci – egli risponde in proprio verso il Fisco fino a concorrenza dell’importo non versato . Inoltre, la stessa norma stabilisce che i soci che abbiano ricevuto somme dalla società nei due anni precedenti la liquidazione (es. rimborsi di prestiti sociali, acconti di utili, restituzioni di capitale) possono essere chiamati a restituirle nei limiti delle imposte non pagate . Questa è una forma di responsabilità “civile-sanzionatoria” voluta per evitare che, al momento di chiudere, la società venga svuotata a danno dell’Erario: in sostanza il Fisco può chiedere indietro ai soci liquidati quelle somme che avrebbe dovuto incassare come tasse. Importante: questa responsabilità riguarda solo le imposte erariali e opera se vi erano attivi disponibili per pagarle e il liquidatore (o amministratore) ha scelto di destinarli altrove. Non si applica se semplicemente non c’erano fondi per pagare niente e la società è stata liquidata in perdita totale (in tal caso non c’è colpa nel non aver pagato il Fisco perché mancavano le risorse).
  • Responsabilità diretta verso i creditori terzi: in via eccezionale, l’amministratore può essere chiamato a rispondere direttamente verso un terzo creditore se ha commesso un fatto illecito specificamente dannoso per quel creditore distinto dal mero inadempimento del contratto da parte della società. Un esempio classico (anche se più tipico delle società di persone) è la “violazione del patrimonio separato”: se l’amministratore destina beni a uno scopo vincolato a garanzia di certi creditori e poi li distrae, questi creditori possono agire contro di lui per il risarcimento. Tuttavia, nella prassi delle cooperative questa ipotesi è rara: la maggior parte delle azioni sono quelle esercitate dalla società o dal curatore come detto sopra. Esiste anche l’art. 2395 c.c. che prevede un’azione individuale del socio o terzo direttamente contro gli amministratori per danno diretto subito da atti dolosi di questi ultimi, ma si tratta di casistica ristretta (ad es. false comunicazioni sociali che inducano un terzo a fare credito confidando in una situazione in realtà alterata: il terzo può chiedere danni all’amministratore per l’affidamento tradito).

Riassumendo, gli amministratori non “pagano di tasca propria” in prima battuta i debiti sociali, ma possono dover rispondere con il proprio patrimonio se viene accertato che hanno violato i loro doveri gestionali causando un pregiudizio alla società o ai creditori . Nei casi di insolvenza, è prassi che il curatore o liquidatore scrutini le loro condotte e agisca se del caso . È quindi fondamentale che chi amministra una cooperativa in crisi documenti diligentemente le scelte compiute e adotti un comportamento trasparente e prudentissimo, per potersi difendere da eventuali accuse future di mala gestio. Ad esempio, se la cooperativa è decotta, è preferibile non aggravare il dissesto accumulando nuovi debiti, ma semmai valutare subito strumenti di composizione della crisi (in caso contrario, il semplice protrarsi dell’attività in perdita potrebbe essere contestato come colposo).

Vale la pena di menzionare anche la responsabilità degli organi di controllo (collegio sindacale o revisore legale, se presenti in cooperativa). In linea di massima, i sindaci non rispondono dei debiti sociali con i loro beni; tuttavia, se omettono di vigilare e la loro omissione consente irregolarità gravi che danneggiano la società, essi possono essere chiamati a rispondere in solido con gli amministratori negligenti . L’art. 2407 c.c. prevede ad esempio la responsabilità dei sindaci per omessa vigilanza: se non segnalano false scritture contabili, distrazioni di fondi o violazioni evidenti che aggravano il dissesto, i sindaci (o il revisore) possono essere citati in giudizio assieme agli amministratori per il risarcimento del danno . Anche qui, si tratta di un’azione risarcitoria della società o del curatore, non di un obbligo verso i creditori in sé. In ogni caso, è chiaro che in uno scenario di crisi gli organi societari nel loro complesso (amministratori e sindaci) devono attivarsi: gli amministratori per gestire o segnalare tempestivamente la crisi (oggi c’è anche il dovere di attivarsi per gli strumenti di allerta), i sindaci per controllare e sollecitare l’organo amministrativo a intervenire. L’inerzia può costare caro in termini di responsabilità personale.

Rischi penali per amministratori e gestori

Oltre alle responsabilità civili e concorsuali, gli amministratori di una cooperativa con gravi debiti possono incorrere in responsabilità penali qualora il loro operato integri fattispecie di reato. I principali reati da tenere presenti in questo contesto sono:

  • Omessi versamenti tributari e contributivi: come già sottolineato, il D.Lgs. 74/2000 prevede sanzioni penali per l’omesso versamento di IVA oltre soglia (art. 10-ter) e ritenute oltre soglia (art. 10-bis). Analogamente, l’art. 2 D.L. 463/1983 prevede reato per l’omesso versamento di contributi previdenziali trattenuti. Questi sono reati propri del legale rappresentante. La cooperativa in sé non è punibile (trattandosi di reati non compresi nel D.Lgs. 231/2001 sulla responsabilità degli enti), ma l’amministratore sì. Ad esempio, un presidente di cooperativa che nel 2024 non abbia versato €200.000 di IVA risultante dalle liquidazioni periodiche, pur avendo incassato tale IVA dai clienti, commette reato se entro la scadenza di pagamento annuale non ha versato almeno fino sotto la soglia di punibilità. È irrilevante invocare come scusa la mancanza di liquidità se non ricorre la forza maggiore: la Cassazione penale ha più volte affermato che la crisi di liquidità non evita la condanna per omesso versamento, se tale crisi poteva essere prevista o fronteggiata diversamente (ad es. riducendo altre spese) . La pena per questi reati va dalla multa fino alla reclusione fino a 2 anni (per le ritenute) o fino a 6 anni (per l’IVA omessa), a seconda degli importi.
  • Reati fallimentari (bancarotta): se la cooperativa viene dichiarata fallita (liquidazione giudiziale), gli amministratori e i soggetti che hanno concorso alla gestione possono essere chiamati a rispondere del reato di bancarotta fraudolenta o semplice a seconda dei comportamenti tenuti prima o durante la procedura concorsuale. La bancarotta fraudolenta (artt. 322-323 CCII, ex artt. 216-217 L.Fall.) scatta se, ad esempio, gli amministratori hanno distratto beni dal patrimonio sociale, o hanno tenuto le scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio, o hanno occultato atti, sostenuto spese personali esorbitanti dalla cassa della società in crisi, favorito dolosamente qualche creditore a scapito di altri (pagamenti preferenziali intenzionali poco prima del fallimento) ecc. La bancarotta semplice copre condotte meno dolose ma comunque colpose, come aver aggravato il dissesto con imprudenza, non aver tenuto i libri, ecc. Sono reati molto seri: la bancarotta fraudolenta prevede la reclusione da 3 a 10 anni. Anche se la cooperativa dovesse andare in liquidazione coatta amministrativa al posto del fallimento, disposizioni speciali estendono l’applicazione di molte norme penali fallimentari anche alla LCA (il che significa che condotte analoghe possono essere perseguite). Pertanto, un amministratore che capisca che la propria cooperativa andrà verso l’insolvenza farebbe bene a non compiere alcun atto distrattivo o preferenziale e anzi a gestire con la massima trasparenza: consegnare libri contabili in ordine, non prelevare cassa per usi personali, non vendere sottocosto beni a parenti, ecc. per evitare di incorrere in responsabilità penali personali.
  • Altri reati societari e fiscali: ad esempio, false comunicazioni sociali (bilanci falsificati per occultare perdite), autoriciclaggio (se amministratori dirottano fondi sociali su conti personali cercando di ripulirli), sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs 74/2000, se compiono atti fraudolenti per evitare il pagamento di tributi, ad es. simulano vendite a terzi per evitare l’esecuzione). Nelle cooperative spurie di facchinaggio talvolta si ravvisano fenomeni di fatture false per abbattere utili o di interposizione illecita di manodopera (impiego scorretto dei soci come fossero esterni), che possono portare a denunce penali.

In sintesi, gli strumenti di difesa dal rischio penale consistono principalmente nel prevenire tali situazioni: attivarsi per tempo con la gestione della crisi (in modo da non accumulare debiti “penalmente rilevanti”), astenersi da condotte illecite e documentare fedelmente lo stato di difficoltà. Se, nonostante tutto, l’amministratore si trova indagato, la miglior difesa sarà dimostrare che la crisi è stata affrontata in buona fede, cercando di minimizzare il danno ai creditori e senza alcun arricchimento personale. Ad esempio, nella prassi, accordarsi con i creditori attraverso le procedure concorsuali può costituire una circostanza attenuante anche in sede penale, poiché si mostra la volontà di rimediare. Ma chiaramente la prevenzione è la strategia più efficace: affrontare la crisi attivamente protegge non solo la cooperativa ma anche chi la amministra.

Strumenti stragiudiziali per gestire e ridurre i debiti

Quando i debiti diventano onerosi ma la cooperativa è ancora in attività, prima di arrivare a una procedura concorsuale formale è spesso possibile (e auspicabile) tentare delle soluzioni stragiudiziali, ovvero degli strumenti di gestione negoziale della crisi. Tali strumenti mirano a ristrutturare i debiti con il consenso dei creditori, evitando – se possibile – il ricorso ai tribunali e permettendo la continuità aziendale. Vediamo i principali.

Verifica della legittimità dei debiti e possibilità di contestazione

Prima ancora di negoziare, un passo fondamentale è far verificare da un esperto (avvocato o commercialista) la legittimità e correttezza dei debiti iscritti a bilancio. Potrebbero emergere casi di debiti prescritti o atti viziati che possono essere annullati. Ad esempio, una cartella esattoriale notificata oltre i termini di legge o priva degli elementi essenziali potrebbe essere impugnata e annullata. Analogamente, sanzioni civili dell’INPS calcolate in modo errato o duplicazioni di addebiti fiscali possono essere contestate. Questa verifica, unitamente a un controllo sulla presenza di vizi formali (notifiche, motivazioni degli atti), può portare a una riduzione del carico debitorio prima ancora di entrare nel merito della ristrutturazione . In alcuni casi, semplici errori amministrativi (es: un pagamento già effettuato ma non correttamente registrato) possono far apparire debiti che in realtà non esistono: chiarire queste situazioni con gli enti o creditori riduce il numero di problemi da affrontare.

Se emergono debiti contestabili, è importante attivarsi subito presentando i necessari ricorsi o istanze di autotutela. Ad esempio, se la cooperativa riceve un avviso di addebito INPS che ritiene infondato, deve entro 40 giorni opporvisi davanti al Tribunale; se riceve una cartella per un tributo prescritto, può presentare ricorso eccependo la prescrizione; se un fornitore pretende interessi usurari, si può sollevare la questione ecc. Queste azioni legali possono portare all’annullamento totale o parziale di alcune pretese creditorie. Ovviamente vanno fatte valutazioni costi-benefici: contestare un atto può sospendere temporaneamente l’esecuzione, ma se la cooperativa ha torto manifesto, un ricorso dilatorio potrebbe solo aggiungere spese. Ecco perché la consulenza di un legale esperto in diritto della crisi è cruciale sin dalle prime fasi.

Accordi con i creditori (banche, fornitori) e saldo e stralcio

La via maestra, se praticabile, è quella di raggiungere con i principali creditori degli accordi stragiudiziali di ristrutturazione del debito. In che cosa consistono? Si tratta di intese private in cui la cooperativa e il creditore definiscono nuove condizioni di pagamento: ad esempio una dilazione più lunga, una riduzione dell’importo dovuto (stralcio), o entrambe le cose. Un tipico caso è l’accordo con un fornitore importante: il creditore potrebbe accettare di rinunciare a una parte del credito (es. il 20%) e di farsi pagare il restante 80% in rate mensili in 2 anni, pur di evitare l’incognita di un fallimento in cui magari recupererebbe solo il 5%. Dal canto suo, la cooperativa evita un decreto ingiuntivo immediato e prende fiato. Tali accordi preferibilmente devono essere messi per iscritto (meglio con scrittura autenticata o scambio di PEC, per data certa) e possono prevedere clausole di salvaguardia (es. decadenza dal beneficio se si saltano più di tot rate). Attenzione: un accordo individuale con un creditore non vincola gli altri, e soprattutto non sospende eventuali azioni esecutive di terzi. Quindi è utile negoziare parallelamente con tutti o con i principali creditori, cercando di armonizzare gli accordi. Se solo uno fa causa, può scatenare un effetto domino. In pratica, talvolta conviene prospettare ai creditori un piano di ristrutturazione complessivo, mostrando che ognuno farà la sua parte: ad esempio, presentare un piano di risanamento attestato (di cui appresso) che elenchi come si pagherà ciascuno.

Un accordo particolare, tipico con le banche, è la moratoria o rinegoziazione dei mutui. La cooperativa può chiedere alla banca di congelare per 6-12 mesi la quota capitale delle rate (pagando solo interessi), oppure di allungare la durata residua così da abbassare l’importo di ciascuna rata. Spesso le banche aderiscono a moratorie settoriali (come quelle promosse in passato dal governo per PMI in crisi). In parallelo, se vi sono più banche, si può tentare un accordo coordinato con tutte, specialmente se c’è di mezzo anche il factoring dei crediti o garanzie incrociate.

Il saldo e stralcio è una forma di accordo in cui il debitore paga una somma inferiore al dovuto in un’unica soluzione e il creditore considera estinto il debito rinunciando al resto. Questo richiede però che la cooperativa reperisca liquidità immediata (spesso grazie a nuovi soci finanziatori o a un parente disposto ad aiutare). Un esempio: la cooperativa deve €50.000 a un fornitore; offre di pagargliene €20.000 entro 10 giorni a saldo e stralcio, magari grazie a un finanziamento soci, e il fornitore accetta perché preferisce subito 20k certi piuttosto che inseguire 50k incerti. Il saldo-stralcio conviene quando i creditori hanno perso fiducia nella possibilità di recuperare l’intera somma e si accontentano di una percentuale pur di chiudere. È più comune con crediti di banche o finanziarie già deteriorati (NPL): questi creditori possono accettare stralci significativi, talvolta anche sotto il 50%, specie se il debito è stato ceduto a società di recupero crediti acquistandolo a prezzo scontato.

Da notare che gli accordi stragiudiziali non coinvolgono necessariamente il tribunale, ma ciò li rende vulnerabili in caso di dissensi: se anche un solo creditore rilevante resta fuori e aggredisce la cooperativa, può vanificare lo sforzo. Inoltre, i creditori che aderiscono vogliono essere certi che gli altri facciano lo stesso, per non sentirsi i soli a fare concessioni mentre altri vengono pagati integralmente. È qui che può diventare utile formalizzare il tutto in una sede semi-ufficiale, come un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (previsto dal CCII, ex art. 57) o un piano attestato di risanamento pubblicato: questi strumenti offrono maggiore tenuta e incentivano i creditori ad allinearsi, sapendo che l’accordo ha effetti legali (ad esempio esenzione da azioni revocatorie, efficacia anche per minoranze dissenzienti se si raggiunge certe percentuali, ecc.).

Piani attestati di risanamento

Il piano attestato di risanamento (disciplinato oggi dall’art. 56 del Codice della Crisi, già art. 67 L.F.) è uno strumento stragiudiziale con alcune tutele legali. In sostanza, la cooperativa elabora un piano economico-finanziario per il risanamento dell’impresa e il riequilibrio della situazione debitoria, e tale piano viene attestato da un professionista indipendente che ne verifica la fattibilità e la veridicità dei dati. Il piano può prevedere accordi con i creditori (anche non tutti, magari solo alcuni strategici) per ristrutturare il debito, l’apporto di nuova finanza, la dismissione di asset non strategici, ecc., con l’obiettivo di riportare la cooperativa in bonis in un certo arco temporale. Una volta predisposto e attestato, il piano può essere pubblicato nel registro delle imprese. La pubblicazione conferisce importanti effetti protettivi: in particolare, le azioni compiute in esecuzione del piano attestato non potranno essere soggette a revocatoria fallimentare in caso di successivo fallimento. Ciò rassicura molto i creditori che aderiscono (ad esempio una banca che accetta un pagamento parziale in esecuzione del piano non rischierà, se poi la cooperativa fallisce, di dover restituire quelle somme come atto preferenziale).

Il piano attestato non richiede l’approvazione del tribunale né il raggiungimento di soglie di adesione: è un contratto fra il debitore e uno o più creditori, semplicemente “certificato” dall’esperto. Nel caso di cooperative di piccole dimensioni, può essere un buon modo per formalizzare le concessioni ottenute dai vari creditori in un unico documento organico, mostrando che con tali concessioni l’impresa è salva. D’altro canto, è una procedura che richiede costi (bisogna nominare un professionista attestatore, spesso un commercialista o revisore, retribuito) e trasparenza nei confronti dei creditori coinvolti, ai quali va fornita tutta la documentazione per le loro valutazioni.

Composizione negoziata della crisi

La composizione negoziata è uno strumento relativamente nuovo (introdotto nel 2021 dal D.L. 118/2021, ora integrato nel CCII) che offre un percorso assistito per aiutare l’imprenditore in difficoltà a raggiungere accordi con i creditori. Non è una procedura concorsuale vera e propria, ma un percorso volontario e riservato in cui la cooperativa, tramite la piattaforma dedicata, richiede la nomina di un esperto indipendente (gestore della crisi) che la assista nelle trattative. La composizione negoziata è aperta a tutte le imprese (anche non fallibili) che si trovano in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario, purché esista una ragionevole prospettiva di risanamento.

Come funziona in sintesi: una volta accettata la domanda, viene nominato un esperto, tipicamente un commercialista o avvocato con specifica formazione. L’esperto, insieme all’imprenditore, predispone un piano e avvia contatti con i principali creditori per esplorare soluzioni. Durante questa fase, la cooperativa può chiedere misure protettive al tribunale (ad es. la sospensione delle azioni esecutive per la durata delle trattative). L’obiettivo è raggiungere con i creditori un accordo stragiudiziale (ad esempio, un piano attestato, un accordo ex art. 57 o anche un semplice accordo plurilaterale) oppure, se ciò non è possibile, individuare la procedura concorsuale più adeguata (ad esempio, l’esperto potrebbe consigliare di accedere al concordato semplificato per la liquidazione, nel caso in cui le trattative falliscano). La composizione negoziata è utile perché impone un framework di negoziazione ordinato: c’è un esperto super partes che aiuta a superare la diffidenza dei creditori, c’è la possibilità di ottenere una protezione del patrimonio (blocco dei pignoramenti autorizzato dal giudice) per avere il tempo di trattare, e il tutto avviene in modo confidenziale (la nomina dell’esperto è pubblica, ma il contenuto delle trattative resta riservato).

Per una cooperativa di facchinaggio con debiti significativi ma con attività ancora valida, la composizione negoziata può essere l’ultima spiaggia prima di un vero concordato: ad esempio, se la cooperativa ha commesse profittevoli ma soffre un debito fiscale che la strangola, con la guida dell’esperto può convincere il Fisco a una soluzione dilazionata, le banche a prorogare i fidi e i fornitori a proseguire il rapporto, il tutto mentre i pignoramenti sono sospesi. Se l’operazione riesce, si esce dalla composizione con un contratto (accordo con creditori) e la cooperativa continua. Se non riesce, come detto, si potrà ripiegare su una procedura più drastica, con magari l’esperto stesso che relaziona sulla situazione.

Va sottolineato che la composizione negoziata non prevede soglie di indebitamento né comporta automaticamente la perdita della gestione (gli amministratori restano in carica, affiancati dall’esperto che però non ha poteri di amministrazione). È uno strumento molto flessibile e recentemente in evoluzione: ad esempio, dal 2022 è stata introdotta la possibilità per l’imprenditore di ottenere finanziamenti durante la negoziazione con la prededuzione (cioè chi finanzia ha privilegio in caso di fallimento successivo), per facilitare l’afflusso di liquidità temporanea. Tutto ciò rende la composizione negoziata un’opzione di grande interesse per le PMI in crisi, benché la sua efficacia dipenda molto dalla collaborazione effettiva dei creditori e dalla credibilità del piano di risanamento proposto.

In conclusione sulle vie stragiudiziali: una cooperativa in difficoltà dovrebbe valutare seriamente queste soluzioni prima di arrendersi al fallimento. Muoversi in anticipo può significare la differenza tra salvare l’impresa (magari ridimensionata ma viva) e perderla definitivamente. Nel prossimo capitolo, passeremo in rassegna le procedure giudiziali vere e proprie – concordati, liquidazioni concorsuali, sovraindebitamento – da adottare se le trattative stragiudiziali non bastano o non sono praticabili.

Procedure concorsuali e di sovraindebitamento per risolvere la crisi

Quando l’accordo con i creditori non è raggiungibile in via privata, oppure il livello di indebitamento è tale da richiedere l’intervento dell’autorità giudiziaria, entrano in gioco le procedure concorsuali disciplinate dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII, D.Lgs. 14/2019). Tali procedure – che possiamo definire “fallimentari” in senso lato – hanno l’obiettivo di regolare in modo unitario la posizione debitoria, sotto il controllo del tribunale, bilanciando gli interessi dei creditori e tentando, ove possibile, la continuazione dell’attività. A seconda delle caratteristiche della cooperativa (dimensioni, natura dell’attività, ecc.), si possono seguire strade diverse. Una distinzione fondamentale è tra debitori assoggettabili a fallimento (cioè imprese sopra certe soglie) e non assoggettabili (piccole imprese sotto soglia): i primi rientrano nelle procedure ordinarie (concordato preventivo, liquidazione giudiziale), i secondi in quelle di sovraindebitamento (concordato minore, liquidazione controllata).

Vediamo in dettaglio le principali procedure:

Concordato Preventivo

Il concordato preventivo è una procedura concorsuale nella quale il debitore (in questo caso la cooperativa) propone ai creditori un piano per il soddisfacimento, anche parziale, delle loro ragioni, evitando così la liquidazione fallimentare. Il concordato può essere di due tipi fondamentali:

  • Concordato in continuità aziendale: quando prevede che la cooperativa prosegua l’attività, in proprio o tramite cessione/affitto a terzi, utilizzando la continuità per generare risorse con cui pagare i creditori in misura percentuale. È tipico quando l’impresa ha un core business ancora valido. Nel concordato in continuità, la legge consente che i creditori privilegiati (come Fisco e INPS) vengano pagati anche non integralmente o dilazionati, a condizione che ricevano almeno quanto otterrebbero dalla liquidazione e che la continuità assicuri un migliore soddisfacimento dei creditori rispetto alla cessazione . I creditori votano il piano e, se approvato dalle maggioranze e omologato dal tribunale, la cooperativa evita il fallimento e prosegue sotto il controllo degli organi nominati (commissario giudiziale).
  • Concordato liquidatorio: quando invece prevede la cessazione dell’attività e la liquidazione del patrimonio della cooperativa, ma in modo concordato con i creditori. In pratica la cooperativa offre ai creditori la distribuzione di tutto il ricavato dai propri beni (eventualmente anche con l’apporto di capitali esterni) secondo certe percentuali. Rispetto al fallimento, offre di solito tempi più rapidi e magari l’apporto di risorse aggiuntive (ad es. un socio o terzo che mette soldi per pagare un minimo di concordato e ottenere la chiusura). Nel concordato liquidatorio, la legge (dopo le riforme) richiede almeno il pagamento del 20% dell’ammontare dei crediti chirografari, salvo specifiche deroghe, e il pagamento integrale dei crediti privilegiati, fatti salvi accordi di transazione fiscale per tributari e contributivi. Se non si possono soddisfare queste soglie, il concordato liquidatorio non è ammissibile (in tal caso meglio optare per la liquidazione giudiziale).

Per accedere al concordato preventivo la cooperativa deve trovarsi in stato di crisi o insolvenza imminente e depositare una proposta corredata da un piano e da una relazione di un professionista indipendente (attestatore) che certifichi la fattibilità e l’attendibilità del piano. Durante il concordato, la cooperativa gode del blocco delle azioni esecutive e non può essere dichiarata fallita. Gli amministratori restano nella gestione sotto supervisione del commissario (nel concordato in continuità) oppure si insedia un liquidatore (nel concordato liquidatorio). Se il concordato viene omologato dal tribunale (dopo il voto favorevole dei creditori richiesto: maggioranza dei crediti ammessi al voto per classi, etc.), la cooperativa attua il piano: se lo esegue correttamente, viene poi esdebitata dai debiti residui chirografari come previsto dal piano. Se invece il concordato fallisce (mancata omologa o mancata esecuzione), a quel punto normalmente si apre la via alla liquidazione giudiziale.

Per una cooperativa di facchinaggio, il concordato in continuità può essere un’opzione se ha commesse e vuole salvarsi: ad esempio potrebbe proporre di pagare integralmente i debiti verso INPS e dipendenti nell’arco di alcuni anni, pagare in percentuale quelli verso il Fisco e fornitori (ottenendo eventualmente il voto favorevole di Agenzia Entrate in sede di transazione fiscale), il tutto continuando a lavorare. In un contesto del genere è essenziale presentare un piano industriale credibile (riduzione costi, nuovi contratti, efficientamento) perché i creditori accettino di “scommettere” sulla continuità. Un concordato liquidatorio, invece, potrebbe essere scelto se la cooperativa non è più in grado di operare: ad esempio, propone di vendere i propri automezzi e attrezzature e distribuire il ricavato dando un 100% ai lavoratori, 30% a INPS/Fisco (se accettano) e magari un 5-10% ai fornitori. Può essere utile se c’è un acquirente interessato a rilevare in blocco l’azienda (o asset) offrendo un certo prezzo: in tal caso, quell’offerta viene inserita nel piano concordatario per soddisfare i creditori in misura maggiore rispetto a un fallimento.

Liquidazione Giudiziale (ex fallimento)

La liquidazione giudiziale è il nuovo nome della procedura fallimentare ed è, per così dire, la “cura da cavallo” prevista per chiudere l’impresa insolvente con la garanzia del pari trattamento dei creditori. A differenza del concordato, qui non c’è un piano proposto dal debitore: è il tribunale, su istanza di parte (creditore, pubblico ministero o anche del debitore stesso in autoistanza), a dichiarare l’insolvenza e ad aprire la procedura d’ufficio. Viene nominato un Curatore, si forma lo stato passivo raccogliendo tutte le domande dei creditori, e si procede a liquidare l’attivo (vendita di beni, incasso di crediti) per distribuire il ricavato secondo le cause di prelazione. La cooperativa in liquidazione giudiziale cessa la propria attività (salvo esercizio provvisorio autorizzato per valore dell’azienda) e perde la propria autonomia: il curatore rappresenta anche in giudizio la società, può sciogliere contratti pendenti o sostituirsi, ecc. Di fatto, la cooperativa viene spossessata del patrimonio, che diventa un “massa fallimentare” destinata ai creditori. Al termine, la società verrà cancellata dal Registro Imprese e cesserà di esistere.

Abbiamo già evidenziato che per le cooperative sociali si preferisce la LCA, ma per molte altre cooperative di facchinaggio “normali” la liquidazione giudiziale è perfettamente applicabile se superano anche uno solo dei parametri di fallibilità: attualmente, ex art. 2 CCII, i limiti dimensionali per essere esonerati dal fallimento (da rivedere periodicamente) sono: attivo patrimoniale annuo non superiore a €300.000, ricavi lordi annui non oltre €200.000 e debiti non oltre €500.000. Chi resta al di sotto di tutti questi tre parametri nei tre esercizi precedenti può qualificarsi “piccolo” e non essere dichiarato fallito (ma rientra nelle procedure di sovraindebitamento). Una cooperativa di facchinaggio con pochi soci e fatturato ridotto potrebbe quindi essere non fallibile e destinata semmai al concordato minore; al contrario, cooperative un po’ più grandi – e spesso quelle con molti debiti superano la soglia di €500.000 debiti – sono fallibili.

La liquidazione giudiziale ha conseguenze note: stop alle azioni individuali (confluiscono tutte nella procedura), scioglimento dei contratti pendenti (il curatore decide quali mantenere), licenziamento dei dipendenti (che poi come visto verranno pagati dal Fondo garanzia per TFR e ultime retribuzioni), possibile revocatoria di atti compiuti prima del fallimento (es. pagamenti preferenziali fatti nei 6 mesi prima, atti dispositivi a titolo gratuito 2 anni prima, ecc., salvo esenzioni per quelli fatti in esecuzione di piani attestati o concordati approvati). La liquidazione giudiziale non è evitabile se la cooperativa versa in insolvenza conclamata e non propone soluzioni alternative: se un creditore insiste e i requisiti ci sono, il tribunale la dichiarerà.

Va però detto che la liquidazione giudiziale non preclude del tutto la possibilità di un accordo tardivo: il CCII prevede il cosiddetto concordato fallimentare (ora “concordato nella liquidazione giudiziale”), cioè i creditori o un terzo possono proporre, dopo la dichiarazione di fallimento, un concordato per chiudere anticipatamente la procedura offrendo certe percentuali. È uno strumento non frequentissimo ma esiste: ad esempio, un socio o investitore potrebbe proporre di mettere una somma per pagare un tot% ai creditori e chiudere subito la liquidazione, magari ottenendo in cambio l’azienda libera dai debiti.

Per gli amministratori, come già osservato, la liquidazione giudiziale comporta il rischio di azioni di responsabilità e procedimenti penali (bancarotta) per i fatti antecedenti. Inoltre essi possono subire la cosiddetta incapacità post-fallimentare (per 10 anni non possono esercitare uffici direttivi di imprese, salvo riabilitazione), e altre misure limitative. La cooperativa, una volta chiusa la procedura, cessa di esistere; i debiti non soddisfatti restano inesigibili per carenza del soggetto (in teoria i creditori insoddisfatti non possono fare più nulla, salvo eventualmente azioni risarcitorie contro amministratori se c’è dolo/colpa grave).

Liquidazione coatta amministrativa (LCA)

La liquidazione coatta amministrativa merita un cenno specifico poiché, per le cooperative, è prevista in diversi casi come alternativa al fallimento. Essa si avvia con un provvedimento amministrativo (spesso su proposta delle Centrali Cooperative o dell’Autorità di vigilanza) quando la cooperativa presenta gravi irregolarità, violazioni di legge o appunto insolvenza. Un esempio tipico: la cooperativa non deposita bilanci da anni, accumula debiti contributivi, e su segnalazione di Ministero del Lavoro il MiSE ne decreta lo scioglimento per atto dell’autorità e la LCA.

La LCA procede in modo simile alla liquidazione giudiziale: un commissario liquidatore nominato dal Ministero assume i poteri, i creditori presentano le loro istanze di ammissione al passivo, si vendono i beni e si distribuisce l’attivo. Anche qui valgono i privilegi dei crediti e la par condicio. Differenze: la supervisione è del Ministero (tramite un comitato di sorveglianza) anziché del tribunale fallimentare, e alcune regole sono leggermente diverse (ad esempio, non esiste il voto dei creditori su un concordato preventivo – se ci fosse spazio di accordo occorrerebbe convertirla in concordato giudiziale con autorizzazione). In genere, la LCA viene utilizzata per cooperative particolarmente tutelate dal punto di vista sociale (come le cooperative sociali, per le quali è obbligatoria ex lege, come citato ) o per quelle aderenti a grandi centrali dove l’intervento ministeriale è rapido per evitare il discredito sul movimento cooperativo. Talvolta, la scelta tra chiedere fallimento o sollecitare LCA può essere strategica: la LCA è percepita come meno infamante (non c’è la parola “fallimento”), e i commissari spesso cercano soluzioni di sistema (es. far rilevare l’attività da altre coop). C’è però da dire che per i creditori l’una o l’altra sono simili in esito: entrambi portano alla liquidazione del patrimonio.

Una questione importante riguarda la dichiarazione giudiziale di insolvenza nell’ambito di LCA: se una cooperativa sotto-soglia (non fallibile) viene posta in LCA, i dipendenti possono accedere al Fondo di garanzia INPS solo se il tribunale dichiara lo stato di insolvenza (procedura che si fa su ricorso del commissario). Questo per dire che a volte è necessario comunque un passaggio giudiziario, sebbene non finalizzato al fallimento ma solo all’attestare l’insolvenza (utile anche per far decorrere reati di bancarotta).

In conclusione, fallimento (liquidazione giudiziale) e LCA sono due facce della stessa medaglia: terminano l’impresa e liquidano i beni. La cooperativa dovrebbe considerarle come l’ultima risorsa, quando ogni altra soluzione è fallita. Tuttavia, non vanno demonizzate: in certi casi porre fine a un’agonia debitoria tramite una procedura concorsuale ordinata è la scelta più razionale, che permette anche di far scattare quelle tutele (come il Fondo di garanzia per i lavoratori) e quelle azioni di responsabilità che, magari, recuperano qualcosa da chi ha causato il dissesto.

Procedure di sovraindebitamento per piccole cooperative (concordato minore e liquidazione controllata)

Se la cooperativa di facchinaggio è di dimensioni ridotte e non raggiunge le soglie per la fallibilità indicate sopra, essa rientra nella categoria dei “debitori minori” disciplinati dalla normativa sul sovraindebitamento. In tale ambito, due procedure principali possono applicarsi:

  • Concordato minore: è l’equivalente del concordato preventivo ma destinato ai debitori non fallibili (piccole imprese, professionisti, enti non commerciali, consumatori imprenditori civili, ecc.). La cooperativa propone ai creditori un piano di ristrutturazione dei debiti, con o senza continuità, da votare e omologare. Le regole sono simili al concordato preventivo, ma con alcuni adattamenti più flessibili: ad esempio, non è richiesta una percentuale minima di soddisfacimento dei chirografari (a differenza del 20% nel concordato preventivo liquidatorio) , proprio perché si vuole favorire la soluzione anche di situazioni disperate purché il debitore meriti. Nel concordato minore, però, il giudice valuta la meritevolezza del debitore – cioè che il sovraindebitamento non sia frutto di dolo o colpa grave – al fine di poter poi concedere l’esdebitazione finale. La presenza di atti in frode ai creditori comporta inammissibilità. Per il resto, la procedura ricalca il concordato: occorre nominare un gestore della crisi (OCC) che aiuta a predisporre il piano e verifica le posizioni, i creditori votano (serve il 60% dei crediti ammessi al voto per approvare) e il tribunale omologa se tutto è regolare . È una strada adatta se la cooperativa ha debiti non enormi e vuole evitare la liquidazione pura: ad esempio, concordato minore in continuità per dilazionare i pagamenti su 4-5 anni tenendo aperta l’attività.
  • Liquidazione controllata del sovraindebitato: questa è la nuova versione (nel CCII) della vecchia “liquidazione del patrimonio” della L.3/2012. In pratica, è una liquidazione concorsuale giudiziale semplificata riservata ai debitori non fallibili. La cooperativa può accedervi volontariamente (depositando ricorso) o può esservi coattivamente spinta su istanza di un creditore o del PM, ma solo dopo che magari è fallito un concordato minore o quando non ha seguito le regole. Nella liquidazione controllata, il tribunale nomina un liquidatore (spesso scelto tra i gestori OCC) che avrà compiti analoghi a un curatore, però con procedure più snelle. Si liquidano i beni e si ripartono le somme. La grande differenza rispetto alla liquidazione giudiziale fallimentare è che non c’è uno stigma di fallito e soprattutto che l’esdebitazione per il debitore persona fisica (qui nel nostro caso i garanti o coobbligati persone fisiche, perché la cooperativa come ente non ne ha bisogno) è pressoché automatica a fine procedura, salvo il debitore sia negligente. Per la cooperativa in sé, essendo persona giuridica, la chiusura della liquidazione comporta l’estinzione dell’ente. La liquidazione controllata è dunque l’analogo del fallimento per i piccoli: da usare se non c’è prospettiva concordataria o se il concordato minore fallisce.

Una importante novità del Codice della Crisi è l’esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII) per il sovraindebitato persona fisica: ma questo si applica agli imprenditori individuali, non alla cooperativa in quanto tale (che essendo società, non ha bisogno di esdebitazione morale, semplicemente si estingue). Tuttavia è rilevante per gli ex amministratori e garanti: se ad esempio l’amministratore ha messo firme personali e si trova rovinato, può dopo la chiusura del fallimento o liquidazione chiedere l’esdebitazione personale, e se addirittura non ha nulla da offrire può ottenere l’esdebitazione “a zero” grazie a quella norma in un secondo momento . La Cassazione ha mostrato un orientamento molto favorevole al concedere l’esdebitazione anche in casi di pagamento parziale insignificante, purché il debitore non abbia colpe gravi .

Ritornando alla cooperativa: se è sotto soglia e quindi non fallibile, l’alternativa al concordato minore è la liquidazione controllata, la quale a sua volta può concludersi con l’estinzione e l’eventuale esdebitazione degli obbligati personali. Spesso le micro-cooperative preferiscono la via del concordato minore se c’è una minima chance di proseguire l’attività o di pagare qualcosina ai creditori per evitare la chiusura definitiva. Ad esempio, un caso reale: una piccola cooperativa di pulizie e facchinaggio con €205.000 di debiti ha presentato un piano di liquidazione nell’ambito di una procedura di sovraindebitamento (ex L.3/2012) che è stato omologato dal Tribunale . In quel caso, la cooperativa ha continuato l’attività durante i 4 anni di piano e al termine ha ottenuto l’esdebitazione residua, dimostrando come anche una piccola impresa può uscire dal tunnel dei debiti regolando la propria crisi .

Le procedure di sovraindebitamento coinvolgono anch’esse l’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) territoriale, che assiste nella predisposizione della proposta e svolge funzioni simili al commissario giudiziale. Per la cooperativa, rivolgersi a un OCC è come dichiarare “sono sovraindebitata, aiutatemi a trovare la soluzione concorsuale giusta”: verrà nominato un gestore che esaminerà la situazione e consiglierà il concordato minore o la liquidazione controllata a seconda dei casi.

In tutte le procedure concorsuali dette, va ricordato un punto cruciale: la cooperativa come ente non “sopravvive” ai debiti se la procedura è liquidatoria. Se c’è continuità (concordato in continuità o concordato minore in continuità), la cooperativa continua la sua esistenza curando il piano di risanamento; se c’è liquidazione (giudiziale, coatta o controllata), si va verso la cessazione definitiva. In ogni caso, a conclusione delle procedure, i debiti chirografari insoddisfatti vengono cancellati (per le persone fisiche con esdebitazione, per la società per estinzione del soggetto). L’importante, soprattutto per gli amministratori e garanti personali, è la possibilità di ottenere il fresh start che vediamo qui di seguito.

Esdebitazione del debitore e “fresh start”

L’esdebitazione è l’istituto che consente al debitore sovraindebitato, una volta esaurita la liquidazione del suo patrimonio, di essere liberato dai debiti residui e poter ripartire pulito (il cosiddetto fresh start). Questa possibilità, introdotta gradualmente nel nostro ordinamento, è oggi pienamente riconosciuta sia nel fallimento (liquidazione giudiziale) per l’imprenditore persona fisica, sia nelle procedure di sovraindebitamento. Va subito chiarito che l’esdebitazione riguarda le persone fisiche (imprenditori individuali, soci illimitatamente responsabili, garanti, consumatori), perché le società commerciali cessano con la chiusura del fallimento e dunque non hanno bisogno di esdebitazione (non esistendo più). Nel nostro caso, quindi, l’esdebitazione può interessare gli ex amministratori o soci garanti della cooperativa che abbiano debiti personali connessi, oppure potrebbe riguardare la cooperativa stessa solo se considerata imprenditore minore non fallibile e assimilata all’imprenditore individuale nella procedura di sovraindebitamento (ipotesi controversa, ma generalmente si parla di esdebitazione per persona fisica).

La Corte di Cassazione negli ultimi anni ha adottato un orientamento sempre più orientato al favor debitoris, ovvero a favorire la concessione dell’esdebitazione purché il debitore sia meritevole e rispettoso delle procedure. Ad esempio, con ordinanza n. 15359/2023 ha statuito che le cause ostative all’esdebitazione (quelle previste dall’art. 142 L.Fall., come condotte fraudolente o mancanza di collaborazione) sono tassative e da interpretare restrittivamente, alla luce della Direttiva UE 2019/1023 che promuove la seconda opportunità . In altre parole, se non vi sono gravi motivi per negarla, il beneficio va dato, anche se i creditori hanno ricevuto poco o nulla. Ancora, la Cass. n. 27562/2024 ha confermato che, con il Codice della Crisi, è eliminato qualsiasi requisito di soglia minima di soddisfacimento dei creditori ai fini dell’esdebitazione: ciò che conta è la condotta del debitore e una valutazione sostanziale delle circostanze, non la percentuale pagata . Questi principi innovativi rendono l’esdebitazione uno strumento davvero accessibile per chi si è trovato sommerso dai debiti in buona fede.

Vediamo le principali ipotesi:

  • Esdebitazione post-fallimentare: l’ex imprenditore (amministratore o socio illimitatamente responsabile) può chiedere entro 1 anno dalla chiusura del fallimento la cancellazione dei debiti rimasti insoddisfatti. I requisiti tradizionali erano: cooperazione col curatore, nessuna condanna per bancarotta fraudolenta, aver soddisfatto almeno parzialmente i creditori (almeno l’11-12% se ben ricordo). Ma oggi, per i fallimenti dichiarati dopo l’entrata in vigore del CCII, non c’è più soglia di pagamento minima . Quindi anche se i creditori hanno preso zero, l’esdebitazione può essere concessa se il soggetto ha agito correttamente e merita la seconda chance. Un dubbio sorto era: quale disciplina si applica ai fallimenti aperti prima del CCII (luglio 2022) ma con istanza di esdebitazione dopo? La Cassazione, con ordinanza 14835/2025, ha chiarito che a quelle procedure “vecchie” si continua ad applicare la vecchia legge fallimentare, quindi ancora con i vecchi requisiti . In sostanza, la legge nuova non ha effetto retroattivo su procedure già iniziate, coerentemente con il principio di irretroattività delle norme concorsuali sostanziali.
  • Esdebitazione nelle procedure da sovraindebitamento: nel concordato minore e nella liquidazione controllata, il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione di diritto una volta eseguiti gli obblighi (nel concordato) o terminata la liquidazione (nella liquidazione controllata), salvo non sia meritevole. Il concetto di meritevolezza è un po’ ampio ma sostanzialmente se non ha frodato i creditori e non ha violato i doveri nella procedura, gliela danno. Un’evoluzione significativa è l’esdebitazione del debitore incapiente introdotta dall’art. 283 CCII: in pratica, una persona fisica sovraindebitata, che non abbia nessun patrimonio liquidabile e sia ritenuta meritevole, può ottenere dal tribunale la cancellazione dei debiti pur senza offrire nulla ai creditori, a patto di impegnarsi a pagare entro 4 anni almeno una parte se la sua situazione migliora. È la cosiddetta esdebitazione “a costo zero”. La Cassazione (nell’ord. 15359/2023 citata) richiama questo istituto come segno di grande apertura del legislatore verso la fresh start . Nel contesto delle cooperative, questo potrebbe applicarsi all’ex socio garante rovinato personalmente, che chiusa la liquidazione della coop si trovi con debiti personali (es. verso la banca per la fideiussione escussa) e nessun bene: costui, se meritevole, potrebbe chiedere l’esdebitazione incapiente e ricominciare da capo. Naturalmente, la cooperativa in sé non “ricomincia”: essa se è liquidata è estinta. Ma le persone dietro di essa sì.

In definitiva, il sistema attuale tende a perdonare i debiti residui ai falliti onesti. Lo scopo è incentivare l’emersione delle crisi e il rapido svolgimento delle procedure senza ostacoli, sapendo che al debitore onesto verrà data una nuova chance, mentre chi ha frodato sarà punito (niente esdebitazione e magari responsabilità penale). D’altronde, la Direttiva UE 2019/1023 sulla ristrutturazione e insolvenza spinge molto sulla second chance per gli imprenditori onesti, raccomandando che entro 3 anni al massimo possano essere liberati dai debiti .

Per completare il quadro, si noti che anche nelle procedure concorsuali “minori” è prevista l’esdebitazione del socio illimitatamente responsabile: non riguarda la nostra cooperativa (che ha responsabilità limitata), ma è per dire che in una società di persone i soci falliti possono esdebitarsi pure loro.

Esempio pratico: se la nostra cooperativa di facchinaggio dovesse purtroppo finire in liquidazione giudiziale, il suo amministratore (supponiamo ditta individuale contestualmente fallita o garante) potrà, chiusa la procedura, chiedere l’esdebitazione. La Cassazione con sentenza 34150/2024 ha persino ammesso che nei piani del consumatore (vecchia L.3/2012) fosse legittimo prevedere la dilazione ultrannuale dei crediti privilegiati purché i creditori potessero votare , segno di grande flessibilità pro-debitore. Ormai l’orientamento è: dare modo all’imprenditore onesto di tornare in gioco. E questo è un messaggio di speranza anche per i nostri cooperatori: affrontare la crisi non significa subire per sempre il marchio dei debiti, ma, se si seguono le regole e si fa il possibile, si può aspirare a ripulire la posizione e ricominciare più saggi.

Tabelle riepilogative

Per aiutare a chiarire le differenze tra le varie procedure e tipologie di crediti, riportiamo di seguito alcune tabelle di sintesi.

Tabella 1 – Principali procedure per la crisi d’impresa e loro caratteristiche

ProceduraSoggetti ammessiFinalitàContinuità aziendalePagamento creditoriEsdebitazione
Concordato preventivo (CCII)Imprese fallibili (sopra soglie)Risanamento o LiquidazionePossibile (in continuità) o cessazioneParziale secondo il piano (voti creditori; privilegio va tendenzialmente rispettato salvo accordi)Sì, per soci guaranti (post procedura, su richiesta)
Accordo di ristrutturazione (CCII)Imprese anche fallibili (accordo omologato al 60% crediti)Risanamento negoziato con omologaDi solito continuitàPagamento secondo accordo (richiede adesione di % creditori)Sì (indiretto, se persona fisica in caso di residuo debito)
Composizione negoziata (stragiud.)Ogni impresa in crisi (volontaria)Risanamento assistito dall’espertoSì, obiettivo continuitàDa definire in accordi (non impone falcidie ex lege)N/D (non è procedura liquidativa né concorsuale)
Concordato minore (CCII)Debitori non fallibili (sotto soglie)Risanamento o LiquidazionePossibile (continuità)Parziale secondo il piano (no soglia minima di pagamento)Sì, per debitore persona fisica meritevole (automatico a fine procedura)
Liquidazione giudiziale (Fallimento)Imprese fallibili (sopra soglie)Liquidazione patrimonioNo (salvo brevi esercizi provv.)Secondo prelazioni (privilegi 100%, chirografi in base ad attivo)Sì, per debitore persona fisica (a richiesta, se meritevole)
Liquidazione coatta amm. (LCA)Cooperative (anche non fallibili in alcuni casi)Liquidazione patrimonio (amministrativa)NoSecondo prelazioni (come fallimento)Sì, per debitore persona fisica (analogamente al fallimento)
Liquidazione controllata (CCII)Debitori non fallibili (sovraindebitamento)Liquidazione patrimonioNoSecondo prelazioni (come fallimento)Sì, per persona fisica (fine procedura, salvo malafede)
Piano attestato di risanamento (stragiud.)Ogni impresa in crisi (accordo privato)Risanamento (evita insolvenza)Secondo accordi privati con creditoriNon applicabile (nessuna procedura liquidativa)

Nota: Nella tabella sopra, l’esdebitazione si riferisce sempre al debitore persona fisica (imprenditore individuale, socio illimitatamente responsabile, garante). Le società di capitali non “ottengono” esdebitazione ma si estinguono con la chiusura della procedura. Nel contesto cooperativo, interessa soprattutto gli amministratori o soci coinvolti personalmente.

Tabella 2 – Tipologie di crediti e trattamento tipico in procedure concorsuali

Tipo di creditoEsempiPrivilegioTrattamento in concordatoTrattamento in liquidazione
Erario – TributiIVA, ritenute, imposte reddito, IRAP, sanzioni tributariePrivilegio generale (imposte dirette) e speciale (IVA, ritenute); sanzioni chirografeDi regola da pagare integralmente quota privilegiata, salvo transazione fiscale che consente stralcio/dilazione . Quota chirografa può essere falcidiata come altri.In prededuzione se imposte di procedura; altrimenti privilegiate sul ricavato (es. IVA privilegio speciale su beni). Sanzioni: chirografe ultime a essere pagate.
Contributi previdenzialiINPS contributi obbligatori, INAIL premiPrivilegio generale (sul mobiliare) per contributi; sanzioni e interessi chirografariAnalogamente alle imposte: quota privilegiata va prevista in pagamento integrale salvo accordo transattivo (transazione previdenziale). Possibile dilazione oltre 1 anno con voto creditori (Cass. 2024) .Privilegiati sul ricavato al pari delle imposte (grado inferiore a retribuzioni); sanzioni civili chirografe.
Retribuzioni e TFR (lavoro dip.)Salari ultimi 3 mesi, TFR maturatoPrivilegio generale (ultimi 3 mesi salari max 6k€ per lavoratore) + privilegio speciale su beni dell’impresa (TFR e 6 mensilità)Da pagare integralmente (impossibile falcidiare crediti lavoro se non eccedono massimali privilegio) – spesso interviene Fondo garanzia INPS a pagare e si surroga.Pagati subito dal Fondo di Garanzia INPS (TFR e ultimi 3 mesi) nei limiti di legge; eventuali residui crediti lavoro privilegiati soddisfatti subito dopo le prededuzioni.
Debiti bancari chirografariScoperti c/c non garantiti, finanziamenti unsecuredNessun privilegio (chirografo puro, salvo eventuali pegni/ipoteche)Possono essere falcidiati pesantemente. Spesso in concordato ricevono percentuali basse (es. 10-30%) a saldo. Se banca ha fideiussione, potrà escuterla fuori concordato salvo integrarsi nel piano.Partecipano al riparto finale come chirografari, prendendo quota proporzionale solo se avanza qualcosa dopo privilegi.
Debiti bancari ipotecariMutuo su immobile, leasing immobiliarePrivilegio speciale su bene (ipoteca)Devono essere soddisfatti almeno in misura non inferiore al valore di liquidazione del bene ipotecato. In concordato liquidatorio tipicamente se immobile viene venduto, il mutuante prende il ricavato fino a copertura credito. Possibile rinegoziazione in concordato in continuità con accordo.Hanno diritto di prelazione sull’immobile: nel fallimento, dalla vendita dell’immobile ipotecato la banca ipotecaria è pagata prima dei crediti inferiori in grado. Se il ricavato è insufficiente, residuo come chirografo.
Fornitori chirografariDebiti commerciali non garantitiNessun privilegioTipicamente falcidiati. La percentuale dipende dall’attivo disponibile dopo privilegi. Possono formare una classe a sé e votare la proposta.Se rimane attivo dopo soddisfazione di privilegiati e prededucibili, i fornitori ricevono distribuzione pro-quota. In molti fallimenti non percepiscono nulla se il patrimonio copre appena i privilegi.
Fisco enti locali, multeIMU, TARI, sanzioni CdS, altre multePrivilegi speciali se previsti da legge (es. IMU su immobili ha privilegio sui beni stessi), molte sanzioni solo chirografeSe privilegiati (es. IMU su immobile venduto), da trattare come tali; se chirografi (multe stradali) falcidiabili come gli altri chirografari.Crediti come IMU godono di privilegio su immobile (dopo ipoteche volontarie se iscritte); multe e sanzioni chirografarie vengono in coda.
Soci finanziatoriPrestiti da soci, sovventoriPostergati ex lege se apporto capitale di rischio (art. 2467 c.c. analogo in cooperative): vengono dopo tutti gli altri creditiNei piani sono spesso ignorati o considerati in classe residuale a cui nulla spetta (per legge non possono essere preferiti ai chirografi normali).In liquidazione i soci finanziatori prendono qualcosa solo se tutti gli altri creditori hanno avuto integrale soddisfo (postergazione). In caso contrario, nulla.

Nota: la tabella semplifica molto. In un concordato, è possibile creare classi di creditori e offrire trattamenti differenziati purché giustificati da omogeneità di posizione e votati dalle rispettive classi. Ad esempio, si può offrire il 5% ai fornitori e il 30% alle banche se vi sono ragioni (magari per assicurarsi liquidità futura dalle banche). Nel rispetto della par condicio, però, i privilegiati devono avere trattamento coerente col loro grado salvo consenso espresso a diversamente. Le percentuali indicate sono esemplificative.

Esempi pratici e simulazioni di casi risolti

Dopo tanta teoria, può essere utile esaminare alcuni scenari pratici per capire come le norme si applicano a casi reali di cooperative di facchinaggio indebitate. Di seguito presentiamo tre ipotesi tipiche, con l’indicazione delle possibili soluzioni adottate o adottabili. Naturalmente ogni caso concreto ha le sue particolarità, ma questi esempi servono a visualizzare meglio il percorso.

Esempio 1: Piccola cooperativa di facchinaggio con solo debiti fiscali – La cooperativa Alfa è composta da 3 soci lavoratori, fattura circa €250.000 l’anno prestando servizi di trasloco locale. A causa di un calo di commesse e di alcuni investimenti sbagliati, si trova con un debito di circa €80.000 verso l’Agenzia delle Entrate (principalmente IVA non versata di due annualità) e poche migliaia di euro verso fornitori vari. Non ha dipendenti oltre i soci. Il patrimonio sociale è modesto: 2 furgoni del valore usato di €15.000 totali e attrezzature per €5.000. I soci non hanno grandi disponibilità personali. In questa situazione, Alfa è tecnicamente insolvente verso il Fisco, ma trattandosi quasi solo di debito tributario potrebbe cercare una soluzione negoziata con l’Erario. I soci decidono di muoversi per tempo e, assistiti da un legale, presentano istanza di rateizzazione all’ADER per l’IVA dovuta, optando per un piano straordinario di 72 rate (6 anni). Ottenuto il piano, le azioni di recupero sono sospese. Nel frattempo, richiedono la rottamazione per le cartelle degli anni passati, riducendo di molto sanzioni e interessi. Grazie a queste misure, la cooperativa riesce a riportare i pagamenti correnti in regola (versando l’IVA dell’anno in corso regolarmente e il corrente INPS, così da non accumulare nuovo debito) e destina ogni margine di cassa al pagamento delle rate. Dopo due anni di sacrifici e approfittando di un miglioramento del mercato (nuove commesse), la cooperativa riesce a onorare il piano con il Fisco e a chiudere la posizione debitoria. In questo caso non è stato necessario attivare procedure concorsuali: è bastato utilizzare gli strumenti deflattivi (rateazione e definizione agevolata) messi a disposizione dalla legge . Fondamentale è stato l’aver agito subito: se Alfa avesse ignorato le cartelle, si sarebbe trovata presto con i conti pignorati e impossibilitata a lavorare.

Esempio 2: Cooperativa media indebitata con Fisco, INPS e fornitori – La cooperativa Beta opera nel facchinaggio per grande distribuzione, ha 15 soci lavoratori e 5 dipendenti esterni, fatturato €1,5 milioni/anno. Negli ultimi tempi accumula debiti: €300.000 con Agenzia Entrate (IVA e ritenute non versate, più accertamenti IRAP), €150.000 con INPS (contributi non versati su salari), €200.000 con fornitori (carburante, manutenzioni) e €100.000 con banche (scoperti e leasing arretrati). Totale debiti circa €750.000. Gli stipendi correnti cominciano a saltare e i soci non prendono paga da 2 mesi. Il DURC è irregolare e Beta sta per perdere un appalto importante. Ci troviamo di fronte a una crisi conclamata, la cooperativa è sovraindebitata oltre soglia fallimento. I dirigenti di Beta si rivolgono a un OCC e attivano la composizione negoziata nella speranza di salvare l’impresa. Viene nominato un esperto, il quale appura che Beta avrebbe ordini e mercato sufficienti a generare utili, ma è soffocata dai debiti pregressi. Dopo aver ottenuto dal tribunale la protezione temporanea (tutti i creditori sospendono esecuzioni per 4 mesi), l’esperto convoca tavoli di trattativa con i principali creditori: propone all’Agenzia Entrate una transazione fiscale nell’ambito di un futuro concordato preventivo, offrendo il pagamento del 50% del debito in 5 anni; all’INPS propone il pagamento integrale dei contributi dilazionato in 2 anni (facendo leva sul fatto che in fallimento probabilmente recupererebbe meno e molto tardi); ai fornitori chirografari offre il 30% in 4 anni; alle banche offre piani di rientro su 5 anni con interessi ridotti, garantiti dall’ingresso di un nuovo socio finanziatore che apporta €100.000 freschi. Grazie alla regia dell’esperto, tutti gli attori comprendono che una soluzione concordata è preferibile al fallimento, in cui i privilegiati forse otterrebbero un 20% e i chirografi quasi zero. Si redige quindi un accordo di ristrutturazione dei debiti con adesione dell’80% dei crediti totali. L’accordo viene omologato dal tribunale ex art. 48 CCII (avendo superato il 60%). Beta così evita il fallimento: prosegue l’attività, paga regolarmente le nuove obbligazioni e, seguendo il calendario, riesce in tre anni a soddisfare quanto promesso (anche vendendo qualche cespite non indispensabile per far cassa). I creditori privilegiati sono stati soddisfatti in misura significativa e hanno approvato l’accordo, dunque la procedura è andata a buon fine. Al termine, Beta torna in bonis, e i debiti residui oggetto di stralcio vengono esdebitati per effetto dell’accordo omologato. In questo esempio, la chiave è stata l’uso combinato di composizione negoziata e accordo omologato: senza la protezione iniziale, forse i creditori non avrebbero ascoltato; senza l’omologa, eventuali dissenzienti avrebbero potuto far saltare il banco.

Esempio 3: Cooperativa insolvente avviata alla liquidazione – La cooperativa Gamma purtroppo ha la situazione più grave: operava nel facchinaggio logistico, ma ha perso i contratti maggiori a causa di irregolarità contributive. Ora è ferma, senza lavoro, con €500.000 di debiti vari e nessun reale piano di risanamento. I soci hanno abbandonato e l’amministratore è rimasto solo a gestire il fine vita. Gamma non è in grado di proporre un concordato credibile e i creditori (tra cui l’INPS e vari lavoratori non pagati) hanno già presentato istanze di fallimento. In tal caso, l’esito quasi inevitabile è la liquidazione giudiziale o, essendo Gamma una cooperativa a mutualità prevalente, probabilmente la liquidazione coatta amministrativa su iniziativa del Ministero (che viene sollecitato anche da Legacoop a intervenire visto il danno d’immagine). Infatti, una cooperativa di questo tipo, priva di prospettive di recupero, è destinata alla chiusura coattiva. Viene emesso un decreto di LCA dal MiSE: Gamma viene sciolta e nominato un commissario liquidatore. Questi accerta che praticamente non ci sono attivi (solo un magazzino con vecchia attrezzatura di scarso valore) e dunque convoca i creditori per comunicar loro che il passivo rimarrà in gran parte insoddisfatto. I pochi beni vengono venduti realizzando €50.000, che servono a pagare in parte i debiti verso i dipendenti e l’INPS (crediti privilegiati). Ai fornitori e alla banca non arriva nulla. La procedura di LCA dura un paio d’anni, giusto il tempo di chiudere i contenziosi in essere e tentare (infruttuosamente) qualche azione di responsabilità. Infatti, analizzando le cause dell’insolvenza, il commissario scopre che negli anni scorsi l’amministratore aveva prelevato indebitamente fondi sociali per spese non attinenti e aveva omesso di versare sistematicamente i contributi nonostante vi fossero entrate (dirottando magari soldi verso società riconducibili a parenti). Scatta quindi un’azione di responsabilità contro l’amministratore per mala gestio: il tribunale, a seguito di CTU, lo condanna a risarcire €100.000 verso la massa dei creditori , riconoscendo che la sua condotta dolosa ha aggravato il dissesto. Inoltre, viene avviato nei suoi confronti un procedimento penale per bancarotta fraudolenta (avendo distratto denaro e falsificato i bilanci), data la dichiarazione giudiziale di insolvenza pronunciata dal tribunale su richiesta del commissario LCA. In definitiva, Gamma cessa di esistere; i creditori chirografari restano con nulla in mano se non la soddisfazione morale che l’amministratore paghi almeno in sede giudiziaria; l’amministratore stesso vede il proprio patrimonio aggredito per quel che si può e rischia anche il carcere. Questo scenario sottolinea come ignorare i debiti e perseverare in comportamenti scorretti conduce al peggiore degli epiloghi: impresa distrutta, debiti non pagati, e pesanti conseguenze personali. Se Gamma avesse affrontato prima la crisi con trasparenza, forse si sarebbe potuto perlomeno salvare parte dell’attività o evitare le responsabilità penali.

Questi esempi mostrano diversi esiti possibili: salvataggio leggero tramite accordi e dilazioni (Alfa), ristrutturazione complessa ma riuscita (Beta), liquidazione inevitabile con conseguenze serie (Gamma). La maggior parte dei casi reali si colloca tra Alfa e Beta: cioè situazioni difficili ma recuperabili con gli strumenti giusti, a condizione di agire tempestivamente. La situazione tipo Gamma, di solito, è frutto di inattività prolungata e di comportamenti sbagliati da parte degli amministratori, che aggravano irreparabilmente la crisi.

Domande frequenti (FAQ)

Domanda: I soci di una cooperativa rispondono dei debiti con il proprio patrimonio?
Risposta: No, di regola i soci cooperatori non rispondono personalmente dei debiti sociali oltre la quota sottoscritta. Come stabilito dall’art. 2518 c.c., nelle cooperative (normalmente costituite a responsabilità limitata) per le obbligazioni sociali risponde solo la società con il suo patrimonio . Ciò significa che se la cooperativa non paga fornitori, banche, fisco ecc., i creditori non possono pretendere il pagamento dai singoli soci. L’unico rischio patrimoniale diretto per il socio è di perdere il capitale investito (la sua quota sociale). Fanno eccezione casi particolari: (a) cooperative a responsabilità illimitata (oggi molto rare o quasi vietate, comunque non comuni nel facchinaggio) in cui i soci avevano pattuito responsabilità personale; (b) responsabilità verso il Fisco dei soci per somme riscosse in fase di liquidazione in danno dell’Erario (come visto, se nei 2 anni precedenti la liquidazione hanno ricevuto denaro e poi mancano soldi per le imposte, possono dover restituire quelle somme); (c) garanti personali: se un socio ha firmato egli stesso fideiussioni o garanti, in tal caso è obbligato verso quel creditore per impegno contrattuale. Ma in assenza di tali situazioni, il socio non paga i debiti sociali. Va aggiunto che i soci lavoratori non perdono i loro diritti di credito di lavoro: se la coop non paga stipendi, i soci lavoratori sono creditori privilegiati come gli altri lavoratori, non “sacrificano” il credito per il fatto di essere soci. Dunque l’essere socio in sé non comporta l’obbligo di ripianare i debiti della cooperativa – a meno che il socio abbia deliberatamente assunto obblighi ulteriori (es. versamenti ulteriori previsti dallo statuto o garanzie personali, come detto).

Domanda: La cooperativa di facchinaggio può essere dichiarata fallita?
Risposta: Dipende dalla natura e dimensioni. Una cooperativa è considerata un’impresa, quindi in generale sì, può essere assoggettata a fallimento (liquidazione giudiziale) se è insolvente e supera le soglie di non fallibilità (art. 2 CCII). Tuttavia, ci sono eccezioni normative: ad esempio le cooperative sociali (che operano ex L. 381/1991) per legge acquisiscono la qualifica di imprese sociali, e l’art. 1, c.4 D.Lgs. 112/2017 prevede che le imprese sociali non sono soggette a fallimento ma solo a liquidazione coatta amministrativa . Ciò è stato confermato di recente dalla Cassazione . Dunque una cooperativa sociale in insolvenza non potrà essere dichiarata fallita dal tribunale, ma verrà liquidata dall’autorità governativa. Per quanto riguarda le cooperative di produzione e lavoro “ordinarie” (come molte di facchinaggio), se hanno la qualifica di mutualità prevalente potrebbero cercare di sostenere di essere escluse dal fallimento, ma la giurisprudenza passata (Cass. 29245/2021) affermava che anche esse possono fallire se svolgono attività commerciale in modo economico . La Cassazione 2023 (caso coop sociali) sembra limitare l’esclusione ai soli casi previsti espressamente (imprese sociali). Quindi, ricapitolando: una cooperativa di facchinaggio non sociale e con debiti oltre soglia può essere dichiarata fallita ex art. 2545-terdecies c.c. ; se invece è “sotto soglia” (piccola dimensione), allora rientra tra i non fallibili e seguirà procedure di sovraindebitamento (concordato minore o liquidazione controllata) invece del fallimento. In ogni caso, se c’è insolvenza, una procedura liquidatoria ci sarà: o giudiziale (fallimento) o amministrativa (LCA) o da sovraindebitamento. L’importante è capire che non esiste l’intoccabilità: la cooperativa insolvente viene comunque “processata” concorsualmente in qualche modo, salvo la lasciar morire irregolarmente (cosa sconsigliata e rischiosa).

Domanda: Cosa rischia l’amministratore se la cooperativa non paga i debiti?
Risposta: In prima battuta, l’amministratore rischia che la cooperativa venga aggredita dai creditori (pignoramenti, istanze di fallimento) e quindi di perdere la gestione dell’azienda. Ma più personalmente, come visto, l’amministratore non è debitore dei debiti sociali; tuttavia, rischia di incorrere in responsabilità civili e penali se la situazione di insolvenza non è gestita correttamente. Sul piano civile, può essere chiamato a rispondere con il proprio patrimonio per danni causati da sua cattiva gestione (azione di responsabilità per mala gestio) . Ad esempio, se ha aggravato i debiti ritardando inutilmente il ricorso a misure di crisi, oppure se ha pagato preferenzialmente alcuni creditori violando la par condicio poco prima del fallimento, il curatore/liquidatore può chiedergli i danni. Inoltre, se scioglie la società pagando i soci e lasciando impagato il Fisco, risponde in proprio verso l’Erario come previsto dall’art. 36 DPR 602/73 . Sul piano penale, l’amministratore rischia: (a) reati tributari (omesso versamento IVA o ritenute, se supera le soglie) – in tal caso può subire un processo penale e potenzialmente la condanna a multa/reclusione; (b) reati fallimentari se si arriva al fallimento – ad esempio bancarotta fraudolenta se ha distratto beni o tenuto contabilità irregolare, con pene pesanti; (c) altre violazioni come mancato versamento contributi > €10.000 annui (reato contravvenzionale) o reati in materia di lavoro (es. sfruttamento se non paga stipendi volontariamente). Dunque, non pagare i debiti espone l’amministratore a rischi notevoli: perderà l’impresa e potrebbe doverne rispondere personalmente ai creditori (in via risarcitoria) e al giudice penale. Un amministratore accorto, appena la coop non riesce a pagare, deve attivarsi: convocare i soci, segnalare la crisi all’organo di controllo se esiste, rivolgersi a esperti per trovare soluzioni legali. L’inerzia è la scelta peggiore.

Domanda: È possibile evitare il fallimento o la liquidazione coatta?
Risposta: Sì, l’obiettivo di tutti gli strumenti di regolazione della crisi (concordati, accordi, ecc.) è proprio evitare la liquidazione giudiziale o amministrativa, purché ci sia una via sostenibile per soddisfare (almeno parzialmente) i creditori. In concreto, per evitare il fallimento occorre presentare un’alternativa valida prima che il tribunale decida sulla relativa istanza. Ad esempio: presentare una domanda di concordato preventivo (anche in bianco/riserbo) blocca le istanze di fallimento e consente di proporre un piano. Oppure, trovare un accordo stragiudiziale con i creditori maggiori, se formalizzato e rispettato, eviterà che essi chiedano il fallimento. La composizione negoziata e l’OCC sono strumenti pensati proprio per intercettare le situazioni a rischio e dare un esito diverso dalla liquidazione. Detto ciò, non sempre è evitabile: se la cooperativa è totalmente decotta e priva di qualunque prospettiva, il fallimento/LCA può divenire inevitabile. Ma nelle situazioni intermedie, con interventi tempestivi, si può evitare la chiusura traumatica. Va ricordato però che evitare il fallimento non significa mantenere l’azienda a tutti i costi: a volte si evita il fallimento facendo comunque una liquidazione ordinata tramite concordato (quindi l’azienda chiude ma con concordato anziché con fallimento, il che è comunque “evitare il fallimento” in senso tecnico). Se invece per “evitare” si intende salvare l’impresa e proseguire l’attività, allora serve un piano in continuità: fattibile se c’è mercato e se la crisi è finanziaria ma non industriale. In somma, sì, c’è la possibilità di schivare le procedure più gravi, ma richiede azione attiva da parte della cooperativa – e spesso sacrifici e accordi.

Domanda: Come vengono trattati i debiti fiscali e contributivi nel concordato preventivo?
Risposta: I debiti verso il Fisco (Erario) e gli enti previdenziali (INPS, INAIL) sono crediti privilegiati, quindi nel concordato preventivo occorre prevederne il pagamento integrale salvo il caso in cui si ottenga l’adesione dell’ente a una transazione fiscale/previdenziale. In un concordato senza transazione, le imposte e i contributi privilegiati vanno pagati al 100% (di solito entro un anno dall’omologa se privilegio su mobiliare, o nei limiti delle risorse ricavate da eventuali beni su cui hanno privilegio speciale). Tuttavia, è ammesso che il piano dilazioni tali pagamenti oltre l’anno se c’è la continuità e se i creditori privilegiati approvano (votano a favore) . La quota di debito fiscale o contributivo eventualmente chirografa (es. sanzioni, interessi non privilegiati) può invece essere falcidiata come gli altri chirografari. Se si attiva la transazione fiscale (art. 63 CCII, ex art. 182-ter L.F.), la cooperativa può proporre all’Agenzia delle Entrate il pagamento parziale dei tributi anche sul quantum privilegiato e/o una dilazione più lunga, ma deve offrire almeno quanto otterrebbe il Fisco in caso di liquidazione e deve ottenerne il consenso espresso (voto favorevole del Fisco in apposita classe). Lo stesso per l’INPS. In pratica, nel concordato liquidatorio tradizionale gli enti pubblici spesso ricevono il pagamento integrale del capitale (imposte/contributi) e rinuncia a sanzioni, mentre nel concordato in continuità è più facile coinvolgerli in dilazioni sul lungo termine col vantaggio della prosecuzione dell’attività. Le recenti modifiche e pronunce tendono a dare flessibilità: ad esempio, Cass. 34150/2024 ha ritenuto legittimo in procedure di sovraindebitamento prevedere pagamenti dilazionati e parziali di crediti privilegiati pubblici, purché i creditori siano messi in condizione di esprimersi (voto) . Questo orientamento vale analogamente nel concordato preventivo: oggi Agenzia Entrate e INPS partecipano alle votazioni nelle rispettive classi e possono accettare anche uno stralcio del loro credito privilegiato se la proposta li convince. In sintesi: senza accordo specifico, i debiti fiscali/previdenziali vanno onorati integralmente nel concordato, ma tramite gli strumenti di transazione e col voto si possono ridurre importi e allungare tempi, soprattutto in concordati in continuità, allineandosi al principio europeo di favorire il risanamento rispetto alla riscossione immediata e integrale.

Domanda: Durante una procedura di concordato o composizione negoziata, la cooperativa può continuare ad operare?
Risposta: Sì, può continuare l’attività sotto certe condizioni. Nel concordato preventivo in continuità, per definizione, l’azienda resta operativa: gli amministratori, affiancati dal commissario giudiziale, proseguono la gestione ordinaria e, con autorizzazione, anche quella straordinaria. I contratti in corso proseguono (salvo eccezioni), i dipendenti continuano a lavorare, la cooperativa fattura e incassa normalmente per la parte corrente, pur con l’obbligo di rispettare il piano. Anzi, la legge incentiva la continuità perché serve a generare utili per pagare i creditori. Nel concordato liquidatorio, invece, tipicamente l’attività cessa e si liquida, quindi lì no, non si opera se non per dismettere. Durante la composizione negoziata, certamente la cooperativa continua ad operare: la composizione negoziata è solo un tavolo di trattative, non sospende l’attività (a meno che l’imprenditore stesso decida di ridurla). Se sono state richieste misure protettive, queste bloccano i creditori ma la cooperativa continua a lavorare e a poter, ad esempio, stipulare nuovi contratti (magari con l’assenso dell’esperto per correttezza). Anche nelle procedure di sovraindebitamento, se il piano prevede la continuità (concordato minore in continuità), l’impresa continua a operare regolarmente, con la supervisione dell’OCC/commissario. Solo nella liquidazione giudiziale o controllata l’attività cessa o è limitata allo stretto indispensabile per vendere il tutto (salvo brevi esercizi provvisori su autorizzazione per aumentare il valore di realizzo). Quindi, una cooperativa che richiede un concordato o avvia una composizione negoziata generalmente non deve chiudere le porte: può (e di solito deve) continuare la gestione per dimostrare di potersi risollevare. Ad esempio, se aveva appalti in corso, li esegue; può partecipare a nuove gare se ottiene un DURC provvisorio grazie al piano di rientro; può emettere fatture e incassare (attenzione: gli incassi nel concordato vanno spesso su conti vigilati). Ci sono casi in cui il tribunale può anche autorizzare contratti indispensabili durante la procedura (es. ottenere finanziamenti prededucibili per lavorare). Quindi sì, durante la procedura concorsuale di risanamento l’attività prosegue, sebbene sotto monitoraggio e con qualche restrizione (ad esempio, non si possono pagare debiti anteriori senza autorizzazione, per non alterare la par condicio). In composizione negoziata, l’esperto potrebbe raccomandare di non assumere nuove obbligazioni oltre il sostenibile, ma l’impresa resta in mano all’imprenditore. In somma, le procedure sono concepite proprio per consentire la continuità dove possibile – altrimenti sarebbero solo liquidazioni.

Domanda: Cosa succede ai debiti residui se la cooperativa viene sciolta e cancellata con dei debiti?
Risposta: La domanda sottintende il caso di cancellazione dal Registro Imprese di una società ancora debitrice. Per le società di capitali (inclusa la cooperativa) vale il principio che, una volta cancellata la società, essa cessa di esistere e perde la soggettività giuridica. I debiti non soddisfatti restano formalmente senza un soggetto obbligato: i creditori non possono più agire contro la società (che non esiste), né automaticamente contro soci o amministratori (salvo situazioni particolari). Tuttavia, non è così semplice “far sparire” i debiti con una cancellazione: innanzitutto i liquidatori, prima di chiedere la cancellazione, dovrebbero aver pagato i creditori secondo le disponibilità; se hanno cancellato la società senza pagare i debiti pur avendo attivo, rispondono personalmente verso i creditori nei limiti di quanto distribuito ai soci o impiegato male (come detto, art. 2495 c.c. e 36 DPR 602/73 per il Fisco) . Se invece la società si cancella perché priva di attivo, i creditori rimasti a mani vuote possono tentare di rivalersi su soci e amministratori: i soci, solo se hanno avuto riparti in sede di liquidazione (devono restituire quanto preso, in proporzione, per pagare creditori insoddisfatti); gli amministratori, se c’è stata mala gestio o irregolarità (azione di responsabilità extra fallimentare nei 5 anni dalla cancellazione). In giurisprudenza, la Cassazione (Sez. Un. 6070/2013) ha chiarito che la cancellazione estingue la società, ma i creditori insoddisfatti possono far valere i loro crediti residui verso i soci (fino a concorrenza di quanto riscosso in liquidazione da ciascuno) e, oltre, verso i liquidatori se il mancato pagamento è dipeso da colpa di costoro. Quindi i debiti residui non “spariscono” moralmente: diventano eventualmente escutibili nei confronti di soci e liquidatori in quei limiti. Se nessun socio ha ricevuto nulla (liquidazione in perdita totale) e il liquidatore ha operato correttamente, di fatto i creditori non avranno nessuno da aggredire e il debito sarà inesigibile (a meno di riapertura della liquidazione entro 5 anni se salta fuori un bene occulto). Per questo, il vantaggio di cancellare la società con debiti è più apparente che reale: i creditori potrebbero comunque creare guai ai liquidatori o soci se ci sono spunti. In ogni caso, dopo la cancellazione, il debitore societario non c’è più, quindi non esiste procedura concorsuale né atto di esdebitazione formale: semplicemente, i debiti rimangono insoddisfatti. Un esempio: cooperativa X chiusa senza attivo e cancellata; Equitalia non potrà più notificare atti a X (che non esiste), ma se scopre che l’anno prima della chiusura X ha rimborsato ai soci prestiti per tot euro, potrà chiedere a quei soci la restituzione fino a concorrenza delle imposte non pagate (applicando art. 36 DPR 602/73). Oppure un fornitore potrà far causa al liquidatore sostenendo che ha danneggiato i creditori (ad es. vendendo un macchinario a prezzo vile a un amico, riducendo l’attivo disponibile) e chiedergli i danni. Insomma, la cancellazione non è una bacchetta magica per far svanire i debiti: li rende solo non più esigibili contro la società, ma li rende eventualmente azionabili in via indiretta contro chi la rappresentava. E di certo non elimina eventuali garanzie personali: se c’erano fideiussioni, il creditore agirà contro i garanti. In sintesi, i debiti residui dopo lo scioglimento restano in carico ai garanti o coobbligati personali, mentre la società estinta non ne risponde più; i creditori insoddisfatti possono intraprendere azioni recuperatorie straordinarie (verso soci e liquidatori) se ne ricorrono i presupposti di legge.

Domanda: Una cooperativa di facchinaggio con troppi debiti può trasformarsi in un’altra forma societaria (es. S.r.l.) per liberarsi dei debiti?
Risposta: La cooperativa può trasformarsi in società di capitali (S.r.l., S.p.A.) ma ciò non la libera affatto dai debiti. La trasformazione è un mero cambio di forma giuridica: la società che risulta dalla trasformazione rimane responsabile di tutti i debiti anteriori con il medesimo patrimonio. Dunque, non è uno stratagemma per sfuggire ai creditori. Inoltre, va considerato che non tutte le cooperative possono liberamente trasformarsi: il codice civile (art. 2545-decies c.c.) consente la trasformazione solo alle cooperative diverse da quelle a mutualità prevalente . Se la cooperativa è a mutualità prevalente (come molte lo sono per godere di fiscalità di vantaggio), prima di trasformarsi dovrebbe rinunciare a tale status (perdendo i benefici) e soprattutto, per legge, la deliberazione di trasformazione comporta la devoluzione dell’intero patrimonio sociale – dedotto il capitale versato e i ristorni eventualmente distribuibili – ai fondi mutualistici per lo sviluppo della cooperazione . In pratica, quando una cooperativa si trasforma in S.r.l., deve donare tutto il patrimonio accumulato (riserve indivisibili) a quei fondi (es. fondi di Legacoop, Confcooperative) e parte con la nuova forma societaria solo col capitale sociale. È una norma che impedisce le “furberie”: i soci non possono appropriarsi delle riserve mutualistiche tramite trasformazione. Quindi, se la cooperativa aveva qualche attivo netto, lo perde a favore dei fondi mutualistici al momento della trasformazione . Di conseguenza, trasformarsi durante una crisi toglierebbe magari risorse utili a pagare i creditori (devono andare ai fondi) peggiorando la situazione di solvibilità! Perciò raramente ha senso. La trasformazione potrebbe avere senso in un percorso di rilancio a lungo termine quando la cooperativa è sana e i soci vogliono cambiare veste giuridica. Ma in condizioni di insolvenza, trasformarsi in S.r.l. non porta alcun beneficio sui debiti: i creditori resteranno tali, potranno agire contro la nuova S.r.l. trasformata come avrebbero fatto contro la cooperativa, e anzi potrebbero impugnare la delibera di trasformazione se questa lede i loro diritti (la legge prevede un diritto di opposizione dei creditori alla trasformazione entro 60 giorni dalla delibera). Infatti, se la cooperativa tenta di trasformarsi con debiti e i creditori temono pregiudizio, possono opporsi e il tribunale può subordinare l’efficacia della trasformazione al pagamento dei creditori opponenti (art. 2500-novies c.c.). Insomma, trasformarsi non cancella i debiti e richiede di regola di averli pagati o accordati. Pertanto, non è uno strumento di difesa dal sovraindebitamento. Anzi, se la coop è in crisi, prima vanno gestiti i debiti con accordi o procedure; solo a risanamento avvenuto si potrà valutare la trasformazione se per qualche ragione societaria conviene. In conclusione: no, non ci si libera dei debiti per magia trasformandosi in S.r.l.; i debiti permangono e i creditori restano legittimati a pretenderli dal nuovo soggetto giuridico risultante dalla trasformazione.

Domanda: Quante volte si può beneficiare di esdebitazione o altre misure di sollievo (rottamazione, concordati)?
Risposta: In linea di massima, le norme cercano di evitare l’abuso ripetuto di benefici. Per l’esdebitazione post-fallimento, la legge fallimentare prevedeva che non poteva essere concessa se il debitore ne aveva già usufruito nei 10 anni precedenti (divieto di “bis in idem” ravvicinato). Il CCII mantiene l’idea che l’esdebitazione “a zero” del debitore incapiente possa essere concessa una sola volta nella vita , proprio perché condonare tutti i debiti senza pagamento è un’extrema ratio unica. Per l’esdebitazione ordinaria, è difficile che uno stesso soggetto fallisca due volte, ma se succede, una seconda esdebitazione è possibile trascorsi almeno 5 anni dalla prima (art. 282 CCII). Sul fronte delle definizioni agevolate fiscali, le “rottamazioni” sono misure straordinarie, teoricamente se uno ha più cartelle in vari periodi può aderire a più rottamazioni (2017, 2018, 2023… ogni volta che il legislatore le concede). Non c’è un limite legale al numero di volte, ma se poi non rispetta le rate viene escluso e deve pagare tutto con aggravio. Quanto ai concordati preventivi, un imprenditore potrebbe teoricamente proporre concordato più volte, ma la legge impone che se un concordato viene revocato o annullato per inadempimento doloso, il debitore non possa accedere a un nuovo concordato nei 5 anni successivi. Inoltre, se c’è stato un fallimento chiuso con esdebitazione, eventuali nuovi debiti contratti non potrebbero più essere esdebitati con la stessa leggerezza (il giudice guarderebbe molto più severamente la meritevolezza). Insomma, non c’è un numero fisso di “tentativi” vietato, ma le procedure costano e ogni volta il controllo di meritevolezza diventa più stringente. In generale, meglio non ripetere: l’idea del legislatore è dare una seconda opportunità, ma non una terza, quarta, ecc. Un uso eccessivo di concordati o accordi potrebbe anche minare la fiducia dei creditori e quindi essere poco praticabile. Quindi: rottamazioni finché il legislatore le concede uno può aderirvi (ma sempre per debiti pregressi a certe date); concordati più di uno è possibile negli anni (ci sono imprese che hanno fatto 2 concordati preventivi a distanza di 10 anni l’uno), ma ovviamente dev’esserci una ragione; esdebitazione personale è pensata come evento raro, una tantum. Ad esempio, se un amministratore già esdebitato una volta dovesse di nuovo fallire, il giudice potrebbe negargli la seconda esdebitazione se ravvisa dolo o se appare come “seriale”. Quindi la risposta sintetica: in teoria alcune misure possono essere usate più volte, ma esistono limiti temporali e di meritevolezza che di fatto circoscrivono l’accesso ripetuto ai benefici.

Conclusione

Abbiamo percorso il difficile cammino che una cooperativa di facchinaggio indebitata si trova davanti, esaminando cosa fare e come difendersi quando i debiti rischiano di travolgere l’impresa. La situazione del debitore cooperativa è complessa ma non senza vie d’uscita: l’ordinamento italiano offre oggi una varietà di strumenti, dal negoziato stragiudiziale assistito fino alle procedure concorsuali avanzate, che consentono – se usati tempestivamente e con competenza – di ridurre l’esposizione debitoria, bloccare i creditori e tentare il risanamento. Il filo conduttore è la necessità di agire presto e con trasparenza: ogni ritardo può pregiudicare qualche opzione (ad esempio perdere il DURC fa perdere appalti, attendere pignoramenti riduce il capitale circolante per eventuali piani, ecc.).

Dal punto di vista del debitore cooperativa, difendersi dai debiti significa innanzitutto conoscere i propri diritti (come impugnare atti illegittimi, chiedere dilazioni, ecc.) ma anche i propri doveri (non aggravare il dissesto, informare correttamente i soci e gli organi di controllo) per evitare di incorrere in responsabilità personali. La normativa italiana aggiornata al 2025 è particolarmente attenta a bilanciare l’esigenza di tutela dei creditori con quella di dare una seconda chance alle imprese meritevoli . Emblematiche sono le pronunce della Cassazione che incoraggiano una lettura pro-debitore dell’esdebitazione e la Direttiva europea che spinge al fresh start. Ciò non significa che i debiti evaporino, ma che l’ordinamento incentiva le soluzioni concordate e premia chi, in buona fede, tenta di ristrutturare l’impresa o quantomeno liquidarla ordinatamente.

Per una cooperativa di facchinaggio, spesso la sfida è duplice: da un lato gestire un’attività labour-intensive con margini ridotti, dall’altro confrontarsi con rigidità contributive e fiscali significative. Questa guida ha affrontato entrambi i lati, fornendo un quadro normativo avanzato e suggerendo approcci pratici. In chiusura, ribadiamo alcuni consigli chiave per i cooperatori-debitori:

  • Non isolarsi: coinvolgere subito professionisti esperti (avvocati d’impresa, commercialisti) può aprire opportunità che da soli non si individuano. Ad esempio, un avvocato esperto può trovare vizi in cartelle esattoriali o un OCC può aiutare a mediare con le banche.
  • Non procrastinare: il tempo è cruciale. Attendere le esecuzioni o la revoca dei contratti spesso porta a soluzioni disperate. Meglio giocare d’anticipo: chiedere prima le rateazioni, proporre un concordato in bianco prima che i creditori facciano istanza di fallimento, ecc.
  • Agire nella legalità: evitare tentazioni di fare “i furbi” (nascondere beni, preferire pagamenti ad amici, creare nuove società per spostare lavori lasciando i debiti nella vecchia – queste operazioni possono essere annullate o punite). Meglio percorrere le strade lecite, che magari richiedono sacrifici ma proteggono da guai peggiori.
  • Comunicare con i soci e i lavoratori: in una cooperativa, soci e dipendenti spesso coincidono. Una gestione condivisa della crisi (assemblee trasparenti, decisioni collegiali sulle strategie come ridurre costi, ricapitalizzare, ecc.) può rafforzare la coesione e l’impegno di tutti verso il salvataggio.
  • Valutare l’obiettivo finale: salvare l’impresa o, se impossibile, salvare il salvabile (ad esempio vendere un ramo sano a un’altra cooperativa, tutelando l’occupazione di almeno parte dei soci, e poi liquidare il resto). Talvolta “mollare” l’impresa è la scelta dolorosa ma giusta per ridurre i danni (ad esempio attivando subito il fondo di garanzia INPS per i lavoratori invece di farli aspettare anni).

In definitiva, anche una cooperativa di facchinaggio con debiti può – con una strategia legale mirata – risollevarsi e continuare a operare. Attraverso strumenti adeguati è possibile ridurre le passività, bloccare i creditori più aggressivi e proteggere il futuro dell’azienda . E se proprio la sorte dell’impresa è segnata, le stesse leggi permettono quantomeno di limitarne le conseguenze sui membri: liquidare ordinatamente significa chiudere un capitolo ma preservare l’onorabilità e magari la possibilità, per i soci, di costituire in futuro una nuova realtà senza lo spettro dei vecchi debiti (grazie all’esdebitazione). Conoscere i propri strumenti di difesa è quindi potere: la salvezza o la caduta della cooperativa dipendono in buona parte da quanto consapevolmente e tempestivamente saprà reagire.

Avvertenza: la presente guida offre informazioni a livello avanzato e generale sulla base delle norme aggiornate al 2025 e dei più autorevoli indirizzi giurisprudenziali. Ogni caso concreto va poi valutato specificamente, e si raccomanda di farsi assistere da professionisti qualificati per applicare correttamente gli istituti descritti alla situazione particolare.

Gestisci una cooperativa di facchinaggio o servizi logistici e ti ritrovi con debiti verso banche, fornitori, soci lavoratori o Agenzia delle Entrate? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Gestisci una cooperativa di facchinaggio o servizi logistici e ti ritrovi con debiti verso banche, fornitori, soci lavoratori o Agenzia delle Entrate?
Hai cartelle esattoriali, contributi INPS non versati, mutui o leasing arretrati, e temi pignoramenti, blocchi bancari o la chiusura della cooperativa?
👉 Non tutto è perduto: oggi la legge ti permette di bloccare i creditori, ridurre o cancellare i debiti e proteggere i soci lavoratori, grazie agli strumenti previsti dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019).

In questa guida scoprirai perché le cooperative di facchinaggio si trovano spesso in difficoltà, quali soluzioni legali esistono, e come difenderti per salvare la tua cooperativa o chiuderla in modo protetto e senza fallire.


🧱 Perché le cooperative di facchinaggio si indebitano

Il settore logistico e dei servizi di facchinaggio è tra i più esposti a crisi di liquidità e pressioni economiche. Le cause principali sono:

  • ritardi nei pagamenti da parte di committenti o appaltatori principali;
  • aumenti dei costi di carburante, mezzi e manodopera;
  • margini troppo bassi nei contratti di appalto;
  • contributi e imposte non versati a causa della scarsa liquidità;
  • sanzioni e accertamenti fiscali o previdenziali;
  • problemi nella gestione del personale e delle cooperative spurie.

📌 Tutto questo porta molte cooperative a non riuscire più a coprire le spese correnti, accumulando debiti fiscali, bancari e commerciali che possono diventare insostenibili.


🧾 Tipologie di debiti più comuni nelle cooperative di facchinaggio

Debiti fiscali e contributivi

  • IVA, IRPEF, INPS, INAIL, TARI, cartelle esattoriali, accertamenti dell’Agenzia delle Entrate.

Debiti bancari e finanziari

  • Leasing e mutui per camion, muletti, furgoni o magazzini.
  • Scoperti di conto o linee di credito non più sostenibili.

Debiti commerciali

  • Fatture non pagate a fornitori, officine, distributori di carburante, agenzie interinali e assicurazioni.

Debiti verso soci e lavoratori

  • Stipendi arretrati, TFR, contributi non versati, vertenze o cause di lavoro.

Debiti personali o garanzie fideiussorie

  • Garanzie firmate dai rappresentanti legali o soci amministratori per finanziamenti aziendali.

⚠️ Cosa rischia una cooperativa indebitata

Se non agisci per tempo, la cooperativa può subire:

  • pignoramenti di conti correnti e veicoli aziendali;
  • blocchi delle forniture e delle commesse in appalto;
  • revoca dei fidi bancari o delle linee di credito;
  • azioni legali da parte di fornitori, dipendenti o enti pubblici;
  • iscrizione di ipoteche e perdita dei contratti di appalto.

👉 Tuttavia, oggi la legge consente di bloccare subito i creditori, ristrutturare i debiti e salvare la cooperativa o chiuderla legalmente, evitando il fallimento.


🧩 Le soluzioni legali per cooperative di facchinaggio con debiti

💠 1. Rinegoziazione dei debiti con banche e fornitori

Un avvocato esperto può aiutarti a trattare accordi di saldo e stralcio o piani di pagamento sostenibili, ottenendo:

  • riduzione delle somme dovute fino al 70%;
  • rateizzazioni lunghe e compatibili con gli incassi dei contratti;
  • sospensione temporanea dei pagamenti.

👉 È la soluzione ideale per chi ha ancora commesse e vuole continuare a lavorare e mantenere i soci occupati.


💠 2. Concordato minore (per cooperative e SRL)

È la procedura prevista dal Codice della Crisi d’Impresa, utile per cooperative che vogliono risanare i debiti.
Consente di:

  • bloccare pignoramenti e azioni legali;
  • ridurre legalmente i debiti fiscali, contributivi e bancari;
  • preservare l’attività e i rapporti di lavoro dei soci.

📌 È la strada giusta per cooperative strutturate, con contratti attivi e dipendenti.


💠 3. Procedura di sovraindebitamento (per piccole cooperative o ditte individuali)

È riservata a cooperative di piccole dimensioni e consente di:

  • bloccare le azioni dei creditori e le cartelle;
  • presentare un piano di pagamento parziale in base alle possibilità economiche;
  • ottenere la cancellazione dei debiti residui (esdebitazione).

👉 Perfetta per realtà con fatturato ridotto o in fase di chiusura.


💠 4. Liquidazione controllata (ex fallimento)

Se la cooperativa non è più sostenibile, puoi chiudere in modo ordinato e protetto, mettendo a disposizione solo i beni non essenziali (mezzi, attrezzature, magazzino).
Alla fine della procedura, il Tribunale cancella tutti i debiti residui, consentendo ai soci e al rappresentante legale di ripartire senza pendenze.


💠 5. Verifica di cartelle e accertamenti fiscali

Molti debiti con l’Agenzia delle Entrate derivano da errori, vizi formali o prescrizioni.
Un avvocato può:

  • verificare la prescrizione (5 o 10 anni);
  • controllare irregolarità di notifica o importi duplicati;
  • chiedere la sospensione o l’annullamento delle cartelle illegittime.

🚛 Cosa fare subito

✅ 1. Raccogli tutta la documentazione

Prepara cartelle, contratti di appalto, bilanci, leasing, mutui e rapporti con i soci.

✅ 2. Blocca i creditori con una procedura legale

Con il deposito in Tribunale di un piano di ristrutturazione (concordato o sovraindebitamento), tutti i creditori vengono sospesi per legge.

✅ 3. Evita nuovi prestiti o accordi non sostenibili

Non firmare piani di rientro “capestro”: serve una strategia legale complessiva, gestita da un avvocato specializzato.


📋 Documenti utili per la difesa

  • Documento d’identità e codice fiscale del legale rappresentante.
  • Visura camerale e statuto della cooperativa.
  • Bilanci e dichiarazioni fiscali degli ultimi anni.
  • Cartelle esattoriali e accertamenti.
  • Contratti di appalto e elenco clienti.
  • Elenco soci, dipendenti e collaboratori.
  • Contratti di leasing, mutui e finanziamenti.
  • Estratti conto bancari.

⏱️ Tempi e risultati possibili

  • Analisi e preparazione della strategia legale: 1–3 settimane.
  • Deposito della procedura in Tribunale: 1–2 mesi.
  • Blocco dei creditori: immediato con il deposito.
  • Durata del piano di rientro: da 1 a 5 anni.

🎯 Risultati concreti:

  • Stop a pignoramenti, sequestri e cartelle.
  • Riduzione o cancellazione dei debiti residui.
  • Tutela dell’attività e dei soci lavoratori.
  • Ripartenza economica e reputazionale.

⚖️ I vantaggi principali

✅ Blocco immediato di pignoramenti e riscossioni.
✅ Riduzione legale dei debiti fino all’80%.
✅ Mantenimento delle commesse e continuità aziendale.
✅ Tutela dei soci e del legale rappresentante.
✅ Possibilità di chiudere legalmente senza fallimento.


🚫 Errori da evitare

  • Ignorare cartelle o decreti dell’Agenzia delle Entrate.
  • Pagare solo alcuni creditori peggiorando la situazione.
  • Accumulare nuovi debiti o prestiti “ponte”.
  • Affidarsi a intermediari o “agenzie del debito” non avvocati.
  • Aspettare troppo: agire subito è la chiave per salvare la cooperativa.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza la situazione fiscale e debitoria della cooperativa.
📌 Ti consiglia la soluzione migliore: rinegoziazione, concordato, sovraindebitamento o liquidazione controllata.
✍️ Redige e deposita il piano legale per bloccare subito i creditori.
⚖️ Ti rappresenta nei rapporti con Agenzia delle Entrate, banche, fornitori e dipendenti.
🔁 Ti assiste fino alla cancellazione totale dei debiti o alla ristrutturazione completa della cooperativa.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in diritto commerciale, tributario e crisi d’impresa.
✔️ Specializzato nella difesa di cooperative di servizi, logistica e facchinaggio con debiti fiscali e bancari.
✔️ Gestore della crisi da sovraindebitamento iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Essere una cooperativa di facchinaggio con debiti non significa essere destinati alla chiusura.
Con una difesa legale tempestiva e personalizzata, puoi bloccare i creditori, ridurre drasticamente le somme dovute e continuare a lavorare in modo regolare e protetto.
La legge oggi tutela chi agisce con trasparenza e vuole salvare la propria attività o chiuderla senza fallire.

📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata:
la tua nuova ripartenza senza debiti comincia oggi.

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
Si invita a leggere attentamente il disclaimer del sito.

Torna in alto

Abbiamo Notato Che Stai Leggendo L’Articolo. Desideri Una Prima Consulenza Gratuita A Riguardo? Clicca Qui e Prenotala Subito!