Sushi Bar Con Debiti: Cosa Fare E Come Difendersi

Hai un sushi bar con debiti fiscali o sotto accertamento dell’Agenzia delle Entrate?
Il settore della ristorazione giapponese e dei locali etnici ha conosciuto una forte espansione negli ultimi anni, ma anche un aumento di controlli fiscali e difficoltà economiche legate ai costi di gestione, alla stagionalità e alla concorrenza.
Molti titolari di sushi bar si trovano oggi a dover affrontare debiti con il Fisco, l’INPS o i fornitori, spesso aggravati da cartelle esattoriali, pignoramenti e accertamenti IVA o IRPEF.

Con una difesa legale e fiscale mirata, è possibile bloccare la riscossione, rateizzare i debiti e difendersi da accertamenti infondati, tutelando il locale, il personale e la continuità dell’attività.

Quando un sushi bar entra in difficoltà fiscale o finanziaria

Le cause più comuni che portano un sushi bar ad accumulare debiti o a subire accertamenti fiscali sono:

  • Cartelle esattoriali o intimazioni di pagamento per IVA, IRPEF, IRES o contributi non versati
  • Accertamenti fiscali per presunte irregolarità nei corrispettivi, nel personale o nei fornitori
  • Pignoramenti o ipoteche su conti correnti, beni o locali commerciali
  • Sanzioni e interessi che fanno crescere rapidamente il debito
  • Ritardi nei pagamenti a causa di calo degli incassi o aumento dei costi di approvvigionamento
  • Errori contabili o amministrativi nella gestione della contabilità e del personale

Cosa fare se il tuo sushi bar ha debiti o è sotto accertamento fiscale

Agisci subito: ogni atto (cartella, intimazione o accertamento) ha scadenze precise – in genere 60 giorni dalla notifica – per essere impugnato o rateizzato.

Ecco le azioni da intraprendere:

  1. Verifica la legittimità degli atti ricevuti: molti accertamenti fiscali presentano vizi di notifica, errori di calcolo o motivazioni generiche, che possono portare all’annullamento.
  2. Controlla l’importo reale del debito: le somme richieste includono spesso sanzioni e interessi eccessivi, riducibili con una definizione agevolata.
  3. Richiedi la rateizzazione: è possibile ottenere fino a 120 rate mensili, sospendendo temporaneamente le azioni di riscossione.
  4. Valuta la definizione agevolata (rottamazione): se disponibile, consente di pagare solo il capitale, cancellando sanzioni e interessi.
  5. Impugna gli accertamenti infondati: con un ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria puoi bloccare la riscossione e difendere la tua attività.

Come difendersi legalmente e fiscalmente

Un avvocato tributarista esperto nella difesa delle attività di ristorazione può analizzare la tua situazione e creare una strategia su misura per proteggere la tua impresa e garantire la continuità del locale.

Le azioni più efficaci comprendono:

  • Contestare errori di notifica, prescrizione o motivazione negli accertamenti e nelle cartelle
  • Chiedere la sospensione immediata delle azioni di riscossione (pignoramenti, fermi, ipoteche)
  • Presentare ricorso contro accertamenti IVA, IRES o IRPEF fondati su presunzioni o dati incompleti
  • Negoziare rateizzazioni o transazioni fiscali con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione
  • Tutelare i beni aziendali, i conti correnti e i locali da azioni esecutive
  • Migliorare la gestione contabile e fiscale per evitare nuovi debiti in futuro

Il ruolo dell’avvocato nella difesa dei sushi bar

Un avvocato specializzato può:

  • Analizzare la legittimità di cartelle, accertamenti e intimazioni di pagamento
  • Predisporre ricorsi e istanze di sospensione per bloccare la riscossione
  • Negoziare rateizzazioni e definizioni agevolate
  • Difendere l’attività nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate
  • Proteggere i beni, i conti e i locali da pignoramenti o sequestri
  • Tutelare la continuità operativa e la reputazione del ristorante

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace

  • La sospensione immediata delle procedure di riscossione
  • L’annullamento totale o parziale dei debiti illegittimi o prescritti
  • La rateizzazione o definizione agevolata delle somme dovute
  • La tutela del patrimonio aziendale e personale dei soci
  • Il risanamento fiscale e la stabilità economica dell’attività

⚠️ Attenzione: ignorare cartelle o accertamenti fiscali può portare a pignoramenti, blocchi dei conti correnti e ipoteche sui locali, con conseguenze gravi sulla sopravvivenza del sushi bar.
Molte situazioni, però, possono essere risolte o fortemente ridotte se affrontate tempestivamente con una difesa legale e fiscale competente.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, crisi d’impresa e difesa fiscale delle attività di ristorazione – spiega cosa fare se il tuo sushi bar ha debiti o è sotto accertamento, come bloccare la riscossione e come ristabilire la solidità economica e operativa del tuo locale.

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Introduzione
Gestire un’attività di ristorazione come un sushi bar comporta molte responsabilità finanziarie e amministrative. In tempi economicamente difficili – si pensi ad esempio agli effetti post-pandemia, all’inflazione sui costi delle materie prime o ai periodi di calo della clientela – può accadere che un sushi bar accumuli debiti significativi verso vari soggetti: il Fisco, l’INPS, le banche, i fornitori, il proprietario del locale (per l’affitto) e magari anche i dipendenti. Quando i debiti si accumulano e le risorse finanziarie scarseggiano, l’imprenditore si trova in una situazione definita di sovraindebitamento, ossia l’incapacità di far fronte regolarmente alle obbligazioni contratte. In questi frangenti è fondamentale agire tempestivamente e conoscere gli strumenti legali di tutela e ristrutturazione del debito. Questa guida, aggiornata a settembre 2025, offre un approfondimento avanzato sulle soluzioni previste dall’ordinamento italiano per affrontare i debiti di un’attività commerciale (in particolare di un sushi bar) dal punto di vista del debitore.

Affronteremo le diverse tipologie di debito (fiscali, previdenziali, bancari, commerciali, locatizi, ecc.) e le loro conseguenze, quindi esamineremo come difendersi e quali strumenti giuridici attivare: dalle negoziazioni stragiudiziali alle procedure di composizione della crisi (piani di ristrutturazione, concordati, accordi) sino alle procedure liquidatorie (come il fallimento, oggi liquidazione giudiziale, o la liquidazione controllata per i debitori minori). Verranno illustrate le novità normative più recenti (come il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza – CCII – e i suoi aggiornamenti) e riportate sentenze aggiornate della giurisprudenza che chiariscono aspetti chiave. Inoltre, sono incluse tabelle riepilogative, una sezione di domande e risposte frequenti, nonché alcune simulazioni pratiche di casi in cui un imprenditore indebitato possa identificarsi, per capire concretamente “cosa fare” e “come difendersi”. L’obiettivo è fornire una guida completa che sia utile sia a professionisti del diritto (avvocati, consulenti) sia agli stessi imprenditori e privati cittadini coinvolti in situazioni debitorie complesse, con un linguaggio accurato dal punto di vista giuridico ma accessibile e chiaro.

Tipologie di debiti e relative conseguenze

Un primo passo per affrontare una situazione di debiti è capire quali tipi di debito gravano sull’attività, poiché ogni categoria di credito ha caratteristiche e conseguenze peculiari. Un sushi bar può trovarsi esposto a diverse tipologie di debito: tributari (verso l’erario), previdenziali (verso enti come INPS o INAIL), bancari/finanziari (mutui, finanziamenti, fidi), commerciali (debiti verso fornitori) e da locazione commerciale (canoni di affitto del locale), oltre ad eventuali debiti verso il personale dipendente (stipendi arretrati, TFR). Vediamo in dettaglio ciascuna categoria, quali azioni possono intraprendere i relativi creditori e come il debitore può difendersi o porvi rimedio.

Debiti fiscali (Erario e Agenzia delle Entrate Riscossione)

I debiti fiscali includono imposte non versate (ad es. IVA, imposte sui redditi come IRES o IRPEF, IRAP, ecc.) e relativi interessi e sanzioni. Quando un’impresa non paga le imposte dovute nelle scadenze previste, l’Agenzia delle Entrate può iscrivere a ruolo le somme e l’Agenzia delle Entrate Riscossione (AER, ex Equitalia) emetterà le cartelle esattoriali per il recupero coattivo. Le conseguenze per il debitore fiscale possono essere severe: in assenza di pagamento o accordi, l’Agente della riscossione può attivare procedure esecutive senza necessità di una preventiva sentenza, tra cui il fermo amministrativo su beni mobili registrati (es. automezzi), l’ipoteca su beni immobili e i pignoramenti su conti correnti o stipendi. Inoltre, su alcune imposte vige la responsabilità personale dell’imprenditore individuale o del legale rappresentante: ad esempio, l’IVA non versata costituisce un debito dell’azienda ma anche un’obbligazione verso lo Stato di natura pubblicistica non scaricabile su terzi.

Come difendersi: Il principale strumento per gestire debiti fiscali è la rateizzazione amministrativa. La legge consente, a determinate condizioni, di dilazionare le somme iscritte a ruolo fino a un massimo di 72 rate mensili (6 anni), estendibili a 120 rate (10 anni) in casi di grave e comprovata difficoltà economica. È fondamentale presentare l’istanza di rateazione entro i termini indicati nella cartella o, se già avviata un’esecuzione, tempestivamente per ottenere la sospensione delle azioni esecutive. La rateizzazione in corso ha anche l’effetto di evitare il perfezionarsi di alcuni reati tributari: ad esempio, il reato di omesso versamento IVA (che scatta solo se l’IVA non versata supera la soglia di €250.000 annui) non si perfeziona se il contribuente aderisce a un pagamento rateale prima della scadenza per la presentazione della dichiarazione annuale. In aggiunta alla dilazione, negli ultimi anni il legislatore ha varato misure di “definizione agevolata” (rottamazioni delle cartelle): ad esempio, la rottamazione-quater prevista dalla Legge di Bilancio 2023 ha consentito ai debitori di estinguere i carichi affidati all’Agente della riscossione negli anni precedenti pagando solo l’imposta e gli interessi legali, con stralcio di sanzioni e interessi di mora. È bene informarsi se sono vigenti (o in progetto) misure analoghe, poiché possono alleggerire il debito fiscale in modo significativo. Va sottolineato che alcune componenti del debito fiscale non possono essere liberamente ridotte senza l’assenso dell’ente creditore: in particolare, IVA e ritenute non versate sono considerate risorse “protette” e, anche nell’ambito di procedure concorsuali, possono essere falcidiate solo tramite accordi specifici (la cosiddetta transazione fiscale). In un eventuale piano di ristrutturazione o concordato, sarà dunque necessario il voto favorevole (o l’adesione) dell’Agenzia delle Entrate per qualsiasi proposta che preveda il pagamento parziale di IVA o delle ritenute operate sui dipendenti. Infine, il debitore deve essere consapevole che il mancato pagamento di imposte oltre certe soglie integra reati tributari: oltre al già menzionato omesso versamento IVA (>€250.000), il omesso versamento di ritenute certificate (es. ritenute IRPEF sui dipendenti) è reato sopra €150.000 annui. Di fronte a queste potenziali conseguenze penali, attivarsi con il pagamento, anche parziale, o con strumenti come il ravvedimento operoso, può assumere rilievo esimente o attenuante. Ad esempio, saldare il debito IVA prima dell’apertura del dibattimento penale estingue il reato ai sensi dell’art. 13 D.Lgs. 74/2000. In sintesi, per difendersi dai debiti fiscali il titolare di un sushi bar dovrà: valutare la rateazione (che sospende azioni esecutive e ferma decorso di reati); verificare l’accesso ad eventuali sanatorie fiscali; considerare, se il debito è ingente, la possibilità di includerlo in un piano di crisi coinvolgendo l’Erario in una transazione fiscale; e, soprattutto, muoversi rapidamente per evitare che interessi, sanzioni e misure esecutive aggravino ulteriormente la situazione.

Debiti previdenziali (INPS, INAIL)

Un’attività con dipendenti – come spesso è un sushi bar – ha obblighi contributivi verso enti previdenziali e assicurativi (principalmente INPS per contributi pensionistici e INAIL per l’assicurazione infortuni). Inoltre, anche l’imprenditore individuale deve versare i propri contributi previdenziali (gestione commercianti o artigiani). Il mancato versamento dei contributi dei dipendenti (trattenuti in busta paga) o dei contributi personali genera cartelle esattoriali similmente ai debiti fiscali, poiché anche l’INPS e altri enti si avvalgono dell’Agente della riscossione. Le conseguenze del debito previdenziale includono l’addebito di sanzioni civili (interessi di mora e sanzioni per omesso versamento, spesso con aliquote elevate) e, in caso di protratta morosità, azioni di recupero coattivo analoghe a quelle fiscali (pignoramenti, fermi, ipoteche). Inoltre, l’omissione di versamenti contributivi per i dipendenti può comportare responsabilità penale: il reato di omesso versamento di ritenute previdenziali scatta se l’ammontare non versato supera €10.000 annui. Sotto tale soglia, la condotta è depenalizzata ma sanzionata in via amministrativa (multa pecuniaria).

Come difendersi: Anche per i debiti previdenziali esistono strumenti di rateizzazione. L’INPS consente piani di dilazione del debito contributivo, spesso fino a 24 o 36 mesi, estensibili in casi particolari. Un aspetto importante è che, a differenza del Fisco, la regolarità contributiva (attestata tramite il DURC) è necessaria per poter continuare a svolgere alcune attività (ad esempio per ottenere licenze, partecipare a bandi, ecc.). Pertanto, può essere vitale per l’imprenditore attivare prontamente la richiesta di rateazione all’INPS: con la domanda di dilazione e il pagamento della prima rata, l’ente rilascia un DURC provvisorio regolare che consente di non interrompere l’attività collegata a certificazioni di regolarità. Inoltre, l’INPS aderisce alle definizioni agevolate (rottamazioni) insieme all’Erario: le cartelle per contributi omessi spesso rientrano nelle sanatorie previste per le cartelle esattoriali, permettendo di abbattere sanzioni civili e interessi. Il debitore dovrà quindi verificare se i propri debiti contributivi possono essere “rottamati” e presentare istanza nei termini. Sul fronte penale, per difendersi dall’accusa di omesso versamento di contributi > €10.000, l’unica via è estinguere o ridurre il debito prima del processo. La giurisprudenza ha precisato che lo stato di crisi d’impresa (difficoltà economica) non costituisce di per sé causa di non punibilità per il datore di lavoro. Quindi, evitare il superamento della soglia di punibilità tramite pagamenti (anche parziali) o dilazioni entro l’anno di riferimento è fondamentale. In conclusione, per i debiti verso INPS/INAIL, il titolare di un sushi bar dovrà: attivarsi per una dilazione appena possibile; mantenere il DURC regolare tramite la rateazione (per non subire ulteriori danni, come l’esclusione da agevolazioni o mercati); controllare l’inclusione dei debiti previdenziali in eventuali rottamazioni o saldo e stralcio; e, se la situazione lo richiede, considerare di inserirli in un piano di ristrutturazione del debito insieme agli altri creditori, tenendo conto che l’INPS è assimilato ai creditori pubblici e quindi soggetto alle stesse regole dell’Erario in sede di concordato (il che significa che contributi non versati possono essere falcidiati solo col loro assenso, tramite transazione previdenziale analoga a quella fiscale).

Debiti bancari e finanziari

Molti ristoranti contraggono finanziamenti bancari o da società finanziarie: mutui per ristrutturare il locale, leasing per le attrezzature (frigoriferi, forni, arredi), aperture di credito in conto corrente per sostegno della liquidità, prestiti personali magari garantiti dai titolari. Questi debiti verso banche e istituti di credito presentano peculiari profili di rischio: spesso sono assistiti da garanzie (reali o personali). Un mutuo ipotecario sul locale (se di proprietà) o sulla casa del titolare, un contratto di leasing che prevede la riserva di proprietà sul bene, o una fideiussione firmata dall’imprenditore o da terzi a garanzia di un fido bancario, sono tutti strumenti che rafforzano la posizione del creditore bancario. In caso di insolvenza, la banca può agire rapidamente: ad esempio, se il mutuo è fondiario (tipicamente mutuo ipotecario per l’acquisto di un immobile commerciale), il Testo Unico Bancario consente alla banca di procedere con esecuzione immobiliare anche se nel frattempo il debitore è ammesso a una procedura concorsuale. La Corte di Cassazione nel 2024 ha confermato che il creditore fondiario mantiene il diritto di proseguire l’esecuzione individuale nonostante l’apertura di una procedura di liquidazione da sovraindebitamento, in virtù del privilegio processuale ex art. 41 TUB. Ciò significa che, ad esempio, se il titolare del sushi bar ha ipotecato la propria casa per un mutuo e poi avvia una procedura di liquidazione controllata dei debiti, la banca potrebbe comunque portare avanti la vendita forzata della casa (salvo che il debito venga ristrutturato diversamente all’interno di un concordato con il consenso della banca stessa). I debiti bancari non garantiti (come scoperti di conto, finanziamenti chirografari) richiedono invece un’azione legale ordinaria: la banca normalmente ottiene un decreto ingiuntivo e, se non si paga, procede a pignorare conti, attrezzature o altri beni aziendali. Le conseguenze di un’insolvenza bancaria possono includere anche la segnalazione a sistemi di informazione creditizia (Centrale Rischi Bankitalia o CRIF) che compromette l’accesso futuro al credito.

Come difendersi: Con le banche è spesso possibile tentare una rinegoziazione del debito. In situazioni di crisi transitoria, l’imprenditore può richiedere una moratoria o riscadenzamento: ad esempio, ottenere un periodo di sola quota interessi, l’allungamento del piano di ammortamento del mutuo (riducendo la rata) o una temporanea sospensione delle rate. Tali misure sono spesso facilitate da accordi quadro (come le moratorie ABI) soprattutto in contesti di crisi sistemiche, oppure possono essere concesse caso per caso. Se la difficoltà è più grave, si può proporre alla banca un saldo e stralcio, ossia il pagamento di una percentuale del debito in un’unica soluzione a fronte della cancellazione del residuo: le banche valutano queste proposte tenendo conto di quanto otterrebbero altrimenti escutendo le garanzie. In particolare, se il bene dato in garanzia (es. l’immobile ipotecato) ha un valore di mercato inferiore al debito, la banca potrebbe accettare una cifra a saldo evitando le lungaggini di un’esecuzione forzata. È bene farsi supportare da un professionista nel predisporre piani e proposte sostenibili da presentare agli istituti. Un altro strumento importante è l’eventuale ricorso alle procedure concorsuali o di composizione negoziata: infatti, l’apertura di un concordato preventivo (per un’impresa “fallibile”) o la presentazione di una domanda di concordato minore (per un imprenditore minore) blocca automaticamente le azioni esecutive dei creditori chirografari e privilegiati (eccetto alcuni casi come detto per il fondiario) grazie alle misure protettive ex lege. Durante la pendenza di un concordato, la banca non può avviare o proseguire pignoramenti né escutere il fideiussore, dando respiro al debitore mentre si cerca una soluzione. Nel frattempo, i debiti bancari vengono trattati nel piano: ad esempio, un mutuo ipotecario potrà essere soddisfatto vendendo il bene e riconoscendo alla banca il ricavato (soddisfacimento parziale) oppure, se la continuità aziendale è possibile, si potrà proporre di mantenere il mutuo pagando regolarmente le rate future e gestendo l’arretrato all’interno del concordato. Proprio su questo punto, una novità normativa del 2024 (Decreto Correttivo Ter) ha introdotto la possibilità, nel concordato minore, di mantenere il finanziamento immobiliare sulla prima casa del debitore persona fisica: se il debitore è in regola con le rate scadute (o le paga contestualmente) e il giudice lo autorizza, il piano può prevedere di continuare a pagare le rate a scadenza, evitando la liquidazione dell’immobile ipotecato. Questa norma tutela l’abitazione principale del piccolo imprenditore sovraindebitato, permettendogli di non perdere la casa pur entrando in procedura. In generale, per difendersi dai debiti bancari, l’imprenditore dovrà: comunicare tempestivamente con la banca sulle difficoltà, evitando di accumulare inadempimenti prolungati; valutare accordi di ristrutturazione volontaria (anche con l’aiuto di organismi come i Confidi o consulenti in composizione crisi); e se ciò non basta, ricorrere agli strumenti concorsuali appropriati che congelano le azioni esecutive e permettono di trattare collettivamente il debito. È bene ricordare che favorire indebitamente un creditore bancario a scapito di altri, ad esempio pagando solo la banca e trascurando gli altri creditori quando si è insolventi, può risultare in atti contestabili in un successivo fallimento (pagamenti preferenziali soggetti a revocatoria fallimentare se effettuati nei tempi sospetti). Quindi, qualora si prefiguri una procedura concorsuale, le transazioni con le banche vanno coordinate nell’ambito di un piano generale che tenga conto della par condicio dei creditori.

Debiti verso fornitori

Un sushi bar si approvvigiona quotidianamente di materie prime (pesce, riso, bevande), attrezzature e servizi (utenze, marketing, ecc.): i fornitori commerciali spesso concedono pagamenti differiti (30-60 giorni fattura). Se l’attività entra in crisi di liquidità, è comune accumulare fatture non pagate ai fornitori. Questi crediti sono normalmente chirografari (non garantiti da collaterale), a meno che un fornitore non abbia richiesto particolari garanzie (come cambiali o fideiussioni). I fornitori, soprattutto se di importo rilevante, possono reagire in vari modi: interrompendo le forniture (passando a consegne solo previo pagamento anticipato, il che può mettere in difficoltà operative il ristorante), oppure intraprendendo azioni legali per il recupero. Lo strumento tipico è il decreto ingiuntivo: il fornitore, munito di fatture non pagate e documentazione di consegna merce, può ottenere rapidamente un’ingiunzione di pagamento esecutiva. Se il debitore non paga né si oppone entro 40 giorni, il fornitore potrà procedere con il pignoramento dei beni aziendali (es. attrezzature presenti nel locale, incassi sul conto corrente) o anche chiedere il pignoramento presso terzi (bloccando crediti del ristorante verso le piattaforme di delivery o altro). Un altro rischio significativo: se il debito commerciale è molto elevato e diffuso, i fornitori (specie se agiscono insieme) potrebbero presentare istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) dell’impresa debitrice, allegando lo stato d’insolvenza. Occorre però notare che per le piccole imprese non fallibili ciò non è possibile; qualora invece l’impresa sia assoggettabile a fallimento, basta anche un singolo creditore con un credito certo, liquido ed esigibile e di importo superiore alla soglia di legge per legittimare l’istanza. Attualmente, la soglia minima di debiti scaduti per aprire una liquidazione giudiziale è €30.000 complessivi (il Codice della Crisi ha mantenuto tale limite previsto dalla vecchia legge fallimentare). Dunque, un fornitore da solo, con credito modesto, non può fare fallire un’azienda se il totale debito scaduto verso tutti i creditori è inferiore a €30.000. Se invece i debiti superano questa soglia, la procedura concorsuale può essere avviata.

Come difendersi: La gestione dei debiti verso fornitori richiede in primis comunicazione e negoziazione. È spesso nell’interesse del fornitore trovare un accordo sostenibile piuttosto che perdere un cliente o vederlo fallire recuperando solo una frazione del credito. Pertanto, il debitore dovrebbe elaborare un piano di rientro da proporre ai fornitori chiave: ad esempio, pagamento parziale immediato (se possibile) e il resto a rate, oppure pagamento integrale ma dilazionato su più mesi, magari garantendo in cambio la continuità del rapporto commerciale. Un fornitore potrebbe accettare un saldo e stralcio (ad esempio, pagare il 50% subito a chiusura del debito) se percepisce che l’alternativa è incerta (nessun pagamento in caso di fallimento). Quando i fornitori sono molti, l’imprenditore può trovarsi nell’impossibilità di soddisfarli tutti contemporaneamente: in tal caso, per evitare azioni legali disordinate, può essere opportuno valutare una soluzione collettiva tramite una procedura di composizione della crisi o un concordato preventivo. In un concordato o concordato minore, infatti, tutti i debiti chirografari (come la maggior parte dei fornitori) vengono trattati in modo uniforme e vincolante: il debitore propone di pagare una certa percentuale (es. 20%) entro un certo tempo, oppure di convertire parte del credito in strumenti partecipativi, ecc., e se la maggioranza approva, anche i fornitori dissenzienti sono obbligati ad accettare quelle condizioni. Questo evita il “prendere numero” delle cause individuali. È importante anche preservare i rapporti essenziali: se un particolare fornitore fornisce materie prime critiche (es. l’unico fornitore di pesce fresco di qualità in zona), la sua collaborazione è vitale. In tal caso, può essere razionale privilegiare (contrattualmente) quel fornitore, garantendogli pagamenti regolari per le nuove forniture e un piano affidabile per gli arretrati, spiegando la situazione. In sede legale, se un fornitore ha avviato azioni, il debitore può opporre il decreto ingiuntivo entro i termini se vi sono contestazioni sul credito (ad esempio merce non conforme); ciò guadagna tempo e può portare a una transazione giudiziale. Se invece il credito è incontestabile, opporsi solo per ritardare rischia di aumentare le spese: meglio concentrare le risorse su un accordo oppure, se i creditori sono troppi, su una procedura concorsuale. Un cenno va fatto al privilegio speciale che la legge riconosce ai locatori di immobili anche sui beni del conduttore (art. 2764 c.c.): questo riguarda il proprietario del locale (trattato nella sezione seguente), ma in parte può interessare i fornitori se, ad esempio, alcuni di essi cercano di pignorare beni dentro il locale affittato. Il locatore ha diritto di prelazione sul ricavato di tali beni per soddisfare i propri crediti locatizi, dunque un pignoramento mobiliare presso il ristorante potrebbe vedere il padrone dei locali opporsi vantando il suo privilegio. Al fornitore conviene spesso allora il pignoramento presso terzi (es. crediti verso la clientela o il conto corrente). Per il debitore, essere consapevole di questi meccanismi aiuta a difendersi strategicamente: ad esempio, mantenere ridotto il saldo attivo sul conto (per evitare capienze su pignoramenti) e destinare le entrate a fornitori cruciali o spese correnti può essere temporaneamente utile, fermo restando che occultare sistematicamente attivi ai creditori può sfociare in responsabilità (è illecito spostare beni ai danni dei creditori, configurando possibili reati di sottrazione fraudolenta se fatto scientemente). In generale, verso i fornitori la parola d’ordine è trasparenza e piano condiviso: ignorare le richieste o fare promesse vaghe peggiora la fiducia e accelera le azioni legali. Meglio presentare un piano credibile di risanamento, magari supportato dal vostro commercialista o da un advisor, mostrando come intendete tornare solvibili (taglio dei costi, nuovo socio finanziatore, ecc.) e come saranno trattati i loro crediti. Se il piano convince, molti fornitori preferiranno attendere o rinegoziare piuttosto che avviare cause costose e dall’esito incerto.

Debiti da affitto del locale commerciale

La locazione commerciale è spesso un elemento cruciale: il sushi bar opera in un locale preso in affitto. Il canone di locazione mensile o trimestrale costituisce un’uscita fissa importante. Quando il conduttore (il ristoratore) smette di pagare i canoni, il locatore (proprietario dell’immobile) ha il diritto di avviare la procedura di sfratto per morosità. Giuridicamente, basta anche un solo canone scaduto e non pagato entro i termini contrattuali perché il locatore possa intimare lo sfratto, ma nella prassi e per legge (L. 392/1978 sulle locazioni commerciali) il ritardo oltre 20 giorni dalla scadenza di un periodo di pagamento legittima la risoluzione. La procedura di sfratto è relativamente rapida: il locatore notifica un atto di intimazione di sfratto e contestuale citazione per la convalida davanti al tribunale. All’udienza, se il conduttore non paga la morosità accumulata e le spese legali, il giudice convalida lo sfratto fissando la data per il rilascio dell’immobile (pochi mesi dopo). Il conduttore può chiedere un termine di grazia al giudice, ovvero un termine (fino a 90 giorni, prorogabile eccezionalmente di altri 90) per saldare il dovuto ed evitare lo sfratto; questo beneficio, però, è concesso di solito una sola volta e richiede che il conduttore dimostri la possibilità di pagare se gli viene dato un po’ di tempo. Se tuttavia la morosità non viene sanata, lo sfratto procederà e l’ufficiale giudiziario eseguirà il rilascio, costringendo il ristorante a chiudere o a trovarsi una nuova sede. Oltre alla perdita del locale (con il danno commerciale di dover interrompere l’attività e magari perdere avviamento legato a quella sede), rimane al proprietario il diritto di esigere i canoni arretrati e quelli fino alla riconsegna: questi saranno un debito del conduttore. Come accennato, il codice civile tutela il locatore con un privilegio speciale sui beni mobili del conduttore presenti nell’immobile affittato: in pratica, il locatore può soddisfarsi con preferenza sul ricavato di tali beni venduti forzosamente, per i canoni dell’anno corrente e dell’anno antecedente lo sfratto (se il contratto ha data certa). Questo significa che, in un’ipotetica procedura concorsuale o pignoramento, il proprietario del locale è un creditore privilegiato rispetto ai fornitori o altri chirografari, almeno su quel patrimonio mobiliare.

Come difendersi: Il debito per affitti non pagati è doppiamente pericoloso: minaccia sia il patrimonio che la continuità dell’impresa. La difesa principale è agire tempestivamente appena si prevede di non riuscire a pagare il canone. Si dovrebbe dialogare con il locatore per cercare soluzioni: una dilazione dei canoni (ad esempio pagare in ritardo con un piano di recupero), uno sconto temporaneo (magari legandolo a periodi di crisi conclamata, come avvenuto durante i lockdown quando molte parti hanno concordato riduzioni). Alcuni locatori preferiscono trattare, soprattutto se il mercato immobiliare è debole e sanno che non sarebbe facile ri-affittare subito il locale ad un altro, o se il conduttore è affidabile e vogliono evitare un contenzioso. In mancanza di accordo privato, quando arriva l’intimazione di sfratto, il conduttore può valutare di salvare il contratto pagando tutto l’arretrato prima dell’udienza (usufruendo magari della facoltà di purgazione della mora: l’art. 55 L.392/78 consente al conduttore moroso di evitare lo sfratto pagando integralmente quanto dovuto – canoni scaduti, interessi e spese – alla prima udienza). Se l’impresa non dispone della liquidità necessaria, un’opzione è trovare un accordo con un investitore o parente che anticipi le somme per coprire la morosità, onde evitare la cessazione dell’attività. Qualora però il debito locatizio sia insostenibile e il locale troppo oneroso rispetto ai ricavi, si dovrà anche prendere in considerazione una decisione strategica: rinunciare al locale per ridurre i costi futuri. Ciò può avvenire consensualmente (restituendo le chiavi al proprietario, magari in cambio della rinuncia di quest’ultimo a pretendere ulteriori risarcimenti) oppure tramite la risoluzione giudiziale con sfratto. In un contesto concorsuale, il contratto di locazione rientra tra i contratti in corso: nella liquidazione giudiziale (fallimento) il curatore può sciogliersi dal contratto, mentre nel concordato preventivo o concordato minore il debitore può chiedere di continuare o sciogliere il contratto con l’autorizzazione del tribunale. Lo scioglimento dal contratto di locazione in concordato libera dal pagamento dei canoni futuri, trasformando il credito del locatore in un credito concorsuale per eventuali danni. Se il locale è essenziale ma i debiti pregressi sono il problema, il debitore in concordato potrebbe scegliere di mantenere il contratto e pagare regolarmente i canoni da quel momento (trattando nel piano il debito pregresso). Va però sottolineato che i canoni post-petizione (successivi all’apertura della procedura) devono essere pagati puntualmente, poiché considerati crediti prededucibili: se il debitore non li paga, il locatore può chiedere la risoluzione del concordato per inadempimento o ottenere lo sfratto anche durante la procedura. Pertanto, nel proporre un piano, bisogna essere realistici sul fatto che si riuscirà a sostenere l’affitto corrente. Dal punto di vista pratico, per difendersi dal debito d’affitto, un imprenditore dovrebbe anche valutare opzioni alternative: trasferire l’attività altrove (in locali meno costosi) può essere doloroso ma a volte necessario per la sopravvivenza economica. In alcuni casi, l’azienda può essere trasferita in un altro locale e il vecchio contratto lasciato risolversi: il locatore tratterrà la cauzione e avrà un credito per canoni residui, ma l’impresa riduce i costi futuri e può ripartire in una sede più sostenibile. Ovviamente questo scenario comporta perdita dell’investimento fatto nei locali originali (es. spese di avviamento, migliorie non facilmente trasportabili) e va ponderato. Come soluzione intermedia, se il locale è troppo grande o oneroso, si può tentare una cessione parziale dell’azienda o del contratto di affitto: trovare un altro soggetto interessato a subentrare (totalmente o parzialmente) nell’attività o nei locali, con il consenso del proprietario, alleggerendo così il costo. Questa operazione però richiede il consenso del locatore (cessione del contratto) e potrebbe non essere rapida. In sintesi, come difendersi dal debito di affitto?: Prevenzione (ridiscutere il canone, attivare riduzioni temporanee se il mercato lo consente); Reazione rapida (non ignorare le intimazioni, utilizzare il termine di grazia pagando il più possibile, magari con risorse terze, per guadagnare tempo); Uso delle procedure concorsuali (sospendere temporaneamente lo sfratto ottenendo misure protettive se si presenta un concordato, e poi decidere se mantenere o sciogliere il contratto nell’ambito del piano); Valutazioni strategiche sull’opportunità di cambiare locale o cessare l’attività se il costo fisso dell’affitto rende comunque impossibile il risanamento.

Debiti verso dipendenti

Un ultimo tipo di debito da considerare, sebbene non esplicitato nella richiesta ma spesso presente in caso di crisi, è quello verso i dipendenti: stipendi non pagati, TFR (Trattamento di Fine Rapporto) maturato e non accantonato, ferie non godute, ecc. Il personale di un sushi bar – cuochi, camerieri, addetti alle pulizie – generalmente non può permettersi di lavorare senza stipendio, quindi questo è un debito molto delicato. I dipendenti sono creditori privilegiati per la legge: vantano un privilegio generale sui mobili dell’imprenditore per le retribuzioni degli ultimi mesi e per il TFR. Inoltre, esiste un Fondo di Garanzia INPS che, in caso di fallimento o liquidazione dell’azienda, interviene a pagare ai lavoratori i loro crediti (fino a un certo limite temporale per gli stipendi e integralmente per TFR e contributi), surrogandosi poi nei loro diritti verso l’azienda. Dal punto di vista legale, i dipendenti possono agire velocemente: un credito da lavoro è riconosciuto tramite decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo o sentenza del tribunale del lavoro, e possono richiedere anche il sequestro conservativo dei beni dell’azienda se temono di perdere le garanzie (dato il privilegio, spesso il tribunale del lavoro concede sequestri preventivi per tutelare i crediti dei dipendenti). Inoltre, il mancato pagamento sistematico delle retribuzioni può portare a vertenze sindacali e ispezioni (con il rischio di sanzioni da ITL – Ispettorato del Lavoro).

Come difendersi: Il “difendersi” qui ha un duplice significato: da un lato, evitare vertenze giudiziarie con i dipendenti; dall’altro, tutelare il personale chiave cercando soluzioni che riducano il danno per loro (e quindi anche per l’azienda, che ha interesse a mantenere i lavoratori motivati se vuole proseguire l’attività). È prioritario comunicare onestamente ai dipendenti la situazione di crisi e magari concordare una moratoria o un differimento dei pagamenti, se possibile. In alcuni casi, si può negoziare riduzioni temporanee dell’orario o della retribuzione (cassa integrazione o contratto di solidarietà) per ridurre il costo del lavoro in fase di calo del fatturato. Esistono strumenti pubblici, come la Cassa Integrazione Guadagni in deroga o il FIS (Fondo d’integrazione salariale), che in situazioni di crisi aziendale temporanea possono coprire parte delle retribuzioni, alleviando il peso per l’impresa e garantendo un reddito ai lavoratori: informarsi presso i consulenti del lavoro o le associazioni di categoria su questi ammortizzatori sociali è fondamentale. Se la crisi è irreversibile, può essere necessario procedere a licenziamenti per cessazione attività: in tal caso i dipendenti accederanno al Fondo di Garanzia per TFR e ultime mensilità una volta aperta la procedura concorsuale o accertata l’insolvenza. Il datore di lavoro dovrebbe, per quanto possibile, facilitare l’accesso dei dipendenti a tali strumenti: ad esempio, se l’azienda decide di liquidare, attivare subito la procedura concorsuale (fallimento o liquidazione controllata) consente ai lavoratori di ottenere dal Fondo le somme dovute senza attendere anni, perché l’INPS interviene subito dopo lo stato passivo. Dal punto di vista difensivo processuale, qualora un dipendente faccia causa, se il credito è dovuto difficilmente c’è una base di opposizione: l’obiettivo sarà più che altro prendere tempo e nel frattempo magari risolvere tramite la procedura concorsuale che accentra tutto. In un concordato, i crediti dei dipendenti per la parte privilegiata vanno normalmente pagati integralmente (salvo eccezioni per le eccedenze non coperte da privilegio). Ad esempio, in un concordato preventivo, le retribuzioni degli ultimi 6 mesi e il TFR sono crediti privilegiati da soddisfare integralmente (possono essere pagati anche durante la procedura, in prededuzione, per non danneggiare i dipendenti). Questa regola pratica fa sì che spesso, se un imprenditore intende proseguire l’attività, dovrà assicurarsi di trovare le risorse per pagare questi crediti di lavoro, magari coinvolgendo nuovi soci o investitori, perché altrimenti il tribunale potrebbe non omologare un concordato che sacrifica eccessivamente i lavoratori. In definitiva, la difesa migliore per i debiti verso i dipendenti è evitarne l’insorgere, perché intaccano il capitale umano e creano problemi legali e reputazionali. Se però si manifestano, l’imprenditore dovrebbe mettere la tutela delle persone al primo posto nel piano di risanamento, cercando soluzioni supportate da istituti di welfare, e ricorrere alle procedure concorsuali per assicurare almeno l’intervento dei fondi di garanzia a loro favore. Non ultimo, evitare qualsiasi comportamento che possa costituire sfruttamento dei lavoratori: in casi estremi, trattenere sistematicamente stipendi o costringere a lavoro non pagato potrebbe esporre a indagini per violazione delle norme penali sul lavoro (intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro). La correttezza nei confronti del personale, oltre ad essere un dovere, può premiare l’imprenditore in crisi: ad esempio, un dipendente informato della situazione potrebbe continuare a supportare l’attività temporaneamente (lavorando in attesa degli stipendi) se vede un piano di rilancio credibile e buona fede, mentre se si sente tradito sarà più incline ad abbandonare il posto e agire legalmente senza indugio.

Tabella 1 – Principali tipologie di debito per un’attività di ristorazione e rimedi

Tipo di debitoEsempi e creditoriAzioni dei creditoriRischi per il debitorePossibili difese e rimedi
Fiscale (Erario)IVA non versata; Imposte reddito (IRES/IRPEF); IRAP; tasse locali.<br>Creditori: Agenzia Entrate; Agenzia Riscossione.– Iscrizione a ruolo e cartella esattoriale.<br>– Fermo amministrativo di veicoli, ipoteca su immobili.<br>– Pignoramenti su conti, beni mobili, crediti (senza passare dal giudice).<br>– Eventuale segnalazione Equitalia nel cassetto fiscale (blocco compensazioni crediti).– Aggressione del patrimonio senza preavviso giudiziario (tempi rapidi).<br>– Interessi e sanzioni elevati che fanno lievitare il debito.<br>– Reati tributari se superate soglie (es. IVA > €250k).<br>– Difficoltà a ottenere DURC fiscale (se rilevante).Rateizzazione fino a 72/120 rate (sospende azioni esecutive una volta accordata).<br>– Definizioni agevolate (rottamazione cartelle) se previste dalla legge, con abbattimento sanzioni.<br>– Transazione fiscale in ambito concorsuale per diluire/ridurre il debito con accordo Erario.<br>– Ravvedimento operoso per ridurre sanzioni se si riesce a pagare tardivamente.<br>– Prestare attenzione alle soglie penali e, se in rischio, attivarsi prima (rateizzando o pagando almeno sotto soglia) per evitare il reato.
Previdenziale (INPS/INAIL)Contributi dipendenti non versati (quota a carico lavoratore e datore); Contributi personali (gestione commercianti/artigiani); Premi INAIL.<br>Creditori: INPS, INAIL (riscossione tramite Agenzia Entrate Riscossione).– Cartella esattoriale (procedura analoga ai debiti fiscali).<br>– Pignoramenti, fermi, ipoteche come sopra (in genere cumulati in cartelle uniche con debiti fiscali).<br>– Sanzioni civili per omesso versamento (aggiuntive rispetto interessi).<br>– Azioni penali per omesso versamento contributi > €10.000 annui (contravvenzione).– Maturazione di sanzioni civili (che possono raggiungere il 30% annuo per inadempienza, poi ridotte in determinati casi).<br>– Perdita del DURC (Documento Unico Regolarità Contributiva), con impossibilità di partecipare a gare o ricevere pagamenti da PA, e possibile sospensione agevolazioni.<br>– Rischio denuncia penale da INPS per superamento soglia (punibile con arresto/multa).Rateizzazione INPS (piani da 6 a 36 mesi o più se autorizzati): ottenere il piano consente DURC regolare durante la dilazione.<br>– Rottamazione contributi: aderire se c’è provvedimento di definizione agevolata (spesso inclusi in rottamazione cartelle).<br>– In procedure concorsuali, transazione previdenziale (simile a fiscale) per pagare parzialmente il dovuto con accordo dell’ente.<br>– In caso di inchiesta penale, estinzione del debito prima del giudizio (causa di non punibilità ex art. 131-bis c.p. o attenuante) – fondamentale attivarsi subito.<br>– Utilizzare eventuali compensazioni (se l’azienda vanta crediti verso PA certificati, è possibile compensarli con contributi, con autorizzazione).
Bancario/FinanziarioMutuo ipotecario sul locale o su immobile del titolare; Leasing attrezzature; Fido di c/c; Prestito chirografario; Carte credito aziendali.<br>Creditori: Banche, società leasing, factor, società finanziarie.Decadenza dal beneficio del termine (la banca revoca fido o chiede rientro immediato del mutuo/finanziamento in caso di insolvenza).<br>– Azione legale ordinaria per credito chirografo: decreto ingiuntivo e pignoramento beni/conti.<br>– Esecuzione immobiliare per mutui ipotecari: pignoramento e vendita dell’immobile dato in garanzia (anche casa di abitazione se ipotecata per debito dell’azienda).<br>– Rivalsa su fideiussori: escussione delle garanzie personali (anche su patrimoni di soci o familiari garanti).<br>– Nel leasing: riappropriazione del bene (risoluzione contratto e ritiro macchinari) in caso di mancato pagamento canoni.Perdita di asset strategici: es. vendita forzata dell’immobile sede dell’attività o ritiro dei macchinari in leasing (blocco operativo).<br>– Segnalazione in Centrale Rischi di Bankitalia: peggiora rating e impedisce nuovo credito per lungo tempo.<br>– Interessi di mora elevati e penali contrattuali per risoluzione anticipata (sui leasing, maxi-rate finali dovute in caso di risoluzione).<br>– Possibilità di azioni esecutive rapide: es. mutuo fondiario consente azione immediata anche in pendenza di procedure concorsuali.Rinegoziazione privata: chiedere moratoria ABI, sospensione temporanea rate mutuo (12 mesi) o allungamento piano ammortamento per ridurre rata.<br>– Accordo saldo e stralcio: se possibile offrire pagamento parziale immediato a chiusura del debito (specie su crediti non garantiti o se valore garanzia < debito).<br>– Consolidamento: cercare un nuovo finanziamento (se ancora fattibile) per accorpare i debiti in uno con rata sostenibile (richiede ancora buona reputazione creditizia).<br>– Composizione negoziata: nominare un esperto per trattare con le banche una ristrutturazione (il processo di composizione negoziata può proteggere dai creditori chiedendo misure protettive).<br>– Accordo di ristrutturazione o Concordato: inserire i debiti bancari in un piano omologato dal tribunale (con possibilità di moratoria sui pagamenti dei crediti garantiti ex art. 86 CCII, e falcidia dei chirografari). L’apertura di queste procedure sospende le azioni esecutive delle banche (salvo eccezioni come crediti fondiari) e blocca le ipoteche giudiziali.<br>– Nuova finanza: se c’è prospettiva di continuità, cercare un investitore o socio disposto a immettere liquidità per soddisfare in parte le banche in cambio di equity (spesso richiesto dalla banca stessa per concedere standstill).
Fornitori (commerciali)Fatture non pagate di forniture merce (es. pesce, alimenti); bollette utenze insolute; servizi (marketing, manutenzione) non pagati.<br>Creditori: Fornitori vari, utilities (luce, gas), ecc.Diffida di pagamento (solleciti, messa in mora).<br>– Stop forniture in corso (passaggio a pagamento anticipato o interruzione contratto per inadempimento).<br>– Decreto ingiuntivo ottenuto in tempi brevi (30-60 gg) se il credito è comprovato da fatture/DDT firmati, seguito da pignoramento di beni o crediti aziendali.<br>– Istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) se il totale debiti > soglia (€30k) e evidenza insolvenza . Anche un solo fornitore importante può presentarla, sebbene spesso coordinano più creditori.<br>– Coinvolgimento di società di recupero crediti (pressione costante, visite in sede, ecc.).Blocco operativo se forniture essenziali vengono sospese (es. mancanza di ingredienti, o utenze staccate per morosità).<br>– Aggressione giudiziale diffusa: pignoramenti multipli su c/c, casse, beni, con dispendio di tempo e costi di difesa.<br>– Danneggiamento reputazione commerciale: fornitori informano altri, calo fiducia in azienda (difficoltà a ottenere nuovi contratti se si sparge voce di insolvenza).<br>– Rischio di procedura concorsuale involontaria (fallimento su istanza) con perdita controllo dell’azienda.Piani di rientro bonari: negoziare con ciascun fornitore nuove scadenze, eventualmente riconoscendo interessi di mora o una parziale garanzia (cambiale, promessa di coinvolgerlo in futuro). Meglio presentare un piano scritto credibile con tempi e fonti dei pagamenti.<br>– Transazioni stragiudiziali: proporre un pagamento percentuale immediato (es. 50%) in cambio della rinuncia al residuo. Molti fornitori valutano il saldo e stralcio se temono di perdere tutto in caso di fallimento.<br>– Prioritizzazione: individuare fornitori critici per la continuità (es. fornitori ingredienti chiave) e assicurare almeno a questi pagamenti regolari correnti (anche se si ritardano altri), per tenere in vita l’azienda. Attenzione però a non incorrere in pagamenti preferenziali revocabili in seguito (limitare a forniture essenziali contestuali).<br>– Procedure concorsuali: se i debiti commerciali sono ingenti e diffusi, valutare un concordato preventivo/concordato minore. Nel concordato si può cristallizzare il debito alla data di apertura e proporre ai fornitori una percentuale concordata; i fornitori non potranno agire individualmente durante la procedura e, se il concordato è omologato, dovranno accettare l’esito (anche se dissenzienti, purché la maggioranza approvi). Ciò evita pignoramenti caotici e potrebbe permettere la continuità aziendale con nuovi fornitori (che saranno prededucibili).<br>– Verifica crediti: controllare attentamente se i fornitori hanno effettivamente diritto a tutto l’importo preteso (merci difettose, errori fatturazione, prescrizione di crediti molto datati – in commercio B2B la prescrizione è 5 anni). Far valere eventuali contestazioni può ridurre il debito da pagare.
Affitto localeCanoni di locazione commerciale non pagati; oneri accessori (spese condominiali se a carico) non versati.<br>Creditore: Proprietario dell’immobile (locatore).Intimazione di sfratto per morosità: atto giudiziario che avvia la risoluzione contratto se non si paga entro termini legali.<br>– Udienza di convalida: se il conduttore non paga, il giudice convalida sfratto e fissa data esecuzione (anche 1 mese dopo udienza se urgente).<br>– Esecuzione dello sfratto: intervento ufficiale giudiziario con forza pubblica per liberare i locali alla data fissata.<br>– Decreto ingiuntivo per i canoni: parallelo allo sfratto, o azione separata, per riscuotere affitti arretrati (se non già inclusi nello sfratto).<br>– Escussione garanzie: se c’è deposito cauzionale, il locatore lo trattiene; se c’è fideiussione bancaria o assicurativa, escussa a copertura dei canoni dovuti.Perdita del locale: interruzione forzata dell’attività nel luogo, con potenziale perdita dell’avviamento legato a quella sede (clientela abituale, ristrutturazioni fatte).<br>– Danno emergente: costi di trasloco attrezzature, possibile deterioramento di impianti non recuperabili, etc.<br>– Debito residuo: il locatore può chiedere canoni fino a scadenza contratto come danno (attenuato se riesce a rilocare presto, ma rischio di dover risarcire differenza).<br>– Privilegio sui beni del locale: il locatore si soddisfa con precedenza su arredi, macchinari rimasti nei locali fino a 2 anni di canoni, riducendo la massa attiva per altri creditori (in caso di procedura concorsuale).Negoziazione col locatore: appena insorge la difficoltà, contattare il proprietario. Possibili soluzioni: riduzione temporanea del canone, scaglionamento (es. metà canone per 6 mesi e recupero più tardi), utilizzo cauzione come pagamento (accordandosi su reintegro futuro), passaggio a canone percentuale su fatturato temporaneamente (alcuni locatori accettano per evitare vacanza immobile).<br>– Pagamento sanante prima dell’udienza: reperire fondi (anche da terzi) per pagare l’arretrato ed evitare la convalida sfratto, avvalendosi della facoltà di “purga della mora”.<br>– Richiesta termine di grazia in udienza: se non si ha tutto il denaro, presentarsi con un pagamento parziale e chiedere al giudice 90 giorni per saldare il resto, illustrando un piano (es. incassi attesi, finanziamento in corso di ottenimento). Il tribunale può concederlo se vede buona fede e prospettiva concreta.<br>– Trasloco programmato: se l’affitto è troppo alto per essere sostenibile nel lungo periodo, pianificare l’uscita: individuare un nuovo locale più economico e trasferire lì l’attività prima che lo sfratto venga eseguito, così da non interrompere del tutto l’impresa. In parallelo, negoziare col vecchio locatore la chiusura anticipata (magari rinunciando a parte del credito o trattenendo la cauzione in cambio di rinuncia ad ulteriori pretese).<br>– Procedura concorsuale: includere il locatore nel piano di crisi. In concordato, valutare se rescindere il contratto (per liberarsi dei futuri canoni – il locatore avrà un credito che verrà soddisfatto parzialmente come chirografo per i danni) oppure mantenerlo (pagando i canoni correnti in prededuzione e trattando solo l’arretrato). Durante le trattative di concordato, chiedere misure protettive per sospendere sfratto e affiancare l’OCC/commissario nella mediazione col locatore.<br>– Cessione del contratto di locazione: trovare un soggetto disposto a subentrare nel contratto (magari rilevando anche l’azienda o parte di essa). Se il locatore acconsente, il nuovo conduttore pagherà in luogo vostro, estinguendo la morosità pregressa magari con un accordo tripartito. Questa strada è complessa ma, se attuabile, vi libera dal debito e responsabilità successive.
Dipendenti (retribuzioni)Stipendi mensili non corrisposti; tredicesime arretrate; Trattamento di Fine Rapporto maturato; indennità varie (straordinari, ferie non pagate).<br>Creditori: Lavoratori dipendenti dell’azienda.Vertenza sindacale: segnalazione alle organizzazioni sindacali e all’Ispettorato del Lavoro, che può portare a sanzioni amministrative per violazioni (es. mancato pagamento nei termini).<br>– Dimissioni per giusta causa: il lavoratore non pagato può dimettersi immediatamente e avrà diritto comunque al TFR e indennità sostitutiva del preavviso come credito.<br>– Decreto ingiuntivo o sentenza Tribunale Lavoro: titolo esecutivo in tempi rapidi (provvisoriamente esecutivo) e pignoramento beni azienda.<br>– Sequestro conservativo: il giudice del lavoro può concedere sequestro di beni dell’imprenditore a garanzia dei crediti lavoro, data la loro natura privilegiata, se c’è rischio di insolvenza.<br>– Istanza di fallimento: anche i dipendenti possono chiedere il fallimento dell’azienda insolvente (succede raramente, di solito preferiscono il Fondo di garanzia via INPS, ma è possibile).Perdita di personale chiave: i lavoratori qualificati possono abbandonare l’azienda (dimissioni) cercando altro impiego, privando il ristorante di competenze (chef, etc.) e peggiorando la crisi.<br>– Tensioni sul luogo di lavoro: calo motivazione, conflitti, con impatto su qualità del servizio e quindi sull’andamento economico (un circolo vizioso).<br>– Interventi esterni: ispezioni del lavoro, cause legali, che comportano ulteriori costi (spese legali, risarcimenti) e potenziali sanzioni pecuniarie per violazioni in materia di lavoro.<br>– Privilegio e prededuzione: i crediti dei dipendenti, privilegiati, saranno tra i primi ad essere soddisfatti su eventuali beni (prima dei fornitori, banche chirografarie, etc.). Inoltre, in caso di continuazione dell’attività in concordato, le retribuzioni correnti sono spese prededucibili da pagare puntualmente, altrimenti la procedura fallisce.Ammortizzatori sociali: valutare con un consulente del lavoro la possibilità di attivare cassa integrazione straordinaria o altri fondi di solidarietà, così che l’INPS paghi in parte gli stipendi per un periodo, alleggerendo il costo del personale per l’azienda (ad es., nei casi di crisi temporanea, si può chiedere la CIG in deroga settoriale).<br>– Accordi con i dipendenti: in situazioni di crisi, talvolta i dipendenti possono accettare di posticipare il pagamento di una parte delle retribuzioni (per es. rinvio del pagamento di straordinari o premio) o ridurre l’orario (e la paga) temporaneamente, purché vedano un piano di risanamento. Formalizzare tali accordi (meglio con l’assistenza sindacale) può evitare contenziosi immediati.<br>– Intervento del Fondo di Garanzia INPS: se si profila l’insolvenza definitiva, informare i lavoratori che, presentando istanza di fallimento o liquidazione coatta, essi potranno ottenere dal Fondo il TFR e le ultime 3 mensilità impagate. A volte, paradossalmente, i dipendenti spingono per il fallimento perché sanno di essere pagati dall’INPS: un dialogo chiaro su questo punto può far convergere gli interessi (es. i dipendenti e l’imprenditore possono concordare di fare un concordato con cessione d’azienda in cui i lavoratori passano a un nuovo gestore e l’INPS copre il pregresso).<br>– Concordato preventivo / ristrutturazione: prevedere nel piano il pagamento integrale dei crediti di lavoro privilegiati (magari dilazionati, ma garantiti). Si può chiedere al Tribunale l’autorizzazione a pagare subito ai dipendenti alcune spettanze maturate pre-concordato (questo a tutela del morale e per equità, spesso con il beneplacito del commissario si pagano ad esempio 1-2 mensilità arretrate appena ottenuta la protezione, come spesa prededucibile). Mantenere i dipendenti informati sull’iter della procedura concorsuale li rassicura e riduce la conflittualità.<br>– Riduzione personale: se l’organico è sovradimensionato rispetto ai ricavi, considerare la possibilità di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo (chiusura del reparto, o riduzione attività). Ciò ovviamente va ponderato per l’impatto sociale, ma a volte un dimensionamento corretto dei costi del personale salva l’azienda e preserva almeno parte dei posti di lavoro. Seguire le procedure di legge per i licenziamenti collettivi se >5 dipendenti, per evitare cause di impugnazione.

(Legenda: CCII = Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza; OCC = Organismo di Composizione della Crisi; TUB = Testo Unico Bancario D.Lgs. 385/1993; CIG = Cassa Integrazione Guadagni)

Strumenti di soluzione della crisi debitoria (sovraindebitamento e procedure concorsuali)

Dopo aver analizzato i vari tipi di debito e le relative strategie “difensive”, passiamo alle soluzioni strutturate offerte dall’ordinamento per risolvere una situazione di indebitamento grave. Tali strumenti vanno dalla composizione stragiudiziale (accordi privati, piani attestati) alle procedure giudiziali concorsuali (concordato preventivo, liquidazione giudiziale) e alle procedure di sovraindebitamento per i soggetti non fallibili (piano del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata, esdebitazione). L’elemento comune a tutte queste procedure è l’obiettivo di raggiungere una regolamentazione complessiva dei debiti, evitando il caos delle esecuzioni individuali e cercando un equilibrio tra la soddisfazione dei creditori e la salvaguardia del debitore (o della sua attività, se c’è possibilità di continuazione). La scelta dello strumento appropriato dipende dalla natura giuridica e dimensione dell’impresa (ad esempio se il sushi bar è gestito da una società di capitali medio-grande, o da un piccolo imprenditore individuale), dal livello di crisi (solo temporanea difficoltà vs insolvenza conclamata), e dalla prospettiva di recupero (se c’è un piano di risanamento credibile o se occorre liquidare tutto). Andremo quindi a illustrare: (a) le soluzioni extragiudiziali negoziali; (b) la composizione negoziata della crisi (introdotta di recente); (c) le procedure concorsuali maggiori (accordi di ristrutturazione e concordato preventivo, nonché liquidazione giudiziale/fallimento); (d) le procedure per sovraindebitamento riservate a consumatori e piccole imprese non fallibili. Ognuna di esse sarà descritta nei suoi tratti principali con particolare riguardo alla posizione del debitore e ai vantaggi in termini di difesa dai creditori.

Soluzioni extragiudiziali private

Non sempre è necessario – né conveniente – ricorrere immediatamente al tribunale. In molti casi, soprattutto se la crisi non è ancora degenerata in insolvenza manifesta, l’imprenditore può tentare una gestione stragiudiziale del debito. Questo significa negoziare direttamente con i creditori un accordo volontario per la ristrutturazione dei debiti. I vantaggi di una soluzione privata sono: minor costo (si evitano le spese di procedura concorsuale), maggior rapidità e riservatezza (nessuna pubblicità dell’insolvenza), flessibilità di forme (si può adattare l’accordo alle esigenze delle parti senza i vincoli formali di legge). Tuttavia, presenta un grande limite: richiede il consenso di tutti i creditori coinvolti. A differenza delle procedure giudiziali dove la maggioranza può imporre la soluzione ai dissenzienti, nell’accordo privato ogni creditore mantiene il diritto di agire autonomamente se non è soddisfatto. Ciò significa che il successo dipende dalla volontà collaborativa dei creditori principali e dalla capacità del debitore di offrire loro condizioni sufficientemente allettanti rispetto alle alternative (ad esempio, far intravedere che accettare il 50% ora è meglio che rischiare il 20% tra anni in un fallimento).

Esempi di strumenti extragiudiziali:
Accordo a saldo e stralcio: come già accennato per alcune categorie di debiti, consiste nel raggiungere con ciascun creditore (o con quanti più possibile) un’intesa per cui il debitore paga una parte del dovuto e il creditore rinuncia al resto, ritenendosi soddisfatto. Questo strumento è tipicamente impiegato con banche o fornitori. Va formalizzato per iscritto (meglio ancora con quietanza liberatoria dettagliata) e richiede spesso un pagamento in tempi brevi (l’”anticipo” che rende appetibile l’offerta). Un accordo di stralcio non vincola i creditori non aderenti, ma riduce il numero di creditori e il debito totale. Ad esempio, il titolare del sushi bar potrebbe trovare un accordo con 8 fornitori su 10 per pagare il 50% dei loro crediti, riducendo così il debito commerciale e potendo concentrare risorse sugli ultimi due creditori riottosi (che a quel punto magari aderiscono anche loro vedendo gli altri farlo).
Moratoria e dilazione volontaria: il debitore chiede ai creditori di aspettare o di allungare le scadenze. A volte, se c’è un rapporto di lungo periodo, il creditore preferisce dare respiro: ad esempio, la banca può concedere alcuni mesi di sola quota interessi sul mutuo (moratoria), il locatore può accettare che due mensilità vengano saltate e recuperate su periodi successivi, il fornitore può estendere il pagamento da 60 a 120 giorni. Queste moratorie non eliminano il debito ma ne spostano il peso avanti, sperando in una ripresa della liquidità. È essenziale però usarle bene, per non trovarsi dopo poco al punto di partenza con debiti ulteriormente accumulati: vanno accompagnate da misure di rilancio dell’attività o taglio costi.
Piano di risanamento “attestato”: questo è uno strumento previsto dalla legge (art. 56 CCII, già art. 67 l.f. lettera d) – talvolta chiamato “piano attestato di risanamento”). Si tratta di un piano predisposto dall’imprenditore con l’aiuto di professionisti, contenente le misure di ristrutturazione del debito e di rilancio aziendale, che viene asseverato da un esperto indipendente il quale attesta la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano stesso. Il piano attestato di per sé è un accordo privato: non richiede l’adesione di tutti i creditori, ma neanche produce effetti diretti sui dissenzienti. Tuttavia, la sua utilità sta nel fatto che, se viene eseguito con successo, protegge da azioni revocatorie fallimentari (in caso poi di fallimento, i pagamenti e le garanzie concesse in esecuzione del piano attestato non sono revocabili). Inoltre può essere pubblicato nel Registro delle Imprese, dandogli una data certa e opponibilità ai terzi. In pratica, il piano attestato è uno strumento che formalizza un percorso di risanamento concordato con almeno parte dei creditori: ad esempio, l’imprenditore potrebbe convincere la banca a ristrutturare il debito e alcuni fornitori a fare sconti, inserire queste intese nel piano e farlo attestare. Chi aderisce lo seguirà, chi non aderisce resta fuori (può comunque agire per conto suo). Il piano attestato è perciò indicato quando c’è un numero limitato di creditori principali con cui si riesce a trovare un’intesa, e si vogliono mettere “in sicurezza” quelle intese in vista di un possibile miglioramento (e per evitare che un eventuale fallimento successivo azzeri gli sforzi fatti).
Ristrutturazione dei debiti su base consensuale: oltre al piano attestato (che è unilaterale, seppur condiviso con alcuni creditori di fatto), esiste l’accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 57 CCII, ex art. 182-bis l.f.). Questo è un accordo vero e proprio con una maggioranza qualificata di creditori che viene omologato dal Tribunale. In verità, qui entriamo già in una procedura semi-concorsuale: l’accordo di ristrutturazione richiede per legge che almeno il 60% dei crediti (in valore) aderisca, e consente di imporre una moratoria ai non aderenti di 120 giorni per i pagamenti. È però considerato stragiudiziale perché non coinvolge il tribunale se non per l’omologazione finale e non apre una procedura concorsuale vera e propria. Nel nostro contesto, l’accordo di ristrutturazione sarebbe utile se il sushi bar avesse pochi creditori grandi (es. una banca, il fisco e pochi altri) che insieme rappresentino >60% del debito: in tal caso, raggiunto l’accordo con loro, si può omologare e gli altri creditori minori vengono pagati per intero o comunque non possono far fallire l’azienda nei 120 giorni successivi. Nella pratica delle piccole imprese, questo strumento è meno usato perché la frammentazione dei creditori rende difficile raggiungere 60% di adesioni, ed è allora più efficiente ricorrere direttamente a un concordato minore. Da notare che il CCII ha introdotto varianti come l’accordo di ristrutturazione agevolato (con percentuale ridotta al 30%, ma limitato a casi particolari e con soddisfacimento integrale dei non aderenti) e l’accordo ad efficacia estesa (che vincola anche i creditori finanziari dissenzienti se si raggiungono certe maggioranze settoriali). Queste finezze eccedono forse l’interesse del nostro caso tipico, ma vanno menzionate come opzioni giuridiche disponibili per costruire accordi su misura.

In sintesi, la via extragiudiziale è un’arte di equilibrismo: occorre convincere creditori forti a collaborare, spesso giocando la carta della trasparenza (“se mi fate fallire recupererete poco, se invece mi aiutate avrete di più”) e fornendo loro garanzie di affidabilità (un piano finanziario, la certificazione di un esperto, impegni formali). Dal lato difensivo, finché si tratta privatamente, nessuna protezione legale blocca le azioni esecutive: quindi il debitore deve essere pronto a fronteggiare eventualmente azioni di chi non vuole aderire. È frequente perciò che, parallelamente alle trattative, il debitore si prepari al piano B concorsuale: ad esempio, se sto negoziando con i creditori ma uno minaccia pignoramento, essere pronti a depositare un’istanza di concordato “in bianco” per ottenere lo stop alle azioni può essere salvifico.

Composizione negoziata della crisi d’impresa

Una novità rilevante introdotta di recente (D.L. 118/2021, confluito nel Codice della Crisi) è la composizione negoziata della crisi, un percorso ibrido tra il negoziato stragiudiziale e la procedura regolata, concepito per aiutare l’imprenditore in difficoltà a trovare un accordo con i creditori sotto la supervisione di un esperto indipendente. La composizione negoziata (CNC) è volontaria e applicabile a qualsiasi tipo di impresa, senza distinzione di dimensioni o natura giuridica, purché vi sia uno stato di crisi o insolvenza reversibile. Per avviarla, l’imprenditore presenta una semplice istanza tramite piattaforma online nazionale, fornendo informazioni finanziarie e un piano ipotetico di risanamento. Viene nominato da un’apposita commissione un esperto indipendente (spesso un commercialista o avvocato con specifiche competenze in crisi) che affianca il debitore nelle trattative con i creditori per un periodo iniziale di 3 mesi (prorogabile). Durante la CNC l’impresa continua ad operare e l’esperto cerca di facilitare un accordo con creditori o investitori. La procedura è riservata: non c’è pubblicità legale a meno che il debitore non chieda misure protettive al tribunale. Ed ecco un punto cruciale: l’imprenditore può, se necessario, richiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive che bloccano le azioni esecutive e cautelari dei creditori per la durata della composizione negoziata. In sostanza, simile a un mini-concordato ma senza essere ancora in procedura concorsuale, si ottiene uno scudo temporaneo mentre si negozia. Ad esempio, se il proprietario del sushi bar accede alla CNC e una banca stava per pignorare i suoi macchinari, può chiedere al giudice di vietare il pignoramento durante i negoziati. Recentemente, la Cassazione penale ha anche riconosciuto un altro effetto “scudo”: l’ammissione alla composizione negoziata può giustificare la revoca di un sequestro preventivo di beni per reati tributari, poiché la presenza dell’esperto e del piano riduce il pericolo che l’imprenditore disperda il patrimonio. Questo evidenzia la crescente fiducia delle istituzioni in questo strumento di risanamento.

L’esperto, tuttavia, non ha poteri autoritativi: non può imporre ai creditori riduzioni o dilazioni, ma può prospettare soluzioni, mettere attorno a un tavolo le parti, e – molto importante – deve valutare la fattibilità delle opzioni. Se le trattative vanno a buon fine, il risultato può essere un accordo stragiudiziale (magari col beneficio fiscale di cui alla L. 155/2017 che rende esenti da certe tasse gli accordi conclusi in CNC), oppure l’accesso ad una procedura concorsuale “agevolata”. In effetti, la CNC funge anche da “anteprima” di un eventuale concordato: se l’esperto ritiene che l’azienda sia insolvente o che l’accordo non si trovi, può invitare l’imprenditore a optare per un concordato semplificato per la liquidazione (una procedura speciale introdotta ma di fatto poco utilizzata) o comunque prepararsi a una delle procedure formali (concordato preventivo, liquidazione giudiziale). La conclusione positiva può anche concretizzarsi in un contratto di ristrutturazione (accordo di ristrutturazione dei debiti) che viene omologato in via abbreviata.

Per il nostro imprenditore, la composizione negoziata offre alcuni vantaggi chiave: è veloce da attivare (basta la piattaforma online, niente costi iniziali se non quello del compenso finale all’esperto in caso di successo), è confidenziale (nessun allarme pubblico ai partner commerciali), e dà respiro (può bloccare azioni legali su autorizzazione del giudice). Inoltre, l’esperto produce una relazione finale che, se positiva, può essere usata per chiedere finanziamenti prededucibili o per accedere a un concordato con maggiore credibilità. Un vincolo per l’imprenditore è che durante la CNC deve gestire l’impresa secondo le indicazioni di correttezza: ogni atto di straordinaria amministrazione va condiviso con l’esperto, e in generale deve astenersi da pagamenti preferenziali o nuovi debiti non autorizzati, pena la perdita dei benefici. In caso di esito negativo, la procedura viene semplicemente archiviata (salvo gravi irregolarità che l’esperto deve segnalare eventualmente, ad esempio frodi). Dunque, non c’è un vero svantaggio nel tentarla, se non il rischio di ritardare l’inevitabile; però considerato che la Cassazione sottolinea come l’adesione alla CNC dimostri volontà di risanare, ne deriva un vantaggio persino in ottica difensiva (ad esempio, in un successivo giudizio per bancarotta, aver provato la CNC può testimoniare la buona fede dell’imprenditore nel tentare soluzioni).

In conclusione, per un sushi bar in difficoltà, la composizione negoziata è uno strumento moderno da considerare seriamente: potrebbe aiutare a ottenere l’accordo con la banca per rinegoziare il mutuo, con il fisco per una dilazione straordinaria, con i fornitori per una moratoria, il tutto sotto l’egida di un professionista terzo che assicura ai creditori la trasparenza dei dati. Se le trattative falliscono, si sarà comunque preparato il terreno per un eventuale concordato o liquidazione più ordinata.

Procedure concorsuali maggiori (concordato preventivo e liquidazione giudiziale)

Quando la situazione debitoria è troppo estesa o complessa per essere risolta con semplici accordi, si entra nel campo delle procedure concorsuali giudiziali in senso stretto. Queste procedure implicano l’intervento del tribunale e mirano a una regolazione collettiva e giudiziale della crisi o insolvenza. Nel nostro ordinamento, per le imprese di dimensioni non piccole (imprese fallibili), le principali opzioni sono: il concordato preventivo (in continuità o liquidatorio) e la liquidazione giudiziale (la nuova denominazione del fallimento). Ricordiamo che, secondo il Codice della Crisi, restano escluse da queste procedure le cosiddette imprese minori, ovvero quelle che non superano determinati limiti dimensionali (attivo ≤ €300.000, ricavi ≤ €200.000, debiti ≤ €500.000). Tali imprese minori, insieme a consumatori e altri soggetti non fallibili, rientrano nelle procedure di sovraindebitamento di cui parleremo nella prossima sezione. Invece, se il sushi bar fosse gestito da una società di capitali o da un imprenditore individuale sopra soglia, e i debiti superano i €30.000, si applicano le procedure concorsuali ordinarie.

Concordato Preventivo: Il concordato preventivo è una procedura concorsuale volontaria (può proporla solo il debitore) finalizzata a evitare la liquidazione giudiziale, tramite una proposta ai creditori di ristrutturazione del debito. Può essere “in continuità aziendale” (se prevede che l’attività prosegua, direttamente dal debitore o tramite affitto/cessione d’azienda, assicurando anche una certa salvaguardia dei posti di lavoro) oppure “liquidatorio” (se prevede la cessazione dell’attività e la vendita dei beni, ma in maniera ordinata, distribuendo il ricavato ai creditori secondo il piano). La legge incoraggia i concordati in continuità (ad esempio, non richiede soglia minima di soddisfacimento per i chirografari, mentre nel liquidatorio chiede almeno il 20% ai chirografari salvo eccezioni). Nel concordato, il debitore mantiene l’amministrazione dei beni sotto la supervisione di un Commissario Giudiziale nominato dal tribunale. Appena presentata la domanda di concordato, si apre la fase di protezione: i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive individuali né acquisire cause di prelazione (come ipoteche giudiziali) sui beni del debitore. Questa automatic stay è fondamentale: nel contesto di un sushi bar, ad esempio, impedisce ai fornitori e banche di pignorare le attrezzature o i conti, e congela anche eventuali sfratti (almeno fino all’udienza di omologa, salvo autorizzazione del giudice a proseguire per cause urgenti). Il debitore ha tempo per presentare un piano concordatario dettagliato, corredato dalla relazione di un professionista attestatore che giudica la fattibilità e la convenienza del piano rispetto all’alternativa liquidatoria. I creditori poi vengono chiamati a votare sulla proposta: serve il voto favorevole della maggioranza dei crediti ammessi al voto (calcolata in percentuale di valore; se ci sono classi di creditori, la maggioranza deve sussistere in ogni classe). Se la maggioranza approva e il tribunale verifica la legalità e fattibilità, si arriva all’omologazione, che rende il concordato vincolante per tutti i creditori anteriori, anche per quelli che hanno votato contro o non hanno partecipato. Ciò comporta ad esempio che un fornitore dissenziente non potrà più pretendere l’intero credito, ma solo quella percentuale prevista nel concordato (salvo eccezioni di crediti prededucibili o non toccati dal concordato). Durante il concordato, l’impresa può continuare ad operare (soprattutto se è in continuità diretta) ma sotto monitoraggio: alcune operazioni, come pagare debiti anteriori o contrarre nuovi finanziamenti, richiedono autorizzazione del giudice delegato e parere del commissario.

Per un imprenditore, il concordato preventivo è un potente strumento di difesa perché impone una moratoria generale e consente di ridurre il debito a fronte di un sacrificio controllato dei creditori. Tuttavia, è una procedura complessa, costosa (ci sono spese legali, del commissario, ecc.) e che richiede di rispettare regole stringenti. Ad esempio: vanno soddisfatti integralmente i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca a meno che non acconsentano a diversamente (o a meno che il piano dimostri che prendono almeno quanto otterrebbero in caso di liquidazione); vanno pagati i debiti di lavoro e i tributi “non falcidiabili” almeno per il loro valore privilegiato; se la proposta prevede dilazioni oltre 120 giorni dal decreto di omologa per i creditori privilegiati, a questi è riconosciuto il diritto di voto (novità giurisprudenziale consolidata). Insomma, servono calcoli attuariali precisi e la credibilità del piano è essenziale. Se il piano è manifestamente inadeguato, il tribunale può dichiararlo inammissibile (ad esempio per difetto di documentazione o palese irrealizzabilità); una tale pronuncia però – ha chiarito la Cassazione – non è definitiva: il debitore può presentare una nuova proposta corretta, e la declaratoria di inammissibilità non è impugnabile in Cassazione in quanto non decisoria (bensì solo tramite reclamo). Questo garantisce al debitore una sorta di “seconda chance” se il primo tentativo di concordato viene bocciato senza entrare nel merito. Viceversa, se il concordato viene respinto nel merito (ad esempio perché i creditori non approvano o il tribunale nega l’omologa per mancanza di convenienza o abuso), allora di solito si apre la strada alla liquidazione giudiziale d’ufficio.

Per il caso in esame, un concordato preventivo sarebbe ipotizzabile se il sushi bar fosse strutturato come società (es. SRL) e magari puntasse a superare la crisi mantenendo il locale aperto. Immaginiamo il piano: potrebbe prevedere che l’azienda continui a operare, gli utili per i prossimi 5 anni (più magari l’apporto di un investitore) vengano in parte destinati a pagare i creditori. I fornitori chirografari potrebbero ricevere, poniamo, il 30% dei loro crediti in 5 anni; la banca con mutuo ipotecario potrebbe acconsentire a spostare le rate in coda (senza decurtazione) per dare respiro; il fisco potrebbe essere pagato in 5 anni con abbattimento di sanzioni tramite transazione fiscale; i dipendenti riceverebbero integralmente gli arretrati garantiti dal privilegio magari a rate nei primi 12 mesi. Un professionista attesterebbe che questo piano dà ai creditori almeno quanto avrebbero ricavato dalla chiusura immediata (vendendo i beni forse avrebbero avuto meno). Se i creditori accettano la logica che l’attività in funzione genera più valore (ad esempio perché c’è un brand avviato, contratti con clienti fedeli, ecc.), allora voteranno sì. Il concordato preventivo, in buona sostanza, è un accordo collettivo sotto l’egida del tribunale. Dal punto di vista del debitore, il sacrificio è dover rinunciare a parte della libertà gestionale (c’è un commissario che vigila) e l’impegno a rispettare rigorosamente il piano, pena la risoluzione e fallimento. Inoltre, l’imprenditore insolvente deve accettare che una parte dei debiti non sarà pagata e i creditori lo dovranno “perdonare” per legge: psicologicamente e reputazionalmente non è semplice, ma è il trade-off per evitare la rovina totale.

Liquidazione Giudiziale (Fallimento): Se non ci sono le condizioni per un risanamento o un accordo, si arriva alla procedura concorsuale liquidatoria, ossia quella mirata a liquidare il patrimonio del debitore e soddisfare i creditori per quanto possibile, secondo l’ordine delle cause di prelazione. La “liquidazione giudiziale” è il nuovo nome del vecchio fallimento dal 15 luglio 2022. Può essere aperta su istanza di uno o più creditori, su istanza del debitore stesso (fallimento in proprio) o su iniziativa del PM in certi casi. Come detto, occorre che l’impresa sia soggetta (non piccola) e che i debiti scaduti superino €30.000 . Una volta che il tribunale accerta lo stato di insolvenza (l’incapacità di soddisfare regolarmente le obbligazioni), dichiara aperta la liquidazione giudiziale con sentenza. Da quel momento l’imprenditore è spossessato: la gestione passa al Curatore nominato dal tribunale, il quale ha il compito di amministrare e liquidare i beni, e distribuire il ricavato ai creditori secondo le graduatorie di privilegio. Per il debitore persona fisica (imprenditore individuale), la sentenza comporta anche alcune incapacità personali (non può ricoprire cariche societarie senza riabilitazione, eventuali restrizioni di espatrio se c’è rischio di fuga, ecc.) e l’obbligo di collaborare mettendo a disposizione libri contabili e informazioni. La liquidazione giudiziale è spesso percepita come la “fine” dell’impresa: il locale verrebbe chiuso e messo all’asta, i beni venduti, i dipendenti licenziati (con accesso al Fondo di Garanzia), i contratti pendenti risolti salvo utilità per la procedura. Tuttavia, non sempre equivale a distruzione totale di valore: se c’è ancora un esercizio provvisorio possibile (ad es. il curatore può gestire il ristorante per un breve periodo in attesa di cederlo come azienda funzionante), può farlo con autorizzazione. Oppure può affittare l’azienda a terzi temporaneamente per preservarne l’avviamento, in vista di una cessione. Dunque in alcuni casi un fallimento ben gestito può portare a cedere la stessa attività a un imprenditore nuovo che la prosegue (assumendo i dipendenti, ecc.), solo che il vecchio imprenditore ne esce comunque definitivamente.

Dal punto di vista del debitore, la liquidazione giudiziale è certo l’evento da evitare se c’è speranza di soluzioni alternative, ma se è inevitabile occorre anche guardare ai possibili sbocchi positivi: il Codice della Crisi (come prima la legge fallimentare) prevede la possibilità della esdebitazione del fallito. L’esdebitazione è la liberazione dai debiti residui una volta chiusa la procedura liquidatoria. Significa che, terminata la liquidazione (venduti i beni e ripartito ciò che c’era), se il ricavato non ha coperto tutti i debiti – cosa molto frequente – il debitore persona fisica può ottenere un provvedimento che cancella i debiti residui non soddisfatti. Questo istituto, introdotto in Italia nel 2006 per i fallimenti di persone fisiche, è stato potenziato dal CCII rendendolo più ampio e in parte automatico. Infatti, mentre prima bisognava fare specifica istanza e dimostrare di essere meritevoli, ora l’esdebitazione post-liquidazione giudiziale è concessa dal tribunale con decreto a fine procedura, salvo che i creditori o il curatore provino che il debitore ha avuto comportamenti scorretti (dolo, frode, violazioni gravi). Inoltre, il Codice ha esteso l’esdebitazione anche alle società di persone e ai soci illimitatamente responsabili, nonché (novità notevole) alle persone giuridiche in alcuni casi: di regola la società di capitali che fallisce viene cancellata e non ha più debiti per estinzione soggettiva, ma se per assurdo rimanesse in vita, potrebbe giovarsi dell’esdebitazione anche essa. Ci sono però debiti esclusi dall’esdebitazione: restano sempre dovuti gli obblighi alimentari e di mantenimento, i debiti per risarcimento di danni da fatto illecito e le sanzioni penali o amministrative pecuniarie non accessorie. Quindi, ad esempio, se il titolare aveva multe personali o doveva mantenimento ai figli, quelle obbligazioni non si cancellano. Ma tutti i debiti d’impresa (banche, fornitori, fisco, ecc.) sono esdebitabili, anche se per il fisco valgono le eccezioni per sanzioni amministrative: le sanzioni tributarie vengono di solito considerate obbligazioni accessorie al debito principale e quindi potrebbero essere esdebitate se il tributo lo è, ma l’interpretazione esatta dipende dal caso (le sanzioni puramente punitive restano escluse). L’esdebitazione, in termini pratici, offre al debitore fallito la chance di ricominciare senza il peso dei vecchi debiti – il cosiddetto fresh start. Ciò incoraggia il debitore a non sottrarsi alla procedura e a collaborare, sapendo che a fine percorso potrà tornare “pulito” e magari avviare una nuova attività in modo legale (anziché restare inseguito a vita dai creditori e operare nell’ombra).

Per ricollegarci al nostro scenario: se tutte le soluzioni di risanamento falliscono e il sushi bar viene travolto dai debiti, la liquidazione giudiziale potrebbe essere l’epilogo. Il locale verrebbe chiuso o venduto a un concorrente, i beni liquidati. Il titolare perderebbe l’investimento fatto, ma – se non ha compiuto irregolarità gravi – dopo la chiusura del fallimento otterrebbe un decreto di esdebitazione che lo libererebbe, ad esempio, dai residui debiti verso il Fisco, le banche e i fornitori che non siano stati pagati integralmente. Ciò gli permetterebbe di ripartire: magari aprire in futuro una nuova attività (anche se, attenzione, l’esdebitazione per legge non cancella i debiti verso fideiussori e coobbligati rimasti obbligati, quindi se per i debiti del sushi bar c’era una garanzia del coniuge, quel coniuge ne risponde ancora). Inoltre, la legge pone un limite: non ci si può avvalere dell’esdebitazione più di due volte e con almeno 5 anni tra l’una e l’altra – il legislatore non vuole che qualcuno ne abusi serialmente.

Da notare che la liquidazione giudiziale può anche essere richiesta dal debitore stesso (cd. autofallimento) in casi estremi: se vede che non c’è soluzione e magari vuole accelerare l’accesso ai fondi di garanzia per pagare i dipendenti o bloccare il maturare di interessi, un imprenditore può depositare ricorso per la propria liquidazione. Questo è sempre un atto da valutare attentamente con un legale, perché una volta aperto, si perde il controllo, però in situazioni disperate può essere l’atto finale per chiudere con il passato e accedere in tempi brevi all’esdebitazione.

Riassumendo, la differenza tra concordato preventivo e liquidazione giudiziale dal punto di vista del debitore è questa: il concordato è un’opportunità di salvare l’azienda o parte di essa, al prezzo di dover predisporre un piano serio e di pagare almeno in parte i creditori, mantenendo un certo controllo (almeno prima dell’omologa); la liquidazione giudiziale è la resa, la fine dell’attività attuale, ma con la consolazione di poter chiudere i conti col passato e non restare debitore in eterno. Entrambi gli istituti hanno finalità diverse ma complementari nel sistema.

Tabella 2 – Procedure di regolazione della crisi d’impresa: caratteristiche principali

ProceduraChi può accederviCome si avviaEffetti immediatiEsito per il debitoreRuolo dei creditoriRiferimenti normativi
Composizione negoziata (CNC)Imprese in crisi o insolvenza reversibile, di qualsiasi dimensione (anche piccole imprese, start-up, etc.). Non per consumatori senza impresa.Istanza volontaria dell’imprenditore tramite piattaforma telematica. Nomina di un esperto indipendente.Può essere richiesta dal debitore la sospensione delle azioni esecutive (misure protettive) per la durata delle trattative. Impresa continua sotto vigilanza dell’esperto. Riservatezza (nessuna pubblicità, salvo misure protettive pubblicate).Se accordo raggiunto: stipula accordo stragiudiziale o contratto di ristrutturazione (eventuale omologa semplificata). Se fallisce: imprenditore può passare a concordato o liquidazione (anche semplificata) oppure archiviazione. Debitore non perde la gestione, ma deve collaborare con l’esperto.I creditori non votano collegialmente, si negozia individualmente assistiti dall’esperto. Non sono obbligati a aderire. Tuttavia, se misure protettive concesse, non possono agire in executivis e devono trattare in buona fede. Un eventuale accordo transattivo richiede il consenso di ciascun creditore coinvolto.Artt. 12-25-quinquies CCII. D.L. 118/2021 conv. L.147/2021 (norma istitutiva). Cass. Pen. Sez. III n.30109/2025 (effetto su sequestri).
Accordo di ristrutturazione dei debitiImprese fallibili o anche non fallibili (in alternativa alle procedure sovraindebitamento). Esclude consumatori puri.Proposta negoziata col almeno 60% dei crediti, poi ricorso tribunale per omologa.Dal deposito dell’accordo e ricorso, il debitore può chiedere misure protettive (simili a concordato) per evitare azioni esecutive sino all’omologazione. L’accordo omologato vincola solo i aderenti, ma sospende azioni degli altri per 120 giorni dall’omologa.Debitore mantiene la gestione (non c’è commissario, salvo abusivismo). Se omologato, esegue l’accordo come da patti. Se non omologato o accordo salta, può ripiegare su concordato preventivo (entro 12 mesi con alcune agevolazioni).Creditori: è richiesto consenso ≥60% in valore. I non aderenti non sono falcidiati (devono essere pagati per intero, salvo se piccoli e pagati integralmente allora non contano). Nessun voto formale come nel concordato, ma serve adesione scritta. In versione “agevolata” si può omologare con 30% ma pagando per intero i dissenzienti.Art. 57-64 CCII. (Ex art. 182-bis LF).
Concordato preventivoImprese soggette a fallimento (non “minori”). Anche imprenditori agricoli (possono accedere pur non fallibili, per espressa previsione).Ricorso del debitore al Tribunale, anche “in bianco” (con riserva) depositando solo i dati essenziali e poi il piano entro termini.Sospensione immediata di azioni esecutive individuali e impedimento di iscrizioni ipotecarie. Nomina di un Commissario Giudiziale. L’azienda opera in regime di osservazione fino al voto.Se omologato: il debitore esegue il piano sotto vigilanza. Eventuale continuazione dell’attività se prevista (concordato in continuità) oppure liquidazione controllata dei beni (concordato liquidatorio). Debitore evita la dichiarazione di fallimento. Se non omologato (bocciato da creditori o dal giudice): può conseguire la liquidazione giudiziale d’ufficio. Debitore durante procedura mantiene gestione ordinaria, straordinaria su autorizzazione.I creditori sono suddivisi in classi (se eterogenei) e votano sulla proposta. Serve maggioranza >50% dei crediti ammessi al voto. I creditori privilegiati votano solo se la proposta li tocca (falcidia o dilazione oltre 120 gg); il creditore ipotecario con soddisfacimento non integrale ha diritto di voto. I dissenzienti sono comunque vincolati dall’omologa (cram-down possibile dal tribunale per classi dissenzienti se trattamento non peggiore dell’alternativa liquidatoria). I creditori possono presentare proposte concorrenti se il debitore chiede esenzione del 20% ai chirografari in liquidatorio.Artt. 84-120 CCII. (Ex RD 267/42, artt. 160-186bis). Cass. Civ. 30543/2024 (necessaria convenienza rispetto a liquidazione in caso di falcidia privilegiati). Cass. Civ. 30538/2024 (valutazione affidabilità debitore, meritevolezza implicita).
Liquidazione giudiziale (Fallimento)Imprese commerciali non piccole (oltre soglie art. 2 CCII) e imprenditori assoggettabili. Può colpire anche soci illimitatamente responsabili.Ricorso di creditore, del PM o istanza dello stesso debitore. Verifiche tribunale su insolvenza e presupposti, quindi sentenza dichiarativa.Nomina immediata di un Curatore. Spossessamento del debitore dei suoi beni (diventano massa attiva). I creditori perdono titolo ad agire individualmente (divieto azioni e privilegi individuali ex art. 150 CCII). Vengono avviate le operazioni di inventario, avviso ai creditori per insinuazione.L’impresa cessa attività salvo esercizio provvisorio autorizzato. Debitore persona fisica: restrizioni personali (ritiro passaporto, divieti di attività commerciali se non autorizzate). Procede la vendita di beni. Al termine, se persona fisica, può essere esdebitato (liberato dai debiti insoddisfatti). Se società, di regola viene cancellata a fine procedura.I creditori devono insinuarsi al passivo entro termini (formano lo stato passivo riconosciuto dal Giudice Delegato). Partecipano secondo il grado (privilegiati soddisfatti prioritariamente, chirografari pro-quota su residuo). Possono nominare un Comitato dei creditori con funzioni consultive e di controllo sul operato del curatore. Non c’è voto su un piano, perché non c’è piano: eventualmente possono votare su proposte di concordato fallimentare (anche qui solo debitore o terzi possono proporlo).Artt. 121-270 CCII. (Ex RD 267/42, art. 1 e segg.). Soglia debiti > €30.000 per dichiarare la liquidazione . Art. 278-279 CCII: esdebitazione di diritto del debitore persona fisica onesto. Art. 280 CCII: condizioni di meritevolezza per esdebitazione (assenza frodi, etc.).

(Nota: le norme del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza – CCII – citate sono quelle vigenti al 2025, comprensive delle modifiche apportate dai decreti correttivi. I riferimenti alle Cassazioni indicano principi utili: es. Cass. 30543/24 sulla convenienza obbligatoria del concordato rispetto alla liquidazione, Cass. 30538/24 sull’analisi della condotta del debitore in assenza di esplicita “meritevolezza” nella procedura d’accordo, ecc.)

Procedure da sovraindebitamento (per debitori non fallibili)

Veniamo ora alle procedure pensate per i soggetti non assoggettabili al fallimento (o, come si chiamano oggi, alla liquidazione giudiziale). Un piccolo sushi bar, se gestito ad esempio da un imprenditore individuale con volume d’affari modesto sotto le soglie viste, oppure da una società di persone di piccole dimensioni, ricade in questa categoria. Fino al 2020 si applicava la Legge 3/2012, la cosiddetta “legge sul sovraindebitamento”, la quale introduceva tre procedure (piano del consumatore, accordo con i creditori, liquidazione del patrimonio) per dare una soluzione alle crisi di debitori “civili” o piccole imprese non fallibili. Dal 15 luglio 2022 la L.3/2012 è stata abrogata e sostituita dal Codice della Crisi, che in particolare agli articoli 65-91 disciplina le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento . Queste procedure sono quattro:
Ristrutturazione dei debiti del consumatore (il “nuovo” piano del consumatore);
Concordato minore (il successore dell’accordo di composizione dei debiti);
Liquidazione controllata del sovraindebitato (equivalente alla liquidazione del patrimonio ex L.3/2012);
Esdebitazione del debitore incapiente, chiamata anche “esdebitazione senza utilità” (novità assoluta, non presente nella vecchia legge, che consente a certe condizioni il fresh start anche a chi non ha nulla da liquidare).

Queste procedure sono riservate ai debitori non fallibili, tra cui: consumatori (persone fisiche che hanno debiti principalmente per scopi estranei ad attività d’impresa), imprenditori minori (quelli sotto soglia fallimento) , imprenditori agricoli (esonerati dal fallimento per natura), start-up innovative (che godono di esclusione da fallimento), professionisti (avvocati, commercialisti ecc. non soggetti a fallimento), enti non profit e altri soggetti indicati dalla legge. Importante: i soci di società di persone illimitatamente responsabili, se la società fallisce, sono soggetti a liquidazione giudiziale personale, dunque non rientrano nel sovraindebitamento (il loro caso è collegato al fallimento della società). Invece, se la società non fallisce perché sotto soglia, allora i soci possono accedere a queste procedure per i debiti personali. Allo stesso modo, un socio accomandante o socio di SRL che avesse garantito personalmente dei debiti può ricorrere al sovraindebitamento per i debiti di garanzia, perché lui personalmente è un soggetto non fallibile (in quanto la garanzia è debito privato).

Tutte queste procedure da sovraindebitamento sono accomunate da alcuni principi: sono procedure concorsuali giudiziali volontarie (si attivano su richiesta del debitore, tranne la liquidazione controllata che può essere chiesta anche dal creditore ), comportano la presenza di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) o di un Gestore nominato che assiste e controlla, e mirano in ultima analisi a dare al debitore meritevole la possibilità di liberarsi dai debiti insostenibili, pagando quanto può. La legge introduce inoltre la possibilità di procedure familiari congiunte: più membri della stessa famiglia sovraindebitati possono presentare un unico piano o accordo se il debito ha origine comune. Questo può rilevare se, ad esempio, nel nostro caso, il titolare del sushi bar e il coniuge coobbligato in qualche finanziamento vogliono risolvere insieme la situazione: ora possono farlo in un unico procedimento anziché due separati.

Vediamo in breve ciascuna delle procedure:

Ristrutturazione dei debiti del consumatore: È l’evoluzione del vecchio “piano del consumatore”. Destinata alle persone fisiche consumatori, cioè non imprenditori e non professionisti (o comunque che hanno contratto debiti per scopi personali, come mutui, credito al consumo, ecc.). Non potrebbe usarla il titolare di debiti derivanti dalla gestione dell’impresa, a meno che quei debiti siano estranei all’attività. Ad esempio, se il nostro imprenditore ha anche debiti personali (carta di credito personale, prestito per l’auto privata) potrebbe distinguere quelli e cercare di qualificarli come consumatore, ma attenzione: la giurisprudenza recente (Cass. 22699/2023) ha chiarito che chi ha debiti promiscui (in parte da attività d’impresa cessata, in parte personali) non può accedere alla procedura da consumatore. Occorre guardare alla natura e origine delle obbligazioni: se la maggior parte (o una parte rilevante) dei debiti è connessa all’attività imprenditoriale, il soggetto non rientra nella nozione di consumatore puro e quindi deve usare il concordato minore o la liquidazione controllata, non il piano del consumatore. In tal senso si è espresso anche il Tribunale di Milano allineandosi a Cass. 22699/23: un ex imprenditore con debiti misti non può utilizzare la ristrutturazione del consumatore. Dunque per il titolare del sushi bar, a meno che l’attività fosse marginale e i debiti principali fossero personali, è difficile percorrere questa strada.

Caratteristica peculiare di questo procedimento: non richiede l’accordo dei creditori. Il consumatore sovraindebitato propone un piano di ristrutturazione al giudice (tramite l’OCC che lo aiuta a redigerlo e lo attesta), prevedendo il pagamento – anche parziale – dei debiti secondo le sue possibilità, e il Tribunale, verificati i requisiti (sostenibilità del piano, meritevolezza del debitore, convenienza per i creditori rispetto all’alternativa liquidatoria) lo omologa anche senza voto dei creditori. Il creditore può solo presentare eventuali opposizioni, ma non c’è una votazione. Questa è una grande differenza rispetto alle altre procedure: il peso è tutto sull’analisi giudiziale, in cui spicca il concetto di meritevolezza – ovvero il consumatore non deve aver colpe gravi nel proprio indebitamento, né aver assunto obbligazioni sproporzionate con leggerezza (merito creditizio: la legge punisce i finanziatori imprudenti più che il debitore, concetto introdotto nel CCII). In caso di esito positivo, l’omologazione rende vincolante il piano e i creditori sono obbligati a subire le eventuali decurtazioni. Ad esempio, se un ex cliente del ristorante (non imprenditore) avesse debiti di carte di credito e bollette per €50.000 e potesse pagare solo €20.000 in 4 anni, il giudice potrebbe approvare un piano al 40% e liberarlo dal resto, se ritiene che l’alternativa (nessun patrimonio aggredibile) li vedrebbe forse recuperare zero, e se il debitore non ha colpe gravi. Nel contesto del sushi bar, questo scenario si applica più al lato privato (es: debiti personali garantiti da redditi famiglia) che all’attività.

Concordato minore: È la procedura analoga al concordato preventivo ma destinata ai debitori minori sovraindebitati (inclusi gli imprenditori minori, i professionisti, le startup non fallibili). Viene infatti detto che il concordato minore sta al vecchio “accordo del debitore” ex L.3/2012 come il concordato preventivo sta al fallimento. In sostanza, il concordato minore prevede un accordo tra debitore e creditori per ristrutturare i debiti, con l’intervento del tribunale a garantire la regolarità e con effetti cram-down sui dissenzienti. La struttura è simile al concordato preventivo: il debitore deposita un piano, l’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) nomina un gestore che funge in pratica da Commissario, i creditori sono chiamati a votare sulla proposta (qui serve la maggioranza dei crediti votanti, senza distinzioni di classi anche se si possono prevedere classi). Se i creditori approvano e il tribunale omologa, il concordato minore diventa vincolante per tutti. Se i creditori respingono la proposta, il giudice può comunque omologarla d’ufficio se ritiene che i creditori otterrebbero in liquidazione controllata una soddisfazione minore di quella offerta dal concordato (una sorta di cram-down giudiziale, ma con cautela, introdotto dal CCII per evitare abusi di rifiuto). Durante il concordato minore, valgono regole simili alla protettiva: stop alle azioni esecutive una volta presentata l’istanza e ottenuto eventualmente un provvedimento di sospensione (il CCII prevede che il tribunale può disporre misure protettive su istanza del debitore). La differenza chiave rispetto al concordato preventivo è la scala ridotta e la snellezza: l’iter dovrebbe essere più rapido, con meno formalità, adeguato alla dimensione più piccola. Ad esempio, l’OCC stesso svolge funzioni di attestazione e controllo sin dall’inizio, e i costi sono inferiori. Inoltre, non è richiesta la soglia del 20% di pagamento ai chirografari neanche se liquidatorio (trattandosi di sovraindebitati, spesso non c’è patrimonio, quindi il piano può offrire anche percentuali simboliche, basta che siano migliori della liquidazione controllata). Anche qui vale però la valutazione di meritevolezza implicita: pur non essendo codificata una causa di inammissibilità per “colpa” (a differenza del piano del consumatore che la prevede espressamente), la Cassazione ha affermato che il giudice deve comunque valutare l’affidabilità del debitore in base alla sua condotta pregressa. Quindi, ad esempio, se l’imprenditore ha frodato i creditori o dissipato beni, il tribunale potrebbe rifiutare di omologare un concordato minore, spingendolo alla liquidazione. Il concordato minore può includere qualsiasi forma di soddisfacimento dei crediti: anche la cessione futura di parte dei redditi del debitore, o l’apporto di terzi, la vendita parziale di beni, etc., in modo da massimizzare il ritorno per i creditori rispetto alla liquidazione.

Per un piccolo imprenditore come il nostro, il concordato minore è probabilmente lo strumento più indicato per evitare di liquidare tutto e provare a salvare l’attività. Ad esempio, il proprietario del sushi bar, persona fisica non fallibile, potrebbe proporre un concordato minore in continuità: tiene aperto il ristorante, si impegna a versare ai creditori il 30% degli incassi mensili per 4 anni più il ricavato dalla vendita di una proprietà non strategica (es. un’auto di valore), prevede il pagamento integrale di IVA e ritenute (per avere il voto favorevole del fisco in transazione), e offre ai chirografari magari il 20%. Se i creditori capiscono che l’alternativa – la liquidazione controllata – darebbe loro forse 5% (perché il valore di realizzo forzato di beni è basso), avranno interesse ad approvare. Inoltre, il concordato minore consente eventualmente di mantenere la casa di abitazione come visto (pagando il mutuo regolarmente) grazie alla norma del 2024.

Liquidazione controllata del sovraindebitato: Questa è l’analogo della liquidazione giudiziale (fallimento) ma per chi non può essere dichiarato fallito. Può accedervi il debitore sovraindebitato di qualsiasi tipo, e – attenzione – può essere richiesta anche dai creditori o dall’Agente della Riscossione in caso di insolvenza . Dunque è l’unica procedura concorsuale “forzata” prevista per i non fallibili: ad esempio, se un piccolo imprenditore ha debiti enormi e i creditori vogliono comunque la liquidazione del suo patrimonio, anche se lui non collabora possono chiedere al tribunale di aprire la liquidazione controllata. Ovviamente, se il debitore è disinteressato, non potrà poi godere appieno dei benefici (esdebitazione) se risulta che non ha cooperato. La liquidazione controllata funziona in modo simile a un fallimento: viene nominato un Liquidatore (figura analoga al curatore), i beni del debitore vengono vincolati e liquidati, e il ricavato distribuito. Il debitore persona fisica resta spossessato dei beni presenti e futuri (entro i limiti di legge) per la durata della procedura, ma conserva ciò che è impignorabile per legge (es. stipendio in parte, beni di prima necessità). La durata massima della liquidazione controllata, secondo il Codice, è 3 anni dalla apertura (sebbene possano esservi proroghe in casi complessi). Questa limitazione temporale è importante: se dopo 3 anni qualche asset resta invenduto e non liquidato, comunque il debitore può chiedere la chiusura e l’esdebitazione di diritto. Inoltre, il Codice prevede che nello stesso decreto di apertura della liquidazione controllata, il tribunale fissa già l’udienza per la verifica finale e la possibile esdebitazione “di diritto” del debitore decorsi i 3 anni. Ciò significa che non serve più (come con la L.3/2012) attendere e fare apposita domanda dopo la chiusura: l’esdebitazione è integrata nel meccanismo. Durante la procedura, i creditori fanno domanda di ammissione al passivo (come nel fallimento), e il liquidatore redige lo stato passivo. I crediti privilegiati (inclusi i fiscali, salvo IVA/ritenute che però qui non c’è un istituto di prededuzione, sono trattati come privilegiati se hanno privilegio) vengono soddisfatti con precedenza. Può anche qui accadere che un creditore ipotecario (es. banca) eserciti il diritto di escussione separata se trattasi di credito fondiario: la Cassazione, come detto, ha creato un contrasto su questo punto, ma con la sentenza n. 22914/2024 ha affermato che la banca con mutuo fondiario può proseguire l’esecuzione immobiliare anche dopo l’apertura della liquidazione controllata. Questo è uno specifico caso in cui la liquidazione non “congela” del tutto le azioni individuali, al contrario di ciò che normalmente accade (tutti gli altri creditori devono fermarsi e stare nella procedura).

L’aspetto più rilevante per il debitore è la già menzionata esdebitazione “automatica” a fine procedura. Decorsi i 3 anni, il debitore persona fisica onesto è liberato da ogni debito residuo senza bisogno di ulteriore istanza. I creditori non soddisfatti perdono la possibilità di rivalersi in futuro. Restano esclusi dall’esdebitazione, anche qui, i debiti non liberabili per legge (alimenti, risarcimenti da illecito doloso, sanzioni penali/amm.ve). E rimangono obbligati eventuali coobbligati o fideiussori che non erano parte della procedura. Per i creditori, sapere che c’è questo esito, li incentiva a partecipare attivamente alla liquidazione per ottenere il massimo subito, perché poi non potranno inseguire il debitore per tutta la vita.

In pratica, la liquidazione controllata è la soluzione se non c’è alcuna prospettiva di risanamento o di accordo con i creditori. Ad esempio, se il sushi bar ha chiuso, i debiti rimasti superano il valore di ogni bene del titolare e questi non ha reddito sufficiente per offrire un concordato minore percorribile, allora la strada è liquidare il patrimonio (quel poco che c’è) e liberarlo dai debiti. In concreto, si venderanno gli impianti, l’arredo del locale, forse l’auto personale, eventuali saldi su c/c, e così via; i creditori riceveranno piccole quote; e dopo 3 anni il debitore persona fisica sarà esdebitato. Notare che, come per il fallimento, il debitore deve essere meritevole per usufruire dell’esdebitazione: l’art. 280 CCII elenca condizioni ostative simili a quelle viste (niente condanne per bancarotta, niente frodi ai creditori, collaborazione con la procedura, ecc.). Se per caso il debitore si è comportato male, il tribunale può negare l’esdebitazione e allora i debiti residui tornerebbero esigibili.

Esdebitazione del debitore incapiente: Questa è la novità 2022 che non ha equivalenti nel vecchio ordinamento. Pensata per il caso limite del debitore persona fisica totalmente privo di beni e redditi da offrire ai creditori. In passato, una persona nullatenente ma piena di debiti restava tecnicamente vincolata per sempre (i creditori magari non recuperavano nulla perché non c’era cosa da pignorare, ma giuridicamente il debito rimaneva e l’ombra del recupero pure). Ora, l’art. 283 CCII consente a tale persona di chiedere al tribunale la cancellazione dei debiti subito, senza dover passare per una procedura liquidatoria inefficace. In altre parole, l’“esdebitazione dell’incapiente” permette al debitore meritevole, che non ha nessun patrimonio liquidabile a vantaggio dei creditori, di ottenere ugualmente un fresh start immediato. Le condizioni: il debitore non deve aver ridotto volontariamente il proprio patrimonio per frodare i creditori, non deve avere prospettive ragionevoli di miglioramento nel breve periodo, e deve aver tenuto un comportamento collaborativo e trasparente. Se ammesso, il tribunale emette il decreto di esdebitazione e libera il debitore da tutti i debiti. Però c’è un “pegno” morale: per i successivi 4 anni, se sopravvengono utilità rilevanti nel patrimonio del debitore (ad esempio un’eredità, o un forte aumento di reddito, una vincita, ecc.), egli ha l’obbligo di pagare ai vecchi creditori fino a concorrenza di quanto avrebbero ottenuto in una ipotetica liquidazione. In pratica, il debitore incapiente viene perdonato ma con la condizionale: se entro 4 anni entrano soldi “insperati”, vanno in parte retrocessi ai creditori originari. Passati i 4 anni, ogni obbligo cessa definitivamente. Questa procedura non può essere utilizzata se il debitore ha anche solo un piccolo cespite liquidabile: in tal caso deve fare la liquidazione controllata e passare per i 3 anni canonici. È proprio destinata a chi sarebbe altrimenti escluso perché pure la liquidazione sarebbe rigettata per insufficienza dell’attivo a coprire le spese. È comunque one-shot: la legge dice che si può ottenere l’esdebitazione incapiente una sola volta nella vita.

Per fare un esempio, se il titolare del sushi bar è andato in pensione, ha chiuso l’attività, non possiede immobili, ha solo una piccola pensione al minimo e convive con i figli, e ha €100.000 di debiti residui tra banche e fisco che non potrà mai pagare, può presentare istanza di esdebitazione incapiente. Se il tribunale accerta che davvero non ci sono né beni né capacità di reddito eccedenti il minimo vitale, lo libera dai debiti. Se poi entro 4 anni vincesse al Superenalotto €500.000, beh, in tal caso i creditori originari riapparirebbero e potrebbero chiedere al tribunale di revocare in parte il beneficio facendogli pagare ad esempio €100.000 (quanto doveva). Ma se nulla di ciò avviene, lui è definitivamente a posto. Questa misura incarna il principio del “fresh start” portato all’estremo, quasi di stampo umanitario, ed è coerente con le raccomandazioni europee di dare alle persone sovraindebitate una via d’uscita anche quando non c’è nulla da distribuire.

In conclusione di questa parte, le procedure da sovraindebitamento forniscono un ventaglio di opzioni calibrate sulla gravità del caso: dall’accordo (concordato minore) se c’è uno spiraglio di pagare qualcosa con un progetto di continuità, alla liquidazione controllata se non resta che liquidare quel che c’è, fino alla esdebitazione pura se non c’è nulla. Ciò consente al debitore, con l’ausilio degli OCC e del tribunale, di risolvere situazioni altrimenti senza via d’uscita. È chiaro che per il creditore questi strumenti significano spesso recuperare poco; tuttavia, il legislatore ha bilanciato l’interesse del creditore a non subire abusi con vari filtri di meritevolezza e convenienza (ad esempio, richiedendo che il concordato minore offra più della liquidazione, o che il debitore non abbia colpa grave). E ricordiamo che in queste procedure i creditori pubblici partecipano: l’Agenzia delle Entrate e l’INPS votano nel concordato minore (vota l’ente titolare, es. Agenzia Entrate, e non l’Agente di Riscossione) e possono opporsi se il trattamento del loro credito non rispetta le regole (in genere i tributi con privilegio vanno pagati almeno per il valore di realizzo in liquidazione, e l’IVA se falcidiata richiede transazione).

Tabella 3 – Procedure di sovraindebitamento (debitori civili/piccole imprese)

Procedura sovraindebitamentoDestinatariCaratteristicheParticolarità
Ristrutturazione dei debiti del consumatore (piano del consumatore)Persona fisica consumatore (debiti per esigenze non professionali né d’impresa). Escluso chi ha debiti d’impresa, anche cessata, se rilevanti.– Proposta di piano presentata dal debitore tramite OCC al Tribunale.<br>– Nessun voto dei creditori: decidono i giudici se omologare, valutando fattibilità e meritevolezza del debitore (no colpa grave, no frodi).<br>– I creditori possono essere anche pagati parzialmente o con dilazioni, senza il loro consenso, se il giudice ritiene che il piano è migliore della liquidazione per loro e equo.<br>– Necessaria relazione OCC su causa dell’indebitamento, condotta debitore, classe crediti, fattibilità.Stop azioni esecutive: dalla data di deposito ricorso, il giudice può sospendere le esecuzioni in corso (tutela provvisoria).<br>Pagamento crediti impignorabili: il piano deve assicurare il regolare pagamento di eventuali crediti impignorabili (es. alimenti).<br>Meritevolezza & merito creditizio: se il debitore ha colpe gravi, il piano viene respinto. Inoltre l’OCC segnala se qualche finanziatore ha concesso credito imprudentemente a un consumatore già indebitato (merito creditizio), poiché ciò gioca a favore dell’omologa punendo quel creditore imprudente.<br>Effetti: con l’omologa, il piano vincola tutti i creditori anteriori. Il debitore esegue i pagamenti come da piano e ottiene l’esdebitazione sul resto a fine periodo.<br>Utilizzo limitato: Procedura non reiterabile per 5 anni e non accessibile se il consumatore ha già usato altre procedure concorsuali (salvo eccezioni).
Concordato minoreDebitori non fallibili diversi dal consumatore: piccoli imprenditori commerciali, imprenditori agricoli, start-up, professionisti, enti non profit, consumatore con debiti promiscui (trattato come non consumatore).– Simile al concordato preventivo ma in scala ridotta.<br>– Si propone un accordo ai creditori, formulando un piano che può prevedere ristrutturazione debiti in qualsiasi forma (dilazioni, stralci, cessioni asset, ecc.).<br>– Richiede il voto favorevole dei creditori: maggioranza per valore dei crediti ammessi al voto (calcolo analogo a concordato preventivo). Si possono fare classi di creditori.<br>– Intervento dell’OCC: l’Organismo di Composizione nomina un gestore (simile a commissario) che redige relazione sulle cause di crisi e sulla convenienza del piano rispetto a liquidazione, e che poi vigila sull’esecuzione se omologato.<br>– Omologazione tribunale: se maggioranza raggiunta, altrimenti può omologare lo stesso se ritiene che i dissenzienti ricevano nel piano almeno quanto otterrebbero liquidando (cram-down giudiziale pro-debitore).Misure protettive: il debitore può chiedere la sospensione di azioni esecutive già con la presentazione del ricorso (simile art. 54 CCII per concordato preventivo).<br>Continuità aziendale: il piano può prevedere la prosecuzione dell’attività (direttamente o tramite terzi) – in tal caso occorre indicare come si finanzierà la continuità e l’apporto di risorse nuove. Oppure può essere liquidatorio (cessione beni).<br>Trattamento creditori privilegiati: se non si paga integralmente un privilegiato, serve il suo consenso oppure va dimostrato che in liquidazione quel creditore prenderebbe di meno. I creditori privilegiati degradati a chirografo per incapienza ipoteca votano per la parte falcidiata.<br>Casa di abitazione: Introdotto comma 2-bis art. 75 CCII (dal D.Lgs 136/2024) che consente, se debitore persona fisica in concordato minore e in regola con mutuo sulla prima casa, di mantenere il pagamento a scadenza delle rate future e non liquidare l’immobile (con attestazione OCC che ciò non lede creditori).<br>Esdebitazione: il debitore ottiene l’esdebitazione a fine piano per i debiti falcidiati, senza dover passare da liquidazione (l’omologa stessa, una volta eseguito il concordato, libera dai residui).
Liquidazione controllata (del sovraindebitato)Qualsiasi debitore sovraindebitato (consumatore o no), insolvente (incapace di pagare regolarmente i debiti). Avviabile su richiesta del debitore o dei creditori.– Procedura liquidatoria giudiziale. Simile al fallimento ma su scala ridotta e presso il Tribunale competente per sovraindebitamento (spesso sezioni fallimentari unificate).<br>– Nomina di un Liquidatore (gestore OCC o professionista nominato dal giudice).<br>– Effetti: il patrimonio del debitore diventa oggetto di esecuzione collettiva; i singoli creditori non possono agire individualmente. Il Liquidatore raccoglie attivo, vende i beni, sotto la supervisione del Giudice e con un eventuale Comitato Creditori (non obbligatorio se pochi creditori).<br>– Procedura aperta anche a debitore deceduto o che abbia cessato attività (eredi possono richiederla per liberare l’eredità da debiti entro beneficio inventario).Iniziativa creditori: se il debitore non coopera e ci sono beni o redditi pignorabili, uno o più creditori (anche Agenzia Riscossione) possono fare istanza di liquidazione controllata . Ciò tutela creditori anche contro chi voleva sottrarsi alle altre procedure.<br>Durata massima 3 anni: il piano di liquidazione prevede la chiusura entro 3 anni dalla apertura (escluse proroghe per vendite già concordate oltre termine). Ciò spinge a liquidare rapidamente.<br>Contributo del debitore dal reddito: il debitore persona fisica può essere obbligato a versare ai creditori la parte di reddito eccedente quello necessario al suo sostentamento e a quello della famiglia, durante la procedura (fino a 3 anni). In pratica, un “pegno” su redditi futuri limitato nel tempo.<br>Esdebitazione di diritto: salvo eccezioni, il debitore è automaticamente liberato dai debiti residui al termine della liquidazione, senza bisogno di ulteriore giudizio, purché abbia cooperato e non ci siano ragioni ostative (es: frodi). Il provvedimento di apertura liquida di solito contiene già la “prenotazione” dell’esdebitazione finale.<br>Crediti esclusi: come in fallimento, restano post-esdebitazione i debiti alimentari, da malfatti illeciti, le sanzioni penali/amministrative pecuniarie.<br>Possibilità di conversione: se durante la liquidazione emergono possibilità di accordo, il debitore può chiedere di convertire la procedura in un concordato minore o piano del consumatore (se i creditori chiave sono d’accordo). Viceversa, un concordato minore che fallisce può convertirsi in liquidazione controllata d’ufficio.
Esdebitazione del debitore incapientePersona fisica sovraindebitata meritevole che: non possiede alcun bene (oltre le cose indispensabili) e non ha redditi pignorabili, tale che nulla può essere distribuito ai creditori.<br>– Non deve aver già beneficiato di esdebitazione incapiente in passato.<br>– Non accessibile se rimane anche un minimo attivo liquidabile: lì si fa liquidazione controllata.– Ricorso del debitore con assistenza OCC, documentando la propria totale incapienza patrimoniale e le cause dell’indebitamento.<br>– Notifica ai creditori che possono opporsi contestando requisiti.<br>– Udienza in camera di consiglio; se tutto regolare, il Tribunale emette decreto che cancella tutti i debiti senza assetto concorsuale (niente liquidatore perché non c’è niente da liquidare).Periodo di “prova” 4 anni: se entro 4 anni dall’emissione del decreto esdebitazione il debitore acquista disponibilità rilevanti (es. eredità, vincite, arricchimenti), ha obbligo di pagarne ai creditori originari la parte che avrebbero avuto in una liquidazione (cioè teoricamente anche fino al 100% del dovuto se ha avuto fondi sufficienti). Trascorsi 4 anni, i creditori non potranno più pretendere nulla definitivamente.<br>Meritevolezza stringente: il debitore non deve aver colpe gravi, non deve aver sprecato volontariamente beni né aggravato la propria insolvenza. Se emergerà che ha mentito (es. nascondendo beni) il beneficio è revocato e potrebbe incorrere in sanzioni anche penali (per falso in procedura).<br>Unica chance: come detto, questa esdebitazione “immediata” può essere concessa una sola volta nella vita.<br>Efficacia: i creditori non possono più agire esecutivamente né iscrivere ipoteche sui beni futuri per quei debiti. Il debitore ritorna ad essere un soggetto “pulito” dal punto di vista debitorio (salvo debiti esclusi).

(Legenda: OCC = Organismo di Composizione della Crisi; CCII = Codice Crisi d’Impresa e Insolvenza; TUB = Testo Unico Bancario; C.p.c. = Codice procedura civile; % = percentuale)

Esempi pratici di gestione della crisi debitoria di un sushi bar

Di seguito presentiamo due simulazioni pratiche per illustrare come le norme e gli strumenti descritti possano applicarsi in situazioni reali. Si tratta di casi ipotetici ma realistici, riguardanti entrambi un sushi bar indebitato, con alcune varianti nelle circostanze, allo scopo di evidenziare le diverse strategie possibili. Questi esempi aiutano a comprendere, dal punto di vista del debitore, quali passi intraprendere e quali conseguenze aspettarsi.

Caso 1: Ditta individuale (imprenditore minore) sovraindebitata, in continuità aziendale

Scenario: Tizio è titolare di un sushi bar a conduzione familiare, sotto forma di ditta individuale (impresa artigiana con 5 dipendenti). Negli ultimi due anni, a causa prima delle restrizioni pandemiche e poi dell’aumento dei costi (bollette energia, materie prime importate), l’attività ha accumulato debiti: €50.000 con fornitori di cibo e bevande, €20.000 di affitti arretrati del locale (8 mesi non pagati), €30.000 con la banca (saldo di un fido e due rate mutuo impagate su casa di Tizio data in garanzia), €15.000 di contributi INPS non versati e cartelle per IVA per €10.000. In totale circa €125.000. Tizio ha però ancora un volume d’affari in ripresa (fatturato annuo €200.000) e ritiene che il locale sia potenzialmente redditizio se si ristrutturano i debiti. Non vuole chiudere l’attività perché è l’unica fonte di reddito per la sua famiglia e per i dipendenti. Il suo patrimonio personale consiste nella prima casa (un appartamento dove vive con moglie e figli) gravato da mutuo residuo di €80.000, e nei beni strumentali del ristorante (attrezzature, arredamento, di proprietà). La casa vale €150.000 ma Tizio vorrebbe evitarne la vendita. Tizio è in stato di sovraindebitamento conclamato: non riesce più a pagare tutti, però continua a pagare la corrente e comprare forniture pagando anticipato (i nuovi fornitori chiedono cash). Riceve intimazioni di sfratto, solleciti della banca e di Equitalia.

Opzioni valutate: Tizio si reca da un professionista esperto in crisi (gestore OCC) per valutare le alternative. Essendo un imprenditore minore (sotto soglie fallimento), le procedure possibili sono quelle da sovraindebitamento. Poiché desidera salvare l’impresa, l’esperto esclude la liquidazione controllata come prima scelta (vorrebbe dire chiudere). Anche la semplice ristrutturazione da consumatore non è applicabile perché i debiti sono d’impresa. Si considerano due vie: il concordato minore o la composizione negoziata per tentare accordi stragiudiziali (eventualmente convertibile in concordato).

Tizio decide di provare inizialmente con la Composizione negoziata della crisi: viene nominato un esperto indipendente. Con l’aiuto dell’esperto, Tizio elabora un piano di risanamento: prevede che, se diluisce i debiti su 5 anni, può pagare circa €70.000 (stimando €1.000 al mese dal flusso di cassa aziendale per 60 mesi = €60.000, più un contributo straordinario di €10.000 dalla moglie che li attinge dai propri risparmi). Dunque offre ai creditori circa il 56% del dovuto. L’esperto convoca la banca, il locatore e alcuni fornitori principali a un tavolo. Viene anche attivata la misura protettiva: il tribunale, su istanza di Tizio, sospende lo sfratto e ogni altro pignoramento per 3 mesi. La banca si mostra disponibile a rinegoziare: propone di sospendere per 12 mesi le rate del mutuo casa (spostandole alla fine) e di trasformare il fido scoperto in un finanziamento a 5 anni, purché Tizio riprenda a pagare regolarmente da subito dopo la moratoria. Il locatore inizialmente è riluttante: vorrebbe mandare via Tizio e affittare ad altri; ma l’esperto gli fa notare che il locale è molto specifico (attrezzato a ristorante giapponese) e che uno sfratto e cambio conduttore potrebbero lasciarlo mesi senza canone. Si concorda allora che metà degli arretrati di affitto (€10.000) saranno pagati entro l’omologa di un eventuale concordato (o entro 6 mesi se c’è accordo stragiudiziale), e l’altra metà sarà falcidiata; inoltre, Tizio paga regolarmente i canoni correnti da subito. I fornitori chirografari, vedendo la serietà delle proposte e il coinvolgimento dell’esperto, accettano in maggioranza un saldo al 50% in 4 anni (pagamento trimestrale). Il fisco/INPS viene coinvolto in una transazione fiscale e contributiva: l’Agenzia delle Entrate si dice disponibile a non opporsi se nel concordato le verrà riconosciuto il pagamento integrale dell’IVA (€10k) e del 20% di sanzioni e interessi (rinunciando al resto), rateizzati in 5 anni; l’INPS pure chiede il 100% dei contributi (che sono privilegiati) ma senza sanzioni.

Dopo 2 mesi di trattative, l’esperto conclude che c’è una bozza di accordo con l’80% dei creditori (in valore). Purtroppo un paio di fornitori minori (20%) rifiutano qualsiasi acconto inferiore al totale. Non essendo raggiunto il 100% di consenso, l’accordo stragiudiziale non può vincolare quei dissenzienti. Tizio, su consiglio dell’avvocato, decide quindi di trasformare il tutto in un Concordato minore da presentare al Tribunale, in modo da coinvolgere anche i dissenzienti e avere un titolo esecutivo sull’accordo. L’esperto della negoziata redige una relazione finale positiva (certificando che l’accordo proposto è fattibile e conveniente) e ciò agevola la transizione: entro 40 giorni Tizio, con assistenza di un OCC, deposita ricorso per concordato minore allegando il piano (che riflette gli accordi bilaterali raggiunti). Nel piano, tecnicamente: i crediti privilegiati (mutuo ipotecario e privilegio locatore su beni) sono soddisfatti al valore di realizzo; i crediti chirografari (fornitori) prendono ~50%; i crediti erariali privilegiati (IVA) prendono 100% ma dilazionato, le sanzioni tributarie come chirografe prendono 0%; contributi INPS privilegiati 100%. Il Tribunale ammette la procedura e convoca i creditori per il voto in adunanza. Nel frattempo conferma le misure protettive: lo sfratto rimane sospeso. Alcuni creditori che non avevano aderito inizialmente ora, vedendo che la maggioranza è favorevole, non si oppongono; anzi, si rendono conto che la proposta è seria (l’OCC ha attestato che in una liquidazione controllata prenderebbero forse il 20%, quindi il 50% è conveniente). Si raggiunge così la maggioranza richiesta (supere il 50% dei crediti votanti). Il Tribunale omologa il concordato minore.

Esito: Tizio riesce a proseguire l’attività. Nei mesi successivi, ottiene anche un piccolo prestito da un investitore (amico di famiglia) che entra in società (trasformerà la ditta individuale in una SRL unipersonale poi partecipata dall’investitore al 30%) – questi fondi freschi vanno in prededuzione e aiutano a pagare le prime quote concordatarie. Tizio onora gli impegni: paga puntualmente i canoni correnti d’affitto e la metà concordata degli arretrati al locatore, paga trimestralmente i fornitori per il 50% concordato (alcuni, apprezzando la buona fede, riprendono a fornire anche a breve, consolidando la ripresa del locale). La banca, grazie alla moratoria, non incardina mai un pignoramento e riferisce regolarmente in Centrale Rischi il rientro regolare secondo nuovo piano, migliorando gradualmente il rating di Tizio. Dopo 5 anni, Tizio ha pagato tutto quanto dovuto in base al concordato; il Tribunale dichiara eseguito il concordato minore e Tizio è legalmente esdebitato dai restanti debiti che erano stati falcidiati (circa €50k tra sanzioni, tagli chirografari, ecc.). Il sushi bar è ancora operativo e sano finanziariamente. In questo caso, la combinazione composizione negoziata + concordato minore è risultata vincente per difendere l’azienda dai creditori e al contempo soddisfarli meglio del fallimento.

Dal punto di vista di costi e tempi: la composizione negoziata è durata 3 mesi; il concordato minore, dall’istanza all’omologa, 6 mesi. I costi (onorari OCC, esperto, attestazioni) sono stati sostenuti in parte dilazionati come prededucibili nel concordato. Il “premio” è stato salvare l’immobile casa (grazie alla norma, Tizio ha continuato a pagare il mutuo e nessuno ha toccato la casa), e salvare il lavoro proprio e di 5 dipendenti.

Caso 2: Società a responsabilità limitata fallibile – liquidazione dell’azienda e esdebitazione del garante

Scenario: La società “Sushi Srl” gestisce un ristorante giapponese con due sedi. Durante la crisi Covid ha accumulato grosse perdite coprendole con debiti bancari (Prestiti Covid garantiti dallo Stato) e con moratorie su leasing di attrezzature. Nel 2024, con la fine delle moratorie, la Srl si trova a dover pagare rate e debiti per €400.000 totali, ma il fatturato non è tornato ai livelli pre-crisi e genera flussi insufficienti. Il socio unico e amministratore, Caio, ha anche prestato fideiussioni personali alle banche per €150.000. La Srl è insolvente: ha saltato diverse rate di leasing (macchinari da cucina), ha debiti tributari notevoli (IVA non versata di due anni per €80.000) e non riesce a pagare i fornitori (ulteriori €70.000). Non ha immobili, solo arredamento e cucina valutati €50.000 sul mercato usato. Ci sono 10 dipendenti con due mensilità arretrate. Caio e il suo consulente valutano le opzioni: la società è fallibile (supera le soglie dimensionali).

Caio, constatando che il mercato locale è saturo e non vede prospettive di risanamento, decide di cessare l’attività e cercare di contenere i danni personali. Potrebbe tentare un concordato preventivo liquidatorio, ma non ha offerte di acquisto dell’azienda e i beni coprono a malapena i crediti privilegiati (banca e fisco); inoltre, la società non ha liquidità per pagare le spese di procedura in continuità. Pertanto, su suggerimento dei consulenti, Caio opta per una liquidazione giudiziale (fallimento) in proprio: presenta ricorso al tribunale per l’apertura della liquidazione giudiziale, facilitando l’accesso dei dipendenti al Fondo di Garanzia e congelando la situazione. Il Tribunale dichiara aperta la liquidazione giudiziale della Sushi Srl. Viene nominato un Curatore. Immediatamente, le azioni esecutive cessano (leasing e banche devono rivolgersi al curatore, eventuali pignoramenti pendenti vengono assorbiti).

Il Curatore effettua un esercizio provvisorio brevissimo (1 mese) giusto per vendere le scorte e mantenere un minimo di valore avviamento mentre organizza un’asta per cedere l’attrezzatura e il marchio. Nessun investitore si fa avanti per rilevare l’impresa intera, così liquida in modo frazionato: macchinari venduti, cessata locazione delle sedi (restituite ai proprietari). Realizza circa €60.000 netti dalla vendita beni mobili. Nel frattempo, insinuano al passivo: una banca chirografaria (€100k, garantita dal Fondo centrale per 90% quindi incasserà dallo Stato e lo Stato subentrerà in parte al suo posto), la banca mutuataria per €50k residui leasing (con bene ripreso e venduto, il curatore riconosce credito chirografo residuo €10k), l’Agenzia Entrate per IVA €80k (credito privilegiato), l’INPS per TFR e stipendi anticipati dal Fondo di Garanzia (che paga ai 10 dipendenti 2 mensilità ciascuno + TFR, insinuandosi poi per circa €40k privilegiati), fornitori per €70k chirografari, e vari minori. Totale passivo insinuato €300k circa. Attivo €60k. Si soddisfano integralmente i crediti prededucibili (curatore, procedura) e in parte i privilegiati: l’IVA come credito privilegiato chirografario rimane in buona parte insoluto perché prima vengono i dipendenti e agenti (super privilegiati). I chirografari ordinari non ricevono nulla. In circa 18 mesi la liquidazione è chiusa (procedure semplificate, curatore fa riparti e rendiconto). La società Srl viene cancellata (cessa di esistere). I creditori insoddisfatti (praticamente tutti i chirografari e gran parte del Fisco) non possono più agire contro la società perché estinta.

E Caio personalmente? Egli come amministratore potrebbe temere azioni di responsabilità, ma avendo agito con trasparenza e chiesto il fallimento appena capito di non poter pagare i debiti, evita condotte distrattive. Il Curatore infatti non riscontra irregolarità gravi nella gestione (solo mala sorte economica). I creditori personali di Caio sono le banche a cui ha dato fideiussioni: in particolare, dopo la liquidazione, il Fondo di Garanzia statale escusso dalla banca COVID si rivale su Caio per l’importo pagato (dopo aver liquidato la società, resta un 10% non coperto dal Fondo che la banca ha perso). Complessivamente, Caio si trova con debiti personali per €120.000 verso banche e forse qualche fornitore che aveva garantito. Caio non possiede immobili (vive in affitto), ha un’auto modesta e nient’altro di valore; è quindi sovraindebitato come consumatore ora, senza reddito (ha chiuso l’azienda, è disoccupato). Caio allora, chiusa la liquidazione della Srl, chiede per sé l’esdebitazione del debitore incapiente come persona fisica. Dimostra di essere nullatenente e meritevole (i debiti derivano dal fallimento, non ha truffato nessuno, anzi ha collaborato col curatore). Il Tribunale accoglie la sua domanda e gli concede il beneficio: Caio viene liberato da tutti i debiti personali residui (fideiussioni). I creditori personali vengono avvisati che se Caio nei prossimi 4 anni erediterà qualcosa o troverà un lavoro ben retribuito, dovrà destinare loro la parte disponibile eccedente il minimo. Ma al momento Caio riparte da zero, senza debiti: trova un impiego come dipendente chef presso un ristorante di un conoscente e lentamente ricostruisce la sua vita economica. I suoi ex creditori invece prendono atto che più di tanto non avrebbero comunque potuto ottenere: in fin dei conti, la garanzia statale ha mitigato la loro perdita.

Esito: In questo caso, l’impresa non è stata salvata – era non recuperabile – però la procedura concorsuale ha protetto il debitore onesto dagli strascichi indefiniti dei debiti. I dipendenti hanno ricevuto il dovuto grazie al sistema dei Fondi e hanno trovato nuovo impiego; i creditori hanno avuto un accertamento formale delle loro perdite e possono almeno dedurle fiscalmente. Caio, pur avendo perso il business, non rimane marchiato a vita: dopo 4 anni tornerà completamente libero da ogni obbligo precedente. Se volesse in futuro avviare un nuovo locale (con maggiore cautela), non avrà i vecchi creditori a perseguitarlo né protesti a carico (la procedura concorsuale non comporta protesti come le esecuzioni individuali, e l’esdebitazione lo “pulisce” nelle banche dati creditizie in buona misura).

Questa simulazione mostra come l’uso combinato di fallimento ed esdebitazione può essere una strategia razionale dal punto di vista del debitore quando il salvataggio è impraticabile: invece di tardare e accumulare ulteriori debiti (ad esempio, evadere l’IVA avrebbe potuto condurre Caio anche a condanne penali), Caio ha scelto di far intervenire il tribunale. In questo modo ha ottenuto uno stop immediato alle pressioni (appena aperto il fallimento, i creditori non potevano più molestarlo con cause) e una via d’uscita legale dallo scenario debitorio. Certamente ha sacrificato il proprio ruolo imprenditoriale e il capitale investito (azzerato), ma ha evitato guai peggiori (azioni giudiziarie multiple, pignoramenti anche del suo stipendio futuro, reati tributari per IVA non pagata – l’apertura del fallimento ha interrotto l’aumento del debito IVA e in sede penale potrà invocare l’assenza di dolo, data la crisi conclamata).

Domande frequenti (FAQ) su debiti d’impresa e procedure di tutela

D: Cosa rischio se il mio sushi bar ha molti debiti e io non faccio nulla?
R: Rimanere inerti di fronte ai debiti è la scelta peggiore. In assenza di iniziative da parte tua, saranno i creditori ad agire secondo i loro interessi: i fornitori otterranno decreti ingiuntivi e pignoreranno conti o attrezzature, il proprietario del locale eseguirà uno sfratto lasciandoti senza sede, il fisco tramite l’Agente della Riscossione bloccherà il conto corrente o iscriverà ipoteche e fermi amministrativi, le banche segnaleranno l’insolvenza peggiorando il tuo merito creditizio e potranno attivare escussioni (anche sui garanti). L’esito probabile è una esecuzione forzata disordinata: diversi beni pignorati da soggetti diversi, aggravio di costi di giustizia e professionali, e in molti casi la possibile istanza di fallimento (se sei fallibile) o di liquidazione controllata promossa da qualche creditore maggiore. Inoltre, il debito cresce nel frattempo per interessi e spese legali. Potresti anche incorrere in responsabilità penali: ad esempio, continuando ad incassare e non pagando l’IVA o i contributi, superate certe soglie scattano reati (omesso versamento) che non vengono meno se non agisci. Restare passivo inoltre preclude l’accesso a misure di soluzione che richiedono tempestività: ad esempio, un concordato preventivo proposto dopo che i beni sono stati già pignorati e venduti serve a poco. In sintesi, il “non fare nulla” porta tipicamente alla perdita di controllo: l’impresa potrebbe finire spazzata via da azioni esecutive e tu, come debitore, ti troveresti comunque con i debiti (se rimangono insoddisfatti) e meno patrimonio per fronteggiarli. Meglio quindi muoversi proattivamente e scegliere uno degli strumenti di gestione del debito prima che la situazione degeneri del tutto.

D: Qual è la soglia di debito per cui si può essere dichiarati falliti (liquidazione giudiziale)?
R: Come visto, il Codice della Crisi richiede che il debitore imprenditore fallibile abbia debiti scaduti e non pagati superiori a €30.000 complessivi . Sotto tale soglia, non si apre la procedura di liquidazione giudiziale (fallimento). Attenzione: non significa che con 29.000 € di debiti sei “salvo” da ogni conseguenza – i creditori possono sempre agire individualmente (pignoramenti, sfratti, ecc.), semplicemente non potranno ottenere una procedura concorsuale di fallimento. Inoltre, la soglia si riferisce al totale dei debiti scaduti: quindi anche più creditori piccoli la cui somma supera 30k possono provocare il fallimento. Non serve che il creditore istante abbia esso stesso un credito sopra 30k (basta che il totale debiti del debitore superi la soglia) . Ricordo che per poter fallire occorre anche essere “imprenditore commerciale” e superare le soglie dimensionali dell’impresa minore (attivo €300k, ricavi €200k, debiti €500k): se sotto queste soglie, non sei soggetto a fallimento a prescindere e quindi i tuoi creditori dovranno usare solo le procedure di sovraindebitamento (liquidazione controllata) se vogliono una procedura concorsuale. In pratica: se gestisci un piccolo sushi bar individuale con 50k di debiti, i creditori non possono chiedere il tuo fallimento, ma possono chiedere la liquidazione controllata (che è l’equivalente per i non fallibili) oppure semplicemente pignorarti i beni.

D: La “liquidazione controllata” per un piccolo imprenditore può essere chiesta anche contro la mia volontà?
R: Sì. Mentre i piani e concordati minori sono volontari, la liquidazione controllata può essere iniziata su istanza di un creditore . Il tribunale, verificato che sei insolvente e che rientri tra i soggetti sovraindebitati (non fallibili), può aprire la procedura. Di fatto è il corrispettivo del fallimento per i piccoli: se la tua attività è decotta e un creditore (es. il Fisco, la banca) vuole evitare di inseguirti inutilmente, può domandare la liquidazione controllata, nella quale un liquidatore venderà i tuoi beni e poi ti libererai dei debiti residui. Se però hai zero beni, va detto, un creditore non ha molto incentivo a chiedere la liquidazione controllata (pagherebbe spese senza recuperare niente); in questi casi estremi, come visto, la legge prevede la chiusura rapida e l’esdebitazione del nulla. Quindi, la minaccia concreta del creditore di solito sorge quando c’è almeno qualche bene o quando vogliono “punirti” con una procedura formale (ad esempio per nominare un liquidatore che indaghi su eventuali atti in frode).

D: Ho sentito che in fallimento (liquidazione giudiziale) il curatore può annullare i pagamenti fatti prima. Cosa significa?
R: Si riferisce alle azioni revocatorie fallimentari (ora revocatorie concorsuali). Sono azioni con cui il curatore può far dichiarare inefficaci alcuni atti compiuti dal debitore prima della procedura, per recuperare asset alla massa. I casi più tipici: pagamenti preferenziali fatti nell’ultimo periodo a favore di qualche creditore a scapito di altri (nei 6 mesi prima del fallimento, se il creditore era a conoscenza dello stato di insolvenza); oppure atti dispositivi del patrimonio a titolo gratuito o a prezzo molto inferiore al mercato (fino a 2 anni prima). Ad esempio, se prima di fallire hai rimborsato solo il debito di un parente trascurando gli altri, o hai venduto macchinari a un amico per poca somma cercando di toglierli dalla massa, il curatore può chiedere al giudice di revocare quei pagamenti o vendite, recuperando somme o beni per distribuirle equamente. Nel contesto del sushi bar, vuol dire che se, presagendo la fine, paghi di nascosto solo alcuni fornitori “amici” e lasci altri a bocca asciutta, rischi che in fallimento quei fornitori amici debbano restituire i soldi al curatore (e tu non hai comunque soddisfatto permanentemente nessuno). Dunque, non conviene fare il “furbo” pagando selettivamente prima della procedura concorsuale: meglio includere tutti in un concordato, dove i pagamenti seguono regole paritarie. Le revocatorie non esistono, invece, nelle procedure da sovraindebitamento per i consumatori meritevoli (la L.3/2012 esentava i pagamenti eseguiti dal consumatore – ora nel CCII la revocatoria è prevista anche lì in verità, ma l’art. 270 CCII limita l’azione su atti in frode ai creditori commessi nei 5 anni precedenti). In ogni caso, come debitore, sappi che gli atti di frode verso i creditori (vendite simulate, spostamento di beni a familiari) possono non solo essere revocati ma integrano anche reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte o di bancarotta se poi fallisci. Meglio evitare del tutto.

D: Quali debiti non si cancellano nemmeno con fallimento o con l’esdebitazione?
R: Restano esclusi dall’esdebitazione (sia quella post-fallimentare, sia quella sovraindebitamento) alcuni debiti di natura “personale-punitive”. In particolare: obblighi di mantenimento e alimentari (es. assegni familiari dovuti all’ex coniuge o ai figli) – non puoi far fallire il dovere di mantenimento dei figli; debiti da risarcimento per fatti illeciti (delitti non colposi, di solito) – ad esempio se hai un debito perché hai causato volontariamente un danno e sei stato condannato a risarcire, quello non viene esdebitato, perché la legge considera che il responsabile debba continuare a dover riparare il torto; sanzioni amministrative e penali (multe, ammende) – lo scopo punitivo della sanzione fa sì che non possa essere condonato in concorso. Inoltre, rimangono fuori i debiti cosiddetti impignorabili: tecnicamente non sono toccati nelle procedure e quindi se li avevi restano (ad esempio, certe somme dovute allo Stato come fiscalità principale? Ma in realtà quelle rientrano). Su questo, il CCII all’art. 278 e 282-283 chiarisce appunto tali esclusioni. Quindi, per fare esempi concreti: se oltre ai debiti d’impresa avevi anche multe stradali dal Comune o multe penali, anche dopo il fallimento e l’esdebitazione quelle multe restano dovute (il Comune potrebbe rivalersi sul tuo stipendio futuro, perché non sono cancellate). Oppure, se non hai pagato gli assegni di mantenimento dovuti, la procedura non li estingue. Tuttavia, attenzione: debiti come le sanzioni tributarie (tipo sanzioni per tardivo versamento imposte) rientrano nelle “amministrative pecuniarie”, quindi in teoria restano esclusi dall’esdebitazione, ma se il fisco accetta in un concordato di rinunciarvi poi non te li chiederà; mentre se fallisci, formalmente quelle sanzioni non soddisfatte resterebbero a tuo carico anche dopo l’esdebitazione. Succede spesso però che l’Agente della Riscossione poi le annulli di fatto perché non c’è più nulla da prendere e costerebbe più recuperar le sanzioni separate. In linea di massima, ogni debito derivante da sanzione per un illecito (sia esso penale o amministrativo) e ogni debito di natura familiare di mantenimento restano vivi. Tutti gli altri – debiti commerciali, finanziari, fiscali (quanto a imposta e interessi), contributivi, ecc. – vengono invece cancellati dall’esdebitazione, a patto di rispettare la procedura.

D: In un concordato o piano del consumatore, posso includere e ridurre i debiti con il Fisco (IVA, tasse) e con l’INPS?
R: Sì, i debiti verso l’erario e gli enti previdenziali possono essere inseriti nei piani e concordati. Ci sono però regole speciali: in generale i debiti con privilegio (che per fisco e INPS sono la maggior parte, es: IVA è privilegiata, contributi pure) se vuoi ridurli (falcidiarli) devi necessariamente ottenere il consenso dell’ente tramite la procedura di transazione fiscale/previdenziale. Significa presentare un piano che preveda cosa offri a Erario/INPS e loro esprimeranno voto (nel concordato) o parere (nel piano consumatore). Se il fisco vota no e la classe dei chirografari non privilegia comunque quell’importo, il giudice non può imporre una falcidia dell’IVA ad esempio, perché per legge l’IVA può essere falcidiata solo col voto favorevole (lo conferma anche Cass. 30538/2024: il voto per crediti tributari spetta a AE e serve considerarlo). Discorso analogo per contributi. Quindi, puoi includerli sì, ma devi in pratica pagarli integralmente se vuoi che non si oppongano, oppure cercare un accordo di riduzione attraverso la transazione fiscale (che di solito accetta di tagliare sanzioni e interessi, raramente il capitale di IVA o ritenute). Invece i debiti fiscali chirografari (es. imposte non privilegiate, come alcune sanzioni o tributi locali non garantiti) possono essere trattati come gli altri chirografari e quindi ridotti senza necessità di consenso, purché il trattamento non sia peggiore di quello di altri chirografari nella stessa classe. Ad esempio in un piano del consumatore, il giudice può dire: “paghi il 30% dell’IVA e anche l’AE deve accontentarsi del 30%” solo se la legge in quel caso consente la falcidia (nel piano del consumatore si può fare perché non c’è voto, ma ci vuole meritevolezza). Nei concordati c’è stato un lungo dibattito, ma col CCII ormai la transazione fiscale è integrata: se il fisco vota no ma la maggioranza degli altri creditori sì, il tribunale potrebbe omologare ugualmente se ritiene la proposta di trattamento del fisco migliore della liquidazione (questo era controverso, chiamato cram-down fiscale, ora pare possibile in certe condizioni con l’art. 48 CCII). Quindi direi: sì, i debiti fiscali/previdenziali si possono ristrutturare, ma non unilateralmente come quelli dei fornitori; serve il rispetto di certe condizioni e solitamente il coinvolgimento attivo dell’ente. Nota: se un tuo piano non prevede affatto di pagare l’IVA dovuta, il tribunale non lo omologherà per contrasto con norme imperative (perché l’IVA è un tributo comunitario protetto) a meno che, appunto, non vi sia adesione dell’Agenzia Entrate. Quindi in pratica dovrai o pagarla integralmente dilazionata o convincere l’AE in sede di voto a accettare un parziale.

D: Se ho già ceduto la gestione a un’altra persona (prestanome) pensando di sfuggire ai debiti, posso comunque accedere alle procedure di sovraindebitamento o rischio guai?
R: L’utilizzo di un prestanome e il trasferimento fittizio dell’azienda sono comportamenti fortemente sconsigliati e potenzialmente illegali. Dal punto di vista delle procedure concorsuali, una persona che abbia dolosamente sottratto beni ai creditori (ad es., vendendo l’azienda sottobanco a un amico per non farla pignorare) verrà considerata non meritevole: il tribunale potrebbe rigettare il suo piano o concordato per mancanza di buona fede, oppure nella liquidazione non gli verrà concessa l’esdebitazione proprio perché ha distratto attivi. Inoltre, se hai fatto atti del genere, i creditori possono chiedere di revocarli (riportando i beni nella massa) e potresti incorrere in reati come bancarotta fraudolenta (se poi fallisci) o sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte. Quindi, se hai ceduto l’azienda a terzi per simulazione, la cosa migliore è riferirlo al professionista che ti assiste, per valutare come limitare il danno. Spesso, conviene annullare spontaneamente la cessione (se possibile) e includere quell’asset nella procedura concorsuale, così da mostrare ravvedimento. Le procedure di sovraindebitamento esigono trasparenza totale: se provi a barare, verrai scoperto (l’OCC indaga sui movimenti) e perderai ogni chance di omologa e di esdebitazione, rimanendo con i debiti e pure con accuse possibili. Quindi: meglio giocare a carte scoperte e usare le vie legali di protezione, piuttosto che creare schermi con prestanomi. Il punto delle procedure concorsuali è proprio dare sollievo al debitore onesto; per il debitore disonesto non c’è simpatia, anzi la legge lo punisce.

D: Posso evitare il fallimento o la liquidazione se pago almeno qualche creditore per volta?
R: Pagare qualche creditore isolatamente non impedisce ad un altro di presentare istanza di fallimento se rimane insoddisfatto e l’impresa è insolvente. Ad esempio, se hai 10 creditori e ne paghi 3 rumorosi, gli altri 7 comunque possono agire. Ai fini dell’insolvenza, il tribunale guarda la situazione generale, non il numero di creditori insoddisfatti: anche un solo creditore importante (es. banca o fisco) non pagato può giustificare il fallimento se il debito supera soglia e non c’è liquidità. Certo, pagando riduci il debito totale e magari scendi sotto la soglia di €30k (il che tecnicamente eviterebbe la declaratoria fallimentare); ma dev’essere un calcolo attento. Inoltre, come dicevamo, se poi comunque finisci in procedura, quei pagamenti selettivi potrebbero essere revocati. Quindi non è una strategia solida pagare “a macchia di leopardo” sperando di calmare tutti: rischi solo di posticipare l’inevitabile e di sprecare risorse magari preferendo qualcuno che poi dovrà restituire. È meglio concertare i pagamenti all’interno di un piano approvato dal tribunale, perché così avrai la certezza che quei pagamenti restano definitivi e utili a risanare. Fai eccezione solo per spese vitali e protette: stipendi correnti (pagali se riesci, perché così eviti di perdere i dipendenti e non sono revocabili in genere), forniture essenziali COD (cash on delivery) per tenere aperto il locale. Ma i debiti pregressi cerca di trattarli in modo uniforme con un accordo generale.

D: Quanto costa e quanto dura una procedura di concordato o di liquidazione?
R: I costi variano molto in base alla dimensione e complessità. Una composizione negoziata può costare poche migliaia di euro (il compenso dell’esperto è calmierato, spesso modulato sulle dimensioni azienda). Un concordato minore per un’attività piccola potrebbe avere costi attorno a €5-10 mila (tra OCC, legali, eventuali attestatori), spesso diluiti nel piano. Un fallimento/liquidazione controllata porta costi in percentuale sull’attivo realizzato: il compenso del curatore/liquidatore è stabilito per legge a scaglioni; se c’è poco attivo può anche lavorare quasi gratuitamente se la procedura è in deficit (in tal caso lo Stato integra in minima parte). In ogni caso, questi costi sono prededucibili: vengono cioè prima degli altri crediti, ma se l’attivo è piccolo, semplicemente i creditori chirografari prenderanno ancora meno o zero. Per il debitore, salvo che voglia iniettarli da fuori, i costi vengono dal patrimonio stesso. Sulle tempistiche: un concordato minore o piano consumatore possono concludersi nell’arco di 6-12 mesi dall’istanza all’omologa. Poi c’è l’esecuzione del piano che dura quanto previsto (possono essere anche anni di pagamenti rateali). Un fallimento medio dura 2-3 anni, ma il CCII mira ad accelerare (prevede chiusura entro 3 anni per liquidazioni controllate e procedure più semplici). Le liquidazioni con molti immobili notoriamente durano di più (anche 5-6 anni), ma per piccole imprese con pochi beni mobili, la chiusura può avvenire entro 1-2 anni. L’esdebitazione per la persona fisica fallita arriva subito dopo la chiusura: quindi se il fallimento dura 2 anni, in 2 anni e qualcosa potresti essere esdebitato. Nell’esdebitazione incapiente addirittura il beneficio è immediato (pochi mesi giusto il tempo del decreto). In sintesi: concordato preventivo/minore = ca. 1 anno per omologa + periodo di esecuzione; fallimento/liquidazione = 1-3 anni tipicamente; esdebitazione incapiente = pochi mesi, ma con condizionale 4 anni.

D: Dopo queste procedure, potrò in futuro aprire un’altra attività? O avrò disqualifiche a vita?
R: Una procedura concorsuale conclusa regolarmente non ti impedisce di tornare a fare impresa, salvo brevi periodi o casi particolari. Ad esempio, durante un fallimento aperto c’è interdizione dagli uffici direttivi di società (ma una volta chiuso e se sei esdebitato, puoi di nuovo aprire una società o start-up). L’esdebitazione rimuove anche le incapacità personali derivanti dal fallimento, restituendoti pieni diritti (salvo alcune eccezioni: per ruoli nel settore finanziario o pubblico, potrebbero chiedere dichiarazioni su precedenti insolvenze). Certo, dal punto di vista creditizio, la tua storia di insolvenza rimarrà per qualche tempo nelle banche dati (tipo CRIF e centrale rischi: un fallimento rimane registrato per 5 anni). Ma se poi costruisci una nuova reputazione, potrai riottenere credito. La legge stessa incoraggia il fresh start per evitare che l’ex fallito debba usare prestanomi: se hai avuto l’esdebitazione, sei come “pulito” verso i vecchi creditori. Dunque sì, potrai aprire un’altra attività – magari come nuova società – e nulla vieta pure che tu possa accedere di nuovo a procedure di composizione se sfortunatamente risuccedesse (anche se per l’esdebitazione c’è limite di una volta ogni 5 anni, max due volte). Naturalmente, sarebbe prudente capitalizzare l’esperienza: la seconda volta, un occhio di riguardo in più alla pianificazione finanziaria e al rapporto debiti/ricavi sarà opportuno, così da non incappare di nuovo in situazioni simili.

D: Se ho debiti personali estranei all’azienda (ad es. un mutuo casa intestato a me come persona, o un finanziamento personale), questi possono essere inclusi nella procedura insieme ai debiti dell’attività?
R: Sì, se sei imprenditore individuale sovraindebitato, tratti tutti i tuoi debiti insieme, personali e d’impresa, perché giuridicamente sei un unico soggetto. La procedura di sovraindebitamento (concordato minore o liquidazione controllata) riguarderà l’intero patrimonio e tutti i debiti. Tuttavia si deve fare attenzione alla qualifica di consumatore: se i debiti sono in buona parte personali, potresti essere tentato di usare il “piano del consumatore”, ma se hai anche debiti d’impresa non è ammesso mischiarli lì. Quindi, di solito si opterà per il concordato minore o liquidazione, dove confluiscono anche i debiti personali. Per un socio di società invece dipende: i debiti personali suoi (tipo il mutuo casa intestato al socio, che non c’entra con l’azienda) restano fuori dalla procedura della società. Se poi quel socio fallisce personalmente (perché era garante, ad esempio), allora nella sua procedura personale si sommano i suoi debiti di garanzia e personali. In un concordato minore di un imprenditore, nulla vieta di mettere anche il suo mutuo privato e magari proporre che continuerà a pagarlo fuori piano se vuole tenere la casa (quel creditore sarà trattato come un creditore con garanzia ipotecaria). Spesso succede: mescolando sfera privata e imprenditoriale, la procedura dà un “taglio” unico. Se c’è coincidenza con la famiglia (moglie, marito con debiti comuni), si può usare la procedura familiare: un unico piano per l’intero nucleo. Quindi, risposta breve: sì, i debiti personali possono essere inclusi e regolati insieme, purché la procedura scelta lo consenta (e di solito il concordato minore/liquidazione li comprende). Ricorda che se qualche debito è garantito da terzi, la tua procedura non libera il terzo garante (ad es. se il mutuo casa era cointestato con tuo coniuge, l’esdebitazione libera te ma non toglie la responsabilità all’altro coniuge).

D: I miei fornitori possono continuare a fornirmi durante il concordato?
R: Sì, in un concordato in continuità è previsto che i contratti pendenti (come quelli di fornitura periodica) proseguano regolarmente, salvo diversa decisione. I crediti dei fornitori per forniture durante la procedura sono in prededuzione (vengono pagati prima di tutti gli altri, come costi della procedura) proprio per incentivarli a continuare. La legge impedisce ai fornitori essenziali di interrompere per il solo fatto della procedura (salvo che tu non paghi le nuove forniture): ad esempio, i gestori di utenze non possono cessare la fornitura per bollette pregresse se paghi quelle correnti. Questo è utile: ti consente di proseguire l’attività durante il concordato senza che i fornitori (soprattutto di acqua, luce, gas, telefono) ti taglino i servizi. Naturalmente, i fornitori futuri vogliono garanzie: molti chiederanno pagamento alla consegna per non accumulare altro credito concorsuale. Ma quelli che credono nel rilancio, vedendo il commissario supervisionare, potrebbero accettare di continuare a darti merce a condizioni normali perché sanno che la procedura tutela il pagamento corrente. Dunque, durante il concordato, puoi e devi continuare a pagare i fornitori per le prestazioni post-apertura. I debiti pregressi verso di loro restano congelati e saranno soddisfatti secondo il piano (es. al 30%). Un nota: se un fornitore ha un contratto di fornitura a lungo termine con te, non può invocare la clausola di risoluzione solo perché hai fatto concordato (clausole “ipso facto” sono nulle). Può però chiedere garanzie aggiuntive per continuare se giustificato. In conclusione, sì, potrai comprare riso e pesce per il tuo ristorante durante la procedura, pagando regolarmente quei fornitori, e loro avranno priorità di pagamento. Sta a te comunicare bene e mantenere la fiducia.

D: Ho garantito debiti dell’azienda con la mia casa o con fideiussioni: la procedura mi tutela o rischio di perdere comunque la casa?
R: Se la casa è data in ipoteca per un debito (es. mutuo bancario), la procedura concorsuale non cancella l’ipoteca: potrà tuttavia gestirla nel piano. Se vuoi tenere la casa, devi continuare a pagare quel debito garantito come da contratto oppure come da accordo col creditore. La nuova norma sul concordato minore aiuta proprio in questo caso: se sei persona fisica e sei in regola col mutuo casa, il piano può prevedere di continuare le rate e non vendere l’immobile. In un fallimento invece, la casa ipotecata di solito viene venduta dal curatore e la banca prende il ricavato; tu potrai riacquistarla solo partecipando all’asta (non facile). Dunque, per difendere la casa, meglio il concordato minore (o la ristrutturazione consumatore) dove inserisci la clausola di prosecuzione del mutuo. Per le fideiussioni: purtroppo i garanti esterni (tipo tua moglie ha garantito un leasing) non sono protetti dalla tua procedura concorsuale. Il creditore può escuterli a meno che anch’essi non entrino in una procedura (es. procedura familiare congiunta). Quindi, se temi per il fideiussore, conviene farlo partecipare al piano familiare di sovraindebitamento: entrambi sarete coperti dalla moratoria e poi dall’esdebitazione. Se ciò non è possibile, sappi che ad esempio la banca potrebbe rivalersi sul garante anche se tu sei in concordato. In pratica, il doppio binario rimane: tu risolvi i tuoi debiti, ma la garanzia accessoria è un rapporto distinto. C’è un’eccezione: se il garante ha diritto di regresso verso di te (cioè se paga poi può chiedere a te) quel suo credito di regresso rientra nel tuo concorso ed è trattato come chirografo. Però nel frattempo lui ha pagato… Insomma, il garante rischia. Suggerimento: coinvolgi i garanti nelle trattative col creditore per trovare soluzioni globali (magari la banca preferisce aderire al piano riducendo il debito, piuttosto che escutere la garanzia e inseguire il garante se questo minaccia anch’egli sovraindebitamento). È delicato e va visto caso per caso.

D: Le procedure di sovraindebitamento e fallimento compaiono in qualche “fedina” o registro pubblico? Mi preoccupa la reputazione.
R: Le procedure concorsuali vengono pubblicate sul Registro delle Imprese e su pubblici registri per notizia ai creditori. Ad esempio, un concordato o un fallimento sono annotati sulla visura camerale dell’impresa e comunicati sul portale delle procedure concorsuali. Quindi sì, sono teoricamente visibili a chi fa ricerche (anche a clienti fornitori, banche). Tuttavia, fa parte di un circuito professionale: il pubblico generale non va a spulciare quei registri se non ha motivo. Inoltre, una volta chiusa la procedura, se l’impresa è cessata, col tempo l’informazione perde rilievo; se l’impresa prosegue dopo un concordato, anzi può dire “ha superato una crisi con successo”. In banche dati di credito (Crif, Cerved), comparirà la notizia almeno per alcuni anni. Quindi, a breve termine la reputazione è in qualche modo intaccata: ad esempio, un nuovo fornitore facendo un report potrebbe vedere che l’anno scorso la tua ditta era in concordato. Ma potresti spiegare che ora ne sei uscito risanato. Considera inoltre che peggio sarebbe avere pregiudizievoli come pignoramenti, protesti, decreti: quelli sì sono immediatamente visibili e spesso allarmanti. Un concordato indica piuttosto che hai affrontato la cosa legalmente e con trasparenza. Ci sono poi liste dei protesti e casellari: le procedure concorsuali non vanno nel casellario giudiziale (non essendo pene), però eventuali reati fallimentari sì (ma appunto, li eviti comportandoti bene). Quindi, reputazione: a breve potresti dover ricostruire fiducia, a medio-lungo la legge ti reintegra. E oggi c’è sensibilità sul fatto che una crisi d’impresa può capitare e non è uno stigma morale se gestita onestamente (tanto che la normativa EU insiste sul fresh start). D’altronde, ai creditori interessa più che tu abbia una situazione attuale sostenibile, piuttosto che il fatto storico della procedura. Forse all’inizio dovrai pagare fornitori anticipato e ottenere fidi piccoli, ma col tempo potrai dimostrare affidabilità.

D: Cosa succede ai dipendenti se attivo un concordato o fallisco?
R: In un concordato in continuità, i dipendenti rimangono in forza all’azienda, i loro stipendi correnti vanno pagati regolarmente come spese prededucibili. Gli arretrati (es. mensilità non pagate prima del concordato) vanno inseriti nel piano: di solito si prevede di pagarli integralmente o con lieve dilazione, perché hanno privilegio altissimo e perché è questione di equità (il tribunale difficilmente omologa un piano che taglia i salari non pagati). Quindi i lavoratori non perdono il posto e anzi il concordato può garantire loro il pagamento di ciò che erano in dubbio di ricevere. Se però il piano prevede una ristrutturazione che coinvolge esuberi, allora potresti licenziarne alcuni per giustificato motivo (cessazione attività di un punto vendita, ad esempio). In tal caso quei dipendenti licenziati diventano creditori per TFR e competenze di fine rapporto nel concordato, e anch’essi vanno soddisfatti (ma avranno comunque il Fondo di Garanzia INPS come paracadute se qualcosa va male). Nel fallimento/liquidazione giudiziale, invece, i dipendenti vengono automaticamente licenziati dal curatore entro breve (giorno della sentenza o subito dopo). Hanno diritto alle loro spettanze di fine rapporto (salari maturati, TFR, ferie) in privilegio sul fallimento. Ma praticamente, non dovendo attendere l’esito incerto, possono fare domanda al Fondo di Garanzia INPS il quale paga loro TFR e ultime 3 mensilità (entro massimali), poi l’INPS subentra nel credito. Quindi i dipendenti di regola non restano senza tutela: o l’impresa continua (concordato) e quindi mantengono lavoro e ottengono arretrati via piano, oppure l’impresa chiude (fallimento) e allora ricevono intervento INPS e possono cercare un altro impiego. Certo, perdono il posto di lavoro se l’azienda chiude, ma questo spesso sarebbe inevitabile comunque in una crisi gravissima. Da notare: nelle procedure negoziate c’è attenzione al fattore occupazionale; anche la legge, per concedere esdebitazione, guarda se il debitore ha abusato del lavoro altrui aggravando dolosamente la situazione. Se un imprenditore in crisi non paga i dipendenti per mesi e li sfrutta, potrebbe vedersi negata l’esdebitazione poi. Dunque, conviene anche eticamente tutelare i lavoratori.

D: In sintesi, quale strategia dovrebbe seguire il titolare di un piccolo ristorante sommerso dai debiti?
R: Riassumendo i consigli emersi: 1) Non nascondere la testa sotto la sabbia: analizza subito l’entità dei debiti, magari con un professionista, e valuta la sostenibilità reale (c’è margine per recuperare o no). 2) Negozia attivamente: contatta i creditori chiave (banca, locatore, fornitori maggiori) e spiegando la situazione tenta accordi provvisori (moratorie) per guadagnare tempo. 3) Fermati dall’aggravare la posizione: ad esempio, non continuare ad accumulare debiti fiscali pensando “poi vedrò”, perché intanto maturano sanzioni e rischi penali. Meglio fermare l’attività se genera solo perdite o ridurre il perimetro (chiudere un secondo locale in perdita per salvare il principale). 4) Usa i supporti istituzionali: rivolgiti a un OCC o ad una consulenza specializzata per attivare magari una Composizione Negoziata – è gratuita e può darti strumenti di protezione. 5) Scegli la procedura adatta: se hai prospettive di continuare, prepara un piano di rilancio e proponi un concordato minore; se vedi che non c’è nulla da fare, meglio avviare tu per tempo la liquidazione (controllata o fallimento) per gestirla ordinatamente e non farti trovare impreparato da un’azione dei creditori. 6) Tutela il necessario: se possibile, salva i beni essenziali (la prima casa, gli strumenti del lavoro) utilizzando le norme a tuo favore (es. quella sul mutuo casa nel concordato, o chiedendo al liquidatore di lasciarti beni non appetibili che servono per vivere – c’è una lista di beni impignorabili come letti, frigo di casa, ecc.). 7) Collabora e sii trasparente: con il tribunale, con i creditori, con gli organi delle procedure. Questo atteggiamento spesso genera anche più indulgenza da parte dei creditori stessi (che preferiscono magari accettare il 30% concordato piuttosto che fare fallire chi percepiscono in buona fede). 8) Impara e riparti pulito: una volta conclusa la procedura (che sia concordato eseguito o esdebitazione post-liquidazione), fai tesoro degli errori gestionali che hanno portato all’indebitamento, e riparti senza quei debiti. L’ordinamento ti dà questa seconda chance perché un imprenditore onesto merita di poter contribuire ancora all’economia. Dunque, l’approccio strategico è: affrontare presto i problemi, utilizzare le leve legali disponibili per congelare e ridurre il debito (invece di subirlo passivamente), e infine voltare pagina con l’aiuto delle norme di fresh start.

Gestisci un sushi bar, un ristorante giapponese o un’attività di ristorazione asiatica e stai affrontando debiti con il Fisco, l’INPS, le banche o i fornitori? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Gestisci un sushi bar, un ristorante giapponese o un’attività di ristorazione asiatica e stai affrontando debiti con il Fisco, l’INPS, le banche o i fornitori?
Hai ricevuto cartelle esattoriali, intimazioni di pagamento o rischi pignoramenti, ipoteche e blocchi dei conti correnti da parte dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione o degli istituti di credito?

👉 Prima regola: non aspettare che la situazione peggiori.
Nel settore della ristorazione, dove i margini sono ridotti e i costi fissi elevati (materie prime, affitti, personale), basta un periodo di calo nelle presenze per innescare un indebitamento serio.
Con una difesa legale e fiscale mirata, puoi bloccare azioni esecutive, rinegoziare i debiti e proteggere la tua attività, i conti e la tua reputazione commerciale.


⚖️ Le cause più comuni di indebitamento per un sushi bar

  • Calo delle presenze o aumento della concorrenza locale.
  • Costi elevati di affitto, forniture e personale.
  • Ritardi nei pagamenti da parte di società di delivery o clienti business.
  • Debiti fiscali e contributivi (IVA, INPS, IRPEF, IRAP) non versati.
  • Cartelle esattoriali accumulate e interessi di mora.
  • Leasing onerosi per attrezzature da cucina e arredi.
  • Errori nella gestione contabile e mancanza di pianificazione fiscale.

📌 I rischi per un sushi bar indebitato

  • Cartelle esattoriali e pignoramenti su conti correnti e incassi giornalieri.
  • Ipoteca su immobili, locali o magazzini di proprietà.
  • Fermi amministrativi su veicoli aziendali o mezzi per le consegne.
  • Revoca di linee di credito e affidamenti bancari.
  • Blocco dei rimborsi fiscali o dei crediti IVA.
  • Rischio di liquidazione giudiziale (ex fallimento) in caso di insolvenza prolungata.

🔍 Cosa fare subito

  • Analizza la tua posizione debitoria, distinguendo tra debiti fiscali, contributivi e bancari.
  • Verifica la legittimità di cartelle e atti notificati, molti contengono errori o debiti prescritti.
  • Blocca pignoramenti e azioni esecutive con ricorsi o istanze di sospensione.
  • Richiedi rateizzazioni o definizioni agevolate (“rottamazioni”), se previste dalla legge.
  • Affidati a un avvocato tributarista esperto in crisi aziendali nel settore food, per elaborare un piano di risanamento personalizzato.

🧾 Strumenti per difendersi e risolvere i debiti

💠 Rateizzazione delle cartelle
Puoi ottenere fino a 120 rate mensili e sospendere pignoramenti e riscossioni in corso.

💠 Definizione agevolata o “rottamazione”
Consente di pagare solo l’imposta dovuta, eliminando sanzioni e interessi di mora.

💠 Ricorso tributario o istanza di autotutela
Per annullare o sospendere cartelle viziati da errori o prescrizioni.

💠 Composizione negoziata della crisi (D.Lgs. 14/2019)
Prevista dal Codice della Crisi d’Impresa, consente di negoziare con Fisco, banche e fornitori, salvando la continuità aziendale e sospendendo le azioni dei creditori.

💠 Piano di risanamento aziendale
Con una consulenza legale e contabile, puoi ristrutturare i debiti, ridurre i costi e garantire la sopravvivenza del tuo ristorante.


🛠️ Strategie di difesa per un sushi bar indebitato

  • Analizzare ogni cartella e atto per individuare vizi, prescrizioni o importi errati.
  • Contestare pignoramenti, ipoteche e fermi amministrativi illegittimi.
  • Dimostrare la crisi temporanea di liquidità per accedere a rateizzazioni agevolate.
  • Attivare accordi di rientro e saldo e stralcio con banche, Fisco e fornitori.
  • Tutelare attrezzature, arredi e incassi da azioni esecutive.
  • Migliorare la gestione fiscale e la pianificazione dei costi per evitare nuovi debiti.

⚖️ Perché agire subito è fondamentale

Nel settore della ristorazione, la continuità operativa e la reputazione del locale sono tutto.
Un pignoramento o un blocco dei conti può compromettere approvvigionamenti, personale e clientela abituale.

Agire tempestivamente consente di:

  • Bloccare cartelle e azioni di riscossione.
  • Difendere il tuo locale, il magazzino e le attrezzature.
  • Rinegoziare debiti e ridurre l’esposizione fiscale.
  • Ripristinare equilibrio finanziario e continuità gestionale.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza la situazione debitoria e tutta la documentazione ricevuta.
📌 Verifica la legittimità di cartelle, ipoteche e pignoramenti.
✍️ Predispone piani di risanamento, istanze di autotutela e ricorsi tributari su misura.
⚖️ Ti rappresenta davanti all’Agenzia delle Entrate-Riscossione, alle banche e alla Corte di Giustizia Tributaria.
🔁 Offre consulenza continuativa su fiscalità della ristorazione, tutela patrimoniale e gestione della crisi d’impresa.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e gestione della crisi d’impresa.
✔️ Specializzato nella difesa di ristoranti, sushi bar e imprese del settore food contro debiti fiscali e bancari.
✔️ Gestore della crisi d’impresa iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Un sushi bar con debiti può ripartire e tornare redditizio, ma serve agire subito con una strategia legale e fiscale ben definita.
Con l’assistenza giusta puoi bloccare cartelle e pignoramenti, rinegoziare debiti e proteggere la tua attività, il tuo personale e la tua reputazione.

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  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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