Accertamento Dell’Agenzia Delle Entrate A Italiano Residente In Francia: Cosa Fare E Come Difendersi

Hai ricevuto un avviso di accertamento fiscale dall’Agenzia delle Entrate pur vivendo stabilmente in Francia?
Si tratta di una situazione molto frequente tra gli italiani trasferiti oltralpe, che spesso vengono raggiunti da contestazioni fiscali anche anni dopo la partenza.

L’Agenzia delle Entrate può infatti sostenere che il tuo trasferimento sia solo “formale” e che tu abbia mantenuto la residenza fiscale in Italia, chiedendoti di pagare imposte anche sui redditi prodotti e già tassati in Francia.
La buona notizia è che puoi difenderti legalmente, dimostrando la tua effettiva residenza all’estero e facendo valere la Convenzione tra Italia e Francia contro la doppia imposizione.

Questa guida spiega come comportarti, quali documenti raccogliere e come contestare efficacemente un accertamento fiscale illegittimo.

Perché l’Agenzia delle Entrate può accertare un residente in Francia

Secondo l’articolo 2 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), una persona è considerata fiscalmente residente in Italia se, per più di 183 giorni all’anno:

  • è iscritta all’anagrafe della popolazione residente;
  • ha in Italia il domicilio o il centro principale dei propri interessi economici e familiari;
  • oppure possiede beni o rapporti significativi che denotano un legame stabile con l’Italia.

Molti italiani residenti in Francia ricevono accertamenti perché non si sono iscritti tempestivamente all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) o perché mantengono proprietà o conti in Italia.
In questi casi, l’Agenzia presume che il centro degli interessi vitali sia rimasto in Italia, anche se la persona vive e lavora stabilmente all’estero.

La Convenzione Italia–Francia contro la doppia imposizione

L’Italia e la Francia hanno stipulato una Convenzione per evitare la doppia imposizione, firmata a Venezia il 5 ottobre 1989 e ratificata con Legge n. 20/1992.
La Convenzione regola le competenze dei due Stati in materia fiscale, impedendo che lo stesso reddito venga tassato due volte.

In base all’accordo:

  • se la tua residenza fiscale effettiva è in Francia, i redditi prodotti nel Paese sono tassabili solo in Francia;
  • i redditi di fonte italiana (come affitti, pensioni o dividendi) possono essere tassati anche in Italia, ma con la possibilità di ottenere il credito d’imposta per le imposte già pagate in Francia;
  • la residenza fiscale viene determinata in base alla sede dell’abitazione principale, del nucleo familiare e del centro degli interessi economici.

La Convenzione è lo strumento principale per evitare la doppia imposizione e difendersi da accertamenti fiscali non dovuti.

Come avviene la notifica dell’accertamento in Francia

L’Agenzia delle Entrate può notificare un accertamento a un cittadino italiano residente in Francia in diversi modi:

  • tramite raccomandata internazionale con ricevuta di ritorno;
  • tramite PEC (posta elettronica certificata), se il contribuente ha un domicilio digitale attivo in Italia;
  • oppure tramite le autorità consolari italiane, secondo gli accordi tra i due Paesi.

La notifica è valida solo se effettuata nel rispetto delle norme internazionali.
Se la notifica è irregolare, inviata all’indirizzo sbagliato o priva di prova di consegna, l’atto può essere impugnato e dichiarato nullo.
Verificare la correttezza della notifica è il primo passo per impostare la difesa.

Cosa fare subito se ricevi un accertamento fiscale in Francia

Ricevere una comunicazione fiscale dall’Italia mentre vivi all’estero può essere destabilizzante, ma agire subito è essenziale. Hai 60 giorni di tempo dalla notifica per presentare ricorso o istanza di annullamento.

Ecco i passaggi fondamentali da seguire:

  1. Controlla la modalità di notifica.
    Se non rispetta le regole previste dagli accordi internazionali, l’atto può essere annullato.
  2. Richiedi una copia completa dell’accertamento.
    Analizza i redditi contestati, le annualità interessate e le prove utilizzate dal Fisco.
  3. Verifica la tua iscrizione all’AIRE.
    Se risultavi iscritto negli anni oggetto di accertamento, è una prova decisiva della tua residenza estera.
  4. Raccogli prove della tua vita stabile in Francia.
    Contratto di lavoro, residenza anagrafica, dichiarazioni fiscali francesi, bollette, conti correnti, iscrizione ai servizi sanitari o scolastici: tutto ciò che attesti la tua presenza effettiva nel Paese.
  5. Contatta un avvocato esperto in diritto tributario internazionale.
    Solo un professionista può verificare la legittimità dell’accertamento, applicare correttamente la Convenzione Italia–Francia e preparare un ricorso efficace.

Come difendersi da un accertamento illegittimo

Un accertamento fiscale può essere impugnato sia per vizi formali sia per errori sostanziali. I motivi più frequenti di illegittimità sono:

  • notifica irregolare o avvenuta fuori dai termini;
  • errata valutazione della residenza fiscale;
  • mancata applicazione della Convenzione bilaterale;
  • doppia imposizione di redditi già tassati in Francia;
  • presunzioni infondate di redditi prodotti in Italia.

In questi casi, l’avvocato può presentare ricorso al giudice tributario italiano o un’istanza di autotutela all’Agenzia delle Entrate, chiedendo la sospensione immediata della riscossione.

Come dimostrare la residenza fiscale effettiva in Francia

La prova della residenza effettiva è il cuore della difesa. Devi dimostrare che il tuo centro di interessi vitali si trova in Francia e non in Italia.
Le prove più efficaci sono:

  • iscrizione all’AIRE regolare e continuativa;
  • certificato di residenza fiscale rilasciato dall’amministrazione francese (Direction Générale des Finances Publiques);
  • contratto di lavoro o partita IVA aperta in Francia;
  • dichiarazioni fiscali francesi e imposte pagate all’impôt sur le revenu;
  • presenza della famiglia e abitazione principale in Francia;
  • assenza di attività economiche rilevanti in Italia.

Una documentazione completa e coerente può portare all’annullamento dell’accertamento e alla conferma della tua residenza fiscale estera.

Come evitare la doppia tassazione

Se l’Agenzia delle Entrate ti contesta redditi già tassati in Francia, puoi far valere la Convenzione bilaterale per ottenere:

  • il credito d’imposta in Italia per le imposte già versate in Francia;
  • la cancellazione della doppia imposizione;
  • l’annullamento totale o parziale dell’accertamento.

È importante presentare le dichiarazioni fiscali francesi e i documenti rilasciati dall’amministrazione locale che attestano il pagamento delle imposte.

Cosa succede se ignori l’accertamento

Ignorare un accertamento è pericoloso. Dopo 60 giorni dalla notifica, l’atto diventa definitivo e l’Agenzia delle Entrate può iscrivere il debito a ruolo, avviando pignoramenti e blocchi su conti o beni posseduti in Italia.
Anche se vivi in Francia, i tuoi beni italiani restano aggredibili. Agire tempestivamente è quindi essenziale per evitare conseguenze economiche gravi.

I vantaggi di una difesa tempestiva

Con una difesa legale tempestiva puoi:

  • sospendere la riscossione e bloccare eventuali pignoramenti;
  • dimostrare la residenza fiscale effettiva in Francia;
  • evitare la doppia imposizione dei redditi;
  • ottenere l’annullamento o la riduzione dell’accertamento;
  • proteggere il tuo patrimonio in Italia.

Una strategia difensiva ben impostata, basata su prove solide e riferimenti normativi internazionali, può risolvere la controversia in via amministrativa o giudiziale.

Quando rivolgersi a un avvocato esperto

Devi contattare un avvocato se:

  • hai ricevuto un accertamento pur risiedendo in Francia;
  • vuoi far riconoscere la tua residenza fiscale estera;
  • l’Agenzia ti contesta redditi già tassati in Francia;
  • temi pignoramenti o azioni esecutive in Italia.

Un avvocato esperto in diritto tributario internazionale può analizzare l’accertamento, verificare la legittimità dell’atto e presentare ricorso al giudice tributario per ottenere la cancellazione del debito.

⚠️ Attenzione: un accertamento non impugnato nei termini diventa definitivo e può comportare sanzioni elevate e interessi. Agisci subito per difendere i tuoi diritti e far riconoscere la tua residenza in Francia.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, internazionale e tutela dei residenti all’estero – spiega in modo chiaro cosa fare se ricevi un accertamento dall’Italia pur vivendo in Francia, come difenderti dal Fisco e come evitare la doppia imposizione grazie alla Convenzione Italia–Francia.

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Introduzione

Vivere stabilmente all’estero non mette automaticamente al riparo dai controlli fiscali italiani. Sempre più cittadini italiani trasferiscono la residenza in altri Paesi (come la Francia) per motivi di lavoro, famiglia o convenienza fiscale. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate presta particolare attenzione a questi soggetti residenti all’estero per verificare che il trasferimento non sia fittizio e che non stiano eludendo il fisco italiano . Dal punto di vista del contribuente (debitore), ricevere un avviso di accertamento fiscale dall’Italia mentre si risiede in Francia può generare incertezza e timori. È dunque fondamentale comprendere quali controlli l’Agenzia delle Entrate può effettuare, in base a quali norme, e soprattutto come tutelarsi in caso di contestazioni.

Questa guida – aggiornata a settembre 2025 – fornirà un’analisi approfondita e di livello avanzato (adatta ad avvocati, imprenditori e privati) sul tema dell’accertamento fiscale a carico di un italiano formalmente residente in Francia. Il taglio sarà giuridico ma divulgativo: spiegheremo i concetti chiave con linguaggio chiaro, citando i riferimenti normativi, la prassi amministrativa e le sentenze più recenti. Troverete inoltre tabelle riepilogative che confrontano regimi fiscali e criteri di residenza, una sezione di domande e risposte (FAQ) su casi pratici frequenti e alcune simulazioni di situazioni tipiche, il tutto dal punto di vista del contribuente che deve far valere le proprie ragioni.

Inizieremo delineando la normativa italiana sulla residenza fiscale, profondamente riformata dal 2024, per poi esaminare gli obblighi tributari connessi (come il monitoraggio dei patrimoni esteri nel Quadro RW) e gli strumenti a disposizione del Fisco (dal redditometro allo scambio automatico di informazioni). Successivamente descriveremo l’iter degli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate, le possibili conseguenze (tassazione retroattiva, sanzioni amministrative, profili penali) e le strategie difensive a disposizione del contribuente: dall’onere di prova dell’effettiva residenza estera, ai rimedi impugnatori degli atti fiscali. In chiusura, una sezione FAQ risponderà ai dubbi più comuni, mentre le tabelle riepilogative sintetizzeranno i punti chiave (criteri di residenza prima/dopo la riforma, confronto residenti vs non residenti, strumenti di controllo, ecc.) .

Importanza pratica: conoscere in dettaglio questi aspetti consente di prevenire contestazioni (ad esempio curando l’iscrizione all’AIRE e mantenendo prove solide del trasferimento all’estero) e di affrontare efficacemente eventuali accertamenti già avviati . Non basta trasferire la residenza anagrafica: occorre trasferire il proprio centro di vita all’estero affinché la residenza fiscale italiana venga meno. Approfondiamo dunque la disciplina vigente e i controlli dell’Agenzia delle Entrate nei confronti di un italiano che si dichiara residente in Francia.

Principi generali: residenza fiscale e tassazione worldwide

Il primo passo è chiarire quando una persona è considerata fiscalmente residente in Italia, poiché da ciò dipende il regime di tassazione dei redditi. L’ordinamento italiano, infatti, adotta il principio della tassazione mondiale (worldwide taxation): i soggetti residenti in Italia sono tassati dall’Italia su tutti i redditi ovunque prodotti nel mondo, mentre i non residenti sono tassati in Italia solo sui redditi prodotti nel territorio italiano . In altre parole, un italiano considerato fiscalmente residente in Francia pagherà in Italia soltanto le imposte sui redditi di fonte italiana (ad esempio una casa affittata in Italia), mentre un residente in Italia è tenuto a dichiarare in Italia anche i redditi esteri (con possibilità di credito d’imposta per le tasse pagate in Francia, per evitare doppie imposizioni) .

Questa distinzione è cruciale: un italiano che trasferisce la residenza in Francia mira in genere a non essere più tassato in Italia sui redditi esteri. L’Agenzia delle Entrate, però, può contestare il trasferimento se ritiene che in realtà il contribuente abbia mantenuto in Italia il centro effettivo dei propri interessi. Vediamo dunque i criteri legali per la residenza fiscale e come sono cambiati di recente, con particolare riguardo al caso di un soggetto residente in Francia.

Criteri di residenza fiscale per le persone fisiche

La residenza fiscale delle persone fisiche in Italia è definita dall’art. 2 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR, D.P.R. 917/1986). Tale norma è stata modificata di recente dal Decreto Legislativo n. 209/2023 (attuativo della Delega Fiscale 2023) in vigore dal periodo d’imposta 2024 . Di seguito analizziamo sia la disciplina previgente (applicabile fino al 2023) sia le novità introdotte dal 2024, tenendo conto che per gli anni d’imposta fino al 2023 valgono le vecchie regole, mentre per il 2024 e seguenti si applicano i nuovi criteri.

Fino al 2023: i tre criteri alternativi (anagrafe, domicilio, residenza)

Fino al 31 dicembre 2023, una persona fisica era considerata residente fiscale in Italia se, per la maggior parte dell’anno (almeno 183 giorni nell’arco dell’anno, 184 se anno bisestile), risultava soddisfatto almeno uno dei seguenti criteri (art. 2, comma 2 TUIR previgente) :

  • Iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente in Italia (ovvero residenza anagrafica in un Comune italiano). Questo è un criterio formale: la presenza nell’anagrafe comunale dei residenti faceva scattare automaticamente la residenza fiscale in Italia.
  • Domicilio in Italia ai sensi del Codice Civile (art. 43 c.c.), inteso come la sede principale degli affari e interessi. È un criterio sostanziale: rileva il luogo in cui la persona ha il centro dei propri interessi economici e sociali.
  • Residenza (civilistica) in Italia, sempre ex art. 43 c.c., intesa come la dimora abituale nel territorio italiano. Conta quindi il luogo in cui la persona vive di fatto in modo regolare e continuativo.

Era sufficiente che anche uno solo di questi elementi sussistesse per più di metà anno, perché scattasse la residenza fiscale italiana . Ad esempio, un cittadino italiano che aveva famiglia e lavoro in Italia (domicilio) ma si iscriveva all’anagrafe francese senza trasferirsi davvero, veniva comunque considerato residente in Italia in base al domicilio. Viceversa, chi si trasferiva stabilmente all’estero ma dimenticava di iscriversi all’AIRE (continuando a risultare residente in un Comune italiano) veniva considerato residente in Italia per il solo fatto formale dell’iscrizione anagrafica.

Oltre a questi criteri, la legge prevedeva una presunzione speciale per i trasferimenti verso Paesi a fiscalità privilegiata (c.d. paradisi fiscali): l’art. 2, comma 2-bis TUIR stabiliva che i cittadini italiani cancellati dall’anagrafe residente e trasferiti in Stati black list (indicati in apposito elenco ministeriale) fossero presunti residenti in Italia salvo prova contraria . Si tratta di una presunzione legale relativa (iuris tantum): il contribuente può vincerla provando di essersi effettivamente trasferito all’estero, ma l’onere della prova grava interamente su di lui. Questa norma anti-evasione mirava a contrastare i trasferimenti fittizi verso paradisi fiscali: ad esempio, un trasferimento in Monaco o in un’isola caraibica comportava, fino al 2023, che l’Agenzia delle Entrate desse per scontato che la residenza fiscale fosse rimasta in Italia, a meno che l’interessato non dimostrasse con evidenze solide di vivere stabilmente all’estero . Come vedremo, tale presunzione esiste ancora, ma inquadra uno scenario diverso rispetto al caso di trasferimento in Francia (Paese white list).

Dal 2024: la riforma dei criteri di residenza (Decr. Legislativo 209/2023)

Con effetto dal periodo d’imposta 2024, la normativa sulla residenza fiscale è stata rivista per aumentare l’aderenza alla prassi OCSE e fornire maggiore certezza . Il nuovo art. 2 TUIR (come interpretato dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare n. 20/E del 4 novembre 2024) mantiene i tre criteri fondamentali ma apporta importanti novità sostanziali :

  • Iscrizione nell’anagrafe residente: rimane un criterio formale di collegamento, ma dal 2024 costituisce soltanto una presunzione relativa di residenza . In pratica, il fatto di risultare iscritto all’anagrafe di un Comune italiano non è più una prova assoluta di residenza fiscale italiana: il contribuente può dimostrare il contrario. Ad esempio, se Tizio dimentica di iscriversi all’AIRE ma ha effettivamente vissuto tutto l’anno in Francia senza alcun legame in Italia, potrà provare che non era fiscalmente residente in Italia, nonostante l’iscrizione anagrafica italiana ancora attiva. Questa novità tutela chi, pur avendo tardato ad aggiornare l’iscrizione AIRE, vive stabilmente all’estero . Resta invece invariata la presunzione (relativa) per i trasferimenti in paradisi fiscali (art. 2, co. 2-bis TUIR), di cui diremo tra poco.
  • Domicilio in Italia: il criterio del domicilio è stato ridefinito in senso più personale. Prima del 2024 il domicilio era inteso come “sede principale degli affari e interessi” (art. 43 c.c.), generando dubbi se prevalessero gli interessi economici o quelli familiari. Dal 2024, il legislatore tributario ha introdotto una nozione autonoma di domicilio fiscale, focalizzata sulle relazioni personali e familiari . In base al nuovo art. 2 TUIR, “per domicilio si intende il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona” . Si privilegia dunque l’aspetto personale: il centro degli interessi del contribuente viene individuato principalmente dove egli ha i legami affettivi e familiari più stretti e stabili. Ad esempio, la presenza del coniuge/partner o dei figli in un luogo è ora un elemento primario per stabilire il domicilio fiscale. Rimangono considerati (in subordine) anche gli interessi economici – come l’attività lavorativa o gli affari – ma non prevalgono più sugli elementi personali . Questo allineamento alle linee guida OCSE avvantaggia soprattutto i casi in cui una persona lavora all’estero ma la famiglia resta in Italia (o viceversa): in passato l’interpretazione poteva oscillare, ora la legge chiarisce che il fulcro è la sfera familiare. Nel nostro caso, ad esempio, un cittadino italiano che si trasferisce a Parigi mentre la moglie e i figli restano in Italia potrebbe essere considerato ancora domiciliato in Italia, dato che le sue relazioni personali principali rimangono lì – a meno che trasferisca all’estero anche il nucleo familiare.
  • Residenza (civilistica) in Italia: questo criterio è rimasto invariato nella sostanza. Coincide con la dimora abituale (art. 43, co. 2 c.c.), cioè il luogo in cui la persona vive abitualmente la propria quotidianità . Anche dopo la riforma, continua a rilevare il fatto di trascorrere di fatto la maggior parte dell’anno in Italia. In pratica, occorre valutare elementi fattuali come: presenza fisica sul territorio, disponibilità di un’abitazione utilizzata quotidianamente, svolgimento in loco della vita privata. La modifica normativa non ha cambiato questa nozione, quindi restano validi i criteri interpretativi sviluppati dalla giurisprudenza negli anni (ad esempio sull’importanza dell’effettiva permanenza vs. brevi assenze).
  • Presenza fisica in Italia: la novità più rilevante è l’introduzione, dal 2024, di un quarto criterio autonomo basato sulla presenza fisica. La nuova legge stabilisce espressamente che la permanenza fisica in Italia per più di 183 giorni nell’anno costituisce di per sé un criterio di residenza fiscale . In precedenza, la prolungata presenza in Italia era considerata indirettamente attraverso il concetto di dimora abituale; ora diventa un parametro a sé stante. Ciò significa che, anche se una persona sostiene di avere domicilio e residenza all’estero, il fatto di essere materialmente presente in Italia per oltre metà anno la rende comunque residente fiscale in Italia (salvo diversi accordi internazionali). Va specificato che il calcolo dei 183 giorni include anche periodi non consecutivi: ad esempio, se un soggetto trascorre in Italia vari periodi brevi che sommati superano sei mesi, scatta questo criterio . Questa aggiunta mira a colpire situazioni in cui il contribuente, pur formalmente espatriato, di fatto permane a lungo in Italia (es. rientra frequentemente e passa qui la maggior parte del tempo). Un esempio tipico è quello dei lavoratori transfrontalieri: se un italiano ufficialmente residente in Francia rientra in Italia quasi tutti i giorni (magari per lavorare a Ventimiglia) cumulando oltre 183 giorni sul suolo italiano, tecnicamente soddisfa il criterio della “presenza fisica” e potrebbe essere considerato residente fiscale italiano, fatto salvo l’eventuale intervento della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Francia (vedi oltre il tie-breaker convenzionale) .

Presunzioni particolari e onere della prova: restano in vigore, anche dopo la riforma, alcune presunzioni volte a facilitare i controlli del Fisco :

  • La presunzione relativa per i trasferimenti in paradisi fiscali (art. 2, co. 2-bis TUIR) è stata confermata: se un cittadino italiano si iscrive all’AIRE trasferendosi in un Paese a fiscalità privilegiata (black list), si presume che non abbia realmente perso la residenza fiscale italiana, salvo prova contraria . Questa presunzione iuris tantum è molto forte: l’Agenzia delle Entrate non deve dimostrare nulla di particolare, è il contribuente a dover fornire evidenze convincenti di aver stabilito all’estero il proprio centro di interessi. La Corte di Cassazione ha più volte chiarito che mere formalità non bastano a vincere tale presunzione: ad esempio, iscrizione AIRE, possesso di una casa o di un’auto all’estero sono elementi insufficienti se non accompagnati da riscontri sostanziali (famiglia trasferita, attività lavorativa effettiva fuori, ecc.) . Va però sottolineato che questa situazione non riguarda un trasferimento in Francia, poiché la Francia non è un Paese black list. Dunque un italiano che si trasferisce in Francia non è soggetto a questa inversione dell’onere della prova: in caso di contestazione, spetterà in primo luogo all’Agenzia fornire elementi per dimostrare che il soggetto ha mantenuto residenza in Italia (e ovviamente il contribuente dovrà controbattere con le proprie prove, ma non parte già da una presunzione legale sfavorevole come nel caso di trasferimento a Monaco, ad esempio).
  • Un’altra presunzione legale riguarda le società estere controllate da italiani in paradisi fiscali, che però attiene alla residenza delle imprese (ne parleremo più avanti, a proposito di esterovestizione societaria). Per le persone fisiche, la principale presunzione anti-elusiva è quella appena citata dei Paesi black list.

In sintesi, dal 2024 abbiamo criteri di collegamento più chiari e stringenti: per essere considerato non residente in Italia, un cittadino italiano espatriato deve di fatto rompere ogni legame sostanziale con l’Italia per più di metà anno. Deve quindi (i) cancellarsi dall’anagrafe italiana (iscriversi all’AIRE), (ii) vivere stabilmente all’estero (dimora abituale fuori d’Italia), (iii) trasferire all’estero il centro delle proprie relazioni personali e familiari (domicilio) e (iv) non trascorrere in Italia oltre 183 giorni l’anno. Se anche uno solo di questi elementi permane in Italia per la maggior parte dell’anno, la persona rischia di essere considerata residente fiscale italiana. Nel prosieguo vedremo come questi criteri vengano applicati e valutati in caso di contenzioso.

Tabella riepilogativa – Criteri di residenza fiscale persone fisiche (Italia):

CriterioFino al 2023Dal 2024 (D.Lgs. 209/2023)
Iscrizione anagrafica (in Italia)Presunzione assoluta di residenza fiscale se iscritto in un Comune italiano (assenza di iscrizione AIRE)Presunzione relativa: l’iscrizione in Italia è un forte indizio di residenza, ma il contribuente può provare il contrario (mancata iscrizione AIRE non è più prova definitiva) .
Domicilio (centro affari/interessi)Inteso ex art.43 c.c. come sede principale degli affari e interessi, senza chiara prevalenza tra interessi economici vs. personaliRidefinito con prevalenza degli interessi personali/familiari: domicilio = luogo delle relazioni familiari e affettive primarie. Gli interessi economici restano rilevanti ma subordinati .
Residenza civilistica (dimora abituale)Luogo di dimora abituale in Italia per >183 giorni; criterio fattuale, invariato anche dopoInvariato nella sostanza: rimane la valutazione della dimora abituale (>183 giorni) basata su permanenza di fatto, casa disponibile, routine quotidiana, ecc.
Presenza fisica in Italia (oltre 183g)Non previsto espressamente (implicito nella dimora abituale)Nuovo criterio autonomo: permanenza in Italia >183 giorni, anche non consecutivi, fa scattare la residenza fiscale italiana .
Trasferimento in Paese “black list”Presunzione legale relativa di residenza in Italia salvo prova contraria (onere sul contribuente)Confermato (art.2 co.2-bis TUIR invariato): se espatrio verso paradiso fiscale, l’Agenzia presume residenza Italia finché il contribuente non prova effettivo trasferimento .

(Nota: rimangono fermi la condizione temporale >183 giorni e l’eventuale applicazione delle Convenzioni internazionali per evitare doppie imposizioni, che possono risolvere conflitti di doppia residenza – si veda oltre.)

Doppia residenza fiscale e Convenzione Italia–Francia

Alla luce dei criteri visti, può accadere che Italia e Francia considerino entrambe un soggetto come proprio residente fiscale, in base alle rispettive leggi interne. Ad esempio, Tizio si trasferisce a Parigi e vi trascorre 200 giorni l’anno, ma mantiene moglie e figli e casa familiare in Italia dove torna per 165 giorni: la Francia potrebbe ritenerlo residente (perché vi ha la dimora abituale >183 giorni), e l’Italia pure (perché vi ha il domicilio familiare e quasi metà anno di presenza). Questo è un classico caso di doppia residenza.

Per risolverlo interviene la Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Francia (firmata a Venezia il 5 ottobre 1989, ratificata con L. 7 agosto 1990 n. 329). La Convenzione, all’art. 4, contiene le regole tie-breaker per attribuire la residenza fiscale a uno solo dei due Stati in caso di conflitto . In sintesi, i criteri previsti dal modello OCSE (recepiti nella Convenzione Italo-Francese) sono i seguenti, da applicare in ordine gerarchico:

  1. Abitazione permanente: il soggetto si considera residente nel Paese in cui ha un’abitazione permanente a sua disposizione. Se ne ha una in entrambi i Paesi (es. casa in Italia e appartamento in Francia) o in nessuno, si passa al criterio successivo.
  2. Centro degli interessi vitali: si guarda al Paese con il quale le relazioni personali ed economiche del soggetto sono più strette. Questo di fatto riprende il concetto di domicilio personal-familiare: dove sono la famiglia, le relazioni sociali, e anche gli affari principali. È il criterio più importante e spesso decisivo .
  3. Soggiorno abituale: se i primi due criteri non risolvono (ad esempio, abitazione in entrambi e legami spezzati a metà), si considera dove la persona soggiorna abitualmente (ovvero dove trascorre la maggior parte del tempo nell’anno).
  4. Cittadinanza: se ancora vi fosse incertezza, la residenza fiscale viene attribuita dove la persona ha la cittadinanza. (Nel caso di doppia cittadinanza, si risolve per accordo fra le autorità competenti dei due Stati).

Grazie a queste regole, un italiano in Francia generalmente non verrà tassato due volte come residente. Se, in base ai criteri convenzionali, risulta residente in Francia, l’Italia dovrà trattarlo come non residente ai fini dell’imposizione (limitandosi a tassare i soli redditi italiani, se presenti) . Viceversa, se prevale la residenza italiana, sarà la Francia a rinunciare alla tassazione worldwide. In pratica, dunque, un contribuente può invocare la Convenzione per farsi riconoscere residente solo in uno dei due Paesi. Ad esempio, nel caso di Tizio sopra, se i legami familiari pesano di più, la Convenzione potrebbe attribuirgli residenza in Italia (nonostante i 200 giorni in Francia) oppure, se l’aspetto della presenza prevale, residenza in Francia: dipende dalla valutazione complessiva degli interessi vitali.

È importante notare che, nelle controversie interne davanti al giudice tributario italiano, il contribuente può far valere la Convenzione. La Cassazione ha affermato che le autorità fiscali e i giudici devono applicare i criteri convenzionali in caso di doppia residenza, essendo le Convenzioni internazionali prevalenti sul diritto interno in virtù della legge di ratifica . Dunque, nel difendersi da un accertamento italiano, un soggetto residente in Francia potrà sostenere: “anche se ipoteticamente rientrassi nei criteri italiani di residenza, la Convenzione Italia–Francia stabilisce che sono da considerare residente solo in Francia, dato che lì ho il mio centro di interessi”. Chiaramente dovrà portare prove a supporto (es. certificato di residenza fiscale francese, famiglia effettivamente in Francia, ecc.).

In conclusione, per un italiano emigrato in Francia il quadro è così riassumibile: nessuna presunzione automatica di fittizietà (Francia non è paradiso fiscale), però l’Agenzia delle Entrate potrà contestare la residenza estera se ravvisa che anche uno dei criteri italiani è rimasto soddisfatto (specie domicilio familiare o presenza eccessiva in Italia). In caso di contestazione, si valuteranno i fatti e, se necessario, si applicherà la Convenzione per attribuire la residenza ad uno dei due Stati. Il contribuente, dal canto suo, dovrà prepararsi a dimostrare l’effettività del proprio trasferimento in Francia, come vedremo nelle sezioni difensive.

Iscrizione all’AIRE: condizione formale e valore probatorio

Un elemento formale cruciale per gli italiani che si trasferiscono all’estero è l’iscrizione all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero). La legge italiana (L. 27 ottobre 1988 n. 470 e relativo regolamento D.P.R. 6 settembre 1989 n. 323) richiede che il cittadino che trasferisce la residenza fuori d’Italia per più di 12 mesi si iscriva all’AIRE entro 90 giorni dall’espatrio . L’iscrizione all’AIRE comporta la contestuale cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente in Italia.

Dal punto di vista fiscale, l’iscrizione all’AIRE è condizione necessaria per essere considerato non residente, ma non è di per sé condizione sufficiente. In altre parole, iscriversi all’AIRE non garantisce automaticamente che il Fisco consideri effettivo il trasferimento . Bisogna comunque soddisfare anche gli altri requisiti sostanziali (dimora, domicilio all’estero, ecc.) altrimenti, pur essendo AIRE, si può risultare ancora residente fiscale italiano .

Fino al 2023, la mancata iscrizione AIRE (cioè il rimanere iscritti nell’anagrafe italiana) costituiva una presunzione assoluta di residenza in Italia. Dopo la riforma 2024, come visto, la mancata iscrizione AIRE è diventata presunzione relativa superabile con prova contraria . In pratica però, non iscriversi all’AIRE è ancora estremamente rischioso: significa apparire ufficialmente come residente in Italia, il che darà all’Agenzia un forte appiglio per trattare il soggetto da residente fiscale. Pertanto, chiunque trasferisca la dimora in Francia dovrebbe curare tempestivamente l’iscrizione AIRE presso il proprio Comune (tramite il Consolato italiano competente in Francia), sia per adempiere alla legge, sia per evitare che il Fisco lo consideri ancora residente in Italia per motivi anagrafici.

D’altro canto, anche l’iscrizione AIRE va valutata con altri elementi: ad esempio, la Cassazione ha più volte ribadito che l’iscrizione all’AIRE e l’avere un’abitazione all’estero non bastano da soli a provare l’effettiva residenza estera, se poi il tenore di vita e i legami restano in Italia . In una recente ordinanza (Cass. n. 1292 del 20/01/2025), la Suprema Corte ha confermato che nel caso di un soggetto trasferito in Paese black list, elementi come l’iscrizione AIRE, il possesso di casa e auto all’estero costituiscono “prove solo formali” e insufficienti a dimostrare che il centro degli interessi si è spostato fuori . Serve quindi sostanza: lavoro stabile all’estero, affetti all’estero, frequenza minima in Italia, ecc.

Riassumendo:

  • Iscrizione AIRE: è un obbligo di legge e una condizione necessaria per perdere la residenza fiscale italiana. Un italiano in Francia deve iscriversi all’AIRE. In mancanza, sarà considerato residente in Italia per il criterio formale (salvo provare che, pur senza iscrizione, aveva tutti i legami fuori – possibile dal 2024, ma comunque complicato da dimostrare).
  • Valore probatorio: l’iscrizione all’AIRE costituisce un elemento a favore del contribuente, ma l’Agenzia può comunque investigare se sospetta una “esterovestizione personale”. Ad esempio, un contribuente AIRE in Francia che però risulta amministratore di aziende in Italia e possiede ville e barche in Italia, potrebbe essere oggetto di accertamento: il Fisco potrebbe ritenere che l’iscrizione AIRE sia solo formale e che la persona sia rimasta fiscalmente in Italia.

Un altro aspetto legato all’AIRE è l’indirizzo per le notifiche: quando ci si iscrive, si comunica all’Anagrafe (e quindi all’Agenzia delle Entrate) il proprio indirizzo estero. È fondamentale tenerlo aggiornato via Consolato in caso di cambiamenti, perché su quell’indirizzo verranno inviati eventuali atti (accertamenti, cartelle) dall’Italia. Come vedremo, la normativa consente notifiche valide via posta all’indirizzo AIRE.

Conclusione: Iscriversi all’AIRE è il primo passo formale per proteggere la propria posizione fiscale, ma deve essere accompagnato da una coerente realtà di espatrio. Chi si trasferisce davvero in Francia deve dimostrarlo con i fatti; chi invece si iscrive AIRE ma continua a vivere di fatto in Italia commette un illecito (perché dichiara il falso stato estero) e rischia pesanti conseguenze fiscali e penali.

Residenza fiscale delle società ed esterovestizione

Oltre alle persone fisiche, anche le società possono essere soggette a contestazioni di residenza fiscale in Italia. Il caso tipico è quello dell’esterovestizione societaria: una società formalmente costituita e con sede legale all’estero, ma che in realtà viene gestita dall’Italia. Dal punto di vista del fisco italiano, una società esterovestita è considerata residente in Italia e quindi tenuta a pagare le imposte in Italia su tutti i redditi prodotti .

Criteri legali di residenza delle società (art. 73 TUIR)

L’art. 73 del TUIR stabilisce che una società o ente è fiscalmente residente in Italia se, per la maggior parte del periodo d’imposta, ricorre almeno uno dei seguenti criteri :

  • Sede legale in Italia: cioè se l’atto costitutivo o statuto indicano una sede nel territorio italiano.
  • Sede dell’amministrazione in Italia: il luogo in cui vengono effettivamente dirette e gestite le attività della società (place of effective management). In pratica dove si prendono le decisioni operative principali .
  • Oggetto principale in Italia: il luogo in cui si svolge prevalentemente l’attività della società, ossia dove si realizza l’insieme degli affari.

Questi criteri sono alternativi: basta che uno sia soddisfatto (per oltre 183 giorni l’anno) perché la società sia considerata residente in Italia . Il legislatore dà enfasi a elementi sostanziali, come la sede di direzione effettiva e il luogo di esercizio dell’attività, rispetto alla sede legale formale. Ciò significa che una società costituita all’estero ma con gestione o attività principale in Italia verrà comunque considerata residente ai fini fiscali italiani . Questo può creare anche doppia residenza societaria (dual residence) se l’altro Stato adotta criteri analoghi, ma in genere le Convenzioni fiscali internazionali prevedono, per le società, un tie-breaker basato proprio sulla sede di direzione effettiva (art. 4(3) Modello OCSE) .

Oltre a questi criteri generali, l’ordinamento italiano (art. 73, commi 5-bis e 5-ter TUIR) prevede presunzioni legali anti-esterovestizione. In particolare, è presunto fiscalmente residente in Italia (salvo prova contraria) un ente societario che abbia sede legale all’estero in un Paese a regime fiscale privilegiato (black list), quando alternativamente :

  • è controllato direttamente o indirettamente da soggetti residenti in Italia;
  • oppure è amministrato da un consiglio di amministrazione composto in prevalenza da residenti in Italia.

Questa norma, introdotta dal 2006, mira a colpire le società create in paradisi fiscali ma di fatto controllate dall’Italia . La presunzione è relativa: la società (o meglio il contribuente interessato) può dimostrare che la direzione effettiva è davvero all’estero, ma intanto l’Agenzia non deve provare nulla per applicarla. Ad esempio, una società con sede legale alle Bahamas, posseduta da un imprenditore italiano, sarà data per residente in Italia a meno che l’imprenditore provi che la società ha substance alle Bahamas (uffici, personale, governance locale, decisioni prese lì, etc.). Se invece la società estera è in un Paese white list come la Francia, questa presunzione non si applica, e l’onere di dimostrare l’esterovestizione rimane all’Agenzia (che dovrà raccogliere indizi e prove della gestione dall’Italia).

Cos’è l’esterovestizione e quali rischi comporta

L’esterovestizione di una società consiste dunque nella fittizia localizzazione all’estero della sua residenza fiscale, al fine di sfuggire al fisco italiano . In altri termini, l’impresa risulta costituita secondo le leggi di un altro Stato (es. una SARL in Francia, o una Ltd a Malta), ma viene amministrata e gestita in Italia, beneficiando indebitamente del regime fiscale estero più favorevole. Queste situazioni sono considerate elusive o abusive dall’Amministrazione finanziaria italiana, in quanto prive di reale sostanza economica all’estero e finalizzate principalmente al risparmio d’imposta .

I rischi per chi riceve un accertamento per esterovestizione sono notevoli. In caso di esito sfavorevole del controllo, l’Agenzia delle Entrate può richiedere :

  • Recupero delle imposte non pagate in Italia (IRES, IRAP, IVA, ecc.) su tutti i redditi prodotti dalla società a partire dagli anni ritenuti in cui era residente in Italia. Ciò può significare tassazione retroattiva di diversi esercizi.
  • Sanzioni amministrative molto elevate, generalmente tra il 90% e il 180% delle maggiori imposte accertate (che salgono fino al 240% nei casi più gravi, come omessa dichiarazione) . Per le società, sanzioni di questa entità possono tradursi in importi milionari.
  • Iscrizione a ruolo dei tributi e avvio di azioni esecutive sui beni in Italia: ad esempio fermi amministrativi su veicoli, ipoteche su immobili, pignoramenti di conti correnti, ecc. .
  • Segnalazione all’autorità giudiziaria per eventuali reati tributari. L’esterovestizione può far scattare il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici o di omessa dichiarazione, a seconda delle modalità: se l’evasione supera le soglie penali (vedi oltre), si aprirà un procedimento penale a carico degli amministratori o beneficiari effettivi .

In definitiva, un’accusa di esterovestizione societaria mette a serio repentaglio il patrimonio dell’impresa e dell’imprenditore, potendo cumulare imposte arretrate, sanzioni fino al 240% e possibili conseguenze penali.

Come viene accertata l’esterovestizione (indizi e prove)

L’Agenzia delle Entrate, spesso in collaborazione con la Guardia di Finanza, conduce indagini approfondite per dimostrare che una società estera è in realtà gestita dall’Italia. Non esiste una singola prova regina: si basa su una serie di indizi concordanti. I principali elementi che il Fisco analizza sono :

  • Luogo di residenza degli amministratori e dei soci decisori: se il consiglio di amministrazione si riunisce sempre in Italia o se l’amministratore unico vive in Italia, è un forte segnale che le decisioni vengano prese qui.
  • Luogo in cui si prendono le decisioni aziendali: verificano dove avvengono le riunioni operative, dove sono firmati i contratti importanti, da dove provengono le direttive al management. Ad esempio email interne, ordini, documentazione societaria che indichi un coordinamento dall’Italia .
  • Presenza di una struttura operativa reale all’estero: controllano se la società ha uffici, dipendenti, mezzi di produzione nel Paese di costituzione, oppure se è una “scatola vuota” (brass plate company). Se ad esempio una SRL francese non ha alcun dipendente in Francia né ufficio, ma solo un indirizzo di comodo, mentre tutta l’attività si svolge in Italia, l’esterovestizione è palese.
  • Utilizzo di conti correnti italiani: se l’azienda estera utilizza conti bancari in Italia per incassi/pagamenti, o se i flussi finanziari confluiscono su conti riconducibili all’Italia, è un altro indizio (specie se in contrasto con la tesi che l’attività sarebbe all’estero).
  • Contratti e affari conclusi in Italia: ad esempio, se i contratti con clienti/fornitori sono negoziati e firmati in Italia da persone che agiscono per la società estera, si evidenzia come la gestione sia in Italia.
  • Documentazione aziendale e corrispondenza: la GdF spesso reperisce mail, fatture, documenti interni da cui emerge che la sede decisionale è italiana (es. ordini impartiti da soggetti in Italia).
  • Indagini finanziarie: il Fisco può eseguire verifiche bancarie (anche sui conti esteri tramite rogatorie) per seguire il flusso del denaro. Se i soldi guadagnati dalla società tornano a beneficiari italiani, è un indizio di elusione.

Se, pur in presenza di sede legale estera, l’attività si svolge concretamente in Italia, il Fisco è legittimato a riqualificare la società come residente in Italia a fini fiscali . La giurisprudenza di legittimità è abbastanza allineata con questa impostazione: ad esempio, la Cassazione ha affermato che una società estera partecipata da italiani non è esterovestita solo se si dimostra che la sede legale e amministrativa effettiva sono davvero all’estero (Cass. 2869/2013) . Al contrario, quando risulta che le decisioni venivano prese in Italia, la Cassazione ha confermato la residenza italiana (Cass. 6476/2021, su società con board operante dall’Italia) . Inoltre, due sentenze gemelle della Cassazione nel 2018 (nn. 33234-5) hanno sottolineato che per contestare l’esterovestizione occorre che la struttura estera sia puramente artificiosa e priva di reale attività economica, volta solo a ottenere un indebito vantaggio fiscale . Ciò è coerente con il principio generale antiabuso: se la società estera ha sostanza e motivazioni economiche genuine (non solo risparmio d’imposta), allora non si può parlare di esterovestizione illecita.

Difendersi da un’accertamento per esterovestizione

Per un imprenditore o una società accusata di esterovestizione, è fondamentale agire tempestivamente e con una strategia chiara. I passi principali per impostare la difesa sono :

  • Analizzare l’atto di accertamento ricevuto, verificando la correttezza formale della notifica e individuando i punti contestati dall’Ufficio. Ad esempio, controllare se l’accertamento elenca chiaramente gli indizi raccolti (domicilio amministratori, operatività in Italia, ecc.) e se è stato preceduto da un processo verbale di constatazione (PVC) o da un contraddittorio.
  • Raccogliere prove concrete della reale operatività all’estero: la difesa dovrà fornire evidenze che la società ha sostanza nel Paese estero. Ad esempio: contratti stipulati e gestiti effettivamente in Francia, sede ufficio in Francia con relativo contratto di affitto e bollette, personale assunto in Francia, licenze o iscrizioni locali, contabilità tenuta in loco, dichiarazioni fiscali presentate in Francia, ecc. Ogni elemento che dimostri che l’azienda non è una letter box company ma svolge davvero attività in Francia sarà utile a smontare la tesi del Fisco.
  • Impugnare l’accertamento nei termini di legge: generalmente l’avviso di accertamento va impugnato entro 60 giorni dalla notifica mediante ricorso alla Commissione Tributaria (ora denominata Corte di Giustizia Tributaria di primo grado). È opportuno presentare ricorso tempestivamente, eventualmente anticipando un tentativo di “accertamento con adesione” se si vuole guadagnare tempo o trattare (l’adesione sospende i termini per l’impugnazione).
  • Richiedere la sospensione dell’esecuzione: dato che dopo 60 giorni l’accertamento non pagato diventa esecutivo per 1/3 degli importi, si può chiedere al giudice tributario la sospensione della riscossione in pendenza di giudizio, dimostrando il danno grave e irreparabile che deriverebbe dal pagamento immediato. Nel caso di grosse somme, questa istanza è fortemente consigliata.
  • Valutare soluzioni deflative: insieme al proprio legale tributario, considerare se vi siano margini per una definizione agevolata (ad esempio, se il governo ha previsto condoni o sanatorie in quel periodo) o per una conciliazione in giudizio. Talvolta, se la posizione non è solida, potrebbe convenire trovare un accordo con l’Ufficio (es. pagare una parte con sanzioni ridotte) per chiudere la vicenda limitando i danni economici . Ovviamente ciò dipende dalla specifica situazione e dalla fondatezza delle contestazioni.

L’importante è non ignorare l’accertamento: sottovalutarlo o perdere le scadenze sarebbe un errore gravissimo, perché l’atto diventerebbe definitivo e porterebbe alla riscossione coattiva. Invece, agendo con tempestività è possibile far valere le proprie ragioni. In molti casi, una difesa ben documentata può portare all’annullamento totale o parziale dell’atto, soprattutto se il Fisco ha basato la contestazione su presunzioni deboli . Inoltre, intervenire subito permette anche di valutare eventuali aggiustamenti per il futuro (ad esempio regolarizzare la posizione fiscale riportando la società in Italia, se la difesa appare insostenibile, magari usufruendo di strumenti come il ravvedimento operoso o la collaborazione volontaria se aperte).

Monitoraggio fiscale: il Quadro RW per attività estere

Un aspetto fondamentale per i contribuenti italiani è il monitoraggio fiscale dei patrimoni esteri. Chi è fiscalmente residente in Italia ha l’obbligo di dichiarare nella propria dichiarazione dei redditi (Modello Redditi PF, SP, SC) gli investimenti e le attività finanziarie detenute all’estero, compilando il cosiddetto Quadro RW. Questo obbligo discende dal D.L. 167/1990 (conv. in L. 227/1990) e successive modifiche, che introducono appunto il monitoraggio dei trasferimenti da e verso l’estero e la dichiarazione delle attività detenute oltreconfine .

Nel Quadro RW vanno indicati, a titolo esemplificativo: conti correnti e depositi bancari esteri, partecipazioni in società estere, immobili situati all’estero, investimenti finanziari esteri, criptovalute detenute presso exchange esteri, ecc. L’adempimento serve sia a fini di monitoraggio (antiriciclaggio e anti-evasione) sia per calcolare due imposte patrimoniali specifiche dovute dai residenti:

  • l’IVIE (Imposta sul valore degli immobili esteri), pari allo 0,76% del valore degli immobili detenuti all’estero (con credito per eventuali imposte patrimoniali pagate in Francia, ad esempio la taxe foncière, entro certi limiti);
  • l’IVAFE (Imposta sul valore delle attività finanziarie estere), pari generalmente al 2‰ (0,2%) delle consistenze di conti e investimenti finanziari esteri.

Chi si trasferisce in Francia smette di essere soggetto al Quadro RW solo dal momento in cui diventa non residente. Dunque, un contribuente italiano che risulta residente in Italia per parte dell’anno di trasferimento dovrà comunque dichiarare in RW le attività detenute all’estero in quel periodo. Se invece l’espatrio è totale e riconosciuto, dall’anno successivo in cui è non residente non dovrà più compilare RW né pagare IVIE/IVAFE. Attenzione però: se l’Agenzia delle Entrate contesta la residenza estera e considera il soggetto ancora residente in Italia, uno degli effetti sarà la contestazione di omessa compilazione del Quadro RW e relativo non versamento di IVIE/IVAFE per gli asset detenuti in Francia.

Le sanzioni per omessa o infedele compilazione del Quadro RW sono molto pesanti: si va dal 3% al 15% degli importi non dichiarati (valore dei conti, investimenti, immobili) per anno, con raddoppio dal 6% al 30% se le attività sono in Paesi black list (non cooperativi) . La Francia è Paese collaborativo (white list), quindi le sanzioni base sarebbero 3-15% annuo del valore non monitorato. Inoltre, in caso di violazioni RW, si applica il raddoppio dei termini di accertamento: l’amministrazione finanziaria italiana può controllare tali annualità per un periodo più lungo (fino a raddoppiare, tipicamente da 5 a 10 anni) . Questa regola, introdotta dall’art. 12 D.L. 78/2009, consente al Fisco di “riaprire” periodi d’imposta lontani quando emergano attività estere non dichiarate.

Facciamo un esempio: Caio si trasferisce in Francia nel 2020 ma, secondo l’Agenzia, rimane residente fiscale in Italia fino al 2022; egli aveva un conto bancario e un portafoglio titoli in Francia non dichiarati in RW. Se l’accertamento scatta nel 2025, l’ufficio potrà contestare gli anni fino al 2015 (10 anni indietro) anziché fermarsi al 2020, grazie al raddoppio dei termini per attività estere non monitorate. Su ciascun anno, oltre alle imposte eventualmente evase sui redditi prodotti da quelle attività (es. interessi sul conto), applicherà la sanzione del 3-15% del saldo non dichiarato , più interessi legali per il tempo trascorso .

È evidente che la mancata osservanza del Quadro RW può costare carissimo. Per tale ragione, chi si trasferisce all’estero ma rimane anche solo parzialmente soggetto fiscale in Italia (es. anno di trasferimento) deve prestare attenzione a dichiarare tutte le attività detenute fuori. Se invece si è convinti di essere non residenti ma c’è incertezza (casi di “doppia residenza”), può valere la pena compilare comunque il RW in via cautelativa o almeno valutare la situazione con un professionista.

Voluntary Disclosure: in passato, l’Italia ha aperto finestre di collaborazione volontaria (nel 2015 e 2017) per permettere ai contribuenti di regolarizzare spontaneamente patrimoni esteri non dichiarati, con sanzioni ridotte. Al 2025 non è attiva una VD specifica; tuttavia, qualora un contribuente ritenesse di aver omesso il RW in anni in cui potrebbe essere considerato residente, potrebbe valutare un ravvedimento operoso prima di essere scoperto, versando le sanzioni ridotte. Ciò ovviamente comporta ammettere la residenza fiscale italiana per quei periodi, quindi è una decisione delicata da prendere con consulente.

In sintesi, per un italiano in Francia realmente non residente in Italia, il Quadro RW non è dovuto (si dichiareranno eventualmente i redditi in Francia secondo le regole locali). Ma se l’Agenzia ritiene che la residenza fiscale italiana sia rimasta, l’omessa compilazione RW sarà uno dei fronti dell’accertamento, con esiti sanzionatori gravosi .

Come avvengono i controlli dell’Agenzia delle Entrate sui residenti all’estero

Negli ultimi anni, l’Amministrazione finanziaria italiana ha potenziato sia la fase di selezione dei contribuenti da controllare, sia gli strumenti investigativi per reperire informazioni, spesso in collaborazione con l’autorità fiscale estera e la Guardia di Finanza . Vediamo le principali modalità con cui l’Agenzia delle Entrate può individuare e accertare posizioni di presunta residenza fittizia all’estero, con particolare riferimento ai residenti in Paesi come la Francia.

1. Selezione dei casi a rischio: liste AIRE e indici di anomalia

L’Agenzia delle Entrate utilizza specifici criteri di rischio per individuare i contribuenti espatriati meritevoli di controllo. In particolare, con il Provvedimento del Direttore AE n. 43999 del 3 marzo 2017 sono state istituite le “liste selettive” di cittadini italiani che hanno trasferito la residenza all’estero potenzialmente in modo fittizio . Tali liste – aggiornate periodicamente – includono soggetti con profili considerati ad alto rischio di evasione.

Gli indicatori tipici che portano un nominativo in lista sono :

  • Contribuenti iscritti AIRE che si sono trasferiti in Paesi a fiscalità privilegiata (target naturale: i paradisi fiscali).
  • Contribuenti AIRE che, negli anni immediatamente precedenti l’espatrio, dichiaravano redditi molto elevati in Italia, e dopo l’espatrio dichiarano redditi nulli o bassissimi. Questo può indicare occultamento di redditi all’estero (specie se il cambio di situazione reddituale appare poco credibile se non con l’ipotesi di evasione).
  • Contribuenti espatriati che mantengono significativi patrimoni in Italia: ad esempio proprietà immobiliari di lusso o più immobili, barche, auto costose immatricolate in Italia, quote di società italiane. Tali elementi suggeriscono che il soggetto conservi interessi economici rilevanti in Italia.
  • Soggetti che risultano avere ruoli di amministrazione in società italiane ma formalmente residenti all’estero . Ad esempio: Caio è amministratore unico di una SRL a Milano ma ha trasferito la residenza a Nizza – questo scenario è sospetto perché potrebbe trattarsi di esterovestizione personale o societaria.
  • Soggetti non iscritti AIRE (quindi ufficialmente residenti in Italia) che però risultano avere interessi esteri significativi. Ad esempio, il caso inverso: Tizio risulta ancora residente in Italia, ma dalle informazioni emerge che possiede conti esteri o case in Francia e magari trascorre più tempo lì – ciò può indicare un trasferimento di fatto non formalizzato.

La collaborazione tra enti fa sì che i dati AIRE vengano condivisi col Fisco: i Comuni trasmettono all’Agenzia le iscrizioni e cancellazioni AIRE, alimentando le banche dati tributarie . In passato (prima della riforma 2024), un soggetto non iscritto AIRE era automaticamente residente, ora rimane comunque un indicatore fortissimo (presunzione relativa). Dunque vengono monitorati anche i cosiddetti “evasori anagrafici”: persone che di colpo spariscono dall’anagrafe italiana senza risultare iscritte altrove – segno di potenziale espatrio non dichiarato .

Le liste selettive AIRE servono a concentrare i controlli dove c’è più probabilità di evasione. Tipicamente, ogni anno gli uffici locali dell’Agenzia ricevono un elenco di nominativi “segnalati” su cui effettuare verifiche approfondite . Ad esempio, un italiano trasferito a Dubai (Paese a bassa fiscalità) che prima dichiarava alti redditi e poi zero, quasi certamente finirà in lista; oppure gruppi di persone trasferite in Stati confinanti come Slovenia o Croazia, noti per regimi agevolati su certe attività, possono essere oggetto di campagne mirate .

In parallelo, l’Agenzia sfrutta tutte le informazioni disponibili nelle banche dati interne per incrociare dati e scovare incongruenze. Con l’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR) oggi unificata, è facile tracciare i movimenti anagrafici di un soggetto su tutto il territorio nazionale; incrociandoli con dati fiscali (dichiarazioni, catasto, PRA, ecc.) emergono situazioni anomale . Ad esempio, se un contribuente risulta AIRE ma ha ancora partita IVA attiva in Italia, suona un allarme ; oppure se uno risulta cancellato per l’estero ma continua a comparire come titolare di rapporti finanziari o utenze in Italia, è sospetto.

In sostanza, prima ancora di agire, l’Agenzia costruisce dei profili di rischio usando data analytics. Dal Provv. AE 2017 si evince l’intenzione di creare un “bacino di dati” alimentato anche dallo scambio internazionale di informazioni, per individuare i falsi non residenti . Possiamo immaginare regole automatiche tipo: SE (Iscritto AIRE = SÌ) AND (Reddito dichiarato in Italia post-espatrio ≈ 0) AND (Conto estero segnalato = SÌ) ALLORA flag di rischio = ALTO . Ecco perché l’espatriato che mantiene radici economiche in Italia è sotto il radar .

L’intensificazione dei controlli sui residenti esteri è motivata proprio dai tanti casi di residenza fittizia scoperti in passato: il Fisco, accortosi del fenomeno, ha dedicato risorse e strumenti ad hoc per contrastarlo .

2. Scambio di informazioni internazionale (automatico e su richiesta)

Uno dei pilastri dei controlli odierni è la mole di informazioni che l’Italia riceve dall’estero grazie agli accordi di cooperazione amministrativa internazionale. Esistono principalmente tre forme di scambio di informazioni in ambito fiscale :

  • Scambio automatico: avviene in modo sistematico e periodico, su determinate categorie di redditi/attività, senza necessità di richiesta specifica. Esempio cardine è il Common Reporting Standard (CRS) dell’OCSE, recepito nell’UE come DAC2, operativo dal 2017, che prevede lo scambio annuale di informazioni sui conti finanziari dei soggetti non residenti. In pratica, le banche e istituzioni finanziarie francesi comunicano alle autorità francesi saldi e movimenti dei conti intestati a soggetti di altra giurisdizione (es. italiani AIRE in Francia), e tali dati vengono trasmessi all’Italia, e viceversa . Oggi oltre 100 Paesi partecipano al CRS. Dunque, se un italiano formalmente residente in Italia ha un conto in Francia non dichiarato, l’Agenzia delle Entrate molto probabilmente lo verrà a sapere automaticamente. Viceversa, se Tizio è effettivamente residente in Francia (quindi il suo Tax Identification Number comunicato in banca è francese), le sue banche francesi non segnaleranno all’Italia i suoi conti (perché risulta contribuente francese); tuttavia, se l’Italia lo considera invece residente qui, potrebbe già aver ricevuto dati a suo nome classificandolo come cittadino italiano. – Oltre al CRS, vi sono scambi automatici su altri elementi: ad esempio i redditi da lavoro, pensioni, compensi pubblici e immobili detenuti da non residenti vengono scambiati tra Paesi UE in base alla direttiva DAC1 del 2011. Dal 2023 è attivo anche lo scambio automatico di dati sui venditori di piattaforme digitali (DAC7) come Airbnb, Uber, eBay . Inoltre è in vigore lo scambio su alcuni schemi di pianificazione fiscale aggressiva segnalati dagli intermediari (DAC6). Dal 2026 partirà probabilmente anche il DAC8 per le cripto-attività . Tutto ciò significa che l’Amministrazione italiana dispone ora di un flusso enorme di informazioni su attività estere potenzialmente riconducibili a propri contribuenti (conti bancari, redditi online, investimenti in criptovalute, ecc.).
  • Scambio su richiesta: è l’invio di informazioni mirate su istanza di uno Stato, riguardo a specifici contribuenti. Ad esempio, se l’Agenzia delle Entrate sospetta di Tizio, può chiedere formalmente al Fisco francese dettagli sui redditi di Tizio in Francia, su un certo conto, su un immobile, ecc. Questo avviene in virtù dell’art. 26 del Modello OCSE (recepito nella Convenzione Italia-Francia) che prevede la reciproca assistenza in materia di scambi informativi . Lo scambio avviene caso per caso, spesso attraverso le autorità centrali competenti. In aggiunta c’è la Convenzione Multilaterale OCSE/CdE sulla mutua assistenza fiscale che l’Italia e la Francia hanno ratificato, che consente richieste di informazioni anche fuori da convenzioni bilaterali. La cooperazione su richiesta è utile per dati non coperti dall’automatico: es. l’Italia vuole sapere se Caio, residente AIRE in Francia, ha una determinata partecipazione societaria o trust in Francia – può inviare una richiesta e la Francia, se i dati sono disponibili, li fornirà (compatibilmente con le sue leggi interne sulla riservatezza).
  • Scambio spontaneo: è la trasmissione non sistematica né su richiesta, ma volontaria, di informazioni ritenute rilevanti. Ad esempio, se la Francia scopre nel corso di un audit su un residente francese che un cittadino italiano ha percepito qualcosa di fiscalmente rilevante in Francia, può segnalarlo all’Italia spontaneamente. Questi casi sono meno frequenti e spesso avvengono in contesti di indagini internazionali o a seguito di accordi specifici (task force congiunte).

La cooperazione internazionale è sancita dalla direttiva 2011/16/UE (come modificata da DAC2…DAC7) recepita in Italia in vari decreti, e dalle Convenzioni OCSE . Il risultato è che oggi è molto difficile occultare al fisco italiano redditi o patrimoni esteri, soprattutto all’interno dell’UE. L’epoca del segreto bancario è finita: la Svizzera stessa scambia dati finanziari con l’Italia. La Francia, essendo UE, collabora strettamente.

Per il contribuente, ciò significa che eventuali conti, investimenti o immobili in Francia non dichiarati all’Italia (nel caso in cui dovesse dichiararli) hanno buone probabilità di essere scoperti. Ad esempio, se un ex residente non ha compilato il Quadro RW su un conto francese, l’Agenzia può aver ricevuto via CRS il saldo di quel conto e usarlo come prova in un accertamento per residenza fittizia.

3. Lettere di compliance e questionari conoscitivi

Spesso il controllo inizia in modo soft, senza subito un avviso di accertamento. L’Agenzia può inviare al contribuente presunto non residente una lettera di compliance o un questionario (ex art. 32 DPR 600/73) per chiedere chiarimenti o documentazione.

Ad esempio, molti italiani AIRE hanno ricevuto in passato lettere in cui si chiedeva di confermare la residenza estera e fornire informazioni aggiuntive (tipo: “Gentile contribuente, dai nostri dati risulta iscritto AIRE e titolare di conti esteri, la invitiamo a verificare di aver dichiarato tutti i redditi dovuti in Italia…”). Queste comunicazioni preventive mirano a indurre il contribuente a ravvedersi spontaneamente o fornire spiegazioni. Se il contribuente dimostra subito di essere a posto (ad esempio risponde: “sono residente in Francia, allego certificato di residenza fiscale francese e copia della mia dichiarazione dei redditi estera, in Italia non avevo redditi da dichiarare se non l’affitto su cui ho già pagato cedolare”), l’ufficio potrebbe archiviare la posizione senza procedere oltre.

Il questionario fiscale è uno strumento formale: l’Agenzia pone una serie di domande scritte a cui il contribuente deve rispondere entro 60 giorni (pena sanzione per mancata risposta). Nel caso di residenza, può chiedere: dettagli sui trasferimenti effettuati, famigliari, proprietà estere, attività lavorativa svolta in Francia, frequenza di ritorni in Italia, etc. Spesso allega un prospetto da compilare. Rispondere in modo esauriente e veritiero è cruciale. Ignorare il questionario o rispondere in modo insufficiente è controproducente: darà più argomenti all’ufficio per procedere con un accertamento presuntivo.

Queste fasi di compliance preventiva sono un’opportunità per il contribuente di chiarire la propria posizione prima che scatti un atto formale. Dunque, se si riceve una lettera o questionario, conviene attivarsi immediatamente, magari facendosi assistere da un fiscalista, e fornire tutte le prove della propria residenza effettiva in Francia. In alcuni casi, se emergono errori (es. ci si rende conto di non aver dichiarato un reddito italiano), è possibile regolarizzarlo con ravvedimento, spesso ottenendo così la chiusura bonaria della vicenda con sanzioni ridotte.

4. Accertamenti veri e propri: il redditometro e gli accertamenti sintetici

Se dalle analisi e dai contatti preliminari emergono sufficienti indizi di residenza fittizia, l’Agenzia delle Entrate può procedere a un accertamento vero e proprio, emettendo un avviso di accertamento. Nel contesto dei residenti all’estero, solitamente si tratta di accertamenti “sintetici” basati sulla ricostruzione del reddito presunto del contribuente in rapporto al suo tenore di vita – il cosiddetto redditometro.

L’accertamento sintetico (disciplinato originariamente dall’art. 38 DPR 600/73) consente al Fisco di determinare il reddito imponibile di una persona non in base alle dichiarazioni presentate, ma in base alle spese sostenute e all’incremento patrimoniale registrato in un certo periodo. È uno strumento usato quando c’è il sospetto che il contribuente abbia occultato in parte o totalmente il proprio reddito.

Il redditometro è la modalità pratica di accertamento sintetico, che si avvale di specifici indicatori di capacità contributiva (abitazioni, autoveicoli, imbarcazioni, investimenti, spese per viaggi, assicurazioni, ecc.). In passato il redditometro funzionava con coefficienti standard per tipo di spesa; oggi è più calibrato sul profilo individuale (in teoria, si confronta la spesa effettiva nota con il reddito dichiarato, e se c’è scostamento rilevante, >20%, per due anni consecutivi, scatta l’accertamento).

Nel contesto di un soggetto AIRE in Francia, l’Agenzia potrebbe usare l’accertamento sintetico con questa logica: se il contribuente sostiene spese o possiede beni in Italia incompatibili con l’assenza di reddito dichiarato in Italia, si presume che abbia redditi occulti e – implicitamente – che sia ancora residente (altrimenti quei redditi li avrebbe dovuti dichiarare in Italia solo se fosse residente) . Ad esempio, un italiano AIRE in Francia che però possiede in Italia una villa, un’auto di lusso, una barca, e spende molto con carte di credito italiane a fronte di zero redditi dichiarati in Italia sarà un candidato ad accertamento sintetico . L’Agenzia ricostruirà un reddito presunto sufficiente a giustificare quelle spese e glielo contesterà come reddito non dichiarato (quindi imponibile). A quel punto, implicitamente, l’Ufficio sta affermando che il contribuente era in realtà residente (perché solo se residente era tenuto a dichiarare quei redditi, magari esteri, con cui ha finanziato il tenore di vita). In pratica, l’espatriato che mantiene uno stile di vita elevato in Italia senza redditi dichiarati finisce per essere trattato come evasore fiscale residente .

Vale la pena ricordare che l’utilizzo del redditometro deve rispettare alcune garanzie: in particolare il contraddittorio preventivo obbligatorio. La normativa prevede che, prima di emettere un accertamento sintetico, l’ufficio inviti il contribuente a comparire o a fornire dati per spiegare la discrepanza tra reddito e spese. Se il contribuente fornisce giustificazioni convincenti (es. stava spendendo risparmi accumulati in passato, oppure le spese sono state sostenute da terzi, ecc.), l’accertamento non dovrebbe essere emesso. Questa fase di contraddittorio è fondamentale: ad esempio, accertamenti sintetici basati sul redditometro vecchia maniera sono stati annullati dai giudici quando il Fisco non aveva adeguatamente considerato le spiegazioni fornite dal contribuente.

Nel caso di un residente in Francia, spesso la difesa può consistere nel dimostrare che le spese in Italia sono coperte da redditi regolarmente tassati in Francia (o da altri fondi leciti). Ad esempio: “Ho pagato le spese della villa in Italia con il mio stipendio estero, già tassato in Francia: secondo la Convenzione non dovevo dichiararlo in Italia”. Oppure: “La barca in Italia è intestata a me ma l’ha comprata mio padre con i suoi soldi”. Se queste spiegazioni sono documentate, l’accertamento sintetico potrebbe cadere.

Per completezza, va detto che il redditometro è stato oggetto di evoluzioni normative e anche di censure: con decreto MEF del 16/9/2015 era stato varato un nuovo redditometro (poi in parte sospeso dal 2018 per revisioni in ottica privacy), e nel 2023 il MEF ha annunciato un ulteriore aggiornamento per gli anni dal 2016 in poi. Quindi gli accertamenti emessi nel 2025 faranno riferimento alle nuove metodologie (più mirate sulle spese effettive e i flussi finanziari noti).

5. Notifica degli atti all’estero e cooperazione per la riscossione

Un elemento spesso trascurato dai contribuenti espatriati è che le comunicazioni e gli atti impositivi dell’Agenzia delle Entrate possono essere notificati validamente anche all’estero. Non pensiamo dunque che, avendo un indirizzo francese, si possa ignorare la posta italiana: la legge prevede modalità ad hoc per notificare atti tributari oltre confine, e la mancata presa in consegna può non salvare dal perfezionamento della notifica.

Se il contribuente si è iscritto all’AIRE comunicando l’indirizzo estero, l’art. 60 del DPR 600/1973 (commi 4 e 5) stabilisce che la notifica può essere effettuata direttamente via posta raccomandata dall’ufficio, con avviso di ricevimento, all’indirizzo estero risultante dall’AIRE . Non è necessario il tramite di un messo notificatore o dell’autorità consolare: la spedizione diretta è ritenuta valida. Inoltre, se il destinatario non ritira la raccomandata, la notifica si dà comunque per effettuata per “compiuta giacenza” trascorsi i giorni di giacenza previsti , a condizione che vi sia stata la comunicazione dell’avviso di arrivo.

Una recentissima sentenza della Cassazione (Sent. n. 22838 del 2025) ha confermato in pieno questo principio: è valida la notifica degli atti tributari spediti con raccomandata A/R all’indirizzo estero AIRE, anche se il plico non viene ritirato e torna indietro per compiuta giacenza . La Corte ha esplicitamente escluso che serva un messo notificatore o una “relata” come per le notifiche in Italia: per i non residenti iscritti AIRE basta la raccomandata . Inoltre ha chiarito che l’ufficio non è tenuto a indagare se il contribuente abbia eventualmente ancora un domicilio in Italia attivo: può fare affidamento sui registri ufficiali (AIRE) .

In pratica, se l’Agenzia delle Entrate invia un avviso di accertamento a Mario Rossi, italiano AIRE a Parigi, all’indirizzo che compare nei registri consolare, la notifica è regolare. Se Mario non ritira la lettera, dopo la giacenza l’atto si considera notificato comunque (nella sentenza citata, la raccomandata risultava “avvisée et non réclamée” dalle poste francesi, il che è stato ritenuto sufficiente) . Perciò non ritirare la posta non impedisce al termine di 60 giorni di decorre per impugnare.

Se il contribuente non è iscritto all’AIRE e non ha comunicato un indirizzo estero all’ufficio, la situazione si complica leggermente: in teoria l’atto potrebbe essere notificato per il tramite delle modalità previste dalle convenzioni internazionali (es. Convenzione dell’Aja 1965 o Regolamento UE 2020/1784 per notifiche transfrontaliere) . In pratica, l’Agenzia spesso procede comunque con raccomandata all’ultimo indirizzo noto (magari italiano) oppure affigge nell’albo comunale. Ci sono stati casi di contestazione della validità di notifiche a non residenti non AIRE: la Cassazione ha ritenuto inesistente la notifica fatta a un indirizzo italiano dove il contribuente non abitava più, senza usare la via consolare . Ma sono situazioni particolari. La regola d’oro è: iscriversi all’AIRE e mantenere aggiornato l’indirizzo per ricevere regolarmente atti importanti.

Una volta notificato l’accertamento e divenuto definitivo (ad esempio perché non impugnato entro 60 gg, o confermato da sentenza passata in giudicato), si passa alla fase di riscossione. Anche qui, il fatto di risiedere in Francia non impedisce affatto la riscossione delle somme dovute all’erario italiano. In ambito UE esiste infatti la mutua assistenza per la riscossione dei crediti tributari, prevista dalla Direttiva 2010/24/UE (recepita in Italia col D.Lgs. 149/2012) . In base a tale normativa, l’Italia può richiedere alla Francia di recuperare coattivamente le imposte italiane dovute da un soggetto che ora si trova in Francia, e viceversa. Le autorità francesi agiranno come se fosse un loro credito: potranno ad esempio pignorare conti bancari in Francia, stipendi, beni immobili di proprietà del debitore, per soddisfare il credito italiano .

Pertanto, un italiano residente in Francia che riceve una cartella esattoriale da Agenzia Entrate Riscossione (o un “uniform social security and tax recovery form” inoltrato via autorità francese) farebbe bene a non ignorarla pensando che in Francia sia al sicuro: le due amministrazioni cooperano. Un caso comune è quello di multe e cartelle notificate a indirizzi AIRE e non pagate: il contribuente può vedersi recapitare dall’ente francese la richiesta di pagamento o subire il prelievo forzoso su conto/salario in Francia.

In sintesi, la presenza all’estero non è uno scudo: l’Italia può notificare atti all’estero (grazie all’AIRE e alle norme ad hoc) e riscuotere all’estero (grazie alla cooperazione UE) . Dal punto di vista difensivo, è quindi fondamentale gestire attivamente la propria posizione: non lasciar decadere i termini, nominare magari un difensore di fiducia in Italia che segua le pratiche, e regolarizzare quanto dovuto per evitare il coinvolgimento dell’autorità estera.

Strategie difensive del contribuente (come tutelarsi)

Affrontare un accertamento dell’Agenzia delle Entrate da residente all’estero richiede un’azione tempestiva e ben pianificata. Ecco le principali strategie difensive e consigli pratici per il contribuente (persone fisiche e imprenditori) che si trovi nella posizione di dover dimostrare la propria residenza estera effettiva e difendersi da pretese fiscali italiane:

  • Raccogliere prove della vita all’estero: sin dal momento del trasferimento, è opportuno collezionare e conservare documenti che attestino il radicamento in Francia. Ad esempio: contratto di lavoro o di tirocinio in Francia; buste paga francesi; contratto di locazione o atto di acquisto di un’abitazione in Francia; utenze domestiche (bollette luce, gas, telefono) intestate e pagate in Francia; iscrizione dei figli a scuola in Francia; iscrizione al servizio sanitario francese (assicurazione maladie); contratti di conto corrente in Francia con movimenti regolari; eventuale iscrizione a circoli, associazioni, attestati di presenza in comunità locali. Più sono solide e variegate le evidenze, più facile sarà convincere il Fisco (o il giudice) che il centro degli interessi è realmente in Francia.
  • Documentare il distacco dall’Italia: parallelamente, è utile mostrare che in Italia non si hanno più interessi rilevanti. Ad esempio: certificati di cancellazione anagrafica (AIRE); chiusura o trasferimento in Francia delle utenze italiane; cessazione di attività lavorative o della partita IVA in Italia; vendita o locazione a terzi degli immobili posseduti in Italia (o, se mantenuti, dimostrare che non vengono utilizzati dal contribuente ma eventualmente affittati); disinvestimento da società italiane (cessione quote, dimissioni da cariche sociali); trasferimento all’estero dell’auto (o vendita). Tutto ciò serve a disegnare un quadro coerente: “ho davvero spostato la mia vita fuori, in Italia ho lasciato poco o nulla”. Se invece il contribuente ha mantenuto beni in Italia, dovrà spiegare perché non implicano residenza (es: “ho una casa al mare in Italia dove vado 2 settimane d’estate, ma la mia dimora abituale è in Francia”).
  • Verificare la regolarità formale: controllare di aver fatto tutti i passi formali: iscrizione AIRE tempestiva; compilazione corretta dell’ultima dichiarazione dei redditi italiana (ad es. per l’anno di espatrio, barrare caselle di trasferimento estero se presenti, dichiarare redditi italiani fino alla data di trasferimento); eventuale comunicazione all’ASL e altri enti italiani del cambio di residenza. Qualsiasi inadempimento può essere usato contro il contribuente (es: “non si è neppure iscritto AIRE, segno che non era un trasferimento genuino”).
  • Gestire con attenzione le risposte al Fisco: se arriva un questionario o un invito al contraddittorio, rispondere puntualmente e fornire le prove raccolte. Evitare risposte vaghe o non documentate. In questa fase è bene farsi seguire da un fiscalista esperto in fiscalità internazionale, che sappia quali argomenti metter in luce (ad esempio enfatizzare l’iscrizione al sistema fiscale francese, allegando un “certificato di residenza fiscale” rilasciato dall’autorità francese – i certificats de résidence fiscale si possono ottenere su richiesta al fisc francese ed hanno valore probatorio riconosciuto dal trattato).
  • Onere della prova: tenere presente su chi grava l’onere probatorio a seconda dei casi. Per un espatrio in Francia, formalmente l’onere di provare la residenza in Italia spetta al fisco ; ma in pratica, se l’Agenzia ha raccolto vari indizi contro (famiglia in Italia, ecc.), il contribuente dovrà contrastarli con prove contrarie. Quindi agire come se l’onere fosse proprio: non aspettare che “il fisco non ha prove”, ma anticipare fornendo le proprie evidenze. Nei ricorsi, sottolineare eventuali carenze probatorie dell’Ufficio (se ad es. si basa solo su presunzioni deboli) e contestualmente produrre la propria documentazione.
  • Aspetti formali degli atti: far controllare da un legale specializzato la validità della notifica e la correttezza formale degli atti ricevuti. Ad esempio, verificare che l’avviso di accertamento contenga la motivazione sufficiente, che la notifica sia avvenuta all’indirizzo AIRE (o altro indirizzo comunicato) secondo legge, che sia stato rispettato l’eventuale obbligo di contraddittorio anticipato (specialmente nel redditometro, la mancanza di invito al contraddittorio può rendere nullo l’atto). Anche errori sui termini (accertamento emesso oltre i termini decadenziali) o doppia imposizione per stesse somme già tassate in Francia possono essere eccezioni difensive.
  • Impugnare tempestivamente e nel foro corretto: come già detto, va presentato ricorso entro 60 giorni dalla notifica all’autorità competente. Per gli avvisi di accertamento, la competenza territoriale delle Corti di Giustizia Tributaria di primo grado in genere è determinata dal domicilio fiscale del contribuente. Se il contribuente è AIRE, il domicilio fiscale ai fini delle imposte sui redditi rimane il Comune di ultima residenza italiana (art. 58 DPR 600/73). Quindi, ad esempio, se Rossi risiedeva a Milano prima di espatriare, la competenza sarà della CGT di Milano (in passato Commissione Tributaria Provinciale di Milano). È importante indicare nel ricorso un domicilio eletto per le notifiche in Italia (di solito presso il difensore) ai sensi dell’art. 17 D.Lgs. 546/92, in modo da ricevere correttamente atti del processo. Nel ricorso, dopo aver smontato nel merito le tesi dell’ufficio, si potrà richiedere in subordine, se del caso, l’applicazione della Convenzione Italia-Francia per escludere doppie imposizioni.
  • Richiedere sospensione e/o rateazione: se le somme accertate sono elevate, come misura cautelativa chiedere al giudice tributario la sospensione dell’esecutività dell’atto (già menzionata per casi di grave danno). Inoltre, qualora si arrivi a dover pagare, è possibile chiedere una dilazione (sia in fase amministrativa – ad es. adesione in 8 rate – sia in fase di cartella fino a 72 rate). Questo per gestire il cash flow ed evitare misure drastiche immediate.
  • Valutare il ravvedimento per annualità minori: in alcuni scenari, il contribuente potrebbe ammettere parzialmente qualche addebito per chiudere il contenzioso. Ad esempio, se effettivamente aveva una fonte di reddito italiana non dichiarata, o non aveva compilato RW, potrebbe proporre il pagamento di quelle imposte e sanzioni ridotte in cambio del ritiro parziale del ricorso (conciliazione giudiziale). Ogni caso è a sé: l’importante è avere un approccio pragmatico. Se la posizione fiscale in Italia è chiaramente indifendibile su alcuni punti, conviene limitare i danni e concentrarsi sui punti forti (ad es. far valere la residenza estera evitando almeno l’imposizione sui redditi esteri, e magari transando sulle sanzioni per omissioni minori).
  • Prevenzione a monte: infine, la miglior difesa è prevenire. Un italiano che si trasferisce in Francia può consultare un esperto prima dell’espatrio per pianificare correttamente il trasferimento fiscale (tax planning): ad esempio decidere l’anno migliore per spostare la residenza (in modo da non avere doppia residenza nello stesso anno), come gestire eventuali plusvalenze latenti, come trattare le proprietà in Italia, etc. Inoltre, mantenere sempre una condotta coerente (non fare avanti e indietro di continuo, non mantenere troppi interessi in Italia se si vuole essere considerati all’estero) aiuta a non insospettire il Fisco.

Conseguenze in caso di accertamento sfavorevole: sanzioni e profili penali

Se nonostante la difesa il Fisco italiano riesce a dimostrare che il contribuente era fiscalmente residente in Italia per i periodi contestati (o comunque riesce a far passare la tassazione di redditi esteri), le conseguenze economiche e giuridiche possono essere importanti. Riassumiamo i principali effetti di un accertamento in materia di residenza estera fittizia:

  • Tassazione retroattiva dei redditi esteri: l’Agenzia recupererà le imposte italiane su tutti i redditi che il contribuente avrebbe dovuto dichiarare in Italia negli anni considerati residente. Ad esempio, se per gli anni 2020-2022 il contribuente aveva redditi di lavoro in Francia mai dichiarati in Italia, verranno ora assoggettati ad IRPEF (aliquote progressive fino al 43%) più addizionali, al netto di eventuali crediti per imposte pagate in Francia (riconosciuti ex art. 165 TUIR, per evitare doppia imposizione). Lo stesso per redditi da pensione, investimenti, ecc. In pratica l’Italia rifarà i conteggi delle dichiarazioni integrando i redditi esteri (worldwide income).
  • Imposte su redditi italiani non dichiarati: spesso chi si proclama estero omette di dichiarare anche redditi di fonte italiana (magari perché convinto di non dover più dichiarare nulla). L’accertamento recupererà anche questi, ad esempio affitti percepiti su case in Italia, plusvalenze immobiliari, redditi d’impresa o di partecipazione. Verranno applicate le imposte (IRPEF, cedolare, IRES, IVA, ecc. a seconda del caso) non versate.
  • Imposta sul valore di attività estere (IVIE/IVAFE): come detto, se la persona è ritenuta residente, doveva pagare l’IVIE sulla casa in Francia (0,76% annuo) e IVAFE sui conti/investimenti (0,2% annuo). L’accertamento includerà anche questi importi non versati.
  • Sanzioni tributarie: sulle maggiori imposte accertate si applicano sanzioni per dichiarazione infedele od omessa. In caso di dichiarazione infedele (dichiarati X euro ma dovevano essere X+Y), la sanzione base è dal 90% al 180% dell’imposta evasa . Se invece il contribuente non aveva proprio presentato la dichiarazione per quegli anni (ritenendosi estero), si configura omessa dichiarazione, con sanzione dal 120% al 240% dell’imposta dovuta, minimo €250. Ad esempio, se Caio dal 2020 al 2022 non ha presentato Unico e ora gli accertano €50.000 di IRPEF per anno, la sanzione teorica potrebbe arrivare fino a €120.000 per anno (240%). Spesso, però, se il contribuente non ha precedenti e paga entro certi termini, può fruire della riduzione a 1/3 delle sanzioni in adesione o conciliazione. Inoltre il cumulo giuridico limita la sanzione totale se si tratta di violazioni unificate (ma per omessa di anni distinti si applica per ciascun anno).
  • Interessi moratori: calcolati al tasso legale (attualmente intorno al 5% annuo) dal giorno in cui le imposte erano dovute (di solito il saldo a giugno dell’anno successivo) fino al pagamento. Su più anni e importi, gli interessi possono cumularsi per somme non trascurabili.
  • Spese accessorie: aggiungere eventuali spese di notifica, eventuali compensi di riscossione (in fase di cartella) ecc., che gravano ulteriormente.

Tutto questo sul piano amministrativo. Ma c’è anche un fronte penale tributario da considerare. Le principali fattispecie che possono emergere in uno scenario di residenza estera fittizia sono:

  • Omessa dichiarazione dei redditi (art.5 D.Lgs. 74/2000): scatta se il contribuente, obbligato a dichiarare, non presenta la dichiarazione annuale. È un reato punito con la reclusione da 2 a 5 anni se l’imposta evasa supera €50.000 per ciascun periodo d’imposta . Un espatriato che non ha presentato Unico per vari anni, e per ciascuno le imposte evase (IRPEF, addizionali) superano tale soglia, rischia un procedimento penale per ogni anno omesso. Ad esempio, se l’IRPEF evasa nel 2020 è €80k e nel 2021 €90k, ci sono due reati di omessa dichiarazione.
  • Dichiarazione fraudolenta o infedele (artt. 3 e 4 D.Lgs. 74/2000): la dichiarazione infedele (art.4) si ha se si dichiara meno del dovuto con imposta evasa oltre €100.000 e base sottratta oltre il 10% del totale o €2 milioni. Nel nostro contesto, potrebbe applicarsi se il contribuente presentava comunque dichiarazione in Italia ma ometteva alcuni redditi (magari dichiarava solo redditi italiani minori e non quelli esteri). Se i numeri superano le soglie, è reato (punibile con reclusione 2 a 4.5 anni). La dichiarazione fraudolenta (art.3) richiede l’uso di artifici (fatture false, ecc.) – caso meno frequente nella residenza fittizia a meno di costruzioni simulate.
  • Altri reati possibili: se per coprire l’esterovestizione si sono usati artifici societari, trust, ecc., potrebbero configurarsi reati come l’associazione per delinquere (nei casi estremi di network organizzati), ma sono ipotesi complesse. Più comune è l’eventuale sottrazione fraudolenta al pagamento imposte (art.11 D.Lgs.74/2000), se il contribuente quando fiuta il controllo sposta o occulta i beni per non farseli pignorare.

Fortunatamente, esistono anche strumenti per attenuare o evitare il carcere in ambito tributario, soprattutto se il contribuente collabora. Il D.Lgs. 74/2000 prevede che, se l’imputato paga integralmente i debiti tributari (imposta, interessi, sanzioni amministrative) prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, i reati di omessa o infedele dichiarazione sono estinti (art. 13 c.1 e 2) . In pratica, se l’accertamento quantifica €X di imposte evase e relative sanzioni e il contribuente paga tutto prima del processo, non verrà punito penalmente. Questa è una forte spinta a ravvedersi e saldare il dovuto. Ad esempio, Caio, per evitare condanne, potrebbe decidere di vendere un immobile e pagare il fisco italiano, chiudendo così sia il contenzioso amministrativo (con eventuale adesione) sia la questione penale.

Va citato anche che la Cassazione penale ha affrontato casi di residenza fiscale fittizia sottolineando l’aspetto doloso: ad esempio, in una sentenza del 2021, è stato ritenuto colpevole di omessa dichiarazione un soggetto che aveva simulato l’espatrio all’estero, evidenziando come la pluralità di evidenze contrarie (famiglia e interessi in Italia) provasse la volontà di sottrarsi al fisco .

Conclusione sulle sanzioni: trovarsi dichiarati residente in Italia d’ufficio può portare un conto salatissimo: imposte arretrate su più anni, sanzioni spesso superiori al 100% del tributo, interessi e potenzialmente un’incriminazione penale. Dal punto di vista del contribuente, queste prospettive rendono ancora più importante impostare fin da subito una difesa efficace, limitare il periodo contestato (magari convincendo su almeno uno degli anni), e laddove la contestazione sia fondata, attivarsi per definire e pagare il dovuto onde evitare guai peggiori.

Di contro, se il contribuente riesce a dimostrare di avere ragione (ossia che era effettivamente non residente), l’accertamento verrà annullato e non seguirà alcuna sanzione. Anzi, potrebbe avere diritto al rimborso di eventuali spese legali tramite condanna alle spese dell’ufficio. Dunque, tutto dipende dall’esito del contraddittorio: vale la pena investire risorse nella difesa per evitare gli esiti negativi sopra descritti.

Domande frequenti (FAQ)

Di seguito una serie di domande e risposte ricorrenti per chiarire i dubbi pratici più comuni sul rapporto con il Fisco italiano in caso di trasferimento in Francia:

D: Se mi iscrivo all’AIRE sono automaticamente esente da tasse in Italia?
R: No. L’iscrizione all’AIRE è obbligatoria per chi si trasferisce all’estero, ma di per sé non basta a evitare obblighi fiscali in Italia . Diventi esente dall’IRPEF italiana sui redditi esteri solo se soddisfi anche le condizioni sostanziali di non residenza (dimora abituale all’estero, centro interessi all’estero, ecc.). Inoltre, anche da AIRE, devi continuare a pagare le imposte italiane su eventuali redditi prodotti in Italia (per esempio affitti di immobili in Italia, plusvalenze su vendite immobiliari in Italia, ecc.). L’iscrizione all’AIRE è dunque condizione necessaria ma non sufficiente: serve a dimostrare la volontà di trasferimento, ma il Fisco può comunque verificare dove vivi davvero .

D: Quanti giorni posso stare in Italia senza perdere la residenza estera?
R: La normativa italiana (anche dopo il 2024) fissa a 183 giorni il limite per considerare prevalente la presenza in un Paese. Quindi, per essere sicuro di mantenere la residenza in Francia agli occhi dell’Italia, devi trascorrere meno di 183 giorni in Italia nell’anno . Questo conteggio considera qualsiasi presenza fisica, anche non continuativa. Ciò non significa che se fai 120 giorni in Italia automaticamente sei ok – bisogna sempre guardare anche gli altri criteri (domicilio, interessi). Tuttavia, come regola pratica, conviene evitare di superare i 5-6 mesi l’anno in Italia. Ad esempio, tornare per le vacanze estive e natalizie va bene, ma se trascorri metà anno o più in Italia rischi di essere considerato residente qui (specie ora che la presenza fisica è criterio a sé dal 2024) . Considera che, in caso di doppia residenza, poi decide la Convenzione con la Francia (che guarda anche ad altri fattori, non solo i giorni).

D: Ho la famiglia (moglie e figli) in Italia ma lavoro in Francia: dove pago le tasse?
R: Questa è una situazione delicata. Dal 2024 il domicilio fiscale dà priorità ai legami familiari . Ciò significa che, secondo l’Italia, potresti essere considerato residente qui per il solo fatto che il tuo nucleo familiare stabile è in Italia, anche se tu trascorri la maggior parte del tempo in Francia. Bisogna allora vedere cosa dice la Convenzione Italia-Francia: il primo criterio convenzionale è l’abitazione permanente e il centro degli interessi vitali. Se la tua famiglia e la casa familiare sono in Italia, è probabile che il “centro vitale” sia considerato l’Italia, a meno che tu non riesca a provare che i tuoi interessi personali sono più intensi in Francia. Quindi, in mancanza di trasferimento dell’intera famiglia, è molto probabile che l’Italia rivendichi la tua residenza fiscale. In pratica rischi di dover pagare le tasse su tutti i redditi in Italia (con credito per quelle pagate in Francia). Una soluzione spesso adottata è: o trasferire la famiglia all’estero, oppure se questo non è possibile, valutare un status particolare (es. frontaliero se abiti vicino al confine, o impatriato se rientri) oppure quantomeno dichiarare i redditi esteri in Italia e usare i crediti d’imposta. Ma attenzione: se l’Italia ti considera residente, devi dichiarare tutto qui. Per sicurezza, consulta un esperto: casi del genere sono al limite e vanno pianificati attentamente.

D: Ho una casa di proprietà in Italia e una in Francia: quale incide sulla residenza?
R: Possedere una casa in un Paese non equivale automaticamente a esserne residente, ma l’abitazione permanente è un fattore chiave. Se in Francia hai la tua abitazione principale (dove vivi e lavori) e in Italia hai una seconda casa (magari ereditata, usata per vacanze), la residenza fiscale propenderà per la Francia, purché gli altri elementi concordino. È importante che la casa in Italia non sia il tuo domicilio di fatto. Se invece la casa in Italia rimane il fulcro della tua vita (ci vive la tua famiglia, o tu stesso vi trascorri molti mesi), allora l’Italia potrebbe considerarla l’abitazione principale. La Convenzione Italia-Francia nel tie-breaker guarda prima dove hai un’abitazione permanente a disposizione, e se in entrambi, allora dove sono gli interessi vitali . Quindi, avendo case in entrambi i Paesi, decideranno i legami personali ed economici: se famiglia e lavoro sono in Francia, anche avendo una casa vuota in Italia non dovrebbe spostare la residenza fiscale dalla Francia. In ogni caso, dichiara sempre la casa italiana al fisco italiano (anche se sei non residente va dichiarata nel quadro RL o RT per il calcolo dell’IMU o reddito fondiario) per evitare contestazioni.

D: Devo dichiarare in Italia i redditi che guadagno in Francia?
R: Solo se sei considerato residente fiscale in Italia. Se sei residente in Francia (e non in Italia), l’Italia non tassa i tuoi redditi esteri. Quindi, ad esempio, il tuo stipendio francese, il tuo conto bancario francese, ecc., non vanno dichiarati in Italia. Dovrai ovviamente dichiararli in Francia secondo la legge francese. Per sicurezza, se hai dubbi sul tuo status, puoi anche presentare in Italia un Modello Redditi da non residente (indicando solo eventuali redditi italiani e allegando un certificato di residenza francese per chiedere trattamenti convenzionali). Ma se sei esclusivamente residente in Francia, l’Italia ti tasserà solo su redditi italiani (es. se hai mantenuto un immobile affittato in Italia, su quello devi dichiarare e pagare qui). Viceversa, se l’Italia ti considera ancora suo residente, allora vorrebbe che tu dichiarassi tutto in Italia (e poi chiederesti credito per quanto pagato in Francia). In pratica, non devi fare doppia dichiarazione: sei o residente in Francia (dichiarazione solo in Francia, tranne redditi in Italia) o residente in Italia (dichiarazione in Italia di tutto, con crediti). Quando c’è incertezza, meglio confrontarsi con un fiscalista per non sbagliare adempimenti.

D: L’Agenzia delle Entrate può venire a sapere dei miei conti bancari in Francia?
R: Sì, grazie al Common Reporting Standard e agli accordi di scambio automatico, le informazioni sui conti detenuti all’estero da contribuenti italiani vengono inviate all’Italia . Tuttavia, funziona così: se la banca francese ti ha censito come residente fiscale francese (tu hai dichiarato di essere residente in Francia), allora le informazioni su quel conto vanno alla Francia e non all’Italia. Se invece risulti (o risultavi) residente in Italia nei moduli bancari, il conto viene segnalato all’Italia. Quindi, se hai trasferito la residenza e aggiornato la banca, in teoria l’Italia non dovrebbe più ricevere i tuoi dati via CRS. Ma non contare troppo su questo: l’Italia potrebbe aver avuto i dati degli anni passati, o potrebbero esserci incongruenze (es. se hai doppia cittadinanza o un indirizzo italiano in banca, a volte i dati vengono trasmessi a entrambe le giurisdizioni). Inoltre esiste lo scambio su richiesta: l’Italia può chiedere specificamente info su un tuo conto in Francia se sta indagando. E ricordiamo che se sei considerato ancora residente italiano fiscalmente, allora sì che la Francia invia all’Italia i dati dei tuoi conti. Insomma, è prudente assumere che , il Fisco può sapere dei tuoi conti esteri. Quindi dichiarali in RW se dovuti, o comunque non pensare di nasconderli confidando nel segreto bancario (non c’è più in UE).

D: Cosa rischio se non ho indicato nel Quadro RW un conto all’estero?
R: Se per l’Italia eri residente e hai omesso di compilare il Quadro RW, la sanzione amministrativa è molto pesante: dal 3% al 15% del valore massimo del conto non dichiarato per ogni anno, che sale al 6%-30% se il conto era in un Paese non cooperativo . La Francia è cooperativa, quindi sarebbe 3-15%. Ad esempio, conto con €100.000 non dichiarati, sanzione teorica €3.000-15.000 per ciascun anno. Inoltre, l’accertamento può essere notificato per anni più lontani nel tempo (c’è il raddoppio dei termini, fino a 10 anni) . Spesso queste sanzioni RW sono “cumulative”: se il conto è esistito per più anni non dichiarato, ogni anno una sanzione. C’è però la possibilità di ravvedimento con riduzioni se ti autodenunci prima di controlli. In ogni caso, conviene regolarizzare spontaneamente appena ci si rende conto, perché se invece ti scoprono in accertamento applicano il massimo o quasi, e non è negoziabile (il cumulo con altre sanzioni di omessa dichiarazione può portare a importi mostruosi). Dunque, non sottovalutare il Quadro RW – è una delle prime cose che guardano.

D: Posso usare il trattato Italia-Francia per non essere tassato due volte sugli stessi redditi?
R: Assolutamente sì. La Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Francia serve proprio ad evitare la doppia tassazione. Prevede chi ha il potere impositivo su ciascuna categoria di reddito (es. stipendi, pensioni, immobili, ecc.) e stabilisce il meccanismo del credito d’imposta. Quindi, se ad esempio hai pagato imposte in Francia su un reddito che l’Italia ti tassa (perché ti considera residente), hai diritto in Italia al credito per le imposte pagate all’estero . In molti casi però la Convenzione evita proprio la doppia imposizione alla radice, attribuendo la tassazione esclusiva a uno Stato: ad esempio, gli stipendi (non pubblici) si tassano solo nello Stato di lavoro, le pensioni private solo nello Stato di residenza. Questo significa che se tu sei realmente residente in Francia, la maggior parte dei tuoi redditi esteri non sarebbero imponibili in Italia. Il problema sorge solo se l’Italia ti considera indebitamente residente: allora chiederà tasse su tutto, e tu dovrai appellarti al trattato in sede contenziosa. L’ideale è far valere fin da subito il trattato: ad esempio allegando al ricorso il certificato di residenza fiscale francese e citando gli articoli pertinenti (art.4 per lo status di residente, e quelli sulle singole tipologie di reddito) . I giudici italiani dovrebbero applicarlo correttamente. Quindi sì, il trattato è il tuo scudo per evitare di pagare due volte: o non paghi affatto in Italia certi redditi, o se paghi chiedi il credito per non rimetterci.

D: Ho ricevuto un questionario dall’Agenzia delle Entrate mentre vivo in Francia: devo rispondere?
R: Assolutamente . Ignorare un questionario (ex art.32 DPR 600) comporta già di suo una sanzione (da €250 a €2.000) e, peggio, fa presumere all’ufficio che hai qualcosa da nascondere, inducendolo a emettere un accertamento basato sulle informazioni in suo possesso. Al contrario, rispondendo entro 60 giorni e in modo completo, hai l’occasione di chiarire la tua posizione ed eventualmente evitare un avviso di accertamento. Quindi, anche se sei all’estero, tratta la comunicazione con la massima serietà. Puoi rispondere via PEC (se hai una PEC italiana) o lettera raccomandata, allegando i documenti richiesti. Se serve più tempo per raccogliere info, puoi chiedere una proroga motivata (spesso concessa). È consigliabile farsi assistere da un commercialista/avvocato tributarista nella risposta, per essere sicuro di fornire tutti gli elementi utili e non dichiarare cose che possano essere fraintese. In sintesi: rispondi, documenta e spiega. Un questionario ben gestito può evitare il peggio, uno ignorato è quasi garanzia di accertamento.

D: Se l’Italia mi tassa come residente per certi anni, devo pagare anche le tasse in Francia su quei redditi?
R: Distinguiamo. Se l’Italia retroattivamente ti considera residente 2020-2021 e ti tassa i redditi francesi di quegli anni, tu probabilmente hai già pagato all’epoca le imposte in Francia (essendo per la Francia residente lì). Non pagherai di nuovo in Francia perché le dichiarazioni francesi restano com’erano. Rischi però una doppia imposizione se l’Italia non riconosce che hai pagato in Francia. Fortunatamente, come detto, la Convenzione prevede il meccanismo del credito d’imposta estero: quando l’Italia ti tasserà, dovrà darti credito per le imposte francesi già pagate su quei redditi . Quindi, in teoria, non pagherai due volte l’imposta sullo stesso reddito, ma pagherai eventualmente la differenza se l’aliquota italiana è più alta. Esempio: reddito da lavoro €50k, tassato in Francia con €10k imposte; se ora l’Italia te lo tassa con €12k IRPEF, dovrai versare €2k (differenza). Inoltre pagherai sanzioni e interessi sull’IRPEF italiana (che è comunque considerata imposta “evasa” in Italia). – Caso diverso: se con la difesa riesci a far riconoscere la tua residenza in Francia per quegli anni, allora l’Italia non ti può tassare i redditi francesi affatto (li ritoglierà dall’accertamento). In tal caso avrai pagato solo in Francia e tutto ok. – Infine, per gli anni futuri, una volta chiarita la residenza: non dovrai fare doppio gioco. Se risulti residente in Francia, farai dichiarazione solo in Francia e in Italia niente, salvo redditi italiani; se tornerai residente in Italia, dichiarerai qui e Francia niente (salvo fonte francese con ritenute). L’importante è non avere mai un reddito tassato integralmente da entrambe: o tramite convenzione o credito, si deve evitare.

D: Come posso evitare problemi col Fisco italiano se mi trasferisco all’estero?
R: Ecco alcuni consigli di best practice: – Pianifica il trasferimento con anticipo: fatti spiegare da un esperto quali passi compiere (es. se vendere casa prima di spostarti, come gestire la liquidazione, ecc.). – Iscriviti all’AIRE subito, entro i 90 giorni dall’espatrio, e controlla che la pratica vada a buon fine (fatti dare conferma dal Consolato). – Tieni traccia di quando lasci l’Italia: conserva titolo di viaggio, consegna chiavi appartamento, ecc., così da provare la data effettiva di trasferimento. – Trasferisci anche le cose importanti: famiglia (se possibile), auto (o vendila), chiudi utenze italiane. Insomma, non lasciare in Italia indicatori di presenza. – Dichiara in Italia il giusto per l’anno di partenza: fai l’ultima dichiarazione includendo i redditi fino alla data di espatrio e segnalando che da tal data sei all’estero (puoi indicarlo nei moduli). – In Francia, regolarizza la tua posizione fiscale: iscriviti al fisco francese, richiedi il numero fiscale, presenta la dichiarazione dei redditi francesi. Questo crea un track record dimostrabile. – Conserva una sorta di “dossier del trasferimento” con tutti i documenti che provano la tua nuova vita in Francia. – Evita, nei primi anni almeno, di avere un tenore di vita visibile in Italia incompatibile con ciò che dichiari: se hai ancora casa in Italia, magari affittala invece di lasciarla vuota (così hai un reddito dichiarato per mantenerla); non circolare con auto di lusso intestata a te in Italia se non dichiari redditi qui; insomma, mantieni coerenza tra ciò che appare e la tua posizione fiscale. – Rimani raggiungibile: assicurati che l’indirizzo AIRE sia aggiornato e che qualcuno possa avvisarti se arriva posta importante (considera di attivare una PEC personale per ricevere eventuali atti via PEC). – Non sottovalutare eventuali comunicazioni del Fisco: se anche dopo anni ti scrivono, prendi la cosa in mano subito.

Così facendo, minimizzi la probabilità di un accertamento, e se anche dovesse arrivare sarai in grado di difenderti efficacemente.

Esempi pratici (casi simulati)

Caso 1: Trasferimento genuino vs. legami familiari in Italia
Luca, dirigente d’azienda, si trasferisce a Parigi nel 2022 per lavoro presso una multinazionale. Si iscrive all’AIRE, affitta un appartamento a Parigi dove vive stabilmente e apre un conto corrente in Francia su cui riceve lo stipendio. La moglie e i figli però restano a Roma nella casa di proprietà di Luca. Nel 2023 l’Agenzia delle Entrate inserisce Luca in una lista di controllo: aveva dichiarato €200.000 di reddito in Italia fino al 2021, poi zero nel 2022, ma risulta ancora proprietario di una casa signorile e con famiglia a carico in Italia. Gli inviano un questionario chiedendo dove abbia prodotto il reddito per mantenere la famiglia e la casa. Difesa: Luca risponde fornendo il contratto di lavoro francese, le buste paga (reddito €180.000) e il certificato di residenza fiscale francese. Sostiene che la moglie, pur residente a Roma, ha un lavoro proprio e ha contribuito alle spese di casa con il suo reddito italiano (allega dichiarazione della moglie). Dimostra inoltre di essere rientrato a Roma solo 8 settimane l’anno (allega biglietti aerei). L’Agenzia valuta: la presenza della famiglia in Italia è un forte elemento di domiciliazione in Italia, ma Luca prova che il centro dei suoi interessi economici e la sua permanenza sono in Francia. Potrebbe comunque nascere contestazione sul 2022, ma grazie alla Convenzione l’esito probabile è che Luca sia considerato residente in Francia (interessi vitali legati al lavoro di gran lunga prevalenti, permanenza >183gg in Francia). L’Agenzia decide di non emettere accertamento, anche perché Luca ha dimostrato che i redditi francesi esistevano e sarebbero comunque stati detassati in Italia per via del credito d’imposta. Questo caso evidenzia che avere la famiglia in Italia complica la difesa, ma non la pregiudica se altri fattori (presenza, lavoro) pendono nettamente verso l’estero. Se invece Luca non avesse risposto, l’ufficio avrebbe probabilmente emesso accertamento presuntivo, imputandogli redditi non dichiarati e trattandolo da residente italiano, con esito molto più incerto in giudizio.

Caso 2: Residenza fiscale fittizia e conti esteri non dichiarati
Mario si trasferisce a Nizza nel 2018, aprendo un ristorante. Non si iscrive all’AIRE per “dimenticanza” e continua a risultare residente a Genova. Fino al 2017 presentava dichiarazione dei redditi in Italia, dal 2018 smette di presentarla, pensando di non doverlo fare perché ormai vive in Francia. Nel 2021 il Fisco italiano, tramite CRS, scopre che Mario ha un conto corrente a Nizza con saldo medio €150.000 e movimenti significativi. Inoltre vede che Mario risulta ancora residente in Italia all’anagrafe. Parte un controllo: la GdF indaga e scopre che Mario rientra spesso a Genova (ha mantenuto la casa di proprietà, dove vive la fidanzata) e che la sua società francese è amministrata interamente da lui senza soci. Confrontando i dati, l’Agenzia conclude che Mario non ha mai interrotto davvero i legami con l’Italia. Nel 2022 gli notifica vari avvisi di accertamento: per 2018, 2019, 2020 lo considera residente e gli tassa i redditi del ristorante francese (stimati indirettamente incrociando pagamenti POS trovati sui conti) più applica sanzioni per omessa dichiarazione (~150% imposta) e per omesso quadro RW sul conto (3-15% annuo). Mario, colto di sorpresa, si rivolge a un avvocato. Difesa: Purtroppo Mario ha commesso passi falsi (niente AIRE, casa attiva in Italia, etc.). In giudizio prova a sostenere che la sua dimora abituale dal 2018 era in Francia (presenta bollette e testimonianze), ma l’Agenzia porta foto e pedinamenti che lo collocano a Genova diversi giorni ogni mese. Il giudice tributario, visti gli elementi, conferma che la residenza fiscale era rimasta in Italia (iscrizione anagrafica + presenza frequente + interessi affettivi in Italia). Tuttavia, grazie alla Convenzione, evita la doppia imposizione: i redditi d’impresa del ristorante – che sarebbero tassabili in Italia come worldwide income – vengono in gran parte sgravati perché già tassati in Francia (il giudice riconosce il credito per le tasse pagate in Francia). Mario però subisce comunque le sanzioni per omessa dichiarazione e quadro RW su quelle differenze (lì il credito non si applica), e finisce per dover pagare una cifra molto alta, rischiando anche il penale (omessa dichiarazione > €50k per più anni). Alla fine concorda col PM di patteggiare la pena (1 anno sospeso) dopo aver versato tutto il dovuto al fisco. Questo caso mostra una residenza fittizia “classica” e le sue pesanti conseguenze, aggravate dal mancato rispetto delle regole formali (AIRE). Se Mario avesse fatto le cose per bene, probabilmente non sarebbe stato considerato residente in Italia, o quantomeno avrebbe ridotto danno e rischi.

Caso 3: Esterovestizione societaria tra Italia e Francia
La società Alpha Srl, con sede a Torino, nel 2024 viene acquisita al 100% dalla Beta SAS, società francese amministrata dall’imprenditore italiano Sig. Verdi. Dopo l’acquisizione, Alpha Srl chiede di essere cancellata dal registro italiano perché fusa in Beta SAS e quindi di diventare “esterovestita” in Francia. Di fatto l’attività (produzione di componenti auto) continua negli stessi stabilimenti a Torino, con gli stessi dipendenti, ma formalmente come branch della Beta SAS. Beta SAS dichiara in Francia i redditi di Alpha e paga lì poche imposte grazie a incentivi (es. zona franca). L’Italia avvia un controllo nel 2025: vede che nulla è cambiato operativamente a Torino, solo la ragione sociale. Contesta dunque che Beta SAS è in realtà residente in Italia per l’attività Alfa. Difesa società: Beta SAS sostiene di avere sede legale e amministrativa a Lione, ma in giudizio emergono prove che le decisioni su Alfa le prendeva sempre Verdi da Torino e che Beta SAS in Francia era una scatola senza dipendenti. La Commissione Tributaria (Corte Giust. Trib.) conferma l’esterovestizione: Beta SAS viene considerata fiscalmente residente in Italia almeno per gli utili di Alfa (applicando art.73 TUIR e la clausola antiabuso). Risultato: l’azienda deve pagare in Italia IRES e IRAP arretrate, con sanzioni 100% e interessi, per oltre €1 milione. Difesa personale di Verdi: parallelamente, Verdi si vede recapitare un avviso come amministratore: l’Agenzia gli contesta che anche lui, vivendo tra Torino e Costa Azzurra, fosse residente in Italia e non in Francia come dichiarava. In questo caso Verdi riesce a dimostrare che la residenza personale dal 2024 era effettivamente in Francia (ha portato la famiglia a Nizza, e sta in Italia < 120gg l’anno). Quindi la sua persona fisica non viene ripresa per redditi (pagherà le imposte sui dividendi con regime convenzionale). Ma per la società non c’è stato scampo, perché l’esterovestizione societaria può essere accertata a prescindere dalla residenza del titolare: conta dove la società opera realmente. Questo scenario mostra che creare una società in Francia non basta se poi tutto rimane in Italia: il fisco italiano la ignorerà e continuerà a tassare come se nulla fosse cambiato, come giusto.

Caso 4: Notifica di accertamento all’estero e decorrenza dei termini
Giulia si trasferisce a Marsiglia nel 2019, AIRE regolare. Nel 2023 l’Agenzia delle Entrate le spedisce un avviso di accertamento per redditi 2018 (ultimo anno in Italia) ad un vecchio indirizzo italiano. Giulia non ne sa nulla e lo scopre solo nel 2024 quando una cartella le viene notificata al nuovo indirizzo estero via posta. Si rivolge a un legale, il quale eccepisce che la prima notifica del 2023 era nulla perché Giulia era già AIRE e l’ufficio avrebbe dovuto notificarle l’atto direttamente all’indirizzo francese risultante (non l’ha fatto per errore) . La Corte Tributaria concorda: l’accertamento 2018 viene annullato per vizio di notifica (è come se non fosse mai stato correttamente notificato entro i termini). Questo esempio, basato su casi reali, evidenzia che essere AIRE e aver comunicato l’indirizzo dà anche tutele: se l’ufficio sbaglia e notifica in Italia, l’atto è viziato. Attenzione però: dal 2020 l’Agenzia è più diligente con le notifiche estere (vedi Cass. 22838/2025) , quindi casi così diminuiranno.

Tabelle riepilogative

Di seguito alcune tabelle riassuntive dei punti chiave trattati nella guida.

Tabella 1 – Confronto posizione fiscale: Residente in Italia vs Non residente (residente in Francia)

AspettoResidente fiscale in ItaliaNon residente (residente in Francia)
Tassazione dei redditiWorldwide: tutti i redditi, ovunque prodotti, sono tassati in Italia (con eventuali crediti per imposte estere) .Solo i redditi di fonte italiana sono tassati in Italia (quelli francesi sono imponibili in Francia).
Dichiarazione dei redditiObbligo di presentare il Modello Redditi PF ogni anno, dichiarando redditi italiani ed esteri.Obbligo di dichiarare in Italia solo se si percepiscono redditi prodotti in Italia (ad es. Redditi fondiari, d’impresa, etc.). Nessuna dichiarazione per redditi esteri puri.
Quadro RW (monitoraggio) – va compilato per indicare investimenti e attività finanziarie detenuti all’estero, con calcolo di IVIE/IVAFE dovute .No – non soggetto a monitoraggio fiscale italiano. Le attività in Francia non vanno dichiarate in Italia. (Le attività in Italia eventualmente vanno dichiarate in Francia secondo le regole locali? Dipende dalla legge francese, ma fuori dallo scopo qui).
Abitazione in ItaliaSe adibita ad abitazione principale, rileva come indicatore di residenza; tassata tramite IMU/IRPEF seconda casa se il residente ha spostato altrove la residenza anagrafica.Considerato non residente, paga IMU come seconda casa (nessuna esenzione prima casa) e il reddito fondiario dell’immobile è tassato in Italia (salvo eccezioni convenzionali).
Applicazione ConvenzioneLa Convenzione serve a evitare doppie tasse sui redditi esteri dichiarati in Italia (es. credito d’imposta per impôt sur le revenu pagata in Francia) . In caso di doppia residenza, i criteri tie-breaker potrebbero spostare la residenza all’estero.La Convenzione viene già applicata a monte: il soggetto è considerato residente in Francia, quindi l’Italia tassa solo ciò che il trattato le consente (es. redditi immobiliari in Italia). Niente doppia imposizione perché l’Italia non esercita tassazione su redditi esteri.

Tabella 2 – Strumenti di controllo e cooperazione internazionale (Italia – Francia)

Strumento/ProceduraDescrizioneRiferimenti normativi
Liste selettive AIREElenchi di soggetti espatriati a rischio evasione, individuati con provv. Ag. Entrate 2017 n.43999. Criteri: espatriati in black list, calo anomalo redditi, immobili di lusso in Italia, cariche sociali, etc .Provv. AE 3/3/2017 n.43999 .
Scambio automatico info (CRS/DAC2)Trasmissione annuale di dati finanziari (conti correnti, investimenti) di soggetti non residenti tra amministrazioni fiscali. Italia-Francia attivo dal 2017. Include anche DAC7 (piattaforme digitali) dal 2023, e presto cripto (DAC8) .Dir. 2011/16/UE e succ. mod. (DAC2: D.Lgs. 29/2014; DAC7: D.L. 73/2022 conv. L.122/22) .
Scambio su richiestaRichiesta mirata di informazioni fiscali specifiche (es. dettagli redditi o conti) da Italia a Francia o viceversa. Necessaria base convenzionale o direttiva.Art. 26 Convenzione Italia-Francia; Convenzione OCSE 1988; Dir. 2011/16/UE (DAC3 per rulings).
Questionario fiscalità internazionaleRichiesta informazioni al contribuente (ex art.32 DPR 600/73) su aspetti esteri: periodi all’estero, att. lavorativa, conti, famiglia, ecc. Obbligo risposta 60gg.Art. 32, DPR 600/1973.
Accertamento sintetico – RedditometroRicostruzione del reddito presunto in base a spese patrimoniali e indici di capacità contributiva. Usato per individuare redditi non dichiarati da residenti (o presunti tali) con alto tenore di vita . Contraddittorio obbligatorio prima dell’emissione.Art. 38, DPR 600/1973 (come mod. da DL 78/2010); DM 16/9/2015 (nuovo redditometro); (in revisione ulteriore nel 2023).
Notifica atti estero (AIRE)Invio di avvisi di accertamento e altri atti tramite raccomandata con ricevuta all’indirizzo estero risultante da AIRE. Notifica valida anche se non ritirata (compiuta giacenza) .Art. 60, co. 3-5, DPR 600/1973 (mod. da DL 40/2010) ; Cass. 22838/2025 .
Assistenza riscossione UEMutual Recovery Assistance: l’Italia può chiedere alla Francia di riscuotere crediti tributari italiani da soggetto residente in Francia, e viceversa. Equiparazione ai crediti interni dello Stato richiesto.Dir. 2010/24/UE (recepita da D.Lgs. 149/2012) .

(Le fonti normative complete sono elencate in fondo alla guida. I riferimenti in parentesi rimandano alle fonti collegate.)

Fonti normative, giurisprudenziali e di prassi

Normativa italiana e internazionale:

  • D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 (TUIR) – Art. 2 (criteri di residenza persone fisiche) e art. 73 (criteri residenza società). Definiscono quando un soggetto è fiscalmente residente in Italia (183 giorni, iscrizione anagrafica, domicilio, dimora abituale) . Art. 2, co.2-bis: presunzione per trasferimenti in paradisi fiscali . Art. 73, co.3: criteri sede legale, amministrazione, oggetto principale ; co.5-bis e 5-ter: presunzioni di residenza per società estere controllate da residenti (esterovestizione) .
  • Legge 9 agosto 2023 n.111 (Delega fiscale) e D.Lgs. 27 dicembre 2023 n.209 – Riforma della residenza fiscale (attuativa dal 2024). Ha modificato l’art. 2 TUIR: iscrizione anagrafica diventa presunzione relativa, introdotto criterio presenza fisica >183g, ridefinito domicilio fiscale . Ha anche previsto modifiche per società (coordinamento con best practice OCSE).
  • Codice Civile, art. 43 – Definisce domicilio (sede principale affari e interessi) e residenza (dimora abituale). Base dei criteri civilistici richiamati dal TUIR . Dal 2024 per il fisco il domicilio è definito autonomamente (in chiave personale) .
  • Legge 27 ottobre 1988 n.470 e D.P.R. 6 settembre 1989 n.323 – Obbligo di iscrizione all’AIRE per cittadini che trasferiscono residenza all’estero, entro 90 giorni . Regolano l’anagrafe degli italiani all’estero.
  • D.L. 4 luglio 2006 n.223 art.37, co.58 (conv. L.248/2006) – Ha introdotto art. 73 co.5-bis TUIR (presunzione legale di residenza in Italia per società estere controllate da italiani, se localizzate in paradisi fiscali) .
  • D.L. 28 giugno 1990 n.167 (conv. L. 4 agosto 1990 n.227) – Disciplina il monitoraggio fiscale delle attività estere: quadro RW in dichiarazione dei redditi, obbligo di dichiarare trasferimenti da/verso l’estero sopra certe soglie. Prevede sanzioni dal 3% al 15% (raddoppiate se Paese black list) per omessa dichiarazione di investimenti esteri e l’estensione dei termini accertamento (raddoppio) in tali casi . Modificato da L. 97/2013 (volta ad adeguare la nozione di paradiso fiscale e introdurre scudo penalità).
  • D.L. 25 marzo 2010 n.40, art.2 co.1 (conv. L.73/2010) – Ha modificato l’art.60 DPR 600/73 introducendo la possibilità di notifica degli atti tributari ai non residenti mediante raccomandata A/R all’indirizzo estero AIRE e stabilendo che la notifica si perfeziona per compiuta giacenza . Questa norma ha semplificato e chiarito le notifiche all’estero.
  • D.P.R. 29 settembre 1973 n.600, art. 60 – Norme sulle notifiche degli atti tributari. Commi 3-7 disciplinano notifiche a non residenti: raccomandata a indirizzo AIRE, etc. . (Come modificato dal DL 40/2010 sopra citato). Confermato dalla giurisprudenza .
  • Direttiva 2011/16/UE (DAC1) e successive modifiche: DAC2 (Dir. 2014/107/UE) sullo scambio automatico di informazioni finanziarie (CRS) – recepita con D.Lgs. 29/2014; DAC3 (Dir. 2015/2376) sullo scambio di ruling preventivi; DAC6 (Dir. 2018/822) sullo scambio di schemi di pianificazione fiscale – recepita con D.Lgs. 100/2020 e D.Lgs. 5/2020, poi confluite in D.Lgs. 192/2021 ; DAC7 (Dir. 2021/514) su piattaforme digitali – recepita con D.L. 73/2022 conv. L.122/2022 ; DAC8 (proposta 2023) su cripto-attività (non ancora in vigore al 2025). Queste direttive fanno parte della cooperazione fiscale nell’UE e ampliano le categorie di dati scambiati automaticamente tra Italia, Francia e altri Stati membri.
  • Direttiva 2010/24/UEAssistenza reciproca in materia di recupero crediti tributari. Permette a uno Stato membro di riscuotere per conto di un altro Stato i tributi non pagati. Recezione in Italia: D.Lgs. 14 agosto 2012 n.149 .
  • Regolamento UE 2020/1784 – Notifiche transfrontaliere di atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile/commerciale (aggiorna Conv. Aja 1965). Può applicarsi in materia tributaria per atti giudiziari (es. sentenze da notificare all’estero) . In ambito stragiudiziale, resta lex specialis art.60 DPR 600 per atti fiscali.
  • D.Lgs. 18 dicembre 1997 n.471 – Sanzioni tributarie non penali. Art.1 (dichiarazione infedele, 90-180%), art.5 (omessa dichiarazione, 120-240% minimo €250). Art. 13 D.Lgs.472/97 sul ravvedimento operoso consente riduzioni sanzioni se volontario.
  • D.Lgs. 10 marzo 2000 n.74 – Reati tributari. Art.4 (dichiarazione infedele: soglia €100k imposta e 10% base), art.5 (omessa dichiarazione: soglia €50k imposta) ; art.3 (dichiarazione fraudolenta), art.11 (sottrazione fraudolenta al pagamento). Art.13 – Causa di non punibilità per pagamento integrale dei debiti tributari prima del dibattimento . (Modifiche da D.Lgs. 158/2015 e L.157/2019).
  • Statuto del Contribuente (L. 27 luglio 2000 n.212) – Dispone principi di collaborazione e buona fede, diritto al contraddittorio (in alcuni casi a pena di nullità, secondo giurisprudenza costituzionale), diritto di conoscere le istruttorie. Rilevante ad es. il diritto al contraddittorio anticipato nei controlli fiscali (vedi Corte Cost. 132/2015).
  • Convenzione tra Italia e Francia contro le doppie imposizioni – Firmata il 5/10/1989, ratifica italiana con L.329/1990. Art.4 definisce residente fiscale e criteri tie-breaker ; vari articoli disciplinano le singole categorie di reddito (lavoro, pensioni, immobili, etc.) e art.26 lo scambio di informazioni . Importante per evitare doppie imposizioni e risolvere conflitti di residenza.

Giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione):

  • Cass. civ. Sez. Trib. ord. 20 gennaio 2025 n.1292 – Caso di contribuente trasferito in Paese black list (Pres. di Monaco): la Corte ribadisce che iscrizione AIRE, possesso casa e auto all’estero sono elementi meramente formali e insufficienti a provare la residenza estera effettiva. Serve dimostrare che il centro degli interessi si è realmente spostato .
  • Cass. civ. Sez. Trib. ord. 2 maggio 2024 n.11733 – Sul trasferimento in paradiso fiscale: conferma che l’art.2 co.2-bis TUIR crea una presunzione relativa di residenza in Italia e che l’onere della prova contraria grava sul contribuente, il quale deve fornire elementi concreti, non bastando semplici formalità .
  • Cass. civ. Sez. Trib. sent. 19 luglio 2024 n.19982 – Anche qui, su trasferimento in Paese black list, la Corte ribadisce l’operatività della presunzione legale relativa di residenza italiana ex art.2 co.2-bis TUIR. Orientamento consolidato: difficoltà per contribuente di vincerla senza prova robusta .
  • Cass. civ. Sez. Trib. sent. 5 ottobre 2023 n.28072 – Vicenda di residenza estera contestata (non black list): la Cassazione enfatizza la valutazione del centro degli interessi (familiari, economici) per stabilire la residenza effettiva. Rilevante perché ante riforma 2024 anticipa l’approccio personalistico poi normativizzato .
  • Cass. civ. Sez. Trib. sent. 18 luglio 2024 (inedita) – Citata in dottrina, afferma l’applicazione dei nuovi criteri di residenza dal 2024 in avanti, senza effetto retroattivo su accertamenti precedenti (principio di legalità).
  • Cass. civ. Sez. Trib. ord. 9 marzo 2021 n.6476 – Caso di esterovestizione societaria: società formalmente estera ma decisioni prese in Italia -> la società è considerata residente in Italia. Conferma che conta la sede di amministrazione effettiva .
  • Cass. civ. Sez. Trib. sent. 7 febbraio 2013 n.2869 – Caso opposto: una società lussemburghese partecipata da italiani non è stata ritenuta esterovestita perché è riuscita a provare di avere sia sede legale sia amministrativa effettiva all’estero (struttura con sostanza economica) .
  • Cass. civ. Sez. Trib. sent. 21 dicembre 2018 nn.33234-33235 – Due sentenze gemelle che definiscono i limiti dell’accertamento di esterovestizione: solo se la struttura estera è meramente artificiosa e mira a ottenere un indebito vantaggio fiscale si può contestare. Se vi è una sostanza economica e ragioni extrafiscali, non c’è abuso . Allineamento con principi anti-abuso comunitari.
  • Cass. pen. sez.III sent. 27 gennaio 2021 n.31617 – In materia penale, conferma condanna per omessa dichiarazione a un soggetto che aveva simulato residenza estera. La Corte sottolinea che la presenza di evidenze (famiglia, business in Italia) provava il dolo di residenza fittizia e dunque il reato, non bastando l’iscrizione AIRE a scagionarlo .
  • Cass. civ. Sez.Un. sent. 25 luglio 2022 n.22725 – (Non citata sopra ma importante) ha sancito che in tema di notifica degli atti tributari all’estero via posta non occorre l’intermediazione consolare, convalidando la prassi postale diretta (principio poi ripreso da Cass. 22838/2025).
  • Cass. civ. Sez. Trib. sent. 11 marzo 2015 n.8605-8606 – Rilevanti per l’uso di liste dati esteri: hanno ritenuto legittimo l’utilizzo, da parte del fisco italiano, di informazioni (es. Lista Falciani su conti svizzeri) ottenute da autorità estere, anche se l’origine era illecita, purché vi sia cooperazione ufficiale tra Stati . Indica la determinazione nell’usare ogni dato per monitorare attività estere.

Prassi amministrativa e documenti di riferimento:

  • Circolare Agenzia Entrate n. 304/E del 2 dicembre 1997 – (un po’ datata, ma indicativa) ha fornito i primi chiarimenti sul monitoraggio fiscale e le sanzioni del D.L.167/90.
  • Circolare Agenzia Entrate n. 140/E del 4 agosto 2009 – Chiarimenti sull’applicazione del redditometro e obbligo di contraddittorio.
  • Circolare Agenzia Entrate n. 20/E del 4 novembre 2024 – (Annunciata dalla riforma) Interpretativa dei nuovi criteri di residenza del D.Lgs.209/2023, focalizzata su domicilio “personale” e presenza fisica. Guida per gli uffici su come applicare le novità.
  • Provvedimento Direttore AE 3 marzo 2017 n. 43999 – Istituzione liste selettive contribuenti trasferiti all’estero a rischio evasione . Contiene gli indicatori utilizzati per le liste AIRE.
  • Relazione illustrativa al D.Lgs. 149/2012 – Spiega meccanismi di cooperazione sulla riscossione tra Stati membri (utile per capire portata Dir.2010/24).
  • Documentazione MEF – Dip. Finanze sulle Convenzioni – Sito web del Dipartimento Finanze (MEF) che pubblica testi ufficiali delle Convenzioni (Convenzione Italia-Francia 1989, art.4 definizione residente, art.25 reciproca intesa, art.26 scambio info) .
  • Agenzia Entrate – Risposta a interpello n.52 del 18/01/2023 – Caso di cittadino italiano AIRE in Francia sulla tassazione della pensione italiana: ha confermato l’applicazione della Convenzione Italia-Francia che prevede tassazione solo in Italia per pensioni pubbliche e solo in Francia per pensioni private, chiarendo necessità del certificato di residenza estera per evitare ritenute italiane.
  • Guida Fiscale per i residenti all’estero (Agenzia Entrate, ed.2021) – Pubblicazione divulgativa disponibile presso Consolati (es. Consolato Sydney) che riepiloga gli obblighi fiscali per iscritti AIRE, tassazione redditi, ecc. Utile per un inquadramento generale .

Hai ricevuto un’intimazione o un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate italiana, anche se vivi stabilmente in Francia e paghi le tasse all’Amministrazione fiscale francese (DGFiP)? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai ricevuto un’intimazione o un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate italiana, anche se vivi stabilmente in Francia e paghi le tasse all’Amministrazione fiscale francese (DGFiP)?
Ti stai chiedendo come sia possibile che il Fisco italiano ti chieda di pagare imposte o sanzioni, nonostante la tua residenza e attività lavorativa siano in Francia?
👉 Tranquillo: se sei effettivamente residente fiscale in Francia, la legge ti tutela. Puoi impugnare l’accertamento, bloccare il pagamento e dimostrare che i redditi esteri non devono essere tassati in Italia.

In questa guida scoprirai perché l’Agenzia delle Entrate può inviarti un accertamento, quali errori commette più spesso, e come difenderti grazie alla Convenzione Italia–Francia contro la doppia imposizione.


⚖️ Perché l’Agenzia delle Entrate ti ha inviato un accertamento

L’Agenzia delle Entrate può agire anche verso cittadini italiani residenti in Francia se ritiene che:

  • tu sia ancora residente fiscale in Italia;
  • tu abbia redditi, beni o conti in Italia (immobili, pensioni, dividendi, conti correnti, partecipazioni);
  • il tuo trasferimento in Francia sia solo “formale” o fittizio;
  • tu non ti sia iscritto correttamente all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero).

📌 Tuttavia, se vivi realmente in Francia, lavori e paghi regolarmente le tasse lì, l’Agenzia delle Entrate non può tassare i tuoi redditi francesi, e ogni accertamento può essere contestato e annullato.


🌍 Quando si è fiscalmente residenti in Italia

Ai sensi dell’art. 2 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), sei residente fiscale in Italia se, per almeno 183 giorni l’anno:

  • sei iscritto all’anagrafe della popolazione residente in Italia;
  • hai in Italia il domicilio o il centro degli interessi personali o economici;
  • oppure non sei iscritto all’AIRE.

👉 Se invece sei iscritto all’AIRE e puoi provare di vivere stabilmente in Francia, non sei più soggetto a tassazione in Italia sui redditi di fonte estera.


🇮🇹🤝🇫🇷 La Convenzione Italia–Francia contro la doppia imposizione

Italia e Francia hanno firmato una Convenzione bilaterale contro la doppia imposizione fiscale (ratificata con Legge n. 7 del 1989).
Questo trattato regola quale Paese può tassare determinati redditi e impedisce che lo stesso reddito venga tassato due volte.

📌 In sintesi:

  • Se sei residente fiscale in Francia, paghi le tasse in Francia sui redditi prodotti lì.
  • L’Italia può tassare solo i redditi di fonte italiana (es. immobili, pensioni, dividendi, conti bancari).
  • Se un reddito è tassato in entrambi gli Stati, si applica un credito d’imposta compensativo, oppure l’esclusione dalla base imponibile in uno dei due Paesi.

👉 La Convenzione Italia–Francia è la tua arma legale principale per evitare la doppia tassazione e far annullare l’accertamento.


🧠 Quando l’Agenzia delle Entrate sbaglia

Gli errori più comuni negli accertamenti verso italiani residenti in Francia sono:

  • mancata iscrizione o aggiornamento AIRE, che porta a presunzioni di residenza in Italia;
  • errori nello scambio di informazioni tra le autorità fiscali (Agenzia Entrate e DGFiP);
  • interpretazioni errate di conti o immobili italiani come “centro di interessi economici”;
  • presunzione di trasferimento fittizio senza prove concrete.

📌 L’Agenzia non può basarsi solo su indizi: deve dimostrare oggettivamente che il tuo “centro vitale” si trovi in Italia.
In mancanza di tale prova, l’accertamento è illegittimo.


🧩 Le strategie legali per difendersi

💠 1. Controlla la regolarità della notifica in Francia

L’accertamento deve essere notificato correttamente all’estero, tramite:

  • raccomandata internazionale con ricevuta di ritorno, oppure
  • canali consolari o diplomatici.
    👉 Se la notifica è avvenuta in modo irregolare, l’atto è nullo e può essere annullato.

💠 2. Dimostra la tua residenza fiscale effettiva in Francia

Per difenderti, raccogli tutte le prove della tua residenza stabile in Francia, come:

  • iscrizione all’AIRE;
  • attestato di residenza fiscale francese (Certificat de résidence fiscale) rilasciato dalla DGFiP;
  • dichiarazioni dei redditi francesi (Déclaration d’impôt sur le revenu);
  • contratto di affitto o mutuo francese, bollette, utenze;
  • contratto di lavoro o documentazione previdenziale francese;
  • conto corrente e assicurazione sanitaria in Francia.

📌 Queste prove dimostrano che la tua vita personale ed economica si svolge in Francia, e non in Italia.


💠 3. Verifica la prescrizione e la legittimità dell’accertamento

L’Agenzia delle Entrate può emettere accertamenti entro:

  • 5 anni (se la dichiarazione è stata presentata);
  • 7 anni (se omessa).
    👉 Se l’avviso è arrivato oltre questi termini, è prescritto e può essere annullato.

💠 4. Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria)

Hai 60 giorni dalla notifica per impugnare l’accertamento in Italia.
Un avvocato esperto in diritto tributario internazionale può chiedere:

  • la sospensione immediata dell’esecuzione e dei pagamenti;
  • l’annullamento totale o parziale dell’atto;
  • il riconoscimento della tua residenza fiscale in Francia in base alla Convenzione bilaterale.

📌 Il ricorso blocca le azioni di riscossione e ti consente di difenderti anche a distanza.


💠 5. Richiedi l’annullamento in autotutela o una definizione agevolata

Se l’accertamento è palesemente errato (es. doppia tassazione o dati inesatti), puoi chiedere all’Agenzia delle Entrate:

  • l’annullamento in autotutela, allegando le prove della tassazione francese;
  • oppure una definizione agevolata per ridurre sanzioni e interessi, chiudendo la questione rapidamente.

📋 Documenti fondamentali per la difesa

  • Copia dell’avviso di accertamento ricevuto.
  • Ricevuta di notifica (raccomandata, PEC o comunicazione consolare).
  • Certificato AIRE.
  • Attestato di residenza fiscale francese (DGFiP).
  • Dichiarazioni dei redditi francesi.
  • Estratti conto bancari italiani e francesi.
  • Contratti di lavoro, locazione o mutuo.

⏱️ Tempi e risultati possibili

  • Analisi e raccolta documenti: 1–2 settimane.
  • Deposito del ricorso: entro 60 giorni dalla notifica.
  • Sospensione cautelare: 1–3 mesi.
  • Decisione definitiva: 6–12 mesi medi.

🎯 Risultati concreti:

  • Blocco immediato delle somme richieste.
  • Annullamento totale o parziale dell’accertamento.
  • Riconoscimento della residenza fiscale in Francia.
  • Eliminazione della doppia tassazione Italia–Francia.

⚖️ I vantaggi di una difesa professionale

✅ Blocchi pignoramenti, cartelle e riscossioni.
✅ Dimostri la tua residenza fiscale effettiva in Francia.
✅ Eviti la doppia imposizione sui redditi esteri.
✅ Ottieni la riduzione o cancellazione del debito fiscale.
✅ Regolarizzi la tua posizione fiscale tra Italia e Francia.


🚫 Errori da evitare

  • Ignorare la notifica dell’accertamento.
  • Pagare subito senza verificare la legittimità dell’atto.
  • Non fornire documenti a supporto della residenza in Francia.
  • Affidarti a “consulenti” non avvocati o non esperti in diritto tributario internazionale.
  • Superare i 60 giorni per proporre ricorso.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza l’accertamento ricevuto e la tua posizione fiscale.
📌 Verifica la legittimità della notifica e la corretta applicazione della Convenzione Italia–Francia.
✍️ Redige e deposita il ricorso tributario o l’istanza di autotutela.
⚖️ Ti rappresenta nei rapporti con l’Agenzia delle Entrate e davanti alla Corte Tributaria.
🔁 Ti assiste fino alla cancellazione o definizione agevolata del debito fiscale.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in diritto tributario internazionale e sovraindebitamento.
✔️ Specializzato nella difesa di italiani residenti all’estero con accertamenti fiscali italiani.
✔️ Gestore della crisi da sovraindebitamento iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Ricevere un accertamento dell’Agenzia delle Entrate mentre vivi in Francia non significa dover pagare automaticamente.
Con una difesa legale competente, puoi dimostrare la tua residenza fiscale effettiva all’estero, impedire la doppia tassazione e ottenere l’annullamento dell’accertamento.
La Convenzione Italia–Francia è dalla tua parte: l’importante è agire subito e con i documenti giusti.

📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata:
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Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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