Hai un’azienda idrica o una società che gestisce reti o servizi di distribuzione con debiti fiscali o sotto accertamento dell’Agenzia delle Entrate?
Il settore idrico e delle utilities è oggi sotto forte pressione: costi energetici elevati, vincoli normativi, crediti non riscossi e ritardi nei trasferimenti pubblici possono generare gravi squilibri finanziari.
Molte società che si occupano di gestione, manutenzione o distribuzione idrica si trovano a dover fronteggiare debiti con il Fisco, l’INPS o i fornitori, aggravati da accertamenti fiscali, cartelle esattoriali e blocchi di liquidità che mettono a rischio la continuità del servizio.
Con una difesa legale e fiscale mirata, è possibile bloccare la riscossione, rateizzare i debiti e contestare gli accertamenti infondati, tutelando il patrimonio aziendale, il personale e la continuità del servizio idrico.
Quando un’azienda idrica entra in difficoltà fiscale o finanziaria
Le situazioni più comuni che portano una società del settore idrico ad accumulare debiti o subire controlli fiscali sono:
- Cartelle esattoriali o intimazioni di pagamento per IVA, IRES, IRPEF o contributi non versati
- Accertamenti fiscali legati alla gestione delle tariffe, dei rimborsi o dei rapporti con gli enti pubblici
- Pignoramenti o ipoteche su conti correnti, immobili o impianti
- Sanzioni e interessi che fanno crescere rapidamente l’importo del debito
- Ritardi nei pagamenti da parte di Comuni, consorzi o utenti finali
- Errori contabili o gestionali nella rendicontazione o nella fatturazione del servizio
Cosa fare se la tua azienda idrica ha debiti o è sotto accertamento fiscale
Agisci subito: ogni atto (cartella, intimazione o accertamento) ha scadenze precise – solitamente 60 giorni dalla notifica – per essere impugnato o rateizzato.
Ecco le prime azioni da intraprendere:
- Verifica la legittimità degli atti ricevuti: molti accertamenti contengono errori di notifica, calcoli errati o motivazioni generiche che ne consentono l’annullamento.
- Controlla l’importo reale del debito: spesso le somme comprendono sanzioni e interessi eccessivi, riducibili con una definizione agevolata.
- Richiedi la rateizzazione: puoi ottenere fino a 120 rate mensili, sospendendo temporaneamente le azioni di riscossione.
- Valuta la definizione agevolata (rottamazione): se attiva, permette di pagare solo il capitale dovuto, cancellando sanzioni e interessi.
- Impugna gli accertamenti infondati: con un ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria puoi bloccare la riscossione e difendere la tua azienda.
Come difendersi legalmente e fiscalmente
Un avvocato tributarista esperto nella difesa delle società di pubblica utilità e servizi idrici può analizzare la posizione dell’azienda e sviluppare una strategia personalizzata, volta a tutelare sia la solidità economica sia la continuità del servizio pubblico.
Le azioni più efficaci comprendono:
- Contestare vizi di notifica, prescrizione o calcolo nelle cartelle e negli accertamenti
- Chiedere la sospensione immediata di pignoramenti o blocchi dei conti aziendali
- Presentare ricorso contro accertamenti IVA, IRES o contributivi fondati su presunzioni o dati incompleti
- Negoziare rateizzazioni o accordi fiscali con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione
- Tutelare impianti, conti e beni aziendali da azioni esecutive
- Migliorare la gestione contabile e amministrativa per prevenire nuove esposizioni debitorie
Il ruolo dell’avvocato nella difesa delle aziende idriche
Un avvocato specializzato può:
- Analizzare la legittimità di cartelle, accertamenti e intimazioni di pagamento
- Predisporre ricorsi e istanze di sospensione immediata della riscossione
- Negoziare piani di rateizzazione e definizioni agevolate
- Difendere la società nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate e nei giudizi tributari
- Proteggere i beni, le infrastrutture e i conti aziendali da pignoramenti o sequestri
- Tutelare la continuità operativa e contrattuale con gli enti pubblici
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
- La sospensione immediata delle procedure di riscossione
- L’annullamento totale o parziale dei debiti illegittimi o prescritti
- La rateizzazione o definizione agevolata delle somme dovute
- La tutela del patrimonio aziendale e della gestione del servizio
- Il risanamento fiscale e la stabilità economica dell’azienda
⚠️ Attenzione: ignorare cartelle o accertamenti può portare a pignoramenti, blocchi dei conti correnti e sequestri di impianti, con conseguenze gravissime sulla gestione del servizio idrico e sui rapporti con gli enti locali.
Molte situazioni, però, possono essere risolte o fortemente ridotte se affrontate tempestivamente con una difesa legale e fiscale competente.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, crisi d’impresa e difesa fiscale delle società di servizi pubblici – spiega cosa fare se la tua azienda idrica ha debiti o è sotto accertamento, come bloccare la riscossione e come ristabilire la solidità economica e operativa della tua attività.
👉 Hai ricevuto cartelle, accertamenti o richieste di pagamento per la tua azienda idrica?
Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo.
Analizzeremo la tua situazione, verificheremo la legittimità degli atti e costruiremo una strategia difensiva personalizzata per proteggere la tua azienda, i tuoi beni e la continuità del servizio.
Introduzione
Le aziende che gestiscono il servizio idrico integrato in Italia – siano esse società pubbliche, private o miste – possono trovarsi esposte a situazioni di forte indebitamento. Ciò può derivare da molteplici fattori: investimenti infrastrutturali onerosi, inefficienze gestionali, morosità diffusa dell’utenza o tariffe non remunerative. Data la natura essenziale del servizio idrico (riconosciuto come servizio pubblico locale di rilevanza economica e come servizio pubblico essenziale ai sensi della legge 146/1990), l’insolvenza di un gestore idrico presenta criticità uniche. Da un lato vi sono le norme giuridiche – di diritto commerciale, fallimentare e amministrativo – che disciplinano le sorti dell’azienda debitrice e i diritti dei creditori; dall’altro lato vi è l’esigenza primaria di tutelare la continuità del servizio verso i cittadini e le imprese utenti, evitando interruzioni nella fornitura d’acqua potabile e nella depurazione delle acque reflue.
In questa guida – aggiornata a settembre 2025 – forniremo un’analisi dettagliata e avanzata su cosa un’azienda idrica debitrice può fare per gestire e risanare la propria situazione debitoria e su come difendersi dalle azioni dei creditori, il tutto dal punto di vista del debitore (ossia dell’azienda idrica stessa). Il taglio è di livello avanzato, adatto a professionisti legali ma con approccio divulgativo per risultare utile anche a privati cittadini e imprenditori coinvolti nel settore idrico. Verranno illustrati il quadro normativo italiano di riferimento, gli strumenti giuridici per la gestione della crisi d’impresa, le pronunce giurisprudenziali più recenti e autorevoli (comprese sentenze aggiornate al 2024-2025) e le migliori strategie difensive. Troverete inoltre tabelle riepilogative, domande e risposte frequenti, nonché casi pratici simulati riguardanti aziende idriche indebitate, per comprendere in concreto l’applicazione delle norme.
Lo scopo è fornire una guida completa che permetta al lettore di orientarsi in una materia complessa – incrocio di diritto societario, fallimentare e amministrativo – con particolare attenzione alla normativa italiana e alle peculiarità delle aziende idriche, siano esse pubbliche, private o miste. La prospettiva adottata è quella del debitore: come l’azienda idrica può tutelarsi legalmente, quali obblighi deve rispettare e quali opzioni ha a disposizione per evitare il tracollo finanziario, assicurando al contempo il servizio agli utenti.
Quadro generale e contesto normativo del servizio idrico integrato
Il servizio idrico integrato (SII) comprende l’insieme delle attività di captazione, adduzione e distribuzione di acqua potabile, fognatura e depurazione delle acque reflue. In Italia il SII è organizzato su base locale (ambiti territoriali ottimali, ATO) ed è disciplinato principalmente dalla parte III del Decreto Legislativo 3 aprile 2006 n.152 (c.d. “Codice dell’Ambiente”), nonché da normative regionali attuative. L’ente di governo dell’ambito (oggi spesso denominato EGATO o Autorità d’Ambito) affida la gestione del servizio idrico a un gestore unico per ciascun ATO, tipicamente tramite concessione o altra forma contrattuale. La legge prevede che il servizio idrico sia gestito in modo unitario e secondo principi di efficienza ed economicità, essendo un servizio pubblico a rilevanza economica (dunque da svolgersi contro corrispettivo tariffario e non a titolo gratuito) . In base all’art. 154 del Codice dell’Ambiente, la tariffa del servizio idrico costituisce il corrispettivo dovuto dagli utenti e deve assicurare la copertura integrale dei costi di esercizio e investimento del servizio . Ciò significa, in teoria, che la gestione del SII dovrebbe sostenersi finanziariamente attraverso le bollette pagate dagli utenti, evitando strutturalmente situazioni di dissesto. In pratica, tuttavia, vari gestori idrici si sono trovati – per motivi che vedremo – a operare in perdita e ad accumulare ingenti debiti.
A seguito del referendum del 2011 sull’acqua pubblica, il legislatore ha enfatizzato il controllo pubblico del settore idrico. È stato introdotto l’art. 149-bis del D.Lgs. 152/2006, che – come interpretato dalla giurisprudenza amministrativa – ha escluso la partecipazione di capitali privati nella gestione in house del servizio idrico . In altre parole, oggi molte gestioni sono affidate a società interamente pubbliche in house (partecipate solo da enti locali), oppure a società miste pubblico-private selezionate tramite gara, oppure – in minor misura – a concessionari totalmente privati. Questa distinzione tra gestori pubblici e privati ha riflessi importanti in caso di crisi debitoria, come vedremo.
Va evidenziato che le infrastrutture idriche (acquedotti, reti di distribuzione, fognature, depuratori) sono per legge di proprietà pubblica demaniale. L’art. 143 del Codice dell’Ambiente stabilisce che tali opere, se di proprietà pubblica, fanno parte del demanio pubblico e sono inalienabili . Questo significa che il gestore (anche se società privata) normalmente ha solo un diritto di uso/gestione su reti e impianti, ma non ne è proprietario: tali beni restano fuori dal patrimonio disponibile dell’azienda e dunque non possono essere aggrediti dai creditori né liquidati per pagare i debiti . Tale principio tutela la continuità del servizio (le infrastrutture restano destinate all’uso pubblico) ma implica che i creditori di un’azienda idrica dovranno soddisfarsi su altri beni del gestore (ad es. i flussi di cassa, i beni mobili, i crediti verso utenti, ecc.).
Dal 2012 la regolazione tariffaria e la tutela degli utenti del SII sono affidate all’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA). ARERA fissa il metodo tariffario idrico e standard di qualità contrattuale e tecnica, inclusa la continuità del servizio. Essa prevede anche indennizzi agli utenti in caso di interruzioni prolungate e ingiustificate della fornitura . Questo ulteriore elemento di contesto sottolinea come il gestore idrico, pur essendo spesso un soggetto societario di diritto privato, operi in un quadro di vincoli pubblicistici stringenti: la necessità di investimenti continui per manutenere la rete e garantire qualità, il controllo tariffario esterno, il divieto di interrompere il servizio anche in caso di morosità dell’utente salvo procedure graduate, ecc. Tutto ciò può influire sui bilanci aziendali, rendendo talora difficile l’equilibrio economico.
In sintesi, il settore idrico è caratterizzato da una compenetrazione di interesse pubblico e gestione imprenditoriale: da un lato la natura demaniale delle infrastrutture e l’essenzialità del servizio richiedono la salvaguardia dell’utenza; dall’altro lato il gestore opera come impresa, assumendo rischi economici e giuridici come qualsiasi altra società. Proprio su quest’ultimo punto è intervenuta in più occasioni la Corte di Cassazione per chiarire che le società di gestione dei servizi pubblici (incluse quelle idriche partecipate da enti) non perdono la loro natura privata e restano soggette alle regole ordinarie in caso d’insolvenza . Approfondiremo nel prossimo paragrafo le diverse forme giuridiche dei gestori idrici e le implicazioni in materia di procedure concorsuali.
Forme giuridiche dei gestori idrici e regime di insolvenza
Le modalità organizzative con cui un servizio idrico può essere gestito influenzano direttamente il regime giuridico applicabile in caso di indebitamento e crisi d’impresa. È dunque fondamentale distinguere le principali forme giuridiche dei gestori del SII:
- Società di capitali a partecipazione pubblica (in house o miste) – La maggior parte dei servizi idrici oggi è affidata a società per azioni (o a responsabilità limitata) partecipate interamente o in prevalenza da enti pubblici (tipicamente i Comuni dell’ambito). Le società in house providing sono quelle totalmente pubbliche, cui l’ente affida il servizio senza gara, operando esse come un’estensione organizzativa dell’ente stesso . Vi sono poi società miste, con soci privati selezionati. Esempi: Acquedotto Pugliese S.p.A. (interamente pubblica), Hera S.p.A. (multiutility quotata partecipata da comuni), ecc. Dal punto di vista giuridico, queste società sono enti dotati di personalità giuridica di diritto privato (società di capitali) e come tali qualificate in generale come imprenditori commerciali. Negli anni passati vi è stato dibattito se le società in house potessero considerarsi equiparate alla pubblica amministrazione e quindi sottratte alle procedure concorsuali fallimentari. La posizione attuale, definitivamente sancita dalla giurisprudenza e dalla legge, è che tutte le società a partecipazione pubblica, incluse le in house, sono assoggettabili a fallimento e procedure affini . La Cassazione (sent. n. 22209/2013) ha affermato che una società per azioni pubblica rimane un soggetto privato e dunque, se svolge attività d’impresa, è fallibile al pari delle società di diritto comune, in quanto la scelta di operare tramite società di capitali comporta l’assunzione dei rischi d’insolvenza, pena violare i principi di parità di trattamento e di concorrenza . Questo principio è ora recepito dall’art. 14, comma 1 del Testo Unico sulle Società a Partecipazione Pubblica (D.Lgs. 19 agosto 2016 n. 175, detto TUSP), secondo cui “Le società a partecipazione pubblica sono soggette alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo, nonché […] a quelle in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza” . Ne consegue che un gestore idrico costituito in forma di S.p.A. (anche interamente pubblico) può essere dichiarato fallito (oggi si direbbe assoggettato a liquidazione giudiziale, secondo la nuova terminologia del Codice della Crisi) ove ne ricorrano i presupposti, o può accedere a procedure di concordato preventivo o ristrutturazione del debito. Su questo non vi sono più dubbi interpretativi in sede di legittimità . Un corollario importante: l’art. 14, comma 6 TUSP stabilisce che, se una società a controllo pubblico titolare di affidamenti diretti viene dichiarata fallita, gli enti pubblici soci non possono nei successivi 5 anni costituire nuove società o detenere partecipazioni in società che gestiscano i medesimi servizi di quella fallita . Questa norma mira a evitare facili “rinascite” di società pubbliche per aggirare il fallimento, e implica che in caso di default di una società in house l’ente locale spesso dovrà optare per soluzioni diverse (ad es. affidamento temporaneo a terzi o gestione tramite altro soggetto già esistente).
- Società di capitali private concessionarie – In alcuni casi (specie pre-referendum 2011 o in particolari contesti) il servizio idrico è affidato tramite gara a società private, ossia operatori economici puri. Esempio: Girgenti Acque S.p.A., società privata già affidataria del SII nell’ATO di Agrigento fino al 2021. Queste società operano in base a un contratto di concessione o affidamento con l’Autorità d’Ambito e percepiscono le tariffe dagli utenti. Dal punto di vista concorsuale, si tratta pacificamente di imprese commerciali private, dunque fallibili in caso d’insolvenza e soggette al Codice della Crisi d’Impresa al pari di qualsiasi altra società. Vale per esse quanto detto sopra: l’eventuale stato di insolvenza può portare a concordato preventivo, amministrazione straordinaria (se di grandi dimensioni) o liquidazione giudiziale. Un aspetto specifico è che il fallimento o grave inadempimento contrattuale del concessionario privato può determinare la risoluzione/revoca della concessione da parte dell’ente affidante per sopravvenuta carenza dei requisiti finanziari e organizzativi richiesti per la gestione . In pratica, se una società privata affidataria entra in crisi irreversibile, l’ATO o la Regione interviene per affidare il servizio ad un altro operatore, data la necessità di garantire comunque la continuità della fornitura idrica.
- Enti pubblici economici: aziende speciali e consorzi tra enti locali – In alcune realtà locali, la gestione del SII non è affidata a società di capitali, bensì a enti strumentali degli enti locali dotati di personalità giuridica pubblica. Ci riferiamo alle aziende speciali previste dal T.U. Enti Locali (art. 114 D.Lgs. 267/2000) e ai consorzi tra enti locali (art. 31 D.Lgs. 267/2000) eventualmente costituiti per il servizio idrico. Tali soggetti, pur operando con criteri di impresa (donde la qualifica di “ente pubblico economico”), hanno natura pubblicistica: il loro capitale di dotazione è di enti pubblici, gli organi possono essere nominati dai soci pubblici, e sono sottoposti a controlli pubblici (es. vigilanza prefettizia o regionale). Un esempio è l’Azienda Idrica Comuni Agrigentini (AICA), costituita nel 2021 in forma di consorzio di Comuni/azienda consortile pubblica per subentrare al gestore privato fallito in provincia di Agrigento ; un altro esempio è Congesi – Consorzio tra Comuni che gestisce il SII nel Crotonese. Questi enti pubblici economici non sono soggetti alle procedure concorsuali ordinarie previste per le imprese private. Infatti, l’art. 1 del nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019) esclude espressamente dal proprio campo di applicazione gli enti pubblici. La giurisprudenza più recente ha qualificato consorzi e aziende speciali nel settore idrico come enti pubblici economici e, proprio in quanto enti pubblici, non fallibili. Ad esempio, la Corte di Appello di Catanzaro nel 2024, confermando la decisione del Tribunale di Crotone, ha negato l’assoggettabilità al fallimento (liquidazione giudiziale) di Congesi, consorzio pubblico tra comuni, richiamando la natura di ente pubblico economico del medesimo e l’inapplicabilità del Codice della Crisi agli enti pubblici . In tale vicenda, un importante creditore (la società regionale Sorical) aveva richiesto la liquidazione giudiziale o, in subordine, la liquidazione controllata per insolvenza, ma i giudici hanno escluso entrambe, riconoscendo che la normativa sul sovraindebitamento (destinata ai soggetti “non fallibili”) non contempla comunque gli enti pubblici economici . Dunque, se il gestore idrico è un ente pubblico come un’azienda speciale o un consorzio di enti, esso non potrà essere dichiarato fallito né accedere a concordato preventivo, rimanendo al di fuori delle procedure concorsuali tipiche. Ciò non significa che i suoi debiti si dissolvano: i creditori potranno agire con strumenti di diritto comune (decreti ingiuntivi, pignoramenti sui beni disponibili, ecc.), ma l’ente in quanto tale non potrà essere liquidato se non attraverso i meccanismi di estinzione/liquidazione previsti per quell’ente (ad es., deliberazione di scioglimento da parte degli enti locali soci e nomina di un liquidatore amministrativo). In pratica, l’insolvenza di un ente pubblico economico locale ricade sulla sfera pubblicistica: sarà richiesto l’intervento degli enti soci (che potrebbero dover ripianare le perdite o farsi carico del servizio direttamente) oppure un intervento legislativo ad hoc. È opportuno sottolineare che questa “non fallibilità” costituisce un’arma a doppio taglio: da un lato l’ente non rischia il fallimento giudiziale, dall’altro però i suoi creditori possono aggredirne i beni disponibili e le relative obbligazioni ricadono, in ultima istanza, sugli enti pubblici partecipanti (con possibili responsabilità erariali se la gestione è stata colpevolmente deficitaria).
- Gestione in economia da parte del Comune – Ipotesi ormai residuale, ma possibile per piccoli enti: il Comune gestisce direttamente il servizio idrico senza soggetti societari esterni. In tal caso, evidentemente, non vi è un soggetto distinto su cui far valere i debiti: tutte le obbligazioni del servizio ricadono sull’ente locale stesso, e dunque sulla sua contabilità pubblica. I debiti saranno debiti dell’ente pubblico territoriale e andranno trattati secondo le regole della finanza pubblica (con eventuale ricorso a strumenti come il riequilibrio finanziario ex art. 243-bis TUEL o, nei casi estremi, il dissesto finanziario del Comune). Questa forma di gestione, tuttavia, è in via di superamento: la normativa vigente (art. 147 D.Lgs. 152/2006) scoraggia le gestioni comunali autonome e impone l’affidamento del servizio a livello di ambito territoriale ottimale, salvo eccezioni. In ogni caso, per completezza, va citata come situazione in cui il problema del “fallimento” non si pone affatto, perché sarebbe il Comune stesso a dover rispondere delle obbligazioni con il suo bilancio.
Tabella 1 – Tipologie di gestore idrico e assoggettabilità a procedure concorsuali
| Forma di gestione SII | Esempio reale | Natura giuridica | Fallibilità e procedure di crisi | Riferimenti |
|---|---|---|---|---|
| Società in house pubblica (S.p.A./S.r.l. interamente partecipata da enti locali) | Acqua S.p.A. (100% Comuni) | Società di capitali di diritto privato (imprenditore commerciale) | Fallibile (liquidazione giudiziale); accesso a concordato preventivo, ristrutturazione del debito, ecc. | Cass. 22209/2013 ; Art. 14 c.1 TUSP |
| Società mista pubblico-privata | Alfa S.r.l. (51% Comune, 49% socio privato) | Società di capitali di diritto privato | Fallibile; accesso alle procedure concorsuali ordinarie (come sopra) | Cass. SS.UU. 26283/2013; Art. 14 c.1 TUSP |
| Società totalmente privata concessionaria | Beta Acque S.p.A. (privata vincitrice gara) | Società di capitali privata | Fallibile; accesso a fallimento/concordato; rischio revoca concessione se insolvente | Art. 1 Codice della Crisi; Cass. 5346/2019 (Cass. I) |
| Azienda Speciale consortile (ente pubblico economico locale) | AICA (Azienda Idrica Comuni Agrigentini) | Ente pubblico economico (persona giuridica pubblica) | NON assoggettabile a fallimento o concordato; liquidazione tramite procedure pubblicistiche interne; creditori agiscono per via ordinaria individuale | Art. 1 c.1 Codice Crisi (esclusione enti pubblici); App. Catanzaro 2024 |
| Consorzio tra enti locali (ente pubblico economico) | Congesi (Consorzio Comuni Crotonese) | Ente pubblico economico consortile | NON fallibile; non accessibile il concordato; possibile liquidazione amministrativa deliberata dai soci pubblici; creditori agiscono fuori dal concorso formale | Cass. 23884/2022 (qualifica EPE) ; Art. 1 Codice Crisi |
| Gestione in economia comunale | Comune di X (gestione diretta) | Pubblica amministrazione (ente territoriale) | Non applicabili procedure concorsuali privatistiche; responsabilità patrimoniale dell’ente pubblico (eventualmente dissesto finanziario ente) | Art. 244 TUEL (dissesto enti locali) |
(Legenda: TUSP = D.Lgs. 175/2016 Testo Unico Società Pubbliche; Codice Crisi = D.Lgs. 14/2019; EPE = ente pubblico economico.)
Come si evince dalla tabella, le società di capitali (in qualsiasi composizione di capitale) rispondono ai canoni del diritto fallimentare privatistico, mentre le forme pubblicistiche godono di una sorta di immunità dalle procedure concorsuali, bilanciata però dalla responsabilità in capo agli enti pubblici proprietari. Da notare che il semplice fatto di gestire un servizio pubblico essenziale non è di per sé causa di esenzione dal fallimento: l’orientamento attuale richiede di guardare alla forma giuridica adottata. Se è una società, conta la veste giuridica privatistica, indipendentemente dalla finalità pubblica perseguita ; se è un ente pubblico, si seguono le regole degli enti pubblici. Questa impostazione garantisce una parità di trattamento: due gestori idrici che operano “sul mercato” con forme societarie analoghe devono sottostare alle stesse regole concorrenziali e di tutela dei creditori, anche per evitare distorsioni (la Cassazione ha parlato al riguardo di rispetto dei principi di eguaglianza e affidamento dei creditori, nonché di libera concorrenza) .
Cause dell’indebitamento nelle aziende idriche
Prima di esaminare come affrontare i debiti, è utile comprendere perché un’azienda idrica può accumulare passività significative. Le cause più comuni di indebitamento nel settore idrico includono:
- Insufficienza delle tariffe rispetto ai costi: sebbene la legge imponga che la tariffa copra tutti i costi , in pratica in molti casi le tariffe applicate non sono state adeguate o aggiornate a sufficienza per finanziare gli investimenti necessari e i costi operativi. Spesso, per ragioni sociali o politiche, i Comuni hanno mantenuto le bollette dell’acqua basse, causando un disavanzo strutturale. I costi “scoperti” finiscono per generare perdite in bilancio e quindi debiti verso fornitori o finanziatori. Questo è un problema frequente soprattutto nelle aree in cui la rete è vetusta e richiederebbe investimenti ingenti (con notevoli costi ammortizzati in tariffa) e dove la dispersione idrica è alta (anche oltre il 40-50% in alcune regioni), comportando costi di pompaggio e trattamento non corrispondenti a ricavi.
- Morosità dell’utenza e difficoltà di riscossione: l’acquedotto è un servizio essenziale e la sospensione per morosità è soggetta a regole e tutele (ad esempio preavvisi di almeno 40 giorni e il divieto di distacco totale per utenze deboli) . In territori economicamente depressi o con scarsa cultura del pagamento, le percentuali di bollette non pagate possono essere elevate. Il gestore accumula così crediti insoluti verso utenti che, se non recuperati, si tramutano in perdite. La Soakro S.p.A. (gestore pubblico fallito a Crotone nel 2016) rappresenta un caso emblematico: non riusciva a riscuotere i crediti dagli utenti, tant’è che la società aveva in bilancio “crediti per fatture future” rivelatisi inesigibili, contribuendo al collasso finanziario . Anche AICA in Sicilia ha lamentato percentuali di morosità rilevanti sin dalla sua costituzione. La carente riscossione conduce a carenza di liquidità e debiti a catena verso fornitori e partner.
- Investimenti infrastrutturali finanziati a debito: la gestione di acquedotti e depuratori richiede costanti investimenti (nuove condotte, potabilizzatori, adeguamenti ambientali, etc.). Se gli enti pubblici proprietari non conferiscono capitale e i contributi pubblici non sono sufficienti, le aziende idriche contraggono mutui bancari o emettono obbligazioni per finanziare le opere. Il servizio del debito (interessi e quota capitale) va poi sostenuto dalla tariffa o dal bilancio aziendale. In contesti di bassa redditività, l’indebitamento finanziario può rapidamente diventare insostenibile. Gli oneri finanziari si accumulano e generano ulteriori passività. Inoltre, il ricorso al debito espone al rischio di tasso variabile o di inadempimento alle covenants, con possibili aggravamenti (ad es. aumento dei tassi di interesse che fa crescere la spesa annua per interessi).
- Squilibri temporanei di cassa: in alcuni casi, l’azienda idrica può essere in equilibrio economico ma soffrire di liquidità per sfasamenti tra incassi e pagamenti. Ad esempio, ritardi degli utenti nei pagamenti, oppure ritardi nel trasferimento di eventuali contributi pubblici, possono creare tensioni di cassa che costringono a fare affidamento su scoperti bancari o a pagare in ritardo i fornitori, accumulando debiti di breve termine (si pensi al periodo estivo di massimi consumi ma incassi bollette posticipati di mesi, contro esborsi immediati per energia elettrica, prodotti chimici, ecc.). Se non gestiti, questi squilibri di tesoreria possono evolvere in insolvenza.
- Cattiva gestione e sprechi: purtroppo non sono rare situazioni di inefficienza o mala gestio nelle società idriche. Strutture sovradimensionate, costi operativi elevati (es. personale in eccesso, consulenze esose), mancato controllo delle perdite fisiche e amministrative, investimenti errati, possono erodere i margini. In casi estremi vi sono state condotte fraudolente: Soakro, ad esempio, è stata oggetto di un procedimento penale per bancarotta distrattiva e documentale, con accuse agli amministratori di aver aggravato il dissesto attraverso omissioni e irregolarità contabili . Un altro caso, Girgenti Acque, ha visto un’interdittiva antimafia prima del fallimento, segno di possibili infiltrazioni e condotte illecite. Queste situazioni portano a dissesti pilotati: risorse aziendali dirottate altrove, falsi in bilancio per occultare perdite, ecc., che sfociano poi in un indebitamento abnorme e privo di copertura patrimoniale.
- Fattori esterni eccezionali: emergenze idriche (es. siccità prolungate) possono obbligare i gestori a spese straordinarie (come acquistare acqua da fonti alternative o razionare con costi aggiuntivi), generando extra-costi non immediatamente recuperabili in tariffa. Altri esempi: un contenzioso sfavorevole di importo rilevante (risarcimenti danni, sentenze su partite pregresse) può creare un debito imprevisto; oppure variazioni normative (ad esempio nuove prescrizioni ambientali) impongono spese ingenti non programmate. Questi fattori, se non compensati, causano indebitamento.
Riassumendo, l’indebitamento di un’azienda idrica è spesso frutto di una combinazione di squilibrio strutturale (tariffe/morosità) e di shock gestionali/finanziari. Ad Agrigento, ad esempio, AICA è nata pubblica con l’aspettativa di risanare il servizio dopo la gestione privata fallimentare, ma in pochi anni ha accumulato circa 28 milioni di debiti, principalmente per l’alto costo dell’acqua all’ingrosso fornita da Siciliacque e per l’inerzia dei soci nel ripianare le perdite . Ciò dimostra come anche modelli pubblici, se sottocapitalizzati e lasciati soli a gestire una pesante eredità (crediti inesigibili, reti fatiscenti), possano rapidamente andare in crisi.
Conoscere le cause è importante perché alcune di esse possono essere affrontate proattivamente dal management e dai soci per prevenire il tracollo – ad esempio migliorando la riscossione, tagliando i costi o negoziando adeguamenti tariffari con l’Autorità d’Ambito. Quando però i debiti si sono già accumulati oltre la soglia di guardia, occorre passare agli strumenti di gestione della crisi, di cui parleremo in seguito.
Tipologie di debiti e creditori di un’azienda idrica
Un’azienda idrica indebitata può avere esposizioni verso diverse categorie di creditori, ognuna con caratteristiche e implicazioni specifiche. Analizziamo le principali tipologie di debito:
- Debiti verso fornitori di beni e servizi: sono i debiti commerciali nei confronti di chi fornisce all’azienda ciò di cui ha bisogno per operare. Nel settore idrico, rientrano in questa categoria i fornitori di materiali (tubazioni, contatori), gli appaltatori di lavori di manutenzione, i fornitori di energia elettrica (necessaria per il pompaggio e gli impianti), i fornitori di prodotti chimici (per potabilizzazione e depurazione), le ditte di smaltimento fanghi, ecc. Un caso particolare ma cruciale è il fornitore all’ingrosso di risorsa idrica: ad esempio in Sicilia vi è Siciliacque S.p.A., che vende acqua potabilizzata ai gestori locali; in Calabria la Sorical S.p.A. svolge un ruolo analogo; in altre regioni possono esserci consorzi di bonifica o società regionali proprietarie delle grandi adduttrici. Il debito verso questi grossisti può raggiungere importi elevati (AICA aveva oltre 20 milioni di debito verso Siciliacque) . I fornitori commerciali sono normalmente creditori chirografari (senza garanzie né privilegi specifici, salvo eccezioni) e hanno tutto l’interesse a ottenere il pagamento il prima possibile. Se rimangono impagati a lungo, possono reagire in vari modi: sospendendo le forniture (fin dove consentito – ad es. un fornitore di reagenti chimici potrebbe rifiutare nuove consegne finché non riceve i pagamenti arretrati), oppure attivando procedure legali di recupero. Tipicamente il fornitore insoddisfatto può richiedere un decreto ingiuntivo per le fatture scadute e, ottenutolo esecutivo, procedere a pignoramenti. Come si è visto, Siciliacque nel 2025, di fronte al protrarsi dei mancati pagamenti di AICA, ha ottenuto un ingiuntivo provvisoriamente esecutivo e ha pignorato i conti correnti dell’azienda idrica, bloccandone di fatto l’operatività . Questo ha un impatto dirompente: i conti congelati impediscono di pagare stipendi e fornitori correnti, trascinando l’azienda in una crisi ancora più acuta. Il rischio concreto legato ai debiti verso fornitori è dunque la paralisi dell’attività e, in casi estremi, l’innesco di un fallimento su istanza di uno di questi creditori (se l’insolvenza diviene conclamata).
- Debiti verso il fisco (Erario): comprendono IVA non versata, ritenute fiscali su stipendi non versate, imposte sul reddito o canoni concessori statali. Tali debiti hanno un regime particolare: lo Stato è un creditore privilegiato ex art. 2752 c.c. (imposte e tributi vantano privilegio generale mobiliare sul patrimonio del debitore). Ciò significa che, in caso di procedura concorsuale, l’Erario viene soddisfatto con precedenza rispetto ai creditori chirografari. Inoltre, alcuni omessi versamenti configurano reati tributari (si pensi all’omesso versamento di IVA o di ritenute previdenziali oltre soglie di punibilità). Nel contesto di un’azienda pubblica di servizi, può capitare che, in momenti di carenza di liquidità, si privilegi il pagamento di stipendi e fornitori strategici, rinviando i versamenti IVA o IRPEF. Così facendo però l’azienda accumula debiti con l’Agenzia Entrate Riscossione (ex Equitalia). L’Agente della Riscossione può iscrivere fermo amministrativo sui veicoli dell’azienda o ipoteche su eventuali immobili di proprietà (ad es. sedi, magazzini – raramente le reti idriche perché demaniali). Può inoltre pignorare conti e crediti presso terzi. Un’azienda idrica debitrice verso il fisco ha a disposizione gli strumenti ordinari di definizione: può chiedere una rateizzazione del carico fiscale (fino a 72 rate mensili, o 120 in casi di grave difficoltà) evitando così azioni esecutive, oppure aderire a eventuali sanatorie/rottamazioni se previste dalla legge (nel 2023, ad esempio, molte società pubbliche hanno fruito della “rottamazione-quater” per sgravare sanzioni su cartelle). Va segnalato che il TUSP all’art. 14, comma 5, vieta in generale alle PA socie di ripianare le perdite o ricapitalizzare società partecipate cronicamente in perdita, ma consente trasferimenti straordinari per servizi di interesse pubblico se inseriti in un piano di risanamento approvato dal regolatore e comunicato alla Corte dei Conti . Ad esempio, un Comune non potrebbe semplicemente stanziare fondi per pagare i debiti fiscali della sua società in house, salvo farlo nell’ambito di un piano triennale di riequilibrio autorizzato (pena responsabilità erariale). Dunque il debito fiscale spesso deve essere gestito dall’azienda stessa, negoziando col fisco.
- Debiti previdenziali e verso i dipendenti: qui rientrano i contributi INPS e premi INAIL dovuti per il personale, nonché eventuali stipendi arretrati e TFR. I crediti dei lavoratori per retribuzioni non pagate hanno privilegio generale di grado molto elevato e, per alcune mensilità e TFR, anche privilegio super-previlegiato ex art. 2751-bis c.c. (e possono accedere al Fondo di Garanzia INPS in caso di insolvenza conclamata). Inoltre, l’omesso versamento delle ritenute contributive entro certi importi/cadenze costituisce reato (art. 2 D.L. 463/1983 conv. in L. 638/1983). Un’azienda idrica in crisi a volte può ritardare il versamento dei contributi previdenziali per far fronte ad altre uscite urgenti; ciò tuttavia espone gli amministratori a conseguenze penali (se l’omissione supera 3 mensilità). I dipendenti, dal canto loro, potrebbero attivare ingiunzioni per stipendi non pagati o, più spesso, rivolgersi ai sindacati e prefettura per scongiurare interruzioni retributive (nel caso AICA, i 300 dipendenti sono rimasti senza stipendio a seguito del blocco dei conti , con proclamazione di scioperi e pressioni istituzionali perché si sbloccasse la situazione). Insomma, il debito verso lavoratori è delicatissimo: oltre ai profili di ordine pubblico (nessuno vuole 300 famiglie senza reddito all’improvviso, tant’è che in alcuni casi si è cercato di dissequestrare fondi per pagare almeno gli stipendi ), c’è il rischio concreto di iniziative giudiziarie e della maturazione di ulteriori oneri (mora contributiva, sanzioni civili, ecc.). È prioritario, nella pratica, tutelare il pagamento del personale o trovare accordi sindacali in caso di dilazioni.
- Debiti finanziari verso banche o obbligazionisti: alcune aziende idriche contraggono finanziamenti bancari (mutui, aperture di credito) e/o emettono bond magari garantiti dagli enti locali. Questi creditori finanziari spesso godono di garanzie: ad esempio, pegno sui crediti della società, garanzia fideiussoria dei soci pubblici, o privilegio particolare su beni (se il mutuo è ipotecario su un immobile aziendale, etc.). I contratti di finanziamento prevedono generalmente covenant finanziari il cui mancato rispetto (ad es. indice di indebitamento oltre soglia) può far scattare la decadenza dal beneficio del termine, rendendo immediatamente esigibile l’intero debito residuo. Dunque, l’aggravarsi delle perdite e l’erosione del patrimonio netto in un’azienda idrica può anche determinare la violazione di tali covenant e il conseguente irrigidimento della banca creditrice. In caso di insolvenza, i crediti bancari chirografari concorreranno come tali, mentre eventuali crediti privilegiati (garantiti) potranno essere soddisfatti sul ricavato dei beni dati in garanzia. Un problema rilevante è che se l’azienda viene meno, i finanziamenti bancari destinati a infrastrutture potrebbero restare privi di rimborso: ecco perché spesso le banche chiedono ai Comuni soci di garantire le esposizioni (anche se il TUSP limita fortemente la possibilità di nuovo indebitamento garantito dall’ente pubblico per società in perdita, art. 14 c.5) . La difesa in questo ambito passa per la rinegoziazione del debito (ad es. accordi di standstill con le banche per non escutere garanzie e non risolvere i contratti, concessione di nuovi fidi di emergenza con garanzia pubblica, ecc.) o, in sede concorsuale, per l’utilizzo di strumenti di ristrutturazione del debito bancario (accordi ex art. 57 Cod. Crisi o cram-down sui finanziamenti nel concordato).
- Debiti verso enti pubblici vari: rientrano qui i debiti verso l’Autorità d’Ambito (ad es. per canoni di concessione dovuti dai gestori, se previsti), debiti verso fornitori pubblici diversi (es. una società idrica può dovere canoni a un consorzio di bonifica per l’utilizzo di una diga, oppure oneri alla Regione per derivazioni). Questi crediti a volte sono assimilati ai tributi locali e possono avere anch’essi qualche forma di privilegio se qualificati come canoni pubblici. In genere, tuttavia, l’ente pubblico creditore (specie se locale) tende a non agire aggressivemente contro il gestore del servizio, essendo interessato a mantenerlo in vita. Più facile che si tentino accordi dilatori o compensazioni (es. il gestore è debitore di canoni ma vanta crediti per investimenti anticipati, ecc.). Tuttavia, non mancano i casi di conflitto: Sorical (socio pubblico regionale) ha portato in tribunale il consorzio Congesi per 24 milioni di debiti d’acqua ; oppure, un Comune creditore di dividendi o rimborsi potrebbe insinuarsi in una procedura concorsuale della sua società partecipata come qualsiasi altro creditore.
- Debiti verso soci e finanziatori informali: talvolta il socio pubblico finanzia la società oltre il capitale (ad es. attraverso anticipazioni di cassa, versamenti in conto futuro aumento capitale, ecc.). Queste poste risultano come debiti verso soci. Il TUSP scoraggia il “supporto finanziario” a società decotte (divieto di nuovi fidi o garanzie a società partecipate con 3 bilanci in perdita) , ma non è raro che, nel tentativo di salvare la società idrica, i Comuni soci le anticipino fondi (magari provenienti da proventi straordinari). Giuridicamente, in caso di insolvenza, i crediti dei soci per finanziamenti possono essere postergati (specie se soci unici, ex art. 2467 c.c., principio estensibile alle spa in alcuni casi): significa che verranno soddisfatti dopo gli altri creditori non subordinati. Di solito, comunque, il debitore maggiore di un’azienda idrica non è il socio, ma soggetti terzi come banche, fornitori e fisco.
Tabella 2 – Principali tipologie di debito di una società idrica e implicazioni
| Tipo di debito | Esempi | Rischi per l’azienda | Possibili rimedi e difese |
|---|---|---|---|
| Debiti commerciali verso fornitori di beni/servizi | Fatture non pagate a fornitori di elettricità, reagenti, manutentori, grossisti d’acqua (es. Siciliacque, Sorical) | – Azioni legali dei fornitori (ingiunzioni, pignoramenti su conti, crediti) con blocco operativo <br>– Sospensione forniture essenziali (rischio continuità servizio)<br>– Istanza di fallimento da parte di un fornitore importante | – Negoziare piani di rientro e moratorie dei pagamenti<br>– Opposizione a decreti ingiuntivi se vi sono contestazioni sul credito (per guadagnare tempo)<br>– Richiesta di misure protettive (se si accede a concordato o composizione negoziata) per congelare le azioni esecutive individuali<br>– Coinvolgimento dell’Autorità d’Ambito per evitare interruzioni (es. ordinanze contingibili per obbligare fornitori strategici a proseguire temporaneamente) |
| Debiti verso Erario (IVA, ritenute, imposte) | IVA su bollette non versata; ritenute IRPEF dipendenti non versate; canoni di concessione statali | – Iscrizione a ruolo ed esecuzioni da parte Agenzia Entrate Riscossione (fermi, ipoteche, pignoramenti)<br>– Accumulo di sanzioni e interessi di mora<br>– Rischio di imputazioni penali per omesso versamento (oltre soglie) | – Richiedere dilazioni/rottamazioni per evitare azioni esecutive immediate<br>– Inserire il pagamento del dovuto in un piano di concordato (fisco può aderire o essere crammed down entro certi limiti nelle procedure)<br>– Evitare assolutamente nuovi omessi versamenti durante la gestione della crisi (per non aggravare la posizione degli amministratori) |
| Debiti contributivi e verso dipendenti | Contributi INPS non versati; stipendi arretrati; TFR non accantonato | – Azioni legali dei dipendenti (ingiunzioni, decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo per crediti di lavoro)<br>– Intervento Ispettorato del Lavoro/INPS<br>– Rischio penale per omesso versamento contributi (se > €10.000 annui per ciascun ente)<br>– Scioperi e tensioni sindacali, con impatto sul servizio | – Ricorrere a eventuali fondi di solidarietà o cassa integrazione (per alleggerire il costo del personale durante la crisi)<br>– Concordare con i sindacati una dilazione nel pagamento degli arretrati, se possibile, evitando conflittualità aperta<br>– Includere nel piano di risanamento la regolarizzazione integrale dei contributi (magari sfruttando i meccanismi di riduzione sanzioni per pagamenti spontanei) |
| Debiti finanziari (banche, leasing, obbligazioni) | Rate di mutuo scadute; utilizzi scoperti di conto; emissioni obbligazionarie in scadenza | – Revoca fidi e credito bancario (riduce liquidità disponibile)<br>– Escussione di eventuali garanzie (fideiussioni dei soci, pegni su crediti azienda)<br>– Dichiarazione di decadenza dal termine su mutui (tutto il debito diventa esigibile subito)<br>– Azioni esecutive su beni dati in garanzia (es. ipoteca su edificio) | – Trattative con istituti finanziatori per standstill (sospensione temporanea pagamenti) e rinegoziazione condizioni (allungamento piani di ammortamento, riduzione tassi)<br>– Eventuale intervento dei soci pubblici con garanzie aggiuntive autorizzate (nei limiti di legge) per ottenere tempo<br>– Utilizzo di procedure concorsuali per imporre ai creditori finanziari una ristrutturazione (accordo ex art. 57 CCI con banche che rappresentino 60% credito, o cram down bancario in concordato con continuità) |
| Debiti verso enti pubblici vari | Canoni annui dovuti all’EGATO; oneri ambientali verso Regione; debiti verso società partecipate pubbliche (es. fornitori pubblici) | – Possibile sospensione o revoca dell’affidamento se i debiti verso l’Autorità concedente diventano rilevanti (inadempimento contrattuale grave)<br>– Compensazione coattiva dei debiti con eventuali crediti (es. EGATO trattiene quote di tariffa dovute al gestore per compensare canoni non versati)<br>– Azioni legali analoghe a quelle dei comuni fornitori (ingiunzioni) | – Negoziazione in sede istituzionale: l’EGATO o la Regione spesso preferiscono un piano di rientro piuttosto che mandare in default il gestore, quindi accordi su dilazioni (formalizzati in delibere) possono essere cercati<br>– Se l’affidamento è a rischio, predisporre un piano da presentare all’Autorità per evitare la decadenza (dimostrando come si intende sanare la morosità verso l’ente pubblico)<br>– Verificare se i debiti possono essere ridotti tramite riconoscimento di partite di dare-avere (ad es. investimenti anticipati dal gestore non ancora rimborsati dall’ente pubblico) |
| Debiti verso soci (enti partecipanti) | Anticipazioni versate dai Comuni soci per spese dell’azienda; utili restituiti anticipatamente e da restituire | – Generalmente i soci pubblici non intraprendono azioni coattive immediate, ma il credito rimane e potrebbe essere insinuato in procedure concorsuali come postergato<br>– Riflessi sul bilancio degli enti soci: un credito non incassato può generare residui attivi di difficile esigibilità, con interventi della Corte dei Conti sul Comune<br>– In caso di dissesto dell’azienda, i soci rischiano di perdere quanto anticipato (in tutto o in parte) | – Formalizzare i rapporti finanziari soci-azienda in modo chiaro (es. contratto di finanziamento) per eventualmente poterli ristrutturare con taglio/interesse<br>– Valutare la conversione di tali debiti in capitale sociale (ricapitalizzazione), se la legge lo consente e nell’ambito di un piano di risanamento approvato <br>– In sede di concordato, i crediti dei soci sono postergati per legge, quindi spesso non vengono pagati: i soci devono prenderne atto e considerare quei fondi persi, eventualmente contabilizzandoli come patrimoniali (per non appesantire l’azienda di debiti verso di sé stessa) |
Come si nota, ogni tipo di debito porta con sé diverse leve di pressione sul debitore e richiede differenti strategie di difesa. Un’azienda idrica molto indebitata in genere deve fronteggiare contemporaneamente più fronti: ad esempio, la tipica situazione pre-crisi vede debiti fiscali e contributivi accumulati, fornitori strategici impagati e sul piede di guerra, banche che riducono gli affidamenti, dipendenti in allarme per ritardi retributivi. In questa fase, diventa cruciale adottare un approccio organico alla crisi, evitando soluzioni tampone scoordinate (che potrebbero favorire un creditore a scapito di altri, con rischio di azioni esecutive da parte degli scontenti). Da qui l’utilità degli strumenti di composizione della crisi che analizzeremo, i quali consentono di gestire i debiti in modo unitario e sotto il controllo (o con l’assenso) del tribunale, congelando le azioni individuali dei creditori nel frattempo.
Conseguenze del sovraindebitamento per il gestore idrico
Quando i debiti superano la capacità dell’azienda idrica di farvi fronte con regolarità, si entra in uno stato di sovraindebitamento o vera e propria insolvenza. Le conseguenze potenziali sono gravi sia per la società debitrice sia per il servizio pubblico gestito:
- Tensioni sulla liquidità e sull’operatività: inizialmente, l’azienda prova a “tirare avanti” pagando selettivamente i fornitori più critici (ad esempio si paga l’energia elettrica per evitare il distacco della corrente agli impianti, ma si lasciano indietro altri fornitori; oppure si pagano i fornitori di cloro per non fermare la potabilizzazione, ma si ritardano i contributi INPS). Tuttavia questa gestione emergenziale ha il fiato corto. Col tempo, la cassa si esaurisce e sempre più obbligazioni restano insolute. Ciò può portare a interruzioni nei servizi accessori: ad esempio, se non si paga la ditta che svuota i fanghi dei depuratori, questi rischiano il blocco; se non si pagano i manutentori, le riparazioni di guasti idrici rallentano. L’operatività del servizio idrico comincia a degradare, con possibili ripercussioni sulla continuità e qualità per gli utenti.
- Azioni esecutive dei creditori: come già visto, i creditori più determinati attiveranno procedure di recupero. Il passo più pericoloso è il pignoramento dei conti correnti aziendali, in quanto congela di colpo tutte le risorse liquide dell’ente. È esattamente quanto accaduto ad AICA nell’agosto 2025: Siciliacque, ottenuta l’ingiunzione per i propri crediti, ha pignorato i conti di AICA presso le banche, impedendo all’azienda di disporre di qualunque somma per le spese correnti (stipendi, carburante per i mezzi, acquisto reagenti) . L’effetto immediato è stato il paralizzarsi delle attività e il concreto rischio di interruzione del servizio in provincia di Agrigento . Altre azioni esecutive possibili includono il pignoramento di crediti vantati dall’azienda (ad es. crediti verso utenti morosi: un fornitore potrebbe farsi assegnare in tribunale le somme che i clienti pagano in bolletta, deviarle a sé anziché al gestore) o il pignoramento di beni mobili (automezzi, attrezzature). Un elemento positivo, come già spiegato, è che i beni essenziali (reti, impianti) sono spesso demaniali e non aggredibili ; ciò evita che un creditore possa, ad esempio, farsi vendere all’asta un depuratore. Ma l’aggressione delle liquidità e dei crediti può bastare a fermare la società.
- Procedimenti per dichiarazione di insolvenza: se i debiti scaduti non vengono pagati e i creditori percepiscono uno stato di insolvenza permanente, si può arrivare a una istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) presentata in tribunale. Legittimati a richiederla sono uno o più creditori, il Pubblico Ministero (che può attivarsi se rileva lo stato di insolvenza in una società di pubblico interesse) o la società stessa (con un’istanza di autofallimento, raramente utilizzata). Nel caso di Congesi, ad esempio, il creditore Sorical ha presentato istanza di fallimento; il tribunale l’ha respinta per ragioni giuridiche (natura di ente pubblico non fallibile) , ma se si fosse trattato di una società di capitali la sorte poteva essere diversa. Quando arriva una citazione in tribunale su istanza di fallimento, per l’azienda è un segnale estremo: significa che almeno un creditore non crede più alla possibilità di recuperare bonariamente il dovuto e chiede al giudice di accertare l’insolvenza. A quel punto la società deve decidere se opporsi (negando di essere insolvente, magari esibendo prospettive di risanamento) o se piuttosto rifugiarsi in una procedura concordataria (presentando domanda di concordato preventivo, il che per legge blocca l’istruttoria pre-fallimentare e subordina il fallimento all’esito del concordato). L’apertura di una procedura concorsuale avvia una sequenza delicata: per una società idrica, la dichiarazione di fallimento tradizionalmente comporterebbe la nomina di un curatore e la cessazione degli organi societari, con la gestione affidata al curatore. Tuttavia, è impensabile lasciare la gestione di un servizio pubblico essenziale al solo curatore fallimentare senza una cornice: di norma, l’Autorità d’Ambito a quel punto revoca la concessione per garantire il servizio diversamente (magari nominando un gestore provvisorio o affidando in house ad altra società pubblica). Dunque il fallimento spesso sancisce anche la fine dell’affidamento all’azienda debitrice e la sua uscita di scena operativa.
- Perdita della concessione/affidamento: indipendentemente dall’iniziativa dei creditori, un grave dissesto può attivare i poteri dell’ente affidante (l’EGATO o il Comune capofila) di revocare o dichiarare risolta la convenzione di gestione. Nei contratti di servizio idrico integrato sono in genere previste clausole di decadenza dell’affidamento al ricorrere di determinati eventi: ad esempio il mancato raggiungimento di standard minimi, il grave inadempimento degli obblighi contrattuali (come il mancato pagamento dei canoni dovuti all’ATO o il mancato svolgimento di investimenti), o eventi di tipo finanziario come l’assoggettamento a procedure concorsuali. Se l’azienda entra in concordato preventivo o viene dichiarata insolvente, l’Autorità pubblica può legittimamente far cessare l’affidamento per motivi di pubblico interesse, dovendo garantire la continuità tramite altro soggetto . La decadenza anticipata dell’affidamento ha effetti devastanti per l’azienda: perde la gestione, e con essa la fonte di ricavi (le tariffe degli utenti). A quel punto l’azienda rimane come un guscio vuoto con solo debiti e forse qualche asset residuo, destinata quasi sicuramente alla liquidazione. Anche i creditori ne escono male, perché dovranno rifarsi su quel poco che rimane in società. Per tale ragione, in genere, l’EGATO è riluttante a revocare se intravede possibilità di risanamento, ma può essere costretta a farlo se l’inerzia dell’azienda mette a repentaglio il servizio. Un esempio: nel 2023 l’ATO di Trapani, di fronte alla mancanza di un gestore funzionante, è stata commissariata e il Consiglio dei Ministri ha affidato temporaneamente il servizio a Invitalia (soggetto pubblico nazionale) . Ciò è avvenuto in attuazione dei poteri sostitutivi statali per evitare interruzioni del SII. Un gestore locale insolvente potrebbe subire un intervento simile: commissariamento e affidamento transitorio a un altro ente, con la conseguente estromissione dell’operatore originario.
- Responsabilità per gli amministratori e gli enti soci: il sovraindebitamento di una società pubblica può innescare anche conseguenze per le persone fisiche e gli enti coinvolti nella governance. Gli amministratori della società rischiano innanzitutto azioni di responsabilità da parte del curatore fallimentare o dei soci (qualora si accerti che hanno aggravato volontariamente o per colpa grave la situazione). Nel caso di Soakro, la Procura ha contestato agli amministratori addirittura reati di bancarotta, sostenendo che con la loro mala gestio abbiano dissipato risorse e tenuto contabilità irregolare . Anche senza arrivare al penale, la nuova disciplina della crisi d’impresa (D.Lgs. 14/2019) impone agli amministratori doveri di attivazione tempestiva in presenza di “indicatori di crisi”. Per le società a controllo pubblico, il TUSP stabilisce che la mancata adozione senza indugio dei provvedimenti necessari al manifestarsi di segnali di crisi costituisce grave irregolarità ex art. 2409 c.c. , aprendo la strada a un possibile intervento giudiziario su istanza dei soci o sindaci (la denuncia al tribunale per insolvenza potrebbe portare anche alla rimozione degli amministratori). Inoltre, per i soci pubblici (es. i Comuni proprietari) una società partecipata che fallisce può comportare un danno erariale: la Corte dei Conti potrebbe sindacare l’omessa vigilanza dell’ente locale o i tardivi interventi, con possibili condanne a risarcimento se si ravvisa una colpa grave degli amministratori pubblici nel non aver impedito il dissesto. Il legislatore ha voluto prevenire queste situazioni con norme come l’obbligo per l’organo amministrativo di adottare un piano di risanamento appena emergono segnali di crisi (TUSP art. 14, c.2) . Dunque, le scelte compiute nella fase di indebitamento critico saranno poi passate al vaglio in molte sedi: civili, penali, contabili.
In definitiva, il protrarsi di uno stato di insolvenza in un’azienda idrica non è sostenibile a lungo: o si intraprende un percorso di risanamento (volontario o giudiziale) o l’evoluzione naturale è la disgregazione della società, con la presa in carico (forzata) del servizio da parte di altri soggetti. Nel frattempo, ogni giorno di crisi non risolta peggiora la situazione per tutti: l’azienda accumula più debiti, i creditori tentano azioni sempre più incisive, la qualità del servizio degrada e aumenta la pressione su enti locali e Governo perché intervengano. Ecco perché è fondamentale, appena ci si rende conto del sovraindebitamento, passare all’azione con gli strumenti offerti dalla legge, prima di raggiungere il punto di non ritorno.
Strumenti di prevenzione e gestione della crisi debitoria
Quando un’azienda idrica riconosce di trovarsi in difficoltà finanziaria, esistono vari strumenti – interni ed esterni – per prevenire il fallimento e risanare la situazione debitoria. Si possono distinguere due fasi: misure preventive/gestionali adottate dall’azienda e dai soci per correggere la rotta, e procedure concorsuali o para-concorsuali (negoziali o giudiziali) attivate secondo la legge per gestire formalmente la crisi o l’insolvenza. Analizziamo entrambe le categorie:
Misure interne di risanamento e interventi dei soci pubblici
Prima di coinvolgere i tribunali, un’azienda idrica e i suoi proprietari (Comuni, ecc.) dovrebbero mettere in atto tutte le azioni correttive possibili. Alcune di queste sono:
- Riequilibrio tariffario e aumento dei ricavi: il gestore, di concerto con l’EGATO e ARERA, può proporre un adeguamento tariffario straordinario, se giustificato dai costi. Il Metodo Tariffario Idrico quadriennale prevede la possibilità di includere conguagli e maggiorazioni per garantire la sostenibilità economica. Certo, aumentare le bollette è impopolare, ma in situazioni di crisi può essere necessario (ad esempio, se i costi dell’energia raddoppiano e portano in rosso il bilancio, l’unica soluzione strutturale è ritoccare la tariffa). Un problema è che tali adeguamenti richiedono tempi (delibere, consultazioni, approvazione ARERA) e dunque non risolvono emergenze immediate, ma aiutano nel medio termine ad evitare che i debiti continuino a crescere.
- Riduzione costi e miglioramento efficienza: l’azienda può attuare un piano di efficientamento tagliando spese non essenziali, ottimizzando il personale (es. blocco turnover, mobilità verso enti soci), riducendo i consumi energetici (implementando sistemi di efficientamento sui pompaggi, per cui tra l’altro sono disponibili fondi PNRR), combattendo attivamente le perdite idriche per ridurre i costi di produzione dell’acqua non fatturata. Ogni euro risparmiato può essere dirottato a pagare debiti urgenti. Spesso parte del risanamento passa attraverso una ristrutturazione aziendale interna: revisione dei contratti di fornitura (chiedere sconti o condizioni migliori ai fornitori storici in cambio di continuità, specie se l’alternativa per loro è perdere il cliente con il fallimento), dismissione di beni non indispensabili (vendita di immobili non utilizzati, di flotte auto in eccesso, etc.), e accorpamento di funzioni con altre società (ad es. condividere servizi con altre utilities locali, come già fanno molti gruppi multiutility, per ridurre costi generali).
- Migliorare la riscossione delle bollette: fondamentale è attaccare la piaga della morosità. Le azioni possibili includono: campagne di recupero crediti più aggressive (affidamento a società specializzate, solleciti a tappeto, rateizzazioni personalizzate per utenti in difficoltà al fine di incassare almeno una parte), installazione di misuratori elettronici e telelettura per ridurre errori e furti d’acqua, applicazione rigorosa della procedura di messa in mora e riduzione di flusso per morosi persistenti come consentito da ARERA . Abbanoa (gestore unico sardo) ha ad esempio implementato sistemi informatici avanzati per il credit management e iniziato la riduzione del flusso idrico ai morosi dopo i dovuti avvisi , ottenendo un miglioramento degli incassi. Un aumento del tasso di riscossione, anche di pochi punti percentuali, può portare milioni di euro nelle casse e invertire la tendenza ad indebitarsi per coprire i buchi di bilancio.
- Supporto finanziario e ricapitalizzazione da parte dei soci pubblici: in parallelo alle misure gestionali, i Comuni soci devono valutare se e come sostenere finanziariamente la società. Il TUSP, come già detto, vieta interventi “a fondo perduto” privi di un serio piano di risanamento . Tuttavia, se viene predisposto un credibile piano industriale di risanamento, i soci possono: sottoscrivere aumenti di capitale (anche in deroga ai divieti, con autorizzazione se il piano prevede equilibrio in 3 anni e ARERA approva ), concedere finanziamenti soci (meglio se postergati, per non appesantire i debiti a breve), o garantire esposizioni (ad es. dando garanzia per un nuovo mutuo destinato a pagare debiti pregressi). Ad esempio, potrebbe essere necessario ricapitalizzare per ripianare perdite pregresse e riportare il capitale sociale sopra il minimo di legge (evitando cause di scioglimento ex artt. 2447 cc). La volontà politica dei soci di salvare la società è cruciale: se i Comuni credono nel risanamento, dovranno allocare risorse di bilancio a questo scopo (compatibilmente con i loro vincoli di finanza pubblica). Un meccanismo a volte utilizzato è la trasformazione dei debiti verso i Comuni in capitale: se l’azienda deve al Comune canoni o anticipazioni, il Comune può rinunciarvi convertendoli in capitale sociale aggiuntivo (questa è di fatto una ricapitalizzazione mascherata da compensazione debito/credito, spesso tollerata se aiuta a risanare). Va sottolineato che un mero ripianamento monetario senza riforme non è considerato soluzione adeguata : occorre sempre accompagnare l’apporto di denaro pubblico con correttivi gestionali per evitare di riprodurre in breve gli stessi debiti.
- Fusioni o incorporazioni: una misura straordinaria, talvolta considerata, è quella di fondere l’azienda in crisi con un’altra più solida. Nel settore idrico, per favorire la gestione efficiente, spesso si guarda a soluzioni di aggregazione industriale: se un piccolo gestore è inefficiente e indebitato, potrebbe essere incorporato in un gestore di area vasta più robusto, che si fa carico dei suoi debiti ma anche razionalizza i costi e investe per migliorarne le performance. Queste operazioni devono essere attentamente valutate, perché il nuovo soggetto si accolla passività (che vanno ripianate magari sfruttando economie di scala). Tuttavia, a volte sono spinte dal legislatore stesso: il DL “Concorrenza” 2022 incentivava la realizzazione di gestori unici provinciali/regionali nel SII, anche per superare situazioni patologiche. Un esempio ipotetico: se l’azienda idrica del Comune X è al collasso, la Regione potrebbe orchestrare la fusione in un’azienda regionale (ove esistente) che subentri nel servizio portando nuove risorse. Chiaramente, serve l’accordo di tutti i soci e un piano di fusione che preveda la sistemazione dei debiti (eventualmente con accordi con creditori prima della fusione).
- Attivazione degli indicatori di allerta interna: il Codice della Crisi prevede che le società, anche pubbliche, implementino sistemi di monitoraggio del rischio d’insolvenza (indicatori di bilancio, indici di settore). Se tali indicatori segnalano crisi, l’organo amministrativo deve attivarsi prontamente . Ormai molte utility hanno predisposto sistemi di controllo di gestione e early warning. La prontezza nell’accorgersi della deriva debitoria e nell’informare i soci (assemblea) è fondamentale: ad esempio, se il bilancio 2023 chiude con perdita oltre un terzo capitale e l’azienda è near insolvent, bisogna subito convocare i soci, nominare esperti e predisporre manovre correttive. L’inazione aggraverebbe la responsabilità degli amministratori e dei soci stessi.
In sintesi, le misure interne sono volte a evitare di arrivare all’insolvenza conclamata. Esse attuano il principio per cui la crisi d’impresa va anticipata e gestita in modo conservativo (“prevenire è meglio che curare”). Nel contesto pubblico, c’è anche un imperativo di trasparenza verso la collettività: un Comune non può permettere che la propria partecipata accumuli milioni di debiti all’insaputa di tutti; deve intervenire prima che la situazione degeneri. Quando però questi sforzi (per incapacità gestionale, o perché partiti troppo tardi) non bastano a invertire la rotta, è il momento di ricorrere alle procedure di composizione della crisi offerte dall’ordinamento. Queste procedure forniscono un quadro giuridico per trattare con i creditori in modo ordinato, spesso l’unico modo per evitare la liquidazione giudiziale.
Strumenti e procedure concorsuali per la gestione della crisi
Il diritto italiano prevede vari strumenti per affrontare formalmente la crisi o l’insolvenza di un’impresa. Nel 2022 è entrato in vigore il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCI), che ha in parte innovato e in parte confermato le precedenti procedure (Legge Fallimentare). Per le società idriche (che, come visto, sono imprese fallibili se costituite in forma societaria), gli istituti principali sono:
- Composizione negoziata della crisi: introdotta nel 2021 (D.L. 118/2021, confluito nel CCI), è una procedura volontaria e stragiudiziale che consente all’imprenditore in difficoltà di richiedere la nomina di un esperto indipendente. L’esperto aiuta l’azienda a negoziare con i creditori un accordo di ristrutturazione o altre soluzioni, con l’obiettivo di evitare l’insolvenza conclamata. La composizione negoziata non è una procedura concorsuale in senso stretto (l’azienda mantiene la gestione) ma è assistita dall’ordinamento: l’impresa può chiedere al tribunale misure protettive temporanee (ad es. sospensione delle azioni esecutive dei creditori) mentre durano le trattative . Per una società idrica, questa strada può essere utile per sedersi attorno a un tavolo con fornitori, banche ed enti pubblici e trovare un accordo prima di finire in tribunale. Ad esempio, si potrebbe negoziare con il principale creditore (es. il fornitore d’acqua all’ingrosso) un piano di rientro del debito in X anni, convincendo magari i soci pubblici a prestare garanzie e le banche a dare nuova finanza per liquidare i creditori più piccoli. L’esperto monitora e facilita, cercando un equilibrio. Se si individua una soluzione, può prendere forma di contratto o di uno degli accordi di ristrutturazione previsti dalla legge (vedi oltre). Se invece la composizione negoziata fallisce, l’impresa può virare su un concordato semplificato per la sola liquidazione (strumento previsto dal CCI) o inevitabilmente verso il concordato preventivo/fallimento tradizionale. La forza di questo istituto è la riservatezza iniziale e la flessibilità: l’azienda non è dichiarata in crisi pubblicamente (con i contraccolpi reputazionali che ne derivano) e conserva i poteri d’impresa. Nel contempo, ottiene un po’ di respiro dalle pretese dei creditori. Va notato che il tribunale concede misure protettive se c’è un ragionevole prospetto di negoziazione; durante tale periodo, i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive né acquisire prelazioni sul patrimonio del debitore, mantenendo così lo status quo . Questa opzione sarebbe particolarmente indicata per gestori idrici di media dimensione in temporanea difficoltà ma recuperabili: ad esempio, se AICA (Agrigento) riuscisse a far aderire Siciliacque e gli altri creditori a un piano in composizione negoziata, eviterebbe di passare per il fallimento, con un accordo di rientro del debito da eseguire magari grazie al supporto finanziario dei Comuni e a un ritocco tariffario futuro.
- Piani di risanamento attestati (art. 56 CCI): si tratta di piani predisposti dall’impresa, contenenti le misure di ristrutturazione (accordi con creditori, nuovi finanziamenti, ecc.), che vengono attestati da un professionista indipendente quanto a veridicità dei dati e fattibilità. Il piano di risanamento in sé non richiede omologazione giudiziale né coinvolge tutti i creditori: è un accordo privato con taluni creditori, tenuto riservato (va menzionato in nota integrativa bilancio). Il suo vantaggio è di fornire protezione da azioni revocatorie fallimentari per gli atti compiuti in esecuzione del piano e pagamenti effettuati. Per un’azienda idrica, un esempio di piano attestato potrebbe essere: accordo con le banche per allungare i mutui, accordo con il grosso fornitore per tagliare del 20% il debito se pagato subito e rateizzare il resto, conferimento di €X milioni dei soci pubblici a titolo di aumento capitale, il tutto a fronte di un business plan che mostra il ritorno all’utile in 2 anni. L’attestatore verifica i numeri e firma l’attestazione. Se il piano funziona, l’azienda evita l’insolvenza senza passare per il tribunale. Questo strumento è molto flessibile, ma richiede che i creditori principali siano consenzienti a farsi pagare nei termini del piano (non c’è coattività verso dissenzienti). Quindi funziona meglio quando i creditori sono pochi e relativamente cooperativi (es. un pool di banche, o un fornitore monopolista come Siciliacque, d’accordo con la strategia).
- Accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-60 CCI): sono accordi omologati dal tribunale, vincolanti per tutti i creditori che vi aderiscono, purché abbiano l’adesione di una percentuale minima di crediti (almeno il 60% del totale). Nascono come evoluzione dell’art. 182-bis l.fall. In pratica, l’impresa concorda con una maggioranza qualificata di creditori una certa ristrutturazione (es.: pagamento parziale del credito, o dilazione pluriennale, etc.), e chiede al tribunale di omologarlo. I creditori che non aderiscono restano estranei (vanno pagati integralmente per legge, salvo diverse categorie di accordi con soglia 30% per banche e intermediari). Nel contesto idrico, un accordo di ristrutturazione potrebbe essere utile se i debiti sono concentrati su pochi attori: ad esempio, l’azienda convince l’80% dei suoi creditori (banche e fornitori principali) ad accettare un taglio del 30% sui loro crediti e pagamenti diluiti su 5 anni, offrendo loro in garanzia i futuri flussi tariffari; i piccoli creditori non aderenti verranno comunque soddisfatti normalmente (magari perché il piano prevede che saranno pagati per intero alla scadenza originaria). Il tribunale, verificati gli atti, omologa l’accordo e da quel momento esso diventa vincolante per i sottoscrittori, con esdebitazione parziale concordata. Durante le trattative per questi accordi, l’impresa può anche chiedere misure protettive provvisorie. Questo strumento, rispetto al piano attestato, ha più forza (c’è l’intervento del giudice e la sospensione delle azioni esecutive già all’omologa) ma richiede di raggiungere la soglia di consenso indicata. Nel settore idrico, se c’è un creditore pubblico importante (es. Regione) può essere complicato farlo aderire formalmente senza una deliberazione ad hoc; ciò va tenuto presente.
- Concordato preventivo (artt. 84-120 CCI): è la procedura concorsuale vera e propria che l’imprenditore può attivare per evitare il fallimento, proponendo un piano ai creditori da sottoporre al voto e all’omologa del tribunale. Nel concordato, a differenza degli accordi di ristrutturazione, tutti i creditori sono coinvolti e vincolati dall’esito, anche i dissenzienti, secondo le regole di maggioranza per classi di voto. Il CCI privilegia il concordato in continuità aziendale (direttiva UE insolvency), specie per società che gestiscono servizi pubblici: ciò consente di salvaguardare l’attività d’impresa, eventualmente prevedendo che l’azienda continui a gestire il servizio (continuità diretta) oppure che il servizio sia trasferito ad un assuntore terzo che continua l’attività (continuità indiretta). Un concordato in continuità diretta per un’azienda idrica significherebbe: la società presenta un piano in cui si impegna a proseguire la gestione del SII, realizzando certe performance, mentre i creditori vengono soddisfatti secondo quanto il piano può offrire (es: pagamento integrale dei privilegiati in X anni, pagamento percentuale ai chirografari, con eventuale nuova finanza pubblica e privata a sostenere l’operazione). Necessariamente questo richiede il consenso dell’Autorità d’Ambito a lasciare il servizio in capo alla società durante e dopo la procedura. Nel 2016, ad esempio, per evitare il crac di AMAP Palermo (azienda idrica pubblica), si ipotizzò un concordato in continuità, poi scongiurato da interventi regionali; altri gestori (settore rifiuti) hanno fatto concordati in continuità, segno che lo strumento è applicabile ai servizi pubblici. Il vantaggio è che con l’ammissione al concordato si ottiene da subito il blocco delle azioni esecutive dei creditori e non si accumulano altre azioni (c’è la moratoria legale durante la procedura) . L’azienda mantiene l’amministrazione ordinaria ma sotto osservazione di un commissario nominato dal tribunale. I debiti pregressi saranno trattati nel piano, mentre per la gestione corrente occorre rispettare il piano di cassa autorizzato. I creditori poi votano: se le maggioranze per classi vengono raggiunte, il tribunale omologa il concordato e questo diventa vincolante, concludendosi (l’azienda esce dalla procedura e prosegue la sua attività risanata). In difetto di consensi, si può tentare un cram down (omologazione nonostante il voto contrario di una classe dissenziente, se certe condizioni sono soddisfatte – introdotto dal CCI). Il concordato liquidatorio invece prevederebbe di cessare l’attività e liquidare i beni per pagare i creditori almeno in parte. Per un’azienda idrica, ciò equivarrebbe in sostanza a liquidare la società e far gestire il servizio ad altri: scenario possibile qualora vi sia già pronto un nuovo gestore subentrante. In tal caso, il piano di concordato potrebbe consistere nel trasferire tutte le attrezzature operative e il personale a un nuovo soggetto (magari una società consortile tra i comuni, come Congesi o AICA, se inizialmente il servizio era in mano a un soggetto poi fallito) e nell’utilizzare il corrispettivo di cessione per pagare parzialmente i creditori. Questo di fatto è quel che successe con Girgenti Acque: dopo il suo fallimento, fu creata AICA che rilevò la gestione (anche se in quel caso fu fallimento diretto, non concordato). Il concordato preventivo rimane quindi uno strumento potente: consente di cristallizzare la situazione debitoria e ristrutturarla con effetti erga omnes, sotto controllo giudiziale. Il contraltare è che richiede tempi e costi, e che una volta presentata domanda di concordato la società deve rispettare strettamente le regole (ad es. pagare solo spese autorizzate, nessuna preferenza indebita a un creditore su altri, etc.). Inoltre, l’apertura di un concordato può minare la fiducia dell’Autorità concedente, spingendola a considerare la revoca del servizio. In tali casi è cruciale il dialogo con l’ente affidante: si può richiedere all’Autorità di mantenere l’affidamento condizionatamente all’esecuzione del concordato, magari perché questo prevede l’ingresso di un partner industriale o altri elementi migliorativi.
- Liquidazione giudiziale (ex fallimento): è l’extrema ratio, la procedura concorsuale di carattere liquidatorio avviata su istanza di creditori, PM o dell’imprenditore stesso, quando l’insolvenza è conclamata e non vi sono prospettive di risanamento in continuità. La liquidazione giudiziale comporta la nomina di un curatore, lo spossessamento dell’imprenditore e la vendita di tutti i beni dell’azienda per distribuire il ricavato ai creditori secondo l’ordine dei privilegi. Per una società di gestione idrica, la dichiarazione di liquidazione giudiziale praticamente segna la fine della società come operatore: l’EGATO revocherà subito la concessione (poiché l’impresa non è più in grado di operare) e normalmente affiderà temporaneamente il servizio a un altro soggetto (un commissario ad acta o un’altra utility) in attesa di soluzione definitiva. Il curatore fallimentare cercherà di valorizzare i beni: potrà vendere automezzi, attrezzature, il magazzino ricambi, incassare i crediti residui verso utenti (spesso peraltro di difficile recupero). Può anche valutare di cedere il complesso aziendale (goodwill, contratti, personale): ad esempio, se il servizio viene affidato a un nuovo gestore tramite gara, il curatore potrebbe vendere in blocco alla nuova società subentrante alcuni asset residuali (software gestionali, know-how, ecc.). In ogni caso, i creditori chirografari di solito recupereranno poco (le esperienze di fallimenti di società pubbliche locali insegnano che i privilegiati assorbono la gran parte del ricavato). La liquidazione giudiziale comporta anche indagini sulle cause del dissesto e possibili azioni di responsabilità e revocatorie, come già accennato. Ovviamente, la liquidazione giudiziale è esclusa per i soggetti “non fallibili” (aziende speciali, consorzi): per essi l’alternativa è la liquidazione volontaria disposta dagli enti soci, ma in mancanza di attivo sufficiente, i creditori dovranno rivolgersi direttamente ai soci per essere soddisfatti se esistono obblighi in tal senso (ad es. patto consortile). In caso di collasso di un consorzio pubblico, è frequente la nomina di un commissario liquidatore da parte della Regione o del Ministero, che però non segue regole concorsuali rigide: cerca di pagare i debiti con i fondi recuperati o con contributi straordinari se disposti.
Riassumendo, l’arsenale giuridico per affrontare la crisi di un’azienda idrica è ampio. La scelta dello strumento dipende dalla gravità della situazione e dal consenso che l’azienda può ottenere dai suoi stakeholder:
- Se la crisi è ancora gestibile e si possono convincere le controparti chiave, si privilegeranno soluzioni stragiudiziali (piano attestato, accordi negoziati).
- Se occorre congelare subito le azioni dei creditori e coinvolgere tutti, si va verso procedure concorsuali (concordato).
- Se non c’è più nulla da fare per salvare l’impresa come going concern, l’epilogo è la liquidazione (giudiziale o amministrativa a seconda dei casi).
Nel prossimo capitolo esamineremo in concreto come un’azienda debitrice possa difendersi dalle azioni immediate dei creditori e quali strategie procedurali attuare per massimizzare le chance di riuscita del risanamento.
Come difendersi dalle azioni dei creditori: strategie del debitore idrico
Affrontare una mole di debiti fuori controllo richiede non solo l’utilizzo formale degli strumenti di cui sopra, ma anche una serie di azioni difensive tattiche da parte dell’azienda e dei suoi legali, finalizzate a preservare la continuità aziendale nel frattempo e a tutelare il patrimonio da aggressioni disordinate. Ecco alcune linee guida su come il debitore (gestore idrico) può difendersi:
- Analisi e monitoraggio legale dei debiti: il primo passo è mappare con precisione tutti i debiti, distinguendo quelli esigibili immediatamente, quelli garantiti, quelli contestati. È importante capire quali creditori hanno la posizione più forte (es.: se c’è un creditore con privilegio o pegno, sarà il primo a essere soddisfatto; se c’è un creditore in possesso di titoli esecutivi come decreti ingiuntivi non opposti, costui può partire subito con pignoramenti). Questa analisi consente di prioritizzare le difese. Ad esempio, se l’Agenzia Entrate ha già iscritto ipoteca su un bene aziendale, forse è preferibile pagare il debito fiscale rateizzandolo per sbloccare l’ipoteca, mentre se un fornitore minaccia causa, si può cercare accordo stragiudiziale. In questa fase il supporto di esperti legali e finanziari è essenziale per disegnare la mappa del rischio.
- Negoziazione standstill con i principali creditori: è opportuno contattare informalmente i creditori maggiori e chiedere tempo, informandoli che l’azienda sta predisponendo un piano di ristrutturazione. Spesso i creditori preferiscono concedere qualche mese di tregua (standstill) piuttosto che forzare la mano e rischiare un fallimento che li penalizzerebbe. Ad esempio, Siciliacque avrebbe potuto concordare con AICA un differimento dei pagamenti invece di pignorare subito; nel caso specifico ciò non è avvenuto , ma in altre situazioni la moral suasion delle istituzioni (Prefettura, Regione) può facilitare intese temporanee. Formalizzare uno standstill agreement con banche e grossi fornitori – magari con la promessa di includerli nel successivo piano con un trattamento equo – può congelare le azioni aggressive sul nascere.
- Opposizioni e dilazioni sul fronte legale: se i creditori passano alle vie giudiziarie, il debitore ha comunque strumenti processuali per guadagnare tempo e cercare soluzioni nel frattempo. Ad esempio, un decreto ingiuntivo va opposto entro 40 giorni se vi sono motivi di contestazione, anche parziale: l’opposizione apre un giudizio ordinario, di durata ben maggiore, durante il quale si può trattare. Certo, se il decreto è provvisoriamente esecutivo (come nel caso AICA) , l’opposizione da sola non sospende l’esecuzione: occorre chiedere al giudice una sospensione in via cautelare, motivandola (non facile, perché serve dimostrare vizi o pericoli di danno grave). Tuttavia tentare un’opposizione all’esecuzione su un pignoramento invocando magari l’impignorabilità di certe somme può ritardare la procedura. Ad esempio, l’azienda potrebbe sostenere che alcune somme sul conto pignorato sono destinate al pagamento stipendi (che per legge non dovrebbero essere aggredite dai creditori generici in caso di amministrazioni pubbliche, analogia con conti tesoreria enti locali) – è un argomento non pacifico, ma in emergenza si prova ogni strada. Altro esempio: opporsi alla richiesta di fallimento negando lo stato di insolvenza e depositando istanza di concordato “in bianco” (con riserva) prima dell’udienza fallimentare; ciò blocca sul nascere la dichiarazione di fallimento, imponendo di sospendere il giudizio ex lege in attesa dell’esito del concordato. Questa è una mossa difensiva classica: quando un creditore istante vuole far fallire la società, il debitore può proteggersi avviando lui stesso una procedura concorsuale più “morbida” (concordato) per prendere l’iniziativa e congelare gli attacchi.
- Misure protettive nelle procedure di composizione: come detto, l’azienda che accede alla composizione negoziata o presenta domanda di concordato può ottenere dal tribunale la sospensione delle azioni esecutive dei creditori . Si tratta di uno scudo legale potentissimo: ad esempio, se AICA avesse presentato domanda prenotativa di concordato preventivo prima del pignoramento di Siciliacque, il tribunale di Sciacca avrebbe emesso un provvedimento inibitorio dei pignoramenti, impedendo quel blocco dei conti. Naturalmente, queste misure non si ottengono senza precondizioni: bisogna convincere il tribunale di avere un piano in preparazione e non essere in malafede. Ma una volta ottenute, l’azienda guadagna respiro (tipicamente 4 mesi prorogabili a 6 nel concordato con riserva, e fino a 12 nella composizione negoziata con eventuale proroga). Durante questo periodo, i creditori non possono iniziare/eseguire pignoramenti né acquisire ipoteche. Ciò consente di continuare almeno la gestione corrente (spesso il tribunale autorizza anche pagamenti di fornitori strategici e dipendenti per tenere vivo il servizio). Dal punto di vista difensivo, dunque, attivare per tempo la procedura concorsuale giusta è un atto di difesa: una sorta di fortino in cui il debitore si rifugia per riorganizzarsi, mentre i creditori devono attendere fuori.
- Salvaguardia dei beni essenziali: benché le reti e gli impianti siano di proprietà pubblica demaniale, l’azienda può avere beni strumentali propri (automezzi, pompe mobili, computer, arredi ufficio, conti correnti). È opportuno valutare come preservarli dagli attacchi. Ad esempio, nel rispetto delle norme, si potrebbe trasferire in leasing alcuni mezzi, così che formalmente non siano più proprietà pignorabile (ma qui attenzione: se fatto troppo a ridosso e in frode ai creditori, può essere revocato in fallimento). Oppure costituire vincoli su crediti futuri per ottenere nuova finanza prededucibile, il che li sottrae ai creditori pregressi. Tutte queste mosse vanno ponderate col legale, perché c’è il rischio di invalidazione se configurano atti pregiudizievoli. Un aspetto più pragmatico: se ci si attende un pignoramento mobiliare (es. attrezzature in ufficio), l’azienda può temporaneamente spostarli fuori dalla sede se non servono, per evitare che l’ufficiale giudiziario li rinvenga (tattica non ortodossa, da valutare seriamente per le implicazioni di legge, ma spesso applicata nella pratica…). In generale, però, la difesa migliore non è nascondere i beni, bensì portarli dentro una procedura concorsuale dove possano essere gestiti ordinatamente.
- Interlocuzione con l’Autorità d’Ambito e istituzioni: dal punto di vista del debitore, “difendersi” non significa solo combattere i creditori, ma anche evitare che le istituzioni perdano fiducia e lo estromettano. È vitale tenere informata la Regione/EGATO della strategia di risanamento, chiedendo collaborazione. Ad esempio, ottenendo dall’EGATO la sospensione temporanea di eventuali canoni dovuti o anticipazioni sui conguagli tariffari maturati, in modo da aiutare la cassa. Si può anche coinvolgere la Prefettura se c’è rischio per l’ordine pubblico (scioperi, interruzione servizio): i Prefetti spesso istituiscono tavoli di crisi con i soggetti coinvolti per trovare soluzioni (ciò è avvenuto in varie crisi idriche e dei rifiuti). Questa rete istituzionale può indirettamente proteggere l’azienda persuadendo i creditori ad allentare la presa (un creditore unico come Siciliacque, se pressato politicamente, potrebbe acconsentire a sbloccare parte dei fondi pignorati per pagare i salari, come stava emergendo nelle interlocuzioni AICA ). Quindi, la difesa non è solo legale, ma anche politico-istituzionale: far capire che la caduta dell’azienda avrebbe conseguenze serie per la comunità e che tutti devono collaborare alla soluzione.
- Protezione del management e continuità operativa: infine, un aspetto di “difesa” del debitore riguarda le persone chiave. Se la crisi degenera, c’è il rischio di dimissioni in massa del CDA o di richieste di rimozione. È importante garantire una governance stabile durante la crisi: magari nominare un amministratore unico straordinario (con gradimento di soci e tribunale) che porti avanti il risanamento con pieni poteri. In parallelo, assicurarsi di mantenere il personale essenziale motivato: se i tecnici scappano o scioperano perché vedono la società allo sbando, il servizio collassa e addio risanamento. Quindi difendersi significa anche dare un segnale interno: comunicare ai dipendenti il piano, cercare di pagare almeno parzialmente stipendi e rimborsi, evitare il panico. Un’azienda idrica che perda i propri operatori esperti durante una crisi non avrebbe modo di continuare ad erogare il servizio, venendo esautorata.
In definitiva, la difesa del debitore in questa materia è un mix di tecniche legali, strategia negoziale e gestione politica. Bisogna navigare con abilità: usare le barricate legali quando serve (opposizioni, concordato per bloccare aggressioni), ma al contempo costruire ponti di dialogo con i creditori e le istituzioni per arrivare a una soluzione condivisa. Il quadro normativo attuale offre molte tutele al debitore diligente che voglia ristrutturare (si pensi al favor legislativo per il concordato in continuità, o alla composizione negoziata). Tuttavia, queste tutele operano solo se l’azienda agisce in trasparenza e buona fede, presentando piani credibili. La migliore difesa, in ultima analisi, è presentarsi ai creditori e al giudice con un progetto serio di salvataggio: questo toglie spazio alle iniziative distruttive altrui, perché fa intravedere una prospettiva di soddisfacimento migliore rispetto alla liquidazione forzata.
Ruolo dei soci pubblici e obblighi dell’ente locale proprietario
Quando un’azienda idrica partecipata accumula debiti insostenibili, i soci pubblici (Comuni, Province, ecc.) non possono restare spettatori passivi: hanno precisi obblighi normativi e responsabilità politiche nel gestire la crisi della propria società. Esaminiamo il ruolo e i vincoli per gli enti proprietari:
- Obbligo di monitoraggio e intervento ex TUSP: il Testo Unico sulle Società Pubbliche impone agli enti soci un attento monitoraggio dell’andamento delle partecipate. In particolare, l’art. 6 TUSP richiede programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale nelle società controllate . Se emergono indicatori di crisi, oltre all’organo amministrativo (che deve agire senza indugio), anche l’assemblea dei soci e gli organi di controllo societari devono essere coinvolti. Il Comune socio ha il dovere di attivarsi, richiedendo informazioni, esercitando i poteri del socio (ad esempio, convocando un’assemblea straordinaria per chiedere spiegazioni al CDA o per deliberare su provvedimenti urgenti di patrimonializzazione). La giurisprudenza contabile è severa nel ravvisare culpa in vigilando in capo agli amministratori locali se la partecipata affonda senza che il socio abbia fatto nulla. Quindi, il primo obbligo del Comune è non ignorare i segnali di allarme: bilanci in perdita, rapporti del collegio sindacale sulla tensione finanziaria, ritardi nei pagamenti ai fornitori, devono far scattare l’allerta a livello di giunta comunale.
- Divieto di soccorso finanziario “in bianco”: gli amministratori pubblici si trovano però stretti tra due esigenze: da un lato salvare il servizio, dall’altro non sprecare risorse pubbliche in società magari mal gestite. Il TUSP art. 14, comma 5 sancisce il divieto per le PA di ripianare le perdite o ricapitalizzare società partecipate che per tre esercizi consecutivi abbiano chiuso in perdita o usato riserve per coprire perdite . Sono previste eccezioni solo in presenza di un serio piano di risanamento e autorizzazioni di autorità di regolazione, oppure per interventi necessari a fronte di pericoli per la sicurezza, l’ordine pubblico o la sanità pubblica, autorizzati addirittura con DPCM (Decreto del Presidente Consiglio) su proposta MEF (art. 14 c.5 ultima parte) . Quest’ultimo caso è un’extrema ratio: significa che, se la crisi del gestore idrico minaccia l’igiene pubblica o l’ordine (immaginiamo un collasso idrico generalizzato in una provincia), il Governo in persona può autorizzare una sorta di “salvataggio di Stato” in deroga, con fondi pubblici per garantire il servizio . Ma ordinariamente, il Comune non può semplicemente staccare un assegno per coprire i debiti. Deve piuttosto inserire quell’eventuale sostegno in un contesto di risanamento concreto. Per i sindaci e le giunte, questo è un compito difficile: reperire risorse dal bilancio comunale (già spesso in sofferenza) e metterle nella società sotto la lente della Corte dei Conti.
- Scelte strategiche: mantenere o liquidare la società? Un ente locale di fronte a una partecipata insolvente ha una scelta fondamentale: tentare il salvataggio o lasciarla fallire. La legge spinge per il salvataggio se c’è un interesse pubblico a conservare il servizio in mano controllata. Ma non sempre ciò è possibile. In alcune situazioni, i Comuni possono decidere di non ricapitalizzare e lasciar fallire la società, per poi affidare il servizio via gara a terzi (privati o altra società). Questa strada, però, è sbarrata temporaneamente dalla norma del divieto 5 anni di ricostituzione società dopo fallimento : significa che se il Comune lascia fallire la propria in house, per 5 anni non potrà crearne una nuova né avere partecipazioni in società che facciano quel servizio, dovendo quindi rivolgersi al mercato privato obbligatoriamente. Ciò potrebbe scontrarsi con le preferenze politiche e con i referendum sull’acqua pubblica. Dunque, i soci pubblici tendono di solito a evitare la disfatta se possibile. A livello decisionale, convocano tavoli politici con Regione e altri soci: spesso la Regione gioca un ruolo chiave, coordinando finanziamenti di emergenza o predisponendo interventi normativi (es. leggi regionali per rifinanziare investimenti, o per riorganizzare gli EGATO). I Comuni dal canto loro devono deliberare in Consiglio eventuali misure di sostegno e includerle nei bilanci previsionali, motivandole come necessarie a garantire servizi pubblici (onde evitare censure dei revisori e Corte Conti). Devono anche valutare la sostituzione dei vertici societari se ritenuti responsabili del dissesto: spesso il primo atto è revocare il CDA in carica nominando magari un amministratore unico “di risanamento” con competenze specifiche. Questa facoltà è un potere-dovere se la fiducia viene meno.
- Rapporto con la Corte dei Conti: ogni esborso o mancato introito legato alle partecipate può essere sindacato dalla magistratura contabile. Ad esempio, se un Comune garantisce un prestito bancario per la società poi escusso e pagato con fondi comunali, la Corte esaminerà se c’era diligenza e se quell’operazione fosse legittima (non elusive dei divieti). Se un Comune non esige i canoni o dividendi dalla società poi fallita, la Corte potrebbe ravvisare danno (anche se nel fallimento quei crediti sarebbero comunque insoddisfatti). I soci pubblici, dunque, devono preparare un dossier difensivo delle proprie mosse: ogni aumento di capitale deve essere giustificato da un piano attestato di risanamento; ogni mancata azione di recupero crediti verso la società va motivata con la prevalenza dell’interesse pubblico a non sottrarle liquidità. Una recente tendenza è la segnalazione anticipata: alcuni Comuni, in fase di predisporre un salvataggio, chiedono pareri alla Corte dei Conti (sezione di controllo) per avere via libera o indicazioni su come procedere senza incorrere in sanzioni. È un modo per cautelarsi.
- Decisioni sul personale e sul servizio: i soci pubblici devono preoccuparsi anche del destino dei lavoratori e della continuità del servizio a utenti, elementi che hanno risvolti sociali immediati. Ad esempio, se appare inevitabile che la società vada in default, il Comune deve predisporre soluzioni per garantire l’erogazione: magari predisporre un piano d’emergenza in cui la stessa struttura comunale (o una municipalizzata vicina) prenda in carico temporaneamente il servizio se la società cessa, trasferendo ad essa il personale. Non è banale, perché servono autorizzazioni (il personale di società privata non può passare a ente pubblico se non per concorso, però in situazioni di emergenza spesso si trovano escamotage temporanei come comandare il personale in distacco). L’ente pubblico può chiedere al Prefetto di emettere un’ordinanza contingibile e urgente per obbligare il gestore in fallimento a continuare il servizio per un certo periodo, sotto supervisione, finché il subentro non è pronto. Tutto questo richiede pianificazione da parte del socio.
- Coordinamento con ARERA e Ministeri: un ente locale da solo può poco su questioni come tariffe e grandi investimenti. In una strategia di salvataggio, i Comuni soci dovrebbero attivarsi presso ARERA per ottenere eventuali anticipi tariffari o conguagli straordinari a favore del gestore in crisi, e presso il Governo (Ministero Ambiente o TESORO) per esplorare l’utilizzo di fondi nazionali (ad es. Fondi per crisi idriche, risorse del PNRR destinate al settore idrico che possano alleviare i fabbisogni). C’è da dire che lo Stato tende a non intervenire direttamente in debiti di società locali (moral hazard), ma in contesti di particolare criticità (come la dispersione idrica nel Sud, obiettivo del PNRR) sono previsti finanziamenti che, se colti, migliorano la sostenibilità dell’azienda (perché finanziano investimenti a fondo perduto, riducendo la necessità di indebitarsi ulteriormente).
In conclusione, i soci pubblici sono in parte alleati e in parte debitori essi stessi: alleati perché condividono l’obiettivo di salvare l’azienda e il servizio, ma anche debitori in senso lato poiché molti creditori (dipendenti, utenti, comunità) si aspettano che “il pubblico” garantisca comunque l’acqua. La legge bilancia questa aspettativa vietando i salvataggi indiscriminati ma permettendo interventi oculati e vigilati. Dal punto di vista pratico, il Comune proprietario farà il possibile per evitare il default: il sindaco non vuole la figuraccia politica di far fallire “la propria” azienda idrica, con magari interruzioni d’acqua e proteste popolari. Quindi, quando il rischio default è serio, spesso i soci pubblici trovano un accordo per mettere risorse (compatibilmente con i loro bilanci) e nominare management in grado di attuare un piano. La moral suasion politica può convincere i creditori finanziari a ristrutturare il debito confidando nel supporto pubblico (esempio: banche che accettano haircut perché sanno che i Comuni ricapitalizzano con tot milioni). In definitiva, la sopravvivenza di un gestore idrico indebitato è quasi sempre legata alla volontà e capacità degli enti pubblici soci di partecipare al risanamento, direttamente o indirettamente. Se i soci alzano bandiera bianca (per mancanza di soldi o di intesa tra loro), la sorte dell’azienda è segnata.
Tutela della continuità del servizio e protezione degli utenti
In tutte le vicende sin qui descritte, un elemento sovrasta ogni altro in termini di interesse pubblico: assicurare che il servizio idrico continui senza interruzioni nonostante la crisi finanziaria del gestore. La normativa italiana ed europea pone la tutela degli utenti al centro, essendo l’accesso all’acqua potabile un diritto fondamentale e il servizio idrico un servizio pubblico essenziale. Vediamo come viene garantita la continuità e cosa succede agli utenti quando il gestore è in difficoltà:
- Clausole contrattuali di continuità: i contratti di servizio e le normative regionali generalmente prevedono l’obbligo del gestore di garantire la continuità del servizio anche in caso di difficoltà, fino ad eventuale subentro di un nuovo gestore. In caso di grave inadempimento, l’ente affidante può nominare un commissario ad acta o avvalersi di poteri sostitutivi per gestire temporaneamente il servizio. Ad esempio, la Regione Siciliana nel 2018 commissariò Girgenti Acque prima della dichiarazione d’insolvenza, inviando amministratori straordinari per assicurare l’operatività quotidiana. Questi commissari possono disporre pagamenti urgenti e atti di gestione con priorità assoluta alla funzionalità degli impianti, anche travalicando la normale governance societaria.
- Intervento di ARERA e standard di qualità: ARERA fissa standard minimi di continuità. Un’interruzione prolungata del servizio idrico senza giustificato motivo comporta sanzioni e obbligo di indennizzi automatici agli utenti . Sebbene queste sanzioni pecuniarie possano sembrare controproducenti per un’azienda già in crisi, fungono da deterrente: il gestore sa che non può sospendere la fornitura unilateralmente nemmeno se gli utenti non pagano o se i fornitori lo mettono alle strette, pena incorrere in ulteriori obblighi. In passato, per i settori elettrico e gas, ARERA ha previsto meccanismi di default del gestore: se un venditore fallisce, i clienti passano ad un fornitore di ultima istanza. Nel settore idrico, essendo monoutility di territorio, non c’è un mercato retail con più fornitori; tuttavia, si sta discutendo a livello regolatorio di prevedere piani di emergenza (il nuovo Metodo Tariffario consente accantonamenti per rischi di sistema). Per ora, ARERA può monitorare e collaborare con gli EGATO per gestire la transizione (come fatto in ATO con operatori unici in ritardo di affidamento, v. caso Trapani con Invitalia ).
- Poteri sostitutivi del Governo: se le autorità locali non riescono a garantire il servizio, interviene il Governo centrale. Il caso citato di Trapani (fine 2024) è emblematico: l’ATO era rimasto senza gestore unico per lungaggini, rischiando crisi idrica, così il Consiglio dei Ministri ha attivato i poteri sostitutivi (art. 14 DL 115/2022) affidando provvisoriamente la gestione a Invitalia (agenzia statale) . Questo indica che l’ordinamento non esita a far intervenire un soggetto pubblico terzo per salvaguardare il servizio in situazioni di vuoto gestionale. Analogamente, in caso di fallimento di un gestore senza immediato subentro, il Prefetto d’intesa col Ministero dell’Interno potrebbe nominare un commissario ex art. 32 T.U. Enti Locali per gestire temporaneamente il SII (norma usata per rifiuti, applicabile analogicamente).
- Diritti degli utenti: per l’utente finale, l’ideale è non accorgersi neppure della crisi aziendale. L’acqua deve continuare ad uscire dal rubinetto. Se tuttavia il servizio peggiora (ad es. cali di pressione, ritardi nelle riparazioni), gli utenti hanno mezzi di tutela: possono segnalare ad ARERA o al Difensore Civico regionale le inadempienze, possono chiedere indennizzi automatici previsti dalla Carta del Servizio, e – nei casi estremi – possono costituirsi parte civile in eventuali procedimenti o fare esposti se ravvisano interruzione di pubblico servizio. In ipotesi di fallimento del gestore, gli utenti che avevano pagato anticipatamente canoni o cauzioni diventano anch’essi creditori (spesso di importi modesti cadauno, insinuati in massa al passivo). Un buon piano di concordato deve tener conto anche di questo: ad esempio, prevedere che eventuali rimborsi agli utenti (per quote di tariffa non dovute, oppure per cauzioni) siano assicurati dal nuovo gestore subentrante, altrimenti vi sarebbe un danno sociale e un contenzioso diffuso.
- Continuità dei contratti e tutela dei terzi: se avviene un passaggio di consegne dal vecchio al nuovo gestore, la normativa (art. 172 Cod. Ambiente e normative regionali) tende a facilitare il subentro garantendo la continuità dei contratti in essere. Ciò significa che i contratti di utenza vengono trasferiti al nuovo gestore automaticamente, senza necessità di stipularne di nuovi ex novo (per non lasciare periodi scoperti). Similmente, il personale del gestore uscente è di norma riassorbito dal subentrante grazie ad una clausola sociale obbligatoria: la legge (art. 202 D.Lgs. 152/2006) e i CCNL di settore prevedono il mantenimento dei livelli occupazionali in caso di cambio gestione del servizio pubblico. Quindi gli utenti dovrebbero ritrovare gli stessi sportelli, tecnici, call center, solo sotto altra direzione.
- Fondi emergenziali: in contesti di emergenza (es. crisi idrica per dissesto azienda), le Regioni possono dichiarare lo stato di emergenza locale e attingere a fondi di protezione civile per interventi immediati (ad es. rifornire tramite autobotti se c’è rischio sospensione). Fortunatamente, casi così estremi non si sono finora verificati per insolvenza (le emergenze idriche in Italia sono state dovute a siccità o calamità naturali, non a fallimenti aziendali). Ciò non toglie che il sistema di protezione civile resta un paracadute ultimo se, malgrado tutto, l’acqua smettesse di arrivare in qualche zona.
- Tariffe e qualità durante la crisi: un punto delicato è che un gestore in crisi potrebbe essere tentato di ridurre la qualità per risparmiare (es: meno cloro, meno controlli, manutenzioni posticipate). Questo però è proibito: i gestori sono tenuti a rispettare parametri di potabilità e di qualità contrattuale, altrimenti incappano in violazioni di legge (D.Lgs. 31/2001 per le acque potabili) e in possibili reati (fornitura di acqua non conforme, interruzione pubblico servizio). Dunque la presenza di ATS (Aziende Sanitarie Locali) e ARPA (Agenzie ambientali) che monitorano l’acqua e i depuratori serve anche a evitare che per mancanza di soldi si abbassi la guardia su salute e ambiente. In caso di default, l’ARTA può prendere campioni e se trova acqua non a norma può imporre commissariamenti sanitari degli impianti.
In conclusione, per quanto drammatica possa essere la crisi finanziaria, la continuità del servizio idrico deve essere garantita. Questo imperativo condiziona tutte le decisioni: sia quelle del tribunale (che in un concordato privilegerà soluzioni che assicurino la gestione del servizio), sia quelle degli enti locali e del Governo, chiamati a intervenire pur di non lasciare una popolazione senz’acqua corrente. Dal lato pratico, gli utenti raramente subiranno un black-out: al massimo potranno vedere passare la gestione da un soggetto ad un altro. Ad esempio, dopo il fallimento di Soakro a Crotone, il servizio non si è interrotto neanche un giorno: è transitato prima in amministrazione giudiziaria provvisoria, poi al consorzio pubblico Congesi. All’utente finale interessano due cose: che l’acqua arrivi e che la tariffa non esploda per colpa delle inefficienze pregresse. Su quest’ultimo punto, ARERA non consente di caricare in tariffa i costi della mala gestione (i debiti finanziari o commerciali non coperti sono a carico del gestore e dei suoi soci, non degli utenti). Quindi un eventuale risanamento finanziato dai Comuni soci proviene dalla fiscalità generale e non dalle bollette degli utenti (se non per la parte di costi operativi fisiologicamente da coprire). È una tutela indiretta ma importante: l’utente non paga due volte gli errori della società. Certo, vi possono essere adeguamenti tariffari per i nuovi investimenti o per i maggiori costi, ma questi sarebbero stati necessari comunque.
Possiamo concludere che il sistema normativo italiano tutela l’utente idrico su più livelli: continuità, qualità e ragionevolezza della tariffa. La crisi del gestore è vista come un problema industriale e finanziario da risolvere, ma senza scaricarne le conseguenze sul rubinetto delle persone. Ciò impone uno sforzo collettivo – azienda, soci, istituzioni, creditori – per trovare soluzioni che non interrompano il flusso dell’acqua. Questo obiettivo, in fondo, orienta e giustifica molte delle regole analizzate finora (dalla fallibilità delle società – per non congelare situazioni inefficaci – alla possibilità di poteri sostitutivi straordinari – per salvare il servizio in extremis).
Domande frequenti (FAQ)
D: Una società in house che gestisce il servizio idrico può essere dichiarata fallita?
R: Sì. Le società in house providing, pur essendo partecipate interamente da enti pubblici, hanno natura privatistica e sono considerate imprenditori commerciali. La Corte di Cassazione lo ha chiarito sin dal 2013 e il TUSP (D.Lgs. 175/2016) lo conferma espressamente . Dunque, se una società in house versa in stato di insolvenza, il tribunale può assoggettarla a liquidazione giudiziale (fallimento), su istanza di creditori o della Procura. Ciò non viola alcuna norma di legge né principi costituzionali – anzi, garantisce parità di trattamento con le imprese private e tutela i creditori . Va detto che spesso gli enti pubblici faranno di tutto per evitare il fallimento (per i contraccolpi sul servizio), ma giuridicamente non esiste immunità dal fallimento per il solo fatto di essere “in house”. Differentemente, se il gestore è un ente pubblico (azienda speciale, consorzio), allora non è soggetto a fallimento perché la legge fallimentare esclude gli enti pubblici.
D: Cosa succede concretamente se un gestore idrico fallisce? L’acqua continua ad arrivare nelle case?
R: In caso di fallimento (liquidazione giudiziale) di un gestore idrico, il tribunale nomina un curatore che si occupa della liquidazione della società. Tuttavia, l’Autorità d’Ambito (o la Regione) contestualmente revoca l’affidamento del servizio al fallito e ne dispone il subentro di un altro soggetto. Questo può avvenire tramite affidamento d’urgenza ad un gestore vicino o mediante nomina di un commissario temporaneo. Ad esempio, se domani fallisse una società che gestisce l’acqua di una provincia, la Conferenza d’Ambito potrebbe affidare provvisoriamente il servizio ad un’altra utility regionale o costituire una gestione commissariale. Gli impianti essendo pubblici passano in consegna al nuovo gestore, così come (di regola) il personale. Per l’utente finale, quindi, il servizio non si interrompe – al massimo cambierà il nome in bolletta del soggetto gestore dopo qualche mese. Chi aveva crediti verso la vecchia società (es. un rimborso dovuto) dovrà insinuarsi nel fallimento come creditore, ma potrà contare di continuare ad usufruire del servizio con il nuovo gestore. In sintesi, sì: l’acqua continua ad arrivare, perché l’ordinamento prevede meccanismi di garanzia della continuità anche in caso di fallimento del gestore . Il fallimento incide sul gestore come società, ma il servizio pubblico viene immediatamente preso in carico da altri.
D: I Comuni soci sono obbligati a pagare i debiti della società idrica se questa non riesce?
R: No, non c’è un obbligo legale generale di farsi carico dei debiti della società partecipata. La società ha autonomia patrimoniale: risponde con il proprio patrimonio delle obbligazioni. I creditori sociali non possono per legge agire direttamente nei confronti dei Comuni soci (a meno che questi abbiano prestato garanzie specifiche). Quindi, ad esempio, se la società idrica non paga un fornitore, quest’ultimo non può citarne in giudizio i Comuni proprietari per ottenere il denaro. Tuttavia, in pratica, se la società va in default, è interesse dei Comuni intervenire per evitare disservizi: possono decidere di ripianare i debiti in tutto o in parte. Ma è una scelta discrezionale (nei limiti del TUSP) , non un obbligo legale coattivo. Fa eccezione il caso dei consorzi o aziende speciali: in quei modelli spesso lo statuto prevede che gli enti consorziati rispondano pro quota delle obbligazioni del consorzio. Anche lì però serve una deliberazione, non è automatico. Insomma, i Comuni politicamente sentono la responsabilità di salvare la società (specie per pagare stipendi e garantire il servizio), ma giuridicamente non sono debitori in solido con la società verso i terzi. Unica nota: se la società fallisce e non paga tributi locali (tipo Tari), il Comune soffrirà la minore entrata nel suo bilancio, ma quello è un riflesso indiretto.
D: Se l’azienda idrica è in crisi, i creditori possono pignorare gli acquedotti o i depuratori?
R: No, gli acquedotti, le reti fognarie, i depuratori e in generale le infrastrutture idriche pubbliche sono beni demaniali inalienabili per legge . Ciò significa che non possono essere né venduti né sottoposti a pignoramento o ipoteca da parte di creditori privati. Appartengono agli enti pubblici (Comuni, consorzi, ecc.) e il gestore ne ha solo l’uso. Quindi un creditore della società non potrà mai portare all’asta un impianto di potabilizzazione per soddisfarsi. I creditori possono pignorare solo i beni di proprietà della società debitrice: conti correnti, crediti verso utenti, automezzi, arredi, magari immobili se la società ne ha (uffici, magazzini – spesso però anche questi immobili sono comunali in comodato). In qualche caso marginale le reti potrebbero essere state iscritte nel bilancio della società come asset (dipende dai contratti originari), ma anche in tali casi la loro natura pubblica ne impedisce l’esecuzione forzata. Dunque, le infrastrutture essenziali sono al sicuro. Naturalmente ciò limita le possibilità di recupero per i creditori: dovranno accontentarsi di colpire le risorse economiche dell’azienda (cash, crediti, fatture). Questo spiega perché di solito ciò che viene pignorato sono i conti bancari (bloccandoli) o al più gli incassi delle bollette (pignoramento presso terzi). I mezzi operativi (es. automezzi di servizio) tecnicamente sarebbero pignorabili, ma spesso il giudice dell’esecuzione può sospendere la vendita se ritiene che vendere i mezzi comprometterebbe un servizio pubblico (c’è giurisprudenza sul punto, analogie con trasporto pubblico locale). In pratica, comunque, acquedotti e depuratori non sono toccabili dai creditori.
D: Come può un’azienda idrica indebitata evitare il fallimento?
R: La società ha vari strumenti: in sintesi deve predisporre un piano di risanamento e ottenere protezione giuridica mentre lo attua. Può ad esempio chiedere la composizione negoziata della crisi, nominando un esperto che l’aiuti a trovare un accordo con i creditori (ristrutturare i debiti, magari tagliandoli o dilazionandoli) – nel frattempo può ottenere dal tribunale misure protettive che bloccano i creditori . Oppure può presentare un concordato preventivo al tribunale: un piano con proposta di pagamento parziale ai creditori, da votare, che se approvato ed omologato evita il fallimento e anzi vincola tutti ad accettare quel pagamento parziale. Durante il concordato, c’è il beneficio dell’automatic stay, ossia i creditori non possono agire esecutivamente. L’azienda può anche tentare soluzioni extra-giudiziali: un piano attestato di risanamento (accordi privati con i creditori chiave, con l’attestazione di un esperto) o un accordo di ristrutturazione omologato (se raggiunge il 60% di consensi). Insomma, l’azienda deve trasformare il caos di tanti debiti in un accordo ordinato. Inoltre deve coinvolgere i soci pubblici: raramente i creditori accettano perdite se non vedono che i Comuni mettono un po’ di risorse o garanzie sul tavolo (ad es. un aumento di capitale contestuale). Quindi la via per evitare il fallimento passa da: congelare le azioni dei creditori (con negoziazione assistita o concordato), presentare un piano credibile di rientro (che convinca anche il giudice e gli eventuali votanti) e avere il supporto finanziario dei soci e magari di nuovi partner (in certi casi si cerca un investitore terzo, anche privato, disposto a entrare nel capitale e rilanciare la società, come contropartita di una ristrutturazione dei debiti). Da notare che se la società è solo momentaneamente illiquida ma solvibile sul lungo termine, può anche evitare procedure formali ottenendo finanziamenti ponte – ad esempio anticipazioni di tesoreria da banche su future entrate tariffarie o su crediti verso PA. Ma se è insolvente strutturalmente, allora serve passare per i meccanismi concorsuali.
D: Cosa rischiano gli amministratori e i dirigenti se la società idrica fallisce?
R: Rischiano sia sul piano civile che, in taluni casi, penale. Civilmente, in caso di fallimento, il curatore esaminerà le cause del dissesto e potrà promuovere un’azione di responsabilità contro gli amministratori e sindaci, se ravvisa che hanno agito con mala gestio o violato obblighi contribuendo al dissesto. Ad esempio, se hanno continuato ad accumulare debiti pur sapendo di essere insolventi (aggravando il buco), o se hanno fatto pagamenti preferenziali a qualcuno pregiudicando altri. Se condannati, dovranno risarcire il danno alla massa dei creditori (anche con il proprio patrimonio personale). La Cassazione nel caso Soakro ha ritenuto i suoi amministratori imputabili per bancarotta distrattiva e documentale : quindi esiste anche il rischio penale. I reati ipotizzabili sono i classici del fallimento: bancarotta fraudolenta (se hanno distratto beni dell’azienda, occultato documenti contabili, falsificato bilanci) o bancarotta semplice (se con colpa grave hanno aggravato il dissesto, ad es. facendo spese pazze o non chiedendo il concordato in tempo). Inoltre, prima ancora del fallimento, se non pagano contributi e IVA scaduti oltre soglia, sono soggetti ai reati di omesso versamento (art. 10-bis e 10-ter D.Lgs. 74/2000 per IVA e ritenute). Non ultimo, per gli amministratori pubblici (sindaci, assessori) che siedono nel CDA o vigilano come soci, c’è il rischio di danno erariale: la Corte dei Conti può imputare loro il costo del dissesto, specie se hanno omesso controlli. Tuttavia, se hanno adottato tutte le misure previste (allerta, piani) e la crisi è dovuta a fattori esterni o strutturali, non verranno puniti. Anche il TUSP art. 14 li sprona: se non adottano provvedimenti appena vedono segnali di crisi, quella è grave irregolarità e possono essere revocati. In pratica, un amministratore diligente dovrebbe attivarsi per cercare soluzione (concordato, ecc.): se lo fa e comunque la società fallisce, difficilmente sarà accusato di bancarotta fraudolenta (al più semplice, se errori di gestione). Invece, se rimane inerte o tenta di favorire qualcuno occultando lo stato di insolvenza, rischia grosso. Per i dirigenti (non consiglieri), i rischi penali esistono solo se hanno concorso in eventuali reati (es. falso in bilancio se collusi, o truffe). In sintesi: il fallimento di per sé non è reato, ma la conduzione scorretta che vi ha portato può esserlo. E anche senza reato, c’è la responsabilità civile verso creditori e soci.
D: Se l’azienda non paga fornitori e banche, questi possono attivare un commissariamento o togliere la gestione agli enti locali?
R: I creditori privati in quanto tali no, non hanno poteri amministrativi sull’azienda o sul servizio pubblico. Possono solo agire via tribunale per il recupero economico (pignoramenti, istanza di fallimento). Non possono “commissariare” la società: il commissariamento è semmai disposto da autorità pubbliche (Prefetto, ente affidante) in casi particolari (ad es. interdittiva antimafia, gravi violazioni di legge, o se il giudice 2409 c.c. riscontra irregolarità e revoca gli amministratori nominando un curatore speciale). Ma il creditore non ha diritto di voto o di ingresso nella gestione. Nei contratti di finanziamento con banche a volte si inseriscono covenant per cui, se la società sgarra, scatta la decadenza fidi e talvolta la banca può chiedere la nomina di un amministratore giudiziario (penso a strutture di project financing). Nel servizio idrico integrato però è raro: essendo servizio pubblico, i contratti non danno poteri gestori a terzi. Quindi la risposta è: no, un fornitore o banca non può commissariare, può però fare pressione: ad esempio, Sorical (creditore) ha fatto pressione su Congesi con l’istanza di fallimento, che di riflesso ha portato i Comuni soci a muoversi. Ma formalmente il potere di togliere la gestione ce l’ha solo l’ente affidante (che può revocare per inadempimento grave) e, in modo diverso, il tribunale (che con un fallimento di fatto toglie la gestione agli organi aziendali, mettendo il curatore). I creditori insoddisfatti possono anche segnalare la situazione alla Corte dei Conti o ad ARERA, cercando di provocare interventi di quelle istituzioni, ma non possono appropriarsi della gestione.
D: Che ruolo ha l’Autorità di regolazione (ARERA) se un gestore è insolvente?
R: ARERA monitora la qualità del servizio e l’equilibrio economico-finanziario degli Ambiti attraverso le MTR (method tariff regulation) e bilanci. Non ha un ruolo diretto nel risanamento di una singola azienda (non è come Banca d’Italia per le banche, per capirci). Però può incentivare soluzioni: ad esempio, se un gestore è in difficoltà per investimenti non fatti, ARERA può sollecitare l’EGATO a riassegnare il servizio. Inoltre ARERA deve approvare i piani tariffari anche straordinari: se nel piano concordatario si prevede un certo aumento tariffario per sostenere il risanamento, serve il nulla osta di ARERA. Il TUSP addirittura prevede che interventi straordinari pubblici nel risanamento debbano essere “approvati dall’Autorità di regolazione di settore” . Quindi ARERA ha un potere di veto o autorizzazione implicito su piani di risanamento che coinvolgono tariffe. In sostanza, ARERA tutela che la soluzione di crisi non gravi ingiustamente sugli utenti: se i Comuni volessero coprire buchi aumentando tariffe del 30%, ARERA potrebbe bocciarlo. ARERA può anche intervenire con sanzioni se la crisi causa disservizi: sanzioni pecuniarie (che in verità aggraverebbero la società) o, in casi estremi, proporre al Governo di attivare poteri sostitutivi. Non esiste ad oggi una norma che permetta ad ARERA di nominare un gestore ad acta, ma potrebbe segnalare al Ministero la necessità di farlo (come avvenuto per Trapani dove ARERA sicuramente era consultata nel decidere di incaricare Invitalia). Dunque, ARERA è un arbitro: non salva lei il gestore, ma garantisce che qualunque soluzione si adotti rispetti certe condizioni (piano industriale serio, tariffe e investimenti coerenti). Un concordato senza investimenti minimi per la qualità del servizio, ad esempio, difficilmente passerebbe il vaglio se ARERA o EGATO si oppongono come creditori “pubblici”.
D: Ci sono esempi concreti di aziende idriche che sono state risanate con successo dopo una crisi?
R: Sì, alcuni esempi: Acquedotto Lucano S.p.A. nei primi anni 2010 aveva un grave squilibrio finanziario, poi sanato grazie a un aumento tariffario straordinario accordato dalla Regione Basilicata e a ricapitalizzazioni dei Comuni, evitando il default. AMAP Palermo nel 2015 era vicina al collasso (debiti tributari e gestione fallimentare di APS fallita che aveva incorporato), ma il Comune di Palermo ricapitalizzò e la Regione concesse crediti di emergenza: l’azienda è stata risanata ed è tuttora operativa. Un caso di soluzione giudiziale è il passaggio Girgenti Acque -> AICA: Girgenti, privata, è fallita nel 2021; subito i Comuni, con supporto regionale, hanno creato AICA (consorzio pubblico) che ha preso in mano il servizio, ereditando personale e gestione. AICA ha affrontato i suoi problemi (come vediamo, non ancora risolti ) ma il servizio non si è interrotto e la gestione è “tornata pubblica”. Altro caso: Soakro (Crotone) fallita nel 2016, rimpiazzata da Congesi consorzio pubblico: Congesi a sua volta ha mostrato criticità (lo abbiamo visto in Appello 2024 ) ma sta continuando il servizio. Quindi, casi di vero risanamento interno con concordato sono rari nel settore idrico – di solito si tende a “far fallire e ripartire con ente pubblico nuovo” o a ricapitalizzare prima del fallimento. Al Centro-Nord, la maggior parte delle utility idriche sono in gruppi multiutility solidi (Hera, Iren, Acea, ecc.) e non hanno sperimentato situazioni di insolvenza conclamata. I casi di crisi maggiori sono concentrati nel Sud e Isole, dove la soluzione è stata spesso affidata alla mano pubblica con fondi regionali. Ciò detto, con la nuova legislazione, c’è maggiore spazio per concordati in continuità: se dovesse capitare, c’è fiducia che uno strumento come il concordato possa salvare un’azienda idrica senza farla fallire (in altri settori, come i trasporti locali, è successo: ATAC Roma, trasporto pubblico, ha fatto un concordato in continuità evitandone il fallimento). Nel nostro settore, attendiamo un primo caso “scuola” di concordato di successo, che potrebbe essere proprio AICA se riuscirà a ristrutturare i suoi debiti in accordo con Siciliacque e altri.
D: Quali norme recenti (2023-2025) influiscono sulla gestione delle crisi delle aziende idriche?
R: In primo luogo, l’entrata in vigore completa del Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019, aggiornato dal D.Lgs. 83/2022) a luglio 2022 ha cambiato alcune procedure: ad esempio ha introdotto la composizione negoziata e innovato il concordato preventivo (privilegiando la continuità). Inoltre, il DL “Aiuti” e il DL “Concorrenza” del 2022 hanno attivato i poteri sostitutivi nei servizi idrici per gli ATO inadempienti , cosa che ha portato a situazioni come Trapani con Invitalia. Nel 2023 c’è stata la legge di bilancio che ha prorogato certe possibilità di spalmare deficit enti locali derivanti da partecipate. ARERA nel 2023 ha emanato il MTI-4 (nuovo metodo tariffario 2024-2027) che tra l’altro spinge per investimenti sovra-ambito e digitalizzazione, e prevede incentivi e penali di performance: le aziende in crisi dovranno tenere conto di questi nuovi obblighi di qualità, altrimenti perderanno premialità o incorreranno in penalità tariffarie. Sul fronte giurisprudenza, una sentenza importante è Cass. SS.UU. n. 18623/2024 , che ha ribadito la legittimità degli affidamenti in house nel settore idrico, definendo le società in house come “articolazioni interne” dell’ente (questo è in ambito concorrenza, ma filosoficamente sottolinea il legame stretto con l’ente pubblico, che rileva poi quando si discute di eventuale fallimento in termini di opportunità). Altra pronuncia notevole: Cass. ord. n. 7646/2023 ha affrontato l’applicazione del Codice della Crisi alle società pubbliche, confermando la fallibilità e la necessità di non discriminare i creditori. Da menzionare anche la Corte d’Appello di Roma n. 5180/2025, che (stando a fonti online) ha trattato la natura di un ente gestore servizio idrico e relative conseguenze – ma su questo attendiamo testi ufficiali. In sintesi, chi affronta oggi (2025) una crisi di azienda idrica ha strumenti normativi più efficaci e recenti di quanti ne avesse 10 anni fa (quando l’unica opzione era spesso il fallimento se non intervenivano le istituzioni a tappare i buchi). Anche la sensibilità politica è cambiata: c’è un occhio vigile nel Governo sulle partite acqua, anche per via del PNRR che investe miliardi nel settore (si vuole evitare di mettere soldi pubblici in reti se poi i gestori falliscono per mala gestio). Quindi la tendenza 2024-2025 è di promuovere aggregazioni (meno gestori, più solidi) e di intervenire d’urgenza dove necessario per salvare servizi (commissari ad acta etc.). Norme come il DPCM di salvataggio (art. 14 c.5 TUSP) sono state applicate nel 2023 per alcuni casi limite (ad es. per ATAC Roma in trasporti, e analoghi potrebbero esserci nell’idrico se occorre).
D: Cos’è il concordato preventivo in continuità e come funzionerebbe per un’azienda idrica?
R: Il concordato preventivo in continuità aziendale è una procedura concorsuale nella quale l’impresa, invece di liquidare tutto e chiudere, propone di continuare l’attività e al contempo pagare i creditori gradualmente con i flussi generati dalla continuità (eventualmente integrati da apporti esterni). Per un’azienda idrica, significherebbe che la società rimane gestore del servizio idrico, prosegue quindi a incassare le bollette e a erogare acqua, e utilizza i margini futuri per soddisfare – almeno in parte – i debiti pregressi secondo un piano. Durante la procedura, l’azienda opera sotto il controllo di un commissario giudiziale nominato dal tribunale, ma gli amministratori rimangono in carica per la gestione ordinaria (salvo atti di straordinaria amministrazione, che richiedono autorizzazione). I creditori vengono suddivisi in classi e votano sulla proposta di concordato (che può prevedere percentuali di pagamento differenti per classi omogenee, purché migliorative rispetto alla liquidazione). Se i creditori approvano a maggioranza e il tribunale verifica la fattibilità e legalità, il concordato viene omologato: da quel momento l’azienda esegue il piano come nuovo contratto vincolante. Ad esempio, un possibile concordato in continuità per la nostra azienda X potrebbe dire: i creditori chirografari (fornitori) riceveranno il 40% del loro credito, pagato in rate semestrali in 5 anni; le banche con mutui riceveranno l’80%, ma diluito su 10 anni con nuovo tasso concordato; i debiti fiscali saranno pagati integralmente ma in 6 anni per usufruire del privilegio; i comuni soci apporteranno € Y di nuovo capitale per investimenti; la tariffa aumenterà dell’X% nei prossimi 3 anni (approvato dall’EGATO) generando flussi aggiuntivi destinati ai creditori concordatari. Durante l’esecuzione, se l’azienda non rispetta gli impegni, il concordato può essere revocato e a quel punto i creditori tornerebbero a poter chiederne il fallimento. Ma se tutto va bene, dopo aver pagato l’ultima rata secondo il piano, l’azienda si considera risanata ed esdebitata (libera dai debiti residui falcidiati dal concordato). Il vantaggio per l’azienda idrica è che continua a servire la comunità (non si perde know-how né si destabilizza il servizio), e i creditori prendono almeno qualcosa in un quadro ordinato (probabilmente più di quanto avrebbero in un fallimento, dove i tempi sarebbero lunghi e i costi alti). Il concordato in continuità è favorito dalla legge perché preserva i valori industriali e i posti di lavoro. Nel caso idrico è quasi imprescindibile: liquidare e cessare completamente l’attività creerebbe un vuoto che l’ente pubblico dovrebbe colmare in fretta con altro gestore. Quindi se c’è ragionevole possibilità, concordato in continuità è preferibile. Va però calibrato attentamente per non generare inefficienze: l’EGATO e la Regione devono essere d’accordo a lasciare la gestione a quella stessa società che ha fatto debiti (ci vorrà magari un cambio management per dare fiducia). In Italia, come accennato, già alcuni servizi pubblici locali (trasporti, rifiuti) sono passati per concordati in continuità. Nel servizio idrico potrebbe essere uno strumento chiave per il prossimo futuro in casi come AICA Agrigento, qualora la Regione e i creditori optino per tenerla in vita attraverso il tribunale anziché chiuderla.
D: La proprietà delle reti resta pubblica anche se il gestore è privato: questo non crea problemi per le banche che finanziano gli investimenti?
R: Le banche erano abituate, prima della “ripubblicizzazione” delle reti (Legge Galli 1994 e ora art. 143 D.Lgs. 152/2006), a chiedere ipoteca sugli acquedotti come garanzia dei mutui. Ora non è più possibile (gli acquedotti demaniali non sono ipotecabili) . Quindi si sono trovate soluzioni alternative: spesso i finanziamenti agli investimenti del SII sono garantiti da pegno sui crediti tariffari del gestore, oppure da delega di pagamento sul conto di tesoreria (la banca viene pagata direttamente con prelazione sulle entrate delle bollette). Altre forme: fideiussioni degli enti locali (se consentito, in passato diffuse), fondi di garanzia pubblici (es. in alcuni casi Cassa Depositi e Prestiti o BEI finanziano con garanzia dello Stato). Quindi, l’assenza di ipoteca sulle reti non blocca i finanziamenti, ma li fa strutturare diversamente. Dal punto di vista del fallimento, i creditori finanziari privilegiano cercare soluzioni concordate perché, non avendo ipoteche su reti, sarebbero chirografari se non hanno altre garanzie. In sintesi, è vero che la proprietà pubblica delle reti protegge il bene pubblico ma rende un po’ più difficili i finanziamenti tradizionali: tuttavia il settore ha ovviato con altre forme di garanzia su flussi futuri (in finanza si chiama securitizzazione dei ricavi, ecc.). Il risultato per i cittadini è positivo perché le reti restano pubbliche. Per le banche c’è più rischio, che però prezzano nel tasso di interesse o mitigano con garanzie statali. Dunque, nulla di insormontabile, a parte forse per gestori piccoli e fragili (che senza ipoteche e senza bilanci solidi fanno fatica a ottenere credito – ma lì dovrebbero intervenire i soci pubblici).
Casi pratici e simulazioni
Caso pratico 1: Società AcquaBlu S.p.A. (gestore in house in crisi)
AcquaBlu S.p.A. è una società in house di medio-piccole dimensioni, partecipata al 100% da 15 Comuni, che gestisce il servizio idrico integrato in un ambito territoriale. Negli ultimi 3 anni ha accumulato perdite per complessivi 5 milioni di euro, erodendo l’intero capitale sociale (inizialmente 2 milioni). Le cause: morosità degli utenti al 20%, costi energetici raddoppiati, mancato adeguamento tariffario dal 2018 e inefficienze operative. Al 31/12 la situazione debitoria è grave: €2M verso fornitori (energia, manutenzioni), €1M verso il fisco (IVA e ritenute non versate), €0.5M verso banche (scoperti di c/c), €0.5M verso il consorzio acquedotto regionale per forniture d’acqua. La società è in tensione di liquidità, alcuni fornitori minacciano azioni legali.
Azione: Il CDA di AcquaBlu, rilevato lo stato di crisi conclamata (patrimonio netto negativo e debiti scaduti), attiva immediatamente la composizione negoziata della crisi. Viene nominato un esperto indipendente. Nel frattempo, su consiglio legale, la società deposita anche ricorso al tribunale per ottenere misure protettive: il giudice concede la sospensione di azioni esecutive per 4 mesi . Ciò impedisce a due fornitori, che avevano già ottenuto decreti ingiuntivi, di pignorare i conti.
L’esperto convoca i principali creditori e i soci pubblici. Si evidenzia che i Comuni non hanno finanze per coprire tutti i debiti, ma potrebbero coprire parzialmente le perdite. Si abbozza un piano di ristrutturazione: i Comuni si impegnano a versare €1M in aumento di capitale straordinario (approvato dalle loro giunte con l’obbligo di accompagnarlo a un piano di risanamento conforme all’art.14 TUSP ). La Regione, presente come osservatore, promette di facilitare un aumento tariffario del +5% per i prossimi 2 anni. Con queste leve, AcquaBlu propone ai creditori: pagamento integrale di debiti fiscali e contributivi in 6 anni (usando il nuovo capitale), pagamento ai fornitori del 50% del dovuto in 3 anni (in rate semestrali) + il restante 50% remissione; per le banche, trasformare lo scoperto in un mutuo quinquennale garantito da pegno sulle future bollette. Sotto supervisione dell’esperto, fornitori e banca accettano, vedendo che l’alternativa (fallimento) li farebbe incassare forse il 20% dopo anni. Si formalizza così un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 CCI, con adesione del 75% dei crediti. Il tribunale omologa l’accordo, ritenendo assicurato il pagamento integrale dei creditori estranei (i piccoli fornitori dissenzienti verranno pagati cash con parte dei fondi soci). AcquaBlu esce dalla crisi: i Comuni ricapitalizzano, l’accordo omologato blocca le pretese residue dei creditori aderenti, la tariffa incrementata e il nuovo prestito bancario consentono di regolarizzare i pagamenti futuri. Il servizio prosegue senza interruzioni e dopo 3 anni di piano l’azienda torna in utile. Gli utenti hanno avvertito qualche disagio (sportelli chiusi in orario ridotto e ritardi nei lavori in quei mesi), ma nessuna sospensione d’acqua. Questo esempio mostra un risanamento negoziato e assistito con il coinvolgimento di tutti gli attori.
Caso pratico 2: Consorzio AquaTerra (azienda speciale consortile insolvente)
Il Consorzio AquaTerra è un’azienda consortile pubblica creata da una Provincia e 30 Comuni per gestire il SII. Negli ultimi anni ha accumulato 10 milioni di debiti, soprattutto verso il grossista regionale d’acqua e verso il gestore elettrico. Essendo ente pubblico, i creditori non possono chiederne il fallimento (come nel caso Congesi) , ma hanno avviato esecuzioni: il fornitore elettrico minaccia di staccare la corrente a impianti di sollevamento (legalmente dovrebbe mantenere forniture minime, ma la situazione è tesa), e la società grossista d’acqua ha ottenuto un pignoramento sui conti del Consorzio per 3 milioni. AquaTerra non ha contanti nemmeno per gli stipendi.
Azione: I Comuni soci si riuniscono d’urgenza e deliberano di sciogliere il consorzio per gravissime ragioni economiche, deliberando contestualmente la costituzione di una nuova società in house (AquaTerra 2 Srl) a cui affidare il servizio. Tuttavia, sorge il problema: per il TUSP, se un ente pubblico fa fallire la sua società, non può costituirne un’altra per 5 anni . Pur non essendoci fallimento formale qui (ente pubblico), la ratio è analoga. La Prefettura interviene preoccupata per l’ordine pubblico (ci sono proteste dei lavoratori e rischio interruzione idrica): in accordo col Presidente della Regione, si decide di applicare l’art. 14 co.5 TUSP, ultima parte . Viene proposto al Presidente del Consiglio dei Ministri un DPCM che autorizzi un intervento straordinario per salvaguardare la continuità del servizio e la salute pubblica. Nel DPCM (ipotetico) si autorizza la Regione a concedere un finanziamento straordinario di €5M alla nuova società AquaTerra 2 per avviare il servizio, e si deroga temporaneamente al divieto quinquennale di continuità (essendo stato liquidato un ente pubblico, la norma dei 5 anni non si applica alla lettera, ma comunque con il DPCM si mette al riparo la procedura). Il Prefetto, sentito il tribunale amministrativo, nomina anche un Commissario liquidatore per il vecchio Consorzio, che si occuperà di fare l’inventario e pagare i creditori col ricavato possibile (il consorzio aveva pochi beni; in pratica il commissario userà eventuali crediti esigibili e forse una parte del finanziamento regionale per transigere i debiti). La nuova società AquaTerra 2 prende in carico reti e impianti (già demaniali, quindi solo consegna), assume tutto il personale ex novo mantenendo gli stessi contratti (clausola sociale applicata) e stipula nuovi contratti di fornitura di energia e acqua con i fornitori (che, memori dei problemi, chiedono pagamenti anticipati almeno inizialmente). Il servizio idrico quindi continua con il nuovo gestore; la fiducia dei cittadini è un po’ scossa ma vedono che dal rubinetto continua a uscire acqua. I creditori del vecchio Consorzio alla fine accettano un accordo transattivo: la Regione tramite il liquidatore offre di pagare 50 cent per euro di debito chirografario, subito, pur di chiudere. La maggior parte accetta perché altrimenti, essendo ente pubblico, avrebbero dovuto fare causa ai Comuni soci in modo complesso. In definitiva, il Consorzio viene liquidato e dopo due anni chiuso, e la nuova società (più snella e sotto vigilanza stretta della Regione) prosegue la gestione.
Questo caso mostra come per gli enti pubblici economici non fallibili si ricorra a soluzioni amministrative e politiche: liquidazione volontaria, sostituzione con nuovo soggetto, accordi bonari con creditori tramite coinvolgimento di livelli di governo superiori. Non c’è un tribunale fallimentare a orchestrare, ma il fine comune è stato comunque quello di assicurare la continuità del servizio con minima rottura, e i creditori hanno recuperato qualcosa grazie all’intervento pubblico straordinario (il DPCM).
Conclusioni
La gestione delle crisi debitorie nelle aziende idriche è un terreno complesso dove si intrecciano diritto fallimentare, regole pubblicistiche e interessi vitali della collettività. Da quanto abbiamo visto, il punto di vista del debitore – l’azienda idrica in difficoltà – implica affrontare una molteplicità di sfide: negoziare con creditori eterogenei (dalla grande banca al piccolo fornitore locale), interfacciarsi con i soci pubblici vincolati da norme di finanza pubblica, tenere conto delle aspettative dell’utenza e delle autorità di regolazione, il tutto sotto la spada di Damocle di possibili procedure concorsuali o provvedimenti sostitutivi.
Negli ultimi anni l’ordinamento italiano si è evoluto per fornire strumenti più flessibili e anticipati di intervento: dalla composizione negoziata all’enfasi sul concordato in continuità, dal potenziamento dei poteri di controllo dei soci pubblici (TUSP) all’intervento di soggetti terzi in casi estremi (commissariamenti governativi). L’obiettivo dichiarato è duplice: da un lato, garantire il servizio idrico agli utenti senza soluzione di continuità; dall’altro, responsabilizzare le gestioni affinché operino secondo sani criteri imprenditoriali, senza contare su salvataggi a piè di lista come unica soluzione.
Per i gestori idrici debitori, questa guida ha evidenziato l’importanza di un’azione tempestiva e pianificata: la crisi va ammessa per tempo e fronteggiata con un piano credibile, utilizzando le protezioni legali disponibili. Il debitore deve saper “giocare d’anticipo”, sfruttando le finestre di opportunità per coinvolgere i creditori in una soluzione comune invece di subirne passivamente le azioni frammentate. Abbiamo visto che un gestore preparato può evitare il tracollo irreversibile e perfino evitare di dover cedere il passo ad altri, se riesce a presentarsi come soggetto rinnovato e affidabile, magari con l’ingresso di nuovi capitali e l’uscita di vecchie pratiche. Viceversa, la inerzia o la negazione del problema conduce invariabilmente all’esito peggiore: la disgregazione dell’azienda e un contenzioso diffuso, con danno per tutti (creditori parzialmente insoddisfatti, dipendenti in ansia, enti locali costretti a gestioni emergenziali).
Abbiamo altresì compreso che i creditori, pur tutelati nelle forme ordinarie, di fronte a un servizio essenziale devono contemperare le proprie ragioni con l’interesse pubblico: da qui il frequente ricorso a soluzioni concordate. Un fornitore di elettricità, per quanto legittimamente creditore, sarà riluttante a staccare la luce a un acquedotto perché ne risponderebbe anche verso terzi; preferirà un piano di rientro con garanzie piuttosto che causare un’emergenza sanitaria. In un certo senso, nel settore idrico più che altrove, cooperazione e trasparenza diventano non solo auspicabili ma necessarie.
Dal lato degli enti pubblici proprietari, queste situazioni di crisi rappresentano un banco di prova di buona amministrazione: devono dimostrare capacità di programmazione (evitando di creare strutturalmente voragini finanziarie con tariffe politicamente compiacenti ma insostenibili), vigilanza costante e, all’occorrenza, decisionismo nell’adottare misure drastiche (cambi di governance, iniezioni di fondi con piano, o se serve liquidazioni controllate). Il legislatore ha cercato di vincolarli a comportamenti virtuosi, con norme come l’art. 14 TUSP che li obbliga ad agire sotto pena di irregolarità e che al contempo ne limita gli aiuti non ragionati. L’equilibrio non è semplice: non si vuole sprecare denaro pubblico per ripianare inefficienze, ma nemmeno far fallire servizi fondamentali.
Possiamo quindi concludere che affrontare i debiti di un’azienda idrica richiede un approccio multidisciplinare e una regia coordinata tra azienda, soci, autorità e, in parte, creditori. È un delicato gioco di pesi e contrappesi in cui il fine ultimo – mantenere acqua nelle case dei cittadini – deve guidare le scelte giuridiche ed economiche. Il contesto normativo attuale offre gli strumenti e i precedenti per riuscirvi: come dimostrato, nessuna crisi è insolubile a priori se affrontata con gli strumenti giusti, ma occorre volontà e competenza.
In definitiva, dal punto di vista del debitore, “difendersi” dai debiti non significa sottrarsi alle proprie responsabilità, bensì governare il processo di ristrutturazione in modo attivo e trasparente, trasformando una fase potenzialmente distruttiva in un’opportunità di rilancio su basi più solide. Per farlo, bisogna conoscere e saper utilizzare gli istituti giuridici idonei, ed è quello che speriamo questa guida – con le fonti normative e giurisprudenziali citate – abbia contribuito a chiarire, offrendo una mappa per navigare in acque tempestose senza affondare.
Gestisci un’azienda idrica, un’impresa di servizi ambientali o una società di manutenzione reti idriche e stai affrontando debiti fiscali, contributivi o bancari? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Gestisci un’azienda idrica, un’impresa di servizi ambientali o una società di manutenzione reti idriche e stai affrontando debiti fiscali, contributivi o bancari?
Hai ricevuto cartelle esattoriali, intimazioni di pagamento o rischi pignoramenti, ipoteche e blocchi dei conti correnti da parte dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione, di banche o di enti creditori?
👉 Prima regola: non aspettare che la situazione peggiori.
Nel settore idrico, dove gli investimenti in infrastrutture, energia e manutenzione sono elevati e i pagamenti pubblici o privati spesso tardano, una crisi di liquidità può rapidamente trasformarsi in indebitamento grave.
Con una difesa legale e fiscale mirata, puoi bloccare azioni esecutive, ristrutturare i debiti e salvaguardare impianti, personale e continuità del servizio.
⚖️ Le cause più comuni di indebitamento per un’azienda idrica
- Ritardi nei pagamenti da parte di enti pubblici o clienti industriali.
- Aumento dei costi energetici e dei materiali tecnici.
- Oneri fiscali e contributivi elevati (IVA, IRAP, INPS).
- Cartelle esattoriali per imposte e contributi non versati.
- Leasing onerosi per macchinari, mezzi e impianti di depurazione.
- Spese straordinarie per manutenzioni e adeguamenti ambientali.
- Errori di gestione contabile o mancanza di pianificazione fiscale.
📌 I rischi per un’azienda idrica indebitata
- Cartelle esattoriali e pignoramenti su conti correnti, fatture e crediti verso enti pubblici.
- Ipoteca su impianti, immobili e sedi operative.
- Fermi amministrativi su mezzi tecnici e veicoli di servizio.
- Revoca di linee di credito e affidamenti bancari.
- Blocco dei rimborsi fiscali o dei crediti IVA.
- Rischio di liquidazione giudiziale (ex fallimento) in caso di insolvenza.
- Perdita di appalti e contratti di servizio pubblico per mancanza di requisiti di regolarità contributiva (DURC).
🔍 Cosa fare subito
- Analizza la situazione debitoria, distinguendo tra debiti fiscali, contributivi, bancari e fornitori.
- Verifica la legittimità delle cartelle e degli atti notificati, molti contengono vizi formali o importi prescritti.
- Blocca pignoramenti e azioni esecutive con ricorsi o istanze di sospensione.
- Richiedi rateizzazioni o definizioni agevolate (“rottamazioni”), se previste.
- Affidati a un avvocato tributarista esperto nel settore pubblico e dei servizi, per creare una strategia di difesa e risanamento sostenibile.
🧾 Strumenti per difendersi e risolvere i debiti
💠 Rateizzazione delle cartelle
Consente fino a 120 rate mensili, sospendendo pignoramenti e procedure esecutive in corso.
💠 Definizione agevolata o “rottamazione”
Quando attiva, permette di saldare solo il capitale, cancellando sanzioni e interessi di mora.
💠 Ricorso tributario o istanza di autotutela
Per annullare o sospendere atti viziati, prescritti o illegittimi.
💠 Composizione negoziata della crisi (D.Lgs. 14/2019)
Strumento del Codice della Crisi d’Impresa che consente di negoziare con Fisco, banche e fornitori, salvaguardando la continuità aziendale e sospendendo le azioni dei creditori.
💠 Piano di risanamento aziendale
Con il supporto di consulenti legali e contabili, puoi ristrutturare i debiti, ridurre i costi fissi e garantire la continuità del servizio idrico.
🛠️ Strategie di difesa per un’azienda idrica indebitata
- Analizzare ogni cartella e atto notificato per individuare vizi, errori o prescrizioni.
- Contestare pignoramenti, ipoteche o fermi amministrativi illegittimi.
- Dimostrare la crisi temporanea di liquidità per accedere a rateizzazioni agevolate.
- Attivare accordi di rientro o saldo e stralcio con Fisco, banche e fornitori strategici.
- Proteggere impianti, mezzi e infrastrutture essenziali dalle azioni esecutive.
- Ottimizzare la gestione contabile e la pianificazione fiscale per evitare nuovi debiti.
⚖️ Perché agire subito è fondamentale
Nel settore idrico, la continuità del servizio e la regolarità contributiva sono condizioni indispensabili per mantenere appalti e concessioni.
Un pignoramento o un blocco dei conti può compromettere l’erogazione del servizio e causare gravi danni economici e reputazionali.
Agire tempestivamente consente di:
- Bloccare cartelle e azioni di riscossione.
- Difendere gli impianti e i conti aziendali.
- Rinegoziare i debiti e ridurre l’esposizione fiscale.
- Ripristinare l’equilibrio finanziario e la continuità operativa.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza la situazione debitoria dell’azienda e la documentazione ricevuta.
📌 Verifica la legittimità di cartelle, ipoteche e pignoramenti.
✍️ Predispone piani di risanamento, istanze di autotutela e ricorsi tributari personalizzati.
⚖️ Ti rappresenta davanti all’Agenzia delle Entrate-Riscossione, alle banche e alla Corte di Giustizia Tributaria.
🔁 Offre consulenza continuativa su fiscalità dei servizi pubblici, tutela patrimoniale e gestione della crisi d’impresa.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in diritto tributario e gestione della crisi d’impresa.
✔️ Specializzato nella difesa di aziende idriche e società di servizi pubblici locali contro debiti fiscali e bancari.
✔️ Gestore della crisi d’impresa iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Un’azienda idrica con debiti può risanarsi e garantire continuità operativa, ma serve agire subito con una strategia legale e fiscale strutturata.
Con una difesa competente puoi bloccare cartelle e pignoramenti, rinegoziare debiti e proteggere impianti, personale e contratti pubblici.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata:
la tua difesa contro debiti fiscali, cartelle e pignoramenti nella tua azienda idrica inizia qui.