Servizi Di Noleggio Barche Turistiche Con Debiti: Cosa Fare E Come Difendersi

Gestisci un’attività di noleggio barche turistiche, charter nautico o escursioni in mare e ti trovi in difficoltà economica per debiti con il Fisco, l’INPS, i fornitori o le banche? È una situazione che negli ultimi anni ha coinvolto molti operatori del turismo nautico, colpiti dalle oscillazioni della stagione turistica, dall’aumento dei costi di gestione e dai ritardi nei pagamenti. Quando le spese superano gli incassi e si accumulano cartelle esattoriali, pignoramenti o finanziamenti non pagati, il rischio di perdere l’attività diventa concreto. La buona notizia è che esistono strumenti legali per difendersi, rateizzare o cancellare i debiti, tutelando la tua impresa e il tuo patrimonio personale.

Perché molte imprese di noleggio barche turistiche si indebitano

Le cause dell’indebitamento nel settore nautico sono diverse. Il noleggio di barche turistiche comporta costi elevati per manutenzione, carburante, ormeggi, assicurazioni e personale di bordo, spesso a fronte di periodi di inattività fuori stagione. Le entrate dipendono fortemente dal turismo e dalle condizioni climatiche, mentre le scadenze fiscali, i canoni portuali e i contributi restano fissi. A ciò si aggiungono le difficoltà di incasso da parte di agenzie, tour operator o clienti esteri e gli investimenti per rinnovare la flotta o rispettare le normative di sicurezza. Molti imprenditori, per mantenere l’attività operativa, rinviano il pagamento di tasse o rate di finanziamenti, accumulando debiti sempre più onerosi.

Cosa succede se non paghi tasse o contributi

Quando non vengono versati imposte o contributi, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione e gli enti previdenziali possono avviare azioni di recupero immediate. Tra queste figurano la notifica di cartelle esattoriali, i pignoramenti dei conti correnti o dei compensi, i fermi amministrativi sui mezzi, le ipoteche su immobili o imbarcazioni e i sequestri dei crediti verso clienti o agenzie. Gli importi crescono per effetto di sanzioni e interessi, e la posizione può rapidamente diventare insostenibile. Se operi come ditta individuale o società di persone, rispondi personalmente con i tuoi beni dei debiti contratti per l’attività.

Cosa fare subito se la tua impresa di noleggio barche ha debiti

Il primo passo è avere una visione chiara della tua posizione debitoria. Richiedi all’Agenzia delle Entrate-Riscossione l’estratto di ruolo aggiornato per conoscere con precisione l’importo dovuto, le annualità e i creditori coinvolti. Successivamente, verifica la correttezza delle cartelle: molte contengono errori di notifica, importi prescritti o calcoli errati che un avvocato può impugnare. Se il debito è legittimo, puoi chiedere la rateizzazione fino a 120 rate mensili, sospendendo nel frattempo eventuali azioni esecutive. È importante anche verificare se è attiva una definizione agevolata (rottamazione), che consente di pagare solo il capitale, eliminando sanzioni e interessi. Se hai già ricevuto pignoramenti o ipoteche, puoi ottenere la sospensione immediata con un ricorso o un’istanza di autotutela.

Le soluzioni legali per chi non riesce più a pagare

Se il debito è diventato troppo elevato o la liquidità non è più sufficiente, puoi accedere alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, prevista dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019). È uno strumento legale rivolto a ditte individuali, artigiani, lavoratori autonomi e piccole imprese che consente di bloccare pignoramenti, sospendere le azioni dei creditori e ottenere la cancellazione parziale o totale dei debiti residui (esdebitazione). È una procedura riconosciuta dai tribunali italiani e rappresenta una vera opportunità per chi vuole risanare la propria situazione finanziaria o chiudere l’attività in modo ordinato, senza trascinarsi dietro i debiti.

Come difendersi da banche, fornitori e finanziarie

Molte imprese del settore nautico hanno debiti con banche o società di leasing per l’acquisto o la manutenzione delle imbarcazioni. In questi casi puoi chiedere la rinegoziazione dei contratti, la sospensione temporanea delle rate o proporre un saldo e stralcio per chiudere il debito a importo ridotto. È inoltre possibile contestare clausole abusive o tassi usurari nei contratti di finanziamento e impugnare decreti ingiuntivi o pignoramenti entro i termini di legge. Un avvocato esperto può assisterti nelle trattative con i creditori, proteggendo la flotta e i beni aziendali essenziali all’attività.

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace

Con una strategia legale ben pianificata puoi ottenere la sospensione dei pignoramenti e delle procedure di riscossione, la rateizzazione o cancellazione dei debiti fiscali e contributivi, la protezione dei beni aziendali e personali, la possibilità di continuare a lavorare e gestire la tua impresa senza la pressione costante dei creditori. In molti casi è possibile evitare la chiusura dell’attività e ristrutturare il debito in modo sostenibile.

Quando rivolgersi a un avvocato esperto

È fondamentale contattare un avvocato se hai ricevuto cartelle, intimazioni o pignoramenti, se hai debiti con il Fisco, l’INPS o le banche che non riesci più a gestire, o se temi di perdere le tue imbarcazioni o i beni aziendali. Un avvocato esperto in diritto tributario e crisi d’impresa può bloccare la riscossione, contestare le cartelle illegittime e guidarti nella procedura di esdebitazione fino alla cancellazione definitiva dei debiti. Agire in tempo è essenziale per salvare la tua attività e il tuo futuro economico.

⚠️ Attenzione: ignorare le cartelle o gli avvisi di pagamento può portare rapidamente a pignoramenti, ipoteche e blocchi dell’attività. Intervenire subito è l’unico modo per difendere la tua impresa e proteggere i tuoi beni personali.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, riscossione e tutela delle imprese nautiche e turistiche – spiega cosa fare se gestisci un’attività di noleggio barche turistiche con debiti, come bloccare la riscossione e come cancellare legalmente le somme dovute grazie agli strumenti previsti dalla legge.

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Introduzione

⚠️ Attenzione: le imprese che offrono servizi di noleggio barche turistiche – spesso caratterizzate da forte stagionalità, elevati costi di gestione (acquisto o leasing di imbarcazioni, carburante, manutenzione, ormeggio) e pressione fiscale – sono particolarmente esposte a crisi di liquidità e indebitamento. Intervenire tempestivamente sui debiti è essenziale per evitare conseguenze gravissime: dal blocco delle attività (sequestro delle imbarcazioni, pignoramento dei conti, revoca di affidamenti bancari) fino alla perdita di licenze/autorizzazioni e a responsabilità personali, anche penali, per gli imprenditori coinvolti.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, crisi d’impresa e diritto della navigazione da diporto – fornisce un quadro completo, aggiornato a settembre 2025, su cosa fare se gestisci un’attività di noleggio barche turistiche con debiti e come difenderti da azioni esattoriali, bancarie o giudiziali. Adottiamo la prospettiva del debitore: l’obiettivo è illustrare in modo accurato ma divulgativo (utile sia a professionisti del diritto sia a imprenditori e privati) gli strumenti normativi di prevenzione e risanamento del debito, le possibili strategie difensive e le responsabilità (civili e penali) connesse. Troverai riferimenti normativi italiani, pronunce giurisprudenziali recenti, tabelle riepilogative, simulazioni pratiche e una sezione di domande e risposte. Le fonti normative e giurisprudenziali citate riguardano la legislazione nazionale (codice della nautica da diporto, codice della crisi d’impresa, norme tributarie e previdenziali, etc.) e le pronunce più autorevoli (Corte di Cassazione, Corte Costituzionale, tribunali italiani), con aggiornamenti fino al 30 settembre 2025.

1. Rilevanza del problema: contesto normativo e implicazioni economiche

1.1 Caratteristiche del settore e vulnerabilità finanziarie

Il settore del noleggio di imbarcazioni da diporto a fini turistici occupa una nicchia importante nell’economia costiera e lacuale italiana. Chi opera in questo ambito deve rispettare una disciplina rigorosa: oltre alle normali autorizzazioni d’impresa (iscrizione alla Camera di Commercio, licenze fiscali), servono requisiti specifici previsti dal Codice della nautica da diporto (D.Lgs. 171/2005 e successive modifiche) e dalle normative marittime. Ad esempio, le unità destinate al noleggio devono essere abilitate all’uso commerciale e possedere certificati di sicurezza e idoneità rilasciati da enti tecnici; per la conduzione delle barche con passeggeri può essere richiesto un comandante munito di titolo professionale (es. il nuovo “conduttore per imbarcazioni da diporto” introdotto dalla riforma del 2022). Tali obblighi comportano costi fissi significativi (assicurazioni, certificazioni, personale specializzato). Inoltre, la forte stagionalità (domanda concentrata nei mesi estivi) e la dipendenza dai flussi turistici rendono i ricavi volatili: eventi come pandemie, condizioni meteo avverse o crisi internazionali possono ridurre drasticamente le prenotazioni, mentre i costi (leasing delle barche, manutenzioni annuali, posti barca in porto, tasse) restano costanti . Questa combinazione di fattori espone le imprese di noleggio nautico a rischi di liquidità e, in mancanza di adeguati accantonamenti, all’accumulo di debiti verso Erario, enti previdenziali, banche o fornitori.

Negli ultimi anni il contesto operativo è divenuto più complesso: dopo la crisi pandemica del 2020-2021 (che ha visto un crollo iniziale del turismo, seguito però da una ripresa con molti italiani orientati verso vacanze domestiche in barca), sono sopraggiunti incrementi generalizzati dei costi. In particolare, il caro carburanti ha fatto lievitare la spesa per il rifornimento delle barche (il diesel nautico ha avuto picchi di prezzo nel 2022-2023), l’inflazione ha aumentato i costi di manutenzione, rimessaggio e assicurazione, e l’aumento dei tassi di interesse BCE tra il 2022 e il 2023 ha reso più onerosi i finanziamenti e leasing in corso. Molte imprese hanno contratto prestiti garantiti dallo Stato durante l’emergenza Covid (es. finanziamenti COVID garantiti dal Fondo Centrale) per sopravvivere, trovandosi ora ad affrontare il rimborso di tali debiti. Nel frattempo, la pressione fiscale e contributiva non è diminuita, e gli enti di controllo hanno ripreso a pieno regime le attività ispettive e di riscossione.

Dal punto di vista normativo, anche il quadro delle procedure concorsuali è cambiato: dal 15 luglio 2022 è in vigore il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), che ha introdotto strumenti innovativi per gestire la crisi (come la composizione negoziata) e ha sostituito il vecchio fallimento con la liquidazione giudiziale. Queste novità offrono opportunità ma richiedono competenze specialistiche per essere sfruttate. In sintesi, oggi un operatore del noleggio nautico deve muoversi in un ambiente ad alto rischio di indebitamento, dove crisi di liquidità anche temporanee possono degenerare rapidamente se non affrontate con gli strumenti giusti.

1.2 Debiti e rischi per l’operatività: licenze, concessioni e accesso al mercato

Accumuli significativi di debiti possono minare non solo la solidità finanziaria ma anche la continuità operativa dell’impresa di noleggio. In primo luogo, i debiti con il Fisco o con gli enti previdenziali possono tradursi nella perdita di requisiti di onorabilità o regolarità necessari per svolgere l’attività. Ad esempio, se l’imprenditore individuale o la società risultano inadempienti con il versamento di imposte e contributi, potrebbero non ottenere il Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC), con ripercussioni negative su qualsiasi rapporto contrattuale che richieda tale documento. In secondo luogo, qualora il noleggiatore operi su area demaniale (si pensi a chi gestisce una piccola base nautica su suolo pubblico o un pontile in concessione nel porto turistico), i debiti verso lo Stato potrebbero mettere a repentaglio tale concessione demaniale. Le nuove norme in materia di concessioni (legate anche al recepimento della direttiva Bolkestein) richiedono che l’operatore economico sia in regola con gli obblighi fiscali e contributivi: sia il previgente art. 80 del D.Lgs. 50/2016 (vecchio Codice appalti) sia il nuovo art. 94 del D.Lgs. 36/2023 (Codice dei contratti pubblici) prevedono l’esclusione automatica da gare o rinnovi concessori per chi abbia gravi violazioni tributarie o contributive definitivamente accertate . La Corte Costituzionale, con sentenza n. 138/2025, ha confermato la legittimità di tale esclusione automatica quando il debito fiscale supera la soglia di €5.000 , sottolineando che l’obiettivo è garantire la scelta di operatori affidabili e la tutela della concorrenza. Dunque, un noleggiatore che aspiri a mantenere (o ottenere) concessioni demaniali per i propri pontili o punti di ormeggio rischia l’estromissione se non regolarizza i debiti tributari in tempo: è possibile evitare l’esclusione solo sanando il debito o quanto meno aderendo a un piano di rateizzazione prima della scadenza per la presentazione della domanda .

Anche al di fuori dell’ambito concessorio pubblico, avere posizioni debitorie critiche può compromettere i rapporti commerciali dell’azienda: fornitori e partner potrebbero considerare l’impresa non affidabile (ad esempio, una società segnalata come in sofferenza nella Centrale Rischi bancaria per debiti non pagati avrà difficoltà a ottenere credito o anche semplicemente a stipulare contratti di fornitura in continuità). In sostanza, nel settore del noleggio nautico – dove la fiducia e la reputazione contano molto, dato che i clienti affidano beni di valore e la propria sicurezza all’operatore – l’etichetta di “moroso” verso Erario o terzi può avere un impatto reputazionale e operativo pesante. Va ricordato poi che, in caso di crisi severa o insolvenza, l’autorità marittima potrebbe non consentire il prosieguo delle attività per motivi di sicurezza: ad esempio, se un’impresa indebitata non è in grado di effettuare la manutenzione obbligatoria delle imbarcazioni o di coprire i costi assicurativi, la Capitaneria di Porto può sospendere le licenze di noleggio o vietare l’uscita in mare delle barche fino a ripristino delle condizioni di navigabilità. Accumulare debiti, dunque, non è solo un fatto contabile, ma un fattore che può estromettere gradualmente l’operatore dal mercato, se non affrontato.

1.3 Impatto economico dei debiti nelle attività di noleggio nautico

Dal punto di vista economico, l’indebitamento eccessivo incide su diversi aspetti della gestione di un servizio di noleggio barche:

  • Costi fissi elevati e leva finanziaria: avviare e mantenere una flotta per il noleggio richiede capitali ingenti. Molti operatori ricorrono a leasing finanziari o mutui per acquistare le imbarcazioni (che possono costare decine o centinaia di migliaia di euro ciascuna). Questo significa avere rate mensili o trimestrali da pagare alle società finanziarie o alle banche. Se la stagione turistica va male, quelle rate possono accumularsi come debito. Inoltre, la presenza di garanzie reali (le barche stesse date in garanzia, o ipoteche su immobili dei soci, o fideiussioni personali dei titolari) fa sì che il mancato pagamento esponga immediatamente a rischi di escussione (la banca può revocare gli affidamenti e chiedere il rientro immediato, o la società di leasing può risolvere il contratto e riprendersi l’imbarcazione, privando l’azienda dello strumento principale di lavoro ).
  • Pressione fiscale e contributiva: un’impresa di noleggio deve far fronte a IVA, imposte sui redditi (IRES per le società o IRPEF per l’imprenditore individuale), IRAP, nonché contributi previdenziali (INPS) per titolari e dipendenti, e premi assicurativi (INAIL). In caso di difficoltà finanziarie, spesso si tende a rimandare questi pagamenti per privilegiare le spese operative urgenti (carburante, stipendi, quote leasing). Tuttavia, gli importi non versati al Fisco e all’INPS crescono rapidamente a causa di sanzioni e interessi. Ad esempio, il mancato versamento di IVA oltre certe soglie (oggi €250.000 annui) costituisce reato tributario e comporta sanzioni amministrative pari al 30% dell’imposta non versata, oltre interessi di mora . I contributi non pagati subiscono sanzioni civili elevate: per le mere omissioni l’INPS applica un tasso annuo pari al tasso di riferimento maggiorato di 5,5 punti (nel 2025, 7,65% annuo) , mentre per l’evasione intenzionale si arriva al 30% annuo (max 60% del dovuto) . Queste somme aggiuntive fanno lievitare il debito in modo esponenziale, erodendo ulteriormente la liquidità. Anche se il legislatore ha introdotto periodicamente definizioni agevolate (es. rottamazione delle cartelle esattoriali) per ridurre sanzioni e interessi, al settembre 2025 non sono attivi condoni generalizzati, quindi il peso di queste maggiorazioni resta in capo al debitore .
  • Mancati pagamenti dei clienti e circolante: spesso i noleggiatori operano tramite intermediari (agenzie turistiche, piattaforme online) o con clientela estera; i pagamenti potrebbero arrivare in ritardo o non arrivare affatto in caso di controversie. Ritardi nei pagamenti da parte dei clienti (ad esempio tour operator) aggravano la cassa e possono costringere l’imprenditore a scoperti di conto o a ricorrere al credito a breve termine, con costi ulteriori. Se poi alcuni clienti risultano insolventi, l’azienda potrebbe ritrovarsi con crediti inesigibili e debiti (verso fornitori o banca) comunque da pagare. Nel settore trasporti e turismo ciò è frequente: basti pensare ai casi di tour operator o agenzie che falliscono lasciando insoluti verso i fornitori di servizi (noleggi, hotel, ecc.). La catena di insolvenze può propagarsi.
  • Investimenti necessari e ruolo del PNRR: per restare competitivi, i noleggiatori devono investire in barche moderne, ecologiche e sicure, e dotarsi di sistemi digitali di prenotazione. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) prevede fondi per la transizione ecologica e la digitalizzazione anche nel turismo nautico (ad esempio incentivi per motori elettrici o per infrastrutture portuali smart), ma tali risorse non alleviano direttamente i debiti pregressi delle imprese . Dunque chi già si trova appesantito dai debiti non può contare su aiuti straordinari per sanare la situazione debitoria, ma deve far ricorso ai normali strumenti di ristrutturazione del debito o concorsuali.

In conclusione, l’indebitamento eccessivo per un’impresa di noleggio barche può innescare un circolo vizioso: i debiti riducono la liquidità disponibile per gestire e far crescere l’attività; la carenza di liquidità porta a ulteriori inadempienze e ritardi nei pagamenti, con aggravio di sanzioni e interessi; i creditori perdono fiducia e irrigidiscono i rapporti (stop forniture a credito, revoca fidi), fino ad eventualmente attivare azioni legali. Per questo è fondamentale conoscere le tipologie di debiti più comuni e soprattutto le soluzioni offerte dall’ordinamento per prevenire e affrontare lo stato di crisi, tema che affronteremo nei paragrafi successivi.

2. Tipologie di debiti comuni per le imprese di noleggio barche turistiche

La gestione di un servizio di noleggio di imbarcazioni comporta relazioni con una pluralità di creditori. È utile classificare i debiti in base alla natura del creditore e all’origine dell’obbligazione, poiché ciascuna tipologia presenta rischi e rimedi specifici. Di seguito esaminiamo i principali debiti che tipicamente gravano su queste imprese:

2.1 Debiti verso lo Stato e gli enti locali (canoni demaniali, tasse locali)

  1. Canoni demaniali marittimi / portuali: se l’impresa dispone di una concessione per un’area demaniale (ad esempio uno specchio d’acqua con pontile galleggiante, o uno spazio a terra sul molo turistico per il proprio chiosco/ufficio), dovrà pagare un canone annuo allo Stato o all’ente gestore (Comune o Autorità Portuale competente). L’importo di tali canoni è stabilito per legge e aggiornato periodicamente. Ad esempio, le concessioni demaniali marittime turistico-ricreative vedono i canoni determinati dal Ministero Infrastrutture e Trasporti: per il 2025, in mancanza di un decreto aggiornato, è scattato un aumento forfettario del 10% rispetto all’anno precedente . Il mancato pagamento dei canoni demaniali comporta, di norma, l’iscrizione a ruolo delle somme dovute (quindi la notifica di una cartella esattoriale) e può costituire causa di decadenza o revoca della concessione stessa. Anche i canoni di ormeggio dovuti a marina privati o società di gestione portuale rientrano in questa categoria come debiti verso fornitori privati (si veda oltre), ma se l’ormeggio è in porto pubblico, il canone ha natura di entrata pubblica e segue regole analoghe ai canoni demaniali.
  2. Tributi locali sugli immobili aziendali: se l’impresa possiede o detiene immobili (es. un ufficio, un capannone per il rimessaggio a terra delle barche, posti auto riservati), si generano debiti corrispondenti a: IMU – Imposta Municipale sugli immobili, calcolata sul valore catastale. Anche strutture amovibili o galleggianti ma ancorate in modo stabile possono essere considerate immobili ai fini IMU, come chiarito dalla Cassazione (che ha assoggettato a IMU ad esempio le strutture balneari in legno facilmente removibili ma di fatto stabili) . TARI – Tassa sui rifiuti, dovuta per i locali e le aree in cui si producono rifiuti. Per un cantiere nautico o un pontile, il Comune può esigere la TARI sulle superfici operative (uffici, piazzali, ecc.) e in alcuni casi sull’intera area data in concessione, come avviene per gli stabilimenti balneari (dove i TAR hanno ritenuto tassabile l’intera spiaggia in concessione, non solo le strutture) . Il mancato pagamento di IMU o TARI porta a avvisi di accertamento esecutivi da parte del Comune: si tratta di atti che intimano il pagamento con termine di 60 giorni, trascorsi i quali diventano titolo esecutivo per il pignoramento . Tali atti possono essere impugnati davanti alla Giustizia Tributaria entro 60 giorni se vi sono errori (errata metratura, esenzioni non considerate, ecc.), oppure il debito può essere rateizzato presso l’ente impositore o l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (che cura la riscossione coattiva per molti enti locali) .
  3. Altri tributi regionali/comunali: a seconda della località, possono esservi ulteriori imposizioni. Ad esempio, se il noleggiatore possiede case mobili o strutture ricettive collegate (come un piccolo B&B per i clienti del charter), potrebbe applicarsi l’imposta di soggiorno comunale. Oppure l’addizionale IRPEF comunale/regionale dovuta sui redditi del titolare. Questi tributi, se non versati, seguono le regole generali delle imposte (accertamento e iscrizione a ruolo) e generano debiti tributari analoghi a quelli statali.

In sintesi, i debiti verso Stato/enti locali includono sia entrate patrimoniali (canoni) sia tributi. I rischi principali sono: l’azione esecutiva da parte dell’Agenzia Entrate-Riscossione (pignoramenti, ipoteche) e, dove rilevante, la perdita di titoli abilitativi (decadenza concessioni, mancato rilascio di autorizzazioni). È importante attivarsi per tempo con strumenti quali la rateizzazione o il ricorso tributario per contestare addebiti non dovuti, in modo da evitare l’aggravarsi della posizione debitoria.

2.2 Debiti contributivi (INPS, INAIL)

Le imprese di noleggio barche, se hanno dipendenti (ad esempio skipper, marinai, personale di terra per assistenza clienti e manutenzione), sono tenute a versare mensilmente i contributi previdenziali e assistenziali all’INPS per ciascun lavoratore, nonché i premi assicurativi INAIL per gli infortuni sul lavoro. Inoltre, i titolari e soci lavoratori devono versare i contributi obbligatori della propria gestione (artigiani/commercianti se ditta individuale o SNC, oppure Gestione Separata se amministratori di SRL). Questi versamenti costituiscono debiti periodici particolarmente gravosi nei mesi di bassa stagione, quando magari l’attività non genera incassi ma i contributi per il personale annuale vanno comunque pagati.

Il mancato versamento dei contributi comporta conseguenze severe. Sul piano civile, l’INPS applica sanzioni e interessi per compensare il ritardo: come accennato, dal giugno 2025 la sanzione civile per omesso versamento è pari al 7,65% annuo (Tasso Ufficiale di Riferimento 2,15% + 5,5 punti) , mentre in caso di evasione (omissione fraudolenta, ad esempio registrando lavoratori come part-time fittiziamente) resta al 30% annuo (fino al 60% del dovuto) . Inoltre, l’INPS può procedere con azioni esecutive analoghe al Fisco: ad esempio notificare avvisi di addebito immediatamente esecutivi e, trascorsi 60 giorni, attivare pignoramenti di beni aziendali o crediti verso terzi. Un aspetto caratteristico: l’INPS può pignorare direttamente i crediti che l’impresa vanta verso i propri clienti (es. può notificare un atto ai tour operator o agenzie che devono pagare l’azienda, obbligandoli a versare a INPS le somme dovute anziché all’impresa) . Inoltre, i crediti contributivi godono di privilegio generale mobiliare sui beni dell’azienda, al pari dei crediti erariali, e sono equiparati a questi ultimi nel trattamento concorsuale: ciò significa che in caso di concordato o liquidazione concorsuale, l’INPS è considerato creditore privilegiato e deve essere soddisfatto prioritariamente (salvo accordo di ristrutturazione col taglio di parte di sanzioni/interessi tramite transazione contributiva). È infatti prevista la possibilità di includere i debiti contributivi in un piano di concordato preventivo o accordo di ristrutturazione con un trattamento agevolato simile a quello dei debiti fiscali .

Sul piano penale, occorre distinguere: i contributi dovuti per i dipendenti includono una quota a carico del lavoratore che il datore trattiene dalla busta paga per riversarla all’INPS. Se queste ritenute previdenziali non vengono versate entro il termine di legge, per un importo superiore a €10.000 annui, scatta il reato di omesso versamento di ritenute previsto dall’art. 2, comma 1-bis, D.L. 463/1983, punito con la reclusione fino a 3 anni e multa . È una fattispecie di reato speciale, analoga all’omesso versamento di ritenute fiscali, che mira a punire il datore di lavoro che utilizza indebitamente le trattenute su stipendi (di natura contributiva in questo caso). Va evidenziato però che la norma prevede una causa di non punibilità: se il datore versa tutte le ritenute dovute entro 3 mesi dalla contestazione o notifica dell’accertamento di violazione, il reato è estinto . Questa previsione incentiva il pagamento immediato appena l’INPS contesta formalmente l’omissione. Non pagare i contributi oltre la quota trattenuta ai lavoratori (cioè la parte a carico azienda) non è di per sé reato, ma può configurare il più generico illecito di evasione contributiva, rilevante solo in sede civile (sanzioni aggiuntive) e, in situazioni estreme, elemento che aggrava responsabilità degli amministratori per mala gestio.

Fortunatamente, esistono possibilità di rateizzare il debito contributivo. L’INPS, per via amministrativa, concede rateizzazioni ordinarie fino a 6 anni (72 rate mensili) per debiti contributivi se l’azienda è in temporanea difficoltà ma prospetta di poter recuperare . Il tasso di interesse sulle rateazioni ex art. 2, co.11, D.L. 338/1989 è variabile: da aprile 2025 era pari all’8,5% , poi ridotto all’8,15% a giugno 2025 in seguito al calo dei tassi BCE . Nelle procedure di composizione della crisi (concordati, accordi), come vedremo, le sanzioni civili sui contributi vengono ridotte di molto: il CCII prevede che, in caso di procedure concorsuali, le sanzioni per omissione siano ridotte al tasso legale o di poco superiore (es. TUR + 2% in caso di evasione) , il che significa che attivando una procedura di concordato o ristrutturazione si congelano gli interessi di mora e si pagano quasi solo i contributi in sé (in più, col concordato in continuità aziendale è ora ammessa la dilazione fino a 6–10 anni dei contributi, previa adesione dell’ente, in deroga ai limiti ordinari).

In sintesi, i debiti INPS/INAIL sono tra i più insidiosi: oltre a crescere con sanzioni elevate, possono bloccare la DURC e attivare azioni esecutive rapide. La priorità del debitore deve essere quella di evitare di oltrepassare le soglie di rilevanza penale e di ricorrere appena possibile a strumenti di regolarizzazione (dilazioni, accordi su sanzioni) per riportarsi in regola, anche perché la legge oggi offre mezzi per ridurre sensibilmente l’onere accessorio (sanzioni/interessi) se si procede attraverso una composizione negoziata o concorsuale .

2.3 Debiti fiscali (Erario: IVA, imposte sui redditi, IRAP)

Le imprese di noleggio barche, in quanto attività economiche, generano diverse obbligazioni tributarie verso l’Erario. In particolare: IVA (22% sui corrispettivi di noleggio, salvo alcuni charter in alto mare che godono di esenzioni parziali), IRES o IRPEF sugli utili d’impresa, IRAP sul valore aggiunto prodotto e ritenute fiscali su compensi o stipendi corrisposti (ad esempio ritenute alla fonte su compensi di collaboratori, provvigioni ad agenti, o su salari dei dipendenti – quest’ultime sono trattenute similmente alle ritenute previdenziali). Si possono sommare poi eventuali imposte sostitutive o redditi diversi (ad esempio, se l’imprenditore individuale noleggia la propria barca occasionalmente potrebbe ricadere in redditi diversi con tassazione separata, ma è un caso a parte).

Il mancato versamento di imposte e ritenute fiscali comporta, anche qui, l’iscrizione a ruolo delle somme dovute. Tipicamente, quando un’impresa non versa IVA o ritenute risultanti dalle dichiarazioni periodiche, l’Agenzia delle Entrate iscrive il debito in un ruolo e affida la riscossione all’Agenzia Entrate-Riscossione, che notifica la cartella di pagamento. La cartella contiene l’importo dell’imposta non versata, oltre a interessi e sanzioni (la sanzione per omesso versamento d’imposta è generalmente del 30% dell’importo, riducibile se si paga con poco ritardo, ma poi in cartella è di norma applicata per intero, salvo definizioni agevolate). Per i debiti fiscali previdenti (es. da controlli automatizzati o dichiarazioni non definite) l’Agenzia può anche emettere avvisi di addebito/esecutivi immediatamente esecutivi. In ogni caso, se entro 60 giorni dalla notifica l’impresa non paga o contesta formalmente, il debito diventa definitivo ed esposto a esecuzione forzata.

Sul piano penale tributario, è fondamentale tenere d’occhio le soglie di rilevanza: l’art. 10-bis D.Lgs. 74/2000 punisce l’omesso versamento di ritenute dovute o certificate (tipicamente ritenute IRPEF su stipendi) se l’importo supera €150.000 per ciascun periodo d’imposta; l’art. 10-ter D.Lgs. 74/2000 punisce l’omesso versamento IVA se l’imposta non versata supera €250.000 per anno . La pena edittale per entrambi può arrivare fino a 2 anni di reclusione. Nel contesto delle PMI, superare tali soglie non è impossibile se si ignorano più annualità: ad esempio, un noleggiatore che per due anni non versi IVA su fatturato di €1 milione potrebbe facilmente accumulare oltre €250k di IVA dovuta e incorrere nel reato. Viceversa, se le cifre sono inferiori, l’omissione rimane un illecito amministrativo (sanzione 30% e interessi, ma nessun procedimento penale). Attenzione: per le ritenute, la soglia penale si riferisce alle ritenute certificate (dunque emergenti dalle CU rilasciate), mentre per i contributi previdenziali la soglia di €10.000 è separata come visto sopra. Oltre ai reati di omesso versamento, può venire in rilievo il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000): questo non dipende da soglie, ma da comportamenti fraudolenti del debitore (ad esempio compiere atti per simulare la vendita di beni o creare schermature patrimoniali al fine di evitare il pagamento delle imposte dovute). Tale reato, che si configura se si hanno debiti tributari iscritti a ruolo >= €50.000 e si attuano frodi per non pagarli, è punito più severamente (fino a 4 anni di reclusione) .

I debiti fiscali possono essere negoziati o ridotti tramite vari strumenti, soprattutto quando l’azienda attraversa una crisi formale. L’ordinamento consente la cosiddetta transazione fiscale, ora disciplinata dagli artt. 63–66 CCII: in procedure come il concordato preventivo o gli accordi di ristrutturazione del debito omologati, è possibile proporre il pagamento parziale (falcidia) e/o dilazionato delle imposte e relativi accessori . Questa è una differenza chiave rispetto al passato: prima la regola era che IVA e ritenute non potessero mai essere falcidiate (andavano pagate integralmente anche nel concordato), mentre ora la legge fallimentare riformata consente di stralciare anche l’IVA, purché l’Erario aderisca o, in alcuni casi, anche senza adesione se l’offerta è migliorativa rispetto alla liquidazione . Fuori dalle procedure concorsuali, periodicamente il legislatore introduce misure agevolative: ad esempio, la definizione a saldo e stralcio dei ruoli fino a €5.000 (L. 159/2020) o la “rottamazione” delle cartelle (da ultima, la rottamazione-quater prevista dalla L. 197/2022, che ha permesso di cancellare sanzioni e interessi su carichi affidati fino al 2017). Al settembre 2025 non risultano nuovi condoni generalizzati in arrivo, ma chi ha aderito alla rottamazione-quater sta pagando le rate proprio in questo periodo. È importante segnalare che aderire a queste definizioni agevolate sospende le azioni esecutive: ad esempio presentare domanda di rottamazione quater (entro il 30/6/2023) ha sospeso fino al 31/10/2023 le procedure di riscossione sui carichi interessati. Dunque, sfruttare per tempo queste opportunità può dare ossigeno e ridurre il monte debitorio.

In sintesi, i debiti tributari sono spesso quelli che innescano per primi le azioni esecutive (cartelle, fermi, ipoteche) e potenzialmente la crisi aziendale, ma paradossalmente il nostro ordinamento offre diversi spiragli per ridurli o gestirli: dalle rateazioni fino a 72 o 120 rate (anche nella composizione negoziata è possibile ottenere fino a 10 anni di dilazione per i tributi se l’accordo riesce ), alle transazioni fiscali nei concordati, fino ai condoni occasionali. Il debitore deve però muoversi attivamente: ignorare cartelle e avvisi porta rapidamente a fermi amministrativi sui mezzi (anche sulle autovetture aziendali utilizzate per condurre i clienti) e pignoramenti dei conti, paralizzando l’attività .

2.4 Debiti bancari e finanziari

Molte imprese di noleggio hanno fatto ricorso al credito bancario per sostenere gli investimenti iniziali o l’espansione dell’attività. Le forme più comuni sono: mutui chirografari per liquidità, mutui ipotecari (se la società possiede immobili da dare in garanzia, es. un capannone o terreno per il cantiere nautico), leasing finanziari per l’acquisto delle imbarcazioni o dei veicoli aziendali, affidamenti in conto corrente per sopperire ai disallineamenti di cassa, finanziamenti agevolati (es. prestiti garantiti dallo Stato nel periodo Covid, come il finanziamento fino a €30.000 con garanzia MCC). Il risultato è che, in una situazione di crisi, l’impresa può trovarsi con rate di mutuo/leasing scadute, sconfinamenti di conto e relative commissioni, ecc. Questi debiti bancari sono spesso garantiti: o da garanzie reali (ad esempio un’ipoteca iscritta sull’immobile aziendale, o la riserva di proprietà in capo alla società di leasing sulle barche finanziate, oppure un pegno su titoli dati a garanzia), o da garanzie personali (fideiussioni firmate dai soci o dagli amministratori).

Le banche, appena percepiscono segnali di insolvenza (rate non pagate, covenants di bilancio non rispettati, sconfinamenti prolungati) tendono ad agire in modo tempestivo e deciso. In caso di rate di mutuo o leasing impagate, scatta spesso la decadenza dal beneficio del termine: la banca può esigere immediatamente tutto il capitale residuo del finanziamento. Se non si trova un accordo, la banca o la società di leasing possono procedere in via giudiziale con un decreto ingiuntivo, seguito, dopo 40 giorni senza opposizione, dal pignoramento dei beni . In parallelo, la banca può revocare gli affidamenti di conto corrente, chiedendo il rientro dello scoperto immediatamente.

Tra i rischi specifici vi è la perdita di beni strumentali essenziali: ad esempio, se una o più barche sono in leasing e il noleggiatore non paga i canoni, la società di leasing può risolvere il contratto e riprendersi l’imbarcazione in tempi rapidi . Questo avrebbe un effetto devastante: la flotta verrebbe ridotta proprio quando bisognerebbe lavorare per ripagare i debiti. Allo stesso modo, se la banca ha ipoteca su un bene cruciale (mettiamo che l’azienda possiede un piccolo immobile fronte mare da cui opera), potrebbe avviare esecuzione ipotecaria e vendita all’asta, facendo perdere all’impresa la sede o il deposito. Anche le fideiussioni personali amplificano il rischio: se la società non paga, la banca potrà agire direttamente sui beni personali del garante (la casa del socio, ad esempio), a prescindere dalle sorti della società . Ciò mette pressione sugli imprenditori, che vedono minacciato il loro patrimonio privato.

Sul piano delle soluzioni, i debiti finanziari possono essere oggetto di rinegoziazione privata (la banca talvolta accetta di ristrutturare il debito, ad esempio concedendo una moratoria di alcuni mesi sui pagamenti e allungando la durata del mutuo, oppure consolidando lo scoperto in un finanziamento a medio termine). Durante la pandemia, molte banche hanno aderito a moratorie generali ex lege; oggi occorre negoziare caso per caso. In un contesto più strutturato, i debiti bancari confluiscono nelle procedure concorsuali: ad esempio, in un concordato preventivo, la banca chirografaria (cioè per la parte non garantita) potrebbe vedersi proposta una falcidia (pagamento parziale, es. 60% del credito) mentre la parte garantita da ipoteca deve essere pagata almeno fino a concorrenza del valore del bene ipotecato (oppure le si offre quel bene in soddisfazione). Le banche sono creditori forti, ma non privilegiati su tutto: se una banca ha un’ipoteca su un immobile e un’altra banca su un altro, per la parte di credito eventualmente scoperta da garanzie esse concorrono come chirografarie comuni e potrebbero subire decurtazioni. Spesso, per convincere le banche ad accettare piani di ristrutturazione, si offre di pagare interamente l’IVA e i contributi (che comunque andrebbero pagati perché privilegiati) così da ottenere l’omologazione anche senza voto favorevole dell’Erario, e poi si propongono percentuali di soddisfo per le banche sul residuo. Da notare: se le banche sono garantite da pegno o ipoteca, mantengono il diritto di escutere la garanzia anche durante alcune procedure (ad esempio, in liquidazione giudiziale possono procedere separatamente, mentre in concordato possono essere temporaneamente bloccate solo in certi casi) . Tuttavia, nei concordati con continuità aziendale il debitore può chiedere al tribunale di inibire temporaneamente le azioni sulle garanzie se il bene è indispensabile all’attività (es.: trattenere la barca principale in flotta pur sospendendo le rate leasing, per poter generare ricavi utili a pagare i creditori) . Ciò rientra tra le “misure protettive” che vedremo in seguito.

Riassumendo, i debiti verso banche/finanziarie rappresentano spesso l’elemento scatenante delle crisi, perché gli istituti di credito reagiscono velocemente all’inadempimento. È essenziale comunicare precocemente con la banca, mostrando un piano di rientro credibile prima che la posizione sia classificata a sofferenza. Se il rapporto degenera, allora occorre sfruttare gli strumenti giuridici (dall’opposizione al decreto ingiuntivo, da presentare entro 40 giorni , fino alla richiesta di misure protettive nel contesto di una procedura di composizione della crisi) per evitare l’immediato collasso dell’azienda sotto l’azione esecutiva (pignoramenti di conti e beni, blocco delle barche in leasing, ecc.). In ogni caso, garantire la continuità aziendale (ossia poter continuare a usare le imbarcazioni e incassare dai clienti) è prioritario: perdere pezzi di flotta a causa di azioni dei creditori riduce la capacità di risollevarsi.

2.5 Debiti verso fornitori e altri creditori commerciali

Oltre ai debiti finanziari e verso il Fisco, qualsiasi impresa genera debiti commerciali verso fornitori di beni e servizi. Nel noleggio nautico, alcuni fornitori critici sono: i fornitori di carburante (la voce carburante è molto importante, soprattutto per le imbarcazioni a motore: spesso i distributori forniscono gasolio nautico a credito, con pagamento a fine mese, e il debito può accumularsi), i cantieri/navali e meccanici che effettuano manutenzioni e riparazioni alle barche (anche queste spesso fatturate e pagate a 30-60 giorni, quindi potenzialmente insolute se c’è crisi), i fornitori di attrezzature e provviste (materiale di bordo, dotazioni di sicurezza, viveri per charter con equipaggio), eventuali subappaltatori (es. società o skipper ai quali si sub-noleggiano imbarcazioni in caso di picchi di richieste), nonché i professionisti (commercialisti, consulenti del lavoro, avvocati) che assistono l’impresa e che possono anch’essi restare non pagati. Anche i porti turistici rientrano, se consideriamo come fornitore chi offre il servizio di ormeggio: se l’azienda non paga le quote di ormeggio a un porto privato, quell’ente diventa un creditore che potrebbe rescindere il contratto e agire per il dovuto.

Generalmente, questi creditori non hanno garanzie particolari: il loro credito è chirografario, salvo eccezioni previste dalla legge. Un caso di eccezione: i fornitori di carburante godono per legge di uno speciale privilegio sul carburante venduto e sui relativi crediti (art. 2762 c.c.) . Significa che se la nostra impresa ha acquistato carburante a credito, il fornitore ha privilegio sul carburante non ancora consumato (se pignorato) e può soddisfarsi con precedenza su altri crediti su quella parte. Tuttavia, nella pratica, il carburante viene subito utilizzato, quindi questo privilegio serve a poco se il carburante non c’è più; il fornitore di carburante resterà per la gran parte un creditore chirografario come gli altri.

Le conseguenze dell’inadempimento verso i fornitori includono: la possibile interruzione delle forniture (ad esempio, il distributore di carburante potrebbe rifiutare ulteriori rifornimenti se le fatture precedenti non sono state saldate, costringendo l’impresa a pagare tutto in anticipo o a trovare altri fornitori spesso a condizioni peggiori); l’azione legale per il recupero del credito (il fornitore può richiedere un decreto ingiuntivo per le fatture non pagate, che se non opposto entro 40 giorni diventa definitivo e porta a pignoramenti di beni aziendali o crediti verso terzi, analogamente a quanto fanno banche e fisco); la segnalazione a sistemi di informazioni creditizie (se il fornitore è un grande gruppo, potrebbe segnalare l’insoluto a banche dati, peggiorando il rating dell’azienda). Inoltre, fornitori come i cantieri di riparazione potrebbero esercitare il diritto di ritenzione: ad esempio, se la barca è in cantiere e l’impresa non paga la riparazione, il cantiere può rifiutare di varare o riconsegnare l’imbarcazione finché non riceve il pagamento (trattenendola di fatto come garanzia).

Va ricordato che, in caso di procedure concorsuali, i creditori fornitori (chirografari) sono gli ultimi ad essere soddisfatti: prima vengono i creditori privilegiati (Erario, banche garantite, dipendenti, ecc.). Ciò implica che nei piani di ristrutturazione del debito è spesso inevitabile proporre ai fornitori un pagamento solo parziale del loro credito (saldo e stralcio). Ad esempio, in un concordato preventivo può essere proposto che i chirografari ricevano solo il 30-50% del dovuto, magari in diversi anni. Questa prospettiva, per quanto sgradita ai fornitori, spesso li porta a valutare soluzioni stragiudiziali più convenienti: molti fornitori preferiscono accordarsi privatamente (piani di rientro dilazionati, oppure accontentarsi di una percentuale del credito) pur di non perdere totalmente il cliente o di evitare la lunga attesa/incertezza di un fallimento . Ad esempio, il fornitore di carburante potrebbe accettare un pagamento del 70% del suo credito in 12 mesi, se capisce che l’alternativa è che l’azienda fallisca e lui recuperi forse il 20% dopo anni. Chiaramente, per ottenere la collaborazione dei fornitori, il debitore deve giocare d’anticipo: appena si manifestano difficoltà, va affrontato il discorso con i creditori chiave, presentando un piano credibile di risanamento e rientro (magari supportato dai primi passi di una composizione negoziata). Se invece il fornitore viene lasciato all’oscuro e accumula ritardi, sarà più incline a passare alle vie legali.

In sintesi, i debiti verso fornitori sono “più morbidi” nel breve termine (nessuno ti arresta se non paghi le fatture commerciali, né ci sono soglie penali), ma se ignorati portano comunque a azioni esecutive e alla perdita di fiducia del mercato, con conseguente peggioramento della crisi. La strategia consigliata è di negoziare tempestivamente con i fornitori: spesso si possono ottenere dilazioni senza interessi o riduzioni del dovuto, specie se si offre qualcosa in cambio (ad esempio la garanzia di un impegno formale, come delle cambiali o un piano attestato, oppure un pagamento parziale immediato). Nell’ottica di un piano concordatario, è bene clusterizzare i fornitori: quelli strategici è opportuno pagarli se possibile per assicurarsi la continuità delle forniture, quelli meno critici possono attendere ed essere soddisfatti in percentuale a fine piano. L’importante è far capire loro che esiste la volontà di risanarli in misura maggiore rispetto a quanto accadrebbe nel caso estremo (fallimento).

2.6 Debiti derivanti da sanzioni e ammende amministrative

Un’ulteriore categoria di debiti che può toccare un’impresa di noleggio è quella delle sanzioni amministrative. Ci riferiamo a multe o ammende comminate da autorità varie in caso di violazioni di norme: ad esempio la Capitaneria di Porto può elevare sanzioni per violazioni del Codice della Navigazione (es. sovraccarico di persone a bordo rispetto al consentito, mancanza di dotazioni di sicurezza obbligatorie, navigazione in aree vietate), oppure possono esservi sanzioni ambientali (per inquinamento, scarico di sostanze in mare, ecc.), sanzioni in materia di lavoro (se vengono riscontrati lavoratori in nero a bordo o orari di lavoro non a norma), sanzioni tributarie (ad es. per omessa emissione di ricevuta fiscale a un cliente, se il pagamento non era tracciato). Un caso peculiare nel settore è la sanzione per uso improprio di carburante agevolato: le imbarcazioni commerciali possono accedere a gasolio a accisa ridotta, ma devono provarne l’uso commerciale; la Cassazione ha chiarito che se un armatore utilizza carburante agevolato senza una reale attività commerciale corrispondente, può subire il recupero dell’accisa e relative sanzioni .

Questi debiti da sanzione hanno caratteristiche particolari: innanzitutto, il loro ammontare può crescere col tempo (ad esempio molte multe se non pagate entro 60 giorni raddoppiano per effetto della legge 689/1981, e poi vengono iscritte a ruolo). Inoltre, non sono “negoziabili” liberamente come i debiti commerciali: l’ente che ha irrogato la sanzione può raramente accordare uno sconto sull’importo (salvo strumenti premiali come il pagamento in misura ridotta se fatto subito, oppure la definizione agevolata di alcune sanzioni fiscali). Nei casi di sanzioni tributarie o contributive, come detto, la legge consente di ridurle sensibilmente nelle procedure concorsuali (es. nel concordato preventivo IVA e contributi possono essere pagati senza sanzioni, con soli interessi legali ). Ma per la maggior parte delle multe amministrative “puneitive” (ad esempio le sanzioni della Capitaneria, le contravvenzioni stradali, le ammende per lavoro irregolare) c’è un principio di irriducibilità in sede concorsuale: non possono essere falcidiate né novate senza una norma di legge che lo consenta espressamente. Il Codice della crisi, infatti, esclude che le sanzioni pecuniarie dovute allo Stato possano essere semplicemente cancellate in una procedura di sovraindebitamento di persona fisica (sono debiti inesdebitabili, salvo che sia la legge a prevederlo) . Analogamente in un fallimento/concordato di società, le multe restano a carico dell’obbligato, anche se poi di fatto in un fallimento societario le multe non pagate rimangono insoddisfatte (la società fallita non le paga e dopo la chiusura cessando la società il debito si estingue con essa, essendo un’obbligazione propria della società).

Il vero problema però è che, pur non potendo essere falcidiate, queste sanzioni possono generare disagi operativi: ad esempio, se l’azienda prende una multa dalla Capitaneria e non la paga, questa verrà iscritta a ruolo e può portare a un fermo amministrativo di eventuali veicoli a motore registrati dell’azienda (auto, furgoni) – i natanti non rientrano nel PRA, quindi il fermo amministrativo classico non si applica alle barche, ma un mezzo terrestre sì. Inoltre, multe importanti possono portare a sequestri di beni in caso di reati (si pensi a violazioni gravi con sequestro dell’imbarcazione utilizzata, come succede in casi di navigazione abusiva in area protetta o trasporto illegale).

In definitiva, i debiti da sanzione vanno per quanto possibile evitati o contestati subito. Se si ritiene la sanzione ingiusta, è opportuno presentare ricorso nei termini previsti (ad esempio: 30 giorni al Giudice di Pace o 60 giorni al Prefetto per contravvenzioni stradali; 60 giorni al Ministero/autorità superiore o TAR per sanzioni amministrative marittime, salvo diversa indicazione nel verbale). Spesso, in sede di ricorso, si ottiene la sospensione della riscossione in attesa della decisione. Se il ricorso viene vinto, la sanzione è annullata. Se invece è dovuta, conviene sfruttare eventualmente la rateizzazione presso l’Agente della Riscossione (anche le cartelle per sanzioni possono essere rateizzate fino a 72 rate). Ricordiamo che il d.l. 19/2023 ha introdotto una sorta di ravvedimento operoso sulle sanzioni civili INPS (pagando entro 120 giorni, sanzione ridotta al solo tasso di riferimento) , e misure analoghe di clemenza sono talvolta previste per sanzioni di lavoro (es. regolarizzazione spontanea degli illeciti amministrativi con pagamento minimo se prima di ispezione).

Nel contesto di una crisi aziendale, le multe non “spariscono” da sole e, anche dopo un concordato o una liquidazione, possono tornare in scena (ad esempio se un amministratore aveva multe personali, queste restano a suo carico anche dopo la chiusura della procedura di liquidazione della società). La strategia migliore è considerarle nel piano di risanamento: prevedere un budget per pagarle almeno parzialmente oppure transarle con l’ente (alcuni enti locali possono accettare transazioni sulle sanzioni, benché non obbligati). In ultima analisi, tuttavia, le sanzioni non costituiscono di solito la voce più pesante dei debiti di un noleggiatore (a meno di condotte molto irregolari), quindi saranno gestite in coda alle altre priorità, ricordando però che non scompaiono e continueranno a gravare se non saldate.

Di seguito, una tabella riepilogativa che sintetizza gli effetti e le possibili soluzioni per ciascuna tipologia di debito comune:

Tipologia di debitoEffetti specifici se insolutoPossibilità di gestione/ristrutturazione
Debiti fiscali (IVA, imposte)Sanzioni e interessi in aumento; cartelle esattoriali; possibili fermi amministrativi su veicoli; ipoteche su beni; pignoramenti fiscali su conti e crediti. Rischio di reati per omessi versamenti (IVA > €250k annui, ritenute > €150k) .Rateizzazioni amministrative (fino 6–10 anni in casi ammessi); definizioni agevolate (rottamazioni, saldo-stralcio se previsti); transazione fiscale nelle procedure concorsuali (riduzione sanzioni/interessi e anche del capitale tributario se Erario aderisce) ; moratorie fiscali temporanee nelle composizioni negoziate (blocco delle esecuzioni per 120 giorni ottenibile da tribunale).
Debiti contributivi (INPS, INAIL)Sanzioni civili elevate (7,65% annuo omissione, 30% evasione) ; possibilità di pignoramenti, anche presso terzi (crediti verso clienti) ; perdite di DURC; soglia penale ritenute > €10k/anno .Rateizzazioni amministrative fino 72 rate (interesse ~8% annuo) ; transazione contributiva in concordato/accordi (stralcio sanzioni e interessi, dilazione contributi) ; riduzione sanzioni a interessi legali nelle procedure concorsuali . Pagamento entro 3 mesi da accertamento estingue reato omesso versamento ritenute .
Debiti bancari/finanziariRevoca fidi di c/c e richiesta rientro immediato; decadenza dal termine su mutui/leasing dopo rate saltate; decreti ingiuntivi rapidi e pignoramenti di conti e beni; escussione garanzie reali (es. vendita all’asta di immobile ipotecato) e personali (azione su patrimonio dei garanti) . Società di leasing può riprendere possesso delle imbarcazioni non pagate , paralizzando l’attività. Segnalazione a Centrale Rischi (sofferenze).Rinegoziazione stragiudiziale (possibile accordo con banca: es. moratoria 6-12 mesi, allungamento piani di ammortamento, consolidamento esposizioni a breve); accordi di standstill con pool di banche. Inserimento dei crediti in un piano attestato o accordo di ristrutturazione (banche spesso disponibili a concordare nuove scadenze se piano credibile). In concordato preventivo: pagamento integrale parti garantite, possibile falcidia delle parti chirografarie ; mantenimento leasing strategici con autorizzazione tribunale a continuare l’uso dei beni essenziali .
Debiti verso fornitoriInterruzione forniture essenziali (carburante, ricambi) in caso di ritardi; azioni legali (ingiunzioni) con pignoramenti di beni aziendali o crediti; segnalazioni negative nel settore. In concorso: crediti chirografari pagati solo dopo privilegiati (recupero parziale post-procedura) .Negoziazione diretta con fornitori: piani di rientro dilazionati (spesso senza interessi se c’è fiducia), o saldo-stralcio (es. pagamento del 50-70% a saldo) . Possibile rilascio di garanzie per ottenere dilazioni (cambiali, ecc.). Nelle procedure concorsuali: proposta di pagamento parziale ai chirografari (percentuale sul dovuto) con tempi medio-lunghi; spesso i fornitori accettano transazioni prima del fallimento per timore di recuperare meno (leva negoziale del concordato) .
Debiti leasing/noleggi (beni in leasing)Risoluzione immediata del contratto al mancato pagamento delle rate; ritiro/revoca dell’utilizzo del bene in leasing (es. ritiro dell’imbarcazione, automezzo) ; richiesta pagamento rate scadute + penali/differenze. Bene strategico perso = impossibilità di proseguire l’attività.Agire prima della risoluzione: trattativa con società di leasing per moratoria o riscadenzamento (es. sospensione 6 mesi, allungamento piano) . Se in procedura concorsuale: possibile continuazione dei contratti in concordato con continuità (pagando rate correnti); oppure riconsegna bene ma limitando il danno (credito del lessor ammesso al passivo). Concordato: proporre pagamento integrale o prevalente del debito leasing per mantenere il bene in azienda, eventualmente ricorrendo a finanziamenti terzi.
Debiti per sanzioni e multeImporto raddoppiato se non pagato entro termini (per molte sanzioni ammende ex L. 689/81); iscrizione a ruolo e cartelle esattoriali; eventuali fermi su veicoli targati; interessi moratori nel tempo. Non falcidiabili nelle procedure concorsuali ordinarie (restano a carico) .Impugnazione/ricorso se vi sono motivi (entro termini previsti) per annullamento; pagamento con riduzione in misura ridotta se fatto entro i primi giorni (quando consentito); rateizzazione tramite Agenzia Riscossione (fino 72 rate) per importi elevati. Nelle crisi da sovraindebitamento delle persone fisiche, alcune sanzioni statali restano esclusivamente a carico e non cancellabili, salvo esdebitazione finale (discrezionale del giudice). In trattative stragiudiziali, talvolta possibile transigere con l’ente (raro). In generale, prevedere un accantonamento per pagarle, data la loro insopprimibilità giuridica.

(Legenda: TUR = Tasso Ufficiale di Riferimento BCE; falcidia = riduzione parziale dell’importo dovuto; OCC = Organismo di Composizione Crisi.)

3. Normativa di settore: autorizzazioni per il noleggio nautico e obblighi correlati

Per comprendere come gestire i debiti e le azioni difensive nel contesto di un’attività di noleggio barche, è utile un breve richiamo alla cornice normativa settoriale che regola questa attività. Ciò permette di evidenziare se e come una crisi finanziaria possa interagire con le licenze e i requisiti legali per operare.

3.1 Codice della Nautica da Diporto e differenza tra noleggio e locazione

Il Codice della nautica da diporto (D.Lgs. 18 luglio 2005 n. 171, integrato dal D.Lgs. 229/2017) disciplina in dettaglio l’attività di noleggio e locazione di unità da diporto. Anzitutto, il codice definisce le unità da diporto per classi dimensionali: i natanti (sotto 10 metri, non iscritti in registri) e le imbarcazioni (10-24 metri) nonché le navi da diporto (oltre 24 metri) . La distinzione rileva perché, ad esempio, il noleggio commerciale di natanti (piccole barche, gommoni) ha una disciplina più semplificata rispetto alle imbarcazioni maggiori . Inoltre, il Codice distingue il noleggio (navigazione effettuata dal proprietario o armatore con messa a disposizione di equipaggio) dalla locazione (barca concessa in godimento al cliente, che la conduce personalmente o con skipper da lui ingaggiato) . Per semplicità qui useremo “noleggio” in senso generico comprensivo di entrambe le figure, ma va tenuto presente che i requisiti legali possono differire: ad esempio, per il noleggio con equipaggio l’armatore deve assicurare personale qualificato a bordo, mentre per la locazione senza equipaggio ciò non serve, ma il conduttore deve avere patente nautica se necessario.

Il Codice della nautica prevede che le unità destinate a noleggio per finalità turistiche debbano essere munite di apposita licenza di navigazione con dicitura “uso noleggio”. In particolare, per le navi da diporto (oltre 24 m) è obbligatoria una licenza speciale rilasciata dal Ministero dopo verifiche di sicurezza . Per le imbarcazioni da diporto (10-24 m) adibite al noleggio, è richiesta la denuncia d’inizio attività all’Autorità Marittima e il possesso di alcuni requisiti (idoneità tecnica dell’unità, visite periodiche). Inoltre, tutte le unità in noleggio devono possedere un certificato di idoneità al noleggio rilasciato da un organismo tecnico o dall’ente di classifica, che attesti la rispondenza ai requisiti di sicurezza per il trasporto di passeggeri paganti . Questi certificati vanno rinnovati regolarmente.

Dal punto di vista fiscale, l’attività di noleggio occasionale (quella svolta da privati non imprenditori, per non più di 42 giorni l’anno) è agevolata e non richiede partita IVA . Ma un’impresa che noleggia abitualmente deve avere partita IVA e posizione d’impresa attiva, emettere fatture e ricevute fiscali per i corrispettivi e tenere le scritture contabili. Non ci sono imposte di settore specifiche (la “tassa barche” introdotta nel 2012 è stata abrogata nel 2015), ma restano dovuti i canoni demaniali per eventuali concessioni portuali come visto.

Perché tutto ciò rileva in un discorso sui debiti? Perché il mantenimento delle autorizzazioni di noleggio e della licenza di navigazione è subordinato al rispetto di vari obblighi: il pagamento delle tasse di stazionamento (dove previste), la copertura assicurativa RC passeggeri, l’efficienza dell’unità (che richiede investimenti continui in manutenzione). Se i debiti erodono le risorse al punto che l’impresa non può più assicurare il rispetto di questi obblighi (ad esempio non riesce a pagare l’assicurazione RC obbligatoria, o salta le visite di controllo perché non può riparare i difetti segnalati), l’Autorità può sospendere o revocare l’abilitazione al noleggio per quell’unità. Ci sono stati casi in cui, a seguito di controlli, barche adibite a charter sono state bloccate perché prive di certificati aggiornati o perché l’armatore non aveva più un equipaggio regolare a bordo: situazioni spesso connesse a difficoltà economiche. Inoltre, una pesante esposizione debitoria potrebbe spingere l’imprenditore a comportamenti illeciti (come il noleggio in nero, senza dichiarare i proventi né fare i contratti regolari): ciò comporta rischi enormi, sia di sanzioni tributarie sia di sanzioni marittime (la Capitaneria può considerare abusivo il servizio e applicare sanzioni amministrative e penali, tra cui il sequestro dell’imbarcazione).

Un altro aspetto normativo: chi conduce professionalmente imbarcazioni in noleggio deve possedere titoli professionali adeguati (ad esempio il comandante deve avere la qualifica di “Ufficiale di navigazione del diporto” se l’unità supera certe dimensioni o capacità di trasporto). La riforma del 2022 ha introdotto nuovi titoli abilitativi e percorsi formativi. Se l’azienda non è in grado di assumere o retribuire personale qualificato (a causa dei debiti), rischia di non poter imbarcare legalmente i clienti.

In sintesi, la normativa di settore stabilisce un insieme di requisiti la cui violazione può portare a sanzioni e blocchi operativi. Un’azienda in crisi deve stare attenta a non innescare questo tipo di problemi: ad esempio, se c’è il rischio di non poter rinnovare l’assicurazione o i certificati per mancanza di fondi, meglio valutare misure di riduzione flotta o sospensione temporanea dell’attività prima che intervenga un provvedimento autoritativo. Sul fronte debitorio, ciò significa che l’imprenditore deve includere nel proprio piano di risanamento anche le voci necessarie a mantenere le conformità normative, considerandole prioritarie al pari dei debiti legali, pena un colpo di grazia all’impresa per vie amministrative.

3.2 Concessioni demaniali e procedure di evidenza pubblica

Molte attività di noleggio barche turistiche operano all’interno di porti o su aree demaniali marittime. Come accennato, il diritto di utilizzare spazi demaniali (un pontile, una banchina, uno specchio acqueo per boe di ormeggio) deriva da una concessione demaniale rilasciata dall’Autorità competente (Comune, Regione o Autorità di Sistema Portuale a seconda dei casi). Tali concessioni, storicamente rinnovate automaticamente, sono ora oggetto di revisione in attuazione della normativa comunitaria sulla concorrenza (direttiva 2006/123/CE). Dopo vicende analoghe a quelle delle concessioni balneari, il legislatore italiano ha previsto la mappatura e messa a gara di molte concessioni demaniali, inclusi i porti turistici. La Legge annuale per la concorrenza 2021 (L. 118/2022) ha ribadito l’obbligo di gara per concessioni demaniali in scadenza; il c.d. “decreto concorrenza” del 2024 (D.L. 69/2024, conv. L. 166/2024) ha esteso al 31 dicembre 2025 la mappatura e al 2026-2027 l’espletamento delle gare per porti e approdi turistici.

Che impatto ha tutto ciò sui debiti? Nelle procedure di gara, come detto, uno dei requisiti generali per poter partecipare ed essere affidatari è la regolarità fiscale e contributiva. L’art. 94 del nuovo Codice dei Contratti Pubblici (D.Lgs. 36/2023) prevede espressamente che costituiscono motivo di esclusione le gravi violazioni definitivamente accertate in materia tributaria e contributiva, definendo gravi quelle sopra la soglia di €5.000 . Significa che se un’impresa di noleggio barche volesse concorrere per ottenere (o mantenere tramite gara) una concessione portuale, dovrà azzerare o regolarizzare (tramite rateizzazione) tutti i debiti fiscali > €5.000 prima della domanda di partecipazione. La Corte Costituzionale ha sancito che tale previsione è pienamente legittima e non sproporzionata . Dunque, mentre in passato un concessionario indebitato poteva sperare di mantenere la concessione grazie a proroghe o rinnovi automatici, in futuro dovrà necessariamente mettere in regola la propria posizione debitoria o rinunciare all’attività in concessione.

Inoltre, un concessionario che accumula debiti verso lo Stato (canoni non pagati, imposte evase) potrebbe incorrere nella decadenza anticipata della concessione per inadempimento agli obblighi contrattuali o per motivi di pubblico interesse (ad esempio, l’ente concedente potrebbe revocare la concessione se ravvisa che il concessionario non garantisce l’utilizzo proficuo del bene demaniale anche a causa di dissesto finanziario).

È importante notare che alcuni recenti provvedimenti legislativi hanno cercato di tutelare le imprese uscenti dalle concessioni: ad esempio, per le concessioni balneari messe a gara è previsto un indennizzo per il concessionario uscente pari al valore aziendale (investimenti non ammortizzati, etc.). Se un noleggiatore in porto dovesse perdere la concessione, potrebbe forse far valere un diritto simile (se normato nel bando). Ma ciò non risolve il problema debitorio: al più fornisce un indennizzo che i creditori probabilmente aggrediranno.

In conclusione, dal punto di vista normativo settoriale, una crisi debitoria protratta rischia di estromettere legalmente l’impresa dal settore, sia tramite la perdita di requisiti per operare (sicurezza, personale, assicurazioni), sia tramite l’impossibilità di ottenere/rinnovare concessioni fondamentali. Pertanto, la gestione dei debiti non è avulsa dal contesto normativo: chi vuole difendere la propria attività di noleggio deve pianificare il risanamento tenendo conto anche di queste scadenze normative (gare, rinnovi licenze, controlli tecnici) in cui farsi trovare in regola può fare la differenza tra continuare a operare o chiudere bottega.

4. Conseguenze dell’inadempimento e importanza di agire tempestivamente

Dopo aver esaminato le varie tipologie di debito, risulta chiaro come ciascuna possa attivare specifiche reazioni da parte dei creditori. Se un’impresa di noleggio barche non interviene in tempo a gestire la propria esposizione, rischia di subire un effetto domino di azioni esecutive individuali e provvedimenti pregiudizievoli. Ricapitoliamo i principali pericoli di uno scenario di insolvenza non gestita, così da comprendere perché è fondamentale attivarsi presto:

  • Aggressioni al patrimonio aziendale (azioni esecutive): ogni creditore, agendo per conto proprio, può rapidamente svuotare l’azienda dei suoi beni produttivi . L’Agenzia Entrate-Riscossione può iscrivere fermo amministrativo sui mezzi registrati (veicoli targati) impedendone l’utilizzo legale – nel caso di un noleggiatore, ciò potrebbe riguardare ad esempio i carrelli per trasporto barche o i veicoli aziendali di supporto. Può inoltre iscrivere ipoteca sugli immobili (es. un capannone o ufficio di proprietà) e procedere al pignoramento di conti correnti e crediti verso terzi (ad esempio bloccando i pagamenti dovuti da agenzie di viaggio all’azienda) . Una banca creditrice, dal canto suo, se ha un’ipoteca su un bene, può escuterla facendo vendere all’asta il bene, oppure può pignorare i crediti futuri – ad esempio chiedendo al giudice un sequestro presso terzi dei futuri incassi via POS o bonifici dei clienti verso l’azienda . I fornitori possono pignorare i beni strumentali liberi (barche non vincolate da leasing? attrezzature in magazzino) o ottenere sequestri conservativi sui beni aziendali, congelandoli in attesa di sentenza . Tutto questo porta a una paralisi operativa: senza soldi in cassa né beni utilizzabili (barche ritirate o bloccate, conti bancari congelati), l’impresa non può lavorare e la crisi si aggrava ulteriormente . Questo scenario caotico è esattamente ciò che le procedure concorsuali cercano di evitare, ma se il debitore resta inattivo può materializzarsi rapidamente.
  • Azioni giudiziarie collettive (istanza di fallimento/liquidazione giudiziale): se i debiti scaduti sono ingenti, basta un solo creditore determinato perché parta un’azione concorsuale. In Italia è sufficiente che un creditore vanti un credito certo, scaduto ed esigibile superiore a €30.000 per poter chiedere al tribunale la dichiarazione di insolvenza (liquidazione giudiziale) dell’impresa debitrice . Questa soglia (30 mila euro) non è alta: un debito IVA o alcune rate di leasing non pagate possono superarla facilmente. Se l’imprenditore non reagisce (ad esempio non paga quel creditore né avvia egli stesso una procedura di concordato preventivo), il tribunale può accogliere l’istanza e aprire la liquidazione giudiziale (nuovo termine per “fallimento”) . Le conseguenze: la gestione dell’impresa passa a un curatore nominato dal giudice; gli amministratori perdono i poteri; l’azienda viene avviata verso la liquidazione, con vendita all’asta dei beni e distribuzione del ricavato ai creditori secondo le prelazioni . Il nome della società e degli imprenditori finisce nel Registro dei Falliti, con danno reputazionale e impossibilità temporanea di intraprendere nuove iniziative economiche . Ad esempio, un socio illimitatamente responsabile (di una SNC) verrebbe dichiarato fallito personalmente, rispondendo coi suoi beni; un amministratore di SRL potrebbe subire inibizioni a ricoprire cariche societarie in futuro. In sintesi, se la situazione di insolvenza degenera fino a un fallimento imposto, l’imprenditore perde il controllo totale sull’esito: l’azienda come la conosce cessa di esistere e ciò che ne rimane viene smembrato. Ecco perché, come vedremo, il CCII incentiva fortemente il debitore ad attivarsi prima che un creditore arrivi a tanto (misure premiali, protezioni temporanee, ecc.).
  • Segnalazioni di allerta e interventi esterni: il nuovo Codice della crisi ha introdotto meccanismi di allerta precoce per evitare che le crisi vengano trascurate. Alcuni creditori pubblici qualificati – Agenzia delle Entrate, INPS, Agenzia della Riscossione – hanno l’obbligo di segnalare ufficialmente al debitore (e, in certi casi, all’OCRI presso la Camera di Commercio) il superamento di determinati livelli di esposizione debitoria, sollecitandolo a reagire . Ad esempio, il CCII (art. 25-novies) prevede che un debito IVA non versato superiore a una certa soglia oppure un debito contributivo grave facciano scattare una comunicazione al debitore; se questi non attiva entro 90 giorni una procedura di regolazione (tipo composizione negoziata, concordato) o comunque non sistema i pagamenti, la segnalazione potrà essere trasmessa all’OCRI, l’Organismo di Composizione della Crisi d’Impresa . Questa sorta di “warning legale” serve a mettere pressione: in una successiva procedura concorsuale, l’inerzia dell’imprenditore che ha ignorato gli avvisi potrà pesare in termini di valutazione della sua condotta. Inoltre, organi interni all’impresa come i sindaci/revisori hanno il dovere di monitorare gli indizi di crisi e, se gli amministratori non prendono provvedimenti, di informare anch’essi l’OCRI . Sebbene il sistema di allerta pubblica sia attualmente modulato (le soglie sono state alzate, e fino al 2023 l’operatività è stata graduale), rimane il fatto che un’impresa che ignora per troppo tempo i debiti andrà incontro a un intervento “etero-diretto”: prima morale (sollecitazioni), poi eventualmente giudiziario. Di contro, il CCII prevede vantaggi per chi attiva per tempo uno strumento di composizione: ad esempio, se si avvia una composizione negoziata prima di ricevere un’istanza di fallimento, si possono ottenere la sospensione delle azioni esecutive e la riduzione di interessi e sanzioni su alcuni debiti . Anche i vigilanti (sindaci) che abbiano segnalato per tempo sono esonerati da responsabilità eventuali. Insomma, la legge spinge a non restare fermi.
  • Responsabilità personali di amministratori e soci: un imprenditore potrebbe pensare che, operando con società di capitali (SRL, SPA), i debiti aziendali non lo tocchino personalmente. In realtà, in caso di crisi/insolvenza mal gestita, emergono numerosi profili di responsabilità personale. Civilmente, l’art. 2086 c.c. impone agli amministratori di dotare la società di assetti adeguati a rilevare la crisi e ad attivarsi per farvi fronte tempestivamente . Se ciò non accade e il patrimonio sociale subisce un aggravio evitabile, gli amministratori possono essere chiamati a risarcire i danni: tipicamente, nel fallimento (liquidazione giudiziale) il curatore promuove l’azione di responsabilità ex art. 2486 c.c., chiedendo agli ex amministratori di rifondere l’importo della perdita di patrimonio sofferta dalla società per aver ritardato l’emersione della crisi o aver aggravato il dissesto . Ad esempio, se un amministratore ha continuato a fare debiti (acquistare beni a credito, prendere prenotazioni e caparre dai clienti) sapendo che l’azienda era insolvente, ha peggiorato il buco patrimoniale; il curatore potrà agire contro di lui per quella differenza, col rischio di intaccare il patrimonio personale dell’amministratore per milioni. I soci di società di persone (SNC, SAS) rispondono poi illimitatamente e direttamente dei debiti sociali: il fallimento della società si estende a loro. I soci di SRL in genere no, ma se hanno distratto attivi, effettuato finanziamenti illeciti o confuso patrimonio personale e sociale, possono anch’essi essere coinvolti (azioni revocatorie su rimborsi soci, ecc.).

Dal punto di vista penale, come già visto, una gestione dissennata della crisi può integrare vari reati: se l’imprenditore per sfuggire ai creditori compie operazioni distrattive – ad esempio sottrae beni dalla società, li intesta a terzi, svuota i conti, cede sottocosto barche a un familiare – rischia l’incriminazione per bancarotta fraudolenta patrimoniale (artt. 322-323 CCII, ex art. 216 l.fall.) . Questo reato, in caso di fallimento successivo, è punito con pene molto severe (fino a 10 anni in casi gravi). Anche il semplice pagare un creditore e non gli altri poco prima del fallimento costituisce bancarotta preferenziale (favoritismo sanzionato penalmente) . Se invece dopo il dissesto la società viene liquidata bonariamente senza procedure, tali condotte potrebbero emergere come trasferimento fraudolento di valori (art. 512-bis c.p.) in contesti di frode ai creditori, punito anch’esso con la reclusione e la confisca dei beni fittiziamente intestati . Per i debiti tributari, come già elencato, superare certe soglie configura reati (omessi versamenti oltre soglia, sottrazione fraudolenta). Ad esempio, trasferire la proprietà della propria barca personale a un parente subito dopo aver ricevuto una cartella esattoriale da €50.000 costituisce reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000) , che prevede la confisca obbligatoria del bene e pene detentive. Simulare vendite o persino falsi divorzi per schermare il patrimonio rientra nelle condotte punibili, e se poi interviene il fallimento, tali atti alimenteranno anche l’accusa di bancarotta fraudolenta . In sintesi, l’inerzia o le mosse sbagliate nella crisi possono costare caro: non solo si perde l’azienda, ma l’imprenditore può compromettere anche il suo patrimonio personale e la propria libertà. Questo chiarisce perché la legge e la prassi consigliano di affrontare attivamente la crisi, usando gli strumenti legali a disposizione, piuttosto che lasciar peggiorare la situazione nell’ombra.

Importanza di agire subito: i rischi sopra elencati evidenziano che il tempo è un fattore decisivo. Muoversi per tempo consente di sfruttare strumenti che bloccano temporaneamente le azioni dei creditori (ad esempio chiedere misure protettive nel concordato o nella composizione negoziata può congelare pignoramenti e fermi in corso ), e consente anche trattative più serene: un creditore sarà più incline a trattare se vede che l’azienda ha ancora prospettive e asset per pagare, piuttosto che a fine corsa. Inoltre, come recita un detto tra gli specialisti di crisi, “il primo che si muove vince”: se l’imprenditore è il primo ad attivare un percorso (es. depositando per primo una domanda di concordato preventivo con riserva), può dettare l’agenda e costringere i creditori a una trattativa sul suo terreno; se invece un creditore anticipa gli altri e ottiene un fallimento, il debitore perde la regia della vicenda . Dunque, la difesa migliore è proattiva: riconoscere i segnali di insolvenza, farsi assistere subito da esperti e scegliere lo strumento adatto per circoscrivere la crisi e avviare il risanamento.

5. Strumenti per risanare i debiti o regolare la crisi d’impresa

Passiamo ora in rassegna i principali strumenti giuridici a disposizione di un’impresa indebitata per gestire e risolvere la propria crisi debitoria. Il ventaglio va dalle soluzioni stragiudiziali volontarie (accordi privati con i creditori, piani attestati) fino alle procedure concorsuali giudiziali sotto controllo del tribunale (concordato preventivo, liquidazione giudiziale) . La scelta dipende dal grado di difficoltà (crisi incipiente vs insolvenza conclamata), dalla disponibilità dei creditori a collaborare e dall’obiettivo finale (continuare l’attività oppure liquidare tutto). Illustreremo ciascuno strumento, evidenziandone natura, presupposti, vantaggi e limiti, con attenzione alle novità apportate dal Codice della crisi (D.Lgs. 14/2019 e correttivi fino al 2024).

5.1 Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII)

Il piano attestato di risanamento è lo strumento più “leggero” e interamente stragiudiziale. Esso consiste in un accordo tra il debitore e uno, alcuni o tutti i creditori, basato su un piano industriale e finanziario elaborato dall’impresa e asseverato da un esperto indipendente (attestatore) . In pratica, l’imprenditore predispone con l’aiuto di consulenti un piano che mostra come, attraverso certe operazioni (es. nuovi apporti di capitale dai soci, vendita di beni non strategici, ristrutturazione dei debiti, taglio di costi, ecc.), l’azienda possa ritornare in equilibrio finanziario entro un certo periodo. Un commercialista o professionista indipendente verifica i dati aziendali e la fattibilità del piano, rilasciando una relazione di attestazione positiva . A quel punto, il debitore propone ai creditori di aderire volontariamente al piano (ad esempio accettando una dilazione sui crediti, o una riduzione parziale, o altre modifiche contrattuali). Non c’è il coinvolgimento del tribunale, quindi la riuscita dipende totalmente dal consenso dei creditori interessati (non c’è un voto maggioritario che può imporre la soluzione ai dissenzienti, come avviene nel concordato). Tuttavia, il piano attestato pubblicato facoltativamente al Registro Imprese gode di alcuni benefici legali: principalmente, gli atti compiuti in esecuzione del piano non sono soggetti a revocatoria fallimentare (art. 56 c.3 CCII), il che dà tranquillità ai creditori che partecipano – ad esempio, la banca che aderisce a un piano attestato con dilazione non rischia che, se l’azienda fallisce dopo 1 anno, vengano contestate quelle dilazioni come atto preferenziale. Inoltre, la pubblicazione “cristallizza” la data di riferimento del piano, utile per opporre il piano a eventuali creditori non aderenti che agiscano dopo (non possono dire di non sapere della situazione, essendo pubblica).

Quando usarlo: il piano attestato è indicato quando l’impresa ha un numero limitato di creditori chiave e c’è fiducia reciproca . Ad esempio, se la crisi riguarda principalmente la banca e un paio di fornitori grossi, invece di aprire un concordato si può fare un accordo privato con loro incorporato in un piano attestato. Vantaggi: è rapido, riservato (può restare segreto se si preferisce, non c’è pubblicità se non si deposita al registro), e l’imprenditore rimane in pieno controllo senza costi giudiziari. Limiti: non offre protezione automatica dalle azioni dei creditori: se un creditori non aderisce, può comunque agire legalmente (non c’è stay generale come nel concordato). Inoltre richiede l’adesione spontanea di tutti i creditori critici, altrimenti rimane zoppo. Non consente di imporre tagli unilaterali: ogni modifica deve essere contrattata. È dunque ideale in crisi prevenibili, in cui con pochi aggiustamenti l’impresa può riprendersi e i creditori principali collaborano.

5.2 Accordo di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 CCII)

L’accordo di ristrutturazione è uno strumento intermedio, a cavallo tra il privato e il giudiziale. Si tratta di un accordo con creditori che viene però sottoposto all’omologazione del tribunale, acquisendo efficacia legale erga omnes per i creditori aderenti e in alcuni casi anche per i dissenzienti. Per attivarlo, è necessario che il debitore trovi l’adesione di almeno il 60% dei crediti totali (in valore) . Se raggiunge questa maggioranza qualificata, può chiedere al tribunale l’omologazione dell’accordo: il giudice verifica che l’accordo assicuri il regolare pagamento dei creditori estranei (quelli non aderenti) nei termini di legge e che sia idoneo a risanare l’esposizione, dopodiché lo omologa rendendolo vincolante per i firmatari. Esistono vari sottotipi introdotti dai correttivi 2021-2022: l’accordo agevolato (con soglia di adesioni ridotta al 30%, ma efficacia limitata solo ai aderenti: dunque è più facile da ottenere ma non vincola i dissenzienti) ; l’accordo ad efficacia estesa (dove se in una certa categoria omogenea di creditori si raggiunge il 75% di consenso, il tribunale può estendere gli effetti anche al 25% dissenziente di quella categoria) . Queste varianti ampliano la flessibilità dello strumento.

Gli accordi di ristrutturazione hanno il pregio di poter beneficiare di alcune misure protettive: su richiesta del debitore, il tribunale può disporre la sospensione delle azioni esecutive per un periodo mentre si perfeziona l’accordo. Inoltre, come per il piano attestato, gli atti compiuti in esecuzione dell’accordo omologato sono protetti da revocatorie e, fatto importante, grazie all’omologazione il debitore può accedere alla transazione fiscale/contributiva (ridurre i debiti fiscali e contributivi) come nel concordato .

Vantaggi: rispetto al concordato preventivo (vedi oltre), l’accordo è più semplice e meno costoso, perché non richiede votazione di tutti i creditori ma solo una negoziazione con alcuni (basta il 60% soddisfatto con un certo piano, e gli altri se pagati regolarmente vengono considerati estranei e stanno fuori). Può restare riservato finché non si chiede l’omologa. È adatto quando la platea dei creditori è frammentata ma c’è un nucleo forte con cui si può trovare intesa. Ad esempio, se la nostra impresa di noleggio ha 20 piccoli fornitori e 2 banche, potrebbe cercare l’accordo con banche e pochi fornitori maggiori per arrivare al 60%, e lasciare fuori (pagandoli per intero a scadenze normali) i piccoli.

Svantaggi: se non si raggiunge la soglia minima, non parte. Inoltre i creditori estranei devono essere pagati integralmente entro 120 giorni dall’omologa (o dalla scadenza se posteriore) per legge, quindi non consente di “toccare” i creditori non aderenti salvo tardivo accordo con ognuno. Ciò significa che se un 40% di creditori non vuole aderire, l’azienda deve comunque avere risorse per pagarli regolarmente, altrimenti l’accordo non è omologabile.

Da citare che il 3° correttivo (D.Lgs. 136/2024) ha chiarito alcuni dubbi sugli accordi, ad esempio non sarà più possibile presentare domanda di accordo con riserva “in bianco” senza allegare subito l’accordo (per evitare abusi) .

5.3 Composizione negoziata della crisi (D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021, ora art. 17 CCII)

La composizione negoziata è uno strumento introdotto di recente (fine 2021) e ora inserito nel CCII, pensato per facilitare la ristrutturazione extragiudiziale assistita. In pratica, l’imprenditore in situazione di squilibrio finanziario può chiedere alla Camera di Commercio la nomina di un esperto indipendente che lo assista nelle trattative con i creditori . È una procedura volontaria, non pubblica (inizialmente riservata: la nomina non viene pubblicata ufficialmente, salvo eventuale richiesta di misure protettive dal tribunale), che dura inizialmente 3 mesi prorogabili. L’esperto (spesso un commercialista, manager o avvocato con formazione in crisi) analizza la situazione e convoca i principali creditori per cercare un accordo soddisfacente.

Durante la composizione negoziata, il debitore può chiedere misure protettive al tribunale: tipicamente, la sospensione delle azioni esecutive (pignoramenti, decreti ingiuntivi, ecc.) per la durata delle trattative . Se il tribunale le concede, nessun creditore può iniziare o proseguire azioni esecutive per 4 mesi (prorogabili di 4). Ciò permette di lavorare a un piano senza l’assillo delle aggressioni.

L’obiettivo è arrivare a una soluzione che può essere: un contratto di ristrutturazione (accordo stragiudiziale semplice), un accordo di ristrutturazione ex art. 57 CCII (come sopra, ma facilitato dall’esperto), un concordato preventivo semplificato (possibile se le trattative falliscono, come ripiego per liquidare l’azienda salvando qualche asset), oppure – idealmente – il superamento della crisi senza bisogno di altre procedure (per esempio, l’esperto aiuta a redigere un nuovo piano industriale, i creditori concedono moratorie e l’impresa riprende fiato).

Vantaggi: è uno strumento flessibile e a basso stigma (non è un fallimento né un concordato, e all’inizio nemmeno pubblico). Consente di bloccare le azioni dei creditori in tempi brevi e di trattenere beni essenziali come i mezzi (il tribunale può sospendere i fermi e i sequestri, come successo in casi già affrontati: ad es. Tribunale di Venezia 23/05/2024 ha sospeso i fermi su automezzi di un’impresa durante la composizione negoziata) . Inoltre prevede incentivi: ad esempio, se la composizione porta a un accordo, l’impresa può ottenere la dilazione fino a 120 rate dei debiti fiscali e contributivi come misura premiale ; ancora, sono previsti crediti d’imposta sui tributi abbuonati e protezioni per eventuali finanziamenti effettuati dai soci durante la trattativa (prededucibilità).

Svantaggi: non è garantito il risultato. Se i creditori sono troppo litigiosi o l’impresa non dà affidamento, l’esperto al termine può dichiarare che non si è trovato accordo. Inoltre la composizione negoziata non impone sacrifici ai creditori dissenzienti: è pur sempre volontaria. Se uno o più creditori strategici non vogliono aderire a nessuna proposta, il debitore dovrà passare a uno strumento concorsuale (concordato) per imporre loro una soluzione (cram-down).

Nella prassi, la composizione negoziata è utile come primo step per imprese con ancora prospettive di continuità: serve a congelare il contenzioso e a cercare un’intesa veloce. Ad esempio, caso pratico (riassunto, ispirato a vicende reali): Trasporti Marini S.r.l., noleggiatore di barche, con €200k debiti fiscali (IVA non versata) e €100k debiti con banca (leasing barche) e €150k con fornitori, avvia la composizione negoziata. Il tribunale concede subito lo stop ai pignoramenti per 4 mesi . L’esperto convoca banca, Agenzia Entrate e fornitori. Dopo negoziati, predispongono un piano: vendere una barca minore per ottenere liquidità €100k da dare al Fisco; chiedere alla banca una moratoria 6 mesi leasing e allungamento di 2 anni ; proporre al Fisco di stralciare sanzioni e interessi e rateizzare in 5 anni il residuo imposte ; offrire ai fornitori un saldo al 50% in 12 mesi ; i soci apportano €50k freschi come “sweetener” . Tutti accettano perché comparano con l’alternativa fallimentare (in cui avrebbero preso molto meno e più tardi) . L’accordo viene formalizzato e portato in omologa ex art. 48 CCII, con transazione fiscale omologata dal tribunale per efficacia erga omnes . L’impresa esce dalla composizione negoziata evitando il fallimento, continua l’attività con la flotta principale intatta e in due anni torna in equilibrio . Inoltre, pagando l’IVA prima dell’omologa, l’amministratore ha evitato la soglia penale dei €250k , e pagando i contributi INPS entro 3 mesi dall’accertamento si è avvalso della non punibilità ex art. 2 DL 463/1983 . Questo esempio dimostra come la composizione negoziata possa portare a soluzioni vantaggiose e a evitare conseguenze penali .

5.4 Concordato preventivo (artt. 84-120 CCII)

Il concordato preventivo è la procedura concorsuale “classica” mediante la quale l’imprenditore in crisi propone ai creditori un piano di regolazione del debito sotto il controllo del tribunale. A differenza degli strumenti visti sopra, qui tutti i creditori vengono coinvolti e vincolati tramite un meccanismo di votazione ed omologa. Il concordato può essere “in continuità aziendale” (se prevede la prosecuzione dell’attività, diretta o tramite cessione/affitto a terzi) oppure “liquidatorio” (se prevede la cessazione e la liquidazione del patrimonio). Questa distinzione comporta diverse regole di ammissibilità: in un concordato liquidatorio puro, la legge richiede che si assicuri ai creditori chirografari almeno il 20% di soddisfazione (art. 84 CCII), mentre in un concordato in continuità non c’è soglia minima ma i creditori devono poter contare su prospettive di recupero migliori che nella liquidazione, grazie alla continuità.

Iter in breve: il debitore può presentare il ricorso di concordato allegando subito il piano e la proposta oppure presentare un ricorso “con riserva” (concordato in bianco) ottenendo subito le protezioni e poi depositando piano e proposta entro termini assegnati . Nel frattempo nomina un professionista attestatore che valuta la fattibilità del piano. Il tribunale ammette la società alla procedura, nomina un commissario giudiziale e convoca i creditori per votare. Se la maggioranza dei crediti votanti (esclusi i privilegiati soddisfatti integralmente) approva la proposta, il tribunale verifica la legalità e omologa il concordato, rendendolo vincolante anche per i creditori dissenzienti o non votanti. Da quel momento il debitore esegue il piano come da proposta (tipicamente pagando i debiti secondo le percentuali e tempistiche stabilite, sotto vigilanza del commissario/giudice delegato).

Misure protettive: il deposito del ricorso (anche in bianco) comporta l’automatico blocco delle azioni esecutive e cautelari da parte dei creditori (stay), quindi ferma pignoramenti, sequestri ecc. I creditori non possono acquisire privilegi se non concordati, e i contratti in corso proseguono (salvo autorizzazione a sciogliersi da alcuni se onerosi). Questa protezione dura per l’intera procedura, salvo eccezioni (es. creditori con ipoteca possono chiedere di escutere se il bene non è funzionale al piano, etc.).

Pagamento dei creditori: nel concordato i creditori privilegiati (come Fisco su IVA, INPS su contributi, banca ipotecaria sulla barca se ipotecabile, dipendenti per stipendi) devono in linea di massima essere pagati integralmente o mantenuti in essere (se l’azienda continua e il creditore accetta di proseguire il rapporto, es. banca che acconsente a non risolvere il leasing). Tuttavia, il CCII consente una certa flessibilità: il debitore può chiedere al tribunale di cramdown del fisco e degli enti previdenziali se offre loro almeno il valore di liquidazione e paga interamente l’IVA (in pratica, il giudice può omologare anche senza loro voto in certe condizioni) . I creditori chirografari possono invece essere soddisfatti parzialmente: spesso ricevono una percentuale del credito (che può anche essere bassa, purché non inferiore al 20% se concordato liquidatorio), e di solito l’azienda chiede l’esdebitazione del resto. Nel concordato in continuità, l’azienda può anche proporre di pagare i chirografari nel tempo con i flussi di cassa generati dall’attività proseguita (es. “vi pagherò il 40% in 5 anni grazie ai profitti futuri”).

Vantaggi del concordato: è uno strumento potente perché vincola tutti: anche se un creditore è ostile, se la maggioranza approva, quel creditore sarà obbligato a subirne gli effetti. Permette di ristrutturare i debiti in modo profondo, anche riducendoli fortemente, mantenendo però l’azienda in vita (nel caso di concordato in continuità) o chiudendola in modo ordinato (nel liquidatorio). L’omologa produce un titolo esecutivo con cui, se il debitore adempie il piano, alla fine i debiti residui si estinguono.

Svantaggi: è una procedura complessa, lunga (di solito diversi mesi per arrivare al voto e poi all’omologa) e costosa (bisogna pagare compensi al commissario, all’attestatore, e i professionisti legali/contabili). Inoltre richiede di convincere i creditori a votare sì: se la proposta non è abbastanza conveniente rispetto alla liquidazione, i creditori la bocceranno. In tal caso, il tribunale dichiara il fallimento. Quindi è un’operazione “all-in”: si mette la sopravvivenza dell’azienda nelle mani dei creditori, pur cercando di convincerli con una proposta.

Per una PMI di noleggio barche, un concordato in continuità potrebbe avere senso se c’è un business sano ma troppo debito accumulato: grazie al concordato, potrebbe dimezzare il debito chirografario e dilazionare il resto, e continuare l’attività liberata dal peso eccessivo. Per contro, se l’azienda è già decotta, si opterà per un concordato liquidatorio (o direttamente liquidazione giudiziale).

Va segnalato che dal 2022 esiste anche il “concordato semplificato” per la liquidazione, utilizzabile però solo se fallisce la composizione negoziata: in sostanza, se l’esperto dichiara che non c’è accordo, il debitore può chiedere al tribunale di omologare un concordato liquidatorio senza voto dei creditori. Questo strumento è di nicchia e serve per velocizzare la chiusura evitando la lunga procedura di fallimento, ma di fatto impone ai creditori ciò che il debitore propone (col solo controllo del tribunale). Finora poco usato, potrebbe tornare utile in casi di forti conflitti in cui comunque l’alternativa è la liquidazione giudiziale.

5.5 Liquidazione giudiziale (ex fallimento) e esdebitazione

La liquidazione giudiziale è, come detto, il nuovo nome del vecchio fallimento. È la procedura concorsuale avviata tipicamente su istanza di un creditore o dell’imprenditore stesso quando l’insolvenza è conclamata e non si prospetta un risanamento. Nella liquidazione giudiziale, un curatore gestisce l’impresa (di solito ne cessa l’attività o la prosegue brevemente per venderla meglio), liquida tutti i beni (vendendo le imbarcazioni, le concessioni se trasferibili, l’eventuale azienda in blocco, ecc.) e distribuisce il ricavato secondo l’ordine dei privilegi. Dopodiché, la società viene cancellata e i debiti insoddisfatti restano inesigibili nei suoi confronti.

La liquidazione giudiziale è una sconfitta per l’imprenditore, ma può portare comunque a un beneficio nel caso di imprenditore persona fisica: l’esdebitazione. Il Codice della crisi prevede che, chiusa la liquidazione, la persona fisica che è stata in liquidazione (imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile) possa ottenere dal tribunale la cancellazione dei debiti residui non pagati, purché abbia collaborato lealmente e non vi siano ragioni ostative (frode, ecc.) . Questo meccanismo di fresh start permette al piccolo imprenditore onesto ma sfortunato di ripartire senza essere perseguitato a vita dai creditori per somme che comunque non potrebbero mai incassare. Un caso reale: nel 2024 il Tribunale di Venezia ha concesso l’esdebitazione totale dei debiti a un piccolo imprenditore individuale dopo la liquidazione controllata (procedura di sovraindebitamento), evidenziando come oggi anche il piccolo imprenditore persona fisica abbia diritto a liberarsi dei debiti residui dopo la liquidazione . Addirittura, se l’imprenditore nullatenente non ha proprio beni da liquidare, può chiedere l’esdebitazione senza liquidazione (il CCII ha introdotto la procedura del debitore incapiente): in pratica il tribunale può cancellare i debiti di chi non possiede niente, una volta nella vita, a condizione che non abbia colpa grave e che almeno parte del ricavato futuro vada ai creditori in caso di miglioramento .

Per un imprenditore di noleggio, la liquidazione giudiziale potrebbe essere l’epilogo se non vi è più alcuna sostenibilità (flotta pignorata, licenze perse, ecc.). In tal caso, l’obiettivo del debitore dovrebbe essere di massimizzare l’ordine nella liquidazione: collaborare col curatore per vendere bene i beni (le barche, eventualmente l’avviamento se un concorrente è interessato a rilevare la clientela, etc.), in modo che i creditori ottengano il più possibile e lui possa poi aspirare all’esdebitazione. Se invece l’imprenditore ostacola la procedura (occultando beni, non consegnando documenti), rischia sanzioni e di perdere il beneficio dell’esdebitazione.

Importante distinzione: se l’attività era svolta tramite società di capitali, la società in liquidazione giudiziale verrà cancellata a fine procedura e i debiti residui “muoiono” con essa; i soci non hanno bisogno di esdebitazione (non erano debitori diretti, salvo fideiussioni). Invece gli amministratori e gli eventuali garanti restano esposti per i debiti non soddisfatti (il creditore può agire sul garante anche dopo la chiusura della società, per la parte di credito rimasta ). Quindi un socio garante dovrà pagare o negoziare a parte, oppure se persona fisica sovraindebitata potrà ricorrere alle procedure di cui al prossimo paragrafo.

5.6 Strumenti per il sovraindebitamento delle persone fisiche e delle piccole imprese non fallibili

Non tutte le imprese possono accedere al concordato o essere soggette a liquidazione giudiziale. Le micro-imprese sotto certe soglie e i debitori civili (privati, professionisti) rientrano nelle procedure di sovraindebitamento, disciplinate anch’esse dal CCII (artt. 65-83). Per un noleggiatore in forma di ditta individuale, ad esempio, queste sono rilevanti. Gli strumenti disponibili sono: il concordato minore (simile al concordato preventivo ma semplificato e riservato a imprenditori “minori” non fallibili, consente accordi con i creditori e richiede il voto favorevole del 50% dei crediti; utile per continuare l’attività riducendo debiti) ; il piano di ristrutturazione del consumatore (riservato ai debiti personali da consumatore, meno probabile in questo contesto a meno che il noleggiatore abbia mescolato debiti privati e d’impresa; comunque consente a un privato sovraindebitato di proporre un piano ai creditori, omologato dal giudice senza voto) ; la liquidazione controllata del sovraindebitato (equivalente del fallimento per il debitore civile o piccola impresa, si liquida il patrimonio sotto la guida di un liquidatore nominato dal giudice) ; e come accennato l’esdebitazione del debitore incapiente (per chi non ha nulla da liquidare).

Una piccola impresa di noleggio non fallibile (ad esempio ditta individuale con ricavi sotto soglie di legge: attualmente < €200k di attivo, < €300k di debiti, < 5 dipendenti) se sovraindebitata può rivolgersi all’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) locale: questo organismo (spesso presso le Camere di Commercio o Ordini professionali) nomina un gestore che aiuta a predisporre un piano da presentare al tribunale . Durante la procedura, il giudice può sospendere le azioni esecutive, similmente al concordato . Se il piano (concordato minore) viene omologato, vincola tutti i creditori come un mini-concordato. Se invece non si può salvare l’attività, si va in liquidazione controllata: il liquidatore vende tutto e poi il debitore può essere esdebitato.

Questi strumenti di sovraindebitamento sono estremamente utili per i privati e piccoli imprenditori e rappresentano, in parole semplici, la versione “personalizzata” delle procedure concorsuali per chi sta fuori dal fallimento. Il loro uso è cresciuto molto e il correttivo 2024 ha chiarito che anche un socio illimitatamente responsabile può avvalersene per i debiti estranei all’attività sociale (ad esempio un socio di SNC con debiti personali di altra natura). Inoltre, ha introdotto la possibilità di piani familiari congiunti (es. marito e moglie indebitati possono presentare un unico piano familiare) .

In conclusione di questa sezione, disponiamo di molte armi giuridiche per difenderci dai debiti: la scelta deve essere calibrata sul caso concreto. Una società di capitali medio-grande opterà per concordato o accordi di ristrutturazione; una micro-impresa per un concordato minore; un privato per un piano del consumatore. L’importante è attivare questi percorsi con il supporto di professionisti esperti, e in tempi utili (quando c’è ancora qualcosa da salvare). Spesso si inizia tentando la via stragiudiziale (piano attestato, composizione negoziata) e, se non basta, si passa a quella concorsuale. Nella prossima sezione, metteremo in pratica questi concetti con una simulazione realistica applicata a un’attività di noleggio barche in difficoltà, per poi rispondere alle domande frequenti.

6. Simulazione pratica: caso di studio di un noleggiatore indebitato

Per rendere più concreti i concetti esposti, consideriamo un caso ipotetico basato su situazioni reali.

Scenario: BlueWave Charter S.r.l. è una società che gestisce il noleggio di barche turistiche in una località marina italiana. Ha in flotta 3 imbarcazioni da diporto (due a motore di 12 metri e una a vela di 15 metri) di proprietà, acquistate in parte con leasing, e opera da un piccolo ufficio in porticciolo in concessione demaniale. Negli ultimi due anni la società ha affrontato varie difficoltà: nel 2024 un’estate di maltempo e una controversia legale con un tour operator straniero hanno ridotto i ricavi; nel 2025 l’aumento del costo del carburante e dei tassi di interesse ha aumentato i costi. BlueWave ha accumulato i seguenti debiti:

  • Debiti fiscali: €120.000 verso l’Agenzia Entrate, di cui €80.000 per IVA non versata su 2 anni e €40.000 tra IRAP e ritenute IRPEF non versate.
  • Debiti contributivi: €30.000 verso INPS (contributi non pagati su tre dipendenti stagionali e sul titolare per un anno).
  • Debiti bancari: €200.000 verso una banca, residuo di un leasing utilizzato per acquistare due barche (valore originario €300k, rate insolute per €50k; la banca ha minacciato la risoluzione) e un mutuo COVID da €50.000 garantito dal Fondo PMI (anche qui rate arretrate).
  • Debiti verso fornitori: €60.000, principalmente verso il fornitore di carburante locale (€20k per fatture diesel), il cantiere manutenzioni (€15k per carenaggi e riparazioni), e vari altri (agenzia marketing €5k, commercialista €4k, cambusa e provviste €3k, ecc.).
  • Altri debiti: €10.000 di canoni demaniali portuali non pagati (due annualità arretrate per l’occupazione del pontile in concessione); €5.000 di multe (una dell’Autorità portuale per aver ormeggiato un’unità in area non concessa, e alcune contravvenzioni stradali per divieto di accesso con furgone in zona pedonale per trasporto clienti).

Stato attuale: L’Agenzia delle Entrate Riscossione ha già notificato diverse cartelle per IVA e contributi, e ha inviato un preavviso di ipoteca sull’ufficio di proprietà della società e un preavviso di fermo su un autocarro aziendale . La banca, rilevati 3 canoni leasing impagati, ha comunicato la revoca del beneficio del termine e chiesto il pagamento integrale del residuo leasing entro 15 giorni pena la risoluzione. Il fornitore di carburante ha sospeso la fornitura a credito: ora BlueWave può fare carburante solo pagando sul momento, il che genera problemi di cassa. I dipendenti stagionali, terminata la stagione, lamentano il ritardo nel pagamento dell’ultimo stipendio.

Il titolare, sig. Rossi, comprende che l’inerzia porterebbe al fallimento in pochi mesi: un piccolo fornitore ha già minacciato di presentare istanza di fallimento per €15k non pagati. Inoltre Rossi è preoccupato perché, con €80k di IVA non versata, è vicino alla soglia penale di €250k (anche se non l’ha superata) e teme che, se lascia incancrenire la situazione, la prossima stagione non potrà nemmeno operare (per via delle licenze, concessioni, ecc.).

Azione intrapresa: Il sig. Rossi si rivolge a un avvocato esperto in crisi d’impresa. Dopo analisi, decidono di tentare la composizione negoziata della crisi presso la Camera di Commercio, per via della possibilità di mantenere attiva l’azienda e delle misure protettive immediatamente disponibili. Presentano l’istanza a gennaio 2026 (volendo anticipare eventuali mosse dei creditori). Il tribunale concede le misure protettive: per 4 mesi nessun creditore può avviare o proseguire azioni esecutive , i preavvisi di ipoteca/fermo sono congelati, la banca non può ritirare le barche in leasing.

Viene nominato un esperto, dott. Bianchi, che inizia le trattative con i principali attori: la banca, l’Agenzia Entrate/INPS (tramite l’ufficio locale e l’AdER), e i due maggiori fornitori (carburante e cantiere). Il piano di risanamento su cui lavorano prevede vari step: 1. Cessione di un bene non strategico: La società possiede 3 barche; una delle due barche a motore (valore di mercato €90k) è meno utilizzata e genera costi fissi. Decidono di venderla. Stimano di ricavarne €80.000 netti (vendita rapida). Questo importo sarà destinato interamente ai crediti privilegiati: in particolare a ridurre il debito con il Fisco e con l’INPS, in modo da abbassare anche eventuali profili penali. Infatti €80k su €150k di debiti fiscali+contributivi pagati subito ridurrebbero l’IVA arretrata a una soglia più gestibile. 2. Ristrutturazione dei debiti finanziari: La banca leasing preferirebbe non entrare in contenzioso (che implicherebbe riprendersi la barca, rivenderla chissà quando e magari perdere soldi). Proposta: BlueWave continua ad usare le 2 barche in leasing, ma ottiene una moratoria di 6 mesi sulle rate e un allungamento di 2 anni del piano di ammortamento . Ciò riduce la rata mensile e sposta più avanti i pagamenti, dando respiro. Sul piccolo mutuo Covid (€50k residuo), si propone 12 mesi di pre-ammortamento aggiuntivi (nessun rimborso di capitale per un anno, solo interessi, poi ripresa normale): l’azienda spera di sfruttare la stagione 2026 per incamerare cassa. 3. Transazione Fisco/INPS: tolti €80k pagati subito con la vendita della barca (che verranno spartiti proporzionalmente, ad es. €60k a AE e €20k a INPS), rimangono circa €70k di debito verso il Fisco (considerando anche sanzioni e interessi che maturerebbero) e €10k verso INPS. Si propone una transazione fiscale e contributiva: pagare solo il 60% di tali importi residui (quindi ~€48k per AE e €6k per INPS) dilazionato in 5 anni senza interessi né sanzioni . In pratica AE/INPS incasserebbero €80k subito + €54k in 5 anni, rinunciando a circa €30k tra sanzioni e quota capitale. Visto che in caso di fallimento avrebbero probabilmente preso molto meno (forse il 20-30%), l’esperto ritiene che possano accettare. 4. Trattativa con fornitori: ai due fornitori principali (carburante e cantiere, tot €35k di credito) viene proposto un saldo e stralcio al 50%, da pagare in 18 mesi . Quindi riceverebbero ~€17.5k ciascuno, a rate mensili. Come leva, si evidenzia che se non accettano, in concordato o peggio fallimento potrebbero prendere anche solo 20%. Gli altri fornitori minori (€25k totale) l’azienda conta di pagarli per intero ma anch’essi dilazionati in 24 mesi (essendo importi piccoli, molti magari accetteranno per mantenere il cliente). 5. Nuova finanza dei soci: il sig. Rossi e un suo parente sono disposti a immettere nuova liquidità per €30.000 complessivi (magari accendendo un’ipoteca sulla casa di famiglia): questi fondi verranno utilizzati come garanzia dei pagamenti promessi ai chirografari (ad es. depositati in un conto vincolato a beneficio dei fornitori, o emettendo cambiali avallate) . Ciò serve a convincere i fornitori che i pagamenti dilazionati saranno onorati. 6. Contributo dei dipendenti: la società concorda con i 3 dipendenti di trasformare i contratti in contratti di lavoro intermittente per la stagione 2026, riducendo il costo fisso in bassa stagione (questo non incide direttamente sui debiti pregressi, ma migliora la sostenibilità futura e rassicura i creditori sul fatto che l’azienda tornerà redditizia).

Dopo intense trattative, tutti i principali creditori sono d’accordo sul piano . In particolare, la banca ragiona che preferisce incassare le rate più tardi ma tenere il cliente attivo anziché riprendersi la barca e venderla con perdita. L’Agenzia Entrate e l’INPS, inizialmente riluttanti sull’abbuono dell’IVA (per policy contraria a scontare l’IVA), si convincono anche grazie alla relazione dell’esperto: l’alternativa sarebbe fallimento con recupero forse del 20% chissà quando, mentre così incassano subito e più del doppio . I fornitori, vedendo che tutti gli altri “senior” sono a bordo, accettano il 50% (anche perché intuivano che col concordato avrebbero preso forse il 20-30%) .

Si formalizza dunque un accordo di ristrutturazione complessivo: la barca viene venduta e genera €80k, su un conto vincolato. Si firmano i nuovi piani di rientro con INPS e Agenzia Entrate (rate in 5 anni) e i fornitori firmano quietanze a saldo del 50% con cambiali garantite. Il tutto viene presentato al Tribunale per ottenere l’omologa ex art. 48 CCII, necessaria in particolare per la transazione fiscale (il tribunale estende l’accordo anche all’Erario formalmente) . Il tribunale omologa, l’azienda esce dalla composizione negoziata avendo evitato il fallimento .

Esito (dopo 2 anni): BlueWave Charter è riuscita a rispettare i pagamenti concordati nei due anni successivi, anche grazie a un mercato turistico in ripresa. I creditori hanno recuperato buona parte dei loro crediti (meno di quanto originariamente dovuto, ma più di quanto avrebbero ottenuto da un fallimento) e hanno mantenuto un cliente in attività. La società ha potuto continuare l’attività con due barche su tre, mantenendo il personale principale. Il sig. Rossi, soprattutto, ha scansato i guai penali: pagando l’IVA entro la data di omologa del piano, non ha superato la soglia penalmente rilevante ; pagando i contributi dovuti entro 3 mesi dagli avvisi di addebito INPS, è rientrato nella non punibilità prevista dalla legge per le ritenute non versate . Inoltre, avendo attivato la procedura prima di qualunque istanza di fallimento esterna, l’imprenditore ha evitato di subire azioni di responsabilità o sanzioni per inerzia: anzi, si è messo in regola anche con DURC e concessioni, potendo proseguire l’attività e addirittura partecipare (qualora volesse) a future gare o bandi, forte di una ritrovata regolarità fiscale.

Scenario alternativo (se l’accordo fosse fallito): supponiamo che uno dei creditori chiave (es. l’Agenzia Entrate) fosse rimasto intransigente, rifiutando qualsiasi stralcio sull’IVA. A quel punto, scaduti i 4 mesi di protezione, la società si sarebbe trovata di nuovo esposta a fermi e pignoramenti. Rossi avrebbe allora optato per un concordato preventivo in continuità: avrebbe depositato domanda con riserva per ottenere subito lo stay dei creditori, quindi presentato un piano molto simile al precedente ma in veste concorsuale (pagamento integrale di IVA e contributi per forza, riduzione ai fornitori e banca solo sulla parte chirografaria). Probabilmente, per far quadrare i conti pagando integralmente il Fisco, avrebbe dovuto offrire ai chirografari una percentuale minore (es. 30% anziché 50%) o allungare i tempi. Con l’aiuto del commissario, avrebbe convinto i creditori a votare sì (tanto l’alternativa era comunque fallimento). Il tribunale avrebbe omologato il concordato anche con il voto contrario dell’Erario, grazie al fatto che in piano veniva pagato tutto il tributo (cram-down fiscale) . L’azienda avrebbe quindi continuato, sebbene più gravata (dovendo pagare il 100% dei tributi anziché il 60%). I fornitori avrebbero preso un po’ meno. Dal lato penale, Rossi comunque sarebbe stato a posto avendo incluso il pagamento integrale di IVA e contributi nel concordato (il reato di omesso versamento non scatta se poi il debito viene estinto prima della sentenza di primo grado).

Conclusioni dal caso pratico: emergono alcuni insegnamenti chiave: – Agire tempestivamente ha permesso di scegliere uno strumento “dolce” (composizione negoziata) invece che subire passivamente un fallimento. – Coinvolgere tutti i creditori in un quadro unitario ha evitato azioni scoordinate (pignoramenti, sequestri) e permesso soluzioni creative (vendita di asset mirata, conversione debiti in dilazioni, ecc.). – L’imprenditore ha dovuto sacrificare una parte del suo patrimonio (vendendo una barca, iniettando liquidità personale), ma ciò ha fatto scattare la fiducia dei creditori. – Grazie all’ordinamento attuale, anche lo Stato accetta riduzioni su imposte e contributi se il piano complessivo è migliorativo rispetto al fallimento . – Infine, la proattività ha protetto l’imprenditore anche legalmente (nessuna imputazione penale, nessuna causa di responsabilità civile): se avesse aspettato l’irreparabile, poteva finire con azienda persa e problemi giudiziari.

7. Domande frequenti (FAQ) – Difendersi dai debiti: casi particolari

D: Il Fisco può pignorare la mia barca se ho debiti tributari?
R: Sì. L’Agenzia Entrate-Riscossione, una volta emessa la cartella esattoriale e decorso il termine di 60 giorni, può avviare il pignoramento di qualsiasi bene del debitore, inclusi beni mobili registrati. Le imbarcazioni da diporto sopra i 10 metri sono iscritte nei registri (RID o RSS) e dunque pignorabili analogamente a un’auto. Tecnicamente non esiste il “fermo amministrativo” (blocco della circolazione) per le barche come per i veicoli a motore, ma si può arrivare al pignoramento e successiva vendita all’asta della barca. Ad esempio, Equitalia (ora AdER) in passato ha pignorato yacht di lusso di contribuenti morosi. Inoltre, su navi da diporto >24m è possibile l’iscrizione di ipoteca navale da parte del Fisco per tutelare il credito. Quindi, se la barca è di proprietà della società debitrice, è decisamente a rischio in caso di inerzia. È preferibile attivarsi prima che ciò accada: chiedere una rateizzazione della cartella o avviare una procedura concorsuale blocca questi pignoramenti . Se invece la barca è in leasing (quindi formalmente della banca) o intestata a terzi, il Fisco non può pignorarla direttamente, ma attenzione: se l’intestazione a terzi è fittizia e finalizzata a sottrarre il bene, si rischia il reato di sottrazione fraudolenta e il sequestro/confisca dell’imbarcazione .

D: Ho ricevuto un’istanza di fallimento da parte di un creditore: posso ancora salvarmi?
R: Sì, ma bisogna agire con la massima urgenza. Dal momento in cui si riceve la notifica dell’istanza (es. da un fornitore o banca), si hanno pochi giorni prima dell’udienza in tribunale. In questo frangente, è possibile presentare una domanda di concordato preventivo “in bianco” (con riserva) prima dell’udienza: ciò impone al tribunale di sospendere la decisione di fallimento e dare tempo all’azienda di presentare un piano concordatario . Alternativamente, se i debiti sono negoziabili in extremis, si può pagare quel creditore o raggiungere un accordo e fargli ritirare l’istanza. Ma se il debito è elevato e non si può saldare subito, il concordato in bianco è l’ultima ancora di salvezza: consente di bloccare il fallimento e di avviare formalmente un percorso di ristrutturazione sotto il controllo del tribunale. Da notare: dal momento del deposito della domanda di concordato, scattano le misure protettive e nessun creditore (compreso quello istante) può proseguire azioni esecutive . È fondamentale però che poi, entro i termini concessi (di solito 60-120 giorni), si depositi un piano serio di concordato, altrimenti si farà solo slittare di poco la dichiarazione di fallimento. In sintesi: sì, l’istanza di fallimento può essere neutralizzata, ma bisogna reagire immediatamente, preferibilmente affiancati da un legale esperto.

D: La mia è una piccola ditta individuale di noleggio: posso accedere al concordato preventivo?
R: Dipende se rientri nelle categorie di imprenditore “fallibile”. La legge italiana (art. 2 CCII) esclude dalle procedure concorsuali ordinarie l’imprenditore sotto certi parametri: attivo patrimoniale annuo ≤ €300.000, ricavi ≤ €200.000, debiti ≤ €500.000 (valori indicativi, soglie aggiornate dal 2022). Se la tua ditta è sotto soglia, non può accedere a concordato preventivo né essere dichiarata fallita. Tuttavia, hai a disposizione le procedure da sovraindebitamento (ora chiamate concordato minore, ristrutturazione del consumatore, liquidazione controllata). In pratica puoi presentare un concordato minore al tribunale, con l’aiuto di un OCC, che è molto simile a un concordato preventivo ma tarato per le micro-imprese e con maggiori tutele per il debitore meritevole . Ad esempio, un imprenditore individuale sotto soglia può proporre ai creditori un piano di pagamento parziale, e il giudice può omologarlo anche con il dissenso di eventuali creditori (basta che la maggioranza lo approvi, come nel concordato classico). Se invece la tua ditta supera anche uno solo dei parametri, sei considerato “fallibile” e quindi ammesso a concordato preventivo e fallimento. In sintesi: le piccole imprese possono ristrutturare i debiti con strumenti dedicati (che offrono gli stessi effetti sostanziali del concordato) . Dal punto di vista pratico non c’è grande differenza: ti rivolgerai comunque al tribunale, tramite un OCC, per far approvare un piano e ottenere l’esdebitazione finale .

D: Se la mia società fallisce, i debiti verso il Fisco, banche, ecc. si cancellano automaticamente?
R: Attenzione, qui distinguiamo: se la tua impresa è una società di capitali (es. SRL), con il fallimento (liquidazione giudiziale) la società verrà spogliata di tutti i beni e poi cancellata dal registro imprese. A quel punto, i creditori sociali non potranno più avanzare pretese perché il soggetto giuridico debitore non esiste più. I debiti insoddisfatti di una società di capitali dunque restano inesigibili, di fatto “cancellati” salvo che i soci o amministratori abbiano responsabilità personali (fideiussioni firmate, azioni di responsabilità, reati tributari con obbligo di rifondere il danno, ecc.). Quindi, per la società in sé, il fallimento chiude la storia debitoria. Se però la tua società è di persone (SNC, SAS) o sei un imprenditore individuale, i creditori potrebbero rivalersi anche dopo la procedura sui soci o sull’imprenditore, a meno che questi non ottengano la esdebitazione. Oggi la legge prevede che, terminata la liquidazione giudiziale, la persona fisica possa chiedere al tribunale di essere esdebitata (liberata) dai debiti residui . Il tribunale la concede se il fallito ha cooperato e non ci sono irregolarità gravi. Quindi, sì, in pratica dopo un fallimento si possono cancellare i debiti residui, ma serve un provvedimento di esdebitazione. Se non lo chiedi o non te lo concedono (ad es. perché hai frodato i creditori), i creditori potrebbero teoricamente perseguitarti ancora (nei limiti della prescrizione). Ad ogni modo, un creditore non soddisfatto nel fallimento spesso sa di non avere più margine. Un caso diverso: se come persona fisica avevi garantito i debiti sociali (es. hai firmato una fideiussione alla banca), quella obbligazione è autonoma e la banca, dopo la chiusura del fallimento della società, potrà pretendere da te garante il pagamento (per la parte di credito non pagata nel fallimento) . Anche in tal caso, l’unica via per liberartene è una procedura di sovraindebitamento o chiedere la tua personale esdebitazione.

D: Posso trasferire la barca a un familiare o venderla a prezzo irrisorio per proteggerla dai creditori?
R: Questa mossa è fortemente sconsigliata e può peggiorare la situazione. Se hai già debiti rilevanti, alienare i beni a titolo gratuito o a prezzo vile rischia di essere considerato un atto in frode ai creditori. Innanzitutto, civilmente il curatore o i creditori potrebbero agire con un’azione revocatoria: se ad esempio vendi la barca a tuo cugino per una cifra simbolica sapendo di essere insolvente, il tribunale può revocare quella vendita entro 2 anni (o anche 5 anni se dolosa) e far rientrare la barca nel patrimonio aggredibile. Inoltre, penalmente potrebbe configurarsi il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (se ci sono debiti fiscali > €50k) o di bancarotta fraudolenta se poi fallisci . La legge punisce chi “occulta o distrae” i propri beni per pregiudicare i creditori. Abbiamo visto nella guida casi di barche intestate a prestanome: quando l’intento è evitare i creditori, scatta il reato di trasferimento fraudolento di valori (art. 512-bis c.p.) e la confisca obbligatoria della barca . In più, quell’atto non ti gioverebbe: se i creditori lo scoprono (e spesso lo scoprono incrociando i dati di spesa e le disponibilità del prestanome), ti faranno causa e la barca verrà comunque aggredita. Insomma, è una strategia illecita e controproducente. Molto meglio, se vuoi salvare la barca strumentale all’attività, imbastire una procedura concorsuale in cui magari ne prevedi l’uso continuativo (ad es. chiedendo in concordato di continuare a usarla per produrre reddito con cui pagare i creditori). Oppure, se devi cederla, farlo a valori di mercato e utilizzare il ricavato per transare con i creditori – questo è lecito e anzi doveroso.

D: I debiti fiscali (IVA, ritenute) vanno pagati per forza integralmente in caso di concordato?
R: No, non necessariamente. Fino a qualche anno fa la regola era il pagamento integrale di IVA e ritenute in caso di concordato, ma la normativa è cambiata. Oggi è possibile proporre anche ai creditori erariali un pagamento parziale (transazione fiscale), sia nel concordato preventivo che negli accordi di ristrutturazione . La transazione fiscale prevede però condizioni: l’Erario deve ricevere almeno quanto otterrebbe in una liquidazione fallimentare e comunque il trattamento non può essere deteriore rispetto ad altri creditori di pari grado. Se queste condizioni sono rispettate, si può ad esempio offrire di pagare solo il 80% dell’IVA e stralciare sanzioni e interessi. Se l’Erario aderisce, bene; se rifiuta ma la proposta era conveniente, il tribunale può anche omologare il concordato nonostante il voto contrario (il c.d. cram-down fiscale) , ma solo se nel piano è previsto il pagamento integrale del capitale per IVA e ritenute o comunque di una percentuale non inferiore a quella ricavabile da liquidazione. Dunque in concreto: se nel tuo concordato in continuità dimostri che pagando il 50% di IVA lo Stato prende più di quanto prenderebbe vendendo la barca in fallimento, il giudice può omologare lo stesso anche se l’Agenzia ha votato no. Questo è un enorme passo avanti per il debitore. Nota: nelle procedure di sovraindebitamento (piano del consumatore, concordato minore) c’è persino più libertà, il giudice può disporre falcidie di tributi senza necessità di voto (fermo restando il rispetto del miglior soddisfo rispetto alla liquidazione). Quindi, salvo casi eccezionali, non è più vero che i debiti fiscali vanno sempre pagati al 100%: si può contrattare anche con il Fisco . Naturalmente però un minimo di pagamento di IVA/ritenute è quasi obbligato, sia per ragioni legali (soglia di convenienza) sia perché l’Agenzia Entrate difficilmente accetterebbe meno del 20-30%. Nel dubbio, consultati con i tuoi consulenti: spesso conviene pagare integralmente l’IVA se ciò permette un’omologa veloce, ma ridurre altre componenti (sanzioni, interessi e imposte minori).

D: Ho debiti con i dipendenti (stipendi non pagati, TFR): come vengono trattati?
R: I debiti verso dipendenti per retribuzioni e TFR sono considerati privilegiati al massimo grado. La legge tutela fortemente i lavoratori: i loro crediti per stipendi degli ultimi 12 mesi e per TFR hanno privilegio generale sui mobili e addirittura un super-privilegio che li rende preferiti anche rispetto a Equitalia e banche su certi beni . In caso di concordato o fallimento, vanno quindi pagati per intero (almeno le ultime 3 mensilità e il TFR) per poter essere omologati. Se la tua impresa non riesce a pagare subito i dipendenti, rischi che essi si licenzino per giusta causa (non ricevere lo stipendio è ovviamente un grave inadempimento datoriale) e ti facciano causa. Inoltre, in caso di fallimento, i dipendenti possono attingere al Fondo di Garanzia INPS che paga loro TFR e ultime mensilità dovute, surrogandosi poi nei loro crediti sul fallimento . Quindi, di fatto in un fallimento i dipendenti vengono soddisfatti prioritariamente dal Fondo INPS e dal ricavato dei beni (spesso integralmente), lasciando i creditori chirografari ancor più a bocca asciutta. Dunque, dal punto di vista strategico, conviene trattare i dipendenti come creditori prioritari: se possibile pagarli o accordarsi (es. dando subito una parte e il resto dilazionato con garanzie). Non pagarli porta a perdita di risorse umane qualificate e a ulteriori guai (cause legali, decreti ingiuntivi con esecuzioni preferenziali). Nota: il mancato pagamento volontario e protratto delle retribuzioni potrebbe anche configurare reato contrattuale (l’art. 603-bis c.p. sul caporalato punisce anche lo sfruttamento sistematico con retribuzioni palesemente insufficienti). Non è applicabile al semplice ritardo dovuto a crisi, ma se emergesse che l’imprenditore aveva mezzi e ha scelto di non pagare i dipendenti, potrebbe avere problemi. In conclusione, massima priorità alla regolarizzazione dei debiti verso il personale. In un concordato, non a caso, di solito si propone il pagamento integrale al 100% dei dipendenti (magari subito dopo l’omologa) anche se si tagliano i fornitori.

D: Quali reati specifici rischio se non sistemo la mia situazione debitoria?
R: Riassumendo quanto già detto: i reati più comuni legati all’inadempimento d’impresa sono: – Omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis D.Lgs. 74/2000): se non versi le ritenute fiscali sui redditi dei dipendenti/collaboratori per oltre €150.000 annui. Pena max 3 anni. Evitabile pagando il dovuto prima della dichiarazione del dibattimento. – Omesso versamento IVA (art. 10-ter): se non versi IVA > €250.000 annui. Pena max 2 anni. Anche qui, pagamento integrale prima della sentenza di primo grado estingue il reato (causa di non punibilità introdotta nel 2019). – Omesso versamento di contributi previdenziali (art. 2, co.1-bis, DL 463/1983): se non versi > €10.000 annui di contributi dovuti sulle retribuzioni. Contravvenzione penale con max 3 anni. Non punibile se paghi entro 3 mesi dalla contestazione . – Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000): se metti in atto atti simulati o frodi per evitare il pagamento di imposte, avendo debiti iscritti a ruolo ≥ €50k. Esempi: vendi beni a prezzo stracciato a un amico, svuoti il conto poco prima che arrivi la cartella. Pena fino a 4-7 anni, e confisca obbligatoria dei beni trasferiti . – Bancarotta fraudolenta (artt. 322-323 CCII): se la tua società viene dichiarata insolvente (liquidazione giudiziale) e risulta che hai distratto beni, falsificato scritture, occultato attivo o aggravato dolosamente il dissesto. Pena fino a 10 anni. Se hai solo gestito male senza dolo, può esserci bancarotta semplice (molto più lieve, depenalizzata amministrativamente se non grave dal 2020). La bancarotta preferenziale (pagamenti preferenziali a qualche creditore a scapito di altri prima del fallimento) è punita fino a 2 anni . – Reati societari: es. false comunicazioni sociali se hai falsato i bilanci per nascondere la crisi, oppure illecita ripartizione di beni ai soci in danno ai creditori. Ma queste ipotesi sono più rare e implicano dolo specifico.

In definitiva, i punti di attenzione sono: non superare le soglie penali tributarie (o se le superi, attivati per rientrare/pagare prima possibile) ; non compiere atti di frode (niente spostamenti anomali di beni o soldi a terzi) ; se prevedi il fallimento, non dissipare il patrimonio residuo (continua a operare regolarmente finché puoi, o fermati, ma non fare “colpi di coda” illeciti). Utilizzare invece gli strumenti legali per congelare la situazione e magari ottenere riduzioni lecite dei debiti. In tal modo, nessuno potrà accusarti di reati: attivando un concordato o accordo, paghi ciò che devi secondo la legge e le eventuali condotte penalmente rilevanti vengono sanate (il pagamento prima del giudizio estingue omessi versamenti; l’omologa concordataria evita contestazioni di bancarotta su atti compiuti secondo piano).

D: Come funzionano le rateizzazioni con Fisco e INPS? Posso chiedere 10 anni di tempo?
R: Le rateizzazioni amministrative ordinarie hanno limiti: Agenzia Entrate-Riscossione può dare fino a 72 rate (6 anni) per debiti fino a €120k senza dover dimostrare crisi, e oltre con certificazione; l’INPS analogamente fino a 24-36 mesi ampliabili a 72. Tassi d’interesse attualmente intorno al 8-9% annuo . Non esistono piani decennali ordinari se non in casi eccezionali (salvo nuove norme). Tuttavia, nelle procedure di composizione della crisi c’è più margine: il CCII consente di arrivare fino a 120 rate (10 anni) per debiti fiscali e contributivi all’interno di un concordato o accordo omologato, purché ciò sia funzionale alla soddisfazione dei creditori e l’impresa abbia prospettive di continuità . Ad esempio, nel concordato in continuità puoi proporre di pagare l’IVA in 6 anni e l’INPS in 8 anni se dimostri che gli incassi futuri lo permetteranno. L’AdER e l’INPS possono accettare perché la legge lo incentiva (è meglio prendere in 10 anni che nulla). Quindi, se hai bisogno di tempi lunghi, probabilmente dovrai passare per una procedura concorsuale. Fuori da quelle, potresti al massimo ottenere 6 anni + eventuali proroghe legislative (in passato, con la pandemia, furono concesse sospensioni). Ricorda che se rateizzi fiscalmente, in genere devi anche essere puntuale con le rate: basta saltarne 5 (anche non consecutive) per decadere dal beneficio. Quindi non chiedere piani lunghi se non sei certo di poterli sostenere (magari meglio un taglio del debito e piano più corto fattibile).

D: Alla fine, conviene attivare tutte queste procedure o è meglio liquidare e basta?
R: È una valutazione caso per caso. Attivare procedure di risanamento conviene se c’è ancora un core business valido da salvare e se i creditori possono ragionevolmente ottenere più collaborando che non liquidando tutto. Se la tua azienda di noleggio ha ancora mercato (clienti, know-how, licenze, asset utili), vale la pena tentare il risanamento: tu mantieni l’attività (anche se ridimensionata) e i creditori recuperano più valore nel tempo. Se invece l’attività è strutturalmente in perdita, le barche valgono poco o sono obsolete, e non c’è modo di renderla profittevole, allora spesso conviene liquidare subito volontariamente. In tal caso, potresti tu stesso chiedere la liquidazione giudiziale (fallimento) o, se persona fisica, avviare una liquidazione controllata con esdebitazione: tagli le perdite, lasci che il curatore venda i beni e poi riparti senza debiti a livello personale. Continuare un’impresa decotta solo per ritardare l’inevitabile spesso aggrava la posizione (più debiti, più rischi penali). D’altra parte, ho visto imprese apparentemente spacciate risorgere con un abile concordato e qualche investimento fresco. Quindi conviene se intravedi una via di rilancio. Se no, meglio chiudere ordinatamente, anche per evitare responsabilità legali. Il bello dell’ordinamento attuale è che, in entrambi i casi (risanamento o liquidazione), c’è comunque uno scudo per il debitore onesto: se collabori, potrai liberarti dei debiti residui (tramite esdebitazione) . In conclusione, fatti assistere in una analisi di fattibilità: se c’è continuità e convenienza per i creditori, vai con il risanamento; se i numeri dicono che non c’è storia, meglio liquidare e chiedere lo start over.

D: Dopo aver chiuso i debiti con concordato o accordo, come posso evitare di ricadere in difficoltà in futuro?
R: Questa è una domanda importante. La legge cerca di responsabilizzare l’imprenditore con norme come l’art. 2086 c.c. sugli assetti adeguati: significa dotarsi di strumenti di controllo di gestione, pianificazione finanziaria, etc., anche per PMI. Quindi, prevenzione è la parola chiave: tenere d’occhio i flussi di cassa, fare budget annuali realistici, mettere da parte riserve nei periodi buoni per coprire quelli magri (nel noleggio sai che l’inverno è debole: una parte degli incassi estivi va accantonata per IVA, tasse e spese fisse invernali). Inoltre, diversificare le linee di business può aiutare: ad esempio, affiancare al noleggio puro qualche servizio integrativo (scuola di vela, escursioni personalizzate) per avere introiti più destagionalizzati. Includi sistemi di allerta interna: se noti 2-3 indicatori come calo del fatturato >20% o aumento dei debiti oltre un certo multiplo, consulta subito un esperto prima che degeneri. Infine, mantieni un dialogo trasparente con banche e creditori: se conquisti la loro fiducia con una gestione post-crisi corretta, saranno più disponibili in caso di futuri momenti difficili (magari concedendo micro dilazioni senza allarmarsi). L’esperienza della crisi superata dev’essere un monito: come un atleta reduce da infortunio, l’azienda dovrà essere più “in forma” di prima. Sfrutta eventuali consulenze (anche gratuite: molte Camere di Commercio offrono check-up finanziari per PMI) e non sottovalutare i segnali (anche piccoli ritardi nei pagamenti vanno analizzati). Così facendo, ridurrai di molto la probabilità di ricadere nel circolo vizioso dei debiti. E se proprio dovessi incappare in un nuovo shock esterno (es. un’altra pandemia?), saprai già come muoverti proattivamente con gli strumenti di tutela.

Conclusione: Navigare tra i debiti di un’attività di noleggio barche turistiche può sembrare arduo, ma con le conoscenze giuridiche adeguate e l’assistenza giusta, è possibile mettere in sicurezza l’impresa, difendersi dagli attacchi più pericolosi e persino ripartire più forti di prima. La chiave è agire per tempo, usare gli strumenti legali con strategia e onestà, e imparare dalla crisi per costruire un futuro sostenibile.

Gestisci un’attività di noleggio barche turistiche, gommoni o charter nautici e ti ritrovi con debiti verso banche, finanziarie, fornitori o Agenzia delle Entrate? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Gestisci un’attività di noleggio barche turistiche, gommoni o charter nautici e ti ritrovi con debiti verso banche, finanziarie, fornitori o Agenzia delle Entrate?
Hai leasing o mutui per le imbarcazioni non pagati, cartelle esattoriali, contributi INPS o IVA arretrata e temi pignoramenti o la perdita delle barche?
👉 Non sei solo: molte imprese del turismo nautico vivono situazioni di sovraindebitamento, ma oggi la legge ti offre strumenti legali concreti per bloccare i creditori, ridurre o cancellare i debiti e ripartire in modo regolare e protetto.

In questa guida scoprirai perché le imprese di noleggio barche finiscono in difficoltà, quali soluzioni legali puoi adottare e come difenderti per salvare il tuo lavoro e i tuoi beni.


⚓ Perché le imprese di noleggio barche turistiche si indebitano

Il turismo nautico è uno dei settori più esposti a crisi di liquidità, per varie ragioni:

  • stagionalità dei ricavi e lunghi periodi di inattività invernale;
  • costi elevati di gestione (ormeggi, assicurazioni, carburante, manutenzione);
  • leasing o mutui onerosi per barche, motori o attrezzature di bordo;
  • ritardi nei pagamenti di clienti, agenzie o tour operator;
  • mancati versamenti fiscali o contributivi;
  • cali improvvisi della domanda turistica dovuti a crisi economiche o climatiche.

📌 Tutti questi fattori possono generare debiti fiscali, bancari e commerciali, che rischiano di portare alla perdita delle imbarcazioni o alla chiusura dell’attività.


🧾 Tipologie di debiti più comuni nel settore del noleggio nautico

Debiti fiscali e contributivi

  • IVA, IRPEF, IRAP, INPS, INAIL, cartelle esattoriali e accertamenti dell’Agenzia delle Entrate.

Debiti bancari e finanziari

  • Leasing o mutui per barche, gommoni, motori o mezzi di supporto.
  • Scoperti di conto, fidi aziendali, rate di finanziamento arretrate.

Debiti commerciali

  • Fatture non pagate a fornitori di carburante, manutenzione, cantieri, porti turistici o broker.

Debiti personali o fideiussioni

  • Garanzie firmate dal titolare o dai soci per finanziamenti e leasing aziendali.

⚠️ Cosa rischia un’impresa di noleggio con debiti

Se non agisci in tempo, i creditori possono:

  • pignorare o sequestrare le barche e gli ormeggi;
  • bloccare i conti correnti aziendali;
  • revocare leasing e mutui nautici;
  • iscrivere ipoteche o fermi;
  • avviare azioni giudiziarie e di recupero forzato.

👉 Ma la legge oggi ti consente di bloccare tutto subito, sospendere le azioni dei creditori e ripartire in modo legale, senza fallire.


🧩 Le soluzioni legali per imprese nautiche con debiti

💠 1. Rinegoziazione dei debiti con banche e fornitori

Con l’aiuto di un avvocato puoi trattare accordi di saldo e stralcio o piani di pagamento più lunghi e sostenibili.
Puoi ottenere:

  • riduzioni del debito fino al 70%;
  • rateizzazioni compatibili con la stagionalità dei ricavi;
  • sospensioni temporanee dei pagamenti per evitare azioni esecutive.

👉 È la soluzione migliore per chi ha ancora un flusso di lavoro e vuole salvare barche e attività.


💠 2. Concordato minore (per SRL o società nautiche)

Previsto dal Codice della Crisi d’Impresa (D.Lgs. 14/2019), permette di:

  • bloccare immediatamente pignoramenti, cartelle e azioni dei creditori;
  • proporre un piano di ristrutturazione parziale del debito approvato dal Tribunale;
  • mantenere in attività l’impresa e i mezzi nautici essenziali.

📌 È ideale per società che gestiscono più barche e desiderano proseguire in regola.


💠 3. Procedura di sovraindebitamento (per ditte individuali o piccoli operatori)

Se sei un titolare individuale o skipper con partita IVA, puoi accedere alla procedura di sovraindebitamento per:

  • bloccare pignoramenti e cartelle esattoriali;
  • proporre un piano di rientro sostenibile, anche parziale;
  • ottenere la cancellazione totale dei debiti residui (esdebitazione).

👉 È lo strumento più efficace per chi lavora nel turismo nautico in forma familiare o stagionale.


💠 4. Liquidazione controllata dei beni (ex fallimento personale)

Se l’attività non è più sostenibile, puoi chiudere in modo ordinato e protetto, mettendo a disposizione solo i beni non essenziali.
Alla fine della procedura, ottieni la cancellazione completa dei debiti residui, potendo ricominciare senza pendenze.


💠 5. Verifica di cartelle esattoriali e accertamenti fiscali

Molte cartelle o accertamenti contengono errori o importi prescritti.
Un avvocato può:

  • controllare la regolarità delle notifiche e dei termini di prescrizione (5 o 10 anni);
  • chiedere lo sgravio o la sospensione delle somme non dovute;
  • evitare che il debito fiscale blocchi l’attività.

🛥️ Cosa fare subito

✅ 1. Raccogli i documenti e analizza la situazione

Prepara un elenco dettagliato di: leasing, fornitori, mutui, cartelle, costi di gestione e contratti di ormeggio.

✅ 2. Blocca subito i creditori con una procedura legale

Con il deposito in Tribunale di una procedura di sovraindebitamento o concordato, tutti i creditori vengono sospesi per legge.

✅ 3. Non firmare accordi o piani non sostenibili

Molti creditori offrono rateizzazioni “capestro”. Agisci con una strategia globale seguita da un avvocato esperto in crisi d’impresa nautica.


📋 Documenti utili per la difesa

  • Documento d’identità e codice fiscale del titolare o legale rappresentante.
  • Visura camerale e bilanci aziendali.
  • Dichiarazioni fiscali e posizione INPS/INAIL.
  • Contratti di leasing, mutui e finanziamenti.
  • Cartelle esattoriali e accertamenti fiscali.
  • Elenco imbarcazioni, ormeggi e attrezzature.
  • Elenco fornitori e clienti.

⏱️ Tempi e risultati possibili

  • Analisi legale e finanziaria: 1–3 settimane.
  • Deposito della procedura: 1–2 mesi.
  • Blocco dei creditori: immediato al deposito in Tribunale.
  • Durata del piano di rientro: da 1 a 5 anni.

🎯 Risultati concreti:

  • Stop a pignoramenti e sequestri di barche.
  • Riduzione o cancellazione dei debiti residui.
  • Tutela delle imbarcazioni indispensabili per lavorare.
  • Ripartenza economica e professionale pulita.

⚖️ I vantaggi principali

✅ Blocco immediato di ogni azione di recupero crediti.
✅ Riduzione legale dei debiti fino all’80%.
✅ Tutela delle barche e delle attrezzature essenziali.
✅ Continuità dell’attività o chiusura ordinata senza fallimento.
✅ Ripartenza economica e reputazionale serena.


🚫 Errori da evitare

  • Ignorare le notifiche e le cartelle fiscali.
  • Accumulare nuovi debiti per coprire quelli vecchi.
  • Vendere barche o beni senza tutela legale.
  • Affidarsi a “mediatori del debito” non abilitati o non avvocati.
  • Aspettare troppo: ogni mese aumenta il rischio di azioni giudiziarie.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza la tua situazione economica e debitoria nel dettaglio.
📌 Ti guida nella scelta della strategia più adatta (rinegoziazione, concordato, sovraindebitamento o liquidazione).
✍️ Redige e deposita il piano legale in Tribunale per bloccare subito i creditori.
⚖️ Ti rappresenta nei rapporti con banche, leasing, fornitori e Agenzia delle Entrate.
🔁 Ti assiste fino alla cancellazione definitiva dei debiti o alla ristrutturazione completa dell’attività nautica.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in diritto marittimo, tributario e crisi d’impresa.
✔️ Specializzato nella difesa di imprese nautiche e operatori del turismo marittimo indebitati.
✔️ Gestore della crisi da sovraindebitamento iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Essere un’impresa di noleggio di barche turistiche con debiti non significa essere destinati a chiudere.
Con una difesa legale mirata e tempestiva, puoi bloccare le azioni dei creditori, ridurre i debiti fiscali e bancari e continuare a operare o chiudere in modo protetto.
Il Codice della Crisi d’Impresa oggi tutela gli imprenditori del settore nautico che vogliono davvero ripartire in modo legale e trasparente.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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