Hai ricevuto un’intimazione di pagamento dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione e non sai come reagire?
Si tratta di uno degli atti più temuti dai contribuenti, perché spesso arriva dopo anni di silenzio e può preludere a pignoramenti, ipoteche e fermi amministrativi.
L’errore più grave in questi casi è ignorare l’atto o aspettare troppo: l’intimazione ha effetti immediati e va gestita con rapidità.
La buona notizia è che la legge offre strumenti precisi per difenderti, sospendere la riscossione e verificare la legittimità dell’intimazione.
Con l’assistenza di un avvocato esperto, puoi evitare di subire conseguenze gravi e difendere efficacemente i tuoi beni.
Cos’è un’intimazione di pagamento
L’intimazione di pagamento è un atto con cui l’Agenzia delle Entrate-Riscossione ti chiede di pagare un debito entro 5 giorni.
Arriva dopo l’emissione di una cartella esattoriale o di un avviso di addebito non pagato e serve come ultimo avvertimento prima dell’avvio delle azioni esecutive.
In pratica, se non paghi entro il termine indicato, l’ADER può procedere immediatamente con il pignoramento del conto corrente, dello stipendio o dei beni mobili e immobili.
Per questo motivo, l’intimazione va considerata un atto urgente e da analizzare subito.
Quando viene inviata l’intimazione
L’Agenzia delle Entrate-Riscossione invia l’intimazione di pagamento nei seguenti casi:
- dopo la notifica di una cartella non pagata entro 60 giorni;
 - quando sono trascorsi più di 12 mesi dall’ultima notifica e la riscossione deve essere riattivata;
 - in caso di accertamento esecutivo dell’Agenzia delle Entrate;
 - per sollecitare il pagamento prima di iscrivere ipoteche o avviare pignoramenti.
 
Ricevere un’intimazione non significa essere già pignorati, ma il rischio è immediato se non si interviene entro i tempi previsti.
Cosa contiene un’intimazione di pagamento
L’atto deve indicare in modo chiaro:
- il numero delle cartelle o degli avvisi a cui si riferisce;
 - l’importo dovuto, comprensivo di sanzioni e interessi;
 - il termine per il pagamento (5 giorni);
 - l’avviso che, in mancanza di pagamento, si procederà all’esecuzione forzata.
 
Se mancano alcune di queste informazioni o se le notifiche precedenti non sono state eseguite correttamente, l’intimazione può essere impugnata.
Cosa fare subito dopo aver ricevuto l’intimazione
Agire in fretta è fondamentale. Ecco i passi immediati da seguire:
- Non ignorare l’atto.
L’intimazione non è una semplice comunicazione: se non reagisci entro pochi giorni, il Fisco può procedere con il pignoramento. - Verifica la regolarità della notifica.
Un avvocato può controllare se l’intimazione e le cartelle precedenti sono state notificate correttamente. In caso contrario, l’atto è nullo. - Richiedi l’estratto di ruolo.
Serve per capire esattamente da quali cartelle deriva l’intimazione e se ci sono importi prescritti o già pagati. - Presenta un ricorso o un’istanza di sospensione.
Se l’atto contiene errori, puoi chiedere al giudice tributario la sospensione della riscossione. L’azione esecutiva viene bloccata fino alla decisione del tribunale. - Valuta la rateizzazione o la definizione agevolata.
Se il debito è corretto ma non puoi pagarlo in un’unica soluzione, puoi chiedere una rateizzazione fino a 120 rate o aderire a una rottamazione, se disponibile. 
Come difendersi da un’intimazione illegittima
L’intimazione può essere impugnata quando:
- si riferisce a cartelle mai notificate o notificate in modo irregolare;
 - contiene importi prescritti o già pagati;
 - non indica chiaramente la provenienza del debito;
 - è stata inviata senza titolo valido o dopo i termini di decadenza.
 
In questi casi, un avvocato può presentare ricorso al giudice tributario o istanza di sospensione immediata, ottenendo il blocco della riscossione e l’annullamento dell’atto.
Le soluzioni legali per chi non riesce a pagare
Se i debiti sono troppo elevati e non puoi più farvi fronte, la legge offre diverse possibilità:
- rateizzazione dei debiti fiscali, fino a 10 anni;
 - definizione agevolata (rottamazione), con cancellazione di sanzioni e interessi;
 - saldo e stralcio, per chi si trova in comprovata difficoltà economica;
 - procedura di sovraindebitamento, che blocca ogni pignoramento e può portare alla cancellazione totale dei debiti residui.
 
La scelta dello strumento giusto dipende dalla tua situazione economica e dalla tipologia dei debiti iscritti a ruolo.
Come bloccare pignoramenti e azioni esecutive
Dopo l’intimazione, l’Agenzia delle Entrate può procedere rapidamente al pignoramento.
Puoi però evitarlo in diversi modi:
- presentando un ricorso tempestivo;
 - chiedendo una rateizzazione immediata;
 - depositando un’istanza di sospensione cautelare;
 - attivando la procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento.
 
Queste azioni sospendono automaticamente ogni misura di esecuzione fino alla valutazione del giudice o dell’ufficio competente.
I vantaggi di agire tempestivamente
Intervenire subito dopo aver ricevuto l’intimazione ti permette di:
- evitare pignoramenti e fermi amministrativi;
 - ridurre o cancellare interessi e sanzioni;
 - contestare debiti illegittimi o prescritti;
 - rateizzare le somme dovute;
 - proteggere i tuoi beni personali e aziendali.
 
Una difesa legale tempestiva può letteralmente salvarti da conseguenze economiche gravi e spesso irreversibili.
Attenzione alle false promesse
Diffida di chi promette di cancellare i debiti o annullare le cartelle “in automatico”.
Solo un avvocato esperto in diritto tributario e riscossione può valutare la legittimità dell’atto e attivare le procedure legali previste per bloccare la riscossione o rateizzare i debiti in modo sicuro.
Affidarsi a consulenti non qualificati o agire da soli può peggiorare la situazione e ridurre drasticamente le possibilità di difesa.
Quando rivolgersi a un avvocato esperto
Devi contattare un avvocato se:
- hai ricevuto un’intimazione di pagamento o un atto di pignoramento;
 - sospetti irregolarità nelle notifiche o nei conteggi;
 - vuoi rateizzare o definire legalmente i debiti con l’Agenzia delle Entrate;
 - temi il blocco del conto o il pignoramento dello stipendio.
 
Un avvocato esperto può impugnare l’intimazione, bloccare le azioni esecutive e accompagnarti nel percorso di rateizzazione o esdebitazione totale.
⚠️ Attenzione: l’intimazione di pagamento è l’ultimo passo prima dell’esecuzione forzata. Ignorarla significa rischiare il pignoramento immediato dei conti e dei beni. Agisci subito per tutelarti.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, riscossione e tutela dei contribuenti – spiega in modo chiaro cosa fare quando ricevi un’intimazione di pagamento, come difenderti e come gestire legalmente i debiti fiscali con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione.
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Analizzeremo la tua situazione, verificheremo la legittimità dell’atto e costruiremo una strategia legale personalizzata per bloccare la riscossione, evitare il pignoramento e risolvere i tuoi debiti in modo definitivo.
Introduzione
Ricevere un’intimazione di pagamento da parte dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ADER) è un evento che può generare forte preoccupazione nel debitore. Si tratta infatti di un ultimo avvertimento, con cui l’ente di riscossione intima il pagamento di debiti fiscali, contributivi o di altre sanzioni (come multe stradali) entro un termine brevissimo (solitamente 5 giorni) prima di avviare procedure di esecuzione forzata . In altre parole, se non si interviene rapidamente, si rischia di subire pignoramenti, fermi amministrativi su veicoli, ipoteche su immobili o altri atti esecutivi volti a recuperare coattivamente le somme dovute.
Questa guida – aggiornata a settembre 2025 – fornisce un quadro approfondito e pratico, dal punto di vista del debitore, su cosa fare immediatamente per difendersi da un’intimazione di pagamento dell’Agenzia delle Entrate. Adotteremo un linguaggio giuridicamente accurato ma divulgativo, utile sia ai professionisti del diritto (avvocati, consulenti) sia ai privati cittadini e imprenditori che si trovino ad affrontare questa situazione. Verranno illustrati i riferimenti normativi italiani più rilevanti, le sentenze più aggiornate in materia, nonché strumenti pratici di tutela (ricorsi, opposizioni, rateazioni, definizioni agevolate, ecc.). Troverete inoltre tabelle riepilogative, esempi concreti e una sezione di domande e risposte per chiarire i dubbi più comuni.
Attenzione: poiché la materia è complessa, è fondamentale agire in tempi rapidi e con cognizione di causa. Una reazione tempestiva e corretta può fare la differenza tra perdere diritti di difesa (ad esempio far decadere la possibilità di eccepire una prescrizione) e, viceversa, ottenere l’annullamento o la sospensione delle pretese indebite . Nei paragrafi seguenti vedremo innanzitutto cos’è esattamente un’intimazione di pagamento e come si inserisce nel procedimento di riscossione, per poi analizzare in dettaglio come il debitore può tutelarsi sin dal primo momento in cui riceve l’atto.
Cos’è un’intimazione di pagamento? Base normativa e funzione
Un’intimazione di pagamento (detta anche avviso di intimazione) è un atto formale previsto dall’art. 50 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, che disciplina la riscossione a mezzo ruolo . In base a tale norma, se è trascorso più di un anno dalla notifica della cartella di pagamento (o di un avviso di accertamento immediatamente esecutivo) senza che sia iniziata l’esecuzione forzata, l’Agente della riscossione deve notificare al debitore un avviso contenente l’intimazione ad adempiere entro 5 giorni, prima di poter procedere al pignoramento . In altre parole, l’intimazione è un ultimo sollecito obbligatorio, una sorta di ultimatum, che riepiloga i debiti ancora dovuti e concede al contribuente un brevissimo termine (5 giorni dalla notifica) per pagarli spontaneamente . Decorso tale termine, in mancanza di pagamento o di altre azioni difensive efficaci, l’esecuzione forzata può essere avviata immediatamente (ad esempio, pignoramento di conto corrente, stipendio, beni mobili o immobili).
Dal punto di vista formale, l’intimazione di pagamento somiglia a una cartella esattoriale: deve essere redatta per iscritto, indicare il soggetto debitore, la somma dovuta e la provenienza del debito, contenere la richiesta esplicita di pagamento entro il termine di legge e manifestare in modo chiaro la volontà dell’amministrazione di far valere il proprio credito . Essa generalmente elenca le cartelle di pagamento o gli avvisi di accertamento a cui si riferisce (gli atti “presupposti” già notificati in passato e non pagati), con i relativi importi aggiornati. È importante sottolineare che l’intimazione non costituisce un nuovo titolo esecutivo autonomo: la legittimità della pretesa si basa sempre sugli atti precedenti ormai definitivi (cartelle, accertamenti, avvisi di addebito, ecc.) e l’intimazione funge solo da richiamo di tali pretese . Proprio per questo motivo – come vedremo – contestare un’intimazione significa spesso andare a verificare la validità e l’esistenza in vita di quegli atti presupposti (ad esempio controllando se la cartella indicata fu validamente notificata, o se il credito non sia caduto in prescrizione).
Riepilogando, i punti chiave sull’intimazione di pagamento sono i seguenti:
- Viene emessa da Agenzia Entrate-Riscossione (ex Equitalia) quando un debito iscritto a ruolo è rimasto impagato e oltre 12 mesi sono trascorsi dall’ultima notifica (cartella di pagamento o atto esecutivo equivalente) senza che sia iniziata l’esecuzione . Serve dunque a “riautorizzare” l’azione esecutiva dopo un lungo intervallo di inattività.
 - Contiene l’ordine di pagare entro 5 giorni (“intimazione ad adempiere”) i debiti elencati, con avvertimento che, in difetto, si procederà a esecuzione forzata senza ulteriore preavviso .
 - Deve indicare con chiarezza gli estremi delle somme dovute e degli atti da cui originano (ruoli, cartelle, avvisi ecc.), in modo che il destinatario comprenda la pretesa e possa esercitare il diritto di difesa .
 - Non inaugura un nuovo debito, ma si innesta su pretese già esistenti e, di norma, definitive. Ha tuttavia un’importante efficacia interruttiva dei termini di prescrizione (su cui torneremo in dettaglio) .
 - Rientra tra gli atti impugnabili dal contribuente innanzi all’autorità giudiziaria competente, al pari degli altri atti della riscossione elencati tassativamente nell’art. 19 del D.Lgs. 546/1992 (in particolare è equiparata all’“avviso di mora”) . Ciò significa che, se il debitore contesta qualcosa (ad esempio eccepisce un vizio di notifica o la prescrizione del credito), deve impugnare tempestivamente l’intimazione, altrimenti quella contestazione potrebbe essere preclusa .
 
È bene chiarire che l’intimazione di pagamento non va confusa con altri atti simili nel contesto della riscossione:
- Sollecito di pagamento: comunicazione (non prevista da obbligo di legge) con cui l’ADER ricorda al debitore il mancato pagamento di una cartella entro i 60 giorni. Non è un atto formale impugnabile, ma un semplice sollecito bonario.
 - Preavviso di fermo amministrativo: comunicazione inviata dall’ADER quando intende iscrivere un fermo sul veicolo del debitore; concede 30 giorni per pagare prima di procedere al fermo. È un atto cautelare e può essere impugnato (trattandosi di atto successivo alla cartella).
 - Preavviso di ipoteca: analogo al preavviso di fermo, ma relativo all’iscrizione di ipoteca su beni immobili; anch’esso deve precedere di almeno 30 giorni l’iscrizione e può essere oggetto di ricorso.
 - Atto di pignoramento: è il provvedimento con cui inizia l’esecuzione forzata vera e propria (pignoramento mobiliare, immobiliare o presso terzi). A differenza dell’intimazione, il pignoramento segue se i 5 giorni sono decorsi inutilmente ed è soggetto alle regole dell’esecuzione forzata civile.
 
In sintesi, l’intimazione di pagamento rappresenta l’ultima chiamata per il debitore prima che scattino misure coercitive. Nella sezione seguente vedremo come si inserisce l’intimazione nel procedimento di riscossione a mezzo ruolo, dalla formazione del ruolo fino alle azioni esecutive, così da avere un quadro completo.
Dal ruolo alla cartella e oltre: il percorso della riscossione coattiva
Per comprendere come si arriva all’intimazione di pagamento, è utile ripercorrere brevemente le fasi della riscossione coattiva mediante ruolo (strumento con cui lo Stato e gli enti creditori riscuotono forzatamente crediti come tasse, contributi, multe, ecc.). Ecco le tappe principali:
- Iscrizione a ruolo del debito: l’ente creditore (es. Agenzia delle Entrate per tributi erariali, un Comune per una multa, l’INPS per contributi previdenziali) quando ha un credito certo, liquido ed esigibile forma un ruolo, cioè un elenco dei debitori e delle somme dovute. Il ruolo è un provvedimento amministrativo interno che costituisce il titolo per la riscossione. Viene trasmesso all’Agente della Riscossione (ADER) per l’esecuzione .
 - Cartella di pagamento (o Avviso di addebito/Accertamento esecutivo): l’ADER, ricevuto il ruolo, notifica al debitore una cartella esattoriale (detta anche cartella di pagamento) contenente la richiesta di pagare le somme iscritte a ruolo entro 60 giorni . Dal 2011 in alcuni casi la cartella è stata sostituita da atti emessi direttamente dall’ente creditore ma con efficacia esecutiva: ad esempio l’avviso di accertamento esecutivo per le imposte erariali o l’avviso di addebito INPS per i contributi previdenziali. Questi atti valgono come titoli esecutivi decorso il termine per pagarli (in genere 60 giorni) e sono equiparati alla cartella ai fini della riscossione coattiva . In qualunque forma (cartella o avviso), questo è l’atto che notifica ufficialmente il debito al contribuente, il quale può impugnarlo entro i termini di legge (60 giorni per tributi, 30 giorni per multe, 40 giorni per avvisi INPS, ecc., a seconda dei casi). Se non viene impugnato né pagato, l’atto diventa definitivo ed esecutivo .
 - Inizio dell’esecuzione forzata: scaduti i 60 giorni dalla notifica della cartella (o altro atto esecutivo) senza pagamento, l’ADER può procedere al recupero coattivo. In teoria, l’esecuzione può iniziare già dal 61° giorno, poiché la cartella è un titolo esecutivo valido senza bisogno di ulteriori passaggi giudiziari. Tuttavia, se è trascorso oltre un anno dalla notifica della cartella senza che sia stato effettuato alcun atto esecutivo, la legge impone la notifica di un’intimazione di pagamento prima di procedere al pignoramento . Questo per evitare che il debitore subisca un pignoramento “a sorpresa” a molti mesi o anni di distanza dalla cartella originaria, senza un ultimo avviso .
 - Intimazione di pagamento: come già descritto, è l’atto che concede ulteriori 5 giorni per pagare prima di iniziare l’esecuzione. È importante sapere che l’intimazione ha una “validità” limitata nel tempo: se dopo la sua notifica l’Agente della Riscossione non intraprende effettivamente il pignoramento entro un certo periodo, dovrà notificare una nuova intimazione prima di poter procedere . La norma non lo specifica espressamente, ma per interpretazione analogica si intende che l’intimazione “copre” l’azione esecutiva per un periodo di circa un anno . Dunque, se entro 12 mesi dall’intimazione l’ADER non ha ancora eseguito pignoramenti o altri atti, in caso di successiva esecuzione sarà necessaria un’ulteriore intimazione aggiornata. (Alcune fonti, per cautela, indicano in 180 giorni il termine di efficacia dell’intimazione , ma l’orientamento prevalente considera un termine annuale in coerenza con l’art. 50 DPR 602/73).
 - Azioni esecutive e cautelari: trascorsi i 5 giorni dall’intimazione senza pagamento, l’ADER può avviare concretamente l’esecuzione forzata. Le tipologie più frequenti sono:
 - Pignoramento presso terzi: blocco di conti correnti, pignoramento di somme dovute da terzi al debitore (come stipendio presso il datore di lavoro).
 - Pignoramento mobiliare o immobiliare: se il debitore ha beni mobili di valore o proprietà immobiliari, l’ADER può iscrivere ipoteca (come atto cautelare) e poi procedere al pignoramento e vendita all’asta.
 - Fermo amministrativo: è un atto cautelare (non esecutivo in senso stretto) che blocca la circolazione di un veicolo intestato al debitore; può essere iscritto dopo preavviso e in mancanza di pagamento.
 - Esito delle azioni: il ricavato delle eventuali espropriazioni viene utilizzato per pagare i crediti (capitale, interessi, sanzioni) e le spese di esecuzione. Se l’esecuzione non ha successo (ad esempio beni incapienti), il debito rimane insoluto ma l’ente potrebbe riprovare in futuro, nei limiti temporali della prescrizione.
 
Di seguito, una tabella riepilogativa delle principali fasi e atti:
| Fase/Atto | Descrizione | Termine per il debitore | Tutela del debitore | 
|---|---|---|---|
| Ruolo (formazione) | Iscrizione del debito a ruolo da parte dell’ente creditore e invio all’ADER. | Atto interno, non notificato al debitore. | – (nessun atto impugnabile direttamente dal debitore) | 
| Cartella di pagamento | Notifica al debitore del titolo esecutivo (debito da ruolo). Contiene l’ingiunzione a pagare entro 60 gg. Se non paghi, diviene definitivo. | 60 giorni per pagare o proporre ricorso (Commissione Tributaria per tributi; Giudice di Pace/Tribunale per sanzioni amministrative; Tribunale Lavoro per contributi) . | Ricorso in sede giudiziaria contro la cartella (vizi propri o di merito del debito). Se nessun ricorso, la pretesa si consolida. | 
| Accertamento esecutivo / Avviso di addebito | Atto emesso dall’ente (Es: Agenzia Entrate o INPS) con funzione di accertamento e titolo esecutivo insieme. Equivale alla cartella (dal 61° giorno è esecutivo). | 60 giorni per pagare o impugnare (Commissione Tributaria per accertamenti fiscali; Tribunale Lavoro per avvisi INPS). | Ricorso contro l’atto entro i termini (come sopra). Se non impugnato, titolo definitivo. | 
| Sollecito di pagamento | (Facoltativo) Promemoria dell’ADER che ricorda il mancato pagamento. | Nessun termine perentorio – sollecito amministrativo. | Non è atto impugnabile autonomamente; può dare spunto per verifiche interne. | 
| Intimazione di pagamento | Avviso notificato se >1 anno dalla cartella senza esecuzione. Intima di pagare entro 5 giorni, prima di procedere a pignoramento . | 5 giorni per pagare il dovuto. Entro 60 giorni il debitore può impugnare l’intimazione (vedi sez. successiva) . | Ricorso/opposizione contro l’intimazione (vizi propri, prescrizione, mancata notifica atti presupposti, ecc.). In alternativa: pagamento, richiesta rateizzazione, definizione agevolata se possibile. | 
| Preavviso di fermo/ipoteca | Comunicazione inviata prima di iscrivere fermo su veicolo o ipoteca su immobile. Concede circa 30 giorni per pagare prima dell’azione cautelare. | 30 giorni per pagare prima dell’iscrizione del fermo/ipoteca. Impugnabile entro 60 gg (tributi) o 30 gg (multe) se illegittimo. | Ricorso al giudice competente per bloccare fermo/ipoteca (es: vizi notifica cartella, importo sotto soglia di legge, ecc.). | 
| Pignoramento (post intimazione) | Atto di espropriazione forzata (conto corrente, stipendio, beni). Può avvenire dal 6° giorno successivo all’intimazione non pagata . | – (Il pignoramento avviene senza ulteriori avvisi). Eventuale opposizione entro termini di legge (vedi testo) se vizi di procedura. | Opposizione all’esecuzione (ex art. 615 c.p.c.) per contestare il diritto di procedere (ad es. debito estinto, prescrizione maturata dopo atti ormai definitivi) oppure opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.) per vizi formali del pignoramento. Giudice competente: tribunale ordinario. | 
Nota: per semplicità non sono indicate nella tabella tutte le possibili azioni sospensive (come la richiesta di sospensione in autotutela) o le eventuali proroghe normative. Ne parleremo più avanti nelle sezioni dedicate agli strumenti deflattivi. Inoltre, la competenza del giudice può variare a seconda della natura del debito (es. giudice tributario, giudice ordinario, giudice del lavoro): si veda la sezione Impugnazione dell’intimazione: giudici e termini.
Come si evince, l’intimazione di pagamento è un passaggio cruciale nel ciclo di riscossione: di fatto riattiva il procedimento esecutivo quando questo non è stato tempestivo dopo la cartella. Dal punto di vista del debitore, rappresenta spesso l’ultima occasione per far valere obiezioni sul credito prima che parta il pignoramento. Nel prossimo capitolo vedremo proprio cosa fare subito quando si riceve un’intimazione, quali verifiche e scelte compiere in quei 5 giorni (e oltre, considerando i termini di impugnazione).
Cosa fare subito: prime mosse per difendersi
Ricevuta l’intimazione di pagamento, il debitore deve attivarsi immediatamente. I passaggi iniziali fondamentali sono:
- Controllare la data di notifica e i termini: Verificate quando l’intimazione vi è stata notificata (fa fede la data sull’atto o sulla PEC, o l’eventuale relata dell’ufficiale giudiziario/poste). Da quel momento decorrono:
 - I 5 giorni concessi per il pagamento prima che l’ADER possa procedere al pignoramento . Sono 5 giorni di calendario (non lavorativi) . Ad esempio, se l’atto è notificato il 1° del mese, il pagamento va fatto entro il 6° giorno (il conteggio parte dal giorno successivo alla notifica).
 - I termini per presentare ricorso contro l’intimazione, qualora vogliate impugnarla: generalmente 60 giorni per i debiti tributari (ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria, ex Commissione Tributaria) ; termini diversi possono valere per altre materie (ne parleremo più avanti). Segnate subito la scadenza per il ricorso appropriato.
 - Eventuali termini per aderire a strumenti deflattivi se applicabili (ad esempio, se in quel momento è aperta una finestra per chiedere una definizione agevolata o una rateizzazione particolare).
 - Identificare gli atti e i debiti indicati: L’intimazione elenca in genere le cartelle/avvisi a cui si riferisce. Recuperate la documentazione relativa a tali atti:
 - Avete copie delle cartelle di pagamento menzionate? Erano state effettivamente notificate? Con quale esito?
 - I debiti indicati (tributi, contributi, multe ecc.) a quale periodo risalgono e qual è la loro situazione (pagati in parte? contestati? oggetto di condono/rottamazione?).
 - Se non trovate la documentazione, potete richiedere all’ADER un estratto di ruolo o copia delle cartelle. È essenziale per capire se, ad esempio, una cartella non vi era mai stata notificata regolarmente – circostanza che potrà costituire motivo di ricorso .
 - Verificare l’eventuale prescrizione: Controllate da quanto tempo il debito è pendente e se nel frattempo ci sono stati atti interruttivi. Ogni tipologia di credito ha un suo termine di prescrizione:
 - Tributi erariali (es. IRPEF, IVA, IRES): 10 anni dal momento in cui il debito è definitivo, se non diversamente previsto . (Alcune sanzioni tributarie si prescrivono in 5 anni, ma il capitale tributario ha spesso prescrizione decennale salvo eccezioni di legge).
 - Tributi locali (es. IMU, TARI) e sanzioni amministrative (multe stradali): 5 anni .
 - Contributi previdenziali INPS: 5 anni (dal 1996 la legge 335/1995 ha reso quinquennale la prescrizione dei contributi, anche se originariamente certi contributi avevano termini più lunghi).
 - Altri crediti (bollo auto, canone RAI, ecc.): varia (ad es. bollo auto 3 anni, canone RAI 10 anni, ecc., ma questi potrebbero essere comunque inclusi in cartelle con termini di 10 anni se assimilati a tributi erariali).
 
Se, ad esempio, l’intimazione si riferisce a una cartella per IRPEF 2012 notificata nel 2013, e nessun atto interruttivo è avvenuto da allora, nel 2025 potrebbero essere passati oltre 10 anni e il credito essersi prescritto. Analogamente, una multa del 2017 non riscossa entro il 2022 (5 anni) sarebbe prescritta. Attenzione però: la stessa intimazione di pagamento costituisce un atto interruttivo che fa ripartire da zero il termine di prescrizione . Dunque, se il credito non era ancora prescritto al momento dell’intimazione, questa notifica interrompe il decorso e concede all’ente un nuovo periodo (5 o 10 anni) per riscuotere . Di contro, se il credito era già prescritto prima dell’intimazione, potete far valere la prescrizione come motivo di opposizione (ma dovrete agire, altrimenti l’intimazione “cristallizzerà” comunque la pretesa, come spiegato oltre) .
- Valutare immediatamente le opzioni: In base alle verifiche di cui sopra, decidete la linea d’azione. Le opzioni principali, non mutualmente esclusive, sono:
 - Pagare il dovuto entro i 5 giorni: se riconoscete il debito e avete la liquidità, pagare tempestivamente vi mette al riparo da pignoramenti. In genere sull’intimazione sono indicati i bollettini o le modalità di pagamento.
 - Chiedere una rateizzazione: se non potete pagare in un’unica soluzione, l’ADER consente di ottenere un piano di rateazione anche dopo aver ricevuto l’intimazione . Come vedremo, la richiesta di rateizzazione (se accolta) sospende le azioni esecutive a condizione di rispettare le rate. Questa va presentata rapidamente (idealmente entro i 5 giorni, o poco dopo, per informare l’ADER e evitare che proceda).
 - Impugnare l’intimazione: se rilevate motivi di contestazione (ad es. il debito è prescritto, la cartella non fu notificata, vi è un errore di persona/importo, etc.), preparatevi a presentare un ricorso o opposizione all’autorità giudiziaria competente entro i termini (60 giorni per tributi, ecc.). L’impugnazione può essere anche accompagnata da istanza di sospensione al giudice, per congelare nel frattempo la riscossione.
 - Richiedere autotutela/sospensione amministrativa: se avete elementi chiari (ad es. una sentenza che annulla l’atto presupposto, o prova di un pagamento già effettuato), potete inviare all’ADER e all’ente creditore una richiesta di sgravio in autotutela o una istanza di sospensione della riscossione. In base all’art. 1 commi 537-543 della L.228/2012, l’ADER sospende le attività di recupero su istanza del debitore che alleghi prova che il debito è stato pagato, annullato o non dovuto, e chiede conferma all’ente creditore . Se entro 220 giorni l’ente conferma l’irregolarità, il debito viene annullato; se risponde negativamente o non risponde, la riscossione riprende. Questa strada amministrativa può essere utile in casi lampanti, ma non sospende i 60 giorni per fare ricorso giudiziale, che conviene comunque rispettare se il caso è controverso.
 - Verificare la possibilità di definizioni agevolate: controllate se il vostro debito rientra in qualche misura di “pace fiscale”. Ad esempio, nel 2023 è stata varata la rottamazione-quater (Definizione agevolata 2023) per carichi 2000-2022 ; chi vi ha aderito sta pagando rate agevolate fino al 2027. Nel 2025 il legislatore ha persino previsto una riammissione per i decaduti dalla rottamazione-quater (riapertura dei termini con domanda entro aprile 2025) . Inoltre si prospetta nel 2026 una rottamazione-quinquies (quinta edizione) per nuovi carichi . Se ritenete di voler sanare il debito tramite queste procedure (che abbattono interessi e sanzioni), informatevi se è attivo un bando o se potete rientrare. Attenzione: la semplice aspettativa di future “sanatorie” non blocca le azioni in corso, a meno che non vi sia una norma già in vigore; quindi non affidatevi a voci ma solo a leggi effettive.
 - Attivarsi entro i 5 giorni: Questo lasso di tempo è brevissimo, ma è cruciale. Anche se 5 giorni sono pochi per preparare un ricorso complesso, entro tale termine dovreste almeno:
 - presentare istanza di rateizzazione (per congelare la situazione, se optate per il pagamento dilazionato);
 - oppure presentare (o preannunciare via PEC) un’istanza di sospensione in autotutela all’ADER se avete prove solide di errore (allegando documenti);
 - oppure, in casi estremi, versare un importo – anche parziale – se volete evitare il pignoramento imminente e guadagnare tempo (tenete conto però che un pagamento parziale non evita l’azione esecutiva sul residuo, a meno che non sia concordato un piano di rate).
 
Ricordate che dal 6° giorno in poi l’ADER potrebbe legittimamente avviare il pignoramento . In pratica spesso non sono così veloci, ma non fateci affidamento: ci sono casi di pignoramento di conto corrente eseguito il giorno immediatamente successivo alla scadenza dei 5 giorni. Dunque, muoversi in quei primissimi giorni è fondamentale per prevenire danni.
- Consultare un professionista (se necessario): Se le questioni in gioco sono complesse (ad es. eccezioni di prescrizione, problemi di notifica, ingenti importi, ecc.), coinvolgete un avvocato o un esperto tributario subito. Questo vi aiuterà a scegliere la strategia corretta (giudiziale o stragiudiziale) e a rispettare tutte le formalità. In particolare, la redazione di un ricorso tributario o di un’opposizione all’esecuzione richiede competenze tecniche (indicazione dei motivi di impugnazione, notifiche agli enti giusti, ecc.). Anche la valutazione su quale giudice abbia competenza può non essere immediata per i non addetti (come vedremo, dipende dalla natura del debito e dal tipo di vizio contestato).
 
Riassumendo, le prime mosse dovrebbero essere guidate dalla domanda: “Il debito intimato è dovuto? Oppure vi sono motivi validi per opporsi?”. Se ritenete di doversi opporre, preparate subito la vostra difesa (ricorso o istanze di autotutela) e non lasciate trascorrere i termini. Se invece intendete pagare, usate comunque al meglio gli strumenti come la rateazione per attenuare l’impatto, e rispettate il termine dei 5 giorni per evitare misure drastiche.
Nei prossimi paragrafi approfondiremo i vari aspetti: come impugnare l’intimazione (giudici competenti e motivi ammissibili), come funziona la prescrizione dei debiti e la sua eccezione, quali sono le opzioni di rateazione e definizione agevolata disponibili, e infine proporremo alcune FAQ e casi pratici per chiarire ulteriormente le possibili situazioni.
Impugnare l’intimazione di pagamento: ricorsi e opposizioni
Come accennato, l’intimazione di pagamento rientra tra gli atti della riscossione che il debitore può impugnare davanti a un giudice per contestarne la legittimità . Ma attenzione: i motivi di contestazione sono circoscritti, e soprattutto occorre individuare quale giudice è competente e con quale procedura agire, a seconda del tipo di debito e di vizio lamentato. In questa sezione esamineremo:
- Quali sono i possibili motivi di impugnazione di un’intimazione.
 - Davanti a quale autorità vanno fatti valere (Commissione Tributaria – oggi “Corte di Giustizia Tributaria” – oppure giudice ordinario, in sede civile o lavoro).
 - In quali termini bisogna agire (gg dalla notifica).
 - Cosa accade se non si impugna l’intimazione.
 
Motivi di impugnazione: cosa si può contestare?
Essendo l’intimazione un atto “derivato” da precedenti (cartelle, accertamenti, etc.), la regola generale è che si possono contestare i “vizi propri” dell’intimazione o fatti estintivi sopravvenuti, ma non si può più mettere in discussione il merito del debito se l’atto presupposto è definitivo . In particolare, tra i motivi di ricorso più frequenti e riconosciuti dalla giurisprudenza ci sono:
- Prescrizione del debito: se alla data di notifica dell’intimazione il credito era già prescritto, si può chiedere l’annullamento perché il diritto di riscossione si era estinto. Ad esempio, se una cartella del 2015 (tributo erariale, prescrizione 10 anni) viene “riesumata” con intimazione nel 2025 oltre il termine decennale senza atti intermedi, il debito è prescritto. Attenzione: se invece la prescrizione è maturata prima della cartella e la cartella non fu impugnata, non si può far valere ora (perché la cartella definitiva ha cristallizzato il credito) . Viceversa, la prescrizione maturata dopo la notifica della cartella resta eccepibile all’intimazione, purché non sia decorso il termine per impugnare quest’ultima (vedi infra competenza).
 - Omessa o irregolare notifica degli atti presupposti: se si scopre l’esistenza di una cartella mai notificata regolarmente (es. vizi nella notifica, indirizzo errato, mancato invio di raccomandata informativa in caso di compiuta giacenza, ecc.), l’intimazione può essere contestata sostenendo che manca un valido titolo a monte . In tal caso, spesso l’azione si configura come “opposizione all’esecuzione” (assenza di titolo) davanti al giudice ordinario – soprattutto per contributi e sanzioni amministrative – oppure come ricorso tributario se trattasi di tributo. È fondamentale inquadrare bene il caso: la Cassazione ha stabilito che, se si lamenta l’inesistenza del credito perché l’atto presupposto era nullo o inesistente, il giudice da convenire è l’ente impositore originario (es. Agenzia Entrate, Comune, INPS) e non solo l’ADER . Ad esempio, per contributi previdenziali: se contesto la prescrizione o mancata notifica della cartella 2003 indicata in intimazione, la lite sostanziale è con l’INPS (credito contributivo), e l’ADER può essere al più litisconsorte. Le Sezioni Unite della Cassazione (sent. n. 7514/2022) hanno chiarito questo punto .
 - Vizi formali essenziali dell’intimazione: ad esempio la mancata indicazione del termine di 5 giorni o l’assenza degli importi dovuti. In generale, però, la giurisprudenza non annulla l’intimazione per vizi formali minori: molte irregolarità come la mancanza della firma del responsabile del procedimento o l’omessa indicazione del responsabile non comportano nullità, in quanto considerati meri vizi formali sanabili o irrilevanti . Si può invece contestare la notifica dell’intimazione stessa se svolta in modo irrituale (es. consegnata a soggetto non legittimato, vizi nella PEC, ecc.).
 - Sospensione legale della riscossione: se al momento in cui l’intimazione è stata emessa il debito era sospeso per legge o provvedimento (es. perché avete una dilazione in corso e siete in regola con le rate, o perché quel debito è incluso in una definizione agevolata con pagamenti non scaduti), l’intimazione è prematura e illegittima. In tal caso si può impugnare chiedendone l’annullamento per violazione della sospensione.
 - Errata individuazione del debitore o importo: casi più rari, ma se l’intimazione contiene errori materiali (ad esempio intimazione a persona omonima ma diversa, oppure importi già pagati) conviene evidenziarli immediatamente, anche attraverso autotutela, e impugnare se necessario.
 
Tutto ciò premesso, va tenuto presente un principio cardine: se il debito deriva da una cartella o avviso divenuti definitivi perché non impugnati a suo tempo, non si possono più contestare motivi inerenti al merito di quell’atto. Ad esempio, se non avete fatto ricorso contro una cartella entro 60 giorni, non potrete più far valere vizi dell’accertamento originario né eccepire la prescrizione già maturata prima della cartella . Al più, potrete eccepire la prescrizione sopravvenuta dopo (come detto) o la nullità della notifica per recuperare la chance difensiva . La Cassazione in numerose pronunce ha ribadito che un atto impositivo definitivo è intangibile su quegli aspetti (principio dell’intangibilità dell’atto definitivo) .
In altre parole: l’intimazione non riapre i termini per contestare il fondamento del tributo o della multa, né per rimettere in discussione una cartella “vecchia” su questioni che andavano sollevate allora. Questo orientamento è stato confermato da una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (n. 20476/2025) che ha statuito che la mancata impugnazione dell’intimazione “cristallizza” la pretesa e preclude al debitore di eccepire anche la prescrizione già maturata anteriormente . Ciò significa che se ricevete un’intimazione e non la impugnate, non potrete poi, in sede di opposizione al pignoramento, tirar fuori come difesa la prescrizione che magari era già compiuta: dovevate farlo impugnando tempestivamente l’intimazione stessa. Questo rende ancora più importante non restare inerti di fronte all’intimazione: “chi dorme non piglia pesci” e, parafrasando una massima citata in dottrina, “chi dorme paga le imposte e le spese!” .
Giudice competente e termini per il ricorso
La scelta del giudice competente dipende dalla natura del credito e dal tipo di contestazione:
- Debiti tributari (erariali o locali): L’intimazione relativa a imposte, tasse, tributi rientra nella giurisdizione delle Corti di Giustizia Tributaria (ex Commissioni Tributarie). Si propone un ricorso tributario ex D.Lgs. 546/1992, entro 60 giorni dalla notifica dell’intimazione . Il ricorso va notificato sia all’ADER (Agente della riscossione) sia all’ente impositore originario (es. Agenzia Entrate, Comune) se si contestano aspetti sostanziali del credito . Davanti al giudice tributario possono farsi valere motivi tipici come prescrizione, vizi della cartella, pagamenti già effettuati, ecc., purché attinenti a tributi. Esempio: intimazione per IRPEF: ricorso alla Commissione Tributaria entro 60 gg, chiedendo eventualmente anche la sospensione dell’esecuzione (che in ambito tributario può essere concessa dal giudice tributario su istanza motivata, in caso di pericolo di grave danno, ex art. 47 D.Lgs. 546/92).
 - Debiti previdenziali (contributi INPS, ecc.): Le somme dovute ad enti previdenziali, anche se riscosse tramite ruolo, sono soggette alla giurisdizione ordinaria in materia di lavoro. Quindi l’intimazione per contributi va opposta innanzi al Tribunale ordinario – sezione lavoro. La procedura non è il ricorso tributario ma un’opposizione all’esecuzione (ex art. 615 c.p.c.) se si contesta l’esistenza del titolo o l’estinzione del debito, oppure un’opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.) se si contestano solo vizi formali dell’intimazione. I termini in questi casi differiscono:
 - Per opposizione agli atti esecutivi (vizi formali), il termine è breve: 20 giorni dalla notifica .
 - Per opposizione all’esecuzione (es. prescrizione del credito), teoricamente non c’è un termine di decadenza rigido (può essere proposta anche a esecuzione iniziata, prima che sia conclusa). Tuttavia, è prassi proporla entro 40 giorni analogicamente , soprattutto se si cumula con motivi da 617. Infatti, Cassazione (sent. n. 7156/2023) ha confermato che una volta notificata l’intimazione, la prescrizione maturata prima della cartella andava eccepita con opposizione entro il termine d’impugnazione dell’intimazione stessa (nella specie 40 giorni, equiparato al termine dell’opposizione alla cartella non notificata) . Dunque, su contributi è opportuno muoversi entro 40 giorni per sollevare l’eccezione di prescrizione o altri motivi sostanziali. In ogni caso, conviene presentare l’opposizione prima che inizino i pignoramenti, per chiedere anche al giudice la sospensione dell’esecuzione.
 - Proceduralmente, queste opposizioni si introducono con atto di citazione (o ricorso ex L.LP per contributi, a seconda dei tribunali) contro l’ADER e, se del caso, contro l’ente impositore (INPS) come indicato dalle SU 2022 .
 - Multe stradali e altre sanzioni amministrative: Se la sanzione è già divenuta titolo (ordinanza ingiunzione o verbale non opposto, poi cartella), l’intimazione attiene a somme di natura non tributaria. La competenza in tema esecutivo è del giudice ordinario. In particolare, per le multe del Codice della Strada, la legge prevede che contro la cartella esattoriale non preceduta da ingiunzione si poteva fare opposizione entro 30 giorni al Giudice di Pace (funzione di giudice dell’esecuzione per queste controversie, ex art. 7 D.Lgs. 150/2011). Se quel termine è sfumato, rimane la possibilità di opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. al giudice ordinario competente per valore: sotto 20.000€ il Giudice di Pace, oltre il Tribunale. Quindi un’intimazione per multe può essere portata:
 - Dal Giudice di Pace se il valore rientra nella sua competenza (multe singole di solito sì) – ad esempio tramite un’opposizione deducendo prescrizione quinquennale sopravvenuta.
 - Al Tribunale ordinario se il cumulo supera la competenza del GdP o se la legge lo richiede. Spesso però si cerca di individuare il GdP come giudice naturale delle sanzioni amministrative.
 - Termini: anche qui, atto di citazione in opposizione all’esecuzione senza un termine fisso, ma meglio entro 30-40 giorni dalla notifica dell’intimazione per non incorrere in eccezioni di tardività se il giudice li considera atti esecutivi.
 - Altre tipologie: Debiti di natura diversa (es. canoni, indennità, ecc. iscritti a ruolo) seguono la regola generale: giudice ordinario per esecuzione, giudice amministrativo solo se la legge speciale lo prevede (caso raro in riscossione).
 
Importante: scegliere correttamente il rito e il giudice è fondamentale. Un errore può portare all’inammissibilità del ricorso. Ad esempio, impugnare in Commissione Tributaria un’intimazione relativa a contributi INPS sarebbe sbagliato (giudice incompetente); oppure fare opposizione in Tribunale per una questione che andava al Giudice di Pace. In caso di dubbio, consultare un legale per incardinare la causa nel foro giusto.
Inoltre, quando si notifica il ricorso/opposizione, è consigliabile dare comunicazione all’ADER (anche se già destinataria dell’atto) e magari chiedere in via amministrativa una sospensione volontaria, allegando la copia del ricorso: talvolta l’ADER, a fronte di un ricorso pendente, soprassiede dall’eseguire fino alla decisione sull’istanza cautelare del giudice.
Effetti della mancata impugnazione: “cristallizzazione” del credito
Vale la pena ribadire un concetto già anticipato: se il debitore non impugna l’intimazione entro i termini previsti, quell’atto diventa inoppugnabile e consolida ulteriormente la pretesa creditoria. Secondo la più recente giurisprudenza, la mancata impugnazione dell’intimazione equiparabile all’avviso di mora rende definitivo il credito come fosse una cartella non impugnata . In particolare, la Cassazione (sent. 20476/2025) ha affermato che l’intimazione di pagamento rientra tra gli atti tassativi impugnabili ex art. 19 D.Lgs. 546/92 e deve essere impugnata obbligatoriamente: se non lo si fa, non si potranno più sollevare neppure eccezioni di prescrizione maturate prima . La pretesa diventa “irretrattabile”.
Questo principio può apparire severo, ma è volto a garantire certezza: se il contribuente lascia decorrere i termini anche su questo avviso, l’ADER può procedere senza ulteriori indugi e senza timore di contestazioni tardive. Esempio pratico: Caio riceve un’intimazione nel 2024 relativa a cartelle del 2010. Caio sospetta che il debito fosse prescritto nel 2016, ma non impugna l’intimazione. Nel 2025 l’ADER gli pignora il conto; Caio prova ad opporsi per far valere la vecchia prescrizione. Il giudice rigetterà l’opposizione perché Caio avrebbe dovuto eccepire la prescrizione impugnando l’avviso di intimazione entro i 60 giorni nel 2024: avendolo ignorato, ormai la questione è preclusa . In sintesi: chi dorme, paga.
Dunque, non ignorate mai un’intimazione pensando di sollevare le difese più avanti; il momento di reagire è ora, altrimenti potreste perdere definitivamente alcune carte da giocare. Nel prossimo capitolo approfondiremo proprio la prescrizione dei debiti e come si intreccia con questi atti, data la sua importanza tra le cause di opposizione.
Prescrizione dei debiti: tempi e impatto dell’intimazione
La prescrizione è uno dei temi più delicati in materia di riscossione coattiva, spesso alla base delle difese del contribuente. In termini semplici, la prescrizione estingue il diritto di esigere il pagamento trascorso un determinato periodo di tempo senza atti interruttivi validi. Vediamo gli aspetti fondamentali:
Termini di prescrizione per le varie tipologie di debito
Come accennato, i principali termini prescrizionali sono:
- Tributi erariali (imposte statali: IRPEF, IVA, IRES, IRAP): 10 anni. Questo perché, in mancanza di un termine breve previsto da una norma specifica, si applica la prescrizione ordinaria decennale ai sensi del codice civile . Alcune interpretazioni giurisprudenziali in passato hanno dibattuto se anche i tributi dovessero avere prescrizione breve (5 anni) analogamente alle sanzioni, ma la prevalenza è per i 10 anni dopo che il tributo è divenuto definitivo. Eccezioni: alcune entrate erariali minori possono avere termini particolari, ma sono casi rari (es. canone RAI – che comunque oggi si paga in bolletta elettrica – talvolta indicato in 10 anni; diritti camerali 5 anni, ecc.).
 - Tributi locali (IMU, TARI, TASI, bollo auto): 5 anni, salvo interruzioni . Ad esempio la Cassazione ha confermato che il bollo auto ha prescrizione triennale dalla scadenza, ma se inviato a ruolo e notificata cartella, il diritto a riscuoterlo tramite ruolo si prescrive in 5 anni (termine previsto dal D.Lgs. 346/90 per le tasse automobilistiche).
 - Contributi previdenziali obbligatori (INPS, casse professionali): 5 anni, come stabilito dalla L. 335/1995 art. 3 commi 9-10. Un tempo alcuni contributi pensionistici avevano 10 anni, ma dal ’96 tutti sono quinquennali, anche se la cartella non fu impugnata . (Attenzione: le sanzioni civili per omesso versamento contributi in alcuni casi si prescrivono anch’esse in 5 anni). La Cassazione ha recentemente ribadito che anche se la cartella contributiva non è stata opposta, il termine di prescrizione resta quinquennale e non decennale . Ciò significa che non è vero che la definitività della cartella “allunga” a 10 anni: se la norma prevede 5, rimane 5.
 - Multe e sanzioni amministrative: 5 anni dal momento in cui il provvedimento sanzionatorio diventa definitivo (es. dalla notificazione del verbale non opposto o dall’ordinanza ingiunzione non opposta). Lo prevede la Legge 689/1981 (art. 28) e il Codice della Strada (art. 209 C.d.S.). Dunque, una volta emessa la cartella per una multa, l’ente ha 5 anni per riscuotere (interrompibili con intimazioni).
 - Altri crediti affidati agli esattori:
 - Tariffe, entrate patrimoniali dello Stato: spesso 10 anni salvo norma contraria.
 - Canone RAI: 10 anni (è un’entrata erariale).
 - Bollette e utenze: di regola non passano per ADER ma per ingiunzioni private.
 - Sanzioni per violazioni tributarie (es. sanzioni pecuniarie da accertamento fiscale): 5 anni, salvo siano confluite in definizioni agevolate.
 
Questi termini decorrono, in linea di massima, da quando il diritto può essere fatto valere (per le cartelle, in genere dalla scadenza dei 60 giorni se non pagate né impugnate). Ogni atto notificato al debitore che manifesta la volontà di recuperare il credito interrompe la prescrizione , facendo ripartire il termine da capo.
Effetto interruttivo dell’intimazione di pagamento
L’intimazione di pagamento è espressamente considerata un atto idoneo a interrompere la prescrizione . Questo perché contiene tutti gli elementi necessari: identifica il debitore e l’importo dovuto, richiama il tributo o il credito e manifesta in modo inequivoco la volontà di esigere il pagamento . Dalla data della sua notificazione, quindi, il termine di prescrizione ricomincia da zero . Ad esempio:
- Se il fisco aveva 10 anni per riscuotere una certa imposta e ne sono trascorsi 9 senza atti, notificando l’intimazione interrompe il termine al 9º anno e poi avrà altri 10 anni da quell’atto (quindi fino al 5º anno successivo, in totale 19 anni possibili, salvo ulteriori interruzioni).
 - Se per una multa il Comune aveva 5 anni e gliene restava 1, con l’intimazione interrompe e ripartono 5 anni da capo.
 
Questo spiega perché talvolta l’intimazione arriva proprio “sul filo” della prescrizione: l’ADER la invia quando il credito sta per prescriversi, così da salvare la possibilità di riscuotere, evitando che il termine scada.
Importante: un atto interruttivo per essere valido deve essere notificato correttamente e contenere una chiara pretesa. La Cassazione ha chiarito che la valutazione sull’idoneità di un’intimazione a interrompere spetta al giudice di merito e non è sindacabile in Cassazione se motivata . In pratica, salvo casi di intimazioni “mute” (prive di riferimenti al debito) – il che sarebbe un vizio – ogni intimazione interrompe.
Contestare la prescrizione: quando e come
Se ritenete che il credito fosse già prescritto prima dell’intimazione, dovete eccepirlo subito impugnando l’intimazione. Come più volte sottolineato, non aspettate: la prescrizione è un’eccezione di difesa che va sollevata tempestivamente. Alcuni contribuenti pensano di poter ignorare l’intimazione e poi eccepire la prescrizione in sede di pignoramento, ma come abbiamo visto ciò può precludere la difesa . Quindi:
- In un ricorso tributario, inserite esplicitamente il motivo di ricorso che “il credito è estinto per intervenuta prescrizione alla data della notifica dell’intimazione” e documentate (esibendo le date di eventuali atti precedenti).
 - In un’opposizione all’esecuzione per contributi o sanzioni, fate valere la prescrizione come motivo fondamentale per cui l’esecuzione non deve procedere, indicando dal quando decorreva e come nessun atto valido l’abbia interrotta fino all’intimazione tardiva.
 
Fate attenzione alla distinzione: se la cartella stessa era stata notificata dopo la prescrizione del tributo, quella eccezione andava fatta contro la cartella. Se non l’avete fatto, la cartella è definitiva e non potete più sostenere che il tributo fosse prescritto prima (in quanto accettando tacitamente la cartella avete “rinunciato” a tale eccezione) . Potrete però far valere la prescrizione maturata dopo la notifica della cartella. Ad esempio, un’IRPEF 2010 accertata nel 2015 (divenuta definitiva) aveva prescrizione al 2025; se in mezzo non c’è nessun atto, un’intimazione nel 2024 arriva prima che scada il 2025, quindi interrompe e il contribuente non può dire “era prescritto” perché non lo era ancora. Se invece l’intimazione fosse arrivata nel 2026, quindi oltre il termine, il contribuente può eccepire prescrizione.
Inoltre, la prescrizione può essere interrotta più volte con diversi atti (cartella, intimazione, preavvisi, ecc.). Quando contestate l’intervenuta prescrizione, dovete verificare che dopo l’ultimo atto valido sia davvero passato l’intero periodo. Ad es., cartella 2015, intimazione 2018, intimazione 2022: la prescrizione di 5 anni delle sanzioni è stata interrotta nel 2018 e nel 2022, quindi al 2022 il debito è vivo; se il debitore non impugna l’intimazione 2022 e subisce un fermo nel 2023, non potrà dire “prescritto”, perché non lo era (e inoltre non l’ha impugnata).
La cristallizzazione della prescrizione non eccepita
Abbiamo visto la pronuncia Cass. 20476/2025 sulla “cristallizzazione”. Per completare: in passato c’era stato dibattito se l’intimazione fosse un atto facoltativo da impugnare (come un sollecito) oppure obbligatorio. Oggi è chiaro che va impugnato, essendo equiparato all’avviso di mora . Pertanto, se non impugnate, la prescrizione non eccepita in tempo utile rimane preclusa.
Un effetto pratico è anche che l’intimazione non impugnata “sana” eventuali vizi di notifica precedenti: ad esempio Cassazione ha detto che se non impugni l’intimazione, diventa irrilevante eccepire che la cartella prima non ti era arrivata regolarmente . Il perché: l’intimazione comunque ti ha reso edotto del debito, dandoti chance di difesa; se la lasci scadere, poi non puoi recuperare la doglianza che la cartella era notificata male. Questo può sembrare duro, ma è coerente con l’idea che l’intimazione è un nuovo momento di garanzia concessoti: se lo ignori, perdi il beneficio.
In conclusione, la prescrizione è un’arma potentissima per il contribuente, ma va usata con precisione e tempestività. Questa guida, ad esempio, non può sostituire l’analisi del singolo caso da parte di un esperto, perché i dettagli contano (basta un sollecito o un’istanza del contribuente stesso, a volte, per interrompere). Nel dubbio, fate verificare lo storico del ruolo a un professionista per avere conferma prima di gridare “prescrizione!” in giudizio.
Strumenti deflattivi: rateizzazione, rottamazione, autotutela
Oltre alle opposizioni giudiziali, il debitore ha a disposizione una serie di strumenti “deflattivi” del contenzioso, volti a trovare una soluzione senza arrivare all’esecuzione forzata o alla sentenza. Questi strumenti possono essere molto utili per evitare il peggio (pignoramenti) e, talvolta, per ridurre l’onere del pagamento. Vediamo i principali:
Rateizzazione delle cartelle e delle intimazioni
La rateizzazione è probabilmente la via di uscita più utilizzata dai debitori per gestire importi elevati. Consiste nel chiedere all’ADER di poter pagare il debito a rate mensili invece che in un’unica soluzione. Caratteristiche chiave:
- Accessibilità: Si può chiedere la dilazione anche dopo aver ricevuto un’intimazione, purché prima che inizi l’esecuzione (in pratica entro i 5 giorni, o comunque prima di un eventuale pignoramento). La presentazione della domanda di rateizzazione generalmente sospende le azioni esecutive: l’ADER, se la pratica è in valutazione, di norma non procede a pignorare in attesa dell’esito, e se la rateizzazione viene concessa e si paga regolarmente le rate, non può eseguire pignoramenti .
 - Importo minimo e numero rate: La normativa sulla riscossione (DPR 602/73 art. 19 ritoccato da vari decreti) stabilisce soglie e durate. Aggiornamento 2025: Dal 1° gennaio 2025 sono entrate in vigore modifiche significative introdotte dal D.Lgs. n. 110/2024, che ampliano il numero di rate concedibili . In sintesi:
 - Per debiti fino a 120.000 €, su semplice richiesta e dichiarazione di temporanea difficoltà, l’ADER può concedere piani fino a 84 rate mensili (7 anni) . Questa è la rateizzazione “ordinaria semplificata”: non richiede documenti di reddito e dal 2023 la soglia è stata elevata da 60mila a 120mila euro.
 - Sempre per debiti ≤ 120.000 €, se il contribuente ha bisogno di più di 84 rate (fino a 10 anni), deve documentare la difficoltà economica. Con documentazione, può ottenere da 85 fino a 120 rate (10 anni) a seconda del periodo:
- Richieste nel 2025-2026: possibili fino a 120 rate (in realtà 85-120) .
 - Nel 2027-2028: fino a 96 o 120 secondo difficoltà .
 - Dal 2029: fino a 108 o 120.
 - Insomma, vi è un aumento graduale del numero massimo di rate con gli anni, secondo la riforma fiscale in corso .
 
 - Per debiti oltre 120.000 €, serve sempre prova della difficoltà e l’ADER può concedere fino a 120 rate (10 anni) . In pratica, il massimo è 120 rate per tutti, ma per grandi importi si richiede sempre di documentare la situazione finanziaria (bilanci, ISEE, indici di liquidità, ecc., come da D.M. 27/12/2024 che ha fissato indicatori tipo Indice Alfa e Beta per imprese, ISEE per persone fisiche ).
 - Decadenza: Ottenuta la rateizzazione, bisogna pagare puntualmente. La regola attuale è che il mancato pagamento di 5 rate (anche non consecutive) comporta la decadenza dal beneficio . In caso di decadenza, l’intero debito residuo torna esigibile subito e non è più rateizzabile (salvo qualche tolleranza in casi eccezionali). Nota: durante la pandemia di Covid c’erano state proroghe e tolleranze maggiori, ma ora siamo tornati al regime ordinario.
 - Interessi di dilazione: Sulle rate si applicano interessi (detti “interessi di dilazione”) fissati dalla legge. Attualmente intorno al 2% annuo per le definizioni agevolate, e circa il 4% per rateazioni ordinarie (variabile in base ai decreti MEF). Verificate nel piano che vi proporranno.
 - Vantaggi: La rateizzazione blocca le misure cautelari/esecutive: l’ADER non può iscrivere fermi o ipoteche né procedere a pignoramenti finché il piano è attivo e regolare. Inoltre, la richiesta di rateizzazione non richiede fideiussioni per debiti sotto soglia (in passato per importi alti servivano garanzie, oggi non più). Per importi elevati, l’ADER può chiedere un piano di rientro con più controlli, ma di regola non servono garanzie esterne, solo documenti economici per piani straordinari.
 - Come chiedere: Tramite i servizi online di ADER (“Rateizza adesso”) , oppure inviando il modulo specifico via PEC o recandosi allo sportello. Dal 2023-2024 ADER ha semplificato molto la procedura, specie per importi modesti.
 - Compatibilità con l’intimazione: Se ricevete un’intimazione, potete includere tutte le cartelle in essa indicate in un’unica domanda di rateazione (anche se avete altre cartelle non intimatemi, in realtà potete rateizzare anche quelle contestualmente). Una volta presentata la domanda, l’effetto sospensivo è quasi immediato (l’ADER di solito attende l’esito). Quindi è un’ottima mossa se il debito è legittimo ma volete tempo per pagare.
 
Esempio: Mario riceve intimazione per €50.000 di debiti tributari. Non ha liquidità immediata. Chiede subito rateazione online: in base alle regole 2025, per 50.000€ può ottenere 72-84 rate senza dover provare nulla. Supponiamo scelga 72 rate (6 anni). Pagherà circa €694 al mese (50.000/72) più interessi modesti. Così evita il pignoramento e diluisce il peso. Deve però stare attento a pagare ogni mese.
Definizione agevolata (rottamazione cartelle) e “saldo e stralcio”
Le definizioni agevolate – note anche con il termine popolare di rottamazione delle cartelle – sono provvedimenti straordinari decisi dal legislatore che consentono di pagare i debiti iscritti a ruolo in forma agevolata, cioè eliminando sanzioni e interessi. Negli ultimi anni ce ne sono state diverse edizioni. La più recente è la Rottamazione-quater 2023, introdotta dalla Legge di Bilancio 2023 (L.197/2022) . Caratteristiche salienti di questa misura (utile come esempio di cosa comporta una definizione agevolata):
- Copriva i debiti affidati all’ADER tra il 2000 e il 30 giugno 2022 .
 - Permetteva di pagare solo il capitale e le spese vive, senza dover pagare sanzioni, interessi di mora, interessi iscritti a ruolo e aggio di riscossione . Per le multe stradali, si dovevano comunque pagare il capitale (la sanzione base) e le spese, ma non gli interessi né le “maggiorazioni” semestrali del 10% .
 - La domanda di adesione andava presentata entro luglio 2023 (termine poi prorogato al 30 giugno 2023 da DL 51/2023) .
 - Il pagamento poteva avvenire in unica soluzione (ottobre 2023) o in max 18 rate dal 2023 al 2027 . Le prime due rate erano il 10% ciascuna, scadenza 31/10 e 30/11/2023, poi 16 rate trimestrali dal 2024 a 2027 .
 - Tasso di interesse di dilazione agevolato 2% annuo .
 - Durante la definizione agevolata, la riscossione era sospesa: l’ADER non poteva eseguire nuove intimazioni o atti esecutivi su quei debiti, a patto che il contribuente rispettasse i pagamenti.
 - La definizione non copriva: debiti esclusi per legge (es. risorse UE, recuperi aiuti di Stato, alcune sanzioni penali), e ovviamente i debiti non affidati entro il 30/6/22.
 
Molti contribuenti hanno aderito (oltre 1,5 milioni di richieste) . Per chi, però, non ha pagato le rate 2023-2024, è intervenuta una norma di “riammissione” nel 2025 (art. 2-ter DL Milleproroghe 2024, conv. L. 15/2025) . Questa ha permesso, a chi era decaduto per mancato pagamento al 31/12/2024, di presentare un’istanza entro 30 aprile 2025 e ottenere di nuovo la rottamazione, con un nuovo piano di max 10 rate dal 2025 al 2027 . La prima rata per i riammessi scadeva il 31/7/2025 (col solito 5 giorni di tolleranza) .
Ad ottobre 2025, si parla di una possibile rottamazione-quinqies nella prossima Legge di Bilancio 2026 , che coprirebbe i carichi più recenti o riammetterebbe altri contribuenti. Se verrà approvata, sarà un’altra opportunità.
Cosa fare in concreto se avete un’intimazione e sperate in una definizione agevolata? Valutate: – Se il debito rientra in una definizione già attiva (nel 2025, ad esempio, un debito 2018 rientra in rottamazione-quater se avete fatto domanda; se non l’avete fatta, ormai è tardi salvo nuove aperture). – Se avete aderito alla rottamazione ma siete decaduti, purtroppo dopo il 30/4/25 non ci sono ulteriori riaperture ufficiali (a meno di casi eccezionali come zone alluvionate prorogate). – Non contate su provvedimenti non ancora legge. Se però uno è in arrivo (es. dal 2026), potreste considerare di prendere tempo (es. chiedendo una rateazione breve e poi eventualmente estinguendola con la nuova definizione). Ma attenzione: se esce una nuova rottamazione, di solito richiede che il debitore rinunci ai ricorsi pendenti su quei carichi. Quindi coordinatevi con l’avvocato: a volte conviene fare ricorso solo per guadagnare tempo in attesa di una sanatoria, ma con la consapevolezza che poi quel ricorso andrà abbandonato aderendo alla definizione.
In generale, quando è attiva una definizione agevolata, l’intimazione non dovrebbe arrivare per quei debiti (poiché sono sospesi). Se arriva, potrebbe essere un errore oppure indica che non avete incluso quel debito nella definizione o siete decaduti. Verificate lo status e, se c’è un errore (es. avete pagato rottamazione ma per sbaglio intimano lo stesso), usate subito l’autotutela allegando la prova dei pagamenti.
Autotutela e sospensione amministrativa
L’autotutela è il potere dell’amministrazione di annullare o correggere i propri atti quando riconosce che sono viziati o errati. Nel contesto dell’intimazione, l’autotutela può intervenire su due fronti: – L’ente creditore (Agenzia Entrate, INPS, Comune, etc.) può annullare il debito sottostante se, ad esempio, emerge che era già stato pagato o condonato. – L’ADER può sospendere/cancellare un atto della riscossione (cartella, intimazione) su indicazione dell’ente creditore o in base alle norme di sospensione legale.
Se ricevete un’intimazione che ritenete sbagliata perché il debito non è dovuto (pagato, annullato da sentenza, ecc.), inviate quanto prima una richiesta di sospensione della riscossione ex L.228/2012. In tale istanza (c’è un modulo sul sito ADER), dovete indicare il motivo: – Pagamento effettuato prima (allegate ricevuta). – Provvedimento di sgravio o annullamento da parte dell’ente (allegate copia). – Prescrizione maturata (non tutte le sedi ADER accolgono su semplice dichiarazione di prescrizione, ma potete provarci allegando una nota legale che spiega i calcoli). – Altro motivo di non esigibilità (fallimento, morte del debitore con nessun erede, ecc.).
L’ADER, come detto, sospende sospende entro 5 giorni e gira la pratica all’ente creditore . Entro 220 giorni l’ente deve dare risposta. Se dice che il motivo è fondato, l’ADER annulla il carico (e quindi l’intimazione perde efficacia). Se l’ente nega, l’ADER riprende la riscossione e informerà che dovete pagare o ricorrere.
Questa procedura è utile perché costa zero e può risolvere rapidamente casi palesi (es. cartella già annullata in commissione ma mai sgravata per errore burocratico). Tuttavia, non è uno strumento garantito in tempi brevi se l’ente fa orecchie da mercante. Nel frattempo, conviene comunque depositare ricorso al giudice, se i termini stringono, per non restare senza tutela.
L’autotutela non sospende automaticamente i termini di ricorso: sono due binari paralleli. Quindi, se fate istanza a marzo e il termine per ricorso scade a aprile, non aspettate settembre la risposta: fate comunque ricorso entro aprile, perché sennò poi siete decaduti dalla tutela giurisdizionale.
Riassumendo sugli strumenti deflattivi: – La rateizzazione vi dà respiro sul pagamento ed evita l’azione esecutiva, ma comporta pagare tutto (con interessi) dilazionato. – La definizione agevolata (se disponibile per il vostro debito) vi fa risparmiare su interessi e sanzioni, ma dovete rispettare scadenze specifiche di adesione e pagamento. – L’autotutela/sospensione amministrativa è un tentativo di far riconoscere errori senza andare in giudizio, utile per errori evidenti.
Spesso, una combinazione è vincente: ad esempio, chiedere subito la sospensione amministrativa per bloccare l’iter, e parallelamente preparare il ricorso o la rateizzazione a seconda di come risponde l’ente. Oppure aderire a una definizione agevolata e nel frattempo chiedere all’ADER di astenersi dal procedere (di solito lo fanno, perché la legge glielo impone durante la definizione).
Esempio pratico di strategia: Tizio riceve intimazione per €30.000, ma sa di avere una causa pendente in Commissione Tributaria che probabilmente annullerà l’accertamento da cui origina. La sentenza però arriverà fra 6 mesi. Tizio può: – chiedere all’ADER la sospensione allegando la pendenza del giudizio (l’ente di regola sospende fino al giudizio se informato, specie se Tizio fornisce copia del ricorso e magari una istanza cautelare pendente); – valutare di pagare intanto a rate un piccolo importo per sicurezza (ma sapendo che se poi vince in causa, verrà rimborsato); – oppure fare ricorso anche contro l’intimazione per eccesso di zelo (ma spesso se la causa sul merito è pendente, l’intimazione è stata emessa per scadenza di ruolo, e la sospendono su richiesta).
Ogni situazione è unica e richiede un bilanciamento: pagare vs. litigiare, subito vs. dilazionato, giudice vs. accordo. Questa guida fornisce gli strumenti conoscitivi; la decisione concreta dipenderà dalle circostanze del debitore (capacità finanziaria, fondatezza delle ragioni, importanza del bene a rischio pignoramento, ecc.).
Nei prossimi paragrafi, affronteremo una serie di domande frequenti che sintetizzano molti dubbi comuni dei contribuenti su questo tema, e proporremo alcune simulazioni pratiche di casi tipici, per mostrare come applicare questi concetti nella realtà. Infine, chiuderemo con un elenco di riferimenti normativi e giurisprudenziali utili per approfondire.
Domande Frequenti (FAQ)
D. Ho ricevuto un’intimazione di pagamento con scritto “entro 5 giorni”. Quanti sono esattamente 5 giorni e cosa succede dopo?
R. I cinque giorni decorrono dal giorno successivo alla notifica dell’intimazione e si contano calendarialmente, includendo sabati e domeniche . Ad esempio, se l’intimazione è notificata il 1° del mese, il termine scade alla mezzanotte del 6 (essendo il 2,3,4,5,6 = 5 giorni completi). Se l’ultimo giorno cade di sabato/domenica o festivo, non è prevista proroga (la legge non lo prevede espressamente, ma per prudenza considerate effettiva la scadenza senza slittamenti, trattandosi di termine amministrativo per pagare). Dal 6° giorno in poi l’Agente della riscossione può legittimamente avviare il pignoramento . In pratica, spesso l’ADER attende qualche giorno o invia ulteriori solleciti, ma non c’è garanzia. Quindi, dopo 5 giorni senza pagamento né accordi (es. rateizzo), aspettatevi potenzialmente atti come il pignoramento del conto corrente o un fermo auto senza altro preavviso.
D. Cosa rischio concretamente se non pago e non faccio nulla dopo l’intimazione?
R. Rischi l’esecuzione forzata sui tuoi beni. L’ADER ha poteri ampi: può pignorare somme depositate in banca o posta (bloccando conti, prelevando fino a concorrenza del debito), pignorare presso terzi (stipendi, pensioni, crediti verso clienti), iscrivere fermo sul tuo veicolo (impedendone la circolazione) , iscrivere ipoteca sulla casa (se il debito supera €20.000) e, per debiti consistenti, pignorare e vendere all’asta immobili (sopra €120.000 di debito e con varie cautele di legge, ad es. non prima di 6 mesi dalla notifica cartella e con esclusione della prima casa abitazione principale, che per legge non è pignorabile da ADER). Inoltre, come detto, se non reagisci rischi di perdere la possibilità di difenderti su certe questioni (prescrizione, vizi di notifica) perché l’intimazione non impugnata cristallizza il debito . Dunque l’inerzia può portare sia al danno economico dell’espropriazione, sia alla preclusione legale di alcune eccezioni.
D. Posso chiedere una rateizzazione dopo aver ricevuto l’intimazione?
R. Sì, assolutamente. La rateizzazione è ammessa anche in questa fase, come strumento per evitare l’esecuzione immediata . È una scelta saggia se riconosci il debito e vuoi solo più tempo per pagare. Devi presentare un’istanza di dilazione all’ADER (meglio se entro i 5 giorni dalla notifica, così l’ADER sospende sul nascere i pignoramenti). Puoi includere tutti i carichi oggetto di intimazione e anche altri eventualmente a ruolo. Di solito la concessione è automatica per importi fino a 120.000 € (fino a 84 rate senza documenti) ; per importi maggiori serve provare la temporanea difficoltà economica, ma è comunque ottenibile (fino a 120 rate) . Una volta attivato il piano, dovrai pagare regolarmente le rate: se ne salti troppe (5 rate non pagate in totale) decadi e torni al punto di partenza. Tieni anche conto che, se poi pensi di aderire a una definizione agevolata futura, la legge spesso richiede di rinunciare alla dilazione in corso. Ma in ogni caso, la rateizzazione blocca l’esecuzione e quindi è un’ancora di salvezza immediata.
D. Se faccio ricorso contro l’intimazione, intanto sospendono il pignoramento?
R. Non automaticamente. Devi chiedere esplicitamente una sospensione. Nel ricorso tributario puoi presentare una contestuale istanza di sospensione cautelare al Presidente della Sezione, che di solito fissa in tempi rapidi (entro 30 giorni) l’udienza sulla sospensiva . Nel frattempo l’ADER dovrebbe astenersi dal procedere fino alla decisione cautelare (per prassi lo fa, anche se non obbligata, quando sa che c’è un’istanza pendente). Nel caso di opposizione in sede civile (per contributi o sanzioni), puoi chiedere al giudice dell’esecuzione (Tribunale o GdP) la sospensione ex art. 624 c.p.c. o ex art. 615 c.2 se il pignoramento non è iniziato: in genere depositi insieme all’opposizione un’istanza di sospensione e il giudice, se ricorrono gravi motivi, può emanare un’ordinanza di sospensione temporanea dell’esecuzione. È fondamentale motivare il pericolo (es: pignoramento della casa imminente) e la fondatezza delle tue ragioni (es: credito prescritto). In sintesi, il ricorso di per sé non ferma la riscossione; serve un provvedimento ad hoc. Fanno eccezione i casi in cui la legge dispone sospensione ex lege (es: se aderisci a rottamazione, la legge blocca la riscossione; se impugni in Cassazione con pagamento di 1/3, ecc. – ma sono dettagli). Consiglio: dopo aver depositato il ricorso e la richiesta di sospensione, notifica copia all’ADER e chiedi formalmente di astenersi dall’esecuzione in attesa della pronuncia cautelare. Spesso l’ADER accoglie tali richieste, in ossequio al principio di collaborazione.
D. Ho perso il termine per impugnare la cartella anni fa. Posso farlo ora con l’intimazione?
R. Solo in parte. Se la cartella (o l’atto originario) non fu impugnata a suo tempo ed è divenuta definitiva, non puoi più discutere del merito del tributo o di vizi noti sin da allora. Ad esempio, non puoi contestare ora che l’aliquota era sbagliata, o che non eri tenuto a quel tributo – andava fatto con ricorso contro la cartella entro 60 gg dalla sua notifica. Tuttavia, l’intimazione ti offre la possibilità di far valere vizi nuovi o sopravvenuti: tipicamente la prescrizione maturata successivamente alla definitività, oppure la mancata notifica della cartella (se davvero non ne eri a conoscenza) . Quest’ultimo punto è delicato: se dimostri che la cartella non ti fu mai notificata, l’intimazione diventa il primo atto che hai ricevuto e quindi puoi contestare il debito originario (anche nel merito) come se impugnassi la cartella, perché solo ora ne hai avuto conoscenza . Ma devi provare la nullità della notifica della cartella. In assenza di tale prova, la cartella è considerata valida e definitiva. In sintesi: l’intimazione non riapre i termini perduti, salvo il caso in cui ti attacchi all’argomento “non sapevo, perché non mi avete mai notificato nulla prima” – che però va dimostrato con elementi (es. errore di indirizzo, notifica a persona sbagliata, ecc.).
D. L’intimazione che ho ricevuto non indica il nome del responsabile del procedimento e non è firmata da una persona fisica. È valida? Posso annullarla per questo?
R. Quasi certamente è valida. In passato, la mancanza dell’indicazione del responsabile del procedimento nelle cartelle era stata ritenuta causa di nullità da alcune commissioni tributarie, ma il legislatore corse ai ripari con un decreto (DL 70/2011) che ha sostanzialmente escluso la nullità per questo motivo. La Cassazione poi ha più volte detto che l’assenza di firma autografa sull’atto emesso in forma massiva non comporta nullità se c’è la meccanizzazione e l’indicazione dell’ufficio emanante . L’intimazione spesso reca una firma a stampa o un sigillo digitale, ed è perfettamente legittima così. I giudici considerano questi vizi formali “minori” come irregolarità non invalidanti . Dunque, focalizzate la difesa su aspetti sostanziali (prescrizione, difetto di notifica, pagamento già avvenuto, ecc.) perché impugnare solo per la mancata firma difficilmente porterà successo. Si noti che il responsabile del procedimento dovrebbe essere indicato almeno nel corpo dell’atto o come riferimento, ma anche ove non fosse chiarissimo, la giurisprudenza ormai tende a non annullare l’atto per questo, a meno che non vi abbia creato un concreto pregiudizio difensivo.
D. Ho in corso una rottamazione delle cartelle (Definizione agevolata) e sto pagando regolarmente le rate. Perché mi è arrivata un’intimazione su un debito rottamato?
R. Potrebbero esserci un paio di spiegazioni: 1. Errore o incrocio di tempi: l’intimazione potrebbe essere stata emessa prima che la tua adesione alla rottamazione venisse registrata o mentre eri in attesa degli esiti. Se hai effettivamente incluso quel debito nella definizione agevolata e sei in regola, l’intimazione è impropria. Invia subito una comunicazione all’ADER spiegando la situazione e allegando la ricevuta di adesione o la comunicazione delle somme dovute che include quel carico. Normalmente l’ADER riconosce l’errore e sospende l’intimazione. 2. Debito non incluso o decaduto: verifica che quel particolare debito fosse compreso. A volte, se avevi più cartelle, potresti aver dimenticato di inserirne alcune nell’istanza di rottamazione. Oppure potresti essere decaduto dalla definizione (ad es. hai saltato una rata). In tal caso, purtroppo l’ADER riprende la riscossione normalmente. Se sei decaduto dalla rottamazione, non puoi più ripristinarla (a meno che fossi eleggibile per la riammissione 2025, ma ormai il termine è passato). Dovrai quindi affrontare l’intimazione con gli strumenti ordinari: rateizzazione, pagamento, opposizione se ci sono vizi.
In ogni caso, la cosa da fare è contattare subito l’ADER (anche tramite sportello o call center) fornendo i dettagli: chiedi perché quell’intimazione se tu hai la rottamazione. Potresti scoprire ad esempio che quella cartella era fuori scope (es. affidata dopo il 30/6/22, quindi non rottamabile) e magari non te ne eri accorto. Oppure se è un errore, farlo presente tempestivamente evita passi successivi. Ricorda: finché sei in regola con la definizione agevolata, la legge vieta all’ADER di procedere con azioni esecutive o cautelari su quei debiti. Quindi hai tutto il diritto di far valere la sospensione.
D. Ho ricevuto due intimazioni a distanza di anni l’una dall’altra per lo stesso debito. Possono farlo? Devo impugnarle entrambe?
R. Sì, è possibile. Anzi, come abbiamo spiegato, l’intimazione ha efficacia per un periodo limitato (circa un anno) . Se l’ADER non è riuscita a riscuotere o non ha avviato esecuzione dopo la prima intimazione, col passare del tempo potrebbe averti notificato una seconda intimazione per “rinnovare” la sollecitazione prima di procedere. Questo di per sé non è illegittimo: la normativa implicitamente lo consente oltre un anno dalla precedente . Dal lato tuo, ogni intimazione è un atto autonomamente impugnabile. Se la prima intimazione l’hai ignorata ed è passata in giudicato (non impugnata nei termini), la seconda intimazione non ti riapre questioni chiuse dalla prima. Ad esempio, se avresti potuto eccepire la prescrizione con la prima ma non l’hai fatto, non puoi recuperarlo con la seconda – perché ormai quel debito si è cristallizzato . Tuttavia, potresti impugnare la seconda intimazione per altri motivi, ad esempio perché nel frattempo è maturata una prescrizione dopo la prima intimazione. È un po’ tecnico: diciamo che se ricevi una nuova intimazione e il debito è sempre lì, valuta se ci sono nuovi motivi (prescrizione sopravvenuta, novità normative) per contestarla. Se sì, impugnala. Se no, potrebbe non valere la pena farne un’altra causa se hai già perso sulla prima o se nulla è cambiato (per esempio, se sulla prima il giudice ti ha dato torto, rifare con la seconda senza elementi nuovi porterebbe allo stesso esito). In ogni caso, non ignorare anche la seconda: al minimo, contatta l’ADER, vedi se c’è margine per una soluzione (rate, transazione) prima che passino ad esecuzione.
D. Ho un debito molto grande e sono un piccolo imprenditore in crisi. Esistono soluzioni concorsuali o accordi per evitare il tracollo?
R. Oltre alle soluzioni individuali dette (ricorso, rate, rottamazione), per debitori in grave crisi esistono procedure più strutturate: – Se sei un imprenditore non fallibile o un privato, potresti accedere alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (legge 3/2012 e nuovo Codice della Crisi). Con l’aiuto di un OCC (Organismo Composizione Crisi) puoi proporre un piano di ristrutturazione ai creditori, inclusa l’ADER, magari pagando parzialmente i debiti. Serve però il voto/accordo, e per i debiti fiscali di solito serve pagare almeno il capitale. – Se sei un’impresa più grande, potresti valutare un concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis L.F., includendo anche il Fisco (previa transazione fiscale). In tali procedure si può trattare con l’ADER il pagamento dilazionato e anche uno stralcio parziale di sanzioni/interessi tramite la transazione fiscale (ora regolata dal Codice della Crisi d’Impresa).
Queste sono soluzioni complesse, da valutare con un professionista specializzato in crisi d’impresa, e vanno al di là dell’ambito di questa guida. Ma è bene sapere che, in extremis, esistono opzioni “concorsuali” per evitare il collasso totale: comportano l’intervento di un tribunale fallimentare e piani su tutti i debiti, ma possono congelare le azioni esecutive e portare a un recupero sostenibile. Tieni però presente i costi e i requisiti di tali procedure.
Esempi pratici di difesa del debitore
Vediamo ora alcuni scenari concreti per capire come applicare gli strumenti illustrati, dal punto di vista del debitore:
Caso 1: Debito fiscale con cartella mai notificata, scoperto tramite intimazione
Scenario: Luigi riceve nel 2025 un’intimazione che cita una cartella del 2017 per IRPEF non pagata. Luigi però non ha mai ricevuto quella cartella nel 2017 (magari perché fu notificata a un indirizzo vecchio o con errore). Ora l’intimazione è il primo atto che lo informa del debito.
Difesa: Luigi può impugnare l’intimazione davanti alla Corte di Giustizia Tributaria eccependo la nullità della notifica della cartella presupposta . Chiederà al giudice di dichiarare nulla la cartella (titolo) e quindi annullare l’intimazione. Dovrà provare la mancata notifica – ad esempio ottenendo dall’ADER la relata di notifica del 2017 e dimostrando che inviarono a un indirizzo errato. Nel ricorso potrà anche sollevare la prescrizione: essendo passati più di 5 anni (2017-2025) senza valide notifiche, il debito IRPEF potrebbe esser prescritto (qui attenzione, IRPEF è 10 anni, quindi se la cartella era emessa nel 2017, la prescrizione cadrebbe nel 2027; però se la notifica era nulla, si torna all’accertamento originario forse del 2015 e lì c’è da valutare…). Luigi chiederà subito anche la sospensione per fermare il pignoramento. Verosimilmente, la Commissione accoglierà il ricorso se la notifica della cartella risulta viziata, permettendo a Luigi di non pagare nulla (debito annullato) .
Nota: in questo caso Luigi, non avendo mai saputo prima, ha potuto far valere tutto adesso. È cruciale però che impugni entro 60 giorni dall’intimazione; se lo ignorasse, in futuro non potrebbe più lamentarsi né del vizio di notifica né di altro, perché l’intimazione sanerebbe la situazione.
Caso 2: Debito contributivo INPS prescritto prima della cartella
Scenario: Maria, ex artigiana, riceve intimazione per contributi INPS 2008 non versati, con cartella notificata (dicono) nel 2014. Maria non ricorda quella cartella; in ogni caso son passati molti anni. I contributi obbligatori hanno prescrizione 5 anni. Se il 2008 non fu richiesto entro il 2013, erano già prescritti quando emisero la cartella nel 2014.
Difesa: Maria può presentare un’opposizione all’esecuzione al Tribunale (sez. lavoro), sostenendo che il credito era già prescritto prima della formazione del ruolo/cartella . Argomenterà che il termine quinquennale è decorso (2008+5=2013) e la cartella 2014 non poteva validamente pretendere il contributo. Inoltre, se crede, contesterà la notifica della cartella se non l’ha ricevuta. Il Tribunale verificherà queste circostanze; in effetti Cass. n. 7156/2023 ha ribadito che non si possono riscuotere contributi prescritti prima e che la cartella non impugnata non allunga la prescrizione . Maria deve agire entro 40 giorni dall’intimazione (termine analogico) per evitare eccezioni di tardività . Se tutto va bene, il giudice dichiarerà prescritta la pretesa contributiva e estinguerà il debito . In caso contrario (se scopre che la cartella fu regolarmente notificata e non impugnata), Maria potrebbe vedersi opporre che doveva contestarla allora; ma per i contributi, ricordiamo, la prescrizione resta 5 anni a prescindere , quindi Maria ha buone chance se prova l’inerzia INPS fino al 2014.
Caso 3: Debito da multa stradale con cartella definitiva, nessun atto per 6 anni
Scenario: Carlo riceve intimazione nel 2025 per una multa del Comune risalente a una violazione del 2015, con cartella notificata nel 2016. Carlo non fece opposizione allora, quindi la cartella è definitiva. Ora, 9 anni dopo il verbale, gli chiedono ~300 € entro 5 giorni. La prescrizione delle sanzioni CdS è 5 anni, e dal 2016 al 2025 sono passati 9 anni.
Difesa: Carlo può eccepire che il diritto a riscuotere la multa è prescritto (2016-2021 quinquennio decorso senza atti). Deve farlo con opposizione al GdP o Tribunale (a seconda dell’importo, 300€ -> GdP) ex art. 615 c.p.c., entro un termine ragionevole (non strettissimo ma meglio entro 30 gg). Allegherà che non ha ricevuto altri atti dal 2016 fino a questa intimazione. L’intimazione 2025 è tardiva perché arriva a debito già prescritto nel 2021. Se il giudice conferma che non ci furono atti interruttivi (cartella 2016, poi nulla fino a intimazione 2025), dichiarerà prescritta la sanzione e annullerà l’intimazione. Carlo così non pagherà nulla. Attenzione: se Carlo invece ignorasse l’intimazione sperando in bene, quell’atto del 2025 interromperebbe la prescrizione e renderebbe di nuovo vivo il credito, e se poi facesse opposizione al pignoramento magari nel 2026, il giudice direbbe “ormai è definitivo, dovevi opporti entro tot dall’intimazione”. Quindi bene che Carlo abbia agito subito.
Nota: nei casi di multe, spesso emergono eccezioni di notifica (es. la cartella 2016 fu notificata a un vecchio indirizzo?), ma Carlo se la ricorda quindi presumiamo fosse notificata regolarmente.
Caso 4: Cartella fiscale legittima non pagata, difesa solo dilatoria
Scenario: Daniela ha una cartella per IVA 2019 regolarmente notificata nel 2020, mai pagata per difficoltà finanziarie. Riceve intimazione nel 2025 per ~20.000€ (imposta + interessi). Il debito è certamente dovuto, nessuna prescrizione (termine 10 anni, interrotto dall’intimazione stessa), nessun vizio di notifica.
Difesa: Non avendo vizi sostanziali da opporre, la strategia migliore per Daniela è evitare il pignoramento mediante rateizzazione. Entro 5 giorni presenta domanda di dilazione: per 20k potrà ottenere fino a 72-84 rate mensili senza problemi. Ciò blocca l’azione esecutiva e le permette di pagare in ~6 anni l’importo, compatibilmente con le sue possibilità. Daniela potrebbe anche valutare se all’orizzonte c’è una definizione agevolata (ad esempio, spera nella rottamazione 2026): in tal caso, fare la rateizzazione ora non le preclude poi di aderirvi, ma attenzione che se aderirà alla nuova rottamazione dovrà comunque interrompere la rate in corso (di solito). Intanto però la rateizzazione le ha impedito il pignoramento del conto che le avrebbe potuto bloccare la liquidità per l’azienda. Qui la “difesa” è stata non contenziosa: riconoscere il debito e gestirlo nel modo meno doloroso. Impugnare l’intimazione senza motivi seri sarebbe stato inutile e le avrebbe solo fatto accumulare spese legali.
Caso 5: Intimazione per debito già definito in rottamazione
Scenario: Enrico ha aderito alla rottamazione-quater per una serie di cartelle, tra cui quella n. XYZ. Purtroppo ha saltato la rata di novembre 2024 e quella di febbraio 2024, decadendo dal beneficio. Nel settembre 2025 riceve un’intimazione dall’ADER che include la cartella XYZ per 5.000€ (importo intero, con sanzioni e interessi perché decaduto).
Difesa: Enrico era decaduto e non ha presentato domanda di riammissione entro apr 2025, quindi il debito è tornato esigibile pienamente. Non ci sono vizi da eccepire, e ormai la chance rottamazione è persa. La sua opzione è trattare il debito come “normale”: può chiedere rateizzazione del residuo 5.000€ in 18 rate (ad es.) o quel che riesce, per non subire pignoramento. Oppure può pagare subito se ha recuperato fondi. Impugnare l’intimazione non avrebbe fondamento, perché il fatto di aver aderito a rottamazione non gli giova più essendo decaduto (la legge consente la riscossione integrale in tal caso). Al massimo, può controllare se magari il conteggio ADER è corretto e se non gli spettasse lo stralcio parziale degli interessi legali di mora 2019 (in genere no, decadendo devi tutto). Dovrà quindi agire come nel caso 4: evitare esecuzione con dilazione.
Caso 6: Contestazione di legittimazione passiva
Scenario (tecnico, per avvocati): La società X riceve intimazione per contributi previdenziali. Propone opposizione al Tribunale chiamando in giudizio solo ADER. In causa, l’INPS (ente creditore) non è presente.
Possibile sviluppo: Sulla scorta delle SU 7514/2022, l’ADER eccepisce che si sta contestando la fondatezza del credito (prescrizione dei contributi) e quindi in giudizio doveva essere chiamato l’INPS, titolare del credito . Il giudice probabilmente ordinerà l’integrazione del contraddittorio nei confronti di INPS, perché senza di esso non si può decidere sull’esistenza del credito previdenziale. Se la società X non lo chiama, il ricorso potrebbe essere dichiarato inammissibile o rigettato per difetto di legittimazione passiva di ADER. Questo caso mostra l’importanza di individuare chi citare: per questioni di merito del credito, sempre includere l’ente impositore .
Questi esempi coprono alcune situazioni tipiche. Ovviamente ne esistono molte altre (debitori deceduti, casi di cartelle pazze, ecc.), ma il metodo di analisi resta: capire la natura del debito, controllare tempi e atti, e poi scegliere se pagare/dilazionare o contestare, eventualmente combinando le due cose.
Conclusioni
Affrontare un’intimazione di pagamento dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione richiede prontezza, cognizione delle proprie ragioni e uso strategico degli strumenti a disposizione. Dal punto di vista del debitore, le parole d’ordine sono: tempestività (non lasciar scadere i termini), valutazione accurata dei fatti (prescrizione, vizi, possibilità di sanatorie) e azione mirata (ricorso, rateizzo, ecc. secondo convenienza). Speriamo che questa guida – con fonti aggiornate al 2025 e un taglio pratico – vi abbia fornito un quadro chiaro di cosa fare subito per difendervi di fronte a un’intimazione di pagamento. Ricordate che ogni caso ha le sue particolarità: se siete incerti, consultate un professionista, soprattutto per importi rilevanti. Una difesa ben impostata può farvi risparmiare somme importanti o comunque gestire il debito in maniera sostenibile, mentre errori o inerzie possono costare cari.
In ultimo, un incoraggiamento: le norme fiscali e della riscossione possono sembrare pesanti per il contribuente, ma offrono anche tutele e opportunità (dalle sospensioni alle definizioni agevolate). Con conoscenza e determinazione, anche una situazione di debito può spesso essere risolta o alleviata, tornando a guardare al futuro con maggiore serenità.
Fonti normative e giurisprudenziali
Di seguito elenchiamo le principali fonti normative e pronunce giurisprudenziali citate o rilevanti in materia di intimazione di pagamento e difesa del debitore:
Normativa primaria:
- D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 50 – “Termine per l’inizio dell’esecuzione”. Prevede l’obbligo di intimazione ad adempiere entro 5 giorni se è trascorso più di un anno dalla notifica della cartella senza esecuzione .
 - D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19 – Elenco degli atti impugnabili davanti alle Commissioni Tributarie (oggi Corti Giustizia Trib.). Include espressamente l’avviso di mora; la Cassazione ha equiparato l’intimazione di pagamento all’avviso di mora .
 - D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, artt. 24-29 – Disciplina della riscossione dei contributi previdenziali mediante ruolo. Stabilisce, tra l’altro, che l’opposizione a cartella di contributi segue le forme delle opposizioni esecutive civili (termine 40 giorni per opposizione a cartella).
 - Codice di Procedura Civile, art. 615 e 617 – Norme sulle opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi (rilevanti per contestare intimazioni relative a contributi o sanzioni amministrative innanzi al giudice ordinario) .
 - Legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 28 – Termini di prescrizione delle sanzioni amministrative (5 anni).
 - Codice della Strada, art. 209 – Termini di prescrizione delle sanzioni del CdS (5 anni).
 - Legge 8 agosto 1995, n. 335, art. 3, commi 9 e 10 – Termine quinquennale di prescrizione per i contributi previdenziali obbligatori, anche se contenuti in ruoli (Cassazione ha confermato il quinquennio anche se cartella non opposta) .
 - Decreto Legge 6 dicembre 2011, n. 201, art. 11 comma 1-bis (convertito L.214/2011) – Ha introdotto l’obbligo di indicare nelle cartelle il responsabile del procedimento. La giurisprudenza successiva ha però ritenuto la sua mancanza vizio non invalidante.
 - Decreto Legge 13 maggio 2011, n. 70, art. 7, comma 2, lett. gg-sexies (convertito L.106/2011) – Ha disposto che la nullità della cartella per mancata indicazione del responsabile si ha solo per cartelle successive a tale DL; inoltre in pratica ha ridimensionato questa causa di nullità.
 - Legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Legge di Bilancio 2020) – Ha innovato alcune regole sui limiti di pignorabilità, ecc. (non dettagliate nel testo, ma rilevanti per esecuzioni).
 - Legge 29 dicembre 2022, n. 197, commi 231-252 – Definizione agevolata 2023 (Rottamazione-quater) . Stabilisce condoni di sanzioni e interessi per ruoli 2000-2022.
 - Decreto-Legge 10 maggio 2023, n. 51, conv. L. 87/2023 – Ha prorogato termini domanda rottamazione-quater al 30/6/2023 .
 - Legge 26 maggio 2023, n. 18 – Ha differito al 15/3/2024 il pagamento delle prime rate rottamazione-quater (per dare respiro ai contribuenti) .
 - Decreto Alluvioni DL 61/2023, conv. L.100/2023 – Proroghe definizione 2023 per zone colpite (non generali).
 - D.Lgs. 8 agosto 2024, n. 110 – Riforma della riscossione (attuazione legge delega fiscale) dal 1/1/2025: ha modificato la rateizzazione aumentando a 120k la soglia senza documenti e graduando le rate possibili .
 - Decreto MEF 27 dicembre 2024 – Ha introdotto nuovi indicatori economici (ISEE, Indice Alfa, Beta) per valutare la difficoltà economica ai fini delle rateazioni superiori a 84 rate .
 - Decreto-Legge 29 dicembre 2024, n. 198 (Milleproroghe 2024), conv. Legge 24 febbraio 2025, n. 15 – Art. 2-ter ha previsto la riammissione alla rottamazione-quater per i decaduti, con domanda entro 30/4/2025 e prima rata 31/7/2025 .
 
Giurisprudenza:
- Cass., Sez. Un., 8 marzo 2022, n. 7514 – Principio di necessaria integrazione del contraddittorio con l’ente impositore nelle opposizioni a intimazioni riguardanti l’inesistenza del credito (es. prescrizione di contributi) .
 - Cass., Sez. Lav., 10 marzo 2023, n. 7156 – Caso di intimazione contributi 2004-2005: conferma inammissibilità dell’opposizione tardiva, termine 40 giorni, e che la prescrizione maturata prima della cartella andava eccepita allora o al primo atto utile .
 - Cass., Sez. V, 11 marzo 2025, n. 6436 – (Citata in dottrina ) Ha stabilito che l’intimazione di pagamento è atto tipico equiparato ad avviso di mora e se non impugnato cristallizza il credito fiscale. Ha segnato un cambio rispetto a precedenti che parlavano di atti atipici facoltativi.
 - Cass., Sez. V, 26 luglio 2025, n. 20476 – Conferma che la mancata impugnazione dell’intimazione preclude l’eccezione di prescrizione maturata anteriormente e rende irretrattabile la pretesa .
 - Cass., Sez. V, 5 maggio 2020, n. 8454 – (Indicata da dottrina ) Affronta questione di notifica e prescrizione decennale vs quinquennale su intimazione non impugnata del 1995.
 - Cass., Sez. V, 18 luglio 2008, n. 19472 (e Cass. 8279/2008) – Prime pronunce che qualificavano l’avviso di intimazione come avviso di mora ex art.19, quindi da impugnare.
 - Cass., Sez. VI-T, 24 gennaio 2013, n. 1658 – Ribadisce natura impugnabile dell’intimazione (avviso di mora).
 - Tribunale di Cagliari (Sez. Lavoro), 26 maggio 2023, n. 782 – Esempio di applicazione del principio SU 7514/22: dichiarata prescrizione contributi in opposizione a intimazione, con chiamata in causa dell’INPS come legittimato passivo .
 - Cass., Sez. Lav., 30 novembre 2016, n. 24506 – Riguardo a tempestività opposizione a cartella contributi non notificata: primo atto successivo come dies a quo .
 - Cass., Sez. Un., 17 novembre 2016, n. 23397 – (Non citata sopra, ma importante) Ha affermato in materia tributaria che anche dopo titolo definitivo la prescrizione dei tributi resta quella propria (in quel caso discusso se 5 anni per diritti doganali).
 - Cass., Sez. II, 14 gennaio 2011, n. 586 – Sulla nullità della cartella per mancanza del responsabile del procedimento (orientamento superato dal DL 70/2011, ma storico).
 - Corte Costituzionale 12/2005 – In tema di soprattasse e natura sanzionatoria, (irrilevante qui se non per definire prescrizioni).
 - Giudice di Pace di Milano, sent… – (omesse minori sentenze sui GdP in tema di multe e intimazioni).
 
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Hai ricevuto un’intimazione di pagamento da parte dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AER) e non sai come reagire?
Il documento ti chiede di pagare entro 5 giorni, minacciando pignoramenti, fermi amministrativi o ipoteche se non lo fai?
👉 Fermati un attimo: non pagare subito senza capire di cosa si tratta.
Un’intimazione di pagamento non è la fine, ma un atto che può essere impugnato, sospeso o gestito legalmente — se agisci tempestivamente.
In questa guida scoprirai cos’è davvero un’intimazione di pagamento, quando è valida e tutte le mosse legali che puoi fare per difenderti e bloccare l’Agenzia delle Entrate prima che agisca.
⚖️ Cos’è l’intimazione di pagamento
L’intimazione di pagamento è un atto con cui l’Agenzia delle Entrate-Riscossione ti intima di pagare le somme dovute entro 5 giorni dalla notifica, perché:
- non hai pagato una o più cartelle esattoriali già notificate, oppure
 - sono trascorsi più di 12 mesi dall’ultima cartella senza che sia iniziata una procedura di riscossione.
 
📌 In pratica è l’ultimo avviso prima del pignoramento.
Serve a “riattivare” il potere dell’Agenzia di procedere contro di te.
📩 Come riconoscere un’intimazione di pagamento
Un’intimazione di pagamento:
- arriva per raccomandata A/R, PEC o notifica tramite messo;
 - contiene l’elenco delle cartelle o avvisi non pagati;
 - indica la somma totale dovuta;
 - avverte che, trascorsi 5 giorni, inizieranno azioni esecutive (pignoramenti, fermi, ipoteche).
 
⚠️ Se l’atto non contiene l’elenco dettagliato delle cartelle o non specifica i riferimenti dei debiti, può essere nullo.
⏰ Cosa succede se non rispondi entro 5 giorni
Trascorso il termine di 5 giorni:
- l’Agenzia può avviare il pignoramento del conto, dello stipendio o dei beni mobili/immobili;
 - può iscrivere un’ipoteca o attivare un fermo amministrativo;
 - può procedere senza bisogno di ulteriori avvisi.
 
👉 Tuttavia, molte intimazioni sono viziate o illegittime e possono essere impugnate o sospese se intervieni subito.
🧠 Cosa fare immediatamente
✅ 1. Verifica la legittimità dell’intimazione
Un avvocato può controllare se l’atto:
- è stato notificato correttamente (PEC, raccomandata o messo notificatore);
 - riguarda cartelle prescritte (5 o 10 anni, a seconda del tipo di imposta);
 - include debiti già pagati o sospesi;
 - è stato emesso oltre il termine di un anno dall’ultima notifica.
 
Se uno di questi punti è irregolare, l’intimazione può essere annullata.
✅ 2. Richiedi l’estratto di ruolo aggiornato
È il documento ufficiale che mostra tutti i debiti iscritti a tuo nome.
Puoi richiederlo online sul portale dell’Agenzia delle Entrate o tramite SPID, oppure con l’assistenza di un avvocato.
👉 Serve per capire a cosa si riferisce realmente l’intimazione e se ci sono cartelle prescritte o inesatte.
✅ 3. Valuta un ricorso o una sospensione immediata
Se il debito è prescritto o l’intimazione è irregolare, puoi:
- presentare ricorso tributario entro 60 giorni;
 - oppure depositare un’istanza di sospensione immediata, se l’Agenzia ha già avviato azioni esecutive.
 
📌 Il ricorso blocca la riscossione fino alla decisione del giudice.
✅ 4. Attiva una procedura di rateizzazione o definizione
Se l’intimazione è valida ma non puoi pagare tutto subito, puoi chiedere una rateizzazione fino a 120 rate (10 anni).
Durante la rateizzazione:
- l’Agenzia non può avviare pignoramenti;
 - eventuali fermi o ipoteche vengono sospesi.
 
👉 È importante chiedere la rateizzazione prima che scadano i 5 giorni o che parta l’esecuzione.
✅ 5. Verifica se puoi accedere a una procedura di esdebitazione
Se hai più debiti fiscali e non riesci a pagarli, puoi chiedere al Tribunale di avviare la procedura di sovraindebitamento (D.Lgs. 14/2019).
Ti permette di:
- bloccare tutte le azioni dell’Agenzia;
 - proporre un piano di pagamento sostenibile;
 - ottenere la cancellazione totale dei debiti residui.
 
📋 Documenti da raccogliere subito
- Copia dell’intimazione di pagamento ricevuta.
 - Estratto di ruolo aggiornato AER.
 - Cartelle o avvisi collegati all’intimazione.
 - Ricevute di eventuali pagamenti già effettuati.
 - Comunicazioni o notifiche precedenti.
 - Prove del reddito e della situazione economica.
 
⏱️ Tempi e risultati possibili
- Verifica legale e ricorso urgente: 1–2 settimane.
 - Sospensione o annullamento: entro 30–60 giorni (se accolta).
 - Rateizzazione o piano di rientro: 1–2 mesi.
 - Procedura di esdebitazione: 3–8 mesi medi.
 
🎯 Risultati concreti:
- Blocco immediato dei pignoramenti.
 - Sospensione o annullamento dell’intimazione.
 - Rateizzazione sostenibile o cancellazione totale dei debiti.
 - Protezione dei tuoi beni e del conto corrente.
 
⚖️ I vantaggi di agire subito
✅ Blocchi ogni azione esecutiva entro pochi giorni.
✅ Eviti pignoramenti su conti, stipendi e immobili.
✅ Puoi contestare intimazioni illegittime o prescritte.
✅ Hai la possibilità di ridurre o cancellare i debiti.
✅ Eviti di compromettere il tuo patrimonio personale.
🚫 Errori da evitare
- Ignorare la notifica: dopo 5 giorni il pignoramento è automatico.
 - Pagare subito senza verificare la legittimità dell’atto.
 - Firmare rateizzazioni senza valutare la sostenibilità.
 - Rivolgerti a “consulenti del debito” non avvocati.
 - Pensare che i debiti fiscali “cadano da soli” nel tempo.
 
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza l’intimazione di pagamento e verifica la legittimità dell’atto.
📌 Richiede l’estratto di ruolo e individua le cartelle prescritte o annullabili.
✍️ Predispone e deposita ricorsi o istanze di sospensione urgenti.
⚖️ Ti rappresenta nei rapporti con l’Agenzia delle Entrate e in Tribunale.
🔁 Ti assiste fino alla rateizzazione, definizione o cancellazione completa dei debiti fiscali.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e sovraindebitamento.
✔️ Specializzato nella difesa contro cartelle, pignoramenti e intimazioni di pagamento.
✔️ Gestore della crisi da sovraindebitamento iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Ricevere un’intimazione di pagamento non significa dover subire.
Agendo tempestivamente puoi bloccare i pignoramenti, contestare le cartelle illegittime e persino ottenere la cancellazione dei debiti residui.
La legge ti tutela, ma solo se ti muovi subito.
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