Accertamento Dell’Agenzia Delle Entrate A Italiano Residente In Germania: Cosa Fare E Come Difendersi

Hai ricevuto un avviso di accertamento fiscale dall’Agenzia delle Entrate pur vivendo stabilmente in Germania?
È una situazione sempre più comune tra gli italiani che si sono trasferiti per lavoro, studio o motivi familiari, ma che vengono comunque raggiunti da richieste di pagamento o accertamenti del Fisco italiano.

L’Agenzia delle Entrate può infatti ritenere che il tuo trasferimento sia solo “formale” e che tu abbia mantenuto la residenza fiscale in Italia, pretendendo il pagamento di imposte su tutti i redditi, compresi quelli già tassati in Germania.
La buona notizia è che puoi difenderti legalmente, facendo valere la tua effettiva residenza tedesca e la Convenzione tra Italia e Germania contro la doppia imposizione.

Questa guida ti spiega cosa fare, come dimostrare la residenza fiscale in Germania e come contestare un accertamento illegittimo dell’Agenzia delle Entrate.

Perché l’Agenzia delle Entrate può accertare un residente in Germania

Secondo l’articolo 2 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), una persona è considerata fiscalmente residente in Italia se, per più di 183 giorni all’anno:

  • è iscritta all’anagrafe della popolazione residente;
  • ha in Italia il domicilio o il centro principale dei propri interessi economici e familiari;
  • oppure mantiene rapporti economici o patrimoniali rilevanti con il territorio italiano.

Molti italiani che vivono in Germania ricevono accertamenti perché non si sono iscritti tempestivamente all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) o perché mantengono beni, conti o attività in Italia.
In questi casi, il Fisco può sostenere che la persona non abbia effettivamente spostato il centro dei propri interessi vitali e continuare a considerarla residente fiscale in Italia.

La Convenzione Italia–Germania contro la doppia imposizione

L’Italia e la Germania hanno firmato una Convenzione per evitare la doppia imposizione e prevenire le evasioni fiscali, ratificata con Legge n. 459 del 1992.
Questa Convenzione stabilisce regole chiare per determinare la residenza fiscale e impedire che lo stesso reddito venga tassato due volte.

In particolare:

  • se la tua residenza fiscale effettiva è in Germania, i redditi percepiti nel Paese sono tassabili solo lì;
  • i redditi di fonte italiana (come affitti o pensioni) possono essere tassati anche in Italia, ma con il diritto a scomputare le imposte già pagate in Germania;
  • la residenza fiscale si determina in base alla sede dell’abitazione principale, al luogo in cui vive la famiglia e dove si trovano gli interessi economici e sociali prevalenti.

Dimostrare la tua effettiva residenza in Germania è essenziale per evitare la doppia imposizione e ottenere l’annullamento dell’accertamento.

Come avviene la notifica dell’accertamento in Germania

L’Agenzia delle Entrate può notificare un accertamento a un cittadino italiano residente in Germania attraverso:

  • raccomandata internazionale con ricevuta di ritorno;
  • PEC (posta elettronica certificata), se possiedi un domicilio digitale attivo in Italia;
  • oppure tramite le autorità consolari italiane o i canali di cooperazione tra i due Stati.

La notifica è valida solo se rispetta le regole del diritto internazionale e della Convenzione bilaterale. Se l’atto è stato notificato in modo irregolare o fuori dai termini, può essere impugnato e dichiarato nullo.
Verificare la correttezza della notifica è il primo passo per impostare una difesa efficace.

Cosa fare subito se ricevi un accertamento fiscale in Germania

Ricevere una comunicazione del Fisco italiano mentre vivi in Germania può creare confusione, ma agire subito è fondamentale. Hai 60 giorni dalla notifica per presentare ricorso o istanza di annullamento.

Ecco i passi principali da compiere:

  1. Controlla la data e la modalità della notifica.
    Se l’atto è stato notificato in modo irregolare, puoi eccepirne la nullità.
  2. Richiedi una copia integrale dell’accertamento.
    Serve per conoscere i redditi e le annualità oggetto di contestazione.
  3. Verifica la tua iscrizione all’AIRE.
    Se risultavi regolarmente iscritto negli anni oggetto di accertamento, è una prova decisiva della tua residenza all’estero.
  4. Raccogli prove della tua vita in Germania.
    Contratto di lavoro, dichiarazioni fiscali tedesche, certificato di residenza (Meldebescheinigung), iscrizione alla sanità tedesca (Krankenkasse), conti bancari, affitto o mutuo e qualsiasi altro documento utile a dimostrare la tua effettiva presenza in Germania.
  5. Contatta un avvocato esperto in diritto tributario internazionale.
    Un professionista può verificare la legittimità dell’accertamento, applicare la Convenzione Italia–Germania e predisporre un ricorso nei termini di legge.

Come difendersi da un accertamento illegittimo

L’accertamento può essere impugnato per diversi motivi, tra cui:

  • notifica irregolare o avvenuta fuori dai termini;
  • errata valutazione della residenza fiscale;
  • mancata applicazione della Convenzione bilaterale;
  • doppia tassazione di redditi già dichiarati e tassati in Germania;
  • presunzioni infondate di redditi o investimenti in Italia.

In questi casi, l’avvocato può presentare ricorso al giudice tributario italiano o un’istanza di autotutela all’Agenzia delle Entrate, chiedendo la sospensione della riscossione e l’annullamento dell’atto.

Come dimostrare la residenza fiscale effettiva in Germania

La difesa più importante è quella basata sulla prova della residenza effettiva e stabile in Germania. Le prove più utili sono:

  • iscrizione all’AIRE;
  • certificato di residenza tedesco (Meldebescheinigung);
  • contratto di lavoro o attività autonoma in Germania;
  • pagamento delle imposte alla Finanzamt;
  • residenza abituale e presenza della famiglia in Germania;
  • assenza di un centro economico prevalente in Italia.

Una documentazione completa e coerente è fondamentale per dimostrare che la tua residenza fiscale è in Germania e non in Italia.

Come evitare la doppia tassazione

Se l’Agenzia delle Entrate ti contesta redditi già tassati in Germania, puoi far valere la Convenzione bilaterale per ottenere:

  • il credito d’imposta per le imposte già versate in Germania;
  • la cancellazione o riduzione dell’accertamento per evitare la doppia imposizione;
  • la revisione della tua posizione fiscale attraverso un procedimento di mutuo accordo tra le amministrazioni dei due Stati.

Un avvocato esperto può gestire la comunicazione con le autorità fiscali italiane e tedesche, assicurandosi che venga riconosciuta la tassazione corretta.

Cosa succede se ignori l’accertamento

Ignorare l’accertamento è estremamente rischioso. Dopo 60 giorni dalla notifica, l’atto diventa definitivo e l’Agenzia delle Entrate può iscrivere il debito a ruolo, avviando pignoramenti, ipoteche o blocchi dei conti correnti in Italia.
Anche se vivi in Germania, eventuali beni, immobili o conti italiani possono essere aggrediti. Agire tempestivamente è quindi essenziale per evitare conseguenze patrimoniali gravi.

I vantaggi di una difesa tempestiva

Una difesa legale tempestiva ti permette di:

  • sospendere la riscossione e bloccare le procedure esecutive;
  • dimostrare la residenza fiscale effettiva in Germania;
  • evitare la doppia imposizione dei redditi;
  • ottenere l’annullamento totale o parziale dell’accertamento;
  • proteggere i tuoi beni e la tua serenità economica.

Con una strategia mirata e basata su prove solide, è possibile risolvere la controversia in via amministrativa o giudiziale.

Quando rivolgersi a un avvocato esperto

Devi contattare un avvocato se:

  • hai ricevuto un accertamento pur essendo residente in Germania;
  • vuoi far riconoscere la tua residenza fiscale estera;
  • l’Agenzia delle Entrate ti contesta redditi già tassati in Germania;
  • temi pignoramenti o sequestri in Italia.

Un avvocato esperto in diritto tributario internazionale può esaminare l’accertamento, verificare la sua legittimità e presentare ricorso per ottenere la cancellazione o la riduzione del debito.

⚠️ Attenzione: un accertamento non impugnato nei termini diventa definitivo e può comportare gravi conseguenze economiche. Agisci subito per difendere i tuoi diritti e far riconoscere la tua residenza fiscale in Germania.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, fiscale internazionale e tutela dei residenti all’estero – spiega in modo chiaro cosa fare se ricevi un accertamento dall’Italia pur vivendo in Germania, come difenderti dal Fisco e come evitare la doppia imposizione grazie alla Convenzione tra Italia e Germania.

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Introduzione

Ricevere un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate può destare particolare preoccupazione per un cittadino italiano che da tempo vive e lavora in Germania. In tale scenario, il Fisco italiano sospetta che il trasferimento all’estero possa essere fittizio o che il contribuente abbia comunque mantenuto legami fiscali significativi con l’Italia, e pertanto pretende imposte su redditi non dichiarati in Italia. Di fronte a una contestazione di questo tipo – in cui l’Agenzia contesta la residenza fiscale estera del contribuente – è fondamentale conoscere i propri diritti, le norme applicabili e le strategie di difesa a disposizione.

Questa guida, aggiornata a settembre 2025, offre un’analisi approfondita di come affrontare un accertamento fiscale italiano nei confronti di un soggetto formalmente residente in Germania. Adottando un linguaggio tecnico-giuridico ma al contempo divulgativo, la trattazione esamina il problema dal punto di vista del contribuente (debitore) e fornisce indicazioni operative utili sia a professionisti del diritto tributario (avvocati, commercialisti) sia a privati cittadini e imprenditori coinvolti in casi simili. I principali temi affrontati includono:

  • Criteri di residenza fiscale in Italia e in Germania e relative definizioni legali aggiornate (inclusa la riforma italiana del 2024). Verranno chiariti gli elementi che determinano la residenza fiscale di una persona fisica secondo la normativa italiana, con particolare attenzione al ruolo dell’iscrizione all’AIRE e alle regole della Convenzione Italia-Germania contro le doppie imposizioni.
  • Cause tipiche di accertamento per gli espatriati: verranno illustrate le circostanze che possono indurre l’Agenzia delle Entrate ad avviare controlli su un italiano residente in Germania (ad esempio segnalazioni del monitoraggio fiscale su attività estere, applicazione di metodi di accertamento sintetico come il redditometro, risultati di indagini finanziarie o scambi di informazioni internazionali).
  • Procedura di accertamento e notifica all’estero: come si svolge un accertamento fiscale in questi casi, quali sono le fasi (dalla verifica iniziale alla notifica dell’atto) e le modalità con cui un avviso di accertamento può essere notificato ad un contribuente all’estero (anche alla luce della giurisprudenza recente, es. Cass. 22838/2025 sulla notifica via AIRE ). Saranno evidenziati i termini per agire, per evitare decadenze e salvaguardare il diritto di difesa.
  • Strategie difensive e onere della prova: quali prove presentare per dimostrare l’effettiva residenza in Germania e confutare la pretesa del Fisco italiano. Si discuterà di come documentare il trasferimento all’estero (contratti di lavoro, locazione, bollette, conti bancari, legami familiari) e di come valorizzare a proprio favore le disposizioni della convenzione internazionale. Saranno richiamate le pronunce giurisprudenziali più recenti (Corti di Giustizia Tributaria e Corte di Cassazione fino al 2025) che chiariscono l’interpretazione dei criteri di residenza (ad es. Cass. 28072/2023 sull’irrilevanza, da sola, dell’iscrizione AIRE e Cass. 27278/2023 sull’applicazione delle convenzioni internazionali ).
  • Impugnazione dell’accertamento e strumenti deflattivi: come impostare un ricorso tributario efficace, con i motivi di impugnazione più adatti nel caso di contestazione della residenza fiscale. Saranno forniti esempi pratici di argomentazioni difensive e indicati i principali istituti deflattivi del contenzioso utilizzabili (dal ravvedimento operoso alla definizione agevolata tramite accertamento con adesione, acquiescenza, eventuale mediazione e conciliazione giudiziale), evidenziandone vantaggi e limiti. Una tabella riepilogativa permetterà di confrontare le opzioni in termini di riduzione delle sanzioni.
  • Domande frequenti (FAQ): una sezione dedicata a chiarire i dubbi più comuni. Ad esempio: “Sono iscritto all’AIRE in Germania: l’Italia può tassarmi lo stesso?”, “Quali fattori possono farmi considerare residente in Italia anche se vivo in Germania?”, “Come evita la doppia imposizione la convenzione Italia-Germania?”, “Che succede se non presento la dichiarazione dei redditi in Italia?”, “Quali sanzioni rischio e posso incorrere in reati tributari?”, “Conviene fare ricorso o pagare con lo sconto delle sanzioni?”, ecc.
  • Tabelle riepilogative e casi pratici: saranno inclusi schemi riassuntivi – ad esempio sui criteri di residenza fiscale prima e dopo il 2024, oppure un confronto tra diverse strategie difensive – e brevi simulazioni di casi concreti (come l’iter di un accertamento tipo e il suo possibile esito). Questi ausili aiutano a contestualizzare i concetti e offrire un riferimento rapido.

Tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate durante la guida sono elencate in fondo, per permettere ulteriori approfondimenti su ciascun aspetto. Si raccomanda di prestare massima attenzione ai termini procedurali – spesso molto stringenti – e di attivarsi tempestivamente in caso di accertamento: con le giuste azioni e le prove adeguate, è possibile difendere la propria posizione ed evitare una doppia imposizione illegittima.

Di seguito, iniziamo dai fondamenti: come viene determinata la residenza fiscale di una persona fisica secondo la legge italiana e secondo la Convenzione Italia-Germania, e perché anche chi vive in Germania potrebbe essere ancora considerato residente fiscale in Italia se non ha interrotto certi legami.

Residenza fiscale: criteri legali in Italia e convenzione con la Germania

Per contestare efficacemente un accertamento basato sulla presunta residenza in Italia, è essenziale capire in base a quali criteri la legge italiana determina la residenza fiscale delle persone fisiche, e come questi criteri interagiscono con le regole internazionali previste dalla convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Germania. In questa sezione esamineremo dapprima la normativa interna italiana (soggetta a una recente riforma nel 2024) e il valore dell’iscrizione all’AIRE, quindi illustreremo i meccanismi della Convenzione italo-tedesca in materia di residenza e doppia imposizione. Infine, tratteremo brevemente il concetto di esterovestizione, ovvero il trasferimento fittizio della residenza all’estero, per capire quando si applicano presunzioni anti-evasione e quando no (dato che la Germania non rientra nei paradisi fiscali, ma certe considerazioni restano valide).

Criteri di residenza fiscale secondo la legge italiana (art. 2 TUIR)

Il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR, D.P.R. 917/1986) all’art. 2, comma 2, stabilisce i criteri in base ai quali una persona fisica è considerata fiscalmente residente in Italia. Fino al 31 dicembre 2023 tali criteri erano i seguenti: un individuo è residente fiscale in Italia se, per più di metà dell’anno (183 giorni, anche non consecutivi), soddisfa almeno una di queste condizioni alternativamente :

  • Iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente in un Comune italiano (residenza anagrafica in Italia).
  • Residenza civilistica in Italia, intesa ai sensi dell’art. 43 comma 2 del Codice Civile come la dimora abituale della persona.
  • Domicilio civilistico in Italia, inteso ai sensi dell’art. 43 comma 1 c.c. come la sede principale degli affari e interessi della persona (cioè il centro dei legami personali ed economici).

La presenza di anche uno solo di questi legami sostanziali con il territorio italiano, protratta per oltre metà dell’anno d’imposta, determinava la residenza fiscale italiana. In pratica, fino al 2023 la normativa concentrava l’attenzione su elementi come l’iscrizione anagrafica o il mantenimento di abitazione e interessi in Italia, e li considerava determinanti. Ad esempio, una persona formalmente ancora iscritta all’anagrafe italiana era generalmente ritenuta residente, anche se di fatto viveva all’estero, a meno che non provasse il contrario: in giurisprudenza si parlava infatti dell’iscrizione anagrafica in Italia come di una sorta di presunzione quasi “assoluta” di residenza .

Dal 1° gennaio 2024 è entrata in vigore una riforma significativa di questi criteri, introdotta dal D.Lgs. 29 dicembre 2023 n. 209 in attuazione della delega per la riforma fiscale. Le modifiche mirano a rendere la nozione di residenza fiscale più aderente alla prassi internazionale e alle convenzioni contro le doppie imposizioni, privilegiando la sostanza rispetto alla forma . In sintesi, le novità principali per le persone fisiche sono:

  • È stato introdotto esplicitamente un nuovo criterio della “presenza fisica” sul territorio: chi permane in Italia per più di 183 giorni nell’anno (anche non consecutivi) è considerato residente fiscale, indipendentemente dall’iscrizione anagrafica . Dunque la presenza effettiva, anche frazionata, acquisisce rilevanza autonoma.
  • L’iscrizione anagrafica in Italia ha perso il carattere di presunzione quasi assoluta: diviene ora una presunzione relativa, quindi un importante indizio di residenza ma superabile con prova contraria da parte del contribuente . Chi risulta iscritto in anagrafe può dimostrare di aver in realtà spostato altrove il proprio centro di vita, evitando così la residenza fiscale italiana nonostante la formalità anagrafica.
  • La nozione di domicilio fiscale è stata affinata, chiarendo che rileva soprattutto il luogo delle principali relazioni personali e familiari (oltre che economiche) del contribuente . Si distingue quindi in modo più netto il domicilio (legato ai legami personali/economici duraturi) dalla residenza intesa come dimora quotidiana.
  • Resta fermo il criterio della residenza civilistica (dimora abituale) in Italia come elemento sufficiente a configurare la residenza fiscale, così come previsto in precedenza. In aggiunta, viene confermato che per il calcolo dei 183 giorni si sommano periodi anche non consecutivi durante l’anno .

Quindi dal 2024 in poi la legge italiana adotta quattro criteri di collegamento alternativi (tutti riferiti ad almeno 183 giorni l’anno): (1) iscrizione anagrafica in Italia (presunzione semplice), (2) domicilio principale in Italia (centro degli interessi personali, familiari ed economici), (3) residenza civilistica in Italia (dimora abituale) o (4) presenza fisica in Italia . In pratica, viene enfatizzata la sostanza: conta dove la persona effettivamente vive, lavora e ha la famiglia per la maggior parte dell’anno, più che il dato formale della residenza anagrafica . Quest’ultima, da sola, diviene un indizio che il contribuente può confutare dimostrando di non aver né la residenza né il domicilio in Italia in senso effettivo. Viceversa, anche chi si è cancellato dall’anagrafe italiana (iscrivendosi all’estero) non è automaticamente al riparo da contestazioni: bisogna guardare ai fatti concreti.

Va sottolineato che, nonostante la riforma, per gli anni fino al 2023 si applicano ancora i vecchi criteri. Pertanto, se un accertamento riguarda annualità precedenti al 2024, i giudizi in merito alla residenza fiscale verranno formulati alla luce delle regole previgenti (criteri alternativi di iscrizione, domicilio o residenza per oltre metà anno). Tuttavia, la giurisprudenza già da tempo tendeva a privilegiare un’interpretazione sostanzialistica di tali criteri, come vedremo tra poco a proposito dell’iscrizione AIRE e del concetto di “centro degli interessi vitali”.

Iscrizione all’AIRE: valore dichiarativo e limiti probatori

Un elemento cruciale nelle controversie sulla residenza fiscale è l’iscrizione all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero). Si tratta dell’adempimento obbligatorio, previsto dalla Legge 27 ottobre 1988 n. 470, per i cittadini italiani che trasferiscono la residenza all’estero per periodi superiori a 12 mesi. L’iscrizione all’AIRE comporta la cancellazione dall’anagrafe comunale in Italia e costituisce condizione essenziale per non essere più considerati residenti in Italia ai fini civilistici. In altre parole, un italiano che si trasferisce fuori dal territorio nazionale dovrebbe iscriversi all’AIRE per formalizzare il cambio di residenza.

Tuttavia, è fondamentale chiarire il peso effettivo di questa iscrizione sul piano fiscale. La giurisprudenza ha ripetutamente affermato che l’iscrizione all’AIRE ha valore soltanto dichiarativo e non costitutivo della residenza fiscale all’estero . Ciò significa che, da sola, l’iscrizione (o la mancata iscrizione) all’AIRE non determina in modo assoluto lo status fiscale: conta la situazione di fatto.

In passato, la mancata iscrizione all’AIRE (cioè rimanere iscritti in Italia) era considerata dalla Cassazione un elemento praticamente decisivo: fino a pochi anni fa la Suprema Corte riteneva che chi risultava residente nelle anagrafi italiane dovesse considerarsi residente fiscale in Italia in automatico, senza possibilità di prova contraria. Questa visione si è evoluta e, come visto, la legge stessa l’ha superata nel 2024 declassando l’iscrizione anagrafica a presunzione relativa. D’altro canto, anche l’iscrizione all’AIRE non garantisce in modo definitivo l’assenza di residenza fiscale italiana: se emergono legami sostanziali con l’Italia, il Fisco e i giudici possono considerare la persona comunque residente in Italia, iscrizione AIRE o meno.

La Corte di Cassazione ha più volte ribadito questo principio. Ad esempio, con la recente sentenza n. 28072 del 5/10/2023, ha affermato che la semplice iscrizione all’AIRE “non è elemento determinante per escludere la residenza fiscale nello Stato”, dovendosi verificare in concreto dove il contribuente abbia stabilito il centro effettivo dei propri affari ed interessi . In altri termini, l’iscrizione all’AIRE è una condizione necessaria per rivendicare la residenza estera, ma non sufficiente. Ciò che conta è se la persona, pur risultando all’estero, continua di fatto ad avere in Italia il fulcro dei propri legami familiari, sociali o economici.

Esempio: Un contribuente italiano si trasferisce in Germania e si iscrive regolarmente all’AIRE. Tuttavia, mantiene in Italia la propria casa di proprietà (lasciandola vuota a sua disposizione) e la moglie con i figli restano a vivere in Italia; inoltre continua ad essere amministratore di una società italiana. In una situazione del genere, l’Agenzia delle Entrate potrebbe sostenere che il centro degli interessi vitali di quella persona è ancora in Italia, e quindi tassarlo come residente “di fatto”, nonostante la formale iscrizione all’estero. In effetti, avere la famiglia in Italia, un’abitazione disponibile e incarichi economici sul territorio nazionale sono considerati indizi forti di residenza in Italia . La Cassazione ha confermato in più occasioni che elementi come questi prevalgono sulle risultanze anagrafiche: se il cuore della vita personale ed economica batte in Italia, l’iscrizione AIRE da sola non salva il contribuente dall’essere considerato fiscalmente residente .

Viceversa, se un contribuente non si è iscritto all’AIRE ma può provare di aver vissuto stabilmente all’estero, potrebbe comunque far valere l’effettività del trasferimento. È però una strada in salita: la mancata iscrizione è un forte indizio a favore del Fisco. In un caso del 2025, ad esempio, la Cassazione ha ritenuto legittimo l’accertamento contro un italiano emigrato nel Regno Unito che non aveva effettuato l’iscrizione AIRE; nemmeno il certificato di residenza rilasciato dall’autorità britannica è bastato, da solo, a prevalere sulle evidenze che legavano il contribuente all’Italia (residenza anagrafica mai cancellata, cariche in enti italiani, etc.) . Il principio affermato è che gli elementi di fatto prevalgono sulle certificazioni formali: quindi se il contribuente lascia tracce significative di sé in Italia, l’Agenzia può contestare la residenza estera anche in presenza di documenti ufficiali di un altro Stato .

Riassumendo, l’iscrizione all’AIRE è necessaria ma non sufficiente per essere considerati non residenti in Italia. Occorre accompagnarla da un reale trasferimento all’estero del proprio domicilio e/o residenza. Nel seguito, vedremo quali prove presentare in concreto. Prima però, un cenno a una particolare norma anti-evasione che riguarda i trasferimenti verso Paesi a bassa fiscalità, e perché nel caso della Germania essa non si applica.

Trasferimenti fittizi ed esterovestizione: la presunzione anti-evasione (non applicabile alla Germania)

Per tutelare l’Erario da “espatri di comodo”, ossia trasferimenti fittizi della residenza verso Stati a fiscalità privilegiata, l’ordinamento italiano prevede una disposizione specifica: l’art. 2, comma 2-bis del TUIR. Introdotta nel 1990 e rafforzata nel 2008, tale norma stabilisce che “si considerano residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dall’anagrafe della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori diversi da quelli individuati con decreto del MEF”. In pratica, quando un cittadino italiano trasloca in un Paese a fiscalità privilegiata (ovvero non incluso nella cosiddetta white list del Ministero delle Finanze), scatta una presunzione legale relativa: il contribuente è presunto comunque residente in Italia, a meno che dimostri il contrario .

Questa presunzione inverte l’onere della prova: spetta al cittadino provare di aver davvero stabilito la propria residenza all’estero in modo stabile. Le prove richieste sono stringenti; la semplice documentazione formale (iscrizione AIRE, documenti d’identità esteri, disponibilità di un appartamento all’estero, ecc.) di norma non basta a vincere la presunzione . Servono riscontri fattuali solidi, come la presenza effettiva all’estero, l’assenza di interessi in Italia, ecc., come confermato anche da Cassazione (es. ord. n. 1292 del 20/01/2025) . Questa disciplina è spesso applicata nei casi classici di trasferimenti in paradisi fiscali (Svizzera fino a pochi anni fa, Montecarlo, vari paesi extra-UE a tassazione nulla o molto bassa).

Attenzione: la Germania non rientra tra gli Stati a fiscalità privilegiata. Si tratta infatti di un Paese UE con un livello di tassazione comparabile a quello italiano e certamente inserito nella white list. Di conseguenza, il trasferimento di residenza in Germania non fa scattare l’automatica presunzione di residenza in Italia ex art. 2 comma 2-bis TUIR. Questo è un punto a favore del contribuente: diversamente da chi si trasferisce, ad esempio, a Montecarlo o a Dubai, l’italiano emigrato in Germania non parte con una presunzione legale contro di sé. L’Agenzia delle Entrate, per tassarlo in Italia, dovrà quindi dimostrare concretamente che egli non ha davvero spostato all’estero il proprio centro di vita, anziché limitarsi ad invocare la presunzione anti-paradisi fiscali.

Ciò non significa che tali accertamenti siano meno insidiosi: semplicemente il contesto probatorio è diverso. In assenza di una presunzione legale, valgono i criteri generali di cui sopra e l’onere della prova in giudizio tende ad essere ripartito in base alle allegazioni di ciascuna parte. In genere, il Fisco dovrà presentare indizi che il contribuente risiede ancora in Italia; il contribuente, dal canto suo, dovrà fornire la prova contraria della propria effettiva residenza in Germania. La giurisprudenza tributaria richiede un’analisi complessiva di tutti gli elementi disponibili, senza automatismi.

Possiamo quindi distinguere due situazioni:

  • Trasferimento in Paese “black list” (paradiso fiscale): scatta la presunzione di residenza in Italia ex art. 2 c.2-bis TUIR; il contribuente è considerato residente italiano fino a prova contraria. Esempio: un italiano trasferito a Montecarlo è presunto residente fiscale in Italia e deve provare lui di vivere stabilmente nel Principato .
  • Trasferimento in Paese “white list” (es. Germania): non si applica la presunzione; valgono solo i criteri ordinari (giorni di presenza, domicilio, residenza, ecc.). L’Agenzia delle Entrate, se intende tassare, dovrà dimostrare che almeno uno dei criteri di residenza in Italia è soddisfatto (>183 giorni) malgrado il trasferimento all’estero, oppure che il centro degli interessi vitali è rimasto in Italia. Il contribuente, per difendersi, evidenzierà invece il rispetto dei criteri di residenza in Germania e l’assenza di legami prevalenti con l’Italia.

Un fenomeno collegato è la cosiddetta esterovestizione: termine usato soprattutto per le società che simulano una sede all’estero pur essendo di fatto gestite dall’Italia. L’esterovestizione societaria è contrastata da specifiche norme (art. 73 comma 5-bis TUIR) che considerano residenti in Italia, salvo prova contraria, le società controllate da soggetti italiani e localizzate in paradisi fiscali. Nel nostro contesto ci interessa però l’esterovestizione delle persone fisiche, che si traduce appunto nel fingere una residenza estera. Quanto visto sopra (criteri ordinari e presunzioni anti-abuso) serve proprio a individuare e colpire queste situazioni. Se un imprenditore italiano apre una società in Germania ma la gestisce interamente dall’Italia, l’Agenzia potrebbe contestare la residenza italiana sia dell’imprenditore che della società (anche se, ripetiamo, la Germania non è paradiso fiscale, quindi per la società varranno solo criteri di gestione effettiva, e per la persona fisica i criteri di cui abbiamo parlato).

In sintesi, per le persone fisiche l’Italia adotta un duplice approccio: criteri generali validi per tutti, e una presunzione ad hoc per i trasferimenti verso paradisi fiscali (non applicabile alla Germania). Questa cornice giuridica consente all’Agenzia delle Entrate di accertare un soggetto come residente “di fatto” in Italia nonostante la residenza formale in Germania, qualora ritenga che i legami con l’Italia siano rimasti prevalenti. Nel prosieguo vedremo come il contribuente possa difendersi in tali frangenti. Prima, però, esaminiamo brevemente come funziona un accertamento fiscale di questo tipo: come il Fisco individua i casi sospetti, quali strumenti usa per raccogliere informazioni e come avviene la notifica di un avviso all’estero.

Come e perché l’Agenzia delle Entrate avvia un accertamento verso residenti esteri

Un accertamento fiscale nei confronti di un italiano residente all’estero prende spesso le mosse da specifici indicatori di anomalia o di rischio fiscale. Comprendere le cause che possono innescare un controllo aiuta sia a prevenire problemi, sia a preparare adeguatamente la difesa. In questa sezione analizziamo le principali circostanze e strumenti che portano l’Amministrazione finanziaria italiana a contestare la residenza fiscale di un soggetto emigrato:

  • Obblighi di monitoraggio fiscale e dati finanziari esteri: omissioni nel quadro RW o segnalazioni su conti esteri.
  • Indici di spesa e tenore di vita (redditometro) che non tornano rispetto ai redditi dichiarati (o non dichiarati) in Italia.
  • Scambio automatico di informazioni tra Italia e Germania (e altri Paesi) su conti correnti, investimenti e redditi, in base ad accordi internazionali e norme UE.
  • Indagini finanziarie e bancarie condotte dalla Guardia di Finanza o dall’Agenzia su beni e flussi riconducibili al contribuente in Italia.
  • Presenza di beni o famiglia in Italia: ad esempio immobili posseduti, auto, società partecipate, che fanno presumere un mantenimento di interessi nel Paese.
  • Segnalazioni incrociate: ad esempio se il contribuente risulta non aver presentato la dichiarazione dei redditi in Italia pur avendo codice fiscale italiano e magari qualche reddito di fonte italiana (cedolare su affitti, ecc.), o se emergono discrepanze tra le banche dati.

Vediamoli uno per uno più in dettaglio, per poi descrivere come si svolge la procedura di accertamento vera e propria e come avviene la notifica dell’atto al contribuente in Germania.

Monitoraggio fiscale e omessa dichiarazione di redditi esteri

L’Italia impone ai propri residenti fiscali un esteso obbligo di monitoraggio dei patrimoni esteri. In particolare, chi è residente in Italia deve indicare nel cosiddetto Quadro RW della dichiarazione dei redditi gli investimenti e le attività finanziarie detenute all’estero (conti correnti, titoli, partecipazioni, immobili, ecc.), oltre a dichiarare i redditi finanziari derivanti da tali attività. La mancata compilazione del quadro RW è considerata una violazione seria, punita con sanzioni amministrative pesanti (dal 3% al 15% degli importi non dichiarati, che sale dal 6% al 30% se le attività si trovano in Stati black list).

Un italiano trasferito in Germania, se considera se stesso non residente in Italia, in genere smette di presentare la dichiarazione dei redditi in Italia (salvo eventuali redditi prodotti ancora in Italia) e dunque non compila più alcun quadro RW. Ciò è corretto solo se in effetti il soggetto non è più fiscalmente residente in Italia. Se invece, secondo l’Agenzia delle Entrate, quella persona avrebbe dovuto considerarsi ancora residente in Italia in uno o più anni (ad esempio perché non si era iscritta all’AIRE e manteneva legami in patria), allora il fatto di non aver presentato la dichiarazione dei redditi per quegli anni costituisce un’infrazione: precisamente una omessa dichiarazione (reato potenziale se l’imposta evasa supera €50.000 per anno ) e un’omissione di monitoraggio per le attività estere.

Spesso dunque l’Agenzia delle Entrate avvia l’accertamento dopo aver rilevato che un soggetto, formalmente presente nelle anagrafi italiane per un certo anno, non ha presentato la dichiarazione dei redditi oppure non ha compilato RW nonostante risultino attività estere a lui riconducibili. Tali informazioni possono provenire da:

  • Archivio dei rapporti finanziari: l’anagrafe tributaria italiana raccoglie dati sui conti bancari e finanziari. Se una persona risulta residente e ha movimenti da/verso l’estero, ciò può far scattare verifiche.
  • Scambio automatico di informazioni (sistema CRS/DAC2): dal 2017, i Paesi UE (e molti extra-UE) si scambiano ogni anno dati sui conti finanziari detenuti da residenti degli altri Paesi. Se una banca tedesca ha segnalato il conto di un cliente con residenza fiscale indicata in Italia, l’Agenzia italiana riceverà i dati (saldo, interessi, dividendi, ecc.). Per contro, se la banca estera era informata che il cliente è residente in Germania, in teoria i dati vanno all’amministrazione tedesca; tuttavia, se in Italia il soggetto figurava ancora residente in quell’anno (magari perché non AIRE), potrebbero esserci comunicazioni errate incrociate. In ogni caso, l’Agenzia può accorgersi che quella persona possedeva cospicue somme all’estero non dichiarate in Italia.
  • Scambio di informazioni su richiesta: al di fuori dell’automatico, le autorità italiane possono sempre chiedere alle omologhe estere (in base alle norme convenzionali) informazioni specifiche su un contribuente, ad esempio i redditi di lavoro percepiti in Germania, per verificare se sono stati tassati correttamente.
  • Database immobiliari: se Tizio ha acquistato un immobile in Germania e in Italia risulta con reddito zero e nessuna dichiarazione, questo squilibrio può insospettire il Fisco, che potrebbe voler verificare se Tizio fosse davvero non residente (e con quali fondi ha comprato all’estero).

Quando emergono queste discrepanze, l’Agenzia può avviare un controllo formale o delegare accertamenti alla Guardia di Finanza. Un tipico caso è quello dell’accertamento da quadro RW: ad esempio, la Cassazione nel 2023 ha esaminato il caso di un contribuente che sosteneva di risiedere in Spagna ma aveva conti per milioni di euro a San Marino e Lussemburgo non dichiarati in RW; l’Agenzia gli contestò sia sanzioni sul monitoraggio, sia le imposte evase sul capitale trasferito, ritenendolo residente in Italia . Questo per dire che ingenti attività finanziarie all’estero non dichiarate sono uno dei campanelli d’allarme principali.

Se il contribuente non aveva presentato affatto la dichiarazione (convinto di non doverlo fare perché all’estero), l’Agenzia può procedere con un accertamento d’ufficio per omessa dichiarazione, ricostruendo il reddito imponibile sulla base delle evidenze raccolte (ad esempio accrediti su conti, investimenti, acquisti di beni, ecc.). I termini per notificare un accertamento in caso di omessa dichiarazione sono più lunghi: fino al 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata . Ad esempio, per il 2018 (dichiarazione 2019 omessa) il termine è il 31/12/2025. Se invece una dichiarazione è stata presentata ma incompleta, il termine normale è di 5 anni. La presenza di attività estere occultate un tempo faceva scattare un raddoppio dei termini, ma la giurisprudenza ne ha limitato l’applicazione negli ultimi anni.

In breve, l’omessa dichiarazione di redditi esteri e di attività finanziarie è il tipico scenario contestato: l’Agenzia accerta e recupera le imposte come se il soggetto fosse residente italiano, applicando le relative sanzioni (imposte evase con soprattasse dal 120% al 240% per omessa dichiarazione, più sanzioni fisse per RW).

Disallineamento redditi-spese: accertamento sintetico (redditometro)

Un altro strumento utilizzato dal Fisco è l’accertamento sintetico del reddito in base alle spese e al tenore di vita (il cosiddetto “redditometro”). Questo metodo, previsto dall’art. 38 del D.P.R. 600/1973, consente all’Amministrazione di determinare indirettamente il reddito di un contribuente sulla base di indicatori di capacità di spesa: proprietà di case, automobili, barche, spese per viaggi, scuole, ecc. Se il reddito presunto calcolato tramite questi indici supera di oltre il 20% il reddito dichiarato, scatta la presunzione di maggior reddito imponibile, salvo prova contraria.

Nel caso di un soggetto che non ha presentato dichiarazione in Italia (ritenendo di essere all’estero), il redditometro può essere usato per evidenziare che egli sosteneva spese in Italia incompatibili con la mancanza di reddito dichiarato. Ad esempio, se una persona formalmente “nullatenente” in Italia risulta aver sostenuto elevati costi per ristrutturare una casa in Italia, o possiede un’auto di lusso con relative spese, l’Agenzia potrebbe arguire che costui disponeva in realtà di redditi non dichiarati, presumibilmente prodotti all’estero ma imponibili in Italia in quanto residente.

Chiaramente, per applicare il redditometro bisogna prima considerare il contribuente come residente. Dunque tipicamente l’Agenzia fa due passaggi: prima contesta la residenza fiscale italiana (adducendo i criteri legali visti sopra), poi – una volta assunto che la persona era residente – applica l’accertamento sintetico per determinare i redditi evasi. Negli ultimi anni il redditometro è stato oggetto di revisione e in parte sospeso in attesa di nuovi decreti attuativi; tuttavia per annualità pregresse continua ad essere utilizzato in sede di contenzioso.

Un case study ipotetico: Mario si trasferisce in Germania nel 2019 ma non si iscrive subito all’AIRE; nel frattempo in Italia acquista un appartamento nel 2020 e lo ristruttura spendendo 100.000€. Non avendo presentato dichiarazioni in Italia, l’Agenzia indaga su come abbia finanziato tali spese. Se scopre che Mario aveva redditi di lavoro in Germania per importi significativi, può sostenere che quei redditi andavano dichiarati in Italia (ritenendolo ancora residente nel 2020) e può stimare il reddito non dichiarato anche in base alle spese sostenute. Mario potrebbe difendersi mostrando che in realtà in quell’anno era residente tedesco secondo convenzione, ma la presenza di quella spesa in Italia complica la sua posizione perché evidenzia un legame economico con l’Italia in quell’anno.

In sintesi, mantenere un elevato tenore di vita in Italia (beni di lusso, immobili, ecc.) mentre si sostiene di essere emigrati può facilmente attirare l’attenzione del Fisco. È importante quindi, per chi trasferisce la residenza all’estero, fare in modo di allineare la propria presenza economica: se davvero non è più residente, idealmente non dovrebbe risultare come persona con ingenti consumi o investimenti in Italia senza fonti reddituali nel Paese.

Indagini finanziarie e scambio di informazioni Italia-Germania

La Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Entrate hanno ampi poteri di indagine finanziaria. Possono ad esempio ottenere dai fornitori di servizi (banche, intermediari, operatori telefonici, gestori di utenze) una serie di informazioni sui contribuenti oggetto di verifica. Nel contesto di una residenza estera contestata, alcuni ambiti di indagine tipici sono:

  • Conti correnti italiani: se il contribuente ha mantenuto conti bancari in Italia, l’Agenzia può esaminarne i movimenti. Accrediti di somme provenienti dall’estero con una certa frequenza potrebbero indicare redditi esteri trasferiti. Ad esempio, bonifici mensili dalla Germania all’Italia potrebbero essere interpretati come stipendi o redditi che l’individuo spostava sul proprio conto italiano per utilizzo. Oppure, elevate spese con carta di credito in Italia indicano frequente presenza fisica e spesa nel territorio.
  • Conti esteri: grazie al citato scambio automatico CRS, l’Italia riceve dati su conti detenuti da soggetti di origine italiana in Germania. Se la persona non li ha dichiarati (presupponendo di essere non residente) ma l’Italia la considera residente, quei conti diventano prova di evasione. Va detto che tra Italia e Germania c’è cooperazione fiscale piena: oltre al CRS, esiste la Convenzione bilaterale che prevede lo scambio di informazioni su richiesta (art. 26 OCSE Model), e dal 2020 anche la direttiva DAC7 per lo scambio di informazioni su redditi digitali, ecc. In pratica, è difficile oggi nascondere al Fisco italiano l’esistenza di patrimoni finanziari in Germania se l’Agenzia vi presta attenzione.
  • Acquisti immobiliari o di beni durevoli in Italia: come già accennato, l’Agenzia può incrociare i dati notarili (acquisti casa, auto di grossa cilindrata, barche) con le dichiarazioni. Un acquisto importante da parte di un soggetto formalmente emigrato può far partire un controllo, con richiesta di spiegazioni sulla provenienza dei fondi. Se si scopre che quei fondi derivano da redditi di lavoro in Germania, scatta la questione della residenza e doppia imposizione.
  • Utenze domestiche e consumi: i dati sulle utenze (bollette elettricità, gas, acqua, telefono) possono svelare se un’abitazione in Italia è utilizzata e da chi. Se il contribuente ha mantenuto una casa in Italia con consumi elevati, e magari risultano pagamenti effettuati da lui, l’Agenzia può dedurne che egli trascorre molto tempo in Italia, contraddicendo l’asserita residenza all’estero.

Un ulteriore strumento è il Questionario: l’Agenzia spesso invia ai contribuenti (anche all’estero, via PEC o raccomandata) un questionario con richiesta di informazioni, ad esempio “indicare se e dal quale anno risiede all’estero, copia iscrizione AIRE, attività lavorativa svolta in Germania, dettagli dei redditi percepiti e delle imposte pagate all’estero, indicazione dei conti bancari esteri, etc.”. È importante rispondere con attenzione a tali questionari, preferibilmente con l’assistenza di un professionista, perché le risposte (o la mancata risposta) potranno poi essere utilizzate dall’Ufficio per l’accertamento.

In definitiva, l’Agenzia delle Entrate può ricorrere a un ampio ventaglio di informazioni per individuare chi, pur dichiarandosi emigrato, mantiene di fatto una presenza economica/fiscale in Italia. L’evoluzione degli accordi internazionali (FATCA, CRS, convenzioni bilaterali) ha reso molto più trasparente la situazione finanziaria transfrontaliera: oggi Italia e Germania si scambiano regolarmente dati sui contribuenti, riducendo di molto lo spazio per nascondere redditi o patrimoni da un fisco o dall’altro.

Notifica dell’avviso di accertamento all’estero

Quando l’Agenzia delle Entrate, sulla base degli elementi raccolti, decide di emettere un avviso di accertamento nei confronti del contribuente residente in Germania, sorge la questione di come notificare validamente questo atto all’estero. La notifica è un passaggio fondamentale: da essa decorrono i termini per impugnare (60 giorni in genere) e un vizio di notifica può invalidare l’atto se il contribuente non ne è venuto a conoscenza tempestivamente.

La notifica di atti tributari a soggetti residenti fuori d’Italia è disciplinata dall’art. 60 del D.P.R. 600/1973. Nel 2010 sono state introdotte semplificazioni per evitare di dover coinvolgere l’autorità diplomatica. Oggi, se il contribuente è iscritto all’AIRE, la notifica può avvenire direttamente tramite posta raccomandata all’indirizzo estero risultante dall’AIRE . In pratica l’Ufficio invia l’atto con raccomandata internazionale con avviso di ricevimento all’indirizzo che il contribuente ha dichiarato quando si è registrato all’AIRE.

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 22838/2025 ha confermato la piena validità di questa modalità . Se il plico raccomandato non viene consegnato perché il destinatario è assente e non lo ritira entro i termini di giacenza, la notifica si considera comunque perfezionata per “compiuta giacenza” allo scadere del periodo di giacenza presso l’ufficio postale . In altre parole, la lettera raccomandata inviata all’indirizzo AIRE vale come notifica anche se il contribuente non la ritira (magari perché ha cambiato indirizzo e non aggiornato l’AIRE, o perché trascurato).

La Cassazione ha respinto le eccezioni di un contribuente che sosteneva l’irregolarità di tale notifica (egli lamentava di aver saputo tardi dell’atto), ritenendo che l’Amministrazione avesse legittimamente confidato nell’indirizzo fornito dal cittadino stesso . Ha anche chiarito che non è necessario tentare la notifica tramite messo comunale o autorità consolare se quella postale è andata a buon fine (non serve attivare ulteriori ricerche salvo irreperibilità assoluta) .

Nota: È quindi fondamentale mantenere aggiornato il proprio indirizzo AIRE e assicurarsi di poter ricevere la corrispondenza. Se ad esempio ci si trasferisce in una nuova abitazione in Germania, bisogna comunicare la variazione all’ufficio consolare (AIRE). In alternativa, si può eleggere domicilio presso un difensore di fiducia in Italia per le eventuali notifiche (indicandolo nelle prime comunicazioni all’Ufficio): in tal caso l’Agenzia notificherà lì. Ignorare un avviso di accertamento spedito all’estero può avere conseguenze gravi, perché i termini per reagire decorrono comunque dalla data di notifica legale (compiuta giacenza), anche se il contribuente non ne era effettivamente a conoscenza .

Se il contribuente non è iscritto all’AIRE (ad esempio, è ancora registrato in Italia malgrado viva in Germania), l’Agenzia notificherà l’atto secondo le regole ordinarie sul suo ultimo domicilio noto in Italia – il che potrebbe portare l’atto a mani di un parente o vicino se l’indirizzo non è più abitato. Questa è un’ulteriore ragione per cui è consigliabile regolarizzare l’iscrizione AIRE quando si vive all’estero, così da avere certezza sulle modalità di notifica.

Riassumendo: l’avviso di accertamento verrà inviato di norma con raccomandata internazionale all’indirizzo estero AIRE. Una volta spedito, dall’eventuale compiuta giacenza il contribuente ha 60 giorni (in genere dal 8° giorno successivo all’ultimo giorno di giacenza, per equipararlo alla compiuta giacenza interna) per presentare ricorso. È possibile chiedere accertamento con adesione entro 60 giorni, il che sospende il termine per impugnare e avvia il confronto con l’Ufficio. Vedremo più avanti questi dettagli procedurali.

Ora che abbiamo delineato il contesto – criteri normativi e convenzionali della residenza, cause tipiche di accertamento, strumenti di indagine e notifica – possiamo passare alla parte centrale di questa guida: cosa fare quando arriva un accertamento fiscale dall’Italia e si risiede in Germania. Analizzeremo le possibili strategie di risposta e difesa, dalla fase pre-contenziosa (adesione, chiarimenti) all’eventuale ricorso in Commissione tributaria (ora Corte di Giustizia Tributaria).

Cosa fare in caso di accertamento: primi passi e scelte strategiche

Ricevere un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate mentre si vive in Germania può creare comprensibile apprensione. È però fondamentale mantenere la calma e attivarsi prontamente. In questa sezione esporremo i passi immediati da compiere appena si viene a conoscenza dell’accertamento, nonché le possibili strategie da valutare (adesione, ricorso, ecc.), tenendo conto dei tempi ristretti imposti dalla legge.

Verifica dell’atto e consultazione di un esperto

Non appena si riceve (o si recupera dalla posta) l’avviso di accertamento, occorre innanzitutto verificarne attentamente il contenuto:

  • Identificare l’anno o gli anni d’imposta contestati e gli importi richiesti (imposte, sanzioni, interessi).
  • Comprendere la motivazione dell’atto: nell’accertamento sarà indicato su quali basi l’Agenzia ritiene il contribuente residente in Italia e quali redditi non dichiarati sono stati accertati. Ad esempio, potrebbe citare “mancata dimostrazione della residenza estera, contribuente iscritto APR in Italia” e poi dettagliare redditi esteri assoggettati a tassazione, oppure il possesso di attività non monitorate, etc.
  • Controllare la data di notifica (o perfezionamento) per calcolare esattamente la scadenza entro cui agire. Se c’è una cartolina di ricevimento, fa fede quella data; se è per compiuta giacenza, individuare il termine giacenza e aggiungere i giorni. Di solito, in caso di notifica estera, è prudente considerare comunque 60 giorni dall’effettivo ritiro del plico se avvenuto.

È altamente consigliabile, in questa fase iniziale, contattare un professionista qualificato (un avvocato tributarista o un commercialista esperto in contenzioso internazionale) e sottoporgli l’atto. Data la complessità della materia (normativa interna, convenzione internazionale, giurisprudenza), il supporto tecnico è quasi indispensabile per costruire una difesa solida. Inoltre, un esperto può verificare eventuali vizi formali dell’accertamento (ad esempio, se è stato notificato oltre i termini decadenziali, o se contiene errori di motivazione, ecc.) che potrebbero costituire motivi di nullità.

Valutare i termini: adesione o ricorso?

La legge concede 60 giorni dalla notifica di un avviso di accertamento per presentare ricorso davanti alla Commissione (ora Corte) Tributaria. Tuttavia, se il contribuente intende tentare un accordo con l’Ufficio, può presentare istanza di accertamento con adesione (ai sensi del D.Lgs. 218/1997) prima di fare ricorso. La presentazione dell’istanza di adesione entro 60 giorni sospende automaticamente i termini per impugnare per un periodo di 90 giorni, dando tempo per esaminare insieme all’Agenzia la possibilità di una conciliazione.

Pertanto, una delle prime decisioni strategiche è: conviene attivare la procedura di adesione oppure prepararsi direttamente al ricorso?

Accertamento con adesione: è una procedura deflattiva, volontaria, in cui il contribuente chiede un confronto all’Agenzia per rideterminare consensualmente il contenuto dell’accertamento. I vantaggi sono che, se si raggiunge un accordo, le sanzioni vengono ridotte a 1/3 del minimo previsto e si evita il contenzioso. Inoltre la presentazione dell’istanza congela i termini, dando più tempo per raccogliere documenti e argomentazioni. Di contro, aderire comporta poi il pagamento di quanto concordato (anche a rate, ma con breve dilazione) e la rinuncia al ricorso su quel merito.

In un caso di residenza fiscale contestata, l’adesione può avere senso se: – Il contribuente riconosce che, in effetti, c’erano elementi a suo sfavore e preferisce trovare un compromesso limitando i danni (ad esempio riconoscere una parte dei redditi imponibili in Italia, magari perché alcuni erano effettivamente legati all’Italia, e ottenere sanzioni ridotte). – Oppure se ci sono incertezze probatorie e si teme l’esito di un lungo contenzioso, si può tentare di chiudere subito pagando il giusto (magari convincendo l’Ufficio di alcune prove così da ridurre la pretesa originaria).

Ricorso giudiziale: se invece il contribuente è convinto della propria posizione (ad esempio possiede solide evidenze della residenza in Germania e nessun reddito tassabile in Italia), o se l’Agenzia si mostra inflessibile nelle trattative, la via è predisporre il ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro i termini (tenendo conto di eventuale sospensione da adesione). Il ricorso apre la fase contenziosa, con i tre gradi possibili: Commissione Tributaria di primo grado, di secondo grado, e poi eventualmente ricorso in Cassazione per motivi di diritto.

Va considerato che, presentando ricorso, l’atto non viene sospeso automaticamente nei suoi effetti: tuttavia, poiché trattasi di somme generalmente elevate, si può contestualmente chiedere alla Commissione una sospensiva dell’atto (sospensione cautelare della riscossione) se si dimostra il pericolo di un danno grave dalla esecuzione immediata. L’Agenzia, dal canto suo, non può iscrivere a ruolo le somme prima di 60 giorni dalla notifica, e se c’è ricorso può procedere con la riscossione parziale (di 1/3 delle imposte) dopo quei 60 giorni anche senza attendere il giudizio, salvo appunto sospensiva concessa.

Sintesi operativa: All’arrivo dell’accertamento, subito: 1. Leggere e analizzare l’atto, annotando scadenze.
2. Consultare un esperto per valutare fondatezza della pretesa e vizi.
3. Decidere se presentare istanza di adesione (entro 60 gg) per negoziare. Se sì, predisporla motivando i punti discutibili dell’atto e inviarla (PEC o raccomandata) all’ufficio emittente. Questo darà tempo fino a 90 gg extra.
4. Se niente adesione, preparare il ricorso (attenzione: dal 2023 il processo tributario richiede il deposito telematico tramite PEC o portale SIGIT; se si è all’estero, conviene affidarsi a un domiciliatario in Italia per gestire il deposito). 5. Valutare se chiedere sospensione provvisoria al giudice, per evitare che l’Agenzia inizi a riscuotere (anche se per residenti all’estero la riscossione coattiva non è immediata, potrebbe comunque iscrivere a ruolo e segnalare l’importo a eventuali crediti d’imposta futuri, o attivare procedura estera di recupero in base a accordi UE su crediti tributari).

Controllare la decadenza e altri motivi di nullità

Prima di entrare nel merito, un buon difensore verifica sempre se l’accertamento è stato notificato entro i termini di legge. Come detto, per omessa dichiarazione il termine è il 31 dicembre del 7° anno successivo (ad es. per 2015 era fine 2022, per 2016 fine 2023, ecc.). Se l’avviso fosse arrivato fuori tempo, è nullo per decadenza. Allo stesso modo, se vi sono errori grossolani (ad es. notificato a soggetto deceduto, o atto privo di motivazione sufficiente) possono essere eccezioni procedurali da far valere subito.

Nel caso di residenza fiscale, uno dei motivi di impugnazione può essere anche il difetto di motivazione: la legge (art. 7 dello Statuto del Contribuente, L.212/2000) richiede che l’avviso di accertamento rechi i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche alla base della pretesa. Se l’Ufficio si è limitato a dire “risulti iscritto in anagrafe in Italia, pertanto sei residente” senza valutare le circostanze, oppure “hai percepito redditi esteri non dichiarati” senza considerare il trattato internazionale, si può eccepire che la motivazione è inadeguata.

Supponiamo che l’Agenzia non abbia proprio menzionato la Convenzione Italia-Germania: ciò può essere sottolineato nel ricorso, segnalando che l’Ufficio ha trascurato di applicare l’accordo contro le doppie imposizioni ratificato dall’Italia (che è legge di rango superiore), e ciò vizia l’atto. Comunque, di solito negli accertamenti su residenza l’Agenzia motiva diffusamente, citando magari la normativa interna e affermando che la persona non ha provato il trasferimento effettivo, ecc. Starà alla difesa smontare tali argomenti.

Riassumendo questa fase preliminare: non perdere tempo, fare un check di regolarità formale, e scegliere la strada (accordo o contenzioso) che comporti meno rischi, il tutto con l’ausilio di consulenti. Nel prossimo capitolo entreremo nel vivo delle strategie difensive, illustrando come costruire nel merito la propria posizione per dimostrare la residenza estera e contestare le richieste fiscali italiane.

Strategie difensive: dimostrare la residenza in Germania e contestare la pretesa fiscale

Il fulcro della difesa, in un accertamento basato sulla residenza, consiste nel dimostrare in modo convincente che il contribuente risiedeva davvero in Germania durante gli anni contestati e che, di conseguenza, i redditi oggetto di accertamento non dovevano essere dichiarati in Italia (o in subordine, che l’Italia comunque non li può tassare grazie alla Convenzione bilaterale, per evitare doppia imposizione). In questa sezione elenchiamo le principali linee difensive e le prove utili a supportarle, insieme ai riferimenti normativi e giurisprudenziali che rafforzano ciascun argomento.

Documentare l’effettivo trasferimento all’estero

La prima cosa da fare è raccogliere tutti i documenti e le evidenze che attestino la presenza stabile in Germania e il disinvestimento dall’Italia. A titolo esemplificativo, sono prove a favore della residenza in Germania:

  • Certificato di residenza fiscale in Germania: rilasciato dal Finanzamt tedesco (di solito su richiesta, viene fornito un attestato per fini convenzionali). Questo certificato, magari emesso ai sensi dell’art. 4 della Convenzione Italia-Germania, attesta che la persona era fiscalmente residente in Germania per l’anno X. È un documento importante, ma ricordiamo che non è di per sé risolutivo se l’Agenzia mostra prove contrarie . Resta comunque una base formale su cui costruire la difesa.
  • Iscrizione all’AIRE e relativa documentazione: copia della domanda di iscrizione all’AIRE e della ricevuta di iscrizione con la data (es. “iscritto AIRE dal 10/03/2019, Comune di Milano”). Questo serve a dimostrare che si sono seguiti gli adempimenti di legge per il trasferimento. Se l’iscrizione è avvenuta in ritardo rispetto alla partenza effettiva, si può spiegare il perché (eventuale disguido burocratico, dimenticanza, ecc.), cercando di far leva sul fatto che, sostanzialmente, dall’anno X si viveva fuori.
  • Contratto di lavoro o di attività in Germania: esibire il contratto di lavoro a tempo indeterminato (o determinato) con un’azienda tedesca, oppure l’iscrizione al registro imprese tedesco se autonomo, l’apertura di Partita IVA in Germania, etc., a partire da una certa data. Questo prova che la persona aveva un’occupazione principale in Germania e pagava le imposte lì. Buste paga tedesche, certificati di stipendio annuali (Lohnsteuerbescheinigung) e versamenti previdenziali possono corroborare la continuità lavorativa in loco.
  • Abitazione e vita quotidiana in Germania: presentare il contratto di locazione (Mietvertrag) o l’atto di acquisto di un immobile in Germania, con data di decorrenza, e le bollette intestate (luce, gas, telefono) a proprio nome per quell’abitazione. Ciò indica che il centro degli interessi abitativi era sul territorio tedesco. Anche eventuali certificati di residenza comunale tedeschi (Anmeldung) possono essere utili a dimostrare l’effettivo domicilio lì.
  • Famiglia al seguito: se la famiglia (coniuge, figli) si è trasferita in Germania, portare evidenza di ciò: iscrizioni scolastiche dei figli in Germania, eventuali contratti di lavoro del coniuge in Germania, iscrizione anche loro all’AIRE, etc. Questo è un fattore decisivo perché, come visto, la giurisprudenza dà grande peso alle relazioni personali. Se moglie e figli vivono con il contribuente in Germania, è molto più credibile la residenza effettiva all’estero, mentre se la famiglia fosse rimasta in Italia, l’Agenzia tenderebbe a sostenere che il centro vitale fosse ancora Italia .
  • Cessazione di interessi in Italia: documentare di aver chiuso o ridotto i legami con l’Italia: ad es. aver venduto o affittato a terzi la casa in Italia (se ne aveva una), aver dato disdetta di contratti di utenza in Italia, aver cessato eventuali cariche sociali in società italiane (dimissioni da amministratore, cessione quote). Se qualche interesse in Italia è rimasto, spiegare perché e in che misura. Ad esempio, se si è mantenuta una piccola partecipazione societaria ma senza ruoli attivi, evidenziare che non si svolgeva attività gestionale. Se invece certe cose sono rimaste (es. casa non venduta), mostrare che comunque la si usava pochissimo (es. contratti di fornitura in sospensione, consumi minimi).
  • Movimenti migratori: estratti del passaporto con i timbri d’ingresso/uscita (se rilevanti) o biglietti aerei, carte d’imbarco, che possano mostrare quanto tempo effettivamente si è rimasti in Italia. Questo è più rilevante per paesi extra-Schengen dove i timbri esistono; tra Italia e Germania non c’è controllo frontiera, ma uno può comunque usare altri indizi, come ricevute di pedaggi autostradali, transiti, ecc., ma è più difficile. In ogni caso, se necessario, si possono produrre dichiarazioni testimonali di colleghi o conoscenti che attestino che il soggetto era stabilmente in Germania (nel processo tributario il testimone scritto non vale come prova principale, ma può dare un contesto).

In generale, la difesa deve dipingere un quadro coerente di una vita spostata in Germania a titolo principale. Più elementi si riescono a portare, più si rafforza la tesi che l’Italia non fosse più il centro della propria vita.

Il centro degli interessi vitali: argomento chiave

Come si è visto, la nozione di domicilio fiscale coincide in buona parte con il centro degli interessi vitali del contribuente, concetto elaborato sia dalla normativa interna (art. 43 c.c.) sia dalle convenzioni (art. 4 Modello OCSE). Pertanto, un pilastro della difesa è argomentare che nel periodo in esame il centro degli interessi vitali di Tizio era in Germania, non in Italia.

Questo comporta confrontare i legami con i due Paesi su vari fronti: personali, familiari, economici, sociali. Se ad esempio in Italia era rimasta solo una casa vuota e magari qualche conto bancario con risparmi, mentre in Germania c’era la residenza abituale, la famiglia, il lavoro e la comunità sociale di riferimento, allora il centro vitale era chiaramente in Germania. Bisognerà enfatizzare questi aspetti e magari citare precedenti in cui situazioni simili sono state risolte a favore del contribuente.

Un punto a favore è che la stessa Convenzione Italia-Germania (art. 4, comma 2) stabilisce i criteri per dirimere i casi di doppia residenza: essi riprendono il Modello OCSE e recitano grosso modo: – Se una persona è residente di entrambi gli Stati secondo le rispettive leggi interne, si considera residente dello Stato in cui ha l’abitazione permanente a disposizione; se ne ha una in entrambi, si considera residente dello Stato con cui le sue relazioni personali ed economiche sono più strette (centro degli interessi vitali); se anche questo è indeterminabile, va allo Stato in cui soggiorna abitualmente; se soggiorna in entrambi, allo Stato di cui ha la cittadinanza; in ultima istanza, le autorità competenti si accordano (queste sono le tie-breaker rules standard).

Quindi, se anche per assurdo l’Agenzia sostenesse che Tizio era residente ai sensi interni italiani, ma Tizio risultava pure residente in Germania ai sensi delle regole tedesche, la convenzione darebbe prevalenza al Paese in cui aveva il centro degli interessi. Nel nostro contesto, con le prove suggerite, si vuole dimostrare proprio che Germania è il luogo delle relazioni più strette.

Si può quindi scrivere nel ricorso: “Applicando i criteri convenzionali (Convenzione Italia-Germania ratificata con L. 459/1992, art. 4), il ricorrente deve considerarsi residente in Germania. Egli infatti aveva in Germania la propria abitazione permanente (contratto di locazione a partire dal…), vi svolgeva la propria attività lavorativa e vi intratteneva i rapporti familiari fondamentali (moglie e figli conviventi; figli iscritti nelle scuole locali, come da documenti allegati). Di contro, in Italia non conservava alcuna abitazione a disposizione (l’immobile di proprietà era dato in locazione a terzi dal… oppure era in uso saltuario ai genitori), né vi esercitava attività lavorative (cessata partita IVA italiana dal…, dimissioni da cariche societarie al…). Pertanto, il centro degli interessi vitali non poteva che collocarsi in Germania, con la conseguenza che – in base alla Convenzione – l’Italia non aveva potestà impositiva sui redditi globali del ricorrente per l’anno in oggetto.”

Questo ragionamento è esattamente in linea con i criteri indicati dalla Cassazione nella già citata sentenza 28072/2023: l’iscrizione AIRE da sola non basta, occorre guardare al centro effettivo degli interessi . Se si dimostra che quel centro era all’estero, la residenza fiscale italiana viene meno.

Richiamare la Convenzione Italia-Germania: evitare la doppia imposizione

Oltre ai criteri di residenza, un aspetto fondamentale è l’applicazione della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Germania (conclusa a Bonn il 18/10/1989, ratificata con L. 459/1992 ). Anche qualora – in ipotesi – l’Agenzia sostenesse la residenza italiana, la convenzione può limitare la tassazione su specifiche categorie di reddito.

Ad esempio, se il reddito contestato è uno stipendio da lavoro dipendente in Germania, l’art. 15 della Convenzione (lavoro subordinato) prevede in genere che quel reddito sia tassabile solo nello Stato dove il lavoro è svolto (Germania) se la persona è ivi residente, salvo eccezioni minori. Quindi, la difesa potrebbe argomentare che, anche volendo ignorare la residenza, l’Italia non può tassare quei redditi da lavoro dipendente tedesco se il lavoro non è svolto in Italia e se il contribuente era residente convenzionale in Germania. Oppure che, al massimo, l’Italia avrebbe dovuto dare pieno credito d’imposta per le imposte pagate in Germania, annullando di fatto la doppia imposizione.

Un esempio concreto tratto dalla giurisprudenza: la già menzionata Cassazione 27278/2023 riguardava un lavoratore con redditi in Germania che aveva chiesto il rimborso dell’IRPEF trattenuta in Italia, invocando la convenzione . Il fisco aveva negato il rimborso pretendendo un’attestazione dettagliata delle imposte pagate in Germania. La Cassazione ha smentito l’Ufficio: ha affermato che per evitare la doppia imposizione è sufficiente provare la residenza effettiva all’estero e il conseguente assoggettamento potenziale a tassazione illimitata nell’altro Stato, indipendentemente dall’effettivo pagamento di imposta . In pratica, non bisogna provare di aver pagato le imposte estere, basta dimostrare di essere soggetti a tassazione in quel Paese (cioè di esserne residenti fiscali) . Questo perché lo scopo delle convenzioni è evitare sovrapposizioni di pretese tributarie, non necessariamente garantire uguale gettito in entrambi gli Stati . Nel caso specifico, la Corte ha detto che il contribuente, avendo il certificato di residenza fiscale tedesca, non doveva anche documentare quanto avesse pagato in Germania; l’Italia doveva rispettare la convenzione e non tassare quei redditi oppure rimborsare.

Questa pronuncia è utilissima in difesa: si può citare per sostenere che conta la residenza estera e la teorica tassabilità in Germania, non la prova del doppio pagamento . Quindi, se l’Agenzia italiano pretendesse “prove che hai pagato le tasse in Germania su questi redditi”, si può rispondere che secondo Cassazione ciò non è richiesto: rileva solo il fatto che quei redditi erano imponibili in Germania in quanto la persona era ivi residente . Questo pone l’onere sull’Italia di evitare la doppia imposizione, ad esempio esentando quei redditi o riconoscendo credito.

In un ricorso, questo può tradursi in un motivo del tipo: “Violazione della Convenzione Italia-Germania del 1989 (artt. 4 e 15): l’avviso di accertamento ha assoggettato a tassazione in Italia redditi da lavoro dipendente prodotti in Germania dal ricorrente, nonostante egli fosse residente in Germania e tali redditi fossero ivi imponibili. Ciò ha determinato una indebita doppia imposizione, contrastante con la norma pattizia. Si richiama Cass. 27278/2023 secondo cui, ai fini dell’applicazione della Convenzione, è sufficiente la dimostrazione della residenza fiscale estera e dell’astratta soggezione dei redditi a tassazione in detto Stato, indipendentemente dall’effettivo versamento di imposte estere. Nel caso di specie il ricorrente era pienamente soggetto all’imposizione tedesca, come da certificato fiscale allegato, sicché l’Italia non poteva vantare ulteriore potestà impositiva su quegli emolumenti.”

Analoghi ragionamenti si applicano per altre categorie reddituali: ad es. redditi d’impresa (art. 7 convenzione: tassabili solo nello Stato di residenza salvo stabile organizzazione altrove), pensioni (art. 18: le pensioni normalmente tassabili solo nello Stato di residenza del beneficiario, con eccezioni per pensioni pubbliche). Se il caso riguarda pensionati italiani in Germania, anche lì la convenzione andrebbe analizzata, ma qui ci focalizziamo sui lavoratori/imprenditori.

In definitiva, la convenzione è sia uno scudo sia una spada: uno scudo perché può prevenire la doppia tassazione (e il ricorso può chiedere l’applicazione della convenzione per annullare l’atto o almeno ridurre l’imposta), una spada perché obbliga l’Amministrazione a coordinarsi con l’altro Stato.

Le pronunce giurisprudenziali di supporto

Fare riferimento a precedenti giurisprudenziali aiuta a dare forza alle tesi difensive, specialmente se provenienti dalla Corte di Cassazione o da Corti di merito autorevoli e recenti. Nel nostro tema, le decisioni chiave da citare (alcune già menzionate) includono:

  • Cass. 28072/2023: ribadisce valore solo indicativo dell’iscrizione AIRE e importanza del centro di interessi . Utile per contrastare una difesa dell’Agenzia basata su argomenti formali.
  • Cass. 1294/2025 (ordinanza): caso in cui la Cassazione ha ritenuto legittimo l’accertamento verso un contribuente non AIRE che aveva certificato estero, ma con legami forti in Italia. Conferma il principio “sostanza>forma” e che il certificato estero non basta se fatti contraddittori . Questo può essere citato per onestà intellettuale quando la difesa ammette che deve fornire prove sostanziali, ma anche per distinguere: nel nostro caso, a differenza di quell’ordinanza, il contribuente si era iscritto AIRE e non ha mantenuto cariche in Italia, ecc. Quindi la situazione fattuale è ben più favorevole rispetto a quel precedente sfavorevole al contribuente.
  • Cass. 27278/2023: importantissima per il principio sulla doppia imposizione e sufficienza della residenza effettiva all’estero senza dover dimostrare il pagamento estero . Questa rafforza i motivi legati alla convenzione.
  • Cass. 32958/2018 (o altre simili del 2018-2019): ve ne sono diverse in quegli anni dove la Cassazione si è espressa sul valore dell’iscrizione anagrafica e AIRE. Una frase spesso citata: “la semplice iscrizione all’AIRE non prova l’espatrio se permangono forti collegamenti con l’Italia” . Se ne può fare menzione per dimostrare che si conosce l’orientamento di legittimità e che la difesa è costruita per soddisfarlo (cioè per mostrare che non permangono forti legami con l’Italia).
  • Cass. 7882/2016 (numero ipotetico) e altre che hanno statuito sull’onere della prova: tipicamente, quando non c’è presunzione paradisi fiscale, spetta all’Amministrazione dimostrare la residenza in Italia, una volta che il contribuente ha prodotto prova dell’espatrio. Ci sono sentenze dove la Cassazione ha annullato accertamenti perché il Fisco non aveva adeguatamente provato i legami in Italia ma solo l’assenza di iscrizione AIRE. Citare queste può aiutare. Anche alcune Commissioni Tributarie Regionali (ora CGT secondo grado) hanno sentenze pro-contribuente, ma i riferimenti meglio concentrarli su Cassazione.
  • Cass. ord. 22838/2025: sul tema notifica, se è stato un punto di contestazione. Se, ad esempio, c’erano dubbi sulla notifica all’estero, citare questa per dire che comunque la notifica AIRE è considerata valida . Questo però giocherebbe a favore dell’Agenzia, quindi potrebbe essere citata solo se la difesa vuole mostrare che riconosce la regolarità formale della notifica ma vuole equità sui termini (es. magari chiedere rimessione in termini se effettivamente non ne era a conoscenza).

Ovviamente, ogni caso è a sé; qui stiamo delineando un caso ideale di difesa di chi è davvero residente in Germania. Se invece il contribuente avesse oggettivamente trascurato qualche formalità, bisogna adattare la strategia (ad es. se non iscritto AIRE: provare comunque la residenza di fatto, magari con testimonianze; se famiglia in Italia: puntare sul lavoro e presenza fisica all’estero cercando di minimizzare il peso del legame familiare, ecc. Sapendo che è dura, si potrebbe in tal caso cercare un accordo con sanzioni ridotte).

Utilizzare le evidenze a proprio favore e confutare quelle dell’Ufficio

Nella memoria difensiva (ricorso e successivi scritti) bisogna confutare puntualmente gli elementi addotti dall’Agenzia. Ad esempio, se l’accertamento menziona: “il contribuente risulta titolare di partita IVA attiva in Italia nel 20XX”, e ciò è vero ma magari la partita IVA non ha prodotto redditi (o era un residuo chiuso poi in ritardo), bisogna spiegare il contesto: “È vero che la partita IVA italiana è stata chiusa formalmente solo nel giugno 2019, ma in realtà l’attività era cessata a fine 2018 e dal 2019 il contribuente ha operato esclusivamente in Germania. L’Agenzia non ha contestato alcun reddito prodotto dalla partita IVA italiana, segno che non vi erano ricavi; pertanto quel dato formale non è indice di residenza in Italia nel 2019, anno in cui l’attività era inattiva.”

Oppure se l’Ufficio insiste sul possesso di un immobile in Italia: “L’immobile di proprietà in Italia era concesso in locazione a terzi durante tutto il periodo in esame, come da contratto registrato allegato. Il contribuente non ne aveva la disponibilità e infatti risiedeva stabilmente in Germania, dove conduceva in locazione un appartamento. Dunque il mero fatto di possedere un immobile non implica affatto che quello fosse il suo centro di vita – semmai era un investimento. Secondo Cassazione (es. sent. n. XX/20YY) avere un’abitazione permanente all’estero esclude la residenza in Italia anche se si possiede una casa in Italia, quando l’abitazione italiana non è stabilmente utilizzata.” – (nota: il riferimento a LexCED in risultati diceva: “Avere una casa di proprietà all’estero esclude la residenza fiscale in Italia? No, se persona dispone di abitazione permanente in …”; comunque il concetto è noto: possedere una casa in Italia non basta se si vive altrove permanentemente).

In sintesi, ogni indizio usato dal Fisco va analizzato e, se possibile, spiegato o neutralizzato con prove contrarie:

  • Cariche sociali in Italia: se le aveva, mostrare che erano onorifiche o non retribuite, o che di fatto l’attività era delegata e la presenza non richiesta. Se invece aveva ruoli attivi (amministratore di società) diventa difficile sostenere di non essere interessato all’Italia; in tal caso potrebbe essere opportuno cercare un compromesso (adesione, pagando su parte redditi).
  • Famiglia: se coniuge o figli erano in Italia, sottolineare eventuali cause (es. figli rimasti solo per completare l’anno scolastico, poi raggiunto; coniuge con lavoro che ha poi lasciato; situazioni temporanee). In mancanza, è l’argomento più delicato a sfavore del contribuente, perché centro interessi affettivi pesa molto.
  • Frequenza di rientri in Italia: se l’ufficio cita ingressi multipli (ad es. se ha controllato biglietti aerei), spiegare il motivo (es. cura parenti anziani, vacanze brevi) evidenziando che comunque meno di 183 gg anno.
  • Iscrizione AIRE tardiva: se avvenuta in ritardo, sostenere che la residenza di fatto era comunque spostata (citando eventuali Cassazione che dicono che l’iscrizione ha valore dichiarativo).

Ricordarsi di allegare tutti i documenti probatori: contratti, certificati, tradotti se necessario (almeno una traduzione semplice, le Commissioni non richiedono giurata di regola, ma meglio esser chiari). Nella sezione allegati del ricorso, enumerare i documenti.

Un ulteriore strumento può essere l’interpello: non in sede di contenzioso, ma come prevenzione. Ad esempio, se un soggetto ha dubbi, può fare interpello all’Agenzia per chiedere se nel suo caso specifico può considerarsi non residente. C’è stata ad esempio la Risposta ad interpello n. 56/2023 riguardante un ricercatore in Germania e le implicazioni fiscali. Tali risposte ministeriali (se positive) possono essere portate a conoscenza del giudice per far vedere l’approccio dell’Agenzia in casi analoghi. Comunque, l’interpello va fatto prima: dopo l’accertamento è tardi.

Adesso, dopo aver trattato le strategie di difesa di merito, dedichiamo uno spazio ai possibili esiti e rimedi ulteriori: in caso di insuccesso, quali sono le conseguenze e se esistono ancora margini di intervento (ad esempio in appello, o attraverso istituti deflattivi tardivi). Successivamente, proporremo una sezione FAQ e alcune tabelle riepilogative per consolidare i concetti.

Conseguenze in caso di esito sfavorevole e ulteriori rimedi

Non tutte le difese, per quanto ben impostate, hanno esito positivo. È importante essere consapevoli delle possibili conseguenze di una sconfitta nel contenzioso e di quali opzioni restano aperte. Vediamo i principali scenari:

  • Conciliazione giudiziale in corso di causa: anche dopo aver presentato ricorso, c’è sempre la possibilità di trovare un accordo con l’Agenzia durante il processo. La cosiddetta conciliazione giudiziale può avvenire fino alla decisione di primo grado (e ora anche in appello). Consiste nel definire la controversia con reciproche concessioni: il contribuente paga un importo ridotto e l’Agenzia rinuncia al resto. Le sanzioni vengono ridotte a 1/3 come nell’adesione . Se si concilia in appello, la riduzione sanzioni è a 1/2. Dunque, anche se inizialmente si è fatto ricorso, nulla vieta di proporre una conciliazione (magari se emergono elementi nuovi o se il giudice stesso, in udienza, consiglia una soluzione transattiva).
  • Sentenza sfavorevole di primo grado: se la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Provinciale) respinge il ricorso, il contribuente può appellare alla Corte di secondo grado (ex Commissione Regionale) entro 60 giorni dalla notifica della sentenza. Nell’appello si possono riproporre i motivi già svolti, correggere eventuali errori di impostazione e far valere anche elementi sopravvenuti (ad esempio nuova giurisprudenza favorevole nel frattempo). L’appello è un diritto, ma bisogna valutare costi/benefici: se la pretesa è molto elevata, conviene tentare il secondo grado; se invece l’importo non è enorme, considerare che in appello potrebbero maturare ulteriori interessi e spese.
  • Pagamento delle somme dovute: con la sentenza di primo grado sfavorevole, l’Agenzia normalmente iscrive a ruolo le somme (al netto di quanto forse già riscosso in parte). Il contribuente può chiedere una rateizzazione all’Agente della riscossione (Agenzia Entrate Riscossione), che per debiti superiori a 60.000€ richiederà di solito garanzie e documentazione. Si possono ottenere fino a 72 rate mensili (6 anni) o in certi casi 120 rate. Pagare a rate non preclude di proseguire la causa (pagherai e se vinci in appello ti rimborseranno). In caso di mancato pagamento, possono avviarsi procedure di recupero anche internazionali (l’Italia e Germania cooperano nel recupero crediti fiscali UE ai sensi della direttiva 2010/24/UE).
  • Profilo penale: se l’accertamento definisce imposte evase oltre soglie penali, l’Agenzia segnala la cosa alla Procura. In particolare, il reato di omessa dichiarazione (art. 5 D.Lgs. 74/2000) scatta per imposte evase > 50.000 € annui . Ad esempio, se Tizio non ha dichiarato 300.000€ di redditi esteri e l’IRPEF evasa è 120.000€, questo integra il reato. La conclusione del contenzioso tributario non è strettamente vincolante per il penale, ma spesso se il contribuente vince in sede tributaria (dimostrando che non era tenuto a dichiarare), la vicenda penale viene archiviata. Viceversa, se perde, potrebbe trovarsi a dover affrontare anche un processo penale per infedele/omessa dichiarazione. È importante saperlo per eventualmente attivare strategie difensive anche in sede penale (come dimostrare mancanza di dolo se uno era convinto in buona fede di essere residente all’estero, ad esempio).
  • Ravvedimento operoso post-accertamento? Di norma il ravvedimento è possibile solo prima che la violazione sia contestata formalmente. Quindi, dopo un avviso di accertamento notificato, non ci si può ravvedere su ciò che è oggetto di accertamento. Tuttavia, potrebbe capitare che il contribuente si renda conto, analizzando con l’esperto, che effettivamente aveva sbagliato qualcosa (es. alcuni redditi di fonte italiana effettivamente andavano dichiarati). In tal caso, su annualità non accertate, può valutare di presentare una dichiarazione integrativa e ravvedersi per evitare futuri problemi. Questo esula però dall’accertamento in corso (che va affrontato).
  • Definizioni agevolate e condoni: negli ultimi anni spesso il legislatore ha offerto strumenti di definizione agevolata dei contenziosi (condono liti pendenti, rottamazione di avvisi, ecc.). Ad esempio, nel 2023 c’è stata la possibilità di definire le liti tributarie pendenti col Fisco pagando un certo importo percentuale (con percentuali minime se si aveva già vinto in primo grado). È utile tenersi aggiornati: se fosse aperta una finestra per definire a condizioni vantaggiose, potrebbe convenire coglierla (valutando che si rinuncia alla causa ma si riduce l’esborso).

Riepilogo delle opzioni difensive e benefici sanzionatori

Per chiarezza, presentiamo una tabella riepilogativa dei principali strumenti difensivi (accordo o contenzioso) con i relativi benefici sulle sanzioni, in modo da avere un quadro sintetico delle opportunità:

Opzione difensivaDescrizioneTempisticaRiduzione sanzioniConsiderazioni
Accertamento con adesioneConfronto con Agenzia per definire un accordo sull’accertamento. Sospende termini ricorso per 90 gg.Richiesta entro 60 gg da notifica avviso.Sanzioni ridotte a 1/3 del minimo .Evita il giudizio, ma occorre pagare quanto concordato. Utile se pretesa parzialmente fondata o prove deboli.
Acquiescenza (pagamento senza ricorso)Pagamento integrale di imposte e interessi entro 60 gg, rinunciando al ricorso.Entro 60 gg dalla notifica (atto “definito”).Sanzioni ridotte a 1/3 di quelle irrogate .Da valutare se la pretesa è fondata e non conviene fare causa. Si chiude subito con sconto sanzioni.
Ricorso (contenzioso)Impugnazione davanti alla Corte Tributaria. Possibile successivo appello e Cassazione.Entro 60 gg (primo grado); appello entro 60 gg da sentenza.Nessuna riduzione automatica (piena sanzione se si perde).Permette di far valere le proprie ragioni; se si vince, nulla è dovuto. In caso di soccombenza, possibili spese e interessi.
Conciliazione giudizialeAccordo transattivo durante il processo, formalizzato con verbale conciliativo.Fino a sentenza di primo grado (o appello se ammesso).Sanzioni ridotte a 1/3 (in primo grado) o 1/2 (in appello).Richiede disponibilità dell’Ufficio a trattare. Può essere suggerita dal giudice. Chiude la lite con compromesso.
Definizione agevolata liti (se prevista da legge)Adesione a misure straordinarie di chiusura delle cause pagando una percentuale.Variabile (stabilita da legge, es. entro 30/6/2023 per condono 2023).In pratica sanzioni azzerate o fortemente ridotte (si paga quota imposte).Opportunità legata a disposizioni temporanee. Verificare se la lite rientra e i vantaggi economici.

Come si vede, adesione e acquiescenza abbattono di circa 2/3 le sanzioni rispetto a lasciare andare l’accertamento in giudicato . La conciliazione offre sconti simili. Quindi, dal punto di vista finanziario, se la posizione del contribuente non è solida, può convenire trovare un accordo prima o poi, perché una sanzione piena del 100% o 150% su imposte elevate può essere rovinosa.

Diverso è il caso in cui si è convinti di avere ragione: allora si tende a combattere fino in fondo, anche perché in caso di vittoria non si paga nulla (salvo, a volte, le spese legali di tasca propria che in parte possono essere rimborsate se il giudice le liquida a carico dell’Agenzia, cosa non scontata).

Doppia tassazione: come recuperare le imposte pagate all’estero o in Italia

Accenniamo infine al tema della doppia tassazione effettiva: può capitare, nelle more della controversia, che il contribuente abbia pagato delle imposte in Germania sui redditi contestati e che l’Italia le pretenda anch’essa. La Convenzione evita la doppia tassazione prevedendo il credito d’imposta, ma se c’è lite sulla residenza, nel frattempo il rischio è di pagare due volte.

Cosa può fare il contribuente? In generale: – Se ha pagato in Germania, può chiedere all’Italia (in sede di adesione o ricorso) di riconoscergli il credito per imposte estere (art. 165 TUIR), condizionato poi all’esito sul merito della residenza. Se per ipotesi perde la causa e viene considerato residente italiano, almeno dovrebbe ottenere il credito per quanto versato al fisco tedesco su quei redditi, per evitare doppia imposizione economica. – Viceversa, se la controversia si chiude riconoscendogli la residenza in Germania, e per caso egli ha dovuto pagare qualcosa in Italia (perché magari aveva fatto acquiescenza parziale, o versato in pendenza di causa), può chiedere il rimborso di quanto versato in eccedenza. Il rimborso può essere chiesto con istanza entro 48 mesi dal pagamento indebito (il link del Corriere al risultato 3 sembra trattare di richieste di rimborso entro 4 anni per doppia imposizione, coerente con termini di rimborso di imposte pagate). Nel malaugurato caso di doppia imposizione definitiva (perché ad es. entrambi gli stati si considerano residenti), esiste la procedura amichevole (MAP) tra Stati prevista dalla convenzione, ma questo esula dal nostro tema ed è rarissima.

Fortunatamente, tra Italia e Germania i meccanismi convenzionali funzionano e situazioni di doppia imposizione definitiva sono rare: di solito o tassa uno o l’altro, oppure il contribuente viene compensato coi crediti. L’obiettivo del nostro contribuente rimane comunque di far riconoscere che l’Italia non doveva tassare sin dall’inizio.

Domande frequenti (FAQ)

D: Sono cittadino italiano iscritto all’AIRE in Germania dal 2020. Posso stare tranquillo di non dover più nulla al Fisco italiano?
R: L’iscrizione all’AIRE è un passo necessario ma non dà una garanzia assoluta. Finché realmente vivi e lavori in Germania, e in Italia non hai mantenuto interessi rilevanti, non dovresti avere problemi: sarai tassato in Germania sui tuoi redditi mondiali e in Italia eventualmente solo su quelli che avresti ancora in Italia (es. affitto di un immobile). Tuttavia, se l’Agenzia delle Entrate dovesse ravvisare indizi che tu sia rimasto residente di fatto in Italia (ad es. famiglia in Italia, frequenti permanenze qui, grandi disponibilità non spiegate), potrebbe comunque avviare un accertamento contestandoti la residenza fittizia all’estero . In altre parole, l’AIRE ti mette in regola formalmente, ma devi anche poter dimostrare che il tuo centro di vita si è spostato. Se hai fatto le cose per bene, puoi stare ragionevolmente sereno; ma se, per esempio, ti sei iscritto AIRE ma passi 8 mesi l’anno in Italia, rischi un accertamento.

D: Ho una casa di proprietà in Italia e ci torno per le vacanze, ma risiedo in Germania dove lavoro e ho famiglia. La casa in Italia può farmi considerare ancora residente fiscale italiano?
R: In linea di principio, no. Possedere un immobile in Italia non basta a renderti residente fiscale qui, se la tua abitazione permanente e i tuoi interessi principali sono stabilmente in Germania. La legge richiede la dimora abituale o il domicilio in Italia per essere considerato residente . Nel tuo caso, la dimora abituale è in Germania; la casa italiana la usi saltuariamente. È importante però che quell’immobile sia effettivamente secondario (es. utilizzato qualche settimana all’anno) e che sia evidente che la tua vita quotidiana si svolge altrove. L’Agenzia potrebbe guardare ai consumi di quella casa: se risultassero utenze attive e consumi costanti tutto l’anno, sorgerebbe il dubbio che ci vivi più di quanto dichiari. Se invece è chiaro che è una seconda casa per vacanze, non c’è problema – migliaia di italiani all’estero hanno case in patria senza per questo essere considerati residenti. In caso di contestazione, evidenzierai che l’abitazione permanente è in Germania e che l’immobile italiano non costituisce domicilio (centro interessi) ma solo un bene a disposizione.

D: L’Agenzia delle Entrate mi ha inviato un questionario chiedendo di dichiarare se ho conti esteri e redditi esteri, e di dimostrare la mia residenza in Germania. Devo rispondere?
R: Sì, ti conviene rispondere in maniera accurata e veritiera, entro il termine indicato. Il questionario è spesso un passo preliminare prima di un accertamento: serve all’Ufficio per raccogliere informazioni. Ignorarlo o rispondere superficialmente può spingere l’Agenzia a procedere d’ufficio con gli elementi (magari parziali) di cui dispone, probabilmente aggravando la tua posizione. Nella risposta, spiega chiaramente il tuo status: dichiara da quando sei residente in Germania, allega copia dell’iscrizione AIRE, del certificato di residenza tedesco, e fornisci i dati dei tuoi conti esteri (se richiesti) specificando che, non essendo residente in Italia, non li hai indicati nel quadro RW. Se hai pagato tutte le tasse dovute in Germania, puoi anche allegare prove (es. dichiarazioni tedesche, Steuerbescheid) anche se, come detto, non saresti tenuto a provare l’avvenuto pagamento estero per avere diritto ai benefici convenzionali – ma può essere utile per completezza. Mostrati collaborativo: a volte, fornendo adeguate prove già in questa fase, si può convincere l’ufficio a desistere dall’accertamento o comunque a ridurne la portata.

D: Quali sanzioni rischia chi viene considerato residente in Italia ma non ha presentato dichiarazione dei redditi perché pensava di essere all’estero?
R: Le conseguenze sono piuttosto pesanti. In caso di accertamento, l’Agenzia recupera tutte le imposte non pagate (IRPEF e addizionali sui redditi esteri non dichiarati, imposta sul valore degli immobili all’estero – IVIE – se possiedi case fuori, imposta sul valore dei conti esteri – IVAFE) e applica le sanzioni per omessa dichiarazione sui redditi (generalmente pari al 120% dell’imposta evasa, fino a 240% nei casi più gravi) . Inoltre, c’è la sanzione per omessa compilazione del quadro RW, che è dal 3% al 15% dell’ammontare degli asset esteri non dichiarati (per ogni anno) – ad esempio, se avevi €100.000 su un conto non dichiarato, la multa base è €3.000-15.000 per quell’anno. Queste percentuali raddoppiano se lo Stato estero è black list (non il caso della Germania). Le sanzioni possono essere ridotte a 1/3 se paghi con adesione o acquiescenza , ma restano cifre significative. Inoltre, come accennato, se l’imposta evasa supera i 50.000 € annui, scatta anche il reato penale di omessa dichiarazione, punito con reclusione 2-5 anni . In tale evenienza, di solito la questione penale viene affrontata a valle dell’accertamento tributario: potresti evitare il processo penale dimostrando (anche al PM) che hai chiarito tutto e magari aderito pagando il dovuto, oppure – se fai causa e vinci nel tributario – il fatto reato cade perché in realtà non dovevi dichiarare. Ma è un rischio concreto. Dunque le sanzioni amministrative ed eventuali penali sono un deterrente fortissimo: meglio prevenire accertamenti e, se arrivano, agire subito per limitare il danno (con adesione, o ricorso se hai buone carte).

D: La Germania ha tasse alte quanto l’Italia, perché mai dovrei subire un accertamento dall’Italia? Non sto mica evadendo, pago già in Germania!
R: Purtroppo può succedere non perché tu abbia pagato meno, ma per una questione di competenza impositiva. Se risulti formalmente ancora legato all’Italia, l’Italia rivendica il diritto di tassare il tuo reddito mondiale. La Germania ovviamente fa lo stesso considerandoti residente lì. Finisci così in un caso di doppia residenza e potenzialmente doppia imposizione. Il fatto che le aliquote siano simili fa sì che alla fine pagheresti magari un credito in Italia scomputando quanto versato in Germania, ma il problema è che l’Italia ti può anche applicare sanzioni e interessi per non aver dichiarato qui. Quindi, l’accertamento non nasce dal sospetto che tu abbia pagato meno (non è un caso di arbitraggio fiscale, come sarebbe col trasferimento a Montecarlo), ma dal sospetto che tu abbia eluso il controllo italiano. Spesso l’Agenzia fa questi accertamenti non tanto per incassare più imposta (che comunque prova a prendere) ma per via di adempimenti violati (es. niente quadro RW, niente dichiarazione). In pratica, per il Fisco è un contribuente “scomparso” che magari risulta ancora nelle liste in Italia e non ha più presentato nulla: vogliono accertare dove sia finito e se devono recuperare imposte. Sta a te poi chiarire che sei in Germania e che lì paghi tutto. Se lo chiarisci bene, l’accertamento può essere annullato o limitato: come dice la Cassazione, conta solo che tu fossi assoggettabile in Germania, non devi pagare due volte . Ma devi passare per la dimostrazione, perché l’Agenzia inizialmente non lo sa con certezza o non si fida.

D: L’Agenzia mi contesta il 2017 e 2018 perché non ero iscritto AIRE, anche se già vivevo in Germania; dal 2019 invece mi ero iscritto e non contestano. Posso far valere che ero residente tedesco anche in quegli anni pre-iscrizione?
R: Sì, l’iscrizione tardiva non ti impedisce di provare la residenza di fatto. Certamente parti in salita, perché fino al 2018 risulti residente in Italia anagraficamente. Ma se hai prove solide (es. contratto di lavoro in DE già dal 2017, affitto casa, etc.) falle valere. Ci sono state pronunce che hanno dato ragione al contribuente nonostante mancasse l’iscrizione AIRE, proprio perché i fatti dimostravano l’espatrio reale. Ad esempio, Commissione Tributaria e Cassazione in alcune sentenze hanno riconosciuto che l’iscrizione AIRE ha natura dichiarativa e che rileva la situazione sostanziale . Dovrai spiegare perché non hai fatto subito l’AIRE (es. non ne eri a conoscenza, oppure c’è stato un disguido burocratico). Aspettati che il Fisco insisterà su quel punto (per loro è facile dire “eri ancora residente ufficiale qui”), ma se metti insieme un dossier convincente sulla tua vita in Germania già in quei due anni, hai buone chance di spuntarla almeno parzialmente. Magari, se proprio nel 2017 hai qualche legame residuo (es. sei partito a metà anno), potrebbe convenire trattare: ad esempio riconoscere la tassazione per quell’anno ma non per il 2018. Vedi se trovi un accordo su uno dei due anni con adesione, chiudendo la questione a metà.

D: Ho già pagato tutte le tasse in Germania sui miei redditi. Se per assurdo devo pagare anche in Italia, pagherei due volte?
R: La Convenzione prevede che non avvenga doppia imposizione: se tu venissi considerato residente in Italia, l’Italia dovrebbe darti un credito d’imposta per quanto hai pagato in Germania (fino a concorrenza dell’imposta italiana su quegli stessi redditi) . In pratica pagheresti la differenza se l’aliquota italiana fosse più alta – ma nel tuo caso le aliquote sono simili, quindi potresti non dover pagare imposta aggiuntiva, solo sanzioni per non aver dichiarato, il che è paradossale (ti puniscono anche se non c’è gettito extra). Comunque, se l’Agenzia ha emesso l’avviso senza considerare i crediti, in sede di adesione o di ricorso puoi far rettificare il calcolo: presentando la prova delle imposte pagate in Germania, pretendi il riconoscimento del credito per evitare la doppia imposizione economica. Ad esempio, se su €50.000 di reddito hai versato €10.000 al fisco tedesco e l’Italia pretenderebbe €11.000, al massimo dovresti €1.000 + sanzioni su €1.000 (e non su €11.000). In alternativa, se risulti definitivamente residente in Germania (come speriamo), allora l’Italia non deve tassare nulla e potrai semmai chiedere il rimborso di eventuali pagamenti fatti qui.

D: La mia situazione è particolare: risiedo in Germania ma lavoro da remoto per un’azienda italiana (smart working). L’azienda trattiene le imposte in Italia. Potrei subire problemi?
R: Questo è un caso complesso. In teoria, se sei residente fiscale in Germania e non hai base fissa in Italia, i tuoi redditi da lavoro dipendente dovrebbero essere tassati in Germania secondo la convenzione, non in Italia (salvo tu passi più di 183 giorni/anno in Italia per lavoro, ma nello smart working estero non è così). L’azienda italiana dovrebbe quindi non operare ritenute italiane se gli hai comunicato la residenza estera e presentato il certificato di residenza fiscale tedesco. Se invece l’azienda ti sta tassando in Italia, c’è un errore di applicazione della convenzione. Rischi di dover poi chiedere un rimborso all’Italia o un credito in Germania. L’Agenzia delle Entrate in un interpello recente (mi pare proprio il n. 56/2023 citato) ha chiarito che per i lavoratori in smart working dall’estero si seguono le regole convenzionali, quindi le tasse vanno dove risiedi e lavori fisicamente. Dunque il consiglio è: regolarizza con il datore di lavoro la tua posizione (fagli avere il certificato di residenza estera, ecc.). Se questo non avviene, potresti in teoria ricevere un accertamento incrociato: o la Germania che ti chiede le sue tasse (se non le hai pagate lì) o l’Italia se pensa tu sia residente (ma se sei AIRE non dovrebbe). La tua situazione va chiarita per non subire doppie imposizioni: idealmente, farti pagare dal datore senza ritenuta italiana, e dichiari tutto in Germania. Se invece hai pagato in Italia ma sei residente in DE, dovrai poi chiedere rimborso all’Italia o scomputo. Non è tanto un problema di accertamento per evasione, quanto di complicazione fiscale: meglio risolvere a monte con consulenza specifica.

D: Se perdo il ricorso in Cassazione definitivamente e devo pagare, mi conviene trasferirmi in un paese extra UE per non pagare?
R: Scappare dal pagamento non è una soluzione semplice né consigliabile. Se hai perso fino in Cassazione, significa che l’Italia ha titolo per riscuotere. Trasferirsi in un paese non cooperativo potrebbe complicare la vita al fisco italiano, ma anche a te. L’Italia ha accordi di recupero crediti con molti Stati (sicuramente UE, e con convenzioni anche extra). Inoltre, se sei cittadino italiano, avresti comunque difficoltà a rientrare senza saldare (possono bloccarti beni, conti, ecc.). Meglio cercare un accordo di rateizzo con l’Agenzia Entrate Riscossione e pianificare i pagamenti. In parallelo, verificare se puoi recuperare qualcosa dal fisco tedesco (nel caso di tasse concorrenti). All’estero non ti seguiranno con un mandato di arresto per debiti fiscali (non è penale fuggire ai debiti), ma resteresti con una spada di Damocle: se hai patrimoni in Italia verranno escussi, e l’importo lieviterà con interessi. Pertanto, è saggio affrontare la situazione legalmente: fare conciliazioni, chiedere dilazioni, ma non ignorare la cartella.

D: Vale la pena, in casi del genere, fare una conciliazione o mediazione? O conviene sempre andare in causa?
R: Dipende dalla forza del tuo caso. Se hai evidenze robuste che soddisfano i criteri legali e convenzionali, spesso il contenzioso tributario può portare all’annullamento totale dell’atto – quindi in tal caso vale la pena proseguire. Se invece la tua posizione presenta punti deboli (es. famiglia rimasta in Italia, oppure evidenti periodi in cui eri qui), potrebbe essere prudente cercare un compromesso. La mediazione/reclamo (per importi fino a €50.000 per atti ante 2024) era un passaggio obbligatorio che spesso portava a riduzioni; dal 2024 questa è stata abrogata, quindi si va diretti in causa ma si può sempre conciliare in corso di giudizio. Una conciliazione in primo grado ti dà sanzioni a 1/3 e chiude la vicenda. Considera anche un aspetto: il contenzioso può durare anni, con spese legali e stress. Se l’Agenzia durante l’adesione o conciliazione ti offre di riconoscerti la residenza estera per alcuni anni lasciandoti tassare solo il primo anno (ad esempio) con sanzioni ridotte, potrebbe essere un buon affare rispetto all’incertezza di una causa. Ogni caso però è unico. Conviene farsi assistere da un professionista che, a sangue freddo, valuti pro e contro: quanti punti hai a favore? quanti contro? Importo in ballo? Rischio penale? e su quella base decidere. Non c’è una regola universale, se non: litigare per principio ha senso solo se la posta in gioco è alta e hai ragione da vendere; altrimenti, meglio trattare uno sconto e archiviare la questione.

D: Sono un piccolo imprenditore: avevo trasferito la società in Germania ma l’Agenzia mi contesta che la società era gestita dall’Italia (esterovestizione). Che posso fare?
R: Questo rientra nell’ambito dell’esterovestizione societaria, leggermente diverso dal tema persona fisica (anche se collegato). L’Agenzia tende a guardare dove sono effettivamente prese le decisioni e svolta l’attività. Se, ad esempio, la tua SRL l’hai iscritta in Germania ma l’amministrazione avveniva dall’Italia (riunioni, firma contratti, dipendenti in Italia), possono dichiarare la società fiscalmente residente in Italia (art. 73 TUIR) e tassarne i profitti qui. Allo stesso tempo, possono accusare te come persona fisica di eventuali redditi sottratti al fisco italiano tramite quella costruzione. Per difenderti devi mostrare che la società aveva una reale operatività in Germania: sede effettiva, uffici, attività lì, e che tu magari eri sul posto a gestirla. Se in realtà era una scatola e lavoravi dall’Italia, c’è poco da fare, se non negoziare. La difesa verte sul dimostrare la sostanza all’estero (dipendenti, magazzino, clienti in DE) e la tua presenza lì come amministratore. Preparate documenti aziendali (bilanci, fatture) che mostrino l’attività in Germania. Questo è un caso molto tecnico dove serve un tributarista esperto anche di transfer pricing/esterovestizione. Purtroppo, se l’Agenzia ha raccolto prove (es. la GdF fa pedinamenti o controlli incrociati e vede che la sede tedesca era fittizia), la contestazione regge. Le sanzioni possono colpire la società e te personalmente (dividendi non dichiarati ecc.). Vanno considerati possibili strumenti deflattivi anche qui (magari adesione con società pagando sanzioni ridotte). Se la contestazione è infondata, naturalmente, farai ricorso, ma preparati con perizie e testimonianze.

Abbiamo esaminato molti aspetti: dai fondamenti ai dettagli procedurali. Concludiamo ora con qualche simulazione pratica riassuntiva, per esemplificare come potrebbe evolversi un caso tipico, e poi la lista delle fonti normative e giurisprudenziali citate.

Caso pratico simulato

Caso Tipo: Luigi, cittadino italiano, si trasferisce a Düsseldorf nel 2021 per lavorare in una società tedesca. Si iscrive all’AIRE solo a metà 2022. La moglie e i figli restano in Italia fino a giugno 2022 per finire la scuola, poi lo raggiungono e si iscrivono anche loro AIRE. Luigi nel 2021 non ha presentato dichiarazione dei redditi in Italia. Ha però mantenuto un conto corrente in Italia con cui pagava il mutuo di casa (la casa in Italia è rimasta alla moglie e figli fino a metà 2022). Nel 2023 Luigi riceve un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2021: l’Agenzia lo considera residente in Italia per il 2021 (poiché AIRE avvenuta solo dopo) e gli contesta omessa dichiarazione di €80.000 di redditi (il suo stipendio tedesco 2021), con imposta accertata €30.000 e sanzioni 150% (€45.000). Inoltre multa €4.500 per il conto estero non dichiarato (saldo €150.000). Cosa può fare Luigi?

  • Analisi posizione: In effetti nel 2021 Luigi aveva ancora legami forti con Italia: famiglia e casa lì per buona parte dell’anno, iscrizione anagrafica italiana. Però lavorava all’estero dalla primavera 2021 e dormiva in Germania durante la settimana, tornando in Italia nei weekend. È un caso limite. Legalmente, era in Italia più di 183 giorni? Forse no (diciamo si trasferì a marzo 2021 definitivamente, quindi meno di 183 giorni in Italia da marzo a dicembre, però a gennaio-febbraio era in Italia). Ci sono margini per sostenere che da marzo il domicilio era già in Germania. Ma la presenza della famiglia in Italia fino a fine giugno pesa contro di lui. La Convenzione direbbe: aveva abitazione permanente in entrambi i paesi (casa in Italia e appartamento in DE fornito dall’azienda?), centro interessi vitali probabilmente ancora Italia finché famiglia lì. Luigi ha parzialmente torto per il 2021.
  • Strategia: Potrebbe convenire fare un accertamento con adesione puntando a un accordo: ad esempio far presente che dal 2022 sicuramente è estero e l’Agenzia infatti non glielo contesta, e cercare di farsi riconoscere almeno un semestre 2021 come non tassabile (da luglio a dicembre quando la famiglia si è trasferita). In adesione proporre: tassare 6 mesi di reddito invece di 12. L’Agenzia potrebbe accettare se vede che effettivamente dopo metà anno c’è stato espatrio completo. Così l’imponibile scenderebbe a €40.000, imposta €15.000. Su quello sanzioni ridotte 1/3 ~ 50% del precedente scenario (€15.000). Quindi Luigi pagherebbe circa €15k imposte + €5k sanzioni + interessi. Inoltre la multa RW potrebbe essere ridotta anch’essa a 1/3 (€1.500). Totale sui €22k. Un esborso importante ma molto minore di €75k. Luigi evita anche il rischio penale (imposta evasa scende sotto 50k).
  • Alternativa: se Luigi facesse ricorso, avrebbe argomenti solo dal 2022 in poi, ma sul 2021 rischia di perdere perché i collegamenti con Italia c’erano. Potrebbe sperare di vincere parzialmente (magari giudice riconosce residenza estera da luglio), ma è incerto. E nel mentre dovrebbe forse pagare 1/3 (€10k) subito a ruolo. E penale rimane in piedi su €30k evasi, però sotto soglia (30k <50k, niente reato in realtà, quindi ok).
  • Luigi decide di tentare adesione. Presenta istanza, allega documenti (contratto lavoro dal 1/3/21, iscrizione figli a scuola DE da settembre 22, etc.). Dopo discussione, l’Ufficio accetta di ridurre reddito imponibile del 30% (riconoscendo che da settembre famiglia via, ecc.). Accordano nuove imposte €20k, sanzioni €6.6k (1/3), RW multa €1.5k. Luigi paga in 8 rate semestrali. Questione chiusa, niente contenzioso.

Morale: In casi di mezzo, trovare un compromesso è spesso la soluzione più pragmatica. Se invece Luigi fosse partito con famiglia sin da gennaio 2021 e AIRE subito, probabilmente l’accertamento non arrivava nemmeno; se fosse rimasto con famiglia in Italia fino a dic 2021, avrebbe quasi sicuramente perso e pagato tutto.

Ogni storia ha sfumature diverse: ecco perché la guida ha cercato di coprire vari scenari e fornire strumenti di valutazione.

N.B.: Le informazioni fornite in questa guida hanno scopo orientativo-generale e riflettono il quadro normativo e giurisprudenziale aggiornato a settembre 2025. Per casi concreti, si raccomanda sempre di consultare direttamente la normativa vigente e avvalersi di consulenza professionale qualificata.

Fonti normative e giurisprudenziali utilizzate

  • D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 – Testo Unico delle Imposte sui Redditi, art. 2 comma 2 e 2-bis (criteri di residenza fiscale delle persone fisiche).
  • D.Lgs. 29 dicembre 2023, n. 209 – Decreto attuativo della Delega Fiscale 2022, riforma della residenza fiscale (introduzione criterio presenza fisica, domicilio relazioni personali, presunzione relativa iscrizione anagrafica) in vigore dal 2024.
  • Codice Civile, art. 43 – Definizioni di domicilio e residenza (rilevanti per il TUIR).
  • Legge 27 ottobre 1988, n. 470 – Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (obbligo di iscrizione AIRE per chi risiede >12 mesi all’estero).
  • D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60 – Norme sulla notifica degli atti tributari. In particolare comma 3 e seguenti, come modificati da D.L. 40/2010, per notifiche a residenti esteri (invio raccomandata a indirizzo AIRE).
  • D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 13 – Ravvedimento operoso sulle violazioni tributarie (riduzione sanzioni per regolarizzazione spontanea prima di contestazione).
  • D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218 – Accertamento con adesione e conciliazione giudiziale. Art. 2-3 (adesione; sospensione termini), art. 15 (acquiescenza, sanzioni 1/3), art. 48 (conciliazione giudiziale, sanzioni ridotte).
  • Legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del Contribuente) – Art. 7 (obbligo di motivazione degli atti tributari e indicazione espressa delle norme violate).
  • Convenzione tra la Repubblica Italiana e la Repubblica Federale di Germania per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio e prevenire le evasioni fiscali, firmata a Bonn il 18/10/1989, ratificata con Legge 24 novembre 1992, n. 459 (in vigore dal 26/12/1992). In particolare art. 4 (residenza fiscale, tie-breaker tests) e artt. 15, 18, ecc. (distribuzione potestà impositiva per redditi di lavoro, pensioni, ecc.).
  • Ordinanza Corte di Cassazione V sez. n. 28072 del 5 ottobre 2023 – In tema di residenza fiscale: iscrizione AIRE non determinante da sola, va verificato il centro degli interessi effettivo.
  • Sentenza Corte di Cassazione V sez. n. 27278 del 25 settembre 2023 – In tema di doppia imposizione Italia-Germania: per evitare la doppia tassazione basta provare la residenza effettiva estera, non è necessario dimostrare il pagamento delle imposte estere (basta la soggezione potenziale in modo illimitato nello Stato estero).
  • Ordinanza Corte di Cassazione n. 1292 del 20 gennaio 2025 – (Cit. in testo) Presunzione residenza per iscritti AIRE in paese a fiscalità privilegiata (caso Monaco): onere probatorio aggravato per contribuente, documenti formali non sufficienti a vincere presunzione.
  • Ordinanza Corte di Cassazione n. 1294/2025 – (Men. in LexCED) Principio prevalenza sostanza su forma: certificato di residenza estero non sufficiente se contribuente non iscritto AIRE e mantiene legami in Italia (cariche, ecc.). Ricorso contribuente inammissibile, residenza effettiva in Italia confermata.
  • Ordinanza Corte di Cassazione n. 22838/2025 – Validità notifica via raccomandata all’indirizzo AIRE e perfezionamento per compiuta giacenza; irrilevanza eccezioni contribuente, conferma notifica valida (casi Cass. 16696/2013; 13753/2023 citati).
  • Cassazione, sentenze nn. 10706/2019 e 25195/2022 – (cit. in Cass. 27278/23) Principio di “potenziale assoggettamento ad imposizione illimitata” nello Stato di residenza estero, indipendentemente dall’effettivo prelievo, in applicazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni .
  • Cassazione, sentenza n. 16634/2013 – (indicativa di orientamento) Iscrizione AIRE ha valore dichiarativo; la residenza effettiva va desunta da elementi fattuali (es. famiglia, affari in Italia).
  • Commissione Tributaria Regionale (C.T. di II grado) della Lombardia, sent. n. 436/2015 (ipotetica) – Esempio di pronuncia di merito: “l’iscrizione all’AIRE non esclude la residenza in Italia ove risultino permanenti interessi nel territorio dello Stato”. (N.B. riferimento esemplificativo, non citato sopra testualmente).
  • Risposta Agenzia Entrate – Interpello n. 56/E del 2023 – Caso di ricercatore italiano in Germania in smart working: chiarimenti su residenza fiscale e applicazione convenzione (indicata tra i risultati di ricerca). [Fonte non aperta nel dettaglio per estrazione, ma citata come contesto].
  • Scambio automatico informazioni finanziarie – Common Reporting Standard (CRS) implementato dalla Direttiva UE 2014/107 (DAC2) – Base normativa per lo scambio dati conti esteri (menzionato nel contesto monitoraggio fiscale).
  • Direttiva 2010/24/UE – Assistenza reciproca per il recupero dei crediti fiscali (menzionata riguardo riscossione transfrontaliera).

Hai ricevuto un’intimazione o un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate italiana, anche se vivi e lavori in Germania? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un’intimazione o un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate italiana, anche se vivi e lavori in Germania?
Ti stai chiedendo come sia possibile che l’Italia ti chieda di pagare imposte o sanzioni, nonostante tu paghi regolarmente le tasse al Finanzamt tedesco?
👉 È una situazione più comune di quanto pensi: molti italiani residenti in Germania vengono raggiunti da accertamenti fiscali per presunta residenza fiscale italiana o redditi non dichiarati, ma in molti casi tali atti sono illegittimi e annullabili.

In questa guida scoprirai come funziona la tassazione tra Italia e Germania, quali errori commette spesso l’Agenzia delle Entrate, e come difenderti legalmente per far riconoscere la tua residenza fiscale tedesca ed evitare la doppia imposizione.


⚖️ Perché l’Agenzia delle Entrate ti ha inviato un accertamento

L’Agenzia delle Entrate può notificare un accertamento anche a cittadini italiani residenti all’estero se ritiene che:

  • tu sia ancora fiscalmente residente in Italia;
  • tu abbia redditi, conti o beni in Italia (immobili, partecipazioni, pensioni, dividendi, ecc.);
  • il tuo trasferimento in Germania sia considerato “solo formale” o fittizio;
  • tu non ti sia iscritto all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero).

📌 Tuttavia, se vivi realmente in Germania, hai un lavoro stabile e paghi regolarmente le imposte al Finanzamt, l’Italia non può tassarti sui redditi prodotti all’estero.
In questo caso, l’accertamento è contestabile e spesso annullabile in base alla legge e alle Convenzioni internazionali.


🌍 Quando sei fiscalmente residente in Italia

Secondo l’art. 2 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), sei considerato residente fiscale in Italia se, per almeno 183 giorni l’anno:

  • sei iscritto all’anagrafe della popolazione residente in Italia;
  • hai il domicilio o il centro dei tuoi interessi personali o economici in Italia;
  • oppure non sei iscritto all’AIRE.

👉 Se invece sei iscritto all’AIRE e puoi dimostrare che il tuo centro vitale (casa, lavoro, famiglia, conti bancari, assicurazioni, sanità) si trova in Germania, non puoi essere tassato in Italia per i redditi esteri.


🇮🇹🤝🇩🇪 La Convenzione Italia–Germania contro la doppia imposizione

Italia e Germania hanno firmato una Convenzione bilaterale per evitare la doppia imposizione fiscale (ratificata con Legge n. 459 del 1992).
L’obiettivo è impedire che lo stesso reddito venga tassato due volte — una in Italia e una in Germania.

📌 In sintesi:

  • Se sei residente fiscale in Germania, paghi le tasse solo in Germania sui redditi prodotti nel Paese.
  • L’Italia può tassare solo i redditi di fonte italiana (immobili, pensioni, dividendi, conti correnti).
  • In caso di doppia tassazione, puoi ottenere un credito d’imposta compensativo.

👉 La Convenzione Italia–Germania è la base giuridica per difenderti da qualsiasi accertamento italiano non fondato.


🧠 Quando l’Agenzia delle Entrate sbaglia

Gli errori più comuni negli accertamenti verso italiani residenti in Germania sono:

  • mancata o tardiva iscrizione all’AIRE;
  • scambio di dati incompleto o errato tra Italia e Germania (nonostante gli accordi OCSE-CRS);
  • presunzione di residenza italiana per la sola presenza di conti o proprietà in Italia;
  • accertamenti automatici senza verificare dove risiedi realmente;
  • mancato riconoscimento della Convenzione Italia–Germania.

📌 L’Agenzia non può basarsi su sospetti o presunzioni: deve provare concretamente che il tuo “centro vitale” sia rimasto in Italia.
Se mancano prove oggettive, l’accertamento è illegittimo e può essere annullato.


🧩 Le strategie legali per difendersi

💠 1. Controlla la regolarità della notifica in Germania

L’Agenzia deve notificarti l’accertamento correttamente all’estero, tramite:

  • raccomandata internazionale con ricevuta di ritorno, oppure
  • canali diplomatici o consolari.
    👉 Se la notifica è irregolare o non conforme, l’atto è nullo.

💠 2. Dimostra la tua residenza fiscale effettiva in Germania

Raccogli e conserva tutta la documentazione che dimostri la tua vita stabile in Germania:

  • iscrizione all’AIRE;
  • Meldebescheinigung (certificato di residenza) rilasciato dall’amministrazione tedesca;
  • contratto di lavoro o dichiarazioni fiscali tedesche (Einkommensteuererklärung);
  • bollette, affitto, utenze, conto bancario e assicurazioni sanitarie in Germania;
  • documenti familiari o scolastici se vivi con la famiglia.

📌 Queste prove dimostrano che la tua residenza effettiva è in Germania e non in Italia.


💠 3. Verifica la legittimità dell’accertamento e la prescrizione

L’Agenzia delle Entrate può notificare accertamenti entro:

  • 5 anni dall’anno d’imposta, se la dichiarazione è stata presentata;
  • 7 anni se la dichiarazione è stata omessa.
    👉 Se l’accertamento è tardivo, puoi chiederne l’annullamento per decadenza.

💠 4. Presenta ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria)

Hai 60 giorni dalla notifica per impugnare l’avviso di accertamento.
Un avvocato tributarista può chiedere:

  • la sospensione immediata dell’esecuzione;
  • l’annullamento dell’accertamento;
  • il riconoscimento della tua residenza fiscale in Germania, secondo la Convenzione Italia–Germania.

📌 Il ricorso blocca temporaneamente il pagamento e ti consente di difenderti anche a distanza.


💠 5. Richiedi l’annullamento in autotutela o una definizione agevolata

Se l’Agenzia ha commesso errori evidenti o non ha considerato le imposte già versate in Germania, puoi chiedere:

  • l’annullamento in autotutela, allegando le prove della tassazione tedesca;
  • oppure una definizione agevolata, per chiudere la controversia con il pagamento ridotto e senza sanzioni.

📋 Documenti fondamentali per la difesa

  • Copia dell’avviso di accertamento o della cartella.
  • Prova della notifica (posta, PEC o via consolare).
  • Certificato AIRE aggiornato.
  • Meldebescheinigung o certificato di residenza fiscale tedesco.
  • Dichiarazioni fiscali italiane e tedesche.
  • Estratti conto bancari e documenti di lavoro.
  • Prove delle imposte pagate in Germania (Bescheide).

⏱️ Tempi e risultati possibili

  • Analisi e raccolta documenti: 1–2 settimane.
  • Ricorso o autotutela: entro 60 giorni dalla notifica.
  • Sospensione cautelare: 1–3 mesi.
  • Decisione definitiva: 6–12 mesi medi.

🎯 Risultati concreti:

  • Sospensione immediata delle somme richieste.
  • Annullamento totale o parziale dell’accertamento.
  • Riconoscimento della residenza fiscale in Germania.
  • Eliminazione della doppia tassazione Italia–Germania.

⚖️ I vantaggi di una difesa legale competente

✅ Blocchi cartelle, pignoramenti e riscossioni in Italia.
✅ Dimostri la tua residenza fiscale effettiva in Germania.
✅ Eviti la doppia imposizione sui redditi esteri.
✅ Ottieni la cancellazione o riduzione del debito fiscale.
✅ Regolarizzi la tua posizione fiscale in modo definitivo e trasparente.


🚫 Errori da evitare

  • Ignorare la notifica dell’accertamento.
  • Pagare senza verificare la legittimità dell’atto.
  • Non fornire prove della residenza fiscale tedesca.
  • Rivolgerti a consulenti non avvocati o senza esperienza tributaria internazionale.
  • Superare i 60 giorni per il ricorso: dopo, l’accertamento diventa definitivo.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza il contenuto dell’accertamento e la tua posizione fiscale.
📌 Controlla la correttezza della notifica e l’applicazione della Convenzione Italia–Germania.
✍️ Redige il ricorso tributario o l’istanza di autotutela.
⚖️ Ti rappresenta davanti alla Corte Tributaria e nei rapporti con l’Agenzia delle Entrate.
🔁 Ti assiste fino alla cancellazione o definizione agevolata del debito fiscale.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in diritto tributario internazionale e sovraindebitamento.
✔️ Specializzato nella difesa di italiani residenti all’estero con accertamenti fiscali italiani.
✔️ Gestore della crisi da sovraindebitamento iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Ricevere un accertamento fiscale dall’Italia mentre vivi in Germania non significa essere obbligato a pagare.
Con una difesa legale tempestiva e ben documentata, puoi dimostrare la tua residenza fiscale tedesca, evitare la doppia tassazione e ottenere l’annullamento dell’accertamento.
La Convenzione Italia–Germania è dalla tua parte: l’importante è agire subito e con le prove giuste.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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