Come Gestire I Debiti Di Un’impresa: Tutte Le Strategie Legali Da Utilizzare

La tua impresa sta affrontando una situazione di indebitamento e non riesce più a far fronte a tasse, fornitori o rate bancarie?
Molti imprenditori, anche esperti, si trovano prima o poi a gestire una fase di crisi finanziaria dovuta a ritardi nei pagamenti, calo di commesse o aumento dei costi operativi.
Quando i debiti iniziano ad accumularsi, è essenziale intervenire subito con una strategia legale corretta, per evitare che la situazione degeneri in pignoramenti, fallimento o perdita del patrimonio personale.

Gestire i debiti di un’impresa non significa arrendersi, ma trovare un equilibrio sostenibile tra ciò che si deve e ciò che si può realisticamente pagare, utilizzando gli strumenti che la legge mette a disposizione.

Perché le imprese si indebitano

Le cause più frequenti sono il calo del fatturato, i ritardi nei pagamenti dei clienti, l’aumento dei costi di gestione e la difficoltà di accesso al credito.
A volte bastano pochi mesi di flessione per mettere in crisi la liquidità, costringendo l’imprenditore a rinviare il pagamento di tasse, contributi e fornitori.
Con il tempo, gli interessi e le sanzioni fanno lievitare il debito, fino a rendere difficile anche la normale operatività.

Molte imprese cercano di resistere sperando in una ripresa, ma il rischio è arrivare tardi. Agire per tempo è l’unico modo per evitare il tracollo.

Come capire quando intervenire

Ci sono segnali precisi che indicano la necessità di attivarsi subito:

  • ritardi nel pagamento di IVA, imposte o contributi INPS;
  • conti correnti costantemente in rosso o affidamenti revocati;
  • fornitori che minacciano azioni legali;
  • rate di mutui o leasing saltate;
  • stipendi o forniture pagate in ritardo.

In presenza di questi sintomi, è indispensabile valutare la situazione debitoria complessiva e pianificare un’azione legale di difesa e ristrutturazione.

Le principali strategie legali per gestire i debiti d’impresa

Ogni impresa ha caratteristiche diverse, ma le strategie legali più efficaci per gestire i debiti sono cinque:

  1. Rateizzazione dei debiti fiscali e contributivi
    Puoi chiedere all’Agenzia delle Entrate-Riscossione o all’INPS di pagare i debiti fino a 120 rate mensili. La richiesta sospende le procedure esecutive in corso e consente di diluire l’impatto finanziario.
  2. Saldo e stralcio con fornitori e banche
    È possibile trattare con i creditori per pagare solo una parte dell’importo dovuto, ottenendo la liberatoria finale. Molti fornitori e istituti di credito accettano un accordo pur di evitare contenziosi lunghi e costosi.
  3. Rinegoziazione dei finanziamenti
    Le banche possono modificare i piani di ammortamento, sospendere temporaneamente le rate o allungare i tempi di rimborso. È una soluzione utile per ristabilire la liquidità.
  4. Procedura di sovraindebitamento (per ditte individuali e artigiani)
    Se gestisci una ditta individuale o una piccola attività non soggetta a fallimento, puoi accedere alla procedura di composizione della crisi prevista dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019).
    Questa procedura blocca i pignoramenti, sospende le azioni dei creditori e permette di cancellare i debiti residui dopo l’approvazione del piano.
  5. Accordi di ristrutturazione o concordato preventivo (per società)
    Le società di capitali possono proporre un piano di rientro sostenibile ai creditori e chiedere al tribunale la sospensione di tutte le azioni esecutive.
    Questi strumenti legali consentono di salvare l’attività, ristrutturare i debiti e continuare a operare durante la crisi.

Come funziona la procedura di sovraindebitamento per imprenditori individuali

La procedura di sovraindebitamento è pensata per chi ha un’attività artigianale, professionale o commerciale ma non può accedere al fallimento ordinario.
Attraverso il tribunale, puoi:

  • bloccare immediatamente i pignoramenti e le azioni dei creditori;
  • proporre un piano di rientro sostenibile;
  • ottenere la cancellazione totale dei debiti residui (esdebitazione) se non hai beni o redditi sufficienti.

È una soluzione definitiva che permette di chiudere la fase debitoria e ripartire con una nuova stabilità economica.

Come gestire i debiti con fornitori e banche

Le relazioni con fornitori e istituti di credito sono delicate ma fondamentali.
Un avvocato esperto può assisterti nella negoziazione di accordi bonari, che prevedono la riduzione dell’importo o la dilazione dei pagamenti.
In molti casi, un piano condiviso è vantaggioso per entrambi: il creditore recupera una parte delle somme, e l’imprenditore evita il rischio di pignoramenti e segnalazioni.

Le banche, inoltre, possono essere tenute a rivedere i contratti se presentano interessi usurari o clausole abusive. Verificare la regolarità dei finanziamenti è un passaggio fondamentale.

Cancellare i debiti dopo la chiusura dell’impresa

Se la tua impresa è già cessata o non più operativa, puoi comunque cancellare i debiti residui attraverso la liquidazione controllata prevista dal Codice della Crisi.
In questa procedura, i beni vengono messi a disposizione dei creditori, ma una volta conclusa, il giudice può concedere la cancellazione completa dei debiti non pagati.
È uno strumento legale che consente di chiudere con ordine e ripartire senza pendenze.

I vantaggi di una gestione legale dei debiti d’impresa

Gestire i debiti con il supporto di un avvocato specializzato offre vantaggi concreti:

  • sospensione immediata delle procedure esecutive;
  • riduzione o cancellazione dei debiti residui;
  • protezione del patrimonio personale;
  • continuità operativa dell’impresa;
  • possibilità di ripartire senza segnalazioni negative.

Una gestione legale e trasparente della crisi ti permette di salvare ciò che hai costruito e mantenere la tua reputazione professionale.

Attenzione alle soluzioni improvvisate

Diffida di chi promette di cancellare i debiti aziendali senza procedure legali.
Solo gli strumenti previsti dal Codice della Crisi o gli accordi formalizzati e omologati dal tribunale garantiscono tutela e risultati reali.
Società intermediarie o “consulenti del debito” privi di abilitazione spesso non offrono protezione legale effettiva e possono peggiorare la situazione.

Quando rivolgersi a un avvocato esperto

Devi contattare un avvocato esperto in diritto tributario e crisi d’impresa se:

  • la tua azienda ha debiti fiscali, contributivi o bancari insostenibili;
  • hai ricevuto cartelle, pignoramenti o decreti ingiuntivi;
  • stai valutando la ristrutturazione o chiusura dell’attività;
  • vuoi proteggere il tuo patrimonio personale da azioni dei creditori.

Un avvocato specializzato può analizzare la situazione economica, individuare la strategia più efficace e accompagnarti in tutto il percorso di ristrutturazione o esdebitazione.

⚠️ Attenzione: rimandare le decisioni o ignorare i debiti può portare a conseguenze gravi, come la perdita dei beni o la chiusura forzata dell’attività. Agire in tempo è l’unico modo per difendere la tua impresa e il tuo futuro professionale.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, crisi d’impresa e tutela delle aziende – spiega come gestire i debiti di un’impresa, quali strumenti legali utilizzare e come proteggere il patrimonio imprenditoriale in modo efficace.

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Analizzeremo la tua situazione, verificheremo le opzioni di ristrutturazione o cancellazione e costruiremo una strategia legale personalizzata per gestire i debiti, difendere i beni e garantire la continuità dell’impresa.

Introduzione

Gestire efficacemente i debiti di un’impresa è fondamentale per evitare conseguenze irreversibili come il fallimento (oggi liquidazione giudiziale) o la perdita del controllo aziendale. Nel sistema giuridico italiano, specialmente dopo l’entrata in vigore del nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) nel 2022, esistono numerosi strumenti legali – stragiudiziali e giudiziali – che il debitore (sia esso imprenditore, professionista o consumatore) può attivare per ristrutturare i debiti, riequilibrare la propria posizione finanziaria o, nei casi estremi, liquidare il patrimonio in modo ordinato . Questa guida avanzata (aggiornata a settembre 2025) fornisce una panoramica completa di tutte le strategie legali disponibili in Italia per gestire i debiti d’impresa, con un taglio tecnico ma divulgativo adatto a professionisti legali, imprenditori e privati interessati.

Vedremo dapprima gli approcci stragiudiziali (come le trattative private e i piani attestati), quindi le procedure concorsuali maggiori per le imprese (dal concordato preventivo alla liquidazione giudiziale), e infine le procedure “minori” di sovraindebitamento destinate a consumatori e piccole imprese (piani del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata, ecc.). Il punto di vista adottato è quello del debitore, evidenziando vantaggi, criticità e implicazioni pratiche di ciascuna strategia. Sono incluse tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione di Domande e Risposte per chiarire i dubbi più frequenti.

L’argomento verrà affrontato con linguaggio giuridico accurato ma chiaro. Verranno citate le fonti normative italiane rilevanti e le più recenti pronunce giurisprudenziali (Cassazione, tribunali) fino al 2025, per garantire contenuti aggiornati e affidabili. Nota: Tutte le fonti e le sentenze citate sono elencate in fondo alla guida, in una sezione dedicata.

Panoramica delle strategie legali per il debitore d’impresa

Di fronte a una situazione di crisi o sovraindebitamento, un’impresa debitrice ha a disposizione un ventaglio di strumenti legali che vanno dalla semplice negoziazione privata con i creditori fino a complesse procedure concorsuali sotto il controllo del tribunale. In generale, le strategie si dividono in due categorie principali:

  • Soluzioni stragiudiziali (extra-giudiziali): strumenti che non richiedono l’apertura formale di una procedura concorsuale in tribunale. Comprendono la rinegoziazione privata dei debiti, i piani attestati di risanamento e la composizione negoziata della crisi. Queste soluzioni puntano a un accordo consensuale con i creditori, con minore pubblicità e interferenza esterna, mantenendo l’imprenditore al timone dell’azienda. Tuttavia, esse non vincolano i creditori dissenzienti (salvo eccezioni) e non offrono piena tutela contro azioni esecutive, a meno che non si attivino specifiche misure protettive previste dalla legge .
  • Procedure concorsuali giudiziali: procedure formalizzate avanti all’Autorità giudiziaria, pensate per gestire situazioni di insolvenza o crisi conclamata in modo ordinato e imparziale. Includono il concordato preventivo (piano concordatario con i creditori) e la liquidazione giudiziale (l’ex fallimento) per le imprese soggette a fallimento, nonché le procedure di sovraindebitamento per debitori non fallibili (consumatori, professionisti, imprese minori). Queste procedure offrono effetti automatici come il blocco delle azioni esecutive individuali e la possibilità di imporre ai creditori dissenzienti trattamenti stabiliti nel piano omologato dal giudice. Di contro, comportano costi, tempi e formalità maggiori, oltre a possibili limitazioni nella gestione dell’impresa (ad es. nomina di organi ausiliari o perdita dell’amministrazione dei beni).

Una scelta ponderata della strategia dipende da vari fattori: entità e tipologia del debito, numero di creditori, prospettive di risanamento dell’azienda, natura del debitore (impresa commerciale “grande” o “minore”, persona fisica consumatore, ecc.), necessità di tutela urgente dalle azioni dei creditori, e grado di collaborazione ottenibile dai creditori stessi. In linea generale, se l’impresa è ancora economicamente salvabile e i creditori principali sono disponibili a trattare, è preferibile tentare strumenti conservativi e stragiudiziali; viceversa, se il dissesto è grave o i creditori sono troppi/disorganizzati, può rendersi necessario ricorrere a una procedura concorsuale per ristrutturare o liquidare il debito in modo vincolante erga omnes.

Di seguito esamineremo in dettaglio ciascuna strategia, dai piani negoziali “privati” fino alle soluzioni giudiziali maggiori e minori, evidenziandone il funzionamento, i requisiti legali, i benefici per il debitore e i rischi da considerare. Tab.1 offre intanto un colpo d’occhio sulle principali caratteristiche dei vari strumenti per imprese debitrici.

Tabella 1 – Principali strategie legali per la gestione dei debiti d’impresa (imprese commerciali)

StrumentoTipoChi può accederviVincola tutti i creditori?VantaggiSvantaggi
Negoziazione privata (accordi stragiudiziali individuali)Stragiudiziale (nessun tribunale)Qualsiasi debitoreNo (solo i creditori aderenti)Flessibile; riservata; costi ridotti.Nessun effetto protettivo automatico; i creditori non aderenti possono agire esecutivamente.
Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII)Stragiudiziale attestato da esperto indipendenteImprese in crisi reversibile (anche medio-grandi)No (accordo volontario con creditori chiave)Atti esecutivi del piano protetti da revocatoria fallimentare ; continuità aziendale mantenuta; nessuna pubblicità giudiziaria.Nessun effetto diretto sui creditori dissenzienti; richiede consenso dei principali creditori; serve un’attestazione professionale (costi tecnici).
Accordo di ristrutturazione dei debiti (ordinario)Stragiudiziale omologato dal tribunale (artt. 57-63 CCII)Imprese non minori (soggette a fallimento) e dal 2022 anche imprese minori facoltativamenteSì, se aderisce ≥ 60% dei crediti totali (gli altri sono crambiati nell’accordo omologato)Procedura relativamente rapida e riservata (omologa in camera di consiglio); il debitore resta alla guida; possibilità di ottenere misure protettive dal tribunale durante le trattative; transazione fiscale possibile (stralcio di debiti fiscali/contributivi) .Richiede il significativo consenso dei creditori (60%); i creditori non aderenti possono opporsi in omologazione se pregiudicati; pubblicazione dell’accordo nel registro imprese (comunque riservata rispetto al fallimento).
Accordi di ristrutturazione “agevolati” (art. 60 CCII)Stragiudiziale omologato (variante facilitata)Imprese in possesso di requisiti per riduzione quorumSì, se aderisce ≥ 30% dei crediti (in presenza di condizioni di legge)Quorum ridotto al 30% dei crediti quando ricorrono determinati presupposti (es. nessuna suddivisione in classi, ecc.), facilitando l’accesso alla procedura.Presupposti stringenti; comunque soggetti a omologazione giudiziale e possibili opposizioni; i creditori pubblici (Erario, enti previdenziali) restano liberi di aderire o meno.
Accordi ad efficacia estesa (art. 61 CCII)Stragiudiziale omologato (variante con cram-down settoriale)Imprese con esposizioni finanziarie significativeSì, estende effetti anche a creditori non aderenti della stessa categoria (es. banche) se aderisce la maggioranza qualificata di quella categoria.Consente di superare l’opposizione di singoli creditori finanziari o fornitori strategici minoritari; aumenta le chance di successo dell’accordo.Applicabile solo a categorie specifiche di creditori (banche e intermediari finanziari, ecc.); richiede maggioranze qualificate intra-categoria; possibili impugnative se trattamento non equo.
Concordato preventivo (artt. 84-120 CCII) – in continuità aziendale o liquidatorioProcedura concorsuale giudiziale (tribunale)Imprenditori commerciali non “minori” insolventi o in crisi (soggetti a fallimento)Sì, vincola tutti i creditori anteriori (dissenzienti compresi) con l’omologazione del tribunale.Potente strumento di ristrutturazione: congelamento immediato delle azioni esecutive; possibile suddivisione dei creditori in classi e trattamento differenziato; il debitore può scegliere tra continuità (mantenere impresa attiva, con beneficio occupazionale) o cessione/liquidazione beni nell’interesse dei creditori; debiti falcidiabili (anche fiscali, con limiti) nell’ambito del piano ; una volta eseguito, il debitore è liberato dai debiti residui.Procedura complessa e di lunga durata; costi elevati (commissioni del commissario giudiziale, spese legali); perdita di controllo parziale o totale: nominati organi (commissario, eventuale liquidatore) a vigilare o gestire; esigenze di maggioranza per l’approvazione del piano (maggioranza dei crediti in ciascuna classe, salvo cram-down giudiziale limitato); pubblicità legale (registro imprese e registri pubblici).
Liquidazione giudiziale (ex fallimento, art. 121 e ss. CCII)Procedura concorsuale liquidatoria (tribunale)Imprenditori commerciali non minori insolventi (su iniziativa propria o di creditori)Sì, coinvolge d’ufficio tutti i creditori concorsuali.Gestione ordinata e imparziale dell’insolvenza: nomina di un curatore che tutela l’interesse della massa creditori; sospensione di tutte le azioni individuali; possibilità per il debitore persona fisica di ottenere l’esdebitazione finale (liberazione dai debiti rimasti insoddisfatti) a determinate condizioni.L’impresa perde completamente la disponibilità dei beni e la gestione (lo spossessamento è immediato); implicazioni stigmatizzanti e restrizioni per l’imprenditore (es. incapacità personali temporanee); tempi spesso lunghi per la chiusura; i creditori vengono soddisfatti solo in base al realizzo dell’attivo (spesso parzialmente).

Legenda: CCII = Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019). Quorum in % = percentuale del totale dei crediti chirografari necessaria per vincolare tutti i creditori.

Come evidenziato in Tab.1, gli strumenti variano notevolmente per formalità, soglie di accesso e effetti prodotti. Nel seguito della guida approfondiremo il funzionamento di ciascun istituto, includendo anche le procedure di sovraindebitamento riservate ai debitori non fallibili (consumatori, professionisti e imprese minori, ovvero imprese sotto certe soglie dimensionali ). Prima di ciò, iniziamo dalle strategie stragiudiziali, che rappresentano spesso il primo tentativo di un debitore per evitare il ricorso ai tribunali.

Soluzioni stragiudiziali per la gestione dei debiti

Le soluzioni stragiudiziali consistono in accordi e piani negoziati fuori dalle aule giudiziarie, facendo leva sulla volontà delle parti (debitore e creditori) di trovare un componimento. Queste opzioni tendono ad essere meno formali e meno costose di una procedura concorsuale, e preservano meglio la reputazione dell’impresa, ma richiedono cooperazione da parte dei creditori e non offrono garanzie assolute in caso di dissenso. Analizziamo le principali.

Negoziazione privata e accordi transattivi con i creditori

La strategia più immediata consiste nel negoziare direttamente con i singoli creditori soluzioni come la dilazione dei pagamenti o accordi a saldo e stralcio. In un accordo stragiudiziale classico, il debitore propone al creditore di ridurre l’ammontare dovuto (ad esempio offrendo il pagamento di una percentuale del debito, saldo), magari fornendo un pagamento immediato o garantito, in cambio della cancellazione del residuo (stralcio). Oppure può negoziare una ristrutturazione delle scadenze, allungando i tempi di pagamento per rendere le rate sostenibili . Tali accordi, formalizzati per iscritto, hanno natura contrattuale e vincolano solo le parti che vi aderiscono.

Vantaggi: La trattativa privata è flessibile e discreta: l’intesa raggiunta resta riservata e fuori dai registri pubblici, evitando il discredito che potrebbe derivare dall’apertura di una procedura concorsuale. I costi legali sono contenuti, non essendovi la nomina di organi o le spese di giustizia. Inoltre, consente soluzioni “su misura” con ciascun creditore (ad esempio un diverso piano di rientro con la banca, col fornitore, col fisco, ecc.), impossibili in procedure collettive dove vige la parità tra creditori della medesima classe.

Svantaggi: Il limite principale è la mancanza di effetti collettivi: i creditori non firmatari non sono toccati dall’accordo e mantengono intatti i propri diritti. Ciò significa che un solo creditore dissenziente potrebbe vanificare gli sforzi, avviando pignoramenti o istanze di fallimento. Anche un creditore inizialmente disponibile potrebbe cambiare idea e agire aggressivamente, dato che nessuna norma sospende le azioni esecutive durante queste trattative (a differenza delle procedure concorsuali). Inoltre, negoziare con molti creditori può essere logisticamente difficile; c’è il rischio di creare disparità di trattamento che espongono a azioni revocatorie future (se, ad esempio, il debitore paga di più un creditore a discapito di altri in periodo di insolvenza, tale pagamento preferenziale potrebbe essere revocato dal curatore in caso di successivo fallimento).

Quando utilizzarla: La via stragiudiziale pura è consigliabile se il numero di creditori è limitato e se questi sono motivati ad accordarsi (magari perché intravedono che una soluzione concordata è più vantaggiosa del pignoramento o della procedura concorsuale). Spesso è efficace con banche o fornitori strategici: ad esempio, la banca potrebbe accettare un piano di rientro per evitare di svalutare il credito in sofferenza, oppure un fornitore chiave potrebbe preferire mantenere in vita il rapporto commerciale invece di perdere un cliente. È invece sconsigliata in caso di insolvenza conclamata e diffusa: se l’impresa non riesce più a pagare la maggioranza dei debiti, confidare solo in accordi volontari è rischioso. In tali casi occorre passare a strumenti omologati o concorsuali che offrano protezione erga omnes.

Esempio pratico: un’azienda in temporanea crisi di liquidità potrebbe chiedere a tutti i fornitori una moratoria di 6 mesi sui pagamenti e contestualmente proporre un pagamento parziale (es. 80%) dei crediti commerciali, magari garantito da effetti cambiari. Se i fornitori confidano nella ripresa dell’azienda e nel fatto che otterrebbero meno in caso di fallimento, potrebbero aderire. Tuttavia, se anche uno solo di essi iniziasse un pignoramento presso terzi (ad es. bloccando i conti correnti), la pressione sui flussi di cassa potrebbe far naufragare l’intera strategia.

Attenzione: in assenza di un quadro legale protettivo, è fondamentale mantenere trasparenza con tutti i creditori coinvolti e procedere in tempi rapidi. Spesso è utile formalizzare gli accordi in atti aventi forza esecutiva (es. scrittura autenticata) così che, in caso di inadempimento del debitore, il creditore possa velocemente riprendere l’esecuzione. Dal lato del debitore, invece, ottenere l’adesione scritta dei creditori a una dilazione/abbuono tutela dall’azione immediata degli stessi, ma resta sempre il rischio che creditori estranei all’accordo si facciano avanti. Per questo motivo, spesso la negoziazione privata è un preludio alla presentazione di un piano attestato o di un accordo di ristrutturazione, specie quando si punta ad avere un effetto più generale.

Piano attestato di risanamento

Il piano attestato di risanamento è uno strumento introdotto già dalla vecchia legge fallimentare (art. 67, co.3, lett. d L.F.) e ora disciplinato dall’art. 56 CCII, che consente al debitore di predisporre un piano di risanamento aziendale asseverato da un esperto indipendente. Si tratta di uno strumento stragiudiziale al 100%, non soggetto ad omologazione da parte del tribunale, ma che gode di un riconoscimento normativo importante: se il piano è predisposto ed eseguito rispettando i requisiti di legge, gli atti compiuti in attuazione del piano non potranno essere soggetti a revocatoria fallimentare in caso di successivo fallimento . In altre parole, il piano attestato crea una zona franca in cui le operazioni di ristrutturazione (pagamenti, transazioni, finanziamenti, cessioni di beni) sono protette dal rischio di essere invalidate.

Caratteristiche principali:

  • Il piano deve avere l’obiettivo di risanare la posizione finanziaria dell’impresa e di assicurare il riequilibrio patrimoniale e la sostenibilità del debito. Può prevedere operazioni come ristrutturazione di debiti (allungamento scadenze, riduzioni concordate), cessioni di asset non strategici, aumento di capitale, nuova finanza da terzi, rinegoziazione di contratti, ecc.
  • Deve essere redatto in forma scritta, con data certa, e contenere una descrizione dettagliata della situazione aziendale, delle cause della crisi e delle strategie di superamento, con stime sui risultati economico-finanziari attesi.
  • Fondamentale è la presenza di un attestatore indipendente (un professionista – tipicamente un commercialista o revisore esperto in risanamenti – che non abbia conflitti di interesse) il quale redige una relazione giurata in cui attesta la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano (ossia dichiara che, sulla base delle sue analisi, il piano è realistico e idoneo a risanare l’impresa). Questa attestazione dà credibilità al piano verso terzi.
  • Non è richiesto per legge il consenso di una percentuale predeterminata di creditori (a differenza degli accordi di ristrutturazione). Tuttavia, è evidente che il piano avrà possibilità di successo solo se i creditori principali aderiscono spontaneamente alle sue proposte. In pratica, il piano attestato è spesso accompagnato da accordi privati con banche e altri creditori chiave, i quali, confortati dall’attestazione di fattibilità, accettano di supportare il risanamento (ad esempio, rinunciando a parte dei crediti o concedendo nuova finanza).
  • Il piano può essere facoltativamente pubblicato nel Registro delle Imprese. La pubblicazione non è obbligatoria, ma è necessaria se il debitore intende sfruttare a pieno la protezione del piano: solo gli atti esecutivi di un piano pubblicato infatti godono espressamente dell’esenzione da revocatoria (art. 56 co.3 CCII).

Vantaggi per il debitore: Il piano attestato consente di mantenere totale discrezionalità gestionale – l’imprenditore resta alla guida senza commissari o giudici coinvolti – e riservatezza (se non viene pubblicato, l’esistenza del piano rimane interna all’azienda e ai creditori interessati). Anche dopo la pubblicazione, non si attiva alcuna procedura concorsuale: non c’è dichiarazione di insolvenza, né lo stigma del fallimento. Inoltre, come detto, offre un prezioso scudo giuridico: un fornitore o finanziatore che apporta risorse in esecuzione del piano avrà maggiori tutele, e i pagamenti effettuati secondo piano non potranno essere attaccati dal curatore se malauguratamente l’azienda dovesse fallire entro i due anni successivi . Questo incentivo normativo serve proprio a incoraggiare gli operatori a sostenere imprese in difficoltà senza il timore di subire conseguenze pregiudizievoli ex post.

Svantaggi e limiti: Il piano attestato non vincola i creditori dissenzienti. Quindi, se ci sono creditori importanti che non intendono collaborare, il piano rischia di non essere sufficiente. Ad esempio, se una banca rifiuta la proposta di ristrutturazione del debito e procede per vie legali, il debitore non ha uno “scudo” automatico (a meno di richiedere misure protettive separate, come vedremo con la composizione negoziata). Inoltre, la redazione del piano e l’attestazione comportano costi professionali significativi, proporzionati alla complessità dell’azienda. È uno strumento adatto a situazioni di crisi reversibili, dove con qualche sacrificio e riorganizzazione l’impresa può tornare redditizia. Se invece l’impresa è oggettivamente insolvente in modo irreparabile, un piano attestato rischia di essere solo un rinvio del problema.

Presupposti soggettivi: Possono utilizzare il piano attestato tutte le imprese in crisi, di qualunque dimensione, tranne quelle piccolissime che rientrano nei parametri dell’“impresa minore” ai sensi dell’art. 2 CCII . In realtà, anche le imprese minori possono farne uno, ma trattandosi di soggetti non fallibili spesso preferiranno utilizzare direttamente le procedure di sovraindebitamento (piano del consumatore o concordato minore). Il piano attestato è invece molto comune tra le PMI e le società di capitali che vogliono evitare il concordato preventivo.

Esempio: Un’azienda manifatturiera con debiti bancari per 2 milioni e calo di fatturato elabora, con un advisor finanziario, un piano triennale di rilancio: prevede di dismettere un ramo d’azienda non strategico, iniettare nuovi capitali dai soci per €500k e chiedere alle banche la dilazione dei mutui di 2 anni. Un professionista indipendente attesta che i numeri del piano sono attendibili e che così l’azienda tornerà solvibile. Le banche, ricevuto il piano e la relazione, accettano di firmare un accordo sulla base del piano attestato (magari condizionando l’erogazione del nuovo finanziamento all’effettiva vendita del ramo d’azienda). Nel frattempo l’azienda continua la gestione normale. Due anni dopo, il piano ha successo: i debiti finanziari vengono rimborsati secondo i nuovi termini e l’impresa esce dalla crisi. Anche se un domani qualcuno volesse contestare quei pagamenti, essendo eseguiti in un contesto di piano attestato pubblicato, non sarebbero revocabili in caso di fallimento .

Accordi di ristrutturazione dei debiti (ex art. 182-bis L.F., ora artt. 57-64 CCII)

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (ARD) rappresentano un “ponte” tra le soluzioni puramente private e il concordato preventivo. Si tratta infatti di accordi stipulati con i creditori che però, per produrre determinati effetti legali, devono essere omologati dal Tribunale. La logica è: se il debitore riesce a farsi supportare da una maggioranza qualificata di creditori, lo Stato (attraverso l’omologazione giudiziaria) estende gli effetti anche ai minoritari dissenzienti e offre alcune protezioni, pur mantenendo la procedura snella e consensuale.

Requisiti e procedimento: Il debitore predispone un piano di ristrutturazione dei debiti e propone ai creditori un accordo, ottenendone l’adesione. Per il deposito in Tribunale è necessario che abbiano aderito creditori rappresentanti almeno il 60% dell’ammontare totale dei crediti (quorum ordinario previsto dall’art.57 CCII). Il piano deve essere accompagnato da una relazione di un esperto indipendente che attesta la veridicità dei dati aziendali e la convenienza dell’accordo per i creditori rispetto alla possibile alternativa liquidatoria. Raggiunta la percentuale richiesta, il debitore chiede al tribunale l’omologazione. Il tribunale verifica la regolarità e la fattibilità economica dell’accordo e, se non ci sono opposizioni fondate, omologa l’accordo rendendolo efficace erga omnes.

Effetti principali dell’omologa: I creditori che hanno sottoscritto sono ovviamente vincolati secondo i termini pattuiti (dilazioni, stralci, conversione dei crediti in capitale ecc.); i creditori non aderenti restano inizialmente estranei ma, con l’omologa, se l’accordo prevede il pagamento integrale dei loro crediti nei tempi concordati (entro 120 giorni dalla scadenza originaria o dall’omologa), non possono iniziare o proseguire azioni esecutive individuali. Di fatto dunque l’accordo crea una moratoria legale anche verso i dissenzienti, purché sia assicurato loro il pieno soddisfacimento nei termini stabiliti dall’accordo. In alcuni casi, l’accordo omologato può anche prevedere la cristallizzazione delle ipoteche (impedendo ai creditori non aderenti di iscriverne di nuove da una certa data).

Durante la fase di negoziazione e omologazione, su ricorso del debitore si possono ottenere dal tribunale delle misure protettive temporanee che bloccano le azioni esecutive dei creditori (simili all’automatic stay del concordato) . Questo è cruciale per dare il tempo di concludere l’accordo senza che qualche creditore “rompa le fila”: ad esempio, pubblicando l’accordo in registro imprese e chiedendo contestualmente le misure protettive, il debitore ottiene di norma uno stay per 60-120 giorni durante i quali i creditori non possono aggredire i beni.

Varianti introdotte dal CCII: Il Codice della crisi ha ampliato l’istituto degli ARD con figure innovative:

  • Accordo di ristrutturazione “agevolato” (art. 60 CCII): riduce il quorum richiesto dal 60% al 30% dei crediti quando il debitore non propone trattamenti differenziati per i creditori (niente suddivisione in classi) e non include nell’accordo alcune categorie particolari come lavoratori e piccoli fornitori. In tal caso, se il 30% del ceto creditorio (per valore) è d’accordo, si può chiedere comunque l’omologa vincolante . È un incentivo per le crisi dove pochi creditori (es. banche) detengono la gran parte del debito.
  • Accordo ad efficacia estesa (art. 61 CCII): consente di estendere gli effetti dell’accordo anche ai creditori finanziari dissenzienti non firmatari, purché se ne abbia l’adesione di almeno il 75% di tutti i crediti finanziari . In pratica, se tre banche su quattro sottoscrivono l’accordo e la quarta rifiuta, ma le tre aderenti coprono più del 75% dell’esposizione verso banche, il giudice può omologare rendendo l’accordo vincolante anche per la quarta banca. Questo strumento è pensato per superare problemi di holdout da parte di minoranze di creditori omogenei (banche, obbligazionisti, ecc.).
  • Accordo con intermediari finanziari e fornitori strategici (art. 61 co.3 CCII): simile all’efficacia estesa, se l’accordo è approvato da almeno il 50% dei creditori di una certa categoria omogenea e l’eventuale dissenso dei rimanenti pregiudicherebbe il buon esito dell’accordo, il tribunale può estenderne gli effetti, garantendo però ai dissenzienti il diritto di ricevere almeno quanto avrebbero ottenuto in una liquidazione giudiziale (principio del best interest of creditors).
  • Transazione fiscale e contributiva: merita un paragrafo a parte il trattamento dei debiti tributari e verso enti previdenziali nell’accordo. L’ordinamento prevede la possibilità di includere nel piano una proposta di pagamento parziale/dilazionato dei debiti tributari (“transazione fiscale” con Agenzia Entrate) e contributivi (INPS, ecc.), e il tribunale può omologarla anche senza adesione formale di questi enti, a condizione che l’accordo offra almeno il valore di liquidazione di quei crediti. Le ultime modifiche normative hanno però introdotto limiti: ad esempio, il Correttivo Ter del 2024 ha previsto che non è ammessa l’omologazione forzosa (cram-down) dell’accordo se oltre l’80% del debito complessivo è verso il Fisco o se i debiti tributari derivano da gravi violazioni fiscali (es. omessi versamenti reiterati) . In sostanza, se l’indebitamento è composto quasi solo da tasse non pagate (auto-finanziamento surrettizio del debitore), il giudice non può imporre l’accordo al Fisco contrario. Ciò per evitare abusi dello strumento da parte di chi sistematicamente evade o dilapida imposte.

Vantaggi: L’accordo di ristrutturazione è più snello e riservato di un concordato: l’udienza di omologazione avviene in camera di consiglio, la vicenda può restare relativamente lontana dai riflettori. Il debitore conserva la gestione dell’impresa (non c’è spossessamento né nomina di commissario, salvo il giudice voglia un ausiliario per valutare il piano). I tempi di omologazione sono brevi (entro 4-6 mesi di solito). Inoltre, l’accordo può essere tenuto confidenziale finché non è pubblicato per l’omologa, limitando l’impatto reputazionale. Rispetto a un piano attestato, l’ARD offre la forza vincolante dell’omologa: i creditori dissentono ma che sono soddisfatti alle condizioni di legge non possono far saltare tutto con azioni individuali. Importante per il debitore è anche la possibilità di congelare le azioni esecutive nelle more (richiedendo le misure protettive all’inizio) . In pratica, l’azienda ottiene un “respiro” mentre formalizza l’accordo.

Svantaggi: Serve comunque un largo consenso dei creditori (min. 60% o 30% se agevolato): se la situazione è troppo compromessa e molti creditori diffidano, non si raggiunge il quorum. I creditori esclusi o che non aderiscono vanno comunque pagati integralmente (se vogliono essere stralciati, devono aderire): questo limita l’utilità se ci sono troppi piccoli creditori frammentati. Ad esempio, fornitori che rappresentano il 40% del debito e non si coordinano possono impedire l’accordo ordinario. Anche con l’omologa, i creditori non aderenti conservano titolo per agire se il debitore non li paga esattamente nei termini fissati: l’accordo infatti si risolve di diritto se il debitore non esegue integralmente nei tempi previsti, oppure se successivamente si apre una liquidazione giudiziale . Non ultimo, va considerato che l’ARD è comunque pubblico (viene iscritto nel registro delle imprese) e rende nota la crisi, sebbene in misura minore rispetto al fallimento.

Quando usarlo: L’accordo di ristrutturazione è indicato quando l’impresa è gravata da debiti significativi ma trattabili con una maggioranza di creditori consenzienti – tipicamente banche – mentre pochi creditori restano fuori. È il caso, ad esempio, di società con debiti finanziari e qualche debito minore: si convincono le banche (che magari detengono il 70% del totale) a sottoscrivere, e l’omologa mette al riparo dagli attacchi di eventuali creditori minori che non hanno firmato, garantendo loro comunque il pagamento integrale. Se invece il fabbisogno di ristrutturazione richiede di imporre perdite anche ai dissenzienti o di alterare l’ordine dei privilegi, l’accordo non basta e occorre il concordato. In ogni caso, l’ARD può essere preferibile al concordato per la minore invasività e perché consente di evitare la procedura concorsuale vera e propria (niente commissario né voto in adunanza, il voto è “privato” tramite raccolta adesioni).

Esempio: Un’azienda commerciale insolvente ha 5 banche esposte per 10 milioni e debiti verso fornitori per 2 milioni. Prepara un piano in cui propone: alle banche, rimborso del 70% del credito in 5 anni e conversione del residuo 30% in partecipazioni (le banche così diventano socie); ai fornitori, pagamento integrale ma dilazionato in 12 mesi dall’omologa. Le banche rappresentano l’83% del debito totale: se almeno 3-4 banche che coprono più del 60% aderiscono formalmente all’accordo, l’impresa deposita l’accordo con queste firme e chiede l’omologa. I fornitori (17% del debito) non aderiscono perché saranno pagati al 100%. Il tribunale, verificati i requisiti, omologa l’accordo. Da quel momento, i fornitori dissenzienti non possono iniziare pignoramenti perché sanno che riceveranno i pagamenti secondo l’accordo (entro 12 mesi). Se però l’azienda non rispettasse i pagamenti dilazionati, l’accordo si risolverebbe e i fornitori potrebbero agire (eventualmente chiedendo il fallimento). Le banche invece sono vincolate alla riduzione del 30% che hanno accettato e non possono pretendere di più. Le operazioni deliberate (aumento di capitale, ecc.) diventano efficaci e l’azienda prosegue l’attività ristrutturata.

Composizione negoziata della crisi d’impresa

La composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa è uno strumento di allerta e risanamento introdotto dal D.L. 118/2021 (convertito in L. 147/2021) in risposta all’ondata di difficoltà economiche post-pandemia . È ora organicamente disciplinato nel CCII. Non si tratta di una procedura concorsuale in sé, ma di un percorso assistito di negoziazione: l’imprenditore in crisi, anche potenziale, può richiedere la nomina di un esperto indipendente che lo assista nel tentativo di trovare un accordo con i creditori e risanare l’impresa.

Caratteristiche chiave della composizione negoziata (“CN”):

  • Accesso volontario e tempestivo: L’imprenditore può accedere prima di essere insolvente conclamato, anche in situazioni di “pre-crisi”. Scopo è affrontare per tempo i segnali di difficoltà con strumenti più agili rispetto al fallimento . Ciò è coerente con il principio europeo del early warning promosso dalla Direttiva UE 2019/1023 .
  • Nomina di un esperto terzo: Un professionista (spesso un commercialista, avvocato o consulente aziendale qualificato in crisi d’impresa) viene nominato dalla Commissione presso la Camera di Commercio. L’esperto ha il compito di facilitare le trattative tra debitore e creditori, aiutando a individuare soluzioni. Egli verifica anche l’andamento dell’impresa, ma l’imprenditore rimane in carica e conserva la gestione ordinaria .
  • Flessibilità delle soluzioni: La CN non predefinisce un esito obbligato. Può concludersi con un contratto di ristrutturazione privato, con un accordo di ristrutturazione ex art.57, con un piano attestato, con un concordato preventivo, o con la semplice individuazione di misure operative (ad es. reperimento di nuova finanza, rinegoziazione di forniture) fuori dalle procedure. Se non si trova alcuna soluzione, l’imprenditore può decidere di accedere ad una procedura concorsuale (concordato, liquidazione) o anche lasciar decadere il tutto.
  • Misure protettive e cautelari: Durante la composizione negoziata, il debitore può chiedere al Tribunale l’applicazione di misure protettive temporanee sul patrimonio (tipicamente il divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari) . Questo crea di fatto uno scudo attorno all’impresa, simile a quello del concordato, per favorire un contesto negoziale sereno. La durata iniziale è di 4 mesi, prorogabile di altri 4. In caso di abusi, i creditori possono chiedere la revoca delle misure.
  • Premialità: Il legislatore ha previsto incentivi per chi intraprende la CN: ad esempio, esenzioni da alcune responsabilità (riduzione interessi moratori, sospensione obbligo ricapitalizzazione per perdite d’esercizio durante la trattativa), e – importantissimo – la possibilità di concludere accordi fiscali ad hoc. Il Correttivo 2024 ha introdotto l’art. 23 co.2-bis CCII che permette all’imprenditore in composizione negoziata di stipulare con il Fisco un accordo di pagamento parziale e dilazionato dei debiti tributari (tranne risorse UE come dazi, ma inclusa l’IVA) , senza passare per un formale accordo di ristrutturazione. Questo accordo fiscale “agevolato” viene autorizzato dal tribunale ma fondamentalmente è negoziato dall’esperto con l’Erario. Ciò alleggerisce il carico fiscale e rimuove un ostacolo spesso letale nelle crisi d’impresa. Restano esclusi dalla trattativa in sede di CN i debiti previdenziali (che però potranno essere trattati eventualmente nel successivo concordato o accordo ex art.63) .
  • Esito e relazione finale: Al termine del periodo, l’esperto redige una relazione finale sull’attività svolta e sull’esito (accordo raggiunto o meno). Se l’accordo è raggiunto, potrà assumere la forma che le parti preferiscono (contratto, piano attestato, ecc.); talora si passa direttamente a un ricorso per omologazione semplificata.

Uno scenario particolare introdotto nel 2021 e confermato: se la composizione negoziata fallisce nel risanamento ma l’impresa risulta irreversibilmente insolvente, il debitore (entro 60 giorni) può presentare una proposta di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII). Si tratta di un concordato senza voto dei creditori, dove il tribunale può omologare un piano liquidatorio proposto dal debitore post composizione negoziata, previa sola possibilità per i creditori di fare opposizione . È una valvola di sicurezza per evitare di gettare al vento il lavoro svolto: l’imprenditore può “virare” su una liquidazione controllata delle attività sotto l’egida del tribunale, saltando la normale fase di voto (che richiederebbe tempo e maggioranze non realistiche in quel frangente). Il concordato semplificato è un unicum, applicabile solo come sbocco della CN, e consente di chiudere l’impresa bonariamente liquidando i beni ai creditori in modo ordinato.

Importanza della giurisprudenza 2025: Di recente, la Corte di Cassazione con sentenza n. 30109 del 9 luglio 2025 ha messo in luce un ulteriore beneficio della composizione negoziata, definendola uno “scudo” a tutto tondo. In particolare, la Cassazione ha stabilito che l’attivazione di una composizione negoziata – se supportata da una relazione positiva dell’esperto e da risultati economici credibili – incide sulla valutazione del periculum in mora nelle cause civili, e può giustificare la non adozione di misure cautelari aggressive da parte dei creditori . Ciò significa che, ad esempio, un creditore che chieda un sequestro conservativo o un pignoramento immediato potrebbe vederselo negare se il debitore sta seriamente perseguendo un risanamento tramite composizione negoziata e mostra progressi. La Cassazione evidenzia che la composizione negoziata ha ormai un rilievo che travalica l’ambito concorsuale, diventando uno strumento di tutela anche giuridica per l’impresa in crisi . In pratica, l’ordinamento incoraggia e protegge l’imprenditore proattivo che cerca di risolvere la crisi: il tribunale terrà conto positivamente di questo atteggiamento, ad esempio negando provvedimenti urgenti richiesti dai creditori se ritiene che il piano in composizione negoziata offra adeguate garanzie di soddisfacimento (la logica è: non c’è periculum se è in corso una trattativa seria che presumibilmente porterà a soluzione, come attestato dall’esperto). Questa pronuncia “di svolta” rafforza la composizione negoziata come parte integrante delle strategie difensive dell’impresa in crisi.

Vantaggi: La composizione negoziata è volontaria e confidenziale (nelle prime fasi, prima di richiedere misure protettive, nemmeno i creditori sanno dell’istanza se non li coinvolge il debitore). Permette di affrontare la crisi per tempo, evitando di dover dichiarare insolvenza finché c’è chance di salvataggio. Non implica alcuno stigma formale (non si dichiara il debitore insolvente, non si iscrivono procedure concorsuali). L’impresa continua la sua attività con piene funzioni degli amministratori, sotto la guida dell’esperto che però è un facilitatore, non un gestore. Le misure protettive danno un sollievo simile al concordato, bloccando temporaneamente i creditori. Inoltre, le misure premiali (come il citato accordo fiscale agevolato) possono migliorare sensibilmente le prospettive di ristrutturazione . Dal punto di vista del debitore, anche la possibilità del concordato semplificato in caso di fallimento delle trattative è un paracadute apprezzabile. Infine, come visto, la giurisprudenza sta riconoscendo effetti positivi in altri ambiti (anche penale e tributario, secondo Cass. 30109/2025 si intravedono riflessi favorevoli) .

Svantaggi: La composizione negoziata richiede cooperazione: se i creditori (specie banche o Erario) non hanno alcun interesse a negoziare perché sfiduciati, lo strumento perde efficacia. L’esperto non ha poteri coercitivi, può solo mediare. Inoltre, se l’imprenditore tarda troppo a richiederla e la situazione precipita (ad es. finisce la cassa), la CN potrebbe rivelarsi inutile se non c’è più nulla da salvare. Le misure protettive, pur rinnovabili, sono temporanee; dopo alcuni mesi occorre mostrare risultati o optare per altre procedure. C’è da segnalare che l’accesso alla CN espone l’impresa a un certo scrutinio: l’esperto potrebbe, nella relazione finale, rilevare che la continuità aziendale non è più sostenibile, suggerendo in sostanza di andare in liquidazione. Ciò potrebbe poi influenzare eventuali giudizi successivi (ad esempio, i sindaci o il tribunale potrebbero dover prendere atto di quell’esito). In ultimo, i costi: sebbene inferiori a un concordato, vi sono i costi dell’esperto (che ha diritto a un compenso) e dei professionisti che assistono debitore e eventuali creditori nelle trattative.

Applicabilità soggettiva: La composizione negoziata è rivolta agli imprenditori commerciali e agricoli, anche collettivi o individuali, for profit. È esclusa per i soli consumatori e professionisti non imprenditori (per loro esistono le procedure di sovraindebitamento). È accessibile anche alle cosiddette imprese minori, a differenza del concordato preventivo da cui invece sono escluse (esse hanno il “concordato minore” parallelo, v. oltre). Anzi, per le imprese minori la CN può essere uno strumento molto utile di risanamento precoce, tenendo conto che il Codice ha abolito le vecchie “procedure di allerta obbligatorie” ma punta su questo istituto volontario.

Esempio: Una PMI avverte un calo di liquidità e prevede di non poter pagare alcuni fornitori e rate di mutuo fra 6 mesi. Invece di attendere l’insolvenza, a metà 2025 attiva la composizione negoziata. Viene nominato un esperto. Il debitore con l’aiuto dell’esperto redige un piano di risanamento: chiede alla banca di estendere la durata del mutuo, ai fornitori di concedere sconti per pagamenti immediati e al fisco di rateizzare in 5 anni i debiti IVA arretrati con rinuncia a sanzioni. Nel frattempo, chiede al giudice di sospendere eventuali azioni esecutive (alcuni fornitori minacciavano decreti ingiuntivi) – il giudice concede la misura protettiva . Dopo 3 mesi di trattative, si raggiunge un accordo stragiudiziale: la banca firma un accordo di moratoria, i fornitori accettano un pagamento al 50% a saldo immediato (magari ottenendo note di credito), l’Agenzia delle Entrate aderisce all’accordo fiscale previsto dall’art. 23 co.2-bis CCII con pagamento del 80% dell’IVA in 60 rate (evitando le sanzioni). L’esperto redige relazione positiva. Il debitore a quel punto omologa privatamente tali accordi senza neppure necessità di passare dal tribunale (se non per confermare l’accordo fiscale già autorizzato). Le misure protettive decadono perché non servono più: nessun creditore avvierà esecuzioni avendo accettato l’accordo. L’azienda quindi supera la crisi senza essere mai stata dichiarata insolvente né aver attivato procedure concorsuali formali.

Al contrario, se la trattativa fosse fallita (es: la banca non concede nulla e fa anzi decadere il mutuo, o emergono altri debiti occultati), l’imprenditore potrebbe decidere di: a) presentare un concordato semplificato liquidatorio, cedendo tutti i beni ai creditori tramite il tribunale (evitando così il fallimento tradizionale); oppure b) richiedere direttamente la liquidazione giudiziale. In entrambi i casi, avrebbe comunque tentato il possibile e probabilmente evitato implicazioni di responsabilità personale: l’aver attivato per tempo la CN dimostra che l’imprenditore non è rimasto inattivo (evitando la “colpa” di tardiva emersione della crisi).

Procedure concorsuali maggiori (per imprese soggette a fallimento)

Quando la situazione debitoria di un’impresa è tale da non poter essere risolta consensualmente (o quando si preferisce sin da subito un intervento dell’autorità per gestire la crisi in modo organico), si entra nell’ambito delle procedure concorsuali in senso stretto. Tratteremo qui delle procedure previste per le imprese commerciali medio-grandi (non qualificabili “minori”), tradizionalmente soggette al fallimento: il concordato preventivo e la liquidazione giudiziale (nuova denominazione del fallimento). In seguito, nel paragrafo successivo, vedremo le procedure “minori” di sovraindebitamento, riservate a piccole imprese e persone fisiche.

Concordato preventivo

Il concordato preventivo è la principale procedura concorsuale “di risanamento” prevista dall’ordinamento italiano per le imprese in crisi o insolventi di dimensioni rilevanti. Consiste nella presentazione, da parte del debitore, di un piano di concordato da sottoporre ai creditori e all’approvazione del tribunale, mirante a evitare la liquidazione giudiziale attraverso un soddisfacimento concordato e parziale delle obbligazioni. L’aggettivo “preventivo” evidenzia che storicamente era una soluzione da attivare prima del fallimento per prevenirlo.

Chi può accedere: Possono accedere al concordato preventivo gli imprenditori commerciali (società o ditte individuali) che superano i limiti dell’“impresa minore” (attivo annuo > €300k, ricavi > €200k, debiti > €500k) . In pratica, chi sarebbe soggetto a fallimento in caso di insolvenza. Inoltre, è richiesta una situazione di crisi o insolvenza. La crisi è intesa in senso ampio come probabilità di futura insolvenza, ma spesso in pratica si tratta già di insolvenza attuale o imminente.

Tipologie di concordato: Il CCII distingue principalmente tra:

  • Concordato in continuità aziendale (art. 84 co.2 CCII): quando il piano prevede che l’impresa continui, in tutto o in parte, l’attività, sia direttamente dal debitore sia tramite cessione/affitto a terzi che la proseguono. La continuità può essere diretta (l’azienda prosegue nelle mani del debitore stesso durante e dopo la procedura) o indiretta (ad esempio, si cede l’azienda a un investitore, garantendo continuità dei livelli produttivi e dei contratti). Lo scopo qui è la ristrutturazione e il rilancio, preservando il valore aziendale come going concern.
  • Concordato liquidatorio (art. 84 co.3 CCII): il piano concordatario prevede essenzialmente la cessione o liquidazione di tutti i beni del debitore per pagare i creditori. È dunque assimilabile a una liquidazione concorsuale, con la differenza che è volontaria e orchestrata dal debitore tramite un piano (che può includere l’offerta di un terzo acquirente per gli asset, ecc.). Questo concordato era soggetto, nella vecchia legge, a un requisito di soddisfacimento minimo del 20% dei chirografari, regola oggi eliminata nel CCII . Tuttavia, rimane inteso che se l’offerta ai chirografari è troppo bassa, i creditori e il tribunale potrebbero non approvare il piano (per mancanza di convenienza rispetto alla liquidazione fallimentare).

Esistono poi forme particolari: concordato misto (parte in continuità e parte liquidatorio), concordato con intervento di un assuntore (un terzo si impegna ad eseguire il piano rilevando l’azienda), e il menzionato concordato semplificato post-CN (solo liquidatorio, senza voto). Inoltre, la legge consente la presentazione di proposte concorrenti da parte dei creditori o di terzi in alcuni casi – ad esempio se il debitore offre meno del 40% ai chirografari in continuità o meno del 30% in liquidatorio, i creditori possono presentare proposte alternative migliorative . Ciò spinge il debitore a formulare proposte il più possibile eque.

Iter procedurale in sintesi: Il debitore deposita in tribunale la proposta di concordato con il piano dettagliato e la documentazione (elenco creditori, bilanci, relazione di un attestatore indipendente che certifichi fattibilità e che i creditori ricevano almeno quanto avrebbero in caso di liquidazione giudiziale). Se la proposta supera un primo esame di ammissibilità, il tribunale ammette la procedura e nomina un Commissario Giudiziale, che vigila sull’impresa durante la procedura. Da quel momento scattano gli effetti protettivi: blocco delle azioni esecutive dei creditori chirografari e sospensione degli interessi, divieto di pagare debiti anteriori, ecc. Viene indetta un’adunanza dei creditori (o il voto può avvenire anche in forma scritta) in cui i creditori deliberano sulla proposta. Serve la maggioranza dei crediti ammessi al voto (>50% per classi, o complessivamente se non ci sono classi) . I creditori che non votano sono considerati, nel concordato minore, consenzienti (silenzio-assenso; v. oltre) , mentre nel concordato preventivo ordinario il silenzio equivale a voto negativo – quindi è importante sollecitare la partecipazione. Se i creditori approvano la proposta (eventualmente modificata), il tribunale procede all’omologazione con decreto, verificando legalità e fattibilità. Dall’omologa, il piano diviene vincolante per tutti i creditori anteriori, anche se dissentienti o non votanti. Il commissario viene sostituito da un liquidatore giudiziale se c’è da liquidare beni, oppure da un attestatore/monitor se è in continuità, per sorvegliare l’esecuzione. Una volta eseguito il piano (o comunque al termine della procedura, se l’esecuzione si protrae), il debitore ottiene l’esdebitazione: è liberato dai debiti residui anteriori non soddisfatti (salvo alcune eccezioni di legge).

Diritti e trattamento dei creditori: Nel concordato il debitore ha la possibilità di classare i creditori in categorie omogenee (es. separare banche chirografarie da fornitori, ecc.) e proporre trattamenti differenziati, rispettando però la graduazione delle cause di prelazione (absolute priority rule in senso italiano: non si possono dare somme ai creditori subordinati se i privilegiati di grado superiore non ricevono almeno quello che spetterebbe loro). I creditori privilegiati possono essere parzialmente falcidiati se il valore di realizzo del bene su cui hanno privilegio è inferiore al credito (cosiddetta saturazione del valore del pegno/ipoteca). I crediti chirografari possono essere pagati anche in minima parte (anche <20%, in teoria, se accettano), sebbene per confermare la proposta il giudice valuterà la convenienza rispetto alla liquidazione: nessun creditore deve risultare trattato peggio di quanto otterrebbe dai beni in caso di fallimento (best interest test). I debiti fiscali e previdenziali possono essere anch’essi falcidiati nel concordato, ma solo alle condizioni di legge: devono essere offerti almeno quanto il loro valore di realizzo in un fallimento. La transazione fiscale in concordato consente il cram-down dell’Erario similmente agli accordi di ristrutturazione , ma il D.Lgs 136/2024 ha ribadito che non è possibile l’omologa se oltre la metà dei debiti fiscali deriva da IVA non versata o ritenute non versate degli ultimi 5 anni (indice di comportamento fiscale scorretto) . In tal caso, se l’Erario vota contro e il suo credito supera il 50% dei chirografari, il concordato non è omologabile. Questa norma mira a evitare concordati utilizzati per “sanare” enormi evasori seriali.

Gestione dell’impresa in concordato: Di regola, l’impresa rimane in esercizio durante il concordato. Nel concordato in continuità, l’imprenditore conserva l’amministrazione sotto la supervisione del commissario (salvo atti di straordinaria amministrazione che richiedono autorizzazione del giudice delegato). Nel concordato liquidatorio, invece, spesso al momento dell’omologa viene nominato un liquidatore giudiziale che cura la vendita dei beni: quindi l’imprenditore perde la gestione attiva dell’impresa (che peraltro cessa l’attività salvo vendite in blocco).

Vantaggi: Il concordato è l’unica via per ristrutturare forzosamente il debito di un’impresa con efficacia generale, senza dover ottenere il consenso di tutti i creditori. Offre un respiro immediato grazie al automatic stay sulle azioni individuali e cautelari: dal decreto di ammissione, i creditori non possono iniziare o proseguire pignoramenti, né acquistare titoli di prelazione sui beni del debitore (divieto di ipoteche giudiziali). Questo da solo può salvare l’impresa dalla disgregazione sotto la pressione dei singoli creditori. Inoltre, consente di gestire situazioni molto complesse introducendo soluzioni creative: ad esempio, ingresso di nuovi soci, emissione di strumenti finanziari ai creditori (azioni, warrant), vendita frazionata di asset, mantenimento di contratti essenziali (nel concordato in continuità il debitore può chiedere di sciogliere contratti troppo onerosi o di sospenderli, o subentrarvi). Il concordato in continuità in particolare massimizza il valore, evitando la classica svendita fallimentare: i creditori potrebbero recuperare di più dalla prosecuzione dell’attività (anche in forma indiretta con affitto d’azienda durante la procedura). Per l’imprenditore onesto, il concordato è un modo per cercare di salvare l’azienda (nel caso di continuità) o, se ciò non è possibile, almeno di chiudere i conti in modo ordinato (concordato liquidatorio), beneficiando poi dell’esdebitazione e senza le implicazioni penali di un fallimento (nel concordato non si applicano, di norma, i reati di bancarotta per le condotte anteriori, salvo casi di frode ai creditori nella procedura stessa).

Svantaggi: La procedura di concordato è onerosa e relativamente lunga. Occorre predisporre una mole di documenti e il piano dev’essere dettagliato e attestato, il che comporta costi per consulenti e attestatore. Durante la procedura, l’impresa opera sotto vincoli (ogni spesa fuori dall’ordinario va autorizzata, i crediti verso il debitore rimangono congelati). C’è poi incertezza sull’esito: serve il voto favorevole dei creditori, e ancor prima il tribunale deve ammettere la proposta e poi omologarla. Se i creditori bocciano il piano o l’omologa viene negata, si aprirà quasi certamente la liquidazione giudiziale (conversione in fallimento). Dunque il debitore rischia l’effetto boomerang se propone un concordato insostenibile o sgradito. Inoltre, l’attivazione del concordato è un fatto pubblico e incide sui rapporti: fornitori e clienti verranno a sapere dello stato di crisi (tramite registro imprese o notizie) e ciò può innescare reazioni negative (revoca fidi, richieste di pagamento anticipato, ecc.), per quanto la legge preveda il divieto di rescindere contratti solo perché è pendente un concordato (clausole di automatic termination). Anche le banche normalmente bloccano o riducono gli affidamenti. Infine, se il concordato è liquidatorio, i tempi di incasso per i creditori possono essere lunghi e l’imprenditore di fatto perde l’impresa (che verrà liquidata).

Quando adottarlo: Il concordato preventivo è indicato quando l’impresa ha prospettive di risanamento ma necessita di imporre sacrifici ai creditori e non c’è modo di ottenere consenso unanime (es. deve abbattere il debito del 50%, improbabile da ottenere contrattualmente da ciascun creditore). Oppure quando la struttura dell’indebitamento è tale che solo un intervento globale può riequilibrarla (ad es. troppi debiti rispetto agli attivi, serve conversione in capitale e falcidia generale). Il concordato in continuità si adotta se l’azienda è viva e si vuole darle un futuro: tipicamente imprese industriali o di servizi con mercato, ma appesantite da debiti o contratti onerosi da ristrutturare. Il concordato liquidatorio invece può essere scelto dal debitore per evitare il fallimento, se preferisce lui stesso presentare un piano di liquidazione (magari trovando un acquirente per l’azienda che paghi qualcosa ai creditori) ed evitare la dichiarazione di insolvenza pubblica. Ad esempio, un imprenditore potrebbe dire: vendo l’attività con concordato, i creditori prendono il 30% subito e l’azienda viene salvata da un investitore; se fallissi, forse i creditori prenderebbero il 20% e l’azienda chiuderebbe.

Esempio (concordato in continuità): Un’azienda edile ha grossi appalti ma ha accumulato €5 milioni di debiti verso banche e fornitori a causa di ritardi nei pagamenti della P.A. Ha commesse future che garantirebbero utili, ma nell’immediato è insolvente. Presenta un concordato in continuità: propone di pagare il 100% dei creditori privilegiati (banche ipotecarie, dipendenti, ecc.) e il 40% ai chirografari (fornitori), in 4 anni usando i flussi di cassa dei cantieri in corso. Propone inoltre che i fornitori continuino a lavorare alle commesse ricevendo pagamenti correnti regolari (concordato con continuità diretta). I fornitori e banche votano sì perché confidano che l’alternativa fallimento darebbe forse meno (es. 20%). Il tribunale omologa. L’azienda prosegue i lavori, sorvegliata dal commissario, e con i profitti paga man mano i creditori secondo il piano. Al termine, i creditori chirografari ricevono in totale il 40% dovuto, il resto è stralciato e l’impresa torna libera dai debiti. I contratti d’appalto sono stati adempiuti, salvaguardando la reputazione e il mercato dell’impresa.

Esempio (concordato liquidatorio): Una società commerciale in crisi irreversibile (nessun futuro commerciale) possiede però un immobile di pregio. Il debitore trova un potenziale acquirente disposto a pagare €1 milione per l’immobile. I debiti totali sono €4 milioni. Il debitore deposita un concordato liquidatorio offrendo: vendita dell’immobile e distribuzione ai creditori di quel ricavato, pari al 25% dei crediti chirografari. In assenza di concordato, se i creditori agissero individualmente, l’immobile andrebbe all’asta magari a prezzo inferiore e con tempi lunghi; il 25% immediato potrebbe essere allettante. Se i creditori approvano, il tribunale omologa. Un liquidatore vende l’immobile all’offerente indicato, incassa €1M, paga le spese e distribuisce il saldo ai creditori. I creditori ricevono appunto circa il 25% ciascuno. La società, terminata la liquidazione, viene cancellata dal registro imprese e i crediti residui si considerano estinti (l’esdebitazione in questo caso riguarda la società solo in senso patrimoniale perché una volta estinta non ha più obbligazioni, ma soprattutto libera gli eventuali garanti secondo le regole generali). L’imprenditore evita così il fallimento con tutte le restrizioni correlate e gestisce una chiusura più rapida e dignitosa della vicenda.

Liquidazione giudiziale (ex fallimento)

La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale di carattere liquidatorio-coattivo che interviene quando l’impresa insolvente non ha intrapreso (o non ha concluso positivamente) le altre soluzioni. Corrisponde al vecchio fallimento, termine che il nuovo Codice ha abbandonato per ridurre lo stigma. Rimane però, nella sostanza, la procedura tramite la quale tutti i beni del debitore vengono acquisiti e liquidati per soddisfare collettivamente i creditori secondo le priorità di legge . Si avvia tipicamente su istanza dei creditori, o su ricorso dello stesso debitore quando riconosce di non poter più andare avanti.

Presupposti di apertura: Devono sussistere lo stato di insolvenza del debitore (incapacità strutturale di far fronte regolarmente alle obbligazioni) e la qualifica soggettiva di imprenditore commerciale non minore, oppure altro soggetto a cui la legge estende il fallimento (es. socio illimitatamente responsabile di società fallita, erede dell’imprenditore, ecc.). Sono esclusi dalla liquidazione giudiziale: gli enti pubblici, le imprese minori sotto soglia , l’imprenditore agricolo, le startup innovative (queste ultime hanno regime protetto). Per i soggetti esclusi si applicano le procedure di sovraindebitamento (v. infra).

Procedimento ed effetti principali: Il Tribunale, accertata l’insolvenza, dichiara l’apertura della liquidazione giudiziale con sentenza (che accerta anche l’eventuale cessazione dell’attività d’impresa in capo al debitore fallito). Con la sentenza vengono nominati gli organi: il Giudice Delegato che sovrintende alla procedura, e il Curatore che è il gestore operativo (amministra il patrimonio fallimentare, vende i beni, ripartisce il ricavato). Dal momento della sentenza di apertura:

  • Il debitore (se persona fisica) viene spossessato dei suoi beni, che passano sotto il controllo del curatore . Se è una società, gli amministratori perdono i poteri sugli asset sociali. Il debitore persona fisica conserva la sola titolarità di alcuni beni indispensabili (effetti personali, stipendio nei limiti, etc.), ma in generale tutto l’attivo entra nella massa fallimentare.
  • Sono sospese e poi estinte tutte le azioni esecutive individuali: i creditori devono presentare domanda di insinuazione al passivo nella procedura , non possono più agire per conto proprio. Le eventuali cause in corso sul pagamento dei crediti vengono interrotte e proseguono in sede fallimentare.
  • I debiti diventano “concorsuali”, cristallizzati alla data di apertura; maturano solo eventuali interessi su quelli privilegiati se capiente il patrimonio. I creditori chirografari non prendono interessi per il periodo della procedura.
  • Il curatore compie un inventario e individua tutti i creditori. Convoca un’udienza (cd. verifica dello stato passivo) avanti al Giudice Delegato in cui, esaminate le domande di insinuazione, forma lo stato passivo, ovvero l’elenco dei crediti ammessi e delle rispettive cause di prelazione.
  • Segue la fase di liquidazione dell’attivo: il curatore, secondo un programma approvato dal Comitato dei creditori e autorizzato dal G.D., vende i beni del debitore (immobili, beni mobili, merci, crediti esigibili, partecipazioni). Le vendite di regola avvengono tramite procedure competitive o aste, per massimizzare il ricavato.
  • Il ricavato liquido, detratte le spese prededucibili della procedura (compenso del curatore, spese legali, etc.), viene distribuito ai creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione: prima i creditori con privilegi speciali sul ricavato di specifici beni, poi i privilegi generali e i prededucibili, poi i chirografari in proporzione, e infine gli eventuali postergati . Se l’attivo è insufficiente, i chirografari possono anche non ricevere nulla.
  • Durante la procedura, l’impresa di solito cessa l’attività (specie se individuale). Tuttavia, il curatore può esercitare provvisoriamente l’impresa se serve per migliore liquidazione (es. completare ordini per vendere magazzino a valore maggiore). Nelle società, la dichiarazione di liquidazione giudiziale comporta lo scioglimento della società e decadimento degli organi, ma la società rimane in vita solo come massa patrimoniale in liquidazione fino alla chiusura.
  • Al termine delle operazioni, il curatore presenta un rendiconto finale e viene emesso il decreto di chiusura della liquidazione giudiziale. Se il debitore è una società, questo porta alla sua estinzione. Se è una persona fisica, da quel momento torna in bonis (ma con i debiti insoddisfatti ancora esistenti, salvo esdebitazione).

Conseguenze per il debitore: Per l’imprenditore dichiarato in liquidazione giudiziale vi sono conseguenze personali: se persona fisica, subisce alcune incapacità civili temporanee (non può assumere cariche direttive in società, non può esercitare il commercio per proprio conto senza autorizzazione, ecc. fino alla chiusura). Inoltre la sentenza è pubblica e comporta un forte stigma, nonché spesso l’avvio di indagini per reati concorsuali (bancarotta semplice o fraudolenta) se emergono irregolarità nella gestione pregressa. Va tuttavia ricordato che, a differenza del passato, oggi il fallito onesto può ottenere la liberazione dai debiti residui: l’istituto dell’esdebitazione (artt. 278-282 CCII). Se il debitore persona fisica collabora e non ha commesso atti dolosi, dopo la chiusura può chiedere al tribunale di essere esdebitato, ossia di cancellare tutti i debiti rimasti insoddisfatti con la procedura. Questa esdebitazione post-liquidazione (introdotta nel 2012 e confermata dal CCII) consente al fallito di ripartire da zero economicamente, pur restando segnalato per qualche anno. Inoltre, il Correttivo 2024 ha previsto una forma di esdebitazione immediata per il debitore incapiente (art. 283 CCII) di cui diremo meglio nella sezione sovraindebitamento.

Vantaggi (dal punto di vista del debitore): In un’ottica di “gestione dei debiti” dal lato debitore, la liquidazione giudiziale è ovviamente l’extrema ratio quando non c’è possibilità di risanamento. Se il debitore è irreversibilmente insolvente, l’apertura della liquidazione giudiziale produce comunque alcuni benefici: ferma il lievitare delle esposizioni (interessi, more, ecc.), porta ordine e parità di trattamento (tutti i creditori concorrono in proporzione), sospende il pressing incessante delle azioni esecutive individuali (che possono essere stressanti e disgreganti). Inoltre solleva il debitore dalla gestione diretta della crisi (se ne occupa il curatore) e fissa un punto fermo oltre il quale si può aspirare a un fresh start. L’esdebitazione finale è il premio per il debitore corretto: dopo aver consegnato tutto ciò che aveva ed essersi sottoposto al procedimento, può tornare a fare impresa o a lavorare senza l’incubo di debiti pregressi insanabili . In questo senso, la liquidazione giudiziale, pur dolorosa, è anche uno strumento legale per chiudere col passato e – per la persona fisica – riabilitarsi.

Svantaggi: Ovviamente è la soluzione più drastica e penalizzante: il debitore perde l’intero patrimonio (casa, beni, conti – salvo le poche eccezioni di legge) che viene liquidato forzosamente. Perde il controllo dell’azienda che presumibilmente verrà smembrata se non vi sono soluzioni unitarie (a meno che il curatore riesca a vendere l’azienda in blocco). L’etichetta di “fallito” (anche se giuridicamente si chiama diversamente, di fatto è quella) incide sulla reputazione personale e commerciale per molti anni. Anche dopo l’esdebitazione, ad esempio, restano segnalazioni nei registri della Camera di Commercio o banca dati per qualche tempo. Senza contare la possibile responsabilità penale: se emergono condotte distrattive, preferenziali o falsificazioni di bilancio, l’imprenditore può subire condanne penali gravi (bancarotta). Tuttavia, dal punto di vista della gestione legale dei debiti, una volta che tutte le altre strade sono precluse, attivare la liquidazione giudiziale volontariamente può essere preferibile al subire passivamente l’iniziativa dei creditori: ad esempio, il debitore che chiede egli stesso la liquidazione (quando capisce di non poter soddisfare i crediti) mostra collaborazione e questo sarà valutato positivamente ai fini dell’esdebitazione e potrebbe attenuare eventuali imputazioni di bancarotta (evitando l’aggravante di aver aggravato il dissesto). Inoltre, con la propria istanza il debitore può proporre al tribunale qualche soluzione organizzativa (tipo segnalare l’urgenza di vendere certi beni per evitare deterioramento, ecc.).

Quando (purtroppo) si arriva a questa soluzione: La liquidazione giudiziale è inevitabile quando l’impresa è insolvente e nessun piano di rientro è fattibile. Tipicamente, quando i debiti superano largamente gli attivi, l’attività è ferma o in grave perdita, e non vi sono prospettive di risanamento né interessi di terzi a rilevare l’azienda, allora la scelta responsabile è liquidare. Se il debitore tergiversa, saranno i creditori a chiederlo (basta un creditore non soddisfatto per avviare l’istanza).

Esempio: Una ditta individuale di trasporti accumula €500k di debiti con fornitori e banche, ha perso i contratti principali e il parco mezzi è vetusto. Non c’è modo realistico di ripagare i debiti perché il fatturato è crollato. Il titolare, invece di subire pignoramenti a raffica, presenta istanza di liquidazione giudiziale. Il tribunale dichiara aperta la procedura: i 3 camion rimasti e l’officina di proprietà vengono affidati al curatore e poi venduti all’asta ricavando €200k, che il curatore distribuisce: pagati prima i dipendenti e agenti (privilegiati) al 100%, poi circa il 30% ai chirografari fornitori, nulla alle banche chirografarie in coda. Il tutto si conclude in 2 anni. Il debitore, rimasto senza beni, chiede l’esdebitazione: il tribunale gliela concede riconoscendo che la crisi è dipesa dalla perdita di un appalto importante (causa esterna) e non da colpa grave. Quindi i €300k di debiti non pagati residui vengono cancellati . Il titolare può così cercare un nuovo impiego senza quell’onere. Se invece avesse tentato di continuare l’attività accumulando altre perdite e magari vendendo di nascosto i camion (atto in frode), sarebbe incappato poi in un fallimento d’ufficio con probabile accusa di bancarotta fraudolenta e nessuna esdebitazione.

Procedure “minori” di sovraindebitamento (debitori civili, consumatori e imprese minori)

Accanto alle procedure maggiori fin qui esaminate (concordato preventivo e liquidazione giudiziale), l’ordinamento italiano prevede specifiche procedure volte a gestire le situazioni di crisi o insolvenza dei soggetti non fallibili, ossia di quei debitori per i quali non è ammesso il fallimento/liquidazione giudiziale. Si tratta in particolare di: consumatori (persone fisiche che hanno debiti privati, non legati ad attività d’impresa), professionisti (avvocati, medici, etc., non considerati imprenditori commerciali), imprenditori minori (imprese sotto le soglie di cui all’art. 2 CCII ), imprenditori agricoli, start-up innovative e altri soggetti “civili”. Questi soggetti rientrano nell’ambito del sovraindebitamento, regolato ora dal CCII (artt. 65-91) ma originariamente disciplinato dalla L. 3/2012. Le procedure disponibili, in linea con la riforma del 2020-2022, sono tre:

  • La ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex “piano del consumatore”);
  • Il concordato minore (ex “accordo di composizione della crisi”);
  • La liquidazione controllata del sovraindebitato (ex “liquidazione del patrimonio”).

A queste si aggiunge l’innovativa misura dell’esdebitazione del debitore incapiente (fresh start a costo zero). Analizziamo ciascuna soluzione, tenendo presente che il procedimento di accesso a queste procedure passa sempre tramite un organismo o un professionista gestore della crisi (il Gestore della crisi designato da un OCC – Organismo di composizione della crisi), il quale affianca il debitore nella predisposizione del piano o della domanda di liquidazione e svolge compiti simili a quelli del curatore/commissario ma in un contesto più semplificato e orientato all’assistenza.

Prima di entrare nel dettaglio, giova notare che il Correttivo Ter (D.Lgs. 136/2024) ha aggiornato la disciplina del sovraindebitamento, introducendo alcune novità: ad esempio, ha formalizzato l’esdebitazione incapienti (art. 283 CCII), ha chiarito che in liquidazione controllata entrano anche i beni sopravvenuti fino all’esdebitazione , e ha rafforzato l’idea che se il debitore non ha alcun patrimonio liquidabile, la via preferibile è l’esdebitazione diretta invece di aprire una liquidazione inutile .

Tabella 2 – Procedure di sovraindebitamento: caratteristiche a confronto

Procedura sovraindebitamentoChi può accedervi (soggetti esclusi da fallimento)Approvazione/AdesioneEsdebitazioneNote distintive
Ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex piano del consumatore)Solo persona fisica consumatore (debiti privati, non professionali né d’impresa)Nessun voto dei creditori; deciso dal tribunale se giudica il piano fattibile e il debitore meritevole . I creditori possono fare osservazioni, ma non serve il loro consenso., al termine il consumatore è liberato dai debiti non soddisfatti, purché abbia eseguito il piano e non abbia tenuto condotte fraudolente.Procedura semplificata: il debitore propone come ristrutturare i debiti in base alla sua capacità, il giudice omologa se il piano è equo e il debitore non ha colpe gravi (criterio della meritevolezza). Possibile includere la famiglia (piano familiare) . Prevista una moratoria fino a 1 anno su rate mutui ipotecari .
Concordato minore (ex accordo di composizione)Debitori diversi dal consumatore: imprenditori minori, professionisti, start-up, imprenditori agricoli, enti no profit sovraindebitati.Voto dei creditori richiesto: serve maggioranza >50% dei crediti ammessi al voto . Meccanismo di silenzio-assenso: i creditori che non votano entro il termine si considerano favorevoli . Omologa del tribunale necessaria (può anche imporla se Fisco/Enti dissenzienti sono determinanti ma ricevono almeno quanto in liquidazione) ., analoga al concordato preventivo: con l’omologa e il completamento del piano, il debitore ottiene l’esdebitazione dei debiti residui.Procedura simile al concordato preventivo ma semplificata e dedicata a piccole realtà. Meno formalità, ma concettualmente i creditori votano sul piano. Il tribunale può omologare anche in caso di voto contrario del Fisco se l’offerta è almeno pari al realizzo in liquidazione (salvo frodi fiscali gravi). Permette di trattare anche debiti personali e d’impresa insieme (es. piccolo imprenditore con debiti aziendali e privati).
Liquidazione controllata del sovraindebitato (ex liquidazione del patrimonio)Qualsiasi debitore sovraindebitato (consumatore o no) che abbia un patrimonio liquidabile. Anche i creditori possono chiedere l’apertura (forzosa) se c’è insolvenza . Non ammessa se il debitore è totalmente privo di beni? (orientamento: in tal caso meglio esdebitazione diretta) .Nessun voto: è una procedura liquidatoria giudiziale. Apertura con decreto del tribunale. I creditori partecipano attraverso insinuazione al passivo e sono soddisfatti secondo prelazioni., il sovraindebitato persona fisica ottiene l’esdebitazione dei debiti insoddisfatti al termine, su richiesta (salvo non abbia commesso irregolarità). Inoltre, se durante la liquidazione emergono beni ulteriori entro 4 anni dalla chiusura, possono essere ripresi per i creditori (vigilanza post-esdebitazione fino 4 anni) .Paragonabile al fallimento ma in versione minore: il patrimonio del debitore (anche persona fisica) è liquidato da un Liquidatore nominato dal giudice. Il debitore è spossessato dei beni (eccetto quelli non pignorabili ex legge). L’attivo comprende anche beni sopravvenuti fino all’esdebitazione . La procedura chiude con riparti ai creditori e, di norma, esdebitazione finale. Consente al debitore onesto di “pulire” la situazione sacrificando tutto il patrimonio disponibile.
Esdebitazione del debitore incapiente (fresh start “a zero”)Persona fisica meritevole senza alcun patrimonio o reddito aggredibile, e incapace di offrire utilità ai creditori nemmeno in futuro . Ammessa 1 sola volta nella vita.Non è un accordo ma un’istanza individuale al tribunale. I creditori possono essere sentiti ma non c’è voto; il giudice decide se ricorrono i presupposti per concedere la cancellazione dei debiti. (Questa è l’esdebitazione in sé). Viene pronunciata subito la liberazione dai debiti con decreto del tribunale . Tuttavia per 3 anni il debitore deve comunicare eventuali sopravvenienze rilevanti: se entro 3 anni ottiene utilità (eredità, vincite, redditi ecc. sopra una certa soglia) deve versarle ai vecchi creditori, altrimenti l’esdebitazione diventa definitiva trascorso il triennio .Misura straordinaria introdotta dal 2021/2022 (rafforzata dal 2024): permette la cancellazione immediata di tutti i debiti per chi versa in condizioni disperate, senza dover prima liquidare (perché non ci sono beni da liquidare). Richiede la rigorosa assenza di atti in frode e di colpa grave nella formazione dei debiti . È prevista l’istituzione di un Fondo statale per coprire i costi procedurali e compensare in parte i creditori, visto che nulla ricevono . È una sorta di grazia fallimentare, ispirata al principio del fresh start per dare una seconda chance ai debitori onesti sfortunati.

Ristrutturazione dei debiti del consumatore: È la procedura disegnata su misura per il consumatore sovraindebitato, ovvero la persona fisica che ha debiti di natura personale (crediti al consumo, scoperti bancari, bollette, fideiussioni pagate, debiti fiscali personali, ecc.), fuori dall’attività di impresa. In Italia in passato chi non era imprenditore non poteva fallire ma neppure liberarsi legalmente dai debiti: la L.3/2012 ha introdotto questa possibilità poi affinata dal CCII.

Il consumatore propone un piano di ristrutturazione in cui indica come intende pagare i suoi debiti, tenendo conto del proprio patrimonio e reddito disponibile. Ad esempio, può offrire ai creditori di pagare il 50% in 5 anni usando il suo stipendio al netto delle spese familiari, oppure di liquidare uno o due beni (auto, casa se non primaria magari) per pagare una parte e chiedere lo stralcio del residuo. Oppure può prevedere l’intervento di un garante terzo (un parente che mette soldi per chiudere i debiti). La caratteristica distintiva è che i creditori non votano sul piano: il potere decisionale è del Tribunale, che omologa il piano se ritiene soddisfatti alcuni requisiti di legge. In primis, valuta la fattibilità del piano (che le somme promesse siano realistiche, dati redditi e patrimonio), e soprattutto la meritevolezza del consumatore . Questo concetto di meritevolezza significa che il consumatore non deve aver colposamente causato il proprio sovraindebitamento con comportamento gravemente imprudente o fraudolento. La riforma ha semplificato il criterio: oggi il piano è inammissibile solo se il debitore ha determinato il sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode . Non si indaga più (come prima del 2020) se abbia fatto spese sproporzionate o contratti senza prospettiva di adempimento; conta piuttosto che non vi sia dolo o colpa grave nell’essersi indebitato. Cassazione 22890/2023 ha chiarito che va applicato il nuovo criterio più favorevole anche ai procedimenti in corso . Ad esempio, se una persona ha accumulato debiti di gioco o acquistando beni di lusso senza reddito, potrebbe essere ritenuta non meritevole (colpa grave). Se invece i debiti derivano dalla perdita del lavoro o da spese mediche impreviste, dovrebbe essere ammesso.

Se il giudice omologa il piano, esso diventa vincolante per tutti i creditori senza eccezioni. Anche chi non fosse d’accordo deve accettare i pagamenti ridotti/pianificati secondo il piano. Durante l’iter, similmente al concordato, il consumatore può chiedere la sospensione delle esecuzioni in corso (misure protettive ex art. 70 CCII). Un Gestore della crisi (OCC) normalmente affianca il consumatore, raccoglie i dati, certifica la sua meritevolezza in una relazione e poi, se omologato, supervisiona che il piano venga eseguito.

Il contenuto del piano può essere vario: può prevedere la cessione di parte del patrimonio (se ha una casa di valore, può venderla o metterla a disposizione per un finanziamento destinato a pagare i creditori), la continuazione del pagamento di certi creditori strategici (ad es. mantenere un prestito auto essenziale per andare al lavoro), la dilazione di altri. Il piano familiare è una novità: più membri di una stessa famiglia sovraindebitati possono presentare un unico piano congiunto se i debiti hanno un’origine comune o se c’è convenienza a trattarli assieme (Trib. Bergamo 20/7/2024 ha omologato un piano familiare per marito e moglie con debiti condivisi). Questo evita duplicazioni e consente ad es. a coniugi coobbligati di proporre una soluzione unitaria.

Esempio: Un consumatore ha 4 finanziarie non pagate per tot €50.000 e qualche cartella esattoriale per €10.000; possiede solo un’auto e percepisce stipendio €1.500/mese, con moglie e figli a carico. Con l’aiuto dell’OCC, propone un piano: mantiene €900 al mese per le esigenze familiari (soglia di mantenimento dignitoso) e destina €600 al mese per 5 anni ai creditori, distribuendoli pro quota (totale €36.000, circa il 60% del debito) chiedendo lo stralcio del restante 40%. Nessun creditore sarebbe soddisfatto interamente, ma tutti prendono qualcosa. Il piano prevede anche la vendita dell’auto secondaria per aggiungere €5.000. Il giudice verifica che la famiglia può vivere con 900€, e che l’uomo non ha nascosto beni e non ha colpe gravi (si è indebitato per aiutare un parente malato, ad esempio). Omologa dunque il piano. I creditori finanziari, anche se preferivano forse pignorare lo stipendio per intero, devono accettare quel pagamento dilazionato e ridotto. Una volta versate tutte le 60 rate e venduta l’auto, il debitore adempie il piano. Ottiene quindi l’esdebitazione: i circa €19.000 di debito residuo sono cancellati e nessuno potrà più pretendere nulla . Se invece, durante i 5 anni, il debitore non paga qualche rata senza giustificato motivo, i creditori o il gestore potrebbero chiedere la risoluzione del piano e allora si tornerebbe alla situazione pregressa (debiti di nuovo esigibili per intero, salvo fallimento personale se possibile o liquidazione controllata come piano B).

Concordato minore: È l’equivalente del concordato preventivo ma per i debitori non fallibili. Storicamente chiamato “accordo di composizione dei debiti”, ora la terminologia “concordato minore” sottolinea la similitudine col concordato: c’è un piano, c’è un voto dei creditori e un’omologazione giudiziale. Le differenze stanno nelle soglie (destinatari piccoli) e nelle facilitazioni procedurali, come il meccanismo di silenzio-assenso per cui la mancata risposta di un creditore equivale a voto favorevole – questo perché spesso i piccoli creditori non rispondono per ignoranza o inerzia, e sarebbe ingiusto far fallire il piano per mancate adesioni. Quindi, nel concordato minore, è più facile raggiungere la maggioranza. Serve comunque che oltre la metà dei crediti votanti approvino (o si considerino tali col silenzio-assenso).

Il concordato minore viene gestito con l’ausilio dell’OCC: il gestore aiuta a predisporre il piano e funge da commissario durante la procedura. Il piano può prevedere continuità o liquidazione, analogamente al concordato grande, ma su scala ridotta. Ad esempio, un piccolo imprenditore edile (non fallibile perché sotto soglie) con debiti 300k può proporre di vender alcuni macchinari e pagare i creditori al 30%. I creditori votano (magari via pec o assemblea semplificata). Se approvano, il giudice omologa e il piano vincola tutti. Se l’Erario o l’INPS sono dissenzienti ma l’offerta che ricevono rispetta il minimo di legge (ad es. prendono almeno quanto avrebbero da liquidazione controllata), il giudice può omologare lo stesso , ignorando il loro dissenso – ciò per evitare che il fisco blocchi accordi ragionevoli (c.d. cram-down fiscale).

Il concordato minore, rispetto a quello preventivo, si svolge prevalentemente in forma semplificata e scritta: spesso non c’è un’adunanza fisica dei creditori, la votazione può avvenire esprimendo il voto per iscritto all’OCC entro un termine. Anche le percentuali e i calcoli possono tener conto che molti creditori minori non parteciperanno (da qui il silenzio-assenso). Una volta omologato, la soddisfazione dei creditori avviene come da piano, sotto controllo del liquidatore nominato (se prevede liquidazione) o del gestore. Al termine, scatta l’esdebitazione per il debitore (persona fisica) liberandolo dai debiti residui.

Esempio: Un artigiano (idraulico) ha cessato l’attività, ma ha 100k di debiti con fornitori e 50k col fisco. Possiede una piccola proprietà (magazzino). Propone un concordato minore: vendita del magazzino per €60k e pagamento dei creditori chirografari al 50% (fisco incluso) entro un anno dall’omologa; i restanti debiti stralciati. Votano favorevoli fornitori che hanno 80k su 100k (gli altri 20k non votano, ma contano come sì); l’Erario (50k) vota no perché non vuole perdere il 50%. Calcolo: totale crediti ammessi al voto = 150k; voti favorevoli = 100k (80k forn + 20k silenzio-assenso) = ~66%, quindi maggioranza raggiunta. Il fisco dissenziente ha 33% ma nota bene: il giudice verifica che in ipotesi liquidazione pura il fisco avrebbe preso anche meno (perché sul magazzino c’è un’ipoteca banca che assorbe gran parte del ricavato, mentre in concordato forse ha offerto qualcosa in più). Dunque, nonostante l’opposizione dell’Erario, il tribunale omologa il concordato minore . Il liquidatore vende il magazzino, paga banca ipotecaria (fuori dal concordato se preferenziale), poi con i 60k residui paga 50% a fornitori e 50% al fisco. L’artigiano viene esdebitato del rimanente. Questa soluzione è risultata migliore anche per il fisco rispetto al nulla probabilmente ottenibile da un artigiano nullatenente.

Liquidazione controllata: È l’equivalente del fallimento per i sovraindebitati. A differenza della liquidazione giudiziale, qui il soggetto può essere chiunque (persona fisica consumatore, piccola impresa, ecc.) purché insolvente e con un minimo di patrimonio liquidabile. Viene detta “controllata” perché avviene sotto il controllo del tribunale ma in modo più snello rispetto al fallimento classico. Si apre su ricorso del debitore stesso o di creditori o dell’OCC. Una volta aperta, il liquidatore nominato (spesso lo stesso gestore OCC) prende possesso dei beni del debitore, li liquida e distribuisce il ricavato ai creditori secondo le priorità legali. Identico al fallimento, vengono sospese tutte le esecuzioni, i debiti antecedenti si cristallizzano. Non c’è voto dei creditori: è una procedura puramente liquidatoria.

La differenza è nei dettagli: il liquidatore prepara un piano di liquidazione che può anche vendere in blocco i beni se conviene; il tribunale vigila ma c’è minore formalismo (ad esempio, per crediti molto piccoli si può evitare di fare accertamenti lunghissimi; spesso poche categorie di creditori). Il CCII inoltre prevede che se dopo la chiusura della liquidazione, entro tre anni compaiono nuovi beni o redditi del debitore (sopravvenienze), questi possano essere richiesti dai creditori insoddisfatti . Quindi l’esdebitazione concessa al termine è condizionata risolutivamente a eventuali arricchimenti del debitore in breve periodo: è un incentivo a non nascondere asset (perché se emergono nei 3 anni, vanno ai creditori).

La liquidazione controllata, come detto, non dovrebbe essere aperta se il debitore è totalmente privo di beni. In tal caso la norma e la prassi spingono per la soluzione diretta dell’esdebitazione incapiente. Infatti, alcuni tribunali hanno dichiarato inammissibile la liquidazione controllata “senza attivo” (Tribunale di Venezia, ord. 31/7/2024, citata in dottrina) . Altri hanno invece aperto la procedura anche con attivo simbolico, per poi chiuderla subito e contestualmente esdebitare (questo prima dell’introduzione dell’art. 283; ora con art. 283 è più lineare esdebitare direttamente).

Esdebitazione del sovraindebitato: Sia nel concordato minore che nella liquidazione controllata, il debitore persona fisica può chiedere l’esdebitazione al termine. Nel concordato minore è automatica con l’omologa e l’adempimento integrale del piano. Nella liquidazione controllata, il debitore deve cooperare e non aver ostacolato la procedura, e può presentare istanza di esdebitazione una volta chiusa. Il tribunale valuta la condotta: se non ci sono stati atti in frode o violazioni, concede l’esdebitazione, liberando il debitore da tutti i debiti concorsuali residui (restano escluse solo le obbligazioni alimentari, da risarcimento danni da illecito extracontrattuale per dolo o colpa grave, e debiti per multe/ammende così come previsto per il fallimento). Importante: il D.Lgs. 136/2024 ha previsto la creazione di un Fondo di solidarietà per l’esdebitazione degli incapienti . Questo Fondo (gestito da Ministero Giustizia) copre le spese degli OCC/gestori nelle procedure di sovraindebitamento di chi non può permettersele, e può anche distribuire una piccola somma simbolica ai creditori a fronte dell’esdebitazione a costo zero. È un segnale che lo Stato riconosce l’esigenza di aiutare i debitori civili onesti a ripartire.

Esdebitazione “incapienti” (art. 283 CCII): È la novità più dirompente. Consente al debitore persona fisica meritevole, nullatenente di saltare direttamente alla fine: ottenere la cancellazione totale dei suoi debiti senza pagare nulla. È una procedura eccezionale e residuale: si applica solo se davvero il debitore non è in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, né immediata né futura . Quindi se uno ha anche solo un piccolo immobile vendibile, non rientra (dovrà fare la liquidazione controllata). Se invece possiede giusto beni e redditi impignorabili (stipendio minimo vitale, beni di modico valore etc.), allora può presentare istanza di esdebitazione incapiente. Questa istanza si presenta al tribunale con l’assistenza di un OCC, allegando tutta la situazione economica, per dimostrare l’assenza di attivo e l’assenza di comportamenti fraudolenti. Il tribunale valuta la meritevolezza (assenza di dolo/colpa grave nella genesi dei debiti, come per il consumatore) e l’incapienza (calcolo: se dal reddito annuo del debitore si sottrae la quota base per il mantenimento suo e famiglia – parametro art. 283 co.2 – e non rimane niente da destinare ai creditori, è incapiente) . Se tutto è a posto, emette decreto di esdebitazione: immediata inesigibilità di tutti i debiti anteriori . Questo decreto viene comunicato ai creditori. Da quel momento il debitore è libero dai debiti. Tuttavia, per i successivi 3 anni, ha l’obbligo di riferire annualmente al Gestore OCC la propria situazione economica e segnalare eventuali sopravvenienze attive . Se ad esempio riceve un’eredità o trova un lavoro ad alto reddito, una parte di queste nuove utilità che eccedono la soglia di sopravvivenza dovrà essere destinata ai vecchi creditori . Il tribunale ha la facoltà di disporre la comparizione del debitore per verificare queste circostanze e, se scopre che l’esdebitato ha nascosto qualcosa o ha un tenore di vita incongruente, può revocare il beneficio. Se invece trascorrono i 3 anni senza “colpi di fortuna” per il debitore, l’esdebitazione diventa definitiva e anche se dopo il triennio avesse miglioramenti economici, i vecchi creditori ormai non potrebbero più pretendere nulla .

Questa misura, come evidenziato dal Tribunale di Crotone (31 maggio 2025) che l’ha applicata in uno dei primi casi, è una “seconda opportunità” per i debitori sfortunati . Nel caso specifico, un disoccupato con famiglia e nessun bene, soffocato da debiti, è stato dichiarato esdebitato subito, riconoscendo che la sua insolvenza derivava da circostanze sfortunate e non da colpa grave . Il debitore dovrà solo presentare per 3 anni una dichiarazione sui suoi redditi e patrimoni, con la conferma del gestore che non sono aumentati significativamente . Altro caso, Tribunale di Rimini febbraio 2025, simile orientamento; mentre Tribunale di Ferrara, marzo 2025, era stato più restrittivo, sostenendo forse che l’esdebitazione incapienti non potesse essere data immediatamente se non dopo un tentativo di liquidazione – ma la tendenza più recente la vede come istituto autonomo e immediato .

Quando sfruttarla: L’esdebitazione incapiente va vista come ultima spiaggia per debitori civili letteralmente nullatenenti. È molto utile per persone sommerse da debiti (p. es. fideiussioni per prestiti altrui, co-intestatari di mutui di immobili pignorati, vittime di truffe o di usura) che non hanno realisticamente nulla da dare ai creditori. In passato queste persone restavano intrappolate in debiti inesigibili per tutta la vita. Ora hanno una via d’uscita legale e dignitosa. Naturalmente, bisogna fare i conti con la coscienza: chi ha colpe serie (es. ha dissipato patrimonio consapevolmente) non verrà premiato con l’esdebitazione. Ma chi è stato sfortunato ma onesto avrà questa chance di fresh start, in linea con la politica europea di favorire il recupero economico delle persone meritevoli e combattere l’economia sommersa (un indebitato cronico tende a lavorare in nero per sfuggire ai creditori; se lo liberi dai debiti, torna nel circuito legale).

Esempio: Un padre di famiglia ha fatto da garante per il mutuo di un amico; l’amico non paga, la banca escute il garante per €100.000. Il padre non possiede casa (vive in affitto) né beni di valore; ha solo stipendio modesto che però è già pignorato da altri creditori per precedenti vicende. Non ha modo neanche di pagare un 10%. Questo è un tipico caso da esdebitazione incapiente: dimostra che il debito non è frutto di sua malafede (voleva solo aiutare un amico), ora non ha alcuna risorsa. Il giudice gli concede l’esdebitazione immediata. La banca e gli altri creditori non potranno più perseguirlo (lo pignoramento stipendio cessa). Se però entro 3 anni quest’uomo ereditasse una somma o vincesse alla lotteria, dovrebbe restituire fino a copertura dei crediti o comunque quanto stabilito (non l’intera eredità se enorme, ma la parte necessaria a soddisfare integralmente i vecchi creditori fino concorrenza debito ). Dopo 3 anni senza novità, la liberazione diventa irrevocabile.

Nota sulle esclusioni: Anche nelle procedure di sovraindebitamento e nell’esdebitazione incapienti, restano esclusi dal beneficio alcuni tipi di debito: obblighi alimentari/familiari, debiti per risarcimenti derivanti da fatti illeciti dolosi (es. multe penali, danni per reati) e, in genere, obblighi che per legge sono esclusi dal concorso (es. talune sanzioni). Ad esempio, le multe stradali e le ammende penali non sono cancellabili.

Ruolo dell’OCC (Organismo di Composizione della Crisi): È importante menzionare che per accedere alle procedure di sovraindebitamento, il debitore si rivolge normalmente a un OCC (spesso istituito presso gli Ordini professionali o le Camere di Commercio). L’OCC nomina un gestore (o “organismo”) che aiuta a preparare la proposta e relaziona sulla situazione. Il gestore funge poi da commissario o liquidatore su nomina del giudice. Questa figura professionale è fondamentale perché molte persone sovraindebitate non hanno competenze per districarsi nei calcoli e redigere piani credibili; il gestore li assiste ed evita anche che i creditori vengano pregiudicati da piani poco realistici.

Con le procedure di sovraindebitamento, il legislatore ha finalmente fornito ai privati cittadini e piccoli imprenditori strumenti analoghi a quelli delle grandi imprese, pur adattati alla scala minore. Queste soluzioni, poco conosciute nei primi anni, stanno acquisendo rilevanza specie dopo la pandemia e con l’aggravarsi delle crisi familiari legate a debiti eccessivi. La tendenza è di rendere queste procedure sempre più accessibili (ad esempio eliminando costi di accesso tramite il Fondo incapienti ) e di uniformarle ai principi generali delle crisi d’impresa.

Considerazioni pratiche per il debitore e conclusioni

Abbiamo passato in rassegna un ampio spettro di strategie legali per gestire i debiti di un’impresa o di una persona, dalla trattativa amichevole fino alle procedure concorsuali complesse. Dal punto di vista pratico del debitore, emerge qualche consiglio generale:

  • Agire tempestivamente: Qualunque sia la strada scelta, prima si interviene meglio è. Riconoscere i segnali di crisi e muoversi (negoziando, attivando una composizione negoziata, ecc.) può fare la differenza tra un risanamento riuscito e un fallimento disastroso. Il CCII impone agli amministratori delle società di attivarsi per tempo (dovere di istituire adeguati assetti per rilevare la crisi). Ignorare il problema e accumulare ritardi aggrava il passivo e riduce le opzioni legali disponibili, oltre ad esporre il management a responsabilità (per indebita prosecuzione dell’attività).
  • Trasparenza e collaborazione: Nel rapporto con i creditori e con eventuali organi della procedura, l’onestà paga. Un debitore che nasconde asset o tiene condotte ostruzionistiche vedrà fallire i suoi tentativi di accordo e rischia di perdere i benefici (ad esempio, la non meritevolezza gli precluderà il piano del consumatore o l’esdebitazione). Invece un atteggiamento collaborativo – fornire documentazione completa, ammettere le proprie difficoltà, proporre soluzioni ragionevoli – incentiva i creditori a trovare un accordo e i giudici a concedere misure favorevoli (si pensi alla Cassazione 2025 che valorizza il debitore che attiva la composizione negoziata come indice di buona fede ). Anche durante la procedura, ad esempio in un concordato, il giudice/commissario noteranno se il debitore sta agendo correttamente o se tenta distrazioni.
  • Valutare l’impatto di ogni opzione: Ogni strategia ha pro e contro: il piano attestato mantiene controllo ma può fallire se un creditore tira dritto; il concordato vincola tutti ma è costoso e pubblico; la composizione negoziata è protetta e flessibile ma non garantisce esito; la liquidazione taglia la testa al toro ma comporta la perdita dell’azienda. Bisogna quindi bilanciare le priorità: salvare l’attività produttiva (preferendo piani in continuità), oppure minimizzare il danno patrimoniale (a volte liquidare subito evita emorragia di risorse), oppure tutelare garanti e patrimonio personale. Spesso le sorti dell’impresa e quelle personali degli imprenditori sono legate: es. i soci hanno garantito i debiti bancari. In tal caso può servire un approccio combinato: ad esempio, la società fa un concordato, mentre i soci-guaranti parallelamente attivano un piano del consumatore per i debiti di garanzia, coordinando le due procedure. O ancora, un imprenditore individuale potrebbe dover valutare se rientra in concordato minore (se la sua è impresa minore) o se deve usare il piano consumatore (se i debiti sono soprattutto privati) o entrambi.
  • Proteggere i beni essenziali: Un debitore persona fisica magari vuole salvare la prima casa o i beni familiari. Alcune procedure, come il piano del consumatore, possono permettere di mantenere la casa se si riesce a pagare almeno il mutuo (magari chiedendo la moratoria di un anno sulle rate ). In un concordato, il debitore potrebbe scegliere di pagare integralmente il creditore ipotecario sulla casa per evitare la vendita forzata dell’immobile (spesso i creditori concordano se vedono più convenienza). Va ricordato però che atti come creare un fondo patrimoniale o trasferire immobili ai figli all’ultimo momento non sono strategie legali efficaci: se fatti in prossimità della crisi, tali atti sono facilmente revocabili e possono configurare reati (distrazione patrimoniale). Meglio includere i beni nel piano e negoziare con i creditori un modo per mantenerli (ad esempio, vendendo altro o dilazionando il pagamento).
  • Costi e benefici: Affrontare un concordato o un accordo richiede risorse (pagare attestatore, OCC, spese legali). Il debitore deve valutare se ha liquidità per sostenere la procedura; a volte può sembrare paradossale spendere soldi quando se ne devono. Tuttavia, è un investimento per ridurre il debito complessivo. Oggi, con i nuovi strumenti, se il debitore è nullatenente, può evitare anche i costi: grazie al Fondo per gli incapienti introdotto, il compenso dell’OCC e le spese possono essere coperte dallo Stato . Dunque non bisogna rinunciare a procedere solo per paura dei costi: si può chiedere al tribunale l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato o l’intervento del Fondo se ne ricorrono i presupposti.
  • Implicazioni future: Il debitore d’impresa dovrebbe considerare come ogni scelta incide sul suo futuro imprenditoriale. Ad esempio, un concordato preventivo omologato non impedisce al vecchio imprenditore di continuare l’attività o aprire nuove imprese (non c’è interdizione, a differenza del fallimento, se non per il tempo della procedura). Un fallimento con esdebitazione restituisce libertà, ma durante gli anni da fallito l’imprenditore non poteva gestire società. Le procedure di sovraindebitamento non impongono inabilitazioni (tranne l’ovvio impegno a pagare il piano). Quindi, se un imprenditore spera di rimettersi in gioco presto, può preferire un concordato minore o una composizione negoziata che si concludano positivamente, piuttosto che subire una liquidazione giudiziale che lo blocca per anni.

In conclusione, l’ordinamento offre oggi tutte le strategie legali per affrontare situazioni debitorie difficili, privilegiando ove possibile la composizione e il risanamento, ma garantendo anche procedure di liquidazione ordinate e soluzioni umanitarie per i casi più disperati. Il debitore – assistito da professionisti competenti – ha il dovere di scegliere lo strumento più adeguato e di perseguirlo con correttezza e impegno. Dall’altro lato, i creditori beneficiano di un quadro di regole che assicura trasparenza e, in linea di massima, il miglior soddisfacimento possibile dati i vincoli (ad esempio con il principio che in ogni piano concordatario devono ricevere almeno quanto avrebbero in una liquidazione alternativa). La sfida pratica è spesso convincere tutte le parti che un accordo ragionevole è win-win rispetto alla corsa caotica al rimborso individuale. Le riforme recenti – come la composizione negoziata e l’omologazione forzosa contro creditori ostinati – vanno proprio nella direzione di incentivare soluzioni collettive e scoraggiare comportamenti distruttivi (come il creditore che precipita l’azienda in fallimento per ottenere un vantaggio effimero).

Dal punto di vista di un avvocato o consulente che assiste il debitore, questa guida evidenzia l’importanza di avere una conoscenza trasversale di tutti gli istituti per poter confezionare la strategia ottimale: a volte sarà un mix (es: accordo stragiudiziale parziale con certi creditori e per il resto concordato), altre volte occorrerà passare da uno strumento all’altro (es: composizione negoziata seguita da concordato semplificato). Il tutto sempre con un occhio agli sviluppi normativi e giurisprudenziali più recenti, perché in un campo così delicato basta una modifica di legge (vedi i correttivi del Codice) o una pronuncia innovativa (vedi Cass. 30109/2025) per aprire nuove opportunità o rischi.

In sintesi, gestire i debiti di un’impresa legalmente significa: analisi accurata della situazione finanziaria, scelta ponderata dello strumento legale, esecuzione diligente del piano scelto e, in ogni caso, affidarsi a professionisti specializzati in crisi d’impresa e insolvenza. Così facendo, anche dal debito più opprimente si può uscire – salvando l’azienda se possibile, o quantomeno salvando la persona dal lascito dei debiti impagabili, in modo conforme alla legge e senza scorciatoie illecite.

Domande Frequenti (FAQ)

Domanda: Un imprenditore “sotto soglia” (impresa minore) può accedere al concordato preventivo classico?
Risposta: No, le imprese minori (cioè con attivo ≤ €300k, ricavi ≤ €200k, debiti ≤ €500k ) non possono accedere al concordato preventivo ordinario – riservato ai soggetti fallibili – ma hanno a disposizione il concordato minore nel sovraindebitamento. Tale procedura funziona in modo analogo ma con regole semplificate (es. silenzio-assenso nei voti) per adattarsi a realtà di piccole dimensioni. Se però l’impresa minore lo desidera, può anche evitare il voto dei creditori ricorrendo alla liquidazione controllata (liquidazione dei beni) o, se consumatore, al piano del consumatore. In sintesi: grandi imprese -> concordato preventivo; piccole imprese -> concordato minore (o altre soluzioni da sovraindebitamento).

Domanda: I debiti fiscali e contributivi possono essere inseriti e ridotti nei piani di ristrutturazione o nei concordati?
Risposta: Sì, i debiti verso Fisco e INPS possono essere compresi nei piani e anche falcidiati (ridotti) o dilazionati, ma con alcune condizioni speciali. Nel concordato preventivo e concordato minore, la proposta al Fisco/Enti è chiamata “transazione fiscale” e deve garantire almeno il rimborso di quanto quei crediti avrebbero ottenuto in una liquidazione fallimentare . Se l’Erario vota contro ma tale condizione è rispettata (ed il piano non è fraudolento), il tribunale può ugualmente omologare (cram-down fiscale) . Sono però esclusi dal cram-down i casi di contribuenti fiscalmente scorretti: ad esempio se oltre il 50-80% dei debiti sono IVA o ritenute non versate sistematicamente, il giudice non potrà imporre lo stralcio senza adesione erariale . Negli accordi di ristrutturazione, analogamente, il Fisco può aderire o meno; se non aderisce ma il suo voto sarebbe decisivo e il piano non è liquidatorio, il tribunale può forzare l’omologa salvo condotte fiscali gravemente abusive . Nella composizione negoziata, addirittura, con la riforma 2024 il debitore può stringere un accordo fiscale ad hoc con l’Agenzia Entrate per pagare in parte e a rate i tributi scaduti , accordo efficace se validato dal tribunale, senza attendere una procedura concorsuale formale. Dunque, le norme attuali consentono di ridurre carichi fiscali e contributivi nei piani, ma richiedono trasparenza e che lo Stato non sia trattato peggio degli altri creditori. Fanno eccezione alcune somme non riducibili per legge (es. l’IVA teoricamente è riducibile, non essendo risorsa UE diretta , mentre ad es. le somme per contributi previdenziali dovuti ai dipendenti potrebbero dover essere pagate integralmente in certi scenari di accordo).

Domanda: Quali debiti non possono essere cancellati nemmeno con queste procedure?
Risposta: Ci sono debiti che, per legge, non possono essere toccati o restano comunque a carico del debitore. In particolare:
– Gli obblighi di mantenimento e alimentari (verso coniuge, figli, etc.) non possono essere falcidiati da un concordato né esdebitati: vanno pagati integralmente e continuativamente.
– I debiti per risarcimento di danni da fatto illecito se derivanti da dolo o colpa grave (es: debiti per aver provocato lesioni intenzionalmente) in genere non godono dell’esdebitazione: la legge esclude dalla liberazione questi debiti “punitivi”.
– Le multe, ammende e sanzioni penali pecuniarie non possono essere condonate tramite concorso né esdebitate (art. 282 co.3 CCII); anche certe sanzioni amministrative di particolare natura potrebbero dover essere escluse.
– I debiti impignorabili per legge: in realtà, per definizione non entrano nel concorso perché il creditore non può agire sugli asset – esempi sono i crediti alimentari a favore del debitore. Il piano non li coinvolge affatto.
In pratica, se Tizio ha un debito per multa stradale o per assegno di mantenimento, quei debiti non potranno essere ridotti nel concordato o accordo: dovrà continuare a pagarli a parte. Nei piani del consumatore, la legge chiede espressamente di garantire il pagamento regolare di eventuali crediti impignorabili ex art. 545 c.p.c. (tipicamente alimenti) . I creditori esclusi dall’esdebitazione post-liquidazione sono indicati all’art.282 CCII e coincidono con quanto detto sopra. Dunque, le procedure concorsuali non sono uno strumento per eludere obblighi verso la famiglia o lo Stato derivanti da condotte illecite. Tuttavia, a parte queste categorie ristrette, tutti gli altri debiti (finanziamenti, fornitori, mutui, leasing, bollette, cartelle esattoriali per imposte, etc.) possono essere compresi e potenzialmente ridotti.

Domanda: Che succede se, dopo l’omologazione di un piano concordatario o di ristrutturazione, il debitore non rispetta gli impegni (es. salta dei pagamenti)?
Risposta: In tal caso, si va incontro alla risoluzione della procedura. Più precisamente, per un accordo di ristrutturazione omologato, la legge prevede che l’accordo si risolve di diritto se il debitore non esegue integralmente quanto dovuto entro 60 giorni dalle scadenze previste . Quindi basta un inadempimento rilevante per far decadere l’accordo, e i creditori riacquistano le loro pretese originarie (dedotto quanto eventualmente già ricevuto). Per il concordato preventivo, il commissario o i creditori possono chiedere al tribunale di dichiarare la risoluzione del concordato se il debitore è inadempiente o se diventa impossibile attuare il piano (art. 121 CCII). Ottenuta la risoluzione, si aprirà di norma la liquidazione giudiziale dell’ex concordato, salvo che vi siano alternative. Anche nel concordato minore vale simile principio: l’OCC o i creditori possono istanziare la risoluzione all’autorità giudiziaria, e si potrebbe aprire la liquidazione controllata. Nel piano del consumatore, se il consumatore non paga secondo il piano, i creditori possono chiedere la revoca dell’omologazione e allora i debiti “rivivono” per intero (salvo eventualmente proporre un nuovo piano). In sintesi, l’omologa di un piano non cancella immediatamente i debiti: la cancellazione definitiva (esdebitazione) arriva solo dopo la completa esecuzione di quanto promesso. Se il debitore non adempie, perde il beneficio e i creditori possono riprendere le azioni di recupero sul dovuto residuo. Fanno eccezione i casi di modifica del piano: se le difficoltà sono temporanee, il debitore può chiedere di modificare le scadenze (nel concordato occorre nuova votazione, nel piano consumatore si può chiedere al giudice un’aggiustamento), ma servono giustificati motivi e accordo. Altrimenti, il default comporta la fine “patologicamente” della procedura concordata. Ecco perché è cruciale proporre piani realistici e sostenibili: altrimenti si rinvia solo il problema di qualche mese/anno.

Domanda: Quanto dura una procedura concorsuale?
Risposta: La durata varia a seconda dello strumento e della complessità del caso. Indicativamente:
– Una composizione negoziata ha durata breve: l’esperto è nominato entro 30 giorni dall’istanza e la trattativa dura al massimo 6 mesi prorogabili di altri 6 (in media 3-6 mesi per vedere risultati). È pensata per essere rapida.
– Un accordo di ristrutturazione standard può concludersi nell’arco di 4-8 mesi: tempo per negoziare con i creditori le firme (magari 2-3 mesi, a volte già raccolte prima del deposito) e circa 2-4 mesi per ottenere l’omologa in tribunale (che di solito verifica e omologa senza attendere oltre se non ci sono opposizioni).
– Un concordato preventivo generalmente richiede più tempo: dalla presentazione alla votazione e omologa spesso trascorrono 6-12 mesi. Dopo l’omologa, l’esecuzione del piano può durare anni (es. piani quinquennali). La procedura “tecnica” però termina con il decreto di omologa; poi c’è la fase di esecuzione vigilata. Alcuni concordati complessi possono durare anche 2 anni per arrivare all’omologa (specie se ci sono opposizioni e appelli), ma il CCII mira a velocizzare (fissa termini stretti per varie fasi).
– Una liquidazione giudiziale (fallimento) purtroppo è la più lunga: la durata media in Italia è stata storicamente 5-7 anni, ma varia molto. Procedure con pochi beni possono chiudersi in 2-3 anni. Altre con contenziosi o beni difficili da vendere vanno oltre 10 anni. Il CCII vorrebbe ridurre i tempi, ad esempio incoraggiando vendite più rapide. Realisticamente, i fallimenti di media complessità attorno ai 4-5 anni. La liquidazione controllata (sovraindebitamento) di solito è più rapida perché il patrimonio è più piccolo: può chiudersi in 2-3 anni, salvo intoppi.
– Un piano del consumatore di regola dura quanto il piano di pagamento proposto: es. se il piano prevede pagamenti su 4 anni, allora 4 anni; però l’iter per ottenere l’omologa iniziale è breve (3-6 mesi di solito). Idem per concordato minore: l’omologa entro 6-8 mesi, l’esecuzione poi secondo il piano (anni).
– L’esdebitazione incapiente è invece rapidissima: il tribunale decide sull’istanza presumibilmente in pochi mesi e con il decreto di accoglimento i debiti sono azzerati immediatamente, salva la finestra di 3 anni di controllo su eventuali miglioramenti. Quindi dal punto di vista del debitore, è la via più veloce per “uscire” dal tunnel (appena qualche mese, a fronte di procedure di pagamento che durerebbero molto di più).

In sintesi, le procedure di accordo hanno tempi contenuti fino all’omologazione, ma se prevedono pagamento dilazionato, l’effetto finale (liberazione dai debiti) arriva a fine piano. Le procedure liquidatorie hanno tempi più incerti perché legati alla vendita beni e alla burocrazia di chiusura. Per questo, quando possibile, se ne preferiscono di più snelle (es. concordato semplificato o liquidazione controllata piuttosto che fallimento lungo).

Domanda: Attivare una procedura concorsuale (es. concordato, sovraindebitamento) rovinerà la reputazione dell’impresa?
Risposta: Ovviamente rendere pubblica una crisi ha un impatto sulla reputazione creditizia e commerciale, ma i diversi strumenti lo influenzano in misura diversa. L’apertura di un concordato preventivo viene iscritta nel Registro delle Imprese e nei pubblici registri: fornitori, banche e controparti lo verranno a sapere. Questo può creare sfiducia: alcuni fornitori potrebbero sospendere le forniture (anche se teoricamente non dovrebbero rescindere i contratti solo per quello), le banche probabilmente bloccheranno linee di credito. Quindi, sì, c’è un danno reputazionale a breve termine. Tuttavia, se il concordato va a buon fine, l’impresa ne esce risanata e può riabilitarsi: anzi, l’aver evitato il fallimento può essere visto positivamente da futuri partner. Per 5 anni l’annotazione di concordato rimane visibile in Camera di Commercio, poi viene annotata la chiusura. Un accordo di ristrutturazione è meno visibile: viene pubblicato anch’esso in Registro Imprese, ma la procedura avviene in camera di consiglio, spesso senza clamore mediatico. E se l’accordo coinvolge soprattutto banche (che magari hanno un approccio razionale), l’impatto su clienti/fornitori può essere limitato (molti potrebbero neanche accorgersene se non vengono toccati). La composizione negoziata inizialmente è confidenziale: la nomina dell’esperto non è di dominio pubblico finché non si chiedono misure protettive (che vengono pubblicate). Quindi l’impresa potrebbe condurre trattative quasi segrete; solo se servono protezioni o se alla fine si formalizza un concordato, emergerà pubblicamente. Quindi, come strumento di allerta precoce, la CN cerca proprio di evitare danni reputazionali irreversibili. Le procedure di sovraindebitamento (piano del consumatore, concordato minore) prevedono anch’esse un’omologazione pubblica, ma trattandosi spesso di persone fisiche o microimprese, la risonanza è minore (comunque l’omologa è depositata in cancelleria e spesso comunicata ai creditori, ma non c’è un registro imprese per i privati; per le imprese minori invece sì, c’è iscrizione). In generale, va messo in conto che dichiarare lo stato di crisi può spaventare partner commerciali. A volte però anticipare i fatti è meglio: se i fornitori scoprono da soli un tuo problema (es. un protesto o pignoramento), si allarmano molto di più che non essere coinvolti in un piano concordato dove intravedono una soluzione e magari vengono pagati parzialmente ma in modo certo. Quindi la reputazione può perfino guadagnarne nel lungo termine se la procedura risolve la situazione: un’azienda che chiude un concordato con successo dimostra affidabilità e capacità gestionale, mentre un’azienda che nasconde i problemi e fallisce all’improvviso lascia tutti di stucco (e scontenti). Oggi c’è anche più cultura della seconda opportunità: essere passati per un concordato non è più un marchio infamante a vita – specie dopo la pandemia, ristrutturazioni e insolvency sono viste come eventi fisiologici di mercato. Dunque, meglio qualche titolo in tribunale che nascondere debiti sotto il tappeto finché scoppia il bubbone.

Domanda: Dopo l’esdebitazione, il debitore può tornare ad avere un’attività economica senza vincoli?
Risposta: Sì. L’esdebitazione – sia post-fallimento sia quella ex legge 3/2012/CCII – ha proprio lo scopo di riabilitare il debitore onesto. Una volta ottenuta l’esdebitazione (che nel fallimento va chiesta e decretata, nel concordato di fatto è automatica dopo esecuzione), il debitore persona fisica è libero dai debiti pregressi e può intraprendere nuove iniziative. Ad esempio, un ex fallito esdebitato può aprire una nuova società o attività imprenditoriale; potrà accedere al credito (compatibilmente con le politiche di rischio: realisticamente, il suo credit score può restare segnato per un po’). Legalmente, l’esdebitato non è più considerato “cattivo pagatore” per quei debiti cancellati. Nel caso dell’esdebitazione incapiente c’è quel periodo di osservazione di 3 anni in cui se guadagna molto deve dare ai vecchi creditori , ma passato quello, è a tutti gli effetti ripartito da zero. Va però ricordato che l’esdebitazione è unica: la legge (art.280 CCII) dice che non si può ottenere una seconda esdebitazione nei 10 anni successivi (o mai più, in caso di incapiente è one-shot). Quindi un debitore risollevato che fa nuovi debiti non potrà contare su un altro “condono” giudiziale tanto facilmente. Questo per evitare abusi. Per le società, il discorso è diverso: una società dopo un concordato eseguito continua la sua vita semplicemente con meno debiti; se la società invece è liquidata (concordato liquidatorio o fallimento), essa viene estinta, quindi non c’è un “dopo” per la medesima persona giuridica, ma i soci possono aprirne un’altra. I soci di società fallita – se non ci sono bancarotte fraudolente – possono anch’essi proseguire l’attività imprenditoriale tramite altre società (non c’è più la sanzione dell’interdizione perpetua; al massimo, durante il fallimento erano interdetti, ma dopo la chiusura sono liberi). Addirittura la legge fallimentare prevedeva la riabilitazione del fallito dopo un anno dall’esdebitazione, cancellando ogni effetto anche sui casellari. Dunque, sì, l’obiettivo è reintegrare il debitore nel sistema economico. Alcuni creditori privati (come banche) potrebbero essere prudenti a fare nuovo credito a chi ha un’insolvenza pregressa, ma col tempo e con eventuali garanzie ciò si supera. Normativamente, non c’è preclusione: un fallito esdebitato può tornare ad essere amministratore di società (prima era inibito durante la procedura), può contrarre mutui, ecc. Insomma, l’incubo debitorio è finito e si può ricostruire la propria affidabilità.

Domanda: Quali sono i costi da affrontare per avviare queste procedure legali?
Risposta: I costi variano molto in base alla procedura e al caso concreto, ma si possono distinguere:
Costi di consulenza professionale: onorari di avvocati, commercialisti, attestatori. Un piano attestato richiede l’attestatore; un concordato richiede avvocato per il ricorso e attestatore per la relazione di fattibilità; un piano consumatore richiede il compenso dell’OCC/gestore e di solito l’assistenza di un legale. Questi costi spesso sono proporzionati all’entità del debito o del patrimonio. Ad esempio, l’attestatore prende qualche migliaio di euro o più, il commissario/gestore pure ha diritto a un compenso stabilito dal giudice (a carico del debitore).
Contributo unificato e spese di procedura: presentare un concordato in tribunale comporta un contributo unificato (alcune centinaia di euro) e marche. Nel sovraindebitamento, l’OCC di solito chiede un fondo spese iniziale (es. 200-400 €) e poi il compenso finale viene stabilito nel decreto di omologa (spesso percentuale sul debito o sull’attivo liquidato). Nel fallimento, i costi sono prelevati dall’attivo (il curatore è pagato col ricavato, quindi indirettamente dal debitore).
Fondo incapienti: Come citato, dal 2024 c’è un Fondo statale che copre i costi delle procedure di sovraindebitamento per chi non ce la fa. Questo significa che se un soggetto è nullatenente, può accedere al piano o esdebitazione senza dover pagare di tasca il gestore e le spese (sarà l’OCC a chiedere rimborso al Fondo) . Ciò rimuove un grande ostacolo che era: “non ho soldi per fallire o per fare un piano”. Adesso, almeno per i privati meritevoli, quello non è più un problema.
Altri costi eventuali: se il piano richiede operazioni particolari (es. un commercialista per predisporre piani finanziari, perizie di stima di beni, ecc.), vanno considerati. Nel concordato magari c’è da pagare un perito che stimi un immobile, ecc.

Molti professionisti in ambito crisi modulano i pagamenti in base all’esito (ad es. parte del compenso solo se omologa riuscita). Inoltre, il debitore può chiedere il patrocinio a spese dello Stato se ha i requisiti di reddito, per coprire le spese legali. Complessivamente, un concordato preventivo può costare decine di migliaia di euro (nelle grandi imprese anche di più, tra compenso commissario, attestatore, legali). Un piano del consumatore è molto più abbordabile: alcuni OCC applicano tariffe di poche migliaia di euro totali. E con il Fondo, quell’importo potrebbe essere coperto. In ogni caso, spesso parte di questi costi vengono pagati dilazionati nel piano stesso (il tribunale può autorizzare il debitore a pagare in prededuzione i professionisti con rate durante la procedura). Dunque, il debitore raramente deve tirar fuori tutto e subito. È fondamentale però farsi fare dai professionisti un’idea chiara dei costi iniziali (ad es: per presentare un concordato occorre subito pagare l’attestatore X € e acconti legali Y €). Se il debitore davvero non dispone nemmeno di quell’importo, si valuta una procedura che non lo richieda (esdebitazione diretta).

Domanda: È possibile bloccare immediatamente un pignoramento o un’azione esecutiva attivando una procedura concorsuale?
Risposta: Sì, uno dei vantaggi chiave di procedure come il concordato, l’accordo di ristrutturazione e anche quelle di sovraindebitamento è proprio la sospensione delle azioni esecutive dei creditori. Nel dettaglio:
– Se si deposita un ricorso di concordato preventivo “con riserva” (art. 44 CCII) o un ricorso completo, il tribunale, con il decreto di ammissione, dispone il blocco dei pignoramenti: i creditori chirografari non possono iniziarne di nuovi, quelli in corso rimangono sospesi. Addirittura i creditori privilegiati (es. la banca mutuo) non possono espropriare i beni senza autorizzazione del giudice. Quindi, presentare domanda di concordato serve a “congelare” le posizioni. Lo stesso per il concordato minore nel sovraindebitamento: con il decreto di apertura, il giudice ordina la sospensione delle esecuzioni (art. 69 CCII per consumatore e analoghe per minore).
– Nell’accordo di ristrutturazione, il debitore può chiedere le misure protettive sin dalla pubblicazione dell’istanza ex art.54 CCII: il tribunale può inibire azioni esecutive e cautelari per fino a 4 mesi mentre si perfeziona l’accordo .
– Nella composizione negoziata, come detto, il debitore può chiedere misure protettive appena inizia la procedura: il tribunale emette decreto che vieta ai creditori di iniziare o proseguire esecuzioni per la durata della trattativa (rinnovabile) . Anche eventuali istanze pre-fallimentari sono sospese.
– Nel piano del consumatore (ristrutturazione del consumatore), la legge prevede che il giudice, ricevuto il ricorso, possa sospendere fino all’omologazione le procedure esecutive in corso su istanza del debitore (art. 70 co.4 CCII) . Tipicamente, se c’è un pignoramento in atto sulla casa o stipendio, il consumatore chiede e ottiene la moratoria fino a quando si decide sul piano.
– Una volta omologato un concordato o un accordo, vige per legge il divieto di iniziare o proseguire azioni su crediti anteriori, salvo quanto previsto dal piano. Quindi i pignoramenti pendenti vengono chiusi (il creditore va a insinuarsi nel concordato). Lo stesso per l’omologa di un piano del consumatore: annulla le procedure esecutive relative a quei crediti. – Ovviamente, se la procedura poi non va a buon fine (es. concordato non omologato), le azioni riprendono efficacia retroattivamente (ma spesso i creditori in quell’intervallo trovano un accordo o rimangono in stand-by).

In conclusione, sì, attivare tempestivamente la procedura concorsuale giusta è lo strumento legale per bloccare un pignoramento. Ad esempio, se un creditore ha un’asta immobiliare fissata, il debitore può depositare una domanda di concordato prima dell’aggiudicazione: l’asta verrà sospesa e poi eventualmente annullata se il concordato procede. Oppure, un consumatore con stipendio pignorato può presentare un piano: il giudice può sospendere la trattenuta sullo stipendio in attesa dell’omologa (spesso la blocca, perché è preferibile distribuire equamente via piano). Attenzione però: non bisogna abusare di questa chance in malafede. La legge punisce chi chiede misure protettive col concordato o accordo senza poi depositare il piano serio (ad esempio la “domanda in bianco” di concordato usata solo per guadagnare tempo può essere dichiarata inammissibile e far precipitare in fallimento). Ma se c’è genuina volontà di fare un piano, la protezione anti-pignoramenti è legittima e efficace.

Domanda: Un socio o amministratore di società fallita ha responsabilità personali sui debiti sociali?
Risposta: In generale, la regola cardine è che per le società di capitali (s.r.l., s.p.a.) i soci non rispondono dei debiti sociali oltre il capitale conferito; e gli amministratori neppure, salvo abbiano compiuto illeciti (in tal caso rispondono per danni). Quindi se una società va in liquidazione giudiziale o concordato e i creditori subiscono perdite, i soci non pagano di tasca propria (eccetto soci illimitatamente responsabili di s.a.s. o s.n.c., che invece rispondono con patrimonio personale e possono a loro volta essere dichiarati falliti se la società fallisce). Gli amministratori potrebbero essere chiamati a rispondere per mala gestio solo se c’è stata colpa grave o violazioni (azione di responsabilità promossa dal curatore, ad es. per aver aggravato il dissesto). Ma per il mero fatto del fallimento, non c’è responsabilità automatica. Tuttavia, molti soci e amministratori rilasciano garanzie personali (fideiussioni) alle banche o fornitori per far ottenere credito alla società. Quelle garanzie sono debiti personali: se la società non paga, il creditore escute il garante. In tali casi, il socio/amministratore si trova debitore personalmente e non è protetto dalla procedura sociale. Ad esempio, la srl fallisce e non paga la banca, la banca attacca la casa del socio fideiussore. Per affrontare ciò, il socio dovrà eventualmente fare ricorso alle procedure di sovraindebitamento personali (piano del consumatore se era garanzia per ragioni personali/familiari, oppure concordato minore se è debito legato all’attività imprenditoriale personale). Capita spesso quindi che fallita la società, i soci guaranti seguano con un piano di liberazione dai debiti residui. Altro rischio per amministratori: se hanno commesso irregolarità gravi (distrazioni di beni, falso in bilancio per ottenere credito, ecc.), possono incorrere in responsabilità penali (bancarotta) e i creditori sociali insoddisfatti potrebbero opporsi a loro eventuali esdebitazioni sostenendo che vi è dolo. Ma se hanno agito correttamente e il fallimento è dovuto a sfortuna o mercato, non c’è colpa e non devono ripagare di persona i debiti sociali. In breve: la procedura concorsuale di società di capitali protegge il patrimonio personale di soci e amministratori, a meno di garanzie prestate o di condotte illecite. Viceversa, per le imprese individuali non c’è distinzione: l’imprenditore risponde con tutto e quindi se l’azienda fallisce, è il suo patrimonio personale che è aggredito – ma potrà poi chiedere l’esdebitazione per tornare libero dai debiti residui.

Domanda: È possibile salvare la propria abitazione dalla vendita forzata attraverso queste procedure?
Risposta: Dipende: la casa di abitazione è spesso oggetto di ipoteca della banca o comunque appetibile per i creditori. Non c’è una regola che la tutela automaticamente nelle procedure concorsuali (come invece avviene in alcuni ordinamenti esteri). Tuttavia, ci sono alcune possibilità:
– Nel piano del consumatore, il debitore può proporre di mantenere la casa continuando a pagare il mutuo normalmente, magari allungandone la durata, e offrire ai creditori chirografari altre risorse. Spesso i giudici accettano piani che non costringono a vendere la prima casa, ritenendo ciò coerente con la meritevolezza se i creditori non ipotecari comunque ricevono il massimo che il debitore può dare senza perdere la casa. Inoltre il piano può sospendere le rate del mutuo fino a 12 mesi per dare respiro, senza che la banca possa agire nel frattempo. Certo, se c’è molto equity (valore) nella casa e intanto i chirografari prendono briciole, il giudice potrebbe pretendere la messa a disposizione di parte di quel valore (es. nuova ipoteca a favore del piano). È un equilibrio delicato.
– Nel concordato preventivo o minore, il debitore potrebbe classificare la banca ipotecaria in una classe a sé, pagando integralmente (o rinegoziando con il suo consenso) il mutuo, in modo che la banca non abbia interesse a escutere l’immobile. I creditori chirografari vengono soddisfatti con altri beni o flussi. Se ciò è fattibile (ad es. i flussi di cassa dell’azienda bastano a pagare banca e dare qualcosa ai chirografari), la casa resta al debitore. Nel concordato, però, se la casa è un asset su cui altri creditori potrebbero soddisfarsi, sarà il ceto creditorio a dover accettare un piano che la esclude dalla liquidazione. Spesso ciò è possibile solo se la casa è già ipotecata quasi al valore di mercato (quindi poco margine per i chirografari).
– Nel fallimento/liquidazione, non c’è scampo: la casa di proprietà entra nella massa e viene venduta all’asta, salvo che sia di valore trascurabile. Non esistono esenzioni per “prima casa” nel fallimento italiano (a differenza di alcuni paesi dove la homestead è parzialmente protetta). Però, se dopo la vendita della casa in fallimento il debitore rimane privo di alloggio, può chiedere al giudice un sussidio sull’attivo per le esigenze abitative (raramente concesso, ma teoricamente possibile).
– Un escamotage legale che alcuni tentano è il fondo patrimoniale o il trust familiare: conferire la casa in fondo patrimoniale per sottrarla ai creditori. Tuttavia, ciò funziona solo se fatto molto prima che i debiti sorgano ed esclusivamente per debiti estranei ai bisogni familiari. Nel 90% dei casi, i creditori (soprattutto banche) riescono a revocare in giudizio l’atto di costituzione del fondo se era in frode alle loro ragioni (e tipicamente lo è, se fatto quando i debiti già c’erano o erano prevedibili). Quindi non è una vera soluzione, anzi può aggravare la posizione del debitore (viene tacciato di frode).
In generale, il modo migliore per cercare di salvare la casa è includerla responsabilmente nel piano: o pagarne i creditori correlati (mutuo) regolarmente, o se serve liquidarne una parte di valore con un nuovo finanziamento. Ad esempio, in alcuni piani del consumatore si propone: mantenere l’abitazione, ma contrarre un nuovo finanziamento ipotecario con cui pagare i creditori chirografari un tot%. Così i creditori vengono soddisfatti e il debitore tiene la casa (sostituendo i debiti chirografari con un debito ipotecario nuovo, sostenibile). Serve ovviamente che la persona abbia reddito per pagare tale finanziamento. Altre volte si può ricorrere a un familiare che rileva l’immobile pagando i creditori, consentendo al debitore di continuare a viverci (una sorta di buy-back). Insomma, è un tema molto caso-specifico. Da notare anche: se la casa è cointestata con coniuge non debitore, solo la quota del debitore è aggredibile e spesso in sede di piano si può prevedere che l’altro coniuge compri la quota in vendita.
Riassumendo: nessuna procedura concorsuale garantisce al 100% la salvezza della casa, ma in quelle negoziali c’è più flessibilità per trovare soluzioni creative e salvaguardare l’abitazione, mentre nelle liquidatorie pure purtroppo la casa verrà venduta.

Fonti e Riferimenti

  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14) – Testo normativo italiano che disciplina le procedure concorsuali e di sovraindebitamento, aggiornato con le modifiche dei decreti correttivi (D.Lgs. 147/2020, 83/2022 e 136/2024 “Correttivo-ter”). Articoli citati: 2 (definizioni, impresa minore) , 23 co.2-bis (accordo fiscale composizione negoziata) , 56 (piano attestato) , 57-63 (accordi ristrutturazione), 60-61 (accordi agevolati ed estesi) , 69-70 (piano consumatore, misure protettive) , 74-83 (concordato minore) , 84-90 (concordato preventivo), 54 (misure protettive accordi) , 64-bis – 64-ter (concordato semplificato post CN), 268-270 (liquidazione controllata) , 272 (attivo sopravvenuto in liquidazione controllata) , 278-282 (esdebitazione a fine liquidazione), 283 (esdebitazione del debitore incapiente, mod. D.Lgs.136/2024) .
  • Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento Europeo e del Consiglio (20 giugno 2019) – in materia di ristrutturazione e insolvenza, recepita dall’Italia nel CCII (ha ispirato composizione negoziata, fresh start etc.) .
  • Cassazione Civile, Sez. I, 9 luglio 2025 n. 30109 – Sentenza storica che riconosce effetti “protettivi” alla composizione negoziata ultra concorsuali: la pendenza di una trattativa con esperto e un piano credibile riducono il periculum e possono impedire misure cautelari aggressive dei creditori . Evidenzia la composizione negoziata come strumento trasversale di tutela per le imprese in crisi . Fonte: articolo di commento FiscoeTasse, 19/09/2025, D. Lo Conte .
  • Cassazione Civile, Sez. I, 27 luglio 2023 n. 22890 – Pronuncia che chiarisce il criterio di meritevolezza nel piano del consumatore alla luce della riforma: va valutato solo se il sovraindebitamento è stato causato da colpa grave, malafede o frode del consumatore, criterio oggi previsto dall’art. 69 CCII, abbandonando il precedente triplice test rigido . Fonti: IlCaso.it, commento di A. Mancini ; Eutekne.info, 28/09/2023 (nota su Cass. 22890/2023) .
  • Tribunale di Crotone, 31 maggio 2025 (RG EDI 1/2025) – Decreto di applicazione dell’art. 283 CCII (esdebitazione incapiente) ad un debitore persona fisica totalmente privo di beni, riconosciuto meritevole. Ha escluso la “colpa grave o mala fede” in un caso di debiti accumulati per sfortuna e disposto l’immediata inesigibilità dei debiti anteriori . Ha altresì imposto al debitore l’obbligo di relazione periodica sulle proprie condizioni per 3 anni, con eventuale revoca del beneficio se sopravvengono utilità significative . Fonte: Articolo “Debitori sfortunati liberi”, ItaliaOggi 10/06/2025, riportato su Iusletter.com .
  • Tribunale di Ferrara, 10 marzo 2025 – Decisione (in contrasto con Crotone e Rimini) che avrebbe negato l’esdebitazione immediata incapiente, ritenendo forse necessaria la preventiva liquidazione anche se priva di attivo . Indice di un dibattito giurisprudenziale poi composto dall’intervento normativo e da orientamenti più recenti favorevoli all’accesso diretto al fresh start. (Citato in Iusletter).
  • Tribunale di Bergamo, 20 luglio 2024 – Sentenza di omologazione di un piano familiare di ristrutturazione dei debiti (coinvolti due coniugi), confermando la possibilità introdotta dal CCII di unificare le procedure per membri della stessa famiglia . (Vedi Carlesimo, “colpa grave sovraindebitamento”, 2024).
  • Tribunale di Venezia, ord. 31 luglio 2024 – Osservazioni in materia di liquidazione di società di capitali, ma nel contesto cita l’art. 2487-2489 c.c. (liquidazione volontaria) e fa riferimento a questioni concorsuali. Reperibile nota in rivista (Carlesimo, 2024) .
  • Tribunale di Forlì 18 giugno 2024 & Tribunale di Lecce 30 novembre 2023 – Giurisprudenza citata da Eutekne riguardo alla natura “universale” della liquidazione controllata, equiparabile alla liquidazione giudiziale con spossessamento generale del debitore . Confermano che tutti i beni del sovraindebitato sono coinvolti.
  • D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (“Correttivo-ter” CCII) – Decreto legislativo di ulteriore correzione del Codice della crisi, in vigore dal 28/09/2024. Principali novità rilevanti: rafforzamento della composizione negoziata e introduzione accordo fiscale ad hoc ; limiti all’omologazione forzosa di accordi e concordati con prevalenza di debiti fiscali (>80% debito) ; istituzione del Fondo esdebitazione incapienti ; modifica art. 272 CCII includendo i beni sopravvenuti fino all’esdebitazione nella liquidazione controllata ; chiarimento sulla inammissibilità della liquidazione controllata se priva di attivo minimo . (Fonti: professionistidellacrisi.it; diritto.it “procedure sovraindebitamento riformate dal correttivo ter”).
  • D.L. 24 agosto 2021 n. 118 conv. L.147/2021 – Normativa istitutiva della composizione negoziata della crisi. Ha introdotto artt. da 2 a 19 D.L.118/21 poi confluiti nel CCII (artt. da 17 a 25). Ha previsto l’esperto indipendente, le misure protettive , le esenzioni di responsabilità per gli amministratori virtuosi e il concordato semplificato (art.18 DL 118/21, ora 25-sexies CCII) come esito della CN. Fonti: Relazione illustrativa D.L.118; art. 25-sexies CCII .

Hai un’impresa o una ditta che sta accumulando debiti con banche, fornitori, INPS o Agenzia delle Entrate? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai un’impresa o una ditta che sta accumulando debiti con banche, fornitori, INPS o Agenzia delle Entrate?
Le spese sono aumentate, gli incassi sono calati e ti trovi a lottare ogni mese per far fronte ai pagamenti?
👉 Non sei solo: moltissime imprese italiane si trovano nella stessa situazione, ma esistono strategie legali concrete per gestire, ridurre o cancellare i debiti e salvare l’attività o chiuderla nel modo più sicuro possibile.

In questa guida scoprirai come affrontare una crisi aziendale passo dopo passo, quali strumenti legali usare e come difendere il tuo patrimonio personale e familiare.


⚖️ Cosa succede quando un’impresa entra in crisi

Quando un’impresa non riesce più a pagare regolarmente i debiti, si trova in stato di crisi o di insolvenza.
Questo significa che non ha più liquidità sufficiente per far fronte a tutti gli obblighi.

Le conseguenze possono essere serie:

  • Fornitori che sospendono le consegne o avviano azioni legali.
  • Banche che revocano fidi, mutui o leasing.
  • Agenzia delle Entrate e INPS che notificano cartelle o fermi amministrativi.
  • Rischio di pignoramenti, sequestri o iscrizioni ipotecarie.

📌 Tuttavia, se si interviene in tempo, la legge offre diversi strumenti per ristrutturare i debiti, salvare l’impresa o chiuderla proteggendo il titolare.


👥 Chi può accedere alle strategie di gestione dei debiti

  • Imprese individuali e artigiane in difficoltà economica.
  • Società di persone (SNC, SAS) con soci responsabili personalmente dei debiti.
  • Piccole SRL o SRLS con debiti fiscali o bancari.
  • Ex imprenditori che hanno chiuso ma restano con debiti residui.
  • Professionisti e autonomi con debiti aziendali e contributivi.

🧾 Tipologie di debiti aziendali più comuni

Gestibili o riducibili legalmente:

  • Debiti fiscali (IRPEF, IVA, IRAP, addizionali).
  • Debiti contributivi (INPS, INAIL).
  • Debiti bancari e finanziari (prestiti, fidi, mutui, leasing).
  • Debiti verso fornitori, clienti o collaboratori.
  • Cartelle esattoriali e sanzioni tributarie.

Non cancellabili:

  • Obblighi di mantenimento familiare.
  • Sanzioni penali o amministrative non tributarie.
  • Debiti derivanti da frode o dolo.

🧩 Tutte le strategie legali per gestire i debiti di un’impresa

💠 1. Rinegoziazione con banche e fornitori

È il primo passo per chi vuole continuare l’attività.
Si possono rivedere scadenze, tassi, piani di rimborso e forniture.
Spesso è possibile ottenere una riduzione degli interessi o una rateizzazione sostenibile.

👉 Serve una strategia credibile e documentata, meglio se assistita da un avvocato o da un consulente legale.


💠 2. Piano di ristrutturazione del debito

Previsto dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019).
Consente all’imprenditore di proporre ai creditori un piano di pagamento parziale, proporzionato alle reali capacità dell’impresa.
Una volta approvato dal Tribunale, il piano è vincolante per tutti e le azioni esecutive vengono sospese.

📌 Ideale per evitare il fallimento e mantenere la continuità aziendale.


💠 3. Concordato minore (per ditte individuali e artigiani)

Se la tua è una piccola impresa non fallibile, puoi proporre ai creditori un saldo e stralcio o una rateizzazione ridotta.
Con l’approvazione del giudice, paghi solo una parte del debito e il resto viene cancellato definitivamente.


💠 4. Liquidazione controllata (ex procedura di sovraindebitamento)

Se l’impresa non può più proseguire, puoi mettere a disposizione i beni non essenziali (macchinari, veicoli, risparmi, crediti) per pagare in parte i debiti.
Al termine della liquidazione, il giudice concede l’esdebitazione, cioè la cancellazione totale dei debiti residui.

👉 È la soluzione migliore per chiudere definitivamente e ripartire da zero come persona fisica libera da ogni obbligazione.


💠 5. Composizione negoziata della crisi

È una procedura introdotta nel 2022 per le imprese ancora operative.
Consente di aprire un tavolo di trattativa con i creditori, assistiti da un esperto nominato dalla Camera di Commercio.
L’obiettivo è evitare il fallimento e raggiungere un accordo di risanamento sostenibile.


💠 6. Accordo di saldo e stralcio con creditori privati

Molte società di recupero crediti e banche sono disposte a chiudere le posizioni con sconti tra il 40% e l’80% del debito.
Un avvocato può trattare al tuo posto e ottenere una liberatoria definitiva, valida anche in caso di future contestazioni.


💠 7. Esdebitazione del debitore incapiente (ultima risorsa)

Se hai chiuso l’impresa, non hai più beni né redditi, puoi chiedere al giudice la cancellazione totale dei debiti, una sola volta nella vita.
È la misura più favorevole per chi non ha possibilità di rientro.


🧠 Cosa fare subito

✅ 1. Mappa la situazione debitoria

Raccogli tutti i documenti: cartelle, mutui, leasing, fidi, contratti, bilanci, estratti conto e fornitori da cui hai debiti.

✅ 2. Verifica prescrizioni e irregolarità

Molti debiti (soprattutto fiscali e contributivi) si prescrivono o contengono vizi di notifica.
Un controllo legale può portare a riduzioni significative.

✅ 3. Non agire da solo

Affidati a un avvocato esperto in crisi d’impresa e sovraindebitamento.
Evita i “consulenti del debito” non abilitati: possono solo peggiorare la situazione.

✅ 4. Agisci subito

Prima si interviene, più opzioni hai: ogni mese di ritardo aumenta interessi, sanzioni e rischi legali.


📋 Documenti necessari

  • Documento d’identità e codice fiscale.
  • Visura camerale e certificato di chiusura attività (se cessata).
  • Bilanci o contabilità semplificata.
  • Estratti di ruolo e cartelle esattoriali.
  • Avvisi INPS e INAIL.
  • Contratti di mutuo, prestiti, leasing o fidi.
  • Estratti conto bancari e carte aziendali.
  • Elenco completo dei debiti e creditori.

⏱️ Tempi e risultati

  • Analisi e strategia personalizzata: 2–4 settimane.
  • Negoziazione o deposito piano: 2–4 mesi.
  • Omologazione e blocco delle azioni esecutive: 3–8 mesi medi.

🎯 Risultato finale:

  • Riduzione o cancellazione totale dei debiti aziendali.
  • Blocco di pignoramenti, fermi e ipoteche.
  • Possibilità di mantenere l’attività o ripartire senza debiti.

⚖️ I vantaggi principali

✅ Blocco immediato dei creditori e delle azioni esecutive.
✅ Riduzione o cancellazione legale dei debiti aziendali.
✅ Tutela dei beni personali del titolare e della famiglia.
✅ Possibilità di salvare o rilanciare l’impresa.
✅ Ripartenza economica e reputazionale.


🚫 Errori da evitare

  • Ignorare cartelle o atti giudiziari.
  • Nascondere beni o conti correnti.
  • Accettare accordi verbali non formalizzati.
  • Affidarsi a sedicenti mediatori o “esperti del debito” non avvocati.
  • Pensare che la crisi si risolva da sola: ogni giorno di attesa peggiora la situazione.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza la situazione economica e debitoria della tua impresa.
📌 Identifica la procedura più adatta (concordato, piano o liquidazione).
✍️ Redige e deposita il piano di ristrutturazione o la richiesta di esdebitazione.
⚖️ Ti rappresenta in Tribunale e nei rapporti con banche, fornitori e Agenzia delle Entrate.
🔁 Ti accompagna fino alla cancellazione definitiva dei debiti e alla piena riabilitazione dell’attività o del titolare.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in diritto tributario, bancario e crisi d’impresa.
✔️ Specializzato nella difesa di imprenditori, artigiani e PMI in difficoltà.
✔️ Gestore della crisi da sovraindebitamento iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Gestire i debiti di un’impresa non significa arrendersi, ma scegliere la strategia giusta per salvarla o chiuderla nel modo più intelligente e protetto.
Con gli strumenti legali oggi disponibili puoi bloccare i creditori, ridurre drasticamente le somme dovute e ripartire senza più debiti.

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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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