Gestisci un’impresa di manutenzione, installazione o assistenza di ascensori e ti trovi in difficoltà economica a causa di debiti con il Fisco, l’INPS, i fornitori o le banche? È una condizione purtroppo sempre più diffusa in questo settore. L’aumento dei costi dei materiali, la pressione fiscale e i ritardi nei pagamenti da parte di condomìni, amministratori e aziende hanno messo in crisi molti operatori del comparto impiantistico. Quando le cartelle esattoriali e le richieste di pagamento si accumulano, il rischio di blocchi operativi o di pignoramenti è concreto. La buona notizia è che esistono strumenti legali efficaci per gestire, rateizzare o cancellare i debiti, tutelando la tua impresa e il tuo patrimonio personale.
Perché le imprese di manutenzione di ascensori si indebitano
Le ragioni dell’indebitamento nel settore sono molteplici. Le imprese di ascensoristica devono sostenere costi fissi elevati: stipendi del personale tecnico, magazzino, assicurazioni, mezzi di trasporto e forniture di ricambi. I pagamenti dei clienti, soprattutto dei condomìni, sono spesso lenti, mentre le scadenze fiscali e contributive non si fermano. Anche gli investimenti in formazione e aggiornamento tecnico per rispettare le normative sulla sicurezza e sulle nuove tecnologie aumentano i costi operativi. In molti casi, per mantenere l’attività, gli imprenditori rinviano il pagamento delle tasse o dei contributi, finendo per accumulare interessi, sanzioni e debiti che diventano difficili da recuperare.
Cosa succede se non paghi tasse o contributi
L’Agenzia delle Entrate-Riscossione e gli enti previdenziali possono attivare rapidamente le procedure di recupero dei crediti. Le più comuni sono la notifica di cartelle esattoriali, le intimazioni di pagamento, i pignoramenti dei conti correnti, i fermi amministrativi sui veicoli aziendali, le ipoteche sugli immobili e i sequestri dei crediti verso clienti o condomìni. Gli importi aumentano progressivamente per effetto di sanzioni e interessi. Se l’attività è gestita come ditta individuale o società di persone, l’imprenditore risponde con il proprio patrimonio personale, con il rischio di compromettere la stabilità economica familiare.
Cosa fare subito se hai debiti come impresa di manutenzione ascensori
Il primo passo è analizzare con precisione la situazione debitoria. Richiedi all’Agenzia delle Entrate-Riscossione l’estratto di ruolo aggiornato per conoscere l’importo complessivo, le annualità coinvolte e gli enti creditori. Successivamente, verifica la regolarità delle cartelle: molti atti contengono errori di notifica, somme prescritte o calcoli sbagliati che un avvocato può contestare. Se i debiti sono validi, puoi chiedere la rateizzazione fino a 120 rate mensili, sospendendo nel frattempo le procedure di riscossione. È importante anche controllare se è attiva una definizione agevolata (rottamazione), che ti permette di pagare solo il capitale, eliminando sanzioni e interessi. Se hai già ricevuto pignoramenti o ipoteche, puoi chiedere la sospensione immediata con un ricorso o un’istanza di autotutela.
Le soluzioni legali per chi non riesce più a pagare
Se i debiti sono troppo elevati o non riesci più a sostenerli, puoi accedere alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, disciplinata dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019). È una procedura legale destinata a ditte individuali, artigiani e piccole imprese che consente di bloccare pignoramenti e azioni dei creditori, proporre un piano di rientro in base alla capacità di pagamento e ottenere la cancellazione parziale o totale dei debiti residui (esdebitazione). È uno strumento riconosciuto dai tribunali italiani e rappresenta una soluzione concreta per salvare la propria attività o chiuderla in modo ordinato, senza lasciare pendenze.
Come difendersi da banche, finanziarie e fornitori
Molte imprese di manutenzione di ascensori hanno anche debiti con banche o fornitori di materiali e componenti tecnici. In questi casi puoi chiedere la rinegoziazione o la sospensione temporanea dei finanziamenti, proporre un saldo e stralcio per chiudere la posizione a importo ridotto, contestare clausole abusive o tassi usurari nei contratti e impugnare eventuali decreti ingiuntivi o pignoramenti entro i termini di legge. Un avvocato esperto può assisterti nella trattativa con i creditori, proteggendo i beni aziendali e trovando soluzioni sostenibili per la continuità operativa.
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
Con una strategia legale ben pianificata puoi ottenere la sospensione dei pignoramenti e delle azioni esecutive, la rateizzazione o la cancellazione dei debiti fiscali e contributivi, la tutela dei beni personali e la possibilità di mantenere attiva l’impresa. In molti casi è possibile evitare la chiusura dell’azienda, preservare i rapporti con i clienti e garantire la continuità del servizio.
Quando rivolgersi a un avvocato esperto
Devi contattare un avvocato se hai ricevuto cartelle o intimazioni di pagamento, se hai debiti fiscali o bancari che non riesci più a sostenere o se rischi pignoramenti o sequestri di beni aziendali. Un avvocato esperto in diritto tributario e crisi d’impresa può bloccare la riscossione, impugnare atti illegittimi e guidarti nella procedura di esdebitazione fino alla cancellazione definitiva dei debiti. Agire in tempo è fondamentale per salvare l’impresa e difendere il tuo patrimonio personale.
⚠️ Attenzione: ignorare le cartelle o gli avvisi di pagamento può portare rapidamente a pignoramenti, blocchi dei conti e perdita dei beni aziendali. Intervenire subito è l’unico modo per salvare la tua attività e ripartire senza debiti.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, riscossione e tutela delle imprese impiantistiche – spiega cosa fare se gestisci un’impresa di manutenzione di ascensori con debiti, come bloccare la riscossione e come cancellare legalmente le somme dovute grazie agli strumenti previsti dalla legge.
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Introduzione
Le imprese di manutenzione di ascensori operano in un settore altamente specializzato e regolamentato, spesso caratterizzato da margini contenuti e pagamenti dilazionati. Quando queste imprese accumulano debiti – verso fornitori di ricambi, banche, Fisco o altri creditori – si trovano esposte a rischi legali e finanziari significativi. In Italia, l’ordinamento prevede strumenti sia di tutela per i creditori sia di difesa per i debitori, incluso un ampio corpo normativo (Codice Civile, norme fallimentari ora riformate nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza) e numerose pronunce giurisprudenziali che chiariscono i diritti e gli obblighi delle parti. Questa guida avanzata (aggiornata a settembre 2025) esamina nel dettaglio cosa può fare un’impresa di manutenzione di ascensori gravata dai debiti e come difendersi dalle azioni dei creditori, adottando il punto di vista del debitore e un linguaggio giuridico ma divulgativo.
Struttura della guida. Affronteremo dapprima le differenze in base al tipo di impresa (es. ditta individuale vs. società di capitali) e come ciò influisce sulla responsabilità per i debiti. Analizzeremo poi le principali azioni dei creditori (pignoramenti mobiliari, immobiliari, azioni legali, ecc.) e le relative contromisure. Verranno esaminati gli strumenti giuridici per gestire la crisi d’impresa – dalle procedure concorsuali tradizionali (es. concordato preventivo, fallimento ora liquidazione giudiziale) alle più recenti procedure di composizione negoziata della crisi, nonché le soluzioni riservate alle piccole imprese sovraindebitate. Un focus specifico sarà dedicato ai debiti fiscali e contributivi (verso Agenzia delle Entrate-Riscossione e INPS), dati i profili peculiari e le possibili conseguenze penali (es. omessi versamenti IVA e contributi). Troverete inoltre tabelle riepilogative per sintetizzare concetti chiave, domande e risposte frequenti (FAQ) e simulazioni pratiche di casi tipici riguardanti imprese di manutenzione di ascensori in difficoltà. L’obiettivo è fornire una panoramica completa e aggiornata, utile sia a professionisti del diritto sia a imprenditori e privati coinvolti in queste situazioni, mettendoli in condizione di comprendere i propri diritti e le proprie opzioni di difesa.
Contesto: imprese di manutenzione ascensori e indebitamento
Il settore della manutenzione di ascensori è costituito in gran parte da piccole e medie imprese artigiane, spesso legate a contratti di appalto con condomìni, enti pubblici o società immobiliari. Queste aziende devono sostenere costi fissi (tecnici specializzati, attrezzature, assicurazioni) e anticipare spese per materiali e ricambi, venendo pagate di solito con fatture a 60-90 giorni. Basta un ritardo o un’insolvenza di un cliente importante perché l’impresa si trovi in crisi di liquidità. Ad esempio, un recente caso in Lombardia ha riguardato il titolare di una piccola impresa di manutenzione ascensori che, a causa del fallimento dell’unica società committente, ha dovuto cessare l’attività nel 2020 senza riuscire a pagare i debiti col Fisco . Questa situazione ha generato un debito di circa 196.000 € verso l’Erario; fortunatamente il debitore è poi riuscito a ottenere l’esdebitazione grazie a una procedura di sovraindebitamento (come vedremo oltre) presso il Tribunale di Milano .
Per un’impresa di manutenzione ascensori indebitata, i problemi più comuni includono: ritardi nei pagamenti ai fornitori di componenti (che possono sospendere le forniture), rate di finanziamenti o leasing di veicoli non pagate (con rischio di revoca dei mezzi o escussione delle garanzie), omissione di versamenti IVA o contributivi (che comporta sanzioni e, se protratta, possibili imputazioni penali), e difficoltà a pagare stipendi e tredicesime ai dipendenti. Inoltre, debiti verso il Fisco o l’INPS possono precludere il rilascio del Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC), indispensabile per partecipare ad appalti o anche per continuare a esercitare in certi contesti: un’impresa senza DURC rischia di perdere commesse e ulteriori entrate, aggravando la sua crisi.
Prospettiva del debitore. Dal punto di vista dell’imprenditore indebitato, è fondamentale sapere che l’indebitamento aziendale non significa automaticamente rovina personale, a patto di conoscere i propri diritti e muoversi per tempo. La legge italiana offre varie possibilità di accordo, ristrutturazione o protezione, ma prevede anche severe conseguenze per chi ignora le regole (ad es. continuando ad accumulare debiti in modo irresponsabile). Nelle sezioni seguenti esamineremo in dettaglio come tutelarsi dai creditori, quali strategie adottare per evitare il tracollo (o per attenuarne gli effetti) e quali strumenti giuridici mettere in campo per difendere l’impresa e il patrimonio personale del titolare o dei soci.
Forma giuridica dell’impresa e responsabilità per i debiti
Un primo aspetto cruciale è la forma giuridica dell’impresa di manutenzione ascensori, poiché da essa dipende chi risponde dei debiti contratti nell’attività. In Italia vige il principio generale secondo cui nelle società di capitali (come la S.r.l.) i debiti dell’impresa gravano solo sul patrimonio sociale, mentre nelle imprese individuali e nelle società di persone i creditori possono rivalersi direttamente sui titolari o sui soci con responsabilità illimitata . Tale distinzione ha implicazioni profonde sulle strategie di difesa dal debito.
Ecco una tabella riepilogativa delle principali forme d’impresa e del relativo regime di responsabilità patrimoniale verso i debiti aziendali:
| Forma giuridica | Responsabilità per i debiti | Note |
|---|---|---|
| Ditta individuale | L’imprenditore risponde con tutto il suo patrimonio personale presente e futuro (responsabilità illimitata ex art. 2740 c.c.). I creditori possono aggredire i beni privati del titolare senza distinzione tra patrimonio d’impresa e personale. | Non esiste separazione patrimoniale: l’azienda e la persona fisica coincidono. Il titolare può essere dichiarato fallito (se supera le soglie di legge) o accedere alle procedure di sovraindebitamento se “piccolo” imprenditore. |
| Società di persone <br>(S.n.c., S.a.s.) | S.n.c.: tutti i soci rispondono solidalmente e illimitatamente con il proprio patrimonio personale per i debiti sociali. <br> S.a.s.: i soli soci accomandatari hanno responsabilità illimitata, mentre gli accomandanti sono responsabili limitatamente alla quota conferita (salvo perdano lo status ingerendosi nella gestione). | I creditori di una S.n.c. o di una S.a.s. possono chiedere il pagamento sia alla società sia direttamente ai soci illimitatamente responsabili (che poi eventualmente si rivalgono sugli altri soci). È prevista la beneficium excussionis (art. 2268 c.c.) solo se pattuito: in mancanza, il creditore può aggredire subito il socio. |
| Società di capitali <br>(S.r.l., S.p.A.) | La società risponde solo col proprio patrimonio per le obbligazioni sociali. I soci non sono personalmente responsabili oltre la quota conferita (art. 2462 c.c.) . | Fa eccezione la S.r.l. unipersonale: se l’unico socio non adempie agli obblighi di legge (ad es. conferimento integrale del capitale e pubblicità nel Registro Imprese), può perdere la limitazione di responsabilità, divenendo illimitatamente responsabile dei debiti contratti nel periodo in cui era socio unico . Inoltre, sia nelle società di capitali che di persone, gli amministratori possono essere chiamati a rispondere con il proprio patrimonio di danni causati alla società o ai creditori da una gestione illegale o negligente (vedi oltre l’azione ex art. 2476 c.c. e art. 2394 c.c.) . |
Come si evince, la S.r.l. è la forma preferibile per limitare il rischio patrimoniale personale dei titolari: i debiti rimangono confinati nella società, che ha un patrimonio autonomo. Ad esempio, se una S.r.l. di manutenzione ascensori accumula debiti verso fornitori o banche e poi fallisce, i creditori non possono automaticamente chiedere ai soci di pagarli di tasca propria . I soci rischiano “solo” di perdere il capitale investito nella società (quote) e gli utili non distribuiti. Questo principio dell’“autonomia patrimoniale perfetta” è sancito dall’art. 2462 c.c., salvo appunto le eccezioni indicate (socio unico inadempiente agli obblighi formali) . Attenzione: va comunque ricordato che molte piccole S.r.l. ottengono credito da banche o fornitori solo se i soci prestano garanzie personali (fideiussioni). In tal caso, la distinzione tra patrimonio sociale e personale si assottiglia: il creditore garantito può aggredire direttamente i beni personali del garante (socio o amministratore) in base alla fideiussione, anche se la società è a responsabilità limitata.
Al contrario, nelle ditte individuali o società di persone, il titolare o i soci rispondono personalmente dei debiti d’impresa: se, ad esempio, una ditta individuale di manutenzione ascensori non paga un fornitore o un finanziamento, il creditore può pignorare i beni privati dell’imprenditore (la casa, l’auto personale non strumentale, i conti bancari personali, ecc.), oltre ai beni aziendali. L’imprenditore non ha uno schermo societario dietro cui proteggersi. Per i soci di S.n.c. vale lo stesso principio di responsabilità illimitata e solidale: ciascun socio può essere costretto a pagare l’intero debito sociale con i propri beni (salvo il diritto di regresso sugli altri soci per la loro parte). Esempio: Tizio e Caio, soci al 50% di una S.n.c. di manutenzione, accumulano 100.000 € di debiti; un creditore può pretendere da Tizio (o da Caio) l’intero importo e pignorare i suoi beni, poi sarà Tizio a rivalersi su Caio per la metà. Nelle S.a.s., solo i soci accomandatari (quelli che amministrano) subiscono questa esposizione totale, mentre gli accomandanti rischiano al più la perdita della loro quota.
Responsabilità degli amministratori verso i creditori. Un aspetto trasversale alla forma giuridica è la possibile responsabilità personale dell’amministratore (o del titolare) per mala gestione. Anche se i soci di una S.r.l. non rispondono dei debiti sociali, la legge tutela i creditori sociali attraverso un’azione specifica: l’azione di responsabilità ex art. 2476 comma 6 c.c. (per le S.r.l., introdotta nel 2019) e ex art. 2394 c.c. (per le S.p.A., applicabile anche alle S.r.l. per analogia prima della riforma) . In base a tali norme, gli amministratori rispondono verso i creditori sociali se, violando i doveri di corretta gestione e di conservazione del patrimonio sociale, hanno provocato una situazione di insufficienza patrimoniale tale da pregiudicare i creditori . In altre parole, l’amministratore non diventa garante di tutti i debiti della società, ma può essere condannato a risarcire i creditori per il danno causato dal suo operato illecito o gravemente negligente. Il risarcimento sarà pari alla perdita subita dai creditori a causa dell’aggravamento del dissesto o della diminuzione del patrimonio sociale imputabile a lui . Ad esempio, se l’amministratore ha continuato a operare e fare spese avventate mentre l’impresa era insolvente, dilapidando le poche risorse rimaste che avrebbero potuto pagare in parte i debiti, i creditori insoddisfatti possono chiedergli quel differenziale di danno. La Cassazione ha chiarito che serve un nesso causale preciso: il semplice mancato pagamento di un debito non basta a far scattare la responsabilità personale dell’amministratore, se l’insolvenza non è colpa sua . Ma se la situazione di dissesto deriva da violazioni dei doveri gestori (es. non aver fermato l’attività in perdita, aver distratto beni, aver omesso di ricapitalizzare o liquidare la società quando era dovuto), allora l’amministratore ne risponde . Questa azione è un importante strumento di difesa postumo per i creditori, e significa che un imprenditore non può sperare di fare affari tramite una S.r.l. pensando di poter agire in modo scriteriato senza conseguenze personali: se la cattiva gestione causa danni ai creditori, il suo patrimonio può essere chiamato in causa per risarcimento. Nel prosieguo vedremo casi pratici e sentenze su questo tema (ad es. Tribunale di Napoli 18/09/2023, che ha confermato la necessità di provare dolo/colpa e nesso causale per condannare l’ex amministratore, escludendo responsabilità in caso di insolvenza dovuta a fattori di mercato imprevedibili) .
Soci e liquidatori – Debiti residui dopo chiusura della società. Un altro profilo da considerare: cosa accade se una società di capitali viene cancellata dal Registro delle Imprese con debiti non pagati? In passato vi erano incertezze: i creditori potevano agire contro i soci (soprattutto se questi avevano ricevuto riparti di liquidazione) o contro i liquidatori. La giurisprudenza ha ora chiarito che gli ex soci di S.r.l./S.p.A. rispondono dei debiti sociali nei limiti di quanto riscosso in sede di liquidazione (in proporzione; art. 2495 c.c.) . Le Sezioni Unite della Cassazione nel 2025 (sent. n. 3625/2025) hanno confermato questo principio anche per i debiti tributari: l’Agenzia Entrate Riscossione deve notificare agli ex soci un apposito atto e può chiedere loro solo somme fino a concorrenza dell’attivo di liquidazione ricevuto, non l’intero debito residuo . Ciò significa che, se una S.r.l. chiude senza attivo, i soci non avendo ricevuto nulla non devono pagare nulla; se invece si sono spartiti, ad esempio, 20.000 € in liquidazione mentre c’erano ancora debiti, i creditori possono chiedere a ciascuno di restituire quanto incassato per pagare quei debiti (principio della responsabilità pro quota entro i limiti delle somme percepite). Allo stesso tempo, il liquidatore della società può essere chiamato a rispondere personalmente verso il Fisco (ex art. 36 D.P.R. 602/1973) e verso i creditori in generale se, nella liquidazione, ha violato l’obbligo di pagare prima i debiti sociali e solo dopo distribuire ai soci l’eventuale residuo . In pratica, il liquidatore che distribuisce attivi ai soci lasciando impagati debiti erariali può essere ritenuto personalmente responsabile fino a concorrenza di tali somme . La Cassazione (ordinanza n. 35497/2023) ha precisato che per escutere il liquidatore il Fisco deve comunque notificargli un avviso di accertamento specifico ai sensi dell’art. 36 DPR 602, non basta mandargli direttamente la cartella intestata alla società . Dunque, dal punto di vista del debitore che chiude la società, è importante seguire regole di correttezza nella liquidazione: pagare i creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione, non occultare cespiti e rispettare gli obblighi fiscali di versare prima imposte e contributi dovuti. Altrimenti, sia i soci (per quanto ricevuto) sia il liquidatore rischiano azioni legali personali da parte dei creditori insoddisfatti.
In sintesi, costituirsi in forma di S.r.l. aiuta a proteggere il patrimonio personale dall’aggressione diretta dei creditori dell’impresa, ma non è uno scudo assoluto: occorre comunque gestire la società con correttezza e rispettare le norme (capitale, bilanci, imposte) per non incorrere in responsabilità ulteriori. Viceversa, chi opera come ditta individuale o società di persone deve essere consapevole di mettere in gioco tutti i propri beni e dovrebbe valutare con particolare prudenza l’indebitamento, ricorrendo se del caso per tempo a strumenti di composizione della crisi per evitare il totale tracollo personale.
Azioni dei creditori: pignoramenti, sequestri e altri mezzi di esecuzione
Quando un’impresa accumula debiti e non riesce a rispettare le scadenze di pagamento, i creditori possono attivarsi per recuperare coattivamente le somme dovute. In genere il primo passo è ottenere un titolo esecutivo – ad esempio una sentenza o un decreto ingiuntivo – e poi procedere con atti di esecuzione forzata (pignoramenti). Alcuni crediti (come cartelle esattoriali per tributi o contributi) sono già titoli esecutivi di per sé e permettono di passare direttamente all’esecuzione trascorsi i termini di legge. Di seguito esaminiamo le principali azioni esecutive a cui l’impresa debitrice può essere soggetta, insieme ai possibili rimedi o limiti legali di cui tener conto per difendersi.
Decreto ingiuntivo e precetto
Molti creditori privati (fornitori, banche) in caso di mancato pagamento richiedono al giudice un decreto ingiuntivo, ossia un ordine di pagamento immediatamente esecutivo. Il decreto ingiuntivo viene emesso in tempi relativamente brevi (qualche settimana o mese) se il credito è fondato su prova scritta (fatture, contratti, estratti conto) e ingiunge al debitore di pagare entro 40 giorni. Trascorso tale termine senza pagamento né opposizione, il decreto diventa definitivo e il creditore può procedere con l’esecuzione forzata. Dal punto di vista del debitore, è fondamentale non ignorare un decreto ingiuntivo: se vi sono contestazioni sul credito (ad esempio merci difettose, importo errato, prescrizione, ecc.), occorre proporre opposizione entro 40 giorni dalla notifica, altrimenti l’ingiunzione diventa inoppugnabile. Proporre opposizione apre un giudizio ordinario in cui l’impresa debitrice può far valere le sue difese; nel frattempo il giudice può sospendere la provvisoria esecutività se ricorrono gravi motivi. Se però il decreto è provvisoriamente esecutivo (lo è spesso, specialmente per crediti liquidi da fatture), il creditore può agire subito in via esecutiva anche durante l’opposizione, salvo ottenga la sospensione.
Una volta ottenuto il titolo esecutivo (decreto ingiuntivo definitivo, sentenza, o la stessa cartella esattoriale trascorsi i termini), il creditore notifica un atto di precetto al debitore intimandogli di pagare entro non meno di 10 giorni; decorso anche tale periodo senza adempimento, può iniziare il pignoramento dei beni.
Pignoramento mobiliare presso il debitore
Il pignoramento mobiliare consiste nell’accesso dell’Ufficiale Giudiziario presso la sede dell’impresa (o, per il debitore individuale, anche presso la sua abitazione) per cercare beni mobili di proprietà del debitore da vincolare e successivamente vendere all’asta. Nel contesto di un’impresa di manutenzione ascensori, i beni mobili pignorabili potrebbero includere: macchinari, attrezzature di officina, veicoli (furgoni), forniture e merci in magazzino, mobili d’ufficio, computer, ecc. L’Ufficiale stila un verbale di pignoramento elencando i beni e nominalmente sottraendoli alla disponibilità del debitore, anche se spesso li lascia custoditi allo stesso debitore in attesa della vendita. Va detto che il pignoramento mobiliare presso aziende raramente conduce a un realizzo soddisfacente per il creditore, specie se i beni sono usati o altamente specializzati (come strumenti tecnici): nelle aste giudiziarie tali beni vengono spesso venduti a una frazione del loro valore originario. Tuttavia, il solo fatto di pignorare può mettere in seria difficoltà l’impresa: i beni pignorati non potrebbero essere venduti né spostati, e in teoria l’Ufficiale Giudiziario potrebbe anche asportarli immediatamente (sebbene di solito li lasci in loco come custodia). Per un’officina di manutenzione ascensori, vedersi pignorare l’attrezzatura essenziale o i mezzi può significare dover fermare l’attività.
Difese possibili: Prima che avvenga il pignoramento mobiliare, l’impresa può evitare di subire l’esecuzione pagando il dovuto entro i 10 giorni dal precetto (magari cercando una transazione con il creditore). Se il debito non è contestabile, spesso conviene cercare un accordo invece di subire il pignoramento, i cui costi (spese di esecuzione) finiranno per aggravare il carico. Una volta arrivato l’Ufficiale Giudiziario, opporsi fisicamente non è lecito (sarebbe reato di resistenza); tuttavia, il debitore ha diritto di indicare eventualmente beni alternativi su cui soddisfarsi o sollevare eccezioni su beni impignorabili. Ad esempio, alcuni beni sono impignorabili per legge (art. 514 c.p.c. e leggi speciali): nel domicilio della persona, gli oggetti di stretta necessità, abiti, letti, elettrodomestici indispensabili, ecc. sono esclusi dal pignoramento. Nel caso di un’impresa individuale, gli strumenti di lavoro indispensabili per l’attività sono parzialmente impignorabili: si possono pignorare solo in parte, e se dal loro valore si prevede di ricavare una somma significativa senza compromettere la continuità dell’attività (art. 515 c.p.c.). Ad esempio, se un artigiano ha un solo computer o un unico trapano necessario al suo lavoro, in teoria non dovrebbe essergli sottratto; se ne ha dieci, forse alcuni sì e altri no, a seconda della necessità. Queste valutazioni sono discrezionali e raramente l’Ufficiale G. si addentra nel dettaglio, ma sono argomenti difensivi da far valere eventualmente in un’opposizione all’esecuzione davanti al giudice, sostenendo che il pignoramento ha riguardato beni impignorabili o eccessivi rispetto al credito. L’opposizione all’esecuzione (ex art. 615 c.p.c.) può essere promossa per contestare la legittimità del pignoramento stesso (ad es. se il titolo era invalido, se il bene pignorato è altrui, se il credito è estinto, ecc.), mentre l’opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.) mira a vizi formali della procedura (notifiche, modalità, termini). I termini per opporsi agli atti esecutivi sono brevi (5 giorni dalla conoscenza dell’atto), dunque occorre reagire tempestivamente. Inoltre, se i beni pignorati appartengono a un terzo (non al debitore), quel terzo può proporre opposizione di terzo all’esecuzione (art. 619 c.p.c.) per farli liberare, provandone la proprietà (ad esempio se in un locale in affitto vengono pignorati beni del locatore estraneo al debitore).
Pignoramento presso terzi (crediti e conti correnti)
Una forma di esecuzione molto incisiva e frequente è il pignoramento presso terzi, utilizzata tipicamente per bloccare conti bancari o crediti che l’impresa vanta verso clienti. Funziona così: il creditore notifica un atto di pignoramento non solo al debitore ma anche al terzo che possiede somme del debitore o gli deve pagare qualcosa. Ad esempio, si può pignorare il conto corrente bancario dell’impresa: l’atto notificato alla banca la obbliga a congelare immediatamente le somme presenti sul conto (fino a concorrenza del credito precettato) e a renderle indisponibili al correntista. Oppure, nel caso di un’impresa appaltatrice, un creditore potrebbe pignorare i crediti verso il condominio o la società cliente: l’atto notificato al cliente impone a quest’ultimo di non pagare più l’impresa debitrice ma trattenere quanto dovrebbe corrisponderle, in attesa della decisione del giudice di assegnare quelle somme al creditore pignorante.
Per un’impresa di manutenzione ascensori indebitata, il pignoramento del conto corrente aziendale è spesso il colpo di grazia: improvvisamente non può più disporre delle liquidità per acquistare materiali o pagare dipendenti, restando paralizzata. È importante sapere che il pignoramento presso terzi congela solo le somme esistenti al momento della notifica: ad esempio, se sul conto ci sono 5.000 € e il debito è 20.000 €, la banca vincola quei 5.000 € (e li renderà disponibili al creditore a esito della procedura), ma non può prendere anche i futuri incassi. Tuttavia, la giurisprudenza ha ritenuto che restano pignorate anche le somme che affluiscono successivamente sul conto entro il limite dell’importo dovuto, se l’atto di pignoramento lo prevede espressamente (c.d. pignoramento “a ripetizione” di crediti periodici). In ogni caso, è prassi che la banca, una volta ricevuto un pignoramento, blocchi subito tutto il saldo presente e generalmente anche il conto stesso (rendendolo inutilizzabile dal titolare). Il debitore può aprire un nuovo conto altrove per proseguire l’attività, ma deve stare attento: spostare fondi pignorati o eludere il pignoramento può configurare reato di procurata insolvibilità fraudolenta. Meglio prevenire questa situazione cercando accordo col creditore prima che esso notifichi il pignoramento in banca.
Difese possibili: Anche qui, un’opposizione all’esecuzione può essere proposta se il credito è contestabile o se il pignoramento presenta irregolarità. Ad esempio, si potrebbe eccepire che la somma pignorata è oggettivamente impignorabile perché trattasi di fondi con vincolo di destinazione o provenienti da contratti di appalto pubblico soggetti a separazione (casi molto specifici). Oppure se il terzo pignorato (es. il cliente debitore a sua volta) deve al nostro debitore somme future ma condizionate (come corrispettivi non ancora maturi), si può discutere sulla pignorabilità. Nel complesso, però, lo spazio difensivo è ridotto: il pignoramento presso terzi è uno strumento molto efficace per i creditori e difficile da contrastare nel merito, a meno di poter saldare o concordare una soluzione. Va segnalato che, se il creditore pignorante è lo Stato (Agenzia Entrate Riscossione), esistono limitazioni particolari: ad esempio, per legge sui conti correnti personali i primi 1.000 € devono restare disponibili al debitore, e sullo stipendio accreditato in banca il pignoramento fiscale incide solo sulla parte eccedente il triplo dell’assegno sociale (circa 1.500 €) . Ma queste tutele (minimo vitale, ecc.) riguardano le persone fisiche; un conto aziendale intestato a una S.r.l. o ditta individuale non gode di un “minimo” impignorabile. In pratica, se sul conto dell’impresa c’è il denaro per pagare fornitori e salari, e arriva un pignoramento, quei fondi restano bloccati a meno di accordi col creditore o intervento del giudice (non usuale).
Pignoramento immobiliare e ipoteche
Se l’impresa debitrice è proprietaria di immobili (ad esempio un capannone, un ufficio, o anche l’abitazione del titolare nel caso di ditta individuale), i creditori possono ricorrere al pignoramento immobiliare. Questo è uno dei procedimenti esecutivi più complessi e lunghi: il creditore iscrive un pignoramento nei registri immobiliari sul bene, il tribunale nomina un custode e un perito, si procede alla stima e infine alla vendita all’asta del bene, con distribuzione del ricavato ai creditori secondo le cause di prelazione. Il pignoramento immobiliare è spesso l’ultima ratio per i crediti ingenti, dato che comporta costi anticipati e tempi che possono superare 1-2 anni per arrivare alla vendita. Tuttavia, per alcuni creditori privilegiati (banche con ipoteca, Fisco con ipoteca, ecc.) è un passaggio quasi obbligato se il debitore non paga.
Ipoteca: Prima ancora del pignoramento, un creditore può iscrivere ipoteca su un immobile del debitore come garanzia. Le banche solitamente già hanno ipoteca (concessa volontariamente) se hanno erogato mutui o fidi garantiti; l’Agenzia delle Entrate-Riscossione può iscrivere ipoteca legale su beni immobili del debitore fiscale quando il debito supera certi importi (oggi > 20.000 €) a seguito di cartelle esattoriali non pagate. Un’ipoteca non provoca immediatamente l’espropriazione, ma costituisce un vincolo: l’immobile non può essere venduto liberamente senza estinguere il debito, e il creditore ipotecario avrà prelazione sul ricavato di un’eventuale vendita o asta. Se il debitore continua a non pagare, si passa al pignoramento.
Occorre menzionare una tutela importante introdotta dalla legge: il divieto di pignorare la prima casa da parte del Fisco. Precisamente, l’art. 76 del D.P.R. 602/1973, comma 1, lettera a) dispone che l’Agente della Riscossione non può espropriare l’unico immobile ad uso abitativo di proprietà del debitore in cui questi risiede anagraficamente, purché non si tratti di abitazione di lusso (categorie catastali A/8 o A/9) . Ciò significa che se il titolare di una ditta individuale ha solo la propria casa (non di lusso) ed è ivi residente, l’Agenzia Entrate Riscossione non potrà metterla all’asta per debiti fiscali. Può però, come detto, iscrivere ipoteca su di essa a garanzia (che rimane, impedendo di venderla senza pagare il debito). In presenza di altri immobili (o se l’immobile non è “prima casa”), l’Agenzia delle Entrate potrà procedere al pignoramento ma solo a certe condizioni: il debito totale deve superare € 120.000 e devono essere decorsi almeno 6 mesi dall’iscrizione di ipoteca senza che il debito sia stato pagato . In altre parole, per il Fisco la procedura è: se hai più case o una casa non protetta, prima ipoteca, poi attesa di 6 mesi, poi eventualmente pignoramento se il debito > 120.000 € . Se il valore dell’immobile è modesto rispetto al debito, per legge il pignoramento non si fa (è richiesto anche che il valore dei beni immobili del debitore superi € 120.000) . Queste restrizioni si applicano solo all’agente pubblico della riscossione; un creditore privato, come una banca o un fornitore, non ha divieti di pignorare l’abitazione del debitore (anche se prima casa). Ad esempio, se una S.r.l. ha sede in un fondo di proprietà, un fornitore può pignorarne l’immobile (nessuna legge lo vieta); se il titolare di ditta individuale è proprietario della casa di abitazione, un creditore privato (es. banca non pagata) può pignorarla – la tutela “prima casa impignorabile” vale solo contro il fisco, non nei rapporti tra privati. Esistono però altre tutele: ad esempio un immobile conferito in un fondo patrimoniale per la famiglia può essere impignorabile per debiti estranei ai bisogni familiari (spesso però i debiti d’impresa vengono considerati inerenti ai bisogni della famiglia imprenditoriale, quindi quella protezione è debole). Ugualmente, se l’immobile è in comunione dei beni tra coniugi e il debito è solo di uno, la metà del coniuge non debitore non dovrebbe essere toccata, ma la metà del debitore sì (con possibili vendite di quote indivise).
Difese e opposizioni in ambito immobiliare: Quando si riceve una notifica di pignoramento immobiliare, vi è solitamente ancora margine di manovra prima della vendita: si può trovare un accordo, chiedere una rateizzazione (soprattutto se il creditore è la banca o il fisco, spesso sospendono la procedura se si raggiunge un piano di rientro), vendere l’immobile privatamente per soddisfare i creditori (sospendendo l’asta), o presentare opposizione giudiziale se vi sono motivi. Ad esempio, se l’ipoteca fiscale è stata iscritta violando i limiti (debito inferiore a soglia), si può impugnare l’atto di ipoteca e il successivo pignoramento come illegittimi. Oppure se il creditore non privilegiato pignora un immobile dove risiedono minori o disabili, si possono chiedere termini dilatori o soluzioni alternative al giudice dell’esecuzione (che a volte concede la vendita posticipata se vi è un grave pregiudizio sociale). Tuttavia, va chiarito: giuridicamente, tolto il caso della prima casa contro il Fisco, non esiste un divieto generale di pignorare beni immobili necessari: il legislatore ha voluto proteggere solo l’abitazione principale dal fisco, ma non ha esteso lo stesso privilegio verso gli altri creditori. Quindi la difesa principale rimane risolvere a monte il debito o ridurlo con accordi, prima che si arrivi all’asta.
Inoltre, se l’immobile ha un valore molto superiore al debito, il debitore può chiedere la conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.): offrire al creditore una somma di denaro pari al dovuto (più spese) anche rateizzata previo deposito di un terzo, così da liberare il bene. Ciò richiede però liquidità o garanzie, spesso non disponibili per chi è in crisi. Dunque, la realtà è che, una volta che i debiti arrivano al punto di innescare pignoramenti immobiliari, l’imprenditore dovrebbe valutare seriamente l’opportunità di ricorrere a procedure concorsuali o strumenti di ristrutturazione del debito (illustrati più avanti), poiché l’esecuzione forzata frammentaria rischia di essere più distruttiva e meno controllabile rispetto a una soluzione globale in tribunale.
Fermo amministrativo di veicoli
Un’ulteriore azione esecutiva, tipica dell’Agenzia Entrate Riscossione ma utilizzata anche da altri enti (ad es. Comuni per multe), è il fermo amministrativo sui veicoli intestati al debitore. Si tratta di un atto con cui si iscrive presso il PRA un vincolo che impedisce l’utilizzo legale del veicolo: il mezzo non può circolare (se lo fa, si rischiano sanzioni) né essere radiato o venduto, finché il debitore non paga quanto dovuto. Il fermo è usato spesso come leva dal Fisco su debiti di importo medio (basta anche qualche migliaio di euro): ad esempio, se l’impresa di manutenzione ha dei furgoni o auto aziendali e ignora le cartelle, AER dopo la messa in mora può iscrivere il fermo, di fatto bloccando i mezzi indispensabili al lavoro quotidiano. Il fermo non è un pignoramento (non porta a vendere il veicolo all’asta, a meno che poi si converta in pignoramento su iniziativa del creditore); però è molto efficace perché costringe a pagare per poter tornare a utilizzare il mezzo.
Difese possibili: Anche qui prevenire è meglio: quando arriva la comunicazione preventiva di fermo (necessaria 30 giorni prima) conviene attivarsi chiedendo una rateizzazione o pagando il dovuto, se il veicolo è fondamentale per l’attività. Una volta iscritto il fermo, l’unica è pagare o almeno ottenere un piano di dilazione: con l’accoglimento della rateizzazione, AER su istanza del debitore sospende il fermo (in realtà molti agenti procedono alla cancellazione solo a saldo, ma la normativa consente sospensione durante il pagamento rateale). In casi estremi, se il fermo è stato iscritto su un veicolo strumentale e il debito è modesto rapportato al danno che l’impresa subisce, si può tentare un ricorso in via d’urgenza lamentando l’abuso di mezzo di autotutela, ma la giurisprudenza di solito riconosce la legittimità del fermo per debiti fiscali.
Sequestro conservativo e altre misure cautelari
Oltre ai pignoramenti (che sono esecuzioni definitive), il debitore può subire anche azioni cautelari se il creditore teme che il patrimonio venga disperso prima di ottenere un titolo. Ad esempio, un tribunale può concedere un sequestro conservativo dei beni dell’impresa se il creditore dimostra il fumus boni iuris del suo credito e il pericolo nel ritardo (periculum in mora) che i beni spariscano. Il sequestro conservativo “congela” i beni (mobili, immobili, crediti) in attesa della sentenza, e poi si converte in pignoramento se il creditore vince la causa. Per il debitore, subire un sequestro è simile a un pignoramento anticipato: non può disporre di quei beni nel frattempo. Queste misure però riguardano soprattutto casi di comportamenti fraudolenti o rischi concreti (es. l’imprenditore che inizia a vendere attrezzature sottocosto ai parenti per sottrarle ai creditori).
La legge fallimentare (ora Codice della Crisi) prevede anche misure cautelari in vista di un possibile fallimento o concordato: ad esempio il tribunale può nominare un custode o amministratore giudiziario dell’impresa se c’è il fondato sospetto che il patrimonio venga dissipato prima della decisione sulla dichiarazione di insolvenza. Dal lato dell’impresa debitrice, questi provvedimenti si evitano mantenendo una condotta trasparente e collaborativa: se i creditori vedono che non ci sono atti in frode (vendite simulate, svuotamento dei conti) saranno meno propensi a chiedere sequestri.
Riepilogo delle azioni esecutive e rimedi
Riassumiamo schematicamente le azioni esecutive principali cui un’impresa debitrice può andare incontro e i rimedi/difese corrispondenti:
| Azione del creditore | Descrizione | Possibili difese del debitore |
|---|---|---|
| Decreto ingiuntivo + Precetto | Ordine di pagamento ottenuto dal giudice, seguito da intimazione a pagare entro 10 gg (precetto). | – Opposizione al decreto ingiuntivo (entro 40 gg) se il credito non è dovuto, sospensione in caso di gravi motivi.<br>– Transazione col creditore o pagamento entro i termini per evitare l’esecuzione. |
| Pignoramento mobiliare | Ufficiale giudiziario pignora beni mobili presso sede/abitazione. | – Indicare eventuali beni impignorabili (strumenti di lavoro essenziali, ecc.).<br>– Opposizione all’esecuzione se il titolo è invalido o il bene non è del debitore.<br>– Conversione del pignoramento depositando somme a garanzia (art. 495 c.p.c.). |
| Pignoramento presso terzi | Congelamento di crediti verso terzi (es. conti correnti, crediti clienti). | – Verificare eventuali vizi di notifica o abuso (opposizione atti esecutivi).<br>– Aprire nuovi conti per future entrate (le somme successive non vincolate se non espressamente pignorate).<br>– Accordo col creditore per liberare le somme (anche proponendo cauzioni o pagamenti parziali). |
| Pignoramento immobiliare | Vincolo su immobili con successiva vendita all’asta. | – Invocare il divieto di pignoramento prima casa se applicabile (solo Fisco, unico immobile non di lusso e residenza) .<br>– Opposizione se non sono rispettate le condizioni di legge (es. soglie per Fisco) .<br>– Saldo/stralcio o rateizzo prima dell’asta (anche chiedendo rinvii al giudice).<br>– Conversione del pignoramento pagando in sostituzione del bene. |
| Fermo amministrativo (veicoli) | Blocco legale dei veicoli al PRA. | – Pagare o rateizzare il debito: con rateizzazione l’ADER sospende il fermo.<br>– Dimostrare che il mezzo è strumentale e il debito esiguo, per tentare ricorso (difficile).<br>– Usare mezzi alternativi temporaneamente; evitare di circolare col mezzo fermato (sanzioni). |
| Sequestro conservativo | Congelamento cautelare di beni in attesa di giudizio. | – Opposizione (reclamo) al provvedimento cautelare se mancano i presupposti.<br>– Offrire garanzie alternative al giudice (es. fideiussione) per far revocare il sequestro. |
Come emerge, la miglior difesa è giocare d’anticipo: monitorare la situazione debitoria, reagire agli atti giudiziari subito (opposizioni, richieste di sospensione) e soprattutto negoziare con i creditori ove possibile per evitare di arrivare agli stadi irreversibili dell’esecuzione forzata. Quando però i pignoramenti sono già in corso e l’indebitamento è tale da non poter essere risolto con accordi singoli, può essere il segnale che serve un intervento più strutturato, come le procedure concorsuali, di cui ora parleremo.
L’azione revocatoria: come evitare atti in frode ai creditori
Un concetto chiave per chi è in difficoltà economica è quello di revocatoria: i creditori (o il curatore fallimentare, se c’è un fallimento) possono in certi casi annullare atti di disposizione del patrimonio compiuti dal debitore prima del fallimento o comunque mentre era indebitato, se tali atti hanno pregiudicato le loro possibilità di recupero. In altre parole, la legge vieta al debitore di “fare sparire” o sottrarre garanzie ai creditori quando è in decozione; se lo fa, quei passaggi possono essere revocati e i beni o le somme recuperati nella massa a disposizione dei creditori.
Esistono due tipi principali di revocatoria: ordinaria e fallimentare (o, oggi, “revocatoria concorsuale” sotto il Codice della Crisi). Vediamole separatamente:
- Azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.): è un’azione a disposizione di qualsiasi creditore, anche al di fuori di procedure concorsuali. Permette di far dichiarare inefficaci verso il creditore certi atti compiuti dal debitore in danno delle sue ragioni. I presupposti sono: (a) che il debitore abbia compiuto un atto dispativo del suo patrimonio (es. vendere un immobile, donare beni, pagare un debito altrui, costituire una garanzia su beni propri a favore di un altro creditore, ecc.) tale da ridurre la garanzia patrimoniale per i creditori; (b) che vi sia il “eventus damni”, ossia l’atto pregiudica in concreto la possibilità del creditore di soddisfarsi (lo rende più difficile); (c) che vi sia la “consapevolezza del pregiudizio” da parte del debitore e – se l’atto è a titolo oneroso – anche del terzo che ha beneficiato dell’atto. In pratica, se l’atto è gratuito (es. una donazione di un immobile a un familiare), basta provare che il debitore era indebitato e l’atto danneggia i creditori; se l’atto è oneroso (es. vendita sotto prezzo o pagamento preferenziale a un creditore), occorre provare anche la “mala fede” del terzo, cioè che conosceva il pregiudizio per i creditori. La revocatoria ordinaria va esercitata entro 5 anni dall’atto. Se il giudice la accoglie, l’atto è inefficace verso il creditore: ciò significa che, ad esempio, se il debitore aveva venduto un macchinario a Tizio, il creditore ottiene che quella vendita non vale nei suoi confronti e potrà pignorare il macchinario come se fosse ancora del debitore (o chiederne il sequestro, ecc.). Il terzo in buona fede avrà poi solo una pretesa di rimborso verso il debitore, ma intanto perde il bene acquistato.
Dal punto di vista del debitore, questo significa che mentre è in stato di insolvenza o a rischio insolvenza deve stare attento a non compiere atti che possano essere interpretati come in frode ai creditori. Ad esempio, trasferire la proprietà dei propri beni personali a parenti (fittiziamente) per sottrarli al futuro fallimento, oppure preferire un creditore “amico” pagando lui e lasciando a bocca asciutta gli altri, sono operazioni pericolose. Non solo il curatore o i creditori potranno revocarle, ma nel caso di fallimento configurano anche reati di bancarotta fraudolenta (ne parleremo nella sezione penale). Una difesa preventiva è quindi evitare atti del genere, o se proprio necessari farli a condizioni di mercato e in buona fede. Va detto che non tutti gli atti del debitore indebitato sono revocabili: la legge stessa e la giurisprudenza individuano eccezioni e atti protetti. Ad esempio, il pagamento di un debito scaduto può essere revocato in fallimento solo se avvenuto nell’ultimo periodo sospetto e con modalità anormale (non nei termini d’uso) – vedremo meglio oltre. Alcune transazioni poi sono ritenute fisiologiche e quindi non revocabili neppure dal fallimento: l’art. 67, co.3, l.fall. (ora art. 166 CCII) elenca esenzioni come i pagamenti di beni e servizi effettuati nei termini d’uso, le rimesse su conto corrente entro certi limiti, le vendite a giusto prezzo, gli atti compiuti in esecuzione di piani attestati o accordi omologati, etc. Secondo una recente pronuncia di Cassazione, queste esenzioni delle revocatorie fallimentari riflettono anche un criterio per l’azione ordinaria: se un pagamento è avvenuto regolarmente in condizioni normali di mercato, non può considerarsi doloso pregiudizio ai creditori e quindi difficilmente sarà revocabile ordinariamente . Ad esempio, se la nostra impresa di ascensori ha pagato a scadenza un fornitore prima di fallire, quel pagamento (oltre a essere escluso da revocatoria fallimentare ex art. 67) non sarà attaccabile neanche dagli altri creditori con 2901 c.c., perché manca l’elemento della dolosa preordinazione del danno (era un atto dovuto, fisiologico). Viceversa, se improvvisamente l’imprenditore paga anticipatamente un debito a un certo creditore in un momento in cui era già in sofferenza con gli altri, potrebbe emergere l’intento di preferire quell’uno a scapito degli altri: in tal caso, gli altri creditori potrebbero tentare la revoca ordinaria (anche fuori dalla procedura concorsuale).
- Azione revocatoria fallimentare (artt. 163 e segg. CCII, già art. 67 l.fall.): si esercita dopo che l’impresa è stata dichiarata fallita (oggi liquidazione giudiziale) o ammessa a concordato preventivo, ed è riservata al curatore (o al commissario/LIquidatore giudiziale nelle varie procedure). Ha regole proprie, più favorevoli alla revoca rispetto all’azione ordinaria, perché parte dal presupposto che quando c’è insolvenza conclamata occorre tutelare la par condicio dei creditori, evitando che qualcuno sia stato soddisfatto prima a detrimento di altri. Nella versione attuale (Codice della Crisi) le fattispecie di atti revocabili includono, a grandi linee: (a) atti a titolo gratuito compiuti nei 2 anni antecedenti; (b) atti di disposizione a titolo oneroso in cui il debitore ha dato o ottenuto una prestazione di valore sproporzionato oltre 1/4, compiuti nell’anno antecedente; (c) pagamenti di debiti non ancora scaduti fatti nell’anno antecedente; (d) pagamenti di debiti scaduti o altri atti a titolo oneroso compiuti nei 6 mesi antecedenti, se il curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato di insolvenza del debitore. Vi sono poi casi particolari: l’ipoteca volontaria concessa su debiti preesistenti nell’anno prima è revocabile (perché considerata pagamento anticipato mascherato), l’ipoteca giudiziale (da sentenza) entro gli ultimi 6 mesi è revocabile, ecc. Rispetto all’azione ordinaria, qui non serve provare la “dolosa preordinazione”: basta la conoscenza dello stato di insolvenza (scientia decoctionis) per atti onerosi nei 6 mesi. Per alcuni atti, addirittura la legge presume iuris et de iure questa conoscenza: ad esempio gli atti a titolo gratuito nei 2 anni e i pagamenti anticipati sono revocabili senz’altro, senza possibilità per il terzo di provare la sua buona fede (non rileva). Questo crea un quadro molto rigoroso: nei fatti, quasi ogni pagamento o garanzia anomala data dall’impresa in crisi prima del fallimento può essere revocato, a meno che rientri nelle esenzioni di legge. Tra queste esenzioni (nuovo art. 166 CCII, ex art. 67 co.3 l.fall.) ci sono: i pagamenti di beni e servizi nell’esercizio normale dell’impresa (pagamenti d’uso), i pagamenti di retribuzioni ai dipendenti, i depositi cauzionali per contratti pubblici, e come detto gli atti compiuti in attuazione di accordi o piani di risanamento poi omologati.
Dal punto di vista dell’ex imprenditore, se la sua azienda viene dichiarata insolvente, il curatore analizzerà tutte le operazioni sospette fatte negli ultimi anni. Se ad esempio pochi mesi prima della fine l’imprenditore ha pagato integralmente un fornitore “amico” lasciando altri impagati, quel fornitore rischia di dover restituire le somme (azione revocatoria) al curatore, che le ridistribuirà equamente. Oppure se l’imprenditore ha venduto un immobile di proprietà della società a un prezzo basso al cognato, quell’atto può essere revocato e l’immobile riportato nella massa fallimentare (o il cognato deve integrarne il valore). Ecco perché è sconsigliabile improvvisare soluzioni affrettate e “di favore” quando l’insolvenza è imminente: si rischia solo di complicare la situazione. Meglio invece seguire percorsi legali (concordato, accordi con adesione di tutti, cessione dei beni ai creditori) che garantiscono stabilità agli atti compiuti.
Difendersi dalla revocatoria: Per il debitore, la difesa consiste soprattutto nel prevenire atti revocabili. Se l’impresa ha necessità di ristrutturare il debito, conviene farlo tramite strumenti come piani attestati o accordi che la legge esenta da revocatoria (art. 166 CCII) invece di fare pagamenti preferenziali nascosti. In caso di fallimento già dichiarato, il singolo creditore non può più agire in revocatoria ordinaria (lascia il posto al curatore), ma i creditori possono lamentare certe transazioni sospette al curatore, che deciderà se agire. Se il curatore promuove un’azione revocatoria contro un terzo (ad es. un fornitore pagato), quel terzo potrà difendersi in giudizio cercando di dimostrare le esimenti: ad esempio, sostenendo che il pagamento rientrava nella routine normale e lui non poteva sapere l’insolvenza del debitore. A tal proposito, notiamo un orientamento recente: la Cassazione Sez. I, n. 2176/2023 ha statuito che le esenzioni previste per la revocatoria fallimentare (come i pagamenti d’uso ex art. 67) valgono anche a escludere l’azione revocatoria ordinaria . Ciò rafforza la posizione di chi ha ricevuto pagamenti regolari: se dimostra che erano operazioni normali, potrà opporre questo come scudo sia in sede fallimentare sia ordinaria.
In sintesi, per un imprenditore-debitore, la regola aurea è evitare atti “furbeschi” per salvare qualche bene a scapito dei creditori: la probabilità che vengano annullati è alta, e nel frattempo si rischiano guai peggiori (ad es. in sede penale). Meglio impostare per tempo una strategia di risanamento o liquidazione concordata, come vedremo nel prossimo capitolo.
Procedure concorsuali e strumenti di gestione della crisi d’impresa
Quando i debiti diventano insostenibili e l’impresa di manutenzione ascensori non riesce più a farvi fronte regolarmente, invece di aspettare passivamente l’aggressione dei creditori (che potrebbe portare al fallimento “subìto”), è spesso consigliabile valutare l’accesso a una procedura di regolazione della crisi. Queste procedure – disciplinate dal nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, come modificato dal D.Lgs. 83/2022, in vigore dal 15 luglio 2022) – consentono di gestire in modo ordinato il dissesto, con l’intervento del tribunale e/o di professionisti esperti, cercando se possibile di risanare l’impresa oppure di liquidarla limitando le conseguenze per l’imprenditore (ad esempio con la esdebitazione, ossia la cancellazione dei debiti residui). Vediamo quali sono i principali strumenti oggi disponibili, distinguendo tra quelli rivolti a imprese “medio-grandi” (soggette a fallimento/liquidazione giudiziale) e quelli per piccole imprese e persone fisiche (ex legge sul sovraindebitamento).
Composizione negoziata della crisi (D.L. 118/2021 e Cod. Crisi)
Un’importante novità recente è la composizione negoziata della crisi, procedura introdotta a fine 2021 e ora inserita nel Codice della Crisi. Si tratta di uno strumento volontario e stragiudiziale: l’imprenditore in situazione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario (anche prima dell’insolvenza conclamata) può chiedere tramite una piattaforma online la nomina di un esperto indipendente, il quale lo assisterà nel tentativo di trovare un accordo con i creditori. La composizione negoziata è pensata per intercettare precocemente la crisi e risolverla senza arrivare al fallimento, mantenendo riservatezza (inizialmente è confidenziale). Durante la negoziazione, l’imprenditore può chiedere al tribunale delle misure protettive temporanee: ad esempio la sospensione delle azioni esecutive dei creditori per la durata dei negoziati (massimo 12 mesi, rinnovabili di 4 in 4 con controllo del giudice) . L’esperto (spesso un commercialista o avvocato specializzato in crisi) analizzerà la situazione e condurrà incontri tra l’impresa e i suoi principali creditori per concordare possibili soluzioni: dilazioni, rinunce parziali, nuove garanzie, ingresso di investitori, ecc. Se si trova un accordo soddisfacente, lo si formalizza e si può chiedere al tribunale di omologarlo per maggior sicurezza (specie se c’è il Fisco di mezzo, che necessita di forma pubblica). In alternativa, la composizione negoziata può fungere da preludio per accedere poi a una procedura concorsuale vera e propria in modo più organizzato – ad esempio l’imprenditore, con l’aiuto dell’esperto, può decidere di presentare un concordato preventivo semplificato (una variante introdotta per facilitare l’esito negoziale) oppure un accordo di ristrutturazione.
Per l’impresa di manutenzione ascensori indebitata, la composizione negoziata rappresenta un’opportunità non distruttiva: si può tentare di ristrutturare il debito senza perdere la gestione dell’azienda (durante la procedura l’imprenditore rimane al comando, sebbene affiancato dall’esperto e soggetto alla vigilanza di quest’ultimo per evitare atti pregiudizievoli). Ad esempio, l’esperto potrebbe aiutare a predisporre un piano in cui i creditori finanziari accettano di allungare le scadenze, i fornitori di rinunciare a una percentuale del credito, e l’Erario di dilazionare i tributi dovuti magari rinunciando a sanzioni (tramite la transazione fiscale, possibile anche in questa sede ). Se tutti o la maggior parte dei creditori aderiscono, l’accordo potrà evitare la spirale distruttiva del fallimento. È chiaro però che serve la collaborazione dei creditori: la composizione negoziata non impone soluzioni a chi non è d’accordo (non prevede votazioni a maggioranza come il concordato). Tuttavia, il legislatore ha previsto incentivi: ad esempio, i creditori pubblici (Agenzia Entrate, INPS) sono chiamati a sedersi al tavolo e a valutare proposte ragionevoli, e in caso di rifiuto potrebbero poi subirne le conseguenze in sede di successivo concordato (dove il tribunale potrà omologare anche senza il loro assenso in certi casi, il cosiddetto cram down fiscale, vedi oltre) .
In sintesi, la composizione negoziata è adatta quando l’impresa ha ancora prospettive di recupero e la crisi non è irreversibile: consente di guadagnare tempo e protezione per trattare privatamente. Dal punto di vista difensivo, va considerata tempestivamente: se ormai la situazione è degenerata (pignoramenti in corso, fiducia dei creditori azzerata) potrebbe essere tardi. Invece, se percepite che la vostra impresa sta accumulando debiti e i flussi di cassa prospettici a 6-12 mesi sono inadeguati (“allerta”), attivare subito una composizione negoziata può evitare ben peggio.
Concordato preventivo
Il concordato preventivo è la procedura concorsuale “classica” prevista per le imprese in stato di crisi o insolvenza che vogliono evitare la liquidazione fallimentare, proponendo un accordo ai creditori sotto la supervisione del tribunale. Possono accedere al concordato gli imprenditori commerciali sopra certe soglie dimensionali (quelli soggetti a fallimento/liquidazione giudiziale). In base al nuovo Codice della Crisi, il concordato preventivo può avere diverse forme, ma in sostanza due grandi categorie:
- Concordato in continuità aziendale: l’imprenditore propone di proseguire l’attività (direttamente o tramite cessione/affitto dell’azienda a terzi) e di pagare i creditori col ricavato nel tempo. È un concordato “di risanamento”, in cui magari i creditori accettano una riduzione parziale dei crediti (es. 70%) purché l’azienda vada avanti e generi flussi per pagarli in parte. La legge incentivava questo tipo di concordato rispetto a quello puramente liquidatorio, e con l’ultima riforma ha introdotto la possibilità di derogare alla regola della priorità assoluta dei creditori privilegiati in alcuni casi di continuità (passando a una relative priority rule più flessibile) . Ciò significa che, per favorire la ristrutturazione, si può proporre che alcuni creditori chirografari ricevano qualcosa anche se i privilegiati non vengono pagati interamente, purché sia rispettata una certa equità relativa e l’adesione della maggioranza. È una modifica tecnica, ma rilevante per costruire piani realistici quando l’Erario o le banche privilegiate hanno crediti ingenti.
- Concordato liquidatorio: il debitore propone di liquidare tutti i suoi beni (come farebbe un fallimento) però in modo controllato, offrendo ai creditori il ricavato, magari con un apporto di risorse esterne per aumentare la percentuale di soddisfacimento. In passato questo tipo di concordato era ammesso solo se garantiva almeno il 20% ai chirografari; il nuovo Codice lo consente anche se la percentuale è minore, a patto che ci sia un apporto esterno di almeno il 10% dell’attivo (per non fare un concordato “in bianco” peggiore del fallimento). In sostanza, il concordato liquidatorio è come un fallimento volontario ma con certi vantaggi: il debitore conserva più controllo, può scegliere il liquidatore, e soprattutto può ottenere l’esdebitazione di eventuali debiti residui anche se è una società (novità: il nuovo Codice estende l’esdebitazione alle società, in quanto enti, per chiudere definitivamente la vicenda ).
Procedura e maggioranze: In un concordato, l’imprenditore presenta ricorso al tribunale con un piano e una proposta di pagamento ai creditori. Il tribunale, verificati i presupposti, ammette la procedura e nomina un commissario giudiziale. I creditori vengono suddivisi in categorie omogenee per interesse e sono chiamati a votare la proposta. Serve il voto favorevole della maggioranza dei crediti ammessi al voto (per valore); se ci sono categorie, va valutata anche la maggioranza per categoria con possibilità di cram down interclassi (omologazione nonostante dissenso di alcune classi) secondo l’art. 112 CCII in recepimento della direttiva UE. Se la proposta ottiene le maggioranze, viene omologata dal tribunale e diventa vincolante per tutti i creditori anteriori, anche dissenzienti. Da questo si vede il grande vantaggio rispetto ad accordi puramente stragiudiziali: con il concordato, la volontà della maggioranza impone ai dissenzienti il sacrificio previsto dal piano, sciogliendo anche eventuali garanzie (salvo eccezioni) e impedendo azioni individuali.
Durante il concordato, l’impresa è protetta: dalla data di ammissione, sono sospese le azioni esecutive dei creditori e non possono iniziarne di nuove, i pignoramenti in corso si arrestano (divieto di proseguire o iniziare esecuzioni ex art. 54 CCII), i contratti pendenti possono proseguire (salvo il debitore chieda di scioglierli con autorizzazione). In sostanza il concordato crea una “zona franca” temporanea in cui l’impresa, pur insolvente, può tentare il risanamento o gestire la liquidazione senza l’assillo di ufficiali giudiziari alla porta. Per una piccola azienda di ascensori sovraccarica di debiti, il concordato può essere l’unica via per evitare che i creditori più veloci la spolpino a danno sia dell’imprenditore sia degli altri creditori.
Esempio pratico: la Alfa Ascensori S.r.l. ha €500.000 di debiti (200k con banca garantiti da ipoteca su un magazzino, 100k debiti fiscali e contributivi, 200k fornitori) e il valore dell’attivo è 300k (magazzino 150k, furgoni e attrezzature 50k, crediti verso clienti 100k). Da sola non riuscirà mai a pagare tutto. Se la società viene lasciata fallire, probabilmente la banca prenderà il magazzino e i chirografari poco-nulla. L’imprenditore potrebbe proporre un concordato preventivo liquidatorio offrendo: vendita del magazzino per soddisfare la banca (ipotecaria) al 80%, incasso dei crediti e liquidazione mezzi per dare un 30% ai fornitori, e magari un supporto di finanza esterna di 50k raccolta da un parente per alzare il ritorno ai chirografari. Il Fisco (creditore privilegiato per IVA, e chirografario per sanzioni) riceverebbe almeno quanto in liquidazione fallimentare – condizione necessaria per omologa anche senza voto favorevole, grazie al cram down fiscale introdotto dal Codice . Se i fornitori votano sì (magari perché prendere 30% oggi è meglio che aspettare anni in fallimento forse per il 10%), il tribunale potrà omologare il concordato anche se il Fisco fosse dissenziente, purché rispetti i requisiti (pagamento del valore di liquidazione del credito erariale e prevalente adesione degli altri creditori) . Così Alfa Ascensori eviterebbe il fallimento formale; una volta eseguiti gli impegni, la società si estinguerà ma senza strascichi, e l’imprenditore potrà ripartire eventualmente con una nuova società, avendo chiuso i vecchi debiti.
Va notato che il nuovo Codice ha semplificato la transazione fiscale all’interno del concordato: ora il tribunale può omologare anche senza il voto dell’Erario se la proposta di soddisfacimento di quel credito non è inferiore a quanto otterrebbe in caso di liquidazione fallimentare (principio del best interest of creditors). Questa è una svolta importante perché un tempo il dissenso del Fisco poteva affossare il concordato (visto il suo peso nei crediti privilegiati) – oggi non più, se il piano è equo .
Concordato “minore”: Il Codice della Crisi ha previsto una procedura analoga al concordato preventivo ma destinata ai debitori minori (quelli non soggetti a fallimento): è il concordato minore, erede del “concordato dei sovraindebitati” della legge 3/2012. Lo vedremo sotto nella parte dedicata, ma anticipiamo che funziona in modo simile: il piccolo imprenditore propone ai creditori un pagamento parziale, serve il voto favorevole del 50% dei crediti chirografari e l’omologazione del tribunale. Quindi oggi anche una ditta individuale artigiana non fallibile può proporre un concordato ai sensi degli artt. 74-83 CCII (concordato minore), ottenendo l’effetto esdebitativo se adempiuto.
Accordi di ristrutturazione dei debiti e piani attestati
Accanto al concordato, la normativa offre strumenti più snelli quando c’è consenso elevato tra i creditori:
- Accordo di ristrutturazione dei debiti (ADR): è un accordo privatistico che però ottiene l’omologa dal tribunale e alcune protezioni. Occorre l’adesione di creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti (70% per gli “accordi agevolati” e percentuali ridotte per alcuni “accordi ad efficacia estesa” verso banche o finanziari previsti nel Codice). I creditori non aderenti restano estranei (possono essere pagati per intero, oppure se si vuole ridurli occorre includerli e far firmare a tutti l’accordo, o usare altri strumenti). Il vantaggio è la riservatezza (non c’è voto pubblico di tutti i creditori) e la relativa velocità: l’accordo viene depositato con una relazione di un esperto che attesta che l’impresa sarà in grado di eseguirlo, e il tribunale lo omologa se tutto ok. Da recente riforma, è possibile chiedere misure protettive anche in questa fase (per bloccare azioni esecutive mentre si formalizza l’accordo) e, come accennato, il Codice ha introdotto la possibilità di cram down fiscale anche negli accordi: l’art. 63 CCII consente di omologare l’accordo anche senza adesione del Fisco/Enti previdenziali, se la maggioranza del 60% sarebbe determinante senza di loro e se l’accordo assicura al Fisco almeno il valore di liquidazione . In pratica, se tutti i principali creditori tranne l’Erario hanno firmato, il tribunale può rendere efficace l’accordo anche sul debito fiscale, forzosamente, purché l’Erario riceva non meno di quanto avrebbe avuto in un fallimento. Questo è un meccanismo di drag along per evitare che un singolo grande creditore pubblico blocchi la ristrutturazione.
Per un’impresa di manutenzione ascensori con pochi creditori principali (es. banca e fisco), un ADR potrebbe essere l’ideale: negozia con banca e fisco uno sconto/riscadenzamento, ottenute le firme si omologa l’accordo. I fornitori minori potrebbero essere pagati a parte o integralmente se conviene.
- Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII, ex art. 67 l.f. lett. d): non è una vera procedura, ma un strumento contrattuale: l’imprenditore elabora un piano di rilancio/ristrutturazione, con l’aiuto di professionisti, e un attestatore indipendente ne certifica la fattibilità e veridicità dei dati. Se il piano è poi pubblicato nel Registro Imprese, gli atti e i pagamenti fatti in esecuzione di esso sono protetti dalla revocatoria (art. 67 co.3 lett. d l.fall, ora art. 166 CCII). Il piano attestato non richiede percentuali di adesione fisse: è essenzialmente un accordo privato con cui l’impresa convinve i creditori (tipicamente banche) a ristrutturare il debito sulla base di un piano industriale solido, confortato dall’attestazione. Non comporta il blocco automatico delle azioni (nessuna protezione legale immediata, se non quella di poter chiedere un finanziamento prededucibile ecc.), ed è rischioso se non tutti i creditori importanti sono d’accordo: uno potrebbe stravolgere il piano agendo per conto proprio. Dunque si usa quando c’è un numero limitato di creditori molto coinvolti (es. due banche che detengono il 80% del debito e cooperano al salvataggio).
Scegliere lo strumento: Decidere se percorrere un accordo di ristrutturazione o un concordato dipende dal grado di consenso che si può ottenere: se si prevede di convincere la gran parte dei creditori chiave, l’accordo è preferibile perché meno costoso e meno “invasivo” (si evita di coinvolgere tutti i creditori e si mantiene più riservatezza). Se invece c’è forte disaccordo tra i creditori o serve tagliare pesantemente i debiti anche dei non consenzienti, il concordato (o nel caso piccolo il concordato minore) è l’unico modo per imporre legalmente una riduzione ai dissenzienti.
Di seguito una tabella riepilogativa dei principali strumenti di gestione della crisi d’impresa, con caratteristiche in breve:
| Strumento | Chi può usarlo | Caratteristiche principali |
|---|---|---|
| Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII) | Imprese di qualsiasi dimensione in temporanea difficoltà (non ancora insolventi) | Piano di risanamento predisposto dall’impresa e asseverato da un esperto indipendente. È un accordo privato con creditori (non richiede omologa). Vantaggi: rapidità, riservatezza, esenzione da revocatoria per gli atti esecutivi del piano . Svantaggi: nessuna protezione legale dalle azioni esecutive (a meno di accordi individuali), vincola solo i creditori che accettano spontaneamente. |
| Accordo di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-68 CCII) | Imprese in crisi (soggette a fallimento) e dal 2022 anche debitori minori per accordi di composizione | Accordo negoziato con creditori rappresentanti ≥ 60% dei crediti, omologato dal tribunale. I creditori aderenti sono vincolati secondo i termini concordati; i non aderenti restano estranei (vanno pagati integralmente salvo estensione eccezionale). Possibile richiedere misure protettive durante le trattative. Previste varianti: accordo agevolato (30% crediti, ma debiti solo finanziari) e accordo ad efficacia estesa (si estende ad alcuni creditori finanziari dissenzienti se altri aderenti ≥75%). Consente transazione fiscale e anche cram down del Fisco/INPS in omologazione . |
| Concordato preventivo (artt. 84-120 CCII) | Imprese medio-grandi insolventi o in crisi (fallibili) | Procedura giudiziale concorsuale. Il debitore propone un piano ai creditori, divisi in classi, con pagamento parziale o differito dei debiti. I creditori votano; serve maggioranza per valore. Omologa tribunale → il piano diventa vincolante per tutti i creditori anteriori. Può essere in continuità (azienda prosegue, creditori soddisfatti col ricavato futuro) oppure liquidatorio (cessione/realizzo beni). Durante la procedura: stop ai pignoramenti, nomina di commissario, mantenimento dell’amministrazione sotto sorveglianza (salvo casi di continuità dove l’imprenditore resta gestore con autorizzazioni). Vantaggi: taglio dei debiti imposto anche ai dissenzienti; protezione del patrimonio da azioni individuali; possibili finanza nuova prededucibile; esdebitazione finale per l’imprenditore (persone fisiche) e ora anche chiusura definitiva per società . Svantaggi: tempi e costi non trascurabili; necessità di consenso di almeno una parte dei creditori; pubblicità della procedura. |
| Liquidazione giudiziale (ex fallimento, art. 121 e segg. CCII) | Imprese fallibili insolventi (su istanza di creditore, del debitore stesso o d’ufficio) | Procedura concorsuale di liquidazione integrale. Il tribunale dichiara insolvenza, nomina un curatore che sostituisce l’imprenditore nella gestione e liquida attivo e passivo. I creditori vengono soddisfatti secondo prelazione, tipicamente con percentuali molto ridotte per i chirografari. L’impresa cessa di operare (salvo esercizio provvisorio se autorizzato). Conseguenze: per l’imprenditore persona fisica è prevista la esdebitazione di diritto al termine (se cooperativo e meritevole; debiti fiscali inclusi, sanzioni escluse) – ora nel Codice la esdebitazione è estesa anche alle società, che si liberano residualmente dai debiti insoddisfatti a chiusura (anche se in pratica cessando non rileva) . Per gli ex amministratori e soci possono aversi conseguenze (azioni di responsabilità, sanzioni, reati concorsuali). Vantaggi: soluzione autoritativa, cristallizza i debiti al momento della dichiarazione; eventuali atti anomali pregressi vengono gestiti dal curatore (revocatorie, ecc.). Svantaggi: perdita totale del controllo per l’imprenditore; tempi lunghi; stigma reputazionale; pagamento creditori generalmente minimo. |
| Composizione negoziata (D.L. 118/2021, art. 12 CCII) | Imprese di qualsiasi dimensione in situazione di squilibrio o crisi incipiente (anche insolventi reversibili) | Procedura volontaria e riservata di negoziazione assistita da un esperto nominato dalla Camera di Commercio. Non è concorsuale formale ma può sfociare in accordi o transitare in concordato. L’imprenditore rimane alla guida ma sotto la supervisione dell’esperto. Può chiedere al tribunale misure protettive (moratoria dei creditori) durante le trattative . Non c’è voto, serve l’accordo individuale di ciascun creditore chiave. Se accordo raggiunto, può essere omologato (se lo si vuole rendere titolo esecutivo). Se fallisce, l’imprenditore può comunque optare per procedure concorsuali tradizionali in modo più organizzato. Vantaggi: flessibilità, tempestività, nessuna pubblicità iniziale (si evita panic among creditors); possibili incentivi (fiscali e misure premiali per l’imprenditore che attiva presto la procedura). Svantaggi: non garantisce esito se creditori non collaborano; l’efficacia dipende molto dalla buona fede di tutte le parti. |
| Concordato minore (artt. 74-83 CCII) | Debitori non fallibili (piccole imprese sotto soglie art. 2 CCII, imprenditori civili, professionisti, consumatori imprenditori) | Procedura concorsuale semplificata, analoga al concordato preventivo ma per sovraindebitati. Il debitore propone un piano di pagamento parziale ai creditori chirografari, assicurando almeno il ricavato ottenibile dalla liquidazione (principio del “miglior soddisfacimento”). Si forma il ceto creditorio e si vota (serve 50% dei crediti chirografari). Omologazione del tribunale, con eventuale cramming down dei dissenzienti se piano equo. Effetti: sospensione azioni esecutive, vincolo per tutti i creditori anteriori. Spesso utilizzato da ditte individuali, piccoli imprenditori artigiani, soci illimitatamente responsabili di snc in dissesto che non superano soglie di fallibilità. Vantaggi: analogo al concordato maggiore – riduzione debiti legalmente imposta, continuità azienda se prevista, niente liquidazione coatta totale. Svantaggi: occorre redigere piano e attestazione con costi; se non c’è accordo maggioritario si ripiega su liquidazione controllata. |
| Liquidazione controllata (artt. 268-277 CCII) | Debitori non fallibili insolventi (sovraindebitati) – ex “liquidazione del patrimonio” L.3/2012 | Procedura concorsuale di liquidazione per i piccoli debitori. Il tribunale, su ricorso del debitore stesso (o di un creditore o PM), apre la liquidazione nominando un liquidatore (di norma un OCC – Organismo Composizione Crisi locale). Si liquidano tutti i beni del debitore a favore dei creditori. È equivalente al fallimento, ma su scala minore e con regole semplificate. Cruciale: il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione di diritto al termine della procedura, cioè la cancellazione di tutti i debiti residui non soddisfatti . Questa è una differenza enorme rispetto al passato (dove solo il fallito onesto poteva chiedere esdebitazione): oggi nel sovraindebitamento l’esdebitazione è pressoché automatica, salvo revoca per dolo. Anche il debitore società minore estinta ottiene chiusura dei debiti residui. Vantaggi: permette al piccolo imprenditore onesto ma sfortunato di ripartire da zero dopo aver sacrificato il patrimonio disponibile – si veda il caso citato di Milano 2023 dove un ex manutentore ascensori ha azzerato 196k € di debiti col Fisco con questa procedura . Svantaggi: perdita totale dei beni, durata della procedura (qualche anno), requisiti di meritevolezza (non deve aver frodato creditori altrimenti niente esdebitazione). |
La tabella mostra la varietà di opzioni: dalla negoziazione privata (piani attestati, accordi) a procedure giudiziali vere e proprie (concordati, liquidazioni). Ogni strumento ha pro e contro; la scelta dipende dal grado di solvibilità residua, dalla volontà dei creditori di cooperare, dalla necessità di preservare l’attività in funzione.
Un imprenditore debitore dovrebbe, coadiuvato da un professionista esperto in crisi d’impresa, valutare queste opzioni appena capisce che il debito sta diventando ingovernabile. Spesso, una tempestiva domanda di concordato o accordo evita l’aggravarsi del dissesto e consente di gestire situazioni che altrimenti degenererebbero in fallimenti caotici. Da notare che dal luglio 2022 vige l’obbligo per gli amministratori di adottare assetti adeguati e di attivarsi per tempo al manifestarsi di segnali di crisi (art. 3 CCII e art. 2086 c.c.) – l’inerzia colpevole può esporre a responsabilità. Perciò, lungi dal vedere il ricorso a queste procedure come una “resa”, va interpretato come un atto di buona gestione responsabile, che in molti casi permette di salvare parti dell’azienda o quantomeno di limitare i danni e ripartire dopo qualche anno di sacrifici.
Sovraindebitamento: soluzioni per l’imprenditore individuale
Le procedure di sovraindebitamento (originariamente L. 3/2012, ora integrate nel Codice della Crisi) riguardano i debitori non fallibili, quindi tipicamente: imprenditori commerciali sotto soglia (fatturato < €200k, attivo < €300k, debiti < €500k), imprenditori agricoli, professionisti, start-up innovative (esenti da fallimento), e persino privati consumatori. Già abbiamo citato il concordato minore e la liquidazione controllata, che sono le due strade principali. Accenniamo anche a una terza figura: il piano di ristrutturazione del consumatore (detto anche “piano del consumatore” nella vecchia legge, ora piano di ristrutturazione per il sovraindebitato ex art. 67 CCII). Questo piano è molto simile a un concordato, ma riservato a chi non ha debiti d’impresa rilevanti e soprattutto non richiede il voto dei creditori: il giudice può omologarlo se ritiene che il debitore meriti (non abbia colpe gravi nel sovraindebitamento) e che i creditori ricevano almeno quanto riceverebbero in una liquidazione. Tuttavia, per gli imprenditori di regola si applica il concordato minore, che invece richiede il voto.
In pratica, un titolare di ditta individuale di manutenzione ascensori con debiti personali e aziendali potrà scegliere tra: proporre un concordato minore ai sensi dell’art. 74 CCII (che è come un concordato preventivo semplificato, con necessità di adesione dei creditori chirografari al 50%) – utile se si vuole continuare la piccola impresa e c’è prospettiva di pagare almeno una parte; oppure optare per la liquidazione controllata (ex liquidazione del patrimonio) arrendendosi alla liquidazione di tutto ma puntando a liberarsi dai debiti residui. C’è anche una possibilità estrema introdotta nel 2021: l’esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII), cioè la cancellazione dei debiti senza alcun pagamento, riservata però al soggetto che non ha alcun patrimonio né reddito da liquidare, e che ha comunque tenuto un comportamento onesto. È un provvedimento una tantum, per dire “chi proprio non ha nulla non viene inseguito a vita per debiti impagabili”: il giudice può cancellare i debiti inesigibili, salvo revocare l’esdebitazione se nei 4 anni successivi emergono nuovi beni del debitore.
Per un piccolo imprenditore artigiano, queste procedure di sovraindebitamento sono un’ancora di salvezza: se l’attività non è più sostenibile, mettere in liquidazione controllata i propri beni (che spesso purtroppo includono la casa familiare, perché non c’è separazione patrimoniale) e ottenere l’esdebitazione, può consentire di ricominciare dopo pochi anni. Abbiamo già richiamato il caso reale del Tribunale di Milano nel 2023, in cui un ex manutentore di ascensori ha ottenuto l’esdebitazione di €196.000 di debiti tributari offrendo ai creditori quel poco che poteva (850 €/mese per 36 mesi + un contributo familiare una tantum) . In tre anni, versando circa €30.600, potrà cancellare €196.000 di debiti residui e ripulire la propria situazione . Questo avviene perché la legge sul sovraindebitamento è improntata a dare una seconda opportunità al debitore meritevole che ha fallito economicamente.
Nota: mentre le procedure concorsuali maggiori richiedono l’assistenza di legali e attuari (con costi non indifferenti), le procedure minori spesso passano tramite gli OCC (Organismi di Composizione della Crisi), istituiti presso Ordini professionali o enti pubblici, che aiutano i debitori sovraindebitati a predisporre le domande e fungono poi da gestori nominati dal tribunale. Anche i costi sono calibrati sulle possibilità del debitore e in parte vengono pagati nella procedura stessa. Insomma, è un sistema pensato anche per artigiani e piccoli imprenditori che non potrebbero permettersi consulenti costosi.
Riassumendo questo capitolo: non esiste solo il fallimento “subìto”. L’ordinamento offre diverse vie d’uscita – concordate o giudiziali – per gestire la crisi in modo ordinato. Una scelta attiva e informata di uno di questi percorsi può fare la differenza tra un tracollo devastante e una soluzione gestita dove, pur nelle perdite, si riesce a salvare il salvabile e ripartire senza debiti pendenti.
Debiti tributari e contributivi: implicazioni fiscali e previdenziali
Le imprese di manutenzione ascensori, al pari di ogni attività d’impresa, devono far fronte non solo a debiti verso soggetti privati ma anche ai doveri verso l’Erario e gli enti previdenziali. Debiti con il Fisco o con l’INPS presentano peculiarità importanti: da un lato hanno tutele e privilegi maggiori (il Fisco può usare strumenti come le cartelle esattoriali, i contributi vantano privilegi nel fallimento, ecc.), dall’altro vi sono normative specifiche per rateizzarli e possibilità di sanzioni anche penali se omessi. Analizziamo quindi i principali aspetti fiscali e contributivi nel caso di un’impresa debitrice.
Cartelle esattoriali e Agenzia Entrate-Riscossione
Quando un’impresa non paga nei termini imposte (IVA, IRES, IRAP) o il contributo INPS, l’ente creditore (Agenzia Entrate o INPS) iscrive il debito a ruolo e ne affida la riscossione all’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ADER), l’ex Equitalia. ADER notifica quindi una cartella di pagamento al debitore, che intima il pagamento entro generalmente 60 giorni. La cartella esattoriale è un atto esecutivo: se non si paga né si fa ricorso nei termini (30 o 60 gg a seconda dei casi), ADER può procedere direttamente con le azioni esecutive viste prima (pignoramenti, fermi, ipoteche) con qualche regola speciale.
Rateizzazione delle cartelle: Una prima opportunità per l’impresa in difficoltà è chiedere la rateizzazione del debito fiscale. La legge (art. 19 DPR 602/1973) consente piani ordinari fino a 72 rate mensili (6 anni) per debiti fino a 120 mila euro senza dover comprovare lo stato di difficoltà, e oltre tale importo con prova di temporanea situazione di obiettiva difficoltà (un indice di liquidità insufficiente). In certi casi eccezionali l’Agenzia può concedere piani “straordinari” fino a 120 rate (10 anni). Durante la rateizzazione, finché il debitore è in regola con i pagamenti rateali, non è considerato inadempiente e ADER non può iniziare né proseguire azioni esecutive . Inoltre l’attivazione di una rateazione, se avviene prima del pignoramento, blocca misure come il fermo amministrativo e fa revocare eventuali fermi già disposti (di solito dopo la prima rata pagata). Bisogna però rispettare le scadenze: se si saltano un certo numero di rate (oggi fino a 8 rate non consecutive possono essere omesse, dalla nona si decade dal beneficio), la dilazione viene revocata e riparte la riscossione integrale.
Definizioni agevolate: Negli ultimi anni il legislatore ha più volte introdotto misure di saldo e stralcio dei debiti fiscali iscritti a ruolo, chiamate comunemente “rottamazione delle cartelle”. Questi provvedimenti consentono ai debitori di pagare le somme dovute senza sanzioni e interessi di mora, in alcuni casi anche con una riduzione del capitale per soggetti in difficoltà (es. il “saldo e stralcio” 2019 per persone fisiche con ISEE basso). Ad esempio, la rottamazione-quater 2023 (Legge di Bilancio 2023) ha permesso di definire i carichi 2000-2017 versando solo l’imposta e l’aggio, sgravando tutto il resto, in max 18 rate fino al 2027. Un’impresa indebitata farebbe bene a tenere d’occhio tali opportunità: se rientra nei parametri, può sanare debiti fiscali a condizioni molto vantaggiose. Certo, queste misure sono straordinarie e a scadenza: occorre presentare istanza entro i termini previsti di volta in volta (per la quater era 30/6/2023, poi prorogata al 30/9/2023). Chi ha aderito e paga regolarmente le rate della rottamazione è al riparo da azioni esecutive sui ruoli definibili, e al termine il debito residuo viene annullato.
Transazione fiscale nei piani di crisi: Abbiamo già accennato che nel contesto di concordati o accordi è possibile proporre una transazione fiscale, ossia un trattamento di favore per il Fisco (pagamento parziale di imposte) a fronte dell’approvazione dell’ente. Il Codice della Crisi oggi consente anche di procedere senza adesione formale del Fisco se la proposta è equa rispetto alla liquidazione . Questo è stato pensato per facilitare i risanamenti: prima l’Agenzia delle Entrate spesso rifiutava di votare tagli di imposte (specie IVA, ritenute) per rigore istituzionale; ora la sua mancata adesione può essere superata in tribunale, evitando che abbia un potere di veto assoluto.
Ruolo privilegiato e ipoteche: In sede concorsuale, i crediti dell’erario e degli enti previdenziali godono di privilegi generali sui mobili (per gli ultimi anni di tributi e contributi) e, se c’è ipoteca iscritta, di prelazione ipotecaria sugli immobili. Ciò significa che in un fallimento o liquidazione giudiziale, il Fisco e l’INPS saranno soddisfatti prima dei creditori chirografari (dopo i privilegi speciali su beni e quelli su mobili come dipendenti). In particolare, l’IVA e le ritenute non versate sono crediti con privilegio generale mobiliare sui beni mobili del debitore, fino a concorrenza di una certa percentuale sul valore (privilegio parziale). I crediti per sanzioni invece sono sempre chirografari (il che li rende spessissimo inesigibili se il debitore è insolvente). Questo privilegio spiega perché nei concordati spesso viene offerto almeno il pagamento parziale dell’IVA e contributi, mentre si possono abbattere più drasticamente gli altri debiti: perché il privilegio impone che prendano non meno di quanto otterrebbero liquidando i beni su cui grava il privilegio.
DURC e contratti pubblici: Un ulteriore aspetto è che se l’impresa ha debiti con INPS o INAIL, perderà la regolarità contributiva e quindi il DURC risulterà negativo. Senza DURC, la società non può partecipare ad appalti pubblici né ricevere pagamenti da PA su lavori eseguiti, e anche molti committenti privati esigono il DURC per contratto. Ciò può aggravare la crisi perché l’impresa viene tagliata fuori dal mercato legale. Durante un concordato o accordo, però, la normativa consente il rilascio di un “DURC provvisorio” se il piano prevede la regolarizzazione del debito contributivo: ad esempio, in concordato con continuità l’INPS rilascia comunque il DURC durante l’esecuzione del piano, per non ostacolare la prosecuzione dell’attività, a condizione che i contributi correnti vengano pagati e quelli passati siano inseriti nella proposta di soddisfacimento (Circ. INPS n. 73/2018 e succ.). Quindi paradossalmente, avviare una procedura concorsuale può ridare all’impresa la possibilità di ottenere un DURC, che invece sarebbe negato se rimanesse fuori da qualsiasi procedura e con debiti scaduti.
Azioni esecutive specifiche del Fisco: Abbiamo in parte già trattato come l’Agenzia Entrate-Riscossione può agire: notifica la cartella, eventualmente un avviso di intimazione (se la cartella ha più di un anno, un ultimo sollecito 5 giorni prima di procedere) , poi può pignorare conti, crediti, stipendi (nel caso di dipendenti della società, ma raramente li aggredisce se no cessa il lavoro), immobili (con i limiti di prima casa e soglia 120k€ ) e fare fermi su veicoli. Nota bene: per importi minori (fino €1.000) ADER non procede prima di 120 giorni dall’invio di una comunicazione via posta ordinaria al debitore – un’ulteriore garanzia per debiti piccoli. In generale, ADER tende a iniziare col fermo auto e pignoramento conto per crediti sotto una certa soglia; per crediti rilevanti se ci sono immobili ipotecabili lo fa; il pignoramento presso terzi è molto usato, come detto.
Come difendersi? Se si riceve una cartella esattoriale e si ritiene scorretta (ad es. per decadenza, errore di calcolo, perché il tributo è stato pagato ma non risultava), bisogna fare ricorso entro 60 giorni (30 per contributi Inps) alla Commissione Tributaria o al Tribunale lavoro (per contributi), a seconda della natura del credito. In mancanza, la cartella diventa definitiva. Attenzione: spesso le imprese ignorano le cartelle, magari perché non hanno liquidità; ma anche se non si può pagare, è importante valutare se impugnarla per guadagnare tempo o ridurre il debito (a volte le sanzioni si contestano, o c’è prescrizione). Se il termine è scaduto, rimane la via della istanza di rateizzazione (che non cancella il debito ma blocca le azioni) o di una trattativa in fase di composizione negoziata/transazione fiscale.
Prescrizione dei debiti fiscali: I crediti erariali e contributivi si estinguono per prescrizione se il Fisco/INPS non compie atti interruttivi entro certe scadenze: tipicamente 5 anni dal momento in cui il debito è divenuto definitivo. Ad esempio, l’IVA dovuta per l’anno 2018, se iscritta a ruolo e notificata in cartella nel 2021, si prescrive a fine 2026 se nel frattempo l’ADER non notifica intimazioni o pignoramenti. Diversi contribuenti hanno ottenuto l’annullamento di cartelle vecchie (oltre 5 anni) non coltivate. Un imprenditore indebitato dovrebbe quindi controllare le date: se un debito tributario è “dormiente” da oltre 5 anni, quando arriva la richiesta di pagamento può eccepire la prescrizione (meglio in sede giudiziale, attraverso l’opposizione all’esecuzione o ricorso se atto impugnabile).
Responsabilità personali: Un punto delicato: i debiti fiscali di una società di capitali restano a carico della società; se questa non paga perché priva di beni, l’Agenzia può solo insinuarsi in fallimento o accettare la perdita. Non esiste, di regola, responsabilità personale degli amministratori o soci per l’imposta non pagata della società (a parte i casi visti di liquidatore colpevole ex art. 36 DPR 602, o soci in liquidazione ex art. 2495 c.c. per attivo ricevuto). Dunque l’Agenzia Entrate non può pretendere che un amministratore di S.r.l. paghi le imposte della società solo perché la società non le ha pagate. Purtroppo talvolta l’ADER ci prova notificando agli ex amministratori cartelle intestate a loro in base a una interpretazione analogica dell’art. 36 DPR 602/73 – ma la Cassazione ha sbarrato questa pratica: con l’ordinanza n. 25530/2021 ha confermato che la società estinta non fa subentrare automaticamente gli amministratori nei debiti tributari e che l’art. 36 va applicato solo ai liquidatori o rappresentanti legali nelle precise condizioni previste . Servono quindi atti motivati ad hoc, non si può semplicemente girare la cartella all’amministratore. Questo per dire: se foste ex amministratori e ricevete cartelle per debiti della società defunta, sappiate che spesso sono impugnabili perché illegittime . Lo stesso discorso per i soci: come detto, il socio risponde solo entro il limite di quanto incassato in liquidazione, e l’ADER deve notificare un avviso di accertamento specifico prima . La Cassazione a Sezioni Unite nel 2025 ha proprio stabilito che l’Agenzia non può limitarsi a proseguire la riscossione sui soci senza un nuovo atto: deve attivare un procedimento ad hoc, dimostrando quanto il socio ha ricevuto . Questa è una tutela notevole per il contribuente: se l’Erario non rispetta tale procedura, la cartella contro il socio è nulla (come confermato da Cass. ord. n. 35497/2023) .
In conclusione su questo aspetto: l’imprenditore debitore deve considerare il Fisco e l’INPS interlocutori fondamentali. Ignorarli porta presto a misure coercitive che possono bloccare l’attività (fermi, ipoteche, pignoramenti). È quindi opportuno appena possibile trovare un accordo o una dilazione con loro. Se si attiva un percorso concordatario, includere sempre la transazione fiscale e contributiva, mostrando al giudice che il trattamento offerto a questi crediti è conforme alla legge (non inferiore al 100% dei privilegiati salvo accordo diverso). Sul piano difensivo individuale, amministratori e soci devono sapere che non diventano automaticamente “debitori” verso il Fisco per i debiti sociali, a meno di specifiche condizioni e atti formali: quindi non pagare debiti sociali non li espone di per sé a doverli pagare con soldi propri (diverso è il discorso penale per omissioni, che tratteremo ora). Questa consapevolezza aiuta a non cedere a indebite pretese di pagamento personale se non dovute.
Debiti verso l’INPS e gli obblighi contributivi
Nel settore ascensoristico, molte imprese hanno dipendenti (tecnici manutentori). Ogni mese, il datore di lavoro deve versare i contributi previdenziali: una quota a carico del dipendente trattenuta in busta paga (le ritenute previdenziali), e una quota a suo carico. Inoltre l’impresa potrebbe avere contributi come artigiano su se stessa. Il mancato versamento dei contributi INPS attiva un meccanismo simile al fisco: l’INPS emette un Avviso di Addebito (atto esecutivo analogo alla cartella, ma già contenente la formula di precetto) che passa ad ADER per la notifica e riscossione. Per l’INPS valgono le stesse possibilità di rateazione con ADER e rottamazioni (quando previste, includono di solito anche i contributi). Il DURC negativo come visto impedisce lavori.
Ma c’è un’aggravante: il reato di omesso versamento di ritenute previdenziali. Infatti, quando il datore di lavoro paga lo stipendio netto al dipendente, trattiene una parte (circa 9%) che dovrebbe girare all’INPS come contributo a carico del lavoratore. Se non versa tale importo entro il termine (30 giorni dall’adempimento trimestrale, in genere), commette un illecito. Precisamente: l’art. 2, comma 1-bis, D.L. 463/1983 convertito in L. 638/1983 punisce con la reclusione fino a 3 anni e multa l’omesso versamento di contributi previdenziali ritenuti sulle retribuzioni per un importo superiore a €10.000 annui . Se l’importo omesso è inferiore a 10.000 €, non è reato ma solo sanzione amministrativa (da €10.000 a 50.000) . Questa soglia era 10k già nel 2023 e non risulta modificata nel 2024. Significa che un piccolo ritardo non porta in tribunale penale, ma se l’impresa per più mesi non versa e accumula, ad esempio, €15.000 di ritenute non versate in un anno, allora il legale rappresentante (o chi ha delega al pagamento contributi) è perseguibile penalmente.
La Cassazione ha più volte affermato che questo è un reato di “mera condotta”: basta la consapevole scelta di non versare, non conta se l’impresa fosse in crisi o usato i soldi per pagare gli stipendi. Non è ammessa come giustificazione la carenza di liquidità, salvo casi estremi di assoluta impossibilità non imputabile al datore . Anzi, di recente (Cass. pen. sez. III, sent. 45803/2024) è stato ribadito che lo stato di crisi non esclude il dolo: pagare i dipendenti ma non l’INPS è comunque reato, perché significa destinare le risorse ad altro e omettere scientemente i contributi . L’unica difesa possibile è provare di essere stato nell’impossibilità assoluta (ad es. banche che bloccano conti, evento straordinario) e di aver tentato ogni cosa – prova difficilissima . Insomma, l’amministratore rischia una condanna se sfora la soglia. Nei processi spesso si ottiene la sospensione condizionale se poi si paga il dovuto prima della sentenza, o il patteggiamento, ma rimane la macchia penale.
Oltre al reato, l’INPS può – come per le imposte – chiedere conto agli amministratori del danno causato: infatti se l’omissione di contributi genera sanzioni e interessi a carico della società, il curatore fallimentare può fare causa all’amministratore per il danno (sanzioni) che con la sua omissione ha provocato alla società. La Cassazione (sent. 27610/2019) ha condannato un amministratore di S.r.l. a risarcire €330.000 per sanzioni e interessi accumulati da anni di omessi versamenti fiscali e contributivi . Nella fattispecie, Equitalia aveva insinuato in fallimento sanzioni e oneri, il tribunale equitativamente quantificò nel 30% di quelle somme il danno imputabile all’amministratore, e la Cassazione confermò che la condotta omissiva prolungata ne giustificava il risarcimento . Questo significa che, se l’impresa fallisce, l’amministratore potrebbe dover rispondere in proprio almeno delle sanzioni civili dovute per contributi evasi, a titolo di mala gestio.
Come difendersi su questo fronte? Innanzitutto prevenire il reato: la soglia 10k annui di ritenute corrisponde grosso modo a non pagare i contributi di 2-3 dipendenti per un anno intero. Se l’impresa ha problemi, meglio tentare di pagare qualcosa all’INPS per non sforare i 10k (ad esempio, pagare almeno i contributi trattenuti ai dipendenti, anche se si saltano quelli datoriali che non sono reato). Inoltre, l’INPS invia una diffida prima di denunciare: se entro 3 mesi dalla notifica della diffida si paga il dovuto sotto soglia, il reato è estinto. Quindi, se arriva la lettera dall’INPS per 8k non versati, bisogna assolutamente attivarsi per versare prima che scada il trimestre – altrimenti oltrepassata soglia partono denunce.
Se il reato è già configurato (contributi non versati >10k), l’amministratore può comunque evitare la condanna se versa tutto prima del giudizio, grazie alla causa di non punibilità introdotta nel 2016 (D.Lgs 8/2016): il pagamento integrale dei contributi omessi (anche tardivo, purché prima dell’apertura del dibattimento) estingue il reato. Questo è un incentivo fortissimo a regolarizzare: molti procedimenti penali si chiudono se il datore trova i soldi e paga arretrati e sanzioni prima del processo.
Un altro fronte: l’omesso versamento di ritenute fiscali (IRPEF) sui dipendenti è punito dall’art. 10-bis D.Lgs. 74/2000 se supera €150.000 annui . Questo riguarda le ritenute IRPEF operate sulle buste paga e certificate nel modello 770. Soglia alta, ma attenzione: in ditte con molti dipendenti si può raggiungere. Anche qui, crisi o aver usato quei soldi per pagare i lavoratori non scusa: reato con dolo generico. La soglia fu elevata da 50k a 150k nel 2015, quindi raramente PMI la superano, ma in caso di più annualità potrebbe accumularsi.
Infine, l’omesso versamento IVA oltre €250.000 annui (art. 10-ter D.Lgs.74/2000) è reato, punito fino a 6 anni . Molte piccole imprese, strette dalla morsa, usano l’IVA incassata per far fronte ad altre spese: è molto rischioso, perché se in un anno solare il debito IVA dichiarato e non versato supera 250k, scatta il penale. Anche qui la Cassazione ha chiarito che la crisi di liquidità non esenta dalla punibilità, salvo dimostrare che pagare fosse impossibile anche tagliando ogni costo (onere stringente sul contribuente) .
In sintesi, sul penale tributario-previdenziale: l’imprenditore insolvente deve essere consapevole che alcuni debiti, se non pagati, generano responsabilità penali personali – indipendenti dall’andamento poi della società. Quindi, nel difficile bilanciamento “cosa pago con i pochi soldi rimasti?”, dovrebbe dare priorità a non incorrere in soglie penalmente rilevanti: ad esempio, pagare entro fine anno abbastanza IVA da scendere sotto €250k dovuto; versare contributi dipendenti fino a ridurre l’omesso sotto 10k; oppure se non riesce, almeno presentare la dichiarazione dei sostituti (770) perché se non la presenta la soglia per reato scende a 50k (questo dettaglio: omessa presentazione 770 e omesso versamento ritenute oltre 50k = reato aggravato).
Se ormai il danno è fatto, la difesa sta nel pagare prima del processo o, se non possibile, nel documentare rigorosamente che le somme non versate sono state impiegate per evitare guai peggiori (es. mantenere operativa l’azienda per pagare creditori privilegiati come dipendenti e banca) e che non c’era modo di reperire liquidità (ci sono state delle pronunce isolate che assolvono se c’è prove di impossibilità assoluta, ma rare). In ogni caso, non va ignorato: se arriva un invito dell’INPS o dell’Agenzia a spiegare, conviene far intervenire un legale e negoziare un pagamento parziale per evitare la denuncia.
Aspetti fiscali del fallimento e della liquidazione
Un cenno finale: quando un’impresa finisce in procedura concorsuale, i debiti tributari rientrano nel passivo e spesso rimangono in gran parte insoddisfatti. Il nuovo Codice prevede però che, ad esempio, in una liquidazione giudiziale l’ex imprenditore individuale automaticamente ottenga l’esdebitazione dei tributi residui una volta chiusa la procedura (con alcune eccezioni per debiti per risarcimenti, multe, alimenti, e per debiti fiscali derivanti da condotte penalmente sanzionate se c’è stata condanna in dolo). Quindi, se passa per il fallimento, dopo (di regola 3 anni dalla chiusura) l’ex imprenditore esce libero da cartelle ecc., salvo abbia commesso reati tributari (in quel caso le sanzioni penali permangono e pure l’eventuale confisca). Nel sovraindebitamento, come visto, l’esdebitazione è più rapida (3 anni dalla sentenza di liquidazione controllata per l’esdebitazione, come nel caso di Luca di Milano ).
Ciò per dire: lo Stato rimette i debiti fiscali se vede che il debitore ha messo a disposizione tutto il possibile in una procedura concorsuale. Non li rimette invece se l’impresa sta aperta e non paga: in quel caso li insegue (finché possibile legalmente). Questa differenza di trattamento è importante sul piano strategico: se un’azienda è irreversibilmente insolvente verso il Fisco, portarla in liquidazione concorsuale (fallimento o sovraindebitamento) può essere l’unico modo per far “sparire” quelle cartelle a fine procedura (perché fuori, resterebbero pendenti all’infinito contro l’imprenditore e i suoi eredi, fatti salvi i termini di prescrizione). Quindi, dal punto di vista del debitore, benché istintivamente si vorrebbe evitare il fallimento, bisogna valutare che a volte dichiarare fallimento e farsi esdebitare è preferibile a rimanere formalmente in attività con milioni di debiti fiscali impagabili che generano incubi per decenni.
Responsabilità penale dell’imprenditore e dell’amministratore
Abbiamo anticipato alcuni aspetti penalistici in materia tributaria e contributiva. È il caso ora di offrire una panoramica generale delle responsabilità penali che possono gravare sul titolare o gli amministratori di un’impresa indebitata. La presenza di debiti di per sé non costituisce reato (non c’è il “reato di indebitamento” ovviamente); tuttavia, certe condotte che spesso accompagnano la situazione di insolvenza possono configurare fattispecie penalmente rilevanti. Le principali sono:
- Reati tributari: i già citati omesso versamento IVA (art. 10-ter D.Lgs.74/2000, soglia €250k) , omesso versamento ritenute fiscali (€150k) e contributive (€10k) . A questi aggiungiamo eventualmente l’occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10 D.Lgs. 74/2000) se, per evadere le imposte, l’imprenditore nasconde o altera le scritture contabili: punito con reclusione fino a 7 anni. Oppure l’infedele dichiarazione (art. 4) se per evitare di risultare debitore d’imposta se ne dichiara meno (soglie alte di evasione >€100k imposta e >10% elementi attivi). Ma questi reati attengono all’evasione fiscale nella fase di accumulo del debito, più che alla gestione del debito accumulato. In contesto di impresa in crisi, i più tipici sono quelli di omesso versamento di cui sopra (perché l’azienda in difficoltà tende a non pagare IVA e contributi per far fronte ad altro).
- Reati fallimentari (bancarotta): se l’impresa viene dichiarata fallita (liquidazione giudiziale), si applica la legge fallimentare penale: gli amministratori (o titolare) possono essere imputati di bancarotta fraudolenta o semplice a seconda dei comportamenti tenuti prima e durante il fallimento (artt. 216-217 R.D. 267/42, tuttora in vigore per la parte penale). La bancarotta fraudolenta è un grave reato (punito con reclusione 3-10 anni) e ricomprende varie condotte dolose: distrattiva (aver sottratto o occultato beni della società pregiudicando i creditori), documentale (aver falsificato o distrutto le scritture contabili per ostacolare la ricostruzione del patrimonio e del movimento affari), preferenziale (aver volontariamente favorito un creditore a detrimento di altri nei tempi di insolvenza, costituendo una violazione della par condicio), oltre all’aver esposto passività inesistenti o sottratto attivo. Ad esempio, l’amministratore che, prevedendo il fallimento, svuota il conto dell’azienda trasferendo soldi a sé o a terzi = bancarotta fraudolenta patrimoniale; quello che “trucca” il bilancio per mascherare ammanchi = bancarotta fraudolenta documentale. La bancarotta semplice (punita meno severamente) copre invece condotte di negligenza grave: es. aver aggravato il dissesto con spese personali eccessive, aver continuato ad assumere obbligazioni quando era chiaro che non si potevano onorare, non aver tenuto la contabilità regolare. Ad esempio, l’art. 217 punisce l’imprenditore che ha aggravato il proprio dissesto per colpa grave (e la Cassazione considera ad es. il continuare l’attività spericolatamente contrarre debiti a vuoto come colpa grave). Anche l’aver omesso le scritture contabili configura bancarotta semplice se per colpa (fraudolenta se per nascondere dolosamente).
In sede penale, la distinzione tra fraudolenta e semplice è importante: la prima comporta interdizioni lunghe, arresti ecc., la seconda è quasi un reato di serie B (spesso amnistiabile o prescritto prima). Molti imprenditori, però, incappano in bancarotta fraudolenta senza averne inizialmente la piena percezione: ad esempio, usare i soldi dell’IVA per pagare fornitori preferiti pre-fallimento può essere considerato bancarotta preferenziale (fraudolenta), perché si è data preferenza dolosa a un creditore (il fornitore pagato) rispetto agli altri (compreso il Fisco) . Oppure prendere attrezzature dell’azienda e portarle via prima del fallimento per non farle trovare al curatore = distrazione fraudolenta. O ancora, non aver tenuto le fatture e i registri = se rende impossibile la ricostruzione, spesso contestano bancarotta fraud. documentale (dicendo che l’omissione è per nascondere chissà cosa). Viceversa, consegnare i libri in ordine e dimostrare di aver agito al meglio delle possibilità può evitare imputazioni gravi: ad es. un fallito che ha depositato i bilanci e può provare che l’insolvenza deriva da crediti non riscossi e non da sue spese personali difficilmente verrà accusato di bancarotta fraudolenta (potrebbe tutt’al più rischiare la semplice se, ad es., ha tardato a portare i libri). In proposito, c’è anche il reato di ricorso abusivo al credito (art. 218 l.fall.) se si è continuato a ottenere credito quando si sapeva di essere insolventi, ma è contestato raramente.
- Altri reati societari o finanziari: in contesti di crisi, potrebbero emergere reati come false comunicazioni sociali (bilanci falsi) se fatti per occultare la realtà, usura se magari un finanziatore privato ha prestato a tassi illegali all’impresa (ma a carico del finanziatore), reati di corruzione o turbativa d’asta se l’impresa li ha commessi per ottenere lavori (non correlati ai debiti ma possibili in quell’ambito). Questi esulano però dal tema “debiti”.
- Insolvenza fraudolenta (art. 641 c.p.): reato che punisce chi, al fine di evadere un’obbligazione, simula insolvenza o riduzione patrimoniale. È una figura di nicchia, applicata se un debitore fa finta di non avere soldi per non pagare (ad es. simula di essere nullatenente per non pagare una fornitura) con artifizi. Non comune, ma teoricamente se un imprenditore assume obblighi sapendo di non poterli adempiere e poi “fa il morto a galla”, potrebbe configurarsi. Spesso preferiscono contestare la bancarotta preferenziale o il fraudolento danneggiamento creditori (art. 232 c.p. se fuori fallimento cedi beni per non pagarli, punibile solo su querela e con modeste pene).
Come tutelarsi penalmente se si è un imprenditore in crisi? Ecco alcuni consigli pratici:
- Mantenere la contabilità regolare e trasparente. Non falsificare bilanci, non distruggere libri. Anzi, quando la situazione precipita, predisporre un rendiconto chiaro e consegnarlo al curatore in caso di fallimento. La migliore difesa contro la bancarotta documentale è dire: “Ecco tutti i libri in ordine, nulla da nascondere.” Questo evita il sospetto di occultamenti dolosi.
- Non sottrarre o occultare beni aziendali. Anche se umano pensare “salvo questo macchinario portandolo a casa”, è rischiosissimo: se poi c’è fallimento e risulta mancante, scatta bancarotta fraudolenta. Meglio semmai vendere il bene regolarmente prima, a prezzo di mercato, e usare i soldi per pagare debiti (comportamento che potrebbe rientrare nella normalità se genuino). Oppure costituire garanzie simulate a parenti è purtroppo classico ma smascherabile e penalmente rilevante.
- Evitare pagamenti preferenziali last-minute. Quando si è a un passo dall’insolvenza conclamata, pagare solo alcuni creditori e non altri può portare ad accuse di averli preferiti scientemente (bancarotta preferenziale). Se proprio bisogna selezionare chi pagare (capita, perché con pochi soldi devi scegliere), conviene avere criteri oggettivi: es. pagare dipendenti e fornitori critici per evitare pericoli immediati di sicurezza o per continuare la minima attività, e non pagare magari debiti con soci o amici. I pagamenti ai soci o parti correlate poco prima del fallimento sono visti malissimo (il curatore li revoca e il PM li considera furbate = probabile imputazione).
- Non aggravare volontariamente il dissesto. Se l’impresa è già in coma, continuare a ordinare materiali a fornitori sapendo di non poterli pagare può non solo far scattare cause di responsabilità civile, ma integrare bancarotta semplice (“aggravamento del dissesto”). Meglio interrompere per tempo e dichiarare lo stato di crisi, piuttosto che tirare avanti generando altri debiti insostenibili.
- Ricorrere a soluzioni di composizione legale della crisi. Paradossalmente, attivare un concordato o liquidazione volontaria può ridurre il rischio penale. Per esempio, se si chiude con un concordato, non c’è fallimento e quindi niente bancarotta (la bancarotta c’è solo col fallimento/liquidazione giudiziale). Gli eventuali atti dissipativi fatti prima potrebbero avere altre qualificazioni, ma spesso se si arriva a concordato poi non emergono denunce (a meno di frodi in concordato, altro reato ex art. 236 L.F. se si falseggiano dati nel concordato stesso). Anche la composizione negoziata prevede una sorta di esimente: l’art. 23 CCII dice che se l’imprenditore rispetta le prescrizioni dell’esperto e conclude la procedura, eventuali condotte di distrazione beni a scopo di risanamento non sono punibili. Insomma, collaborare con le procedure può evitare imputazioni di fraudolenza.
- Per i reati tributari specifici: come già detto, monitorare le soglie e comportarsi di conseguenza. Ad esempio, nel 2024, se appare chiaro che la società non potrà pagare l’IVA di fine anno e sarà 300k, valutare di presentare domanda di rateizzazione entro il termine di versamento. La legge prevede che se hai un piano di rate per l’IVA, il reato non si perfeziona al 16 settembre (termine di pagamento dell’IVA annuale) ma solo se non rispetti le rate. Così guadagni tempo e magari riesci a rientrare sotto soglia. Analogamente, per le ritenute IRPEF, regolarizzare con il ravvedimento operoso prima che la Finanza contesti.
- Nominalmente amministratore vs. di fatto: attenti anche al caso in cui magari l’impresa è gestita di fatto da altri (socio occulto, consulente) ma voi siete amministratore “prest nominee”: la Cassazione considera punibile anche l’amministratore di diritto per i reati omissivi tributari salvo provi di essere completamente all’oscuro, e punibile anche l’amministratore di fatto che tirava le fila. Quindi, se siete prestanome, rischiate comunque in solido. E se siete i gestori reali ma avete messo un prestanome, sarete chiamati a rispondere come amministratori di fatto (ad es. Cass. Pen. 12442/2020 ha condannato un prestanome per omessi versamenti, ritenendo che comunque avrebbe dovuto vigilare e che accettare il ruolo senza controllare equivale almeno a dolo eventuale) .
Conseguenze penali: Oltre alle pene detentive e pecuniarie, condanne per bancarotta o reati fiscali comportano l’interdizione dai pubblici uffici, la perdita capacità di esercitare imprese per un certo tempo, ecc. La bancarotta fraudolenta, ad esempio, comporta l’inabilitazione all’esercizio di impresa commerciale per 10 anni e l’interdizione dai ruoli direttivi di società. Ciò può stroncare la carriera imprenditoriale. Ecco perché è fondamentale – in ottica difensiva – evitare comportamenti che sconfinino nel penale durante la gestione della crisi. Se proprio l’impresa è destinata a cadere, meglio cadere “puliti” (potrà esserci la bancarotta semplice al massimo) che non tentare furbizie che sfociano in bancarotta fraudolenta.
Ricapitolando, i principali reati da tenere presenti e le relative soglie/pene in uno schema:
- Omesso versamento IVA > €250.000/anno (art. 10-ter D.Lgs.74/2000) – reclusione fino a 2 anni. (Solo se dovuto in base a dichiarazione annuale e non versato entro termine dichiarazione anno successivo).
- Omesso versamento ritenute fiscali certificate > €150.000/anno (art. 10-bis D.Lgs.74/2000) – reclusione fino a 2 anni. (Se non presentato modello 770 soglia 50k).
- Omesso versamento ritenute previdenziali > €10.000/anno (art. 2 co.1-bis L.638/83) – reclusione fino a 3 anni + multa. (Sotto 10k sanzione amm.va €10k-50k).
- Bancarotta fraudolenta (distrazione, documentale, preferenziale etc. art. 216 l.fall.) – reclusione 3-10 anni.
- Bancarotta semplice (art. 217 l.fall.) – reclusione fino a 2 anni.
- Ricorso abusivo al credito (art. 218) – reclusione fino a 2 anni.
- Frodi in procedure concorsuali (es. dolosamente aumentare passivo o diminuire attivo in concordato, art. 236 l.fall.) – varie pene fino a 5 anni.
- False comunicazioni sociali (art. 2621 c.c.) – reclusione fino a 3 anni (ma in PMI non quotate è procedibile a querela).
- Insolvenza fraudolenta (art. 641 c.p.) – reclusione fino a 2 anni + multa; punibile a querela del defraudato.
La prescrizione per i reati fallimentari è lunga (in media 6 anni estensibili a 7.5, ma con atti interruttivi si estende): molti procedimenti fallimentari arrivano a sentenza. I reati tributari pure hanno prescrizioni di 6 o 8 anni a seconda pene (spesso scattano, ma ultimamente meno perché rinunce e cause di sospensione possono allungare).
In pratica: un imprenditore consapevole, quando vede la mala parata, dovrebbe chiamare subito un avvocato penalista d’impresa o esperto di crisi per farsi consigliare sul da farsi e cosa non fare. Ci sono casi famosi di condanne di imprenditori che, se avessero avuto la guida giusta, forse avrebbero evitato di commettere reati. Ad esempio, amministratori che hanno continuato a incassare acconti clienti pur sapendo di non poter consegnare commessa – ciò li ha portati dentro per bancarotta fraudolenta per avere formato un debito verso quei clienti con dolo (li hanno ingannati sulla solvibilità). Meglio in questi casi fermarsi prima e non peggiorare la situazione.
In conclusione, il punto di vista del debitore deve comprendere anche il profilo penale: salvare l’azienda è importante, ma salvare se stessi da accuse penali lo è altrettanto. Bisogna quindi muoversi con onestà e trasparenza quanto possibile, e se qualcosa dev’essere sacrificato, meglio sacrificare dei beni (che comunque i creditori piglierebbero) piuttosto che sacrificare la propria fedina penale compiendo illegalità.
Strategie di difesa del debitore: come tutelarsi e gestire i debiti
Dopo aver passato in rassegna aspetti giuridici e rischi, tiriamo le fila dal punto di vista pratico dell’imprenditore o amministratore indebitato. Cosa può fare, operativamente, per difendersi dai creditori e cercare di uscire dal tunnel? Ecco alcune strategie e consigli:
- Analisi lucida della situazione debitoria: per prima cosa, è importante quantificare esattamente i debiti, distinguendo per tipologia (privilegiati vs chirografari, esigibili subito vs dilazionati, garantiti vs non garantiti). Bisogna sapere chi sono i principali creditori e quali armi hanno (es. la banca ha ipoteca? Il Fisco ha già cartelle? I fornitori hanno decreti ingiuntivi?). Questo inventario consente di prioritizzare le azioni. Inoltre, verificare prescrizioni: fare controllare da un legale se alcuni debiti sono prescritti o se alcuni atti (es. interessi usurari su un prestito, clausole nulle) possano essere contestati per ridurre l’importo. A volte il solo sollevare eccezioni (tipo contestare un addebito) può dare leva negoziale per un accordo a saldo e stralcio più favorevole.
- Gestione attiva della comunicazione con i creditori: nascondersi e non rispondere mai al telefono peggiora le cose. Meglio affrontare i creditori, magari tramite un advisor o un avvocato, per spiegare la situazione e proporre soluzioni. La trasparenza (fin dove possibile) spesso paga: un fornitore informato che l’azienda sta trattando un accordo con tutti sarà più incline ad aspettare, rispetto a uno tenuto all’oscuro che vede solo i mancati pagamenti (in quel caso correrà in tribunale). Quindi, comunicare un piano di rientro credibile – anche unilaterale – può tranquillizzare alcuni creditori e guadagnare tempo.
- Negoziazione e accordi stragiudiziali (“saldo e stralcio”): ove possibile, cercare di chiudere i debiti con accordi bonari. Offrire un saldo e stralcio – ovvero pagare subito una percentuale e il creditore rinuncia al resto – è spessissimo accettato da creditori chirografari, se temono altrimenti di non vedere nulla (ad esempio, molti fornitori accettano 30-50% subito pur di chiudere). Formalizzare sempre l’accordo per iscritto e farsi rilasciare quietanza tombale. Attenzione: usare eventuali risorse disponibili per accordi equilibrati: non dilapidare tutto per pagare solo alcuni piccoli creditori lasciandone grossi fuori (questo può portare a revocatorie o rancori); meglio distribuire quell’importo su più transazioni riducendo proporzionalmente l’esposizione complessiva. Gli accordi parziali non vincolano chi sta fuori, ma riducono il numero di nemici attivi.
- Moratorie e rinegoziazione con le banche: se i debiti includono prestiti bancari, conti scoperti, leasing, è spesso possibile ottenere dalle banche una moratoria o rinegoziazione. L’ABI e le associazioni di categoria periodicamente sottoscrivono protocolli per la sospensione delle rate alle PMI in difficoltà (ad es. moratoria COVID). Anche al di fuori di questi, la banca preferisce quasi sempre ristrutturare il credito (allungare i termini, consolidare in nuovo mutuo) piuttosto che escutere garanzie subito. Importante è andare dalla banca prima di diventare insolventi conclamati: presentare un piano credibile, magari con l’ausilio di un professionista, dicendo: “Abbiamo questo calo, possiamo però pagarvi in 5 anni invece di 2 se riducete tasso e sospendete 6 mesi”. Se l’azienda ha prospettive e soprattutto se il credito è garantito da pegno/ipoteca, la banca sarà conciliante perché sa che comunque incasserà più facilmente rinegoziando che litigando. Da evitare invece di nascondere la crisi alla banca finché non si è saltata la prima rata: a quel punto il rapporto si inasprisce e la banca attiverà legali. Sempre mantenere un canale di dialogo.
- Cessione di rami d’azienda o vendita beni per generare liquidità: a volte vendere proattivamente un bene può risolvere. Esempio: l’azienda possiede un immobile non strumentale; vendendolo e con il ricavato paga i debiti; l’attività magari prosegue in affitto altrove. Oppure cedere un ramo d’azienda (es. i contratti di manutenzione) a un concorrente in cambio di farsi carico di parte dei debiti o di un corrispettivo con cui pagare i creditori. Queste operazioni straordinarie possono essere difficili da negoziare in crisi, ma non impossibili. Attenzione però: farle in modo trasparente e a valori di mercato e preferibilmente all’interno di procedure concordate (concordato con continuità indiretta, ad esempio) per evitare contestazioni (revocatorie, bancarotta). Se vendi un capannone a prezzo buono e versi i soldi ai creditori, nessuno contesterà (anzi, bravo). Se lo vendi a metà prezzo a tuo cugino e intanto lasci creditori a bocca asciutta, verrà revocato e tu incriminato. Quindi, cedere sì ma con perizia di stima e tracciabilità dei flussi.
- Protezione del patrimonio personale lecito: se sei imprenditore individuale o socio illimitato, il tuo obiettivo è salvare almeno parte del patrimonio familiare. Ci sono strumenti come il fondo patrimoniale o il trust per segregare beni (es. la casa di famiglia) fuori dalla portata dei creditori dell’impresa. Tuttavia, questi dispositivi funzionano solo se attivati in tempi non sospetti, prima che i debiti sorgano o quando ancora non c’è insolvenza. Farli “all’ultimo” espone a revocatoria (atti a titolo gratuito entro 2 anni dal fallimento sono revocati di default) . Comunque, se c’è tempo, un imprenditore può destinare la casa a fondo patrimoniale per i bisogni della famiglia: un domani i fornitori non potranno pignorare la casa se il debito non riguarda bisogni familiari (e su questo i giudici a volte considerano che i debiti d’impresa non lo siano e quindi la casa è attaccabile lo stesso, altre volte no; meglio di nulla). Un trust familiare ben congegnato pure può mettere al riparo dei beni, ma deve essere fatto quando l’azienda va bene, non quando sei già esposto (in tal caso verrebbe considerato fraudolento). Quindi come difesa anticipata: se il coniuge non è coinvolto in azienda, valutare la separazione dei beni nel matrimonio; intestarle un immobile legalmente prima di indebitarsi (non per frodare, ma come pianificazione patrimoniale: i creditori futuri non possono aggredire ciò che non è tuo). Ovviamente, chi legge questo quando è già sommerso di debiti, è tardi: non conviene ora intestare tutto ai figli perché è palese che lo fai per sottrarre ai creditori (revoca e pure reato possibile). In sintesi: la miglior difesa patrimoniale è costituire una S.r.l. prima possibile (così i debiti restano lì) e non prestare garanzie personali se non strettamente necessario. Chi ha una ditta individuale dovrebbe valutare di trasformarla in S.r.l. quando è ancora solvibile, trasferendo l’attività a una società (con conferimento d’azienda) e lasciando a livello personale meno rischi; anche qui, se già pieno di debiti la costituzione di S.r.l. ex novo non li elimina (i creditori originali potranno seguirti e magari far fallire anche la S.r.l. se è una continuazione).
- Ottenere consulenza professionale tempestiva: può sembrare un consiglio scontato, ma tanti piccoli imprenditori sottovalutano l’importanza di farsi assistere da un avvocato esperto di crisi o un commercialista ristrutturatore. Provano a navigare da soli finché è tardi e poi subiscono procedure. Un bravo consulente può negoziare con i creditori in modo più efficace (anche solo incutendo rispetto e formalità), può suggerire mosse come presentare certi ricorsi per rinviare pignoramenti (magari un’opposizione pretestuosa ma che compra qualche mese), o individuare errori dei creditori (ci sono casi in cui ipoteche Equitalia erano nulle per vizi formali: chi ha il legale lo rileva e le fa cancellare). Inoltre, i professionisti sanno predisporre piani di risanamento e hanno contatti con OCC o tribunali per avviare procedure di composizione. Anche se ciò comporta dei costi, spesso previene perdite peggiori.
- Valutare la continuazione vs cessazione attività: a volte difendersi significa prendere una decisione drastica: chiudere l’impresa prima che i debiti aumentino oltre misura. Se il mercato è saturo, i margini nulli e i debiti troppi, forse la scelta razionale è cessare la ditta (o portare i libri in tribunale se fallibile) e magari riaprire con altra forma in futuro, invece di accumulare ulteriori esposizioni inseguendo un recupero improbabile. Questa non è resa, ma gestione oculata: c’è un dovere (anche legale) di non aggravare il dissesto. Quindi, difendersi può voler dire “ritirarsi strategicamente”: vendere quel che si può per pagare un po’ di debiti, chiudere le posizioni contabili e attivare l’esdebitazione, così da tornare pulito nel giro di qualche anno. Molti imprenditori di successo hanno alle spalle un fallimento, la differenza sta in come l’hanno gestito.
- Tutela del “nome” e della reputazione: nel campo della manutenzione ascensori la reputazione è tutto (bisogna dare sicurezza ai condomini e amministratori di condominio). Un’impresa in difficoltà rischia di essere tagliata fuori dal mercato già solo perché gira voce dei suoi problemi. Allora, come difesa, occorre curare anche l’aspetto comunicativo: se si sta ristrutturando il debito ma l’attività continua, rassicurare i clienti che c’è un piano in corso, magari con comunicati stampa se necessario (es. “Alfa Ascensori avvia un processo di ristrutturazione che le consentirà di continuare a garantire il servizio ai clienti in totale sicurezza e affidabilità”). Evitare, se possibile, di finire sui giornali locali come “azienda che non paga stipendi” o “ascensoristi verso il fallimento”, perché poi recuperare la fiducia è dura. A volte attivare formalmente un concordato o accordo può aiutare a controllare la narrazione (“azienda chiede il concordato per salvaguardare i creditori e la continuità, nominato commissario” suona meglio di “fornitori sul piede di guerra, uffici pignorati”).
- Utilizzare misure premiali del Codice della Crisi: il nuovo Codice prevede che se l’imprenditore rileva precocemente la crisi e attiva strumenti di composizione (come la negoziata) volontariamente, non subisce alcune sanzioni interdittive e anzi può ottenere esenzioni da responsabilità (ad esempio niente sanzioni tributarie per tardivi pagamenti se rispettato un piano omologato, attenuanti nelle sanzioni amministrative). Quindi c’è convenienza a essere virtuosi nel gestire la crisi, per beneficiare di questi “premi” normativi.
- Conservare prove della buona fede: un giorno, se dovrete rispondere di fronte a un giudice (civile o penale), farà molta differenza poter documentare cosa avete fatto e perché. Quindi mantenere tracce: le email in cui la banca rifiuta credito aggiuntivo, i verbali in cui avete avvertito i soci della crisi, le lettere ai fornitori in cui proponete accordi, ecc. Questo dipingerà il quadro di un amministratore diligente che ha fatto il possibile. Ad esempio, per difendersi nell’azione di responsabilità dei creditori, l’ex amministratore può mostrare che non era colposo: “Ecco, quando la società perdeva capitale, ho convocato assemblea per ricapitalizzare ma i soci non potevano, ho provato a trovare investitore, intanto ho fornito solo servizio minimo…”. Tutto ciò potrà salvarlo dal dover risarcire. Similmente in penal sede: provare di aver tentato di pagare i contributi vendendo la macchina personale, ma ricavato insufficiente, può non scagionare completamente ma testimonia la mancanza di dolo.
Riassumendo le priorità difensive: 1. Non far aggravare i debiti (tagliare spese e prevenire nuove esposizioni inutili). 2. Mettere in sicurezza legalmente ciò che è essenziale (persone e beni vitali). 3. Trovare soluzioni con i creditori invece di aspettare i tribunali. 4. Se inevitabile la procedura concorsuale, arrivarci preparati e senza scheletri nell’armadio. 5. Dopo la tempesta, usare la nuova chance (esdebitazione) per ripartire con un’azienda nuova e una lezione appresa.
Come disse un noto giurista, “il fallimento di un imprenditore non è una sua morte civile, ma può essere la sua redenzione economica se gestito nella legalità”. L’imprenditore indebitato deve quindi collaborare col sistema per ottenere quella “redenzione” (la liberazione dai debiti) e non combatterlo con espedienti illeciti che potrebbero portare a sanzioni ben peggiori dei debiti stessi.
Esempi pratici (simulazioni)
Per capire meglio come applicare queste nozioni, analizziamo due casi pratici ipotetici relativi ad imprese di manutenzione di ascensori indebitate, uno come ditta individuale e uno come società di capitali. Vedremo passo passo quali problemi incontrano e come potrebbero difendersi efficacemente.
Caso 1: Ditta individuale “Ascensori Bianchi” – sovraindebitamento e liquidazione controllata
Scenario: Marco Bianchi è un artigiano manutentore di ascensori, che opera come ditta individuale (regime artigiano). Ha 3 dipendenti. Negli ultimi anni l’impresa ha subito contraccolpi: un importante cliente (una ditta edilizia) è fallito lasciando €50.000 di fatture non pagate; inoltre i costi di carburante e materiali sono aumentati, ma Bianchi non ha potuto alzare i prezzi ai condomìni serviti. Ha accumulato debiti: €40.000 con fornitori di pezzi di ricambio, €20.000 di arretrati di locazione del magazzino, €30.000 di scoperto di conto in banca, €25.000 di contributi INPS non versati e €15.000 di IVA non versata. Complessivamente circa €130.000. Il suo attivo è modesto: attrezzi e furgoni per un valore stimato di €20k, crediti verso clienti €10k (molti pagamenti di piccoli condomìni in ritardo), nessun immobile (il capannone è in affitto). Ha però una casa di proprietà (prima casa, cointestata con la moglie in comunione dei beni). Negli ultimi mesi Bianchi non riesce più a pagare regolarmente: i dipendenti li ha pagati (anche se con qualche ritardo), ma per fare ciò ha saltato IVA e contributi e non paga fornitori da 6 mesi. L’INPS gli ha inviato una diffida contributiva su €25k di ritenute dipendenti non versate, e la soglia penale di €10k è ampiamente superata. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione gli ha notificato intanto due cartelle per IVA e IRPEF arretrata. I fornitori hanno minacciato azioni legali e uno ha già ottenuto decreto ingiuntivo da €15k.
Problemi individuati: Bianchi è sovraindebitato, e come ditta individuale risponde con tutto (compresa la casa). Rischia: – Pignoramento mobiliare dei beni ditta (furgoni, attrezzi) da parte di fornitori o banca. – Fermo amministrativo dei furgoni da ADER per i debiti fiscali (probabile). – Pignoramento del conto e dei crediti clienti (banca o fornitori potrebbero farlo). – Azioni sulla casa: il fornitore con decreto potrebbe pignorare la quota di casa di Bianchi (prima casa non protegge da privati). – Responsabilità penale per omessi contributi (€25k > 10k). – Situazione insostenibile per continuare attività (niente soldi per ricambi, fornitura materiali bloccata da fornitori offesi, rischio sicurezza nel servizio).
Opzioni di difesa: Marco consulta un OCC (Organismo di Composizione Crisi) e un avvocato. Valutano le soluzioni: – Composizione negoziata? Con quell’esposizione e così tanti piccoli creditori, appare difficile. Inoltre la ditta non ha risorse per offrire un piano convincente in negoziazione, e i fornitori son già sul piede di guerra. – Concordato minore? Potrebbe proporre di pagare, ad esempio, 30% ai chirografari in 4 anni grazie al suo lavoro futuro, mantenendo l’attività. Ma i margini attuali sono bassi, e la fiducia dei clienti e fornitori è scossa. Rischio alto di non reggere il piano. – Liquidazione controllata (ex L.3/2012)? Sembra la strada più concreta: Bianchi mette a disposizione il patrimonio residuo (furgoni, attrezzi, magari vende la macchina privata), e in 3 anni offre ai creditori quel poco che può raccogliere (ad esempio un lavoretto extra retribuito personalmente). In questo modo, chiusa la procedura, otterrebbe l’esdebitazione.
Marco opta per la liquidazione controllata del sovraindebitato. L’avvocato OCC prepara il ricorso: elencano debiti e beni. Propongono di vendere i 2 furgoni e gli attrezzi all’asta (valore stimato €20k) e che Marco versi una somma mensile di €200 per 3 anni derivante da futuri lavori saltuari (ha prospettiva di farsi assumere come tecnico da un’altra ditta). In totale i creditori potrebbero ricevere ~€20k + €7.200 = €27.200, pari a circa il 21% dell’ammontare del debito. Non è molto, ma in un fallimento non prendrebbero di più, visto che l’attivo di Bianchi è quello e la casa è protetta in quanto è l’unica e vi risiede (il fornitore che ha pignorato la casa dovrà far marcia indietro perché la procedura concorsuale prevale e perché non c’è ipoteca, lui può pignorare ma la vendita all’asta sarebbe complessa e con esiti incerti).
Il Tribunale ammette la liquidazione controllata. Viene nominato un liquidatore. Appena aperta la procedura: – Automatic stay: Bianchi informa tutti i creditori che c’è la procedura. I pignoramenti pendenti vengono sospesi. L’Agenzia delle Entrate sospende le azioni esecutive (lo prevede la legge). – Protezione prima casa: Il liquidatore valuta che la casa essendo in comunione dei beni al 50% con la moglie (estranea ai debiti) e considerato che c’è dentro un minore, non conviene liquidarla. Inoltre, la quota di Marco è per metà e ha ipoteca legale per crediti erariali? No, il debito fiscale era €15k, ADER forse ha iscritto ipoteca (poteva perché debito >20k complessivo includendo contributi), ma anche se c’è, vendere una casa per pagare fra l’altro pure alla moglie la metà sarebbe inefficiente. Dunque il liquidatore può decidere di non liquidare la casa, trattandola come bene necessario alla famiglia. – Il liquidatore procede a vendere i furgoni (ricava €18k netti) e attrezzature (€4k). Incassa €22k. – Marco versa regolarmente €200/mese per 36 mesi = €7.200. – Queste somme, detratte le spese di procedura e un piccolo compenso al liquidatore approvato dal giudice, vengono distribuite ai creditori. – Ai privilegiati: in primis l’INPS (credito privilegiato per contributi dipendenti) e l’Agenzia Entrate (IVA) prendono quasi tutto il ricavato. Poniamo €22k vanno pro quota a loro, soddisfacendo il 50% di quei crediti privilegiati. – Ai chirografari (fornitori, banca per parte scoperta non garantita) rimangono solo €5k da dividersi, una percentuale simbolica (magari 5%). – Fine procedura: come da legge, tutti i debiti residui sono cancellati. Marco ottiene l’esdebitazione integrale, i creditori non possono più pretendere nulla da lui . Anche il reato di omesso versamento contributi viene meno? In teoria no, quello è indipendente. Tuttavia, l’avvocato di Marco nel frattempo ha sfruttato la circostanza per difenderlo in penale: ha mostrato come Marco abbia avviato la procedura per pagare il possibile, e che non c’era dolo di arricchimento. Il giudice, vedendo che ha liquidato l’azienda e perso tutto, gli concede le attenuanti e magari con patteggiamento chiudono il penale con una multa, considerato che poi quell’omesso versamento contributi afferisce ad azienda cessata e creditori (anche l’INPS) parzialmente soddisfatti. Spesso, poi, l’INPS stessa se incassa parte in procedura non sporge querela per il penale (in omessi contributi non serve querela, ma loro la notizia di reato la danno; se vedono buona fede, a volte tardano). – Marco chiude l’attività di imprenditore e trova un lavoro come dipendente. La sua casa è salva (gravata magari da ipoteca che però ADER dovrà togliere perché debito estinto con esdebitazione). – Fra qualche anno, se volesse, potrebbe aprire una nuova ditta (non c’è fallimento, ma anche se ci fosse l’esdebitazione glielo consentirebbe, seppur con stigma da valutare).
Commento: Marco ha perso i beni d’impresa e il sacrificio di 3 anni di pagamenti, ma ha risolto i suoi debiti da €130k e soprattutto ha evitato guai peggiori (casa venduta, condanna grave). Ha scelto una difesa attiva tramite la procedura di sovraindebitamento, che per un piccolo imprenditore è spesso la via migliore quando il debito è insostenibile. Se avesse invece ignorato la situazione: – L’INPS l’avrebbe fatto condannare (rischiando anche pena detentiva se non pagava nulla). – ADER avrebbe messo fermi ai furgoni (paralizzando l’attività), ipoteca sulla casa e forse dopo anni venduto la casa a metà con esiti imprevedibili. – I fornitori l’avrebbero sommerso di pignoramenti, probabilmente portandolo comunque a chiudere ma pieno di debiti. – Anche ipotizzando prescrizioni, con quell’importo sarebbe campato nascosto per decenni.
Invece ora ha una posizione pulita e può magari essere assunto da un’azienda più grande di ascensori (esperienza ne ha e non ha più debiti a frenarlo).
Caso 2: S.r.l. “LiftTech” – crisi aziendale e concordato preventivo
Scenario: LiftTech S.r.l. è una piccola società a responsabilità limitata (capitale €50k, 3 soci). Si occupa di installazione e manutenzione ascensori. Negli anni ha vinto appalti importanti con enti pubblici e ha investito in macchinari costosi. Purtroppo, una commessa pubblica è andata male (il Comune ha ritardato i pagamenti per problemi di bilancio), generando un buco di liquidità. La società, per far fronte, ha preso prestiti bancari e leasing su nuovi mezzi. Ora si trova esposta con: – Banca Alfa: mutuo ipotecario su capannone residuo €200k. – Banca Beta: scoperto di c/c €80k (garantito da fideiussioni personali dei soci). – Fornitori parti elettroniche: €150k (di cui €50k oltre 90 giorni scaduti). – Erario: €100k di debiti IVA e ritenute (due anni non versati). – INPS: €30k contributi dipendenti ultimi 6 mesi non pagati. – Dipendenti: ultima mensilità e TFR non pagati (complessivo €20k). – Leasing: rate scadute per €15k su due furgoni (valore beni €40k). Totale debiti ~€595k.
All’attivo la società ha: impianto e magazzino (valore stimato €250k), crediti verso Comune €100k (ma il Comune ha preannunciato che pagherà solo l’anno prossimo con bilancio nuovo), altri crediti clienti €50k; cassa quasi zero; macchinari e attrezzi per €50k; 4 furgoni (2 in leasing, 2 di proprietà). Valore stimato realizzo immediato attivo ~€400k (capannone 250 + vendite macchinari e crediti con sconto). Quindi passivo > attivo di circa €195k.
L’azienda è insolvente di fatto: non riesce a pagare gli stipendi correnti, i fornitori cruciali stanno sospendendo le consegne, le banche hanno revocato gli affidamenti vedendo i bilanci in rosso. Il DURC è irregolare (niente nuovi appalti). I soci hanno già immesso €50k in conto capitale mesi fa ma bruciati per pagare arretrati.
Problemi: La S.r.l. di per sé limita la responsabilità dei soci, ma qui i soci hanno rilasciato fideiussioni a Banca Beta e ai fornitori strategici: quindi quei creditori possono aggredire pure il patrimonio personale dei soci (che includono immobili di famiglia). In più il mutuo ipotecario sul capannone significa che se la banca attiva l’esecuzione, si prende il capannone e l’impresa resta senza sede. I dipendenti, se non pagati, possono fare decreto ingiuntivo immediato e chiedere anche il fallimento. Il Fisco e INPS potrebbero attivare procedure e denunciare per contributi.
Opzioni di difesa: L’amministratore convoca un advisor. Valutano: – Possibilità di nuovo finanziamento per tamponare? Trovare un investitore? Purtroppo con quell’esposizione e DURC negativo, improbabile senza un piano di ristrutturazione formale. – Composizione negoziata: data l’entità dei debiti e la varietà (banca, fisco, fornitori, leasing), l’advisor la propone come primo tentativo. Con la composizione negoziata nominano un esperto, ottengono misure protettive per 3 mesi (stop ai pignoramenti, il che impedisce a Banca Beta e fornitori di far fallire intanto). Provano a stendere un piano: vendere il capannone (incasso stimato €250k) e usare i proventi per pagare Banca Alfa (200k ipoteca) e una parte di debiti con fornitori; proporre ai fornitori un saldo 40%; chiedere alla Banca Beta di rinunciare a escutere garanzie e trasformare lo scoperto in mutuo a 5 anni (magari i soci offrono in pegno un immobile personale come ulteriore garanzia); proporre al Fisco una dilazione su 5 anni senza sanzioni (transazione fiscale). L’esperto convoca i creditori chiave. – Banca Beta appare collaborativa se i soci mettono pegno e la società cede il credito col Comune (100k) a parziale copertura dello scoperto. – I fornitori grandi, vedendo la vendita capannone in corso, accettano un 50% a saldo (preferiscono qualcosa subito). – Il Comune si impegna a pagare prima possibile (ma non prima di 8 mesi per iter bilancio). – Il Fisco purtroppo rifiuta un taglio sanzioni e chiede tutto l’IVA in 2 anni. L’esperto alla fine valuta che manca il sì del Fisco e di un paio di piccoli fornitori e che la liquidità per rispettare tutto comunque non c’è (per pagare contributi e IVA servirebbe incassare il credito col Comune, ma quello arriva tardi). La composizione negoziata quindi non trova l’accordo totale entro i 3 mesi.
- A quel punto, la società decide di accedere al concordato preventivo. Grazie al lavoro preparatorio, ha già un piano quasi definito:
- Vendere il capannone (valore 250k) immediatamente dopo l’ammissione a concordato tramite procedura competitiva.
- Raccogliere così fondi per pagare:
- Banca Alfa (ipotecaria) integralmente 200k + interessi (essendo garantita da ipoteca sul capannone, che vale esattamente quell’importo).
- Dipendenti: usare parte dei 50k residui per pagare tutti i loro crediti (stipendi, TFR) al 100% in prededuzione (in concordato vanno saldati o comunque garantito il pagamento al 100% dei privilegio di lavoro).
- INPS: contributi dipendenti sono anch’essi privilegiati, garantire magari 80% (questo si può, privilegio generale mobiliare potrebbe non coprire tutto).
- IVA e Fisco: offrire almeno il valore di liquidazione, che nel loro caso ipotizziamo sia 20% (essendo chirografari in parte per sanzioni, e privilegiati per IVA 100k su mobili che però dopo ipoteche e lavoratori forse non coprono più del 20%). Per sicurezza, offrono 30% su IVA.
- Banca Beta e fornitori chirografari: qui intendono offrire il 30% in 2 anni grazie al flusso che deriverà dal completamento di contratti di manutenzione con margini positivi (in concordato, la società chiede di continuare la gestione aziendale in continuità per i contratti di manutenzione esistenti, che generano utile destinato ai creditori).
- Leasing: restituire i 2 furgoni e rinunciare al contratto, così la società di leasing li riprende e non risulta altro credito (o un piccolo conguaglio se valore fosse minore).
- I soci inoltre promettono di apportare €20k di finanza esterna (magari mettendo ipoteca su loro casa per un piccolo mutuo) per migliorare la percentuale ai chirografari (questo importo esterno in concordato va a loro esclusivo beneficio e non soggiace a prelazioni, aumentando il dividendo).
- Il piano dunque prevede: soddisfacimento 100% per ipotecari e dipendenti, ~30% per Fisco e chirografari. L’attività core di manutenzione continua (la società venderà la sede ma lavorerà da un ufficio in affitto più piccolo, avendo perso i lavori grandi di installazione oramai).
- La durata prevista del piano è 2 anni.
Viene presentata la domanda di concordato preventivo con continuità parziale (perché mantengono la gestione dei contratti di manutenzione). Il tribunale ammette la procedura. Da qui: – Si blocca qualsiasi azione esecutiva (moratoria legale). – I creditori vengono informati del piano. – Votazione: Banca Beta vota sì (preferisce 30% in concordato + eventuale escussione fideiussioni soci poi, piuttosto che incerto in fallimento); i fornitori chirografari grandi votano sì (meglio 30% che niente); l’Erario spesso non vota (silenzio = voto contrario implicito, di solito). – Si raggiunge comunque la maggioranza oltre 50% dei crediti chirografari grazie a banca e principali fornitori. – Il commissario giudiziale e il giudice valutano che la condizione di cram down fiscale c’è: l’Erario col concordato prende 30%, in caso di fallimento stimato avrebbe preso 10%. Quindi anche se l’Agenzia non ha aderito formalmente, il tribunale omologa ugualmente il concordato , applicando l’art. 88 CCII sul cram down fiscale (il suo dissenso non impedisce l’omologa perché la percentuale offerta supera di molto il realizzo in liquidazione). – A concordato omologato, la società esegue: – Vende il capannone entro 3 mesi con gara approvata dal GD, ricava €260k (mercato positivo). – Paga integralmente Banca Alfa e dipendenti. – Versa la prima quota (ad es. 15%) ai chirografari e Fisco immediatamente dopo la vendita (distribuzione parziale). – Prosegue la gestione per 2 anni, generando utili di ~€100k netti (risparmiando costi sede, concentrandosi su manutenzioni remunerative). – Con questi utili e l’apporto soci, effettua i pagamenti semestrali previsti ai creditori, finché dopo 2 anni tutti hanno il 30% promesso. – A quel punto il concordato è adempiuto: la società ne esce “pulita” dai debiti pregressi. Potrà continuare la sua attività (magari ridimensionata, ma sostenibile). – I soci avranno comunque perso i €20k iniettati e, attenzione, rimane il tema delle fideiussioni: la Banca Beta e alcuni fornitori erano garantiti personalmente. Avendo preso 30% dalla società, potrebbero ora escutere i soci per il restante 70% (a meno che nelle trattative i soci non abbiano ottenuto una liberatoria in cambio dell’apporto di €20k). Spesso in concordato i creditori finanziari accettano di liberare i garanti se ricevono almeno qualcosa e se i garanti non hanno molta capienza. In questo caso, ipotizziamo che Banca Beta avendo pegno su immobile socio per lo scoperto residuo ridotto a €50k, escute quell’immobile oppure i soci gli pagano a parte altri €20k e chiudono. I fornitori di solito non escutono i soci se hanno già preso il 30% e l’azienda continua con loro rapporti (anche perché la garanzia era accessoria). – Resta la posizione Fisco/INPS: col concordato eseguito, eventuali sanzioni residuanti e crediti falcidiati sono inesigibili. La società per legge non è esdebitata formalmente (quello vale per persone, ma l’omologa di concordato impedisce comunque azioni per il pregresso); i soci di S.r.l. non devono nulla oltre. – Nessun reato di bancarotta perché non c’è fallimento; quanto ai reati tributari, la società comunque ha pagato almeno in parte l’IVA e contributi con il concordato. Per l’omesso versamento contributi >10k, essendo la società, il responsabile era l’amministratore: qui fortunatamente l’INPS non procederà penalmente perché nel concordato quei contributi sono stati soddisfatti magari all’80% e per il residuo vengono stralciati legalmente. Spesso, a concordato approvato, l’autorità giudiziaria archivia tali reati in considerazione del contesto di risanamento (o comunque l’amministratore può difendersi dicendo di aver sanato in parte e il resto è stato falcidiato con ok dello Stato). – I dipendenti hanno mantenuto il posto (nessun licenziamento, solo trasferiti di sede) – concordato in continuità tutela anche l’occupazione.
Commento: In questo caso la difesa efficace è stata usare uno strumento concorsuale per ristrutturare il debito e salvare l’azienda. Se avessero lasciato correre: – Probabilmente uno dei creditori avrebbe chiesto il fallimento di LiftTech. Nel fallimento, la banca ipotecaria avrebbe preso il capannone (200k su 250k, il resto spese), dipendenti e INPS avrebbero avuto qualcosa sui beni mobili, ma i fornitori e la banca Beta forse zero (Beta avrebbe comunque inseguito i soci garanti rovinandoli). – La società sarebbe sparita e i soci si sarebbero trovati con ipoteche eseguite su loro beni e magari cause del curatore per atti di malagestio (il curatore poteva accusare gli amministratori di aver aggravato il dissesto non presentando concordato prima). – Invece, col concordato, l’impresa è ancora viva (pur ridimensionata), i soci hanno limitato i danni personali e soprattutto non hanno procedimenti per bancarotta. – Certo hanno dovuto rinunciare all’immobile e subire perdite, ma erano inevitabili. Almeno l’attività e il know-how non sono andati dispersi.
Da notare come la composizione negoziata iniziale abbia fatto da preludio: anche se non conclusa con accordo, ha consentito di bloccare per qualche mese le azioni e di preparare la domanda di concordato in maniera più ordinata. Senza quell’esperimento, forse sarebbero arrivati pignoramenti nel frattempo.
Entrambi i casi illustrano che la difesa del debitore passa spesso attraverso l’uso consapevole degli strumenti giuridici offerti: sovraindebitamento, concordato, ecc., combinati con negoziazioni. E soprattutto, l’importanza di muoversi per tempo. Nel primo caso, se Marco avesse aspettato troppo, magari un creditore astuto lo faceva fallire come piccolo imprenditore, complicando. Nel secondo, se avessero tardato, Banca Beta con ipoteca di secondo grado poteva far mettere all’asta il capannone in fretta.
Domande frequenti (FAQ)
Di seguito riportiamo alcune domande frequenti in materia di imprese indebitate e relative risposte sintetiche, per chiarire dubbi pratici:
D: La mia S.r.l. ha accumulato molti debiti. I creditori possono aggredire i beni personali miei (amministratore) o dei soci?
R: In generale no, i creditori di una S.r.l. possono rivalersi solo sul patrimonio sociale, non su quello dei soci o dell’amministratore . Fa eccezione il caso in cui i soci o l’amministratore abbiano prestato garanzie personali (fideiussioni, pegni): in tal caso il creditore garantito può escutere i beni personali in base a quella garanzia. Inoltre, se l’amministratore ha commesso illeciti gestionali gravi (es. ha aggravato dolosamente il dissesto), i creditori potrebbero, dopo una liquidazione concorsuale, agire contro di lui per danni ex art. 2476 c.c. , ma devono provarne la colpa/dolo. Quindi, di regola il tuo patrimonio è al sicuro se sei socio di S.r.l., a meno che tu non abbia firmato fideiussioni o compiuto frodi. Attenzione però che se la S.r.l. è unipersonale e non hai adempiuto agli obblighi di legge (capitale versato interamente e pubblicità del socio unico), potresti perdere la limitazione di responsabilità illimitatamente per quei debiti .
D: Sono titolare di una ditta individuale in crisi. Posso essere dichiarato fallito? Cosa posso fare per liberarmi dei debiti?
R: Gli imprenditori individuali “piccoli” (ricavi sotto 200k, debiti sotto 500k, etc.) non sono soggetti a fallimento (liquidazione giudiziale). Se rientri in queste soglie, i creditori non possono farti fallire, ma possono comunque pignorare i tuoi beni personalmente. Per liberarti dei debiti hai accesso alle procedure di sovraindebitamento (ora nel Codice della Crisi): puoi proporre un concordato minore ai creditori (pagare una parte dei debiti e stralciare il resto) oppure chiedere la liquidazione controllata del tuo patrimonio . In tal caso un liquidatore venderà i tuoi beni e dopo potrai ottenere l’esdebitazione, cioè la cancellazione di tutti i debiti residui . È uno strumento potentissimo per il debitore onesto ma sfortunato: accetti di perdere il patrimonio, ma poi riparti da zero senza debiti. Se invece superi le soglie di fallibilità, i creditori potrebbero chiederne il fallimento, ma anche tu stesso potresti optare per un concordato preventivo o un fallimento “in proprio” per chiudere la situazione con esdebitazione a fine procedura. In ogni caso, come ditta individuale tu rispondi illimitatamente dei debiti, quindi il rischio sui tuoi beni rimane fino a quando non attivi una procedura concorsuale o li paghi.
D: Cosa succede se non pago l’IVA o le ritenute dei dipendenti?
R: Il mancato pagamento di tributi può portare a sanzioni amministrative, azioni esecutive da parte dell’Agenzia Entrate-Riscossione e, oltre certi importi, a responsabilità penali. In particolare: – IVA: se in un anno l’IVA dovuta e non versata supera €250.000, commetti reato (art. 10-ter) punito con reclusione fino a 2 anni . Sotto tale soglia, rimane un illecito amministrativo con sanzioni pecuniarie (30% circa dell’imposta). – Ritenute fiscali (IRPEF) dei dipendenti o collaboratori: se omesse oltre €150.000 annui, reato (art. 10-bis) fino 2 anni di reclusione . Sotto soglia, sanzione amministrativa. – Contributi previdenziali dei dipendenti: omesso versamento di ritenute INPS oltre €10.000 annui = reato (art. 2 L.638/83) con pena fino a 3 anni . Sotto 10k, sanzione amministrativa €10k-50k. Per questo reato c’è una “diffida” dall’INPS: se paghi entro 3 mesi dalla notifica della diffida le somme omesse, il reato è archiviato. Quindi, oltre al debito in sé (che l’ADER riscuoterà con cartelle, pignoramenti, ecc.), rischi proprio un procedimento penale a tuo carico (amministratore/titolare) per evasione. La buona fede o la “crisi di liquidità” non sono scuse giuridiche accettate: la Cassazione richiede che, per evitare la condanna, tu provi che era impossibile pagare neppure in parte . In pratica, se hai usato i soldi per altri pagamenti (es. stipendi netti) non elimini il dolo.
Conclusione: se vedi che non riesci a pagare l’IVA o i contributi, attivati subito: chiedi un piano di rateazione prima che scadano i termini (per l’IVA, se presenti domanda di rateizzo, non scatta la punibilità immediata). Oppure, almeno, cerca di limitare l’importo (ad es. versa qualcosa per rimanere sotto soglia penale). Se hai già superato soglia, cerca di pagare il dovuto prima possibile (nel penale tributario pagare integralmente il debito estingue il reato se fatto prima del dibattimento). In generale, non pagare l’IVA e i contributi è una delle cose più pericolose che puoi fare come imprenditore, più di non pagare fornitori, perché qui ne rispondi anche sul piano penale personalmente.
D: Ho troppi debiti e creditori aggressivi – meglio tentare un accordo stragiudiziale o andare direttamente in concordato/fallimento?
R: Dipende dalla situazione. Un accordo stragiudiziale (privato) ha senso se: – I creditori principali sono pochi e ragionevoli da trattare. – Puoi offrire qualcosa di concreto (es. pagamento parziale immediato o garanzie). – Vuoi evitare pubblicità e costi di una procedura formale. Se riesci a ottenere il consenso di tutti i creditori chiave a un piano di rientro o saldo a stralcio, l’accordo privato è preferibile: rimani in controllo e non hai l’intervento del tribunale.
Tuttavia, se anche solo uno o due creditori importanti non collaborano, l’accordo privato rischia di saltare (basta un creditore che pignora per far fallire l’intesa). In tal caso, uno strumento concorsuale (concordato preventivo o procedure di sovraindebitamento) è più efficace perché impone la soluzione anche ai dissenzienti, una volta approvata dalla maggioranza e omologata dal giudice . Certo, richiede tempi, costi professionali e pubblicità, ma ti dà protezione legale (sospensione dei pignoramenti) e risultato vincolante erga omnes.
In sintesi: prova sempre prima un approccio negoziale informale – non fosse altro per sondare la disponibilità. Puoi anche avvalerti della Composizione negoziata assistita da un esperto: è stragiudiziale ma con qualche tutela. Se vedi ostilità o troppo disaccordo, non esitare a riparare sotto una procedura giudiziaria (concordato se sei fallibile, concordato minore o liquidazione se sovraindebitato): in molti casi è l’unico modo per uscire dal tunnel, perché evita che un singolo creditore ti faccia a pezzi l’azienda.
D: Quali debiti hanno la priorità in caso di fallimento o concordato?
R: L’ordine di pagamento dei creditori segue le cause di prelazione: 1. Creditori con garanzia reale su beni specifici (ipoteca, pegno): es. banca con ipoteca su immobile, leasing su un macchinario – questi hanno diritto di essere soddisfatti col ricavato di quel bene, prima di altri. L’ipotecario su immobile viene prima di chirografari sul ricavato di quell’immobile, etc. 2. Creditori privilegiati generali: sono privilegi stabiliti dalla legge su tutti i beni mobili del debitore. Esempi: lavoratori per stipendi/TFR (privilegio generale di primo grado), Fisco per IVA e ritenute ultimi anni (privilegio generale di grado inferiore a lavoratori), INPS per contributi (simile al Fisco). Questi, in fallimento, si soddisfano sui beni mobili (conto, arredi, crediti incassati) prima dei chirografari. Se però non c’è abbastanza attivo mobiliare, possono essere pagati parzialmente. 3. Creditori chirografari: senza garanzie o privilegi. Prendono solo dopo che tutti i privilegiati sono stati soddisfatti (integralmente o per la percentuale coperta da attivo). Spesso i chirografari in fallimento prendono molto poco o nulla, perché primeggiano i privilegiati. 4. Crediti postergati: es. soci finanziatori in alcune circostanze, vengono dopo anche i chirografari. Nel concordato, queste priorità devono essere rispettate a meno di consenso dei privilegiati ad essere degradati. Non puoi dare ai chirografari più che ai privilegiati di grado superiore (regola della absolute priority, mitigata ora in alcuni concordati in continuità da criteri più flessibili ). Ad esempio, se hai 100 da distribuire e crediti privilegiati per 150 e chirografi per 100, non puoi proporre 50% ai chirografi e 30% ai privilegiati – i privilegiati hanno prelazione. A meno che singolarmente non rinuncino a parte del privilegio (transazione fiscale è un caso di rinuncia del Fisco alla prelazione su parte credito). Quindi in pratica in una crisi pagherai prima dipendenti, Erario e garantiti, e solo quello che eventualmente avanza ai fornitori non garantiti.
Nota: Debiti come multe amministrative, interessi, sanzioni fiscali sono chirografari puri e spesso in procedure concorsuali vengono soddisfatti in minima quota se avanza qualcosa dopo tutti gli altri.
D: La società sta fallendo: i soci possono aprire un’altra società e spostare lì l’attività, lasciando i debiti nella vecchia?
R: Questa pratica (detta a volte “phoenix company” o trasferimento d’azienda) è molto rischiosa se fatta in modo irregolare. Se i soci della società A (indebitata) costituiscono la società B e trasferiscono a B i contratti buoni, i clienti, magari i dipendenti, lasciando in A i debiti, i creditori di A possono reagire. Hanno vari strumenti: – Un’azione revocatoria per far dichiarare inefficace il trasferimento d’azienda o di beni da A a B avvenuto a titolo gratuito o comunque pregiudizievole . Spesso spostare asset senza corrispettivo giusto è atto in frode. – In sede fallimentare, il curatore di A sicuramente attaccherà B rivendicando gli asset ceduti senza adeguato corrispettivo. – Potenzialmente si può configurare bancarotta fraudolenta per distrazione a carico degli amministratori di A se hanno “svuotato” A a beneficio di B (che magari è sempre la loro).
Detto ciò, è possibile legalmente fare un trasferimento d’azienda, ma dev’essere fatto a valori di mercato e preferibilmente con coinvolgimento dei creditori. Esempio: la società A insolvente vende la sua ramo buono alla società B al giusto prezzo, e quel prezzo viene distribuito ai creditori di A. In un concordato, per esempio, si può vendere l’azienda a B con autorizzazione del tribunale, e i creditori di A vengono soddisfatti col ricavato (anche se parziale). Così è lecito. Ma “spostare l’attività e far fallire il guscio vuoto” senza pagare i creditori è considerato fraudolento. In conclusione: non è consigliabile farlo clandestinamente. Se invece i soci vogliono proseguire il business in altra forma, devono farlo in modo trasparente, ad esempio concordando con un curatore o tramite un piano concordatario. Altrimenti B potrebbe essere ritenuta successore di A e nei suoi confronti potrebbero estendersi alcune pretese (non c’è norma di successione automatica, ma il curatore può chiedere risarcimento a B se l’operazione fu sottocosto, o chiederne il fallimento per “unicità d’impresa” se di fatto è la continuazione di A confondendo patrimoni).
D: In caso di fallimento (liquidazione giudiziale), dopo quanti anni i debiti si cancellano?
R: Per le persone fisiche fallite, esiste l’istituto dell’esdebitazione: una volta chiusa la procedura e liquidati i beni, il debitore può chiedere al tribunale di essere liberato dai debiti residui non soddisfatti. Col Codice della Crisi, l’esdebitazione del fallito onesto è diventata quasi automatica di diritto a fine procedura (salvo il giudice la revochi se scopre irregolarità gravi). Tempi: la liquidazione giudiziale media dura qualche anno (2-5 anni). Dopo la chiusura, si deposita istanza di esdebitazione; entro pochi mesi ottieni il decreto che cancella i debiti. Dal decreto, i creditori chirografari non possono più pretendere nulla. Restano escluse dall’esdebitazione alcune categorie: obblighi di mantenimento, debiti da malfine (risarcimenti per fatti illeciti), sanzioni penali e amministrative pecuniarie (multe, ammende) . Tutto il resto (finanziamenti, fornitori, debiti fiscali anche – eccetto IVA e ritenute se c’è stato dolo? Il vecchio art. 142 LF escludeva debiti tributari se c’era condanna penale per frode, ma è caso raro) viene cancellato. Quindi direi che circa 3-4 anni dopo la sentenza di fallimento puoi essere senza debiti (prima non potevi essere perseguito comunque durante la procedura, ma dopo sei anche formalmente libero). Per i soci di società non falliti personalmente, i debiti sociali muoiono con la società (salvo quelli per cui rispondono come visto: soci illimitati entro quota di liquidazione ecc.). Il nuovo Codice prevede addirittura l’esdebitazione delle società, benché una volta cancellata la società non c’è soggetto da perseguire, quindi è più che altro chiusura definitiva della vicenda . Per chi usa le procedure di sovraindebitamento, l’esdebitazione arriva dopo 3 anni dalla chiusura della liquidazione controllata (nel frattempo il debitore collabora; passato il triennio residuo ottiene lo “scarico”). Nel concordato, non c’è bisogno di esdebitazione: l’omologa e l’adempimento del concordato comportano che i creditori non possono più avanzare pretese per la parte eccedente (si ha l’effetto esdebitatorio contrattuale). In sintesi: i debiti concorsuali non pagati vengono eliminati al termine della procedura, tipicamente entro qualche anno. Invece i debiti fuori da procedure restano pendenti fino a prescrizione (5 o 10 anni a seconda dei casi, rinnovabili da atti), quindi potenzialmente per decenni.
D: Se l’azienda è in crisi e arrivano pignoramenti, posso oppormi?
R: Puoi fare opposizione tecnica all’esecuzione se c’è un vizio, ma non puoi opporsi semplicemente perché “non ho soldi, datemi tempo” – il giudice non ferma l’esecuzione per compassione. Devi trovare un vizio giuridico: ad esempio – Il titolo esecutivo non è valido (es. il decreto ingiuntivo non notificato correttamente – opposizione ex art.615 c.p.c.). – Il bene pignorato è impignorabile o di terzi (opposizione 615/619 c.p.c.). – Il pignoramento è proceduto senza attendere i termini di legge (es. l’ADER non ha inviato la comunicazione 5 gg prima – opposizione 615). – Sono passati più di 90 giorni tra precetto e pignoramento (precetto scaduto – opposizione). Queste opposizioni, se accoglibili, possono far annullare o sospendere l’esecuzione. Spesso però servono solo a guadagnare tempo (il creditore potrà magari riprocedere correggendo il vizio). È comunque uno strumento difensivo: se stai finalizzando un concordato, chiedere al giudice dell’esecuzione la sospensione del pignoramento mostrando che hai avviato un percorso di soluzione a volte funziona (discrezionale, ma può attendere l’esito). In aggiunta, se hai avviato la composizione negoziata o presentato un ricorso per concordato, puoi ottenere dal tribunale concorsuale delle misure protettive che sospendono per legge i pignoramenti in corso (comunichi al GE il provvedimento e deve fermare). Quindi più che opporsi ai singoli pignoramenti, conviene attivare la protezione concorsuale che li sospende globalmente. Da ultimo, se un creditore agisce mentre tu hai già un accordo omologato (es. un accordo di ristrutturazione), quell’esecuzione è illegittima perché violerebbe l’omologa – potresti fare opposizione e vincerla facilmente. Riassumendo: sì, puoi opporsi ai pignoramenti ma con motivazioni giuridiche solide, non semplicemente invocando la crisi. E parallelamente, meglio predisporre soluzioni che li rendano superflui (accordi o procedure).
D: Ho firmato una fideiussione omnibus per il fido bancario della mia società: è vero che ci sono clausole nulle che posso far valere?
R: Sì, se la fideiussione che hai firmato con la banca ricalca lo schema ABI 2003 standard, alcune clausole possono essere dichiarate nulle perché intese restrittive della concorrenza (Provv. Banca d’Italia n.55/2005, confermato da Cass. Sez.Unite n.41994/2021) . Le clausole incriminate sono tipicamente: – Quella di “sopravvivenza” (obbligo del fideiussore anche dopo eventuali invalidità del contratto principale), – Quella di “reviviscenza” (se pagamenti del debitore principale vengono revocati, la garanzia rivive), – E la clausola che impedisce al fideiussore di opporre ex art.1957 c.c. la decadenza per mancato tempestivo pagamento da parte della banca (proroga termini).
Le SU 2021 hanno stabilito che tali clausole, se presenti tutte e tre, rendono nulla la fideiussione limitatamente a esse, e in alcuni casi ciò può travolgere l’intero contratto di garanzia (principio “parziale” o “intermedio”, la nullità incide nei limiti in cui le clausole violano la concorrenza) . Molti tribunali stanno annullando quelle clausole e quindi riducendo l’importo dovuto dai garanti. Quindi sì, è una linea difensiva far valere l’eccezione di nullità parziale della fideiussione: ad esempio potresti non dover più l’obbligo per importi future o per somme già incassate e restituite (clausola reviviscenza) etc. Non è un colpo di spugna automatico su tutto il debito garantito, ma può limitare la tua esposizione. Ti serve un avvocato per eccepirlo in giudizio contro la banca. Nota: questo vale per fideiussioni bancarie standard verso imprese; se la tua era negoziata diversamente, va visto se quelle clausole specifiche ci sono. La Cassazione ha proprio richiamato il modulo ABI: molte banche lo usavano identico, quindi alta probabilità. In definitiva, se la banca ti chiama come garante, controlla con un legale la fideiussione: potresti ridurre o annullare il pagamento dovuto. Ad esempio ci sono stati casi in cui il fideiussore è stato liberato perché la banca non aveva agito nei termini e la clausola che avrebbe evitato la decadenza è stata ritenuta nulla, quindi fideiussore salvo. È una materia tecnica ma certamente una difesa importante per soci e amministratori garanti.
D: Una volta chiuso il concordato o il fallimento, potrò avviare di nuovo un’attività?
R: Sì, in linea generale sì. Dopo un concordato preventivo, non ci sono preclusioni legali: la tua società potrebbe continuare (se in continuità) o i soci potrebbero aprirne un’altra nuova. L’importante è aver adempiuto gli obblighi concordatari. Certo, le banche e fornitori conosceranno il tuo passato e potrebbero chiedere più garanzie la prossima volta, ma legalmente non c’è un divieto di “tornare in sella”. Dopo un fallimento (liquidazione giudiziale) di persona fisica, durante la procedura sarai interdetto dall’esercizio di impresa e dalle cariche societarie . Ma ottenuta l’esdebitazione, cessano gli effetti personali negativi e potrai riprendere. Formalmente, la legge [art. 245 CCII] dice che l’esdebitato può iniziare nuova attività senza dover pagare i debiti vecchi (che sono esdebitati). Un tempo c’era uno stigma forte, oggi l’ordinamento vede di buon occhio il fresh start. Occhio però: se sei stato condannato per bancarotta fraudolenta, allora avrai interdizione dai pubblici uffici e dall’esercizio di impresa per 10 anni come pena accessoria, quello è un ostacolo serio. Se bancarotta semplice o nessuna condanna, non hai impedimenti. Per i soci di società fallite (soci non falliti direttamente), nessun divieto: possono costituire nuove società anche subito, a meno che il tribunale non riscontri abuso (ma in genere no, perché la società è soggetto distinto). Quindi sul piano legale, il fallimento non segna la fine definitiva: se hai agito senza dolo, potrai ricominciare. Molti grandi imprenditori hanno fallito una volta per poi avere successo la seconda. L’importante è imparare dagli errori e ripartire senza quelle zavorre. Infine, se hai utilizzato la procedura di sovraindebitamento, la legge addirittura incoraggia la riabilitazione: ad esempio se eri un consumatore, l’esdebitazione ti ridà piena capacità. Se eri un piccolo imprenditore, potresti poi costituire una S.r.l. per limitare i rischi in futuro.
D: Come mi devo comportare con i creditori durante la crisi? È giusto pagarne alcuni e altri no?
R: La regola aurea è onestà e parità di trattamento il più possibile. Pagare “alcuni sì, altri no” espone al rischio di azioni per violazione della par condicio in caso di fallimento (bancarotta preferenziale). Però nella pratica aziendale capita di dover fare scelte: es. paghi il fornitore che ti consegna pezzi indispensabili e ritardi altri meno strategici. Ciò è tollerato se fatto in buona fede e in continuità normale dei rapporti (pagamenti d’uso) . Diventa illecito se paghi consapevolmente uno magari parente o socio lasciando gli altri a bocca asciutta alla vigilia del fallimento. Quindi, cerca di non fare preferenze ingiustificate: se devi privilegiare qualcuno, che sia motivato da esigenze di prosecuzione attività (dipendenti, fornitori critici). Evita assolutamente di saldare debiti verso soci o parti correlate prima degli altri: quelli sono i primi che un curatore revoca. In termini di condotta: mantieni un dialogo uguale con tutti i creditori, non nascondere a taluni notizie e ad altri no. Se stai elaborando un piano, presentalo a tutti equamente. Se fai un pagamento parziale, proponi percentuali analoghe a ciascuno (salvo privilegi come detto). Così nessuno potrà accusarti di favoritismi. Naturalmente, se uno ti fa causa e pignora il conto, a volte devi pagare quell’uno per sbloccare – cerca poi di riequilibrare offrendo lo stesso ad altri similari. Ricorda: nella crisi, la credibilità dell’imprenditore è tutto. Se i creditori vedono gioco pulito e proporzionale, saranno più disposti a concordare piani. Se sentono che qualcuno ha ricevuto tutto di nascosto, scattano cause a catena e addio fiducia. In caso di procedura concorsuale, sarai obbligato per legge a trattare i creditori in base al loro grado e proporzione, quindi lì la par condicio è garantita formalmente. Nel frattempo, fai del tuo meglio in tal senso.
Conclusione: Affrontare una grave crisi debitoria in un’impresa di manutenzione ascensori è un compito arduo, ma non impossibile. Come abbiamo visto, l’ordinamento italiano mette a disposizione strumenti di tutela e soluzioni avanzate che, se utilizzati con competenza e tempestività, possono salvare l’imprenditore dal tracollo definitivo e permettergli di ripartire su basi sostenibili. La chiave sta nell’agire per tempo, con trasparenza e con l’assistenza di professionisti, senza cedere a soluzioni improvvisate o furbizie che spesso aggravano i problemi. Ogni situazione è diversa, ma i principi generali rimangono: conoscere i propri diritti, rispettare i doveri, non isolarsi ma dialogare con creditori e organi predisposti, e scegliere la strategia (accordo, procedura o liquidazione) più adeguata al caso. Dal punto di vista del debitore, ciò significa attuare una difesa a 360 gradi: patrimoniale, legale e persino penale, come abbiamo esplorato. Con le giuste mosse, un periodo buio di indebitamento può essere superato, preservando il valore dell’impresa quando possibile e limitando i sacrifici al necessario, per poi voltare pagina senza debiti e senza macchie.
Gestisci un’impresa di manutenzione o installazione di ascensori e ti ritrovi con debiti verso fornitori, banche, finanziarie o Agenzia delle Entrate? Fatti Aiutare da Studio Monardo
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Hai leasing per furgoni e attrezzature, contributi INPS arretrati, cartelle esattoriali o mutui in sofferenza?
👉 Non sei solo: molte aziende del settore impiantistico vivono situazioni di forte indebitamento, ma oggi puoi bloccare i creditori, ridurre i debiti e salvare o chiudere in modo legale e protetto la tua attività.
In questa guida scoprirai perché le imprese di manutenzione ascensori finiscono in crisi, quali strumenti legali puoi usare per difenderti, e come ripartire senza debiti né rischi per il tuo patrimonio personale.
⚙️ Perché le imprese di manutenzione ascensori si indebitano
Il settore ascensoristico richiede forti investimenti e margini sempre più ridotti. Le cause più frequenti di crisi economica sono:
- Aumenti dei costi di materiali, energia e manodopera;
- Ritardi nei pagamenti da parte dei condomìni o degli amministratori;
- Contratti di manutenzione a margini troppo bassi;
- Fidi bancari revocati o tassi d’interesse insostenibili;
- Contributi previdenziali e imposte arretrate;
- Sanzioni per ritardi o inadempienze burocratiche.
📌 Tutto questo può portare in breve tempo ad accumulare debiti fiscali, bancari e commerciali, mettendo a rischio l’impresa e i beni personali del titolare.
🧾 I debiti più comuni delle imprese di manutenzione ascensori
✅ Debiti fiscali e contributivi
- IVA, IRPEF, IRAP, INPS, INAIL, cartelle esattoriali, accertamenti e sanzioni.
✅ Debiti bancari e finanziari
- Mutui o leasing per furgoni, strumenti, officine mobili e apparecchi di prova.
- Scoperti di conto e linee di credito.
✅ Debiti commerciali
- Fatture non pagate a fornitori di materiali, quadri elettrici, cablaggi o pezzi di ricambio.
✅ Debiti verso dipendenti e collaboratori
- Stipendi arretrati, contributi non versati, TFR.
✅ Debiti personali o fideiussioni
- Garanzie firmate dai soci o titolari a copertura dei debiti aziendali.
⚠️ Cosa rischia un’impresa indebitata
Se non intervieni subito, i creditori possono:
- pignorare furgoni, attrezzature o conti correnti aziendali;
- iscrivere ipoteche su immobili o beni personali;
- revocare leasing e linee di credito;
- bloccare forniture e collaborazioni;
- avviare azioni legali e decreti ingiuntivi.
👉 Ma la buona notizia è che puoi fermare immediatamente le azioni dei creditori e ristrutturare o cancellare i debiti, anche se l’attività è in difficoltà o chiusa.
🧩 Le principali soluzioni legali per le imprese di manutenzione ascensori con debiti
💠 1. Rinegoziazione dei debiti con banche e fornitori
Con l’assistenza di un legale puoi trattare:
- piani di pagamento sostenibili e rateizzazioni lunghe;
- riduzioni significative (saldo e stralcio);
- sospensioni temporanee dei pagamenti per evitare azioni legali.
👉 È la via più immediata per chi vuole continuare a lavorare e mantenere contratti attivi di manutenzione.
💠 2. Concordato minore (per SRL o ditte con struttura societaria)
Previsto dal Codice della Crisi d’Impresa (D.Lgs. 14/2019), consente di:
- bloccare subito pignoramenti e cartelle;
- proporre un piano di ristrutturazione parziale dei debiti;
- preservare la continuità aziendale.
📌 È ideale per società che hanno ancora clienti e contratti ma soffrono di mancanza di liquidità.
💠 3. Procedura di sovraindebitamento (per ditte individuali e piccoli imprenditori)
È lo strumento legale pensato per chi non riesce più a far fronte ai debiti.
Permette di:
- sospendere tutte le azioni dei creditori;
- pagare solo ciò che puoi permetterti, con un piano approvato dal Tribunale;
- cancellare i debiti residui con l’esdebitazione finale.
👉 È perfetta per ditte individuali, artigiani e tecnici indipendenti del settore ascensori.
💠 4. Liquidazione controllata dei beni (ex fallimento personale)
Se l’attività non è più sostenibile, puoi chiudere in modo ordinato e protetto, mettendo a disposizione solo i beni non indispensabili (furgoni, macchine obsolete, magazzino).
Alla fine, ottieni la cancellazione totale dei debiti residui e puoi ripartire pulito.
💠 5. Verifica e contestazione delle cartelle esattoriali
Molte cartelle e accertamenti sono prescritti o notificati in modo irregolare.
Un avvocato può:
- verificare errori di calcolo e prescrizione (5 o 10 anni);
- chiedere la sospensione o l’annullamento del debito;
- ottenere la riduzione di sanzioni e interessi.
🔧 Cosa fare subito
✅ 1. Raccogli tutta la documentazione
Prepara un elenco con: cartelle, mutui, leasing, fornitori, conti bancari, contratti e bilanci.
✅ 2. Blocca immediatamente le azioni dei creditori
Con il deposito di una procedura di sovraindebitamento o concordato, tutti i creditori vengono sospesi per legge.
✅ 3. Evita nuovi debiti o accordi non sostenibili
Non firmare piani di pagamento o finanziamenti senza una strategia legale: potresti peggiorare la tua posizione.
📋 Documenti utili per la difesa
- Documento d’identità e codice fiscale.
- Visura camerale e bilanci aziendali.
- Dichiarazioni fiscali e posizione INPS/INAIL.
- Contratti di leasing, mutui e finanziamenti.
- Cartelle esattoriali e accertamenti fiscali.
- Elenco clienti, fornitori e contratti di manutenzione.
- Estratti conto bancari e documentazione contabile.
⏱️ Tempi e risultati possibili
- Analisi preliminare: 1–3 settimane.
- Deposito della procedura in Tribunale: 1–2 mesi.
- Sospensione immediata delle azioni dei creditori: al deposito.
- Durata del piano di rientro: da 1 a 5 anni.
🎯 Risultati concreti:
- Stop a pignoramenti, ipoteche e cartelle.
- Riduzione o cancellazione dei debiti residui.
- Tutela delle attrezzature indispensabili per lavorare.
- Possibilità di continuare l’attività o chiuderla in modo protetto.
⚖️ I vantaggi principali
✅ Blocco immediato delle azioni dei creditori.
✅ Riduzione legale del debito fino all’80%.
✅ Continuità aziendale durante la procedura.
✅ Tutela del patrimonio personale e degli strumenti di lavoro.
✅ Ripartenza economica senza più pressioni o rischi legali.
🚫 Errori da evitare
- Ignorare cartelle e notifiche fiscali.
- Pagare solo alcuni creditori peggiorando la situazione complessiva.
- Accumulare nuovi debiti per coprire i vecchi.
- Affidarti a mediatori non avvocati o “agenzie del debito”.
- Rimandare troppo: più aspetti, più crescono interessi e sanzioni.
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📂 Analizza la situazione economica e debitoria della tua impresa.
📌 Identifica la soluzione legale più efficace (rinegoziazione, concordato, sovraindebitamento o liquidazione).
✍️ Redige e deposita il piano di ristrutturazione o la richiesta di esdebitazione.
⚖️ Ti rappresenta nei rapporti con Agenzia delle Entrate, banche, fornitori e dipendenti.
🔁 Ti assiste fino alla cancellazione definitiva dei debiti e alla riorganizzazione dell’attività.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in diritto tributario, commerciale e crisi d’impresa.
✔️ Specializzato nella difesa di imprese impiantistiche e tecniche con debiti fiscali e bancari.
✔️ Gestore della crisi da sovraindebitamento iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Essere un’impresa di manutenzione di ascensori con debiti non significa essere senza via d’uscita.
Con una difesa legale mirata, puoi bloccare i creditori, ridurre o cancellare i debiti fiscali e bancari, e continuare a lavorare in modo regolare e protetto.
La legge oggi tutela gli imprenditori onesti che vogliono risolvere la crisi e ripartire senza più pressioni.
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