Emittenti Televisive Locali Con Debiti: Cosa Fare E Come Difendersi

Gestisci un’emittente televisiva locale e ti trovi in difficoltà economica a causa di debiti con il Fisco, l’INPS, i fornitori o le banche? È una situazione che colpisce sempre più realtà del settore, messe in crisi dalla riduzione dei contributi pubblici, dalla concorrenza delle piattaforme digitali e dall’aumento dei costi di gestione. Quando si accumulano cartelle esattoriali, contributi non versati o rate di mutui arretrate, il rischio di blocco operativo è reale. La buona notizia è che esistono strumenti legali per bloccare la riscossione, ristrutturare o cancellare i debiti, permettendo alla tua emittente di ripartire in modo sostenibile.

Perché molte emittenti televisive locali si indebitano

Le emittenti locali operano in un contesto complesso e in continua trasformazione. I ricavi pubblicitari sono diminuiti, mentre i costi per personale, trasmissione, energia e manutenzione degli impianti sono aumentati. Molte televisioni locali devono anticipare le spese per la produzione e diffusione dei programmi, mentre i contributi pubblici e regionali arrivano in ritardo o non vengono rinnovati. Inoltre, la transizione digitale e la necessità di adeguare le attrezzature alle nuove tecnologie (HD, streaming, produzione web) hanno richiesto investimenti ingenti. Tutto questo ha portato molte emittenti ad accumulare debiti fiscali, contributivi e bancari per mantenere la continuità delle trasmissioni.

Cosa succede se non paghi tasse o contributi

Quando i debiti non vengono saldati, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione e gli enti previdenziali possono attivare procedure di recupero forzato. Tra queste: la notifica di cartelle esattoriali, pignoramenti dei conti correnti o dei crediti pubblicitari, fermi amministrativi sui veicoli aziendali, ipoteche su immobili e sedi operative o sequestri dei crediti verso enti e inserzionisti. Gli importi aumentano nel tempo per effetto di interessi e sanzioni, aggravando la posizione dell’emittente. Se la società è di persone o una ditta individuale, il titolare può rispondere con il proprio patrimonio personale, mettendo a rischio anche i beni familiari.

Cosa fare subito se la tua emittente ha debiti

Il primo passo è capire esattamente qual è l’entità della tua esposizione debitoria. Richiedi l’estratto di ruolo aggiornato all’Agenzia delle Entrate-Riscossione per verificare gli importi, le annualità e i creditori coinvolti. Successivamente, controlla la regolarità delle cartelle: molti atti contengono errori di notifica o importi prescritti che un avvocato può impugnare. Se il debito è legittimo, puoi chiedere la rateizzazione fino a 120 rate mensili, sospendendo nel frattempo eventuali azioni esecutive. È utile anche verificare se è disponibile una definizione agevolata (rottamazione), che permette di pagare solo il capitale, eliminando sanzioni e interessi. Se hai già ricevuto pignoramenti o ipoteche, puoi chiedere la sospensione immediata presentando un ricorso o un’istanza di autotutela.

Le soluzioni legali per chi non riesce più a pagare

Se la tua emittente è in una situazione di indebitamento grave o non riesce più a sostenere i costi, puoi accedere alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, prevista dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019). È una procedura legale destinata a piccole imprese e società che consente di bloccare pignoramenti, sospendere le azioni dei creditori e ottenere la cancellazione totale o parziale dei debiti residui (esdebitazione). È una soluzione riconosciuta dai tribunali italiani e rappresenta uno strumento efficace per chi desidera salvare la propria emittente o chiuderla in modo ordinato, senza lasciare pendenze fiscali o contributive.

Come difendersi da banche, finanziarie e fornitori

Molte televisioni locali hanno anche debiti con banche, finanziarie o fornitori di servizi tecnici, pubblicitari e di trasmissione. Se non riesci più a rispettare i pagamenti, puoi chiedere la rinegoziazione dei finanziamenti, la sospensione temporanea delle rate o proporre un saldo e stralcio per chiudere la posizione a importo ridotto. È anche possibile contestare clausole abusive o tassi usurari nei contratti bancari e impugnare decreti ingiuntivi o pignoramenti entro i termini di legge. Un avvocato esperto può assisterti nelle trattative con banche e creditori, proteggendo i beni aziendali e garantendo la continuità delle trasmissioni.

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace

Con una strategia legale tempestiva e ben pianificata puoi ottenere la sospensione dei pignoramenti e delle procedure esecutive, la rateizzazione o la cancellazione dei debiti, la protezione dei beni aziendali e la possibilità di mantenere attiva la tua emittente. In molti casi, una difesa mirata consente di evitare la chiusura e di rilanciare la società attraverso un piano di ristrutturazione del debito sostenibile e legalmente riconosciuto.

Quando rivolgersi a un avvocato esperto

Devi rivolgerti a un avvocato se la tua emittente ha ricevuto cartelle o intimazioni di pagamento, se i debiti fiscali o bancari sono diventati insostenibili o se rischi pignoramenti o blocchi dei conti aziendali. Un avvocato esperto in diritto tributario e crisi d’impresa può verificare la legittimità delle cartelle, bloccare la riscossione e guidarti passo dopo passo nella procedura di esdebitazione fino alla cancellazione definitiva dei debiti. Agire in tempo è fondamentale per proteggere la tua emittente e la tua reputazione professionale.

⚠️ Attenzione: ignorare cartelle o avvisi di pagamento può portare a pignoramenti, blocchi dei conti e alla sospensione delle attività. Intervenire subito è l’unico modo per salvare la tua emittente e garantire la continuità delle trasmissioni.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, riscossione e tutela delle imprese mediatiche – spiega cosa fare se gestisci un’emittente televisiva locale con debiti, come bloccare la riscossione e come cancellare legalmente le somme dovute grazie agli strumenti previsti dalla legge.

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Introduzione

Le emittenti televisive locali in Italia costituiscono la “terza forza” del comparto televisivo, dietro ai grandi network nazionali . Con ricavi medi annui attorno a 1,4 milioni di euro per emittente , il settore è caratterizzato da elevata polverizzazione (molte piccole imprese) e forte dipendenza dalla pubblicità locale e dai contributi pubblici statali. Negli ultimi anni le TV locali hanno sofferto la contrazione degli investimenti pubblicitari e i costi del passaggio al digitale terrestre, tornando complessivamente a ricavi sotto i 500 milioni di euro annui (livelli di oltre 8 anni fa) . Molte emittenti presentano bilanci in perdita: negli ultimi quinquenni il comparto locale ha registrato perdite aggregate consistenti (oltre 45 milioni di euro in alcuni anni) e la redditività media è negativa (ad esempio –14,3% nel 2012, peggiore della media TV) . Ciò ha costretto gli editori a continue immissioni di capitali propri per sostenere l’attività . Senza i contributi statali annuali al pluralismo dell’informazione, molte TV locali non potrebbero mantenere gli attuali livelli occupazionali né fornire servizi informativi sul territorio .

In questo contesto, non sorprende che diverse emittenti locali accumulino debiti verso l’erario, enti previdenziali, fornitori e altri creditori. I debiti possono derivare da imposte non versate (IVA, imposte sui redditi, canoni comunali ecc.), contributi previdenziali non pagati (INPS, INAIL), fatture commerciali insolute verso fornitori di servizi (energia elettrica, banda, trasmissione del segnale, affitto di studi o ripetitori, ecc.), finanziamenti bancari e leasing, nonché dagli obblighi pecuniari specifici del settore radiotelevisivo (come i diritti d’autore SIAE/SCF per la musica e i contenuti audiovisivi, o la restituzione di contributi pubblici in caso di indebita percezione) .

Questa guida – aggiornata a settembre 2025 – fornisce un quadro approfondito (oltre 10.000 parole) sulle possibili azioni da intraprendere e le tutele legali per le emittenti televisive locali indebitate. Il taglio è avanzato, rivolto a professionisti legali, imprenditori del settore radiotelevisivo locale e privati interessati, con linguaggio tecnico-giuridico ma di taglio divulgativo. Verranno illustrati i vari tipi di debiti e relative implicazioni normative, le procedure di soluzione della crisi introdotte dal nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019 e successive modifiche), inclusi strumenti innovativi come la composizione negoziata della crisi e le procedure concorsuali (accordi di ristrutturazione, concordato preventivo, liquidazione giudiziale, ecc.). Si privilegerà il punto di vista del debitore (l’emittente locale in difficoltà), spiegando cosa fare e come difendersi da iniziative dei creditori, con riferimenti alla normativa italiana vigente (aggiornata alle ultime riforme del 2024/2025) e alla giurisprudenza più recente.

La guida comprende tabelle riepilogative per una consultazione rapida, una sezione di domande e risposte frequenti (FAQ) per chiarire i dubbi pratici più comuni, e simulazioni pratiche di casi italiani che aiutano a comprendere l’applicazione concreta degli strumenti giuridici. In coda, è presente una sezione con tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate (leggi, decreti, sentenze), per consentire ulteriori approfondimenti. L’obiettivo è offrire alle emittenti locali debitrici – e ai loro consulenti legali – una bussola per orientarsi tra obblighi e rimedi, evitando errori che possano aggravare la situazione (come inerzie che espongono a responsabilità o manovre dilatorie inefficaci) e cogliendo invece le opportunità offerte dalla legge per ristrutturare i debiti, salvaguardare la continuità aziendale e, quando necessario, difendersi nelle sedi competenti.

Tipologie di debiti delle emittenti locali e loro caratteristiche

Le emittenti televisive locali possono trovarsi esposte a diverse tipologie di debiti. Ciascuna tipologia presenta caratteristiche specifiche in termini di natura del credito, rischi in caso di inadempimento e strumenti per gestire o risolvere l’esposizione. Di seguito esaminiamo i principali tipi di debiti che tipicamente gravano sulle TV locali – debiti tributari, debiti verso fornitori, debiti previdenziali e assistenziali, debiti legati ai contributi pubblici, debiti per diritti d’autore e connessi, nonché debiti finanziari – evidenziandone le particolarità e possibili rimedi dal punto di vista del debitore.

Debiti tributari (imposte, tasse e cartelle esattoriali)

I debiti tributari includono tutte le somme dovute al Fisco: imposte erariali (Irpef/Ires, Iva, Irap), ritenute fiscali su compensi e stipendi (ritenute d’acconto IRPEF dei dipendenti e collaboratori), imposte locali (IMU/TASI su immobili adibiti a studi televisivi, TARI sui locali, ecc.), canoni o tasse specifiche (ad esempio il canone patrimoniale per occupazione del suolo pubblico, se l’emittente ha installazioni su terreni comunali). Per le società di capitali che gestiscono l’emittente, i debiti tributari sorgono tipicamente dalla mancata liquidazione di IVA o dal mancato versamento di imposte autoliquidate (es. IRES) per carenza di liquidità, oppure dall’esito di controlli e accertamenti fiscali che hanno generato cartelle esattoriali non pagate.

  • Rischi e conseguenze della morosità fiscale: Il mancato pagamento dei tributi espone l’emittente a una serie di azioni esecutive e misure cautelari da parte dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AER), incaricata della riscossione coattiva. In caso di cartelle esattoriali non saldate, l’AER può iscrivere ipoteca sui beni immobili dell’emittente (ad esempio, sulla sede di proprietà) e può attivare fermi amministrativi su eventuali automezzi intestati. Può inoltre procedere a pignoramenti mobiliari e presso terzi: tipicamente il pignoramento dei conti correnti bancari dell’emittente, nonché dei crediti verso terzi (ad esempio crediti commerciali o anche i contributi pubblici in arrivo dal Ministero, che possono essere pignorati presso il MISE se l’iter contributivo è in corso ). Il pignoramento dei conti può paralizzare l’operatività quotidiana dell’emittente, impedendole di pagare fornitori e stipendi. L’Agenzia delle Entrate può anche notificare intimazioni di pagamento e, in casi estremi, chiedere il fallimento (oggi liquidazione giudiziale) della società se sussiste uno stato d’insolvenza conclamato e i debiti fiscali sono significativi. Si noti che non esiste una soglia fissa di debiti oltre la quale scatta automaticamente il fallimento; tuttavia, la legge fallimentare (ora Codice della crisi) prevede che la procedura liquidatoria non venga aperta se l’ammontare complessivo dei debiti scaduti è inferiore a una certa soglia (storicamente €30.000, elevata a €50.000 per la liquidazione controllata dei piccoli debitori) . In ogni caso, debiti tributari ingenti (soprattutto se uniti ad altri insoluti) possono costituire prova dello stato d’insolvenza in un’eventuale istanza di liquidazione giudiziale presentata da creditori o dal Pubblico Ministero.
  • Sanzioni e profili penali: Oltre alle misure civilistiche, l’inadempimento fiscale può dare luogo a sanzioni amministrative e, in taluni casi, a responsabilità penale a carico degli amministratori o titolari. In particolare, il mancato versamento dell’IVA oltre una certa soglia è sanzionato penalmente: attualmente, l’omesso versamento dell’IVA per un importo superiore a €250.000 per periodo d’imposta integra il reato di omesso versamento IVA (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000), punito con la reclusione da 6 mesi a 2 anni. Analogamente, il mancato versamento delle ritenute fiscali certificate (ad esempio le ritenute IRPEF operate su stipendi e compensi) per un importo annuo superiore a €150.000 costituisce reato (art. 10-bis D.Lgs. 74/2000), con pena fino a 3 anni. Per le emittenti locali con dipendenti, quest’ultima fattispecie è particolarmente rilevante: se l’emittente ha trattenuto le imposte dalle buste paga ma non le ha versate al Fisco, oltre la soglia di legge, gli amministratori possono subire un procedimento penale. La giurisprudenza ha chiarito che le difficoltà finanziarie dell’azienda non escludono di per sé la responsabilità penale in questi casi: anche uno stato di grave crisi di liquidità non giustifica l’omesso versamento, salvo casi eccezionali, secondo un consolidato indirizzo della Cassazione . Pertanto, l’aver utilizzato le risorse per pagare altri costi (es. stipendi netti) invece di versare le imposte dovute viene considerata una scelta gestionale rilevante ai fini penali. È opportuno segnalare, tuttavia, che per taluni reati tributari la normativa prevede cause di non punibilità in caso di adempimento tardivo: ad esempio, per il reato di omesso versamento di ritenute previdenziali (trattato più avanti) è prevista la non punibilità se il datore di lavoro versa le somme dovute entro 3 mesi dalla contestazione o notifica dell’accertamento . Analogamente, per i reati di omesso versamento IVA o ritenute fiscali, il pagamento integrale del debito tributario (comprensivo di sanzioni e interessi) prima della dichiarazione di apertura del dibattimento penale di primo grado estingue il reato (causa di non punibilità per riparazione del danno, ai sensi dell’art. 13 D.Lgs. 74/2000). Dunque, un ravvedimento operoso tardivo può talvolta evitare le conseguenze penali, ma deve essere tempestivo.
  • Strumenti di difesa e soluzioni per i debiti fiscali: Dal punto di vista del debitore, vi sono vari strumenti per gestire o ridurre l’esposizione tributaria. In primo luogo, si può chiedere la rateizzazione delle cartelle esattoriali: l’ordinamento consente di dilazionare i debiti iscritti a ruolo (cartelle AER) fino a 72 rate mensili (6 anni) o, in casi di comprovata grave difficoltà, fino a 120 rate (10 anni) secondo l’art. 19 DPR 602/1973. Ottenere un piano di dilazione dall’Agenzia Entrate-Riscossione sospende le procedure esecutive in corso e permette di ottenere il DURC regolare (Documento Unico di Regolarità Contributiva) indispensabile per ricevere contributi pubblici e partecipare a bandi pubblici . Per importi entro €120.000 la rateazione è concessa sulla base di una semplice richiesta, per importi superiori va documentato lo stato di difficoltà. Un altro strumento periodicamente offerto dal legislatore è la definizione agevolata delle cartelle (cosiddetta rottamazione): queste misure straordinarie consentono di estinguere i debiti con l’AER pagando solo l’imposta e gli interessi legali (o a volte solo una parte del dovuto), stralciando sanzioni e interessi di mora . Ad esempio, con la rottamazione-quater avviata dalla legge di Bilancio 2023 (L. 197/2022) è stato possibile definire in modo agevolato i carichi affidati dal 2000 al 30 giugno 2022, e per il 2025 è allo studio una rottamazione-quinquies ancora più selettiva . Secondo le anticipazioni sulla rottamazione-quinquies 2025, potranno rientrare solo i debiti affidati entro il 31/12/2023 derivanti da dichiarazioni presentate ma non versate (omessi versamenti dichiarati), escludendo invece gli esiti di accertamenti e le somme in contenzioso . In pratica, saranno agevolabili solo i debiti “fiscali” già consolidati (avvisi bonari), con pagamento del solo capitale e un interesse ridotto del 2% . Questo orientamento conferma un cambio di approccio: non più sanatorie generalizzate, ma finestre tecniche mirate a chi vuole regolarizzare posizioni dichiarative senza sanzioni . Dunque, le emittenti locali faranno bene a monitorare l’uscita di eventuali norme di definizione agevolata (la bozza di LdB 2025 ad esempio conteneva l’art. 23 sulla rottamazione quinquies ) per valutare se i propri debiti fiscali rientrino tra quelli condonabili.
  • Negoziazione e transazione con il Fisco: In caso di importi elevati che non si riescono a saldare integralmente, l’emittente può avvalersi degli strumenti di ristrutturazione del debito fiscale previsti dalla legge fallimentare e ora dal Codice della crisi. In particolare, è possibile proporre all’Agenzia delle Entrate e agli enti di riscossione una transazione fiscale, ossia un accordo formale di pagamento parziale e/o dilazionato dei tributi nell’ambito di una procedura concorsuale (come il concordato preventivo o gli accordi di ristrutturazione dei debiti). La transazione fiscale consente di includere anche l’IVA e le ritenute – crediti di natura privilegiata e indisponibile – in un trattamento stralciato, purché l’erario ottenga almeno quanto otterrebbe in caso di liquidazione. Novità importante: con il D.Lgs. 136/2024 (correttivo al Codice della crisi in vigore da settembre 2024) è stata introdotta la possibilità di proporre una transazione fiscale anche nell’ambito della composizione negoziata della crisi (procedura stragiudiziale di cui diremo oltre) . In base al nuovo art. 23 comma 2-bis CCII, durante le trattative il debitore può presentare una proposta di accordo alle Agenzie fiscali e all’Agenzia della Riscossione, offrendo il pagamento parziale o dilazionato dei debiti tributari, allegando la relazione di un esperto indipendente che attesti la convenienza dell’accordo per il Fisco rispetto alla liquidazione giudiziale . Se l’accordo viene accolto dalle Agenzie (non è previsto un cram-down d’ufficio in caso di rifiuto, data la natura volontaria della composizione negoziata ), esso viene autorizzato dal tribunale e diventa vincolante . Questa innovazione consente di trattare col Fisco in sede precoce, evitando di dover accedere subito a una procedura concorsuale giudiziale per risolvere il nodo fiscale. Dunque, un’emittente con pesanti debiti IVA e imposte potrebbe attivare la composizione negoziata e in quel contesto negoziare un accordo fiscale ad hoc, eventualmente affiancandolo con accordi con gli altri creditori.
  • Contestazione dei debiti fiscali: Infine, non va dimenticata la possibilità di contestare alla radice la pretesa tributaria se la si ritiene infondata. Se l’emittente locale ritiene errato un avviso di accertamento (ad esempio per indebita detrazione IVA, ripresa a tassazione di costi, ecc.), può presentare ricorso tributario in Commissione Tributaria Provinciale nei termini di legge (60 giorni dalla notifica dell’atto) per far valere le proprie ragioni, eventualmente chiedendo la sospensione dell’atto. Durante la pendenza del ricorso, la riscossione rimane per legge sospesa per 1/3 dell’importo, ed è possibile ottenere la sospensione giudiziale del restante 2/3 in caso di grave e irreparabile danno. Una difesa attiva sul piano contenzioso può far annullare o ridurre il debito fiscale contestato, o condurre a un accordo transattivo col Fisco (definizione per acquiescenza o mediazione tributaria, se ricorrono i presupposti). Tuttavia, se il debito è certo e non contestabile, è preferibile concentrarsi sugli strumenti di definizione e ristrutturazione sopra descritti. In ogni caso, l’emittente deve agire tempestivamente: ignorare le cartelle esattoriali o gli atti fiscali aggrava solo la situazione, poiché le sanzioni e gli interessi continuano a maturare e le possibilità di definizione agevolata possono andare perse se non colte entro le scadenze normative.

Debiti verso fornitori e altri creditori commerciali

Le TV locali intrattengono rapporti con numerosi fornitori di beni e servizi essenziali alla loro operatività quotidiana. Tra questi vi possono essere: fornitori di energia elettrica (per alimentare studi, ripetitori e trasmettitori), società di telecomunicazioni (connettività dati, linee per collegamenti in diretta, banda per streaming), proprietari di siti e tralicci per ripetitori (con contratti di affitto o di servizio per ospitare le antenne), fornitori di apparati tecnici (telecamere, mixer, uplink satellite, ecc., spesso acquisiti in leasing), società di servizi di produzione audiovisiva o regia esterna, fornitori di contenuti (ad esempio distributori di format televisivi, film, ecc.), e infine i fornitori generici (materiale di consumo, servizi di pulizia, vigilanza, ecc.). Una voce importante è spesso il personale non giornalistico fornito da agenzie interinali o società esterne (tecnici freelance, operatori): il mancato pagamento di tali prestazioni genera debiti commerciali. Inoltre, se l’emittente fa parte di circuiti o consorzi, può avere debiti verso di essi (quote associative, fee per servizi comuni, ecc.).

  • Rischi in caso di insolvenza verso fornitori: I creditori commerciali dispongono degli strumenti ordinari di tutela: se l’emittente ritarda i pagamenti oltre i termini contrattuali, il fornitore può dapprima sollecitare informalmente (telefono, email) e poi inviare una diffida formale (messa in mora) ex art. 1219 c.c. per costituire l’emittente in mora. Trascorso inutilmente il termine intimato, il fornitore può agire per vie legali chiedendo un decreto ingiuntivo per il credito insoluto (supportato da fatture, DDT, contratti firmati o altri documenti comprovanti il credito). Il decreto ingiuntivo è spesso provvisoriamente esecutivo se il credito risulta da fatture accettate o da scritture contabili dell’emittente, il che consente al fornitore di procedere rapidamente al pignoramento di beni o crediti della TV locale. I beni aggredibili includono attrezzature (telecamere, computer), veicoli aziendali, incassi pubblicitari (pignoramento presso gli inserzionisti o le concessionarie di pubblicità), nonché i saldi attivi su conti correnti. Un aspetto delicato è il rischio di interruzione dei servizi essenziali: alcuni fornitori, pur senza ottenere subito un decreto ingiuntivo, possono sospendere la fornitura se contrattualmente previsto o se l’ulteriore erogazione risulterebbe eccessivamente gravosa. Ad esempio, la società elettrica potrebbe minacciare il distacco per morosità, o il proprietario del traliccio potrebbe impedire l’accesso al sito. Tali azioni (soprattutto se relative a forniture essenziali come elettricità o segnali di trasmissione) mettono in pericolo la continuità delle trasmissioni, generando un danno immediato (oscuramento del canale) ed anche potenziali ripercussioni sul titolo autorizzativo (una prolungata interruzione delle trasmissioni potrebbe teoricamente esporre l’emittente a provvedimenti ministeriali, in quanto le autorizzazioni alla fornitura di servizi media prevedono obblighi di operatività). Fortunatamente, il nostro ordinamento concorsuale offre protezione su questo fronte: come vedremo, nell’ambito di una composizione negoziata o di un concordato, l’emittente può ottenere misure protettive e autorizzazioni giudiziali che impediscono ai fornitori di interrompere unilateralmente contratti essenziali in essere . Ad esempio, se la TV locale entra in composizione negoziata e richiede le misure protettive, il tribunale può inibire la sospensione di forniture indispensabili (energia, banda, affitto studi) da parte dei creditori durante la moratoria . Anche nel concordato preventivo vige il divieto di esecuzione e, con apposita autorizzazione, l’impresa può continuare ad usufruire di contratti in corso senza incorrere in risoluzioni automatiche per insolvenza.
  • Strumenti difensivi e soluzioni verso i creditori commerciali: Un emittente locale indebitata con fornitori deve innanzitutto valutare quali debiti contestare (ad esempio fatture non dovute per vizi della fornitura) e quali invece riconoscere e rinegoziare. Se vi sono contestazioni sulla qualità o quantità delle prestazioni fornite, è possibile opporsi a decreti ingiuntivi presentando ricorso e allegando le prove (ad esempio, servizi non resi a regola d’arte). Tuttavia, nella maggior parte dei casi il debito commerciale è dovuto ma non pagato per carenza di liquidità: in tali situazioni, la strategia migliore è comunicare tempestivamente col fornitore per cercare un accomodamento. Spesso i fornitori preferiscono accettare un piano di rientro extragiudiziale (pagamento dilazionato, magari garantito da effetti cambiari o da un accordo scritto) piuttosto che affrontare costi legali e l’alea di un concorso tra creditori. Negoziare dilazioni private – magari impegnandosi a pagare in via prioritaria i fornitori critici – può permettere all’emittente di guadagnare tempo ed evitare azioni esecutive. È però cruciale essere realisti: promettere piani di rientro che non si è in grado di onorare rischia solo di posticipare il problema e far perdere credibilità. Un approccio efficace è presentare al fornitore una panoramica onesta della situazione, evidenziando ad esempio l’attesa di contributi ministeriali in arrivo o la ricerca di un investitore, e offrire una percentuale significativa del credito in tempi certi, magari coinvolgendo un consulente o avvocato per dare formalità all’accordo.

Se il debito verso fornitori è troppo elevato per essere saldato integralmente, l’emittente può considerare procedure concorsuali che consentano un pagamento parziale dei creditori chirografari (categoria che normalmente include i fornitori non privilegiati). Nel concordato preventivo, ad esempio, si può proporre ai fornitori un pagamento percentuale (es: 40% del credito in 2 anni) oppure la soddisfazione non integrale tramite strumenti come equity (azioni o quote post-risanamento) o altre utilità. La legge richiede che, nei concordati liquidatori, ai creditori chirografari sia assicurato almeno il 20% , ma nei concordati in continuità non vi è soglia fissa se il piano prevede la prosecuzione dell’attività. In ogni caso, il piano concordatario dev’essere attestato da un professionista che ne dichiari la fattibilità e la convenienza rispetto alla liquidazione; ciò implica che la percentuale offerta ai fornitori non privilegiati debba essere maggiore di zero e superiore a quanto otterrebbero dal fallimento (spesso in fallimento i chirografari non percepirebbero nulla, quindi anche un 10-20% in concordato risulta conveniente). Un vantaggio del concordato, dal lato debitore, è che esso vincola anche i fornitori dissenzienti se si raggiunge l’approvazione a maggioranza per classi (quindi evita ricatti di minoranze) e consente di cristallizzare le pretese: durante la procedura, i fornitori non possono avviare né proseguire pignoramenti.

Un’alternativa meno formale è il piano di risanamento attestato (art. 56 CCII, ex art. 67 LF): esso consiste in un accordo stragiudiziale con i creditori, corredato da un’attestazione di un professionista circa la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano di risanamento. Questo strumento, sebbene non vincolante per i dissenzienti, protegge gli atti compiuti in esecuzione del piano dalle azioni revocatorie fallimentari (è una cosiddetta esenzione da revocatoria). Un emittente potrebbe usarlo per pagare alcuni fornitori strategici garantendo che quei pagamenti non saranno revocati se poi la società fallisse. Tuttavia, il piano attestato richiede il consenso di tutti i principali creditori coinvolti, altrimenti non raggiunge l’obiettivo di ristabilire l’equilibrio.

Da menzionare è anche la possibilità di accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 CCII, ex art. 182-bis LF): questi accordi, simili al concordato ma più snelli, prevedono un’intesa con creditori che rappresentino almeno il 60% dei debiti, da omologare in tribunale. I creditori estranei all’accordo restano fuori (devono essere pagati integralmente), quindi nel contesto di un’emittente locale sono utili solo se la maggior parte del debito (60%+) è verso pochi creditori con cui si può trattare (ad es. un istituto bancario e pochi fornitori maggiori), mentre i piccoli fornitori verrebbero pagati normalmente. Esistono varianti come gli accordi agevolati (percentuale ridotta di adesioni) e gli accordi ad efficacia estesa (che possono vincolare anche creditori finanziari dissenzienti se la maggior parte aderisce), ma si tratta di strumenti specialistici introdotti dal CCII che richiedono valutazioni caso per caso.

  • Priorità ai fornitori essenziali: Nel gestire debiti commerciali, l’emittente dovrebbe distinguere tra fornitori critici (la cui perdita o interruzione del servizio comprometterebbe l’operatività) e fornitori secondari. I primi – ad esempio il fornitore di energia elettrica, l’eventuale società che gestisce i ponti radio o il segnale digitale terrestre, il locatore degli studi, la ditta che fornisce servizi di regia durante i telegiornali – vanno messi in cima alla lista delle priorità. Ciò può significare negoziare con essi accordi ad hoc (anche pagando qualcosa in più, o fornendo garanzie reali se necessario) per assicurarsi la continuità del rapporto. In alcune situazioni di crisi, può essere utile sfruttare la leva delle misure protettive offerte dal Codice della crisi: ad esempio, attivando la composizione negoziata, il debitore può chiedere al tribunale misure di urgenza per mantenere attivi contratti di fornitura indispensabili . Diversi tribunali di merito hanno mostrato sensibilità su questo tema, emettendo provvedimenti cautelari “atipici” a tutela del patrimonio e della continuità: ad esempio, il Tribunale di Udine (30/4/2024) e di Torino (5/12/2023) hanno concesso misure urgenti nell’ambito di composizioni negoziate per inibire ai creditori azioni esecutive o sospensive nonostante i limiti ordinari . Ciò si traduce, in pratica, in un ombrello protettivo per l’emittente che intende risanarsi, evitando che un fornitore impaziente faccia crollare l’azienda spegnendo il segnale o pignorando i conti.

Debiti previdenziali e assistenziali (INPS, INAIL, ecc.)

Le emittenti locali, in quanto datori di lavoro, sono tenute al versamento di diversi contributi previdenziali e assistenziali: principalmente i contributi all’INPS per i propri dipendenti (tecnici, personale amministrativo, giornalisti – questi ultimi fino al 2022 affiliati all’INPGI, poi confluiti in INPS gestione Fondo Pensione Lavoratori Spettacolo e Sport), nonché i premi assicurativi all’INAIL per la copertura degli infortuni sul lavoro. Vi sono poi eventuali contributi dovuti a casse private nel caso di personale con iscrizioni specifiche (ad es. contributi ENPALS, oggi anch’essi in INPS, per i lavoratori dello spettacolo). Nel settore radiotelevisivo, un obbligo peculiare era l’iscrizione e il versamento all’INPGI (Istituto di previdenza dei giornalisti) per i giornalisti dipendenti: dopo la recente riforma, dal 1° luglio 2022 l’INPGI gestione sostitutiva è confluita nell’INPS, ma restano contributi all’INPGI gestione separata per i giornalisti autonomi. In sostanza, l’emittente deve versare mensilmente i contributi previdenziali su tutte le retribuzioni erogate, oltre a versare le ritenute IRPEF (già discusse) e il TFR maturando su un fondo tesoreria o accantonarlo internamente.

  • Origine dei debiti contributivi: I debiti verso INPS/INAIL sorgono in genere dal mancato versamento di contributi dovuti. Spesso, un’emittente in crisi finanziaria si trova costretta a scegliere tra pagare gli stipendi netti ai dipendenti o versare i relativi contributi: può capitare che, pur erogando le retribuzioni (per non perdere il personale e non interrompere i programmi), l’azienda ometta di pagare i contributi dovuti all’INPS sulle buste paga. Questo comportamento, se reiterato, genera un debito consistente comprensivo di sanzioni civili (interessi di mora e somme aggiuntive). Altra fonte può essere la gestione del TFR: se l’azienda non versa il TFR al Fondo Tesoreria INPS pur dovendolo fare (aziende con >50 dipendenti, obbligo dalla legge 296/2006) o non accantona il TFR e poi non riesce a corrisponderlo alla cessazione del rapporto, si crea un debito verso i lavoratori (che però, in caso di insolvenza, verrà soddisfatto dal Fondo di Garanzia INPS, il quale poi si insinuerà al posto loro). Infine, vi possono essere avvisi di addebito INPS per differenze contributive accertate (ad es. a seguito di ispezioni del lavoro che riqualificano collaboratori come dipendenti, imponendo contributi aggiuntivi, o rilevano imponibili non denunciati).
  • Conseguenze e sanzioni: Il mancato pagamento di contributi obbligatori comporta immediatamente l’applicazione di sanzioni civili da parte dell’ente previdenziale (INPS o altri): tali sanzioni consistono in interessi di mora e sanzioni aggiuntive, calcolate in percentuale sui contributi non versati, che aumentano l’importo dovuto. Inoltre, l’INPS (come anche l’INAIL) può emettere un avviso di addebito immediatamente esecutivo per i contributi omessi, che viene equiparato a una cartella esattoriale e seguito dall’affidamento all’Agenzia della Riscossione per il recupero coattivo. I poteri di riscossione dell’INPS tramite AER sono analoghi a quelli descritti per i tributi: ipoteche, pignoramenti, fermi. Un ulteriore effetto della morosità contributiva è la perdita della regolarità contributiva: l’emittente in debito con INPS/INAIL risulterà irregolare nel DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva). Un DURC negativo preclude l’accesso a molte opportunità: ad esempio impedisce di ottenere i contributi statali per l’emittenza locale (tra i requisiti di ammissione al Fondo per il pluralismo vi è l’essere in regola con i versamenti previdenziali per un dato numero di dipendenti/giornalisti) , ostacola la partecipazione a bandi pubblici o gare (anche a livello regionale per eventuali contributi locali), e perfino può impedire di stipulare contratti con la Pubblica Amministrazione (per esempio, se una TV locale fornisce servizi a enti locali). Pertanto, la posizione contributiva irregolare crea un effetto a cascata: l’azienda indebitata non può ottenere risorse pubbliche che magari la aiuterebbero a uscire dalla crisi, rimanendo in una trappola.

Sul piano penale, l’aspetto più rilevante è l’omesso versamento delle ritenute previdenziali (art. 2 comma 1-bis D.L. 463/1983 conv. in L. 638/1983). Si tratta delle trattenute operate sulle retribuzioni dei dipendenti a titolo di contributi a loro carico: il datore di lavoro funge da sostituto d’imposta anche per i contributi, trattenendo dal lordo la quota a carico lavoratore. Se non versa all’INPS tali importi entro il termine di legge, e l’omissione supera €10.000 annui, scatta il reato penale punito con la reclusione fino a 3 anni e multa fino a €1.032 . Sotto la soglia di €10.000 annui l’illecito è depenalizzato in illecito amministrativo, punito con una sanzione pecuniaria da €10.000 a €50.000 . La soglia è calcolata su base annua e indipendentemente dal numero di dipendenti coinvolti (conta la somma complessiva omessa) . È importante notare che la norma prevede una causa di non punibilità: se il datore di lavoro paga i contributi omessi entro 3 mesi dalla contestazione o notifica dell’accertamento della violazione, non è più punibile né soggetto a sanzione amministrativa . In pratica l’INPS, dopo aver riscontrato l’omissione, notifica un verbale: da quel momento si ha un breve periodo (90 giorni) per correre ai ripari pagando il dovuto ed evitare il processo. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno stabilito che, ai fini della configurabilità del reato, è sufficiente la consapevolezza di non aver versato i contributi trattenuti, a nulla rilevando l’eventuale destinazione alternativa delle risorse per salvare l’azienda: lo stato di difficoltà economica non esime dalla responsabilità, a meno di dimostrare situazioni estreme di forza maggiore . La Corte Costituzionale, con sentenza n. 104/2018, ha già dichiarato legittima la scelta del legislatore di punire penalmente questi fatti (salvo soglia), evidenziando la necessità di tutelare i lavoratori e la previdenza. Più recentemente, la Corte Costituzionale n. 103/2025 ha confermato la proporzionalità del sistema sanzionatorio introdotto dal D.L. 48/2023: se l’omissione è sotto 10.000 euro si applica la sanzione amministrativa (che, pur potendo talora risultare di importo elevato, è giustificata dal fine deterrente), mentre oltre soglia scatta la sanzione penale, considerata adeguata alla gravità . Il datore di lavoro quindi deve prestare massima attenzione a non oltrepassare la soglia di punibilità e, se ciò è accaduto, a sanare immediatamente (anche chiedendo un prestito personale o vendendo asset non essenziali) per evitare guai giudiziari.

  • Strumenti per regolarizzare i debiti contributivi: Come per i debiti fiscali, il primo strumento di gestione è la dilazione del debito. L’INPS consente, su richiesta motivata, la rateazione dei contributi scaduti fino a un massimo di 24 mesi (secondo l’art. 2, comma 11, D.L. 338/1989 e successive disposizioni interne), estensibili a 36 mesi in circostanze eccezionali (o 60 mesi in casi di crisi aziendale e prevalenza di crediti verso PA, come talvolta deliberato). Ottenere un piano di dilazione dall’INPS (che di norma richiede il pagamento di una percentuale immediata e garanzie per importi rilevanti) consente all’azienda di ottenere un DURC regolare – l’INPS rilascia il DURC se i debiti sono rateizzati e le rate in corso sono pagate – permettendo così all’emittente di non restare esclusa dai contributi statali e dalle altre opportunità. È fondamentale, se si opta per la dilazione, rispettare rigorosamente le scadenze pattuite: il mancato pagamento di due rate anche non consecutive fa decadere la dilazione, rendendo nuovamente esigibile l’intero importo residuo e sospendendo il DURC.

Oltre alla dilazione ordinaria, il Governo talvolta include i contributi previdenziali nelle definizioni agevolate: ad esempio, la citata rottamazione-quater 2023 riguardava anche i contributi affidati all’Agenzia Riscossione (in quanto parte delle cartelle) per i quali si poteva pagare solo il capitale senza sanzioni. Nella prospettata rottamazione-quinquies 2025 è confermato che rientreranno anche gli omessi versamenti di contributi INPS dichiarati ma non pagati . Ciò significa che, se un’emittente ha presentato i modelli DM10/Uniemens indicando i contributi ma poi non li ha versati, quelle somme (affidate ad AER entro 2023) potrebbero essere rottamate, pagando solo il dovuto senza sanzioni di mora. Resterebbero invece escluse le somme derivanti da accertamenti ispettivi o da contestazioni non ancora consolidate . In sintesi, conviene verificare se il proprio debito contributivo rientra in qualche finestra di definizione agevolata in corso.

Per importi molto elevati, qualora la dilazione semplice non sia sufficiente, resta la strada della ristrutturazione nell’ambito concorsuale. Nei piani di concordato o accordi di ristrutturazione, i crediti contributivi dell’INPS godono di privilegio generale sui mobili (ex art. 2753 c.c.) per gli ultimi 2 anni di contributi e di privilegio sul TFR per le quote di TFR maturate (ex art. 2751-bis c.c.). Ciò significa che l’INPS deve essere soddisfatta almeno in parte privilegiata prima dei creditori chirografari. Tuttavia, è possibile includere l’INPS in una transazione contributiva analoga a quella fiscale: dal 2017 la transazione fiscale ex art. 182-ter LF è stata estesa anche ai contributi previdenziali dovuti agli enti (INPS, casse) e ai premi INAIL. Pertanto, l’emittente in concordato può proporre di pagare, ad esempio, il 60% del debito contributivo, purché tale somma sia non inferiore a quanto l’INPS riceverebbe in caso di liquidazione fallimentare (in cui comunque l’INPS è privilegiata ma potrebbe non venire soddisfatta integralmente se i beni non bastano). La transazione contributiva richiede l’assenso degli enti previdenziali, ma in caso di dissenso ingiustificato il tribunale può ugualmente omologare il concordato se ritiene la proposta più vantaggiosa per l’ente rispetto alla liquidazione (questo cram down contributivo è stato discusso e ammesso da varie pronunce). A partire dal Codice della crisi 2019, infatti, la regola è che il tribunale può omologare il concordato anche senza voto favorevole del Fisco/INPS se la soddisfazione offerta è almeno pari al recover fallimentare e c’è l’attestazione di esperto indipendente (art. 112-bis CCII). Questo riduce il potere di veto di tali enti.

  • Effetti sui dipendenti e tutele: È importante evidenziare che i dipendenti dell’emittente non pagati (o per stipendi o contributi) godono di tutele specifiche. Se l’azienda è insolvente e i dipendenti rimangono senza retribuzioni o TFR, possono attivare il Fondo di garanzia INPS che, a seguito di cessazione del rapporto e apertura di una procedura concorsuale, interviene a pagare i crediti di lavoro (ultime tre mensilità non pagate, TFR). L’INPS poi subentra come creditore. Questa tutela, tuttavia, scatta solo se si giunge a liquidazione giudiziale o concordato, non in una fase precedente. Quindi, paradossalmente, una TV locale in crisi che non viene avviata a procedure può lasciare i lavoratori senza soddisfazione finché non succede un evento concorsuale. Dal lato azienda, comunque, la presenza del Fondo di garanzia significa che, qualora la situazione precipiti, almeno i dipendenti non resteranno totalmente pregiudicati – ciò può alleviare la pressione sul datore di lavoro nel breve termine. Ma attenzione: gli amministratori potrebbero incorrere in responsabilità per omesso versamento delle ritenute (come visto) o mancato versamento del TFR ai fondi, e comunque restano tenuti moralmente e legalmente a cercare soluzioni che tutelino il personale.

In conclusione, il debitore (emittente locale) dovrebbe prioritariamente regolarizzare la posizione contributiva chiedendo una dilazione all’INPS, perché un DURC regolare è spesso la chiave per poter ottenere anche i contributi pubblici statali. È opportuno poi monitorare le normative per eventuali condoni o rottamazioni che includano i contributi. Se il debito è eccessivo, considerare strumenti concorsuali di più ampia portata (comp. negoziata, concordato) dove si possano ristrutturare contestualmente contributi, tributi e debiti verso fornitori in un’unica soluzione di sistema.

Debiti relativi ai contributi pubblici e altre obbligazioni verso lo Stato

Le emittenti locali possono trovarsi, in alcuni casi, debitrici verso gli enti erogatori di contributi pubblici (Stato o Regioni) o verso l’Autorità di regolazione, per ragioni diverse. Generalmente i contributi pubblici al settore radiotelevisivo locale (erogati dal MiSE – Ministero dello Sviluppo Economico, ora MIMIT, tramite il Fondo per il pluralismo istituito dalla L. 198/2016) non devono essere restituiti, essendo sovvenzioni a fondo perduto, salvo che siano stati indebitamente percepiti. Tuttavia, situazioni di debito possono sorgere in due circostanze principali: restituzione di contributi indebitamente percepiti (a seguito di revoca o accertamento di irregolarità) e sanzioni amministrative pecuniarie comminate dall’Agcom o dal Corecom per violazioni normative.

  • Debiti da revoca di contributi: Se un’emittente locale ha ottenuto contributi statali presentando domanda ai sensi del DPR 146/2017 (regolamento sulle provvidenze) ma successivamente viene accertato che non ne aveva diritto (per falsa dichiarazione sui requisiti, o per errata collocazione in graduatoria), il Ministero può disporre la revoca del contributo e chiedere la restituzione delle somme già erogate. Questo crea un debito verso lo Stato. Ad esempio, in Campania tra il 2008 e 2009 alcune TV locali avrebbero ottenuto punteggi indebiti nelle graduatorie contributi tramite documentazione non veritiera, e l’indagine ha portato a sequestri per 1,9 milioni di euro corrispondenti ai fondi indebitamente ricevuti . In tali casi, oltre al procedimento penale per truffa aggravata ai danni dello Stato, l’emittente (o meglio la società che la gestisce) diventa debitrice di quelle somme verso l’erario. Il recupero di contributi indebitamente percepiti può essere effettuato tramite iscrizione a ruolo e cartella esattoriale. L’emittente dovrà quindi o restituire volontariamente i fondi o affrontare la riscossione coattiva. Difendersi richiede di dimostrare che non vi fu dolo o che la documentazione era corretta: nel caso campano citato, una delle emittenti (Julie Italia) evidenziava di aver già vinto un giudizio di responsabilità dinanzi alla Corte dei Conti nel 2013, che aveva escluso il fumus della truffa . Ciò a riprova che queste contestazioni possono essere controverse e durare anni. Dal punto di vista del debitore, se effettivamente le somme non spettavano, la strategia migliore è cercare un accordo transattivo con il Ministero per la restituzione magari rateizzata e senza sanzioni aggiuntive. Talvolta normative successive prevedono sanatorie: es. in passato fu consentito di mantenere contributi percepiti nonostante ritardi in adempimenti, ecc., ma sono ipotesi specifiche.
  • Sanzioni amministrative Agcom/Corecom: Le emittenti locali sono soggette alla vigilanza dell’Agcom (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) e dei Corecom regionali delegati, per il rispetto di obblighi come: programmazione di contenuti di pubblica utilità, rispetto dei limiti di affollamento pubblicitario, tutela dei minori, diritto di rettifica, obblighi verso fornitori di rete, ecc. La violazione di norme (ad esempio sforare i limiti pubblicitari orari, o non ottemperare a delibere Agcom) può comportare sanzioni pecuniarie anche rilevanti. Tali sanzioni, se non pagate entro i termini, diventano un debito esigibile con ingiunzione. L’Agcom può iscriverle a ruolo per la riscossione coattiva. Un caso particolare è la possibile sanzione per mancato rispetto degli obblighi di programmazione informativa che condizionano l’erogazione dei contributi: se un’emittente ha ricevuto il contributo ma poi non ha mantenuto il livello occupazionale o informativo dichiarato, potrebbe vedersi irrogare una sanzione o decurtazione su contributi futuri. Inoltre, nel caso estremo in cui l’emittente cessi le trasmissioni o non adempia ai propri obblighi contrattuali per lungo tempo, il Ministero può arrivare a revocare l’autorizzazione alla fornitura di servizi media audiovisivi. La revoca dell’autorizzazione (o, in passato, della concessione analogica) sarebbe un colpo mortale per l’azienda, poiché perderebbe la possibilità di trasmettere sul digitale terrestre (e dunque il valore di mercato del canale LCN e del marchio). Per fortuna, la revoca è evento raro e avviene solo per inadempimenti gravissimi o fallimento irreversibile del soggetto. Laddove l’emittente intraprenda un percorso di risanamento, normalmente il Ministero è più incline a mantenere attiva l’autorizzazione, eventualmente vigilando attraverso il Corecom.

Rimedi: I debiti verso lo Stato o l’Agcom per contributi e sanzioni vanno trattati un po’ come i debiti tributari: c’è poca discrezionalità dell’ente nel condonare, ma è spesso possibile ottenere rateizzazioni e bisogna fare attenzione ai termini di impugnazione. Ad esempio, una sanzione Agcom va impugnata entro 60 giorni al TAR Lazio; se l’emittente la ritiene ingiusta e non può pagarla, conviene presentare ricorso e chiedere la sospensiva, per evitare che diventi titolo esecutivo. Se invece la sanzione è definitiva, si può chiedere al competente ufficio del Ministero (o Agcom) un pagamento frazionato. In sede concorsuale, questi debiti rientrerebbero tra quelli prededucibili o privilegiati a seconda della natura (le sanzioni pecuniarie dello Stato spesso non sono privilegiate, ma i contributi da restituire potrebbero essere considerati indebito arricchimento e avere anch’essi natura chirografaria). Ciò significa che in un concordato potrebbero dover subire decurtazioni come gli altri creditori chirografari.

Un cenno va fatto ai canoni o contributi dovuti per diritti d’uso frequenze: con il passaggio al digitale, le emittenti locali non pagano più un canone di concessione analogico (come avveniva prima degli anni 2000), ma alcune potrebbero avere obblighi verso gli operatori di rete titolari delle frequenze (ad esempio il canone di trasporto sul multiplex). Se l’emittente è solo fornitore di contenuti su frequenza altrui, paga un corrispettivo all’operatore di rete locale: questo rientra nei debiti verso fornitori di servizi, come visto sopra. Se invece l’emittente è anche operatore di rete titolare di frequenza (caso in cui la stessa società ha la rete trasmissiva), doveva pagare contributi allo Stato per l’uso delle frequenze (ai sensi del Codice delle Comunicazioni, D.Lgs. 259/2003). Tali contributi frequenziali sono di importo modesto per i locali, ma comunque la loro morosità potrebbe portare a solleciti dal Ministero. In eventuale inadempienza grave e reiterata, il Ministero potrebbe dichiarare la decadenza dall’uso della frequenza. Non risultano però casi noti di decadenza per morosità contributiva nel locale (più frequente per subentri non autorizzati o inattività prolungata). Comunque, per scrupolo, un’emittente indebitata dovrebbe almeno pagare (o rateizzare) i contributi ministeriali annuali per le autorizzazioni (se previsti) e la tassa di concessione governativa dove applicabile, per non dare appiglio a provvedimenti estremi.

Debiti per diritti d’autore e diritti connessi (SIAE, SCF, etc.)

Le emittenti televisive, nell’esercizio della loro attività di diffusione, utilizzano opere protette dal diritto d’autore (film, musica, format) e quindi sono tenute a corrispondere i compensi per i diritti d’autore e i diritti connessi. In particolare, ogni TV locale deve ottenere dalla SIAE le licenze per la musica di repertorio tutelato che trasmette (ad esempio come sottofondo, jingle, videoclip, ecc.) pagando i compensi dovuti agli autori/compositori. Inoltre, tramite accordi con SCF o NUOVOIMAIE vanno corrisposti i diritti connessi ai produttori fonografici e agli artisti interpreti per l’utilizzo di brani musicali registrati. Se l’emittente trasmette film, fiction o altri programmi protetti, occorre pagare i diritti ai distributori o tramite licenze collettive ove esistenti. Anche semplicemente diffondere televideo con musica di sottofondo in studio comporta un dovuto a SIAE. Questi oneri spesso vengono calcolati in base al palinsesto e alla copertura di popolazione, con tariffe forfettarie annuali.

  • Inadempimento dei diritti d’autore: Se l’emittente non paga le fatture SIAE/SCF per i diritti musicali, oppure trasmette contenuti senza licenza, incorre in diverse conseguenze. Anzitutto, l’utilizzo non autorizzato di opere protette configura una violazione del diritto d’autore che può essere perseguita in sede civile (con richieste di risarcimento danni e inibitoria) e talvolta anche penale (la legge sul diritto d’autore, L. 633/1941, prevede sanzioni penali per l’abusiva diffusione a scopo di lucro di opere protette, anche se nella prassi per le emittenti che trasmettono brani musicali senza licenza si preferisce la via civile). La SIAE può agire legalmente chiedendo al tribunale un provvedimento urgente di inibitoria: ossia far ordinare all’emittente di cessare l’utilizzo non autorizzato di repertorio musicale. Ciò può equivalere, nella pratica, a impedirle di trasmettere musica (costringendola a un palinsesto “muto” o solo parlato). Inoltre, i compensi dovuti accumulano interessi di mora e spese legali. È possibile che la SIAE segnali l’emittente inadempiente anche al Corecom, ma principalmente l’azione è privatistica. Anche i produttori discografici tramite SCF potrebbero far valere i loro diritti allo stesso modo.

Nel caso di morosità verso la SIAE per licenze, in genere la prassi prevede: invio di solleciti di pagamento, sospensione o revoca del permesso SIAE, e se l’emittente continua a trasmettere musica, attivazione di legali per diffida e poi azione giudiziaria. Da notare che la SIAE e SCF hanno sezioni dedicate alle emittenti radiotelevisive locali, e spesso cercano un dialogo: un’emittente in difficoltà può tentare di rinegoziare il piano di pagamento con SIAE, magari ottenendo una rateazione del pregresso. SIAE, ad esempio, a volte consente dilazioni con interessi, ma ovviamente pretende un impegno formale.

Se l’emittente diffonde opere audiovisive (film, serie) senza aver acquisito i diritti da chi li detiene (es: trasmette un film non avendo accordi con i distributori), la violazione è ancora più grave. Potrebbe incorrere in sanzioni dall’Agcom (violazione del diritto d’autore su reti telematiche) e in richieste di risarcimento molto alte dai produttori cinematografici. Tuttavia, di solito le TV locali hanno palinsesti autoprodotti o news, e i film se li procurano per lo più con contratti regolari o li trasmettono in virtù di licenze di distributori indipendenti.

  • Tutela dal punto di vista del debitore: Un’emittente locale debitrice verso SIAE/SCF ha alcuni possibili rimedi. Prima di tutto, sospendere l’utilizzo di repertorio tutelato per limitare l’aggravarsi del debito: ad esempio, ridurre la messa in onda di brani musicali protetti finché non si regolarizza la posizione, usando magari musica libera da diritti (royalty-free) o di pubblico dominio. Questo però può essere difficile se la musica è parte integrante dei programmi (sigle, ecc.), ma si può provare a trovare soluzioni temporanee. In parallelo, è opportuno contattare SIAE esponendo la situazione e proponendo un piano di rientro. Talvolta SIAE preferisce recuperare gradualmente piuttosto che forzare la chiusura di una TV locale (che porterebbe a zero introiti futuri). Può quindi accettare un accordo transattivo: ad esempio pagare il 50% subito e il resto in 6 mesi, o similare. È fondamentale non ignorare le comunicazioni della SIAE perché questo la spinge ad azioni dure.

Se SIAE o altri avessero già ottenuto un provvedimento di inibitoria dal giudice, l’emittente dovrà assolutamente rispettarlo (smettere di trasmettere musica) per evitare la responsabilità penale per mancata ottemperanza a un ordine giudiziario. Potrebbe poi chiedere al giudice una revoca o modifica dell’inibitoria dimostrando di aver raggiunto un accordo con i titolari dei diritti.

In sede concorsuale, i crediti di SIAE & simili sono trattati come crediti chirografari (non essendo privilegiati di per sé). Dunque, in un concordato preventivo, SIAE riceverebbe la percentuale offerta ai chirografari. Ciò significa che, paradossalmente, se la situazione è compromessa, SIAE potrebbe recuperare di meno in concorsuale che non accordandosi bonariamente prima. Far comprendere ciò a SIAE può essere utile come leva negoziale: “se mi aiutate ora rateizzando, vi pago tutto; se invece fallisco, forse prenderete solo una piccola quota dividendo”. Questo ragionamento è lecito e spesso vero. Attenzione: i debiti per diritti d’autore, se riconducibili a condotte illecite (es. trasmissione abusiva di opere), in teoria potrebbero sfociare anche in crediti risarcitori o multe che in fallimento non sono sempre esdebitabili (le multe e sanzioni pecuniarie, ad esempio, non beneficiano dell’esdebitazione). Ma un semplice compenso SIAE non pagato è un debito commerciale, dunque esdebitabile.

In sintesi, dal lato del debitore: mantenere rapporti corretti con gli enti di gestione collettiva dei diritti, non arrivare a chiusure. Se già indebitati, cercare subito una soluzione di compromesso, prima che scatti un’azione legale.

Debiti finanziari e bancari (mutui, leasing, scoperti di conto)

Molte emittenti locali, per finanziare le proprie attività e investimenti tecnologici, ricorrono a finanziamenti esterni: affidamenti bancari per la cassa (fidi di conto corrente per anticipare incassi pubblicitari), mutui per l’acquisto di immobili (es. la sede) o attrezzature costose, contratti di leasing per dotarsi di mezzi mobili (OB van, veicoli ENG) o apparecchiature (trasmettitori, regie digitali) senza un esborso immediato. Questi rapporti generano debiti finanziari verso banche e società di leasing. In caso di crisi di liquidità, l’emittente può trovarsi insolvente anche rispetto a questi obblighi: ad esempio, con rate di mutuo o leasing scadute e non pagate, o con un conto corrente in rosso oltre il fido accordato e la banca che chiede il rientro.

  • Caratteristiche di questi debiti: I debiti bancari spesso sono assistiti da garanzie. Se l’emittente ha acceso un mutuo per acquistare l’immobile-sede, molto probabilmente l’avrà ipotecato a favore della banca mutuante. Se ha scoperti di conto o fidi, potrebbe aver dato in pegno crediti futuri (pegno su contributi o su incassi pubblicitari) o esservi fideiussioni personali dei soci/amministratori a garanzia. I contratti di leasing prevedono che la società di leasing resti proprietaria del bene fino all’ultima rata; se il lessee (l’emittente) non paga, il leasing può essere risolto e il bene rivendicato indietro dalla società (con eventuale penale a carico del lessee). Un caso tipico è l’emittente che perde un mezzo mobile (es. furgone regia mobile) perché non ha pagato 2-3 canoni di leasing: la società di leasing può, con lettera di diffida e poi intervento di un ufficiale giudiziario, riprendersi il bene e venderlo per coprire il residuo, chiedendo all’emittente la differenza se c’è minusvalore.
  • Rimedi specifici: Per i debiti bancari, la parola chiave è rinegoziazione. Le banche, soprattutto se il credito è garantito, hanno qualche margine per rivedere i piani di rientro. Un’emittente che prevede flussi futuri (es. contributi in arrivo, vendite di asset) può chiedere alla banca una moratoria temporanea (spesso regolamenti o ABI prevedono possibilità di sospensione rate mutui per PMI in crisi per 6-12 mesi, se c’è prospettiva di recupero). Se la banca è esposta in modo consistente, preferirà evitare di fare istanza di fallimento (che complicherebbe il recupero) e potrebbe accettare un piano di risanamento se credibile. Spesso, però, per coinvolgere le banche in una ristrutturazione, occorre utilizzare formalmente un istituto come l’accordo di ristrutturazione o il concordato: questo perché la banca, dovendo accantonare a bilancio i crediti deteriorati, preferisce avere un quadro definito in tribunale. Dal punto di vista normativo, i crediti bancari assistiti da ipoteca sono crediti privilegiati (ipotecari) e vanno soddisfatti per intero su quell’asset o almeno per il valore di realizzo dello stesso. Significa che se l’emittente entra in liquidazione, la banca ipotecaria sullo stabile verrà soddisfatta dal ricavato della vendita dell’immobile, prima di altri. Ciò spesso la mette in posizione forte e le toglie incentivo a concordare stralci significativi. Diversa è la posizione per scoperti chirografari (fidi non garantiti): questi sono crediti chirografari alla pari dei fornitori, e in un concordato potrebbero essere falcidiati.

Dal lato leasing: qui il suggerimento è tentare di mantenere almeno i beni essenziali, magari chiedendo al lessor un ricalcolo del piano (allungamento durata leasing, riduzione rata). Se il leasing viene risolto, l’emittente perde immediatamente l’uso del bene, con impatto operativo. Attenzione che se poi l’emittente fallisce (liquidazione giudiziale), il curatore potrebbe scegliere di sciogliersi dai leasing pendenti, restituendo i beni al lessor, e quest’ultimo avrà solo diritto ad insinuarsi al passivo per la differenza tra credito e ricavato dal bene (un credito chirografo). Quindi anche al lessor può convenire negoziare una continuazione piuttosto che subire un default.

Nel 2021-2022, con la pandemia e poi la crisi energetica, molte PMI hanno beneficiato di moratorie generali sui mutui; nel 2025 tali misure non ci sono più, ma restano misure “negoziate” come il supporto del MCC (Mediocredito Centrale) con garanzie statali in ristrutturazioni. Un’emittente fortemente indebitata con banche potrebbe valutare la composizione negoziata invitando anche i creditori finanziari al tavolo: come vedremo, uno dei vantaggi di tale procedura è di poter ottenere la sospensione delle azioni esecutive e provare soluzioni, inclusa nuova finanza protetta da prededuzione e garanzie statali.

In estrema sintesi, i debiti finanziari richiedono spesso un coinvolgimento professionale di advisor finanziari per convincere le banche a “scommettere” sul risanamento invece che accelerare l’escussione delle garanzie. Dal canto suo, l’emittente deve presentare un piano industriale credibile di rilancio: ad esempio, se il debito deriva da un investimento in tecnologia, far vedere che quell’investimento porterà a risparmi o maggiori ricavi (es. passaggio all’HD che attrae più pubblico e inserzionisti) e che la banca ha convenienza ad aspettare la riuscita del piano.

Tabella 1: Tipologie di debiti e possibili rimedi per l’emittente locale

Tipo di debitoEsempi e naturaRischi per l’emittentePossibili rimedi (debitoriali)
Tributari (Fisco)IVA, IRES/IRAP, ritenute, IMU, TARI, cartelle esattorialiCartelle, pignoramenti, ipoteche; sanzioni, reati (IVA >€250k, ritenute >€150k) . Insolvenza può portare a istanza di fallimento.Rateizzazione cartelle (fino 72/120 rate); definizioni agevolate (rottamazione) ; transazione fiscale in procedure (anche in composizione negoziata dal 2024) ; ricorso tributario se credito contestabile. Pagamento entro 3 mesi per evitare reato ritenute .
Fornitori (commerciali)Bollette energia, affitto siti, servizi produzione, acquisto materiali, contratti variDecreti ingiuntivi, pignoramento conti e beni; sospensione forniture essenziali (rischio blackout trasmissioni).Negoziazione piani di rientro extragiudiziali; pagamento prioritario fornitori critici; misure protettive in composizione negoziata o concordato per impedire azioni e mantenere forniture ; eventuale inserimento in concordato (pagamento parziale a chirografari).
Previdenziali (INPS/INAIL)Contributi dipendenti, contributi giornalisti, premi INAIL, TFR dovutoAvvisi di addebito INPS, DURC irregolare (=> niente contributi pubblici) ; sanzioni civili; reato omesse ritenute > €10k (per anno) . Azioni esecutive AER analoghe a Fisco.Rateazione contributi (fino 24-36 mesi) con DURC regolare; definizione agevolata cartelle INPS (se prevista) ; transazione contributiva in concordato/accordo (possibile stralcio parziale con omologazione); utilizzo Fondo garanzia INPS per TFR e ultimi stipendi in caso di procedura concorsuale. Pagamento entro 3 mesi per evitare reato penale .
Contributi pubblici / StatoRestituzione contributi statali revocati; sanzioni Agcom/Corecom; canoni frequenzeRichiesta rimborso da MiMIT con ingiunzione e ruolo; sequestri GdF se truffa ; sanzioni Agcom con ruolo coattivo; possibile revoca autorizzazione se inadempienze gravi.Ricorsi legali contro revoche/sanzioni se illegittime; negoziazione con Ministero per piani di restituzione; pagamento canoni dovuti per evitare decadenze. In procedure concorsuali, tali debiti trattati come chirografari (salvo eventuali privilegi) -> possibile falcidia.
Diritti d’autore e connessiCompensi SIAE per musica, SCF per fonogrammi, licenze filmDiffida e revoca licenze da SIAE; azioni civili con inibitoria (stop trasmissione opere protette); richieste risarcimento; sanzioni penali (abuso scopo di lucro).Concordare con SIAE/SCF un piano di rientro o rateazione prima di azioni legali; ridurre utilizzo repertorio tutelato temporaneamente; in concorso, crediti SIAE chirografari -> inclusione in eventuale concordato con percentuale; possibilità di esdebitazione finale del residuo.
Finanziari (banche/leasing)Mutui immobiliari (ipotecari); affidamenti conto; leasing apparecchiatureRevoca affidamenti, richiesta rientro immediato; escussione garanzie (es. ipoteche -> esecuzione immobiliare); risoluzione leasing e ritiro beni (perdita strumenti di trasmissione); istanza di fallimento da parte di banca (creditore qualificato).Moratorie o rinegoziazione mutui (allungamento piani); coinvolgimento banche in composizione negoziata con eventuale new finance protetta; accordi di ristrutturazione dei debiti finanziari con omologa (60% consenso) per evitare enforcement; nei leasing, trattativa per evitare risoluzione (magari riduzione canone temporanea). In concordato, soddisfazione creditori ipotecari fino a valore bene, leasing possibilità di continuare o scioglimento con restituzione beni.

Nota: La tabella riassume in forma semplificata; ogni situazione va valutata caso per caso anche in base alla presenza di garanzie e alla tempistica degli atti dei creditori.

Strumenti di tutela e procedure per la gestione della crisi d’impresa

Quando l’emittente locale si trova in seria difficoltà finanziaria a causa dei debiti sopra descritti, l’ordinamento italiano mette a disposizione una serie di strumenti – giudiziali e stragiudiziali – per affrontare la crisi, evitarne (se possibile) l’aggravamento e, in ultima analisi, trovare una soluzione concordata o concorsuale che regoli i debiti e consenta una ripartenza sostenibile. Dal 15 luglio 2022 è entrato in vigore integralmente il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII, D.Lgs. 14/2019 e successive modifiche) che ha profondamente innovato la materia. Tra le novità di rilievo vi è l’introduzione della composizione negoziata della crisi, strumento stragiudiziale di allerta e gestione precoce, e la sostituzione del termine “fallimento” con liquidazione giudiziale, nonché nuove procedure per i debitori minori (sovraindebitati) e istituti di esdebitazione. In questa sezione esamineremo i principali strumenti, con particolare attenzione a quelli più utili per un’emittente locale indebitata che voglia difendersi dalle aggressioni dei creditori e tentare il salvataggio dell’azienda.

Composizione negoziata della crisi d’impresa

La composizione negoziata (CN) è una procedura volontaria e confidenziale introdotta dapprima col D.L. 118/2021 (convertito in L. 147/2021) e ora trasfusa nel Codice della crisi (Titolo II). Si tratta di uno strumento stragiudiziale innovativo, pensato per le imprese in difficoltà ma ancora risanabili, che consente di avviare tempestivamente trattative con i creditori sotto l’egida di un esperto indipendente nominato dalla Camera di Commercio . L’obiettivo è raggiungere un accordo che eviti l’insolvenza irreversibile e la conseguente apertura di procedure concorsuali.

Caratteristiche principali: La composizione negoziata è attivabile dall’imprenditore (amministratore della società) tramite una piattaforma telematica nazionale (gestita da Unioncamere). Possono accedervi tutte le imprese commerciali – di qualsiasi dimensione, dalle micro sotto-soglia alle grandi società, incluse imprese agricole, start-up innovative, persino banche e assicurazioni – purché si trovino in uno stato di crisi o insolvenza reversibile. È quindi uno strumento universale a cui le emittenti locali (tipicamente S.r.l. commerciali) possono senza dubbio ricorrere. È escluso solo chi non è imprenditore (privato consumatore) o chi ha irregolarità gravi nei documenti contabili tali da impedire le trattative.

L’istanza di composizione negoziata è riservata: si compila online e, fino all’accettazione da parte dell’esperto nominato, non viene pubblicata. Dopo l’accettazione, viene iscritta solo una sintetica notizia nel Registro delle Imprese (ma non divulgata al pubblico generalista) . Ciò vuol dire che avviare la procedura non comporta immediata pubblicità di uno stato di crisi, riducendo il rischio di stigma e allarme tra fornitori e clienti. L’imprenditore rimane pienamente alla guida dell’azienda: a differenza del concordato, qui non c’è alcun commissario o amministratore giudiziario . L’organo “terzo” è l’esperto indipendente, che ha funzioni di facilitatore: convoca le parti, analizza la situazione, suggerisce soluzioni, ma non ha poteri vincolanti di gestione. L’impresa continua ad operare con gli stessi amministratori, i quali però hanno il dovere di gestire in modo da non aggravare la crisi e devono informare l’esperto di atti di particolare rilevanza.

Misure protettive: Uno dei vantaggi cruciali per il debitore è la possibilità di ottenere, con decreto del tribunale, delle misure protettive del patrimonio una volta avviata la composizione negoziata . Tali misure sono analoghe a un automatic stay all’americana: sospendono (per un periodo iniziale fino a 4 mesi, prorogabile di altri 4) le azioni esecutive e cautelari dei creditori e impediscono ai creditori privilegiati di acquisire nuove cause di prelazione sui beni dell’impresa durante le trattative . In sostanza, se l’emittente locale ottiene le misure protettive, nessun creditore potrà pignorare o ipotecare beni né iniziare nuove esecuzioni per la durata della protezione, salvo autorizzazione del giudice. Questo “tregua” consente di negoziare con tutti su un piano di parità, evitando corse alla spoliazione dell’impresa. Inoltre, è previsto che non possono essere invocate dai contratti in corso clausole risolutive legate allo stato di crisi o all’avvio della composizione (vengono considerati nulli i cd. ipso facto clauses che prevedano la risoluzione automatica per il solo avvio di una procedura di regolazione della crisi). Con specifica autorizzazione del tribunale, l’impresa in composizione negoziata può anche contrarre finanziamenti prededucibili (garantiti di rimborso privilegiato) per sostenere l’attività e tale finanziamento avrà privilegio se poi si passa a concordato . Altro aspetto, già accennato, è la possibilità di ottenere dal giudice misure cautelari specifiche in aggiunta alla moratoria generale: la giurisprudenza ha riconosciuto che l’art. 18 CCII non è tassativo e il tribunale può adottare provvedimenti atipici; ad esempio alcuni tribunali hanno ordinato a fornitori essenziali di proseguire i contratti sospendendo eventuali cause di risoluzione per inadempimento, oppure hanno inibito la revoca di fidi bancari, se ciò pregiudica la continuità . Un’ordinanza del Tribunale di Roma (8/11/2022) ha sottolineato che l’esperto può chiedere al giudice misure idonee a conservare il patrimonio e l’attività. Queste pronunce mostrano come la composizione negoziata possa offrire un ombrello protettivo su misura per l’impresa debitrice, oltrepassando i limiti rigidi della sola sospensione di legge . Naturalmente, tali misure non sono automatiche: serve convincere il giudice che servono per il buon esito delle trattative e che i creditori non subiscono danno ingiusto.

Esito delle trattative: Durante la composizione negoziata, l’imprenditore, coadiuvato dall’esperto, tenta di raggiungere con i creditori una soluzione concordata. Vari sono gli esiti possibili entro la fine del periodo (al massimo 12 mesi prorogabili in casi eccezionali): – Contratto/Accordo stragiudiziale: può essere un semplice accordo di moratoria con le banche, o intese bilaterali con fornitori (magari con stralci parziali) formalizzate in scritture private. Non richiede omologa, ma può essere depositato una dichiarazione di successo nel Registro Imprese. – Accordo di ristrutturazione ex art. 57 CCII: se si raggiunge un accordo con la maggioranza del 60% dei crediti, si può passare a farlo omologare come accordo di ristrutturazione in tribunale (aumentandone l’efficacia erga omnes su eventuali creditori fiscali o dissenzienti per i quali la legge lo consente). La negoziazione condotta con l’esperto facilita questo esito perché prepara il terreno per l’omologa. – Piano attestato di risanamento: l’imprenditore può confezionare, con l’aiuto dell’esperto e di un professionista attestatore, un piano di risanamento che ottiene l’adesione di alcuni creditori chiave e poi depositarlo (strumento ex art. 56 CCII) come protezione dalle revocatorie. – Concordato preventivo: se emerge che serve una soluzione concorsuale più ampia (coinvolgendo tutti i creditori e servono esdebitazione parziale), l’imprenditore può optare per depositare una domanda di concordato preventivo (anche in continuità, se l’attività prosegue). Spesso in composizione negoziata si prepara un cosiddetto concordato in bianco da presentare se le trattative non portano a un accordo stragiudiziale ma si intravede la fattibilità di un concordato. – Concordato semplificato: questa è un’opportunità speciale introdotta col D.L. 118/2021. Se le trattative in composizione negoziata falliscono perché non si riesce ad accordarsi con i creditori, l’imprenditore (entro 60 giorni dall’archiviazione della CN) può proporre in tribunale un concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, senza bisogno di approvazione dei creditori (non c’è voto) . È una specie di “paracadute”: l’esperto dichiara che non c’erano concrete prospettive di risanamento, e allora per evitare il fallimento immediato si consente un concordato liquidatorio semplificato dove l’azienda liquida tutto ma con maggiore rapidità e senza il quorum di voto. Il tribunale comunque valuta il piano e sente i creditori opponenti prima di omologarlo. Attenzione: la giurisprudenza di merito (Tribunale di Verona, decreto 21 aprile 2025; Tribunale di Bologna, decreto 30 aprile 2025) ha chiarito che la composizione negoziata non può essere utilizzata ab origine per finalità meramente liquidatorie . Ovvero, non si può entrare in CN già sapendo che non c’è chance di risanamento solo per poi fare il concordato semplificato. Questo concordato senza voto è riservato al caso in cui inizialmente c’erano ragionevoli prospettive di risanamento, ma queste siano venute meno nel corso delle trattative . Se invece sin dall’inizio l’azienda è decotta, deve andare direttamente in liquidazione giudiziale. Quindi, un’emittente locale priva di reali prospettive deve prendere atto che la CN non è strada lecita (i giudici non confermeranno misure protettive se capiscono che è solo un escamotage liquidatorio). Diversamente, se c’è un barlume di salvataggio all’avvio ma poi non si conclude nulla, il concordato semplificato è un’opzione per chiudere ordinatamente. – Liquidazione giudiziale: se durante la CN risulta che l’impresa è insolvente senza rimedio, l’imprenditore può rinunciare e i creditori (o il PM) potrebbero comunque chiedere l’apertura della liquidazione giudiziale. L’esperto può segnalare lo stato di insolvenza al tribunale in casi gravi. Va detto però che la legge incoraggia l’imprenditore a attivare le trattative prima che l’insolvenza sia conclamata: se questa è già manifesta, l’accesso a CN è formalmente possibile, ma come detto i tribunali potrebbero negare protezioni e l’epilogo naturale sarà la liquidazione.

In concreto, la composizione negoziata rappresenta per un’emittente locale un modo di “prendere fiato” e cercare soluzioni col consenso dei creditori senza l’impatto traumatico immediato di un fallimento o di un concordato. Si noti che l’accesso alla CN non è considerato di per sé default: anzi, la Cassazione (Sez. I, ordinanza gennaio 2025) ha espressamente affermato che l’adesione di un’impresa alla composizione negoziata non può essere valutata come evento di peggioramento automatico del merito creditizio né giustifica revoche “a tappeto” di affidamenti bancari . Le banche devono valutarla alla luce delle prospettive del piano di risanamento: l’idea è di premiare chi attiva presto la procedura, non punirlo. In tal senso si parla di un approccio “garantista” verso il debitore in crisi, evidenziato anche dalla Cassazione nel 2025: l’accesso alla CN non legittima la banca a revocare arbitrariamente i fidi – sarebbe un abuso perché la CN è finalizzata al risanamento .

D’altra parte, la Cassazione ha chiarito che la composizione negoziata non sospende automaticamente la decisione sulle istanze di fallimento già pendenti: in un’ordinanza del 12 febbraio 2025, n. 3634, la Suprema Corte ha stabilito che l’apertura di misure protettive o la pendenza della composizione negoziata non dà all’imprenditore un diritto incondizionato al rinvio della dichiarazione di insolvenza . Ciò significa che, se c’è un’udienza pre-fallimentare già fissata, il debitore deve immediatamente informare il tribunale di aver avviato la CN e ottenere un provvedimento di sospensione del fallimento; diversamente, il tribunale può comunque dichiarare la liquidazione giudiziale se l’insolvenza è conclamata e il debitore non coopera . In pratica: la CN va usata tempestivamente e in buona fede. Se l’emittente locale la attiva solo all’ultimo secondo per bloccare un fallimento imminente, rischia di non farcela a ottenere protezione in tempo, specie se non comunica correttamente al giudice fallimentare l’esistenza della trattativa in corso.

In conclusione, la composizione negoziata è uno strumento potentemente tutelante per il debitore (grazie alla moratoria legale e alla riservatezza iniziale) e dovrebbe essere il primo pensiero di un amministratore non appena percepisce segnali di crisi aziendale. Per una TV locale, la CN può permettere di evitare il black-out delle trasmissioni per pignoramenti, di convincere i creditori che è meglio un accordo di ristrutturazione che un fallimento dove recupererebbero poco, e di cercare magari soluzioni creative (ingresso di un socio finanziatore, cessione di rami d’azienda non strategici, conversione di crediti in quote societarie) mantenendo il controllo dell’operazione. Il tutto sotto la supervisione di un esperto terzo che dà credibilità al piano.

Concordato preventivo

Il concordato preventivo è la tradizionale procedura concorsuale (giudiziale) che consente all’imprenditore insolvente o in crisi di proporre un piano di ristrutturazione dei debiti ai creditori, evitando la liquidazione giudiziale e proseguendo eventualmente l’attività (in tutto o in parte). Con il Codice della crisi, il concordato mantiene i suoi tratti fondamentali, pur con alcune innovazioni terminologiche e di dettaglio. Il concordato può essere di due tipi principali: – Concordato in continuità (artt. 84-88 CCII): quando prevede la prosecuzione dell’attività (economica) dell’impresa, sia in forma diretta (la stessa azienda prosegue l’esercizio, eventualmente ridimensionata) sia in forma indiretta (ad es. affitto d’azienda e successiva vendita a terzi, quindi continuità garantita da un acquirente). Nel contesto di una TV locale, un concordato in continuità diretta potrebbe significare che l’emittente continua a trasmettere e a operare, mentre paga i debiti secondo un piano pluriennale approvato dai creditori. La continuità presenta il vantaggio di preservare l’avviamento, i posti di lavoro, le frequenze e le autorizzazioni – tutte cose che verrebbero meno in caso di cessazione – e spesso consente di offrire ai creditori percentuali migliori grazie ai flussi di cassa futuri. La legge incoraggia la continuità: ad esempio, non impone soglie minime di pagamento per i chirografari (come invece fa per il liquidatorio), e consente al debitore di classare i creditori in categorie diverse e trattarle in modo differenziato in base alla posizione giuridica (ad esempio si può classare separatamente i fornitori strategici offrendo loro condizioni leggermente migliori per farli continuare a collaborare). Nel concordato in continuità, l’impresa è di norma gestita dall’imprenditore (sotto vigilanza di un Commissario giudiziale nominato dal tribunale) e vi sono vincoli: non può, senza autorizzazione del tribunale, compiere atti straordinari non previsti dal piano. Tuttavia, rimane una procedura “con il debitore in possesso” (debtor in possession), diversamente dalla liquidazione giudiziale dove c’è spossessamento. – Concordato liquidatorio (art. 84 co.4 CCII): quando invece prevede la cessazione dell’attività e la liquidazione del patrimonio ai fini distributivi, senza continuità aziendale. In questo caso la legge richiede alcune condizioni stringenti: 1) che ai creditori chirografari sia assicurato un pagamento di almeno il 20% del loro credito (soglia che può scendere al 10% nei concordati minori per sovraindebitati); 2) che il piano preveda l’apporto di risorse esterne (di terzi o soci) almeno pari al 10% dell’attivo liquidato, se si fa uso di esenzioni o facilitazioni particolari. Queste norme sono volte a evitare l’abuso di concordati “tombali” meramente dilatori: si vuole che il concordato liquidatorio offra comunque qualcosa in più rispetto al fallimento. Il concordato semplificato citato prima è una variante del liquidatorio (senza voto) applicabile post-CN, e in quel caso il 20% non è espressamente richiesto dalla legge – ma la giurisprudenza discute se vada comunque garantito un trattamento equo per i creditori.

Un’emittente locale potrebbe ricorrere al concordato preventivo quando ha necessità di un taglio del debito che non ottiene con accordi stragiudiziali, e vuole preservare l’azienda come going concern. Ad esempio, se i tentativi in composizione negoziata non raggiungono il 100% dei consensi, l’emittente può predisporre un piano di concordato in continuità dove propone di pagare i creditori al x% in y anni, mantenendo l’attività (magari prevedendo cessione di asset non core come immobili o torri di trasmissione da cui ricavare denaro per pagare i creditori). I creditori voteranno: serve la maggioranza dei crediti ammessi al voto per classe. Se approvato e omologato, il concordato si impone a tutti i creditori anteriori, anche dissenzienti. Durante la procedura di concordato (dall’ammissione al decreto di omologa) vige il divieto di azioni esecutive individuali e di acquisire nuovi privilegi ex art. 168 L.F. (ora art. 94 CCII): quindi la protezione per il debitore c’è, ma qui è automatica dall’ammissione (mentre nella CN va chiesta come visto). Il concordato offre anche la possibilità di risolvere o sciogliere contratti in corso con autorizzazione del tribunale se utile (ad esempio, l’emittente potrebbe liberarsi di un oneroso contratto di affitto di uno studio poco usato).

Vantaggi e svantaggi: Il concordato preventivo è un procedimento formale e relativamente lungo (diversi mesi almeno). Di contro, fornisce al debitore una struttura definita per uscire dalla crisi con esdebitazione dell’azienda (si chiude con l’adempimento del piano e la cancellazione dei debiti residui secondo piano). Permette inoltre di usufruire di strumenti come la già menzionata transazione fiscale e contributiva (art. 63 CCII) per ridurre i debiti verso Erario e INPS, soggetti all’approvazione del tribunale anche in caso di dissenso dell’ente (cram-down fiscale). Dà la possibilità di ottenere finanziamenti prededucibili (art. 99 CCII) e di cedere beni liberi da vincoli se previsto dal piano. Per un’emittente locale, un concordato in continuità potrebbe essere pensato, ad esempio, con la cessione parziale dell’azienda (immaginare: trovare un investitore che rileva il 60% delle quote versando nuova finanza destinata ai creditori, mantenere in vita la licenza, ridurre il personale via incentivi all’esodo in concordato – questo è fattibile perché in concordato si può chiedere l’intervento della CIGS per crisi ex art. 91 CCII). Un concordato liquidatorio, invece, avrebbe senso se la TV non è più salvabile come attività ma si vuole comunque vendere l’asset (frequenza, marchio, archivio video) nell’interesse dei creditori invece di farli pignorare disordinatamente. Un esempio: una piccola TV locale decide di cessare e nel concordato propone di vendere la propria LCN (Logical Channel Number) e autorizzazione a un altro operatore locale, e distribuire il ricavato ai creditori (sottraendo giusto un 20% che i soci investono per arrivare al minimo ai chirografari). Questo potrebbe essere accettato se offre di più di un fallimento con svendita.

Ruolo del debitore e tutele legali: Nel concordato l’imprenditore è soggetto a vigilanza (c’è un Commissario giudiziale nominato dopo l’ammissione che verifica l’andamento, raccoglie voti, fa una relazione al tribunale). Non può liberamente fare atti di straordinaria amministrazione se non autorizzato. Tuttavia, rimane in carica – il cosiddetto debtor in possession limitato. I creditori, se il concordato non li soddisfa, possono presentare proposte concorrenti (nel caso di concordato liquidatorio con <30% ai chirografari, i creditori o terzi potevano proporre soluzioni alternative; col CCII queste regole sono state lievemente modificate). Ciò può essere rilevante: se un competitor o un fornitore ritiene di poter gestire meglio l’azienda, potrebbe presentare un concordato alternativo offrendo di più. Ad esempio, un grosso fornitore di trasmissione potrebbe dire: “io rilevo l’emittente e offro il 30% ai creditori anziché il 20% proposto”. Questo meccanismo spinge il debitore a proporre il massimo possibile.

Da segnalare: con le riforme recenti è stata eliminata la possibilità per i creditori di richiedere direttamente il concordato (cd. concordato forzoso non esiste, devono sempre attendere la proposta del debitore o semmai spingerlo facendogli istanza di liquidazione giudiziale).

Concordato preventivo e difesa dal fallimento: Presentare una domanda di concordato, specie nella forma di concordato “in bianco” (ossia la domanda prenotativa ex art. 40 CCII con riserva di presentare la proposta e piano entro termini) è un modo classico di difendersi da un’istanza di fallimento. Se l’emittente locale viene bersagliata da istanze di liquidazione giudiziale, depositare per tempo un’istanza di concordato con riserva impedisce al tribunale di dichiarare il fallimento fino alla scadenza del termine concesso per presentare il piano (di solito 60-120 giorni prorogabili). È un modo spesso usato per “prendere tempo”, ma deve essere fatto con serietà (se poi il piano non arriva o è inammissibile, il tribunale considera l’eventuale malafede). Con la composizione negoziata oggi disponibile, l’abuso del concordato in bianco è meno frequente, ma resta un’opzione di difesa estrema.

In definitiva, il concordato preventivo è un’arma a doppio taglio: da un lato offre strutture solide per ristrutturare, dall’altro è una procedura complessa che richiede l’assistenza di esperti legali e finanziari e comporta costi (spese di procedura, compenso del commissario, ecc.). Un’emittente locale di medie dimensioni potrebbe permetterselo, mentre per una micro TV a gestione familiare potrebbe essere eccessivo. Per quelle piccole esistono procedure più semplificate (vedi oltre concordato minore). Per aziende di dimensioni significative, il concordato rimane lo strumento principe se si vuole evitare la cessazione totale e trovare un equilibrio con i creditori sotto il controllo del giudice.

Liquidazione giudiziale (ex fallimento) e liquidazione controllata

La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale che ha preso il posto del “fallimento” tradizionale. Viene aperta con sentenza del tribunale quando l’impresa si trova in stato di insolvenza irreversibile e non ha attivato o non può attivare strumenti alternativi di risanamento. Per le società, la liquidazione giudiziale comporta lo spossessamento: gli amministratori decadono e la gestione passa a un curatore nominato dal tribunale, che ha il compito di liquidare l’attivo dell’azienda e distribuire il ricavato ai creditori secondo le cause di prelazione. Di fatto, segna la fine dell’attività imprenditoriale dell’emittente, salvo l’ipotesi di esercizio provvisorio.

Quando si applica: La liquidazione giudiziale può essere dichiarata solo per imprese che superino le soglie di “non fallibilità” (altrimenti c’è la liquidazione controllata dei sovraindebitati). Le soglie attuali (art. 2 CCII) prevedono che NON sono soggette a liquidazione giudiziale gli imprenditori sotto tutti e tre questi parametri: attivo annuo ≤ €300.000, ricavi ≤ €200.000, debiti ≤ €500.000 . Una TV locale anche piccola di solito supera almeno il parametro dei debiti (basta un mutuo o contributi non pagati >500k). Quindi la maggior parte delle società emittenti è fallibile. In caso di piccolissima TV (es. webradioTV individuale con pochi spiccioli di debito) allora si applicherebbe la liquidazione controllata prevista per il sovraindebitamento.

Effetti e svolgimento: Con la sentenza di liquidazione giudiziale: – La società perde l’amministrazione dei beni. Il curatore redige l’inventario, chiude l’azienda (salvo disponenda esercizio provvisorio – vedi sotto), licenzia il personale salvo prosecuzione temporanea, e avvia le azioni per realizzare l’attivo (vendita beni mobili e immobili, cessione crediti, eventuali cause di responsabilità verso amministratori per ottenere indennizzi se c’è bancarotta o mala gestio). – I creditori devono insinuarsi al passivo per essere ammessi al concorso. Il giudice delegato e il curatore formano lo stato passivo. I crediti privilegiati verranno soddisfatti prioritariamente fino a concorrenza del valore dei beni su cui insiste il privilegio; i crediti chirografari solo se avanza qualcosa, proporzionalmente (di solito poco o nulla). – La procedura può durare anche anni, a seconda della complessità (ad esempio se ci sono contenziosi legali o beni di difficile vendita). – Al termine, la società viene cancellata e i debiti insoddisfatti si estinguono per la società (che non esiste più). I soci non pagano oltre il capitale (salvo garanzie prestate).

Per un’emittente locale, la liquidazione giudiziale è ovviamente l’evento da evitare finché c’è speranza di risanamento. Tuttavia, se i tentativi di concordato falliscono, può essere inevitabile. Cosa succede allora agli elementi peculiari dell’attività radiotelevisiva? – Il titolo abilitativo (l’autorizzazione ministeriale a trasmettere in ambito locale, ex D.Lgs. 208/2021): questo di solito può essere trasferito ad altro soggetto con autorizzazione ministeriale, rispettando i limiti di legge (ad es. numero di concessioni possedibili). In una liquidazione giudiziale, il curatore può vendere l’azienda o i suoi beni. La licenza televisiva, essendo un provvedimento amministrativo, non è “oggetto di commercio” in sé, ma la prassi ha sempre considerato trasferibile l’azienda comprendente l’autorizzazione (subentrando il compratore previo assenso ministeriale). Dunque, il curatore potrebbe bandire una vendita competitiva dell’emittente come complesso aziendale (marchio, archivi, rapporti con dipendenti, contratti e inclusa la posizione di autorizzazione frequenza). Se trova un acquirente, quell’acquirente chiederà al Ministero l’ok al trasferimento della titolarità dell’autorizzazione (solitamente accordato se l’acquirente ha requisiti). Questo è il modo per valorizzare l’emittente oltre il valore dei singoli cespiti. Ad esempio, se la frequenza o LCN ha mercato (qualche network potrebbe essere interessato ad espandersi in regione), il curatore cercherà di capitalizzare questo asset intangible vendendo l’intera concessione. – Se invece nessuno vuole acquisire l’azienda, il curatore cesserà le trasmissioni e il Ministero potrà revocare l’autorizzazione per cessata attività (liberando la risorsa frequenza per riassegnazione). In tal caso i creditori avranno solo i beni materiali (studi, camere, etc.) i cui ricavati solitamente coprono poco. – I dipendenti non pagati, come detto, vengono soddisfatti dal Fondo di Garanzia INPS per TFR e ultime mensilità, e il loro credito residuo (es. mancati preavvisi, etc.) va in privilegio prededucibile in parte e privilegio generale in parte.

Esercizio provvisorio: In alcuni casi, il tribunale può disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa anche dopo la dichiarazione di liquidazione giudiziale (ex art. 211 CCII), se ritiene che la continuazione temporanea sia di interesse per la massa (ad esempio per vendere meglio l’azienda in blocco o evitare danni). Per una TV locale, l’esercizio provvisorio potrebbe essere disposto per non perdere il valore della testata e dell’audience: se la TV spegne il segnale, infatti, i suoi ascoltatori migrano altrove e il goodwill crolla. Quindi, una scelta intelligente del curatore può essere chiedere al giudice di proseguire le trasmissioni (magari ridotte al minimo) per il tempo necessario a vendere l’azienda. In tal caso, la gestione viene affidata al curatore (o a un suo delegato) che si avvale del personale strettamente necessario e onera la procedura dei costi (che saranno prededucibili). Spesso l’esercizio provvisorio è breve (un paio di mesi) giusto per condurre la gara di vendita: se ad esempio c’è un network interessato a comprare la frequenza, mantenere l’emittente on air con contenuti minimi aiuta a preservare il diritto d’uso.

Liquidazione controllata del sovraindebitato: Va menzionata per completezza la procedura di liquidazione controllata (artt. 268-277 CCII) riservata ai debitori non fallibili (sotto-soglia) o ai non imprenditori. Per esempio, se la TV locale fosse gestita da una ditta individuale di piccole dimensioni che non supera i parametri, il creditore insoddisfatto potrebbe richiedere questa liquidazione al tribunale . La logica è simile alla liquidazione giudiziale ma con alcune semplificazioni e il mantengo in capo al debitore persona fisica la possibilità di esdebitazione finale (liberazione dai debiti residui). La soglia di debiti per aprirla è >€50.000 . Il liquidatore nominato vende i beni e paga i creditori con prelazioni analoghe. Se l’emittente fosse davvero micro (es. web TV senza licenza tradizionale, un soggetto sovraindebitato), questa sarebbe la procedura per chiudere i conti. In molti punti ricalca la l.3/2012.

Esdebitazione del debitore: Dopo la chiusura di una liquidazione giudiziale, se il debitore è una persona fisica (es. un imprenditore individuale o un socio illimitatamente responsabile), può chiedere l’esdebitazione ovvero la cancellazione dei debiti residui non soddisfatti, purché abbia cooperato lealmente, non abbia commesso atti in frode e non gli sia imputabile aggravamento del dissesto (artt. 278-279 CCII). Il tribunale la concede se vede meritevolezza. Questo è il fresh start: per il debitore persona fisica onesto ma sfortunato c’è la possibilità di ripartire senza l’ombra dei debiti passati. Nel caso di un’imprenditore socio di TV locale fallita, l’esdebitazione lo libererebbe anche da eventuali debiti personali rimasti (ad es. garanzie prestate, sanzioni amministrative pecuniarie? Quelle in realtà no, le sanzioni amministrative pecuniarie non sono esdebitabili per espresso divieto). Comunque, è un istituto a tutela del debitore.

Responsabilità degli amministratori: Un breve cenno meritano le possibili azioni di responsabilità o penali per gli amministratori della TV locale in crisi. Se l’emittente finisce in liquidazione giudiziale, il curatore e i creditori potranno valutare se gli amministratori hanno commesso irregolarità (pagamenti preferenziali, distrazioni di beni – configurabili come bancarotta preferenziale o bancarotta fraudolenta, punite severamente) o se hanno violato i doveri di diligente gestione causando danno ai creditori (azione di responsabilità ex art. 2394 c.c. per gestione non conservativa). Con il Codice della crisi si è introdotto l’obbligo per gli amministratori di attivarsi tempestivamente in caso di crisi, adottando gli strumenti idonei (tra cui la composizione negoziata) per evitare l’insolvenza o limitarne gli effetti. La violazione di questo dovere può costituire presupposto di responsabilità. Dunque, per un amministratore di TV locale indebitata, difendersi significa anche proteggere sé stesso: attivare per tempo una procedura di composizione negoziata o un concordato può dimostrare di aver tentato il possibile, mentre restare inerti aggravando il dissesto espone a possibili cause del curatore. Inoltre, in caso di bancarotta, l’aver distolto risorse (ad esempio vendendo all’ultimo momento un ripetitore a prezzo vile ad un amico per farlo uscire dal patrimonio) configura reato. Quindi, la miglior difesa del debitore-amministratore è la correttezza e la trasparenza: gestire il periodo di crisi pensando anche a evitare condotte contestabili. Ricordiamo che la bancarotta fraudolenta patrimoniale è reato punito con reclusione da 3 a 10 anni, e quella preferenziale da 1 a 5 anni, per cui non c’è convenienza alcuna in manovre elusive.

Tabella 2: Principali procedure di gestione della crisi – confronto

ProceduraNaturaChi la avviaEffetti sul debitoreCoinvolgimento dei creditoriObiettivo finale
Composizione negoziata (CN)Stragiudiziale assistita (volontaria).Imprenditore in crisi (anche sovraindebitato).Debitore resta in carica e gestisce l’impresa . Possibile moratoria legale su istanza (stop azioni esecutive) . Nessuna perdita di beni senza consenso. Riservatezza iniziale .Creditori coinvolti su base volontaria nelle trattative. Nessuna imposizione senza accordo (no cram-down, salvo omologare accordi con % adesioni sufficienti a farli diventare 182-bis).Risanamento dell’impresa tramite accordi stragiudiziali (o al più accordi omologati). Se fallisce -> opzione concordato semplificato .
Accordo di ristrutturazioneStragiudiziale con omologa giudiziale.Debitore (con almeno 60% creditori consenzienti).Gestione ordinaria rimane al debitore. Dopo omologa, accordo vincola solo aderenti (tranne in tipi “ad efficacia estesa”). Protezione: ottenibile misure protettive simili al concordato dopo deposito ricorso.Vincola i creditori che sottoscrivono (minimo 60%). Estranei vanno pagati al 100% salvo cram-down fiscale per AdR agevolato. Niente voto, ma necessaria percentuale adesione.Ristrutturazione debiti con adesione maggioranza qualificata, evitando il concorso pieno.
Concordato preventivo – ContinuitàProcedura concorsuale in tribunale, con voto creditori.Debitore in crisi/insolvenza (deve depositare proposta e piano).Debitore rimane in possesso ma con atti vigilati da Commissario. Divieto azioni esecutive dal decreto di ammissione. Possibile esercizio attività sotto piano di continuità.Creditori votano per classi (maggioranza >50% crediti per classe). Possibili opposizioni all’omologa. Creditori privilegiati soddisfatti almeno per valore garanzia o decidono trattamento diverso.Superamento della crisi con pagamento parziale dei creditori e continuazione azienda (diretta o tramite terzi). Debiti residui stralciati secondo piano.
Concordato preventivo – LiquidatorioProcedura concorsuale liquidatoria volontaria.Debitore insolvente che vuole evitare fallimento con soluzione concordata.Debitore perde la gestione attiva (di fatto, si limita a supervisionare liquidazione pianificata). Divieto azioni esecutive come sopra. Spesso nominato liquidatore concordatario.Creditori votano come sopra. Necessario il 20% minimo ai chirografari (10% se “minore”). Richiesto apporto esterno ≥10% attivo liquidato se esenzioni.Liquidazione ordinata dell’azienda, con vendita beni e distribuzione provento secondo piano. Evita stigma del fallimento e consente eventuale continuità indiretta (vendita a terzi).
Liquidazione giudizialeProcedura concorsuale giudiziale (involontaria o volontaria).Creditori, PM o debitore stesso (raramente) possono richiederla se insolvenza accertata.Debitore spossessato: gestione affidata a curatore. Scioglimento organi societari. Divieto azioni esecutive individuali dal giorno della dichiarazione. Azienda chiusa salvo esercizio provvisorio autorizzato.Creditori partecipano al concorso tramite insinuazione al passivo. Nessun voto, ma possono costituire comitato con funzioni consultive. Pagamento secondo prelazioni (privilegi, pegni, ipoteche; poi chirografari).Liquidazione di tutti i beni e riparto ai creditori. Cessazione definitiva attività debitore. Possibile esdebitazione per debitore persona fisica meritevole.
Liquidazione controllata (sovraindebitamento)Procedura concorsuale minore per piccoli/consumatori.Debitore non fallibile o consumatore (volontaria o istanza di creditore/PM se imprenditore minore) .Simile a liquidazione giudiziale: nominato un liquidatore. Debitore persona fisica mantiene però titolo per chiedere esdebitazione finale senza meritevolezza rigorosa (se non doloso o malafede).Creditori si insinuano e liquidatore forma progetto di riparto. Nessun voto richiesto. Crediti soddisfatti secondo cause prelazione come in fallimento.Liquidazione patrimonio debitore minore, con chiusura attività. Debitore persona fisica liberato dai debiti residui (salvo eccezioni) con esdebitazione quasi automatica.
Concordato semplificatoProcedura concorsuale speciale post-CN, senza voto.Debitore entro 60 gg da chiusura CN senza accordo .Gestione passa a liquidatore nominato nel concordato (essendo liquidatorio). Divieto esecuzioni come concordato ordinario. Debitore collabora ma non gestisce.Niente voto dei creditori. Creditori possono solo opporsi in sede di omologa. Devono ricevere non meno di quanto avrebbero in liquidazione giudiziale (valutato da perito).Liquidazione rapida del patrimonio tramite cessione anche unitaria, con distribuzione ai creditori secondo piano senza attendere loro consenso. Chiusura impresa.
Piani attestati di risanamentoAccordo stragiudiziale protetto da attestazione (no tribunale).Debitore in crisi che trova accordo con creditori (anche parziale).Nessuna procedura formale. Debitore prosegue gestione come da piano. Protezione: esenzione da revocatoria per atti eseguiti in piano (art. 56 CCII).Coinvolti solo creditori che aderiscono all’accordo. Nessun effetto sui dissenzienti.Ripristino equilibrio patrimoniale/finanziario tramite esecuzione di un piano di risanamento, monitorato dall’attestatore.

Si evince dalla tabella che il ventaglio di soluzioni è ampio. La scelta va calibrata sulla situazione dell’emittente: Composizione negoziata se c’è ragionevole possibilità di accordo e volontà di salvare l’impresa; Concordato preventivo se serve una ristrutturazione profonda con taglio di debito imponibile anche ai dissenzienti, ma c’è ancora un core business valido; Liquidazione giudiziale se non esistono alternative o se i creditori l’hanno già provocata; Procedure minori se l’azienda è piccolissima o persona fisica.

Va ricordato che gli strumenti non si escludono: ad esempio, si può tentare prima la composizione negoziata e, se va male, ripiegare sul concordato (anche semplificato). Oppure avviare un accordo di ristrutturazione e, se i numeri non tornano, convertirlo in concordato durante l’omologa. Importante è agire per tempo: l’esperienza (e le stesse norme del CCII) insegna che prima si interviene, maggiori sono le chance di evitare la perdita totale dell’azienda. Un ritardo potrebbe far scattare responsabilità per gli amministratori e ridurre drasticamente le opzioni di salvataggio.

Simulazioni pratiche (casi esemplificativi)

Per comprendere meglio come i principi e gli strumenti sopra descritti si applicano nella realtà di un’emittente locale, presentiamo di seguito due casi pratici simulati – basati sull’esperienza comune del settore – con l’analisi delle possibili soluzioni. Queste simulazioni, pur semplificate, illustrano il punto di vista del debitore nell’affrontare situazioni critiche e le strategie difensive adottabili.

Caso 1: “TeleTuscia S.r.l.” – Composizione negoziata e concordato in continuità
Scenario: TeleTuscia S.r.l. è un’emittente televisiva locale regionale con sede nel Lazio. Negli ultimi anni ha accumulato debiti per circa €1,5 milioni, così suddivisi: €400.000 di debiti tributari (IVA non versata e alcune cartelle IRAP), €200.000 di debiti verso INPS (contributi dipendenti degli ultimi 18 mesi non pagati), €600.000 verso fornitori vari (fornitore di segnali e banda digitale, società elettrica, affitto sede, service audio-video), €150.000 di scoperto bancario e €150.000 verso SIAE (3 anni di diritti d’autore arretrati). L’azienda ha 10 dipendenti. I ricavi annui recenti sono calati a €800.000 e l’ultimo bilancio è in perdita. La proprietà (famiglia fondatrice) vuole salvare l’azienda, anche perché ha un valore storico sul territorio e 30 anni di archivio news, ma i creditori iniziano a fare pressioni aggressive: l’Enel minaccia il distacco, la banca ha revocato il fido, l’Agenzia Entrate Riscossione ha pignorato i conti correnti (ora vuoti). Due fornitori hanno presentato ricorso per fallimento al tribunale, sostenendo che TeleTuscia è insolvente. Siamo a un punto di svolta.

Strategia del debitore: Gli amministratori di TeleTuscia, seguiti da un advisor legale, decidono di attivare immediatamente la composizione negoziata della crisi. Attraverso la piattaforma nominano un esperto indipendente. Chiedono subito al tribunale misure protettive, ottenendo un decreto che sospende le esecuzioni: la banca non può iniziare il pignoramento ipotecario sulla sede, l’AER non può proseguire il pignoramento del conto, i fornitori istanti per fallimento vedono l’udienza rinviata in attesa delle trattative . Ottenuto questo “congelamento”, TeleTuscia prepara con l’esperto un piano di risanamento: l’idea è trovare un investitore disposto a entrare in società apportando capitali freschi, e riorganizzare i costi (chiudere una sede secondaria e tagliare 2 tecnici in eccesso). Vengono avviate trattative con i creditori:
– Con l’Agenzia Entrate si formula una proposta di transazione fiscale: TeleTuscia offre di pagare il 100% dell’IVA dovuta (€250k) e il 60% delle sanzioni/interessi, rateizzando in 5 anni. Un professionista indipendente assevera che la proposta dà al Fisco più di quanto ricaverebbe da fallimento (stima 20%). L’AdE, grazie anche al parere dell’esperto e al fatto che la nuova normativa 2024 lo consente in CN , aderisce all’accordo transattivo (non succede sempre così facilmente, ma supponiamo positivamente).
– Con l’INPS: viene chiesta una dilazione straordinaria 36 mesi per i €200k di contributi, con contestuale accordo di versare correntemente quelli futuri. L’INPS richiede il pagamento del 5% subito e fideiussione per metà dell’importo: TeleTuscia convince un fornitore-credito (che ha interesse a farla sopravvivere) a garantire parte. L’INPS accetta perché preferisce incassare a rate che insinuarsi in un fallimento e forse recuperare meno.
– Con i fornitori principali: il proprietario del ripetitore e la società di banda minacciano di risolvere i contratti. Grazie alle misure protettive, non possono farlo immediatamente. TeleTuscia offre loro un accordo: continueranno il rapporto (così avranno futuro fatturato) e in cambio accettano un pagamento parziale dei pregressi (es. 50%) dilazionato in 2 anni, con garanzia di un asset aziendale. I fornitori, valutando che se TeleTuscia chiude perderanno tutto, accettano.
– Con la banca: il debito di €150k è chirografario (lo scoperto non ha garanzie). TeleTuscia propone di convertirne metà in quota capitale sociale (la banca diventerebbe socia al 10%) e l’altra metà di rimborsarla in 3 anni. La banca, per politiche interne, rifiuta di diventare socia ma è disposta a uno stralcio: accetta €90k a saldo e stralcio se pagati entro l’omologa di un concordato, altrimenti perseguirà in sede fallimentare.
– Con la SIAE: TeleTuscia negozia il rientro dei €150k in 4 anni e si impegna a pagare puntualmente le licenze 2025-2026; la SIAE riduce del 15% le penali e accetta la rateazione (sa che altrimenti rischia la procedura concorsuale con incasso minore).

Dopo 3 mesi di lavoro, molte intese sono sulla carta, ma non tutti i creditori aderiscono formalmente (es. alcuni piccoli fornitori, aggregati per €100k, non hanno risposto o vogliono il 100%). A questo punto l’esperto valuta che l’accordo complessivo è raggiunto al 70% dei crediti. Suggerisce di trasformarlo in un accordo di ristrutturazione dei debiti da sottoporre ad omologazione. TeleTuscia deposita quindi al tribunale un ricorso ex art. 57 CCII allegando l’accordo firmato con AdE, INPS, SIAE, i 3 fornitori principali e alcuni minori, superando il 60%. I pochi creditori non aderenti (tra cui la banca per la parte non stralciata e due fornitori che ignoravano la CN) verranno pagati integralmente secondo l’accordo. Il tribunale fissa udienza, concede le misure protettive fino all’omologa. Nessuno si oppone (poiché i dissenzienti ricevono integrale soddisfo, non hanno interesse). Viene quindi omologato l’accordo. TeleTuscia esce dalla composizione negoziata con questi accordi omologati che le consentono di: ridurre l’indebitamento fiscale del 40%, dilazionare l’INPS, dimezzare i debiti commerciali. Inoltre, durante la CN è stato trovato un investitore locale disposto a immettere €200k in equity per rilevare il 30% delle quote: tale apporto esterno viene utilizzato per pagare le prime rate di AER e una tranche ai fornitori.

La TV locale riesce così a evitare il fallimento e a proseguire l’attività. Si impegna a rispettare fedelmente il piano concordato. Tre anni dopo, TeleTuscia risulta risanata: i debiti fiscali e INPS sono stati pagati secondo transazione, i fornitori pure, la SIAE continua regolarmente con nuovo abbonamento. L’azienda torna in utile grazie anche a tagli di costi e all’apporto soci. La composizione negoziata, in questo caso, è servita come volano per un successivo accordo di ristrutturazione omologato e un effettivo risanamento.

Commento: questo caso mostra un’ipotesi ottimistica ma non irrealistica. Nella pratica, la disponibilità delle istituzioni (AdE, INPS) a transigere è cruciale: nel 2025, grazie alle nuove norme, è diventato più fattibile includere il Fisco già nella fase negoziata . Anche i fornitori hanno agito razionalmente preferendo poco ma subito invece del rischio zero post-fallimento. La minaccia credibile dell’alternativa (concordato o fallimento) ha convinto i più scettici. L’emittente ha usato la protezione del tribunale per guadagnare tempo e fiducia dei partner. Questo esito, invero, richiede meritevolezza del debitore: TeleTuscia ha attivato la procedura prima di arrivare al black-out, ha fornito ai creditori informazioni trasparenti (con l’esperto a fare da garante di veridicità) e ha messo sul piatto risorse nuove (i €200k dell’investitore e la garanzia sul ripetitore). Senza questi elementi, difficilmente i creditori avrebbero accettato perdite.

Caso 2: “RTS – Rete Tele Sannita” – Liquidazione coatta ed esdebitazione
Scenario: RTS è una piccola emittente locale in forma di ditta individuale (titolare Mario Rossi) operante in una provincia campana, specializzata in televendite e notiziari locali. Negli ultimi anni ha perso audience e nel 2024 ha cessato di fatto di trasmettere regolarmente (mandando in onda solo repliche). Il titolare ha accumulato debiti per circa €300.000: soprattutto debiti fiscali (IVA e IRPEF non versata per €120k), multe Agcom per pubblicità oltre i limiti (€30k), debiti con fornitori di studi e attrezzature (€50k), bollette arretrate (€20k) e ha un mutuo residuo di €80k su cui ha smesso di pagare le rate (la banca ha ipoteca sul locale sede di proprietà di Rossi). Non ci sono dipendenti (solo collaboratori saltuari). Mario Rossi, scoraggiato, ha chiuso l’attività di fatto a fine 2024 senza attivare procedure, pensando di vendere l’immobile per pagare la banca e qualcosa ai creditori, ma non ha concluso la vendita. Nel settembre 2025 uno dei creditori (un fornitore di servizi tecnici) presenta ricorso per la liquidazione controllata del sig. Rossi ex art. 268 CCII, essendo Rossi imprenditore minore (ricavi <200k). Il tribunale accerta che i debiti scaduti superano €50.000 e che l’insolvenza è manifesta (Rossi non paga nessuno da mesi), quindi apre la procedura nominando un liquidatore.

Svolgimento: Rossi perde la disponibilità dei beni aziendali e personali non necessari al sostentamento. Il liquidatore redige l’inventario: i beni rilevanti sono la sede (immobile valutato €100k su cui c’è ipoteca banca residuo €80k), qualche attrezzatura video ammortizzata (valore realizzo €5k), un furgone (leasing risolto, il mezzo è stato ripreso dalla società di leasing). Il liquidatore procede a vendere l’immobile con un’asta: ricava €90k. Di questi, €80k vanno alla banca ipotecaria a saldo del mutuo (creditore privilegiato su immobile) e €10k restano nella massa. I €5k di attrezzature vendute vanno nella massa libera. Totale attivo disponibile per gli altri creditori chirografari: €15k. Il liquidatore predispone il progetto di riparto: considerato che i crediti privilegiati fiscali (erario per IVA) assorbono quei €15k quasi interamente (IVA ha privilegio generale sui mobili per l’anno precedente di circa €20k), ai creditori chirografari (fornitori, sanzioni, ecc.) non arriva nulla. La procedura si chiude nel 2026 con un pagamento parziale all’Erario (che rimane insoddisfatto per una parte, e altri creditori al 0%).

Mario Rossi, rimasto privo dell’azienda e dell’immobile (ed ormai anche ultrasessantenne in pensione minima), presenta al tribunale istanza di esdebitazione del sovraindebitato. Dimostra di aver collaborato (ha consegnato i libri contabili, ha fatto vendere l’immobile senza ostacoli) e che il suo insolvìto residuo deriva da sfortunate scelte imprenditoriali e dal calo del mercato TV locale, senza frode. Nessun creditore si oppone (anche perché, in verità, se Rossi restasse debitore nessuno riuscirebbe comunque a recuperare nulla di più da lui). Il tribunale concede quindi l’esdebitazione: tutti i debiti residui di Rossi anteriori alla liquidazione sono cancellati. Restano eventualmente esclusi quelli per sanzioni amministrative (le multe Agcom di €30k sarebbero tecnicamente non esdebitabili ex art. 280 CCII, ma essendo persona fisica insolvente probabilmente di fatto lo Stato non li riscuoterà mai). Mario Rossi può così ripartire pulito, anche se senza più la sua TV (che ha perso la concessione per cessazione) né l’immobile.

Commento: questo caso mostra una situazione purtroppo comune di micro-emittenti che finiscono in insolvenza senza essere salvabili. Qui la liquidazione controllata ha svolto l’equivalente del fallimento, ma in forma semplificata. Da notare che nessuna procedura di allerta o composizione è stata attivata: troppo tardi, l’attività era già cessata. Forse Mario Rossi avrebbe potuto vendere autonomamente l’immobile e pagare i debiti in parte, evitando la procedura, ma procrastinare ha portato un creditore a farsi avanti in tribunale. Il lato positivo per il debitore è l’esdebitazione: uno strumento fondamentale che dà una chance di liberarsi del fardello dei debiti dopo aver subito la liquidazione del patrimonio. Senza esdebitazione, Rossi avrebbe mantenuto per sempre debiti verso erario e creditori, esponendolo a pignoramenti su future pensioni o su eventuali eredità. Con l’esdebitazione, la sua posizione personale è azzerata (restano macchie nella reputazione e perdita dei beni, ma almeno nessuno potrà più reclamar nulla legalmente).

In un simile scenario, se invece RTS fosse stata una società di capitali, la conclusione sarebbe la liquidazione giudiziale: i creditori avrebbero fatto fallire la società, il curatore avrebbe venduto l’immobile (della società, se intestato a lei) e i crediti insoddisfatti sarebbero rimasti insoluti in capo alla società fallita che poi verrebbe cancellata. I soci di s.r.l. non subirebbero obblighi oltre il capitale perso, salvo garanzie personali. Non avrebbero, tuttavia, neppure bisogno di esdebitazione (che è irrilevante per persone giuridiche, destinate a estinguersi comunque). L’esdebitazione è rilevante per gli imprenditori individuali e i soci illimitatamente responsabili.

Domande frequenti (FAQ) e risposte

Di seguito, proponiamo una serie di domande frequenti riguardanti le tematiche trattate – dal punto di vista pratico del debitore (titolare o amministratore di un’emittente locale in difficoltà) – con risposte concise che richiamano i concetti esposti nella guida.

  • Domanda: La mia emittente locale ha ricevuto una cartella esattoriale molto elevata e non riusciamo a pagarla in un’unica soluzione. Possiamo evitare che ci pignorino i conti?
    Risposta: Sì. Potete chiedere all’Agenzia Entrate-Riscossione una rateizzazione del debito (fino a 6 anni standard, o 10 anni in casi gravi) prima che il pignoramento sia eseguito. La presentazione dell’istanza di dilazione generalmente sospende le azioni esecutive. Una volta ottenuto il piano di rate (e pagata la prima rata), la riscossione coattiva si interrompe e avrete modo di pagare gradualmente . In alternativa, se avete i requisiti, potreste valutare l’adesione a eventuali definizioni agevolate (rottamazioni) se previste dalla legge in quel momento . Infine, se la situazione è più complessa (pignoramenti già in corso, debiti multipli), attivare una procedura di composizione negoziata o un concordato può mettere in stand-by per legge tutte le esecuzioni , dandovi respiro mentre cercate una soluzione.
  • Domanda: Ho debiti con l’INPS per contributi non versati dei dipendenti. Cosa rischio e come posso mettermi in regola?
    Risposta: Il rischio immediato è che l’INPS vi notifichi un avviso di addebito e proceda con il recupero forzoso (tramite Agenzia Riscossione) come per gli altri crediti, oltre a sanzionarvi con interessi e somme aggiuntive. Inoltre, se avete omesso di versare le ritenute previdenziali operate sui dipendenti oltre la soglia di €10.000 annui, ciò configura un reato penale punibile con la reclusione fino a 3 anni . Per evitare conseguenze: potete chiedere una dilazione all’INPS (fino a 24/36 mesi, presentando un piano di rientro) – pagando regolarmente le rate otterrete un DURC regolare che vi permette di continuare l’attività senza esclusioni . È importantissimo poi versare entro 3 mesi dalla contestazione le ritenute omesse per sfruttare la causa di non punibilità penale . Se non avete liquidità, valutate strumenti come un finanziamento ad hoc (magari garantito dal Fondo PMI) oppure includere il debito in un piano di concordato o accordo di ristrutturazione: in queste sedi potreste proporre un pagamento parziale del debito contributivo con il beneplacito del tribunale e dell’INPS (la cosiddetta transazione contributiva).
  • Domanda: La società che gestisce la nostra TV locale è stata citata in tribunale da un fornitore per un credito non pagato e temiamo che altri seguano. Come possiamo difenderci?
    Risposta: Se il credito non è contestabile ed effettivamente non potete pagare subito, la via migliore è guadagnare tempo in modo legale e negoziare. Potete valutare di presentare una domanda di concordato preventivo “in bianco” al tribunale: questo vi dà immediata protezione (nessun creditore potrà iniziare o proseguire cause esecutive durante la pendenza del concordato) . Avrete poi un termine (60-120 giorni) per presentare un piano di concordato o un accordo. Nel frattempo, potete negoziare con i fornitori un accordo di rientro. In alternativa, se non volete partire subito col concordato, potete attivare la composizione negoziata della crisi: con la nomina di un esperto e la richiesta di misure protettive al tribunale, otterrete parimenti uno stop temporaneo alle azioni dei creditori , e l’esperto vi aiuterà a cercare un accordo. L’importante è non subire passivamente: se vi limitate a farvi citare e arriva una sentenza, il creditore potrà insinuarsi in un fallimento o aggredire beni. Meglio anticipare con una procedura concorsuale difensiva.
  • Domanda: In cosa consiste esattamente la “composizione negoziata”? È un commissariamento? Si rischia di perdere la gestione della TV?
    Risposta: No, la composizione negoziata non è un commissariamento. È un percorso volontario in cui l’imprenditore resta al timone dell’azienda . Viene affiancato da un esperto terzo, nominato dalla Camera di Commercio, che aiuta a analizzare la situazione e a condurre trattative con i creditori, ma non ha poteri sostitutivi. Quindi continuerete voi a gestire la TV, a firmare contratti, ecc., solo con l’impegno di informare l’esperto sugli atti di una certa rilevanza. La procedura è riservata: all’esterno (pubblico, audience) nessuno saprà che siete in composizione, non c’è pubblicazione sui giornali ufficiali (solo un’iscrizione nel Registro Imprese ma senza dettagli) . La finalità è di aiutarvi a trovare un accordo con i creditori prima di arrivare all’insolvenza conclamata, il tutto evitando il più possibile effetti negativi sull’operatività. Inoltre, potete chiedere al giudice delle misure protettive, cioè di bloccare per qualche mese eventuali azioni legali dei creditori , così da negoziare con calma. Se la composizione va a buon fine, concluderete un accordo (privato o omologato) e la procedura si chiude senza alcun marchio indelebile sull’azienda. Se invece non funziona, potrete sempre ripiegare su un concordato o, in ultima istanza, sulla liquidazione, ma intanto avrete esplorato tutte le chance.
  • Domanda: Abbiamo debiti con la SIAE per diritti musicali non pagati e con una società che ci ha fornito filmati. Cosa succede se non paghiamo? Possono farci chiudere?
    Risposta: Per la SIAE: se non pagate le licenze musicali, la SIAE può revocare il permesso e agire giudizialmente per impedirvi di trasmettere musica protetta. In pratica, rischiate che un giudice vi ordini di non mandare in onda musica fino a pagamento (ingiunzione) e che vi condanni a risarcire i danni per violazione del diritto d’autore. In teoria, trasmettere opere senza licenza è anche illecito penale (diffusione abusiva a scopo di lucro), anche se in ambito broadcast di solito si rimane sul civile. Quanto ai filmati/opere audiovisive: se li avete trasmessi senza licenza, il produttore/distributore può farvi causa per violazione del copyright e chiedere ingenti risarcimenti, oltre a ottenerne il sequestro/stop dalla diffusione. Insomma, il rischio maggiore è un blocco forzoso della programmazione protetta, che per una TV è esiziale. Pertanto, conviene assolutamente trovare un accordo con SIAE: contattateli, spiegate la situazione e proponete un piano di pagamento dilazionato del dovuto (spesso lo concedono, pur applicando interessi). Meglio ancora, pagate almeno parzialmente per mostrare buona fede. Analogamente, con gli altri fornitori di contenuti cercate un compromesso (ad esempio, restituire i materiali, rimuovere dai palinsesti i film non pagati, e magari concordare una cifra forfettaria transattiva). In ambito concordatario, i debiti verso SIAE e co. sono chirografari e possono essere tagliati pro quota, ma attenzione: se continuate l’attività, dovrete comunque riottenere licenze per il futuro, quindi vi serve mantenere un rapporto decente con la SIAE. Dunque la soluzione ottimale è negoziare prima di arrivare allo scontro legale.
  • Domanda: Se la nostra società di gestione TV dovesse fallire (liquidazione giudiziale), cosa ne sarebbe dell’emittente? Verrebbe chiusa immediatamente?
    Risposta: Non necessariamente immediatamente, dipende dalle valutazioni del curatore e del tribunale. In caso di liquidazione giudiziale, la gestione dell’azienda passa al curatore. Egli potrebbe decidere di continuare provvisoriamente l’esercizio dell’impresa (esercizio provvisorio) se ritiene che mantenere attiva l’emittente aumenti il valore di vendita . Ad esempio, se c’è un potenziale acquirente interessato a rilevare la vostra concessione e operare la TV, il curatore, con l’ok del giudice, potrebbe tenere accesa la TV e continuare le trasmissioni per qualche mese, giusto il tempo di vendere l’azienda come going concern. In tal caso, i dipendenti potrebbero continuare a lavorare e il pubblico nemmeno accorgersi del fallimento in corso. Se invece non ci sono prospettive di cessione e l’azienda è inattiva o antieconomica, probabilmente il curatore sospenderà subito le trasmissioni, licenzierà tutti e liquiderà i beni (attrezzature, eventuali immobili). La concessione televisiva decadrà per cessazione attività e verrà ritirata dal Ministero. Quindi, lo scenario peggiore è la chiusura istantanea; lo scenario migliore è che la TV venga venduta ad un altro editore e continui sotto nuova gestione. Dovete considerare che in fallimento perde peso la volontà dei vecchi proprietari: se un acquirente vuole comprare, il curatore venderà. Se siete interessati a far proseguire l’emittente anche post-fallimento (magari tramite una vostra nuova società pulita), potete sempre partecipare alla gara di vendita degli asset dalla curatela. In sintesi: il fallimento non equivale necessariamente allo spegnimento del canale dall’oggi al domani, ma rappresenta la fine dell’avventura imprenditoriale per i vecchi soci, con l’emittente destinata a cambiare radicalmente o cessare nell’arco di breve.
  • Domanda: I soci e amministratori rischiano personalmente qualcosa per i debiti della società?
    Risposta: Dipende dal tipo di società e dal loro operato. Se la società è di capitali (srl, spa), per regola i soci non rispondono dei debiti sociali oltre il conferimento, quindi non rischiano il patrimonio personale, a meno che abbiano prestato garanzie personali (es. fideiussioni alla banca o ai fornitori) o abbiano commesso irregolarità gravi (es. distrazione di beni sociali: in tal caso potrebbero essere chiamati a rispondere con un’azione di responsabilità o per bancarotta fraudolenta). Gli amministratori invece possono incorrere in responsabilità civili verso i creditori se, ad esempio, non hanno tempestivamente richiesto il concordato o la liquidazione aggravando il dissesto (violazione obbligo di prevenire la crisi) – il curatore in fallimento può promuovere azione di responsabilità ex art. 2394 c.c. contro di loro. Inoltre, in presenza di illeciti (pagamenti preferenziali, sottrazione di attivi), possono avere conseguenze penali (reati fallimentari). Tuttavia, se l’amministratore agisce correttamente, si attiva per gestire la crisi (ad esempio convocando i soci per ricapitalizzare, utilizzando la composizione negoziata, ecc.) e non commette atti in frode, non avrà di norma conseguenze personali patrimoniali. In caso di ditta individuale o società di persone, invece, il titolare o i soci illimitatamente responsabili rispondono con tutto il loro patrimonio dei debiti: quindi lì il rischio è la rovina personale, mitigabile solo da procedure di sovraindebitamento e successiva esdebitazione (che permette di cancellare i debiti residui dopo la liquidazione, come spiegato). Quindi, riepilogando: soci di srl generalmente no (salvo garanzie date), amministratori no se diligenti ma possibili guai se colpevoli di mala gestio, imprenditori individuali o soci di Snc sì in quanto confusi con l’azienda.
  • Domanda: Web TV e TV tradizionale: ci sono differenze negli obblighi e nei rimedi in caso di debiti?
    Risposta: Una web TV (che trasmette solo via internet) non necessita di concessione/autorizzazione ministeriale come una TV su digitale terrestre, quindi non ha alcuni costi e obblighi specifici (come i contributi per l’uso frequenze o il rispetto del piano LCN). Tuttavia, per il resto, se è un’impresa organizzata, ricade nelle stesse normative civilistiche e fiscali di qualsiasi azienda. Ciò significa che se accumula debiti, i rimedi per gestirli sono gli stessi: rateizzazioni, accordi con i creditori, composizione negoziata, eventuale liquidazione se insolvente. Una differenza pratica è che una web TV non può accedere ai contributi statali riservati alle TV locali su frequenze terrestri, quindi non ha quel tipo di credito (o debito eventuale) col Ministero. Sul fronte diritti d’autore, invece, ne ha eccome: anche online servono licenze SIAE per streaming musicale, ecc. Dunque può avere debiti SIAE nello stesso modo e con le stesse conseguenze (anche sul web SIAE può far oscurare contenuti). In sintesi, le procedure di crisi (concordati, ecc.) si applicano identiche, l’assenza di autorizzazioni significa solo che in caso di fallimento non c’è un titolo da trasferire e l’asset “audience” di una web TV spesso è meno tangibile. Per il resto, un fornitore o il Fisco useranno gli stessi strumenti sia contro la web TV che contro la TV tradizionale. Una web TV, se gestita da persona fisica o associazione non fallibile, potrà semmai rientrare più facilmente nelle procedure di sovraindebitamento (che sono calibrate per entità non fallibili). In definitiva, niente scudo particolare: i web broadcaster devono essere altrettanto diligenti nel pagare i debiti o nel ristrutturarli con gli istituti previsti.

Conclusioni

Le emittenti televisive locali che si trovano sovraccariche di debiti dispongono, in base alla normativa italiana vigente, di diversi strumenti legali di difesa e gestione. Il percorso da intraprendere dipende dalla gravità della situazione, dalle prospettive di risanamento e dalla volontà/possibilità dell’editore di proseguire l’attività. Si è visto come il punto di vista del debitore in queste vicende sia complesso: deve bilanciare l’esigenza di salvare l’azienda (continuità delle trasmissioni, tutela dell’occupazione e della voce informativa sul territorio) con quella di minimizzare le proprie responsabilità personali e legali, il tutto navigando tra le pretese legittime dei creditori.

La guida ha evidenziato l’importanza cruciale della tempestività: attivarsi presto (ad esempio usando la composizione negoziata appena compaiono segnali di crisi) può fare la differenza tra un salvataggio negoziato e un collasso disordinato con fallimento. Il legislatore, conscio di ciò, ha predisposto incentivi procedurali per il debitore “meritevole” – ad esempio, la protezione del patrimonio durante le trattative , la possibilità di evitare sanzioni penali sanando taluni omessi pagamenti in extremis , e infine l’esdebitazione per chi subisce la liquidazione ma ha agito senza frode .

Da un punto di vista pratico, i consigli finali per un’emittente locale indebitata sono: 1. Analizzare la natura dei debiti – privilegiati vs chirografari, strategici vs secondari – per capire le priorità (Fisco e INPS hanno armi potenti, i fornitori essenziali possono decidere la vita o morte del segnale…). 2. Mantenere un dialogo aperto coi creditori – sorpresa e silenzi creano solo sfiducia e azioni legali immediate; meglio mostrarsi proattivi nel cercare soluzioni di pagamento (magari parziali) che attendere decreti ingiuntivi. 3. Evitare comportamenti che aggravino la posizione – nulla spostamenti di beni, preferenze a amici, pagamenti “fuori sacco” a qualche creditore ignorandone altri: ogni passo deve essere ponderato perché potrebbe essere revocato o, peggio, qualificato come malaffare in sede di fallimento. 4. Valutare seriamente le procedure di regolazione – la composizione negoziata è relativamente poco invasiva e può essere un primo step. Se quella fallisce, non esitare a usare il concordato preventivo: è meglio un concordato (in continuità se possibile) che un fallimento, sia per l’azienda (che può sopravvivere) sia per l’imprenditore (che dimostra di aver tentato il tutto per tutto ed evita le sanzioni peggiori). 5. Farsi assistere da professionisti esperti – la materia come si vede è tecnica: commercialisti e legali specializzati in crisi d’impresa e diritto del lavoro possono aiutare a evitare errori grossolani (come omettere di comunicare una procedura al giudice fallimentare, cosa che – come visto – può far perdere la protezione ). Inoltre, solo con l’ausilio di esperti si può predisporre piani credibili e attestazioni solide da presentare ai creditori e al tribunale.

In ultima analisi, pur nella difficoltà oggettiva del settore (dove le entrate calano e i costi fissi restano elevati), le emittenti locali debitrici hanno possibilità di salvarsi se adottano un approccio attivo e informato. Le recenti evoluzioni normative – dal Codice della crisi con i suoi correttivi , alle aperture sulla transazione fiscale – offrono strumenti moderni che, se ben utilizzati, possono portare a esiti positivi (come nel Caso 1). Anche nei casi più sfortunati in cui la chiusura è inevitabile, l’ordinamento consente un’uscita “pulita” con la liberazione dai debiti residui (fresh start), come visto nel Caso 2.

Il messaggio conclusivo per l’editore locale indebitato è dunque: non arrendersi e non isolarsi, ma al contrario sfruttare tutte le vie legali per ristrutturare e difendersi, tenendo conto che la legge – e la giurisprudenza – negli ultimi anni si sono mosse verso un approccio più “comprensivo” e garantista verso chi affronta la crisi con correttezza . Una gestione oculata della crisi può significare la differenza tra la rinascita della vostra emittente sotto nuova forma e la sua definitiva scomparsa dal panorama mediatico locale.

Gestisci un’emittente televisiva locale o una web TV indipendente e ti ritrovi con debiti verso fornitori, banche, dipendenti o Agenzia delle Entrate? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Gestisci un’emittente televisiva locale o una web TV indipendente e ti ritrovi con debiti verso fornitori, banche, dipendenti o Agenzia delle Entrate?
Hai mutui o leasing per attrezzature e studi di trasmissione, cartelle esattoriali, contributi INPS arretrati o IVA non versata, e temi pignoramenti, revoche di fidi o la chiusura della tua attività?
👉 Non farti travolgere: anche le imprese della comunicazione possono difendersi legalmente, bloccare i creditori, ridurre i debiti e salvare la propria licenza o frequenza, grazie agli strumenti previsti dal Codice della Crisi d’Impresa (D.Lgs. 14/2019).

In questa guida scoprirai perché tante TV locali finiscono in difficoltà economica, quali strategie legali puoi adottare e come ripartire in modo regolare e protetto.


📺 Perché le emittenti televisive locali finiscono in crisi

Le TV locali e indipendenti operano in un settore ad alto costo e a margini ridotti. Le principali cause di indebitamento sono:

  • cali drastici degli introiti pubblicitari;
  • costi elevati di gestione e trasmissione (energia, licenze, personale tecnico);
  • ritardi nei contributi pubblici o regionali (Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione);
  • aumenti dei canoni per frequenze o infrastrutture;
  • errori fiscali e ritardi nei versamenti IVA e contributivi;
  • crisi del mercato radiotelevisivo e competizione con le piattaforme digitali.

📌 Queste difficoltà portano molte emittenti a non riuscire più a coprire le spese operative, accumulando debiti fiscali, bancari e commerciali che rischiano di bloccare completamente l’attività.


🧾 Tipologie di debiti più comuni nelle emittenti TV locali

Debiti fiscali e contributivi

  • IVA, IRPEF, IRAP, INPS, INAIL, TARI, cartelle esattoriali e accertamenti.

Debiti bancari e finanziari

  • Mutui e leasing per studi, trasmettitori, veicoli mobili e attrezzature di produzione.
  • Fidi o scoperti di conto.

Debiti commerciali

  • Fatture non pagate a fornitori di energia, service tecnici, agenzie pubblicitarie o collaboratori.

Debiti verso dipendenti e collaboratori

  • Stipendi arretrati, contributi non versati, TFR e compensi di produzione.

Debiti personali o fideiussioni

  • Garanzie firmate dagli amministratori o soci su mutui e finanziamenti aziendali.

⚠️ Cosa rischia un’emittente locale indebitata

Se la situazione non viene gestita tempestivamente, i creditori possono:

  • pignorare conti correnti, apparecchiature o veicoli di produzione;
  • revocare fidi e linee di credito, impedendo il pagamento degli stipendi;
  • bloccare forniture o contratti pubblicitari;
  • avviare azioni giudiziarie o iscrivere ipoteche;
  • compromettere la licenza o il titolo abilitativo ministeriale.

👉 Tuttavia, la legge oggi consente di bloccare subito le azioni dei creditori e ristrutturare i debiti senza fallire, mantenendo l’attività operativa.


🧩 Le soluzioni legali per emittenti TV locali con debiti

💠 1. Rinegoziazione dei debiti con banche e fornitori

Con l’assistenza di un avvocato puoi trattare accordi di saldo e stralcio o piani di rientro sostenibili, ottenendo:

  • riduzioni del debito complessivo fino al 70%;
  • rateizzazioni più lunghe e compatibili con i flussi pubblicitari;
  • sospensione temporanea dei pagamenti per riprendere la liquidità.

👉 È la soluzione più immediata per chi vuole continuare le trasmissioni e salvare la struttura operativa.


💠 2. Concordato minore (per SRL o cooperative editoriali)

È una procedura giudiziale che consente di bloccare immediatamente tutte le azioni esecutive e proporre un piano di ristrutturazione approvato dal Tribunale.
I vantaggi:

  • riduzione legale dei debiti fiscali e bancari;
  • tutela della licenza di trasmissione e dei contratti pubblicitari;
  • mantenimento del personale e della continuità aziendale.

📌 È ideale per le emittenti che vogliono restare attive e risanare i bilanci in modo trasparente.


💠 3. Procedura di sovraindebitamento (per ditte individuali e microimprese)

È la procedura semplificata per imprese di piccole dimensioni o con asset limitati.
Permette di:

  • bloccare pignoramenti, cartelle e decreti ingiuntivi;
  • presentare un piano di pagamento parziale, calibrato sul reddito effettivo;
  • ottenere la cancellazione dei debiti residui (esdebitazione).

👉 Perfetta per piccole emittenti o radio locali che operano come ditte individuali.


💠 4. Liquidazione controllata (ex fallimento personale)

Se la tua emittente non è più sostenibile, puoi chiudere in modo ordinato e protetto, mettendo a disposizione solo i beni non essenziali.
Alla fine della procedura, il Tribunale cancella tutti i debiti residui, permettendoti di ricominciare senza pendenze e senza rischi penali.


💠 5. Verifica di cartelle e accertamenti fiscali

Molti debiti fiscali o contributivi sono prescritti o notificati in modo errato.
Un avvocato può:

  • controllare la legittimità delle notifiche e dei termini di prescrizione;
  • chiedere la sospensione o l’annullamento del debito;
  • ottenere sgravi e riduzioni delle somme dovute.

📡 Cosa fare subito

✅ 1. Analizza la tua situazione debitoria

Raccogli bilanci, cartelle, leasing, contratti pubblicitari, stipendi e costi fissi.

✅ 2. Blocca subito le azioni dei creditori

Con il deposito di una procedura di concordato o sovraindebitamento, tutti i creditori vengono sospesi per legge.

✅ 3. Non firmare rateizzazioni o prestiti non sostenibili

Evita soluzioni improvvisate: serve una strategia legale completa, approvata dal Tribunale e gestita da un avvocato esperto.


📋 Documenti utili per la difesa

  • Documento d’identità e codice fiscale del legale rappresentante.
  • Visura camerale e bilanci degli ultimi 3 anni.
  • Dichiarazioni fiscali e posizione INPS/INAIL.
  • Cartelle esattoriali e accertamenti fiscali.
  • Contratti di pubblicità e convenzioni con enti o sponsor.
  • Elenco fornitori, collaboratori e personale.
  • Contratti di leasing o mutui per studi e attrezzature.

⏱️ Tempi e risultati possibili

  • Analisi e strategia legale: 1–3 settimane.
  • Deposito della procedura: 1–2 mesi.
  • Sospensione dei creditori: immediata al deposito.
  • Durata del piano di rientro: da 1 a 5 anni.

🎯 Risultati concreti:

  • Blocco di pignoramenti, ipoteche e cartelle.
  • Riduzione o cancellazione dei debiti residui.
  • Tutela della licenza e della continuità editoriale.
  • Ripartenza economica e professionale serena.

⚖️ I vantaggi principali

✅ Stop immediato a pignoramenti e riscossioni.
✅ Riduzione dei debiti fino all’80%.
✅ Protezione della licenza di trasmissione e dei contratti.
✅ Possibilità di mantenere l’attività e il personale.
✅ Chiusura legale ordinata senza fallimento.


🚫 Errori da evitare

  • Ignorare notifiche, cartelle e decreti.
  • Accumulare nuovi debiti per coprire i vecchi.
  • Firmare piani di pagamento non sostenibili.
  • Vendere attrezzature o diritti senza tutela legale.
  • Rivolgerti a consulenti non avvocati o non qualificati.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza la situazione finanziaria e debitoria della tua emittente.
📌 Ti guida nella scelta tra rinegoziazione, concordato, sovraindebitamento o liquidazione controllata.
✍️ Redige e deposita il piano in Tribunale per bloccare subito i creditori.
⚖️ Ti rappresenta nei rapporti con Agenzia delle Entrate, banche, fornitori e collaboratori.
🔁 Ti accompagna fino alla cancellazione definitiva dei debiti o alla ristrutturazione completa dell’attività televisiva.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in diritto commerciale, tributario e crisi d’impresa.
✔️ Specializzato nella difesa di emittenti televisive locali e operatori dei media con debiti fiscali e bancari.
✔️ Gestore della crisi da sovraindebitamento iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Essere un’emittente televisiva locale con debiti non significa essere destinati a spegnere il segnale.
Con una difesa legale mirata e tempestiva, puoi bloccare i creditori, ridurre o cancellare i debiti fiscali e finanziari e continuare a trasmettere in modo regolare e sostenibile.
La legge oggi tutela chi agisce con trasparenza e vuole davvero risanare la propria azienda.

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Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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