Indebitato All’improvviso? Ecco Tutte le Strategie Legali Per Uscire da Questa Situazione

Ti sei ritrovato improvvisamente pieno di debiti e non sai da dove cominciare per uscirne?
Succede più spesso di quanto si pensi: una perdita di lavoro, una malattia, un calo del reddito, un imprevisto familiare o un investimento andato male possono far crollare in pochi mesi un equilibrio economico costruito in anni.

Molte persone si trovano indebitate all’improvviso e reagiscono nel modo peggiore: evitando di affrontare il problema.
Ma la verità è che esistono strategie legali concrete per bloccare i creditori, ridurre o cancellare i debiti e ripartire in modo sicuro.
La chiave è agire subito, con metodo e con il supporto di professionisti che conoscono la legge.

Perché ci si indebita improvvisamente

L’indebitamento improvviso può derivare da diversi fattori:

  • perdita del lavoro o riduzione dello stipendio;
  • malattie, spese mediche o familiari impreviste;
  • crisi economica o fallimento di un cliente;
  • mutui o prestiti troppo onerosi;
  • errori di pianificazione o garanzie prestate a terzi.

Quando le entrate diminuiscono e le scadenze si accumulano, anche piccoli debiti possono trasformarsi in un vortice difficile da fermare.
Il primo passo è capire quanto devi, a chi e con quali strumenti legali puoi difenderti.

Cosa succede se non riesci a pagare

Il mancato pagamento di rate, imposte o contributi porta rapidamente a:

  • solleciti e lettere di recupero crediti;
  • segnalazioni nelle banche dati (CRIF, Experian, CTC);
  • pignoramenti di conti correnti, stipendi o beni;
  • blocchi e ipoteche da parte di banche o Agenzia delle Entrate.

Ignorare la situazione peggiora solo le cose.
Tuttavia, anche se tutto sembra perduto, la legge prevede soluzioni efficaci per chi è in difficoltà economica e agisce in buona fede.

Le strategie legali per uscire dai debiti

Ci sono diversi strumenti legali, ognuno adatto a un tipo di situazione. Le principali strategie sono:

  1. Rateizzazione dei debiti fiscali e contributivi
    Puoi chiedere di pagare i debiti con l’Agenzia delle Entrate o l’INPS in rate mensili fino a 120 mesi, sospendendo temporaneamente le procedure di riscossione.
  2. Definizione agevolata o rottamazione delle cartelle
    Se prevista, permette di pagare solo il capitale dovuto, eliminando sanzioni e interessi.
  3. Saldo e stralcio con banche o finanziarie
    Consente di chiudere i debiti pagando una parte dell’importo dovuto, ottenendo la liberatoria definitiva.
  4. Procedura di sovraindebitamento
    È la soluzione più completa per chi non riesce più a pagare i debiti. Blocca i creditori, sospende i pignoramenti e può portare alla cancellazione totale dei debiti residui.
  5. Accordo di ristrutturazione dei debiti
    Per chi ha un reddito o un’attività, consente di proporre un piano sostenibile ai creditori, con il controllo e l’approvazione del tribunale.

Come funziona la procedura di sovraindebitamento

Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019) ha introdotto una procedura pensata per persone, famiglie, autonomi e piccoli imprenditori che non riescono più a pagare i propri debiti.
Attraverso questa procedura puoi:

  • bloccare immediatamente pignoramenti, ipoteche e azioni dei creditori;
  • proporre un piano di pagamento ridotto e sostenibile;
  • ottenere la cancellazione parziale o totale dei debiti residui;
  • ripartire legalmente, senza più essere oppresso dai debiti del passato.

Il tribunale, una volta accertata la tua buona fede e la reale difficoltà economica, può approvare il piano e garantire protezione immediata.

Come trattare con banche e società di recupero crediti

Se i tuoi debiti riguardano prestiti o carte di credito, puoi trattare direttamente con la banca o la società di recupero.
Molte volte i creditori accettano uno stralcio del debito, cioè la chiusura con il pagamento di una somma ridotta.
Per trattare in modo efficace:

  • chiedi sempre il conteggio aggiornato del debito;
  • non firmare nulla senza una proposta scritta e chiara;
  • richiedi la liberatoria dopo il pagamento;
  • fai gestire la trattativa da un avvocato per evitare errori o pressioni indebite.

Le società di recupero non possono minacciarti né contattare parenti o colleghi: hai diritto al rispetto e alla riservatezza.

Cancellare i debiti residui: l’esdebitazione

Se non hai beni o redditi sufficienti, puoi chiedere al tribunale la esdebitazione del debitore incapiente.
È una procedura legale che permette di cancellare completamente i debiti, dimostrando la tua buona fede e l’impossibilità oggettiva di pagare.
Una volta concessa, nessun creditore potrà più pretendere somme da te.
È la soluzione definitiva per chi si trova in una situazione di difficoltà economica profonda.

Come proteggere i tuoi beni e la tua casa

Anche in presenza di debiti, la legge tutela determinati beni e redditi.
Un avvocato può aiutarti a:

  • evitare il pignoramento dello stipendio o della pensione oltre i limiti previsti;
  • difendere la prima casa se non è ipotecata;
  • dimostrare che determinati beni non appartengono al debitore ma a familiari;
  • sospendere temporaneamente le azioni esecutive in corso.

Ogni caso va valutato attentamente per capire quali protezioni applicare.

I vantaggi di una difesa legale tempestiva

Agire subito con il supporto di un avvocato esperto consente di:

  • sospendere immediatamente i pignoramenti e le procedure esecutive;
  • ridurre o cancellare i debiti residui;
  • rinegoziare le condizioni con i creditori;
  • tutelare i beni personali e familiari;
  • ripartire legalmente e serenamente.

Un intervento rapido può cambiare completamente il tuo futuro economico.

Attenzione alle promesse false

Diffida di chi promette di “azzerare i debiti in pochi giorni” o di cancellare cartelle senza procedure legali.
Solo gli strumenti previsti dalla legge e omologati dal tribunale garantiscono risultati reali.
Affidati esclusivamente a professionisti qualificati — avvocati esperti in diritto tributario e sovraindebitamento — che possono agire legalmente per conto tuo e tutelare i tuoi diritti.

Quando rivolgersi a un avvocato esperto

Devi contattare un avvocato se:

  • hai ricevuto cartelle, decreti ingiuntivi o pignoramenti;
  • non riesci più a pagare rate o bollette;
  • sei stato segnalato come cattivo pagatore;
  • vuoi bloccare i creditori e ricominciare da zero.

Un avvocato esperto può analizzare la tua situazione, valutare tutte le soluzioni legali e guidarti fino alla cancellazione definitiva dei debiti.

⚠️ Attenzione: rimandare o ignorare la situazione peggiora sempre le cose. Agire subito è l’unico modo per fermare i creditori, proteggere i tuoi beni e uscire dal sovraindebitamento in modo sicuro.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, riscossione e tutela dei debitori – spiega in modo chiaro cosa fare se ti sei indebitato all’improvviso, come difenderti legalmente e come cancellare i debiti con gli strumenti previsti dalla legge.

👉 Ti sei trovato indebitato all’improvviso e non sai da dove iniziare?
Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo.
Analizzeremo la tua situazione, individueremo la soluzione più efficace e costruiremo una strategia legale personalizzata per bloccare i creditori, cancellare i debiti e permetterti di ripartire con serenità.

Introduzione
Trovarsi all’improvviso indebitati può accadere a privati cittadini, professionisti o imprenditori, spesso in seguito a eventi imprevisti (perdita del lavoro, crisi aziendale, spese improvvise, dipendenze da gioco, ecc.). In Italia il debito non pagato comporta conseguenze legali serie: dai solleciti e interessi di mora, fino a decreti ingiuntivi, pignoramenti di stipendi o beni e, per gli imprenditori, procedure fallimentari. Fortunatamente, il nostro ordinamento offre strategie legali – sia strumenti stragiudiziali (accordi, piani di rientro) sia procedure concorsuali – che permettono al debitore onesto ma sfortunato di uscire dalla spirale dei debiti in modo ordinato e, in alcuni casi, essere esdebitato (cioè liberato dai debiti residui). Questa guida avanzata, aggiornata a settembre 2025, fornirà un quadro completo delle soluzioni disponibili, con linguaggio giuridico ma chiaro e divulgativo, adatto sia ad addetti ai lavori (avvocati, consulenti) sia ai debitori stessi. Il focus sarà sul punto di vista del debitore, illustrando diritti, tutele e passi da compiere per riconquistare la stabilità finanziaria.

Struttura della Guida: Dopo un’analisi delle diverse tipologie di debiti (fiscali, bancari, verso fornitori, personali, da gioco, da carte di credito) e dei relativi rischi, passeremo in rassegna tutte le strategie legali per gestirli o estinguerli. Verranno trattati strumenti stragiudiziali (come accordi a saldo e stralcio, piani di rientro rateali, consolidamento) e giudiziali/concorsuali (come le procedure da sovraindebitamento introdotte dalla Legge “salva suicidi” 3/2012 e ora disciplinate dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, inclusi il piano del consumatore, il concordato minore, la liquidazione controllata e l’esdebitazione). Saranno inoltre evidenziate le novità normative recenti (es. la Legge di Bilancio 2023 con lo stralcio dei mini-debiti e la rottamazione-quater delle cartelle esattoriali) e le più recenti sentenze della Cassazione che hanno chiarito principi chiave in materia (ad es., l’assenza di una soglia minima di pagamento per ottenere l’esdebitazione , o la nullità di certi contratti di credito poco trasparenti). Troverete anche tabelle riepilogative (ad es. sui termini di prescrizione dei debiti, sui limiti di pignorabilità dei beni, sul confronto tra procedure concorsuali) e una sezione Domande & Risposte con i quesiti più frequenti. Infine, alcuni casi pratici simulati illustreranno come applicare queste strategie in situazioni tipiche (il consumatore sommerso dai debiti di carte di credito, l’imprenditore insolvente verso fornitori e Fisco, il giocatore d’azzardo indebitato, ecc.), sempre nell’ordinamento italiano.

Nota: Ogni soluzione va valutata attentamente caso per caso, meglio con l’assistenza di professionisti (avvocati, Organismi di Composizione della Crisi, consulenti finanziari). Le leggi richiedono spesso requisiti di meritevolezza (comportamento corretto del debitore) per concedere benefici come l’esdebitazione; inoltre, è fondamentale evitare mosse fraudolente (come nascondere beni) che precluderebbero ogni rimedio legale. Con consapevolezza dei propri diritti e doveri, anche la situazione debitoria più grave può essere affrontata e risolta, ripartendo verso un “fresh start” come auspicato dalle norme europee e nazionali sul sovraindebitamento.

Tipologie di Debiti e Rischi Collegati

Non tutti i debiti sono uguali: a seconda della natura del creditore (Erario, banca, privato, ecc.) e del titolo del debito (tributi, prestiti, forniture non pagate, gioco d’azzardo, ecc.), cambiano le procedure di riscossione e le tutele previste. Esaminiamo le principali categorie di debiti che possono affliggere un soggetto e i rischi specifici connessi a ciascuna.

Debiti Fiscali (Erario e enti previdenziali)

I debiti fiscali sono quelli verso l’Erario (Agenzia delle Entrate) o enti previdenziali (es. INPS) per imposte, tasse, contributi obbligatori non pagati. Esempi tipici: IRPEF, IVA, contributi previdenziali, IMU, multe stradali, ecc. Questi debiti sono particolarmente insidiosi perché la loro riscossione è affidata a un ente pubblico (oggi Agenzia delle Entrate-Riscossione, ex Equitalia) che ha poteri peculiari di esecuzione. La procedura inizia con la notifica di una cartella esattoriale o avviso di addebito, che intima il pagamento entro 60 giorni. Se il debitore non paga né ottiene una rateizzazione, l’Agente della riscossione può procedere con misure esecutive veloci, senza bisogno di un giudice (la cartella esattoriale è già un titolo esecutivo).

Strumenti di riscossione coattiva del Fisco: L’Agente della riscossione può disporre:
Fermo amministrativo di beni mobili registrati (es. autoveicoli): il bene risulta bloccato e inutilizzabile finché non si paga.
Ipoteca sugli immobili del debitore: iscritta dopo il mancato pagamento, come garanzia del debito.
Pignoramento e vendita all’asta dei beni del debitore (mobili, immobili, crediti verso terzi). In particolare, può pignorare conti correnti, stipendi/pensioni (presso il datore di lavoro o INPS), e immobili. Va sottolineato che la legge prevede alcune tutele importanti sulla prima casa: dal 2013 è vietato il pignoramento della prima ed unica casa di abitazione da parte del Fisco, purché il debitore vi risieda anagraficamente e l’immobile non sia di lusso. Inoltre, per procedere al pignoramento immobiliare, il totale dei debiti fiscali deve superare una certa soglia (oggi €120.000); al di sotto di tale importo l’Agente non può espropriare immobili abitativi. Questo significa che, se avete un’unica casa in cui vivete, non ipotecata, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione non può metterla all’asta in forza di debiti fiscali ordinari. Restano possibili però altre azioni come l’iscrizione di ipoteca (se il debito supera €20.000) e il pignoramento di altri beni o di ulteriori immobili se posseduti. Attenzione: le suddette protezioni valgono solo verso il Fisco; un creditore privato (banca, fornitore, ecc.) invece può pignorare la vostra casa anche se è l’unica, non essendoci un divieto generale, salvo specifiche situazioni di impignorabilità previste per legge (ad esempio, un fondo patrimoniale valido, nei limiti di legge).

Interessi, sanzioni e aggravio del debito fiscale: Un altro rischio è l’accumulo di interessi di mora e sanzioni. Le cartelle includono spesso sanzioni amministrative per il ritardo nel pagamento dell’imposta, e un interesse moratorio che continua a maturare. Inoltre, l’Agente della riscossione applica l’aggio (oneri di riscossione). Tutto ciò fa lievitare il debito nel tempo. Per limitare i danni, è consigliabile intervenire tempestivamente richiedendo, se non si può saldare subito, una rateizzazione. La legge consente infatti di chiedere un piano di dilazione fino a 72 rate mensili (6 anni) per importi fino a €60.000 o anche 120 rate (10 anni) per i debiti più alti o in caso di grave e comprovata difficoltà economica. La domanda di rateizzo, se accolta, sospende le azioni esecutive e permette di pagare a rate (con un interesse ridotto). È fondamentale però rispettare le rate: il mancato pagamento di alcune rate (in genere 5 rate anche non consecutive) fa decadere il beneficio, riattivando le procedure esecutive.

Strategie e soluzioni per i debiti fiscali:
Accordi transattivi con il Fisco: In linea di principio, il Fisco non tratta privatamente riduzioni dell’imposta dovuta. Tuttavia, in sede di procedure concorsuali o di composizione della crisi, è prevista la transazione fiscale: il debitore propone di pagare solo una parte dei tributi dovuti (ad esempio abbattendo sanzioni e interessi, o anche parte del capitale) e dilazionare il resto. Se l’Agenzia Entrate rifiuta, oggi il tribunale può comunque omologare il piano senza il suo consenso – grazie al meccanismo del cram down fiscale introdotto nel 2020 – purché l’offerta del debitore sia almeno uguale a quanto il Fisco otterrebbe in una liquidazione forzata. In altre parole, la legge consente di “forzare” l’adesione del Fisco se l’accordo proposto è vantaggioso rispetto all’alternativa peggiore (vendere i beni all’asta). Questo strumento, ora codificato negli artt. 88 e 192 CCII, incarna un principio di favor debitoris innovativo, volto a superare l’inerzia o rigidità dell’Erario quando c’è una soluzione concordata migliore del pignoramento.
Definizioni agevolate e condoni: Il legislatore periodicamente vara misure straordinarie di pace fiscale. Ad esempio, la Legge di Bilancio 2023 (L.197/2022) ha previsto: (a) lo stralcio automatico dei mini-debiti fino a €1.000 affidati dal 2000 al 2015 (cioè la cancellazione d’ufficio entro il 31/03/2023 di tali importi, comprensivi di interessi e sanzioni); (b) una “rottamazione-quater” delle cartelle esattoriali per i carichi dal 2000 al 30/06/2022, ossia la possibilità per il contribuente di estinguere il debito pagando solo il capitale e le spese vive, con abbattimento di interessi, sanzioni e aggio. Per aderire a tale definizione agevolata era necessario presentare domanda entro il 30 aprile 2023 e poi versare le somme dovute (in un’unica soluzione o in un massimo di 18 rate in 5 anni). Misure simili di sanatoria (rottamazione “ter”, “saldo e stralcio” di vecchie cartelle, ecc.) sono state attuate più volte negli ultimi anni, offrendo respiro ai contribuenti sommersi da ruoli esattoriali. È importante informarsi sulle eventuali novità normative (ad esempio, si parla di una possibile “rottamazione-quinqies” nel 2026), ma soprattutto non affidarsi unicamente all’aspettativa di un condono: se si è in grave difficoltà, meglio attivarsi con gli strumenti ordinari (rateizzazioni, procedure concorsuali) invece di attendere sperando nell’azzeramento del debito per legge.
Contenzioso e opposizioni: Se ritenete che la pretesa fiscale sia infondata o errata (ad es. avete già pagato, oppure l’atto presenta vizi formali), potete valutare un ricorso tributario o un’opposizione all’esecuzione. Ad esempio, un vizio frequente è la notifica irregolare della cartella; un altro è la decadenza o prescrizione del debito: molti tributi oggi si prescrivono in 5 anni dal momento in cui sono definitivi (la giurisprudenza prevalente considera infatti quinquennale il termine per IVA, IRPEF e contributi, in base alla finanziaria 2007). Anche le cartelle esattoriali non pagate si prescrivono in 5 anni se riferite a tributi periodici (come contributi, multe) o in 10 anni in altri casi, salvo atti interruttivi. Verificare se il vostro debito fiscale è prescritto (cioè se sono passati gli anni previsti senza atti interruttivi validi) può essere decisivo: la prescrizione va eccepita in giudizio e, se riconosciuta, estingue il debito. Attenzione però: basta una notifica di intimazione o altro atto di riscossione per interrompere il termine e farlo ripartire da capo, quindi è raro che l’Agente lasci prescrivere somme ingenti senza azioni.

In sintesi, i debiti fiscali vanno affrontati appena possibile. Strategie di uscita: chiedere dilazioni sostenibili, sfruttare eventuali definizioni agevolate per ridurre l’importo, e se il debito è troppo grande per poterlo mai pagare, considerare una procedura di sovraindebitamento o di concordato preventivo includendo la transazione fiscale. Il tutto tenendo a mente che il Fisco ha priorità: alcuni beni essenziali come stipendio e pensione possono essere pignorati dal Fisco con quote leggermente diverse dagli altri creditori (vedi tabella sui limiti di pignorabilità più avanti), e che le sanzioni fiscali non vengono di regola cancellate nemmeno dall’esdebitazione (sono tra i debiti esclusi dal beneficio, se non si tratta di mere sanzioni accessorie). D’altro canto, il sistema italiano – specialmente dopo il 2020 – ha mostrato attenzione a non perseguire inutilmente il debitore impossidente: se proprio non avete alcuna risorsa per pagare le tasse pregresse, esiste la possibilità di chiedere l’esdebitazione totale come “debitore incapiente” (se ne parla più avanti) e ripartire da zero, purché siate stati onesti e non abbiate commesso frodi.

Debiti Bancari e Finanziari (prestiti, mutui, fidi, carte di credito)

Un’altra categoria cruciale sono i debiti verso banche o finanziarie, che includono: mutui ipotecari, prestiti personali o cessioni del quinto, scoperti di conto corrente o fidi bancari, leasing, finanziamenti vari e carte di credito revolving. Questi debiti derivano da contratti di credito e sono regolati dal diritto civile e bancario. Le banche e società finanziarie godono di strumenti legali efficaci per recuperare i crediti, ma a differenza del Fisco devono generalmente passare attraverso un giudice per ottenere un titolo esecutivo (salvo casi in cui dispongono già di titoli stragiudiziali, come cambiali o riconoscimenti di debito). Vediamo rischi e tutele per il debitore bancario:

Mora e segnalazioni creditizie: Appena smettete di pagare le rate di un mutuo o prestito, scattano interessi di mora e penali contrattuali per ritardato pagamento. Inoltre, dopo qualche mese di insolvenza, l’istituto può segnalare il cliente alla Centrale Rischi e ai sistemi di informazioni creditizie (CRIF, Experian, ecc.) come “cattivo pagatore”, compromettendo l’accesso a nuovi finanziamenti. Questo è un effetto collaterale importante: l’interessato vedrà la propria affidabilità creditizia ridotta per anni. È bene contattare subito la banca in caso di difficoltà, per cercare un accordo prima che la posizione diventi critica.

Decadenza dal beneficio del termine e risoluzione del contratto: Nei finanziamenti rateali, il contratto spesso prevede che, al mancato pagamento di un certo numero di rate (ad esempio 2 o 3), la banca possa esigere l’immediato pagamento del capitale residuo in un’unica soluzione (decadenza dal beneficio del termine) e considerare risolto il contratto. Questo ovviamente aggrava la posizione del debitore, che da dover pagare singole rate si trova richiesto dell’intero importo residuo. Sul punto è bene sapere che il debitore ha la possibilità, entro certi limiti, di evitare la risoluzione saldando le rate scadute prima che la banca notifichi la risoluzione; inoltre, se il contratto è già risolto, la giurisprudenza ha chiarito che le rate future non possono più considerarsi singoli debiti rateali autonomi: l’obbligazione da quel momento è unica e l’eventuale prescrizione inizia a decorrere dalla scadenza dell’ultima rata prevista dal piano di ammortamento. Ciò significa, ad esempio, che in un mutuo ventennale non pagato, il termine decennale di prescrizione del credito decorre dal termine naturale del mutuo (salvo anticipata risoluzione) e non dalla scadenza di ogni singola rata. Questa interpretazione (Cass.17798/2011) tutela il debitore da richieste tardive su rate vecchissime: se la banca non agisce entro 10 anni dall’ultima rata contrattuale, l’intero mutuo si estingue per prescrizione.

Procedure di recupero crediti bancari: Una banca o finanziaria, per riscuotere coattivamente, deve munirsi di un titolo esecutivo. Spesso questo avviene con un decreto ingiuntivo ottenuto dal tribunale su ricorso (data l’evidenza del credito da estratti conto o contratto). Il debitore ingiunto ha 40 giorni per proporre opposizione motivata; in mancanza, il decreto diviene esecutivo. A quel punto seguiranno i pignoramenti: la banca può pignorare conti correnti, stipendio (presso il datore) o altre entrate, oppure ipotecare e pignorare immobili. Nel caso di mutuo ipotecario, la banca ha già una garanzia sull’immobile e, dopo 18 rate mensili impagate (o anche meno, se pattuito diversamente), può avviare direttamente l’esecuzione immobiliare (pignoramento della casa) senza passare per il decreto ingiuntivo, avvalendosi del cosiddetto procedimento ex art. 41 TUB. L’immobile viene quindi messo all’asta giudiziaria; il debitore ha la possibilità di evitare la vendita saldando il debito residuo fino a poco prima dell’asta (diritto di “purga” dell’ipoteca) oppure tentando la conversione del pignoramento (versando una somma a garanzia e ottenendo di pagare a rate prima della vendita). Se l’asta si conclude, l’immobile viene aggiudicato e il ricavato va a pagare il credito della banca (eventuali eccedenze vanno agli altri creditori o tornano al debitore). Purtroppo, specie in passato, accadeva spesso che l’asta fruttasse meno del debito, lasciando il debitore senza casa ma ancora con debiti: tuttavia, con le procedure di esdebitazione oggi è possibile in certi casi liberarsi dell’eventuale importo residuo non pagato dalla vendita (vedi oltre). Per i crediti non garantiti (prestiti personali, carte), la finanziaria può pignorare beni mobili e una quota di reddito. Il pignoramento dello stipendio o pensione presso il datore/INPS è frequente: il codice di procedura civile pone il limite di 1/5 (20%) del netto mensile pignorabile per i creditori ordinari. Dunque, sommando eventuali pignoramenti, al lavoratore deve restare almeno la metà dello stipendio. (Nota: per il Fisco i limiti sono leggermente diversi, vedi tabella di seguito). I conti correnti intestati al debitore possono anch’essi essere bloccati e le somme prelevate fino a concorrenza del credito, con eccezione di eventuale stipendio accreditato nel mese corrente (che è pignorabile solo nei limiti suddetti). Sono impignorabili beni come i mobili di stretta necessità in casa, gli strumenti di lavoro indispensabili (salvo per crediti speciali), e in generale vale la regola che l’esecuzione non deve privare il debitore e la sua famiglia del minimo vitale.

Difese e verifiche sui debiti bancari: Oltre alle possibili opposizioni processuali (vizi formali, prescrizione decennale se il credito è molto risalente, ecc.), nel campo bancario il debitore può far valere alcune contestazioni tecniche che, se fondate, possono ridurre il debito:
Usura e tassi ultralegali: Grazie alla legge antiusura (L.108/1996), se il tasso di interesse applicato (comprensivo di commissioni e spese) supera il tasso soglia vigente, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi (art. 1815 c.c.). Val la pena far eseguire una perizia sui tassi di mutui o finanziamenti: in alcuni casi, specialmente per carte di credito revolving o prestiti con molti oneri, sono emerse situazioni di usura. Ad esempio, la Cassazione ha chiarito che vanno considerati anche gli interessi di mora nel calcolo dell’usura sopravvenuta e che, se c’è usura, il debitore deve restituire solo il capitale. Ciò può ridurre drasticamente l’importo dovuto.
Anatocismo bancario: È la pratica dell’interesse su interesse. Nei conti correnti con affidamento, in passato le banche capitalizzavano trimestralmente gli interessi a debito (ma non quelli a credito del cliente), generando un aumento esponenziale del dovuto. Questa pratica è stata dichiarata illegittima per il passato (salvo autorizzazione contrattuale fino al 2000) e ora regolata dalla legge (capitalizzazione ammessa solo con periodicità non inferiore a quella degli interessi attivi e simmetria). Un correntista che subisce un decreto ingiuntivo per scoperto di conto può far ricalcolare il saldo stornando gli interessi anatocistici illegittimamente addebitati: spesso il debito risulta così minore, a volte trasformandosi addirittura in credito a favore del correntista.
Trasparenza e contratti nulli: Il Testo Unico Bancario e le norme di trasparenza (D.Lgs. 385/93 e successive modifiche, es. D.Lgs.141/2010) impongono forme rigorose e completezza di informazioni nei contratti di finanziamento. Se un contratto di prestito o di carta di credito non rispetta i requisiti (es. manca il TAEG, oppure è stato concluso da soggetti non abilitati), può essere dichiarato nullo o annullabile. Un caso eclatante emerso di recente riguarda le carte di credito revolving vendute nei negozi negli anni 2000: personale non autorizzato proponeva al pubblico queste carte, senza le dovute spiegazioni; la Cassazione ha stabilito che i contratti di carte revolving stipulati tra il 2000 e il 2010 da addetti commerciali privi di requisiti sono nulli, aprendo la strada ai consumatori per ottenere la restituzione degli interessi pagati. Questo significa che migliaia di debitori incorsi in debiti da revolving poco chiari potrebbero ora contestare il contratto e vedersi azzerare il saldo o rimborsare il surplus versato.

In pratica, per i debiti bancari è spesso utile far esaminare il contratto e il conteggio da un esperto (commercialista, avvocato bancario): se emergono tassi usurari, anatocismo o clausole nulle, il debito reale potrebbe essere molto inferiore a quello richiesto. Ci sono state sentenze che, accertata l’usurarietà, hanno dichiarato il debito estinto perché gli interessi versati superavano il capitale. Insomma, pagare ciò che è dovuto, ma non un euro in più del dovuto! Questo motto va seguito con rigore: contestare spese illegittime, chiedere estratti conto e documenti (la banca deve fornire copia degli estratti a sue spese per far valere il credito) e far valere i propri diritti di consumatore (anche rivolgendosi all’Arbitro Bancario Finanziario – ABF per controversie fino a €200.000, una sede stragiudiziale rapida ed economica).

Strategie per uscire dai debiti bancari:
Rinegoziazione o moratoria: Spesso le banche, soprattutto per mutui, accettano di rinegoziare le condizioni in caso di difficoltà temporanea. Ciò può significare: sospensione delle rate per 6-12 mesi (moratoria), allungamento della durata del mutuo per abbassare la rata, abbassamento del tasso. Esistono protocolli di intesa (ABI – associazioni consumatori) che periodicamente consentono moratorie generalizzate (ad es. durante la pandemia COVID-19 molte famiglie e imprese hanno beneficiato della sospensione mutui). Chiedere non costa nulla: rivolgetevi alla vostra banca spiegando la situazione e proponendo una soluzione, prima di accumulare ritardi e diventare insolventi.
Consolidamento debiti: Questa opzione finanziaria consiste nel contrarre un nuovo prestito (spesso ipotecario, se si ha un immobile) per estinguere tutti i debiti frammentati con una sola rata più sostenibile. Ad esempio, se avete 5 finanziarie e 3 carte revolving, potreste ottenere un mutuo di liquidità o un prestito personale unico a tasso inferiore e lunga durata, con cui pagare tutti i creditori e poi rimborsare solo il nuovo creditore. Il consolidamento funziona però solo se si ha ancora un merito creditizio e garanzie sufficienti (reddito stabile, casa da ipotecare, ecc.). Se siete già segnalati come cattivi pagatori, difficilmente una banca vi concederà un ulteriore prestito.
Accordo a saldo e stralcio: Questa è una soluzione stragiudiziale molto diffusa, specie per debiti di carte di credito o prestiti ceduti a società di recupero. “Saldo e stralcio” significa proporre al creditore di accettare un pagamento inferiore al dovuto (es. 30-50%) in unica soluzione, in cambio della rinuncia a ogni ulteriore pretesa. Spesso, se il debitore non ha beni aggredibili e il recupero giudiziale sarebbe lungo e incerto, il creditore preferisce incassare subito una percentuale concordata piuttosto che nulla. È dunque utile, se si riesce a procurarsi una somma (magari con l’aiuto di familiari), offrire un saldo e stralcio scritto al creditore. Bisogna negoziare: inizialmente la finanziaria potrà chiedere l’80%, voi proporre il 20%, e ci si può incontrare su una via di mezzo. È fondamentale formalizzare l’accordo per iscritto, facendo risultare che il pagamento pattuito estingue definitivamente il debito residuo. Una volta pagato, conservate la quietanza: sarà la vostra difesa nel caso in futuro qualcuno riprovi a chiedere soldi su quello stesso debito.
Procedura di sovraindebitamento: Se i debiti bancari sono troppi e non siete in grado di soddisfarli, le procedure concorsuali minori (di cui parleremo in dettaglio più avanti) costituiscono l’ultima ratio. Ad esempio, un consumatore sommerso dai debiti di finanziarie può presentare un “piano del consumatore” al tribunale, offrendo di pagare ciò che realisticamente può (anche solo una parte) e ottenere la liberazione dal resto. Durante la procedura, le azioni esecutive sono sospese e, a omologa avvenuta, i creditori (banche comprese) devono accontentarsi di quanto previsto nel piano, anche se dissenzienti. È un potente strumento per ridurre l’esposizione e ripagare secondo le proprie possibilità in un periodo determinato, dopodiché si riparte puliti.

Debiti da carte di credito revolving e piccoli prestiti: Meritano un accenno particolare le carte “revolving”, cioè carte di credito che permettono di pagare le spese a rate mensili, generando interessi sul saldo. Molti consumatori si sono trovati intrappolati in queste linee di credito rotative, dove pagando solo la rata minima il debito non finisce mai e gli interessi altissimi (anche 20% annuo e oltre) fanno lievitare l’esposizione. Spesso chi ha più carte finisce per usarne una per pagare l’altra, entrando in un vortice. Le strategie in questo caso sono: bloccare l’utilizzo della carta (altrimenti il debito cresce), contattare l’emittente per convertire il debito in un piano a tasso più basso (alcune finanziarie accettano di chiudere la linea revolving trasformandola in un prestito standard con rata fissa), oppure, se il debito è già in sofferenza, negoziare un saldo e stralcio come detto sopra. Vale quanto già evidenziato: controllare se i tassi applicati sono entro la soglia d’usura (spesso nei revolving, includendo i costi, si sfiora la soglia), e se il contratto è regolare (molte volte i contratti più vecchi non indicavano chiaramente il TAEG o furono venduti in modo poco trasparente). La Corte di Cassazione con sentenza n. 16029/2024 ha dato un forte segnale in favore dei consumatori, dichiarando nulli i contratti di carta revolving proposti al pubblico da intermediari non abilitati e sottolineando il valore della trasparenza contrattuale. Dunque chi ha sottoscritto tali carte in passato potrebbe oggi agire legalmente per far valere la nullità e ottenere lo storno degli interessi. Per i debiti da carte e prestiti minori, infine, ricordate la prescrizione breve degli interessi: le somme dovute a titolo di interessi (correnti o di mora) si prescrivono in 5 anni, quindi se il creditore vi chiede interessi vecchi di molti anni potreste eccepirne la prescrizione (mentre il capitale di solito prescrive in 10 anni).

Debiti con Fornitori e Debiti Commerciali

Questa categoria riguarda principalmente imprenditori e professionisti che hanno esposizioni verso i propri fornitori di beni o servizi, oppure verso altri partner commerciali (ad es. debiti verso locatori di immobili commerciali, debiti tra aziende). Quando un’impresa non riesce a pagare regolarmente i fornitori, si crea un effetto a catena: forniture sospese, perdita di fiducia sul mercato, e possibili azioni legali da parte dei creditori. Le PMI italiane conoscono bene il rischio di insolvenza verso fornitori, che può degenerare in protesti e istanze di fallimento. Vediamo i punti chiave:

Titoli di credito e decreti ingiuntivi: I debiti commerciali spesso sono documentati da fatture. Se il debitore non paga entro le scadenze pattuite, il fornitore può reagire: talvolta ricorre a strumenti veloci come una cambiale tratta o assegni post-datati (ancora diffusi in certi settori) che se non pagati producono protesto e azione esecutiva immediata. Più frequentemente, il creditore munito di fatture e DDT può richiedere al tribunale un decreto ingiuntivo per somme non contestate, ottenendolo in tempi rapidi. Una volta notificato il decreto al debitore, quest’ultimo può fare opposizione (solamente se ha delle contestazioni concrete, ad es. merci difettose, importi errati, ecc.); in mancanza di opposizione, il decreto diventa definitivo ed esecutivo dopo 40 giorni. A quel punto il fornitore può procedere con pignoramenti analoghi a quelli visti (conti, beni, crediti verso terzi). Ad esempio, molto temuto dagli imprenditori è il pignoramento presso terzi dei crediti: un vostro fornitore non pagato potrebbe pignorare i crediti che voi vantate verso i vostri clienti, facendosi pagare da essi direttamente. Questo meccanismo (art. 543 c.p.c.) può essere devastante: vi toglie liquidità e incrina i rapporti con i vostri clienti. Perciò, appena si riceve un decreto ingiuntivo per debiti commerciali, è essenziale valutare un piano di rientro o accordo col creditore prima che si attivino i pignoramenti.

Rischio di fallimento (liquidazione giudiziale): Un singolo fornitore non può “far fallire” il debitore di sua iniziativa, ma può presentare un’istanza di fallimento (dal 2022 si parla di ricorso per liquidazione giudiziale) se i crediti insoluti evidenziano uno stato di insolvenza conclamata. In passato era sufficiente un debito non pagato > €30.000 per legittimare un ricorso per fallimento; ora la soglia è diventata 50.000 euro ma in ambito sovraindebitamento (vedi dopo). In generale, però, per essere soggetti a fallimento (liquidazione giudiziale secondo il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza – CCII), occorre essere un imprenditore sopra certe dimensioni (nel vecchio regime fallimentare serviva superare almeno uno dei limiti: €300k di attivo, €200k di ricavi, €500k di debiti). I piccoli imprenditori “sotto soglia” e i professionisti non sono fallibili, ma fino al 2022 i loro creditori non avevano molte alternative di soddisfo se non i pignoramenti individuali. Con la riforma del Codice della Crisi, invece, anche i debitori non fallibili possono subire una procedura concorsuale “forzata” ad istanza dei creditori: se un soggetto non assoggettabile a fallimento (es. imprenditore minore) è insolvente e l’ammontare dei debiti scaduti supera €50.000, i creditori possono chiederne la liquidazione controllata del patrimonio. È una novità significativa: ad esempio, una ditta individuale artigiana che deve €80.000 a vari fornitori potrebbe, su istanza di questi ultimi, essere trascinata davanti al tribunale per aprire la liquidazione controllata (una procedura simile al fallimento, con un liquidatore che vende i beni e ripartisce il ricavato). Il debitore può opporsi a questa richiesta solo proponendo in tempo un’alternativa concordataria (ad es. un concordato minore offrendo ai creditori un piano migliore della liquidazione) oppure dimostrando tramite l’OCC che non c’è alcun attivo liquidabile. Questo meccanismo garantisce i creditori contro i debitori furbi che vogliono sottrarsi alle procedure: non essere “fallibile” non significa più essere al sicuro da procedure concorsuali. Dunque, un imprenditore sommerso dai debiti verso fornitori deve sapere che, oltre ai singoli pignoramenti, rischia la perdita della gestione dei propri beni mediante una procedura concorsuale forzata se non trova una soluzione.

Strategie per debiti commerciali:
Negoziazione con i fornitori: Il primo passo è sempre parlare coi creditori. I fornitori hanno interesse a preservare il rapporto e spesso preferiscono una soluzione concordata piuttosto che azioni legali costose. Proponete piani di rientro rateali credibili: ad esempio, pagare il 50% subito (se reperibile) e il resto in 6 mesi, oppure fornire garanzie (una fideiussione di terzi, un pegno su merce, cambiali) a supporto dell’accordo. Formalizzate tutto in accordi scritti di transazione, per evitare incertezze. Molti fornitori sono disposti anche a sconti a saldo e stralcio se capiscono che l’alternativa è recuperare poco e tardi. Da debitore, conviene essere trasparenti sullo stato di difficoltà e magari presentare un mini piano ai creditori chirografari (senza garanzie) offrendo una percentuale sul dovuto entro tot tempo: è una sorta di accordo stragiudiziale collettivo. Se accettato da tutti o dalla stragrande maggioranza, vi consente di tirare il fiato e ripianare gradualmente. Attenzione però: tali accordi privati funzionano se tutti i creditori chiave sono d’accordo; basta uno “fuori dal coro” che agisca in via esecutiva per far saltare i piani.
Composizione negoziata della crisi: Introdotta nel 2021 (D.L.118/2021) e ora nel CCII, la composizione negoziata è uno strumento innovativo per imprese in crisi reversibile. L’imprenditore può richiedere la nomina di un Esperto indipendente che lo aiuti a negoziare con i creditori un accordo di ristrutturazione fuori dalle aule giudiziarie. Durante questa procedura, l’impresa può chiedere misure protettive (sospensione delle azioni esecutive per qualche tempo) mentre cerca un accordo. Può sfociare in vari esiti: un accordo stragiudiziale con taluni creditori, un contratto di ristrutturazione del debito depositato presso il tribunale per l’omologazione (simile agli accordi di ristrutturazione ex art.182-bis L.F.), oppure, se la trattativa non riesce, l’accesso a un concordato preventivo semplificato per liquidare l’azienda. Questa procedura è riservata alle imprese commerciali e non si applica al consumatore, ma è un’opzione importante per l’imprenditore che vuole giocare d’anticipo sulla crisi coinvolgendo i creditori in una soluzione consensuale prima di precipitare nel default conclamato.
Procedure concorsuali classiche (concordato preventivo o fallimento/liquidazione giudiziale): Se l’azienda è di dimensioni assoggettabili a fallimento e l’insolvenza è conclamata, spesso la via da seguire (anche per responsabilità degli amministratori, che potrebbero essere accusati di aggravare il dissesto se non intervengono) è quella di attivare una procedura concorsuale giudiziale. Il concordato preventivo è uno strumento in cui l’impresa propone ai creditori un piano di risanamento o liquidazione (ad es. pagare il X% a tutti i chirografari, magari continuando l’attività sotto controllo, oppure liquidando i beni ma in modo ordinato). Nel concordato i creditori votano la proposta: serve la maggioranza (per teste e per valore) e poi l’omologa del tribunale. Oggi il CCII consente anche concordati liquidatori (senza necessità di continuità aziendale) a certe condizioni, richiedendo comunque un pagamento minimo del 20% ai chirografari se è solo liquidatorio puro. Se il concordato non è fattibile o non viene approvato, resta la liquidazione giudiziale (l’ex fallimento): un curatore prende in mano l’impresa, vende tutto e ripartisce quanto ottenuto ai creditori secondo i privilegi di legge. Questo scenario è ovviamente estremo e distruttivo per l’imprenditore (che perde l’azienda), ma ha il lato positivo, per la persona fisica imprenditore, di poter poi ottenere l’esdebitazione dei debiti rimasti insoddisfatti (vedi oltre), chiudendo definitivamente i conti col passato.
Sovraindebitamento e concordato minore: Per l’imprenditore “non fallibile” o il professionista, esistono procedure concorsuali ad hoc: il concordato minore (ex accordo di composizione) consente di proporre un piano simile al concordato preventivo ma semplificato e con maggioranza ridotta (oggi basta il 50% dei crediti votanti). Questa procedura, riservata a piccoli imprenditori, professionisti, start-up innovative e altri debitori non fallibili, permette ad esempio al titolare di una ditta individuale artigiana di continuare l’attività mentre paga i creditori in percentuale. Se l’attività è cessata, si può optare per la liquidazione controllata (analoga al fallimento) per spazzare via i debiti. L’importante è comprendere che anche il piccolo imprenditore ha oggi gli strumenti concorsuali una volta riservati alle grandi imprese, per gestire in modo ordinato l’insolvenza e non subire una miriade di esecuzioni disordinate. Si consiglia vivamente di farsi assistere da un commercialista o OCC appena i debiti commerciali diventano insostenibili, per valutare queste soluzioni prima che i fornitori perdano pazienza e intervenga irreparabilmente il giudice.

Considerazione finale: Nella gestione dei debiti d’impresa c’è anche un aspetto di responsabilità personale: gli amministratori di società devono evitare atti che peggiorino il dissesto (wrongful trading), altrimenti possono risponderne. Meglio dunque attivarsi tempestivamente con piani di rientro o procedure per minimizzare il danno ai creditori. E ricordate che alcuni debiti commerciali potrebbero avere corresponsabili: ad esempio, in società di persone i soci rispondono solidalmente; in caso di fallimento, i creditori non soddisfatti in sede concorsuale potrebbero poi rivalersi sui soci illimitatamente responsabili (che a loro volta potranno chiedere esdebitazione personale). Il mondo dei debiti commerciali è complesso, ma fortunatamente la tendenza del legislatore è di offrire vie d’uscita concordate anche qui, nell’ottica di favorire la continuità aziendale quando possibile e il fresh start dell’imprenditore onesto quando tutto è perduto.

Debiti Personali (tra privati e altri debiti civili)

Oltre a Fisco, banche e fornitori, possiamo avere debiti verso altri soggetti privati: ad esempio debiti tra familiari o amici (prestiti ricevuti e non restituiti), debiti verso il locatore (canoni di affitto arretrati), debiti da risarcimento danni (obblighi civili per aver causato danni, es. in incidente stradale), multe e sanzioni amministrative non pagate, o anche debiti alimentari (mantenimento a coniuge o figli). Ciascuna di queste situazioni ha peculiarità, ma in generale il creditore privato deve rivolgersi al giudice per ottenere soddisfazione, a differenza del Fisco. Esaminiamo il caso generale:

Titoli di credito privati e giudizio: Se avete firmato un pagherò cambiario o un assegno a un privato e non l’avete onorato, quello è già un titolo esecutivo: il creditore può protestarlo e pignorarvi i beni quasi immediatamente. Se invece il debito è informale (es. vi siete fatti prestare €5.000 dal cugino con scrittura privata), il creditore privo di titolo esecutivo dovrà o convincervi bonariamente o agire in giudizio. Spesso in questi rapporti c’è fiducia e non si coinvolge subito un avvocato; tuttavia, quando il tempo passa senza pagamento, il creditore può inviare una lettera di messa in mora (raccomandata o PEC) per interrompere la prescrizione e chiedere formalmente il pagamento. Se ciò non sortisce effetto, il passo successivo è il decreto ingiuntivo: di solito, chi ha prova scritta del credito (un contratto, una promessa di pagamento firmata, una ricognizione di debito, o anche solo fatture nel caso di prestazioni professionali) può ottenere ingiunzione di pagamento dal giudice. Il debitore, una volta ingiunto, può fare opposizione con un normale giudizio civile contestando l’esistenza o l’ammontare del debito. Se non lo fa (o se perde l’opposizione), il credito diventa definitivo ed esecutivo.

Esecuzione forzata e limiti per i creditori privati: Con un titolo esecutivo in mano (ingiunzione definitiva o sentenza), il creditore privato può promuovere pignoramenti come qualsiasi altro: pignorare beni mobili, immobili, conti, stipendio. I limiti di pignorabilità per un creditore ordinario sono fissati dalla legge per garantire un minimo vitale al debitore: ad esempio, gli strumenti indispensabili al lavoro (ad es. se siete un artigiano, le vostre attrezzature di base) sono pignorabili solo se il giudice lo autorizza e comunque entro certi limiti (art. 515 c.p.c.); beni di uso quotidiano come letto, tavolo, armadio, elettrodomestici di base non possono essere pignorati in casa (art. 514 c.p.c. elenca gli oggetti impignorabili); gli animali da compagnia legalmente non sono pignorabili come cose, essendo protetti dal 2015. Stipendi e pensioni: un creditore privato può pignorare al massimo un quinto (20%) del netto mensile dello stipendio o pensione. Inoltre la pensione gode di una franchigia impignorabile pari all’assegno sociale aumentato della metà: significa che se una pensione è bassa, la parte che equivale a circa €750 (valore 2025) non si tocca, e solo l’eccedenza può essere pignorata al massimo al 20%. Se il debitore ha già pignoramenti in corso (es. uno stipendio già pignorato per un altro debito), ulteriori pignoramenti si accodano rispettando il limite del 50% cumulato. Immobili: come detto, un creditore privato può pignorare l’unica casa del debitore – non esiste un divieto come per il Fisco – e metterla all’asta per soddisfarsi sul ricavato, a meno che l’immobile non sia protetto da vincoli particolari (ad es. un fondo patrimoniale potrebbe proteggere la casa dai crediti estranei ai bisogni familiari, ma solo se costituito prima del sorgere dei debiti e senza intenti fraudolenti). Tuttavia, pignorare una casa è costoso e lungo; spesso per debiti modesti (< €20-30k) i creditori privati evitano di aggredire immobili perché la procedura può durare anni e il ricavato potrebbe essere mangiato dalle spese legali. Più frequente è il pignoramento dell’auto o moto: i beni mobili registrati sono relativamente facili da pignorare, anche se la vendita all’asta di auto usate raramente soddisfa il credito appieno.

Prescrizioni dei debiti civili: I debiti fra privati seguono la prescrizione ordinaria decennale, salvo che la legge preveda termini più brevi per casi specifici. Ad esempio, un prestito verbale di denaro tra amici non restituìto, in assenza di un documento, si prescrive in 10 anni (termine generale ex art.2946 c.c.). Invece, alcune obbligazioni particolari hanno prescrizioni brevi: il credito del padrone di casa per affitti si prescrive in 5 anni, così come le bollette e utenze (5 anni), le spese condominiali (5 anni), i crediti professionali di avvocati, ingegneri ecc. (3 anni dal termine dell’incarico), le sanzioni amministrative (5 anni). Ciò significa che, se un locatore vi chiede oggi affitti arretrati del 2015, potreste eccepire la prescrizione (5 anni) purché non vi siano stati atti interruttivi. Anche il diritto del creditore di agire col decreto ingiuntivo per crediti di lavoro o onorari professionali si prescrive in breve (in genere 5 anni). Il consiglio per i debitori è di conservare sempre tutta la corrispondenza: se un credito è prescritto, fatelo valere immediatamente in giudizio, perché è una causa di estinzione del debito molto potente.

Soluzioni stragiudiziali: I debiti verso amici o parenti spesso si risolvono con la trattativa informale. Se siete in difficoltà, comunicare è essenziale: ignorare il creditore lo spingerà a vie legali. Meglio ammettere il problema e proporre un piano di pagamento, magari simbolico ma concreto (es. “posso darti €200 al mese finché non estinguo il debito di €5.000”). Formalizzate l’accordo, così eviterete malintesi e avrete prova dell’intesa raggiunta. In alcuni casi, il creditore privato può accettare un saldo e stralcio: ad esempio, se il parente aveva perso le speranze, potrebbe accontentarsi di una percentuale subito per chiudere la faccenda. Tenete presente che i rapporti personali possono deteriorarsi: da un lato, l’amico creditore potrebbe soprassedere per anni per bontà, dall’altro improvvisamente potrebbe agire in massa. Valutate bene le priorità: i debiti alimentari (mantenimento figli) e di risarcimento danni hanno una valenza morale e spesso legale prioritaria – su questi difficilmente si transige, e il giudice può adottare misure severe (ad es. per il mantenimento violato, può scattare anche un procedimento penale per violazione degli obblighi famigliari). Quindi i debiti alimentari e da sentenze di risarcimento vanno messi al primo posto, cercando semmai di far modificare le condizioni (es. chiedere al giudice una riduzione dell’assegno per mutate condizioni, piuttosto che accumulare arretrati impagabili).

Sovraindebitamento privato: Quando un individuo ha accumulato molteplici debiti civili (un po’ col Fisco, un po’ con banca, un po’ con ex moglie, ecc.) che superano la sua capacità di rimborso, può prendere in considerazione la procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento. Ad esempio, tramite un Piano del consumatore è possibile includere tutti i debiti di natura civile e proporre al tribunale di pagarne solo una parte, in un arco temporale definito, ottenendo poi l’esdebitazione del resto. Queste procedure richiedono la meritevolezza del debitore (che non deve aver colposamente creato la situazione) e l’assenza di atti in frode (non bisogna aver dissipato patrimonio per sottrarlo ai creditori). Un vantaggio è che anche debiti derivanti da cause legali possono rientrare: ad esempio, se siete condannati a un risarcimento danni milionario fuori dalla vostra portata, attraverso la liquidazione controllata o un piano potreste pagare quel poco che potete e poi liberarvi della restante responsabilità, cosa che altrimenti vi perseguiterebbe a vita. Naturalmente i debiti personali per dolo (come multe penali, danni da reato) non sono esdebitabili, ma la gran parte delle obbligazioni civili sì.

Riassumendo: i debiti verso privati devono essere presi sul serio quanto gli altri. Anche se il creditore è un conoscente, non abusate della sua pazienza: meglio trovare un accordo scritto per il rientro. Se invece subite una condanna o un decreto, non ignorateli: valutate con l’avvocato se opporli (per errori o prescrizione) o altrimenti cercate subito di evitare il pignoramento spontaneamente (magari vendendo voi un bene per pagare, piuttosto che farvelo vendere all’asta a prezzo stracciato). Nei casi estremi di insolvenza conclamata, ricordate che la legge offre pure al privato cittadino la possibilità di azzerare i debiti residui attraverso l’esdebitazione, una volta che abbia messo a disposizione il suo patrimonio liquidabile. Nessuno può essere perseguitato dai creditori per sempre: dopo i tentativi di recupero, arriva un momento in cui scatta il “fresh start” per il debitore di buona fede.

Debiti da Gioco d’Azzardo e Scommesse

Un caso particolare ma non raro è quello dei debiti contratti a causa della ludopatia (dipendenza da gioco d’azzardo). Chi cade in questa patologia può accumulare passivi enormi: pensiamo a chi perde cifre ingenti al casinò o alle scommesse, indebitandosi con banche (prelievi da carte di credito), con familiari, o peggio con usurai. Va fatta una distinzione netta tra debito di gioco in sé e debiti derivati indirettamente dal gioco.

Debiti di gioco “puri” – ad esempio somme perse al tavolo verde o scommesse non onorate – in linea generale non sono tutelati dall’ordinamento: l’art. 1933 c.c. stabilisce che “non compete azione per il pagamento di un debito di gioco o di scommessa”, anche se il gioco non è proibito. Ciò significa che, se voi avete perso 5.000 € a poker con un amico, questi non può portarvi in tribunale per farsi pagare; il pagamento rimane un obbligo d’onore, ma non giuridicamente coercibile. Questa regola antica (nec actio in alea) è temperata dal fatto che se il debitore paga spontaneamente non può richiederli indietro (nec repetitio): quindi se avete pagato il debito di gioco spontaneamente, non potete farvi restituire i soldi sostenendo la nullità del debito. Inoltre, ci sono eccezioni: le lotterie e i giochi autorizzati per legge (es. il Superenalotto, le scommesse gestite dai Monopoli di Stato) danno diritto alla riscossione delle vincite e correlativamente obbligo di pagare la giocata, ma in pratica il meccanismo è anticipato (pagate prima di giocare, altrimenti non partecipate). Dunque, un casinò non vi farà mai giocare a credito e se lo fa (pratica inusuale) non potrebbe legalmente esigere il pagamento. Discorso diverso per le case da gioco illegali o i debiti di gioco maturati verso privati (come lo strozzino che vi finanzia per continuare a scommettere): qui siamo fuori dal lecito e spesso il recupero crediti avviene con mezzi violenti o intimidatori (purtroppo noti nelle cronache). È evidente che questi debiti, pur non azionabili in tribunale, possono mettere a repentaglio l’incolumità del debitore – in tali frangenti l’unica via è rivolgersi alle autorità di polizia, sapendo che esistono anche fondi antiusura per aiutare vittime di usurai (Legge 108/1996).

Debiti derivati dal gioco: Molto più comune è che il giocatore, per procurarsi denaro da giocare, faccia debiti finanziari: usa la carta di credito, chiede prestiti, non paga più le bollette o l’affitto perché i soldi finiscono alle slot, ecc. Questi debiti sono a tutti gli effetti esigibili dai rispettivi creditori (banca, padrone di casa, Stato, ecc.), e la circostanza che siano stati contratti per giocare non li rende nulli. Unica eccezione: se un creditore vi ha concesso credito sfruttando la vostra ludopatia (ad es. un privato che vi presta soldi con interessi usurari sapendo che siete disperato per giocare), potrebbe configurarsi una situazione di usura o di approfittamento annullabile per vizio del consenso; ma sono casi limite e difficili da provare.

Il ruolo della ludopatia nelle procedure di esdebitazione: La legge sul sovraindebitamento richiede che il debitore sia meritevole, ossia che non abbia provocato la propria insolvenza con dolo o colpa grave. Qui sta il nodo per il giocatore d’azzardo: dilapidare il patrimonio al gioco può essere visto come colpa grave, rendendo inammissibile un piano del consumatore. La giurisprudenza però sta evolvendo: molti tribunali distinguono tra il giocatore viziato e il ludopatico patologico. Se il soggetto soffre di una patologia certificata (GAP – gioco d’azzardo patologico), viene assimilato a un malato e non a un colpevole. Ad esempio, il Tribunale di Catania ha ritenuto meritevole un debitore affetto da ludopatia, soprattutto perché aveva intrapreso un percorso di cura al SERD (Servizio per le Dipendenze). Invece la Corte d’Appello di Caltanissetta, in un caso, ha negato l’omologazione del piano a un giocatore, sostenendo che “il gioco d’azzardo non giustifica il mancato pagamento dei crediti” (segno di un approccio più rigido). La tendenza comunque è di considerare il ludopatico certificato meritevole di aiuto, purché dimostri di aver smesso e di volersi riabilitare. La Corte di Cassazione non si è espressa con una sentenza ad hoc sul tema ludopatia in piani di debito, ma i principi generali di favor debitoris e di analisi caso-per-caso lasciano margine. In concreto, un consumatore indebitato a causa del gioco ha due strade:
1. Piano del consumatore con attestazione OCC: deve convincere l’OCC e il giudice che la sua situazione è frutto di una malattia e non di malafede, magari producendo documentazione medica, iscrizione a programmi di recupero e mostrando un cambiamento (es. ha autoesclusione dai casinò, non gioca più). Se il piano appare sostenibile e il debitore ravveduto, molti tribunali lo approvano.
2. Liquidazione controllata del patrimonio: se il dubbio di non meritevolezza è alto, il debitore ludopatico può optare per la liquidazione di tutti i suoi beni: in tal caso la legge, nella procedura di liquidazione, non richiede la meritevolezza come condizione iniziale (si guarda più che altro all’assenza di frodi). Il patrimonio viene liquidato e, decorso il periodo previsto (ora 3 anni), il debitore ottiene l’esdebitazione a meno che emergano comportamenti gravemente scorretti. Quindi, un giocatore che ha perso tutto può comunque chiudere col passato liquidando ciò che gli resta (spesso niente) e attendendo l’esdebitazione come incapiente. Anche qui, però, occhio: se ha nascosto soldi o ha sperperato con coscienza di nuocere ai creditori, il tribunale potrebbe negare il beneficio per indegnità.

Supporto esterno e prevenzione: A differenza di altri debiti, quelli da gioco richiedono spesso anche un aiuto psicologico e sociale. Un avvocato può gestire la parte legale, ma il ludopatico dovrebbe parallelamente seguire un percorso di cura. Ci sono associazioni (come gli anonimi giocatori GA) e servizi sanitari dedicati. Dal punto di vista finanziario, esistono fondazioni antiusura che, in presenza di vittime di gioco patologico, possono fornire garanzie per ottenere prestiti di consolidamento a tasso agevolato, tentando di sottrarre la persona ai canali illegali. Inoltre, un familiare del ludopatico può valutare strumenti di protezione del patrimonio familiare: ad es. fondo patrimoniale o trust per preservare la casa o i beni essenziali da future aggressioni. Attenzione però: tali atti se compiuti dopo che i debiti sono sorti, possono essere revocati come atti in frode ai creditori.

In sintesi: i debiti di gioco sono tra i più dolorosi e difficili, perché dietro c’è spesso una dipendenza. Legalmente, non c’è una “sanatoria” specifica per il giocatore, ma può sfruttare gli stessi strumenti di un debitore qualsiasi, con l’unica incognita della meritevolezza. La chiave è dimostrare di aver cambiato condotta. I tribunali mostrano una certa comprensione per chi ha toccato il fondo e cerca di risalire onestamente. D’altronde, l’alternativa – non dare alcuna chance – significherebbe condannare il ludopatico a rimanere schiavo dei debiti (e magari ricadere nel vizio). La legge 3/2012 prima e il Codice della Crisi ora mirano proprio a evitare questa trappola, purché vi sia buona fede. Dunque, se vi trovate con debiti di gioco: cercate aiuto professionale, valutate una procedura di sovraindebitamento per ristrutturare o cancellare i debiti, e soprattutto affrontate il problema del gioco in sé, perché nessuna legge vi salverà una seconda volta se continuate a indebitarvi per giocare.

Debiti da Carte di Credito e Prestiti Personali (caso del consumatore)

Abbiamo in parte trattato delle carte revolving e dei prestiti bancari. Qui li riepiloghiamo dal punto di vista del consumatore medio. Spesso le famiglie contraggono debiti al consumo: finanziamenti per l’auto, per l’arredamento, credito al consumo nei negozi, scoperti di conto per esigenze familiari, ecc. Questi debiti, se isolati, rientrano nella categoria “bancari” e seguono le stesse regole. Il problema sorge quando se ne accumulano troppi: la facile disponibilità di credito (rate ovunque, carte, pagodil…) può portare a sovraindebitamento familiare. I consigli principali:

  • Tenere traccia del costo effettivo: Molti sottovalutano il TAEG (tasso annuo effettivo globale) di certi finanziamenti. Le carte di credito revolving ad esempio hanno TAEG elevati (anche 20-25%) e con l’effetto composto il debito può raddoppiare in pochi anni. Bisogna essere consapevoli che rimborsare solo il minimo ogni mese non è una strategia sostenibile: allunga solo il debito e fa pagare montagne di interessi. Se avete più di 2-3 linee di credito attive, fate un check-up finanziario: sommate tutte le rate e confrontatele col reddito mensile; se superano 1/3 del reddito, siete a rischio insolvenza.
  • Rimedi anticipati: Quando capite di non farcela a pagare tutte le rate, non aspettate il default: contattate le finanziarie. Alcune potrebbero concedere una riduzione temporanea della rata o una ristrutturazione del debito. Ad esempio, su un prestito quadriennale residuo, potreste chiedere di spalmare su 6 anni per avere rate minori. Oppure, come detto, chiedere se c’è un prodotto di consolidamento. Se c’è un mutuo sulla casa, talvolta si può fare surroga o rifinanziamento aumentando l’importo per ottenere liquidità e chiudere i piccoli prestiti. Lo sportello bancario va visto come un interlocutore: hanno interesse a recuperare, quindi preferiscono quasi sempre trovare un compromesso piuttosto che farvi fallire e incassare poco.
  • Difesa dai recuperatori aggressivi: Purtroppo il recupero crediti su prestiti personali e carte viene spesso affidato a società esterne, che talvolta usano toni intimidatori. Sappiate che nessuno può agire senza titolo: prima di un decreto del giudice, nessuno può pignorare nulla. Quindi lettere minatorie o telefonate a tutte le ore sono pratiche scorrette: potete formalmente intimare al recuperatore di comunicare solo per iscritto e non chiamare sul lavoro (ci sono codici deontologici a riguardo). Se il debito è ceduto a un fondo speculativo (cosa comune, le banche vendono i crediti deteriorati), potete provare a trattare un saldo e stralcio a cifre molto ribassate: questi fondi comprano crediti al 5-10% del valore, quindi potrebbero accettare 20% subito chiudendo l’affare.
  • Interventi pubblici: Esistono strutture pubbliche o parastatali di aiuto. Ad esempio, i Fondi di prevenzione usura istituiti presso alcune Fondazioni e Confidi possono fornire garanzie allo scopo di far ottenere a soggetti sovraindebitati (specie se vittime di usura o a rischio usura) nuovi finanziamenti a tassi agevolati per chiudere i debiti precedenti. Non è facile accedervi, ma è una possibilità. Inoltre, i Comuni talvolta hanno sportelli anti-crisi che orientano il cittadino su come accedere alle procedure di composizione o offrono consulenza legale gratuita per i casi socialmente critici. Informatevi presso gli URP o servizi sociali locali.
  • Esdebitazione del consumatore: Infine ribadiamo, se siete un semplice consumatore sovraindebitato (troppi prestiti, carte, bollette arretrate, ecc.), la legge vi consente di predisporre – con l’aiuto di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) – un Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore. Questo piano, da depositare in tribunale, propone come pagare i debiti in base alle vostre effettive possibilità, lasciandovi il necessario per vivere dignitosamente. Il giudice, se verifica la fattibilità e la meritevolezza, può omologare il piano anche senza il consenso di tutti i creditori (nel piano del consumatore, infatti, i creditori non votano). Otterrete così la riduzione del debito a una quota pagabile (anche pochi centesimi sull’euro in taluni casi) e, dopo l’esecuzione del piano, l’esdebitazione completa dei debiti residui. Esempio: una famiglia con €50.000 di debiti su carte e prestiti, reddito modesto e zero patrimonio, potrebbe proporre di pagarne €10.000 in 5 anni (usando il piccolo surplus mensile) e vedersi cancellare i restanti €40.000 . È un risultato concreto di procedure già viste in Italia. Alternativamente, se non avete nulla da offrire e i creditori non potrebbero comunque ottenere di più nemmeno vendendo i vostri (inesistenti) beni, potete optare per la liquidazione controllata e l’esdebitazione incapiente: in pratica dichiarate la vostra insolvenza personale, mettete sul piatto quel poco che avete (forse nulla oltre ai beni impignorabili) e chiedete al tribunale di esdebitare il resto subito. Oggi la legge lo consente anche a chi non paga nulla, purché sia davvero incapiente e onesto. La Cassazione stessa ha sottolineato che non è richiesto un pagamento minimo ai creditori per ottenere l’esdebitazione : l’importante è la condotta del debitore e che il soddisfacimento non sia stato meramente simbolico (se c’è un attivo da liquidare, deve essere stato liquidato) . Questo orientamento (Cass. 27562/2024) conferma che il fresh start non dipende da percentuali matematiche ma dal massimo sforzo che il debitore ha fatto. Se quel massimo produce anche solo l’1% ai creditori, va bene ; solo se produce zero assoluto allora potrebbe essere negato il beneficio. Dunque, il consumatore non ha più motivi per temere di restare incatenato ai debiti: esistono soluzioni legali per ricominciare.

(Segue nei capitoli successivi l’illustrazione dettagliata delle procedure concorsuali di sovraindebitamento, delle domande frequenti e dei casi pratici.)

Procedure Legali per Uscire dai Debiti: Sovraindebitamento, Concordati ed Esdebitazione

In questa sezione entriamo nel vivo delle strategie legali “formali” per liberarsi dai debiti. Finora abbiamo accennato ad accordi e adempimenti singoli; qui trattiamo delle procedure giudiziali organiche previste dall’ordinamento italiano per risolvere situazioni di indebitamento grave. Tali procedure fanno parte del diritto concorsuale e includono: le procedure da sovraindebitamento (riservate a privati, professionisti e piccole imprese non fallibili), le procedure concorsuali maggiori (concordato preventivo e liquidazione giudiziale per le imprese fallibili) e il meccanismo dell’esdebitazione, ossia la liberazione dai debiti residui. Tutte queste sono procedure complesse, che richiedono l’assistenza di professionisti e l’intervento del tribunale, ma rappresentano spesso l’unica via d’uscita definitiva da una situazione debitoria insostenibile.

La Composizione delle Crisi da Sovraindebitamento (ex Legge 3/2012, ora Codice della Crisi)

Il termine “sovraindebitamento” indica lo stato in cui “il debitore non è più in grado di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni” (insolvenza) o comunque versa in una crisi tale da renderla probabile, pur non essendo soggetto né assoggettabile a procedure fallimentari ordinarie. Questa definizione include: consumatori (persone fisiche che hanno debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale), professionisti, imprenditori agricoli, piccoli imprenditori sotto soglia, start-up innovative, enti non commerciali, ecc.. Dal 2012 (Legge 3/2012 “salva suicidi”) esiste in Italia un impianto normativo dedicato a costoro, che dal 15 luglio 2022 è confluito negli articoli 65-83 del Codice della Crisi e dell’Insolvenza (D.Lgs.14/2019). Le vecchie procedure (accordo di ristrutturazione e piano del consumatore, nonché liquidazione del patrimonio) sono state sostituite o aggiornate, ma lo spirito rimane: offrire ai debitori civili la possibilità di regolare tutti i debiti in un’unica sede giudiziale, con effetti vincolanti anche per i creditori dissenzienti e la prospettiva di un’esdebitazione finale.

Le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento oggi sono essenzialmente tre (più un istituto speciale):

  1. Ristrutturazione dei debiti del consumatore – è l’evoluzione del “piano del consumatore” ex L.3/2012. Riservata a chi ha debiti da privato (non riconducibili ad attività d’impresa), quindi il consumatore puro. Si tratta di un piano di pagamento dei debiti formulato dal debitore, senza necessità di accordo dei creditori: il tribunale può omologarlo direttamente se ritiene che il debitore abbia agito senza frode o colpa grave e che il piano sia fattibile. Requisiti chiave: essere consumatore (chi ha anche debiti d’impresa in passato potrebbe non qualificarsi, v. infra), non aver già ottenuto esdebitazione nei 5 anni precedenti (o più di due volte in totale) e non aver causato il sovraindebitamento con dolo o colpa grave. Contenuto del piano: molto libero, può prevedere qualsiasi forma di soddisfacimento (pagamento parziale, dilazioni, cessione di beni, ecc.), basta che esponga chiaramente tempi e modalità di superamento della crisi. Si può offrire ad alcuni creditori percentuali diverse? Sì, magari separando in classi, purché si rispetti il principio di non discriminazione ingiustificata. Nel piano del consumatore è ammesso anche falcidiare i crediti privilegiati (ipotecari, pignoratizi) fino al valore del bene e dilazionarli, con l’attestazione di un OCC sulla capienza del bene. Novità importante: il debitore può chiedere di mantenere la propria abitazione principale, continuando a pagare le rate del mutuo ipotecario su di essa, a condizione di essere in regola con i pagamenti (o di poter regolarizzare le eventuali morosità). Ciò consente, ad esempio, a una famiglia indebitata su più fronti di non perdere la casa: il mutuo continua come da contratto, mentre gli altri debiti vengono ristrutturati nel piano. Questo è un elemento di favor verso la proprietà della prima casa che la legge 3/2012 già prevedeva e che il CCII conferma. Proceduralmente, il consumatore deposita la proposta tramite un OCC competente sul territorio; l’assistenza di un avvocato non è obbligatoria inizialmente (ma è vivamente consigliata). Dopo il deposito, il giudice verifica ammissibilità e meritevolezza e convoca l’udienza per l’omologazione. Non c’è voto dei creditori, ma essi possono comparire per fare opposizione se ritengono che il piano li danneggi oltre il dovuto. Se non emergono opposizioni o queste vengono respinte, il tribunale omologa il piano che diventa vincolante per tutti. Durante il procedimento, su istanza del debitore si possono ottenere misure protettive (sospensione delle azioni esecutive) per evitare pignoramenti nel frattempo. Una volta omologato, il piano viene eseguito sotto vigilanza (spesso dallo stesso OCC), e al termine – purché il debitore abbia adempiuto quanto promesso – il giudice dichiara l’esdebitazione per i debiti che non sono stati soddisfatti integralmente. In pratica, il debitore paga quanto stabilito (es. 30% a tutti i chirografari) e il restante 70% gli viene cancellato. Vale la pena ribadire: dal 2022 la legge non richiede più che i creditori ottengano una soddisfazione minima in percentuale (concetto che derivava dall’abrogato art. 142 L.F. con il requisito di soddisfacimento parziale non meramente irrisorio). L’art. 280 CCII ha rimosso questo requisito oggettivo, spostando l’attenzione solo sulla condotta del debitore . Ciò significa che anche piani che prospettano percentuali bassissime possono essere omologati, se quel poco è comunque il meglio possibile data la situazione e se il debitore è in buona fede. Cassazione 27562/2024 ha confermato proprio che non vi è soglia minima e che solo la soddisfazione meramente simbolica (zero o quasi) può giustificare un diniego . Dunque il consumatore onesto ma privo di risorse non è escluso dalla procedura: se può dare solo il 1-2%, il giudice può ugualmente concedere l’esdebitazione, valutando globalmente le circostanze.
  2. Concordato Minore – è la versione “piccola” del concordato preventivo, destinata ai debitori diversi dal consumatore che non sono soggetti a liquidazione giudiziale (fallimento). In pratica, riguarda il professionista indebitato, l’imprenditore minore, la startup innovativa non fallibile, ecc. (il consumatore puro ne è escluso perché ha la sua procedura dedicata). Il concordato minore sostituisce il vecchio “accordo di composizione” della L.3/2012, ma ne ricalca in gran parte la struttura. Si presenta come una proposta ai creditori di ristrutturazione dei debiti, che può prevedere la continuazione dell’attività (concordato in continuità) oppure la liquidazione di tutto il patrimonio (concordato liquidatorio) purché con apporto di risorse esterne significative. La proposta dev’essere votata dai creditori: serve la maggioranza dei crediti ammessi al voto (oggi 50%, prima era 60% con la legge 3/2012). Se un singolo creditore detiene da solo più del 50%, occorre anche la maggioranza numerica dei creditori favorevoli, per evitare che uno solo decida. È possibile suddividere i creditori in classi omogenee (ed è obbligatorio se vi sono creditori assistiti da garanzie prestate da terzi). Il contenuto del piano è libero: si può prevedere pagamenti parziali, stralci, conversione di crediti in quote societarie, ecc., con l’unico vincolo di indicare chiaramente tempi e modalità e rispettare il par conditio all’interno delle classi. Anche qui, i creditori privilegiati possono essere soddisfatti meno che integralmente purché almeno in misura non inferiore al valore di realizzo sui beni dati in garanzia (in sostanza si possono falcidiare ipoteche e pegni al valore di stima). Non c’è più la moratoria obbligatoria di 1 anno per pagare i privilegiati (prima prevista dall’art.8 co.4 L.3/2012), quindi i privilegiati vanno pagati secondo quanto concordato (subito o dilazionato) ma comunque non oltre il ricavato ipotetico se si liquidasse il bene. Procedura: anche il concordato minore si avvia tramite un OCC competente. Viene nominato un Commissario Giudiziale (spesso lo stesso gestore OCC) che vigila. L’ammissione alla procedura sospende solo il corso degli interessi (salvo ipoteche) e, su richiesta, attiva il “automatic stay” per bloccare le esecuzioni. Segue la raccolta delle votazioni dei creditori (anche col silenzio-assenso: se un creditore non risponde entro 30 giorni, è considerato consenziente). Se la maggioranza approva, il tribunale omologa (può omologare anche in caso di dissenso di creditori pubblici, grazie al cram down fiscale come visto). Se non si raggiunge la maggioranza, il concordato minore può essere convertito in liquidazione controllata. Effetti: con l’omologa, il piano diventa obbligatorio per tutti i creditori anteriori. Gli eventuali debiti insoddisfatti al termine (anche qui) vengono esdebitati, salvo eccezioni e requisiti di meritevolezza analoghi (non deve aver compiuto atti in frode ai creditori, art. 77 CCII). Il concordato minore è quindi uno strumento adatto a chi ha un’attività (ditta, studio professionale) e vuole evitare di cessarla: può proporre di pagare i debiti gradualmente col reddito futuro, mantenendo l’azienda in vita, oppure cedere alcuni beni ma mantenere la gestione su altri. Un esempio: un artigiano con troppi debiti verso fornitori e banche, ma con un’officina che genera utili, può proporre di continuare l’attività, cedere magari un macchinario non essenziale, e pagare i creditori in 5 anni coi profitti futuri, offrendo ad esempio il 40%. I creditori probabilmente accetteranno se la prospettiva alternativa (liquidazione) darebbe loro meno. E l’artigiano salva l’impresa. Viceversa, un piccolo imprenditore che ha chiuso baracca può usare il concordato minore in versione liquidatoria, vendendo tutto quel che ha (magari anche con l’apporto di un familiare che offre una somma per chiudere le pendenze) e pagando i creditori pro-quota con quel ricavato.
  3. Liquidazione Controllata del Sovraindebitato – è la procedura equivalente al “fallimento” per chi non è fallibile, mutuata dalla vecchia liquidazione del patrimonio della L.3/2012. Vi possono accedere sia il debitore volontariamente, sia – novità – i creditori (o il pubblico ministero) in casi di insolvenza conclamata. In sostanza, se un soggetto sovraindebitato non ha proposto o non è in grado di sostenere un piano o concordato minore, può egli stesso chiedere di liquidare i suoi beni sotto controllo del tribunale, oppure subirlo dai creditori se, come visto, i debiti > €50.000 e c’è insolvenza. La liquidazione controllata mette assieme tutto il patrimonio del debitore (eccetto i beni impignorabili per legge e quelli eventualmente necessari al suo sostentamento decisi dal giudice, analogamente a un fallimento) e nomina un Liquidatore Giudiziale (di solito l’OCC che ha istruito la pratica). Da quel momento scatta il divieto di nuove azioni esecutive e il concorso dei creditori su quanto ricavato. Il procedimento ricalca quello della liquidazione giudiziale (fallimento): il liquidatore forma l’inventario, raccoglie le domande di credito (entro max 60 giorni), predispone lo stato passivo (l’elenco dei debiti ammessi) con eventuali osservazioni dei creditori, realizza i beni (vende immobili, mobili, crediti) secondo un programma approvato dal giudice e distribuisce il denaro secondo le cause di prelazione. Il debitore è spossessato dei beni (non li può più gestire, salvo ricevere un’eventuale autorizzazione a continuare ad usare alcuni beni per ragioni gravi). Tutto questo dura in genere qualche anno, ma il Codice della Crisi ha stabilito un principio di durata massima: 3 anni dall’apertura. Decorso questo termine, se anche la liquidazione non fosse conclusa, il debitore persona fisica può comunque ottenere l’esdebitazione di diritto. Infatti l’art. 282 CCII prevede che l’esdebitazione opera automaticamente al momento della chiusura della procedura o comunque dopo 3 anni dall’apertura, su decreto del tribunale. Questo è un progresso notevole rispetto alla vecchia legge, dove bisognava attendere la chiusura e poi richiedere il beneficio. Ora è ex lege dopo tre anni, salvo cause ostative precise: la mala fede o frode del debitore, la condanna per bancarotta o reati finanziari, l’aver già ottenuto esdebitazione nei 5 anni precedenti (o 2 volte in totale), o l’aver violato i doveri nella procedura (es. non cooperare, ritardare). In presenza di queste circostanze, il giudice può escludere l’esdebitazione. Inoltre, restano non cancellabili per legge alcuni tipi di debito anche dopo la liquidazione: le obbligazioni alimentari e di mantenimento, i debiti da risarcimento di illecito extra-contrattuale (es. danni per lesioni personali) e le sanzioni penali o amministrative non accessorie a debiti estinti. Quindi, se avevate multe stradali o un debito per un reato, quello rimane comunque, così come gli alimenti arretrati dovuti ai figli non vengono cancellati (queste categorie di crediti sono privilegiate dall’ordinamento). A parte ciò, tutti gli altri debiti pregressi vengono spazzati via. In pratica la liquidazione controllata è un’opzione da considerare quando il debitore possiede beni di valore e vuole “metterli sul piatto” per liberarsi dei debiti in eccesso. Ad esempio, una famiglia indebitata potrebbe decidere di liquidare la seconda casa o altri beni non essenziali tramite questa procedura: i creditori saranno soddisfatti col ricavato (magari parzialmente) e dopo 3 anni la famiglia sarà esdebitata e manterrà la prima casa e gli stipendi futuri senza più pignoramenti. È un doloroso ma efficace reset. Anche chi non ha nulla da liquidare può in realtà accedere alla liquidazione controllata su istanza propria: verrà dichiarata aperta, non ci sarà attivo, e trascorsi 3 anni otterrà l’esdebitazione (soluzione molto vicina all’esdebitazione del debitore incapiente di cui sotto). Infine, si noti che i creditori possono proporre la liquidazione forzata come detto: in tal caso il debitore può cercare di opporsi dimostrando che non c’è nulla da liquidare (OCC docet) o ripiegando su un concordato minore in extremis. Ma se non riesce, subirà la procedura.
  4. Esdebitazione del debitore incapiente – questo è un istituto speciale, introdotto in Italia con la L.176/2020 (che ha modificato la L.3/2012) e ora previsto dall’art. 283 CCII. È stato pensato per i casi limite in cui il debitore persona fisica non ha alcun patrimonio liquidabile né capacità di offrire utilità ai creditori, nemmeno prospettiche, però merita comunque un “perdono” per poter tornare a contribuire all’economia. Requisiti: il debitore deve essere (a) persona fisica, (b) meritevole (cioè non avere colpe gravi, dolo o frode – criteri stringenti), (c) non deve aver fatto atti in frode ai creditori, (d) non deve aver concorso con colpa grave o dolo a creare il debito, (e) dev’essere assolutamente incapiente – ossia non in grado di offrire ai creditori alcuna utilità nemmeno futura, neppure indiretta. In pratica: niente beni, niente redditi aggredibili, nessuna aspettativa di miglioramento a breve. Se questi requisiti sono soddisfatti, il debitore può chiedere al tribunale, anche senza aprire una liquidazione, la cancellazione di tutti i suoi debiti immediatamente. È un provvedimento eccezionale e concesso una sola volta nella vita. La legge tuttavia prevede una sorta di condizione risolutiva: per i 4 anni successivi, il debitore esdebitato deve comunicare all’OCC e al tribunale eventuali sopravvenienze attive rilevanti (eredità, vincite, incrementi di reddito significativi). Se entro 4 anni dalla cancellazione dei debiti il debitore ottiene nuove risorse che gli permetterebbero di pagare almeno il 10% di ciò che doveva, allora è obbligato a pagare i creditori in tal misura; altrimenti rischia la revoca del beneficio. In pratica, è come se l’esdebitazione dell’incapiente fosse provvisoria: decorsi i 4 anni senza colpi di fortuna, diventa definitiva; se invece il debitore “baciato dalla sorte” potrebbe restituire almeno in parte, deve farlo fino al 10% del totale dei debiti, altrimenti il tribunale potrebbe revocare l’esdebitazione. Questa clausola evita abusi e situazioni clamorose (immaginate chi viene esdebitato e due anni dopo vince alla lotteria milioni di euro: sarebbe ingiusto per i creditori non veder nulla). Il controllo sul debitore incapiente esdebitato è demandato all’OCC, che vigila in quei 4 anni sul deposito annuale di una dichiarazione sulle sopravvenienze. L’esdebitazione incapiente è uno strumento di estrema ratio, da usare quando davvero non c’è un’alternativa. Ad esempio, una persona giovane, senza beni e disoccupata, con debiti universitari o di carte impagabili, può avvalersene per non partire la vita con una palla al piede. Oppure un ex piccolo imprenditore fallito che ha già perso tutto e deve ancora milioni potrebbe chiudere i conti e sperare di ricominciare. La Cassazione nel 2024 (ord. n.5678/2024) ha ricordato che questa esdebitazione “a zero” non è automatica ma va valutata con rigore caso per caso, specialmente riguardo alla buona fede del richiedente. Dunque il tribunale verifica attentamente che l’indebitamento non sia frutto di comportamento irresponsabile o peggio doloso: se uno ha dissipato volutamente il patrimonio in spregio dei creditori, la domanda verrà respinta. Invece, se l’indebitamento è avvenuto magari per cause esterne (es. fallimento attività per crisi di mercato) e il debitore è rimasto senza nulla non per colpa grave, allora l’ordinamento gli tende una mano.

Importante: l’accesso all’esdebitazione incapiente presuppone di aver tentato una procedura di composizione o di liquidazione. Originariamente, con la L.3/2012 modificata, si doveva aver svolto una procedura di sovraindebitamento andata a vuoto per ottenere poi l’esdebitazione dell’incapiente. Con il CCII, sembra consentito presentare direttamente l’istanza di esdebitazione incapiente tramite OCC, ma è implicito che l’OCC deve comunque attestare l’assenza di utilità ricavabili da una liquidazione. In alcuni tribunali, di fatto, viene richiesta la contestuale presentazione di un ricorso per liquidazione controllata, che poi viene subito chiuso per mancanza di attivo concedendo l’esdebitazione.

Confronto e durata delle procedure: Riepiloghiamo le differenze principali in una tabella per chiarezza:

ProceduraDestinatariNecessità di accordo creditoriDurata e OutcomeNote
Piano del consumatore (Ristrutturazione debiti consumatore)Persona fisica consumatore (debiti privati)No voto creditori, decide il giudice se piano fattibile e debitore meritevole.Durata esecuzione pianificata (es. 4-5 anni di pagamenti). Al termine: esdebitazione residuo.Conserva i beni non destinati nel piano. Può mantenere la casa continuando a pagare il mutuo. Richiede meritevolezza (no colpa grave).
Concordato minoreDebitore “non fallibile” non consumatore (piccolo imprenditore, professionista, ecc.)Sì, voto creditori (50% credito ammesso). Se approvano, omologa giudice.Piano di solito 3–5 anni se in continuità o liquidazione immediata se liquidatorio. Esdebitazione a fine esecuzione (se merit.)Può prevedere continuazione attività o liquidazione. Richiede assenza atti in frode. Se non approvato, convertibile in liquidazione controllata.
Liquidazione controllataQualsiasi debitore non fallibile (volontaria o forzata da creditori se >€50k)No voto (è procedura liquidativa). Tutti i creditori concorrono secondo prelazioni.Vendita beni e distribuzione (max 3 anni apertura->chiusura). Dopo: esdebitazione di diritto (salvo frodi/reati).Il debitore perde gestione beni (spossessamento). Protetti solo beni impignorabili. Crediti alimentari, risarcitori e sanzioni restano a carico. Creditori possono iniziarla se insolvenza e debiti >50k.
Esdebitazione incapientePersona fisica nullatenente, meritevole, senza frodi.Nessun coinvolgimento creditori (vengono informati, ma non c’è attivo).Immediata cancellazione debiti con decreto. Condizionata 4 anni: se sopravvenienze >10% debiti, obbligo pagamento.One-shot (una volta sola). Richiede che il debitore non possa offrire nulla ai creditori, neanche in futuro prevedibile. Rischio revoca se falso o se arrivano beni entro 4 anni.

Questa tabella riepilogativa consente di individuare quale strumento sia più adatto in base alla situazione del debitore. In pratica: se ho un reddito e voglio tenere i miei beni => piano del consumatore (se persona fisica) o concordato minore (se azienda); se non ho reddito sufficiente e devo far vendere i beni => liquidazione controllata; se non ho proprio nulla da dare => esdebitazione incapiente.

Procedure Concorsuali per Imprenditori “Maggiori” (Cenni)

La guida è focalizzata sul punto di vista del debitore civile o piccolo imprenditore. Tuttavia, per completezza, ricordiamo che chi invece rientra nelle categorie assoggettabili a fallimento (ora liquidazione giudiziale) – tipicamente società di capitali, imprenditori commerciali sopra soglia – dispone di strumenti concorsuali analoghi, disciplinati dallo stesso Codice della Crisi: il Concordato Preventivo, gli Accordi di Ristrutturazione dei Debiti, i Piani Attestati di Risanamento e, quando l’insolvenza è ormai irreversibile, la Liquidazione Giudiziale (ex fallimento). I principi sono sovrapponibili: nel concordato preventivo c’è una proposta ai creditori (con voto, maggioranza 2/3) e può essere in continuità aziendale o liquidatorio; negli accordi di ristrutturazione c’è un’intesa privata con una percentuale qualificata di creditori (minimo 60%) poi omologata dal tribunale e resa vincolante anche per gli eventuali non aderenti minoritari; nel piano attestato non serve omologa ma è un semplice piano con asseverazione di un esperto, efficace solo se tutti i creditori lo rispettano volontariamente (altrimenti non vincola dissenzienti). Sono procedure di alto profilo, che esulano dallo scopo pratico di questa guida. Vale però la pena sottolineare che anche nelle procedure maggiori sono stati introdotti meccanismi di favor debitori analoghi: ad esempio, il cram down fiscale è stato previsto nel concordato preventivo (art. 88 CCII) così che il tribunale possa omologare malgrado il voto contrario dell’Erario se la proposta è più conveniente per esso rispetto alla liquidazione. Oppure la possibilità di accedere a un esdebitazione post-fallimentare per l’imprenditore persona fisica è mantenuta (art.278 CCII per la liquidazione giudiziale, parallelo all’art.280 per la controllata). Insomma, l’orientamento è unico: dare una seconda chance al debitore onesto – sia esso un privato indebitato o un capitano d’industria fallito – e allo stesso tempo massimizzare la soddisfazione collettiva dei creditori (meglio un concordato che paga il 30% subito, che fallimento che forse pagherà 5% in 5 anni). L’imprenditore maggiore in crisi deve seguire obblighi specifici (se ci sono segnali di allerta deve attivare i meccanismi adeguati, altrimenti rischia azioni di responsabilità), ma la trattazione dei dettagli andrebbe oltre il perimetro. Per i nostri scopi, basti ricordare che tutti i debitori, grandi o piccoli, hanno oggi un ventaglio di procedure concorsuali calibrate sulla loro categoria, e che l’esdebitazione – ossia l’effetto di liberazione dai debiti insoddisfatti – è previsto sia per chi passa dal fallimento/liquidazione giudiziale (art.282 per le persone fisiche ex fallite) sia per chi usa le procedure da sovraindebitamento (art.280 per la controllata, art.283 per incapienti). Non è più un istituto eccezionale ma un diritto del debitore meritevole, salvo casi di abuso.

Ora che abbiamo esaminato strumenti e procedure, passiamo a rispondere ad alcuni quesiti frequenti che i debitori si pongono, e in seguito presenteremo dei casi concreti esemplificativi.

Domande Frequenti (FAQ) di Chi è Indebitato

D1: Quali beni non possono essere pignorati dai creditori?
R: La legge prevede varie ipotesi di impignorabilità. In generale, non si possono pignorare gli oggetti indispensabili alla vita quotidiana del debitore e della sua famiglia: letto, tavolo da pranzo con sedie, armadi, frigorifero, fornelli, lavatrice, utensili da cucina, abiti e biancheria, provviste di cibo e combustibile per un mese, medaglie al valore e lettere personali (art. 514 c.p.c.). Sono impignorabili anche i beni sacri e necessari al culto. Per il lavoratore autonomo, strumenti, attrezzi e libri indispensabili per l’esercizio della professione o arte sono pignorabili solo per i crediti dello stesso settore (es. il fisco può pignorare l’auto al rappresentante di commercio, ma un creditore qualunque no) e comunque nei limiti di 1/5 del loro valore complessivo (art. 515 c.p.c.). Ad esempio, al musicista non si può portare via l’unico violino con cui lavora. Anche gli animali da compagnia o affezione e quelli utilizzati a fini terapeutici o di assistenza (pet therapy) sono impignorabili (L. 3/2019). Quanto agli immobili, solo l’Agente Riscossione fiscale ha il divieto di pignorare la prima casa del debitore se questi vi risiede e non è di lusso; i creditori privati non hanno questo divieto, quindi la casa è in teoria pignorabile da banche o altri, anche se unica abitazione. Tuttavia esistono protezioni indirette: se l’immobile è in fondo patrimoniale destinato ai bisogni della famiglia, non può essere pignorato per debiti estranei a tali bisogni (art. 170 c.c.), ma questa è materia delicata e il fondo va costituito molto prima dei debiti ed è comunque revocabile se fraudolento. Infine, stipendi e pensioni: come detto, sono in parte impignorabili – il minimo vitale della pensione (circa €750) non si tocca e il resto solo fino a 1/5; analogamente per lo stipendio si lascia almeno la metà. Esempio: se ho uno stipendio netto di €1.500, al massimo mi pignoreranno €300 al mese (un quinto). Se ho una pensione di €800, la parte impignorabile (ad oggi intorno a €750) resta intoccata e solo su €50 teoricamente si potrebbe prelevare il 20% (cioè €10). Di fatto, pensioni minime sono praticamente impignorabili. Conti correnti: se sul conto affluisce lo stipendio/pensione, la legge tutela l’ultimo accredito: sul conto dove arriva lo stipendio, al momento del pignoramento, è impignorabile l’importo pari al triplo dell’assegno sociale (~€1500); il resto sul conto è pignorabile. Ciò per evitare che il debitore resti totalmente senza soldi per il mese corrente.

D2: Possono portarmi via la casa di abitazione?
R: Dipende dal creditore e dalla situazione:
– Per debiti fiscali: come spiegato, la prima casa (unico immobile non di lusso dove il debitore risiede) è protetta dal pignoramento Equitalia. Il Fisco può al più iscrivere ipoteca a garanzia (se debito > €20k) e potrà riscuotere quando l’immobile viene venduto volontariamente, ma non può forzare l’asta. Ci sono eccezioni: se avete più case, anche la principale può essere espropriata (non essendo più “unica”); inoltre se il debito fiscale supera €120.000 e avete altri immobili, l’Agente Riscossione può procedere (la soglia di €120k è un ulteriore sbarramento). Quindi col Fisco: unica casa -> niente asta; più case -> possibili azioni (di solito iniziano da ipoteca poi, se il debito resta, procedono).
– Per debiti bancari o privati: non c’è un divieto generale. La banca che vanta un mutuo impagato su casa può certamente pignorarla (essendo pure ipotecata, è preferita). Un creditore non garantito può anch’egli, se ne vale la pena, pignorare e vendere la casa. Di solito ciò avviene per debiti rilevanti; per cifre piccole, la casa magari vale molto di più e un creditore isolato preferisce pignorare lo stipendio. Però se i debiti sono tanti, il rischio di perdere la casa esiste. Anche in sede concorsuale (concordato, liquidazione) la casa può dover essere ceduta, salvo il caso del piano del consumatore dove si sceglie di continuare a pagare il mutuo per tenerla.
– Ci sono tuttavia strategie per salvare la casa: ad esempio, un piano del consumatore ben congegnato può prevedere che i creditori chirografari vengano soddisfatti in parte, evitando la vendita dell’abitazione ipotecata e continuando a servire il mutuo (come la legge consente). Oppure, se la casa è cointestata col coniuge non debitore, il pignoramento riguarderà solo la quota del debitore, rendendo la vendita complicata (in pratica, in asta va una quota indivisa, poco appetibile; spesso il coniuge può riscattare quella quota). Soluzioni più drastiche come vendere la casa prima che i creditori la attacchino e andare in affitto sono possibili, ma attenzione: se lo fate dopo che i debiti sono scaduti e senza corrispettivo equo, i creditori possono agire con azione revocatoria entro 5 anni per far invalidare la vendita (art. 2901 c.c.). Quindi non svendere la casa ai parenti all’ultimo minuto! Piuttosto, valutare un percorso legale: con un concordato o piano il giudice potrebbe anche autorizzare la vendita dell’immobile a prezzo di mercato e destinare il ricavato ai creditori, ottenendo il loro consenso a considerare chiusa la partita, magari mantenendo al debitore una parte per ricomprare un’abitazione più modesta. Insomma, la casa è l’ultimo baluardo e ogni caso va studiato. Ma la regola è: sì, un creditore (non fiscale) può pignorare la prima casa, perciò se avete debiti importanti non dormite tranquilli confidando in una inesistente protezione automatica.

D3: Quanto dello stipendio o della pensione mi possono pignorare?
R: Come anticipato, in generale fino a un quinto (20%) del netto mensile. Esempio: su €1.000 di stipendio, €200 max al mese possono essere trattenuti per soddisfare i creditori. Ci sono però differenze:
Crediti alimentari (es. mantenimento figli) o tributari possono coesistere con quelli ordinari ciascuno col loro quinto. Quindi eccezionalmente un giudice potrebbe pignorare due quinti (40%) se, ad esempio, c’è un quinto per alimenti e un quinto per banca; la legge prevede comunque che al lavoratore resti almeno il 50%.
Pensioni: è impignorabile la parte di pensione sotto il cosiddetto “minimo vitale” (pari all’assegno sociale + 1/2, circa €750 nel 2025). Quindi se una pensione è €1.000, la base pignorabile è €250 e il quinto si calcola su quella (quindi max €50). Se la pensione è €1.500, base €750, pignorabile max €150.
Debiti fiscali: l’Agenzia Entrate Riscossione ha regole leggermente diverse per stipendi/pensioni: – Se lo stipendio netto è fino a €2.500: pignorano al massimo 1/10 (10%).
– Se è tra €2.501 e €5.000: pignorano 1/7 (~14,28%).
– Oltre €5.000: pignorano 1/5 (20%).
– Quindi paradossalmente il Fisco è un po’ più clemente per i redditi bassi (prende il 10% anziché 20%). Per le pensioni, credo si applicano analoghe percentuali sulle fasce eccedenti il minimo vitale.
Cumulabilità: se esiste già un pignoramento del quinto da parte di un creditore, un secondo creditore può pignorare un altro quinto solo se è di diversa natura (es. uno per alimenti, uno per banca). Se è della stessa natura (due creditori ordinari), il secondo dovrà attendere che il primo finisca, perché il codice di rito stabilisce che sullo stesso emolumento non si può eccedere il quinto totale per crediti ordinari. Nel caso di più crediti fiscali, tutti insieme rientrano nelle percentuali suddette per fasce.
Tredicesime, liquidazioni (TFR), straordinari: rientrano nel calcolo e sono pignorabili con le stesse percentuali, perché considerati parte del reddito.

D4: Dopo quanti anni un debito si prescrive e non devo più pagarlo?
R: La prescrizione estingue il diritto del creditore dopo un certo tempo in cui egli non lo esercita. I termini variano a seconda del tipo di credito. In linea generale:
10 anni: è la prescrizione ordinaria per i debiti derivanti da contratto o da sentenza (es. un mutuo bancario – il capitale si prescrive in 10 anni dal momento in cui è dovuto). Anche le cartelle esattoriali per alcuni tributi erariali seguono 10 anni secondo alcuni orientamenti, sebbene la tendenza sia di 5 anni ormai per quasi tutto.
5 anni: moltissimi crediti ricadono nel quinquennio, ad esempio: bollette di luce, gas, acqua e telefono (2 anni per luce/gas secondo il Codice del consumo in certe condizioni, ma in generale 5 anni per le utility se non diversamente stabilito); canoni d’affitto e spese condominiali (5 anni); rate di assicurazione; stipendi e retribuzioni dovute a lavoratori; onorari professionali (salvo abbiano ottenuto decreto ingiuntivo, che li porta a 10); interessi maturati su qualunque debito (gli interessi, essendo obbligazioni periodiche, prescrivono in 5 anni). Anche i tributi locali (IMU, TARI) e le multe stradali si prescrivono in 5 anni, così come i contributi INPS. La legge di bilancio 2007 ha stabilito che, salvo eccezioni, tutti i crediti della PA per imposte e contributi hanno termine di prescrizione 5 anni (art.1 co. 161 L.296/2006), quindi oggi IVA, IRPEF, IRAP, bollo auto – una volta divenuti definitivi – scadono in 5 anni se la riscossione non compie atti.
3 anni: diritti derivanti da rapporti di lavoro autonomo (pagamento parcelle a professionisti, artigiani, notai, avvocati – 3 anni dal completamento della prestazione); anche il bollo auto a volte è considerato 3 anni (ma entro 3 anni l’ente di solito iscrive a ruolo e notifica, interrompendo).
1 anno: pochi casi, es. il diritto degli albergatori e ristoratori a farsi pagare il conto (1 anno dal termine del soggiorno) – per dire, se non saldi il conto dell’hotel, dopo un anno l’albergatore non può più chiedertelo. Anche le rette di scuole e palestre e abbonamenti vari spesso ricadono nell’annualità.
Importante: la prescrizione non decorre più una volta che c’è un titolo giudiziale passato in giudicato (sentenza o decreto non opposto): in quel caso il credito si “fissa” e diventa da 10 anni (prescrizione delle sentenze). Ad esempio, un affitto non pagato del 2016 è prescritto nel 2021 se il locatore non ha fatto nulla; ma se nel 2017 ottiene un decreto ingiuntivo, questo decreto vale 10 anni, quindi fino al 2027. Inoltre, ogni atto di esercizio del diritto interrompe la prescrizione: raccomandate di messa in mora, decreti ingiuntivi, atti di precetto, pignoramenti, richieste scritte riconosciute dal debitore… Tutti questi fanno ripartire il termine da capo. Perciò, nella pratica, un debito raramente “cade in prescrizione” se il creditore è attivo. Cade quando il creditore si dimentica o rinuncia ad agire per tanti anni. Ad esempio, molti piccoli debiti (bollette, multe) possono finire in prescrizione perché l’ente creditore perde di vista il caso. Ma è sempre il giudice a dichiararlo su eccezione del debitore: non basta aspettare X anni e automaticamente il debito sparisce, bisogna che se il creditore poi prova a chiederlo, voi opponiate la prescrizione. E attenzione: se in buona fede non sapevate, e magari dopo 6 anni pagate comunque, avete sanato il debito e non potete più richiedere indietro per dire “era prescritto”. La prescrizione, se non eccepita, è un fatto naturale ma rinunciabile anche tacitamente (pagando, rinunciate implicitamente). Quindi fatevi consigliare: se credete che un vostro debito sia prescritto, consultate un legale prima di fare qualsiasi pagamento o riconoscimento scritto.

D5: Posso non pagare i debiti e aspettare che cadano in prescrizione senza fare nulla?
R: In teoria sì, ma è molto rischioso e spesso irrealistico. La prescrizione è un istituto a tutela del debitore diligente, non del furbo: se il creditore sta inattivo per anni, è giusto liberare il debitore dall’incertezza. Ma la maggior parte dei creditori non lascia passare troppo tempo senza agire: basta una lettera o un sollecito periodico per interrompere, e il cronometro ricomincia. “Non fare nulla” espone al rischio che di punto in bianco arrivi un atto esecutivo (decreto, precetto) perché magari vi hanno notificato qualcosa e non ve ne siete accorti. Inoltre, vivere con debiti insoluti significa spesso subire interessi moratori altissimi, more, penali, ecc., che fanno crescere il debito nel frattempo. E in alcuni casi, attendere può peggiorare la situazione: ad esempio il Fisco, aspettando, può iscrivere ipoteche e aggravare la posizione. Quindi non è una strategia consigliabile. Meglio affrontare il problema: negoziare, rateizzare, transare o intraprendere le procedure concorsuali. La prescrizione può essere un asso nella manica per contestare debiti molto vecchi o errori procedurali del creditore, ma come piano deliberato di default è poco efficace: i creditori difficilmente staranno fermi a guardare per tutti gli anni necessari.

D6: I debiti si possono “cancellare” senza pagare nulla? (Esdebitazione)
R: , attraverso le procedure concorsuali di cui abbiamo parlato. L’esdebitazione è proprio la liberazione dai debiti residui senza pagarli, dopo aver però messo a disposizione dei creditori tutto il patrimonio disponibile. Quindi non è un condono unilaterale: il debitore deve comunque passare attraverso una procedura – piano, concordato o liquidazione – in cui offre il massimo che può. Alla fine, se rimane una parte di debiti insoddisfatti, questa viene cancellata. Caso particolare è l’esdebitazione del debitore incapiente, dove letteralmente non si paga nulla ai creditori e il giudice cancella i debiti (tranne quelli esclusi). Ma come visto, ciò avviene solo in presenza di condizioni molto stringenti: bisogna provare di non avere nulla e di non aver colpa. In pratica è riservata a poveri disgraziati senza beni né redditi. Diciamo che per il cittadino medio la via per “cancellare” la maggior parte dei debiti è presentare un buon piano del consumatore o concordato: lì di fatto magari paga 20% e cancella l’80%. O se ha già niente da dare, liquida quel niente e viene esdebitato di tutto. Queste procedure hanno un costo (bisogna pagare i compensi all’OCC, contributo unificato in tribunale, eventuali professionisti – sebbene per i casi sociali spesso gli OCC hanno tariffe minime e c’è patrocinio a spese dello Stato). Ma il beneficio è enorme: pensate a liberarsi dai debiti di una vita in pochi anni. Quindi sì, la legge consente la cancellazione dei debiti a certe condizioni. Fuori dalle procedure, invece, nessuno ha la gomma magica: un creditore privato non dirà mai “ok non mi devi più nulla” se non in cambio di qualcosa (fosse anche la consapevolezza che non otterrà niente e quindi rinuncia).

D7: Che differenza c’è tra il piano del consumatore e la liquidazione controllata?
R: Il Piano del consumatore (oggi ristrutturazione debiti del consumatore) è una procedura in cui il debitore rimane in possesso dei suoi beni, salvo quelli che decide di dismettere per pagare i creditori. Egli si impegna a pagare in un certo modo (rateizzando parte dei redditi futuri, vendendo alcuni beni se necessario) e ottiene di non dover vendere tutto. Ad esempio, può conservare la casa e l’auto se il piano lo consente. I creditori ricevono pagamenti parziali secondo il piano e poi chiusa la procedura il resto è cancellato. La Liquidazione controllata, invece, è molto più invasiva: tutti i beni del debitore (tranne quelli impignorabili ex lege) vengono presi, venduti e convertiti in denaro per i creditori. Il debitore perde la disponibilità del patrimonio durante la procedura. In cambio, però, la liquidazione offre la certezza dell’esdebitazione (automatica a fine procedura o dopo 3 anni), mentre nel piano del consumatore l’esdebitazione finale dipende dall’aver adempiuto regolarmente il piano. Possiamo dire che il piano è preferibile quando il debitore ha un reddito e vuole evitare di sacrificare certi beni (es. la casa); la liquidazione è la scelta se il debitore o i creditori ritengono opportuno liquidare tutto subito e togliersi il pensiero, oppure se il debitore non è in grado di sostenere pagamenti costanti (nessun reddito disponibile) e dunque l’unica è vendere i beni e chiudere lì. Dal punto di vista dei creditori, la liquidazione spesso dà risultati minori (perché vendere in blocco e di fretta rende meno), però è immediata; il piano può dare di più se i creditori confidano nel pagamento rateale. Inoltre, ricordiamo: nel piano del consumatore i creditori non votano, quindi il debitore può imporlo se convince il giudice; nella liquidazione i creditori non possono opporsi, è un loro diritto partecipare ma non decidono nulla (la decide il tribunale). Quindi la differenza grossa è: piano = tieni i beni (di solito) e paghi col reddito futuro secondo le tue possibilità; liquidazione = perdi i beni subito ma poi riparti pulito. In entrambi i casi, se sei meritevole, alla fine i debiti residui spariscono.

D8: Ho già ottenuto un’esdebitazione una volta: posso chiederla di nuovo in futuro se mi re-indebito?
R: Non facilmente. La legge impone dei limiti temporali: si può ottenere l’esdebitazione una sola volta ogni 5 anni. Inoltre non più di due volte in totale in una vita. Questo per evitare che qualcuno faccia il furbo seriale accumulando debiti e ripulendosi di continuo. Quindi, se hai già avuto un’esdebitazione da sovraindebitamento, puoi accedere di nuovo ma solo dopo 5 anni e comunque la seconda volta sarà l’ultima concessa. Lo stesso vale se sei stato fallito e hai avuto esdebitazione ex art.142 L.F. (ora art.278 CCII): una volta ottenuta, nei 5 anni successivi non puoi chiederne un’altra, e comunque oltre due volte non si va. Un’eccezione: l’esdebitazione “incapiente” è espressamente una tantum. Quindi se l’hai avuta, game over per ulteriori procedure (anche perché se poi ti reindebiti, difficilmente potresti rivendere di nuovo la storia dell’incapienza meritevole). In sintesi: l’esdebitazione è un giubileo che capita poche volte, quindi dopo averla ottenuta è bene non ricadere negli errori, perché una terza chance non è prevista.

D9: Ho debiti con il Fisco: in un piano di sovraindebitamento li devo pagare per forza al 100%?
R: No, non necessariamente. Un tempo il credito fiscale era ritenuto intoccabile, ma ora non è più così. Nel piano del consumatore il tribunale può omologare il piano anche se prevede un pagamento parziale delle tasse, senza bisogno di adesione dell’Erario, a condizione che la proposta sia conveniente rispetto alla liquidazione. In pratica l’Agenzia Entrate e l’INPS vengono trattate come gli altri chirografari ma con un occhio: bisogna dare loro almeno quanto avrebbero ricavato pignorando. Questo valore lo attesta l’OCC. Se ad esempio avete debiti fiscali per €50.000 e immobili che se venduti forzatamente renderebbero €10.000 al Fisco, nel piano potreste offrire €12.000 in 5 anni e il giudice potrebbe imporlo al Fisco, anche se formalmente l’ente non è d’accordo (applicando il cram down fiscale introdotto dall’art. 12 comma 3-quater L.3/2012 e ora negli art. 63 e 80 CCII). Nei concordati minori (dove c’è voto dei creditori) vale simile principio: se il Fisco vota no ma il suo voto era determinante, il tribunale può ugualmente omologare se l’offerta è almeno pari al ricavato in caso di liquidazione. Questo meccanismo ha aperto la strada a transazioni fiscali forzose: in sostanza, oggi pagare meno tasse del dovuto legalmente è possibile all’interno di queste procedure, purché i giudici verifichino che non si stia favorendo ingiustamente il debitore. Ciò è coerente anche con la normativa europea e con la prassi di concordati preventivi per aziende dove il fisco spesso accetta percentuali. Addirittura, per i debiti fiscali < €1.000 affidati entro 2015, come visto, c’è stato l’annullamento automatico nel 2023. Quindi il mito che “col fisco non si scappa tranne che pagando tutto” è ormai superato. Naturalmente ogni caso è a sé: se avete la capacità di pagare buona parte, il piano dovrà rifletterlo. Ma se oggettivamente il Fisco, pignorando, recupererebbe solo briciole, allora è legittimo proporgli quelle briciole e ottenere lo stralcio del resto.

D10: Cosa significa “saldo e stralcio” e conviene farlo?
R: Saldo e stralcio è un termine di pratica che indica un accordo transattivo in base al quale il debitore versa al creditore una somma inferiore al totale dovuto e il creditore, incassandola, rinuncia (stralcia) la parte restante. In altre parole, è uno sconto sul debito in cambio di pagamento immediato (o in tempi brevi). Si usa molto con banche/finanziarie su crediti deteriorati: es. dovete €10.000, proponete “ti pago €4.000 entro 30 giorni e chiudiamo”. Se il creditore accetta, fate un accordo scritto, pagate €4.000 e quel debito è definito, nessuno potrà chiedervi gli altri €6.000 in futuro. Il vantaggio per il debitore è evidente: risparmia e si libera subito. Il vantaggio per il creditore è incassare qualcosa adesso evitando lunghe procedure e rischio di nulla. È un accordo stragiudiziale, non passa dal tribunale, quindi dev’essere volontario: serve la disponibilità del creditore. Non tutti la danno – ad esempio, difficilmente l’Agenzia delle Entrate fa saldo e stralcio col singolo contribuente (lo fa solo in quelle rottamazioni generali per legge). Le finanziarie invece spesso sono aperte, specie se il debito è andato a perdita in bilancio o ceduto a recuperatori. Conviene farlo quando: (a) si dispone di una somma liquida (ad es. grazie a un familiare) che però è minore del debito intero; (b) il creditore è scettico di poter ottenere tutto ma potrebbe accontentarsi. Attenzione: se fate un saldo e stralcio, assicuratevi di avere la rinuncia completa del residuo per iscritto. Una volta pagato, fatevi mandare quietanza liberatoria con dicitura che la somma tale è a saldo finale e stralcio di ogni pretesa. Così siete protetti da eventuali cessioni future del residuo (a volte succede se non si è chiari, il creditore originario incassa e poi vende comunque la differenza a un terzo: non deve poterlo fare perché quell’obbligazione è estinta). Inoltre, prevedete la cancellazione di eventuali segnalazioni in CRIF come sofferenza una volta chiuso l’accordo: è un vostro diritto, ma meglio ribadirlo. In conclusione, il saldo e stralcio conviene se riuscite a negoziare un taglio significativo che vi eviti guai peggiori. Se il creditore chiede quasi il 90-100%, tanto vale dilazionare. Ci sono professionisti specializzati nel trattare coi creditori per ottenere i massimi sconti; potete farlo anche da soli, ma mantenete sempre toni civili e realistici (offrire il 10% può irritare; meglio argomentare perché più di X non potete pagare e convincere che accettare è la loro miglior opzione).

D11: Se vengo dichiarato fallito (liquidazione giudiziale), cosa succede ai miei debiti?
R: In caso di liquidazione giudiziale (nuovo nome del fallimento), tutti i debiti contratti fino a quel momento confluiscono nel passivo fallimentare. Il curatore liquiderà i beni dell’impresa (e del fallito persona fisica, salvo i beni personali non attinenti all’impresa? dipende) e pagherà i creditori secondo l’ordine dei privilegi. Alla fine della procedura, se sei un imprenditore individuale, puoi chiedere l’esdebitazione del fallito (ora è quasi automatica se hai cooperato) , ottenendo la cancellazione dei debiti rimasti (quelli non soddisfatti nella procedura). Quindi, paradossalmente, il fallimento di un imprenditore onesto è una via per liberarlo dai debiti dell’impresa sfortunata, mentre i creditori sopportano le perdite. Se invece sei una società, la società fallisce e viene estinta a fine procedura – i debiti sociali insoddisfatti “muoiono” con essa (nessuno li paga, i creditori li deducono a perdita). I garanti o soci illimitatamente responsabili però restano obbligati: ma costoro possono a loro volta cercare esdebitazione personale. Diciamo che il fallimento è l’extrema ratio: le redini passano in mano al curatore, il debitore perde l’azienda e i beni, però finita la tempesta esce pulito (salvo eccezioni). Durante la procedura, il fallito imprenditore non può condurre attività economiche senza informare che è fallito, ci sono alcune incapacità (perde la capacità di stare in giudizio per le cause patrimoniali, la gestisce il curatore). Ma oggi non è più lo stigma di una volta: anzi la legge incoraggia l’esdebitazione per reinserire i falliti nel circuito produttivo. In sintesi: se proprio non c’è alternativa, meglio un fallimento ben gestito e chiuso magari in 2-3 anni e poi esdebitazione, piuttosto che trascinarsi debiti per decenni. Da notare che in liquidazione giudiziale come in controllata, eventuali atti di frode (es. aver distratto beni prima del fallimento) possono portare a diniego di esdebitazione e a sanzioni penali (bancarotta fraudolenta). Quindi mai compiere atti illeciti pensando di fregare i creditori, perché poi si paga caro.

D12: I miei debiti (o i debiti di mio padre) si trasferiscono ai figli o ai familiari?
R: No, i debiti sono personali. Nessuno è tenuto a pagare i debiti altrui, a meno che non abbia firmato come garante o coobbligato. Ad esempio, se i genitori hanno debiti e i figli maggiorenni non sono garanti, i creditori non possono toccare i beni dei figli. Discorso diverso è per la moglie o marito in regime di comunione: i debiti contratti da uno durante il matrimonio per bisogni della famiglia possono dar luogo a escussione anche sui beni della comunione. Ma i beni personali dell’altro coniuge (propri risparmi, stipendio, eredità personali) non rispondono di regola dei debiti dell’altro. L’unico caso in cui i debiti “si ereditano” è quando c’è un decesso: se Tizio muore con debiti, i suoi eredi subentrano nei suoi rapporti patrimoniali sia attivi che passivi. Significa che i figli erediteranno anche i debiti del defunto, ma hanno la facoltà di rinunciare all’eredità o accettarla con beneficio d’inventario. Quindi un figlio può decidere: “Papà aveva troppe passività > attivo, rinuncio all’eredità”, e in tal caso nessun debitore potrà chiedergli nulla (gli effetti sono che è come se non fosse mai stato erede). Se invece accetta l’eredità, deve pagare i debiti ereditari nei limiti del valore dei beni ereditati: se accetta con beneficio d’inventario c’è pure un calcolo formale, se accetta puramente e semplicemente e poi i debiti superano l’attivo, ne risponderà anche col suo patrimonio (per questo è saggio fare il beneficio in casi dubbi). Dunque in vita le obbligazioni sono individuali, post mortem passano agli eredi salvo rinuncia.
Per completezza: attenti a fideiussioni e deleghe: se avete firmato da garanti per un parente, quel debito vi riguarda a tutti gli effetti. È frequente che genitori garantiscano mutui ai figli o viceversa; in tali casi il creditore può scegliere di escutere il garante subito appena il debitore principale manca.
Nel caso di società: i soci di SNC e SAS (accomandatari) rispondono dei debiti sociali con il loro patrimonio, quindi di fatto assumono su di sé i debiti se la società non paga. In società di capitali invece no, i soci rischiano solo il capitale investito.
Infine, non confondiamo l’intestazione di beni: se per esempio un padre pieno di debiti intesta l’auto al figlio sperando di salvarla, se il figlio ne ha la proprietà effettiva i creditori del padre non possono toccarla (perché è del figlio); però se viene provato che era un trustee o simulazione per sottrarre beni, il giudice può revocare quell’atto e far tornare il bene aggredibile. È il classico caso di atti in frode. Quindi prendersi intestazioni di beni di un debitore può esporre a cause legali (anche se di solito col passare del tempo, se l’atto è anteriore di oltre 5 anni al fallimento o alle esecuzioni, la revocatoria non è più esperibile, salvo dolo).

D13: Ho sentito parlare della “legge salva suicidi”: cos’è e come funziona?
R: La Legge 3/2012, soprannominata “salva suicidi”, è la normativa che per la prima volta in Italia ha introdotto gli strumenti per la composizione delle crisi da sovraindebitamento civile. Prima, chi non falliva non aveva strumenti se non le esecuzioni individuali e le trattative private. La legge 3/2012 ha previsto l’accordo di composizione, il piano del consumatore e la liquidazione del patrimonio, con l’esdebitazione finale. È stata definita “salva suicidi” perché nelle relazioni iniziali si citava il tragico aumento di suicidi per motivi economici durante la crisi 2008-2011, e si voleva dare una via di uscita a persone strozzate dai debiti per ridare speranza e prevenire gesti estremi. Oggi quella legge è in gran parte confluita nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), ma molte persone e anche media continuano a chiamarla legge salva suicidi. In pratica, se vi dicono “perché non ricorri alla legge salva suicidi?”, intendono “perché non presenti un piano del consumatore o non chiedi l’esdebitazione tramite OCC?”. È sinonimo colloquiale delle procedure di sovraindebitamento. Funziona come abbiamo spiegato: con l’aiuto di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) si fa una proposta, si va dal giudice e se tutto va bene si ottiene l’omologazione e poi l’esdebitazione. Non è un condono statale o un aiuto economico: è un processo legale per gestire i debiti. Ma certamente ha salvato letteralmente molte famiglie dalla disperazione, ridando prospettive. Esempi concreti di applicazione: famiglie che con la legge 3/2012 hanno ridotto debiti da 300.000 € a 50.000 € da pagare in 4 anni, oppure piccoli imprenditori che dopo il fallimento hanno ottenuto esdebitazione e ricominciato una vita economica normale. La ratio è proprio sociale: evitare che una persona vessata dai debiti finisca ai margini o compia atti tragici, ma piuttosto rimetterla in carreggiata come consumatore e contribuente attivo.

D14: Ci sono debiti che non possono essere cancellati nemmeno con l’esdebitazione?
R: , alcuni debiti hanno natura tale da essere esclusi dall’esdebitazione. Li abbiamo accennati:
Obblighi alimentari e di mantenimento: se dovete gli alimenti a un coniuge o ai figli, quello è un obbligo morale e legale continuo, non potete farvelo togliere. Anche gli arretrati dell’assegno di mantenimento non vengono cancellati (art. 14-terdecies L.3/2012, ora art.278 CCII). Quindi se un padre non paga il mantenimento per anni e accumula debito verso i figli, non può aspettarsi di far liquidazione e azzerare quel debito: dovrà comunque ai figli quanto deciso dal giudice famiglia.
Debiti da risarcimento per fatti illeciti extracontrattuali: tipico caso, i danni da reato o da incidente stradale mortale. Se siete stati condannati a risarcire una vittima, quel debito non è esdebitabile. Resta a carico vostro vita natural durante (vostri eredi a parte). L’idea è che il danneggiatore non può scrollarsi di dosso l’obbligo verso la vittima attraverso il fallimento. Anche le multe penali e sanzioni amministrative (ad esempio sanzioni antitrust, multe stradali gravi) non collegate a un debito poi estinto restano dovute. Per contro, se avete una multa stradale, quella rientra nella definizione di sanzione amministrativa non accessoria a debiti estinti – quindi resta, in teoria. Ma se è cartella esattoriale e la includete in un piano, c’è un po’ di dibattito: diciamo che formalmente le sanzioni pure non si falcidiano, a meno che la legge speciale (come rottamazioni) lo preveda. Il CCII esclude espressamente dall’esdebitazione “le sanzioni pecuniarie penali ed amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti”. Significa: una multa per divieto di sosta, essendo una sanzione amministrativa pecuniaria, non si estingue con l’esdebitazione; ma se era stata iscritta a ruolo e avete fatto la rottamazione pagando solo interessi, beh in quel caso la sanzione in sé era già stata stralciata per legge. È un punto un po’ complesso. In linea generale: le punizioni (pecuniarie) non te le condona il giudice fallimentare.
Debiti fiscali? Le sanzioni fiscali in sé ricadono nelle sanzioni amm.ve, quindi quelle non vengono esdebitate (es. la cartella ha €1000 di cui €200 sanzione – i €200 sanzione restano). L’IVA e altre imposte invece sono esdebitabili (nessuna esclusione più: anni fa l’UE diceva che l’IVA in fallimento non poteva essere esdebitata per non fare concorrenza sleale, ma poi la giurisprudenza UE ha cambiato orientamento a favore del fresh start).
Debiti da dolo del debitore verso i creditori: se l’esdebitazione è stata ottenuta con inganno o comportamenti fraudolenti, può essere revocata. Quindi indirettamente, se avete frodato creditori, quei debiti non li scampate. Ad esempio, avete nascosto un tesoretto all’estero, fate liquidazione e ottenete esdebitazione, ma poi scoprono il malloppo nascosto: il beneficio vi verrà tolto e i creditori torneranno alla carica su quel tesoro.

D15: Quanto costa accedere a queste procedure di sovraindebitamento?
R: Ci sono dei costi, ma spesso calmierati. Bisogna distinguere:
Spese legali: se vi affidate a un avvocato (consigliato), questi vi chiederà un compenso. Potreste avere diritto al patrocinio a spese dello Stato (gratuito patrocinio) se il vostro reddito è sotto la soglia (circa €11.700 annui attualmente) e se la procedura lo prevede (è applicabile anche a queste procedure civili). Quindi informatevi presso l’Ordine Avvocati locale: se siete nullatenenti, potreste avere un avvocato gratis pagato dallo Stato.
Compenso OCC: l’Organismo di Composizione della Crisi vi assegnerà un Gestore che redige la relazione, aiuta a predisporre il piano e poi eventualmente funge da liquidatore o controllore. Per legge l’OCC ha diritto a un compenso stabilito dal DM 202/2014 e parametri successivi: è spesso una percentuale sui debiti o sull’attivo liquidato, con minimi fissi. Molti OCC pubblicano i tariffari. Comunque, di solito, per un piano del consumatore i costi OCC possono variare da poche centinaia di euro fino a un paio di migliaia, a seconda della complessità. In alcuni casi sociali, alcuni tribunali hanno disposto il pagamento del compenso OCC a carico dello Stato (fondo giustizia) se il debitore proprio era incapiente. Non contateci però: formalmente il debitore deve pagare l’OCC. Spesso vogliono un acconto iniziale (anche €500-1000) per attivare la pratica.
Contributo unificato e bolli: presentare il ricorso in tribunale per sovraindebitamento comporta un contributo unificato abbastanza basso (la L.3/2012 aveva fissato €98, ora credo applicano qualcosa del genere) più marca da €27. Quindi spese vive < €150.
Altre spese: se c’è bisogno di una perizia di stima (ad es. per valutare la casa da mettere nel piano), quella va pagata a parte al perito. Se si vendono beni in liquidazione, il liquidatore tratterrà il compenso dal ricavato.
In sintesi, non è gratuito ma è alla portata: e potete inserire i costi della procedura come spese prededucibili nel piano, nel senso che quando verserete le somme, prima si pagano i costi di procedura e poi il resto ai creditori. Se siete proprio senza soldi, il problema è trovare l’acconto per partire: a volte lo anticipa un familiare o magari l’avvocato dilaziona. Ci sono associazioni antiusura o fondazioni che talvolta coprono i costi iniziali per i casi disperati. Insomma, informatevi anche presso gli OCC: molti di essi hanno sportelli informativi gratuiti per valutare la fattibilità e anche per indicarvi come reperire i fondi minimi. Vale comunque la pena: spendere magari €2.000 tra tutto per cancellare decine di migliaia di euro di debiti è un investimento ottimo.

D16: Una volta esdebitato, posso ottenere nuovi crediti o mutui? O resterò segnalato a vita come cattivo pagatore?
R: L’esdebitazione non cancella le informazioni storiche creditizie, ma segna la riabilitazione legale del debitore. Questo significa che a livello legale non avete più quelle pendenze, e se vi viene chiesto (in un questionario o altrove) se avete debiti pregressi, potete dire di no, o comunque siete “puliti”. Tuttavia, le banche dati creditizie private (CRIF, Experian ecc.) mantengono i dati dei contratti di finanziamento per un certo periodo anche dopo l’eventuale chiusura a saldo. Di solito, un sofferto, se è stralciato o liquidato, rimane visibile per 36 mesi dalla data di aggiornamento. Un fallimento appare nel registro delle imprese e in Centrale rischi pubblica (Banca d’Italia) per un periodo (mi pare 5 anni dalla chiusura). L’esdebitazione in sé, essendo provvedimento giudiziario, è pubblicata anch’essa (c’è un registro delle procedure di insolvenza). Però col tempo questi effetti sfumano. Un soggetto che ha avuto un piano del consumatore omologato e concluso, avrà la reputazione creditizia compromessa per qualche anno, ma poi potrà gradualmente tornare affidabile se nel frattempo mantiene comportamenti virtuosi (es. paga regolarmente le utenze, etc.). La legge non prevede una “pulitura record” automatica come forse sarebbe auspicabile. Tuttavia, l’esdebitato può far valere il decreto di esdebitazione per far cancellare eventuali pendenze annotate ingiustamente. Esempio: se un recupero crediti continuasse a segnalare a Centrale rischi un sofferenza dopo esdebitazione, potete chiedere la correzione perché quel debito non esiste più. Pensate all’esdebitazione come una riabilitazione civile: come un fallito dopo la chiusura viene riabilitato e può tornare a fare impresa, così l’esdebitato è libero. Per prudenti politiche, molte banche magari esiterebbero a dare subito un mutuo a chi 2 anni fa ha stralciato debiti – questo è comprensibile. Ma col passare del tempo e con prove di affidabilità, ciò è superabile. Legalmente, nessuna norma vi impedisce di chiedere nuovi prestiti dopo esdebitazione (a differenza del fallito in corso che non può fare atti di commercio).

D17: Se non riesco più a pagare il mutuo della casa, meglio trattare con la banca o passare dal tribunale?
R: Prima trattare, poi semmai tribunale. Quando il problema è circoscritto (es. solo il mutuo) e magari transitorio (perdita lavoro temporanea), conviene assolutamente parlare con la banca. Potete ottenere una moratoria (sospensione rate per 6-12 mesi) o un riallungamento del piano per ridurre la rata. In casi estremi, c’è il Fondo di Garanzia prima casa che interviene per pagare fino a 18 rate di mutuo in difficoltà, informatevi (gestito da CONSAP su mandato statale per specifiche situazioni). Se invece la situazione è irreversibile (non avete proprio più reddito sufficiente per quel mutuo), valutate: se la casa ha un valore notevolmente superiore al debito residuo, potreste venderla volontariamente (magari con calma ottenendo buon prezzo) e saldare la banca, evitando pignoramento. Se la casa vale meno del mutuo (underwater), allora siete in debito residuo anche vendendo: lì potreste proporre alla banca un saldo e stralcio sulla cessione dell’immobile (ci sono banche che accettano: ti cedo casa che vale l’80% del debito e mi liberi dal restante 20% – a volte accettano, per evitare lungaggini asta). Se la banca non accetta e procede col pignoramento, considerate la liquidazione del patrimonio volontaria come strada: piuttosto che far vendere in asta a poco e restare con debito residuo, potete farlo voi attraverso un liquidatore nominato, vendere a mercato la casa, dare tutto alla banca e farvi esdebitare l’eventuale differenza. In alcuni paesi c’è la datio in solutum legalmente imposta (negli USA il “jingle mail” – ridai le chiavi e fine), in Italia no, ma con l’accordo si può fare e in mancanza c’è la procedura concorsuale per togliersi il residuo. Quindi strategia: 1) dialogo con banca cercando accomodamenti; 2) se non funziona, vendere o attivare procedure per evitare l’asta.
Nel frattempo, però, non smettete di pagare del tutto senza fare nulla: se saltate 2-3 rate di mutuo, la banca può revocare il beneficio del termine e chiedervi tutto e iniziare pignoramento. Meglio pagare almeno parzialmente, o anche vendere qualche altro bene per pagare il mutuo, se la casa è prioritaria da salvare.

D18: Il giudice può davvero obbligare il Fisco o le banche ad accettare meno soldi?
R: , all’interno delle procedure omologate, la decisione del giudice vincola tutti i creditori. Per esempio, se un piano del consumatore viene omologato prevedendo che di un debito verso Banca X si paghi il 50%, quella sentenza fa stato: la banca non può più pretendere il restante 50%, è titolo esecutivo il decreto di omologazione stesso. Idem per il Fisco: la legge espressamente (art. 80 CCII) dice che l’omologazione produce gli effetti del cram down, quindi il dissenso dell’Erario è superato. Certo, i creditori possono proporre reclamo in Corte d’Appello se ritengono violati i loro diritti, ma se la procedura è corretta e li tratta equamente, la Corte confermerà. Una volta passata in giudicato l’omologa, crediti e garanzie vengono modificati secondo il piano. Ad es., ipoteche su casa: se il piano prevede che la casa non venga venduta e la banca ipotecaria accetta di allungare il mutuo, quell’ipoteca resta ma soggetta al nuovo piano. Se prevede che la casa venga venduta libera da ipoteche, dopo il pagamento parziale concordato la banca deve cancellare l’ipoteca residua anche se non ha incassato tutto il suo credito. Insomma, sì, il giudice può. Ovviamente, deve esserci una base giuridica: non è arbitrio, è applicare la legge sul sovraindebitamento che consente il soddisfacimento parziale e forzoso dei creditori con l’omologazione. Se la domanda è “accade realmente?”: sì, ormai ci sono centinaia di casi in Italia in cui, ad esempio, il Fisco voleva votare contro in un accordo e il giudice ha omologato lo stesso perché era conveniente; oppure banche che si sono viste imporre stralci in piani del consumatore. Diciamo che all’inizio (anni 2013-2015) i giudici erano titubanti, ma dopo molte sentenze di merito e Cassazione a supporto del favor debitoris, oggi c’è sicurezza. Anzi, Cass. 27562/2024 ribadisce proprio che il giudice non deve formalisticamente guardare percentuali minime ma il contesto complessivo : se il piano è il max realizzabile, deve omologarlo anche se i creditori pigliando poco brontolano. Questo è un cambio di filosofia: dal favor creditoris tradizionale (pagare il più possibile ai creditori), al fresh start del debitore bilanciato (dare il giusto possibile ai creditori, ma pensare anche a rimettere in carreggiata la persona).

D19: A chi posso rivolgermi per avviare una procedura di sovraindebitamento?
R: Ci sono vari punti di accesso:
Organismi di Composizione della Crisi (OCC): presenti in tutte le province (presso Ordini degli Avvocati, dei Commercialisti, presso i Comuni in alcuni casi, o enti privati accreditati). Sul sito del Ministero della Giustizia c’è l’elenco degli OCC autorizzati. Potete contattarne uno e chiedere un appuntamento. Lì vi spiegheranno le opzioni e, se procedete, vi assegnano un Gestore.
Professionisti (Avvocati, Commercialisti) esperti in materia: Molti avvocati e commercialisti si sono specializzati in crisi da sovraindebitamento. Potete consultarne uno di fiducia o cercare nella vostra zona chi tratta esdebitazioni. Un professionista può anche fare da OCC se iscritto a un OCC, altrimenti curerà la vostra difesa legale e si interfaccerà con l’OCC nominato.
Associazioni dei consumatori e Caritas: in alcune realtà, queste organizzazioni aiutano i sovraindebitati a mettersi in contatto con gli OCC e offrono prima consulenza gratuita. Ad esempio, la Caritas in alcune diocesi ha sportelli antiusura e di consulenza debitoria.
Tribunale – Cancelleria fallimentare: qualche tribunale ha sportelli informativi. Ma di solito vi rimanderanno comunque a un OCC.
Ricordate: la procedura richiede un po’ di documentazione (lista debiti, creditori, proprietà, redditi, spese, ecc.) – preparatevi a mettere a nudo la vostra situazione economica. Serve trasparenza totale; l’OCC vi aiuterà a ricostruire il quadro. Non abbiate timore o vergogna: sono professionisti, ne hanno viste tante, il loro scopo è aiutarvi se possibile.

D20: Cosa succede se durante un piano del consumatore non riesco a rispettare le rate previste?
R: Il rischio è la revoca dell’omologazione e il fallimento del piano. La normativa prevede che, se il debitore non adempie agli obblighi stabiliti dal piano senza giustificato motivo, oppure se sopravvengono atti in frode (nasconde nuovi redditi ecc.), il tribunale su istanza di un creditore o del Gestore può revocare l’omologa. A quel punto i debiti non pagati rivivono e i creditori possono riprendere le azioni (dedotti ovviamente gli importi eventualmente già incassati durante il piano). In alcune situazioni, il debitore può chiedere una modifica del piano se, ad esempio, ha avuto un imprevisto serio (perdita di lavoro, malattia): la legge consente di presentare istanza di modifica delle condizioni originarie, con l’aiuto dell’OCC, per evitare la revoca. È a discrezione del giudice concedere una chance (tipo allungare un po’ i termini, ecc.). Se però il piano fallisce per colpa del debitore, l’unica via rimanente spesso è la liquidazione controllata. Infatti il CCII dice: revocato o risolto il piano, il giudice può aprire d’ufficio la liquidazione controllata. Ciò può essere un paracadute: magari il piano prevedeva pagare 50% in 4 anni ma avete fallito a metà; in liquidazione si venderà quel che resta e poi in 3 anni avrete l’esdebitazione comunque. Certo, perderete i beni eventualmente protetti prima e i creditori potranno far valere l’importo maggiore (al netto di quanto già ricevuto). Quindi è cruciale, prima di proporre un piano, calibrarlo in modo realistico. Non promettete rate oltre le vostre capacità. Meglio un piano basso ma sostenibile che uno generoso ma irrealizzabile: perché il primo, se anche i creditori prendono poco, almeno andrà a buon fine e vi libererà; il secondo rischia di saltare e farvi tornare al punto di partenza. Il nuovo codice è meno rigido del vecchio: prima la minima inadempienza risolveva il piano; ora c’è un po’ di elasticità (p.es. possono tollerare piccoli scostamenti). Ma in sostanza, se proprio non riuscite a onorare, si torna all’alternativa concorsuale successiva.

Queste erano alcune tra le domande più frequenti. Passiamo ora a casi pratici che illustrano in concreto l’applicazione di strategie legali per uscire dai debiti in situazioni tipiche.

Simulazioni Pratiche (Casi Concreti)

Per comprendere meglio come le norme e gli strumenti illustrati operano nella realtà, esaminiamo alcuni casi ipotetici (basati su vicende ricorrenti) di debitori in difficoltà. Ogni caso mostrerà la situazione di partenza, le opzioni valutate e la soluzione legale adottata, con i relativi esiti. NB: I nomi sono di fantasia, e ci si concentra sulla normativa italiana attuale.

Caso 1: Mario, il consumatore sommerso dai debiti di carte e prestiti
Mario ha 40 anni, lavoratore dipendente con stipendio netto di €1.400. Negli ultimi 5 anni ha contratto diversi finanziamenti: un prestito personale per l’auto (rata €250), due carte di credito revolving (rate minime €150 cadauna), un prestito per elettrodomestici (€100/mese) e ha accumulato €2.000 di arretrati di affitto. In totale paga circa €650 al mese di debiti, quasi metà stipendio. Per un po’ è andato avanti, ma ora fatica: ha saltato delle rate, i creditori lo tempestano di solleciti e alcune rate scadute sono state messe a mora. Il suo debito complessivo residuo è di circa €25.000. Mario non possiede immobili (vive in affitto), ha un’utilitaria di 10 anni e nient’altro di valore. La compagna lo ha lasciato e lui è caduto anche in depressione per la situazione. Opzioni considerate: (a) provare a fare un prestito di consolidamento – rifiutato perché risulta già troppo indebitato e con ritardi; (b) continuare a pagare come può – insostenibile, sta usando anche il fido in conto e finirebbe insolvente presto; (c) rivolgersi a un OCC per un Piano del consumatore. Mario sceglie l’opzione (c). Si rivolge all’Organismo di Composizione della Crisi presso la sua città. Con l’aiuto del Gestore, raccoglie tutta la documentazione: contratti di prestito, estratti conto delle carte, lettere di sollecito, contratto d’affitto, buste paga, spese mensili (bollette, alimentari, ecc.). Emerge che Mario può permettersi di pagare al massimo €300 al mese ai creditori (lasciandogliene €1.100 per vivere, considerato che l’affitto è €400 e il resto per bollette e cibo). Si decide di proporre un piano su 5 anni (60 mesi), offrendo €300 al mese, cioè €18.000 totali, da ripartire proporzionalmente tra i vari creditori chirografari. Ciò significa che i creditori incasseranno circa il 72% del loro credito (18k su 25k). Gli interessi e le penali di mora future vengono congelati. Mario si impegna a versare queste somme mensilmente all’OCC che le distribuirà. Il piano viene depositato in tribunale con relazione favorevole dell’OCC che attesta la fattibilità e la meritevolezza: Mario non ha avuto colpe gravi, anzi la sua crisi deriva in parte dalla separazione che ha tolto una seconda entrata in casa e in parte da spese impreviste mediche. Il giudice concede misure protettive immediatamente, bloccando eventuali azioni esecutive (due finanziarie stavano preparando decreti ingiuntivi). All’udienza, nessun creditore formula opposizione (in realtà alcuni inviano osservazioni chiedendo se si può ridurre la durata, ma il giudice rileva che la percentuale offerta è buona, quindi non modifica). Il Piano viene omologato. Da quel momento i creditori possono solo attendere i pagamenti secondo piano. Mario esegue puntualmente i pagamenti di €300 al mese (trattenuti in automatico dal suo conto tramite RID disposto dall’OCC). Fa qualche sacrificio ma riesce, anche perché ha tagliato tutte le spese voluttuarie e arrotonda con piccoli lavoretti serali. Dopo 5 anni, Mario ha pagato integralmente i €18.000. Il tribunale, su istanza dell’OCC, dichiara la completezza dell’esecuzione e pronuncia l’esdebitazione: i residui €7.000 di debiti (€25k – €18k pagati) sono definitivamente cancellati . Mario esce così dal tunnel: con un record di debitore che ha onorato un piano, può pian piano ricostruire la sua vita economica. Ha imparato a non abusare più del credito facile e a gestire un budget realistico. (Variazione: se Mario avesse perso il lavoro durante il piano e non avesse più potuto pagare, avrebbe potuto chiedere una modifica riducendo importo e prolungando durata, oppure sarebbe passato a liquidazione controllata, ma nel suo caso per fortuna è andato tutto liscio.)

Caso 2: Lucia, l’imprenditrice individuale schiacciata dai debiti verso fornitori e banca
Lucia gestiva un piccolo negozio di abbigliamento (ditta individuale). Negli ultimi anni, complici crisi e concorrenza online, le vendite sono crollate. Lucia ha accumulato debiti con i fornitori di merce (€80.000), con la banca (uno scoperto di conto di €20.000 garantito da ipoteca su un magazzino di sua proprietà), oltre a qualche cartella fiscale (€10.000 di IVA non versata). Ha provato a resistere, ma i fornitori a un certo punto hanno smesso di rifornirla e uno ha ottenuto un decreto ingiuntivo per €30.000. Lucia vede che non può più andare avanti: ha chiuso il negozio e venduto le rimanenze in saldo, ma non coprono granché. Patrimonio: ha un magazzino (piccolo locale) del valore stimato €50.000, ipotecato dalla banca per €20.000 (quindi con un residuo di valore). Vive in casa in affitto, possiede un’auto vecchia. Niente dipendenti. Opzioni valutate: (a) tentare accordi stragiudiziali con ciascun fornitore – fallito, alcuni chiedono almeno il 50% subito che lei non ha; (b) far partire un fallimento su istanza creditori – sarebbe la liquidazione giudiziale, ma essendo ditta sotto soglia (ricavi sotto 200k) i creditori dovrebbero usare la liquidazione controllata sovraindebitamento; (c) attivarsi lei stessa per un Concordato minore o una Liquidazione controllata. Lucia preferirebbe evitare che i creditori le pignorino il magazzino (cui è affezionata perché era di suo padre) e soprattutto vuole cercare di limitare i danni. Con il suo commercialista e un avvocato valuta di proporre un concordato minore in continuità indiretta: in pratica, lei non riaprirà il negozio, ma potrebbe subaffittare il locale (che è in affitto) a un altro commerciante e destinare il canone ai creditori. Stima di poter garantire €500 al mese di affitto per 3 anni (18k totale). Inoltre offre di vendere il magazzino di sua proprietà e destinare il ricavato (stimato €50k) ai creditori. Totale in piano: circa €68.000 distribuibili. I debiti totali di Lucia sono €110.000. Quindi i creditori prenderebbero ~62%. Non male considerato che se fallisse probabilmente i mobili e scorte varrebbero nulla e il magazzino sì, ma con spese. Lucia deposita ricorso di concordato minore tramite un OCC. I creditori votano: la banca (ipotecaria) è favorevole perché verrebbe pagata integralmente dai €50k (il suo credito è €20k, l’ipoteca viene soddisfatta per intero e rimangono €30k per altri); i fornitori, cui spetta il residuo, in maggioranza accettano (d’altronde temono che altrimenti la banca si pappi tutto il magazzino e a loro resti quasi zero). Si raggiunge oltre 50% dei crediti votanti favorevoli. Uno o due piccoli fornitori dissentono ma restano minoranza. Il tribunale omologa il concordato minore. Effetti: Lucia vende il magazzino entro 6 mesi (il liquidatore nominato OCC si occupa della vendita libera da ipoteche, paga i €20k alla banca, toglie l’ipoteca, e il resto lo mette in cassa). Con i canoni di affitto del negozio nei 3 anni successivi, versa agli altri creditori ulteriori somme. Al termine, i creditori chirografari hanno preso circa 60% del dovuto. Il tribunale dichiara chiuso il concordato e Lucia ottiene l’esdebitazione del restante 40%. I creditori non pagati integralmente (pochi rimasti) non possono più perseguirla. Lucia ha sacrificato il magazzino, ma ha evitato pignoramenti caotici e soprattutto non ha subito una procedura fallimentare che l’avrebbe bloccata: durante il concordato lei ha potuto iniziare una nuova attività come dipendente presso un negozio altrui (non era interdetta). Ora, libera dai debiti, può guardare avanti. (Variazione: se il concordato non avesse avuto i voti, Lucia era comunque pronta a convertire in liquidazione controllata: il liquidatore avrebbe venduto il magazzino lo stesso e ripartito, e lei dopo 3 anni sarebbe stata esdebitata, seppur i creditori avrebbero avuto forse qualcosa in meno. Quindi in ogni caso la strategia concorsuale l’avrebbe salvata dai debiti perpetui.)

Caso 3: Ahmed, il padre di famiglia con debiti fiscali e arretrati di mutuo
Ahmed è un artigiano edile, con moglie e 3 figli. Ha una casa di proprietà su cui paga un mutuo. Negli ultimi anni, causa difficoltà di salute e lavoro precario, ha accumulato debiti con il Fisco: circa €30.000 tra IRPEF non versata e contributi, ormai in cartella esattoriale. Inoltre è indietro di 8 rate del mutuo casa (debito residuo mutuo €80.000; valore casa €100.000). L’Agenzia Entrate-Riscossione gli ha già inviato intimazioni e minaccia ipoteca sulla casa; la banca del mutuo ha avviato la procedura di decadenza dal termine (8 rate saltate) e potrebbe pignorare casa. Ahmed guadagna poco essendo autonomo saltuario, la moglie ha un part-time. Temono di perdere l’abitazione. Opzioni: hanno provato a chiedere una rateazione Equitalia – concessa ma poi decaduta perché non sono riusciti a star dietro alle rate; la banca ha rifiutato una moratoria ulteriore perché già ne avevano usufruito. Restava la via concorsuale: valutano un Piano del consumatore. Il loro OCC di fiducia propone un piano ambizioso: mantenere il mutuo in essere e riattivarlo, ossia inserire nel piano che Ahmed riprenderà a pagare regolarmente le rate mutuo e dilazionerà gli arretrati durante la procedura (in 5 anni). Nel frattempo proporre ai creditori chirografari (tra cui l’ADER per i debiti fiscali) un pagamento parziale. In sostanza, destinare al piano tutte le risorse mensili extra per pagare un 20% circa di quei debiti. Si stima che la famiglia, stringendo la cinghia, possa versare €300 al mese oltre la rata del mutuo. Su 5 anni fanno €18.000, da spartire tra debiti fiscali (€30k) e qualche fornitore impagato (€5k). Circa 50% di soddisfo per loro. L’OCC attesta che la conservazione della casa è fondamentale per la famiglia (tre figli minori, vendere casa li destabilizzerebbe) e che il piano dà comunque al Fisco più di quanto otterrebbe all’asta (la casa è ipotecata dalla banca, se andasse venduta forzatamente il Fisco, creditore chirografario, vedrebbe poco o nulla). Il giudice condivide e omologa il piano del consumatore, nonostante l’Erario non avesse formalmente acconsentito (applicando il cram down fiscale). La banca, vedendo il piano, sottoscrive un accordo di rimodulazione: rimette in termini Ahmed per le rate scadute, spalmando gli arretrati su quelle future. La famiglia riesce a tenere la casa e paga secondo il piano. Trascorsi 5 anni, sono in regola col mutuo e hanno versato €18.000 all’OCC che li ha girati a Fisco e altri creditori. Il tribunale pronuncia l’esdebitazione: i residui ~€17.000 di cartelle non pagati sono annullati. Ahmed ha così salvato la casa e pulito la posizione fiscale. La sua meritevolezza è stata considerata adeguata perché i problemi economici erano in parte dovuti alle spese mediche per un figlio e lui non ha mai sperperato volutamente. (Nota: se Ahmed avesse venduto la casa, avrebbe forse estinto mutuo e ridotto i debiti, ma sarebbe rimasto senza alloggio e con famiglia numerosa a carico. Il piano gli ha permesso di evitare questo esito e lo Stato ha condiviso il “sacrificio” accettando un parziale pagamento .)

Caso 4: Giovanni, il giocatore d’azzardo indebitato
Giovanni purtroppo ha sviluppato una ludopatia: negli ultimi 3 anni ha sperperato il patrimonio al gioco online e con scommesse. Si è indebitato con una finanziaria (€20.000 di prestiti), ha azzerato la carta di credito (€5.000) e ha fatto prestiti a strozzo da conoscenti (altri €10.000, con interessi usurari). Ha venduto l’auto per giocare, e impegnato i gioielli di famiglia. Ora è pieno di debiti, disoccupato (ha perso anche il lavoro per assenze). La moglie l’ha lasciato portando via i figli. Giovanni si ritrova solo, senza beni (vive in affitto modesto), con totali €35.000 di debiti. Riceve minacce da uno strozzino per €5k che gli aveva prestato. Opzioni: ha pensato al suicidio, poi fortunatamente è entrato in un gruppo di recupero per giocatori patologici (SERD) e ha iniziato terapia. Un avvocato del centro ludopatie gli suggerisce di tentare l’esdebitazione del debitore incapiente. Giovanni infatti non possiede nulla e al momento neanche un reddito (sta cercando lavoro). L’avvocato raccoglie la documentazione medica attestante la sua ludopatia patologica e l’impegno nel curarsi. Con l’aiuto di un OCC, presentano istanza ex art. 283 CCII: Giovanni chiede di essere liberato dai debiti, sostenendo di non poter offrire nulla e allegando la prova che non ha né beni né possibilità attuali di pagamento. I creditori vengono informati; la finanziaria si oppone accusandolo di essersi indebitato consapevolmente per gioco (colpa grave). Il giudice però valuta che la ludopatia documentata riduce la colpevolezza soggettiva (non dolo, ma malattia). Inoltre nota che se negasse l’istanza, i creditori comunque non otterrebbero nulla (Giovanni è nullatenente, potrebbe solo fallire in controllata e dopo 3 anni sarebbe comunque esdebitato). Quindi accoglie l’esdebitazione incapiente. Emana un decreto che cancella tutti i debiti di Giovanni. Pone la condizione che per i prossimi 4 anni Giovanni comunichi ogni anno la sua situazione reddituale e patrimoniale. Se dovesse trovarsi in futuro in miglioramenti rilevanti (es. se trovasse un lavoro ben pagato o ereditasse dei soldi), dovrà versare ai vecchi creditori fino al 10% dei debiti (cioè fino a €3.500 in totale). Giovanni torna così a zero: i creditori (finanziaria e altri) dovranno rinunciare, e lo strozzino a questo punto non ha più nessuna parvenza di legittimità per chiedere soldi (essendo un debito de iure inesigibile già in partenza). Giovanni, alleggerito dall’incubo debitorio, continua la terapia e dopo un anno trova un lavoro modesto: segnala al giudice che guadagna €1.200/mese, sufficiente appena a vivere (detratte spese e minimo vitale, non supera soglie per dover attivare il pagamento ai creditori). Dopo 4 anni, l’OCC chiude la sorveglianza e l’esdebitazione di Giovanni diventa definitiva. Questo caso mostra come l’ordinamento può dare una chance estrema a chi non avrebbe via d’uscita, purché ci siano condizioni di meritevolezza e un controllo (qui la meritevolezza è stata valutata positivamente grazie al percorso sanitario intrapreso: se Giovanni avesse continuato a giocare o avesse nascosto soldi, l’esdebitazione sarebbe stata negata). Da notare che la finanziaria in questione, avendo probabilmente concesso prestiti con leggerezza a uno già indebitato, ha assunto il rischio e il giudice ha ritenuto di non tutelarla oltre un certo punto.

Caso 5: Franco, l’ex imprenditore fallito pieno di debiti residui
Franco era titolare di una piccola impresa di trasporti. Nel 2020 la sua ditta individuale è stata dichiarata fallita (liquidazione giudiziale) con passivo di €500.000. Il curatore ha liquidato i camion e quel poco che c’era, pagando ai creditori circa €0.10 su un euro (10%). Uscito dal fallimento nel 2023, Franco si ritrova formalmente ancora debitore per il restante 90% (circa €450.000) verso banche e fornitori, ma senza più beni. Ha solo il suo stipendio attuale (ha trovato impiego come autista per un’altra ditta). Per ripartire davvero pulito, Franco chiede l’esdebitazione post-fallimentare ex art.278 CCII. Il tribunale verifica che: Franco ha cooperato col curatore (sì, ha consegnato documenti, ecc.), non ha commesso reati fallimentari (nessuna bancarotta, tutto regolare), non ha già ottenuto altre esdebitazioni in passato (no, è la prima), e i creditori del fallimento hanno avuto un piccolo soddisfacimento non solo simbolico (10%, che Cassazione considera sufficiente a non essere “meramente simbolico” ). Qualche creditore insinua che 10% è troppo poco per meritare la remissione, ma la Cassazione 2024 ha detto chiaro che anche una percentuale bassa, purché non zero, non preclude l’esdebitazione . Dunque il giudice accorda a Franco l’esdebitazione: tutti i debiti residui del fallimento sono cancellati . Franco può quindi ricominciare senza timore di pignoramenti futuri su quel fronte (resta obbligato solo verso eventuali creditori personali estranei al fallimento, ma nel suo caso non ne aveva). Ora il suo stipendio non può essere aggredito per quei vecchi debiti. Franco potrà anche provare in futuro ad avviare un’altra attività (con più prudenza), perché la legge non glielo vieta più dopo l’esdebitazione. Questo caso sottolinea l’unità di intenti delle norme: chiunque, dopo aver destinato ai creditori tutto il proprio patrimonio disponibile (fallimento = liquidazione giudiziale), ha diritto a essere liberato e tornare produttivo .

Conclusione: Attraverso questi esempi si è potuto vedere come, applicando le strategie legali appropriate, si possa uscire da situazioni debitorie anche gravissime. Ogni vicenda è unica e richiede un’analisi accurata, ma i principi generali rimangono: agire con tempestività, usare gli strumenti giuridici a disposizione, dimostrare buona fede e collaborazione, e affidarsi a professionisti competenti (avvocati, OCC, commercialisti) per seguire l’iter migliore. L’ordinamento italiano odierno, aggiornato al 2025, bilancia l’esigenza di garantire i creditori dal rischio di insolvenza con quella di concedere al debitore onesto l’opportunità di una ripartenza. Nessuna situazione debitoria, per quanto disperata, dovrebbe più spingere a soluzioni irreparabili: come abbiamo visto, esistono tutele legali avanzate e consolidate (anche grazie a recenti sentenze della Cassazione ) per aiutare chi è “indebitato all’improvviso” a uscire dal tunnel e a ritrovare la serenità economica e familiare.

Fonti e Riferimenti

  • Codice Civile, art. 1933 – Mancanza di azione per debiti di gioco.
  • Codice di Procedura Civile, art. 514-515 – Beni impignorabili mobili e strumenti di lavoro.
  • D.P.R. 29/9/1973 n. 602, art. 76 (come mod. da D.L. 69/2013) – Divieto di pignoramento prima casa per l’Agente della Riscossione.
  • Legge 27/1/2012 n. 3 (Legge sul sovraindebitamento “salva suicidi”) – come modificata da L.176/2020. Abrogata e confluita nel Codice della Crisi (D.Lgs.14/2019).
  • D.Lgs. 12/1/2019 n. 14 – Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), in vigore dal 15/7/2022. Parti rilevanti: art. 65-83 (Procedure da sovraindebitamento: ristrutturazione debiti consumatore, concordato minore, liquidazione controllata); art. 268-277 (Liquidazione controllata); art. 278-283 (Esdebitazione).
  • Legge 29/12/2022 n. 197 – Legge di Bilancio 2023, commi 222-230 (Stralcio automatico debiti fino 1000€) e commi 231-252 (Definizione agevolata/rottamazione-quater cartelle).
  • Cass. civ. Sez. I, 24/10/2024 n. 27562 – in tema di esdebitazione nella liquidazione sovraindebitamento: conferma che non è richiesta soglia minima di pagamento ai creditori per l’esdebitazione ; l’art. 280 CCII ha eliminato tale requisito oggettivo . Il giudice valuta caso per caso, considerando irrisorio solo l’eventuale soddisfacimento “meramente simbolico” (praticamente nullo) .
  • Cass. civ. Sez. I, 21/02/2024 n. 4622 – (procedura ex L.3/2012) chiarisce non inderogabilità dell’art. 8 co.4 L.3/2012: possibile moratoria privilegiati oltre 1 anno col consenso creditori.
  • Cass. civ. Sez. I, 2024 n. 5678 – principi sull’esdebitazione del debitore incapiente: non automatica, va valutata buona fede caso per caso. Conferma i criteri di meritevolezza stringenti.
  • Cass. civ. Sez. Unite, 5/3/2025 n. 5841 – su “mutuo solutorio” e anatocismo/usura: ribadisce che il pagamento rateale configura obbligazione unica e prescrizione decorre da scadenza ultima rata. (Vedi anche Cass. 17798/2011)
  • Cass. civ. Sez. I, 5/10/2020 n. 19597 – su usurarietà tassi di mora: afferma che ai fini dell’usura sopravvenuta si considerano anche interessi moratori, e in caso di superamento soglia, il debitore non deve interessi (art.1815 co.2 c.c.).
  • Corte App. Caltanissetta, 2021 – caso di ludopatia: negato piano del consumatore a giocatore d’azzardo ritenuto non meritevole (“il gioco d’azzardo non giustifica…”).
  • Trib. Catania, 2020 – ammesso piano a debitore ludopatico riconoscendo la patologia e buona fede (ricorso al SERD come prova).
  • Cass. civ. Sez. I, 17/07/2020 n. 17391 – (L.3/2012) ammette dilazione pagamento creditori privilegiati oltre un anno con consenso degli stessi, derogando art.8 co.4 L.3/2012.
  • Cass. civ. Sez. I, 27/10/2020 n. 27544 – (L.3/2012) su cram-down fiscale: conferma omologa accordo anche senza voto Erario se soddisfazione fisco >= quella ricavabile da liquidazione.
  • Cass. civ. Sez. I, 06/07/2018 n. 17834 – (L.3/2012) su conservazione abitazione principale nel piano: consente prosecuzione mutuo ipotecario prima casa se pagamenti regolari o rimessi in termini.
  • Direttiva UE 2019/1023 – direttiva europea sull’insolvency (recepita nel CCII): promuove il fresh start e la riduzione delle barriere al rientro dei debitori onesti .
  • Circolare Agenzia Entrate-Riscossione 14/02/2023 – attuativa stralcio e rottamazione-quater: spiega annullamento automatico carichi fino €1.000 entro 31/3/23.
  • Padova CCIAA, 2023 – “Stralcio debiti fino 1000€ e nuova definizione agevolata”: illustra facoltà enti locali di non applicare stralcio parziale e dettagli rottamazione-quater.

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Ti sei ritrovato indebitato all’improvviso, magari per una perdita di lavoro, una crisi familiare, spese impreviste o un calo degli incassi?
Non riesci più a sostenere rate, mutui, bollette o cartelle esattoriali e temi che la situazione ti stia sfuggendo di mano?
👉 Non è la fine: oggi la legge offre strumenti concreti e sicuri per uscire dai debiti, bloccare le azioni dei creditori e ricominciare da zero in modo legale e protetto.

In questa guida ti spiego cosa fare subito se sei improvvisamente indebitato, quali sono le strategie più efficaci e come ottenere la cancellazione o la riduzione dei debiti, passo dopo passo.


⚖️ Perché ti sei indebitato all’improvviso (e perché può succedere a chiunque)

Il sovraindebitamento può colpire chiunque, anche chi ha sempre gestito tutto con attenzione.
Le cause più comuni sono:

  • Perdita del lavoro o riduzione del reddito.
  • Separazioni, malattie o eventi familiari imprevisti.
  • Fallimento di un’attività o mancati pagamenti da clienti.
  • Tassi d’interesse eccessivi o carte revolving.
  • Accumulo progressivo di debiti fiscali o bancari.

📌 La buona notizia: qualunque sia la causa, la legge italiana oggi tutela chi agisce con buona fede e trasparenza, permettendo di ristrutturare o cancellare i debiti in modo definitivo.


👥 Chi può accedere alle strategie legali

  • Privati e famiglie con debiti da prestiti, mutui o carte revolving.
  • Lavoratori dipendenti o pensionati con pignoramenti in corso.
  • Liberi professionisti e autonomi che non riescono più a pagare tasse o contributi.
  • Ex imprenditori o artigiani con debiti aziendali rimasti personali.
  • Persone senza reddito o beni (cosiddetti “debitori incapienti”).

🧾 Tipologie di debiti che puoi affrontare legalmente

Gestibili o cancellabili:

  • Debiti fiscali (IRPEF, IVA, multe, cartelle).
  • Debiti bancari e finanziari (mutui, prestiti, carte revolving).
  • Debiti contributivi (INPS, INAIL).
  • Debiti commerciali (fornitori, clienti, collaboratori).

Non gestibili:

  • Obblighi di mantenimento familiare.
  • Sanzioni penali o amministrative non tributarie.
  • Debiti nati da comportamenti fraudolenti o dolosi.

🧩 Tutte le strategie legali per uscire dai debiti

💠 1. Rinegoziazione o Rimodulazione delle Rate

Se hai ancora un reddito, puoi chiedere alla banca o finanziaria di ridurre la rata mensile e allungare la durata del prestito.
È una soluzione veloce che ti permette di riprendere fiato e evitare insolvenze.


💠 2. Saldo e Stralcio Stragiudiziale

Puoi trattare direttamente con i creditori (banche, finanziarie o società di recupero) per chiudere il debito pagando solo una parte, in un’unica soluzione o in poche rate.
Il creditore rilascia una liberatoria definitiva e il debito viene estinto per sempre.

👉 Spesso si ottiene uno sconto tra il 40% e l’80% del debito residuo.


💠 3. Verifica dei Contratti e dei Tassi di Interesse

Molti debiti derivano da interessi troppo alti, commissioni illegittime o clausole abusive.
Un avvocato può analizzare i contratti di prestito o le cartelle e contestare le somme indebitamente richieste, riducendo notevolmente l’importo dovuto.


💠 4. Procedura di Sovraindebitamento (via Tribunale)

È la soluzione più completa e sicura, regolata dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019).
Consente di:

  • Bloccare immediatamente pignoramenti, fermi e cartelle.
  • Pagare solo una parte dei debiti in base alle tue possibilità.
  • Cancellare legalmente il residuo con il decreto di esdebitazione finale.

Puoi accedervi tramite:

  • Piano del consumatore (per privati e famiglie).
  • Concordato minore (per autonomi e ex imprenditori).
  • Liquidazione controllata (per chi non può più pagare nulla).

💠 5. Esdebitazione del debitore incapiente

Se non hai redditi né beni, puoi chiedere al giudice la cancellazione totale dei debiti.
È concessa una sola volta nella vita, ma ti permette di ripartire completamente da zero, libero da ogni obbligo.


🧠 Cosa fare subito se sei indebitato

✅ 1. Raccogli tutte le informazioni

Prepara l’elenco di tutti i debiti, creditori, contratti e comunicazioni ricevute.
Più sei preciso, più è facile scegliere la strategia giusta.

✅ 2. Blocca la paura e agisci subito

Ignorare la situazione peggiora tutto: interessi, sanzioni e spese legali crescono ogni mese.
Agire tempestivamente significa poter bloccare i creditori prima che sia troppo tardi.

✅ 3. Non firmare o pagare nulla senza assistenza

Le società di recupero crediti puntano sulla pressione psicologica.
Non cedere mai senza una valutazione legale professionale: potresti pagare somme non dovute.

✅ 4. Rivolgiti a un avvocato esperto in debiti

Solo un avvocato specializzato in sovraindebitamento e diritto bancario può dirti se puoi ottenere la cancellazione totale o parziale dei debiti e bloccare subito le azioni dei creditori.


📋 Documenti necessari

  • Documento d’identità e codice fiscale.
  • Contratti di prestito, mutuo o carta revolving.
  • Cartelle esattoriali e avvisi di pagamento.
  • Estratti conto bancari e carte di credito.
  • Prove di reddito (buste paga, CUD, dichiarazioni).
  • Elenco completo dei debiti e creditori.

⏱️ Tempi e risultati

  • Trattativa stragiudiziale: 1–3 mesi.
  • Rinegoziazione o piano sostenibile: 2–4 mesi.
  • Procedura giudiziale (esdebitazione): 3–8 mesi medi.

🎯 Risultato finale:

  • Blocco immediato dei creditori e delle azioni esecutive.
  • Riduzione o cancellazione totale dei debiti.
  • Liberatoria definitiva o decreto di esdebitazione.
  • Ripartenza economica e serenità familiare.

⚖️ I vantaggi principali

✅ Stop immediato a pignoramenti, cartelle e recupero crediti.
✅ Riduzione legale e sostenibile dei debiti.
✅ Cancellazione definitiva del residuo dopo la procedura.
✅ Tutela del reddito, della casa e dei beni essenziali.
✅ Ripartenza pulita e regolare, senza più pressioni.


🚫 Errori da evitare

  • Ignorare notifiche o lettere dei creditori.
  • Pagare solo per “guadagnare tempo”.
  • Affidarsi a “consulenti del debito” non avvocati.
  • Nascondere redditi o beni (fa decadere la meritevolezza).
  • Rimandare: più aspetti, meno strumenti hai per difenderti.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza la tua situazione debitoria e individua la strategia legale più adatta.
📌 Blocca immediatamente le azioni dei creditori.
✍️ Redige e deposita piani di ristrutturazione o esdebitazione in Tribunale.
⚖️ Ti rappresenta in trattative, ricorsi e udienze.
🔁 Ti accompagna fino alla cancellazione definitiva dei debiti e alla piena riabilitazione finanziaria.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in diritto bancario, tributario e sovraindebitamento.
✔️ Specializzato nella difesa di privati, autonomi e famiglie in crisi economica.
✔️ Gestore della crisi da sovraindebitamento iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Essere indebitati all’improvviso non significa essere senza via d’uscita.
Con la giusta strategia e l’aiuto di un professionista puoi bloccare i creditori, ridurre o cancellare i debiti e ripartire legalmente, proteggendo te e la tua famiglia.

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Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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