Centri Di Tatuaggi Con Debiti: Cosa Fare E Come Difendersi

Gestisci un centro di tatuaggi con debiti fiscali o sotto accertamento dell’Agenzia delle Entrate?
Negli ultimi anni, il settore del tattoo ha conosciuto una crescita importante ma anche un aumento dei controlli fiscali e amministrativi. L’aumento dei costi di gestione, gli adempimenti sanitari e i periodi di calo del lavoro possono mettere in difficoltà anche gli studi più affermati.
Molti centri di tatuaggi si trovano oggi a dover affrontare debiti con il Fisco, l’INPS o i fornitori, spesso aggravati da cartelle esattoriali, pignoramenti e accertamenti IVA o IRPEF.

Con una difesa legale e fiscale mirata, è possibile bloccare la riscossione, rateizzare i debiti e difendersi da accertamenti infondati, tutelando la tua attività, i tuoi beni e la continuità del lavoro.

Quando un centro di tatuaggi entra in difficoltà fiscale o finanziaria

Le situazioni più comuni che portano un tatuatore o uno studio di tattoo ad accumulare debiti o a subire accertamenti fiscali sono:

  • Cartelle esattoriali o intimazioni di pagamento per IVA, IRPEF o contributi non versati
  • Accertamenti fiscali per presunte irregolarità nella contabilità o nella gestione dei corrispettivi
  • Pignoramenti o ipoteche su conti correnti, locali o beni aziendali
  • Sanzioni e interessi che fanno aumentare rapidamente l’importo del debito
  • Ritardi nei pagamenti da parte di clienti o collaboratori
  • Errori amministrativi o contabili nella gestione della partita IVA e delle dichiarazioni fiscali

Cosa fare se il tuo centro di tatuaggi ha debiti o è sotto accertamento fiscale

Agisci subito: ogni atto (cartella, intimazione o accertamento) ha scadenze precise – in genere 60 giorni dalla notifica – per essere impugnato o rateizzato.

Ecco cosa fare immediatamente:

  1. Verifica la legittimità degli atti ricevuti: molti accertamenti fiscali presentano errori di notifica, calcoli errati o motivazioni generiche che possono renderli annullabili.
  2. Controlla l’importo reale del debito: spesso le somme richieste comprendono sanzioni e interessi eccessivi, riducibili con una definizione agevolata.
  3. Richiedi la rateizzazione: puoi ottenere fino a 120 rate mensili, sospendendo temporaneamente le azioni di riscossione.
  4. Valuta la definizione agevolata (rottamazione): se disponibile, consente di pagare solo il capitale dovuto, cancellando sanzioni e interessi.
  5. Impugna gli accertamenti infondati: con un ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria puoi bloccare la riscossione e difendere la tua attività.

Come difendersi legalmente e fiscalmente

Un avvocato tributarista esperto nella difesa delle microimprese e delle attività artigianali può analizzare la tua posizione e predisporre una strategia difensiva su misura, tutelando i beni e garantendo la continuità del tuo studio di tatuaggi.

Le azioni più efficaci comprendono:

  • Contestare vizi di notifica, prescrizione o calcolo negli accertamenti e nelle cartelle
  • Chiedere la sospensione immediata di pignoramenti, fermi o ipoteche
  • Presentare ricorso contro accertamenti IVA o IRPEF basati su presunzioni o dati incompleti
  • Negoziare piani di rateizzazione o transazioni fiscali con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione
  • Tutelare i conti correnti, le attrezzature e i locali da azioni esecutive
  • Migliorare la gestione contabile e fiscale per evitare nuovi debiti in futuro

Il ruolo dell’avvocato nella difesa dei centri di tatuaggi

Un avvocato specializzato può:

  • Analizzare la legittimità di cartelle, accertamenti e intimazioni di pagamento
  • Predisporre ricorsi e istanze di sospensione per bloccare la riscossione
  • Negoziare rateizzazioni e definizioni agevolate
  • Difendere la tua attività nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate
  • Proteggere beni, attrezzature e conti aziendali da pignoramenti o sequestri
  • Tutelare la continuità operativa e la reputazione del tuo studio

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace

  • La sospensione immediata delle procedure di riscossione
  • L’annullamento totale o parziale dei debiti illegittimi o prescritti
  • La rateizzazione o definizione agevolata delle somme dovute
  • La tutela del patrimonio aziendale e personale dei soci o titolari
  • Il risanamento fiscale e la stabilità economica della tua attività

⚠️ Attenzione: ignorare cartelle o accertamenti fiscali può portare a pignoramenti, blocchi dei conti correnti e ipoteche sui beni, mettendo a rischio la sopravvivenza dello studio.
Molte situazioni, però, possono essere risolte o fortemente ridotte se affrontate tempestivamente con una difesa legale e fiscale competente.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, crisi d’impresa e difesa fiscale delle attività artigianali – spiega cosa fare se il tuo centro di tatuaggi ha debiti o è sotto accertamento, come bloccare la riscossione e come ristabilire la solidità economica e operativa della tua attività.

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Analizzeremo la tua situazione, verificheremo la legittimità degli atti e costruiremo una strategia difensiva personalizzata per proteggere la tua attività, i tuoi beni e la tua serenità professionale.

Introduzione

Un centro di tatuaggi, spesso avviato come piccola impresa individuale o società a conduzione familiare, può trovarsi a fronteggiare difficoltà finanziarie significative. Debiti fiscali, contributivi (INPS/INAIL), fatture di fornitori non pagate, rate di mutui o finanziamenti arretrati e altre pendenze possono accumularsi nel tempo. Questo guida avanzata, fornisce un quadro completo degli strumenti giuridici a disposizione del titolare di un centro tatuaggi indebitato, per capire cosa fare e come difendersi. Adotteremo un linguaggio tecnico ma accessibile, adatto sia a professionisti legali sia a imprenditori e privati, esaminando la normativa italiana vigente, le responsabilità personali, il rischio penale, le procedure di risanamento del debito (composizione della crisi da sovraindebitamento, ristrutturazione, liquidazione) e fornendo domande e risposte su casi pratici. Troverete anche tabelle riepilogative e simulazioni pratiche in ambito italiano, dal punto di vista del debitore, per orientare le scelte. Nessuna situazione debitoria è senza via d’uscita: conoscere i propri diritti e le soluzioni di legge è il primo passo per uscire dalla crisi.

Importante: La guida include riferimenti normativi e giurisprudenziali aggiornati al 2025. Tutte le fonti utilizzate (leggi, sentenze, circolari) sono elencate in fondo nella sezione Fonti e riferimenti normativi, per permettere ulteriori approfondimenti e verifiche. Si raccomanda comunque di rivolgersi a un professionista (avvocato, commercialista o organismo di composizione della crisi) per valutare nel dettaglio il proprio caso specifico e impostare la strategia migliore.

Tipologie di debiti di un centro tatuaggi e relative criticità

Un titolare di centro tatuaggi in difficoltà finanziaria può avere molteplici tipologie di debito, ciascuna con caratteristiche e rimedi specifici. Analizziamo i principali debiti che possono gravare su un’attività di tatuaggi, evidenziando per ciascuno le problematiche connesse e le possibili strategie difensive:

  • Debiti fiscali ed erariali (imposte e tributi): includono le imposte statali come IVA, IRPEF (se il titolare è individuale) o IRES (se società), l’IRAP, nonché eventuali ritenute fiscali non versate, e i tributi locali (es. TARI, COSAP per occupazione suolo pubblico, ecc.). In questa categoria rientrano anche i contributi previdenziali obbligatori (versamenti INPS per il titolare artigiano e per gli eventuali dipendenti) e i premi assicurativi INAIL. Un elemento cruciale è che la chiusura dell’attività non estingue questi debiti: in un’impresa individuale, non essendovi distinta personalità giuridica, i debiti fiscali e contributivi restano a carico personale del titolare anche dopo la cessazione. Lo stesso vale per i mancati versamenti di contributi previdenziali o stipendi: l’eventuale cancellazione della partita IVA non blocca il diritto dell’Erario o degli enti previdenziali di procedere al recupero. Anzi, molti di questi debiti godono di privilegi di legge (hanno priorità di pagamento) e seguono regole speciali di prescrizione. Ad esempio, i debiti tributari erariali (imposte statali) in genere si prescrivono in 10 anni, mentre i contributi previdenziali si prescrivono in 5 anni (o 10 anni se la cartella esattoriale è stata notificata prima del 2016). Le multe e le altre sanzioni amministrative locali si prescrivono in 5 anni, così come la maggior parte delle tasse comunali (IMU, TARI, ecc.). Di seguito una tabella riassuntiva dei termini di prescrizione ordinari:
Tipo di debitoTermine di prescrizione
Imposte statali (IVA, IRPEF, IRES, ecc.)10 anni
Contributi previdenziali INPS5 anni (10 anni se cartella ante 2016)
Sanzioni amministrative (es. multe)5 anni
Tributi locali (IMU, TARI, ecc.)5 anni

Problematiche: I debiti fiscali sono in genere affidati all’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AER) per il recupero forzato. Ciò significa che il titolare indebitato riceverà cartelle esattoriali e avvisi di intimazione. AER può attivare procedure esecutive in via amministrativa, senza bisogno di passare dal tribunale: ad esempio l’iscrizione di fermo amministrativo sui veicoli, l’ipoteca su immobili, il pignoramento di conti correnti o lo pignoramento presso terzi (su stipendio/pensione). Occorre evidenziare che, per legge, non può essere pignorata la prima casa di abitazione del debitore da parte dell’Agente della Riscossione, a condizione che sia l’unico immobile di proprietà, adibito ad uso abitativo e non di lusso. Questa tutela (introdotta dall’art. 76 del DPR 602/1973) protegge la casa familiare dai debiti fiscali, ma non vale per creditori privati: una banca o un fornitore possono comunque ipotecare e pignorare l’immobile del tatuatore debitore (come vedremo più avanti). Dal punto di vista penale, la maggior parte dei debiti fiscali comporta sanzioni amministrative (more e soprattasse), salvo alcuni casi in cui scatta il reato: ad esempio, non versare l’IVA dovuta per un importo annuo superiore a €250.000 costituisce reato (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000, punito con la reclusione da 6 mesi a 2 anni) ; analogamente, non versare le ritenute fiscali certificate (trattenute IRPEF su stipendi o compensi) oltre €150.000 annui è reato (art. 10-bis D.Lgs. 74/2000). Per i contributi previdenziali omessi, se si tratta di somme già trattenute al dipendente (le ritenute INPS in busta paga) e l’importo supera €10.000 annui, scatta il reato ai sensi dell’art. 2 D.L. 463/1983, punito con la reclusione fino a 3 anni o multa fino a €1.032 . In caso di importi inferiori o omissioni “proprie” del datore, si applica invece una sanzione amministrativa. Da notare che il legislatore incentiva la regolarizzazione: il pagamento del debito fiscale o contributivo entro determinati termini può estinguere il reato – ad esempio, versare le ritenute INPS dovute entro 3 mesi dalla contestazione evita la punibilità penale . Strategie difensive: Il primo passo è verificare l’esattezza degli addebiti. Se si ricevono cartelle, avvisi o intimazioni, occorre controllare se l’importo è corretto e se gli atti sono stati notificati entro i termini di decadenza/prescrizione previsti (spesso 5 anni per molte imposte). In caso di vizi o errori, si possono impugnare tali atti davanti all’autorità competente (Commissione Tributaria per tributi, Tribunale del lavoro per contributi, Giudice ordinario per altre sanzioni) entro i termini (generalmente 60 giorni per le cartelle). Un vizio comune, ad esempio, è la notifica tardiva: se la cartella esattoriale viene notificata oltre i termini di legge dall’iscrizione a ruolo, può esserne dichiarata la nullità. Un’altra difesa è eccepire la prescrizione maturata: se sono trascorsi più di 5 o 10 anni dall’ultima notifica valida senza ulteriori atti interruttivi, il debito potrebbe essere prescritto (bisogna però dimostrarlo con la documentazione delle notifiche). Durante le procedure esecutive, il debitore può proporre opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. se il bene pignorato è impignorabile per legge (es. il caso della prima casa pignorata da AER, già citato). In generale, di fronte a una cartella esattoriale o un atto di precetto del Fisco, prima di pagare è bene consultare un esperto per valutare se le somme sono effettivamente dovute o se vi sono motivi di opposizione. Nel frattempo, se il debito fiscale è certo e non contestabile nel merito, esistono strumenti concreti di gestione: la rateizzazione con AER (piani di dilazione fino a 72 rate mensili, estendibili a 120 rate – 10 anni – in caso di comprovata difficoltà per debiti oltre €120.000); oppure le definizioni agevolate (rottamazioni) previste dal legislatore in via straordinaria. Ad esempio, con la rottamazione-quater introdotta dalla Legge di Bilancio 2023, è possibile estinguere i carichi affidati all’Agente della Riscossione dal 2000 al 30 giugno 2022 versando solo il capitale e le spese (sanzioni e interessi di mora sono azzerati). La stessa legge ha disposto l’annullamento automatico dei mini-debiti fino a €1.000 affidati dal 2000 al 2015. Inoltre, fino al 30 aprile 2025 è stata data la possibilità di riammettere alle definizioni agevolate i contribuenti decaduti per mancato pagamento di precedenti rottamazioni. Aderire a una rateizzazione o rottamazione sospende le azioni esecutive di AER: se è in corso un pignoramento, questo viene congelato finché il debitore rispetta il piano di pagamento. Pertanto, una prima forma di difesa per un centro tatuaggi indebitato con il Fisco è sfruttare ogni opportunità di dilazione o condono offerta dalla legge, per ridurre il debito e guadagnare tempo. In caso di importi insostenibili anche rateizzati, o di presenza contemporanea di molti altri debiti, il titolare potrà valutare le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, di cui parleremo più avanti, che consentono di ristrutturare o addirittura cancellare parte del debito fiscale in sede giudiziale.

  • Debiti verso banche e finanziarie: comprendono mutui, finanziamenti, prestiti personali, affidamenti di conto corrente (scoperti), leasing o altre forme di credito ottenute per l’attività (o anche a titolo personale). Dopo anni di attività, non è raro che un centro tatuaggi abbia contratto un prestito per l’allestimento del laboratorio, per l’acquisto di attrezzature o semplicemente utilizzi fidi bancari per la liquidità. Se l’attività cessa e rimangono esposizioni bancarie insolute, queste diventano debiti personali a carico del titolare (ancora una volta, nella ditta individuale non c’è distinzione tra patrimonio aziendale e personale). Se invece il centro tatuaggi era gestito tramite una società di capitali, i debiti bancari restano della società – ma di regola le banche chiedono fideiussioni personali ai soci/amministratori di piccole S.r.l., il che significa che, se la società non paga, la banca può rivalersi comunque sul patrimonio personale dei garanti (vedi oltre la sezione sulle forme giuridiche). Problematiche: La banca o finanziaria, in caso di rate non pagate, può agire giudizialmente abbastanza rapidamente: ad esempio, può ottenere un decreto ingiuntivo esecutivo e procedere a pignoramenti di conti, stipendio o immobili del debitore. In alternativa, spesso l’istituto di credito cede il credito a una società di recupero (società veicolo/NPL) che tenterà la riscossione. Il debito bancario è normalmente documentato da contratti scritti (mutui, fidi, ecc.), quindi difficilmente contestabile nell’esistenza; tuttavia, possono esservi margini di difesa nel quantum dovuto, ad esempio eccependo la presenza di interessi usurari o anatocistici nel rapporto di conto o nel piano di ammortamento. Far ricalcolare il saldo da un consulente tecnico può evidenziare addebiti illegittimi e ridurre l’importo preteso. Se viene notificato un decreto ingiuntivo, è fondamentale valutare subito un’opposizione entro 40 giorni per far valere eventuali eccezioni (usura, prescrizione degli interessi, mancanza di conteggio degli interessi di mora, ecc.). Se invece non si contesta il debito in sé ma l’incapacità di pagarlo integralmente, la strada è la trattativa: spesso la banca, soprattutto se il debitore non ha beni facilmente aggredibili, è disposta a transare a saldo e stralcio accettando il pagamento di una percentuale inferiore pur di chiudere la posizione. Ad esempio, offrire il 30% del dovuto in un’unica soluzione immediata potrebbe essere accettato se la banca teme di non recuperare nulla forzando le vie legali. Analogamente, se il credito è stato ceduto a una società di recupero crediti che l’ha acquistato a forte sconto, questa potrebbe accontentarsi di una cifra anche molto inferiore al nominale (per loro già profittevole). In queste negoziazioni è essenziale farsi assistere da un legale per formalizzare correttamente l’accordo e ottenere una quietanza liberatoria chiara: bisogna evitare che, dopo un pagamento parziale concordato verbalmente, il creditore possa pretendere il resto per mancanza di prova dell’accordo. Inoltre, conviene non ammettere passività inesistenti durante le trattative: il legale saprà impostare le comunicazioni in modo da non pregiudicare eventuali difese future. Riguardo la prescrizione, i debiti bancari riconducibili a contratti scritti si prescrivono in 10 anni; tuttavia, ogni lettera di messa in mora, precetto o ingiunzione interrompe il termine, rendendo difficile che un debito bancario cada in prescrizione senza alcuna reazione del creditore. Anche i debiti bancari, come quelli fiscali, possono essere inclusi in una procedura di sovraindebitamento: ad esempio, un piano del consumatore consente di imporre alla banca un pagamento parziale (commisurato alle effettive possibilità del debitore) anche senza il suo consenso. Se il debito bancario è garantito da ipoteca su un immobile (es. il mutuo casa del titolare), la banca mantiene il diritto di escutere la garanzia: se il debitore smette di pagare le rate del mutuo, la banca può iniziare il pignoramento e la vendita all’asta dell’immobile ipotecato – anche se è la prima casa, in quanto in questo caso è un creditore privato e la regola di impignorabilità citata prima non si applica. Tuttavia, nelle procedure di composizione della crisi c’è una tutela per la casa: la legge consente, se il debitore è in regola (o torna in regola) con le rate del mutuo ipotecario sulla prima casa, di mantenerlo in essere nel piano, continuando a pagare le rate future, così da non perdere l’immobile. In sintesi, per i debiti bancari le leve principali di difesa sono: contestazioni tecniche (usura, anatocismo), prescrizione (se applicabile), trattativa a saldo e stralcio (soprattutto dopo cessione a terzi) e inclusione in un piano di ristrutturazione del debito. In caso di pignoramento di un bene in garanzia, se non si trova un accordo bisognerà valutare soluzioni concorsuali o lasciar procedere l’asta (eventualmente cercando acquirenti interessati per evitare svendite).
  • Debiti commerciali verso fornitori e locatori: ogni attività ha fornitori di materiali (inchiostri, aghi, attrezzature, prodotti igienico-sanitari, ecc.) e spesso un locatore dei locali (se il centro tatuaggi è in affitto). In caso di crisi di liquidità, è frequente accumulare fatture non pagate ai fornitori o canoni di locazione arretrati, oltre a bollette di utenze non saldate e altre spese di esercizio rimaste indietro. Si tratta di debiti di natura contrattuale, regolati dal codice civile, che in molti casi sono soggetti a prescrizioni brevi: ad esempio le forniture periodiche e le utenze domestiche si prescrivono in 5 anni (art. 2948 c.c.), così come i canoni di affitto scaduti. Bollette telefoniche o energetiche e canoni delle utenze rientrano in questa prescrizione quinquennale. Attenzione: il termine decorre dalla scadenza del pagamento o dalla cessazione del contratto (per gli affitti, 5 anni dopo la fine del rapporto locativo). Dunque, se il titolare del centro tatuaggi non riceve solleciti da molti anni su una vecchia bolletta o su mensilità di affitto del 2017, potrebbe eccepire la prescrizione se il creditore ha “dormito” oltre 5 anni senza atti interruttivi. Problematiche: Se il debitore è inadempiente, il fornitore o il locatore possono agire giudizialmente. Spesso si ricorre al decreto ingiuntivo: ad esempio, un locatore con contratto registrato può ottenere un decreto immediatamente esecutivo per i canoni non pagati; analogamente un fornitore con fatture non contestate può chiedere ingiunzione di pagamento. Una volta ottenuto il titolo, possono partire i pignoramenti sui conti, sui beni mobili o immobili, o sul fatturato futuro (se il tatuatore continua l’attività altrove). È fondamentale quindi stare attenti alle notifiche: se il debitore riceve un decreto ingiuntivo e non fa opposizione entro 40 giorni, quel titolo diventa definitivo ed esecutivo. Strategie difensive: Anche qui si parte dalla prescrizione: verificare se il creditore ha lasciato decorrere il termine di 5 anni senza inviare alcun sollecito formale (raccomandata, PEC, atto giudiziario) – in tal caso si può eccepire la prescrizione e ottenere l’inefficacia della pretesa. Se invece la prescrizione è stata interrotta, ci si concentra su eventuali contestazioni di merito: ad esempio, per i fornitori si può eccepire che la merce non è mai stata consegnata o era difettosa (se vero), o per il locatore che il contratto è stato risolto anticipatamente o che l’immobile presentava problemi gravi. Tali eccezioni vanno sollevate nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, possibilmente con prove documentali. In mancanza di contestazioni sostanziali (cioè se effettivamente la merce è stata ricevuta o il locale usato e non pagato), è spesso conveniente negoziare: molti creditori commerciali preferiscono incassare almeno una parte subito anziché inseguire a lungo un debitore forse nullatenente. Proporre un saldo e stralcio – ad esempio, pagare il 30-50% subito a chiusura del conto – può trovare accoglimento, specialmente se il creditore teme tempi e costi di un recupero forzoso. È opportuno formalizzare l’accordo con una scrittura privata in cui il creditore dichiara di accettare l’importo a saldo e quietanza finale, impegnandosi a non agire oltre. Se il debitore non ha liquidità per offrire neppure un saldo parziale, rimane la possibilità di includere questi debiti in un’unica procedura concorsuale: ad esempio nel concordato minore o nella liquidazione controllata (strumenti spiegati in seguito), dove i debiti chirografari di fornitori e locatore riceveranno la loro quota proporzionale del patrimonio disponibile (spesso modesta). Anche solo avviare una trattativa attraverso un organismo di composizione della crisi (OCC) può persuadere il creditore ad accordarsi, sapendo che una procedura giudiziale distribuirebbe il poco disponibile fra tutti. Infine, va ribadito che anche dopo la chiusura dell’attività i beni personali del debitore restano aggredibili per questi debiti commerciali: il creditore può pignorare conti correnti, lo stipendio dell’ex titolare se ha trovato un altro lavoro, i beni mobili e immobili intestati al debitore. Non esiste alcuna protezione automatica derivante dalla cessazione dell’impresa: anche un piccolo credito, se ignorato, può portare a un pignoramento, con aggravio di spese legali e interessi. L’ex imprenditore deve quindi attivarsi, non sottovalutare neanche i crediti modesti, e valutare transazioni o strumenti concorsuali per evitare che uno stesso bene (es. l’auto personale) venga aggredito da diversi creditori in tempi diversi.
  • Debiti verso dipendenti e collaboratori: se il centro tatuaggi aveva personale dipendente (es. un apprendista, un receptionist) o collaboratori occasionali, la crisi potrebbe aver lasciato stipendi arretrati, ferie non pagate, TFR non versato alla fine del rapporto, o compensi pattuiti con collaboratori mai liquidati. Questi debiti sono particolarmente sensibili, poiché tutelati da un privilegio generale mobiliare sui beni del datore (art. 2751-bis c.c.), nonché da eventuali privilegi immobiliari ex art. 2776 c.c. (se vi sono immobili) e dall’intervento del Fondo di Garanzia INPS. In pratica, i crediti dei lavoratori per retribuzioni e TFR sono considerati di primaria importanza: in caso di fallimento o liquidazione concorsuale dell’azienda, essi vengono soddisfatti con precedenza su gran parte degli altri crediti. Se però l’impresa non è soggetta a fallimento (come spesso un piccolo centro tatuaggi individuale), il lavoratore ha comunque mezzi di tutela. Infatti, il Fondo di Garanzia INPS interviene per pagare al dipendente il TFR e le ultime mensilità non riscosse a condizione che vi sia stata l’apertura di una procedura concorsuale oppure – per i datori non fallibili – un accertamento giudiziale dell’insolvenza. Ciò significa che, se il titolare non è fallibile, il lavoratore dovrà probabilmente avviare un giudizio per far dichiarare l’insolvenza del datore (ai sensi dell’art. 14-quinquies della L. 3/2012, oggi confluito nel Codice della Crisi) così da poter poi chiedere al Fondo di pagarlo. In ogni caso, i debiti verso il personale rimangono a carico personale del titolare: la chiusura della ditta non fa venir meno l’obbligo di saldare stipendi e TFR dovuti. Il lavoratore può agire con decreto ingiuntivo e pignorare i beni dell’ex datore (salvo riuscire a ottenere soddisfazione dal Fondo di Garanzia). Strategie difensive: Dal punto di vista del datore di lavoro indebitato, questi debiti vanno posti al vertice delle priorità sia per ragioni etiche che giuridiche. In pratica, se possibile, è meglio trovare un accordo con gli ex dipendenti, ad esempio concordando un pagamento dilazionato: versare subito una parte (anche simbolica) e il resto a rate, facendosi rilasciare una quietanza a saldo in cambio. Questo può evitare cause di lavoro e costi aggiuntivi. Se però le somme dovute ai lavoratori sono ingenti e il titolare non può pagarle, conviene valutare l’accesso a una procedura da sovraindebitamento: sia nel concordato minore che in un piano del consumatore è possibile includere i crediti dei dipendenti, prevedendo magari di soddisfarli solo parzialmente (ricordando che sono crediti privilegiati e dunque andranno eventualmente pagati in misura maggiore rispetto ai chirografari). Nella liquidazione controllata, i lavoratori verranno comunque soddisfatti con precedenza sugli altri creditori chirografari, in proporzione a quanto ricavato dal patrimonio liquidato. Un aspetto cruciale è il profilo penale: il titolare che ha dipendenti deve prestare attenzione a due reati in particolare, legati agli omessi versamenti a danno del lavoratore. Il primo è l’omesso versamento delle ritenute previdenziali INPS trattenute ai dipendenti: come detto, se supera €10.000 annui, costituisce reato punito con la reclusione fino a 3 anni. Il secondo è l’omesso versamento delle ritenute fiscali (IRPEF) operate sulle retribuzioni: anch’esso reato se l’importo non versato supera la soglia di legge (attualmente €150.000 annui). Inoltre, vanno ricordati i reati fallimentari (bancarotta fraudolenta), che però rilevano solo se viene aperta una procedura di liquidazione giudiziale (fallimento) – eventualità rara per un piccolo imprenditore individuale, ma possibile in caso di società. Per il tatuatore debitore è dunque fondamentale, ove possibile, regolarizzare almeno queste posizioni per evitare conseguenze penali: ad esempio versare entro i termini di tolleranza le ritenute INPS oppure, se già denunciato, provvedere al pagamento prima della sentenza per ottenere l’estinzione del reato . La legge infatti prevede cause di non punibilità se il datore versa tutto il dovuto entro tre mesi dalla contestazione (per i contributi) o entro la dichiarazione dei redditi dell’anno successivo (per l’IVA). In sintesi, i debiti verso dipendenti hanno tutele forti e margini ridotti di “sconto”: il titolare dovrebbe fare ogni sforzo per saldarli o quantomeno accordarsi. Se proprio non è possibile pagarli integralmente, inserire i lavoratori in una procedura concorsuale consente comunque di far intervenire il Fondo di Garanzia (in caso di liquidazione) e di ripartire eventuali attivi dando a loro precedenza. Eticamente, inoltre, saldare i dipendenti dovrebbe essere un imperativo per l’imprenditore.
  • Debiti personali estranei all’attività: non di rado, chi gestisce un centro tatuaggi ha anche debiti non direttamente legati all’impresa. Ad esempio, debiti familiari (assegni di mantenimento, prestiti tra parenti), multe stradali o amministrative, oppure obblighi di garanzia assunti per terzi. Un caso tipico: il titolare ha firmato una fideiussione personale per un prestito bancario contratto dalla società con cui operava o per la locazione del negozio. In tal caso, se il debitore principale (la società o il locatario) non paga, la banca o il locatore potranno escutere immediatamente il fideiussore, esigendo da lui le stesse somme. Problematiche: La fideiussione rende il garante obbligato in solido, quindi giuridicamente non ci sono differenze rispetto a un debito proprio: l’unica via di difesa è contestare la fideiussione stessa se presenta vizi. Da alcuni anni, ad esempio, la giurisprudenza ha dichiarato nulle per violazione della normativa antitrust (intesa restrittiva della concorrenza ex art. 2 L. 287/90) talune clausole dei modelli standard ABI di fideiussione omnibus: se la fideiussione firmata dal titolare del centro tatuaggi ricalca quel modello, potrebbe essere nulla in parte, liberando il garante. È un terreno specialistico in cui vale la pena far esaminare il contratto a un legale esperto di diritto bancario. Altre difese possono riguardare la forma (ad es. se la fideiussione non era validamente sottoscritta) o l’escussione (se la banca non ha rispettato i termini contrattuali di escussione del debitore principale). In mancanza di tali vizi, il garante risponde del debito come se fosse proprio: può comunque trattare un saldo e stralcio o includere il debito in una procedura di sovraindebitamento a suo nome (nel concordato minore è espressamente previsto che possono accedere anche i fideiussori non fallibili). Per quanto riguarda le sanzioni amministrative (es. multe per violazioni del codice della strada o sanzioni dell’ASL o del Comune per irregolarità nell’attività commerciale), la riscossione è spesso sempre affidata ad AER tramite cartelle esattoriali. Anche queste sanzioni hanno di norma prescrizione quinquennale (es: multe stradali 5 anni dall’ultima notifica). La difesa consiste nel verificare eventuali vizi di notifica o prescrizioni maturate, proponendo ricorso al Giudice di Pace (per multe) o al tribunale (per sanzioni amministrative più rilevanti) entro i termini. Talvolta le definizioni agevolate fiscali includono anche sanzioni amministrative: ad esempio, nella rottamazione-quater 2023 sono compresi i carichi per multe stradali (con stralcio degli interessi di mora). Obblighi alimentari: infine, se il titolare ha obblighi di mantenimento verso coniuge o figli, va ricordato che questi debiti non sono né falcidiabili nelle procedure né facilmente eliminabili. Le rate mensili non pagate di un assegno alimentare si prescrivono in 5 anni, ma il diritto al mantenimento in sé è imprescrittibile. Inoltre, tali crediti godono di un trattamento privilegiato in sede di pignoramento: un creditore alimentare può pignorare la pensione o lo stipendio del debitore anche oltre il limite di un quinto, potendo coesistere con altri pignoramenti fino al limite della metà del reddito (art. 545 c.p.c. e giurisprudenza). Ciò significa che, ad esempio, se il tatuatore ha sia debiti con banche sia arretrati di mantenimento verso i figli, in un eventuale pignoramento dello stipendio i crediti alimentari avranno priorità e potranno cumularsi con gli altri fino al 50%. In ogni caso, obblighi come il mantenimento familiare restano prioritari e non possono essere elusi legalmente: neanche la bancarotta o le procedure di sovraindebitamento li eliminano. Chi ha una famiglia a carico dovrebbe dunque considerare questi pagamenti come intoccabili.

Come si nota, tutte le categorie di debito sopra descritte possono concorrere a creare uno stato di sovraindebitamento per il titolare di un centro tatuaggi. Spesso i debiti professionali e personali si mescolano (es. debiti con fornitori e debiti familiari), aggravando la posizione complessiva. L’ordinamento italiano prevede oggi – soprattutto dopo la riforma attuata con il D.Lgs. 14/2019 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), in vigore dal 15 luglio 2022 – strumenti specifici per affrontare unitariamente il sovraindebitamento e offrire al debitore onesto una via d’uscita dai debiti insostenibili. Prima di analizzare tali procedure, però, è fondamentale capire come la forma giuridica sotto cui opera il centro tatuaggi incide sulla responsabilità per i debiti. Infatti, un conto è avere debiti come ditta individuale, un altro è averli tramite una società di persone o di capitali: la portata della responsabilità personale del titolare e le strategie difensive cambiano radicalmente.

Forme giuridiche dell’attività e responsabilità del debitore

La responsabilità del titolare per i debiti del centro tatuaggi varia sensibilmente a seconda della forma giuridica con cui l’attività è svolta. Le situazioni tipiche sono tre:

  1. Impresa individuale (ditta individuale) – Il tatuatore opera come imprenditore individuale, magari artigiano iscritto all’Albo;
  2. Società di persone – Più soci gestiscono il centro come S.n.c. (società in nome collettivo) o S.a.s. (società in accomandita semplice);
  3. Società di capitali – L’attività è intestata a una S.r.l. (società a responsabilità limitata) unipersonale o con pochi soci, oppure eventualmente a una S.p.A. (caso raro per un piccolo esercizio).

Analizziamo separatamente queste situazioni, poiché dal tipo di impresa dipendono quali beni del titolare/soci sono aggredibili dai creditori e quali procedure concorsuali possono eventualmente aprirsi.

  • Ditta individuale: un centro tatuaggi gestito come impresa individuale non ha una soggettività giuridica distinta dalla persona fisica del titolare. In altre parole, tutti i debiti dell’attività ricadono direttamente sulla persona del titolare, il quale risponde illimitatamente con tutto il proprio patrimonio personale per le obbligazioni contratte nell’esercizio. Ciò vale sia durante l’attività che dopo l’eventuale cessazione: la chiusura della partita IVA non significa cancellazione dei debiti. I beni personali presenti e futuri (conto bancario personale, auto, casa, stipendio da altro lavoro, ecc.) restano aggredibili dai creditori aziendali anche a distanza di anni. Questa è una differenza fondamentale rispetto alle società di capitali: nell’impresa individuale non c’è “schermo” patrimoniale. Molti piccoli imprenditori sperano erroneamente che, chiudendo l’attività, i debiti spariscano o vengano abbandonati dai creditori; in realtà (salvo accordi transattivi o esdebitazioni giudiziali) il debitore continua a esserne obbligato finché non paga o finché il debito non si prescrive. Anche se un creditore rimane silente per qualche anno, potrebbe poi riattivarsi notificando un atto interruttivo e tenere vivo il credito per molto tempo. Inoltre, in caso di morte del titolare, i debiti si trasferiscono agli eredi (i quali però possono tutelarsi rinunciando all’eredità o accettandola con beneficio d’inventario, così da non dover pagare debiti oltre il valore dei beni ereditati). Sul fronte delle procedure concorsuali: l’imprenditore individuale è soggetto a fallimento (ora “liquidazione giudiziale”) solo se supera certi limiti dimensionali fissati dalla legge fallimentare (art. 1 L.F.). La normativa esclude infatti dal fallimento gli imprenditori “piccoli”: attualmente, non sono soggetti a liquidazione giudiziale gli imprenditori che, nei tre esercizi antecedenti la richiesta, non hanno superato almeno uno di questi parametri: attivo patrimoniale €300.000, ricavi lordi €200.000, debiti totali €500.000. Moltissimi tatuatori rientrano in queste soglie, quindi se insolventi non possono essere dichiarati falliti su istanza dei creditori (sono “non fallibili”). Ciò però non significa che i creditori restino senza tutela: essi potranno agire singolarmente sul patrimonio personale (come visto, pignoramenti, ipoteche, etc.), oppure il debitore stesso potrà rivolgersi al tribunale per attivare le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (il “piano del consumatore”, il “concordato minore” o la “liquidazione controllata”, di cui diremo in seguito). Se invece l’impresa individuale superava i limiti di legge (caso raro per un singolo studio di tatuaggi, ma non impossibile se l’attività era molto fiorente o con molti dipendenti), c’è il rischio che, entro un anno dalla cessazione, un creditore chieda il fallimento in estensione. Infatti l’art. 10 L.F. (ora trasfuso nell’art. 121 del Codice della Crisi) prevedeva che, entro un anno dalla cancellazione dell’impresa individuale dal registro imprese, i creditori potessero ottenerne il fallimento provando che l’insolvenza sussisteva già al momento della cessazione. Il Codice della Crisi ha confermato questo principio: chiusura della partita IVA da meno di un anno non mette al sicuro dal fallimento, se vi era insolvenza pregressa e un creditore la segnala al tribunale. Ciò per evitare facili elusioni (es. chiudere formalmente l’attività all’ultimo per sfuggire al fallimento). In sintesi, per la ditta individuale la situazione è la più “rischiosa”: responsabilità illimitata su tutti i beni, nessuna protezione automatica post-chiusura, e necessità di strumenti ad hoc (transazioni o procedure concorsuali minori) per risolvere la crisi debitoria.
  • Società di persone (S.n.c. e S.a.s.): queste forme societarie (spesso utilizzate per attività artigianali fra familiari o soci di fiducia) hanno una propria soggettività giuridica e un patrimonio sociale distinto, ma i soci assumono per legge una responsabilità illimitata e solidale per i debiti sociali. Nella S.n.c. (società in nome collettivo), tutti i soci rispondono illimitatamente con i propri beni, oltre che con il patrimonio sociale, dei debiti della società. Nella S.a.s. (società in accomandita semplice), invece, solo i soci accomandatari hanno responsabilità illimitata, mentre i soci accomandanti sono responsabili limitatamente al capitale conferito, a patto che non violino le regole di non ingerenza nella gestione (vedi infra). In entrambe le forme, i creditori sociali devono prima tentare di soddisfarsi sul patrimonio della società (vige il beneficio di escussione, art. 2304 c.c.) e solo se questo risulta insufficiente possono aggredire i beni personali dei soci. Tuttavia, se la società non paga e non ha abbastanza attivo, ogni socio illimitatamente responsabile può essere chiamato a pagare l’intero debito residuo: la responsabilità è solidale pro-quota, ma di fatto ciascun socio è “garante” in solido per l’intero. La chiusura della società (liquidazione e cancellazione dal Registro Imprese) non libera i soci dai debiti sociali non pagati. Anzi, l’art. 2312 c.c. stabilisce che, estinta la società, i soci rimangono personalmente obbligati per i debiti residui. Dunque, un ex socio di S.n.c. potrà essere citato in giudizio dai creditori sociali anche dopo la cancellazione della società, per ottenere il pagamento dai suoi beni personali. Lo stesso vale per i debiti tributari della società: l’Agenzia delle Entrate potrà pretendere dai soci il pagamento di imposte non versate dalla società, purché dimostri l’insufficienza del patrimonio sociale (ad esempio, escutendo senza successo la società o dimostrando che è priva di beni). La Cassazione ha chiarito che, in ambito di riscossione esattoriale, non è necessaria una notifica separata di accertamento al socio di S.n.c.: è sufficiente che l’avviso di accertamento fiscale sia stato notificato alla società; poi, se la società non paga e risulta incapiente, si può emettere cartella di pagamento direttamente a carico del socio, senza dover emettere un nuovo accertamento a suo nome. Ciò non esonera comunque l’Agente della Riscossione dal provare che il patrimonio sociale era insufficiente rispetto al credito fiscale (escussione preventiva). In pratica, per un socio di S.n.c. o accomandatario di S.a.s. il rischio debiti è molto simile a quello di un titolare individuale – con la differenza che i soci sono più d’uno e che i creditori devono fare un passo in più (escutere prima la società). Ma se la società non paga, i soci rischiano il patrimonio personale, anche per debiti tributari. Un aspetto particolare: il socio illimitatamente responsabile che paga un debito sociale ha diritto di regresso verso gli altri soci per la loro parte di debito. Ciò significa che, se ad esempio il socio A paga ai creditori €10.000 di debiti sociali e la sua quota interna è il 50%, può richiedere al socio B (l’altro 50%) €5.000 di rimborso. Tuttavia, se l’altro socio è insolvente o nullatenente, il socio che ha pagato sopporta di fatto l’intero esborso (il regresso resta insoddisfatto). Uscita di un socio: cosa accade se un socio lascia la società prima che questa chiuda? L’art. 2290 c.c. prevede che il socio uscente (per recesso o cessione quota) resta responsabile per le obbligazioni sociali sorte prima del recesso per un periodo di 5 anni dalla sua uscita risultante dal Registro Imprese. Ciò significa che, ad esempio, se il socio Tizio ha ceduto le sue quote di S.n.c. nel 2023 e la società aveva un debito verso un fornitore del 2022 non pagato, fino al 2028 quel fornitore potrà ancora chiedere conto anche a Tizio (oltre che ai soci rimasti). Trascorsi i 5 anni, Tizio si libera delle obbligazioni pregresse (salvo cause iniziate prima). Anche per le società di persone, la morte di un socio comporta il subentro degli eredi nelle responsabilità illimitate, salvo rinuncia all’eredità: in altre parole, i debiti della società si sommano agli altri debiti ereditari, e gli eredi possono evitarli rinunciando o accettando con beneficio d’inventario (se restano nella società con beneficio, si apre una liquidazione dell’eredità). Procedure concorsuali: una società di persone insolvente è soggetta a liquidazione giudiziale (fallimento) se supera le soglie di fallibilità (da valutare in riferimento alla società stessa). Se la S.n.c./S.a.s. viene dichiarata fallita, per legge vengono dichiarati falliti anche tutti i soci illimitatamente responsabili, estendendo loro la procedura (art. 147 L.F.). Questo è cruciale: ad esempio, se una S.n.c. di tatuatori chiude con grossi debiti e un creditore ne chiede il fallimento entro 1 anno dalla cancellazione, il tribunale potrà dichiarare la liquidazione giudiziale sia della società estinta sia di ciascun ex socio illimitato. I soci falliti subiscono gli effetti di un fallimento personale (non possono per un certo periodo avviare nuove imprese, perdono la gestione del patrimonio personale durante la procedura, ecc.) e potranno poi chiedere l’esdebitazione personale a fine procedura alle condizioni di legge. Se invece la società di persone è sotto soglia di fallibilità, non potrà essere dichiarata fallita; i creditori dovranno perseguire direttamente i soci con azioni esecutive individuali, oppure saranno i soci stessi a doversi attivare con procedure di sovraindebitamento per risolvere la crisi. Un cenno alla S.a.s.: il socio accomandante (quello “silente” che apporta capitale) di regola non rischia oltre la quota. Tuttavia, se l’accomandante s’immischia nella gestione compiendo atti di amministrazione o facendo apparire il suo nome nella ragione sociale, perde il beneficio della responsabilità limitata e diventa di fatto equiparato a un accomandatario (quindi illimitatamente responsabile verso i terzi). Inoltre, va ricordato che l’accomandante risponde illimitatamente se riconosce volontariamente un debito sociale oltre la sua quota: ad esempio, la giurisprudenza ha ritenuto che l’accomandante che sottoscrive un atto di ricognizione di debito della società verso un creditore tacitando le riserve sulla propria limitazione, di fatto s’obbliga illimitatamente verso quel creditore. In sostanza, l’unico socio “protetto” in una S.a.s. è l’accomandante che resta un investitore silente. Tutti gli altri (accomandatari e soci di S.n.c.) rischiano il patrimonio personale.
  • Società di capitali (S.r.l., S.p.A.): le società di capitali godono del principio della autonomia patrimoniale perfetta. Ciò significa che dei debiti sociali risponde solo la società con il suo patrimonio, mentre i soci non sono personalmente responsabili oltre il capitale conferito (il rischio del socio è limitato alla perdita di quanto investito). Ad esempio, se il centro tatuaggi era gestito tramite una S.r.l., i debiti verso fornitori, banche, Fisco ecc. gravano sulla società in quanto persona giuridica distinta; se la S.r.l. non paga e non ha beni, i creditori non possono automaticamente aggredire i beni personali dei soci. Questa separazione è il motivo per cui molti imprenditori scelgono la S.r.l.: per proteggere il proprio patrimonio personale dalle vicende dell’azienda. Tuttavia, esistono eccezioni e situazioni particolari in cui i soci o gli amministratori possono comunque rischiare:

a. Fideiussioni personali: è la situazione più comune. I creditori professionali (banche, fornitori di grandi impianti, locatori di immobili commerciali) spesso chiedono ai soci/amministratori garanzie personali. Ad esempio, il socio-amministratore di una S.r.l. di tatuaggi che ottiene un fido di conto in banca, di solito firma una fideiussione personale: se la S.r.l. non rientra dal fido, la banca potrà escutere lui come garante. Allo stesso modo, se il contratto di affitto del locale è intestato alla S.r.l. ma i soci hanno prestato garanzia, il proprietario potrà chiedere i canoni non pagati direttamente a loro. Queste garanzie di fatto “vanificano” la responsabilità limitata per quel debito: il socio diventa coobbligato come un socio di S.n.c. per la specifica obbligazione garantita.

b. Responsabilità post-liquidazione (art. 2495 c.c.): quando una società di capitali viene messa in liquidazione e cancellata dal Registro Imprese, i debiti eventualmente non pagati non spariscono nel nulla. L’art. 2495 c.c. prevede che i creditori insoddisfatti possano far valere i loro crediti nei confronti dei soci, entro il limite di quanto questi hanno riscosso in sede di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori se il mancato pagamento è dovuto a colpa di questi. In pratica, la legge non abbandona del tutto i creditori di una società estinta: se i soci si sono ripartiti attivi e sono rimasti debiti impagati, il creditore può chiedere a ciascun socio di restituire ciò che ha ricevuto (pro-quota) fino a coprire il credito. Non è consentito invece chiedere al socio più di quanto abbia ottenuto in liquidazione: questo limiti salvaguarda il principio della responsabilità limitata (non si può far rispondere un socio oltre il “beneficio” che ha tratto dalla liquidazione). La Corte di Cassazione ha di recente ribadito tale principio: “il socio di una società a responsabilità limitata estinta può essere chiamato a rispondere dei debiti sociali solo entro le somme riscosse in sede di bilancio finale di liquidazione”. In particolare, con l’ordinanza n. 32729/2023, la Cassazione ha chiarito che spetta al creditore provare che c’è stata distribuzione di attivo ai soci, e poi al socio dimostrare eventualmente di aver utilizzato quelle somme per pagare debiti sociali di cui era a conoscenza. Nel caso esaminato, il socio unico di una S.r.l. cancellata, che non aveva ricevuto nulla dalla liquidazione, è risultato non responsabile verso il creditore insoddisfatto. Questo orientamento tutela la separazione patrimoniale tipica delle società di capitali: il socio non diventa debitore personale oltre il limite di ciò che ha eventualmente incassato dallo scioglimento. Bisogna notare che l’azione ex art. 2495 c.c. dev’essere esercitata entro il termine di prescrizione (di solito 5 anni dalla cancellazione). Inoltre, esiste la possibilità per il creditore di chiedere al tribunale la riapertura della liquidazione della società entro 1 anno dalla cancellazione, se emergono attività non liquidate o irregolarità (art. 2495 c.c. e art. 121 CCII). In pratica, se i soci hanno chiuso la S.r.l. senza pagare dei debiti e magari nascondendo qualche attivo, il creditore, entro un anno, può far riaprire la procedura liquidatoria per far emergere gli attivi e soddisfarsi. Passato l’anno, resta solo l’azione contro i soci per l’attivo distribuito.

c. Azioni di responsabilità per mala gestio o “piercing the corporate veil”: se la società è andata in dissesto per colpa grave o atti illeciti degli amministratori, i creditori (o il curatore fallimentare, se c’è fallimento) possono promuovere azioni di responsabilità contro gli amministratori per ottenere un risarcimento danni. Ad esempio, se l’amministratore ha aggravato il dissesto violando i suoi doveri (libro soci tenuto irregolarmente, distrazione di incassi, pagamento preferenziale di alcuni creditori a scapito di altri, ecc.), questi comportamenti possono costituire in sede fallimentare bancarotta semplice o fraudolenta, e i creditori possono far valere il danno residuo citando l’amministratore in sede civile. Vi sono poi casi estremi in cui la società è stata usata come schermo per frodi: ad esempio, se i soci hanno svuotato la S.r.l. dei beni, trasferendoli a sé stessi e lasciando solo i debiti (tipica “società cartiera”), il Fisco potrebbe emettere avvisi di accertamento direttamente a carico dei soci per utili extracontabili distribuiti o contestare un abuso di personalità giuridica, configurando una responsabilità solidale dei soci basata su norme anti-elusive. Ad esempio, l’art. 37-bis del DPR 600/73 (vecchia norma antielusiva) e la stessa interpretazione analogica dell’art. 2495 c.c. possono essere invocate dall’Agenzia Entrate se ravvisa che la liquidazione della S.r.l. è avvenuta in frode ai creditori tributari. Questi rimedi, comunque, non sono automatici: richiedono cause ad hoc e oneri probatori non lievi per il creditore. In sintesi, a meno di abusi o garanzie personali prestate, la società di capitali offre al titolare un forte scudo: se l’azienda fallisce, i soci non falliscono personalmente (salvo eccezioni come la S.a.p.a. o se avevano garanzie). Subiranno la perdita del capitale investito, e se avevano incautamente dato garanzie personali dovranno onorarle, ma diversamente i loro beni restano al sicuro. Occorre però stare attenti a comportamenti fraudolenti: la legge e la giurisprudenza possono “bucare il velo” societario in caso di uso scorretto della personalità giuridica (il cosiddetto piercing the corporate veil).

d. Procedure concorsuali: se una S.r.l. è insolvente, i creditori possono chiederne la liquidazione giudiziale (fallimento) senza coinvolgere i soci. In caso di fallimento di S.r.l., i soci non falliscono personalmente (a differenza di quanto accade per i soci di S.n.c.). Tuttavia, se prima del fallimento la società aveva restituito ai soci finanziamenti o distribuito utili in maniera anomala, il curatore può esercitare azioni revocatorie per farsi restituire quelle somme (se distribuite nell’anno o biennio antecedente). Dunque, un socio che avesse ricevuto indietro finanziamenti soci o acconti su utili subito prima del fallimento potrebbe doverli restituire alla massa fallimentare. Al di là di ciò, però, il socio di società di capitali insolvente che non ha commesso illeciti e non ha garantito personalmente i debiti, vede il proprio rischio limitato al capitale investito o agli attivi percepiti in liquidazione.

In conclusione, la forma giuridica incide moltissimo sulla difesa dai creditori: un imprenditore tatuatore come ditta individuale è la figura più esposta, mentre in una piccola società di persone con soci illimitatamente responsabili il rischio si divide ma tocca comunque il patrimonio personale di ciascun socio, e infine in una S.r.l. il patrimonio personale del titolare può essere protetto, salvo le eccezioni viste. È chiaro quindi che, se permangono debiti importanti, in tutti i casi il debitore dovrà cercare soluzioni legali adeguate: ma il ventaglio di opzioni può essere diverso. Ad esempio, un titolare di ditta individuale potrà puntare su un piano del consumatore (se ha chiuso l’attività e vuole trattare i debiti come privato), mentre una società di persone insolvente potrebbe dover affrontare un fallimento con estensione ai soci o valutare un concordato minore. Nei paragrafi successivi esamineremo gli strumenti di difesa generali (applicabili a prescindere dalla forma, come opposizioni e trattative stragiudiziali) e poi le procedure concorsuali minori previste dal nostro ordinamento per risolvere in modo organizzato il sovraindebitamento.

Strumenti di difesa del debitore: opposizioni, trattative e tutela del patrimonio

Affrontare i debiti di un centro tatuaggi indebitato richiede un duplice approccio: da un lato reagire alle azioni dei creditori (es. pignoramenti, decreti ingiuntivi) con gli strumenti di legge, dall’altro giocare d’anticipo riorganizzando le proprie risorse, proteggendo i beni essenziali e pianificando una strategia di uscita sostenibile. Vediamo i principali strumenti di difesa individuale a disposizione del debitore tatuatore:

  1. Verifica e contestazione del debito: la prima linea di difesa è sempre un’analisi critica di ogni pretesa ricevuta. Il titolare dovrebbe esaminare con attenzione tutti gli atti di richiesta di pagamento (cartelle esattoriali, intimazioni, decreti ingiuntivi, precetti) alla ricerca di errori, vizi formali o prescrizioni eventualmente maturate. Ad esempio, come detto, una cartella esattoriale notificata oltre i termini di legge può essere impugnata per tardività; un decreto ingiuntivo fondato su fatture potrebbe contenere interessi non dovuti o calcoli errati; un atto di precetto potrebbe riferirsi a un credito già prescritto. Se emergono irregolarità, è fondamentale attivarsi con le opposizioni legali previste, entro i termini. In generale, abbiamo: opposizione a decreto ingiuntivo (entro 40 giorni, davanti al giudice competente) per contestare il credito prima che diventi definitivo; opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. per contestare il diritto stesso del creditore di procedere (ad es. sostenendo che il debito si è estinto o non è più esigibile); opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. per contestare vizi formali del procedimento (es. un pignoramento notificato in modo errato). Queste opposizioni, se fondate, possono ottenere la sospensione o l’arresto dell’azione esecutiva, costringendo il creditore a dimostrare in giudizio la validità della sua pretesa. È importante però avere motivi solidi: opporsi in modo pretestuoso può solo ritardare la questione e far lievitare i costi (in caso di soccombenza, il debitore paga le spese legali). Un avvocato valuterà attentamente se ci sono eccezioni concrete – ad es. prescrizione maturata, incompetenza del giudice, difetto di titolo esecutivo, impignorabilità del bene oggetto di esecuzione, ecc. – prima di proporre opposizione. Alcuni esempi già accennati: se l’Agenzia delle Entrate-Riscossione pignora un bene impignorabile (come la prima casa in presenza dei requisiti), si potrà fare opposizione all’esecuzione per far dichiarare improcedibile quel pignoramento perché contrario alla legge. Oppure, se un creditore notifica un precetto su un credito ormai prescritto, l’opposizione potrà far valere la prescrizione come motivo per negare il diritto di procedere. In sintesi, la difesa attiva tramite contestazioni giudiziali è fondamentale quando c’è un fondato dubbio che il credito non sia dovuto (in tutto o in parte) o che la procedura esecutiva presenti irregolarità.
  2. Trattativa e soluzioni stragiudiziali: non sempre è possibile (o conveniente) contestare un debito in tribunale; spesso il debito è certo e il vero problema è l’incapacità di pagarlo per intero. In tali casi, può essere opportuno negoziare direttamente col creditore per trovare un accordo sostenibile. Come già accennato, proporre un saldo e stralcio – ossia il pagamento immediato di una percentuale del dovuto, in cambio della rinuncia del creditore al restante – può rivelarsi una soluzione win-win: il debitore si libera del debito a un costo inferiore, il creditore incassa subito evitando lunghe esecuzioni dall’esito incerto. La riuscita di una trattativa dipende da vari fattori: l’entità del debito, la solvibilità apparente del debitore (se il creditore percepisce che il debitore ha comunque beni aggredibili, sarà meno incline a sconti significativi), la natura del creditore (una grande banca ha procedure interne rigide, un creditore privato può essere più flessibile). Spesso il debitore sovraindebitato non dispone di somme immediate per offrire un saldo e stralcio; a volte però un familiare o un terzo può intervenire con un aiuto economico: ad esempio, un parente versa una somma tantum per chiudere un debito bancario, così il debitore può fare un’offerta di prontezza che da solo non avrebbe potuto. In mancanza di liquidità immediata, si può tentare un piano di rientro rateale concordato: il creditore accetta di diluire il pagamento nel tempo (magari congelando parte degli interessi) e, se il debitore rispetta le rate, si impegna a non procedere esecutivamente. È essenziale mettere tutto per iscritto, preferibilmente con l’assistenza di un legale, per evitare equivoci futuri sul contenuto dell’accordo. Gli accordi stragiudiziali possono anche essere plurilaterali: se il debitore ha molti creditori, può convocarli – magari con l’aiuto di un Organismo di Composizione della Crisi – per proporre un accordo globale (es. pagare il 30% a tutti entro tot mesi). Tuttavia ciò richiede il consenso di tutti (o almeno dei principali) e non sempre è fattibile senza la “forza” di una procedura giudiziaria (che può imporre la cram-down ai dissenzienti, come vedremo più avanti). Un monito: se si prende un impegno in un accordo stragiudiziale, bisogna rispettarlo. Un errore comune è “tirare a campare” promettendo pagamenti che poi non si eseguono, sperando solo di guadagnare tempo: ciò distrugge la credibilità del debitore e spinge i creditori – delusi – ad agire con maggiore aggressività. Viceversa, se si riesce a onorare un accordo ridotto, il debitore evita pignoramenti e chiude definitivamente la posizione debitoria. Anche con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione è possibile “negoziare” in parte: non in forma individuale discrezionale, ma tramite strumenti standard previsti dalla legge. Ad esempio, come detto, sono disponibili rateizzazioni automatiche fino a 6 anni (72 rate) per debiti fino a €120.000 e fino a 10 anni (120 rate) per debiti maggiori con comprovata difficoltà. Inoltre, periodicamente lo Stato vara definizioni agevolate (condoni/rottamazioni) aperte a tutti i contribuenti: il debitore aderisce e paga secondo le regole fissate (di solito niente sanzioni né interessi di mora, pagamento solo del capitale dilazionato). Durante la pendenza di un piano di rateazione con AER, le procedure esecutive restano sospese (salvo decadenza per mancato pagamento delle rate): quindi ottenere un piano di dilazione fiscale congela eventuali pignoramenti in corso. Esiste anche lo strumento della sospensione amministrativa: se il debitore ritiene che la cartella esattoriale sia illegittima (perché il debito è già pagato, sgravato, prescritto, ecc.), può presentare istanza a AER allegando i documenti probatori e chiedendo la sospensione immediata delle azioni. AER è tenuta a sospendere la riscossione per 180 giorni in attesa di riscontro dall’ente creditore. Questa sospensione non risolve il debito in sé, ma guadagna tempo e può evitare pignoramenti imminenti mentre si chiarisce la situazione. In generale, mantenere aperta la comunicazione con i creditori è utile: un debitore che, pur non potendo pagare subito, si mostra collaborativo e trasparente sulle proprie difficoltà, ha più probabilità di evitare il “conflitto duro” (esecuzioni forzate). Ad esempio, se l’ex titolare ha trovato un nuovo lavoro con reddito modesto, può far presente ai creditori che un eventuale pignoramento dello stipendio frutterebbe loro solo 1/5 di una somma già piccola, mentre un accordo bonario potrebbe convenire ad entrambi. Documentare la propria situazione finanziaria (entrate, uscite, altri debiti, carichi familiari) e condividerla con il creditore o i suoi legali può convincerli della buona fede del debitore e della convenienza di una soluzione concordata realistica.
  3. Protezione del patrimonio personale: un ex imprenditore indebitato deve valutare anche azioni lecite per salvaguardare i pochi beni rimasti, nei limiti consentiti dalla legge. Ci sono strumenti giuridici come il fondo patrimoniale o il trust che, in teoria, segregano certi beni rendendoli non aggredibili dai creditori per debiti estranei agli scopi del fondo/trust. Tuttavia, qui occorre estrema cautela: se tali strumenti vengono costituiti dopo che i debiti sono già sorti (o quando la situazione debitoria è già compromessa), c’è un’alta probabilità che vengano dichiarati inefficaci verso i creditori tramite un’azione revocatoria (art. 2901 c.c.). La revocatoria ordinaria consente ai creditori di far annullare gli atti a titolo gratuito (come la costituzione di un fondo patrimoniale o un trust senza corrispettivo) compiuti fino a 5 anni prima: quindi, ad esempio, se nel 2024 il tatuatore trasferisce la casa in un trust familiare mentre ha già debiti, sino al 2029 i creditori potranno chiederne la revoca e pignorare comunque il bene. Ancora più rilevante, per i debiti fiscali questo comportamento può configurare il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000) se l’ammontare dei debiti è rilevante: ad esempio, vendere fittiziamente un immobile o costituire un fondo patrimoniale su di esso quando si hanno grosse cartelle esattoriali insolute può portare a una denuncia penale (punita con la reclusione da 6 mesi a 4 anni). Soffermiamoci sul fondo patrimoniale (istituto spesso invocato dai debitori): il fondo (art. 167 c.c.) vincola uno o più beni (tipicamente, la casa coniugale) al soddisfacimento dei bisogni della famiglia, rendendoli impignorabili ex art. 170 c.c. per i debiti che il creditore sapeva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni familiari. Molti imprenditori in passato hanno costituito un fondo patrimoniale includendovi la casa di abitazione sperando di salvarla da Equitalia. Tuttavia, la Cassazione ha chiarito che il criterio di impignorabilità non dipende tanto dal tipo di debito (fiscale o commerciale) quanto dalla relazione del debito con i bisogni della famiglia: un debito tributario d’impresa può anche essere considerato contratto nell’interesse della famiglia, se l’attività dell’imprenditore serviva a mantenere la famiglia. Non basta, insomma, che il debito nasca dall’attività lavorativa per considerarlo automaticamente “estraneo” ai bisogni familiari: bisogna valutare in concreto. Se, ad esempio, non pagando le imposte l’imprenditore ha indirettamente finanziato il tenore di vita familiare, quel debito fiscale è inerente ai bisogni della famiglia e quindi non coperto dalla tutela del fondo. In pratica, la tutela offerta dal fondo patrimoniale verso i creditori è piuttosto debole, specie nei confronti del Fisco: spetta al debitore provare che il debito è stato contratto per finalità del tutto estranee ai bisogni familiari (es: una sanzione per operazioni speculative personali, del tutto avulsa dalla gestione familiare) per poter opporre l’art. 170 c.c.. E anche in tal caso, se il creditore (AER) non era a conoscenza della destinazione familiare del bene, può comunque procedere: la legge tutela il creditore che ignorava in buona fede che quel bene fosse in un fondo. Per i creditori privati, analogamente, la protezione del fondo vale solo per debiti manifestamente estranei alla famiglia (es: un investimento finanziario speculativo). Conclusione: costituire un fondo patrimoniale dopo che i debiti si sono generati è generalmente inutile o addirittura controproducente. Verrà verosimilmente revocato e, se fatto con intento fraudolento verso il Fisco su debiti ingenti, rischia di aggravare la posizione del debitore (profilo penale). Se invece il fondo esisteva già da tempo (antecedentemente ai debiti) e i debiti successivi erano effettivamente estranei ai bisogni familiari, allora il debitore potrà difendersi in sede esecutiva eccependo l’impignorabilità ex art. 170 c.c., citando la giurisprudenza favorevole (ma dovrà provare l’estraneità e la conoscenza da parte del creditore). In ogni caso, il principio generale è: non esiste una protezione totale e semplice dei beni contro i creditori. Qualsiasi atto dispositivo volto a sottrarre beni ai creditori può essere annullato via revocatoria se fatto in malafede e, se compiuto per frodare il Fisco, può avere rilievo penale. L’unica difesa davvero efficace del patrimonio è agire per tempo (quando ancora non si è in insolvenza conclamata) e con strumenti leciti, ad esempio mantenendo separate le finanze personali e aziendali, evitando di intestarsi beni se si è esposti a rischi (pianificazione patrimoniale preventiva). Ma queste sono tecniche ex ante, che esulano dalla fase “ex post” che stiamo trattando. Per chi è già sovraindebitato, invece, concentrarsi su come pagare meno (legalmente) piuttosto che su come non pagare affatto proteggendo i beni è spesso la strategia più realistica: cercare accordi, riduzioni, piani, e utilizzare le procedure concorsuali per esdebitarsi. Un capitolo a parte merita la cosiddetta legge “salva casa” (introdotta nel 2015 nella L. 3/2012), che consentiva al debitore in un piano del consumatore di chiedere al giudice di continuare a pagare il mutuo sulla casa di abitazione e sospendere la vendita: tale principio, come accennato, è stato ripreso nel nuovo Codice della Crisi. Ne parliamo subito nella sezione successiva sulle procedure concorsuali (strumenti giudiziali).

Procedure concorsuali e di sovraindebitamento: soluzioni giudiziali

Quando i debiti diventano troppi e le risorse del debitore insufficienti a farvi fronte, le procedure concorsuali rappresentano la via legale per gestire la crisi in modo organizzato. Dal punto di vista dell’ex titolare debitore, l’obiettivo di queste procedure è duplice: regolare la posizione con i creditori (anche riducendo l’ammontare dovuto) e, se possibile, ottenere l’esdebitazione, cioè la liberazione dai debiti residui così da poter ripartire pulito.

Le procedure disponibili si distinguono a seconda che il debitore sia soggetto alle procedure ordinarie (fallimento/liquidazione giudiziale, concordato preventivo) oppure alle procedure minori di sovraindebitamento (dedicate ai debitori non fallibili). Dato che il nostro focus è su un ex titolare di centro tatuaggi, presumibilmente un piccolo imprenditore “sotto soglia”, ci concentreremo sulle procedure da sovraindebitamento previste per debitori non fallibili. Per completezza, però, faremo prima un rapido cenno al fallimento (oggi liquidazione giudiziale) e al suo funzionamento, giusto per capire le differenze rispetto agli strumenti “soft” a disposizione dei piccoli debitori.

Fallimento (Liquidazione Giudiziale) dell’ex imprenditore: se il titolare del centro tatuaggi era soggetto fallibile e la sua impresa è collassata, un creditore (o il debitore stesso) può chiedere al tribunale la liquidazione giudiziale del suo patrimonio. In tal caso, vengono applicate le regole del vecchio fallimento: il tribunale nomina un curatore, i beni del debitore vengono presi in consegna (spossessamento) e le azioni esecutive individuali si sospendono – i creditori devono tutti presentare domanda di ammissione al passivo nella procedura. Il curatore liquiderà i beni (vendite all’asta, ecc.) e ripartirà il ricavato secondo i gradi di privilegio. Il debitore fallito subisce anche alcune incapacità personali temporanee: ad esempio, non può per qualche anno esercitare attività d’impresa, non può amministrare i propri beni, perde l’accesso a cariche societarie finché dura la procedura, ecc.. Difendersi dal fallimento può voler dire due cose: evitarlo (ad esempio trovando un accordo con i creditori prima che presentino istanza) oppure, se inevitabile, gestirlo al meglio per poi uscirne con l’esdebitazione. Da notare che, con la riforma, la procedura fallimentare è stata in parte “umanizzata”: la legge ora impone di chiudere le procedure in tempi più rapidi (di norma in pochi anni, specialmente se non ci sono attivi da liquidare o dopo che la liquidazione è completata) e soprattutto prevede il beneficio dell’esdebitazione di diritto decorsi 3 anni dalla chiusura del concorso. Ciò significa che, se il debitore persona fisica non ha commesso irregolarità gravi, dopo la chiusura della liquidazione giudiziale può ottenere dal tribunale la cancellazione di tutti i debiti residui non soddisfatti. Questo meccanismo, introdotto gradualmente a partire dal 2012 e ora consolidato nel Codice della Crisi, serve a dare un fresh start al fallito onesto e sfortunato. In pratica, sebbene subire un fallimento sia un’esperienza spiacevole (c’è uno stigma sociale e delle limitazioni nell’immediato), a medio termine può portare a una riabilitazione economica completa grazie all’esdebitazione finale. Un difetto del fallimento (per il debitore) è che copre solo i debiti anteriori alla dichiarazione di fallimento; eventuali debiti contratti dopo restano a suo carico. Nel contesto tipico del nostro debitore (tatuatore piccolo imprenditore), il fallimento personale è evento raro, perché come detto l’attività in genere non supera le soglie di fallibilità. Se però l’attività era svolta tramite una società di capitali e questa fallisce, il titolare in quanto socio non fallisce (salvo fosse socio illimitatamente responsabile in qualche forma societaria particolare). In sintesi, il fallimento è più uno strumento dei creditori per espropriare i beni in modo ordinato che una difesa del debitore; tuttavia, ha come effetto collaterale positivo l’esdebitazione finale del debitore persona fisica (che chiude i conti col passato). Ovviamente, se si può raggiungere lo stesso risultato – pagare qualcosa ai creditori e cancellare il resto – con una procedura meno afflittiva e senza subire interdizioni, è preferibile: ed ecco che entrano in gioco le procedure di sovraindebitamento.

Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, disciplinate oggi dal Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019, come modificato dal D.Lgs. 83/2022), sono state pensate proprio per i debitori non fallibili: consumatori, piccoli imprenditori sotto soglia, professionisti, imprenditori agricoli, start-up innovative, enti non profit, ecc.. Fino al 2022 erano regolate dalla L. 3/2012 (la cosiddetta “legge anti-suicidi”), oggi confluita nel Codice con alcune novità terminologiche e sostanziali. Attualmente, le procedure disponibili sono principalmente tre, più una speciale forma di esdebitazione, ovvero:

  • Ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex piano del consumatore);
  • Concordato minore (ex accordo di composizione della crisi);
  • Liquidazione controllata del sovraindebitato (ex liquidazione del patrimonio);
  • Esdebitazione del debitore incapiente (anche detta esdebitazione “senza utilità”).

Vediamole singolarmente dal punto di vista del debitore, con requisiti e benefici.

– Ristrutturazione dei debiti del consumatore (Piano del consumatore): è riservata alla persona fisica consumatore, cioè che ha contratto obbligazioni per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale (art. 2, co. 1 lett. e) CCII). La novità del Codice 2019 è che la definizione di consumatore è più ampia rispetto al passato: nella L. 3/2012 era richiesto che il debitore avesse contratto esclusivamente debiti personali, mentre ora basta che i debiti oggetto del piano siano prevalentemente di natura personale. In pratica, oggi un ex imprenditore non fallibile che abbia per lo più debiti personali ma anche qualche debito residuo d’impresa (ad es. alcune cartelle IVA non pagate) può comunque accedere al piano del consumatore, purché nel piano tratti principalmente i debiti personali e la componente “d’impresa” non sia preponderante. La Cassazione già nel 2016 aveva anticipato questo orientamento più flessibile, ammettendo il piano del consumatore in presenza di debiti misti se l’indebitamento complessivo era valutato nell’insieme, senza escluderlo solo perché c’erano anche passività di origine imprenditoriale. Dunque, un ex titolare di centro tatuaggi che, cessata l’attività, oggi lavora come dipendente e deve ancora pagare magari delle spese familiari (prestiti, carte di credito) e qualche debito dell’ex attività (fornitori o IVA arretrata), può qualificarsi come consumatore agli effetti della procedura, in quanto agisce ora per scopi estranei a un’attività d’impresa e i debiti oggetto del piano possono includere anche quelli derivanti dall’attività cessata. I requisiti ulteriori per accedere sono: non aver già ottenuto un’esdebitazione nei 5 anni precedenti (o, se ne ha avute due in totale, non può chiederne una terza), e non aver causato il sovraindebitamento con colpa grave, frode o malafede (il criterio della “meritevolezza”). Questo concetto implica che il giudice valuta il comportamento del debitore: ad esempio, un soggetto che ha continuato a indebitarsi in modo irresponsabile, pur sapendo di non poter pagare, potrebbe vedersi negare l’omologazione. In realtà la giurisprudenza è stata piuttosto indulgente verso il debitore sovraindebitato salvo casi eclatanti di frode. Nel Codice attuale, la meritevolezza è comunque richiesta per accedere alla ristrutturazione dei debiti del consumatore. Come funziona concretamente? Il debitore, con l’assistenza di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) e di un professionista gestore, predispone un piano di pagamento sostenibile, basato sulle sue effettive possibilità economiche, indicando quanto potrà pagare a ciascun creditore. Non occorre l’accordo dei creditori: il piano del consumatore è l’unica procedura concorsuale unilaterale in cui il giudice può omologare anche con il voto contrario dei creditori, se ritiene il piano fattibile ed equo. Il tribunale valuta la sostenibilità del piano (che le somme offerte siano realistiche in base al reddito/patrimonio) e la meritevolezza del debitore; se tali condizioni sono soddisfatte, omologa il piano e lo rende vincolante per tutti i creditori. Da quel momento, i creditori devono accontentarsi di quanto previsto nel piano (es: il 20% dei loro crediti, pagato in 4 anni) e non possono più agire esecutivamente, perché i debiti vengono ristrutturati ex lege. Il piano può prevedere anche classi di creditori (trattamenti differenziati) e può contemplare la falcidia (riduzione) di debiti che normalmente non sarebbero comprimibili: ad esempio è espressamente consentito proporre un pagamento parziale dei debiti da cessione del quinto dello stipendio (che altrimenti avresti dovuto pagare integralmente), oppure – come anticipato – mantenere in essere il mutuo ipotecario sulla prima casa (continuando a pagarne le rate regolarmente) in modo da non perdere l’immobile pur proteggendolo dai pignoramenti per altri debiti. Naturalmente i creditori privilegiati (come il Fisco per alcuni tributi privilegiati, o la banca ipotecaria) nel piano possono essere soddisfatti parzialmente solo fino a concorrenza del valore del bene su cui hanno garanzia – ciò in base al principio del “best interest test”, per cui devono ricevere almeno quanto otterrebbero dalla vendita forzata di quel bene. Non c’è invece più la moratoria automatica di 1 anno per iniziare a pagare i creditori privilegiati (prevista dalla vecchia legge), anche se già la Cassazione diceva che quella moratoria poteva essere estesa solo col consenso del creditore privilegiato. Vantaggi: il piano del consumatore permette di includere anche i debiti erariali e contributivi, chiedendo il pagamento parziale di essi (è previsto un parere dell’ente, ma non vincolante, se si propone di pagarli meno del 100%). Inoltre, il piano blocca le procedure esecutive in corso: già con la presentazione del ricorso il giudice, se ricorrono i presupposti, può sospendere i pignoramenti e le ipoteche in atto (art. 70 CCII). Una volta omologato, i pignoramenti pendenti diventano improcedibili. Al termine del piano, se il debitore ha eseguito tutto ciò che era nelle sue possibilità, ottiene l’esdebitazione: viene liberato dai debiti residui non soddisfatti. Un esempio: Tizio, ex titolare di studio, ha €100.000 di debiti; con il piano offre ai creditori €30.000 da pagare in 5 anni (circa il 30%), raccolti dai suoi risparmi e dal suo stipendio. Il tribunale omologa, Tizio paga regolarmente €30.000 come previsto, e alla fine i restanti €70.000 vengono cancellati. Tizio è libero dai vecchi crediti (salvo quelli imprescrittibili o non falcidiabili, come alimenti dovuti, sanzioni penali, etc., che comunque vanno pagati integralmente anche nel piano). Limiti: se il debitore non rispetta le scadenze del piano, si rischia la revoca dell’omologazione e la ripresa delle azioni esecutive. Inoltre questa procedura è riservata ai consumatori “meritevoli”: l’ex imprenditore che ha ancora un’attività in corso non può usarla (dovrebbe cessarla e diventare a tutti gli effetti un privato). Se il piano era ottenuto con dolo o colpa grave del debitore (ad es. nascondendo beni nell’inventario), può esserne revocata l’esecuzione d’ufficio.

– Concordato minore: è la procedura destinata ai debitori non consumatori, cioè agli imprenditori minori e in generale ai debitori non fallibili diversi dal consumatore (piccoli imprenditori commerciali, imprenditori agricoli, professionisti, start-up, società sotto soglia, ecc.). Sostituisce il vecchio “accordo di composizione”. A differenza del piano del consumatore, qui i creditori votano sull’accordo: è insomma simile a un “mini concordato preventivo”. Il debitore propone un piano di concordato che può prevedere sia la continuazione dell’attività (concordato in continuità) sia la liquidazione di beni (concordato minore liquidatorio). La proposta deve assicurare ai creditori un soddisfacimento non inferiore a quello ottenibile con la liquidazione controllata (principio di convenienza). Non c’è una percentuale minima di legge per pagare i chirografari (nel concordato preventivo delle grandi imprese è richiesto almeno 20% se liquidatorio, ma per il concordato minore questa soglia non è espressa; la fattibilità sarà valutata caso per caso). I requisiti per accedere: trovarsi in stato di sovraindebitamento (crisi o insolvenza) e non essere soggetto a liquidazione giudiziale – in sostanza, rivolto ai non fallibili (o anche ad imprenditori fallibili che però vogliono usare questa via prima di un eventuale fallimento). Esempi: una S.n.c. sotto soglia; un imprenditore agricolo (che per legge non fallisce); un professionista (es. un tatuatore libero professionista con P.IVA, anche se individuale, potrebbe usare questo se non rientra nel consumatore). Caso particolare: soci illimitatamente responsabili che sono falliti con la società; terminata quella procedura, se avessero ancora debiti personali residui non coperti, potrebbero usare il concordato minore per sistemarli (scenario raro ma possibile). Inoltre, come detto, un fideiussore non fallibile (es. il socio accomandante o il socio di S.r.l. che ha garantito un debito sociale) può accedere a un concordato minore per ristrutturare il debito di garanzia. Funzionamento: il debitore deposita la proposta con l’ausilio dell’OCC; il tribunale, verificati i documenti, nomina un Gestore della crisi (figura analoga al commissario giudiziale). Vengono individuate eventuali classi di creditori e la percentuale di soddisfo offerta. I creditori votano la proposta: serve la maggioranza dei crediti ammessi al voto (oltre il 50% dell’ammontare). Nel nuovo Codice è stato abbassato il quorum rispetto alla L.3/2012 (che richiedeva il 60%): ora basta il 50% + 1, il che facilita l’approvazione. Se i creditori approvano e il tribunale omologa, il concordato minore diventa vincolante per tutti, anche per i creditori dissenzienti. Se i creditori non approvano, il giudice ha comunque il potere di omologare lo stesso (cram-down giudiziale), a condizione che ritenga la proposta vantaggiosa e che i creditori dissenzienti ricevano almeno quanto riceverebbero in una liquidazione alternativa (simile a quanto accade nel concordato preventivo in continuità). Anche in questo concordato, come nel piano del consumatore, i creditori con garanzie non possono essere pagati meno di quanto ricaverebbero liquidando il bene su cui hanno pegno/ipoteca; inoltre, se non vengono soddisfatti integralmente, devono esprimere consenso (a meno che non intervenga il cram-down con perizia che attesta che comunque dal bene non avrebbero ottenuto di più). Utilità: il concordato minore consente all’ex imprenditore di risolvere in modo organizzato la crisi, magari mantenendo in vita la sua attività se vuole proseguire (è ammessa la continuità aziendale nel concordato minore, a differenza della vecchia procedura di sovraindebitamento che non la menzionava espressamente). Possono essere inclusi nel concordato tutti i tipi di debito, compresi tributi e contributi (eventualmente prevedendo una transazione fiscale per falcidiare le imposte, cioè un accordo con l’Erario che di solito viene incorporato nel piano). Si possono anche prevedere apporti di risorse di terzi: ad esempio, l’ex titolare può coinvolgere un familiare che immette una somma di denaro per soddisfare parzialmente i creditori e salvare la casa di famiglia che era ipotecata – nel concordato minore ciò è fattibile, presentando un piano attestato dal gestore in cui risulti che i creditori stanno meglio rispetto a quanto otterrebbero agendo individualmente. Se il concordato va a buon fine (ossia l’imprenditore esegue tutte le obbligazioni assunte nel piano), egli ottiene l’esdebitazione per la parte residua dei debiti chirografari, esattamente come nel concordato preventivo o nel piano del consumatore. In caso di inadempimento grave, invece, c’è la risoluzione del concordato e i creditori riacquistano pieni diritti, potendo anche chiedere la conversione in liquidazione controllata (un “fallimento” della procedura minore). Durante la procedura di concordato minore, il debitore rimane in possesso dei beni e ne conserva l’amministrazione, salvo che il tribunale disponga diversamente in casi particolari, e opera sotto la supervisione del gestore nominato: è quindi una procedura meno invasiva rispetto al fallimento. Questo strumento è molto utile se il debitore ha molti creditori e intende offrire un pagamento parziale con l’accordo della maggioranza: evita di dover trattare separatamente con ognuno (basta convincerne oltre il 50%) e, soprattutto, congela tutte le azioni esecutive non appena la proposta viene ammessa dal tribunale (c’è il blocco delle azioni individuali simile all’automatic stay). Di contro, ha lo svantaggio di richiedere appunto il consenso dei creditori in misura significativa: se ci sono creditori “ostili” che detengono più della metà dei crediti, il concordato non passerà, salvo il caso di cram-down giudiziale che però richiede comunque di soddisfare il test di convenienza. In generale, quindi, il concordato minore è indicato quando il debitore può ottenere l’adesione di una buona parte dei creditori e vuole magari continuare l’attività senza liquidare tutto (o anche liquidare ma in modo concordato).

– Liquidazione controllata del sovraindebitato: è l’equivalente del fallimento per i non fallibili, e corrisponde al vecchio istituto della liquidazione del patrimonio della L. 3/2012. In sostanza, il debitore riconosce di non poter pagare a sufficienza, rinuncia a ristrutturare il debito e mette tutti i suoi beni a disposizione dei creditori (salvo quelli legalmente impignorabili, come effetti personali, strumenti di lavoro indispensabili, ecc.). Il tribunale nomina un liquidatore che si occupa di vendere i beni e distribuire il ricavato ai creditori secondo le regole concorsuali. Questa procedura può essere aperta sia su richiesta del debitore stesso (molti debitori la chiedono volontariamente, vedremo perché) sia – novità del Codice – su istanza di un creditore o su richiesta del Pubblico Ministero, se il debitore è insolvente. Anche la vecchia legge 3/2012 (art. 14-quinquies) prevedeva che i creditori potessero chiedere la liquidazione del patrimonio del debitore, ma in pratica accadeva raramente; con il nuovo Codice, questa opportunità è confermata e un po’ ampliata. Perché un debitore dovrebbe attivare spontaneamente la liquidazione controllata? Perché ha un enorme vantaggio finale: consente comunque l’esdebitazione, anche se i creditori non ricevono nulla o molto poco, purché il debitore sia meritevole e non abbia nascosto beni. Infatti, al termine della liquidazione, dopo che il liquidatore deposita il piano di riparto finale, il debitore persona fisica può chiedere al tribunale di essere liberato dai debiti residui (questo corrisponde all’art. 14-terdecies L.3/2012, ora art. 282 CCII). In passato la legge richiedeva che, nella liquidazione, i creditori chirografari avessero ottenuto almeno il 10% di soddisfazione per concedere l’esdebitazione; tale limite è stato dichiarato incostituzionale nel 2020 e quindi oggi anche chi non paga nulla ai chirografari può essere esdebitato, se ciò dipende dalla sua oggettiva incapienza. La regola ora è: anche se il debitore non soddisfa affatto i creditori (zero pagamento), può comunque ottenere l’esdebitazione, a condizione di non aver tenuto comportamenti fraudolenti o gravemente colposi e di aver cooperato lealmente con la procedura. Questo è in linea con l’orientamento europeo di dare una “seconda opportunità” all’imprenditore onesto ma sfortunato. La liquidazione controllata dura tipicamente 3-4 anni. In particolare, la legge prevede che nella massa attiva confluiscano non solo i beni esistenti all’apertura, ma anche gli utili futuri del debitore per i 3 (o 4) anni successivi. C’è stata un’evoluzione su questo punto: il Codice della Crisi ha chiarito che i beni e redditi sopravvenuti oltre 3 anni dall’apertura non vanno ai creditori (fissando dunque a 3 anni il limite di soggezione del debitore). In precedenza si parlava di 4 anni; la Corte Costituzionale, sentenza n. 6/2024, ha confermato che 3 anni dall’apertura rappresentano il massimo periodo in cui i creditori possono beneficiare dei redditi futuri del debitore. Alcuni commentatori continuano a menzionare 4 anni (forse includendo l’anno in corso), ma la regola attuale è: entro 3 anni dall’apertura, eventuali incrementi reddituali vanno in massa (oltre restano al debitore). Ciò significa che, ad esempio, se l’ex titolare trova un lavoro durante la liquidazione, una parte dello stipendio (la quota pignorabile, di solito un quinto) fino a 3 anni confluirà alla procedura per i creditori; i redditi successivi saranno invece liberi. In pratica, la liquidazione controllata è molto simile a un fallimento: il debitore perde l’amministrazione dei suoi beni, subisce i pignoramenti secondo regole concorsuali, e aspetta la liberazione finale. È uno strumento difensivo “estremo”: si utilizza quando il debitore non ha risorse per proporre un piano né un reddito sufficiente per pagare parzialmente, per cui l’unica via è arrendersi, consegnare tutto il consegnabile e ottenere la cancellazione dei debiti. Il vantaggio rispetto al subire decine di esecuzioni individuali è evidente: la liquidazione concorsuale è ordinata, relativamente rapida e definitiva. Dopo, i creditori non potranno più reclamare nulla. Durante la liquidazione, inoltre, c’è il blocco delle azioni esecutive individuali (tutti i creditori devono venire a insinuarsi nella procedura entro i termini). Quindi anche il debitore nullatenente può attivarla per mettere fine all’incubo dei creditori che lo inseguono potenzialmente per tutta la vita. In passato, molti debitori nullatenenti evitavano di attivare la liquidazione pensando “tanto non ho nulla, i creditori non prendono comunque niente”. Il problema è che, se non formalizzi nulla, i creditori possono restare in agguato per anni, pronti a colpire se appare qualcosa (un’eredità, una vincita, un miglioramento del reddito). Con la liquidazione controllata seguita dall’esdebitazione, quei debiti vengono proprio spazzati via. Certo, la medaglia ha un rovescio: per la durata della procedura, il debitore vive con lo stretto indispensabile, perché tutto il superfluo va ai creditori. Ma è un sacrificio temporalmente limitato (3 anni di regola), preferibile a un’incertezza decennale. Anche qui la meritevolezza è necessaria: se si scoprono atti in frode ai creditori (es. il debitore ha nascosto soldi all’estero o regalato la casa al fratello prima della procedura), il beneficio può essere negato o revocato.

– Esdebitazione del debitore incapiente (“senza utilità”): è una novità assoluta introdotta dal Codice della Crisi recependo le indicazioni della direttiva UE 2019/1023. Si rivolge ai debitori persone fisiche che non hanno alcun patrimonio né capacità reddituale da offrire ai creditori – i cosiddetti nullatenenti assoluti – ma che al tempo stesso sono meritevoli (non hanno colpe nel proprio dissesto). Prima, un debitore in queste condizioni non aveva alcuna possibilità legale di liberarsi dai debiti, perché anche la liquidazione del patrimonio presuppone che un patrimonio (per quanto minimo) ci sia. Ora invece può chiedere direttamente al tribunale l’esdebitazione immediata senza pagamento, ovvero la cancellazione di tutti i suoi debiti pur in assenza di qualsiasi utilità per i creditori. È un meccanismo potentissimo, ma soggetto a precisi paletti: può essere concesso una sola volta nella vita; il debitore non deve aver agito con dolo o colpa grave; e soprattutto non deve possedere nulla di liquidabile. Se, ad esempio, emergesse che aveva anche pochi beni vendibili o redditi disponibili che avrebbe potuto destinare ai creditori, la procedura sarà rigettata o, se già concessa, revocata. Inoltre, c’è una condizione postuma: nei 4 anni successivi all’esdebitazione, se il debitore incapiente esdebitato ottiene “utilità rilevanti” (ad esempio un’eredità, una vincita consistente, o un aumento di reddito significativo), ha l’obbligo di pagare i vecchi creditori fino almeno al 10% dei loro crediti. Deve quindi informare l’OCC annualmente sulla propria situazione economica per 4 anni; se non lo fa o mente e viene scoperto, l’esdebitazione può essere revocata dal tribunale. Questa norma evita che furbi nullatenenti oggi beneficino del fresh start e domani, arricchitisi, facciano come se nulla fosse. In pratica, l’esdebitazione dell’incapiente è un atto di clemenza verso chi è schiacciato dai debiti senza via d’uscita: ad esempio chi ha fatto da garante per un debito enorme di un’azienda fallita e si ritrova per tutta la vita con 0 reddito e 0 beni; oppure chi ha debiti per eventi sfortunati (malattie costose, usura, ecc.) e nessuna capacità di produrre reddito sufficiente. La ratio è anche di politica sociale: liberare dal fardello dei debiti inesigibili quelle persone che altrimenti resterebbero permanentemente escluse dall’economia legale (perché tanto qualunque cosa guadagnerebbero sarebbe subito aggredita dai creditori). Va evidenziato che l’esdebitazione senza utilità non cancella i debiti dei coobbligati, fideiussori e obbligati in solido: se, ad esempio, marito e moglie erano co-debitori di una banca e solo il marito ottiene l’esdebitazione incapiente, la moglie resta obbligata per intero. Inoltre, restano fuori i debiti per obblighi alimentari, i risarcimenti per danni da fatto illecito e le sanzioni penali/amministrative a contenuto personale (questi debiti non sono mai soggetti a esdebitazione per espressa previsione). Ha quindi i suoi limiti; resta comunque uno strumento rivoluzionario nel panorama italiano, una sorta di “fresh start gratuito”. Il messaggio per il debitore veramente incolpevole è: presentati al giudice, dimostra che non hai nulla e che non hai fraudolentemente sottratto nulla, e potrai ripartire da zero. Nel contesto del nostro titolare di centro tatuaggi, si può ipotizzare di usare questa procedura se – estremizzando – la persona ha perso tutto (magari il locale era in affitto quindi niente immobili, ha venduto l’attrezzatura per necessità, non ha auto o l’ha già pignorata, vive di aiuti o con un reddito sotto la soglia di povertà) e i suoi debiti derivano dal fallimento dell’attività. In tal caso potrebbe valutare l’esdebitazione incapiente. Al momento (fine 2025) questa procedura è ancora nuova e si attendono statistiche su quante richieste vengano effettivamente accolte, ma rappresenta comunque un’extrema ratio favorevole al debitore.

Per fissare le idee, riassumiamo in una tabella comparativa le caratteristiche salienti delle procedure concorsuali minori (piano del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata, esdebitazione incapiente):

ProceduraDestinatariAccordo creditoriDurata tipicaEsdebitazione finale
Piano del consumatore (Ristrutturazione dei debiti del consumatore)Persona fisica consumatore (debiti per scopi personali, non aziendali prevalenti). Debitore meritevole, non fallibile.Unilaterale: no voto creditori. Approvazione giudice se piano fattibile ed equo. Parere enti per debiti fiscali <100% (non vincolante).Variabile (di norma 3–5 anni di pagamenti rateali). Procedure rapide possibili se liquidazione di beni.: se il debitore esegue il piano, i debiti residui sono cancellati. (Revoca se inadempimento grave o dolo).
Concordato minoreDebitori non fallibili non consumatori: imprenditori commerciali sotto soglia, professionisti, imprese agricole, start-up, fideiussori non fallibili, enti non profit, ecc.. Stato di crisi/insolvenza.Collettivo con voto: serve maggioranza >50% crediti. Cram-down giudiziale possibile se proposta più conveniente di liquidazione. Eventuali creditori privilegiati votano solo se falcidiati.Fino a 4–5 anni circa (come un concordato preventivo “ridotto”). Il piano può prevedere continuità d’impresa. Durata massima 5-6 anni (indicata dal Codice).: se il debitore adempie al piano omologato, è liberato dai debiti residui chirografari. (Risoluzione se inadempimento; possibili azioni recupero).
Liquidazione controllata (del sovraindebitato)Qualunque debitore sovraindebitato (consumatore o no) insolvente. Accessibile anche su richiesta creditori/PM.Collettiva liquidatoria: nessun voto. Il liquidatore realizza attivo e distribuisce secondo legge. Creditori insinuati al passivo, azioni esecutive sospese.~3 anni dall’apertura + tempo tecnico liquidazione. Redditi sopravvenuti entro 3 anni entrano in massa. Durata massima soggezione: 3 anni (Corte Cost. 6/2024).: esdebitazione di diritto dopo 3 anni dall’apertura (art. 282 CCII) se il debitore collabora lealmente. Possibile anche se creditori hanno ricevuto 0%. (Negata/revocata se atti in frode o dolo).
Esdebitazione incapientePersona fisica nullatenente e senza reddito meritevole. Procedura una tantum.Istanza individuale al tribunale. Non c’è liquidazione né creditori soddisfatti. Creditori informati e partecipano all’udienza.Immediata (il provvedimento cancella subito i debiti). Vincolo 4 anni post per utilità sopravvenute (≥10% ai creditori).: esdebitazione concessa ex art. 283 CCII senza pagamento. Debiti cancellati subito. (Revocabile se emersa capacità non dichiarata o se in 4 anni compaiono utilità rilevanti non segnalate).

Come si evince, per il debitore queste procedure rappresentano spesso l’unica via d’uscita definitiva. Infatti, come visto nelle sezioni precedenti, le azioni difensive individuali (opposizioni, trattative) possono tamponare singoli problemi o guadagnare tempo, ma se il volume complessivo dei debiti supera di gran lunga la capacità economica, prima o poi occorre un intervento “sistemico”. Un ex titolare di centro tatuaggi sommerso dai debiti farebbe bene a rivolgersi a un professionista specializzato o a un OCC per valutare la praticabilità di una di queste soluzioni concorsuali. Dal punto di vista del debitore, non v’è dubbio che ottenere l’esdebitazione – sia tramite il completamento di un piano di concordato, sia tramite la liquidazione – sia l’obiettivo finale: significa poter ricominciare senza l’ombra perenne dei vecchi debiti. Le statistiche pre-2022 indicavano che molte procedure di sovraindebitamento venivano omologate con successo, ma erano ancora poche rispetto al potenziale (principalmente per scarsa informazione e una certa ritrosia culturale a “dichiarare fallimento” in piccolo). Con la riforma del 2022 e la semplificazione di alcuni aspetti (oltre all’introduzione dell’esdebitazione incapiente), ci si attende un aumento delle domande di composizione della crisi. Vale però chiarire che accedere a una procedura d’insolvenza non è una scelta da prendere alla leggera: comporta costi (spese per l’OCC, contributo unificato, eventuali perizie) e obblighi stringenti di trasparenza, oltre all’annotazione nei registri pubblici (ad es. il debitore in liquidazione controllata viene iscritto nel Registro Informatico dei Protesti e delle Proced. Concorsuali). Tuttavia, rispetto al rimanere indefinitamente esposto a decreti ingiuntivi e pignoramenti, spesso è il male minore. Un avvocato esperto saprà consigliare se ci sono i presupposti e quale procedura sia più adatta al caso specifico. Ad esempio: se il soggetto ha un lavoro stabile e un reddito che consente di rimborsare magari il 20-30%, converrà tentare un piano del consumatore; se possiede un piccolo immobile ipotecato che vuole salvare e l’attività può generare flussi, forse è preferibile un concordato minore in continuità; se non ha nulla né prospettive, tanto vale puntare all’esdebitazione incapiente.

Un ultimo aspetto: i tempi. Le procedure concorsuali minori richiedono qualche anno per completarsi: un piano del consumatore o un concordato minore tipicamente durano dai 3 ai 5 anni, a seconda delle rateizzazioni previste (il Codice in realtà suggerisce che il concordato minore dovrebbe chiudersi entro 4-5 anni al massimo, per analogia col concordato preventivo, ma può arrivare a 5-6 con alcune tolleranze). Una liquidazione controllata dura almeno 3 anni (per via degli utili futuri da maturare in tale periodo) e di solito può protrarsi fino a 4 anni per completare formalità e riparti. Durante questi anni, il debitore vivrà con mezzi limitati, ma con la prospettiva concreta di liberarsi dai debiti al termine. È un sacrificio a durata definita, preferibile a un’incertezza magari decennale in cui i creditori potrebbero colpire quando meno se lo aspetta. La legge cerca comunque di contenere i tempi: ad esempio impone che il concordato minore non superi certi limiti di durata e che il giudice dichiari l’esdebitazione nel fallimento 3 anni dopo la chiusura, segnando così un limite temporale massimo alla “pena” del fallito. In prospettiva, l’ordinamento italiano si sta uniformando alla mentalità della direttiva UE 2019/1023 (che promuove la seconda chance per imprenditori onesti): è quindi possibile che queste procedure diventino sempre più accessibili e snelle, per favorire la ripresa economica di chi è finito in difficoltà senza colpa grave.

Passiamo ora ad alcune domande frequenti, in forma di FAQ, che possono sorgere per un titolare (o ex titolare) di centro tatuaggi con debiti, con le relative risposte.

Domande frequenti (FAQ) – Difendersi dai debiti in un centro tatuaggi

D: Ho accumulato molti debiti con il mio centro tatuaggi e sto pensando di chiudere l’attività. La cessazione della partita IVA cancellerà i debiti?
R: No. Purtroppo la chiusura dell’attività non estingue automaticamente alcun debito. Se operavi come ditta individuale, i debiti dell’impresa rimangono a tuo carico personale anche dopo la chiusura. Quindi fornitori, banca, Fisco, INPS e gli altri creditori potranno continuare a richiederti il pagamento in quanto persona fisica. Anche la cancellazione di una società dal registro imprese non libera i soci dai debiti residui: ad esempio, i soci di una S.n.c. restano illimitatamente responsabili e i soci di S.r.l. sono perseguibili fino a concorrenza di quanto hanno riscosso in liquidazione. In sintesi, la cessazione formale dell’attività non fa “sparire” i debiti: questi continueranno ad esistere e a poter essere riscossi, salvo che intervengano prescrizioni o un’esdebitazione giudiziale. Se hai debiti importanti ed esci dall’attività, valuta dunque di risolverli tramite accordi o procedure, come spiegato nella guida, perché i creditori potranno ancora aggredire il tuo patrimonio personale in futuro.

D: Ho notato che da parecchi mesi (o anni) alcuni creditori non si fanno vivi. Posso sperare che il mio debito sia caduto in prescrizione?
R: Forse, ma bisogna essere molto cauti e verificare attentamente. La prescrizione dipende dal tipo di debito e decorre diversamente a seconda dei casi. In generale, i debiti derivanti da contratto o da sentenze si prescrivono in 10 anni (prescrizione ordinaria, art. 2946 c.c.), mentre molti debiti “periodici” come affitti, forniture, bollette, stipendi si prescrivono in 5 anni (art. 2948 c.c.). Ad esempio, una fattura di fornitura non pagata si prescrive in 5 anni dall’ultima sollecitazione; un debito fiscale in 10 anni dall’anno in cui è definitivo; una cartella per contributi INPS in 5 anni (se notificata dopo il 2018). Tuttavia, ogni atto di messa in mora o intimazione valido interrompe la prescrizione, facendo ripartire il termine da capo. Quindi l’assenza di solleciti per qualche tempo non significa automaticamente che il debito sia scomparso: bisogna accertarsi che non siano stati notificati atti (magari alla vecchia sede o per posta) negli ultimi anni. Se, ad esempio, un creditore inviò una raccomandata 4 anni fa e poi nulla più, la prescrizione attualmente in corso è di 4 anni ma gli basterebbe un nuovo sollecito per interromperla prima del quinto. In pratica, puoi eccepire la prescrizione solo se sei in grado di dimostrare che è decorso tutto il periodo previsto senza alcun atto interruttivo ricevuto. Conviene quindi fare un controllo degli estratti debitori (presso Agenzia Riscossione per i debiti fiscali, presso il creditore per altri debiti) e raccogliere la documentazione delle notifiche. Se effettivamente un debito è prescritto, sarà un’ottima difesa farlo valere in giudizio per ottenerne l’annullamento. Se invece mancano pochi mesi alla prescrizione, bisogna prestare la massima attenzione perché spesso i creditori inviano un sollecito “all’ultimo” per interromperla. Attenzione: pagare anche solo una piccola somma o riconoscere per iscritto il debito fa interrompere la prescrizione (costituisce atto di riconoscimento del debito ex art. 2944 c.c.). Quindi, prima di fare qualsiasi pagamento arretrato, valuta con un legale se magari quel debito era prescritto e stai inconsapevolmente rinunciando alla difesa pagandolo.

D: Ho una casa di abitazione intestata a me. Possono pignorarmela per i miei debiti?
R: Dipende dal tipo di creditore e dalla situazione concreta. Distinguiamo: se il creditore è un soggetto privato (ad es. una banca o un fornitore commerciale) e tu possiedi un immobile di proprietà, purtroppo : può iscrivere ipoteca giudiziale e attivare il pignoramento immobiliare mettendo la casa all’asta. Non importa che sia la tua prima e unica casa: la legge che tutela la “prima casa” (art. 76 DPR 602/73) vale solo per i crediti esattoriali (Erario/Equitalia) e non per i creditori ordinari. Dunque una banca, un ex socio, il locatore, ecc., possono aggredire l’immobile senza particolari limitazioni. Faranno iscrivere ipoteca e, trascorsi 20 giorni, potranno iniziare il pignoramento (se il debito supera €20.000 per ipoteca obbligatoria). Se invece il creditore è l’Agenzia Entrate-Riscossione (AER), allora ci sono delle tutele: la prima casa di abitazione non di lusso e unica proprietà del debitore non è pignorabile da AER, né può esservi iscritta ipoteca a meno che il debito superi €20.000. Quindi, se hai un solo immobile, ci vivi e ci sei residente, e i debiti sono verso il Fisco, l’Agente della Riscossione non potrà venderlo all’asta (gli è vietato). Può però, superati €20.000, iscrivere ipoteca a garanzia (che impedisce di vendere liberamente la casa finché non paghi). Fanno eccezione i casi di immobile di lusso (categorie A/8, A/9, ecc.) – quelli sono pignorabili anche se prima casa. E attenzione: questa impignorabilità non vale se l’immobile ha già un’ipoteca volontaria (es. un mutuo): la banca potrà comunque escutere l’ipoteca e venderlo (perché in quel caso è un’esecuzione immobiliare promossa dal creditore ipotecario, non vietata dalla legge). In sostanza, un immobile di proprietà è sempre esposto ai creditori, salvo la citata eccezione per il Fisco. Se l’immobile è cointestato (es. con il coniuge) e il debito è solo tuo, possono pignorare la tua quota e metterla in vendita, costringendo poi alla divisione giudiziale: una situazione scomoda per il comproprietario, che potrebbe portare a dover vendere comunque tutto l’immobile; di solito in tali casi il coerede/comproprietario preferisce acquistare la quota all’asta per evitare estranei. Quindi non è una protezione nemmeno la comunione o comproprietà. Come difendersi? Se il creditore è privato non ci sono molte difese “tecniche” se il debito è certo: l’immobile è aggredibile. Conviene semmai trattare prima che si arrivi all’asta: proporre un piano di rientro o un saldo e stralcio, magari ipotizzando di vendere spontaneamente la casa a un prezzo più vantaggioso (in asta spesso si svende) per pagare i debiti. Oppure valutare le procedure concorsuali: un concordato minore potrebbe consentirti di preservare l’immobile, offrendo ai creditori una soddisfazione equivalente senza liquidarlo (ad esempio continuando a pagare il mutuo come visto). Se il creditore è AER, verifica di rientrare nei requisiti di impignorabilità (prima casa, unica, non lusso): se tenta un pignoramento illegittimo, potrai proporre opposizione all’esecuzione al giudice per farlo dichiarare improcedibile. Ricorda però che una seconda casa o un immobile non abitativo (es. un laboratorio o un garage) sono pignorabilissimi da AER come da chiunque altro. In conclusione, possedere immobili rende la tua posizione debitoria delicata: il consiglio è di muoversi presto per risolvere i debiti, perché la casa è il primo bene a rischio in caso di inerzia.

D: Possono pignorare il mio stipendio (o la mia pensione) e quanto mi possono togliere al massimo?
R: , lo stipendio così come altri redditi da lavoro e la pensione sono pignorabili dai creditori, ma con limiti di legge. La regola generale (art. 545 c.p.c.) per i creditori ordinari è che è pignorabile al massimo 1/5 dello stipendio o salario netto. Quindi se guadagni €1.500 netti al mese, al massimo ti possono prelevare €300 al mese. Se però hai più pignoramenti concorrenti, la somma delle trattenute non può superare la metà dello stipendio. Ad esempio, se hai un pignoramento per una banca (1/5) e uno per alimenti arretrati (altro 1/5), arrivi a 2/5; un terzo creditore dovrebbe attendere. Ci sono eccezioni: i crediti alimentari (assegni di mantenimento) e i debiti erariali possono coesistere con altri pignoramenti superando 1/5, ma in ogni caso la somma delle trattenute non può superare il 50% dello stipendio. Per le pensioni, esiste una quota “libera” impignorabile per garantire il minimo vitale: la legge (come modificata da Corte Cost. n. 83/2018) stabilisce che non è pignorabile l’importo corrispondente a 1,5 volte l’assegno sociale (circa €780 nel 2025 ×1,5 = €1.170). La parte eccedente tale soglia può essere pignorata nei limiti di 1/5. Quindi, ad esempio, se una pensione netta è €1.500 mensili, la parte sopra €1.170 è €330; un quinto di €1.500 è €300, ma bisogna lasciare minimo €1.170, quindi in pratica il massimo pignorabile sarà €330 (tutto quello sopra la soglia) in questo caso. Per pensioni alte invece vale il solito quinto. Discorso a parte per i pignoramenti da parte del Fisco (AER): la legge prevede soglie progressive per stipendio/pensione: – se il tuo stipendio netto è fino a €2.500, AER può pignorare 1/10 (il 10%); – da €2.501 a €5.000, può pignorare 1/7 (circa il 14,28%); – oltre €5.000, può pignorare 1/5 (20%, come gli altri creditori).

Queste percentuali valgono sia per stipendi che pensioni (ferma restando la soglia minima impignorabile sulle pensioni come detto). Un caso particolare è il pignoramento dello stipendio presso la banca: se il creditore pignora il conto corrente su cui viene accreditato lo stipendio, si distingue tra somme già accreditate e somme future. La legge dice che, se il conto è alimentato da stipendio/pensione, la somma corrispondente all’ultimo emolumento accreditato non può essere toccata (serve per il sostentamento del debitore); oltre tale importo, la banca trattiene secondo le solite quote. Ciò significa che, ad esempio, se il giorno X ti accreditano lo stipendio di €1.500 e subito dopo arriva il pignoramento del conto, la banca deve lasciarti €1.500 (l’ultimo stipendio) e pignorare solo l’eventuale eccedenza. Se invece il pignoramento sul conto avviene prima dell’accredito, allora la banca blocca tutto ciò che arriva successivamente nella misura pignorabile (un quinto). In pratica, se ti hanno pignorato il conto e poi il datore versa lo stipendio, la banca dovrebbe sbloccare 4/5 e trattenere 1/5 (rispettando i limiti). A volte, però, succede che in fase di esecuzione queste distinzioni non vengano applicate correttamente e il conto risulti interamente bloccato. Ciò è illegittimo: non possono azzerarti l’intero stipendio appena accreditato. Se accade, occorre fare opposizione al giudice dell’esecuzione per far liberare la parte impignorabile. In sintesi: stipendio e pensione sono difesi da soglie di impignorabilità, quindi non ti possono mai togliere più del 20% (creditori normali) o delle percentuali ridotte (Fisco), e rimane sempre garantita una parte per vivere (almeno ~€1.170 se pensione, e comunque metà dello stipendio resta intoccabile in cumulo di cause). Queste norme sono a tutela del minimo vitale. Va però considerato che un pignoramento dello stipendio è un procedimento invasivo e pubblico (viene notificato al datore di lavoro, creando imbarazzo): sarebbe meglio cercare di evitarlo, magari con accordi prima che il creditore vi ricorra, o con procedure concorsuali che sospendono i pignoramenti.

D: Ho diverse cartelle esattoriali (debiti fiscali) con Agenzia Entrate-Riscossione. Posso ottenere una dilazione o uno sconto?
R: , la normativa lo consente. Per la rateizzazione ordinaria, i piani di dilazione sono relativamente facili da ottenere: per debiti fino a €120.000 la rateizzazione viene concessa automaticamente su richiesta fino a 72 rate mensili (6 anni); per importi superiori, si può chiedere fino a 120 rate mensili (10 anni) dimostrando lo stato di difficoltà finanziaria (indice “ISEE” o altri parametri). Le prime 8 rate di ogni piano possono anche essere omesse (morosità tollerata) e il piano decade se non si pagano 8 rate anche non consecutive. Inoltre, periodicamente sono state varate le “rottamazioni” delle cartelle (definizioni agevolate), l’ultima è la rottamazione-quater del 2023. Con essa, come già detto, non si pagano sanzioni né interessi di mora, ma solo il capitale e un minimo di interessi legali, in un piano fino a 18 rate in 5 anni. È previsto anche l’annullamento automatico dei debiti minori fino €1.000 affidati dal 2000-2015. I termini per aderire a queste definizioni agevolate variano: per la rottamazione-quater scadevano a giugno 2023, ma sono stati prorogati alcuni termini (col “Milleproroghe” 2023 e una mini-proroga per alcune zone colpite da calamità). Al momento (settembre 2025) si discute di una possibile “rottamazione-quinquies” nella legge di bilancio 2025, ma nulla è ancora certo. In ogni caso, se hai cartelle esattoriali, quasi sicuramente puoi dilazionarle. Basta presentare domanda sul portale AER o tramite PEC, e otterrai un piano di pagamento mensile. Finché rispetti le rate, Agenzia Riscossione non può procedere con nuovi pignoramenti né iscrizioni ipotecarie (eventuali fermi auto attivi restano, ma non ne vengono messi di nuovi). Questo ti permette di respirare. Se l’importo totale da pagare è comunque troppo alto rispetto alle tue capacità, potresti considerare di fare ricorso a un piano del consumatore o concordato minore per proporre al Fisco un pagamento parziale e far cancellare il resto: queste procedure consentono infatti di “forzare” lo sconto anche delle imposte, purché i giudici valutino che stai offrendo il massimo che puoi. Va detto che il Fisco di solito, se vede che hai beni ipotecabili o redditi pignorabili, preferisce recuperare il più possibile per via ordinaria e non accetta facilmente stralci fuori dalle rottamazioni di legge. Ma se il tuo è un caso di sostanziale incapienza, le procedure concorsuali potranno risolverti il problema in via giudiziale come spiegato. In sintesi: sì, puoi rateizzare abbastanza facilmente (presenta domanda prima possibile, anche per interrompere eventuali azioni esecutive) e sì, puoi ottenere uno “sconto” delle sanzioni aderendo alle definizioni agevolate previste per legge. Non ignorare le cartelle perché l’Agente della Riscossione ha poteri forti (non serve giudice per pignorare) e costi aggiuntivi: meglio attivarsi con piani o chiedere una verifica a un avvocato di fiducia.

D: Sono oberato dai debiti (privati e fiscali) ma non possiedo nulla di valore. Mi conviene iniziare una procedura di sovraindebitamento o tanto vale lasciare che i creditori “si arrangino” visto che non possono prendere niente?
R: Dipende dal tuo obiettivo e dalle prospettive future. Se davvero non possiedi nulla, né prevedi entrate significative, potresti essere tentato di non fare nulla: in effetti, se un creditore non trova beni né redditi da pignorare, potrebbe rinunciare o temporeggiare. Tuttavia questa situazione di “calma” può durare anni, ma non per sempre: i debiti non risolti restano come uno scheletro nell’armadio, pronto a venir fuori appena hai qualcosa da perdere. Ad esempio, se oggi non hai nulla ma tra 5 anni ottieni un lavoro o una piccola eredità, i creditori potrebbero riattivarsi con pignoramenti (i titoli di credito, come decreti ingiuntivi o sentenze, durano 10 anni rinnovabili; le cartelle fiscali pure, se interrotte). Inoltre, vivere a lungo nell’illegalità economica (senza conto corrente, senza poter intestarsi nulla per paura dei creditori) è molto penalizzante a livello personale e familiare. Le procedure di sovraindebitamento, al contrario, offrono una soluzione definitiva: se le completi con successo (o se nel tuo caso fai l’esdebitazione incapiente), i debiti vengono legalmente cancellati e i creditori non possono più importunarti. Certo, avviano una procedura comporta dei costi e impegni: dovrai pagare un OCC (spesso con un contributo iniziale di qualche migliaio di euro, magari rateizzabile), seguire un iter che dura alcuni anni e rispettare regole di condotta. In compenso, avrai la pace a fine processo e potrai ricominciare da capo, anche tornando “visibile” nel sistema creditizio. Se non possiedi nulla ma hai comunque un lavoro o prevedi entrate nei prossimi anni, allora conviene certamente fare una procedura: ad esempio una liquidazione controllata ti permetterà di pagare quel poco che potrai in 3-4 anni e poi cancellare il resto dei debiti. Se addirittura non hai neanche lavoro né beni e la tua situazione sembra senza sbocchi, sei il candidato ideale per l’esdebitazione incapiente: in pochi mesi potresti ottenere dal giudice la cancellazione di tutti i debiti e ricominciare pulito, con l’unica condizione di informare l’OCC se nei 4 anni successivi “vinci alla lotteria” o cose simili. Se invece non fai nulla, i debiti rimarranno lì potenzialmente in eterno (specie quelli fiscali, che si prescrivono in 10 anni ma AER interrompe di continuo). È vero, un creditore commerciale dopo 10 anni potrebbe arrendersi e non rinnovare il titolo, ma è un azzardo. Inoltre, il fatto di avere debiti insoluti può portare a segnalazioni negative (pregiudizievoli) nei registri e Central Rischi, ostacolandoti se mai vorrai accendere un finanziamento o aprire un’attività in futuro. Dunque, la convenienza delle procedure concorsuali c’è quasi sempre, salvo tu sia davvero in condizione di sopravvivere nell’informalità per sempre – prospettiva poco realistica. Il consiglio è: fai fare una valutazione a un esperto, spesso un OCC offre una prima consulenza. Se hai zero patrimonio e solo debiti, con la nuova legge puoi liberartene gratis (previa verifica meritevolezza). Se hai qualcosa da dare, con un piano concordato potresti magari chiudere pagando solo una parte e in modo sostenibile. Se invece lasci “che i creditori si arrangino”, rischi di trovarti ogni tot con un pignoramento sul conto (appena ci metti dei soldi) o sullo stipendio (appena ne hai uno). Psicologicamente inoltre vivere nascosti dai creditori è logorante. Quindi, se il tuo obiettivo è davvero uscire dal tunnel e tornare a una vita finanziariamente normale, vale la pena avviare una procedura e azzerare tutto, anche a costo di qualche sacrificio temporaneo. Al contrario, se pensi di non avere prospettive e non ti interessa mai più intestarti nulla o avere relazioni bancarie, potresti teoricamente vivere ignorando i creditori – ma considera che questa “pace” è molto precaria (basta un errore, un lavoro in chiaro, e ti colpiscono). Dunque, in linea generale, è preferibile affrontare il problema in sede legale e risolverlo una volta per tutte.

D: Ho debiti vari con banche, fornitori, Fisco, ecc. Posso includerli tutti in una sola procedura di sovraindebitamento?
R: Sì. Lo scopo stesso delle procedure di sovraindebitamento è proprio quello di gestire in un unico contesto la pluralità di debiti del soggetto. Quando presenti un piano del consumatore o un concordato minore, devi infatti elencare tutti i tuoi creditori e tutti i debiti, di qualunque natura (fiscale, bancaria, commerciale, personale). Nel piano o accordo si propone un trattamento per ciascuno. Non è possibile “selezionare” a piacimento quali debiti inserire e quali no: la legge vuole che si abbia un quadro completo. Ci sono solo alcune eccezioni: non rientrano nelle procedure i debiti per multe penali, per obblighi di mantenimento e pochi altri (non possono essere ridotti né perdonati, quindi o li paghi integralmente o restano). Ma tutto il resto – mutui, finanziamenti, carte di credito, fornitori, tasse, bollette, leasing, ecc. – può e deve essere inserito. Questo è un grande vantaggio: invece di dover trattare o litigare con ogni creditore separatamente, con un’unica procedura puoi risolvere l’intera situazione debitoria. Per esempio, nel piano del consumatore il giudice omologa un piano che riguarda contestualmente banca, equitalia, fornitore e chiunque altro: tutti saranno vincolati da quella decisione. Ovviamente devi essere trasparente: non si possono omettere debiti per favorire qualcuno. Se emergesse dopo che hai nascosto un creditore per non coinvolgerlo, rischieresti la revoca della procedura per dolo. Ma a parte questo, l’unificazione dei debiti è proprio la chiave: con un solo pagamento mensile (o con una sola liquidazione di beni) risolvi tutte le esposizioni, anziché avere tante procedure esecutive scoordinate. Quindi, certamente puoi includere tutti i debiti insieme. Nella domanda al tribunale sarà opportuno allegare un elenco completo dei creditori, magari estratto dalle visure e dal cassetto fiscale, così da non dimenticare nessuno.

D: Ho fatto da fideiussore (garante) per un debito della mia ex società, che ora non sono in grado di pagare. Ci sono difese particolari per i garanti?
R: La fideiussione ti rende obbligato in solido col debitore principale nei confronti del creditore: dunque, a meno che il contratto di fideiussione presenti vizi formali o clausole nulle, tu sei tenuto a pagare come se fosse un tuo debito diretto. Tuttavia, ci sono un paio di spunti da valutare. Primo: molte fideiussioni bancarie omnibus fatte su schema ABI (quelle standard per scoperti di conto, fidi, mutui aziendali) sono state ritenute in parte nulle dalla Corte di Cassazione perché contenenti clausole frutto di intese anticoncorrenziali tra banche. In pratica, alcune clausole come la “sopravvivenza della garanzia” o la “rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c.”, se inserite tutte insieme nello schema tipico ABI, sono nulle per violazione della normativa antitrust (Provvedimento Banca d’Italia 2005 e sentenze Cass. nn. 29810/2017, 12505/2019, ecc.). Ciò significa che, se la tua fideiussione riproduce quelle clausole, potresti contestare la validità della garanzia e magari ottenere di non dover pagare (o di pagare meno). Ti conviene far analizzare il testo della fideiussione da un avvocato esperto in diritto bancario. Secondo: in una procedura di composizione della crisi, il fideiussore non fallibile – ad esempio tu come ex socio o privato – può accedere al concordato minore come visto, per includere il debito di garanzia e ristrutturarlo. In tal caso, potrai proporre al creditore garantito un pagamento parziale all’interno della procedura. Attenzione: la legge prevede espressamente che l’esdebitazione non produce effetti verso gli eventuali coobbligati o fideiussori (art. 282 co. 3 CCII). Questa regola serve a tutelare il creditore: se ad esempio la società debitrice principale va in concordato e paga solo il 30%, la banca può rivalersi sul fideiussore per il restante 70%. Di contro, se tu risolvi il debito col creditore tramite la tua procedura, la società (ormai estinta magari) non deve nulla ma questo conta poco. Quindi la difesa principale del fideiussore è: contestare se possibile la fideiussione stessa oppure avvalersi degli stessi strumenti di protezione dei debitori principali (piani, concordati). Inoltre, se la società debitrice principale è tuttora attiva e solvibile, potresti rivalerti su di essa per farti indennizzare (azione di regresso), ma se sei chiamato a pagare è perché probabilmente la società non paga. Riassumendo: nessuna scappatoia magica per i garanti; verifica solo la nullità ABi e considera di agire tu stesso per ristrutturare il debito. Nel frattempo, se la banca ti chiede il saldo, prova anche qui a trattare: a volte, se vedono che l’azienda è fallita e il garante ha poche risorse, accettano un saldo e stralcio. E ricorda che se paghi tu, hai diritto a chiedere la tua parte agli eventuali altri garanti (se eravate più fideiussori), ma se loro non hanno nulla, è un diritto sulla carta.

D: Mi hanno pignorato il conto in banca: il giorno in cui è arrivato lo stipendio, il conto è stato bloccato a zero. È lecito?
R: No, se effettivamente ti hanno azzerato l’intero stipendio appena accreditato. Come dicevamo, quando si pignora il conto di un lavoratore dipendente, la legge tutela l’ultima mensilità percepita. Se il pignoramento arriva dopo l’accredito dello stipendio, sul conto deve restare intatta una somma pari all’importo dell’ultimo stipendio. Se invece arriva prima dell’accredito, la banca dovrebbe consentire che, al momento del versamento dello stipendio, solo la parte pignorabile (tipicamente 1/5) venga trattenuta e il resto sia liberato. Purtroppo a volte gli istituti bancari, per eccesso di zelo, bloccano tutto e lasciano poi al giudice decidere. In tal caso devi attivarti tu con un’opposizione presso il tribunale per far valere l’impignorabilità parziale. In base alla Corte Costituzionale n. 83/2018, sul conto deve comunque rimanere un importo pari a 1,5 volte l’assegno sociale (circa €1.170) se si tratta di pensione, e analogicamente i giudici applicano questo minimo vitale anche allo stipendio appena accreditato. Quindi azzerare completamente il conto è illegale. Il creditore può al massimo pignorare l’eccedenza. Nel tuo caso, puoi far ricorso al giudice dell’esecuzione (art. 615 c.p.c.) chiedendo di sbloccare la somma impignorabile. La giurisprudenza è costante nel dare ragione al debitore in questi casi, ordinando alla banca di svincolare almeno il 4/5 dello stipendio appena versato. Infine, per prevenire questi problemi, conviene mantenere il conto il più “vuoto” possibile se temi pignoramenti, oppure usare conti intestati a terzi (ma occhio a non far transitare lì i tuoi redditi in modo sistematico, se no i creditori possono provare a pignorarli presso il terzo). In sintesi: se ti hanno preso l’intero stipendio sul conto, fai subito opposizione perché non è lecito.

D: Se attivo una procedura di sovraindebitamento (ad es. un piano del consumatore o un concordato minore), i miei fornitori/creditori lo verranno a sapere? Ho paura per la reputazione.
R: , i creditori saranno necessariamente coinvolti. In una procedura di composizione della crisi, i creditori devono essere notificati e partecipare – soprattutto nel concordato minore, dove votano. Anche nel piano del consumatore, pur non votando, i creditori vengono informati e possono proporre opposizione in udienza. Quindi i tuoi fornitori, la banca, il Fisco, ecc., verranno a conoscenza dell’iniziativa (riceveranno quantomeno la comunicazione del ricorso e del decreto di apertura). La procedura inoltre può essere pubblicata nel registro delle procedure concorsuali. È inevitabile: non c’è modo di fare un piano “segreto”. Tuttavia, considera due cose: primo, se anche decidessi di non fare la procedura e continuare a non pagare, comunque la tua reputazione è compromessa, perché i creditori prima o poi sapranno del tuo dissesto (inizieranno decreti ingiuntivi, protesti, pignoramenti pubblici). Anzi, con la procedura dai un segnale positivo che stai affrontando il problema responsabilmente e legalmente, piuttosto che sparire. Secondo, ormai le procedure di sovraindebitamento sono abbastanza comuni e socialmente accettate, non è più un’onta indelebile. Soprattutto, dopo l’esdebitazione sarai di nuovo affidabile legalmente. Quindi la reputazione creditizia la recupererai. La preoccupazione per cosa penseranno i fornitori è comprensibile, specie in piccole realtà: ma devi valutare l’alternativa. Tra avviare una procedura (e risolvere i debiti) e trascinarti i problemi a lungo per evitare che “si sappia in giro”, personalmente consigliamo la prima strada: i creditori preferiranno comunque vederti trovare una soluzione (anche parziale) piuttosto che nulla. Tieni conto che i documenti di una procedura non sono pubblicati su internet in piazza, restano atti giudiziari accessibili sì, ma non di dominio generale. Solo i soggetti interessati ne verranno a conoscenza. Nel dubbio, puoi chiedere al tuo avvocato di segnalare l’eventuale carattere riservato di alcune informazioni (ad es. se nel piano vengono menzionati dati sensibili, i creditori li sapranno ma non verranno divulgati oltre). In conclusione: sì, i creditori lo sapranno, ma è parte del processo e va accettato. La tua reputazione “imprenditoriale” forse subirà un colpo, ma è meglio di un pignoramento a sorpresa o di un protesto pubblico che la danneggerebbe comunque. E dopo, una volta risolto tutto, potrai ripartire su basi pulite.

D: Quanto costa presentare un piano del consumatore o un concordato minore?
R: Ci sono alcuni costi iniziali da considerare. Innanzitutto la legge prevede che tu debba versare un compenso all’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) che ti assiste. Questo compenso è stabilito dal DM 202/2014 e varia in base all’attivo e al passivo, ma per procedure semplici si aggira sull’1-2 mila euro circa (può essere di più se il debito è molto alto o ci sono beni da liquidare). Spesso gli OCC chiedono una sorta di acconto o fondo spese all’apertura. In alcuni tribunali è richiesto anche il pagamento di un contributo unificato ridotto (di solito €98). Poi va considerato il compenso del professionista gestore nominato (che spesso coincide con il referente OCC) e dell’eventuale avvocato che ti segue: l’avvocato negozierà il proprio onorario con te (c’è libertà, ma molti applicano tariffe calmierate, sapendo che sei in difficoltà). In totale, diciamo che avviare la procedura può costare qualche migliaio di euro tra OCC e spese, raramente meno di 1.500 e raramente più di 5.000 salvo casi complessi. Tieni presente che questi costi possono spesso essere inclusi nel piano: ad esempio puoi proporre che una parte delle somme versate nel piano servano a pagare le spese della procedura (è ammesso). Alcuni OCC permettono di pagare l’onorario in più rate o a conclusione positiva. Se sei veramente nullatenente, potresti persino chiedere l’esonero da certe spese, ma è difficile. In ogni caso, rispetto ai vantaggi ottenuti cancellando decine o centinaia di migliaia di debiti, questi costi sono modesti. Un consiglio è di rivolgersi ad un OCC pubblico (presso l’Ordine dei Commercialisti o Avvocati): spesso applicano tariffe minime. Ci sono anche avvocati specializzati che curano il caso facendosi pagare prevalentemente a buon esito. Quindi, i costi non devono scoraggiarti: se necessario, puoi farti prestare la somma da un parente o amico, considerandola come “investimento” per liberarti dai debiti (e poi gliela restituirai magari a esdebitazione avvenuta). Riassumendo: ragionevolmente preventiva 2-3 mila euro di spesa complessiva per avviare la pratica (valore variabile a seconda della complessità e della città), sapendo che potresti dilazionarli e che ne vale la pena per l’obiettivo di uscire da una situazione debitoria pesante.

D: Una volta ottenuta l’esdebitazione (sia da fallimento che da sovraindebitamento), potrò riavviare un’attività o ottenere credito in futuro?
R: , l’obiettivo dell’esdebitazione è proprio quello di riabilitarti giuridicamente. Una volta che hai il decreto di esdebitazione, i debiti vecchi sono legalmente cancellati e tu non sei più considerato inadempiente verso nessuno. Per quanto riguarda l’avvio di una nuova attività, nulla te lo impedisce: se eri un imprenditore fallito, dopo la chiusura del fallimento e l’esdebitazione puoi subito ripartire (le incapacità a gestire imprese cessano con la chiusura del fallimento); se eri sovraindebitato e hai ottenuto l’esdebitazione, non hai neanche mai subito interdizioni. Quindi puoi tranquillamente aprire una nuova partita IVA, costituire società, ecc. L’accesso al credito in senso stretto dipende dal mercato: dal punto di vista legale, non avrai pregiudizievoli in corso, quindi nelle banche dati risultarai pulito (a parte il fatto storico di aver avuto un concorsuale, ma ad esempio la Centrale Rischi Banca d’Italia azzera i sofferti una volta chiusi). Alcuni istituti di credito possono, a livello discrezionale, considerare rischioso farti credito subito dopo un’esdebitazione – ma altri, sapendo che ora non hai più zavorre, potrebbero considerarti un soggetto “ripulito” e quindi affidabile. Lo scopo della legge è proprio permetterti di rientrare nell’economia attiva, quindi eventuali ostacoli all’accesso al credito sarebbero contrari alla ratio. Sappi che non puoi richiedere un’altra esdebitazione per 5 anni (in generale), quindi anche le banche sanno che se fallissi di nuovo non potresti essere perdonato facilmente – questo può renderti paradossalmente più attento e quindi più affidabile. In sintesi: sì, potrai tornare a fare impresa e a ottenere credito, tenendo conto ovviamente che un minimo di prudenza gli interlocutori ce l’avranno (ma molti piccoli imprenditori esdebitati sono riusciti a ripartire con successo). L’esdebitazione serve proprio a rimuovere la “macchia” dei debiti passati e darti una seconda chance, quindi usala con giudizio e impara dagli errori precedenti. Dal punto di vista normativo non sarai considerato un cattivo pagatore: i vecchi debiti non potranno più essere usati contro di te e sarai riabilitato a tutti gli effetti.

D: Cosa succede se muoio prima di aver risolto i miei debiti? I miei figli dovranno pagarli?
R: I debiti (tranne quelli personalissimi come multe penali o obblighi di fare) si trasmettono agli eredi. Quindi, in linea di principio, i tuoi figli sarebbero chiamati a rispondere dei tuoi debiti dopo la tua morte. Tuttavia, la legge dà agli eredi la possibilità di tutelarsi: possono rinunciare all’eredità (in tal caso è come se non diventassero mai debitori, e non ricevono né beni né debiti); oppure possono accettare con beneficio d’inventario, che limita la loro responsabilità al valore dei beni ereditati (non pagheranno debiti oltre tale valore). Se tutti rinunciano, l’eredità andrà allo Stato (che però paga i debiti solo entro il valore dell’attivo, in pratica se non c’è attivo lo Stato nulla paga). Quindi, in pratica, i tuoi figli non saranno costretti a pagare di tasca propria i tuoi debiti, a patto che facciano le mosse giuste nella successione. Devono essere consapevoli della situazione: se, per ingenuità, accettassero l’eredità “puramente e semplicemente” e poi scoprissero che i debiti superano i beni ereditati, dovrebbero comunque pagarli interamente, anche oltre il valore dell’eventuale attivo (perché con accettazione pura l’erede risponde illimitatamente). Per fortuna oggi è prassi, se ci sono dubbi, accettare almeno con beneficio d’inventario per non rischiare. Nel caso di un imprenditore fortemente indebitato, spesso la soluzione migliore per i figli è rinunciare all’eredità, specie se non c’è patrimonio attivo. Se uno spera di “lasciare ai figli solo i beni e non i debiti”, sappia che non è possibile separare le due cose a meno di predisporre strumenti come polizze vita (che non entrano nell’asse ereditario) o trasferimenti anticipati in trust/fondo patrimoniale ben prima (ma attenzione a non fare atti in frode ai creditori). Nota anche che, se al momento della morte era in corso una procedura concorsuale (ad es. la liquidazione controllata), questa si converte in una liquidazione dell’eredità (gestita dal tribunale per conto degli eredi beneficiari). Gli eredi beneficiati possono lasciar proseguire la procedura concorsuale e poi ottenere l’esdebitazione dei debiti del defunto – esdebitazione che ovviamente non serve al defunto (essendo deceduto), ma libera l’asse ereditario da quei debiti, permettendo agli eredi di incamerare l’eventuale residuo libero. In conclusione: i figli non pagano automaticamente, ma devono agire correttamente. È consigliabile, se hai molti debiti e temi per il futuro, parlarne con un notaio o un avvocato e istruire gli eredi sul da farsi (ad esempio prevedendo un testamento in cui li si raccomanda di accettare con beneficio d’inventario, o lasciando le istruzioni per la rinuncia). Così eviteranno brutte sorprese.

D: Avevo un socio in affari e avevamo debiti comuni. Se lui fallisce o fa sovraindebitamento, io resto obbligato?
R: , la responsabilità verso i creditori in solido rimane in capo agli altri coobbligati. Se tu e il socio avevate firmato insieme un prestito, la banca potrà comunque chiedere a te l’intero importo anche se l’altro socio entra in procedura concorsuale. Un caso tipico è la società di persone con due soci: se uno fa la liquidazione del sovraindebitato e ottiene l’esdebitazione personale, l’altro socio (illimitatamente responsabile) non viene liberato da quell’esdebitazione (gli effetti liberatori sono personali al debitore che ha fatto la procedura). I creditori dunque potrebbero concentrarsi su di lui per recuperare il resto. D’altra parte, se quell’altro socio ha pagato più del dovuto per debiti comuni, maturerà un diritto di regresso verso di te; ma se tu ti sei esdebitato, lui non potrà rivalersi (perché i tuoi debiti verso di lui saranno cancellati). Insomma, l’esdebitazione o fallimento del tuo socio non ti “salva” automaticamente, anzi spesso ti espone di più: se prima il creditore aveva due bersagli, dopo ne rimane uno (tu) e punterà tutto su di te. Solo nel caso di fallimento di una società di persone, il fallimento si estende a tutti i soci illimitatamente responsabili (art. 147 L.F.) quindi “fallite insieme” – ma questo è uno scenario diverso perché non è che il socio resti illeso, semplicemente subisce la stessa procedura (anzi, come detto, il fallimento di un socio non contagia i coobbligati fuori dalla società, es. fideiussori esterni). La legge prevede chiaramente che “l’esdebitazione non produce effetti nei confronti dei coobbligati e fideiussori”. Questo per tutelare il credito residuo del terzo creditore. Quindi sì, preparati: se il tuo socio insolvente si libera dei debiti (perché fallisce o fa un piano), i creditori chiederanno a te il pagamento del tuo 100% (al netto di quanto eventualmente incassato da lui nella sua procedura). L’unico modo per riequilibrare la situazione è che anche tu attivi una tua procedura concorsuale. Il Codice prevede la possibilità di fare un procedimento familiare congiunto se i debitori sono legati da vincolo di parentela (es. coniugi); se eravate solo soci d’affari senza vincoli familiari, dovrete fare due procedure distinte (magari coordinate). Nota: se un debito comune viene pagato in parte in una procedura di un socio, ciò riduce il debito complessivo verso gli altri. Ad esempio debito solidale €100; il socio nel suo concordato ne paga 30; la banca poi verrà da te per 70 (non può chiederti nuovamente 100, perché 30 sono stati incassati). Però, se il socio ottiene esdebitazione senza aver pagato nulla, la banca potrà ancora volere da te l’intero 100 (perché non ne ha avuto soddisfo). Quindi, essere coobbligato significa che devi valutare la tua strategia indipendentemente dagli altri: non pensare che il fallimento o concordato del socio ti “copra”, anzi, spesso ti espone di più. Se i debiti sono grossi e tu non puoi pagarli integralmente, dovresti considerare di seguire parallelamente la via concorsuale per non restare l’unico bersaglio.

D: Ho sentito parlare di “saldo e stralcio fai da te” comprando il mio debito a sconto da una società specializzata. È davvero possibile?
R: Immagino ti riferisca alla situazione in cui il tuo debito viene ceduto dal creditore originario a una società di recupero crediti (cosa comune, soprattutto per banche che cedono NPL) e magari un terzo a te vicino cerca di acquistarlo a basso prezzo per poi liberartene. In teoria, se un creditore cede il credito sul mercato e tu riesci a farlo comprare da qualcuno vicino a te a un prezzo ridotto, di fatto estingui il debito pagando meno. Questa pratica però è complessa e a tratti rischiosa. Molti contratti di cessione di crediti (soprattutto bancari) vietano al debitore di riacquistare il proprio debito a sconto: inseriscono clausole per impedire che tu o soggetti collegati possiate fare offerte, proprio perché altrimenti sarebbe troppo facile per un debitore liberarsi pagando magari il 10% (basterebbe creare un prestanome acquirente). In particolare, per i debiti fiscali c’è il divieto di “rottamazione di comodo” tramite entità collegate al debitore (lo Stato non permette, ad esempio, che la tua azienda compri a sconto i tuoi debiti fiscali). Per i crediti bancari, se vengono messi in un portafoglio NPL e venduti all’asta a investitori, potrebbe casualmente capitare che un tuo conoscente li compri. Ma legalmente quel compratore diventa il tuo creditore a tutti gli effetti e potrebbe esigere l’intero nominale. Se l’accordo sottobanco era che ti libererà con uno sconto, è fondamentale averlo per iscritto in modo chiaro, altrimenti rischi di passare dalla padella alla brace (il “tuo” investitore potrebbe rivalersi del 100%). Insomma, è un terreno scivoloso e in genere non hai tu il controllo su chi compra il tuo debito sul mercato secondario. Molto meglio cercare di negoziare direttamente un saldo e stralcio col creditore attuale o col cessionario ufficiale. Esistono società di debt purchasing serie che, dopo aver comprato i crediti, a volte propongono loro al debitore un saldo e stralcio (perché magari l’hanno pagato il 10% e se recuperano il 30% ci guadagnano e a te conviene). In questi casi l’accordo è trasparente e formalizzato: tu paghi X e loro ti rilasciano liberatoria del debito. Bisogna però stare attenti alle truffe: negli anni si sono visti casi di finte società “fondo salva debiti” che promettevano ai debitori di rilevare i loro debiti e poi stralciarli, ma in realtà prendevano soldi e sparivano. Quindi non affidarti a metodi poco chiari o a passaparola: prima di aderire a iniziative del genere, consulta un avvocato e verifica la solidità dell’operazione. Spesso, quello che puoi ottenere con questi stratagemmi lo puoi ottenere anche in via diretta: se il tuo debito è su un portafoglio in vendita, puoi attendere e poi trattare col nuovo acquirente, oppure incaricare un legale di sondare la possibilità di un acquisto pro soluto. In conclusione: in teoria è possibile liberarsi comprando il proprio debito a sconto tramite un terzo, in pratica è complicato e a volte vietato contrattualmente o con rischi di nullità. Meglio usare i canali classici (trattativa, definizioni agevolate di legge o procedure concorsuali).

Conclusioni

Gestire un centro di tatuaggi può essere appassionante, ma se i debiti sfuggono al controllo, il titolare si trova davanti a sfide giuridiche complesse. In questa guida abbiamo visto come difendersi efficacemente dai debiti, esaminando i vari tipi di esposizione (fiscale, contributiva, bancaria, commerciale, personale) e gli strumenti che l’ordinamento italiano mette a disposizione del debitore onesto ma in difficoltà. Le parole chiave sono: conoscere i propri diritti, agire tempestivamente e scegliere la strategia giusta.

Dal lato difensivo, abbiamo sottolineato l’importanza di: – Verificare la legittimità di ogni pretesa (notifiche, prescrizioni, vizi formali) e, ove possibile, opporsi nelle sedi opportune; – Valutare trattative stragiudiziali, cercando accordi a saldo e stralcio o piani di rientro sostenibili, senza attendere passivamente le esecuzioni; – Proteggere il patrimonio nei limiti leciti, evitando mosse azzardate (come fondi patrimoniali tardivi) che possano essere revocate o costituire reato; – Conoscere i propri limiti di responsabilità in base alla forma giuridica (sapere ad esempio che in S.r.l. i soci rischiano fino all’attivo distribuito, in ditta individuale con tutto il patrimonio, in S.n.c. con i beni personali dopo escussione del patrimonio sociale).

Dal lato risolutivo, abbiamo illustrato i percorsi di risanamento e liberazione dal debito: – Le procedure minori di composizione della crisi (piano del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata, esdebitazione dell’incapiente) introdotte o innovate dal Codice della Crisi 2019, che permettono anche ai piccoli imprenditori come molti tatuatori di ridurre i debiti legalmente e ottenere un fresh start; – L’esdebitazione come obiettivo finale: sia nel fallimento (ora più a misura d’uomo, con scarico dei debiti dopo 3 anni), sia nelle procedure sovraindebitamento (anche senza pagare nulla, se incapiente, grazie alla nuova normativa); – L’importanza di rivolgersi a professionisti competenti (avvocati specializzati in diritto fallimentare/sovraindebitamento, OCC) per scegliere la strada migliore e condurre la procedura con successo.

Va ribadito che non esistono situazioni completamente senza via d’uscita: il nostro ordinamento, aggiornato alle ultime direttive europee, offre soluzioni per quasi ogni caso, dal piccolo debitore che può pagare qualcosa (allora un piano su misura lo aiuterà) al debitore disperato che non ha nulla (persino lui oggi può essere liberato con la procedura incapienti). Certo, queste soluzioni richiedono impegno, onestà e, a volte, sacrifici temporanei – ma aprono la porta a un futuro senza l’oppressione dei debiti passati.

Il punto di vista del debitore in difficoltà deve passare dalla paura/passività all’azione consapevole: conoscere i propri diritti di difesa (ad es. casa impignorabile per debiti fiscali, stipendio pignorabile solo in parte, possibilità di opporsi a cartelle prescritte), sfruttare le opportunità di legge (rottamazioni, rateazioni, ecc.), e se necessario intraprendere un percorso concorsuale per tornare “pulito”.

Chi gestisce o ha gestito un centro di tatuaggi indebitato deve sapere che non è solo: la legge (con aggiornamenti recentissimi fino al 2025) ha predisposto armi e scudi per difenderlo e dargli un’altra possibilità. L’importante è non procrastinare: ogni giorno perso può peggiorare la situazione (interessi, azioni esecutive avviate, opportunità mancate).

In conclusione, se ti trovi in questa situazione, non disperare e non nascondere la testa sotto la sabbia. Con il giusto supporto legale puoi bloccare i creditori, alleggerire drasticamente i debiti e voltare pagina. Agisci per tempo, informati sui tuoi diritti e scegli la soluzione migliore per difenderti: la tua ripartenza può cominciare ora.

Gestisci un centro tatuaggi, uno studio di body art o un’attività estetica con partita IVA e stai affrontando debiti fiscali, contributivi o bancari? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Gestisci un centro tatuaggi, uno studio di body art o un’attività estetica con partita IVA e stai affrontando debiti fiscali, contributivi o bancari?
Hai ricevuto cartelle esattoriali, intimazioni di pagamento o rischi pignoramenti, ipoteche e blocchi dei conti correnti da parte dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione, delle banche o dei fornitori?

👉 Prima regola: non aspettare che la situazione peggiori.
Nel settore dei tatuaggi e dell’estetica, dove i costi di gestione sono alti e la concorrenza è forte, bastano pochi mesi di calo dei clienti o di spese impreviste per creare un debito difficile da gestire.
Con una difesa legale e fiscale mirata, puoi bloccare le azioni esecutive, rinegoziare i debiti e salvaguardare la tua attività, le tue attrezzature e la tua reputazione professionale.


⚖️ Le cause più comuni di indebitamento per un centro tatuaggi

  • Calo della clientela o riduzione della spesa media.
  • Aumento dei costi di affitto, forniture, materiali e sterilizzazione.
  • Debiti fiscali e contributivi (IVA, INPS, IRPEF, IRAP) non versati.
  • Cartelle esattoriali e interessi di mora accumulati nel tempo.
  • Leasing o finanziamenti onerosi per attrezzature o arredamento.
  • Errori nella gestione contabile o mancata pianificazione fiscale.
  • Ritardi nei pagamenti a fornitori o collaboratori.

📌 I rischi per un centro tatuaggi indebitato

  • Cartelle esattoriali e pignoramenti su conti correnti e incassi.
  • Ipoteca su locali o immobili di proprietà.
  • Fermi amministrativi su veicoli o mezzi di servizio.
  • Revoca di linee di credito e affidamenti bancari.
  • Blocco dei rimborsi fiscali o dei crediti IVA.
  • Rischio di liquidazione giudiziale (ex fallimento) in caso di insolvenza.
  • Danneggiamento della reputazione professionale e perdita di clientela.

🔍 Cosa fare subito

  • Analizza la tua posizione debitoria, distinguendo tra debiti fiscali, contributivi, bancari e commerciali.
  • Verifica la legittimità delle cartelle e degli atti notificati, poiché molti contengono vizi o debiti prescritti.
  • Blocca pignoramenti e azioni esecutive tramite ricorsi o istanze di sospensione.
  • Richiedi rateizzazioni o definizioni agevolate (“rottamazioni”), se disponibili.
  • Affidati a un avvocato tributarista esperto nella difesa di microimprese e professionisti del settore estetico, per costruire un piano di risanamento concreto.

🧾 Strumenti per difendersi e risolvere i debiti

💠 Rateizzazione delle cartelle
Puoi ottenere fino a 120 rate mensili, sospendendo pignoramenti e riscossioni in corso.

💠 Definizione agevolata o “rottamazione”
Quando attiva, consente di pagare solo il capitale, eliminando sanzioni e interessi di mora.

💠 Ricorso tributario o istanza di autotutela
Per annullare o sospendere cartelle e atti fiscali errati o prescritti.

💠 Composizione negoziata della crisi (D.Lgs. 14/2019)
Strumento del Codice della Crisi d’Impresa che consente di negoziare con Fisco, banche e fornitori, mantenendo la continuità operativa e sospendendo le azioni dei creditori.

💠 Piano di risanamento aziendale o personale
Con il supporto di consulenti legali e contabili, puoi ristrutturare i debiti, ridurre i costi e salvare il tuo centro tatuaggi.


🛠️ Strategie di difesa per un centro tatuaggi indebitato

  • Analizzare ogni cartella e atto notificato per individuare vizi, prescrizioni o importi errati.
  • Contestare ipoteche, pignoramenti e fermi amministrativi illegittimi.
  • Dimostrare la crisi temporanea di liquidità per ottenere piani di pagamento agevolati.
  • Attivare accordi di rientro e saldo e stralcio con Fisco, banche e fornitori.
  • Tutelare attrezzature, arredi e strumenti professionali dalle azioni esecutive.
  • Migliorare la gestione contabile e fiscale per evitare nuovi debiti futuri.

⚖️ Perché agire subito è fondamentale

Nel settore dei tatuaggi e della body art, la fiducia dei clienti e la continuità del servizio sono essenziali.
Un pignoramento o un blocco dei conti può fermare l’attività, compromettere i rapporti con i fornitori e danneggiare la tua immagine.

Agire tempestivamente consente di:

  • Bloccare cartelle e azioni di riscossione.
  • Difendere la tua attività e le tue attrezzature.
  • Rinegoziare i debiti e ridurre l’esposizione fiscale.
  • Ripristinare equilibrio finanziario e serenità lavorativa.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza la tua posizione debitoria e la documentazione ricevuta.
📌 Verifica la legittimità di cartelle, ipoteche e pignoramenti.
✍️ Predispone piani di risanamento, istanze di autotutela e ricorsi tributari su misura per i centri estetici e di tatuaggi.
⚖️ Ti rappresenta davanti all’Agenzia delle Entrate-Riscossione, alle banche e alla Corte di Giustizia Tributaria.
🔁 Offre consulenza continuativa su fiscalità, tutela patrimoniale e gestione della crisi d’impresa.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e gestione della crisi d’impresa.
✔️ Professionista per la difesa di centri tatuaggi, studi estetici e microimprese contro debiti fiscali e bancari.
✔️ Gestore della crisi d’impresa iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Un centro tatuaggi con debiti può risanarsi e tornare operativo, ma serve agire subito con una strategia legale e fiscale ben pianificata.
Con il giusto supporto puoi bloccare cartelle e pignoramenti, rinegoziare debiti e proteggere la tua attività, le tue attrezzature e la tua reputazione.

📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata:
la tua difesa contro debiti fiscali, bancari e cartelle nel tuo centro tatuaggi inizia qui.

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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