Hai scoperto che il tuo conto corrente è stato pignorato o temi che possa accadere a breve?
Si tratta di una delle situazioni più difficili da affrontare, perché un pignoramento bancario può bloccare completamente la tua disponibilità economica, impedendoti di prelevare, pagare le spese quotidiane o ricevere lo stipendio.
La buona notizia è che esistono strategie legali precise per difendersi dal pignoramento del conto, ottenere la sospensione delle procedure e, in molti casi, recuperare le somme bloccate.
Capire come funziona il pignoramento e quali strumenti di difesa puoi attivare è il primo passo per proteggere il tuo patrimonio.
Cos’è il pignoramento del conto corrente
Il pignoramento del conto corrente è un’azione esecutiva con cui un creditore — come l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, una banca o una finanziaria — ordina alla banca di bloccare le somme presenti sul tuo conto per recuperare quanto gli è dovuto.
La banca è obbligata per legge a eseguire l’ordine, congelando immediatamente le somme fino a concorrenza del debito indicato.
Il denaro rimane bloccato fino all’intervento del giudice, che decide se e in quale misura le somme possano essere assegnate al creditore.
Nel frattempo, tu non puoi utilizzare il conto né accedere ai tuoi risparmi.
Chi può disporre il pignoramento
Possono richiedere il pignoramento del conto:
- l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, per debiti fiscali o contributivi;
 - banche e finanziarie, per mutui, prestiti o carte non pagate;
 - fornitori o ex collaboratori, per crediti commerciali o di lavoro;
 - privati, in seguito a una sentenza o a un decreto ingiuntivo.
 
Ogni creditore deve possedere un titolo esecutivo valido, cioè un atto che accerta ufficialmente il debito. Senza questo titolo, il pignoramento è illegittimo e può essere annullato.
Cosa succede dopo il blocco del conto
Una volta ricevuto l’ordine di pignoramento, la banca blocca il conto e comunica al creditore l’importo disponibile.
Se il saldo è inferiore al debito, l’intera somma viene congelata.
Se invece sul conto viene accreditato lo stipendio o la pensione, la legge prevede dei limiti precisi alla pignorabilità:
- le somme accreditate prima del pignoramento sono pignorabili solo fino a un quinto;
 - quelle accreditate dopo il pignoramento restano parzialmente disponibili, perché deve essere garantita una quota minima vitale al debitore.
 
Queste tutele, spesso ignorate o applicate in modo scorretto, possono essere fatte valere da un avvocato per ottenere la restituzione delle somme bloccate in eccesso.
Cosa fare subito se hai ricevuto un pignoramento
Se il tuo conto corrente è stato pignorato, il tempo è essenziale.
Ecco le azioni da intraprendere immediatamente:
- Richiedi alla banca una copia dell’atto di pignoramento.
Controlla chi è il creditore, quanto chiede e su quale base legale agisce. - Verifica la legittimità dell’atto.
Molti pignoramenti presentano errori formali, notifiche irregolari o crediti prescritti. Un avvocato può impugnare l’atto e chiedere la sospensione della procedura. - Blocca l’azione con una richiesta di sospensione o ricorso.
Se esistono motivi validi — come errori, prescrizioni o violazioni dei limiti di legge — puoi chiedere al giudice la sospensione immediata del pignoramento. - Valuta la procedura di sovraindebitamento.
Presentando domanda al tribunale puoi ottenere misure protettive automatiche che sospendono ogni azione esecutiva, compreso il pignoramento del conto. - Apri un nuovo conto di appoggio.
Se possibile, apri un nuovo conto presso un’altra banca per continuare a ricevere accrediti e gestire le spese quotidiane, evitando ulteriori blocchi. 
Quando il pignoramento è illegittimo
Un pignoramento può essere considerato illegittimo e quindi annullabile nei seguenti casi:
- il debito è prescritto o già pagato;
 - l’atto di notifica è stato eseguito in modo errato;
 - sono stati violati i limiti di pignorabilità di stipendi o pensioni;
 - l’importo bloccato è superiore al credito dovuto;
 - manca un titolo esecutivo valido o una corretta notifica preventiva.
 
In questi casi, un avvocato può chiedere al giudice la revoca del pignoramento e la restituzione delle somme trattenute.
Le principali strategie legali per difendersi
A seconda del tipo di creditore e della gravità della situazione, puoi agire in diversi modi:
- presentare ricorso contro l’atto di pignoramento o l’intimazione di pagamento;
 - chiedere la rateizzazione del debito presso l’Agenzia delle Entrate-Riscossione;
 - attivare la procedura di sovraindebitamento per sospendere tutti i pignoramenti in corso;
 - proporre un accordo di saldo e stralcio con il creditore per chiudere la posizione a importo ridotto;
 - verificare la presenza di vizi contrattuali o interessi usurari nei finanziamenti, che possono ridurre o annullare il debito.
 
Ogni caso è diverso, ma una strategia tempestiva e ben strutturata può cambiare completamente l’esito della procedura.
Come recuperare le somme già bloccate
Se il pignoramento ha già congelato le somme sul conto, puoi richiedere la restituzione parziale o totale in due modi:
- dimostrando che si tratta di stipendi, pensioni o indennità non pignorabili;
 - provando che il pignoramento è stato eseguito in violazione dei limiti di legge.
 
In entrambi i casi, è necessario un intervento legale. Un avvocato può presentare un’istanza urgente al giudice per sbloccare i fondi e consentirti di utilizzare il denaro per le spese essenziali.
Attenzione alle società di recupero crediti
Quando il pignoramento deriva da un credito ceduto, è fondamentale verificare che la società di recupero abbia realmente titolo per agire.
Molte società operano senza documentazione completa o utilizzano metodi aggressivi per forzare i pagamenti.
Hai diritto a richiedere tutte le prove della cessione del credito e a trattare solo in forma scritta.
Mai versare somme senza una proposta chiara e una liberatoria finale.
Quando rivolgersi a un avvocato esperto
Contatta subito un avvocato esperto in diritto tributario e riscossione se:
- hai ricevuto un atto di pignoramento o la banca ti ha comunicato il blocco del conto;
 - sospetti irregolarità nella procedura;
 - il pignoramento riguarda stipendi, pensioni o somme necessarie alla tua sopravvivenza;
 - vuoi sospendere l’azione e riorganizzare i tuoi debiti.
 
Un legale competente potrà verificare la legittimità dell’atto, bloccare la procedura, chiedere la restituzione delle somme e assisterti nel percorso di ristrutturazione o cancellazione dei debiti.
⚠️ Attenzione: ignorare un pignoramento può portare alla perdita definitiva delle somme sul conto e all’avvio di ulteriori azioni esecutive sui beni personali. Agire tempestivamente è l’unico modo per difendere i tuoi risparmi e tutelare la tua stabilità economica.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, riscossione e tutela dei debitori – spiega in modo chiaro come difendersi da un pignoramento del conto corrente, come sospendere la procedura e quali strumenti legali utilizzare per salvaguardare i propri beni.
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Introduzione
Il pignoramento del conto corrente è un atto dell’esecuzione forzata attraverso cui un creditore vincola le somme depositate presso una banca (o Poste) intestate al debitore, al fine di soddisfare coattivamente un credito non pagato . Si tratta di una forma di pignoramento presso terzi in cui la banca funge da terzo pignorato, obbligata a congelare i fondi del debitore e successivamente a trasferirli al creditore su ordine del giudice . Questo strumento è rigorosamente regolato dalla legge per bilanciare due esigenze contrapposte: da un lato, garantire al creditore il recupero di quanto dovuto; dall’altro, tutelare il debitore assicurandogli mezzi minimi di sostentamento e possibilità di difesa giuridica .
Redigere una guida completa su come difendersi da un pignoramento del conto corrente richiede un approccio sistematico, aggiornato alle ultime riforme (come la Riforma Cartabia in vigore dal 2023) e alle più recenti sentenze fino a settembre 2025, con particolare attenzione alla normativa italiana vigente. In questa guida affronteremo dunque, con linguaggio tecnico-giuridico ma accessibile, tutte le strategie legali che un debitore – sia esso un privato cittadino, un imprenditore individuale o una società – può adottare per proteggere i propri fondi bancari da un pignoramento. Il taglio sarà avanzato, adatto anche a professionisti legali, ma con taglio pratico e divulgativo: includeremo schemi riepilogativi, riferimenti normativi, giurisprudenza aggiornata, esempi concreti e una sezione di Domande e Risposte. Il punto di vista è sempre quello del debitore, ossia di chi subisce il pignoramento e cerca strumenti di difesa.
<small>Nota: La guida è aggiornata a settembre 2025. Tutti i riferimenti normativi e giurisprudenziali citati saranno raccolti in una sezione finale Fonti e Riferimenti, così da permettere ulteriori approfondimenti. Si raccomanda, per casi concreti, di rivolgersi a un professionista legale di fiducia, poiché le strategie difensive vanno adattate alle specifiche circostanze del singolo caso.</small>
Cos’è il Pignoramento del Conto Corrente e Come Funziona
Il pignoramento del conto corrente è il procedimento esecutivo con cui un creditore, munito di un titolo esecutivo (ad esempio sentenza, decreto ingiuntivo definitivo, cambiale protestata, cartella esattoriale scaduta, ecc.), blocca e si fa assegnare le somme presenti su un conto bancario intestato al debitore . In termini pratici, il creditore notifica un atto di pignoramento alla banca (terzo pignorato) e al debitore, ordinando alla banca di congelare tutti i fondi disponibili sul conto fino a copertura del credito indicato . Da quel momento, la banca diventa custode delle somme pignorate e il debitore non può più movimentarle liberamente .
Trattandosi di un pignoramento presso terzi, la procedura coinvolge tre soggetti: creditore, debitore e terzo pignorato (banca). Il terzo, ricevendo l’atto di pignoramento, assume obblighi precisi verso la giustizia: deve vincolare le somme e successivamente dichiarare formalmente l’entità dei fondi detenuti per conto del debitore . La procedura prosegue poi innanzi al Giudice dell’Esecuzione (G.E.), il quale, verificati gli atti, potrà emettere un’ordinanza di assegnazione in favore del creditore, disponendo il trasferimento delle somme pignorate dal conto del debitore al creditore fino a concorrenza del credito vantato . Se sul conto vi sono più soldi del dovuto, sarà assegnata solo la somma necessaria a soddisfare il credito (capitale, interessi e spese) e le eventuali eccedenze verranno sbloccate e restituite alla disponibilità del debitore .
Esempio pratico: se Tizio vanta un credito di €10.000 verso Caio e ottiene un titolo esecutivo, può notificare a Banca X (dove Caio ha il conto) un atto di pignoramento per €10.000. La banca congelerà immediatamente quella somma sul conto di Caio (se disponibile). Dopo le formalità di rito, il giudice assegnerà l’importo a Tizio: la banca trasferirà i €10.000 a Tizio e sbloccherà eventuali ulteriori fondi sul conto di Caio. Se sul conto di Caio c’erano solo €8.000, verranno assegnati quelli e il creditore rimarrà insoddisfatto per la differenza; eventuali nuovi accrediti potranno essere successivamente intercettati (vedremo oltre come funzionano i pignoramenti su conti “vuoti”).
Va evidenziato che il pignoramento del conto corrente è in genere l’ultima ratio del recupero crediti. Prima di arrivarci, il creditore deve aver già ottenuto un titolo esecutivo e notificato un atto di precetto al debitore, intimandogli di pagare entro 10 giorni . Solo in mancanza di adempimento spontaneo, si può procedere al pignoramento. Se queste formalità iniziali (titolo esecutivo valido e precetto) mancano, il pignoramento è viziato e può essere annullato tramite opposizione .
Pignoramento ordinario vs fiscale: È importante distinguere tra il pignoramento ordinario (promosso da creditori privati o aziende) e quello esattoriale/fiscale effettuato dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ADER). Nel pignoramento ordinario è sempre coinvolto il giudice dell’esecuzione: l’atto di pignoramento è redatto dall’avvocato del creditore e dopo la notifica la procedura si svolge in tribunale (udienza davanti al G.E., eventuale ordinanza di assegnazione). Viceversa, nel pignoramento fiscale ex art. 72-bis D.P.R. 602/1973, l’Agente della Riscossione può procedere senza passare dal giudice, poiché la cartella esattoriale costituisce di per sé titolo esecutivo e precetto . In tal caso ADER notifica direttamente alla banca un ordine di pagamento intimandole di versare le somme dovute (dopo 60 giorni) all’Agente della Riscossione . Solo se il debitore o la banca contestano qualcosa interviene il tribunale, su ricorso di opposizione, a dirimere la questione . Approfondiremo in una sezione dedicata le peculiarità del pignoramento da parte del Fisco e le relative difese.
In sintesi, il pignoramento di un conto corrente è uno strumento potente in mano al creditore perché aggredisce direttamente la liquidità del debitore. Per il debitore, invece, rappresenta un evento potenzialmente paralizzante, soprattutto se sul conto affluiscono stipendi, pensioni o somme necessarie alla vita quotidiana o all’attività d’impresa. Nelle sezioni che seguono vedremo dettagliatamente come funziona la procedura e, soprattutto, quali sono le strategie legali di difesa che il debitore può attuare per tutelare i propri diritti e mezzi di sostentamento.
Procedura: Fasi e Tempistiche del Pignoramento presso Terzi del Conto
Per comprendere come difendersi, è fondamentale conoscere le fasi della procedura di pignoramento del conto corrente e i relativi termini. Di seguito esaminiamo il percorso tipico di un pignoramento ordinario presso terzi (banca) passo per passo, evidenziando le differenze rispetto al procedimento esattoriale.
- 1) Titolo Esecutivo e Precetto: il creditore deve innanzitutto possedere un titolo esecutivo (sentenza, decreto ingiuntivo non opposto, mutuo fondiario, cartella esattoriale, ecc.) che attesti il suo diritto di credito certo, liquido ed esigibile. In base a tale titolo, notifica al debitore un atto di precetto (ingiunzione di pagamento entro minimo 10 giorni) ai sensi dell’art. 480 c.p.c. . Trascorso il termine senza pagamento, il precetto rimane valido per 90 giorni (art. 481 c.p.c.) entro i quali iniziare l’esecuzione. (Eccezione: nei pignoramenti fiscali, come detto, la cartella di pagamento vale già come titolo esecutivo e precetto; se sono passati più di 12 mesi dalla notifica della cartella, ADER invia un intimazione di pagamento – un ulteriore sollecito – e attende altri 5 giorni prima di pignorare ).
 - 2) Atto di Pignoramento: il creditore fa predisporre dall’Ufficiale Giudiziario oppure dal proprio avvocato un atto di pignoramento presso terzi (ex art. 543 c.p.c.), che deve contenere: i dati delle parti, la descrizione del credito (importo dovuto, titolo da cui nasce), l’ingiunzione al debitore a non sottrarre i beni pignorati e a non compiere atti di disposizione, nonché la citazione del debitore e del terzo a comparire davanti al giudice, con indicazione di luogo, data e ora dell’udienza . Questo atto viene notificato simultaneamente al debitore e alla banca (terzo) a mezzo Ufficiale Giudiziario. Nel caso del conto corrente, l’atto intima alla banca di non permettere al cliente di prelevare le somme fino alla concorrenza del credito indicato .
 - 3) Congelamento dei fondi (obbligo di custodia): una volta notificato l’atto, la banca deve immediatamente bloccare il conto (o meglio, congelare le somme disponibili fino all’importo precettato, più eventuale margine per spese e interessi) . La legge impone al terzo di custodire le somme dovute e vietarne l’uso a favore del debitore (art. 546 c.p.c.) . Questo significa che il debitore non può più prelevare dal conto pignorato né disporre delle somme vincolate. È bene notare che dal giugno 2024 sono in vigore nuove regole sulla portata di questo blocco (introdotte dal D.L. 2 marzo 2024 n. 19, conv. in L. 56/2024): la riforma ha rimodulato l’obbligo di custodia stabilendo che la banca deve accantonare solo quanto basta per coprire il credito pignorato aumentato di una determinata somma aggiuntiva, variabile a scaglioni . In particolare:
 - per crediti pignorati fino a €1.100: accantonamento dell’importo precettato + €1.000;
 - per crediti da €1.100 a €3.200: accantonamento dell’importo precettato + €1.600;
 - per crediti superiori a €3.200: accantonamento dell’importo precettato + la metà (50%) di detto importo .
 
Esempio: se il creditore agisce per €500, la banca deve bloccare €1.500 (500+1000); per €2.000, blocca €3.600 (2000+1600); per €10.000, blocca €15.000 (10000+50%). Questa novità tutela il debitore evitando che vengano congelati importi eccessivi rispetto al dovuto: la parte eccedente l’accantonamento può restare disponibile sul conto. Prima della riforma 2024, invece, la regola era un accantonamento uniforme del 150% del credito (importo dovuto + metà) , il che in caso di piccoli crediti poteva non coprire le spese, mentre in caso di crediti molto grandi congelava somme ingenti inutilmente a danno del debitore. Oggi il blocco è più mirato.
- 4) Dichiarazione del Terzo pignorato: entro 10 giorni dalla notifica, la banca è tenuta a fornire al creditore una dichiarazione ex art. 547 c.p.c. in cui indica se e quali somme detiene del debitore, l’eventuale saldo del conto e altri vincoli presenti (ad esempio se il conto è affidato cioè con fido a debito, o se su di esso insistono altri pignoramenti) . La dichiarazione di solito avviene in forma scritta (PEC) indirizzata al creditore procedente, e sarà poi inserita nel fascicolo dell’esecuzione. Se la banca non rende la dichiarazione nei termini o non compare in udienza, il giudice potrà procedere secondo l’art. 548 c.p.c.: oggi, a seguito delle modifiche del 2016/2019, il G.E. può ordinare al creditore di citare la banca in un separato giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, oppure (in taluni casi) può direttamente emettere un’ordinanza di assegnazione forfettaria presumendo che il terzo detenga somme del debitore . Quest’ultima opzione (assegnazione forfettaria fino alla concorrenza del credito pignorato) è possibile se vi è prova della mancata risposta del terzo; tuttavia, nella prassi, i giudici sono cauti nell’usarla, preferendo il giudizio di accertamento. Per il debitore, un mancato riscontro della banca può offrire spazio a difese tecniche (ad esempio chiedere la chiusura anticipata della procedura per improduttività), ma in generale è interesse del debitore che la banca dichiari esattamente le somme, così da evitare assegnazioni arbitrarie.
 - 5) Udienza davanti al Giudice dell’Esecuzione: l’atto di pignoramento già contiene la citazione per un’udienza, fissata normalmente dopo qualche settimana dalla notifica (i termini variano, spesso attorno a 30-60 giorni). Importante: Con la riforma Cartabia, il creditore ha un ulteriore obbligo entro tale udienza: deve notificare a debitore e banca un avviso di avvenuta iscrizione a ruolo, cioè comunicare il numero di ruolo della procedura esecutiva aperta in tribunale . Questo avviso va notificato entro la data dell’udienza e poi depositato agli atti; se il creditore omette di inviarlo in tempo, il giudice dichiara l’inefficacia del pignoramento . La ratio è evitare che il debitore rimanga nell’incertezza su un pignoramento mai iscritto a ruolo e fare in modo che il G.E. possa verificare subito all’udienza se la pratica è stata formalmente avviata in tribunale . Ad esempio, il Tribunale di Genova (ord. 22.06.2023) ha chiarito che l’onere di notifica e deposito dell’avviso va riferito all’udienza effettivamente tenuta, anche se differita, perché è in quel momento che il giudice controlla l’iscrizione a ruolo . Dunque, prima arma difensiva per il debitore: verificare se il creditore ha notificato l’avviso di iscrizione a ruolo; in mancanza, all’udienza si potrà chiedere l’estinzione della procedura per violazione dell’art. 543 c.p.c. riformato.
 
All’udienza, il Giudice dell’Esecuzione esamina la regolarità della procedura: controlla le notifiche, la presenza dell’avviso suddetto, nonché la dichiarazione della banca. Se tutto è in ordine e non vi sono opposizioni, il giudice può emettere l’ordinanza di assegnazione: con tale provvedimento dispone che la somma pignorata (nei limiti del credito precettato e accessori) sia trasferita al creditore. L’ordinanza di assegnazione ha efficacia di titolo esecutivo e atto di trasferimento delle somme . La banca, ricevuta l’ordinanza, eseguirà il pagamento al creditore, prelevando dal conto del debitore le somme assegnate.
Se sul conto c’erano più soldi del dovuto, come detto, l’eccedenza viene liberata. Se invece i fondi non coprono interamente il credito, il pignoramento si chiude con assegnazione parziale e per il residuo il creditore potrà attivarsi su altri beni o altri conti. Qualora la banca dichiari “conto con saldo zero” o conto negativo/affidato, il giudice potrebbe chiudere la procedura per incapienza, oppure mantenerla aperta per qualche tempo in attesa di eventuali futuri accrediti (prassi non uniforme, ma come vedremo c’è la possibilità per il creditore di attendere nuovi versamenti sul conto pignorato).
- 6) Trasferimento delle somme e chiusura della procedura: eseguito il pagamento al creditore, il pignoramento sul conto cessa di fatto. Formalmente, la procedura si chiude con un provvedimento di estinzione o con il provvedimento di assegnazione stesso (che esaurisce lo scopo). La banca dopo l’assegnazione sblocca il conto per l’eventuale saldo rimanente, e il debitore torna libero di operare su quel conto (salvo che il conto non sia stato chiuso o vi siano altri pignoramenti pendenti). È bene chiarire che durante la procedura il conto può restare bloccato per un certo periodo; ad esempio, tra notifica e udienza possono passare 1-2 mesi, e se l’udienza viene rinviata (magari per attesa della dichiarazione del terzo o per trattative in corso) il congelamento si prolunga. Tuttavia, il debitore ha interesse a far valere eventuali inezie del creditore: la legge prevede infatti che se il creditore resta inattivo, il pignoramento possa perdere efficacia. Ad esempio, se il creditore non deposita nei termini l’atto in tribunale dopo la notifica, o se non compare in udienza senza giustificato motivo, il giudice può dichiarare l’estinzione della procedura (inerzia del procedente). In generale, gli artt. 631 c.p.c. e 632 c.p.c. prevedono l’estinzione per inattività a certe condizioni; inoltre l’art. 543 c.p.c. come visto sanziona con l’inefficacia la mancata notifica dell’avviso di iscrizione a ruolo . Quindi, il debitore informato può sollevare tali eccezioni in udienza per liberare il conto prima possibile se il creditore non rispetta i tempi.
 
Schema riepilogativo – Pignoramento ordinario vs Pignoramento fiscale (ADER):
| Fase | Pignoramento ordinario | Pignoramento fiscale (art.72-bis DPR 602/73) | 
|---|---|---|
| Titolo esecutivo | Sentenza, decreto, ecc. + Precetto (pagare entro 10 gg) . | Cartella esattoriale scaduta (vale titolo e precetto) . Se >1 anno: intimazione pagamento 5 gg . | 
| Atto di pignoramento | Atto ex art.543 c.p.c. notificato a banca e debitore, contiene citazione in tribunale . | Ordine di pagamento ex art.72-bis DPR 602/73 notificato a banca e debitore . Non c’è citazione in udienza (giudice non coinvolto ab origine). | 
| Blocco dei fondi | Banca congela importo precetto + margine (1.000/1.600 € o 50%, v. nuova norma) . Debitore non preleva. | Banca blocca fondi fino a concorrenza del dovuto. Limite: ultimo stipendio accreditato non si tocca (art.72-ter DPR 602/73) . | 
| Dichiarazione della banca | Entro 10 gg ex art.547 c.p.c. su saldo e somme dovute . | – (Non prevista formalmente una dichiarazione analoga; la banca esegue ordine dopo 60 gg se non sospeso). | 
| Intervento del giudice | Udienza davanti G.E. con comparizione parti . Verifica atti, eventuali opposizioni. Ordinanza di assegnazione se regolare . | Giudice solo eventuale: interviene se debitore propone opposizione (entro 20 gg) o se sorgono contestazioni (es. terzo non adempie). Se opposizione su merito del debito, competente il giudice tributario (Cass. SU 30756/2018). | 
| Trasferimento somme | Dopo ordinanza del G.E., banca paga il creditore e sblocca l’eventuale eccedenza . | Dopo 60 gg dalla notifica, se il debitore non paga né rateizza, la banca versa le somme ad ADER senza bisogno di ordine del giudice . | 
(Legenda: ADER = Agenzia Entrate-Riscossione, ex Equitalia)
Come si evince dallo schema, il procedimento fiscale è più rapido e incisivo (niente precetto, niente udienza automatica), ma il debitore conserva le sue tutele: può pagare o chiedere rateazione entro 60 giorni per evitare il prelievo , e può proporre opposizione in caso di vizi (tipicamente opposizione agli atti esecutivi al giudice ordinario entro 20 giorni, o ricorso al giudice tributario se contesta la cartella mai notificata, ecc.). Nei prossimi paragrafi vedremo nel dettaglio quali sono le difese specifiche sia nel pignoramento ordinario che in quello fiscale.
Effetti del Pignoramento sul Conto Corrente del Debitore
Quando un conto corrente viene pignorato, quali sono gli effetti pratici per il debitore? In questa sezione esamineremo cosa succede al conto e alle somme in esso depositate dal momento della notifica del pignoramento fino alla conclusione della procedura. È cruciale comprenderli per poter poi valutare le strategie di reazione.
Blocco del conto e indisponibilità dei fondi
L’effetto principale e immediato del pignoramento è il blocco (congelamento) delle somme sul conto, nei limiti del credito per cui si procede. Ciò significa che, una volta notificato l’atto, il debitore non può più utilizzare il denaro pignorato: bonifici in uscita, prelievi, emissione di assegni, pagamenti con carta ecc. risultano impediti fino a concorrenza dell’importo pignorato. La banca infatti ha l’obbligo legale di custodire quelle somme e impedire che vengano distratte, pena gravissime responsabilità (in teoria, se la banca permettesse prelievi o non bloccasse i fondi dovuti, il creditore potrebbe agire contro la banca stessa per recuperare l’equivalente).
Da un punto di vista tecnico, in genere la banca vincola una parte del saldo (ad esempio crea un “blocco” amministrativo sul conto per l’importo indicato dal creditore più una quota extra prevista dalla legge, come spiegato nella sezione precedente) e lascia la parte eventualmente eccedente libera. Ad esempio, se il conto aveva €10.000 e il pignoramento è per €7.000, la banca congela €7.000 (più margine spese, se previsto) e il resto rimane disponibile al cliente; se invece il conto aveva meno del dovuto, blocca tutto ciò che c’è e in caso di nuovi versamenti li tratterrà fino a raggiungere l’importo pignorato . Grazie alla riforma 2024 su art. 546 c.p.c., il blocco oggi dovrebbe essere proporzionato e non eccedere quanto necessario (come visto, per crediti modesti viene aggiunto un fisso di €1000/1600, per crediti alti max +50%) . Dunque al debitore può capitare di avere ancora una parte di saldo utilizzabile anche dopo il pignoramento (specie se aveva sul conto importi molto superiori al debito azionato). Resta inteso però che qualsiasi movimento in uscita che intacchi la somma vincolata è vietato.
Operazioni in entrata: il blocco incide anche sugli accrediti futuri. Se sul conto pignorato arrivano nuovi bonifici o pagamenti dopo la notifica, anche queste somme vengono catturate dal pignoramento, almeno fino a quando il creditore non è soddisfatto. La banca infatti deve bloccare “eventuali nuovi accrediti che arrivano dopo la notifica” (se e nella misura necessaria a coprire il credito) . In pratica il pignoramento presso terzi ha un effetto che si prolunga fino all’ordinanza di assegnazione: copre non solo ciò che è presente sul conto al momento della notifica, ma anche ciò che vi affluirà successivamente, entro i limiti dell’importo dovuto. Questo è particolarmente rilevante per conti che ricevono stipendi mensili, pensioni o entrate continuative: finché la procedura è pendente, ogni nuovo accredito sarà bloccato in tutto o in parte (vedremo a breve i limiti di pignorabilità per stipendi e pensioni).
Se il conto era a zero o in rosso al momento del pignoramento, il creditore inizialmente non recupera nulla, ma la banca mantiene l’obbligo di congelare qualunque somma futura dovesse essere accreditata . Il pignoramento dunque non si annulla automaticamente se il conto è vuoto: rimane latente e può “agganciare” movimenti successivi . Il debitore in tal caso vede comunque limitata l’operatività: il conto risulta bloccato, e se ad esempio venisse versato uno stipendio, la banca lo tratterrebbe immediatamente (fatta salva la quota impignorabile di legge) . Di converso, se il conto resta a zero per molto tempo, il creditore potrebbe desistere e lasciar decadere il pignoramento (in genere dopo alcuni mesi senza esito, il creditore può rinunciare o la procedura può essere dichiarata improduttiva). Ad esempio, trascorsi 90 giorni senza recuperare nulla, il creditore spesso valuta di orientarsi verso altri beni pignorabili o altri conti noti . In ogni caso, per il debitore avere un pignoramento su un conto vuoto è comunque problematico perché quel conto non potrà essere usato per ricevere somme (appena arriveranno, verranno bloccate).
Chiusura del conto pignorato: alcune banche, se il conto resta a lungo con saldo negativo o nullo e inutilizzabile a causa del pignoramento, possono procedere unilateralmente a chiuderlo secondo le condizioni contrattuali (ad esempio dopo tot mesi di saldo zero e operatività bloccata). Inoltre, va considerato che se il conto era cointestato (ne parleremo tra poco), spesso la banca per prudenza blocca l’intero conto, salvo poi svincolare la parte spettante all’altro cointestatario non debitore; talvolta ciò induce i correntisti a chiudere il rapporto una volta risolta la vicenda. Il debitore potrebbe anche decidere di chiudere il conto una volta liberato, specie se sono venuti meno i fondi. Comunque, una chiusura anticipata durante il pignoramento è generalmente non possibile senza accordo: la banca non può estinguere il conto se c’è un vincolo legale in corso sulle somme. Quindi, di norma il conto resta tecnicamente aperto ma bloccato fino a esaurimento della procedura.
In sintesi, dal punto di vista del debitore, il pignoramento del conto corrente equivale a vedere le proprie liquidità congelate e l’operatività bancaria azzerata (salvo limitate eccezioni se vi sono somme eccedenti il dovuto). Questo può avere impatti immediati: impossibilità di pagare bollette o mutui dal conto pignorato, RID che saltano, carte collegate che vengono bloccate, ecc. Pertanto, come vedremo nelle strategie difensive, spesso uno dei primi consigli pratici al debitore pignorato è: aprire appena possibile un nuovo conto presso un diverso istituto, dove far dirottare stipendio o entrate future, così da avere uno strumento di operatività finanziaria nel periodo in cui il vecchio conto resta vincolato . Questa è una misura emergenziale – non risolve il debito, ma evita di rimanere totalmente privo di conto per le spese quotidiane. Naturalmente, il creditore potrebbe a sua volta scoprire il nuovo conto e pignorarlo, ma ciò richiede un nuovo atto e tempo; nel frattempo il debitore potrebbe aver adottato altre difese o accordi. Approfondiremo oltre questo aspetto.
Limiti di pignorabilità: stipendio, pensione e altre somme protette
La legge prevede importanti limiti e divieti di pignoramento su determinate somme, specialmente se destinate al sostentamento del debitore o aventi natura particolare (stipendi, pensioni, assegni di mantenimento, sussidi, ecc.). Tali limiti si applicano anche (e con regole proprie) quando queste somme transitano sul conto corrente pignorato. Dunque, dal punto di vista del debitore, è fondamentale conoscere quanto del proprio stipendio o pensione può essere effettivamente prelevato dal creditore e quale parte invece è impignorabile o parzialmente protetta.
Le norme chiave in materia sono contenute nell’art. 545 c.p.c. (Crediti impignorabili e limitatamente pignorabili). Riassumiamole in modo ragionato:
- Stipendi e salari non ancora corrisposti (pignoramento “alla fonte”): se un creditore pignora lo stipendio direttamente presso il datore di lavoro (quindi prima che venga accreditato al lavoratore) – procedura diversa dal conto corrente – la legge consente la trattenuta solo nei limiti di 1/5 dello stipendio netto per ogni mese (salvo casi speciali: ad esempio alimenti arretrati autorizzati dal tribunale, o tributi dove comunque il limite ordinario è 1/5) . Analogo discorso per le pensioni presso l’INPS: pignorando direttamente la pensione, si può prendere al massimo 1/5 di ogni mensilità, e con l’ulteriore vincolo che al pensionato deve essere lasciato un “minimo vitale”. Tale minimo vitale è fissato in misura pari a 1,5 volte l’assegno sociale mensile (circa il doppio, con un minimo assoluto di €1.000) . In altri termini, sotto una certa soglia la pensione è intoccabile: ad esempio se una pensione minima è €600 al mese, nulla si può pignorare perché 1,5×€538≈€808 (dato 2025) supera l’importo della pensione stessa . Se la pensione è più alta, la parte eccedente 1,5×assegno sociale può essere pignorata entro il quinto . (Queste regole valgono nel pignoramento diretto contro INPS; nel caso del conto corrente sono leggermente diverse, come ora vedremo).
 - Stipendi e pensioni accreditati in conto corrente (somme già percepite): qui interviene la previsione specifica introdotta dal 2015 (DL 83/2015 conv. L.132/2015) che ha modificato l’art.545 c.p.c. aggiungendo il comma 8. Tale disposizione – di fondamentale importanza per i debitori – stabilisce che se sul conto sono presenti somme derivanti da stipendio o pensione già pagati al debitore, il pignoramento sul conto può toccarle solo entro certi limiti . In particolare:
 - Le somme da stipendio/pensione accreditate prima della data di notifica del pignoramento sono impignorabili fino all’importo pari a 3 volte l’assegno sociale . Solo l’eventuale eccedenza oltre tale soglia può essere pignorata. L’assegno sociale è un parametro aggiornato periodicamente; per dare un’idea, nel 2025 l’assegno sociale mensile è circa €538,69, quindi triplo = circa €1.616 . Ciò significa che, se sul conto il giorno del pignoramento c’erano meno di ~€1.616 derivanti da pensione o stipendio, il creditore non potrà prendere nulla di quelle somme. Se c’era di più, potrà prendere solo la parte eccedente. Esempio: Mario aveva €2.000 sul conto derivanti dal suo stipendio accumulato; subisce pignoramento il 5 del mese (prima che arrivi un nuovo stipendio). Di questi €2.000, circa €1.616 sono “intangibili”: la banca/giudice potranno destinare al creditore solo la differenza (~€384 in questo esempio) . Il resto deve restare a Mario. Questo garantisce al debitore un minimo di mezzi di sostentamento pari a tre mensilità di assegno sociale.
 - Le somme da stipendio/pensione accreditate sul conto lo stesso giorno del pignoramento o successivamente (ossia che arrivano a conto già bloccato) sono pignorabili nei limiti ordinari previsti dal terzo comma dell’art.545 . In pratica, lo stipendio che “cade” sul conto pignorato viene trattato come se fosse pignorato alla fonte: se è stipendio, se ne potrà assegnare al creditore al massimo il 20% (1/5) di ogni mensilità; se è pensione, al massimo 1/5 ecc. Quindi, i nuovi stipendi in arrivo andranno in parte al creditore e in parte resteranno disponibili al debitore secondo le percentuali di legge . Riprendendo l’esempio: Mario, con conto pignorato, il 27 del mese riceve lo stipendio di €1.500; la banca dovrà accantonarne 1/5 (€300) verso il pignoramento, e i restanti €1.200 torneranno liberi sul conto perché non pignorabili. Ciò proseguirà per ogni mensilità finché la procedura resta aperta, oppure fino a soddisfo del credito se avviene prima .
 
Questa disciplina ha ribaltato il precedente orientamento giurisprudenziale: prima del 2015, infatti, vigeva la regola che una volta accreditato sul conto, lo stipendio perdeva la sua “natura” e poteva essere pignorato integralmente come denaro generico. Oggi non è più così: la legge riconosce che anche sul conto va tutelata una parte di quei redditi da lavoro/pensione, per garantire i mezzi di sostentamento al debitore . Naturalmente, affinché tali limiti operino, è necessario poter ricondurre le somme sul conto alla loro origine (stipendio, pensione ecc.). Su questo aspetto pratico, spesso spetta al debitore segnalare e provare la provenienza di eventuali somme protette. In teoria la banca nella sua dichiarazione dovrebbe evidenziare se sul conto vi sono accrediti identificabili (es. bonifici con causale stipendio/pensione); in pratica, per essere sicuri, il debitore può in sede di opposizione o istanza al G.E. far presente: “sul conto ci sono X euro provenienti da stipendio, come da estratto conto allegato, quindi ex art.545 comma 8 p.c., €1.616 sono impignorabili”. Il giudice dovrà tenere conto di ciò, perché il pignoramento sulle somme eccedenti i limiti di legge è inefficace ex lege (art.545 ultimo comma) . Anche l’art.546 c.p.c. è stato coordinato con questa norma: la banca non è tenuta a vincolare la somma pari al triplo dell’assegno sociale eventualmente presente sul conto a titolo di stipendio/pensione, che quindi resta libera per il cliente . Ciò significa che se la banca sa che su un conto ci sono ad es. €1.000 di pensione e null’altro, non dovrebbe nemmeno bloccarli. Non tutte le banche automatizzano questa distinzione, ma è un preciso dettato normativo.
- Altri crediti impignorabili o specialmente protetti: l’art. 545 c.p.c. elenca anche altre categorie di somme totalmente impignorabili, ad esempio: i crediti alimentari (a meno che si proceda per alimenti dovuti, e comunque con autorizzazione del Tribunale), i sussidi di grazia o sostentamento a persone indigenti, i sussidi per maternità, malattia, funerali da casse di assicurazione o enti di assistenza, le indennità di accompagnamento e in generale le provvidenze assistenziali, ecc. . Anche somme come il reddito di cittadinanza (fino alla sua vigenza) o assegni familiari e di mantenimento godono di impignorabilità assoluta o relativa in base a leggi speciali . Se tali somme vengono accreditate sul conto, in teoria il creditore non può toccarle. Tuttavia, c’è un problema pratico: spesso quando queste somme si mescolano con altre sul conto, distinguerle non è semplice. La banca tende a bloccare l’importo pignorato in modo generico, e starà eventualmente al debitore contestare che una certa parte era, ad esempio, un sussidio impignorabile, producendo documentazione (es. accredito con causale bonus INPS ecc.). Per prudenza, è consigliabile che chi riceve entrate totalmente impignorabili le faccia accreditare su un conto dedicato e intestato solo a persone non coinvolte, oppure su uno strumento non pignorabile (per fare un esempio, in passato il Reddito di cittadinanza veniva caricato su carta elettronica nominale, non su conto). In mancanza, c’è il rischio che la banca blocchi tutto e poi il debitore debba attivarsi legalmente per svincolare la parte non pignorabile .
 
Riassumendo, il debitore ha dalla sua delle tutele importanti: almeno tre volte l’assegno sociale come “cuscinetto” su stipendi/pensioni già percepiti sul conto , e la garanzia che di ogni nuovo stipendio/pensione non più di un quinto potrà essere toccato . Inoltre, resta intangibile per legge tutto ciò che rientra nelle categorie di crediti esenti (alimenti, sussidi, ecc.) . Conoscere questi limiti permette al debitore, se necessario, di farli valere attivamente: ad esempio, se la banca o il creditore richiedessero l’assegnazione dell’intero saldo stipendiale in conto, si può opporre la parziale inefficacia del pignoramento ex art.545 c.p.c. e ottenere la liberazione della quota impignorabile . Le pronunce dei giudici di merito post-2015 confermano rigorosamente questi principi.
Tabella – Limiti di Pignorabilità di Stipendi e Pensioni (scenario 2025):
| Situazione | Limite di legge per il Creditore | Riferimento | 
|---|---|---|
| Stipendio presso datore (non ancora pagato al lavoratore) | Pignorabile max 1/5 per crediti ordinari (20%). Se concorrono più pignoramenti (es. uno per alimenti, uno per banca), complessivamente non oltre 1/2 dello stipendio . | art.545 co.4-5 c.p.c. | 
| Pensione presso ente previdenziale (non ancora erogata) | Pignorabile max 1/5 oltre la soglia impignorabile: il pensionato deve conservare almeno doppio assegno sociale mensile (≃ €1.078 nel 2025) con minimo €1.000 . Solo la parte eccedente tale soglia subisce il limite del quinto . | art.545 co.7 c.p.c. | 
| Stipendio già accreditato su conto (prima del pignoramento) | Impignorabile fino a 3× assegno sociale (circa €1.616 nel 2025). Eccedenza pignorabile interamente . | art.545 co.8 c.p.c. (prima parte) | 
| Pensione già accreditata su conto (prima del pignoramento) | Impignorabile fino a 3× assegno sociale (≃ €1.616). Eccedenza pignorabile interamente . (Nota: la soglia 3xASS per pensione su conto è più alta del 2xASS previsto “alla fonte”, a vantaggio del debitore). | art.545 co.8 c.p.c. (prima parte) | 
| Stipendio accreditato dopo il pignoramento (conto bloccato) | Pignorabile nei limiti di 1/5 della singola mensilità accreditata . Residuo 4/5 libero al debitore. | art.545 co.8 c.p.c. (seconda parte, rinvio a co.3-4) | 
| Pensione accreditata dopo il pignoramento | Pignorabile nei limiti di 1/5 della mensilità, ma lasciando intatto il “minimo vitale” 1,5×ASS su quella mensilità. Es.: pensione €1.200, minimo vitale ~€808, parte eccedente €392 pignorabile 1/5 => circa €78. | art.545 co.8 c.p.c. (rinvio co.7 per minimo vitale e co.3 per 1/5) | 
| Esempi di crediti impignorabili | TOTALE: Assegni familiari; Mantenimento figli/coniuge (se il pignoramento non è per rivalersi su di essi); Rendite per infortunio; Sussidi di povertà; Indennità di accompagnamento; Contributi di assistenza, ecc. . → 0% pignorabile. | art.545 co.1-2 c.p.c.; leggi speciali | 
(ASS = Assegno Sociale mensile INPS, €538,69 per il 2025)
Come si nota dalla tabella, la protezione per il debitore è considerevole soprattutto per i redditi pensionistici e da lavoro di importo modesto: ad esempio, stipendi fino a circa €800 netti mensili risultano di fatto non pignorabili nemmeno sul conto, e pensioni minime sono inattaccabili. Importi superiori sono pignorabili ma sempre in porzioni (mai integralmente se correnti). Questo sistema garantisce il rispetto dell’art. 36 Cost. (diritto a una retribuzione sufficiente e adeguata) e art. 38 Cost. (diritto a mezzi adeguati per i pensionati), evitando che il debitore venga privato di ogni mezzo di sostentamento.
Conto cointestato con altre persone
Un caso particolare è il conto corrente cointestato tra il debitore e un’altra persona (es. coniuge, familiare, socio). Cosa succede se viene pignorato un conto cointestato e solo uno dei cointestatari è debitore? Si tratta di scenario frequente – ad esempio conti cointestati tra marito e moglie quando uno solo ha debiti – e richiede attenzione sia da parte del creditore procedente sia da parte del co-intestatario estraneo al debito.
Per legge (art. 1854 c.c.), i cointestatari di un conto bancario sono considerati creditori o debitori solidali verso la banca, salvo patto contrario . Ciò significa che, nei rapporti con la banca, ciascun intestatario può operare sul conto come se fosse unico titolare, e la banca riconosce a ciascuno diritti sull’intero saldo. Tuttavia, questo riguarda solo la relazione interna banca-correntisti. Nei rapporti tra i cointestatari (ad esempio tra marito e moglie) si applica l’art. 1298 c.c. comma 2, secondo cui “salvo patto contrario, le parti di ciascuno si presumono uguali” . In altre parole, per legge si presume che, all’interno, ciascun cointestatario sia proprietario del 50% delle giacenze (se i cointestatari sono due; 1/3 se sono tre, ecc.), salvo prova che i fondi appartengono in misura diversa.
In sede di pignoramento, ciò che rileva è individuare quale quota del saldo appartenga al debitore escusso. Il creditore non può pignorare più della presumibile quota di titolarità del debitore in un conto cointestato . Pertanto, la prassi – confermata dalla giurisprudenza – è che se un conto è intestato a, ad esempio, due persone (il debitore e un terzo estraneo), si presume che le somme siano al 50% di ciascuno. Dunque il creditore procedente potrà pignorare solo il 50% del saldo in quel momento presente sul conto. Se pignorasse il 100%, il pignoramento risulterebbe inefficace per la parte eccedente la quota del debitore, e il co-intestatario innocente potrebbe reagire.
Esempio: conto cointestato tra Caio (debitore) e Tizio (non debitore), saldo €10.000. Il creditore di Caio notifica pignoramento alla banca. La banca, non sapendo distinguere, inizialmente potrebbe bloccare l’intero conto; ma legalmente solo €5.000 (50%) sono aggredibili come di Caio. I restanti €5.000 spettano a Tizio e dovrebbero essere liberati. In genere, la banca nella dichiarazione ex art.547 c.p.c. segnalerà che il conto è cointestato e il saldo è tot; il giudice, preso atto, disporrà l’assegnazione solo della metà di competenza di Caio (ossia €5.000, se il credito di Caio è almeno tale) . L’altra metà rimane a Tizio.
Questa regola della presunzione paritetica è però, come detto, relativa. Essa può essere vinta da prova contraria . Ad esempio, se il co-intestatario non debitore riesce a dimostrare che tutte le somme sul conto provengono in realtà da redditi o disponibilità esclusivamente sue, la presunzione 50/50 cade e quelle somme non dovrebbero affatto essere pignorate per i debiti dell’altro. Viceversa, se il creditore (o il cointestatario debitore) dimostrasse che le somme derivano esclusivamente dal debitore, allora si potrebbe pignorare ben oltre il 50% (fino al 100%).
La Corte di Cassazione ha avuto modo di chiarire questi principi in più occasioni. Ad esempio, Cass. ord. n. 11375/2019 ha ribadito che la presunzione di comunione delle somme sul conto cointestato (50 e 50) può essere superata da chi afferma una diversa titolarità, fornendo prova anche per presunzioni semplici ma gravi, precise e concordanti . Più di recente, la Cassazione, ordinanza n.1643 del 23/01/2025 (in un caso di conto cointestato tra coniugi in sede di separazione) ha ulteriormente puntualizzato che l’origine delle somme confluite su un conto comune è elemento decisivo per superare la presunzione . In quel caso, i coniugi avevano un conto cointestato ma la moglie ha provato che le somme depositate provenivano da assegni circolari intestati esclusivamente a lei, riconducibili al suo patrimonio personale: la Cassazione ha quindi riconosciuto che quelle giacenze erano di esclusiva proprietà della moglie (nonostante il conto fosse cointestato col marito) e non andavano divise a metà . Il principio è chiaro: la contitolarità formale del conto non sempre riflette la proprietà sostanziale del denaro. Bisogna guardare a chi ha contribuito realmente alle giacenze.
Difese per il debitore in caso di conto cointestato: – Se il debitore pignorato è cointestatario con terzi estranei, dovrebbe informare subito l’altro cointestatario e possibilmente coordinarsi per far valere i propri diritti. In genere, la banca all’atto pratico blocca l’intero conto per cautela, e sta al co-intestatario non debitore attivarsi per liberare la sua quota. – Il co-intestatario non debitore ha a disposizione l’opposizione di terzo all’esecuzione (art. 619 c.p.c.), un rimedio con cui può chiedere al giudice di escludere dall’esecuzione i beni di sua proprietà. In questo caso, potrebbe opporsi sostenendo che l’intero saldo o una quota maggiore del 50% è di sua esclusiva proprietà. Dovrà fornire prove (es. estratti conto che mostrano versamenti fatti solo da lui, oppure dimostrare che il debitore non ha mai contribuito). – In alternativa, anche senza arrivare all’opposizione giudiziale, il co-intestatario può presentare in udienza le proprie ragioni o una dichiarazione alla banca per il giudice, affermando la diversa titolarità. Ad esempio, può scrivere alla banca di segnalare in dichiarazione che “delle somme €X sono versamenti provenienti esclusivamente dal co-intestatario non debitore”. Non tutti i terzi pignorati si prestano a fare specifiche del genere (spesso si limitano a dichiarare saldo e cointestazione). In caso di inerzia della banca, resta l’opposizione giudiziale come detto. – Se invece il debitore ritiene di poter dimostrare che gran parte del denaro sul conto era suo (oltre la quota presunta), paradossalmente potrebbe essere il creditore a beneficiarne. Ma in genere il debitore non ha interesse a far aumentare la parte pignorabile; semmai può tacere se in realtà i soldi erano suoi ma formalmente il 50% si salva grazie alla presunzione.
Cointestazione tra coniugi: un caso comune. Spesso i conti familiari sono cointestati. Se uno dei coniugi viene pignorato, l’altro si trova il conto bloccato in tutto o in parte. Le stesse regole valgono: metà ciascuno presunta. Tuttavia, tra coniugi c’è da considerare anche il regime patrimoniale (comunione o separazione dei beni). Se vige la comunione legale dei beni, i risparmi accumulati durante il matrimonio sarebbero comunione e quindi in teoria aggredibili per intero? In realtà, la comunione riguarda i rapporti interni tra coniugi; verso i creditori, conta l’intestazione: se un conto è cointestato, funziona come sopra (50 e 50). Se un conto è intestato solo al coniuge non debitore, di regola il creditore non può toccarlo (dovrebbe dimostrare magari che i fondi su quell’altro conto sono comunque frutto del coniuge debitore, ma è complesso e travalica la procedura esecutiva classica; si entrerebbe in tema di azione revocatoria forse, non nel pignoramento diretto). Quindi, il coniuge non debitore sul cui conto confluisca lo stipendio del debitore, ad esempio, potrebbe vedere un tentativo di pignoramento come conto del debitore presso terzi = coniuge ma qui entriamo in casistiche diverse.
In conclusione, per difendersi in caso di conto cointestato, il co-intestatario innocente deve far valere tempestivamente i propri diritti, mentre il debitore deve essere consapevole che non potrà usare la scappatoia del conto cointestato per proteggere i soldi: almeno la sua quota presunta sarà comunque aggredibile. Cassazione ha fornito strumenti a tutela del co-intestatario non debitore, indicando la strada della prova contraria sulla proprietà dei fondi . Dal lato pratico, conviene separare le finanze: se si prevedono rischi di pignoramento, evitare conti cointestati con soggetti estranei, per non coinvolgerli; oppure se il conto è cointestato con il coniuge, valutare di muovere per tempo i fondi spettanti al coniuge su altro conto a lui esclusivo (operazione da fare ben prima che inizi l’esecuzione, altrimenti potrebbe essere contestata come atto in frode).
Conti esteri e casi particolari (conto all’estero, conti intestati a società, ecc.)
Conto corrente estero: sempre più persone hanno conti bancari fuori dall’Italia (in UE o extra-UE). Un creditore italiano può pignorare il conto estero di un debitore? La risposta è complessa: un pignoramento presso terzi come atto dell’ufficiale giudiziario italiano ha efficacia solo entro i confini nazionali. Quindi, notificare un atto di pignoramento italiano a una banca estera potrebbe non avere alcun effetto legale diretto, a meno che non vi siano accordi o normative sovranazionali che lo consentano. In generale: – Banche con filiali in Italia: se il debitore ha un conto presso una banca straniera ma con succursali in Italia (es. una banca europea presente anche qui), il creditore potrebbe notificare l’atto alla filiale italiana. Tuttavia, tecnicamente andrebbe individuato il terzo giuridico esatto: la filiale italiana è comunque parte della banca estera? È un punto delicato. Alcune banche estere operano come succursali senza personalità giuridica distinta in Italia: in tal caso il conto, se è presso quella succursale, potrebbe essere pignorabile. Se però il conto è proprio presso la sede estera, un pignoramento notificato in Italia potrebbe non coprirlo. – Pignoramento transfrontaliero UE: esiste un Regolamento UE (n.655/2014) che ha introdotto il sequestro conservativo europeo dei conti bancari (European Account Preservation Order). Questo consente a un creditore, tramite un tribunale, di congelare un conto del debitore in un altro Stato membro UE. Ma è una procedura distinta dal pignoramento “esecutivo” vero e proprio, serve come misura cautelare. Inoltre non tutti la attivano, è poco nota nella prassi italiana. Comunque, per il recupero forzoso vero e proprio su un conto estero, il creditore dovrebbe rendere esecutivo il suo titolo in quel paese (es. con exequatur o procedura europea se è un titolo europeo) e poi agire secondo le regole locali. – Agente della Riscossione (ADER): per crediti fiscali, esistono accordi di mutua assistenza tra Stati (in UE e convenzioni OCSE) per recupero transfrontaliero. In teoria, ADER potrebbe chiedere allo Stato estero di recuperare su conti lì, e viceversa. Ma qui siamo su un piano di cooperazione tra enti pubblici, non un pignoramento italiano diretto. Dunque, spostare i soldi all’estero prima che arrivi un pignoramento può rendere la vita più difficile al creditore privato. Dal punto di vista del debitore, però, attenzione: trasferire ingenti fondi all’estero quando si hanno già debiti scaduti potrebbe esporre ad accuse di sottrazione fraudolenta al creditore o rendere il debitore attaccabile con azione revocatoria (se il trasferimento ha natura anomala). In ogni caso, un conto estero non dichiarato (se sopra soglie rilevanti) aprirebbe altri problemi di carattere fiscale per il debitore stesso. Quindi non è una “strategia” consigliabile se non in termini leciti e trasparenti. – Se il creditore scopre il conto estero: può cercare di ottenerne il congelamento tramite vie legali internazionali, ma ciò richiederà tempo e costi. Per il debitore, detenere patrimoni all’estero può offrire un temporaneo scudo, ma non una certezza assoluta di inaggredibilità.
Conto intestato a società o a terzi: se un debitore persona fisica pensa di mettere i propri soldi su un conto intestato a una società di cui magari è socio o a un amico/familiare, deve capire i rischi e i limiti. Un conto formalmente intestato a un soggetto giuridico distinto non può essere pignorato per i debiti personali di un altro soggetto. Esempio: Mario debitore versa 50.000€ sul conto della società Alfa srl (di cui è socio). I creditori personali di Mario non possono pignorare il conto di Alfa srl con atto ex art. 543 c.p.c., perché il conto non è intestato a Mario. Tuttavia, operazioni del genere possono facilmente configurare profili di abuso o distrazione. Il creditore potrebbe intraprendere un’azione revocatoria per far dichiarare inefficace il trasferimento di fondi a Alfa srl se fatto per sottrarli a lui. Oppure, se si prova che Alfa srl è mero alter ego di Mario, si potrebbe tentare di dimostrare che i fondi ancora sostanzialmente suoi. Ma in giudizio esecutivo standard, quel conto rimarrebbe fuori dalla portata immediata. Analogamente, se il debitore appoggia il proprio stipendio sul conto della moglie, quel conto è intestato alla moglie: il creditore non può pignorarlo direttamente (potrebbe però pignorare lo stipendio prima che vada su quel conto, dal datore, se lo sa; oppure sostenere che la moglie funge da prestanome e agire in via fallimentare se ci sono gli estremi di “socio occulto”, ma sono situazioni estreme).
Conto di società debitrice: se il debitore è una società o un’impresa, il suo conto può essere pignorato come qualunque altro credito. In caso di società, naturalmente non si parla di stipendi o pensioni (non applicabili), quindi tutto il saldo è pignorabile al 100%, senza limiti di impignorabilità. Per un’azienda, il blocco del conto può essere devastante perché impedisce pagamenti a fornitori, stipendi ai dipendenti ecc. Le società per difendersi spesso ricorrono a strumenti come la richiesta di conversione del pignoramento, o tentano un accordo col creditore, oppure – se la situazione debitoria è grave – valutano procedure concorsuali (concordato preventivo, piano di ristrutturazione) che possano sospendere le azioni esecutive. Va detto che per importi rilevanti, se un’azienda subisce pignoramenti su conto, spesso è segnale di uno stato di insolvenza più generale.
Conto “affidato” (con fido bancario): un caso particolare: cosa succede se il conto corrente pignorato è scoperto o affidato, cioè con un fido bancario in uso? Se al momento del pignoramento il conto è a debito (saldo negativo) o ha un fido utilizzato, tecnicamente non ci sono somme attive di spettanza del correntista. La giurisprudenza ritiene che non si può pignorare ciò che il terzo non deve al debitore. Se il conto è in rosso di €5.000, la banca è creditrice del correntista per 5.000, non debitrice, dunque un pignoramento del conto non “pesca” nulla (Cass., storicamente, ha chiarito che si può pignorare solo saldo attivo, non oltre). Quindi, in dichiarazione ex art.547, la banca dirà magari: “conto con saldo negativo per X, fido accordato Y, utilizzato ecc.”. Il giudice in genere dichiarerà incapiente il pignoramento (salvo se c’è margine di fido disponibile? Ma quel margine non è un debito certo della banca verso correntista). In sostanza, un conto affidato complica la vita al creditore: se il debitore ha un’apertura di credito e il conto è a zero, la banca non è tenuta a mettere a disposizione del debitore somme del fido per pagarle al creditore. Il fido è una facoltà di credito che la banca concede al cliente, non un obbligo. La Cassazione (sent. n. 19282/2016, ad esempio) ha affermato che il creditore può pignorare il conto solo entro l’eventuale saldo attivo al momento del pignoramento, non anche eventuali future disponibilità derivanti da un fido accordato (perché quelle dipendono da scelta della banca di erogare). Dunque, se il conto è in rosso, il creditore può rimanere a mani vuote. Ciò non toglie che il giorno in cui sul conto entra un bonifico, quell’importo diviene immediatamente pignorabile come nuovo saldo attivo.
Carte di pagamento collegate, conti deposito, ecc.: il pignoramento del conto corrente in genere include anche eventuali sottoconti o depositi collegati intestati allo stesso cliente presso la stessa banca (se menzionati o se la banca li considera un unico rapporto). Ad esempio, se c’è un conto deposito titoli o un libretto collegato, possono essere soggetti all’ordine di blocco. In pratica però spesso il creditore, se sa di conti deposito, li inserisce espressamente. Quanto alle carte prepagate con IBAN, se intestate al debitore, sono di fatto conti correnti (presso l’istituto emittente) e possono essere pignorate notificando l’atto alla società emittente della carta. Quindi non sono un rifugio sicuro. Diverso è per il contenuto di cassette di sicurezza: quelle non sono pignorabili con atto presso terzi, lì occorre un pignoramento mobiliare e autorizzazioni (tema a parte).
Dopo aver analizzato natura e effetti del pignoramento sul conto, passiamo ora al cuore della guida: le strategie legali di difesa che il debitore può mettere in campo. Tali strategie possono essere preventive (evitare di trovarsi col conto pignorato), reattive immediate (sblocco di somme impignorabili, apertura di nuovo conto per stipendio, ecc.) e soprattutto giudiziali, attraverso gli strumenti di opposizione previsti dal codice di procedura civile e altre leggi. Inoltre, esamineremo soluzioni come la conversione del pignoramento, gli accordi transattivi, e cosa fare se a procedere è l’Agente della Riscossione.
Strategie Legali di Difesa per il Debitore
Di fronte a un pignoramento del conto corrente, il debitore dispone di molteplici strumenti di difesa, da attivare a seconda dei casi: vizi formali della procedura, contestazione del diritto del creditore, esigenza di riottenere disponibilità delle somme, ecc. Queste strategie includono le opposizioni giudiziali (opposizione all’esecuzione, agli atti esecutivi, di terzo), ma anche altre azioni come la richiesta di conversione del pignoramento, la negoziazione con il creditore, l’utilizzo di procedure concorsuali o di sovraindebitamento, fino a accorgimenti pratici di sopravvivenza finanziaria durante il blocco. Analizziamole singolarmente in dettaglio.
Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.)
L’opposizione all’esecuzione è il rimedio generale che ha il debitore per contestare il diritto stesso del creditore di procedere a esecuzione forzata. In altre parole, con l’opposizione ex art.615 c.p.c. il debitore dice: “questa esecuzione non doveva proprio iniziare, perché il credito non è dovuto o il titolo è invalido o estinto”. I possibili motivi sono molteplici: il debito è stato già pagato (ad esempio, il debitore aveva saldato ma il creditore ha agito lo stesso), oppure il titolo esecutivo è venuto meno (es. una sentenza provvisoriamente esecutiva poi riformata in appello), o magari manca del tutto un titolo valido, o ancora il credito è prescritto, o vi è un termine non scaduto, etc. Altri esempi: il creditore procede per più di quanto dovuto, computando male interessi; oppure il titolo esecutivo è una cambiale ma il debito cambiario è stato annullato, ecc. Tutte queste questioni attengono al merito del diritto di procedere.
Come e quando proporla: L’opposizione all’esecuzione può essere proposta prima che inizi l’esecuzione (opposizione preventiva) oppure dopo che l’esecuzione è iniziata (opposizione in corso di esecuzione). Nel contesto del pignoramento di conto corrente, spesso il debitore viene a conoscenza dell’esecuzione quando ormai l’atto è stato notificato e il conto bloccato, quindi nella maggior parte dei casi si tratterà di opposizione in corso di esecuzione. Tecnicamente, si introduce con atto di citazione dinanzi al Tribunale competente per l’esecuzione (lo stesso del luogo dove ha sede la banca pignorata, in genere). Se viene proposta prima dell’udienza di assegnazione, si può anche chiedere al giudice dell’esecuzione una sospensione immediata (art.615 co.2 c.p.c.). Se invece l’ordinanza di assegnazione è già stata emessa, l’esecuzione su quelle somme si è di fatto conclusa, e l’opposizione mira a far dichiarare illegittima l’assegnazione stessa (cosa complessa a posteriori, per questo è meglio agire prima possibile). Da notare che l’opposizione all’esecuzione non ha termini di decadenza brevi come l’opposizione agli atti: può essere avviata anche oltre i 20 giorni, finché non sia esaurita la procedura, salvo casi di abuso del diritto se proposta tardissimo. Tuttavia, va fatta prima che i beni (le somme) siano effettivamente distribuiti, altrimenti si dovrà eventualmente agire contro il creditore per indebito.
Esempi di opposizione all’esecuzione nel pignoramento di conto: – Il debitore riceve il pignoramento ma aveva la quietanza di pagamento integrale del debito verso quel creditore. Invia immediatamente tutto al suo avvocato, il quale propone opposizione ex art.615 c.p.c. chiedendo contestualmente la sospensione dell’esecuzione. Se il giudice, vista la quietanza, sospende, la banca sarà autorizzata a sbloccare il conto in attesa della decisione finale. – Oppure, il titolo esecutivo è viziato: ad esempio, un decreto ingiuntivo non esecutivo su cui per errore hanno agito come se lo fosse; oppure un mutuo dove manca la notifica di decadenza dal beneficio del termine. Sono questioni tecniche su cui il giudice dell’esecuzione non può entrare in sede di udienza normale, ma vanno trattate in un giudizio di merito (l’opposizione all’esecuzione appunto).
Procedendo con l’opposizione, il debitore diventa attore in un giudizio contro il creditore, in cui chiede di dichiarare improcedibile o estinguere quel pignoramento per mancanza di titolo o altre ragioni sostanziali . Il giudizio può durare anche a lungo (è un ordinario cognitorio). Nel frattempo, però, il debitore può ottenere dal giudice dell’esecuzione una sospensione dell’esecuzione (ex art.624 c.p.c.), se ricorrono gravi motivi. Ottenuta la sospensione, il conto viene sbloccato in attesa dell’esito finale. Se poi il debitore vince la causa di opposizione, il pignoramento verrà dichiarato nullo/illegittimo e chiuso definitivamente. Se invece perde, l’esecuzione riprenderà da dove si era fermata.
Opposizione all’esecuzione per i pignoramenti fiscali: in materia esattoriale c’è una particolarità: se il debitore contesta la validità del titolo (cartella non notificata, vizio dell’iscrizione a ruolo, prescrizione del tributo, ecc.), la giurisprudenza (Cass. Sez.Un. n. 34447/2019 e SU n. 4090/2017) ha stabilito che la giurisdizione è del giudice tributario, non di quello dell’esecuzione, anche se l’azione di recupero è in atto . Quindi, ad esempio, se ADER pignora un conto e il contribuente sostiene di non aver mai ricevuto la cartella, deve fare ricorso alla Commissione Tributaria (oggi Corte di Giustizia Tributaria) per far valere quel vizio, entro 60 giorni dalla conoscenza (se ancora pendenti i termini) . Se invece si tratta di vizio formale dell’atto di pignoramento fiscale (es. mancata indicazione dettagli crediti), allora è competenza del giudice ordinario con opposizione agli atti (vedi oltre). In pratica, nel pignoramento fiscale il debitore si può trovare a dover scegliere il rimedio e il foro giusto: merito del debito = giudice tributario; forma dell’atto esecutivo = giudice ordinario (tribunale esecuzioni). L’importante è attivarsi rapidamente (spesso comunque entro 20 giorni anche davanti al G.E. per sicurezza, e 60 gg tributari se applicabile).
In conclusione, l’opposizione all’esecuzione è l’arma da usare quando si ritiene che il debito non sia dovuto o l’esecuzione non andasse fatta. È una causa vera e propria, quindi richiede assistenza legale tecnica, prove, e ha costi (contributo unificato proporzionato al valore, ecc.). Ma se vi sono validi motivi, è la via per far cadere completamente il pignoramento e liberare le somme.
Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.)
L’opposizione agli atti esecutivi è il rimedio per far valere vizi formali o procedurali del pignoramento. Non contesta il diritto sostanziale del creditore, ma il modo in cui l’esecuzione si sta svolgendo. Ad esempio: l’atto di pignoramento non contiene gli elementi obbligatori di legge, oppure è stato notificato in modo irregolare; il precetto era viziato; il pignoramento è stato notificato senza rispettare il termine di 10 giorni dal precetto; manca la notifica dell’avviso di iscrizione a ruolo; il pignoramento è stato eseguito su somme impignorabili in violazione dell’art.545 c.p.c.; il creditore ha pignorato due volte la stessa cosa; errori di notifica (atto consegnato a indirizzo sbagliato, ecc.); oppure errori del giudice (es. ordinanza di assegnazione emessa senza attendere la dichiarazione del terzo, se ciò è considerato errore), ecc. Tutte queste irregolarità possono rendere annullabile o addirittura nullo l’atto o l’intero procedimento.
Tempistiche stringenti: diversamente dall’opposizione all’esecuzione, l’opposizione agli atti ha termini perentori brevi. Va proposta entro 20 giorni dalla notifica dell’atto viziato (per il debitore, di solito, dalla notifica dell’atto di pignoramento) oppure, se il vizio emerge dopo, entro 20 giorni dalla conoscenza legale dell’atto . Ad esempio, se il debitore sostiene che la notifica del pignoramento è nulla perché fatta a un indirizzo errato, può proporre opposizione agli atti entro 20 gg da quando ne è venuto a conoscenza effettiva (spesso coincide con quando la banca gli comunica il blocco). Attenzione: questi termini sono decadenziali; se si lasciano passare, si perde la facoltà di far valere quel vizio (non si può più far annullare l’atto, anche se illegittimo).
Procedura: l’opposizione agli atti esecutivi va proposta davanti al giudice dell’esecuzione se l’esecuzione è già iniziata (dunque dopo la notifica del pignoramento); se invece si oppone ad atti pre-esecutivi (es. precetto), la competenza è del giudice del luogo dell’esecuzione da iniziare. Nel nostro caso, sarà il Tribunale sede dell’esecuzione presso terzi. Si propone con ricorso o citazione? La legge è un po’ incerta ma solitamente con atto di citazione se rivolta contro la parte (es. per vizi di notifica, si cita il creditore procedente). Comunque, la prassi è depositare un ricorso in corso di procedura e comparire all’udienza. Il giudice può anche qui sospendere l’atto se il vizio è grave (sospensione ex art. 623 c.p.c. dell’esecuzione limitatamente a quell’atto).
Esempi frequenti di opposizione agli atti in pignoramenti di conto: – Mancato rispetto dei termini: il precetto deve precedere di almeno 10 giorni il pignoramento. Se il creditore notifica il pignoramento prima che siano trascorsi 10 giorni dal precetto (salvo permesso di riduzione termini), l’atto di pignoramento è nullo (art. 482 c.p.c.). Il debitore può opporsi entro 20 gg per far dichiarare nullo il pignoramento. – Notifica viziata: se l’atto di pignoramento non è stato notificato al debitore nelle forme di legge (es. non si trovava e l’ufficiale non ha fatto bene la relata di ricerca, o ha notificato a un luogo non corretto), si può far valere la nullità della notifica. Attenzione che la nullità della notifica può essere sanata se il debitore compare comunque e non la eccepisce per tempo. Dunque va sollevata alla prima occasione utile (all’udienza o con ricorso entro 20 gg da quando ne vieni a sapere). – Difetto nell’atto di pignoramento: l’art. 543 c.p.c. elenca puntigliosamente il contenuto dell’atto (dati, indicazione dettagliata del credito, ingiunzione, citazione, avvertenze al terzo sulle sanzioni ecc.). Se, ad esempio, l’atto manca della “specifica indicazione dei crediti per cui si procede”, potrebbe essere nullo. Sul punto della indicazione dettagliata dei crediti è interessante citare, in ambito fiscale, la giurisprudenza: la Cassazione ha stabilito che l’atto di pignoramento di ADER ex art.72-bis deve indicare dettagliatamente le cartelle e gli importi, pena la nullità perché altrimenti il debitore non comprende cosa gli viene prelevato . Cass. n.26519/2017 ha annullato un pignoramento fiscale privo di dettaglio dei crediti . Questo principio per analogia vale anche per i pignoramenti ordinari: se l’atto è troppo generico o incomprensibile nel quantificare il dovuto, può essere considerato nullo per incertezza. Anche la mancata indicazione dell’udienza o del giudice competente è causa di nullità insanabile. – Mancata notifica dell’avviso di iscrizione a ruolo: come spiegato, se il creditore non adempie a questo onere entro l’udienza, il pignoramento può essere dichiarato inefficace. Più che opposizione agli atti, in tal caso il debitore ne chiede l’estinzione in udienza stessa (ma se il giudice non lo fa, si può formalizzare un’opposizione agli atti contro l’ordinanza che erroneamente proseguisse). – Violazione dei limiti di pignorabilità: questo è un punto interessante: se il creditore o la banca hanno violato i limiti (ad esempio hanno pignorato somme impignorabili come l’ultimo stipendio sul conto, o oltre il quinto delle pensioni accreditate dopo), l’atto è parzialmente inefficace ex lege . In genere il giudice dovrebbe rilevarlo d’ufficio . Tuttavia, il debitore per sicurezza può proporre opposizione agli atti (entro 20 gg dall’assegnazione magari) per far dichiarare l’inefficacia e recuperare l’eventuale eccedenza assegnata al creditore indebitamente. Ad esempio, se erroneamente assegnano al creditore l’intero stipendio che era sul conto, il debitore può opporsi perché l’assegnazione per la parte eccedente il triplo dell’assegno sociale è illegittima. – Inefficacia per tardivo deposito: se il creditore non ha iscritto a ruolo in tempo o non ha depositato atti nel termine di legge, il debitore può sollevare la questione come motivo di opposizione o istanza di chiusura.
L’opposizione agli atti è un procedimento sommario (si decide con ordinanza normalmente), abbastanza veloce. Se accolta, comporta la nullità o l’inefficacia dell’atto viziato e di quelli successivi dipendenti. In concreto, può annullare il pignoramento e far sbloccare il conto, oppure annullare solo l’ordinanza di assegnazione (se impugnata entro 20 gg dalla stessa) e far retrocedere la procedura.
Attenzione pratica: L’opposizione agli atti va coordinata con l’esecuzione in corso. Se sollevi un vizio ma intanto il giudice assegna le somme e passano i 20 gg, c’è il rischio di decadenza. Quindi spesso conviene presentare subito un’istanza o opposizione scritta, così che il G.E. magari rinvii l’udienza per esaminare il ricorso.
In conclusione, il debitore deve esaminare attentamente ogni atto notificatogli: molte esecuzioni presentano vizi, a volte anche piccoli, che però possono essere sfruttati per guadagnare tempo o far cadere l’esecuzione. La consulenza di un legale è preziosa per individuare questi aspetti (un errore nella relata di notifica, una firma mancante, un’indicazione sbagliata…). Vincere su un vizio formale non estingue il debito (il creditore potrà eventualmente riprovarci correggendo l’errore), ma sicuramente dà respiro al debitore e tempo per magari trovare altre soluzioni nel frattempo.
Opposizione di terzo (art. 619 c.p.c.)
L’opposizione di terzo all’esecuzione è la tutela concessa a un terzo estraneo che rivendica la proprietà (o titolarità) dei beni pignorati, quando questi non sarebbero del debitore. Nel contesto del conto corrente, questo strumento entra in gioco principalmente nei casi di conto cointestato o quando il creditore pignora somme sostenendo appartengano al debitore ma in realtà sono di un terzo.
Abbiamo già in parte anticipato parlando dei conti cointestati: il co-intestatario non debitore può proporre opposizione di terzo per far valere che una certa quota (o totalità) del saldo pignorato è in realtà di sua proprietà esclusiva. L’opposizione di terzo si propone con atto di citazione davanti al giudice dell’esecuzione entro 20 giorni dall’atto di pignoramento (o dalla sua conoscenza) se il terzo ne ha avuto notizia, ma spesso il termine per il terzo è conteggiato dall’eventuale atto di assegnazione (interpretazioni variano, comunque prima si agisce meglio è). Ad esempio, se un coniuge scopre che il conto cointestato è stato pignorato, può fare opposizione di terzo immediatamente, senza aspettare l’assegnazione.
Il terzo opponente deve provare il suo diritto. Nel caso di cointestatario che dice “quei soldi sono miei”, dovrà produrre documenti, movimenti bancari, ogni elemento che convinca il giudice che la presunzione 50/50 è superata. Se il giudice gli dà ragione, dichiarerà che il pignoramento su quella parte di somme è inefficace perché appartenenti al terzo (non al debitore).
Un altro scenario: supponiamo che il creditore pignori un conto intestato solo al debitore, ma su quel conto erano transitate somme di un terzo (es. un amico aveva depositato lì i suoi risparmi a nome del debitore, fidandosi). In generale, i soldi sul conto intestato al debitore si presumono del debitore. Un terzo che dicesse “quei soldi in realtà erano miei, li avevo messi temporaneamente sul conto di lui” potrebbe avere molte difficoltà, perché il possesso di denaro fa presumere la proprietà di chi lo detiene. Tuttavia, in casi documentati (es. un bonifico con causale che indica trattazione per conto di terzo, o un trust, ecc.), un terzo potrebbe tentare opposizione. Però è raro: l’opposizione di terzo tipica, nel pignoramento di crediti, è appunto quella del contitolare del rapporto.
Va detto che l’opposizione di terzo comporta un giudizio a parte (un incidente nel processo esecutivo) e può durare anche un po’. Anche qui, se appare fondata, il terzo può chiedere sospensione dell’esecuzione limitatamente ai beni controversi. Ad esempio, il cointestatario chiede di sospendere l’assegnazione di oltre il 50% finché non si decide di chi sono effettivamente i soldi.
In conclusione, questa strategia è “attivabile” soprattutto da persone vicine al debitore coinvolte loro malgrado (cointestatari, soci, familiari che vedono toccati beni comuni). Dal punto di vista del debitore, qualora il pignoramento interessi soggetti terzi, è bene coordinarvisi: informare il cointestatario, far eventualmente intervenire anche lui con un proprio avvocato. Ciò può aumentare le possibilità di limitare l’esecuzione.
Conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.)
La conversione del pignoramento è una procedura che consente al debitore di evitare l’espropriazione forzata dei beni pignorati offrendo in sostituzione una somma di denaro. In parole semplici, il debitore chiede al giudice di poter “riscattare” i beni pignorati versando quanto dovuto al creditore, spesso usufruendo di una rateizzazione. Questa facoltà, prevista dall’art.495 c.p.c., è molto utile nel caso di beni immobili o mobili pignorati. Nel caso del conto corrente (dove il bene pignorato è già denaro) la conversione può sembrare strana – si tratta pur sempre di pagare il dovuto, allora perché farla? In realtà, può servire per pagare a rate o comunque per evitare l’assegnazione immediata delle somme, qualora le somme sul conto siano più del debito o servano per l’attività.
Vediamo il meccanismo: il debitore, prima che i beni siano venduti o assegnati, può presentare istanza di conversione offrendo una somma pari al credito pignorato + spese + interessi. Il giudice, se accoglie, fissa un termine breve (10 giorni) in cui il debitore deve depositare in cancelleria una cauzione pari di regola al 20% dell’importo dovuto (prima della riforma 2015 era 1/6) . Contestualmente o dopo, il giudice può autorizzare il pagamento del residuo in un certo numero di rate mensili (di solito massimo 18 mesi prima, ora elevabili a 36 mesi dal 2015) . Il debitore quindi versa periodicamente queste rate al tribunale; ogni 6 mesi il tribunale smista quanto raccolto al creditore. Una volta versato tutto, il pignoramento viene revocato definitivamente. Se il debitore salta anche solo una rata, la conversione decade e si riprende l’esecuzione sui beni originari (nel frattempo accantonati).
Nel caso di conto corrente pignorato, la conversione ha un effetto particolare: se il debitore riesce a depositare subito il 20% e garantire per le restanti rate, il giudice sospende l’assegnazione delle somme dal conto e in pratica “svincola” il conto stesso perché l’esecuzione proseguirà sul denaro versato in tribunale, non più sulle somme in banca . In altre parole, il conto corrente viene liberato dal vincolo e torna nella disponibilità del debitore (anche se c’è da vigilare che non arrivino altri pignoramenti nel frattempo per altri debiti!). La conversione quindi può essere utile se, ad esempio, sul conto c’erano somme molto superiori al debito. Caso pratico: debitore ha €50.000 in conto, ma debito di €20.000. Pignorato il conto per 20k, tutto il conto è bloccato (per 20k + margine). Il debitore può chiedere conversione offrendo i 20k dovuti: versa 20% = €4.000 subito, il giudice sospende l’assegnazione. A quel punto il conto viene sbloccato e il debitore recupera i suoi €50.000. Dovrà poi pagare le restanti rate (€16.000 ad es. su 2 anni = ~€667 al mese). Intanto però ha di nuovo l’accesso ai suoi soldi e può usarli (compreso magari utilizzarne una parte per pagare le rate). È evidente il vantaggio in termini di liquidità immediata.
Anche se sul conto non ci fossero eccedenze, la conversione può permettere pagamenti dilazionati. Ad esempio, conto con €5.000, debito €5.000. Il debitore non vuole che quei €5.000 vadano tutti subito al creditore perché gli servono per altre scadenze immediate; chiede conversione in 12 rate: versa €1.000 subito, recupera i €5.000 sul conto e poi paga ~€333 al mese (con l’attenzione di accantonarli, altrimenti se salta una rata torna il pignoramento e probabilmente nel frattempo avrà speso i €5.000… quindi va usata con cautela). Diciamo che la conversione è uno strumento ottimo se il debitore riesce ad avere almeno una base liquida per la cauzione e sufficiente entrate per le rate.
Limiti e condizioni: la conversione si può chiedere una sola volta per quella procedura. Se poi si decade, non la si può più riottenere per lo stesso pignoramento. Inoltre, bisogna proporla prima che sia disposta l’assegnazione. Nel pignoramento di crediti, c’è incertezza su quando scada esattamente il termine (alcuni dicono fino all’ordinanza di assegnazione, altri fino al momento dell’effettivo trasferimento). Meglio non rischiare: farne istanza alla prima udienza.
Per il pignoramento fiscale, la conversione non si applica in questi termini; tuttavia, esiste la possibilità di chiedere direttamente all’ADER una rateizzazione del debito fiscale: se accordata (in genere 72 rate massime), il pignoramento presso terzi fiscale viene sospeso ed estinto subordinatamente alla regolarità dei pagamenti. In effetti, il concetto è analogo: pagare a rate per evitare il prelievo forzoso immediato .
In conclusione, la conversione del pignoramento è un’ottima strategia di difesa “attiva”: richiede la volontà e capacità di pagare (anche se non immediatamente tutto), ma consente di minimizzare i danni (es. liberare beni preziosi, evitare vendite all’asta per gli immobili, oppure nel nostro caso sbloccare il conto e ottenere tempo). Spesso i debitori la ignorano, ma andrebbe valutata attentamente con il proprio legale e magari concordata con il creditore (il creditore di solito non si oppone se vede che recupera con rate garantite dal tribunale, anzi evita spese ulteriori).
Sospensione concordata e accordi transattivi
Un pignoramento può sempre essere interrotto o concluso anticipatamente se debitore e creditore trovano un accordo. In fondo, l’esecuzione è strumentale alla soddisfazione del creditore: se il creditore è soddisfatto, viene meno lo scopo e la procedura può essere chiusa. Dal punto di vista del debitore, quindi, è utile tentare una trattativa con il creditore (direttamente o tramite legali) anche a pignoramento in corso. Le leve negoziali possono essere: offrire un pagamento parziale immediato in cambio dello sblocco del conto e di una dilazione per il resto; oppure coinvolgere un garante; o proporre un saldo e stralcio (pagare subito una parte e il resto lo condona).
Se si raggiunge un’intesa, occorre formalizzarla e tradurla in atti nell’esecuzione: tipicamente, il creditore deposita una rinuncia parziale o totale al pignoramento (ex art.629 c.p.c.) magari subordinata all’incasso di quanto pattuito. Ad esempio: “il creditore dichiara di aver ricevuto tot e rinuncia alla procedura”. Il giudice prenderà atto e dichiarerà estinto il processo esecutivo, liberando il conto.
Un’altra strada è chiedere al giudice una sospensione consensuale: se debitore e creditore presentano un’istanza congiunta dicendo che c’è un accordo e che si vuole sospendere l’assegnazione in attesa dei pagamenti pattuiti, spesso il G.E. accoglie (art.624-bis c.p.c. prevede la sospensione su accordo delle parti). Poi, a pagamento completato, il creditore rinuncerà e si chiuderà.
È importante però muoversi per tempo, prima che il denaro sia effettivamente girato. Se l’ordinanza di assegnazione viene emessa e la banca paga, poi il creditore potrebbe comunque accettare di restituire, ma è più complicato (il debitore dovrebbe fidarsi di riavere indietro i soldi).
Esempio: debitore subisce pignoramento di €20.000. Parlando con il creditore, ottiene di poter pagare €15.000 subito e €5.000 in tre mesi, in cambio della rinuncia a interessi futuri. L’accordo viene messo per iscritto. Il debitore paga €15.000 (magari usando una parte dei fondi che aveva altrove). Quindi in udienza il creditore dichiara l’accordo e deposita istanza di sospensione. Il giudice sospende. Il conto rimane pignorato ma “congelato” lo rimane di fatto solo per sicurezza del creditore. Dopo tre mesi, debitore finisce di pagare €5.000. Il creditore a quel punto deposita rinuncia al pignoramento. Il giudice dichiara estinto e la banca sblocca. I soldi eventualmente rimasti sul conto restano al debitore.
Queste soluzioni stragiudiziali sono spesso le migliori, se praticabili, perché evitano le incertezze e lungaggini delle opposizioni formali. Certo, richiedono che il debitore abbia risorse da mettere sul piatto o almeno una capacità di onorare un piano. Molti creditori, di fronte a un debitore che mostra serietà e magari un piccolo acconto subito, preferiscono accontentarsi di un accordo piuttosto che proseguire l’esecuzione (che potrebbe dare esiti incerti, specie se il conto era semivuoto). Dunque, consiglio al debitore: valutare sempre la possibilità di negoziare. Anche attraverso procedure come la mediazione civile, se il creditore è titubante. In particolare con le banche o finanziarie, a volte si riesce a stralciare pagando il 70-80% del dovuto pur di chiudere.
Procedura di sovraindebitamento o crisi d’impresa
Se il pignoramento del conto corrente è un episodio di una situazione debitoria più grave (es. il debitore ha molti debiti, o l’impresa è insolvente), c’è la possibilità di ricorrere a procedure concorsuali minori che bloccano le azioni esecutive individuali. Mi riferisco alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (per privati non fallibili e piccoli imprenditori) e alle procedure concorsuali per le imprese (concordato preventivo, ristrutturazione del debito).
Nel contesto di un singolo pignoramento, avviare queste procedure è una mossa “estrema” ma talvolta necessaria. Ad esempio, un consumatore sommerso dai debiti può presentare un Piano del Consumatore o un Accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi della Legge 3/2012 (oggi confluita nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, D.Lgs.14/2019). Una volta che il tribunale ammette la procedura di sovraindebitamento e magari emette i provvedimenti di apertura, tutte le azioni esecutive in corso sono sospese. Quindi anche il pignoramento del conto verrebbe bloccato (il tribunale invia comunicazione ai singoli creditori di astenersi). Poi, se il piano viene omologato, i debiti vengono ristrutturati e le esecuzioni cessano (spesso con stralcio parziale dei crediti). Ovviamente, questa strada ha senso solo se il debitore ha una crisi generalizzata e vuole risolverla in modo globale. Non si attiva un sovraindebitamento giusto per un pignoramento singolo da €5.000: sarebbe sproporzionato. Però in situazioni severe, sì.
Per le aziende, la presentazione di una domanda di concordato preventivo o di omologazione di accordo di ristrutturazione ex art.182-bis L.F. comporta anch’essa il blocco delle esecuzioni (cosiddetto automatic stay, se con concordato “in bianco” o su richiesta al tribunale). Dunque, se una società in crisi subisce pignoramenti su conti, può valutare di proteggersi depositando un ricorso di concordato e ottenendo lo stop ai pignoramenti, per poi trattare i debiti in modo unificato.
Queste soluzioni concorsuali non “difendono” nel merito l’esecuzione, ma la congelano per legge per affrontare diversamente il debito. Sono complesse e da considerare come ultima spiaggia, però offrono al debitore la protezione più ampia (nessun creditore individuale può agire, neanche il Fisco, durante la procedura).
Va inoltre menzionata la possibilità, per il debitore fallibile (società o imprenditore sopra soglie), di evitare la frammentazione delle esecuzioni portando tutti in un fallimento/liquidazione giudiziale: qui però il controllo passa totalmente al tribunale e ai curatori, e il conto eventualmente viene acquisito alla massa fallimentare. Non è quindi proprio una “difesa” per mantenere i soldi, ma un modo di gestire la crisi.
Altre azioni pratiche e consigli di sopravvivenza finanziaria
Oltre alle azioni strettamente legali, il debitore può adottare alcuni accorgimenti pratici per limitare i danni del pignoramento sul conto e gestire la transizione:
- Aprire un nuovo conto corrente presso un’altra banca (o anche una banca online) appena saputo del pignoramento . Questo perché il vecchio conto sarà inutilizzabile. Su questo nuovo conto il debitore può far deviare lo stipendio futuro (comunicando al datore il nuovo IBAN, ad esempio) e domiciliare le spese correnti. Il creditore eventualmente potrà scoprire anche questo conto (tramite ricerche presso l’Anagrafe dei conti, cui ora hanno accesso anche i creditori privati tramite ufficiale giudiziario), ma non in tempo zero. C’è almeno un periodo in cui il debitore può usarlo. Se poi arrivasse un pignoramento anche lì, il debitore potrebbe aprirne un altro ancora, e così via – tenendo però presente che questi “spostamenti” continui sono solo tamponi e non risolvono il problema del debito. Nota: Non tenere sul nuovo conto troppi soldi accumulati, perché se lo pignorano poi li bloccano; meglio magari prelevare o tenerli sul minimo indispensabile sul conto e il resto eventualmente in contanti (nei limiti leciti) o su strumenti non facilmente pignorabili. Questa pratica è comprensibilmente ai limiti, ma alcuni debitori per sopravvivere devono pensarci.
 - Utilizzare contanti o carte prepagate: finché la situazione non si risolve, il debitore può usare contanti per le spese quotidiane o carte prepagate intestate a terzi fidati (ad esempio, la carta prepagata intestata al coniuge non debitore). Così evita di appoggiarsi a conti a lui intestati. Questa soluzione va ponderata per non scivolare in opacità: ricordiamo che usare conti di terzi può esporre a possibili insinuazioni di frode, ma per piccole spese è comprensibile.
 - Monitorare l’Anagrafe dei rapporti finanziari: dal 2019 i creditori (privati e Fisco) possono accedere alla banca dati dei conti correnti. Ciò significa che un creditore ostinato potrebbe sapere di eventuali nuovi conti aperti dal debitore e pignorarli. Il debitore deve esserne consapevole. Non c’è una vera difesa, se non pagare il debito o entrare in procedure concorsuali.
 - Chiedere aiuto a terzi per pagare la somma dovuta: se il blocco del conto genera gravissime difficoltà (ad esempio impedisce di pagare fornitori mettendo a rischio l’attività, o impedisce di pagare spese mediche urgenti), e il debitore non riesce a ottenere una rapida liberazione in via legale, una soluzione di emergenza può essere quella di trovare un familiare o partner che presti i soldi per soddisfare il creditore. Una volta pagato, il creditore rinuncerà al pignoramento e il conto tornerà libero. Poi il debitore avrà un debito verso la persona che lo ha aiutato, ma almeno con questa potrà rinegoziare con più flessibilità magari. È un male minore, ma talora necessario.
 - Verificare eventuali irregolarità fiscali: se il pignoramento è dell’Agente Riscossione e il debitore sospetta che qualcosa non quadra (cartelle già prescritte, condoni nel frattempo intervenuti su quelle somme, ecc.), potrebbe consultare un fiscalista e controllare la propria situazione Equitalia/ADER. Ad esempio, se il debito riguarda cartelle degli anni 2000-2010 di piccolo importo, c’è stata la cancellazione automatica di quelle fino a €1.000 per certo periodo. Oppure il debito potrebbe rientrare in una “rottamazione” (definizione agevolata) e allora il pignoramento potrebbe essere sospendibile. Dunque, informarsi su eventuali norme di sollievo fiscale può portare a scoprire opportunità per fermare l’esecuzione.
 - Attendere la chiusura per inefficacia: se il debitore non ha urgenza di sbloccare il conto e magari c’è poco sopra, può anche adottare una strategia di attesa. Come accennato, se il creditore non compie i passi dovuti (deposito, istanza di vendita/assegnazione, ecc.), dopo un certo tempo l’esecuzione si estingue. L’art. 630 c.p.c. consente di chiedere l’estinzione per inattività del creditore. Ad esempio, se trascorrono oltre 6 mesi senza alcun atto e il creditore non ha avuto assegnazione, il debitore potrebbe istare per la chiusura. Nel frattempo il conto è bloccato, ma se magari era a zero… tanto vale. Questa è passiva come strategia, ma in certi contesti può funzionare (creditore che si dimentica della pratica? raramente, ma chissà).
 
Abbiamo dunque passato in rassegna un ampio ventaglio di strategie difensive. In generale, la migliore difesa è personalizzata sul caso: un bravo legale analizzerà se conviene un’opposizione per vizio formale, oppure pagare e convertire, o trattare, ecc. Spesso si combinano più strumenti (es. si fa opposizione per guadagnare tempo e nel frattempo si cerca un accordo transattivo).
Nel prossimo capitolo presentiamo alcune domande frequenti e risposte sintetiche, utili a chiarire i dubbi più comuni dei debitori di fronte a un pignoramento di conto corrente.
Domande e Risposte Frequenti (FAQ)
D: Il creditore può pignorare l’intero saldo di un conto cointestato con una persona che non ha debiti?
R: No, può pignorare solo la quota presumibilmente appartenente al debitore. Di regola, se il conto ha due cointestatari (uno debitore e l’altro no), si presume che metà delle somme siano del debitore: il creditore potrà quindi colpire solo quella metà . L’altra metà spetta all’altro intestatario e deve essere liberata. Questa presunzione (50/50) può essere superata con prova contraria : se, ad esempio, il cointestatario dimostra che il denaro era tutto suo, il pignoramento dovrebbe essere levato del tutto; viceversa, se il creditore prova che in realtà i fondi erano tutti del debitore, potrebbe pignorare anche oltre la metà. In pratica, la banca inizialmente blocca tutto per cautela, ma poi in sede di giudizio si assegna solo la parte debitoria. Il co-intestatario non debitore può tutelarsi con un’opposizione di terzo, se necessario, per far valere i propri diritti.
D: Cosa succede se il conto corrente pignorato è “vuoto” o con saldo insufficiente?
R: Se al momento del pignoramento il conto non ha fondi, la banca dichiarerà incapienza. Tuttavia, il pignoramento resta attivo: significa che se successivamente arriveranno accrediti (stipendi, bonifici, ecc.), la banca dovrà bloccarli fino a concorrenza del credito pignorato . Il debitore dunque non può considerarsi al sicuro: il conto rimane congelato in attesa di movimenti futuri. Se dopo un certo tempo (mesi) nessun fondo arriva, il creditore potrebbe abbandonare l’azione e la procedura verrà chiusa per inefficacia. Attenzione: mentre il pignoramento è in essere, qualsiasi somma versi sul conto verrà immediatamente catturata (salvo la quota impignorabile se stipendio/pensione). Conviene, in tal caso, evitare di usare quel conto per incassi.
D: Posso evitare il pignoramento spostando i soldi su un altro conto prima che avvenga?
R: Se riesci a spostare le somme prima che l’atto di pignoramento venga notificato in banca, quei soldi non saranno bloccati su quel conto. Tuttavia, attenzione: una volta che sei stato avvertito (precetto o comunque sai di un possibile pignoramento imminente), il trasferire fondi altrove potrebbe essere visto come atto in frode ai creditori. Non è illecito in sé spostare i propri soldi, ma se lo fai per sottrarli all’azione esecutiva potresti subire, ad esempio, un’azione revocatoria (soprattutto se li trasferisci a terzi o all’estero). In pratica, muovere i soldi prima può evitarti il blocco sul conto A, ma il creditore può poi cercarli sul conto B. Oggi i creditori possono accedere all’Anagrafe dei conti, quindi trovare altri conti intestati a te e pignorarli a loro volta. Quindi è una difesa temporanea e non risolutiva. L’importante è non movimentare dopo che il pignoramento è notificato: dal quel momento le somme sono legalmente vincolate e qualsiasi spostamento sarebbe violazione di un’ingiunzione del tribunale.
D: Il mio stipendio viene accreditato sul conto pignorato: posso ritirarlo in qualche modo?
R: Sì, ma solo in parte. Secondo la legge, lo stipendio accreditato su conto dopo il pignoramento è pignorabile nei limiti di 1/5 per ogni accredito . Quindi, quando arriverà lo stipendio, la banca dovrebbe trattenere il 20% a disposizione del pignoramento e lasciarti il restante 80% disponibile sul conto (che potrai prelevare). Se però il tuo stipendio è molto basso (nei limiti del minimo vitale), potrebbe anche non trattenere nulla. Esempio: stipendio €1.200, la banca ne accantona circa €240 per il creditore e ti lascia €960 utilizzabili. Tieni conto che, se il conto è completamente bloccato perché aveva saldo pregresso, dovrai coordinarti con la banca: spesso loro tecnicamente sbloccano le somme eccedenti man mano. In caso di problemi (banche che bloccano anche la parte liberabile), potresti rivolgerti al giudice perché venga ordinato il rilascio della quota impignorabile. In alternativa, conviene far dirottare lo stipendio su un altro conto non pignorato (nuova banca), così da non passare nemmeno per il meccanismo del quinto.
D: Dopo quanto tempo viene sbloccato un conto pignorato?
R: Se non fai nulla, il conto rimane bloccato fino all’ordinanza di assegnazione e al pagamento al creditore, dunque tipicamente qualche mese. Una volta emessa l’ordinanza, la banca trasferisce i soldi dovuti e libera l’eventuale residuo immediatamente (o appena riceve l’ordine). Se la procedura va per le lunghe (udienze rinviate, ecc.), il blocco si protrae. Ci sono però dei tempi massimi procedurali: il creditore deve depositare l’atto entro 30 giorni dalla notifica (se no il pignoramento perde efficacia) e deve attivarsi per l’assegnazione entro termini ragionevoli. In pratica, se dopo 6-12 mesi nulla è successo, si può chiedere l’estinzione. Quindi in assenza di eventi, dopo circa un anno al massimo potrebbe chiudersi per inerzia. Se invece presenti opposizioni, il conto può restare bloccato più a lungo durante la causa (ma puoi chiedere sospensione per sbloccarlo temporaneamente). In caso di accordo col creditore o conversione, si può sbloccare il conto anche nel giro di poche settimane. Dunque, la tempistica varia: senza interventi direi 2-4 mesi medi, con interventi può essere meno (accordo) o più (causa).
D: La banca può chiudere unilateralmente il mio conto mentre è pignorato?
R: Di solito no, durante il pignoramento la banca non chiude il rapporto perché c’è un vincolo legale in corso. Tuttavia, se il conto rimane a lungo a saldo zero e inutilizzabile, alcune banche (secondo contratto) dopo tot tempo possono considerarlo dormiente o chiuderlo per inattività, ma il pignoramento complica la cosa. Più probabile è che, conclusa la procedura, se il saldo residuo è zero, la banca ti inviti a chiudere. Oppure, se il conto era già in rosso e il creditore non ha preso nulla, la banca può dopo tempo chiuderlo e sollecitare il rientro dal fido. Durante l’esecuzione, comunque, aspettati che il conto resti formalmente aperto ma bloccato. Sarai tu eventualmente, dopo che tutto si risolve, a decidere se tenerlo (una volta sbloccato) o chiuderlo e aprirne un altro per ragioni di praticità.
D: Ho più conti correnti in banche diverse: il creditore li può pignorare tutti?
R: Sì, in teoria il creditore può notificare pignoramenti a tutte le banche presso cui risulti un tuo conto, fino a copertura del dovuto. Non c’è un divieto di pignoramenti “multipli” contemporanei, purché non ecceda in mala fede. Se il creditore pignora somme eccedenti il suo credito (ad esempio blocca €10.000 su Banca A e altri €10.000 su Banca B per lo stesso debito di €10.000), dovrà poi rinunciare all’eccedenza. Di solito i creditori preferiscono agire su un conto principale (magari lo stipendio) per recuperare tutto da lì. Ma se ha notizia di più conti, potrebbe vincolarli. Se ciò accade e il totale pignorato supera il credito, potresti chiedere al giudice di ridurre il pignoramento (liberando uno dei conti). La legge non disciplina chiaramente la “riduzione” nel pignoramento presso terzi (prevista esplicitamente per immobili, art.586 c.p.c.), ma si può fare leva sul principio generale di proporzionalità. In pratica, il creditore non può incassare più di quanto dovuto. Qualunque surplus deve essere restituito al debitore.
D: L’Agenzia delle Entrate-Riscossione può pignorare il conto senza avvisare?
R: Sì, l’ADER (ex Equitalia) una volta decorsi i 60 giorni dalla notifica della cartella (e inviata eventualmente l’intimazione se ne è passato uno) può attivare il pignoramento presso terzi senza ulteriore avvertimento . Non c’è l’obbligo del precetto nel procedimento fiscale. Quindi il debitore potrebbe scoprirlo direttamente dalla banca che comunica il blocco, o ricevendo l’atto contestualmente al blocco. In alcuni casi, ADER invia una comunicazione di preavviso (specie per importi alti, a volte un sollecito bonario), ma non è tenuta a farlo. La legge consente questo per rendere efficace la riscossione: diversamente i contribuenti sposterebbero i soldi. Va ricordato che oggi ADER può accedere all’anagrafe dei conti e persino alle informazioni sulle giacenze in tempo reale (novità introdotta con Legge di Bilancio 2024) , quindi può pignorare in modo mirato il conto dove sa che c’è liquidità. L’unica “difesa” è mettersi in regola con le cartelle (pagare o chiedere dilazione) prima che scadano i termini, oppure aderire a eventuali definizioni agevolate.
D: Come posso oppormi a un pignoramento esattoriale (ADER) sul conto?
R: Le strade sono due, dipende dal motivo: – Se contesti nel merito il debito (es. cartella mai notificata, importo non dovuto, prescrizione), devi fare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria) entro 60 giorni, perché è materia fiscale . Non andare dal giudice dell’esecuzione su questo, perché ti dichiarerebbe inammissibile. Purtroppo spesso il pignoramento arriva quando i 60 gg sono scaduti da tempo; in tal caso, se il vizio è la mancata notifica della cartella, Cass. SU 2018 dice che ancora il giudice tributario è competente (valutando se concedere rimessione in termini). – Se invece contesti vizi formali dell’atto di pignoramento (es. non contiene i dettagli delle cartelle, come da Cass. 26519/2017 ; oppure ADER ha pignorato un conto cointestato interamente mentre doveva limitarsi; o non ha rispettato l’art.72-ter sul ultimo stipendio), allora puoi proporre opposizione agli atti esecutivi al tribunale ordinario entro 20 giorni . Ad esempio molti hanno vinto eccependo che l’atto non elencava le singole cartelle. In entrambi i casi, puoi anche chiedere una sospensione dell’esecuzione in via d’urgenza (al giudice competente). Ricorda che se ottieni una rateizzazione da ADER entro 60 giorni, l’esecuzione si sospende automaticamente. Quindi, un’altra via pratica: presentare subito domanda di dilazione ad ADER; se accettata e paghi la prima rata, il pignoramento viene revocato (o comunque non viene eseguito il trasferimento) .
D: Il pignoramento del conto corrente può riguardare anche conti aziendali o di un libero professionista?
R: Sì. Se il debitore è una società o un professionista con conti intestati alla sua partita IVA, il creditore ovviamente può pignorare quei conti (il conto aziendale è un bene del debitore società). Non ci sono limiti di impignorabilità come per stipendi, perché i fondi aziendali non sono “stipendio” (anche se destinati a pagare stipendi di terzi, non c’è tutela specifica). Quindi un conto aziendale può essere bloccato al 100%. Per un’azienda questo può paralizzare l’attività: le difese in questi casi puntano su soluzioni come il concordato preventivo (se il debito è grosso e si vuole bloccare tutto), oppure la conversione (cercare di pagare a rate e liberare il conto), oppure ancora accordi con i creditori o interventi d’urgenza (es. istanza al giudice per poter usare parte delle somme per pagare dipendenti – a volte accolta nei concordati, ma non nell’esecuzione singola). Dunque, sì, il conto intestato a una ditta individuale o società è pignorabile e anzi spesso i creditori aggrediscono quelli per primi (dove girano più soldi).
D: Quanto costa fare opposizione? Vale la pena?
R: L’opposizione ha i costi di una causa civile: va pagato un contributo unificato (dipende dal valore del debito in esecuzione; ad esempio su €10.000 è €237), più eventuali marche. Ci sono poi le spese legali dell’avvocato, che variano a seconda della complessità (possono essere qualche migliaio di euro). Quindi, va valutato. Se il debito pignorato è piccolo (es. €500), spesso non conviene fare una costosa opposizione, meglio pagare se possibile. Se invece è grande o ci sono principi importanti in gioco (casa pignorata ecc.), allora sì. Inoltre, se vinci l’opposizione, in teoria le spese le deve rifondere il creditore soccombente. Tieni però presente che nel frattempo devi anticiparle. Insomma, valuta caso per caso con il tuo legale: a volte un vizio formale lampante può essere fatto valere con un ricorso mirato e relativamente economico, e può farti risparmiare molto di più sbloccando soldi.
D: Se il debitore non ha nulla sul conto e nulla altrove, il creditore può fargli qualcosa sul piano personale (denuncia penale, etc.)?
R: L’inadempimento di per sé non è reato (a meno di casi come assegni scoperti che hanno altre implicazioni). Quindi, se il creditore non trova beni da pignorare, subisce purtroppo la perdita o dovrà attendere tempi migliori. Non può “mandare in galera” il debitore per non aver soldi. Può però continuare a tenere d’occhio la situazione: il pignoramento infruttuoso può essere rinnovato, o si può procedere con altre azioni (pignorare lo stipendio se lavora, o iscrivere ipoteca su immobili se emergono, ecc.). Se il debitore volontariamente nasconde i beni, potrebbe eventualmente configurarsi il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (se è verso il Fisco, art.11 D.lgs.74/2000) o genericamente una frode ai creditori (art.388 c.p., ma è raro sia applicato per non pagamento). In pratica, finché non fai atti fraudolenti, non c’è conseguenza penale nel non avere soldi da dare. Il creditore rimane con un titolo esecutivo valido 10 anni (rinnovabile) durante i quali può periodicamente tentare esecuzioni se pensa che la tua situazione migliori.
Conclusioni
Difendersi da un pignoramento di un conto corrente è possibile attraverso un mix di conoscenza dei propri diritti e azioni tempestive. Abbiamo visto come l’ordinamento italiano, pur garantendo al creditore mezzi efficaci di recupero, predisponga anche una serie di tutele per il debitore, che spaziano dai limiti di pignorabilità (per preservare il minimo vitale) fino ai vari strumenti processuali di opposizione e accordo. Il denominatore comune delle strategie difensive è la rapidità e la precisione: un debitore informato che si attiva prontamente – magari assistito da un legale esperto – potrà spesso salvare una quota significativa del proprio denaro o quanto meno guadagnare tempo prezioso per riorganizzare le proprie finanze.
Dal punto di vista sostanziale, la legge cerca un equilibrio: il creditore può pignorare, ma non deve mai ridurre il debitore sul lastrico privandolo di mezzi di sostentamento. Così, stipendio e pensione rimangono in parte al sicuro, e addirittura l’ordinamento offre vie d’uscita come la conversione del pignoramento a rate o le procedure di sovraindebitamento per situazioni disperate. Dal punto di vista procedurale, ogni passo del creditore è scandito da regole formali che, se non rispettate, danno chance al debitore di far cadere l’esecuzione.
Per un avvocato chiamato a difendere un debitore, questa materia richiede un approccio multidisciplinare: padronanza del diritto processuale esecutivo, aggiornamento sulle ultime novità normative (come le riforme del 2024) e giurisprudenziali (dalle sentenze di Cassazione sul 72-bis alle pronunce sui conti cointestati), ma anche sensibilità nel trattare con la controparte per soluzioni transattive quando conviene. Per un imprenditore o privato debitore, il consiglio è di non ignorare mai le comunicazioni relative a crediti e pignoramenti: reagire in modo informato può fare la differenza tra subire passivamente la perdita di ingenti somme e, invece, gestire attivamente la crisi minimizzando gli effetti.
In conclusione, “difendersi” da un pignoramento non significa sottrarsi ingiustamente ai propri obblighi, ma far valere i propri diritti di fronte a eventuali abusi o errori e ottenere, se possibile, condizioni più umane per rimediare alla propria esposizione debitoria. Questa guida ha illustrato tutte le strategie legali a disposizione fino a settembre 2025: resta inteso che ogni caso concreto ha le sue peculiarità e va affrontato con un’analisi specifica. L’auspicio è che tali informazioni possano aiutare debitori (e i loro consulenti) a navigare in acque difficili, trovando la soluzione migliore e più equa possibile, e magari ripartire dopo la tempesta finanziaria con rinnovata consapevolezza.
Fonti e Riferimenti
- Codice di Procedura Civile – Articoli rilevanti: 480 (precetto), 482, 543 (forma pignoramento presso terzi) , 545 (limiti di pignorabilità di stipendi, pensioni, etc.) , 546 (obblighi custodia terzo, modificato da L. 56/2024) , 547 (dichiarazione del terzo), 548 (mancata dichiarazione), 615 (opposizione all’esecuzione) , 617 (opposizione atti esecutivi) , 619 (opposizione di terzo), 624-bis (sospensione concordata), 630-632 (estinzione per inattività). Testo normativo aggiornato su Gazzetta Ufficiale/Normattiva .
 - D.L. 2 marzo 2024 n.19, conv. L. 56/2024 – Riforma del processo civile (attuazione PNRR) che ha modificato l’art.546 c.p.c. in tema di obblighi di custodia del terzo pignorato, introducendo gli scaglioni di importo precettato + €1.000/€1.600/50% .
 - D.P.R. 29 settembre 1973 n.602 – Art. 72-bis (pignoramento esattoriale presso terzi) e 72-ter (limiti su stipendio/pensione presso terzi fiscali). Prevede l’ordine di pagamento diretto da ADER senza intervento del giudice ; l’art.72-ter comma 2-bis (introdotto nel 2013) esenta dall’obbligo di custodia l’ultimo stipendio accreditato .
 - Corte di Cassazione – Sezioni Unite: sent. n. 30756/2018 – ha statuito che le opposizioni relative a cartelle non notificate (inesistenza del titolo) rientrano nella giurisdizione tributaria anche se sollevate durante l’esecuzione .
 - Corte di Cassazione – Sez. III Civ.: sent. n. 26519/2017 – ha dichiarato nullo l’atto di pignoramento ex art.72-bis DPR 602/73 privo del dettaglio di cartelle, importi e date notifica, poiché il debitore deve essere messo in grado di comprendere l’entità e l’origine del debito .
 - Corte di Cassazione – Sez. I Civ.: ord. n. 11375/2019 – ha confermato che nel conto cointestato la presunzione di contitolarità (50/50) è superabile con prova contraria da parte di chi afferma la diversa proprietà delle somme .
 - Corte di Cassazione – Sez. I Civ.: ord. n. 1643/2025 (23/01/2025) – ha ribadito, in ambito di conto cointestato tra coniugi, che le somme depositate si presumono comuni a metà ma tale presunzione non è assoluta e può cadere se si prova che la provvista proviene esclusivamente da uno dei due. Nel caso specifico assegni circolari intestati solo a un coniuge costituivano prova che l’intero saldo era di sua proprietà personale .
 - Tribunale di Genova – ordinanza 22/06/2023 – ha interpretato l’art.543 c.p.c. post-riforma stabilendo che l’avviso di iscrizione a ruolo deve essere notificato e depositato entro l’udienza effettivamente tenuta, anche se questa viene rinviata rispetto alla data iniziale . Il mancato adempimento comporta l’inefficacia del pignoramento .
 
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⚖️ Cos’è il pignoramento del conto corrente
Il pignoramento del conto corrente è un atto con cui un creditore, munito di titolo esecutivo (cartella esattoriale, decreto ingiuntivo o sentenza), ordina alla banca di bloccare le somme presenti sul tuo conto per soddisfare un debito non pagato.
Il meccanismo è semplice ma drastico:
- Il creditore notifica l’atto di pignoramento alla banca e al debitore.
 - La banca congela le somme disponibili sul conto.
 - Dopo un certo periodo (di solito 60 giorni per i debiti fiscali), le somme vengono trasferite al creditore se non intervieni legalmente.
 
📌 Il blocco riguarda solo i soldi presenti al momento della notifica: le somme successive (es. stipendio o pensione) possono essere in parte tutelate dalla legge.
👥 Chi può pignorare il tuo conto
- Agenzia delle Entrate – Riscossione, per tasse, multe e cartelle esattoriali.
 - Banche e finanziarie, per mutui, prestiti o scoperti non pagati.
 - Privati o aziende, dopo un decreto ingiuntivo o una sentenza.
 - Ex coniugi o dipendenti, per assegni di mantenimento o arretrati di retribuzione.
 
💰 Cosa succede quando il conto è pignorato
- Tutte le somme vengono bloccate immediatamente.
 - Carte di debito e credito smettono di funzionare.
 - Non puoi più prelevare, pagare o ricevere bonifici.
 - Se lo stipendio o la pensione vengono accreditati sul conto, sono solo parzialmente pignorabili.
 - Le somme impignorabili (come sussidi o assegni familiari) devono essere liberate su richiesta del debitore.
 
🧠 Le prime mosse da fare subito
✅ 1. Capire chi ti ha pignorato
Controlla nella notifica ricevuta chi è il creditore e a quanto ammonta il debito.
Questo serve per scegliere la difesa più adatta:
- Se è l’Agenzia delle Entrate, puoi agire con ricorso tributario o istanza di sospensione.
 - Se è un privato o una banca, puoi valutare opposizione giudiziale.
 
✅ 2. Verificare se il pignoramento è legittimo
Molti pignoramenti contengono errori formali o vizi di notifica.
Un avvocato può controllare:
- se il titolo esecutivo è valido;
 - se è ancora efficace (prescrizione);
 - se la notifica è avvenuta correttamente.
 
Se emergono irregolarità, puoi chiedere l’annullamento o la sospensione immediata del pignoramento.
✅ 3. Far valere l’impignorabilità di alcune somme
La legge tutela parte delle somme depositate:
- Stipendio e pensione accreditati sono pignorabili solo in parte (di solito un quinto).
 - Indennità, sussidi, assegni familiari, bonus sociali sono totalmente impignorabili.
Puoi chiedere al giudice il dissequestro di queste somme con ricorso urgente. 
✅ 4. Evitare mosse sbagliate
Non spostare soldi, non aprire nuovi conti e non cambiare banca subito dopo la notifica: potrebbe essere interpretato come atto fraudolento.
Meglio agire con l’assistenza di un legale.
🧩 Le principali strategie legali per difendersi
💠 1. Opposizione al pignoramento
Se ci sono vizi di procedura (notifica errata, prescrizione, titolo non valido), puoi presentare ricorso al Tribunale per bloccare la procedura.
Il giudice può sospendere subito il pignoramento fino alla decisione finale.
💠 2. Istanza di sospensione (debiti fiscali)
Per i pignoramenti dell’Agenzia delle Entrate, puoi presentare un’istanza di sospensione se:
- hai già chiesto una rateizzazione;
 - stai impugnando la cartella;
 - il debito è prescritto o inesatto.
👉 L’Agenzia deve sospendere il blocco fino alla verifica del tuo ricorso. 
💠 3. Saldo e stralcio o accordo bonario
Se il debito è stato ceduto o è trattabile, puoi proporre un pagamento parziale in cambio della liberatoria definitiva.
Le società di recupero crediti accettano spesso riduzioni tra il 40% e l’80% del totale.
💠 4. Procedura di sovraindebitamento (via giudiziale)
Se hai più debiti o il pignoramento è solo uno dei tanti problemi, puoi avviare la procedura di sovraindebitamento.
Con questa via ottieni:
- blocco immediato di tutti i pignoramenti;
 - sospensione di fermi e ipoteche;
 - riduzione o cancellazione totale dei debiti residui (esdebitazione).
 
📋 Documenti da fornire al tuo avvocato
- Copia dell’atto di pignoramento ricevuto.
 - Comunicazioni della banca sul blocco.
 - Estratto conto aggiornato.
 - Eventuali cartelle, decreti o sentenze alla base del pignoramento.
 - Prove del reddito (buste paga, CUD, pensione).
 - Elenco dei debiti e dei creditori.
 
⏱️ Tempi e risultati possibili
- Analisi e ricorso urgente: 1–2 settimane.
 - Sospensione temporanea del pignoramento: anche in pochi giorni.
 - Annullamento o definizione del debito: 3–6 mesi, secondo la procedura.
 
🎯 Risultato finale:
- Sblocco del conto corrente.
 - Tutela delle somme impignorabili.
 - Riduzione o cancellazione del debito.
 - Ripristino della piena disponibilità bancaria.
 
⚖️ I vantaggi di difendersi subito
✅ Blocco immediato del trasferimento delle somme al creditore.
✅ Protezione dei tuoi soldi da prelievi illegittimi.
✅ Possibilità di ridurre o cancellare il debito.
✅ Difesa legale completa davanti al Tribunale.
✅ Recupero della liquidità e della serenità finanziaria.
🚫 Errori da evitare
- Ignorare l’atto di pignoramento (le somme vengono trasferite dopo 60 giorni).
 - Tentare di svuotare il conto.
 - Parlare con la banca senza una strategia legale.
 - Affidarsi a “consulenti del debito” non avvocati.
 - Firmare accordi o pagamenti non verificati da un professionista.
 
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza l’atto di pignoramento e verifica eventuali vizi o abusi.
📌 Presenta ricorso urgente o istanza di sospensione per bloccare subito la procedura.
✍️ Negozia con il creditore o con l’Agenzia delle Entrate per trovare un accordo sostenibile.
⚖️ Ti rappresenta in Tribunale e ti tutela durante tutto l’iter esecutivo.
🔁 Ti assiste fino allo sblocco definitivo del conto e alla cancellazione del debito residuo.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in diritto bancario, tributario e sovraindebitamento.
✔️ Specializzato nella difesa contro pignoramenti e azioni esecutive.
✔️ Gestore della crisi da sovraindebitamento iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Un pignoramento del conto corrente non è la fine: è solo un atto che puoi contestare, sospendere o trasformare in una trattativa vantaggiosa.
Con l’assistenza legale giusta puoi bloccare il trasferimento dei fondi, tutelare le somme impignorabili e ricominciare libero dai debiti.
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